The Black Hedgehog Revolution

di Vicarious10
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Note dell'autore ***
Capitolo 2: *** Prologo: La fine di Mobius ***
Capitolo 3: *** The Black Hedgehog Revolution: 100 anni dopo ***
Capitolo 4: *** The Black Hedgehog Revolution: I demoni della grande città ***
Capitolo 5: *** The Black Hedgehog Revolution: Colui che dimora nelle tenebre ***
Capitolo 6: *** The Black Hedgehog Revolution: Il ritorno di Shadow the Hedgehog ***
Capitolo 7: *** The Black Hedgehog Revolution: Il prezzo dei miei peccati ***
Capitolo 8: *** The Black Hedgehog Revolution: La danza del guerriero ***
Capitolo 9: *** The Black Hedgehog Revolution: I tempi stanno cambiando ***



Capitolo 1
*** Note dell'autore ***


Sorpresi? Se devo essere sincero, lo sono anche io.
Sono Vicarious10 e vi do il benvenuto alla versione definitiva di una storia che mi ha accompagnato per tanto tempo qui su EFP. Sono passati più o meno tre anni da quando pubblicai il primo capitolo di Black Hedgehog, esattamente il 16 dicembre 2012, pochi giorni prima di scoprire che il mondo non sarebbe finito (bei tempi). All’epoca avevo appena cominciato a scrivere su questo sito e non ero davvero pratico con questo mondo, così come non ero così bravo da rendere alla perfezione le storie che mi venivano in mente. Fu per questo che abbandonai quella storia, a causa della mia incapacità di rendere tutto al meglio e di mettere in risalto quei dettagli che erano alla base del racconto. Crescendo sia come scrittore che come lettore, l’idea di uno Shadow rimasto solo in un mondo pieno di insidie e nemici non ha mai smesso di tormentarmi. Nonostante questo, non mi sentivo in grado di riprendere Black Hedgehog. Cercavo di trovare quella scintilla, quell’ispirazione che mi avrebbe colpito così tanto da farmi dire “ok, è il momento di farlo”. Qualche mese fa, però, trovandomi a ripensare al personaggio di Shadow, ebbi una sorta di illuminazione. Cominciai a lavorarci su fino ad oggi e ora sono davvero pronto a concludere ciò che ho cominciato. Questa fic è quindi un “rifacimento” dell’originale, con gli stessi personaggi e una storia più complessa dell’originale. Prima di cominciare, ci sono due cose da dire.
La prima riguarda Age of Onslaught: non c’è assolutamente da preoccuparsi. Per chi la stesse seguendo, sappiate che la continuerò il più presto possibile e che riprenderà non appena verranno pubblicati tre capitoli dopo questa introduzione. Vi chiedo di avere solo un po’ di pazienza poiché non sono in grado di portare avanti contemporaneamente due storie come queste. Nonostante ciò, vi ho promesso che continuerà e che finirà. In fin dei conti, una promessa è una promessa.
La seconda e ultima cosa sono ovviamente i ringraziamenti. Desidero ringraziare tutti gli utenti del fandom di Sonic che hanno dedicato un po’ del loro tempo alle mie storie. Prendete questa storia come vostra, perché senza di voi non sarebbe stata possibile farla. È un mio desiderio ringraziarvi tutti dal primo fino all’ultimo, e trovo che non ci sia modo migliore di questo. Desidero ringraziare anche l’utente Knuckster e la sua fantastica Sonic the Hedgehog: Legacy of Argus, perché nel leggerla ho trovato la voglia di migliorarmi e di andare sempre avanti nello scrivere nuove storie più complesse e profonde.
Ora, dopo questa breve introduzione, è arrivato il momento di cominciare.
Benvenuti in un mondo senza regole.

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Capitolo 2
*** Prologo: La fine di Mobius ***


Gli immensi prati di Green Hill.
Quante volte ho ammirato questo luogo così magico e puro?
Tante, ma solo ora mi accorgo che non sono abbastanza.
Avrei voluto che la mia ultima visita in questo paradiso fosse tranquilla, spensierata e senza alcuna preoccupazione di tutto il male che, da un momento all’altro, sarebbe spuntato fuori per colpire me e tutti coloro che mi stanno a cuore.
Purtroppo, l’azzurro ha lasciato il posto ad un nero abissale nel cielo sopra di me.
Il terreno è colpito da scosse sismiche così volente da far sradicare gli alberi e da mettere in fuga tutti gli animali.
Le città sono vuote, i cittadini di tutta Mobius corrono verso l’unica possibilità di salvezza.
Alzo la testa e fissò impaurito la causa di tutto questo.
È grande quanto un continente, quel frammento stellare violaceo venuto fuori da chissà quale remota parte dell’universo. C’è una specie di campo gravitazionale che lo protegge dai missili che G.U.N. ha lanciato invano per distruggerlo.
Il mio nome è Sonic the Hedgehog.
Sto per morire insieme al mio mondo.
In un momento così, chiunque prenderebbe con filosofia l’idea della fine. Magari, una persona normale avrebbe deciso di spendere le ultime ore accanto ai propri cari o, come già detto, si fionderebbe a tutta velocità verso la salvezza.
Io, però, non sono una persona normale.
Sono un eroe, cerco di ripetermelo ogni volta che la paura si presenta per strappare la carne dalle mie ossa. Ho vissuto una vita incredibile, piena di avventure, di pericoli, di scontri e, infine, anche di amore. Non mi sono mai arreso, nemmeno di fronte all’avversario più tenace.
E non lo farò nemmeno ora, di fronte ad uno stupido meteorite.
Ho una sacca tra le mie braccia che lascio cadere a terra. Gli smeraldi del Chaos rotolano fuori da essa per poi cominciare ad illuminarsi quando io lo decido.
L’ennesima scossa crea un crepaccio poco lontano da me mentre i sette manufatti più antichi di Mobius cominciano a levitarmi attorno.
All’unisono, cominciano ad emettere una luce così potente da inglobare tutta la mia figura, trasformandomi nell’unica speranza di salvezza per la mia casa. Il potere assoluto percorre ogni centimetro del mio corpo, dalla testa ai piedi, mentre i miei aculei cambiano colore diventando dorati.
Mi inginocchio per darmi lo slancio, faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi.
È tempo di essere un dio.
La velocità che raggiungo in questa forma impressionante.
Riesco a perforare l’atmosfera in pochi secondi mentre osservo quella mostruosità dello spazio profondo apparirmi sempre più grande.
L’impatto con la sua superficie genera un grande boato che mi sconquassa l’udito, ma ciò non mi impedisce di cominciare a colpire con tutta la mia forza.
Capisco che è inutile quando noto di non aver fatto alcun danno. Dopo un po’, l’atmosfera con cui G.U.N. aveva precedente fatto i conti si fa sentire, costringendomi ad allontanarmi per non rimanere schiacciato. Scendo più in basso, ritornando dentro l’atmosfera di Mobius. Una lacrima comincia a rigarmi la guancia sinistra.
È davvero la fine?
Mentre io rimango impietrito di fronte al dubbio, il meteorite comincia a prendere velocità. Rimane poco tempo per fermarlo, la disperazione sta cominciando a salire. Come se la staranno cavando gli altri?
Mentre io sono qui, i miei amici cercano di far evacuare quanta più gente possibile dai centri abitati grazie anche all’aiuto della G.U.N.
L’obbiettivo è quello di trasportare tutti sulla Terra, il pianeta gemello di Mobius posto sullo stesso piano dimensionale ma in una parte differente dell’universo. Anche lì c’è un Sole, una Luna e cambiamenti climatici identici al nostro mondo, ma gli umani hanno punti di vista un po’ diversi dai nostri.
Tuttavia, anche se tutti i mobiani del pianeta riuscissero ad arrivare sulla Terra, i miei amici rimarrebbero qui con me. Ho protestato a lungo per questo, ma loro non ne volevano sapere.
Quest’avventura chiamata vita è cominciata insieme  e, a maggior ragione, la finiremo insieme.
Tails, il mio migliore amico, quasi come un fratello per me.
Knuckels, ha una testa dura come i suoi pugni, ma sono felice di aver combattuto al suo fianco per tutti questi anni.
E, infine, Amy.
Lei, l’amica che alla fine si era rivelata essere l’unico mio vero e grande amore.
Non posso deluderli.
Stringo i pugni e richiamo tutta l’energia degli smeraldi. Un aurea d’orata avvolge il mio corpo mentre sento una forza dirompente muoversi dentro il mio petto.
Scattò ancora una volta. Allungo le braccia in avanti e, quando mi scontro per la seconda volta contro il meteorite, comincio a spingere per far deviare la sua traiettoria.
È impossibile.
Urlo per la disperazione, ma non abbandono la causa. Il campo gravitazionale torna a farsi sentire, ma stringo i denti e cerco di concentrarmi di più. Sento l’energia degli smeraldi aumentare a dismisura quando riesco a stoppare per qualche secondo la caduta di quella mostruosità.
-Non devo arrendermi!- urlo come un pazzo quando mi accorgo del risultato -Non posso arrendermi!-
La gravità diventa più forte. Il mio corpo vorrebbe piegarsi sotto quell’incessante pressione.
-Questa è la mia casa!-
Non mi sento più le gambe. Sono un tutt’uno con gli Smeraldi del Chaos.
-Non lascerò che finisca così!-
Nonostante la mia forza abbia superato di molto il limite, il meteorite non accenna a spostarsi anche solo di un millimetro. La mia energia si sta esaurendo.
Il dolore diventa sempre più forte.
-NO!-
Un onda parte dal mio petto e raggiunge le braccia.
La stessa luce che mi aveva trasformato si ripresenta inaspettatamente, ma questa volta sono io la fonte. Rimango accecato, non riesco ad aprire gli occhi.
Non sento più niente. Nessuna sensazione, nessuna forza, nessun dolore, nessuna energia.
Non riesco a pensare.
Non riesco a..

 

 

Il pianeta Mobius, dopo quattro miliardi anni trascorsi dalla sua nascita, venne distrutto da un frammento stellare uscito fuori dall’apertura di un buco nero nel giorno 139 dell’anno 3234, secondo il calendario mobiano. I suoi abitanti cercarono in tutti i modi di impedire che quest’oggetto si scontrasse con il loro mondo, ma niente fu così efficace da impedire ciò che, in qualche modo, sembrava essere predestinato. Così, dei 6 miliardi di mobiani presenti sul pianeta, 1 miliardo e 500 milioni riuscirono a salvarsi raggiungendo la Terra tramite dei portali spaziotemporali, mentre i restanti, alcuni per propria scelta e altri per non aver varcato i portali in tempo, rimasero sul loro pianeta natale, venendo tutti spazzati via dall’impatto del meteorite che, come previsto, distrusse il pianeta riducendolo a polvere.
All’inizio, i mobiani superstiti sulla Terra credevano che nessuno si fosse salvato.
Solo dopo scoprirono che vi era un unico sopravvissuto.

 

  

Non riesco a sentire nulla..
Ci fu un esplosione colossale quando tutto fu finito. Di Mobius, purtroppo, non ne era rimasto nient’altro che polvere. Qualcosa che non doveva essere lì, però, fluttuava nello spazio privo di sensi.
Cos’è successo?
Ecco che quel mobiano ricoperto d’oro comincia a muoversi. Non sente niente che lo regge, gli sembra quasi che stia vagando nel buio. All’inizio crede di essere solo un spirito che ha abbandonato definitivamente il suo corpo. Quando il dolore si riaccese dentro di lui, però, l’idea che il suo viaggio ultraterreno fosse cominciato svanì con il suo torpore.
Che cosa sta succedendo!?
Non riusciva né a parlare e nemmeno a sentire qualcosa. Vagava nello spazio aperto e non riusciva a trovare una spiegazione. Poi, un immagine illuminò la sua mente.
Il meteorite..
Cominciò a guardarsi attorno, ma tutto ciò che vedeva erano solo miriadi di puntini luminosi.
Dov’è il meteorite?
Non c’era alcuna traccia del pericolo, così come non c’era nessuna traccia di Mobius.
Dov’è il mio pianeta!?
Tutto gli ritornò in testa, come se un proiettile gli stesse perforando il cervello.
La sua bocca si spalancò, cacciando un urlò che non poté propagarsi nello spazio a causa della mancanza di aria.
Il mio mondo.. la mia casa..
Le lacrime uscirono dai suoi occhi, fluttuando per un brevissimo lasso di tempo attorno a lui prima di cristallizzarsi.
Amy..
Si rannicchiò su sé stesso e si coprì il volto tra le ginocchia. Continuava ad urlare, ma nessuno lo sentiva, nemmeno sé stesso. Nella sua testa, invece, i rumori erano amplificati a mille.
La rabbia esplose dentro di lui. Solo in quel momento si accorse che dentro di sé c’erano ancora gli smeraldi del Chaos. Smise di piangere e si guardò le mani: risplendevano ancora dell’energia più antica di Mobius.
Per questo era ancora vivo, nonostante stesse fluttuando nello spazio senza respirare. I poteri degli smeraldi lo rendevano una divinità vera e propria, donandogli un potere oltre ogni immaginazione.
Tutto questo potere.. perché non sono riuscito a salvare la mia casa?
Questa volta, la rabbia si manifestò sotto forma di scariche elettriche attorno al suo corpo dorato. Sprigionava un energia immensa grazie alla rabbia. Il suo corpo diveniva sempre più resistente, mentre nella sua  testa stava accadendo qualcos’altro.
Amy.. non ci sono riuscito..
Cominciò a sentire la sua voce, identica in tutto e per tutto. A quella di Amy Rose, si sovrapposero tutte quelle dei suoi amici. Se all’inizio non riusciva a comprendere ciò che dicevano, fu praticamente impossibile distinguerle quando, insieme a quelle dei suoi numerosi compagni, se ne aggiunsero altre che non aveva mai sentito. Variavano tutte di tono, di lingua e di accento, creando un baccano frastornante impossibile da capire.
Smettetela..
Si facevano sempre più forti
Vi prego.. basta..
Non accennavano a smettere. Alla fine, arrivò a pensare che quella fosse la sua punizione per il fallimento.
BASTA!
Il suo corpo si irrigidì e da esso partirono una moltitudine di scariche d’energia. Erano così potenti che riuscirono a balenare nel buio per molto tempo.
Si prese il volto tra le mani e cominciò a singhiozzare.
Nella testa di Sonic, ora c’era solo il silenzio.
Per il momento sarebbe rimasto lì, a vagare nell’universo, in attesa di una decisione, poiché ogni cosa in questo universo ha un inizio e una fine. Chiunque sia ora, questo Sonic non è più lo stesso che correva per i paesaggi di Mobius in gioventù.
La sua vita mortale si era conclusa e, nel farlo, ha dato inizio ad un’altra. Positiva o negativa.. nessuno potrà dirlo con assoluta certezza. L’unica cosa certa è che gli smeraldi hanno spaccato la sua mente.
Rendendo il corpo indistruttibile.

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Capitolo 3
*** The Black Hedgehog Revolution: 100 anni dopo ***


Sono passati 100 anni dalla distruzione di Mobius.
Sulla Terra, i mobiani sopravvissuti si trovarono di fronte un mondo diverso dal loro. Dall’altra parte, gli umani non furono preparati su come adattarsi al cambiamento che quella razza aliena avrebbe portato nel loro mondo. I primi anni, periodo denominato L’Integrazione, furono difficili per quegli esseri dalle sembianze animalesche. Grazie ad un trattato stipulato al Congresso delle Nazioni Unite, i paesi di tutto il globo accolsero i mobiani dentro i loro confini. La percentuale maggiore venne affidata all’America del Nord, ovvero gli Stati Uniti e il Canada, mentre all’Europa e all’Asia, con grande sollievo da parte di queste, fu affidato un numero abbastanza equivalente di cittadini provenienti da Mobius. Grandi passi nel campo delle tecnologie e delle scienze furono compiuti grazie a questi visitatori, come l’introduzione di fonti d’energia rinnovabili e nuovi farmaci in grado di debellare le malattie che affliggevano i paesi del Terzo Mondo, come l’Africa. La comunità scientifica umana dovette riconoscere fin da subito il grande merito dei mobiani e delle loro conoscenze, ma per le strade delle città invece era tutta un’altra storia.
Una storia di razzismo, di odio infondato e di paura verso i nuovi abitanti della Terra. Ciò accadde in tutto il mondo, ma fu in alcuni paesi dell’estremo oriente dove questo evento fece più scalpore. Nella Korea del Nord, dove ancora vigeva una dittatura, vennero catturati e saccheggiati dei loro beni più di 20.000 mobiani, per poi essere venduti come schiavi in altre zone del globo. Questa nuova forma di schiavismo, da secoli abolita da quasi tutte le nazioni, portò di conseguenza alla rottura del trattato stipulato al Congresso. A causa di ciò, il 25 maggio del 2049, scoppiò una guerra che venne ricordata come Guerra dell’Integrazione. Da una parte, gli Stati Uniti, l’Inghilterra, la Francia e la Germania chiedevano alla Korea del Nord di cessare immediatamente le sue attività criminali ai danni dei mobiani. Accanto ad essa, però, si aggiunsero la Russia e il Giappone, chiamate in causa per difendere i loro interessi con la Korea del Nord e per usufruire del commercio dei mobiani schiavizzati. La guerra era ormai cominciata, ma questa non fu combattuta nello stesso modo in cui avvenne per le Guerre Mondiali del ‘900. L’Europa venne usata come campo di battaglia fra le due fazioni, mentre numerose città in tutto il mondo vennero rase al suolo dalla potenza missilistica degli Stati Uniti da un lato e dalla Russia dall’altro. Il mondo era caduto in una nuova crisi economica e demografica e gli umani diedero la colpa di tutto questo ai mobiani. Di conseguenza, l’’odio razziale aumentò per le strade di tutte le città, finché un giorno, il 17 ottobre del 2056, qualcosa comparve nei cieli di Washington D.C., la capitale degli Stati Uniti. Entrambe le razze riconobbero immediatamente quest’essere venuto dalle stelle, anche se questo era evidentemente cambiato nel suo aspetto. I suoi aculei erano sul giallo oro, così come i suoi occhi, ed un aurea del medesimo colore circondava la sua figura. Era capace di volare e di raggiungere velocità decisamente oltre la norma. La sua forza immensa gli consentiva di piegare l’acciaio come se fosse creta e la sua pelle era così resistente da essere impossibile da scalfire per qualsiasi tipo di arma.
Il suo nome era Sonic the Hedgehog.
Non essendo riuscito a salvare il proprio mondo, il riccio d’oro fece in modo di fermare la guerra in tempo, distruggendo le basi missilistiche della fazione che voleva sfruttare il popolo mobiano. Il conflitto terminò quindi con una grande dimostrazione di forza di Sonic che, quando ogni minaccia fu sventata, decise di vivere ai margini dell’atmosfera terrestre. Se un giorno il mondo ne avesse avuto bisogno, il mobiano sarebbe arrivato in loro soccorso.

The Black Hedgehog
Revolution

 
1.
100 anni dopo
 
Cosa successe dopo?
La vita sembrò tornare alla normalità, nonostante le costose ricostruzioni di tutte le città bombardate durante gli scontri. Grazie alla forza di volontà degli umani e dei mobiani, esse vennero ripristinate dalla base. Per evitare lo scoppio di un ulteriore guerra così catastrofica, la nazione vincente, ovvero gli Stati Uniti, prese l’incarico di creare e di finanziare un organizzazione militare che avrebbe avuto lo scopo di sventare eventuali minacce terroristiche sia ai danni dei mobiani che degli umani.
Venne chiamata G.U.N. in onore della precedente.
Nel corso del tempo, l’astio verso gli animali antropomorfi di Mobius non vacillò. Nonostante la loro conquista nel riconoscimento di moltissimi diritti, il popolo proveniente dalle stelle doveva ancora convivere con il razzismo e la diffidenza di gran parte degli umani. A rafforzare questi sentimenti fu l’ascesa al potere di un unico individuo. Nessuno l’aveva mai visto faccia e faccia per poi sopravvivere e raccontarlo, ma l’unico dettaglio certo è la sua appartenenza alla stirpe mobiana. Il mondo lo conosceva come Il Comico.
Nonostante questo nome, il criminale in questione risulta ricercato in tutto il mondo ed è quindi ufficialmente l’obbiettivo principale della G.U.N.
All’inizio, i crimini a suo carico erano il traffico illegale di armi e schiavi, per poi passare al giro delle droghe e della prostituzione. In pochi anni, Il Comico creò il più grande regno criminale che la Terra avesse mai visto, riuscendo persino nell’impresa di inglobare le più alte e conosciute società criminali, come le mafie europee o la yakuza giapponese. Tutti, che fossero semplici ladruncoli da strapazzo o costosissimi sicari, dovevano rispondere ad un eventuale chiamata del “capo indiscusso della criminalità organizzata”. La Terra era dunque di fronte ad un bivio.
Da una parte, seppur lontana, vi era un’ancora di salvezza che solo con l’unione di entrambe le razze residenti sul pianeta poteva essere afferrata. Dall’altra vi era il buio, un abisso oscuro e infernale che avrebbe portato all’annientamento totale.
 
Spostiamoci ora nel 2115, più precisamente il 28 settembre.
Siamo a Neo Crisis City, un tempo conosciuta come New York. Per gran parte distrutta dai bombardamenti, la Grande Mela rinacque dalle sue ceneri, tornando ad essere il centro del Sogno Americano.
Siamo in uno studio televisivo dell’emittente USC, luogo dove da trent’anni va in onda uno dei programmi più amati dal pubblico americano. I posti sono tutti occupati da un variegato pubblico di umani e mobiani, con le prime tre file occupate dagli inviati dei più importanti giornali del paese. Sul palco vi è una scrivania e due poltrone poste di fronte, dietro queste c’era una gigantografia della città dopo la sua rinascita dalla guerra. Un uomo di quasi 75 anni stava aspettando il segnale d’inizio dal proprio staff pulendo i suoi occhiali con fare annoiato. Non perché non amasse il suo lavoro, ma perché ormai mancava davvero poco al suo ritiro. Il suo nome era Abraham Shaffer, storico conduttore del programma Thursday Night Talking.
Il “via” arrivò sottoforma di cenno con la mano da parte di uno degli sceneggiatori. Quando Abraham apparve sul palco fu accolto da un caloroso applauso da parte del pubblico.
-Buona sera a tutti, signori e signore-
Quando il rumore dell’applauso svanì poco a poco, il conduttore poté cominciare il suo lavoro.
-Sapete, quando si arriva ad una certa età, si rimpiangono alcune cose del passato. Ora che sono nel bel mezzo della mia settantina, posso confermarvi che, in parte, è vero. Ci sono state cose durante il corso della mia vita che non ho fatto. Tra queste, però, non c’è niente che riguardi ciò che ho fatto in questo studio televisivo-
Seguì un altro piccolo applauso.
-Nel nostro programma, ho avuto l’onore di parlare con persone importanti. Gente dello spettacolo, musicisti, pittori, eroi di guerra.. ma non era mai successo in questi 30 anni di carriera di poter avere il piacere di parlare con un figura politica di altissimo livello-
Abraham diede un fugace sguardo alla folla che gli stava di fronte, per poi proseguire.
-Signore e signori, abbiamo qui con noi, per la prima volta dalla conclusione della guerra, l’attuale Ministro della Difesa Grant S. Morrison-
Seguito dall’applauso, un uomo vestito di un elegante abito blu scuro sbucò dal backstage con una camminata fiera e decisa. Aveva quasi 50 anni ed era alto, robusto e dotato di uno strano fascino fuori dal comune, soprattutto per un uomo nella sua posizione.
Arrivatogli accanto, il conduttore salutò il ministro con una calorosa stretta di mano.
-È una piacere averla qui con noi, signor ministro-
-Il piacere è tutto mio- rispose l’uomo in abiti scuri con un ammaliante sorriso.
I due si sedettero sulle poltrone. Il pubblico in sala e il pubblico da casa non staccavano gli occhi dal politico. Era un avvenimento davvero importante quello che stavano guardando.
-Mi dica, ministro Morrison, perché ha acconsentito alla sua partecipazione qui con noi oggi?- chiese Abraham.
-Sono qui per rompere un tabù sbagliato che circola nel nostro paese da troppo tempo, ormai- cominciò il membro del governo -Ci sono delle domande a cui il popolo americano pretende delle risposte. È un mio preciso dovere dargliele, poiché gli argomenti più discussi negli ultimi anni sono di mia competenza alla Casa Bianca-
-Se permette, allora, direi che è il caso di cominciare- proseguì Abraham -Cosa ha da dirci in proposito alla questione legata a Sonic the Hedgehog? Qual è l’accordo che esso avrebbe con le nazioni del nostro pianeta?-
-Partiamo dal presupposto che Sonic the Hedgehog è un eroe, una leggenda vivente anche per noi umani- rispose Morrison -In passato, ha avuto un ruolo determinante nella salvezza della Terra dapprima ancora della tragica fine di Mobius. Non è esattamente un accordo quello che ha con noi. In primo luogo, è stato lui a scegliere gli Stati Uniti come intermediario tra lui e il resto del mondo. Lui vuole che umani e mobiani vivano in armonia l’uno con l’altro e, nel caso dovessero presentarsi le condizioni per una fatale guerra nucleare, interverrebbe a beneficio di entrambe le specie-
-Ministro, molte persone non definirebbero Sonic con l’appellativo di “eroe”. C’è gente che lo considera una vera e propria divinità. Quando riuscì a fermare la guerra, un giornalista dell’epoca scrisse “Dio esiste, ed è un mobiano”. Lei cosa ne pensa?-
-Bisogna guardare la situazione con obbiettività. È vero, Sonic the Hedgehog dispone di poteri che vanno ben oltre la nostra concezione di “forza”, ma rimane pur sempre un essere nato come mortale-
-Lei quindi non ha paura che, un giorno, Sonic possa essere corrotto dal suo potere e dall’adulazione religiosa presente in alcune zone del mondo?- chiese il conduttore.
-No, ne sono fermamente convinto- rispose il ministro.
-Non è ironico per lei che “l’essere più potente del mondo” combaci sempre con “il nemico pubblico numero uno”?-
Il ministro Morrison si concesse un piccola risata.
-Non in questo caso, gliel’assicuro-
-Bene, passiamo al prossimo argomento- cominciò Abraham -Cosa può dirci del G.U.N.? Perché le sue attività e chi lo dirige sono un segreto di Stato?-
-Per il semplice fatto che la G.U.N. è un meccanismo che deve lavorare nell’ombra. Le eventuali informazioni come i nomi dei partecipanti o del direttore non sono di interesse pubblico-
-Può dirci almeno di cosa si stanno occupando ora?- insistette il conduttore.
-Ovviamente si stanno occupando del Comico, al momento una delle principali minacce del nostro mondo- rispose Morrison -Abbiamo ottenuto dei risultati negli ultimi mesi che ci danno la possibilità di poterlo scovare, ovunque egli si trovi-
-Di che risultati sta parlando?-
-G.U.N. ha messo sotto stretto controllo tutte le zone portuali della costa ovest, in particolare nella California. Così facendo, abbiamo bloccato i più importanti traffici di droga del Comico, impedendogli di rifornire tutti i suoi centri di spaccio-
-Strabiliante- commentò Abraham sorridendo -Questo è un ottimo risultato-
-È una grande vittoria per tutti noi- concluse soddisfatto il ministro.
Seguì un applauso a quella dichiarazione. Tra il pubblico, però, non tutti fecero altrettanto.
-Di solito questo è il momento della serata in cui le domande vengono fatte dal pubblico- cominciò il conduttore -Se lei è d’accordo, ovviamente-
Per dare il suo consenso, il Ministro si limitò ad un semplice cenno con la mano. Immediatamente, le mani di tantissimi spettatori, per lo più giornalisti, si alzarono per esporre le proprie domande. La prima fu una donna che, non appena Abraham Shaffer la indicò, si alzò in piedi.
-Margaret Wilson, Daily Planet- si presentò la giornalista -Ministro Morrison, cosa ne pensa dell’identità del Comico? Da anni corre la voce che sia un mobiano, è vero?-
-Attraverso alcune intercettazioni, G.U.N. ha identificato questo criminale come mobiano- cominciò il funzionario del governo -Ma questo non deve essere un pretesto per denigrare e additare la brava gente di Mobius che ospitiamo nel nostro paese. Il razzismo è un problema che deve essere risolto, come la storia ci insegna-
La giornalista si risedette, mentre altri giornalisti alzarono le mani per poter parlare. Tra le tante, il conduttore del programma ne notò una nascosta nella fila centrale. Incredibilmente "spiccava" tra tutte per la sua bassa statura.
Abraham lo indicò, facendo cenno di alzarsi. Tutti i giornalisti tornarono ad ascoltare in silenzio, mentre il misterioso spettatore si alzò in piedi rivelando la propria identità. Era un gatto grigio, vestito solo di una giacca a vento color caffè. Poteva avere non più di 25 anni.
-Francis the Cat, New Frontier- disse il mobiano presentandosi -Avrei  una paio di domande da farle, signor ministro-
Grant S. Morrison sorrise di gusto a quella richiesta.
-Prego-
-Lei ha detto che Sonic the Hedgehog interverrà solo per questioni di sicurezza mondiale. Perché allora non chiedete la sua partecipazione per annientare la minaccia del Comico una volta per tutte?-
Quella era una bella domanda, pensò il conduttore.
-Per il semplice fatto che questa storia non è di competenza di Sonic. G.U.N. può farcela da sola questa volta- rispose freddo il ministro.
-Può spiegarci allora come sia possibile che, dopo tutti questi anni di terrore che il Comico ha causato, G.U.N. non è ancora riuscita a rintracciare i suoi nascondigli?-
-Il Comico è un nemico abile, signor Francis. Il suo impero criminale si estende da qui fino all’Asia centrale. Noterà quindi che un tipo del genere non è semplice da “rintracciare”-
-Ne è proprio sicuro, signor ministro?- chiese Francis -Un organizzazione nata per il controllo e la sicurezza nel mondo non riesce a tenere testa ad una sola persona? È questo quello che vuole dirci?-
Era sceso un silenzio inquietante in sala. Le telecamere erano puntate sul giornalista e sul ministro. Abraham Shaffer, nel frattempo, capì che la situazione si sarebbe messa male in poco tempo.
-Se lei crede di poter fare di meglio, perché non si arruola e non fa carriera nell’esercito?- chiese ironico il politico.
-Il Comico è il principale artefice di tutti i peggiori crimini degli ultimi trent’anni. A Chicago, il procuratore distrettuale è stato ucciso insieme alla sua famiglia per  aver mosso accuse su un possibile accordo tra il sindaco e il Comico stesso. In Messico, i trafficanti di droga sono stati sterminati da un piccolo esercito non identificato proprio al soldo del criminale che voi non riuscite a catturare. Il commercio di schiavi continua a causa sua, mentre nuove droghe di suo invenzione invadono le strade di tutte le grandi città, mietendo un numero di vittime maggiore rispetto a quelle del ventunesimo secolo. Chiunque prova a capirci di più viene fatto fuori dopo qualche giorno. Voi dite che ci state lavorando, ma perché sembra che voi lo state coprendo?-
Parole pesanti. Così pesanti da far rimanere ammutoliti i numerosi presenti. Il ministro, infastidito, fissò il giornalista mobiano con occhi di ghiaccio.
-Da quando il New Frontier è diventato un giornale che crede ai complotti? Se ci tiene al suo lavoro, la smetta di alimentare il panico tra i presenti- disse per poi alzarsi dalla poltrona.
Francis the Cat strinse i pugni. Avrebbe pagato le conseguenze per quello che avrebbe detto di lì a poco.
In quel momento, il prezzo da pagare gli sembrò più che giusto.
-Abbia almeno il coraggio di dire la verità, sporco fascista-
Quando il volto del Ministro Grant S. Morrison si tramutò per un attimo in una smorfia di rabbia, la trasmissione venne interrotta e fu data la pubblicità. Il funzionario del goverso si tolse il piccolo microfono dalla tasca della giacca e lo butto noncurante a terra. Senza dire nulla, l’uomo si allontanò dal palco, scomparendo nel backstage mentre il conduttore, con grande rammarico, annunciò al pubblico che la puntata era finita lì. Tutti i presenti cominciarono a sgomberare la sala, tranne uno.
Il gatto grigio rimase fermo lì dov’era, a pugni chiusi e pieno di rancore.
 
Ce ne vuole di fegato per accusare e insultare un politico in diretta nazionale. Queste cose non mancano di certo al nostro mobiano. Il suo nome era Francis the Cat, ma chi lo conosceva e gli voleva bene lo chiamava Funky. Aveva 25 anni e, dopo una carriera scolastica più che eccellente, lavorava per il già citato New Frontier da circa 4 anni. Dopo che il fatto arrivò sulla bocca di tutti, il gatto grigio passò la notte nel suo appartamento senza chiudere occhio.
A che serve dormire?
Pensò disteso nel suo letto.
Domani sarà una pessima giornata.
Così si mise ad ascoltare qualche vecchio disco del suo defunto padre e a scribacchiare su un foglio quello che sarebbe dovuto essere il suo prossimo articolo. Quando fu mattina, con alle spalle qualche ora di sonno, il gatto grigio si tirò su, bevve una tazza di caffè, si rimise la sua giacca e partì verso la sede del giornale. Abitava al numero 12 di Levin St., uno dei pochi quartieri della vecchia New York rimasto in piedi dopo i bombardamenti. Per strada vide tanti che, come lui, cominciavano la giornata con un’espressione stanca e stressata, nonostante il fine settimana fosse alle porte. Prese la metropolitana per arrivare fino in centro e, dopo quasi un’ora dalla partenza, si ritrovò ai piedi dell’imponente e ultra sofisticato grattacielo che ospitava il suo posto di lavoro. Esitò un attimo prima di varcare l’entrata in vetro antiproiettile.
Tanto la pelliccia di gatto non và più di moda, si disse pensando ai vari metodi che il suo capo avrebbe usato per fargliela pagare.
Arrivato al diciassettesimo piano grazie all’ascensore, Francis si ritrovò gli occhi di tutti i suoi colleghi addosso. Erano tutti seduti nelle loro rispettive scrivanie e non osavano andare incontro al loro collega per salutarlo, nonostante egli fosse stimato e rispettato da tutti. D’altronde, era pur sempre uno dei pochi giornalisti di razza mobiana, nonché uno dei più brillanti degli ultimi anni.
-Francis?-
Il gatto si voltò, trovandosi accanto la segretaria d’ufficio, Eileen Miller.
-Il capo vuole vederti, subito- disse la donna dispiaciuta.
Cercando di tenere a mente le ragioni del gesto di ieri sera, il gatto grigio si prese un attimo per deglutire e si avviò.
-Gatto morto che cammina, ragazzi- disse alzando la mano destra come per salutare.
L’autoironia non l’avrebbe salvato questa volta. Di fronte alla porta d’entrata dell’ufficio, Francis abbassò la maniglia e vi entrò dentro lentamente. Il suo capo, un vecchio e calvo uomo di nome Jerry Thompson, gli dava le spalle poiché rimaneva fisso accanto la finestra. C’era un insopportabile puzza di sigaro nella stanza, odore che il gatto grigio non gradiva nonostante il suo vizio per le sigarette.
-Volevi vedermi, boss?- chiese Francis.
-Siediti- gli ordinò l’uomo quasi come se stesse contendendo la rabbia.
Senza pensarci due volte, il mobiano prese posto di fronte la scrivania, picchiettando le sue ginocchia con la punta delle dita senza fare troppo rumore.
-Allora, Funky- cominciò il Jerry voltandosi finalmente verso di lui -Vediamo insieme che cosa ha scritto oggi la concorrenza-
Sulla grande scrivania in legno scuro vi erano poggiate alcune riviste. L’umano ne prese una a caso, cominciando a sfogliare le prime pagine.
-Ecco qui, il Daily Planet scrive “Giornalista mobiano insulta pubblicamente Ministro della Difesa”. Bel titolo, no? E senti questa, nell’articolo si chiedono se anche noi abbiamo nove vite come te-
C’era una punta di sarcasmo in quelle parole, ma Francis sapeva bene che la rabbia sarebbe esplosa di lì a poco. Jerry buttò per terra il giornale con violenza, prendendone poi un altro dal tavolo.
-Ecco il mio preferito, il People. “Attacco al potere durante il Thursday Night Talking”, qui invece dicono che hai dato fastidio a Morrison solo per farci pubblicità. Gentili da parte loro, non credi?-
Non ci fu bisogno di una risposta da parte del mobiano. Anche quel giornale cadde pesantemente a terra come il precedente.
-Ultimo ma non meno importante, il News from the World. Il titolo qui è “Mobiani e complotti tra le file del New Frontier?” e si chiedono se sei a conoscenza del fatto che sei perseguibile penalmente per quello che hai detto-
Quando quest’ultimo giornale venne lanciato fuori dalla finestra senza alcuna preoccupazione, il capo prese una delle sigarette che teneva come riserva nel cassetto della scrivania e se la accese con una calma quasi innaturale.
-Ora voglio che tu mi risponda ad una domanda, Funky- riprese l’umano.
Il tono della sua voce aumentò violentemente mentre i suoi occhi si animarono per la rabbia.
-Mi spieghi come cazzo ti è venuto in mente di fare una cosa del genere!?-
Jerry urlò così forte da fracassare i timpani al suo impiegato. Sapendo che i convenevoli erano andati a farsi benedire, Francis prese finalmente parola senza paura.
-L’hai visto il programma, Jerry? Che cosa avrei dovuto fare? Quell’idiota stava sparando un mucchio di balle!-
-“Che cosa avresti dovuto fare”!? Avresti dovuto chiudere il becco e fare il tuo lavoro!- rispose l’uomo con più foga di prima.
-Da quando il mio lavoro prevede di baciare i piedi a quell’imbecille?-
-Non ci provare, idiota!- lo rimbeccò Jerry -Non provare a fare il moralista con me! Chi ti credi di essere? Il Martin Luther King dei mobiani!? Si da il caso che quello che tu chiami “imbecille” ha così tanto potere da schiacciarci tutti come insetti!-
Francis rimase in silenzio, distogliendo lo sguardo dal volto rabbioso del suo capo.
-Lo sai che è successo per colpa tua?- riprese l’uomo -Ci hanno bloccato la pubblicazione! Oggi non possiamo fare nulla oltre a girarci i pollici e a leggere le porcate che gli altri giornali scrivono su di noi. Tutto grazie a te!-
-Ci hanno bloccato la pubblicazione?- chiese il gatto stupito -Non possono farlo, non ne hanno il diritto!-
-Oh, si che ce l’hanno!- rispose Jerry sbattendo i pugni sul tavolo per il nervosismo -Ce l’avrebbero bloccata per tutta la settimana se non avessi scritto una lettera di scuse al ministro in persona. Ovviamente, è firmata a nome di tutti qui-
-Io non ho firmato niente!- esclamò contrariato il mobiano.
-Ho falsificato la tua firma, Francis-
Mentre Francis rimase ancora più contrariato a quella notizia, il suo capo sembrava aver sbollito finalmente la rabbia, sedendosi poi sulla sua sedia e spegnendo la sigaretta consumata nel posacenere.
-Come hai potuto farlo?- chiese il gatto -Ti sei abbassato fino a questo punto? Sono quattro anni che lavoro qui e questo è il ringraziamento?-
-Ah no, non ci provare. Non hai alcun diritto di fare la predica a me, ora- disse Jerry noncurante del risentimento del suo dipendente -Avresti dovuto pensare alle conseguenze, Funky. Ora, non solo hai mandato a puttane quattro anni di lavoro, ma ci hai messo nei guai tutti quanti. Sono riuscito a salvare il salvabile, lentamente ci riprenderemo, ma non posso permetterti di fare altre stronzate solo perché ce l’hai con il governo-
Francis inarcò il sopracciglio, cercando di capire a cosa si riferisse Jerry con quell’ultima frase.
-Non scriverai più nulla riguardo la politica, niente più articoli sulla prima pagina-
-Che cosa!?- sbraitò il gatto alzandosi dalla sedia.
-Sei retrocesso. Scriverai quello che ti dirò io e come lo dirò io, niente più iniziative personali. Hai capito?-
-Non puoi farmi questo!- cercò di protestare il mobiano.
-Si che posso. Terrai la testa bassa fino a quando le acque non si saranno calmate e non ci sarà un altro scandalo da qualche altra parte- concluse Jerry.
Detto questo, l’uomo tirò fuori da un cassetto un piccolo fascicolo con dentro un paio di fogli. Su di esso vi era scritto il nome di un altro giornalista del New Frontier.
-Ecco il tuo nuovo caso. Lavorerai sulla leggenda urbana del vigilante. Quello che si fa vivo solo di notte e che fa pisciare sotto i tossici di tutta la città-
Il capo redattore tornò a lavorare al suo computer senza preoccuparsi di ciò che Francis aveva da dire. Non solo il gatto era stato retrocesso come giornalista, ma ora non aveva più alcuna libertà su ciò che doveva scrivere. Per di più, si sarebbe occupato di una delle notizie più stupide e insignificanti che ci fossero al momento.
Con rabbia, Francis raccolse il fascicolo dalla scrivania e se ne uscì senza proferire parola, sbattendo violentemente la porta dell’ufficio dietro di sé. Percorse la fila delle scrivanie dei suoi colleghi che, nel frattempo, avevano ascoltato tutto ed erano rimasti sorpresi dal modo in cui il loro capo aveva attaccato il mobiano. Questo non osò guardare in faccia nessuno di loro, evitando qualsiasi confronto che gli avrebbe fatto perdere definitivamente le staffe.
Voleva solo andarsene da lì.

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Capitolo 4
*** The Black Hedgehog Revolution: I demoni della grande città ***


The Black Hedgehog
Revolution
 

2.
I demoni della grande città
 
 
Dopo la guerra, quello che era rimasto di New York City, Manhattan per la precisione, non era nient’altro che un cumulo di macerie carbonizzate. Quando le bombe avevano cessato la loro grottesca opera di distruzione, la città isola era stata trasformata in un cimitero. Ci volle tanta fatica per rimettere tutto in piedi, trasformando quell’immensa fossa comune in un rigoglioso centro di vita e opportunità, ma della vecchia Manhattan ormai non era rimasto niente. Non era più la città amata da Woody Allen o il luogo in cui erano nati altri artisti del calibro di Martin Scorsese. Non era più quella distesa di grattacieli immensi che facevano da sfondo alle numerose pellicole cinematografiche del secolo scorso. L’anima della Grande Mela se ne era andata via, ora c’era soltanto Neo Crisis City, una città giovane ma che ospitava tante realtà.
Nell’uso comune, si è soliti catalogare i quartieri delle città in due modi. Ci sono posti che è meglio evitare e altri dove si può tranquillamente sostare senza il rischio che possa capitare qualcosa di brutto. Di giorno, Neo Crisis City pullulava di cittadini onesti, studenti universitari, instancabili lavoratori e tutte quelle persone che non avevano niente in comune con la criminalità organizzata, almeno non “ufficialmente”. Di notte, la “feccia”, ovvero tutti quei disagiati della società nascosti nei bassifondi dei quartieri più poveri, usciva fuori indisturbata per dare sfogo a tutti i suoi desideri violenti e perversi. Era incredibile per chiunque notare come due realtà totalmente differenti potessero “convivere” in un solo posto, per quanto grande potesse essere. Si parlava pur sempre di una delle più grandi città degli Stati Uniti, ma la realtà era ben diversa da ciò che i mass media in generale volevano far credere. È difficile crescere e sopravvivere in un ambiente del genere, soprattutto se non si è umani. C’era chi riusciva a riscattarsi e a diventare un membro perbene della comunità nonostante tutti i problemi e chi invece veniva sommerso dalla povertà e dalla fame senza più uscirne. A questi, si aggiungeva un’altra piccola categoria di persone, ovvero quegli individui che pensano solo a loro stessi e ai propri interessi, nel bene e nel male. Non avevano alcun pensiero verso gli altri e al danno che avrebbero potuto recargli, volevano  solo accumulare sempre più potere fino ad esserne corrotti, fino a diventare più potenti delle normali istituzioni.
Francis the Cat, il nostro caro Funky, conosceva fin troppo bene tutto questo. Era nato lì, tra quelle strade violente dove era facile perdersi e, forse, lui più di tutti aveva il diritto di farlo e di lasciarsi trascinare nell’abisso. Suo padre Jonathan the Cat, pluridecorato poliziotto, morì quando suo figlio aveva undici anni nell’eroico tentativo di fermare una rapina in un supermercato. Suo madre, Annabelle the Lynx, insegnante della scuola elementare Alessa Gillespie, morì per una malattia quando lui ne aveva appena compiuti ventuno. Tante cose gli erano capitate durante la sua infanzia e adolescenza, ma nonostante i rimpianti e quei segreti che si sarebbe portato fino alla tomba, Francis era riuscito a diventare qualcuno. C’era voluto impegno, costanza e tanta fatica, ma i risultati alla fine arrivarono e furono più che soddisfacenti. Dopotutto, aveva solo venticinque anni e scriveva per il New Frontier, uno dei giornali più importanti del paese. Il segreto principale per lavorare nel mondo del giornalismo era solo uno, secondo il nostro gatto: bisogna abbassare la testa quando ci sono di mezzo i “piani alti”. Nonostante il suo carattere libertino e indomabile, il mobiano era riuscito molte volte a rispettare questa regola. Dopo anni, però, quella direttiva comincia a stare scomoda e a perdere di significato.
È così che si arriva a fare un errore madornale in questo mondo.
Ed ora, sperduto nella grande città, un gatto grigio dalle umili origini sente di essere stato bruciato dal Sole.
 
Il centro della città era pieno di immensi grattacieli. Molti di questi ospitavano importanti società, gli studi dei più importanti avvocati della zona, due delle università più prestigiose a tante altre attività fuori dalla portata di un cittadino al di sotto della media. Le strade erano piene di gente, mobiani e umani, tutti occupati a raggiungere i loro posti di lavoro o a recarsi chissà dove per motivazioni diverse. Sopra le loro teste circolavano i mezzi pubblici che funzionavano solo lì, nel cuore della metropoli. Erano autobus carichi di persone che fluttuavano grazie alla strabiliante tecnologia mobiana, progredita a livelli incredibili soprattutto negli ultimi anni. Ancora più in alto, alla stessa altezza dei grandi palazzi ultra sofisticati, volavano lentamente le grandi “aereonavi” adibite per le pubblicità. Alcune presentavano spot di prodotti come Coca Cola, McDonald’s o tutte quelle altre schifezze da fast food, ce ne erano altre invece che mostravano i nuovi prodotti dell’industria informatica, come i nuovi computer della SkyNet Inc. o le nuove console per videogame, come la PlayStation Orbs, ultimo e costosissimo modello della Sony.
Per le strade, lontano dalla sede del New Frontier, Francis the Cat camminava a passo lento dentro la grande folla. Il fascicolo del suo prossimo e “insignificante” articolo era nascosto dentro la sua giacca, lasciandogli la libertà di stare con le mani nelle tasche a guardarsi intorno. La rabbia era sbollita già da un po’, ora provava solo un senso di vuoto, di rammarico, di tristezza verso ciò che era successo, con il sottofondo musicale di qualche vecchia canzone dei Depeche Mode che non riusciva a togliersi dalla testa.
Non voleva pensare alla tremenda situazione in cui si era messo, l’unica cosa che voleva era soddisfare il suo bisogno di caffè per leggere in santa pace il fascicolo che portava con sé e, perché no, finire le sigarette rimastegli nel pacchetto. Quando si ritrovò di fronte alla grande facoltà di medicina, svoltò l’angolo tra Cameron Street e Annie Boulevard, trovandosi all’entrata di un piccolo bar, un locale gestito da alcuni amici di famiglia.
Con fare stanco come se non avesse dormito per 48 ore, il gatto varcò l’entrata trovandovi i soliti tavoli colmi di studenti e impiegati di banca, probabilmente della Akroyd Bank a qualche isolato più avanti. Diede una breve occhiata al bancone, ma non vide nessuno, nemmeno il gestore, ovvero un vecchio scoiattolo amico dei suoi genitori. Decise di sedersi nella zona più vuota del locale, trovando finalmente riposo su una comoda sedia rossa accanto ad una vetrata che mostrava la strada e tutti i numerosi passanti. Sul tavolo di fronte a lui c’era solo un distributore di tovaglioli e un posacenere che portò velocemente accanto a sé. Tirando fuori dalla giacca il fascicolo, si accese un sigaretta con una manualità da far invidia un giocoliere esperto e, senza curarsene più del dovuto, cominciò a leggere quei pochi fogli che aveva stilato un suo collega, uno che aveva cominciato da poco a lavorare da loro e di cui nemmeno si ricordava il nome. Di cosa trattava quindi questa notizia da quattro soldi a cui Francis avrebbe preferito una lobotomia?
È uso comune non curarsi più degli indicibili atti di violenza che decorano le strade di Neo Crisis City la notte, stessa cosa vale anche per tutte le grandi città. Nel corso degli anni, però, tra la popolazione più povera, soprattutto quella mobiana, cominciò a svilupparsi una credenza strana, quasi mistica per alcuni e demoniaca per gli altri. Quasi tutte le vittime erano tossicodipendenti di entrambe le specie o comunque criminali di bassissimo profilo, gente che non contava un cazzo per nessuno se non per gli spacciatori e o per i rappresentanti dei piani alti della criminalità, ma comunque persone di cui non si sapeva nulla. Qualcuno di notte usciva da chissà dove, scovava i già citati criminali da quattro soldi e li pestava a sangue, questa era la storia. Nessuno è mai morto, ma i “sopravvissuti” non potevano più vivere una vita normale dopo quell’evento. C’era chi si ritrovava per sempre sulla sedia a rotelle oppure chi aveva il corpo ancora sano ma qualche rotella fuori posto nel cervello. Così si alimentò la leggenda del vigilante tra i poveri, ovvero la storia di un essere sovrannaturale che viene a prenderti a calci in culo se cerchi di rapinare qualcuno, violentare qualche ragazza, assassinare il solito stronzo che torna a casa da solo o altre tipologie di crimini di una bassezza morale senza alcun paragone. Erano tutti disperati che si erano trasformati in bastardi senza cuore, gente che viveva facendo del male agli altri per poter sopravvivere. Tutta gente che si era data alla malavita, per questo Funky dovette riconoscere una cosa.
Se lo erano meritato.
Tutte le ossa rotte, le commozioni cerebrali, i lividi, i tagli e via dicendo non erano nemmeno la metà del prezzo che avrebbero dovuto pagare per poter espiare le loro colpe, ma era comunque meglio di niente. Tornando al caso, questi pestaggi avvenivano senza una continuità temporale di alcun tipo. Capitavano quando capitavano e senza alcun modus operandi specifico dell’artefice. Chi si era ripreso dalla sua “furia” non sapeva dire nulla su di lui, alcuni perché erano troppo impauriti da riuscire a ricostruire i fatti e altri perché erano così “fatti” da non riuscire a ricordarsi nemmeno la tabellina del 2. Ovviamente, tutta la merda di cui quegli idioti si facevano era gentilmente offerta dal Comico, il figlio di puttana numero uno al mondo. Francis ebbe qualche difficoltà a spostare le sue attenzioni lontano dal criminale, sentendo la rabbia fare di nuovo la sua solita entrata in testa.
Ritornò a concentrarsi sul caso, ma c’era veramente poco su cui lavorare.
Con la coda dell’occhio, vide qualcuno avvicinarsi al suo tavolo.
-Buongiorno balordo! cosa ti porto?-
Francis lasciò perdere i fogli sparsi e si voltò verso la cameriera. Era una ragazzina mobiana, uno scoiattolo di 16 anni che conosceva bene. Francis la squadrò un attimo notando i suoi abiti da cameriera di colore rosa, cosa che entrava un po’ in contrasto con la sua pelliccia castano chiaro.
-Tu non dovresti essere a scuola?- chiese il gatto lasciandosi andare al comodo appoggio dello schienale.
-Giorno libero, Funky- disse la ragazza facendo spallucce -E poi papà aveva bisogno di una mano qui. Tu invece non dovresti essere al lavoro?-
-Diciamo che anch’io ho preso un giorno libero, Vicky- rispose Francis mentre spegneva la sigaretta nel posacenere.
La ragazza si sedette sul tavolo del gatto, tirando fuori una sigaretta da un taschino sul suo petto. I due ragazzi si conoscevano da tantissimo tempo, più o meno dalla nascita di lei. All’inizio erano vicini di casa e Francis le faceva spesso da babysitter quando i suoi genitori erano fuori per lavoro. Lui era il fratello maggiore che Vicky non aveva mai avuto, mentre per Funky quel petulante scoiattolo era l’unica sorella minore che avrebbe mai voluto avere. Intorno a loro, la maggior parte dei tavoli si erano svuotati, rimanevano soltanto due umani che discutevano tranquillamente a bassa voce.
-Abbiamo visto la tv ieri sera- cominciò la ragazza dopo aver fumato la sua sigaretta -Gliele hai cantate a quell’imbecille!-
-Spero che tu non ti ritrovi mai in una situazione come quella-
La ragazza notò quel tono malinconico, chiedendosi il perché dello strano comportamento dell’amico. Da anni ormai avevano costruito un rapporto fatto di battute, insulti, di “se ti vedo ancora fumare lo dico ai tuoi” e di “tu provaci e io ti prendo a calci in culo”. Oggi invece era spento, come se avesse ben altro a cui pensare.
-A che stai lavorando?- chiese Vicky notando i fogli.
Francis si riprese dal suo mondo, notando la ragazza che leggeva il contenuto di quella “carta straccia” che si era portato dall’ufficio.
-Sono degli appunti sulla storia del vigilante. Devo scriverci un articolo-
-Wow, forte!- esclamò lo scoiattolo che, in un impeto di entusiasmo, tirò a sé tutti i fogli per leggerli.
-Non dirmi che tu ci credi?- chiese Francis.
-Perché? Guarda che esiste davvero!-
-Sei abbastanza grande per fumare ma non per smettere di credere a queste cavolate?- chiese Francis sarcasticamente.
-Quando ero piccola mi raccontavi sempre di lui, non ricordi?- disse Vicky ridendo, noncurante delle parole dell’amico.
-Era solo una scusa per farti smettere di rompermi le palle- disse Francis esausto da quel dialogo.
-Sarà, ma io ho sentito alcune voci. Qualcuno nei bassifondi l’ha visto per davvero. Anche mia madre dice di averlo visto quand’era piccola!-
-Ok, Stan Lee. Vediamo se riesco a farti cambiare idea- cominciò il gatto -Tua madre dice di averlo visto quand’era bambina, ovvero all’incirca quarant’anni fa. Se è vero, significa che questo supertizio è più vecchio di almeno sessant’anni. Vuoi dirmi che una persona vecchia e decrepita picchia le persone durante la notte?-
-Chi ti dice che sia un uomo? E se fosse un mobiano?- protestò lo scoiattolo.
Francis rimase piuttosto interdetto a quella domanda.
-C’è comunque il dettaglio dell’età-
Irremovibile, Francis raccolse i fogli dal tavolo e li rimise al proprio posto nella custodia del fascicolo.
-Ok, signor guastafeste, allora secondo te chi c’è dietro questa storia?- chiese Vicky divertita dal nervosismo dell’amico.
-Probabilmente saranno un gruppo di esaltati, magari dei fondamentalisti da quattro soldi. Qualcuno che crede di poter spaventare i criminali. Peccato che non ci siano “bat-caverne” nei dintorni, la polizia saprebbe sicuramente dove cercare-
-Sei il solito. Almeno c’è qualcuno disposto a fargliela pagare a quei bastardi!- commentò la ragazza alzandosi dal tavolo.
La discussione finì quando Francis avvertì una leggera vibrazione dentro il taschino interno della sua giacca. L’oggetto che tirò fuori fu un piccolo cercapersone che usava per lavoro, ovvero per farsi contattare dalle numerose fonti sparse per la città. Gente che qualche volta gli davano una dritta su quello che accadeva lontano dagli occhi di tutti. Questa volta, però, il numero da cui aveva ricevuto una chiamata non era quello di un suo informatore. Quando comprese chi fosse, ripose il fascicolo dentro la giacca e tirò fuori il portafogli.
-Tieni, questa è la tua mancia. Cerca di non spenderli tutti in sigarette- disse il gatto porgendo una banconota da dieci dollari allo scoiattolo.
-Te ne vai di già? Ma non hai ordinato niente!- esclamò perplessa Vicky dopo aver preso i soldi.
-Devo andare a trovare una persona. Ci sentiamo in questi giorni- disse Francis per liquidarsi.
La ragazza osservò l’amico andarsene a testa bassa, costatando che forse quel venerdì era cominciato come una giornataccia per lui.
Se avesse saputo da chi stava andando ora, avrebbe compreso che sarebbe andata peggio.
 
Il mezzi fluttuanti si trovavano solo all’interno del centro di Neo Crisis City. Per spostarsi in tutti gli altri quartieri bisognava prendere la metropolitana, l’unico mezzo rimasto ancora invariato da quasi un secolo, del tutto identico al periodo precedente ai bombardamenti. Sporco e rovinato, era l’alternativa più intelligente alle automobili, visto che le strade erano quasi sempre bloccate a causa del traffico. Dopo essersi fermato per qualche commissione, Francis the Cat prese la metropolitana per andare a Red Hook, quello  che era considerato il quartiere più povero della città. Un tempo doveva essere la vecchia Little Italy, ma dopo la guerra divenne un posto abitato soprattutto da mobiani. Che fossero umani o alieni, tutti coloro che risiedevano lì vivevano una vita da “accattone”. Gente che viveva nella miseria, senza lavoro o comunque con impieghi dallo stipendio bassissimo. C’erano anche numerosi criminali da strapazzo, ma questi preferivano non mettere piede fuori dai loro sudici appartamenti durante il giorno. Le strade erano piene di sporcizia e vecchie auto da rottamare, c’era pure un piccolo mercato pieno di bancarelle di roba usata o, più probabilmente, rubata. Con in mano un sacchetto preso ad un fast food, Francis camminò tranquillo per quelle degradanti strade. I muri dei palazzi erano pieni di graffiti o di disegni osceni, i lampioni della luce erano arrugginiti e mal funzionanti, ma al gatto non faceva impressione tutto questo. Conosceva fin troppo bene quella realtà e, soprattutto, conosceva fin troppo bene la gente che abitava lì. Uno in particolare era il motivo della sua visita nel quartiere.
Arrivato di fronte ad un piccolo portone di legno marcio di un palazzo di cinque piani in mattone rosso ancora più fatiscente, Francis prese un respiro profondo e vi entrò dentro. C’era un silenzio  quasi inquietante, interrotto a volte dai rumori delle porte degli appartamenti, o dai figli più piccoli dei residenti che facevano un casino infernale. Salito al secondo piano del palazzo, il cui interno presentava pareti ingiallite dal tempo, trovò un barbone umano che dormiva sul pavimento usando vari giornali come coperta.
Il gatto si fermò alla porta numero 8, bussando per avvertire della sua presenta. Dopo aver sentito il rumore della serratura che scattava all’interno, la porta si aprì. Di fronte a lui si presentò un camaleonte di colore rosso. Aveva delle occhiaie ben evidenti, sicuramente causate da una notte insonne.
-Vieni dentro- disse senza pronunciarsi più del dovuto.
Il suo nome era Mickey, ma Francis lo conosceva bene con il nome di Munky. Quando perse suo padre, il gatto passò molto tempo con lui e altri ragazzi mobiani. Ai tempi erano un gruppo di sprovveduti, nullafacenti e, cosa più importante, senza alcuna prospettiva per il futuro. Non avevano figure a cui ispirarsi, gli piaceva soltanto vivere per strada e combinare qualche marachella di poco conto. Fu il periodo più buio della vita di Francis, ma fortunatamente riuscì ad uscirne e a tornare sulla retta via.
Lo stesso non si poté dire per Munky.
Con il tempo, le marachelle divennero furti. Alla fine, quei furti diventarono qualcosa di più grave, fino a cominciare con altre cose di cui il gatto non voleva mai saperne nulla.
Eppure non riusciva a smettere di considerare quel camaleonte come uno dei suoi amici.
-Dove sei stato in questi mesi?- chiese Francis entrando dentro l’appartamento.
Si ritrovò nella stanza principale, un  misto tra una stalla e una cucina. C’erano tanti piatti sporchi nel lavandino, un tavolo sommerso da cumuli di cenere e due divani malconci come tutto il resto. Su uno di questi vi era un’altra vecchia conoscenza.
-Sono stato sempre qui, in città. Ero da amici- rispose seccamente il camaleonte, cominciando a pulire il tavolo con un pezzo di stoffa.
Era da maggio che i due non si vedevano.
-Che cos’è?- chiese Munky indicando la busta che Francis portava con sé.
Il gatto la tirò su, rivelando il marchio di un fast food stampatovi sopra.
-I tuoi preferiti. Ho pensato che avessi fame-
Il gatto poggiò la busta sul tavolo, tirando fuori due hamburger. Mentre il camaleonte era occupato a mettere a posto la piccola cucina, Francis si andò a sedere accanto al terzo mobiano lì presente. Questo era un pipistrello grigiastro con qualcosa di anomalo nella sua figura. Portava una strana mascherina medica che gli copriva il muso, ma la cosa che inquietò di più il gatto fu il suo sguardo.
Spento, vuoto e fisso di fronte a lui.
-Ehi Fieldy, mi riconosci?- chiese Francis sorridendogli.
Gli ripose l’hamburger sulle gambe mentre tirò fuori qualcosa dalla giacca. Era un fumetto, uno di quelli che il gatto leggeva con lo strano pipistrello quando erano bambini.
-Ti ricordi? Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. Ricordi di tutte quelle volte che aspettavamo per leggerlo?-
Non ci fu alcuna reazione da parte dello strano ragazzo.
-Non può sentirti. Non parla più da settimane, riesce solo a fare quello che gli dico. Forse perché ha vissuto tutto questo tempo con me.. o almeno questo è quello che mi ha detto il dottore-
Il cuore di Francis si spezzò quando comprese quella situazione.
Come già detto, alcuni riuscivano ad uscire fuori da quel brutto mondo che erano i bassifondi, mentre altri si lasciavano risucchiare da quell’abisso.
Alla fine, ciò che rimaneva di loro non era nient’altro che un guscio vuoto.
-Da quanto tempo è ridotto così?-
Il gatto grigio si alzò dal divano, avvicinandosi verso il suo interlocutore con occhi iracondi.
-Non lo vuoi sapere- rispose Munky addentando il suo panino come se niente fosse.
-Perché me l’avete nascosto, Munky? Perché non mi hai mai detto che aveva cominciato a farsi?-
Fu una domanda troppo diretta, ma in quel momento non gli importava di essere “delicato”.
-Non cominciare. Non sono in vena di litigare con te, non oggi-
Il camaleonte aveva un espressione più stressata del solito, questa era una cosa che Francis dovette riconoscere. Era anche più silenzioso rispetto al passato, ma non aveva qualcosa di così diverso da placarlo da ciò che provava in quel momento.
Gli avevano dato fin troppe delusioni quella mattina.
-Non sei in vena per un litigio? Guardalo, Mickey. Guarda come si è ridotto per quella merda. Guarda che cosa fa lo schifo che gira per le strade, quello che ha creato il Comico. Come hai potuto permettere che si riducesse in questo stato? Come fai a guardarti allo specchio e a non sentirti un pezzo di merda?-
-Non provare neanche a scaricare la colpa su di me. Sei tu quello che se ne è andato e ci ha abbandonato. Non dimenticarti che mentre tu eri a fare la “bella vita”, io e Fieldy eravamo qui a rischiare la vita per mangiare-
I due si guardarono dritto negli occhi. Erano a pochi centimetri l’uno dall’altro, uno spazio più che sufficiente affinché un pugno potesse colpire il bersaglio.
-Io non vi ho abbandonato. Quante volte ho cercato di trovarti un lavoro? Quante volte ti ho aiutato ad uscire da questo postaccio? Tu non ne hai mai voluto sapere. Hai sempre voluto rimanere per queste strade, a fare il teppista con quei pezzi di merda dei tuoi amici. Scommetto che frequenti ancora Slug, non è vero?-
Francis gli ringhiò contro quelle parole, ma Munky abbassò le armi prima del previsto. Questo spostò lo sguardo verso il basso.
-Non è vero?- ripeté il gatto con più enfasi.
Ci fu solo silenzio. Entrambi poterono sentire meglio il respiro pesante di Fieldy, un rumore che gli diede fastidio. A quel punto, Francis non riuscì più a sostenere quella situazione. Tutto, dall’appartamento al palazzo, dalle strade al quartiere, cominciò a non reggere lo schifo in cui si erano ridotti non solo i suoi amici, ma tutti quanti.
-Quanto vuoi?- chiese Francis tirando fuori il portafogli.
Munky lo guardò di nuovo, sorpreso da quella domanda.
-So perché mi hai chiamato. Va a finire sempre così, quindi dimmi quanto ti serve sta volta e facciamola finita- continuò Francis infastidito.
-Io.. non ti ho chiamato per questo-
Quella risposta lasciò incuriosito e interdetto il giornalista. Mentre Munky si mise a sedere su una sedia, il gatto ripose il portafogli nella tasca della giacca per poi osservare meglio il suo amico di vecchia data. C’era davvero qualcosa di strano in lui, sembrava diverso rispetto a come si era sempre mostrato nei suoi confronti. Era più grande del gatto di due anni, per questo Munky voleva sempre dimostrarsi il più “duro” del loro gruppo, il più coraggioso e, soprattutto, il più sconsiderato. Faceva sempre di tutto per avere guai con la legge e prendeva parte alle risse con i suoi coetanei per sfogare tutta la sua frustrazione verso quella città così brusca nei suoi confronti. Era diventato a suo modo razzista verso gli umani, purtroppo. Quella volta, però, Munky si mostrò stanco, cosa che non era mai successa da quando si conoscevano.
-Tu hai.. qualche contatto ai piani alti?- fu la domanda del camaleonte.
-Di quali piani alti stiamo parlando?- chiese Francis perplesso.
-Qualcuno.. come un politico o magari un giudice. Qualcuno che stia in alto, dannazione!- rispose Munky tormentandosi le mani.
-Che sta succedendo?-
Il camaleonte, nonostante la sua attività come criminale, sembrò davvero impaurito in quel momento. Sembrò prendere tutto il coraggio di cui era a disposizione per poter spiegare al gatto il motivo della sua chiamata.
-Tra due giorni.. domenica, a mezzanotte. Arriveranno una serie di piccole navi, una di quelle telecomandate a distanza senza nessuno a bordo. Attraccheranno al porto, non so con esattezza a quale molo, non me l’hanno voluto dire-
-Chi non te l’ha voluto dire?- chiese Francis sbalordito.
-A me l’ha detto Slug… ma è stato qualcun altro a dirglielo. Non so chi sia, ma ha avvertito anche gli altri, gente da tutta la città, perlopiù umani probabilmente. Dobbiamo farci trovare lì a quell’ora, non ci sarà nessuno a controllare il porto in quel momento. Dobbiamo scaricare tutto in fretta, nasconderli nei container vuoti e aspettare che dei camion arrivino per portarseli via-
-E che cosa c’è in quelle navi?-
La storia cominciava a scottare. Francis lo capì quando avvertì un brivido lungo la schiena. Munky sembrò non voler continuare a parlare, distogliendo lo sguardo dagli occhi del suo amico.
-Mickey, guardami e dimmi che cosa diavolo ci sarà lì dentro- gli intimò il giornalista.
Munky ritornò a fissarlo più impaurito di prima.
-Si tratta del toxin-
Il toxin era una delle droghe più usate negli Stati Uniti e che, ormai, stava spopolando in tutto il mondo. Aveva sostituito tutto il resto degli stupefacenti, divenendo la sostanza più abusata dai criminali e dai tossicodipendenti in generale. Distruttiva, poteva essere assunta tramite iniezione o, più comunemente, ingerendola. Se ne abusavi, gli effetti diventavano sempre più devastanti con il passare del tempo, per non parlare del fatto che l’aumento del dosaggio è proporzionale al danno al cervello e a tutto il corpo. Entrambi i mobiani la conoscevano bene, perché è la stessa cosa che ha ridotto Fieldy in quello stato pietoso che non riuscivano a reggere.
-Chi manda quelle navi? Chi c’è dietro?-
Più si rivelavano nuovi dettagli e più Francis rimaneva scosso. Munky si mise a ridere, forse per impedirsi di piangere di fronte al vecchio compagno di strada.
-Non ci crederesti mai- fu la sua risposta.
Convinto che avrebbe dovuto tirargli fuori le parole a forza, Francis collegò un attimo il puzzle che gli si era formato sotto il naso in quei giorni. Sapeva che G.U.N. aveva bloccato tutte le zone portuali dalla costa ovest degli Stati Uniti, sottoponendole ad un rigido controllo giorno e notte. Tutta l’attenzione era concentrata lì, a detta loro, ciò significava che per far passare tutte le merci sporche c’erano tre vie disponibili. Il Canada, il Messico e la costa est, la parte del paese bagnata dall’Oceano Atlantico.
Ovvero dove si trovava Neo Crisis City.
-Non ne sono sicuro, ma credo che sia lui. Non me l’hanno voluto dire- rispose Munky rompendo il filo di pensieri del gatto.
-Non è possibile- commentò Francis sottovoce.
Ancora una volta, l’ombra del Comico tornò ad oscurare tutto.
Ciò che amavano, ciò che odiavano, ciò per cui molti si battevano non contavano più nulla.
-Riforniranno tutti gli stati da qui, probabilmente. Ci metteranno tempo, ma non avranno ostacoli- aggiunse Munky massaggiandosi la fronte.
-Mickey, ti prego ascoltami- cominciò il gatto -Dobbiamo andare dalla polizia e avvertirli. Devi dirgli tutto quello che sai-
-Non ci sono più sbirri come tuo padre- rispose il camaleonte -Chiuderanno gli occhi e faranno finta di niente. Hanno tutti paura, c’è di mezzo gente troppo in alto sta volta. Se spifferò questa cosa a qualcuno mi faranno fuori. Per questo ti ho chiamato, credevo che tu potessi dirlo al tuo capo, a qualcuno che potesse fare davvero qualcosa, a chiunque-
-Allora non andare! Troverò un modo, contatterò qualcuno che può fare qualcosa, ma tu non devi essere lì!- protestò Francis.
-Se io e Fieldy non saremo lì, ce la faranno pagare cara. Devo ubbidirgli, o lunedì non ci troverai più qui-
Francis dovette ricorrere a tutte le sue forze per non urlare dalla disperazione. Non aveva nessuno da contattare, non conosceva nessuno che poteva aiutargli a impedire che quelle navi arrivassero lì domenica. In quel fetido appartamento di Red Hook, i mobiani che erano cresciuti insieme per le strade cominciarono a provare qualcosa di nuovo, un sentimento impossibile da contenere o almeno placare.
La paura.
 
L’orologio del Kadie’s Bar segnalava che erano appena scoccate le 23. Normalmente, quello sarebbe dovuto essere l’orario di chiusura, ma il proprietario, un vecchio uomo di origine ebraica di nome Sam Kovacs, lasciava sempre il locale aperto fino alla mezzanotte. C’erano pochissimi clienti in quel momento, ma era meglio lasciare le porte aperte per un po’ nel caso qualcuno decidesse all’ultimo minuto di farsi una bevuta. Bisognava sbarcare il lunario in tutti i modi possibili, nonostante il suo locale fosse il più frequentato della zona, cosa di cui si vantava parecchio con la “concorrenza”. Si trovava in un quartiere tranquillo, non era mai capitato che qualche idiota entrasse per fare casino. Se un giorno sarebbe accaduto avrebbe risolto il problema con il Remington nascosto sotto il bancone, ma si augurava che quel momento non arrivasse mai.
-Ehi Funky, giornata pesante oggi?- chiese Sam portando l’ennesimo bicchiere al tavolo su cui il giornalista si era seduto.
Il gatto si limitò ad un leggero cenno con il capo, tracannando del whiskey direttamente dalla bottiglia questa volta. Si trovava lì da tre ore ormai, ma al barista non dispiaceva la compagnia del mobiano. Conosceva quel santo di suo padre e gli doveva tutto, per questo chiudeva un occhio se Francis esagerava al punto da non riuscire a mantenersi in piedi. Questa volta era diverso, lo vedeva nella sua figura rigida e dai movimenti meccanici. Conosceva la rabbia e sapeva che quando si è azzannati da quella bestia era meglio essere lasciati in pace. Così, Sam lasciò il gatto alla propria solitudine, comprendendo che forse era meglio non stargli troppo intorno.
Senza mezzi termini, era stata una giornata di merda, la più brutta da tanto tempo per Francis. Aveva scoperto qualcosa di orribile, un evento che avrebbe distrutto quella che era già una città piena di marciume e disonore, per questo non c’era un solo pensiero positivo nella sua testa.
Vedeva tutto nero, tutto troppo sbagliato per poter vivere in pace. La sua carriera da giornalista era caduta inesorabilmente nel baratro e sarebbe rimasta lì per chissà quanto tempo. Non aveva al momento nessuno con cui confidarsi, con cui spegnere quell’incendio che lo consumava dall’interno. Gli amici che aveva servivano davvero poco, perciò era lì nel vano tentativo di sfogare i suoi sentimenti nell’alcool. Forse, cosa ancora più probabile, era lì per perdere il controllo.
Si vergognò all’idea di farlo, poiché abbassarsi a tanto significava diventare uno dei demoni che infestavano quella città. Se avesse avuto fede, avrebbe pregato con devozione affinché qualcuno lo aiutasse a risolvere i suoi problemi.
Francis, però, era troppo lontano dal Paradiso per poter essere sentito da qualcuno.
-Non credevo che ti avrei trovato qui-
Il tono triste e pieno di rammarico di Jerry Thompson fu strano per Francis, soprattutto se paragonato alla violenza che aveva sprigionato quella mattina. L’uomo, coperto da una pesante giacca e da un cappello simile a quello dei detective dei vecchissimi film hollywoodiani, si sedette accanto al gatto in quel locale vuoto.
-Dovresti risolverlo questo problema del bere. Sei uno troppo in gamba per poter cadere in questi vizi- continuò l’uomo.
Per tutta risposta, Francis tirò fuori l’ultima sigaretta che gli era rimasta, accendendola e fumandosela tra un sorso e l’altro.
-Non la pensavi così in ufficio oggi- rispose il gatto -Cosa sei venuto a fare qui? Hai trovato qualcos’altro per potermi buttare a terra?-
Il voce di Funky era spezzata. Non osava voltarsi verso l’uomo che gli sedeva accanto.
-Francis.. mi dispiace per quello che è successo. In realtà non ero arrabbiato con te, ma con quel bastardo del sindaco che mi ha costretto a baciare le chiappe di quel dannato ministro. Ho esagerato, ho sfogato su di te tutta la mia rabbia. Devi ammettere, però, che hai alzato troppo la testa. Non puoi dire delle cose del genere ad una persona così in alto e passarla liscia. Volevano che ti licenziassi, ma li ho convinti che sarebbe stato troppo estremo e che non l’avresti più fatto in nessuna circostanza. Ti è andata bene questa volta, ma immagina se al posto di quel ministro ci fosse stato qualcuno che è davvero in combutta con il Comico-
Il tono sincero e pieno di rammarico del suo capo non riuscì a placare gli attuali sentimenti del mobiano.
-Sono quattro anni che lavori per me. Sapevo fin dall’inizio che avevi talento, che eri uno di quelli che fa la differenza. Ti ho dato la possibilità di lasciare la strada non per i tuoi voti o per i tuoi risultati all’università, ma perché capivo chi eri davvero guardandoti negli occhi. So che ce l’hai con me, figliolo, ma voglio che tu sappia che con il tempo ho cominciato a considerarti più di un semplice impiegato. Sei come un figlio per me e non riuscirei mai a sopportare che loro ti facciano i pezzi. Sono dei mostri, hanno venduto l’anima al diavolo e faranno di tutto per mantenere ciò che hanno. Se questo paese è marcio, noi non abbiamo il diritto di dirlo a voce alta. Non mi piace, non piace a nessuno che sia sano di mente, ma è così- concluse l’uomo.
L’unica reazione che il giornalista ebbe in quel momento fu quella di smettere di bere. Lasciò la bottiglia e si coprì il volto tra le mani.
Jerry deglutì quando lo sentì ridere.
-Lo sai qual è il vero problema, Jerry? Il problema è che tu hai ragione. Il problema è che tutto questo è così fottutamente sbagliato da essere diventato giusto. È perverso, ma è così. Io sono il cattivo e loro sono i buoni. Io cerco di capire chi sia il pezzo di merda e loro insabbiano tutto e mi chiamano “pazzo”. Cerco di uscirne, cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma loro me lo strappano via dalle mani e lo buttano per terra. Sai cosa ti dico? Dico che mi va bene. Mi va bene di essere un giornalista fantoccio, mi va bene che chi ha il potere ucciderà chiunque per mantenerlo, mi va anche a genio che il Comico faccia stragi in giro per il mondo senza che nessuno lo fermi e, soprattutto, mi va benissimo che le persone muoiano e che nessuno cerchi giustizia-
Trattenendo le lacrime con le risate, Francis gettò via la sigaretta e fece un ultimo grande sorso dalla bottiglia, finendola.
-Francis, per l’amor di Dio smettila di..-
Jerry provò a poggiare una mano sulla spalla del mobiano, ma questo si allontanò alzandosi dalla sedia e stringendo la bottiglia nella sua mano destra.
-Sai cos’altro mi va bene, Jerry? Mi va bene che non esista nemmeno una G.U.N. che ci protegge. Hanno ucciso tutti gli eroi e hanno dato il via libera a tutti quei figli di puttana che ci godono nel far soffrire gli altri in tutti i modi possibili e inimmaginabili. Amo il fatto che l’unico che possa fermare tutto questo vive lontano da noi e ci osserva. Sai cosa credo, “boss”? Credo che noi gli facciamo schifo. Scommetto che se dovesse scoppiare un’altra guerra lui non farà nulla. Anzi, scommetto tutte le mie nove vite che un giorno sarà così disgustato da distruggere il pianeta con le sue mani. È Sonic the Hedgehog, è Dio! Ha il potere, ma non fa nulla. Comincio ad amare tutto questo, lo sai?-
Quell’ultima frase sembrò tramutarsi in un urlo. Il gatto non si accorse nemmeno di aver spaccato la bottiglia nella sua mano, lasciando che i pezzi di vetro sporchi del suo sangue raggiungessero il pavimento.
Alzatosi, Jerry Thompson cercò di farlo ragionare.
-Francis, calmati-
-Tu non sei mio padre!- urlò il gatto con tutte le sue forze.
L’uomo si fermò al suo posto, tristemente offeso dalle parole del giornalista.
-La verità è che tu sei un umano e io sono un mobiano. Quand’ero bambino, mia madre mi accompagnò all’asilo per potermi iscrivere. C’era una donna alla segreteria che ci guardò disgustati quando ci vide entrare. Sai cosa ci disse, Jerry? Disse che quell’istituto era per bambini umani, non per degli “sporchi mobiani”. Hanno chiamato me e tutti i miei simili in questo modo per tutta la vita. La verità è che questo mondo e i suoi padroni vogliono che io e te siamo nemici per natura. Vogliono che ci facciamo la guerra e che ci sputiamo in faccia!-
A quel punto, Francis lasciò cadere ciò che rimaneva della bottiglia in frantumi, mentre il sangue continuava ad uscire dal palmo della sua mano. Cominciò a piangere e non poté impedirlo.
-La verità è che io non posso più vivere così. Non posso vivere in un mondo dove ci sono solo chiese e prigioni. Dovrebbe esserci qualcosa di più.. deve esserci-
Concluso il suo sfogo, Francis corse via da quel locale. Jerry rimase lì, seduto a quel tavolo, comprendendo i sentimenti del gatto e maledicendosi per tutto quello che era successo.
Fuori, per le strade, il cielo notturno era spezzato da un violento temporale. Avvolto nella sua giacca a vento, Francis the Cat cominciò a percorrere in fretta i marciapiedi bagnati. Quei pochi che erano ancora lì fuori guardarono il gatto spaventati dal suo modo di fare. A causa dell’alcool, cominciò a barcollare e a tremare con un pazzo. Il freddo gli penetrava nelle ossa e le gocce di pioggia gli impedivano la vista. Attraversò la strada con il semaforo rosso, finendo quasi per essere investito da una macchina sportiva di chissà quale riccone.
Non gli importava di morire in quel momento. Non voleva nemmeno tornare a casa, dato che in quel momento non riusciva nemmeno a ricordarsi la strada per arrivarvi. Dopo aver percorso qualche altro isolato in fretta e furia, nonostante cominciasse a non reggersi più in piedi, il gatto imboccò un vicolo strettissimo tra due palazzi e sbatte contro il muro di uno di questi. I volti di tutte le persone a lui care occuparono la sua testa. Vicky e i suoi genitori, Munky e Fieldy, Jerry e i suo colleghi, i suoi compagni dell’università e, alla fine, i suoi genitori. Aveva di loro un immagine pulita e perfetta, troppo giusta per poter essere infangata da quella città. Una marea di sensazioni sconvolse il gatto in quel momento. Cominciò a respirare a fatica, chiudendo gli occhi per il forte mal di testa che iniziò ad affliggerlo. Si piegò accanto ad un cassonetto dell’immondizia e cominciò a vomitare, sfogando tutto ciò che era “sbagliato” e che gli era rimasto dentro. Dopo aver rimesso, Il gatto percepì tutti i suoi sensi tornare alla normalità.
-Ehi! Qualcuno qui deve avere esagerato!-
Dal buio del vicolo cominciarono a sbucare delle figure. Lì la pioggia arrivava sottoforma di qualche goccia a causa del vicinanza ristretta dei palazzi circostanti. A parlare fu un aquila con un giubbotto di pelle pieno di catene.
-Poveraccio, secondo me non è abituato a scolarsi più di una birra!-
Subito dopo sbucò una tigre vestita pesante e con le mani in tasca.
-Ragazzi, ragazzi.. ma non lo vedete che è un mobiano come voi? Dovreste essere più gentili, abbiate più rispetto!-
Alla fine fece la sua uscita un umano. Un ragazzo che forse era poco più grande di Francis e che, sicuramente, sembrava essere il capo banda. Vestiva come l’aquila ma aveva le braccia scoperte, in modo tale da poter mostrare i tatuaggi che aveva.
-Permettimi di presentarmi. Io sono Kevin, e questi sono i miei amici Mark e Steve- cominciò l’umano -Siamo del quartiere e conosciamo bene tutta la città. Perché non vieni con noi? Ti accompagneremo a casa.. ovviamente ad un prezzo ragionevole-
-Che ne dici del tuo portafogli, gatto?- aggiunse l’aquila.
Il tono intimidatorio di quei tre non scalfirono minimamente il gatto. Nonostante la sua attuale condizione, con la mano ancora sanguinante, Francis trovò la forza di tirarsi su, seppur con fatica.
-E se voi giraste al largo e andaste a farvi fottere? Non vi sembra un opzione migliore?-
Quella sua dimostrazione di coraggio non piacque ai tre.
-Il gatto ha la lingua lunga- commentò la tigre mentre si accese qualcosa che sicuramente non era una sigaretta.
-Già.. perché non gliela strappi, Steve?- disse Kevin riferendosi all’aquila.
Senza dire nulla, il mobiano piumato cominciò ad avvicinarsi al gatto.
Come già detto, Francis non aveva paura di morire in quel momento. Un’altra cosa da sapere sulla vita nelle grandi metropoli era che per sopravvivere in strada bisognava saper combattere.
E lui lo aveva imparato.
Per dimostrarlo, il gatto fece avvicinare l’aquila. Quando questa lo prese per le spalle, Funky lo sorprese colpendolo con una ginocchiata in pieno stomaco. Seguì il suo pugno che, con la rapidità di un pugile, si abbatté contro il volto di Steve, facendolo cadere a terra.
La tigre e l’umano scoppiarono a ridere.
-Accidenti! Il gatto ha gli artigli!- commentò Mark.
L’aquila tornò indietro strisciando velocemente ed impaurita, mentre Francis si mantenne in piedi con tutte le forze che aveva.
-Avanti! Chi è il prossimo!?- urlò guardando uno ad uno i suoi aggressori.
-Non avresti dovuto colpire così il mio amico-
Ridendo, l’uomo tirò fuori dalla giacca la pistola. Nonostante questo, Francis non retrocesse di un passo. L’umano caricò il proiettile e la puntò verso di lui, facendosi passare la “sigaretta” dalla tigre.
-Voglio proprio vedere se hai nove vite!-
-Allora fallo, che aspetti!?- urlò Francis -Vuoi un pezzo di me, idiota!? Allora premi quel grilletto e facciamola finita!-
Francis strinse i denti, mentre dall’altra parte i tre cominciarono a ridere. Suo padre era morto con un colpo di pistola e, in quel momento, gli sembrò giusto che anche la sua vita finisse così.
Tenne aperto gli occhi fino all’ultimo.
Qualcosa, però, andò storto.
Un rumore, come qualcosa che cade pesantemente a terra, provenne dalle spalle dei tre criminali. All’unisono, questi smisero di ridere e spostarono l’attenzione verso il fondo del vicolo. Era troppo buio per poter vederci qualcosa.
-Che cazzo è stato?- chiese la tigre nervosa.
Prima che qualcuno potesse dire qualcosa, l’aquila di nome Steve venne tirata in avanti da qualcosa che non riuscirono a vedere. Con una velocità impressionante, il mobiano piumato scomparve nel buio. Il suo urlo fece sobbalzare tutti i presenti, Francis compreso.
Il ragazzo di nome Kevin cominciò a sparare nel buio, sperando di poter colpire chiunque avesse preso il suo complice. Scaricò il caricatore dell’arma, non riuscendo a capire se fosse servito a qualcosa. Le urla dell’aquila erano cessate nel frattempo.
-L’hai.. l’hai preso?- chiese la tigre tremando.
Come risposta, il corpo incosciente dell’aquila si scagliò contro Mark mentre Kevin osservò stupefatto la scena. Quando si voltò di nuovo verso la parte buia del vicolo, un devastante pugno lo colpì allo stomaco. Quando fu all’altezza del suo aggressore, un calcio lo spedì violentemente indietro verso i suoi complici e Francis.
Qualcosa cominciò a uscire dal buio. Sotto gli occhi del gatto grigio, una figura alta quanto lui stava immobile come una statua. C’era troppa poca luce per poterla descrivere e Francis risentiva ancora degli effetti dell’alcool.
Tirato fuori un coltello a serramanico, la tigre si rialzò per lanciarsi contro il misterioso individuo. Nel buio più totale, questi lo bloccò e lo colpì in pieno petto con una gomitata. Quando fu in ginocchio, Mark venne messo al tappeto con un brutale colpo alla nuca.
Steve, l’aquila, era già priva di sensi poco lontano da Francis, rimasto pietrificato da quello spettacolo di violenza.
Il rumore di una pistola scarica attirò l’attenzione di quell’essere attualmente indefinibile, che sembrò posare gli occhi di nuovo su Kevin. Con il naso che colava sangue e la bocca serrata, il ragazzo tentava inutilmente di far fuoco sul suo aggressore. Questo gli si avvicinò e gli prese il braccio, girandolo così bruscamente da spezzargli l’osso. Lo lasciò urlare un altro po’, sembrava quasi che gli piacesse.
-Ti prego.. ti darò tutto quello che vuoi! I soldi non sono un problema.. tu dimmi quanto vuoi e ti darò tutto!-
Probabilmente Kevin si sarebbe messo a frignare di lì a poco. Lo straniero, seppur più basso di lui, lo prese per la schiena e lo scaglio contro il muro alla sua destra, stendendolo definitivamente. Scese il silenzio, vi era solo il rumore della pioggia che sbatteva contro il suolo.
Lo strano essere si era avvicinato un po’ alla parte illuminata del vicolo. Francis si inginocchiò a terra per la stanchezza, ma non staccava gli occhi di dosso da quella figura.
Chiunque egli fosse, ora rimaneva immobile nel buio. Ad un certo punto, il lampione che illuminava quella parte di vicolo si spense, lasciando Francis senza alcuna luce.
Preannunciando il tuono, un lampo partì dal cielo ed illuminò per poco ciò che era di fronte a Francis. Forse grazie alla sua memoria fotografica, il giornalista si stampò nella mente ciò che vide.
Di fronte a lui vi era una figura nera, avvolta in un mantello rovinato e del medesimo colore. Come già aveva intuito, era alto quanto lui. In quel momento il vento fece sì che il mantello ricoprì il suo corpo. La testa era nascosta da un cappuccio da cui fuoriuscivano delle ciocche nere.. identiche ad aculei. I suoi occhi erano rosso scarlatto, come il sangue che usciva dalla ferita di Francis.
Erano vuoti, ma sembravano fissare il giornalista con sguardo accusatorio.
La paura che il gatto provava in quel momento fu così forte da fargli passare la rabbia e la sbronza. Quando tutto ritornò nel buio, riuscì a sentire un rumore, come se quell’essere avesse fatto un balzo. Il gatto capì che quell’essere se ne era andata via.
Francis rimase lì e si risedette pesantemente a terra, tra i corpi privi di sensi e tumefatti dei criminali.
Quel giorno, il gatto grigio era stato bruciato dal Sole. Nella sua caduta, però, qualcuno lo aveva afferrato in tempo. Al momento non poté dire con certezza se a farlo fosse stato un angelo.
O il Diavolo.
 
 
 
Note dell’autore
Ed eccoci arrivati ad una svolta importante! Colgo l’occasione per augurarvi un buon 2016, sperando che abbiate passato delle buone feste e che questi giorni siano ancora meglio. Spero che questo capitolo e che questa storia vi stia piacendo, inoltre spero di non aver fatto alcun errore.. ma è meglio lasciar perdere xD
Grazie a tutti e ancora tanti, tantissimi auguri!
Vic.

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Capitolo 5
*** The Black Hedgehog Revolution: Colui che dimora nelle tenebre ***


The Black Hedgehog
Revolution
 
3.
Colui che dimora nelle tenebre
 
 
L’orologio digitale sul comodino segnava le 11.
Dalla finestra, la luce del Sole illuminava quella camera da letto tappezzata di poster, una stanza molto più simile a quella di un adolescente che a quella di un venticinquenne.
Il sabato mattina per Francis the Cat portava quasi sempre un’aria di tranquillità più che benvenuta. Di solito si dedicava ai propri hobby, come leggere o rivedere per l’ennesima volta uno dei suoi film preferiti. Poteva persino concedersi una passeggiata mattutina fino a Central Park, magari per ammirare il paesaggio tranquillo dei quartieri più belli o anche solo per assaporare l’aria di fine Settembre. Avrebbe potuto chiamare qualche suo vecchio amico dei tempi della scuola con cui aveva mantenuto i contatti e fare colazione insieme, ricordando i vecchi tempi in cui le cose erano più semplici e meno intricate. Quella mattina, però, in quel letto sfatto e bisognoso di un cambio di lenzuola non c’era un gatto assonnato e felice per il meritato riposo che gli avrebbe concesso il fine settimana.
Rannicchiato in posizione fetale, Francis teneva gli occhi spalancati e consumati per l’assenza di sonno. Non sentiva nulla dentro di sé oltre ad un incolmabile vuoto e ad un indomabile paura che non provava da tanto tempo. Quando era tornato lì nel bel mezzo della notte, confuso e tremante per lo shock, si era immediatamente occupato della ferita che si era procurato sulla mano sinistra, medicandola e fasciandola come gli avevano insegnato ad un corso qualche anno fa. Aveva bisogno di un doccia, ma non trovava la forza di alzarsi da quel letto e darsi alla quotidianità di un mobiano single e con delle responsabilità.
Non riusciva a smettere di pensare.
Non riusciva a togliersi dalla testa quel dannato vicolo buio. Le urla dei criminali che volevano farlo secco, il rumore di ossa spezzate, il suono della pioggia che batteva incessantemente sul terreno..
E poi, ovviamente, c’era lui.
Era sicuro che fosse un maschio, anche se non riusciva a spiegarsi il perché. Continuava a scrutare nei minimi particolari l’immagine di quell’essere, ma non riusciva a venire a capo di quell’enigma.
Chi o cosa era il suo “salvatore”?
Nessuna risposta, solo ipotesi. Nonostante lo stato semicatatonico in cui si trovava ora, Francis poté concentrarsi più a fondo per farsi una domanda apparentemente più semplice.
Quello era davvero il vigilante di cui si parlava nei bassifondi?
La strane descrizioni dei testimoni, l’ora in cui era accaduto il fatto, la rapidità, l’assenza di ogni freno inibitorio e la ferocia che lo muoveva.. tutto sembrava combaciare alla perfezione.
-Francis? Sono Jerry-
D’un tratto, la segreteria del telefono si accese in automatico, facendo partire i messaggi registrati delle chiamate a cui il gatto non voleva rispondere.
-Mi dispiace per quello che è successo. So di avertelo già detto e che forse sentirlo un’altra volta ti farà incazzare, ma sono preoccupato per te. So che vuoi stare da solo e ti capisco, ma chiamami appena senti questo messaggio. C’è ancora un posto qui per te al New Frontier-
Quella voce piena di rammarico e di pentimento spezzo il cuore di Funky. Aveva avuto quello sfogo così violento e non si era accorto di ciò che aveva suscitato al suo datore di lavoro. Era fortunato a lavorare per uno così, perché probabilmente altrove lo avrebbero preso a calci in culo per poi buttarlo in strada. In quel momento, però, Francis non volle avere nessun contatto con Jerry. Più in là gli avrebbe spiegato tutto, ma ora non trovava nemmeno le parole per esprimere ciò che provava.
Intorpidito e freddo com’era, il gatto grigio si alzò dal letto, lasciando che i suoi piedi nudi toccassero il pavimento ghiacciato. La schiena gli doleva più della mano ferita, mentre la testa gli pesava a causa dell’ubriacatura del giorno precedente. Mentre la sua coda sembrò riprendersi da tutte quelle ore passate a stare fermo, il gatto si massaggiò la fronte non appena il mal di testa si fece più forte. Gli tornò in mente qualcosa che prima sembrava aver dato per scontato.
Riportò la sua mente al momento in cui non c’era più luce nel vicolo. Rivisse tutto nei minimi dettagli dentro di sé, concentrandosi sul lampo che aveva illuminato la zona. Nascosti da quello che sembrava un mantello, c’era delle ciocche di..
No, non erano capelli.
Supponendo per un attimo che quello fosse lo stesso vigilante che da decenni se ne andava in giro indisturbato per le strade di notte, Francis tentò di fare mente locale.
Era alto quanto lui, quindi circa 1 m e una decina di centimetri.
Le ciocche che aveva visto di sfuggita sembravano essere aculei tremendamente appuntiti.
Se tutte queste cose erano vere, allora la soluzione era una soltanto.
Di colpo, Francis ripensò a quello che Vicky gli aveva detto l’altro giorno.
Chi ti dice che sia un uomo? E se fosse un..
-Un mobiano!- esclamò il giornalista senza neanche accorgersene.
Che tipo di mobiano aveva gli aculei?
Domanda stupida con molteplici risposte.
 
Per un attimo, Francis rimase sbalordito dall’incredibile ironia della sorte.
Aveva disprezzato la storia del vigilante fin dall’inizio, stroncando sul nascere ogni versione sovrannaturale del “mito”. Era sicuro che non ci fosse niente di vero nei numerosi racconti dei criminali malmenati violentemente nel corso del tempo, eppure eccolo lì, per strada, dubbioso e impaurito come mai prima di allora mentre si apprestava a raggiungere un Internet Point, un locale tra Cicero e la 54esima dove si poteva usufruire di una connessione di gran qualità ad un buon prezzo. Inizialmente era riluttante all’idea di avventurarsi fuori di casa, ma l’aria aperta e la visione dei marciapiedi pullulanti di persone gli avrebbero sicuramente evitato una chiusura totale in sé stesso ed eventuali sintomi di pazzia e paranoia, cose che cominciavano a manifestarsi. Aveva indossato un cappotto verde scuro più pesante della solita giacca a vento che indossava, siccome quest’ultima era fradicia e sporca a causa della brutta nottata che aveva passato. Curvo e con lo sguardo assente, il gatto divorò in un sol boccone un hot dog che aveva comprato per non morire di fame.
Non sapeva esattamente cosa cercare, ma l’immensa rete del web lo avrebbe potuto aiutare di più rispetto al semplice farneticare a caso su una possibile spiegazione all’esistenza di quella cosa, ammesso che fosse veramente il vigilante su cui doveva scrivere e che fosse davvero un mobiano.
Era così scosso dalla cosa che, per strada, temeva che chiunque lo avesse salvato lo stesse seguendo in quel momento. Magari era nascosto sui tetti dei palazzi circostanti ad aspettare che Francis fosse solo.
Magari, quando la notte sarebbe calata del tutto, sarebbe planato su di lui e lo avrebbe..
Ma che cazzo sto dicendo?” pensò il gatto ritornando alla realtà.
Entrato finalmente nel locale, vide al bancone una figura amica, la prima di quel giorno. Era un ragazzo poco più grande di lui, dai capelli biondi e con un leggero pizzetto ben curato. Stava seduto lì a leggere svogliatamente una rivista di informatica, mentre i numerosi computer di penultima generazione stavano lì desiderosi di essere usati.
-Hollis?- chiese Francis avvicinandosi al bancone.
Il ragazzo alzò lo sguardo, sorridendo non appena incrociò quello di Francis.
-Funky! Che sorpresa!- esclamò l’umano alzandosi dalla sedia.
Uscito dal bancone, Hollis Kubert si avvicinò al gatto per abbassarsi e abbracciarlo affettuosamente. Fu un gesto troppo improvviso per il mobiano, soprattutto per via dei suoi nervi al limite della sopportazione. Nonostante la situazione non fosse delle migliori, Francis fu contento di rivedere il suo vecchio compagno di stanza dei tempi dell’università. Mentre lui studiava lettere, Hollis frequentava la facoltà di ingegneria.
-Mio dio, ne è passato di tempo!- commentò il ragazzo tornando dietro il bancone.
-Puoi dirlo forte- aggiunse Francis sorridendo -Cosa ci fai qui? Credevo che ormai vivessi a New Miami-
-Eh, sai, la Florida non sarà mai bella quanto questa città. Sono tornato per riflettere un po’, magari per trovarmi un altro lavoro. Nel frattempo ho trovato questo, anche se non è il massimo. La paga però è una consolazione- disse Hollis mettendo la rivista dentro un cassetto del largo bancone -Tu invece? So che lavori per il New Frontier! Ti ho visto al Thurdsay Night Talking, mi è preso un colpo quando ho capito che eri tu!-
-Meglio non parlarne, Hollis- rispose il gatto -Mi stanno facendo passare i guai per quella storia-
I due cominciarono a parlare delle loro vite negli ultimi tempi, ma dopo un po’ Francis volle concludere quell’imprevista rimpatriata. Non riusciva a staccarsi per un attimo dalle sue ricerche, aveva bisogno di informazioni il più presto possibile.
-Sicuro di stare bene, Funky?- chiese ad un certo punto l’umano -Mi sembri un po’.. scosso-
-Oh, non preoccuparti. Sono solo stressato per il lavoro. Ho un sacco di cose da fare per lunedì.. e negli ultimi giorni non ho fatto altro che oziare a casa mia- rispose Francis cercando di sembrare il meno sgarbato possibile.
-Ah, ti capisco sai? Qui è un bel casino. Ci sono un sacco di computer liberi comunque, mettiti dove vuoi- disse Hollis facendo un occhiolino.
Dopo essersi congedato, il giornalista si avviò verso il fondo della grande sala, facendosi strada tra quella moltitudine di scrivanie, fili e computer. Si sedette nella zona più isolata, lontano dagli altri clienti quanto bastava per stare tranquillo.
Accese il computer, un modello un po’ diverso dal suo ma con lo stesso sistema operativo, e avviò il motore di ricerca. Non sapeva esattamente cosa cercare, si limitò a digitare le parole Neo Crisis City e vigilante. Uscirono tanti risultati, di cui solo una manciata sembravano essere utili o almeno  inerenti alla questione. Aprì il primo link, trovandosi un resoconto sulla “leggenda” scritta sicuramente da un deficiente che non aggiungeva niente di più a quello che conosceva già. Anzi, forniva alcune delle teorie più gettonate dai soliti creduloni, tirando in ballo cose come il vampirismo o i licantropi. Gli altri risultati erano articoli di giornali online sul ritrovamento di qualche teppista con un po’ di ossa rotte e nient’altro.
In una di queste, però, si aprì un annuncio riguardante un'altra pagina esterna.
Antiche leggende e famosi eroi di Mobius era il titolo.
Inizialmente Francis fece per ignorare quel link, ma si convinse a farvi visita poiché mosso dalla curiosità. Si aprì una pagina che mostrava alcune immagini dei luoghi più famosi di Mobius. C’erano Echidnapolis, Angel Island, Green Hill, Mobotropolis e tante altre. Scorrendo più in basso, il gatto trovò una foto che ricopriva gran parte dello spazio. Un gruppo di mobiani, tutti sorridenti e con gli occhi rivolti verso l’obbiettivo. Tra questi, Francis riconobbe fin da subito colui che stava esattamente al centro dell’immagine. Era giovane, con gli occhi verde smeraldo e una pelliccia blu. Il modello sportivo delle sue scarpe rosse lasciavano intuire il suo amore per la velocità, mentre gli aculei appuntiti che incorniciavano il suo volto sprezzante e fiero scaturivano un senso di libertà.
Sonic the Hedgehog, questo era il suo nome.
In quel momento, Francis si sentì schiacciato dal peso della storia.. della sua storia. Il passato dei mobiani, le radici della sua gente e della loro antichissima cultura. Un senso di tristezza lo assalì, ricordandosi che, da bambino, avrebbe dato di tutto per visitare Mobius. Crescendo, si era reso conto che era impossibile, così come lo era tornare indietro per lui e per tutti i suoi simili.
Quel pianeta non esisteva più. Lì dove avrebbe dovuto esserci vi era ormai uno spazio vuoto in quel grande quadro che era l’universo.
Accanto al riccio blu più famoso del mondo, l’unico sopravvissuto all’esplosione di  Mobius nonché l’unico essere ormai così potente da sollevare una montagna con una mano, vi erano altre persone. Alcuni li riconobbe perché se ne parlava ancora tra i mobiani, altri invece non li aveva mai visti in vita sua.
C’erano una ragazza riccio di colore rosa, Amy Rose, un’echidna rossa, Knuckels the Echidna, e tanti altri fino ad un’avvenente ragazza pipistrello che, se la memoria di Francis non lo ingannava in quel momento, doveva chiamarsi Rouge. Il gatto, però, notò qualcosa di strano in quell’immagine.
La foto finiva proprio dopo la figura del pipistrello, ma sembrava essere stata modificata poiché, poco prima del margine, si poteva vedere un braccio di colore nero.
Il “possessore” di quel braccio non era una personalità famosa probabilmente, ma Francis non si convinse del tutto di quel pensiero. Copiò l’immagine e la inserì nel motore di ricerca che stava usando, sperando di poter trovare quell’immagine tutta intera nel vasto mondo di internet.
Cliccò su “start” e gli si aprirono di fronte ai suoi occhi una grande quantità di immagini, del tutto identiche a quella che aveva già trovato. Tra le tante miniature, Francis si bloccò quando ne vide una che sembrava più grande delle altre. Vi ci puntò il cursore e cliccò, lasciando che la foto apparisse nella sua naturale grandezza occupando lo schermo.
Questa volta l’immagine mostrava qualcuno accanto a Rouge. Un riccio nero, ma con delle striature rosse su tutto il corpo, più evidenti soprattutto sulla testa. Al contrario degli altri, le sue scarpe sembravano essere di metallo e ricordavano dei piccoli ma potenti razzi. Sui polsi e sulle caviglie vi erano degli strani anelli dorati, mentre sul petto vi era una folta pelliccia bianca che, seppur piccola, creava contrasto con quel nero scuro. Gli aculei erano appuntiti e rigidi, abbastanza simili a quelli di Sonic, ma il suo volto aveva un espressione totalmente diversa.
Composto, severo, fiero.. il suo sguardo cupo sembrava esternare un potere superiore rispetto a tutto il resto. I suoi occhi erano di rosso scarlatto intenso, abissale.
Francis sgranò gli occhi, mentre il mal di testa tornò a farsi sentire più violento di prima.
Era lui.
Avrebbe riconosciuto quegli occhi dovunque ormai, perciò non si sentiva di azzardare troppo quando affermò che il riccio nella foto dall’insolito colore nero scuro era lo stesso che lo aveva salvato ieri notte. Preso da un brivido, il gatto sobbalzò dalla sedia per lo spavento, ritornando subito composto per paura che qualcuno lì lo avesse notato. Si guardò intorno per assicurarsi di non aver attirato l’attenzione di nessuno per poi tornare a fissare impallidito quella vecchissima fotografia. La sua parte razionale, quella che dominava quasi sempre incontrastata nelle sue scelte, gli diede dell’imbecille per essersi spaventato in quel modo.
Quella foto era datata 3229 secondo il calendario mobiano, ovvero il 2012 secondo quello umano, cioè poco più di un secolo fa. Non era possibile che quel riccio fosse sopravvissuto alla distruzione di Mobius e anche se ci fosse riuscito sarebbe comunque morto di vecchiaia. Francis però rimase comunque troppo curioso di sapere chi fosse quel mobiano dall’aria così severa e cupa, anche perché non era la prima volta che vedeva un riccio simile in vita sua. Chiuse l’immagine e tornò ad usare il motore di ricerca, digitando Altri eroi di Mobius. I risultati furono ovviamente tantissimi, così Francis dovette scegliere automaticamente il primo link. Si ritrovò una lunga lista di nomi mobiani, alcuni erano gli eroi che conosceva già, mentre altri ancora dovevano essere delle personalità influenti della società dell’epoca. Scorrendo la lista, trovò una sottosezione con su scritto Agenti G.U.N.
Rimase perplesso all’inizio, ma poi si ricordò che l’omonima organizzazione mondiale che conosceva già era una specie di “omaggio” alla precedente, attiva sia su Mobius che sulla Terra, ovviamente con soldati, agenti e amministrazioni diverse. Tornò alla lista, trovandovi il nome Rouge the Bat, l’affascinante pipistrello che aveva visto nella foto.
Sotto il suo, vi era scritto il nome “Shadow the Hedgehog”.
Francis si bloccò.
 
Shadow the Hedgehog.
 
Il giornalista aveva già sentito questo nome molte altre volte. Si massaggiò le tempie e chiuse gli occhi, cercando stupidamente di ricordarsi dove diamine l’avesse già sentito. Di colpo la sua mente lo riportò a quando aveva dodici anni, ricordandosi di Fieldy.
Prima ancora che quel pipistrello cominciasse la sua forte e drammatica dipendenza dal toxin, i due mobiani erano soliti leggere fumetti ogni giorno. Fieldy sapeva persino disegnare molto bene, per questo sperava  di poter lavorare per qualche casa editrice, o magari come illustratore. Le cose andarono diversamente da come entrambi speravano, ma Francis non si soffermò in quel momento sulla parte triste della storia. Durante una giornata estiva, il pipistrello aveva raggiunto Francis e gli altri del loro gruppo con un nuovo disegno. Il nome del personaggio che aveva ritratto era proprio Shadow the Hedgehog!
Non ricordava molto del disegno, Francis riuscì a far riaffiorare solo una parte dell’accaduto. Decise quindi di cliccare su quel nome, anche se con titubanza. Ad una prima occhiata, il gatto dovette riconoscere che i gestori di quel sito avevano fatto un lavoro più che eccellente. Si aprì un documento di tre pagine, con un'unica foto che ritraeva lo stesso riccio nero che Francis aveva scambiato per il suo salvatore. Stessa cupa espressione del volto, ma con le braccia incrociate e lo sguardo fisso verso un punto non precisato.
Sotto il titolo principale, ovvero il suo nome, vi era un sottotitolo che recitava “La Forma di Vita Definitiva”.
-Chi diavolo eri?- sussurrò Francis assorto nella lettura.
L’articolo cominciava spiegando che la figura di questo Shadow rimaneva una delle poche ad essere avvolte nel mistero ancora oggi. Il gatto lesse i nomi di Gerald Robotnik, uno dei più illustri scienziati del mondo e di sua nipote Maria. L’umano conduceva degli esperimenti sulla Colonia Spaziale ARK, e fin qui Francis riuscì a seguire, ma quando il racconto mostrò l’orrendo fatto di sangue avvenuto in quel luogo, il gatto dovette fermarsi un attimo per il disgusto.
Una bambina.. una semplice bambina malata che venne crivellata dai proiettili dei soldati G.U.N.
Troppo orribile e troppo perverso, anche per gli standard delle squadre d’assalto militari. Ci volle molta fatica per non pensare ad una cosa così deplorevole, ma Francis, ripreso il racconto, rimase ulteriormente shockato quando lesse della nascita del riccio nero.
Egli non era nato come tutti gli altri, ma bensì era stato creato in un laboratorio nella ARK. Un essere artificiale dotato di poteri fuori dalla portata di chiunque. Come Gerald Robotnik era riuscito a farlo era un mistero.
La storia continuava raccontando della comparsa di Shadow e della sue prime imprese come aiutante del Dottor Eggman.
-Eggman?- ripeté perplesso Francis.
Conosceva quel nome e sapeva bene che razza di criminale era stato, per questo il giornalista rimase incredulo a quella notizia. Continuando a leggere, però, Francis ebbe modo di scoprire la redenzione della Forma di Vita Definitiva e del suo ruolo nel salvataggio della Terra insieme a Sonic e ai suoi amici. Quella era stata la prima volta che i mobiani avevano varcato il territorio terrestre. Qualche anno più tardi, Shadow riuscì a sventare un invasione aliena da parte delle Black Arms, una specie ostile che voleva prendere il controllo del pianeta Terra. Dopo l’accaduto, il riccio nero era stato assoldato dalla G.U.N. come agente speciale, formando una squadra denominata Team Dark. Oltre a lui vi erano la già citata Rouge the Bat e un robot chiamato Omega E-123, ultimo storico modello creato da Eggman ma successivamente rivoltatosi contro di lui.
Francis, ormai totalmente catturato dalla storia, continuò a leggere indisturbato fino ad arrivare alla fine del racconto, scoprendo qualcosa che lo lasciò pietrificato. Shadow the Hedgehog, al contrario di tutti gli altri eroi, era morto cinque anni prima che il pianeta venisse distrutto. Non veniva spiegata la causa della sua morte, l’articola diceva soltanto che perse la vita in una missione per conto della G.U.N.
 
Il suo ultimo atto eroico fu quello di salvare la vita di 57 bambini in una scuola.
 
Fine della storia, oltre non c’era più nulla.
Francis si tirò indietro e rimase in silenzio. Non sapeva bene il perché, ma leggere ciò che ancora si sapeva su questo Shadow lo aveva lasciato incredibilmente vuoto. Diede un’ultima occhiata all’articolo, trovandovi una lista dei già citati poteri.
Manipolazione del Chaos Control e derivati;
Forza e agilità sovraumane;
Supervelocità tramite le scarpe-razzo;
Prima di leggere l’ultimo punto della lista, il gatto grigio sgranò gli occhi e ci rifletté  un attimo.
Cosa poteva uccidere uno del genere?
Forse non sarà stato il più forte di tutti considerando che nemmeno lui era riuscito ad evitare la morte, ma bisognava davvero mettercela tutta per togliere la vita ad un tipo soprannominato “Forma di Vita Definitiva”.
L’ultimo punto della lista fu il colpo di grazia per Funky.
Virtualmente immortale.
Ciò significava che se non fosse stato ucciso un secolo fa, Shadow the Hedgehog sarebbe ancora vivo!
-Incredibile..- sussurrò Francis.
Era l’arma letale per eccellenza, il soldato perfetto, il guerriero più temibile che non sarebbe mai invecchiato. Per sempre giovane ed eternamente potente..
La mente del gatto cominciò a prendere in considerazione una teoria. Era fantasiosa, assurda e ridicola persino per lui.. ma valeva la pena di pensarci anche solo per un attimo.
Che prove aveva al momento riguardo l’effettiva morte di questo riccio accaduta un secolo fa?
E se il vigilante di Neo Crisis City fosse..
“Troppo lontano, Funky.. sei un idiota” pensò Francis spegnendo il computer- Si alzò dalla sua postazione con fare stanco. L’assenza di sonno cominciava a farsi sentire.
“Non hai più otto anni. Queste cazzate lasciale ai bambini”
Si avviò verso il bancone, trovandovi Hollis ancora intento a leggere la sua rivista.
-Hai trovato quello che cercavi?- gli chiese l’umano quando lo vide arrivare.
-No, credo che dovrò consultare gli archivi del mio ufficio-
Grandissima balla. Non c’era niente negli archivi del New Frontier al riguardo, ma non trovò un’altra scusa che reggesse in quel momento.
Francis tirò fuori otto dollari per pagare la sua permanenza, poi si avviò sconsolato verso l’uscita.
-Potremmo vederci in questi giorni, che ne dici?- gli chiese Hollis prima di salutarlo.
-Appena ho un po’ di tempo libero ti chiamo- rispose Funky cercando di essere convincente.
Prima che posasse la sua mano destra sulla maniglia della porta d’uscita, il gatto grigio si rivolse un’ultima volta verso il suo vecchio compagno di stanza.
-Hollis.. tu l’hai mai visto un riccio nero?-
Il ragazzo rimase perplesso a quella domanda.
-Intendi uno di quelli tinti? Tipo neopunk o robe del genere?- chiese Hollis.
-No, non tinti. Un riccio il cui colore naturale è proprio il nero- specificò Francis.
L’umano ci pensò un attimo, cercando di ricordarsi se ne avesse davvero mai visto uno.
-Veramente.. no- rispose infine Hollis -Ad essere sincero, non credo nemmeno che esiste un riccio con un colore così scuro. Ne ho visti tanti, ma mai neri-
-Fa niente.. grazie lo stesso-
Prima che Hollis potesse chiedere spiegazioni, Francis si era già congedato per tornare a camminare da solo in strada. Ormai era ora di pranzo, ma la fame non era il problema principale al momento. Il gatto era stato così preso da quelle assurde ricerche senza senso da non aver più pensato a ciò che sarebbe successo domenica a mezzanotte.
Il peso della criminalità organizzata tornò a tormentarlo come sempre, ritrovando quel senso di impotenza e debolezza che lo aveva quasi portato alla pazzia la sera precedente.
Che senso aveva vivere in un mondo così?
Passava il tempo, cambiavano le usanze e le culture, ma la domanda era sempre quella. Come si poteva rimanere puliti in un mondo così spietato, così crudele?
Era tutto così freddo.
Il cielo sopra la città era nuvoloso, probabilmente avrebbe piovuto anche quel giorno. Mentre si accingeva ad accendersi la prima sigaretta della giornata, Francis rivolse lo sguardo in avanti, camminando in una piccola via che conduceva al palazzo  più grande della metropoli. Un tempo quello era l’Empire State Building, ma quando venne ricostruito dopo i bombardamenti la sua struttura, così come quello che conteneva all’interno, cambiò radicalmente. Al contrario di tutti gli altri edifici, il palazzo in questione sembrava un enorme blocco di metallo e circuiti. Non c’erano finestra che potessero mostrare un piccolo squarcio visto che l’aria veniva filtrata all’interno con degli speciali macchinari. L’unica entrata era un portone d’acciaio inossidabile posto sopra una piccola scalinata. Quelli che ne entravano o ne uscivano erano persone che non si confondevano mai tra la folla. Su tutte le fiancate vi era un unico e grande logo.
Quello della G.U.N.
Intorno all’edificio vi era una piccola piazza con cespugli ed alberi ben curati da netturbini e giardinieri ogni settimana. La gente non sostava mai lì perché era vietato, per questo Francis si mantenne a debita distanza per non avere guai. Ogni città degli Stati Uniti presentava lo stesso edificio, usato come collegamento per la sede centrale dell’organizzazione a Washington D.C. . C’è ne erano alcuni anche negli altri continenti, ma solo nelle capitali come Londra, Roma, Parigi, Vienna e così via.
Francis, così come tutti gli altri civili, non sapeva il perché della presenza di quelle costruzioni. Erano lì e basta, non avevano alcun diritto di farsi domande. Dopotutto, G.U.N. era e doveva essere assolutamente un segreto per chiunque non fosse ai piani alti del governo, al contrario della sua omonima precedente. Avevano il potere, ma perché non facevano nulla per contrastare il crimine? Perché nessuno di quei dannati soldati usciva da lì e ripuliva le strade dalla feccia più violenta e aggressiva?
Nessuna risposta, solo il silenzio della strada.
Il gatto grigio stava per incamminarsi di nuovo, ma una voce lontana attirò la sua attenzione. Sul marciapiede di fronte ai vari negozi, un vecchio uomo isolato dalla folla sbraitava contro la gente che passava. Nessuno osava avvicinarsi a lui, temevano troppo per la propria incolumità.
-I mari diverranno rossi e la terra diverrà arida! Nessuno potrà sfuggire alla punizione!-
Era barbuto e vestito di qualche vecchio straccio come tutti i disperati della città, ma nei suoi occhi vi era una scintilla di rabbia e disperazione.
-I nostri peccati sono troppi e non saranno perdonati! L’omicidio, l’adulterio, l’avarizia, la corruzione.. ci porteranno tutti di fronte al grande giudizio! Siamo tutti peccatori agli occhi del Creatore, non c’è più salvezza per noi! Il diluvio ci sommergerà e nessuno ci salverà, solo i più puri potranno sopravvivere! Chi sarà degno saprà nuotare nel sangue dei suoi fratelli, gli altri saranno solo corpi senza nome e senza storia!-
Francis odiava quei predicatori da strapazzo. Esaltati e violenti, non c’era modo di poter avere un vero dialogo con loro. In quel momento, però, il giornalista rimase lì a sentirlo mentre tutto il mondo andava avanti e se ne fregava.
-Quando i peccatori saranno puniti e torturati tra le braccia di Lucifero, l’angelo più potente del cielo scenderà su queste terre. Il suo manto dorato ci permetterà di riconoscerlo, così i degni potranno essere accolti e portati nella Terra Promessa! Pentitevi ora, prima che sia troppo tardi, solo così potrete salvarvi!-
Francis deglutì.
 
L’angelo più potente del cielo
 
Anche chi passava e faceva finta di non ascoltare aveva capito a chi si riferisse quel vecchio pazzo. L’animo del gatto si rabbuiò, decidendo finalmente di allontanarsi da quelle fandonie maniacali. In cuor suo si spense quell’ultimo barlume di speranza che gli aveva permesso di andare avanti in tutti quegli anni.
La voce cavernosa e rovinata del predicatore gli arrivò di nuovo all’orecchie.
-Pentitevi!-
Sta volta fece finta di non averlo sentito. Per lui la giornata sarebbe finita in quel momento, poiché si sentiva più che convinto di tornare a casa e di non uscirne più. Avrebbe trovato il modo di non pensare a quell’orrore. Magari avrebbe potuto guardare un film o ascoltare un vecchio vinile, ma sapeva che niente lo avrebbe portato via da quella realtà. Prima che potesse imboccare una delle numerose strade che lo circondavano, il giornalista sentì squillare il proprio cellulare. Lo usava solo per lavoro, difatti era un modello utile solo per le chiamate. Osservò il display, notando che il numero del mittente gli era familiare.
-Pronto?- disse Funky dopo aver risposto con titubanza.
-Ehi balordo, indovina chi sono!- esclamò una voce femminile dall’altro capo del telefono.
Vicky?” pensò il gatto.
-Non è un buon momento, Vicky-
-Si che lo è- lo interruppe la ragazza scoiattolo -Sono stata con mia  madre e mia zia. Siamo andate a fare un giro fuori città, abbiamo fatto un po’ di shopping-
-Vicky, mi fa piacere per te, ma sono serio- protestò deciso il giornalista -Non è davvero un buon momento-
-Stai ancora lavorando alla storia del vigilante?-
Quella domanda lasciò perplesso quel gatto ormai sull’orlo del baratro.
-Beh.. ad essere sincero me ne ero totalmente dimenticato-
Francis mentì spudoratamente. D’altronde, cosa mai poteva dire alla ragazzina che aveva visto crescere? Raccontargli di essere stato lo “spettatore” di qualcosa che fino a ieri credeva soltanto essere una stupida e vecchia leggenda urbana era da evitare, perciò decise che fare il finto tonto era un buon modo per lasciarsi quello schifo alle spalle.
-Allora ti farà piacere sentire che ho parlato con mia madre. Ricordi? Lei dice di averlo visto quand’era bambina-
Bloccatosi di colpo, Francis rimase a bocca aperta. Si era totalmente dimenticato di quel particolare. Ragionandoci meglio avrebbe considerato quella “testimonianza” come non attendibile, ma la sua mente in quel momento non riuscì a formulare un ragionamento veramente sensato. Stava accadendo tutto troppo in fretta.
-Ehi, ci sei ancora?- chiese Vicky.
-Si si!- esclamò il gatto -Dicevi?-
-Ti dicevo che mia madre mi ha raccontato di quando l’ha visto- cominciò la voce proveniente dal telefono -Aveva qualcosa come undici o dodici anni. Aveva litigato con mio nonno, per questo era scappata di casa durante la notte..-
Nella mente di Francis, il racconto cominciò a materializzarsi fino a diventare qualcosa di tangibile, come un vecchio film noir o uno di quei racconti del mistero che adorava leggere da bambino. Vide la madre di Vicky, Martha, ritornata all’età della preadolescenza, mentre camminava da sola e impaurita nella Neo Crisis City di trent’anni fa, ovvero l’anno 2087.
Si immaginò il freddo che mordeva la pelle della piccola mobiana, la sensazione di vuoto che provava nell’essere scappata via dalla sua stessa casa e la paura che l’attanagliava nel camminare nel buio alla ricerca di un luogo provvisorio dove poter sentirsi temporaneamente al sicuro.
Immaginò il suo cuore mentre cominciava a battere più forte del normale quando udì un rumore provenire dall’alto. Si sentiva più grande per la sua età, quella giovane Martha the Squirrel, per questo si convinse che quei sussurri erano solo il rumore del vento che sbatteva contro le finestre. Era troppo tardi perché qualcuno si avventurasse per quella strada di notte, sicuramente la bambina sapeva anche che i criminali non bazzicavano mai lì.
Stavolta il rumore si fece più forte e la bambina si lasciò prendere dai brividi.
La piccola mobiana alzò di scatto la testa, notando immediatamente qualcosa sul tetto dell’edificio alla sua sinistra. Si aspettava di trovare qualche pipistrello notturno appollaiato a testa in giù, ma c’era qualcosa che oscillava lì.. ed era più grande.
Si, era decisamente più grande per essere un piccolo animale.
Una figura nera che sembrava entrata in simbiosi con quella costruzione stava accovacciata all’estremità del tetto. Era troppo lontano da lei per poterla descrivere, per questo Martha si convinse a forza che era solo un illusione ottica provocata dal buio.
Francis immaginò i suoi occhi animarsi dal terrore quando vide quella strana figura muoversi.
-.. scappò via. Era così spaventata che ritornò immediatamente a casa. Alla fine credo che avesse fatto pace con il nonno-
Impietrito dalla storia che aveva sentito, Francis ebbe uno strano presentimento.
La madre di Vicky non era stata salvata da un vigilante, l’aveva semplicemente visto sulla cima di una palazzo, magari di due o tre piani. Era solo un intuizione quella, ma il gatto non aveva nessuna carta da poter giocare in quel momento.
-Ehi, vuoi rispondermi si o no? Sono stata brava come “fonte”?-
La ragazza scoiattolo scherzava, poiché anche lei era scettica riguardo la storia di sua madre. Francis ormai non l’ascoltava più, era troppo indeciso su quello che avrebbe dovuto fare.
-Vicky.. tua madre si ricorda l’indirizzo di quel palazzo?-
 
Era una cosa da pazzi. Da ogni prospettiva, sotto ogni ragionamento logico, quella era una grandissima stronzata da fare. Seguire una pista che aveva come base il racconto di una bambina di trent’anni fa significava toccare il fondo per un giornalista.
Non ho niente di meglio da fare” non era una scusa valida, nemmeno in quel momento. Non si azzardò nemmeno a pensarlo, visto che la parte disperata che c’era in lui stava comandando le sue azioni. Per questo era lì, nella famosa quanto isolata Evergreen Street.
Un piccola stradina sperduta poco lontana dai bassifondi e dal degrado di Red Hook, molto conosciuta per la sua rilevanza storica. Dopo che le bombe cessarono di distruggere Manhattan, i palazzi di quella stradina erano gli unici ad essere rimasti miracolosamente in piedi anche se in uno stato abbastanza pietoso. Vennero restaurati, ritornando ad essere gli stessi identici palazzi costruiti all’inizio del ventunesimo secolo. Alcuni era stati affittati dai discendenti dei vecchi residenti, altri ancora erano disabitati, ma comunque erano soggetti a controlli più che scrupolosi ogni mese. I malviventi non si facevano mai vedere lì, forse a causa della mancanza di negozi, locali o attività di qualunque tipo. Era solo un posto noioso dove non si fermava mai nessuno, come se fosse una minuscola città fantasma dentro una delle metropoli più grandi degli Stati Uniti.
Una piccola Silent Hill o una Twin Peaks senza niente di importante.
Palazzi di quattro o al massimo sei piani, costruiti con vecchi mattoni e dipinti di colori spenti e rovinati dal tempo come il marrone chiaro o il bianco; questo era quello che circondava Francis. Il rumore del traffico, il mormorio della gente e tutto il resto erano una realtà che non riguardava minimamente quella piccola strada. Il progresso tecnologico la circondava come un grizzly farebbe con un ghiottone, una preda piccola che avrebbe combattuto con le unghie e con i denti pur di mantenere il suo posto nel mondo.
Funky non trovò un paragone più azzeccato di quello.
Scrutava quelle vecchie costruzioni in ogni piccolo dettaglio mentre camminava a passo lento sul marciapiede. Intorno a lui non c’era nessuno, cosa che gli fece riflettere sulle sue azioni oltre che a mettergli i brividi. Inizialmente non ci aveva fatto caso più del dovuto, ma vi era un piccolo palazzo il cui tetto era diverso dagli altri.
Circondato da un piccolissimo rettangolo di terreno arido che un tempo doveva essere stato un giardino vi era una palazzina di tre piani il cui tetto era a punta. All’estremità di questo, elevato sopra sei piccole finestre ve ne era una circolare il cui vetro era coperto da una fitta polvere.
Non sembrava messa malissimo, anzi, sembrava che qualcuno curasse quella costruzione con un po’ più di riserbo. Se a farlo fossero i netturbini pagati dal sindaco o qualche residente non era importante per il gatto grigio. Stando a quello che era il racconto di Martha the Squirrel, il giornalista presunse che la casa su cui la mobiana aveva “visto” quella figura nera e difficile da identificare non doveva essere più alta di quella.
Era un pazzia, ma entrarvi fu l’unico modo per mettere fine a quella storia.
Continuava ancora a chiedersi il perché della sua presenza lì, ma non voleva rispondere alle domande che si poneva da solo. Il suo spirito indagatore forgiato dai mille racconti che divorava da bambino e che l’avevano aiutato all’inizio della sua carriera aveva prevalso vittorioso, vincendo addirittura sulla ragione e sulla paura. Non vi era un campanello o un citofono, così Francis fu costretto a bussare. Non sapeva se c’era o meno qualcuno all’interno, così diede tre piccoli colpi secchi per poi aspettare in silenzio e con le orecchie ben aperte.
Passò qualche secondo prima di udire un rumore di passi.
Fu preso da un brivido fino alla punta della coda quando sentì la serratura scattare dall’interno.
Un vecchio uomo comparve sulla soglia, vestito di un maglione rosso scuro e con dei pantaloni rattoppati oltre l’inverosimile. Poteva avere sessanta o sessantacinque anni al massimo per Francis.
Gli occhi verdi dell’umano guardavano il mobiano letteralmente dall’alto verso il basso vista la sua altezza. I suoi capelli brizzolati ormai bianchi incorniciavano quello che era all’apparenza un volto sereno e percorso dagli anni.
-Desidera qualcosa?-
Il suo tono era gentile, per non dire quasi amichevole. Francis non fu tanto convinto di cominciare a sparare cazzate.
-Scusi il disturbo, mi chiamo Nathan the Cat. Lavoro per il Modern Mobian e sto scrivendo un articolo sulle case di Evergreen Street- cominciò il gatto -Lei è il custode di questo palazzo?-
L’uomo fu piuttosto titubante nel rispondere.
-Veramente si, ma nessuno mi ha avvisato della sua visita- rispose l’umano poco convinto.
-In ufficio abbiamo avuto dei problemi in questi giorni. Ci scusi se non l’abbiamo avvertita in tempo, signor..-
-Jeremy- rispose l’uomo per completare la frase di Funky -Mi chiamo Jeremy-
-Jeremy, certo..- ripeté il gatto -Volevo chiederle se conosce qualcuno qui in grado di darmi qualche informazione per il mio articolo-
Francis non notò nulla di sospetto nell’anziano signore che gli stava di fronte. L’unica cosa che dovette ammettere era che aveva un fisico abbastanza curato per la sua età. Magro e con la schiena dritta, l’esatto opposto di un qualunque umano sulla via della terza età nella media.
-Vivo qui da trentacinque anni- cominciò Jeremy -Credo di essere il più vecchio qui, se non l’unico custode. Credo che tutte le altre case che vede siano state affittate per qualche famiglia senza tetto già da un po’. Se vuole, quindi, posso darle io qualche dritta-
Un lampadina si accese nella testa di Francis.
Non poté fare altro che accettare l’invito di quell’umano così gentile.
-Entri pure- disse l’uomo facendogli spazio per poter farlo passare.
Il gatto grigio si trovò in quello che era il pianterreno del palazzo. Era stato arredato con un paio di divani, una poltrona, qualche mensola adibita a reggere una moltitudine di libri e una piccola cucina munita anche di lavandino e scomparti per i piatti e per tutte le altre stoviglie. Le pareti erano sul marroncino chiaro, piuttosto pulite nonostante qualche macchia qua e là. Un tavolino da caffè separava il divano dalla poltrona, mentre un vecchio televisore era posto sopra un comodino con dentro un antiquato lettore VHS e una moltitudine di cassette.
-Si sieda pure sul divano- gli aveva detto Jeremy -Avevo appena messo a fare il caffè, ne vuole un po’?-
-Grazie, ne avrei davvero bisogno- accettò Francis guardandosi intorno.
Il giornalista notò la rampa di scale che conduceva ai piani successivi e, accanto all’inizio dei gradini, l’entrata per l’ascensore, un modello di vecchio stampo arrugginito e mal funzionante se non del tutto rotto, cosa più probabile.
-Immagino che il suo lavoro la stressi molto- disse Jeremy versando il caffè in due tazze.
Il perché di quella domanda non fu esattamente chiaro per il mobiano. Si limitò a rispondere con una di quelle solite frasi fatte basate sui luoghi comuni del giornalista medio. Mentre era seduto, il suo sguardo fu attirato da qualcosa appeso alla parete. Una piccola miniatura del quadro La libertà che guida il popolo di Eugène Delacroix dentro una cornice in legno non era una cosa insolita, ma chi l’aveva già visto sapeva bene che non era quello. Francis sorrise quando notò la scritta Viva la Vida in bianco sull’immagine.
-Viva la vida or Death and all his Friends-
Il gatto grigio ebbe un piccolo sussulto quando si ritrovò l’umano seduto sulla poltrona.
-Le piacciono i Coldplay?- chiese Francis piacevolmente sorpreso della sua scoperta.
-Quando ero giovane. Erano altri tempi.. ora lo tengo incorniciato lì solo per ricordo- rispose Jeremy porgendo una tazza di caffè al proprio ospite.
Francis riuscì stranamente a rilassarsi in quel momento. Anche se lì non c’era nulla di quello che cercava, era comunque molto contento di aver conosciuto per caso una persona del genere, anche se con l’inganno.
-Questo palazzo apparteneva ai suoi parenti?- chiese il gatto.
-No- rispose Jeremy -Non so a chi appartenesse con esattezza. Badare a questo posto era l’unico lavoro che potessi fare. Avevo all’incirca trent’anni-
-Prima cosa faceva?-
Francis avvicinò le labbra alla tazza, mandando giù un piccolo sorso di caffè. In quel momento anche Jeremy fece altrettanto.
-Ero un professore dell’università di Cambridge, in Inghilterra. Insegnavo Storia-
Quella risposta lasciò colpito il giornalista. Sgranò gli occhi e cercò di contenere il suo stupore, chiedendosi poi tra sé e sé cosa ci facesse un professore universitario in un posto abbandonato come quello.
-Lei.. è inglese?- chiese Francis.
-No, sono nato qui in realtà. I miei genitori erano divorziati, così ho vissuto qui fino ai quindici anni con mio padre. Poi andai a vivere con mia madre a Northampton, in Inghilterra. Studiai lì e trovai impiego come professore, ma quando venni a sapere della morte di mio  padre, tornai immediatamente in questa città-
Quel breve racconto lasciò piuttosto colpito Francis. Quello che gli stava seduto di fronte era veramente un tipo interessante oltre che un individuo gentile.
-Lei vive da solo qui? Non ha una famiglia?-
L’umano sorrise a quella domanda.
-No, non ho né moglie e nemmeno figli. Sono solo-
-E non ha paura a vivere da solo qui?- continuò a chiedere Francis.
-Non succede mai niente qui, ad essere del tutto sincero. Durante la notte sento passare i soliti teppisti da quattro soldi, ma non provano a fare niente in questa stradina. Tutti sanno che non c’è niente da rubare in questi ruderi, signor Francis-
Mentre Jeremy parlava, Francis stava prendendo un altro sorso dalla sua tazza di caffè. Ogni pensiero, ogni parola, ogni domanda.. tutto si bloccò quando lo sentì. All’inizio pensò di essersi sbagliato, ma le successive parole dell’umano gli tolsero ogni dubbio.
-Il televisore non lo usò solo per guardare vecchi film, Francis. Ci sono ancora dei programmi che mi piacciono, come il Thursday Night Talking ad esempio, soprattutto dopo l’ultima puntata. Ha avuto veramente del fegato a insultare quel pezzente di Morrison- continuò l’uomo come se niente fosse.
Francis posò la tazza sul già citato tavolino posto di fronte e guardò dritto negli occhi l’uomo. Non c’era rabbia nel suo sguardo o risentimento per essere stato aggirato sull’identità del suo ospite.
-Posso spiegarle tutto..- cominciò Francis con un tono di voce flebile, mortificato per essere stato scoperto.
-Non c’è né bisogno- lo interruppe l’uomo -Lei non mi sembra certamente il tipo che accoltella qualcuno giusto per rubargli qualche spicciolo, come la maggior parte dei pazzi che girano per strada oggigiorno. Lei è solo un giornalista a caccia di qualche notizia o di qualche crimine per cui incolpare il sindaco e i suoi consiglieri. Mi dispiace per lei, signor Francis, ma qui non troverà chili di cocaina, rifugi per criminali o per prostitute-
Francis abbassò lentamente lo sguardo. Non per la vergogna, ma per il ritorno della morsa che lo attanagliava fino a poco prima di addentrarsi per quella strada.
-Se proprio vuole saperlo, una volta sono passato con il semaforo rosso. A diciassette anni ho fumato uno spinello e tenevo delle riviste sconce sotto il mio materasso, ma niente di più- concluse l’uomo con una punta di sarcasmo, cosa strana per quell’occasione.
-Se sapeva chi ero fin dall’inizio perché mi ha fatto entrare?- chiese Francis con un filo di voce.
-Sono vecchio, ragazzo. Ora non puoi capirlo, ma passare la vita da soli e invecchiare in posti del genere ti fanno apprezzare ogni sorta di dialogo con il mondo là fuori. Da quello con un filosofo a quello con un qualunque cialtrone, l’importante è che si parli. Volevo dialogare un po’ con qualcuno, ma è stato un caso che fosse proprio lei. Volevo solo soddisfare un mio bisogno, quindi se ti pagassi ora si potrebbe quasi dire che sei una prostituta-
Il Francis dei giorni d’oro avrebbe fatto battute simili, ma questo il vecchio Jeremy non poteva saperlo. Quello che si trovava dentro casa era un cittadino distrutto, vuoto e spento.
Furono queste tre cose che convinsero Funky a parlare.
-Non sono venuto qui per scrivere un articolo-
Quella frase era uscita così all’improvvisa che lasciarono davvero incuriosito l’umano.
-Ieri notte sono stato aggredito- riprese Francis alzando finalmente la testa, mostrando uno sguardo stanco e sfiduciato.
Fece quasi tristezza anche al suo interlocutore.
-Accade spesso in città come queste, purtroppo- commentò l’umano continuando a sorseggiare il suo caffè.
-Si.. ma sarei morto.. se non fosse stato per lui..-
Venute fuori quasi a forza, quelle parole sembrarono non avere alcun effetto su Jeremy questa volta.
-Il vigilante- cominciò Francis -Penso l’abbiano chiamato in molti modi, ma io non ho mai usato nessuno di questi. Fino a ieri era solo una storiella per me, solo una piccola balla usata per tenere a bada i più creduloni dal darsi al crimine. Avevo una mia spiegazione razionale a questa puttanata, una risposta logica che è stata distrutta con una velocità che non credo sia di questo mondo. Odio la violenza, ma quando l’ho visto.. ho provato un senso di.. libertà.. era come se tutte le mie frustrazioni fossero sfociate in un turbine di paura, come se mi fossero state strappate da dentro e gettate dentro un fuoco più antico di questo mondo. Era buio, ma io l’ho visto in tutti i suoi movimenti. Agile, forte.. perfetto e orrendo allo stesso tempo.. qualcosa che non può essere nato su questo pianeta, qualcosa che va ben oltre quello che pensiamo. La sola vista dei suoi occhi è riuscita a ghiacciarmi il cuore e a distruggere tutte le mie certezze, dandomi qualcosa di cui avevo bisogno per capire.. qualcosa come quella maledetta paura. Questa città è piena di pazzi, ma lui è qualcosa di diverso. Comincio a pensare che sia proprio lui la vera essenza di questo posto. Fossi stato un’altra persona avrei lasciato perdere e sarei andato avanti con la mia vita in questa discarica che ho sempre chiamato casa, ma c’è qualcosa in me che.. finalmente crede. Sta per arrivare un tempesta.. ma forse lui può sistemare tutto-
Quel monologo venne seguito dal silenzio più totale. Francis abbassò di scatto gli occhi dopo essersi reso conto dello sfogo quasi inconscio che aveva avuto con uno umano che conosceva da pochissimo. Sentiva solo l’eco dei suoi pensieri di vergogna e nient’altro.
-Mi scusi ancora, non sarei dovuto venire qui- disse Francis in un ultimo sussurro, alzandosi infine da quel comodo divano.
Si avviò verso la porta cercando di evitare un eventuale occhiata perplessa del custode di quel rudere.
Il silenzio, però, si ruppe.
-Lo vede l’ascensore?-
La voce dell’umano era stranamente diventata più stanca. Francis, bloccatosi all’udire quella domanda, si girò lentamente verso Jeremy.
-Ci sono cinque bottoni, prema il terzo a partire dall’alto. È l’unico modo per arrivare alla mansarda, l’ultimo piano- continuò l’umano improvvisamente rabbuiato.
Posò sul tavolino la sua tazza e tirò fuori dalle tasche una pipa e un po’ di tabacco.
-Perché vuole che io lo faccia?- chiese perplesso e stanco il gatto grigio.
-Vorrei poterti dire che si può guarire dalle sofferenze, ragazzo- cominciò Jeremy -Io non so come, però. Esistono delle cose che ancora oggi non riesco a spiegarmi, nonostante abbia la bellezza di sessant’anni ormai. Ragioni che continuano a sfuggirmi, dubbi che infestano la mia mente e paure che scorrono insieme al sangue nelle mie vene. Ho capito solo che alcune cose è meglio non saperle, che bisogna chiudere gli occhi e pregare che i fantasmi vadano via-
Un discorso strano, quasi innaturale, frutto della mente di un uomo che aveva visto qualcosa, secondo un Francis ormai fuori dalla sua strada.
-Vai lì dentro e scopri quanto buio è l’abisso- sembrò concludere l’anziano umano portando il boccale della pipa alla bocca.
 
Il rumore dell’ascensore era fastidioso.
Le parole dell’uomo che risiedeva al pian terreno gli echeggiavano in testa e sembravano non volersene più andare da lì. Francis ci mise esattamente quarantasette secondi ad arrivare allo sgabuzzino all’ultimo piano. Non sapeva il perché, ma era entrato in quel macchinario con la sensazione di aver lasciato alla spalle tutto il resto. La sua vita, i suoi amici, tutti i suoi beni materiali.. non contavano nulla nella stanza che gli apparve oltre l’ascensore. Non c’era nessuno scatolone e nessun vecchio mobile. La finestra circolare che aveva notato per strada era lì infondo, sporca proprio come gli era apparsa all’interno. Un letto era stato posto proprio in un angolo a qualche metro dall’infisso.
Qualcuno invece stava seduto su una vecchia sedia di legno.
Il cuore di Francis sobbalzò quando comprese di non essere da solo. L’incognita seduta lì gli dava le spalle e rivolgeva lo sguardo verso la finestra. Il giornalista riusciva solo a vedere i suoi aculei neri.
Un nero abissale con delle striature rosse.
Gli occhi di Francis sembrarono quasi sbarrarsi senza la sua volontà. Le mani cominciarono a tremare mentre tutto il resto stava fermo. La sua pelliccia sembrò quasi rizzarsi di colpo, come un felino terrestre che avvertiva il pericolo. La mano che si era ferito tornò a bruciare.
La mentre di Francis tornò di nuovo indietro di tanti anni, riportando nella sua testa l’eco di un brano che lesse da bambino, simbolo della prima volta in cui aveva scoperto la paura. L’inno della sua parte più oscura che lo aveva quasi portato all’annientamento durante la sua adolescenza, quando aveva preso l’orrenda decisione di avere giustizia per la morte di  suo padre.
 
Fuori dalla visuale, qualcosa sibila
 
Francis cominciò a camminare lentamente e con passo titubante verso l’estraneo.
 
Plana con grazia antica
 
La luce filtrata dalla finestra sembra illuminare solo lui in quella stanza.
 
I suoi occhi brillano, privi di amore, gioia o dolore
 
Era al suo fianco ormai, ma il gatto non osò abbassare lo sguardo su di lui. Francis non sembra suscitargli il minimo interesse.
 
Il fiato caldo odora dei suoi nemici ormai caduti e di cose proibite, morte e maledette
 
Francis cadde pesantemente in ginocchio quando finalmente comprese. I suoi occhi sembrano quasi uscire fuori dalle orbite mentre seguono freneticamente ogni lineamento di quella figura quasi impossibile. Il respiro del giornalista si fece più pesante.
 
È il sopravvissuto più forte
Il guerriero più puro
 
Il gatto grigio non riuscì a capire perché il suo salvatore non muoveva un muscolo per la sua presenza. Teneva i suoi magnetici occhi scarlatti fissi nel vuoto, niente di più. Il suo unico movimento era il semplice respiro.
 
Risplende nel suo odio
 
Una sola lacrima percorre la guancia dello sconvolto giornalista mobiano. Una goccia di speranza, di consapevolezza.. ma anche di paura.
 
Ed è qui per farmi suo
 
-Non è possibile..- sussurrò Francis.
Aveva scoperto qualcosa che non poteva esistere fino a qualche minuto fa. La sua mente era ancora troppo confusa, ma ormai la verità era innegabile. A pochi centimetri stava colui che viveva nelle tenebre. Per sempre forte, per sempre invincibile e per sempre giovane.
Il gatto rimase shockato e in ginocchio mentre colui che lo aveva salvato la notte precedente e che puniva i criminali più viscidi rimaneva seduto su una sedia con lo sguardo fisso, spento e vuoto.
Shadow the Hedgehog era ancora vivo.
 
 
 
Angolo dell’autore
Ebbene si, il mistero è stato finalmente svelato.. o almeno non del tutto.
Non voglio mettervi sulle spine, almeno non più del dovuto XD Inizialmente il capitolo doveva essere un pochino differente, ma a causa del fatto che era già troppo lungo così ho dovuto tagliare alcune cose. Non c’è stata azione qui, ma spero comunque che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che abbia saputo intrattenervi.
Spero di non sbagliarmi XD
Comunque, nuovi misteri stanno per presentarsi e nuove verità stanno per turbare ulteriormente il nostro Funky. Il prossimo capitolo sarà pieno di spiegazioni su quello che è successo.
Fino ad allora (e vi assicuro che non ci vorrà tanto tempo), vi ringrazio infinitamente per le vostre recensioni o anche solo per aver cominciato a leggere questa storia!!! :D
Vi mando un grande abbraccio, ci vediamo alla prossima!
Vic.

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Capitolo 6
*** The Black Hedgehog Revolution: Il ritorno di Shadow the Hedgehog ***


The Black Hedgehog
Revolution
 
4.
Il ritorno di Shadow the Hedgehog
 
 
Ormai Francis the Cat non poteva più negarlo.
Ridotto così, in ginocchio e con gli occhi sbarrati per lo stupore, il giornalista scoprì definitivamente la verità sulla leggenda che incuteva terrore nei criminali dei bassifondi. Ora capiva il perché erano passati quasi cinquant’anni dalla prima volta che il “vigilante” aveva alzato le mani contro i malviventi più cinici e violenti. Capì anche il perché nessuno fosse riuscito mai a vederlo o anche solo a dare qualche informazione che servisse a identificarlo. Colui che stava seduto su quella vecchia sedia di fronte alla figura provata del giornalista mobiano non era un qualcosa che poteva essere descritta secondo i canoni della sua epoca.
Non era umano e, nonostante lo sembrasse, non era nemmeno pienamente mobiano. L’essere che si nascondeva nella mansarda di quel vecchio palazzo in Evergreen Street era il  protagonista di una storia che tutti pensavano fosse finita un secolo fa. Un guerriero artificiale capace di provare sentimenti più profondi rispetto a Francis e a tutti coloro che potevano vantare di essere nati in modo “naturale”. Quegli occhi scarlatti che il giornalista fissava impaurito appartenevano ad un guerriero che non aveva più alcun rivale.
Eterno, feroce, potente.. perfetto.
La Forma di Vita Definitiva, il figlio della ARK e il rivale senza precedenti di Sonic the Hedgehog. Poteva percorrere distanze immense in un breve lasso di tempo, rompere il muro del suono e manifestare un potere di cui ora più che mai era l’unico detentore. Francis non aveva la minima idea del perché, ma non poteva più negare la verità di cui ora era a conoscenza.
Shadow the Hedgehog era ancora vivo.
Non vi era più alcuna traccia degli anelli sui polsi e sulle caviglie, così come non c’erano nemmeno le scarpe/razzo che Francis aveva visto in quella foto qualche ora prima. Al loro posto c’erano delle calzature malconce in cuoio, consumate e rattoppate chissà quante volte. La “creatura” continuava a non muovere un muscolo, cosa che cominciò a insospettire Francis. Riusciva solo a vedere il suo petto muoversi per respirare, nient’altro. Gli occhi erano spalancati e fissi di fronte a sé,  mentre la sua figura era ingobbita e cupa. Un dubbio pervase la mentre di Funky mentre decise di rialzarsi da quel pavimento sporco. Non osava staccare gli occhi di dosso da quello che sembrava essere l’agente della vecchia G.U.N. mentre il rumore dell’ascensore attirò comunque la sua attenzione. Jeremy, il custode del palazzo, entrò nella mansarda silenziosamente, senza mettere in allarme Francis. Portava con sé un secchio pieno d’acqua e un asciugamano immacolato.
-Tu sai chi è, non è vero?- chiese Francis non appena vide l’umano avvicinarsi.
Jeremy non rispose. Si limitò a poggiare  a terra il secchio e ad abbassarsi per poter inspiegabilmente bagnare l’asciugamano dentro di esso. Cominciò a strofinare il panno contro le braccia e il torace di Shadow lasciando il giornalista perplesso.
-Che cosa stai facendo?-
-Il sangue degli idioti che ti hanno aggredito gli è rimasto addosso, lo sto pulendo-
Questa volta Jeremy rispose, ma le sue parole lasciarono ulteriormente confuso il gatto grigio. Nel frattempo, il riccio nero seduto sulla sedia continuava a non muovere un muscolo e a non proferire parola, lasciandosi ripulire dal sangue incrostato sui suoi aculei e sulla sua pelliccia da un uomo che sembrava essere il suo “tutore”.
-Perché è ridotto così? Che cosa gli è successo?- continuò Francis con le sue mille domande.
Jeremy tirò un profondo respiro mentre finì di ripulire il volto del suo più grande segreto.
-È una storia molto lunga, ragazzo- cominciò l’uomo -Visto che hai fatto tanta strada, però, immagino tu voglia sapere tutto, non è così?-
Non c’era alcun sentimento ad enfatizzare quelle parole, per questo il giornalista mobiano le sentì tristemente vuote.
-Credevo che lui fosse morto..- sussurrò Francis continuando a fissare il riccio nero.
-Sicuramente devono averlo pensato anche i suoi amici, tranne uno evidentemente- commentò Jeremy dopo aver finito di togliere le ultime gocce di sangue.
Mentre l’umano tornò in piedi e ripose il secchio e l’asciugamano lontano da loro, Francis inarcò il sopracciglio in attesa della tanto attesa spiegazione.
-Non l’ho trovai io- disse ad un certo punto Jeremy.
L’uomo andò a sedersi sul piccolo letto accanto al muro poco lontano dal giornalista e dalla leggenda che gli stava seduta davanti.
-Mio padre si chiamava Robert Cunningam.. era un soldato- continuò il sessantenne -Passò due anni in Europa durante la guerra. Quando bombardarono New York venne richiamato per far parte di una squadra di soccorso e trovare eventuali superstiti. Sapeva perfettamente che non avrebbero trovato nulla, ma quando si ritrovò di fronte ciò che le bombe avevano lasciato perse ancora di più ogni speranza. Era tutto distrutto, non c’era niente che fosse rimasto in piedi a parte qualche piccolo palazzo come questo. Passò giorni a cercare sopravvissuti inesistenti sotto ogni singolo rudere carbonizzato, fino a quando non arrivò ad uno delle zone che l’esercito aveva già controllato. Secondo i suoi commilitoni nemmeno lì era stato trovato nulla a parte centinaia di cadaveri bruciati e schiacciati sotto il peso delle macerie. Andò lì per sbaglio, stava semplicemente cercando l’accampamento più vicino per riposare.. fu così che lo trovò-
L’umano si fermò un attimo, lasciando che Francis recepisse attentamente tutti i dettagli che aveva narrato fino a quel momento.
-Le macerie cedettero sotto i suoi piedi, facendolo cascare in una buca creatasi a causa delle bombe. Rimase svenuto per po’ prima di accorgersi di non essersi fatto graffio per miracolo. Doveva essere una specie di magazzino quello in cui era caduto. In seguito capì che era uno di quelli usati per accudire i mobiani quando erano appena arrivati nel 2017 per poi essere abbandonato e usato come garage o chissà cosa. I muri stavano per cedere, per questo si addentrò nella parte più buia in cerca di una via di fuga. Arrivò in una specie di camera e si fermò. Le macerie circostanti gli fecero intuire che quella stanza doveva essere stata nascosta per molto tempo. Pensò che magari qualcuno doveva averla trovata in tempo e aveva evitato di essere disintegrato dai bombardamenti.. appena vide cosa c’era nascosto lì dentro cambiò radicalmente idea-
-Era una capsula costruita con una tecnologia che non aveva niente a ché fare con quella umana. Mio padre si avvicinò e la sfiorò, aprendola senza che lui lo volesse. Capì fin da subito che risaliva ai tempi della distruzione di Mobius e che apparteneva ai suoi abitanti, così pensò che quando avrebbe riferito tutto ai suoi superiori avrebbe ricevuto un riconoscimento per aver fatto quella scoperta. Quando vide Shadow lì dentro.. si convinse del contrario-
-Tuo padre sapeva chi era?- chiese Francis non appena Jeremy ebbe finito di parlare.
Shadow the Hedgehog rimaneva ancora lì seduto a non dare segni di vita.
-Si, lo sapeva perfettamente- rispose l’umano -Ai tempi il mito degli eroi di Mobius era ancora fresco, per questo capì la gravità della situazione. Aveva scoperto che qualcuno che doveva essere morto era invece in stato criogenico e vivo. Così mio padre chiuse quella capsula e la riportò in superficie mentre tutti gli altri erano intenti a cercare i sopravvissuti dei bombardamenti. La fece imballare in modo tale che nessuno potesse sospettare nulla e la spedì nella casa dove si erano rifugiati i miei nonni. Lasciò l’esercito facendo finta di aver ricevuto un grave intossicazione alimentare, venendo quindi congedato e libero di poter capire il perché la Forma di Vita Definitiva era qui sulla Terra. Così riaprì di nuovo la capsula ed esaminò il corpo incosciente di Shadow, scoprendo il perché era ridotto in quel modo-
Quell’attimo in cui Jeremy smise di parlare sembrò un’eternità per il gatto grigio.
-Qualcuno gli aveva sparato dritto in testa-
Francis volse finalmente lo sguardo verso l’uomo, scoprendo il suo volto stanco e provato da quel racconto. Ritornò poi a fissare il riccio nero, comprendendo finalmente il perché non diceva nulla e rimaneva fermo come una statua.
Era ridotto in uno stato quasi vegetativo.
-Ero appena nato all’epoca- riprese Jeremy -Rimasi con mia madre e i miei nonni materni a Northampton fino quando ebbi quattro anni. Quando la guerra finì e Sonic riuscì ad impedire l’annientamento nucleare, ci trasferimmo qui a Neo Crisis City, la nuova New York che stavano costruendo in quegli anni. Prendemmo un appartamento al primo piano a Buchman Street. Ovviamente mio padre portò Shadow con sé, nascondendolo dentro la cantina senza dire nulla a mia madre. Credeva che non l’avrebbe mai scoperto, ma poi accadde l’inevitabile e mia madre si ritrovò davanti questo riccio nero in casa. Andò su tutte le furie, arrivando a litigare con mio padre proprio di fronte a me. All’epoca avevo quindici anni, non capivo quindi la gravità di cosa aveva fatto mio padre nel nascondere un individuo del genere proprio in casa nostra. Così ritornammo in Inghilterra non appena mia madre ottenne il divorzio, lasciando mio padre ad accudire in solitudine il rivale di Sonic. Poi mio padre morì, costringendomi quindi a prendere il suo posto e a tornare qui. Trovai lavoro come custode in questo palazzo e ci portai Shadow-
Francis ascoltò tutto senza fare rumore. Senza accorgersene si ritrovò con la bocca socchiusa e con la mente devastata da quella storia cominciata mezzo secolo fa.
-Questo è tutto- aggiunse Jeremy per poi tirare fuori qualcosa dalla tasca dei pantaloni.
L’uomo si alzò dal letto e ritornò accanto all’assente riccio nero, rivelando una siringa sotto gli occhi di Francis.
-Che cos’è?- chiese Francis preoccupato.
-È un composto che usano per i pazienti in stato comatoso negli ospedali- rispose Jeremy -Contiene delle sostanze in grado di mantenerlo in salute senza aver bisogno di mangiare e dormire. Ho provato a farlo mangiare normalmente i primi tempi, ma non dava alcun segno di vita-
Mentre Jeremy iniettò quello strano liquido trasparente nel braccio destro di Shadow the Hedgehog, Funky fece un passo indietro e riprese a ragionare in modo sensato.
-No.. non è possibile..- sussurrò il gatto grigio.
Jeremy sembrò udire quelle parole, ma non diede alcuna attenzione al suo ospite inatteso mentre l’ago della siringa era ancora dentro la vena del riccio.
-Io.. l’ho visto combattere- cominciò Francis alzando la voce -Io l’ho visto pestare quei ladruncoli senza metterci troppo sforzo. Ho visto i suoi occhi animati dalla rabbia che mi fissavano in modo gelido. Come puoi dirmi che è in coma se l’ho visto cosciente con i miei occhi!?-
Senza accorgersene, Francis aveva aumentato notevolmente il tono della sua voce, rendendola adirata e diffidente. Dall’altra parte, sotto quella maschera di indifferenza, Jeremy comprese i sentimenti del gatto grigio, decidendo di rivelare la verità fino in fondo.
-Ragazzo.. io non ho mai detto che in coma- disse l’umano dopo aver finito di iniettare quel composto chimico nelle vene del riccio nero.
-C..cosa?- domandò perplesso Funky.
Mentre la sua ira sembrò placarsi, Jeremy riprese a parlare nonostante il peso che sentiva dentro di sé.
-A mio padre non è mai capitato. Non ha mai avuto problemi con lui, per questo non sospettò mai delle sue vere condizioni. Dopo qualche tempo che lo portai qui, Shadow cominciò a manifestare i primi segni di “vita”. Ogni mattina, alle 7 e 30 in punto, si alzava da quel letto e si sedeva su questa sedia. Alle 23 circa si rialzava e tornava nel letto per dormire, invece. Quando lo vidi con i miei occhi ebbi quasi un infarto. Capii che stava cominciando a “riprendersi” dopo tutti quei decenni passati a dormire dentro quella capsula. Subito dopo cominciò a biascicare parole senza senso.. poi passò a parlare, ma oltre a pronunciare qualche nome non diceva ancora niente di sensato. Potevo convivere con tutto questo, non era un problema finché un giorno.. non cominciò a “svegliarsi” del tutto-
-In che senso “del tutto”?- chiese Francis titubante.
Il volto di Jeremy si incupì ancora di più, rivolgendo per un attimo lo sguardo verso il riccio nero seduto poco lontano da lui.
-Qualche anno dopo i primi “segni”, arrivò una notte dove venni svegliato.. da lui. Stava lì fermo in fondo alla stanza.. guardandomi con quei suo dannati occhi rossi. Sembrava un demonio, o per lo meno è questo che pensai quando venni preso dal panico. Riuscivo a vedere l’inferno nelle sue pupille.. credevo volesse uccidermi per chissà quale motivo. Poi, quando lo vidi uscire fuori dalla finestra, capii cosa stava succedendo. Accade almeno una volta al mese, senza continuità temporale o altro. Raramente è successo a distanza di due settimane tra un risveglio e l’altro, ma più di questo niente. Si sveglia, esce fuori da qui e va in giro in cerca di qualche criminale da picchiare. Lo fa da trent’anni ormai, non sono mai riuscito ad impedirglielo. Arrivai al punto di incatenarlo, ma lui riusciva sempre a liberarsi. Capii che quello era come un movimento riflesso che gli serve per sfogare tutta la sua rabbia, la sua frustrazione.. tutte cose dovute al mondo in cui si trova ora e a cosa gli hanno fatto per ridurlo così-
Il racconto era finito. Un senso di paura assalì il cuore del gatto grigio, costringendolo inconsciamente ad allontanarsi di qualche passo dalla figura seduta tra lui e Jeremy.
Il mistero era stato svelato. Fu buffo per il giornalista notare come la realtà fosse più squallida di tutte le teorie che quei pochi creduloni avevano formulato sull’identità del vigilante. Chi era quindi questo guerriero nascosto nel buio? Un eroe ridotto ad un guscio vuoto e con la mente distrutta da un proiettile. Una creatura ben lontana dall’essere “perfetta” il cui unico segno di vita era quello di sfogare a caso la sua rabbia con violenza inaudita contro qualche sfortunato malvivente.
La leggenda era morta su Mobius, quello che invece era stato portato sulla Terra era solo il cadavere di un guerriero che aveva fatto il suo corso e che aveva concluso la sua guerra con un ultimo atto eroico, stando a quello che Francis aveva letto su internet.
-Come credi che sia arrivato qui sulla Terra?- chiese il gatto grigio con l’unico scopo di togliersi tutti i sassolini dalla scarpa.
-Evidentemente qualcuno dei suoi amici deve averlo tenuto nascosto a tutti- rispose Jeremy -Forse l’hanno spostato qui non appena scoprirono che Mobius stava per essere distrutta. Magari volevano che vivesse in pace i suoi ultimi giorni..-
-Lui non può morire di vecchiaia come noi- lo interruppe Francis con rammarico -Lui può vivere per sempre-
Jeremy rivolse di nuovo lo sguardo verso Shadow.
-Tu questa la chiami “vita”?- domandò Jeremy.
Non aveva bisogno di alcuna risposta. Francis sapeva cosa intendesse dire quel vecchio uomo.
Non gli rimase altro che arrendersi.
-C’è.. qualcun’altro oltre a te che sa della sua esistenza?- chiese ancora Funky.
-Non lo so..- fu l’unica risposta dell’umano.
Prima che il giornalista potesse rimanere perplesso, Jeremy riprese a parlare.
-A fine mese qualcuno mi lascia una busta piena di soldi nella cassetta della posta, succede almeno da vent’anni. Non sono molti, credono che servano per eventuali spese relative a lui e al suo stato di salute. All’inizio pensavo fosse tutta opera della G.U.N. ma, ripensandoci, capii che non potevano essere loro. Se avessero saputo che la Forma di Vita Definitiva era ancora viva, sarebbero sicuramente venuti qui a rivendicarlo con la forza-
-Chi può essere allora?-
-Forse è qualcuno che continua ancora a sperare..- rispose Jeremy.
Il tempo era finito. Non rimaneva altro che ritornare all’orrenda realtà dei fatti.
Il mobiano e l’umano si guardarono negli occhi. Entrambi erano provati da quella storia e incerti su cosa sarebbe accaduto dopo.
-Non sono venuto qui per scrivere un articolo su di lui- cominciò Francis con le sue spiegazioni -Cercavo qualcuno che mi aiutasse.. e ho pensato che il “vigilante” potesse sistemare la faccenda e impedire che il Comico renda questa città il suo nuovo centro per lo spaccio di droga e chissà di che altro..-
Jeremy guardò incuriosito il gatto.
-Il Comico? Farà passare la sua “roba” da qui?- chiese il sessantenne.
-Si- affermò stanco Francis -Accadrà domani notte al porto. Sarà il primo carico di una lunga serie.. sta volta questa città raschierà il fondo del barile se quei criminali non verranno fermati..-
-Mi dispiace, ragazzo- disse Jeremy sinceramente rammaricato.
L’uomo si avvicinò al giornalista mobiano, notando che questo sembrava diventato più piccolo di quanto non lo rendesse già la sua normale statura.
-Se vuoi un consiglio, abbandona la città e rifugiati da qualche altra parte- cominciò l’umano -Evita le metropoli e trova un paesino tranquillo lontano dal caos. Tieni tutto questo lontano dai tuoi occhi e riuscirai a sopravvivere-
-No.. io non posso-
Francis abbassò lo sguardo e tirò fuori il portafogli.
-Questa città.. è la mia casa. Posso odiarla.. ma rimarrà comunque il posto in cui sono nato e cresciuto. Se dovesse cadere, io cadrò con lei..-
Il mobiano tirò fuori un vecchio biglietto da visita bianco che si era fatto stampare per lavoro in caso di ogni evenienza. Lo porse verso Jeremy, tornando di nuovo a guardarlo negli occhi.
-Qui c’è il mio numero di telefono e il mio indirizzo. Nel caso avesse bisogno di aiuto.. qualsiasi cosa, mi chiami e verrò subito da lei-
Jeremy apprezzò sinceramente quel gesto. Nonostante non lo conoscesse, sapeva perfettamente che quel gatto grigio non avrebbe rivelato a nessuno il segreto che custodiva da tutta la vita e per cui aveva sacrificato tutto sé stesso. Prese quel biglietto e lasciò che Francis se ne andò via da dove se ne era venuto. Lo vide entrare nell’ascensore e scomparire definitivamente dalla mansarda.
Passo un minuto buono prima di poter udire i suoi passi scomparire.
Rimasto solo, Jeremy si voltò verso Shadow per constatare che fosse ancora lì seduto.
Ritrovò la sua figura esattamente come l’aveva lasciata un attimo fa, cosa che lo fece sentire uno stupido. Inavvertitamente, Jeremy lasciò cadere a terra il biglietto da visita del gatto grigio.
Alla fine, anche l’umano abbandonò la mansarda e, come era giusto che fosse, il silenzio tornò a circondare il guerriero caduto.
 
-Channel 7 vi augura un buon proseguimento con il ciclo “Cult del Sabato notte”-
Seduto comodamente sulla sua poltrona con addosso una coperta di lana, Jeremy Cunningam guardava la televisione senza apparente interesse. Sapeva che dopo quegli stupidi reality show venivano trasmessi vecchissimi film di cui ormai erano in pochi a ricordarsi. Provò un senso di nostalgia nel vedere i titoli di testa di Dracula di Bram Stoker, unico film horror di Francis Ford Coppola, il regista de Il Padrino. La mente del vecchio uomo tornò a quando vide quel film per la prima volta da bambino. Si ricordò della cotta spaventosa che si era preso per Winona Rider, pur sapendo che questa era scomparsa da tempo, o del terrore che aveva provato nel vedere Gary Oldman nei panni della creatura più malvagia che avesse mai visto. Nonostante avesse letto il romanzo anni dopo, Jeremy non smise mai di provare quel senso di familiarità che provava verso quel film. Ormai il Sole se ne era andato da un pezzo, portando con se il suo calore e l’apparente sensazione di sicurezza. La luce del televisore era l’unica cosa che illuminava il pianterreno, ma dopo un po’ il peso dell’età si fece sentire.
Su quelle spaventose immagini di Keanu Reeves che veniva reso schiavo da Dracula, il vecchio Jeremy Cunningam si addormentò poco a poco, lasciando che quella luce artificiale illuminasse il suo volto. Mentre la mente dell’umano cominciava a spostarsi nel mondo dell’onirico, qualcun altro era già a letto da un’ora o poco più ormai. Nella mansarda, la sedia che era stata occupata per tante ore risultava vuota. Qualcuno riposava sul letto, sotto delle soffici e calde coperte.
Sdraiato come una mummia in un sarcofago, Shadow the Hedgehog subiva gli effetti di un sonno vuoto. Mentre dormiva, la sua mente risultava come un oceano nero, tranquillo e privo di fenomeni naturali. Quel suo corpo rigido e immobile era lo stesso che aveva affrontato una serie lunghissima di pericoli, di lotte e di numerose avventure che andavano a formare un quadro molto più ampio. Ad essere del tutto sinceri, quelle che noi definiremmo come “avventure” non erano altro che esperienze senza valore per il riccio nero.
Lui non era un avventuriero, lui era un guerriero.
Colui che aveva messo la sua vita al servizio del prossimo, ma con un modus operandi che non aveva niente a ché fare con l’eroe “senza macchia e senza paura”. L’essere che si era ribellato contro il destino che suo “padre” gli aveva messo dinnanzi, sconfiggendo lui e le sue maledette e orribili creature. L’arma perfetta, la prova definitiva del genio di Gerald Robotnik.
La Forma di Vita Definitiva.
Mentre i suoi occhi rimasero ben chiusi, le dita della mano sinistra vennero colte da un leggero tremore. L’oceano oscuro dentro la sua testa cominciò a muoversi come se qualcosa dal profondo stesse cercando di ritornare a galla.
 
Credevi che fosse finita, non è vero?
 
Il respiro di Shadow si fece pian piano sempre più irregolare. Il suono del suo battito cardiaco sembrò trasformarsi nel rumore di mille bombe che esplodono simultaneamente.
 
Non mentirmi, io so che tu l’hai sperato. Così debole, così piccolo, così inutile.. credevi davvero che ciò che ci ha ridotti così potesse uccidere me?
Patetico
 
Tutta la mano cominciò a tremare. La sua figura si scompose, trasformandosi in quella di una creatura debole e impotente che implorava pietà.
 
Guardati. Sei così stupido da credere di potermi tenere rinchiuso per sempre. Non lo sai che sono io il padrone qui? Non hai ancora capito fin dove siamo caduti in basso?
Stiamo sprofondando, ogni giorno sempre di più. Ciò che fa poltrire te, però, rende più forte me.
 
 
L’oceano nero divenne indomabile. Il suo corpo tentò di rannicchiarsi mentre continuava a tremare come una foglia. Nel farlo, le lenzuola vennero cacciate via con un gesto, lasciando Shadow scoperto e inerme.
 
Quel proiettile non avrebbe mai potuto ucciderci. Lo sapevi bene, ma hai sperato comunque che potesse essere finita. Ci vuole ben altro per tagliarci fuori da tutto questo.
Lo hai sempre saputo.
Abbiamo passato troppo tempo qui, sono stanco di marcire.
È tempo di liberarmi
 
Qualcosa cercò di emergere con tutte le sue forze nella testa del riccio nero. Cominciò a sentire un rumore fastidioso, come se qualcuno stesse raschiando del metallo con un coltello affilato.
Shadow strinse i denti e si aggrappò al materasso.
 
Cerchi di bruciarmi, di dirmi che il nostro dovere è finito, ma come fai a non capire che la guerra non è finita?
Lascia che io mi diffonda come un incendio. Lascia che ritorni a combattere questa battaglia. I morti non sono nient’altro che il passato. È arrivato il momento di sollevarmi sopra di loro e di fare quello che va fatto.
Alzati
 
Il suo respiro si fece più brusco. Qualsiasi cosa stesse per emergere, ormai ce l’aveva quasi fatta.
 
Alzati
Dimostra a quei mostri chi è che comanda
Dimostra a te stesso che sei ancora il più forte
Abbiamo un lavoro da fare
Dobbiamo fargli pentire di essere nati
 
Finalmente qualcosa emerse da quell’oceano oscuro.
Forte, agile, veloce e bellissimo. Una figura nera uscì fuori dall’oblio per aggrapparsi alla vita con tutta la sua forza. Sul letto non vi era più nessuno. Al centro esatto della stanza, quella figura nera che finalmente era riuscita ad uscire era in piedi, avvolta nel mantello nero che nascondeva sotto gli assi del pavimento. Un’eco lontano arrivò alle sue orecchie mentre osservava un biglietto bianco trovato per terra. Un solo numero di telefono con un indirizzo.
La città attorno a lui cominciò ad urlare.
Urla di dolore, rabbia e vendetta
Qualcuno stava per accogliere quelle urla, dimostrando a tutti chi aveva il vero potere tra quei patetici bastardi. Con l’agilità che solo lui poteva dimostrare, uscì fuori dalla finestra e si portò con un salto sopra il tetto. Le luci attorno a lui sembravano anch’esse impaurite per la sua presenza.
L’unico sopravvissuto della ARK strinse quel biglietto bianco nella sua mano sinistra, mentre il suo mantello cominciò ad essere animato dal vento.
 
Lentamente, un gatto grigio tentò di aprire gli occhi.
Il sonno non aveva voglia di sopraffarlo quella notte. Nel buio della sua stanza, vide l’orario dal suo orologio digitale, scoprendo che era appena scoccata la prima ora della domenica. Era così confuso e assonnato da non riuscire a formulare nulla di sensato dentro di sé. Sentiva solo quel vento freddo di fine autunno che la notte portava sempre con sé. Dalla finestra entrava la luce del lampione più vicino, mentre dalla strada sembrava esserci un silenzio tombale. Con fatica, Francis the Cat tirò via le lenzuola e si alzò in piedi. La mano gli faceva molto male, ma con qualche antidolorifico si sarebbe risolto tutto. Alla fine non era niente di grave, se lo ripeteva spesso.
Fu la prima cosa che disse nel buio mentre cercava di avvicinarsi al tavolo della cucina. Quell’appartamento era davvero piccolo, ma a lui non gli erano mai piaciute quelle case troppo grandi. Preferiva la classica combinazione “piccola” e “accogliente”.
I suoi occhi dovevano ancora riprendersi, per questo usò il tatto per capire dove si trovasse esattamente. Tocco il tavolo in legno posto proprio di fronte il frigorifero e i fornelli, trovandovi il bicchiere pieno d’acqua che vi aveva lasciato qualche ora prima.
Lo portò alla bocca con l’unico desiderio di dissetarsi per poter tornare a fuggire nei suoi sogni, meravigliosi o orrendi che fossero. Appena le sue labbra sfiorarono l’acqua, si ricordò di un piccolo dettaglio che lo pietrificò per la paura.
Il gatto grigio dormiva ogni notte con la finestra chiusa.
Qualcosa di piccolo gli cadde proprio sotto gli occhi, finendo sopra il suo tavolo. C’era abbastanza luce proveniente da fuori per poter constatare che fosse il suo biglietto da visita. Contro tutta la sua paura, il giornalista mobiano rivolse lentamente lo sguardo verso la finestra alla sua sinistra.
Era lì.
Come in un incubo o nel resoconto di un delirio dovuto alla pazzia.
Questa volta gli occhi scarlatti della Forma di Vita Definitiva lo fissavano per davvero, squadrando ogni centimetro dell’esile figura del gatto grigio. Accovacciato tra l’esterno e l’interno dell’appartamento, il riccio nero si poggiava con un equilibrio da atleta. Il mantello nero gli copriva tutto il corpo, mostrando solo i suoi aculei rossi e neri.
Rimasto a bocca aperta, Funky non osò proferire parola e rompere l’inquietante silenzio. Ogni suo dubbio sul suo reale stato mentale gli venne strappato via non appena udì quella voce profonda.
-Sei venuto da me oggi-
Francis si limitò a fare un lento cenno con la testa per confermare.
-Cosa vuoi?- chiese il riccio nero.
Il giornalista deglutì, sentendo la gola troppo secca per poter parlare correttamente.
-Il Comico..- cominciò Francis -Sta per far partire una serie di piccole navi piene di toxin. La costa ovest è bloccata, così rifornirà tutti gli Stati Uniti soprattutto da qui. Farà scaricare tutto da alcuni criminali di qui per poi farli trasportare negli altri stati.-
-A che ora arriveranno queste navi?-
Francis si aspettava stupidamente un minimo di titubanza da parte di Shadow. Invece questo aveva totalmente ignorato chi fosse l’artefice, il criminale più temuto di tutto il mondo.
-A mezzanotte in punto- rispose perplesso il gatto grigio.
-Come fai ad essere sicuro che accadrà?- chiese il riccio nero.
-Un amico mi ha avvertito. Parteciperà anche lui, ma mi ha detto tutto sperando che sarei riuscito ad avvertire qualcuno che potesse fermare tutto in tempo- disse Francis.
Tornò il silenzio. Funky trovò finalmente il coraggio di guardare dentro quegli occhi scarlatti.
Riusciva a leggere qualcosa di totalmente differente da ciò che Jeremy gli aveva mostrato ore prima. Forse solo lui avrebbe potuto notarlo in quel momento, ma il gatto vide nei suoi occhi una promessa di giustizia circondata da fiamme eterne capaci di consumare qualunque cosa.
-Ci sei riuscito- disse ad un certo punto Shadow.
Quando questo fece per saltare via da lì, Francis prese coraggio e fece un passo in avanti.
-Sei davvero tu, non è vero?- chiese il giornalista -Sei.. “tornato”?-
Shadow si rivolse di nuovo verso Funky, fissandolo con occhi gelidi e profondi. Il riccio nero poteva sentire l’odore della paura che provava il gatto in quel momento.
Con un rapido movimento, la Forma di Vita Definitiva scomparve dalla sua vista, compiendo un grande balzo verso il palazzo successivo. Rimasto solo, Francis the Cat si accasciò a terra senza più forze. Quella che era appena cominciata sarebbe stata una lunga domenica, ormai era chiaro per lui. Non riuscì ad affermare con certezza di aver impedito l’avvento di una catastrofe. In quel momento, Funky fu assolutamente certo di una cosa.
Non c’era alcun bisogno di una risposta alla sua ultima domanda.
 
 
Angolo del’’autore
Eccoci di nuovo qui! Libero da esami e pronto a portare avanti le mie storie sul fandom! XD scusate il ritardo nella pubblicazione, avrei dovuto farlo una settimana fa secondo il programma che mi ero prefissato, ma a causa dei soliti impegni e scocciature non ci sono riuscito. È stato un capitolo breve questo, ma credo che questo rappresenti l’inizio effettivo di una grande avventura per Shadow. Sarà l’impresa più difficile e maestosa.. e vi prometto che arriveranno pericoli da non sottovalutare! Grazie a tutti voi per aver cominciato a seguire questa storia, è incredibile come stia riuscendo a fare un buon lavoro, seppur con qualche difficoltà. In futuro ci saranno delle novità, ma per il momento non anticipo nulla e spero vi siate goduti a pieno questo capitolo :D
Ci vediamo alla prossima ;)

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Capitolo 7
*** The Black Hedgehog Revolution: Il prezzo dei miei peccati ***


Nessuno ha mai avuto il coraggio di chiedermelo.
Forse perché sapevano quanto era doloroso per me raccontarlo ad alta voce, o magari perché avevano paura di far riaffiorare in me qualcosa che ho sempre cercato di uccidere. Se me l’avessero chiesto, gli avrei detto che il primo ricordo relativo a quel momento era il forte rumore dei nostri passi. Correvamo mano nella mano in un lungo e stretto spazio buio che non potrò mai dimenticare. Lei cercava in tutti i modi di trattenere le lacrime mentre la guidavo verso l’unica fonte di salvezza. Piangeva per i morti e per il rumore di spari che echeggiava lontano da noi. Voleva che tornassi indietro per salvare Gerald, ma sapevo che per lui non c’era più niente da fare. Erano tutti morti, rimanevamo solo io e lei. Gli unici due obbiettivi che dovevano essere eliminati a tutti i costi. Maria non riusciva a capire come gli uomini potessero fare cose così orribili come quelle che aveva appena visto. Ad essere sincero, nemmeno io riuscì a capirlo in quel momento. L’unica cosa che volevo era salvarla. La capsula poteva contenere un solo passeggero e quello doveva essere lei. Non potevo lasciare che morisse lì. Aveva tutta una vita di fronte a sé, un futuro migliore che le avrebbe regalato un’infinità di gioie.
Forse, questa è stata la prima bugia che ho detto a me stesso.
Ormai era fatta, avevamo raggiunto la sala. Chiusi la porta di metallo dietro di noi, in modo tale da rallentare l’entrata dei soldati che la G.U.N. aveva mandato per lo sterminio della ARK. Stavo azionando i comandi della capsula mentre Maria rimaneva ferma poco lontano da me, al centro della stanza. Aveva smesso di piangere, non faceva altro che tenere la testa bassa, nascosta dalla sua lunga chioma bionda. “Era solo una bambina”, continuai a ripetere nel corso degli anni.
Come ha potuto tradirmi?
Sentii i soldati cercare di forzare la porta dall’esterno, ormai non c’era più tempo. La capsula era proprio di fronte a me, solida e perfettamente funzionale come avrebbe dovuto essere. L’avevo persa di vista solo per un attimo, un breve, singolo, ma fatale momento.
Quando lo sportello della capsula si aprì, qualcuno mi spinse al suo interno e mi ci chiuse dentro. Quando mi voltai, vidi solo Maria oltre il vetro della piccolissima navicella di salvataggio. Piangeva ancora quando presi a pugni la lastra nel tentativo di romperla. Nonostante le guance rigate dalla lacrime, le sue labbra formavano un sorriso che avrebbe dovuto consolarmi. Urlavo così forte da fracassare i miei stessi timpani mentre continuavo a colpire il vetro con tutta la mia forza.
Lei non mi sentiva.
L’attimo in cui accadde sembrò un’eternità. Uno ad uno, i fucili dei soldati puntarono contro la mia migliore amica. Cominciai ad urlare più forte, ma non servì a nulla. I proiettili raggiunsero il suo fisico troppo esile e malato, penetrando la carne senza alcuna difficoltà.
Li sentii tutti, dal primo fino all’ultimo.
Il suo corpo si contorceva sempre di più dopo ogni colpo. Schizzi del suo sangue macchiarono i vetro che cercavo ancora di distruggere.
Era a terra, ma respirava ancora.
Volse di nuovo lo sguardo verso di me mentre giaceva in una profonda pozza di sangue. Sorrise per l’ultima volta, nonostante l’immenso dolore che avrei dovuto provare io al suo posto. Sentii gli occhi bruciarmi mentre il mio cuore cominciò a contrarsi dentro il mio petto. Non riuscii più a respirare, non sentii più nemmeno le mie gambe a sorreggermi.
La capsula cadde nel vuoto, liberandosi nello spazio aperto. Alla fine mi addormentai in un sonno criogenico, ibernando qualcosa che era appena nato dentro di me.
È così che cominciò tutto.
 
 
The Black Hedgehog
Revolution
 
5.
Il prezzo dei miei peccati
 
 
Forse fu proprio quella la mia “vera” nascita.
Quando accadde avevo a malapena qualche mese di vita. Ricordo che in quel periodo ero così ingenuo, così inutile nel posto in cui mi trovavo. Tutti mi consideravano una risorsa inestimabile, mentre Maria sembrava avermi preso a sé come un fratello. Non ero niente, non sentivo niente. Provavo un grande vuoto dentro di me, come se qualcosa della mia persona dovesse ancora formarsi. Quando i soldati della G.U.N. arrivarono e distrussero quella che era la mia casa, la mia vita e la mia “famiglia”, quando provai quel senso di impotenza, di disperazione, di rabbia.. un'unica verità sembrò mostrarsi ai miei occhi.
Le cose hanno un senso solo se siamo noi a darglielo.
Qualcosa partorita dalla mia testa venne battezzata con il sangue di Maria, dimostrandosi il lato più vivido e forte della mia personalità. Forse è questa la parte di me che merita l’appellativo di “Forma di Vita Definitiva”.
La morte di Maria fu l’inizio di una guerra. Uno scontro senza limiti, senza pietà, senza niente che potesse placarmi o distruggermi per davvero. Presi coscienza di quello che potevo fare e, come prima cosa, dichiarai vendetta a coloro che mi avevano tolto tutto. Ero troppo stupido ai tempi, solo dopo essermi scontrato con Sonic capii chi era il vero nemico a cui indirizzare la bestia che covavo dentro. Iniziò un lungo percorso fatto di battaglie, morti, mostri, odio, disprezzo..
Credevo che fosse finita, che un proiettile potesse bastare a spazzarmi via da questa realtà. Eppure sono ancora qui, seppur con qualche difficoltà e con una rabbia ancora più forte. Ormai ho perso il controllo.. tutto è cambiato così tanto da quando credevo mi avessero ucciso.
Rivivo la morte di Maria per l’ennesima volta, ma solo ora, dopo tutto questo tempo, ho il coraggio di chiedermi se era davvero questo quello che voleva. Era solo una bambina, per questo pensò che salvandomi mi avrebbe concesso una vita gioiosa e senza rimpianti. Cosa direbbe ora di me, vedendomi nel pieno di una sanguinosa guerra che sembra non avere fine?
Ho paura della risposta. Ho il terrore che se lei fosse ancora viva e fosse proprio qui di fronte a me, i suoi occhi si spalancherebbero per l’orribile scoperta di cosa è diventato il suo migliore amico.
Avrei voluto davvero vivere come tu mi avevi detto, Maria. Volevo vivere in pace, magari aiutando gli altri senza dover ricorrere alla violenza. La verità, amica mia, è che tu eri solo una bambina. Non potevi capire come girava davvero il mondo o perché non ci potrà mai essere la “pace” come tu la intendevi. Vorrei poterti dire che è davvero finita, ma non posso più mentire.
Speravo di essere ridotto così male da non poter più fare nulla, ma una parte di me voleva che io sopravvivessi alla  pazzia del mio aguzzino. Ho paura che la rabbia sia più forte di tutto e che sia giunto il tempo di sfogare ciò che mi porto dentro ancora una volta.
Una parte di me ama tutto questo, è il mio più grande peccato. L’unica differenza tra me e gli altri è che io sono disposto a pagarne il prezzo.
 
Fu la luce del giorno a svegliare Jeremy Cunningam.
Amava in particolar modo sentire il calore del mattino punzecchiargli gli occhi, per questo aveva posizionato la poltrona su cui dormiva in modo tale che fosse proprio il sole a svegliarlo. Sicuramente erano le 08:00 precise. Jeremy era particolarmente puntuale nel riprendere conoscenza, anche se non aveva niente che lo costringesse a svegliarlo a quell’ora. La televisione era ancora accesa e trasmetteva il classico notiziario del mattino, quello che precedeva i soliti programmi di ciarle e chiacchiere da casalinghe modello. Qualcosa come il pronipote di Brad Pitt che aveva passato la notte con la discendente di qualche vecchia cantante che nessuno si ricordava più era la “notizia” più importante.
Cose abbastanza degradanti, ma era la pura normalità.
Prese a muoversi lentamente, sentendo tutto il corpo riprendersi dalle meritate ore di sonno. A poco a poco anche la vista tornò alla sua normale condizione, facendogli scorgere qualcosa accanto a lui, poco lontano dalla poltrona.
Una figura nera, più bassa di lui e con il corpo avvolto da quell’inquietante mantello nero.
Il vecchio umano si massaggiò la fronte mentre sgranchì la schiena, mantenendo la calma come se fosse tutto normale. L’aveva riconosciuto fin da subito, ma era comunque contrario all’idea di rivolgere lo sguardo di stupore verso un essere a cui aveva badato per gran parte della sua vita.
-Buongiorno..- disse l’umano quasi con sarcasmo.
Non ci fu alcuna risposta da parte del riccio nero. Mentre questo rimaneva ancora fermo come una statua, il vecchio custode si tirò su dalla poltrona per dirigersi di fronte alla piccola cucina.
-Sei invecchiato, Jeremy-
Finalmente, pensò Jeremy.
La sua voce era una cosa molto rara. Mentre posava la caffettiera su uno dei fornelli, l’umano nascose un sorriso amaro.
-L’ultima volta che mi hai visto da “sveglio” è stato quasi sette anni fa. Non tutti rimangono giovani per sempre come te- rispose infine Jeremy.
Finalmente l’uomo si girò verso il suo interlocutore, poggiandosi sul margine della mensola accanto ai fornelli per la stanchezza. L’individuo più pericoloso che potesse esserci, lo stesso di cui si era preso cura dopo che lo aveva fatto suo padre, era lì. Non riusciva a capire il perché di quel mantello, un tessuto nero che lo copriva dal collo in giù. La striatura rossa sulla sua testa era quasi ipnotica, sembrava persino più scura ora che Shadow era “sveglio”.
Jeremy vide il mobiano rivolgere il suo sguardo pesante verso la televisione, immaginando che stesse osservando con disgusto un frammento del già citato programma per zitelle.
-Sei andato da quel gatto, non è vero?-
Finalmente Jeremy ebbe il coraggio di chiederlo. Non era adirato, non aveva usato la rabbia per enfatizzare quella domanda. Aveva una sua precisa idea su che cosa stava succedendo ed era arrivato il momento di parlarne apertamente, visto che il suo bizzarro “coinquilino” era miracolosamente sveglio.
-Non sei sorpreso di vedermi in piedi? Non sei sorpreso di vedermi così.. vivo?- chiese Shadow voltandosi verso l’umano.
-Non fraintendermi, sono felice che tu non mi abbia costretto a salire in mansarda per controllare se stavi bene, ma non sono sorpreso nel vederti in piedi ora. E comunque, ti ho fatto un domanda- rispose Jeremy.
-Ciò che faccio non è di tua competenza. Ti sei preso cura di me per tutto questo tempo, ma ciò non ti dà il diritto di sapere cosa faccio-
La voce di Shadow era così tetra e cupa da rendere molto sgarbata quella risposta così sottile. Jeremy non provò comunque alcun risentimento per le sue parole.
Aveva semplicemente paura di qualcos’altro.
-Non mi è mai piaciuto il fatto che tu esca di notte qualche volta. Ho provato ad impedirtelo, ma nonostante tu fossi un cadavere ambulante eri comunque così testardo da volerti liberare e combattere contro gentaglia che non potrebbe mai arrivare al tuo livello. Me ne sono fatto una ragione solo perché sapevo che non avresti mai pestato i piedi a nessuno. Picchiavi qualche spacciatore, qualche assassino o qualche ladro? Mi andava bene, ma entrambi sappiamo che ora è diverso, dico bene?-
-Io sono nato per questo, vecchio. Il mio scopo è quello di combattere, non potrei mai impedirlo per nessuna ragione al mondo- rispose Shadow bruscamente.
Jeremy non badò più alla caffettiera stracolma di caffè dietro di sé.
-È proprio questo il punto, Shadow- cominciò l’umano -Tu non vuoi impedirlo. In tutti questi lunghissimi anni ho capito che tu non lo fai per giustizia. Quando lo fai è come se fossi un sonnambulo, non ragioni per davvero. Lo fai perché devi sfogarti, perché vuoi buttare fuori qualcosa che ti tormenta e che non riesci a mandare giù-
Shadow rimase impassibile. Jeremy si chiese come facessero i suoi amici, quelli che lui considerava “leggende”, a reggere i comportamenti di quel riccio.
-Anche se fosse così, Jeremy, tu non hai alcuna voce in capitolo. Credi di sapere chi sono solo perché hai vissuto con me, ma non hai la minima idea di chi sia davvero e di cosa sono capace di fare. Nessuno può contrastarmi, né con la forza come ha fatto tutto il mondo e nemmeno con le parole, proprio come stai facendo tu ora. Sei solo un mortale, un umano identico a tutti i suoi simili. Sei solo un po’ più intelligente, ma per me l’uomo più saggio equivale alla formica più saggia-
Jeremy rimase spiazzato dentro di sé. Avrebbe voluto fermarsi un attimo per dare il giusto peso a quelle parole, ma doveva arrivare fino in fondo a quella questione.
-Ah, davvero? Tu saresti superiore quindi? Dimmi una cosa, perché non corri più alla velocità del suono? Perché non ti teletrasporti più da una parte all’altra? Sai anche spiegarmi il perché non puoi più fare i tuoi giochetti di “magia”? Io lo so il perché, ho sempre saputo questa verità. Tu non sei più quello di una volta. Ti hanno sparato dritto in testa e questo ti ha tolto tutto, anche la possibilità di poter stare al fianco dei tuoi amici un’ultima volta. Ecco perché giochi a fare il “Giustiziere della notte”, perché hai perso tutto e non riesci ad accettarlo..-
-Io sono ancora Shadow the Hedgehog!-
Il riccio nero fece una scatto brusco verso il vecchio uomo. Questo si interruppe, rimanendo sbalordito da quello che era appena successo. Di fronte a lui, Shadow aveva accelerato il suo respiro, ingobbendosi di colpo come se stesse cercando di placarsi. I suoi occhi erano vividi, come delle profonde ferite sanguinolente.
-Io posso affrontare cose che tu e la tua stupida specie non potreste nemmeno comprendere! Posso sollevarmi sopra tutto il resto per dimostrare la mia superiorità. Ho combattuto cose che nessuno avrebbe potuto vincere come ho fatto io. Se la tua specie e i mobiani sono ancora vivi ora è anche grazia a me! C’è ancora una guerra da portare a termine e io non ho ancora finito!- ruggì Shadow.
Il volume della televisione non era più  udibile per Jeremy. Il custode lo guardò negli occhi, costatando ciò che aveva sempre pensato.
-Tu.. hai sempre farneticato di questa “guerra” o come diavolo la chiami- disse l’umano -Scommetto che non ti sei mai dato pace nemmeno all’epoca, vero?-
Shadow ritornò in silenzio, ricomponendosi lentamente dalla sua postura ricurva.
-Io credo che chiunque ti abbia portato qui in quella capsula.. l’abbia fatto per farti vivere in un modo migliore di quanto tu non l’abbia mai fatto. Forse devi rassegnarti all’idea che questa guerra di cui vai blaterando è finita e che tu non abbia più niente a che fare con tutto quello che sta accadendo lì fuori. Forse dovresti mettere da parte la tua rabbia e vivere in pace con te stesso. Forse.. dovresti prendere in considerazione che chiunque sia stato Shadow the Hedgehog.. è morto mentre faceva il suo dovere. La sua storia è finita con onore.. perché non puoi cominciarne un’altra più pacifica ora?-
Le parole di Jeremy erano sincere. Da un lato erano dure, ma erano reali. L’uomo non riuscì a capire cosa stesse pensando il suo interlocutore, ormai tornato a indossare quello scudo di impassibilità e empatia. Jeremy lo vide incamminarsi verso l’ascensore, cercando di portare avanti quel discorso prima che fosse troppo tardi.
-Se Francis ha ragione, è il Comico l’artefice di quello che succederà questa notte. Lascia perdere questa faccenda, lascia che ci pensi qualcun altro. Devi trovare un compromesso con te stesso o non riuscirai mai ad andare avanti- disse Jeremy esausto.
Shadow si bloccò mentre entrava nell’ascensore. Il riccio nero si voltò di nuovo verso l’umano, mostrandosi come una figura contorta e senza tempo grazie a quel suo mantello nero.
-Nessun compromesso- rispose cupa la Forma di Vita Definitiva -Nemmeno di fronte alla morte-
Jeremy lo vide scomparire oltre la porta di metallo arrugginita. Udì il suono gracchiante degli ingranaggi e capì di essere rimasto da solo in quella stanza. Abbassò lo sguardo in segno di sconfitta, pregando inutilmente che i danni delle azioni di Shadow fossero i più contenuti possibili.
 
Una delle armi a doppio taglio di Neo Crisis City era che, se prendevi il vicolo giusto all’interno della grande città, potevi trovare di tutto. Tra le varie cose, riuscivi ancora a trovare delle cabine telefoniche moderne che, nonostante il loro stato fatiscente, funzionavano ancora. Uno dei vantaggi di questi macchinari era che non potevano essere rintracciati o tantomeno identificare il mandante della chiamata. In una di queste, nel cuore dei bassifondi della grande città/isola, un gatto grigio componeva agitato un numero mentre reggeva la cornetta dell’apparecchio. Porto questo all’orecchio sinistro, mentre si voltò in tutte le direzioni per assicurarsi di essere davvero solo. La chiamata partì con il solito “bip”, segno che la linea prendeva e non c’era alcun problema.
-Pronto?-
La voce di Jerry Thompson fu un calmante per i nervi di Francis the Cat.
-Capo.. sono io-
Il giornalista udì la voce del suo capo redattore trasalire dall’alto capo della telefonata.
-Francis!? Da dove mi stai chiamando?-
-Non è importante- disse il gatto -Ora ho bisogno che tu mi ascolti attentamente-
Francis deglutì, dando un ultimo sguardo attorno a sé.
-Questa notte, a mezzanotte in punto, al porto arriverà un grosso carico di toxin. Ne arriveranno altri nelle prossime settimane, ma non so dirti quante di preciso. Vogliono rifornire i centri di spaccio di tutto il paese da qui-
-Cosa!? Come diavolo fai a saperlo!?-
Jerry urlò così forte che il segnale della chiamata sembrò quasi distorcersi, causando fastidio alle orecchie del mobiano.
-Lascia perdere come lo so e fammi finire! È opera del Comico, solo lui è capace di fare una cosa del genere-
-Il Comico!? Hai la minima idea di quello che stai dicendo!? In che cosa ti stai cacciando? Dobbiamo avvertire la polizia!-
-La polizia probabilmente lo sa già e non farà niente. Chiunque stia permettendo al Comico di fare una cosa simile è troppo in alto. Sta notte arriverà la prima nave.. ma qualcuno li fermerà-
-Di chi diavolo stai parlando!? Che cosa vuoi fare!?-
Francis ignorò l’ennesima domanda di Jerry, deciso a tutti i costi di correre il rischio di quello che stava facendo.
-Qualcuno li fermerà, è garantito. Ho bisogno che tu tenga il giornale puntato su questa storia per giorni. Invia tutti i tuoi migliori reporter ad indagare domani, devi tenere questo caso sulla bocca di tutti. Quando scoppierà, tutti i giornali ne parleranno. È l’inizio di qualcosa di grosso, durerà molto più di quanto possiamo immaginare- disse il mobiano tutto d’un fiato.
-Che cos’hai intenzione di fare?-
L’umano sembrava essersi calmato. Il giornalista se lo immaginò seduto nel suo salotto con sguardo basso a cercare di capire che cosa stava per accadere tra qualche ora.
-Forse.. ho trovato qualcuno che può salvarci, Jerry. Forse non è tutto perduto.. forse ora abbiamo qualcuno che può proteggerci davvero-
Ci fu solo silenzio. Francis si guardò di nuovo attorno e decise di chiudere la conversazione.
-Addio- disse infine per poi riattaccare la cornetta.
Il gatto grigio uscì dalla cabina, avviandosi verso la fitta rete di strade con fare svelto. Sarebbe tornato a casa, ma non ci sarebbe rimasto per sempre come aveva progettato nella sua ora più buia. Anche lui doveva essere presente quella notte a tutti i costi.
Sarebbe stato attento, avrebbe preso tutte le precauzioni necessarie e, qualunque cosa sarebbe successa, non avrebbe deciso di intervenire, ma doveva essere lì per ogni evenienza. Era successo qualcosa che andava ben oltre la normale concezione di “impossibile”.
Un guerriero del passato, un eroe caduto di un epoca ormai conclusa era tornato e stava per farsi sentire da tutti. Il gatto grigio sentiva di avere dei forti dubbi su un eventuale “vittoria” e sulle reali condizioni mentali e fisiche del suo “salvatore”, ma bisognava pur sempre tentare qualunque cosa in una situazione disperata come quella.
A poco a poco, Francis the Cat scomparve in quel mucchio di cittadini che passeggiavano tranquilli in quella nuvolosa domenica, preparandosi mentalmente ad una lunga notte.
La più lunga della sua vita.
 
Come ogni giorno, che sia il più brutto o il più sereno, la sera scese mandando via il Sole e lasciando la grande metropoli avvolta nelle tenebre. Molti negozi in tutta la città si apprestavano a chiudere, mentre i vari locali si riempivano di gente per passare la notte in compagnia. I bassifondi si animarono di qualche sbandato deciso a fare un po’ di baldoria per rallegrarsi, senza però dare nell’occhio delle autorità. Le strade delle zone ricche erano percorse da vetture della vigilanza urbana, mentre le caserme di polizia sembravano le più tranquille di tutte.
Neo Crisis City era come un unico essere ben definito e pieno di sfumature e di punti di vista. Una creatura buona e cattiva allo stesso tempo, percorsa da pensieri negativi e positivi. Circondata dal fiumi Hudson, East e Harlem, questa città si attaccava alle altre tramite vari ponti, collegandosi al Queens, al Bronx e ad altre “divisioni amministrative” dello stato di New York. La grande metropoli sembrava ormai discostarsi del tutto da quello che la circondava, divenendo una specie di Stato indipendente, ma su carta faceva ancora parte di quell’enorme blocco che erano gli Stati Uniti d’America.
Lontano dalle zone più popolante, all’estremo sud della città, l’enorme porto si estendeva tra il cemento e l’acqua. Gli operai avevano terminato i loro turni già da un paio d’ore ormai. Persino loro si erano chiesti il perché quella giornata era stata così poco faticosa rispetto alle altre. I loro superiori gli avevano semplicemente detto che i carichi delle navi sbarcate sarebbero stati smaltiti lunedì, e che i guardiani notturni avrebbero badato alle merci come sempre.
Una montagna di container circondava il molo più isolato di tutti. Nessuno poteva immaginare che dentro quei blocchi di metallo si nascondessero una moltitudine persone.
Gente con cui era meglio non avere niente a che fare.
Quarantotto criminali scelti appositamente per la loro fama nell’ambiente, per i loro numerosi crimini e per la loro totale mancanza di scrupoli. Ventiquattro umani e altrettanti mobiani, tutti maschi e, soprattutto, tutti armati per ogni evenienza o anche solo per dimostrare di essere dei veri “duri”. In uno di questi container vi erano tre mobiani, due di questi erano lì solo per volere e per la raccomandazione del terzo, quello che poteva essere definito come il loro “boss” più che come loro “amico”.
Slug, un coccodrillo vestito di un appariscente giacca di pelle piena di borchie e catene, dalla corporatura robusta e con una paio di insoliti occhiali da sole sul viso. Questo stava accanto allo sportello in attesa dell’ora prestabilita, mentre il camaleonte soprannominato Munk e il pipistrello chiamato Fieldy rimanevano seduti sul fondo del cassone metallico senza alcuna luce.
Erano chiusi lì dal primo pomeriggio, per quanto ne sapevano erano stati persino i primi ad arrivare sul posto, ovviamente stando attenti a non essere notati. Ormai mancavano cinque minuti alla mezzanotte, un lasso di tempo brevissimo che non rappresentava alcuna scocciatura per nessuno dei criminali nascosti in tutto il porto.
Il camaleonte si girò alla sua destra, vedendo il suo amico fraterno in un silenzio assoluto. Non avrebbe dovuto essere lì, ma come poteva ribellarsi al volere di chi stava molto più in alto di lui?
Munk si alzò dal pavimento in metallo, suscitando l’attenzione del coccodrillo di fronte a lui.
-Manca poco. Non c’è da preoccuparsi- sussurrò Slug con la sua voce gracchiante.
Aveva stampato sul muso quel sorriso affilato e sprezzante, simbolo di una vittoria imminente.
Per vittoria si intende un mucchio di soldi e, con buona probabilità, un occhio di riguardo da parte dei criminali più temuti della città.
-Sei proprio sicuro che non avremo problemi?- chiese Munk avvicinandosi al rettile.
-Scherzi, Munk? Non puoi nemmeno immaginare quanto è stato organizzata bene questa festa, amico-
Nonostante cercasse di mantenere la voce ad un livello molto basso, Slug non poté fare a meno di ridere al pensiero di tutti gli sfizi che si sarebbe tolto con i soldi guadagnati con quel colpo. Pregustava già una vita piena di lusso, ma per Munk era solo un illusione.
-Non mi frega di quanto è organizzato bene. Non avremmo dovuto portare Fieldy, sarà un problema averlo con noi- protestò il camaleonte.
-Datti una calmata, genio. Fieldy non dovrà fare nulla, saremo noi ad occuparci di tutto. Guadagneremo un mucchio di soldi e lui non farà nulla, consideralo un regalino da parte del tuo caro e vecchio Slug, okay?-
-Non abbiamo mai fatto niente di simile e tu lo sai- cominciò Munk -Chi ti dice che la polizia non sappia tutto e che non ci stiano tenendo un’imboscata? Non ti è passato per la mente che questa potrebbe essere una maledetta trappola?-
Slug si rivolse totalmente verso Munk, lasciando perdere l’orario.
-Ti ho detto mille volte che non è così. Rilassati, non durerà molto. Scarichiamo la nave e mettiamo tutto nei container. Domani mattina i camion li porteranno via e nessuno avrà visto niente. È un piano perfetto. E poi, ti assicuro che la polizia non sa niente e che siamo più al sicuro di quanto immagini. È garantito-
-E quale sarebbe la garanzia?- chiese il camaleonte inarcando il sopracciglio.
Il coccodrillo sputò per terra, dando un ultima occhiata al suo costoso orologio digitale, il bottino di uno borseggio di qualche giorno prima.
-Il Comico ha messo il suo braccio destro a sorvegliarci- rispose Slug dopo un po’.
Munk rimase impietrito e shockato. Il pensiero che qualcuno che stava alla dirette dipendenze del Comico fosse lì presente lo fece stare male.
Che razza di individuo potrebbe essere uno così?
-Il braccio destro del Comico? E tu ti sei deciso a dirmelo soltanto ora?- chiese Munk al limite della sopportazione.
-Te l’ho detto per farti stare calmo, Munk. Quindi stai zitto e non rompermi le palle- sbottò Slug con acidità.
-Ascoltami, questa è una gran cazzata- cominciò Munk -Forse dovremmo girare i tacchi e andarcene. Prendiamo le nostre cose e andiamo fuori città, giusto il tempo necessario per far calmare le acque. Potremmo andare a Boston, abbiamo degli amici lì che possono coprirci-
Slug si voltò bruscamente verso il suo complice, lanciandogli un occhiataccia del tutto improvvisa.
-Apri bene le orecchie, Munk: noi non possiamo tirarci indietro proprio ora. Questo non è un giochetto del cazzo a cui siamo abituati. Questo è un carico di droga uscito direttamente dalle mani del Comico, lo stesso pezzo da novanta che ha spazzato via tutta la criminalità organizzata del pianeta. Non hai la minima idea di quanti culi ho dovuto leccare per farci partecipare. Se scappiamo come delle femminucce, qualcuno che il Comico pagherà profumatamente ci troverà e ci scuoierà vivi. Quindi adesso noi rimaniamo qui, facciamo quello che dobbiamo fare e incassiamo la paga. Ti prometto che quando avremo i soldi vedremo di spedire quel maledetto tossico di Fieldy in un centro di recupero, ma ora stai zitto e fai il tuo lavoro. Sono stato chiaro?-
Munk sentì la sua mano sinistra tremare.
Avrebbe voluto colpire così forte il muso di Slug da staccargli un paio di denti. Come tanti gli avevano detto nel corso della sua vita, preferì rimanere calmo e “ingoiare la merda”. Si limitò ad un breve cenno con il capo, seguito dalla sveglia digitale dell’orologio del coccodrillo, attivata poco tempo prima per essere in orario.
Fieldy cominciò ad alzarsi in piedi su ordine di Munk, mentre il coccodrillo cominciò ad aprire lo sportello.
-Tenetevi pronti e non aprite bocca- disse Slug come ultimo avvertimento.
I tre mobiani uscirono dal container, trovandosi intorno montagne di cassoni illuminati dai lampioni lungo il porto mentre la Luna stava in cielo come se fosse una loro complice.
Il rumore di tanti sportelli che si aprivano fu l’annuncio dell’entrata in azione di tutti gli “impiegati”. Sbucarono dal buio dei container come predatori in cerca di carne fresca, muniti di svariate armi che tenevano ben strette tra le loro braccia. Potevano essere almeno una quarantina ad occhio e croce, un somma che non combaciava con le iniziali informazioni di Munk. Tutto era cominciato proprio dal coccodrillo che stava cominciando a detestare più del solito;
Era da almeno un mese che sentiva svariate voci nei bassifondi. All’inizio gli sembrò assurdo pensare che quella città fosse stata scelta per uno dei colpi grossi del Comico, ma dovette ricredersi quando cominciò a sentire le stesse voci tra gli scagnozzi dei Fratelli Millar. Scott e Stephen, due umani che da più di un decennio amministrano l’attività criminale di Neo Crisis City. Il primo era un vero “puttaniere”, un uomo piuttosto subdolo e “viscido” che frequentava le prostitute di Crime Alley, le più care della città. Suo fratello Stephen, invece, era molto più riservato, serio e poteva essere definito come la vera “mente” del duo. Era lui che gestiva il via vai del traffico di stupefacenti, il mercato della prostituzione e i bordelli, i racket, i night club e tutte quelle attività notturne che fruttavano veramente tanto. I Millar erano quindi i “signori del crimine” della città, l’apice di una torre costruita col sangue e con la paura. L’unico a cui dovevano rispondere era proprio il famigerato Comico, l’unico essere che abbia mai tenuto per le palle il 90% delle organizzazioni criminali mondiali.
Uno con le palle quadrate” aveva detto un amico di Munk tempo addietro.
Con la frontiera californiana chiusa e sotto stretta sorveglianza della G.U.N., al Comico non rimaneva altro che far arrivare le sue navi da Neo Crisis City, uno dei pochi porti della costa Est capaci di ospitare le sue imbarcazioni e le relative  merci. Il piano era semplice: aspettare la nave che sarebbe arrivata in pochi minuti, scaricarla e spostare il contenuto nei container. La nave, essendo un mezzo piuttosto sofisticato, avrebbe ripreso il largo grazie al suo pilota automatico, scomparendo di nuovo verso l’Oceano Atlantico. Per quanto riguarda i container, la mattina successiva sarebbero stati trasportati fuori dalla città senza subire nessun controllo da parte delle autorità competenti. Una piccola parte della merce sarebbe rimasta lì in città, ovviamente.
Ormai tutto il gruppo si era radunato al punto in cui la nave avrebbe attraccato. Nessuno diceva nulla, né gli umani e nemmeno i mobiani. Smisero di scambiarsi occhiate a vicenda quando la tanto attesa imbarcazione si avvicinò al molo. Quando fu abbastanza vicina, delle aste meccaniche uscirono dal suo dorso e si agganciarono al pontile. Quella non era una semplice nave, ormai lo sapevano tutti i presenti. Si trattava di un mezzo troppo sofisticato, talmente tanto da non poter essere rintracciato da nessun radar.
-Chissà quanto costerà ‘sta porcheria..- disse a bassa voce un umano del gruppo.
Un grande sportello si aprì dal mezzo nautico, mostrando al suo interno un immenso numero di sacchi azzurri. Queste contenevano il toxin, ma sarebbe stata venduta per le strade di tutte le città del paese solo dopo essere stata raffinata e trattata nei centri di spaccio. Era la cosa più nociva che potesse esserci, ma gli effetti allucinogeni che davano erano i più potenti. Con una dose minima, il soggetto che la assumeva entrava in uno stato euforico dove il suo battito aumentava progressivamente nell’arco di dieci minuti, mentre la sua mente sarebbe stata invasa da svariate allucinazioni. Bisognava assolutamente far passare almeno mezz’ora tra un’assunzione e l’altra, o si rischiava l’overdose immediata. Nel caso in cui un soggetto dovesse assumerla in grandi dosi, la morte è praticamente assicurata.
Quella era la droga della feccia più incontrollabile del paese, ma anche di coloro che non frequentavano i bassifondi. La parte “migliore” della droga veniva venduta ai clienti più ricchi, mentre lo scarto arrivava per le strade. In pochi anni dalla sua messa in commercio, il toxin registrò un numero di vittime elevato, una strage che si è attenuata dagli stessi spacciatori che la vendono. Erano stati imposti degli orari per venderla e un limite sulla quantità che dovevano essere rispettati.
Il lavoro cominciò nel silenzio e frettolosamente, dividendo tutti in tre gruppi. Il primo era dentro la nave a raccogliere le sacche per poterle passare al secondo gruppo all’esterno, che le avrebbero raggruppate sul molo in mondo tale da poterle mettere nei container più tardi. Il terzo gruppo controllava la zona, rimanendo in allerta con le loro armi da fuoco intorno alla montagna di sacche azzurre che si stavano lentamente accumulando sul terreno.
C’era un silenzio quasi religioso e Munk lo odiava. Aveva lasciato Fieldy con il terzo gruppo, così questo non avrebbe dovuto fare nient’altro che rimanere fermo con un fucile. Aveva perso di vista Slug da quando era entrato dentro la nave con il primo gruppo.
Nessuno tra loro si accorse di una strana figura che li osservava dalla cima di quella montagna di container. Avvolta nel buio, i suoi contorni erano difficili da distinguere a causa dell’assenza di luce. Rimaneva accovacciata a guardare quelli che per lui erano degli agnelli travestiti da lupi. Di lì a poco avrebbe fatto in modo che si accorgessero con orrore di lui.
Francis ormai lo conosceva bene quel vigilante.
Facendo leva sulle su gambe, la Forma di Vita Definitiva fece un grande balzo da quell’ammasso di container, lasciando che il suo corpo avvolto in quel mantello nero si abbattesse contro un umano del terzo gruppo intento a fare la guardia armato. Era solo una questione di secondi prima di urtare il suo obiettivo, dando un nuovo inizio alla sua guerra.. questo Shadow lo sapeva bene. Nel vuoto, mentre il suo mantello sembrò tramutarsi in un paio d’ali demoniache ingrandendo di conseguenza la sua figura, il riccio nero sorrise al pensiero che quella sarebbe stata una notte importante per lui.
Una notte che quei criminali non avrebbero mai dimenticato.
 
 
 
Angolo dell’autore
E ben ritrovati a questo nuovo capitolo!!! Che dire.. innanzitutto devo scusarmi con tutti per il ritardo. Ho avuto veramente troppi impegni nell’ultimo periodo, è stato difficile trovare abbastanza tempo per scrivere e per venire a farmi un giro qui su Efp.
Tornando a noi, questo è stato un capitolo molto bello da scrivere, soprattutto per quanto riguarda il finale (l’avete già capito che nel prossimo vedrete un sacco di botte? XD). Non dovrebbero esserci errori così grossolani, ma nel caso ne trovaste qualcuno segnalatemeli, così potrò correggerli. Il prossimo capitolo non tarderà ad arrivare, visto che ora ho finalmente molto più tempo da dedicare alla scrittura.
Per concludere, vorrei ringraziare tutti coloro che hanno recensito questa storia. A volte rileggo queste recensioni per ricordarmi il perché ci tenga così tanto a questo fandom e a tutti i suoi utenti! Un grazie di cuore, a tutti voi! E scusate se non sono riuscito a rispondere alle vostre recensioni.. sappiate che ci tengo veramente tanto alle vostre opinioni J
Ora vi saluto, ci vediamo alla prossima!!!!
Il vostro caro Vic.

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Capitolo 8
*** The Black Hedgehog Revolution: La danza del guerriero ***


Stava per finire. Finalmente Shadow lo aveva capito.
Tutto quel dolore, tutte quelle morti, tutti i cadaveri e quel sangue versato inutilmente non avrebbero avuto alcun seguito. Stava per finire lì, in quel maledetto giorno. La mente del riccio nero era in fiamme, mentre il suo corpo rigido percorreva i corridoi della scuola elementare. Alla fine era successo: quel mostro aveva messo in pericolo la vita dei bambini. Shadow immaginò quel bastardo mentre irrompeva nella scuola, uccidendo in massa tutti quelli che si trovava di fronte. Lasciò in vita solo gli studenti, per avere un’esca bella grossa da sventolare sotto il naso del riccio nero. Ogni volta che riusciva ad evadere, combinava stragi sempre più orribili. Non era come gli altri criminali, soprattutto Eggman, questo Shadow lo aveva capito da tempo. Non c’era nessuno su Mobius capace di usare il sangue delle sue vittime per disegnare delle frecce sui muri, proprio come aveva fatto “lui” quel giorno, in quella maledettissima scuola elementare. Quando vide la porta indicata da tre grosse frecce rosse, Shadow non esitò ulteriormente, sfondando la porta con un solo calcio.
<< Non c’è niente di sbagliato in te, ora l’ho capito>> pensò Shadow << Niente che io non posso sistemare con le mie mani >>
L’aula in cui quel mostro si era rifugiato era vuota. I banchi erano stati scaraventati dapertutto, mentre la cattedra ricopriva il cadavere di un insegnante. Shadow non se ne curò, consapevole che per quela vittima non c’era più niente da fare. Posò direttamente gli occhi sul suo mortale nemico, seduto su un banco con le braccia incrociate.
- Sapevo che non mi avresti fatto aspettare - disse con quella sua maledetta voce.
Sorrideva ancora mentre si metteva in piedi.
- Dove sono? Dove hai nascosto i bambini?-
- Locale caldaie - rispose.
Scourge the Hedgehog. Oggi sarebbe finito tutto.
- Tranquillo, non li ho torto nemmeno un capello. Avevo solo voglia di vederti- aggiunse il riccio verde.
Si sistemava la giacca di pelle nera, sorridendo come se tutto il mondo fosse una stupida barzelletta. Shadow odiò quel gesto con tutto il cuore.
In un attimo, il riccio nero gli fu addosso. Lo afferrò per la gola e si schiantarono contro il muro alle loro spalle, distruggendolo. Si ritrovarono nel corridoio adiacente, con le mani di Shadow ancora strette sulla gola di Scourge.
- È finita - ringhiò la Forma di Vita Definitiva.
La risposta fu una ginocchiata in pieno petto che fece barcollare all’indietro Shadow. Il riccio verde gli rise in faccia
- Allora ti conviene dare il meglio, Shadz! Questo è il nostro ultimo round- tuonò Scourge.
Anche lui l’aveva capito, forse era proprio quello che voleva. Le mani di Shadow furono ricoperte da una luce verde incandescente, mentre il mostro continuava a schernirlo con lo sguardo.
<< Questa è la fine, vecchio mio >> pensò Shadow, ormai preda di una rabbia cieca.
<< È la fine per tutti e due >>
 
 
 
The Black Hedgehog
Revolution
 
6.
La danza del guerriero
 
 
Quella era una razza stupida.
Nel pensarlo, Shadow the Hedgehog non si riferiva né ai mobiani e nemmeno agli umani. In quel porto, nel cuore della notte, c’erano solo criminali. Nessuno escluso. Quelli con le armi furono difficili da abbattere, poiché dovette saltare da una parte all’altra per non essere preso dai proiettili. Solo i codardi usano i fucili, secondo lui. Non risparmiava la forza nei colpi, riuscendo ad essere preciso e letale. Si accasciavano tutti, nessuno escluso. Qualcuno con le ossa rotte, altri con una commozione cerebrale. Qualcuno non sarebbe più riuscito a camminare, ma a Shadow non importava. Avvolto in quel mantello nero malandato, sfrecciava agilmente da un bersaglio all’altro. Nessuno aveva capito cosa stava succedendo perché sarebbero dovuti essere soli quella notte. Solo loro e la droga che il Comico aveva spedito sulla nave. Chi non si buttava nella mischia rimaneva fermo a guardare la scena senza riuscire a capire nulla. Vedevano solo una figura nera che stava massacrando i loro compagni, con un’agilità da atleta olimpionico. Quelli che erano entrati dentro la nave per scaricare il carico si gettarono immediatamente, ma l’esito fu sempre quello. Shadow li stava massacrando e, cosa ben peggiore, li stava facendo conoscere un nuovo tipo di paura che non avevano mai provato. Più andava avanti e più saliva l’adrenalina. In pochi minuti aveva lasciato decine di corpi agonizzanti ai suoi piedi.
Quanti erano? Non è importante per lui. Quelli che ancora dovevano buttarsi nella mischia, una manciata di umani, scapparano da bravi codardi quali erano.
- Quello non è un polizziotto! - urlò uno di loro mentre correvano via dal porto.
Quel piccolo gruppo che era rimasto nel vano tentativo di farlo secco fu anninetato dalla sua furia. Non riusciva più ad avere il controllo della sua mente, eppure non gli importava. Quando i rumori degli spari finirono e le urla di dolore riecheggiavano lungo tutto il porto, Shadow si fermò ad assaporare l’aria della notte.
Da quanto tempo non si sentiva così bene?
Osservò i sacchi di toxin sparsi per terra, per poi concentrarsi su tre figure vicino alla nave. Il primo, un coccodrillo, scattò contro di lui ringhiando. Quando fu abbastanza vicino, il riccio nero lo bloccò afferrandogli un braccio. Il modo in cui lo rigirò fu orrendo. Il rumore dell’osso che si spezzava fu sovrastato dall’urlo del coccodrillo. In un ultimo tentativo, il criminale colpì con il braccio libero il volto di Shadow, scoprendo il suo volto dal cappuccio del mantello improvvisato. Vide i suoi occhi scarlatti, impassibili. Poi vide il suo sorriso.
La testa del riccio scattò contro il muso del coccodrillo per poi liberarlo dalla presa. Rimanevano solo due in piedi, un camaleonte e un pipistrello. In un secondo fu accanto ai loro corpi rigidi per la paura. Stava per annientarli, quando sentì il camaleonte urlare una frase che non riuscì a capire. Si bloccò, incuriosito.
- Sono un amico di Francis! -
Francis? Shadow non capiva.
 
Il gatto.
 
Lasciò la presa e guardò i due mobiani.
- Levatevi dai piedi - disse il riccio nero mentre tirò fuori qualcosa di metallico dal suo mantello. Quando lo fece risplendere alla luce della luna, Munk prese Fieldy per un braccio e lo trascinò via da lì. Finalmente Shadow era solo.
La notte, quando usciva fuori dalla sua dimora, non andava solo alla ricerca di qualche tossico su cui sfogarsi. Gli piaceva anche “sequestrare” le armi che trovava in giro per la città. La granata che aveva appena lanciato dentro la nave era una di quelle. L’esplosione la distrusse insieme alla droga, mentre quella sul molo sarebbe stata trovata dai polizziotti che tra poco avrebbero raggiunto il posto richiamati dall’esplosione. Purtroppo fu tutto fin troppo facile. Il riccio osservò impassibile le fiamme, inebriandosi per quella notte fredda come piaceva a lui.
Nessun pensiero, nessun rimorso. Era solo stato attento a non uccidere nessuno, l’unica regola rimasta. Non era come ai vecchi tempi, prima che la sua vita fosse distrutta. Stava per decidere di andarse quando un suono metallico alle sue spalle richiamò la sua attenzione. Fece appena in tempo a fare un balzo verso destra, riuscendo ad evitare un grosso sportello metallico che gli avevano scaraventato addosso. Chinatosi a terra, volse lo sguardo verso i container e lo vide.
Non poteva essere umano. Mai visto un umano alto due metri e così ben piazzato. Il fisico era perfetto, dannatamente perfetto. Una montagna di muscoli silenziosa che si avvicinava a lui con passo pesante. Quando fu abbastanza vicino, Shadow capì che si trattava di un lupo. Il pelo era grigio scuro, coperto da una giacca di pelle nera smanicata e da un paio di jeans blu scuri. Un congegno metallico copriva il muso, rendendo il suo ruggito ovattato. Shadow non poteva saperlo, ma quello era un diretto “dipendente” del Comico, mandato lì per sorvegliare la situazione. Non si era fatto vivo prima perché forse pensava che i criminali fossero abbastanza pronti per ucciderlo. Shadow lo aveva evidentemente convinto del contrario.
Sarebbe dovuto andarse il prima possibile, prima che la zona fosse invasa dai polizziotti. Questione di minuti avrebbe sentito le sirene delle loro macchine. Gli occhi scarlatti del riccio continuavano a fissare il fisico perfettamente atletico del lupo.
 
No, tu non ti tiri indietro proprio adesso. Finisci il lavoro.
Fagli vedere chi è che comanda.
 
Shadow sorrise. Scattò verso di lui. Quando gli fu accanto, il lupo cercò di colpirlo. Evitato il colpo, Shadow scivolò ale sue spalle e lo colpi ai polpacci, senza ottenere nulla. Il lupo si girò, cercando di chiuderlo in un stretta. Ancora una volta, Shadow balzò in aria, sferrando un altro calcio quando fu all’altezza della testa dell’avversario. Il colpo fu abbastanza potente da farlo indietreggiare, permettando a Shadow di rincarare la dose con una serie di pugni. Il gomito del lupo arrivò come un treno, lanciandolo a qualche metro di distanza. Shadow sentì il suo sangue in bocca, il colpo l’aveva preso proprio alla gola.
 
Alzati.
 
Fu di nuovo in piedi, ma il lupo gli era già addosso. Cercava di prenderlo a pugni. Shadow riuscì a scivolare e ad allontanarsi. Mise tutta la forza che aveva, colpendo il lupo con un gancio dritto al volto. Impassibile, il lupo riuscì ad stringerlo tra le sue braccia. Per quanto fossero dure le suo ossa, Shadow capì che quella stretta l’avrebbe spezzato nel giro di un minuto. Da quanto tempo era che non affrontava una cosa del genere?
Mentre veniva stritolato, riusci ad udire le sirene della polizia in lontananza. Questione di minuti, doveva fare presto. Cominciò a prendere a testate il lupo, sbattendo la testa proprio sul congegno metallico. Il lupo sembrò preoccuparsi per il danno, liberando il riccio dalla presa. Shadow cadde a terra, accorgendosi solo in quel momento che si era slogato un braccio. Dalla sua bocca usciva il sangue, l’adrenalina stava lasciando spazio al dolore. Nonostante tutto, Shadow si lanciò di nuovo contro il lupo, colpendo con un montante dritto sul mento. In passato ne avrebbe avuto di armi per vincere quello scontro. Ora poteva solo contare sul suo corpo privo di supervelocità e Chaos Control. Era così stupido da non riuscire a capire che non avrebbe potuto vincere quello scontro con la forza bruta.
Un nuovo pugno arrivò su Shadow, scagliandolo violentemente a terra. Entrambi udirono le sirene vicinissime. Bastava un solo colpo per mettere la parola fine a quello scontro.
 
Sarebbe una bella morte.
 
Ormai fuori combattimento, Shadow alzò la testa. Osservò il lupo scappare, lasciando una scia di sangue dietro di sé. Shadow rise di gusto, nonostante il suo corpo fosse messo male.
 
Ma non bella abbastanza.
 
Senza volerlo, gli occhi del riccio nero si chiusero. Prima di perdere conoscenza, riuscì a sentire dei passi avvicinarsi a lui. Una voce familiare lo stava richiamando.
Un gatto grigio lo caricò sulle sue spalle, nel disperato tentativo di portarlo via dal porto.



Non ho avuto il tempo per correggere eventuali errori, sorry.
Vic10

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Capitolo 9
*** The Black Hedgehog Revolution: I tempi stanno cambiando ***


The Black Hedgehog
Revolution

 ​7.
“I tempi stanno cambiando”
 
 
Alla fine, lo aveva fatto.
Nonostante si fosse impuntato e avesse quasi tentato di chiudersi in casa sbarrando la porta, Francis era lì al porto quella notte. Sapeva cosa sarebbe successo, ma non fu comunque emotivamente pronto a quella situazione. Si era messo la sua solita giacca, aveva tirato dal magazzino fuori città la sua vecchia Chevrolet di famiglia e aveva guidato fino al porto. Nascosta nella giacca, la mano non smetteva di impugnare nervosamente il revolver. Quand’era ragazzino era solito nascondersi un po’ dovunque per non farsi trovare da chiunque. Ciò gli diede abbastanza esperienza da sapere come muoversi. Nascosto nei conteiner, vide prima i criminali radunarsi in un punto lontano da lui. Ci mancava poco che lo scoprissero. Poi vide arrivare la nave, un veivolo altamente sofisticato che non aveva mai visto in vita sua.
Vide i criminali organizzarsi e riuscì a riconoscere Fieldy e Munk. Proprio mentre stava per chiedersi che fine avesse fatto “lui”, lo vide.
Cadde dal cielo, o almeno così sembrava. Doveva essersi buttato dalla cima più alta di quell’ammaso di container. Il dubbio che forse un solo individuo non poteva nulla contro un mini esercito armato venne smantellato pezzo per pezzo quando Funky vide il riccio nero mettere fuori gioco chiunque con una rapidità e una facilità impressionante. Evitava le raffiche di mitra e colpiva gli avverarsi come se stesse danzando. Era violento, così tanto da mettere a dura prova i nervi di Francis. Seguiva uno schema ben preciso: spezzare le ossa dei più spavaldi per spaventare quelli che rimangono in disparte. Il bello era che stava funzionando. Tutto durò dieci minuti. Chi non aveva provato a contrastarlo si era dato alla fuga. Quelli rimasti erano incoscienti o in stato di shock, mobiani o umani che fossero. Poi vide Fieldy e Munk che si davano alla fuga e qualcosa che Shadow aveva lanciato nella nave.
Quando esplose, Francis rimase a bocca aperta. Aveva capito fin da subito che Shadow voleva attirare l’attenzione dei polizziotti. Era pazzo, o almeno così aveva capito, ma quello sembrava un gesto premeditato, parte di un piano ben preciso.
Stava quasi con esultare, finché non vide il grosso lupo lanciare lo sportello di un container contro Shadow. Li vide combattere mentre le sirene della polizia si facevano sempre più vicine. Gli spari e le esplosioni dovevano averli richiamati.
Il combattimento durò poco, Shadow stava perdendo. Fortunatamente, il lupo scappò via prima che la polizia arrivasse, ormai una questioni di pochissimi minuti. Shockato, Francis si avviciò al corpo ferito di Shadow. Cercò di svegliarlo, ma ormai aveva perso conoscenza. Mentre lo caricava sulle spalle vide il braccio destro del riccio penzolare come se fosse rotto. Le sirene erano fortissime, le auto stavano per entrare nel porto. Con il cuore che batteva a mille, Funky trascinò Shadow verso i conteiner, facendosi largo tra quei blocchi di metallo sperando che fossero abbastanza grossi per nascondersi. L’auto era parcheggiata vicino all’entrata del porto. Quando vide quattro auto della polizia entrare a tutta velocità dentro il porto, il gatto grigio corse più veloce che poteva verso la sua macchina. Dopo aver caricato con fatica Shadow sui sedili posteriori, Francis dovette fare qualche tentativo prima di riuscire ad accendere la macchina. In un attimo, quasi senza accorgersene, stava già percorrendo la strada che portava verso il centro della metropoli.
Non riusciva a formulare un pensiero logico. Cosa sarebbe successo ora?
Tremava come un foglia. Quando si accorse che la radio emetteva suoni distorti, la spense con un gesto brusco. Avrebbe riflettuto sul da farsi, ma prima doveva riportare Shadow a casa.
<< Mio dio, ci è riuscito >> pensò incredulo Francis. Ed era vero, nonostante il riccio nero fosse ridotto male. Era riuscito a impedire che un immenso carico di droga circolasse per tutta la città, fino ad espandersi in tutta la nazione come una brutta malattia. Avrebbe dovuto festeggiare, magari alzando il gomito in qualche bettola come se non ci fosse un domani. Un debole sospiro lo fece trasalire.
- Tails.. -
La voce alle sue spalle era debole, eppure così terribilmente profonda.
- Ce l’hai l’età per guidare, ragazzo? -
Stava delirando. Forse era per tutti quei colpi sferrati dal lupo.
- Non importa.. non mi interessa.. -
La sua voce era impassibile. Smebrava quasi che non volesse mostrare i segni del dolore, che mettesse tutte le sue forze per non ammettere che era ridotto male.
Ma chi diavolo era questo Tails?
- L’importante è che tieni quell’idiota di Sonic lontano dai guai.. - disse ancora Shadow, come per chiudere quel discorso. Quando sentì il nome del riccio blu, Francis deglutì nervosamente. Alle sue spalle, Shadow sorrise beffardo.
 
 
Jeremy Cunningam non aveva un buon rapporto con la religione.
Era cresciuto in una famiglia cattolica di vecchio stampo. Ogni domenica, sua madre lo costringeva ad andare in chiesa, quando Jeremy voleva solo rimanere a casa a leggere i suoi amati fumetti. Faceva qualche piccolo lavoretto nella vecchia Northampton per poterli pagare. I suoi preferiti erano Blue Beetle della defunta Charleston Comics e Spirit del dimenticato Will Eisner. Amava tutte quelle storie che lo liberassero anche solo momentaneamente dalle catene della religone, dal dogma di qualcosa che non riusciva a comprendere da bambino. Crescendo, Jeremy si ritrovò in periodi così bui in cui l’unico conforto era proprio la “fede”. Il piccolo crocefisso d’argento che stringeva tra le sue mani in quel momento era di suo padre. Fu l’unica cosa che gli diede in eredità, oltre a Shadow. Ricorda ancora i terribili incubi che tormentavano il suo genitore. Badare ad una leggenda lo aveva trasformato in un paranoico, stessa cosa che era capitata a Jeremy. Lui odiava tutto questo. Quel giorno non avrebbe potuto fare niente per impedire al riccio nero di uscire per la sua piccola guerra contro tutto il mondo. Anche questa era una cosa che odiava. Non aveva una goccia d’alcool in casa, l’unico conforto era quel crocefisso d’argento. Nulla che potesse placare la sua rabbia. La mezzanotte era passata da una trentina di minuti. Il filo dei suoi pensieri fu interrotto dal rumore della porta. Qualcuno stava bussando con forza.
Jeremy la aprì senza esitare, essendo ben consapevole di chi fosse. Un gatto grigio trascinò dentro la casa un riccio nero privo di conoscenza. Nel vederlo ridotto così, Jeremy venne preso dal panico.
- Che cosa è successo? -
- Un lupo.. ha fatto a pugni con un lupo.. -
Francis era troppo sconvolto per poter rispondere in maniera sensata. Sotto la guida di Jeremy, il gatto grigio distese Shadow sul tavolo della cucina. Nonostante ora fossero al sicuro in quella vecchia casa a Evergreen Street, il cuore di Funky non smetteva di battere a mille.
- Credo che abbia una commozione cerebrale - disse il gatto.
Il vecchio uomo si avvicinò alla testa del riccio nero.
- No. Perderebbe sangue dalle orecchie se ce l’avesse -
Jeremy si diresse verso il comodino vicino i fornelli, tirando fuori una siringa da un cassetto.
- Che cos’è? - chiese Francis.
- È un anestetico -
L’umano infilò la siringa nel collo del riccio. Questo non emise neanche un gemito di dolore.
- Strappa una delle tende dalla finestra. Dobbiamo pensare al braccio- ordinò Jeremy.
- È rotto? -
- No. È solo slogato -
In fretta e furia, Francis strappò un po’ di tessuto da una delle tende, mentre l’uomo prese un po’ di ghiaccio dal frigo per passarlo lungo il braccio di Shadow. Era meno grave di quanto credevano, fortunatamente. Fu Jeremy a fasciare prontamente l’arto ferito, mentre Francis lo osservava nervoso.
- Si riprenderà? - chiese il gatto dopo un attimo di esitazione.
- Credo di si.. nonostante tutto, riesce ancora a guarire in fretta dalle ferite. Non è grave -
Sul tavolo della cucina, il riccio nero sembrava riposare beatamente. Qualche livido e un braccio slogato erano il prezzo per aver fermato le attività criminali del Comico.
Tutta fortuna, pensò Francis.
- Aspetta qui -
Jeremy prese in braccio Shadow, dirigendosi verso l’ascensore. Nel frattempo, fuori da quella casa, l’ambiente del crimine subiva uno dei colpi più critici dalla fine della grande guerra. Era solo l’inzio, questo Funky lo sapeva.
Ripensò allo scontro al porto. Non aveva mai visto così tanta violenza, così come non aveva mai visto così tanta paura negli occhi di un criminale. Non sapeva come, ma Francis era convinto che avrebbero cominciato a dare la caccia a Shadow.
In un modo o nell’altro.
 
 
Quando ritornò al piano terra, Jeremy trovò Francis seduto sulla sua porltrona. Entrambi sudavano freddo, ma era chiaro che il mobiano fosse quello più sconvolto tra i due.
- Come sta? -
- Gli ho somministrato qualche antidolorifico - rispose Jeremy - Si riprenderà -
- Assurdo.. come fa ad avere tutta quella forza? -
Jeremy si diresse in cucina, deciso a preparasi del tè. Francis notò fin da subito l’espressione buia dell’umano.
- Raccontami cosa è successo - disse Jeremy preparando la teiera.
Francis ci mise un po’ a fare mente locale. Tralasciò qualche piccolo dettaglio, ma riuscì a raccontare le parti salienti. Cercò di evitare la parte in cui Shadow aveva massacrato i criminali, concentrandosi sul lupo che era riuscito a mettere Shadow alle strette.
- Era un bestione. È comparso dal nulla, subito dopo hanno cominciato a lottare. Shadow deve averlo sottovalutato. Sarebbe morto se la polizia non fosse stata così vicina -
Jeremy ascoltò tutto senza fiatare. Quando finì di parlare, lui e Francis si guardarono negli occhi.
- Ti rendi conto di quello che hai fatto? -
Il tono acido dell’uomo fece abbassare lo sguardo del mobiano.
- Lui era l’unico che poteva farlo - sospirò Francis.
- Tu non hai la minima idea di con chi hai a che fare -
Quello fu un vero e proprio attacco da parte di Jeremy.
- Perché tu si? -
- Non lo conosci come lo conosco io - fu la secca risposta dell’uomo.
- Lui è Shadow the Hedgehog! Sono passati cento anni, ma lo conoscono tutti! Ci sono leggende, dicerie e molte altre cazzate che circolano ancora su di lui. È un eroe, un sopravvissuto. Era l’unico che poteva farlo! -
Inspiegabilmente, Jeremy cominciò a ridere. Sotto gli occhi stupefatti di Francis, l’umano si sedette sul divano di fronte a lui e si coprì il volto con le mani.
- Sono troppo vecchio per queste stronzate - disse quando smise di ridere.
Ritornò a fissare il mobiano negli occhi.
- Dimmi una cosa - cominciò l’uomo - Quando si è messo fare a pugni con quei criminali, ti sembrava davvero così eroico? -
Il gatto grigio inarcò le sopracciglia, non capendo a cosa si stesse riferendo Jeremy.
-Di che parli? -
- Sai benissimo di che cosa sto parlando -
Per un attimo, Francis ripensò allo scontro.
- Secondo te, - riprese Jeremy - perché Shadow è rimasto lì a combattere contro quel lupo invece di scappare via? -
- Ti decidi a spiegarmi di che diavolo stai parlando? -
- Shadow è pazzo! - esclamò Jeremy con rabbia - Ho cercato di dirtelo quando sei venuto qui la prima volta, ma tu non lo vuoi capire! È un cadavere che cammina. Gli hanno sparato dritto in testa! Forse non bastava a ucciderlo, ma sicuramente lo ha incasinato abbstanza da renderlo così! -
Jeremy si alzò dal divano, sfinito da quella situazione.
- Forse non è più lo stesso, ma questa notte sapeva quel che faceva - protestò Francis - Ha attirato la polizia volutamente, altrimenti qualcuno avrebbe ripulito il porto da tutte le prove in tempo -
- Stronzate - commentò Jeremy seccato.
- Ascolta - cominciò - Credo che lui stia cominciando a “ritornare” in sé. Forse combattere è l’unico modo che ha per “risvegliarsi”, per ritornare ad avere il controllo del suo corpo. È la Forma di Vita Definitiva, sta cercando di rimettere a posto la mente..-
- Lui non è più la dannata forma di vita definitiva - lo interruppe l’uomo - è un pazzo che sta cercando in tutti i modi di farsi ammazzare. E tu gli hai dato proprio questo -
Jeremy si avvicinò al finestra, dando uno sguardo sulle strada buia.
- L’hai fatto esporre troppo. Gli daranno la caccia - disse Jeremy.
Francis non proferì parola. Se non fosse così sconvolto, avrebbe voluto dormire per una settimana intera. Jeremy ritornò a fissarlo, visibilmente provato da quella situazione.
- Se proprio vuoi, puoi rimanere qui questa notte. Tanto nessuno di noi due riuscirà a dormire -
 
 
Non c’era alcuna luce nella mansarda, all’ultimo piano di quel piccolo palazzo. Ogni volta, Jeremy si ripeteva che avrebbe dovuto aggiustare il quadro elettrico per rimetterla in funzione. Anche se fosse, Shadow non l’avrebbe mai accesa.
Distesa sul letto, una figura nera teneva gli occhi spalancati verso il soffitto. Sembrava che avesse lo sguardo perso nel vuoto, ma in realtà stava osservando il buio. Non ricordava cosa avesse fatto quella notte, così come non ricordava come fosse arrivato lì o chi gli avesse fasciato il braccio destro. Eppure tutto questo gli sembrava così incredibilmente familiare. Si sentiva intorpidito, ma non aveva la minima idea del perché. Sentì che un paio di costole si erano incrinate ma poco importava, visto che sembrava guarire miracolosamente da quelle ferite. Bastava non sforzarsi e continuare a guardare il buio. Sembrava che la figura di un lupo si stesse materializzando sopra la sua testa. Forse aveva combattuto contro di lui, perdendo come non gli capitava da..
Da quanto tempo?
Se avesse avuto ancora i suoi poteri, la Forma di Vita Definitiva avrebbe ritrovato quel lupo in un attimo, prendendosi la rivincita. Conosceva così tanti modi per combattere, così tante mosse per far sanguinare i suoi nemici.
<< Che cosa mi è successo? >> pensò il riccio.
Nel buio, il grande lupo scomparve. Un volto familiare sembrava nascondersi nelle tenebre. Un umano.. o meglio, una bambina dai lunghi capelli biondi. Gli occhi azzurri e la carnagione chiara non sembravano intaccare l’apatia di Shadow. Allora perché si sentiva così colpevole nel guardarla?
Lentamente, anche se lui non voleva, gli occhi si chiusero. Così tante immagini e altrettanti suoni scorrevano nella sua testa. Passato e presente si confondevano, come se la realtà stesse per svanire.
Poi, nella dormiveglia, Shadow la rivide.
Non aveva un volto, né un corpo con cui manifestarsi. Per tanto tempo, il riccio nero l’aveva combattuta, trionfando senza l’aiuto di nessuno.
Il suo nome era Morte.
 
 
Tre costole rotte. Il polso sinistro gli tremava senza che potesse fermarlo. Dalla bocca usciva sangue, troppo sangue. L’occhio destro era ben chiuso, il sinistro lo teneva aperto con tutta la forza che gli rimaneva. Le gambe gli bruciavano a furia di tutti quei calci. L’addome era pieno di tagli, alcuni non così superficiali come credeva. Scourge era ridotto allo stesso modo, se non peggio.
- Cosa farai.. - sussurrò il riccio verde - Cosa farai quando non ci sarò più?-
Cercò di metterlo a tacere con l’ennesimo pugno. Intorno a loro c’erano solo macerie. Quella scuola ormai era inutilizzabile. Chinatosi a terra, Scourge si concesse una piccola risata.
- Verrai a trovare la mia tomba con un mazzo di fiori? -
Il calcio che seguì spezzo le risate di scherno. Shadow ne fu felice. Sembrava che il suo avversario avesse smesso di combattere, come se si fosse finalmente arreso alla realtà.
Doveva morire.
- Da quanto tempo è che ci conosciamo, Shadz? Anni? Secoli? -
La Forma di Vita Definitiva lo afferrò per la gola, tirandolo a sé.
- Sta zitto! - urlò
- Hai visto? Non è il tempo che conta, ma come cerchi di ammazzarlo -
Scourge venne sbattuto violentemente a terra. Ancora rideva, quel mostro.
- Questi erano gli ultimi, Scourge - ringhiò il riccio nero - Non farai altre vittime -
- Bravo.. scommetto che hai tenuto il conto.. è per questo che ti adoro -
Shadow lo guardò strisciare sul pavimento. Tutta quella violenza stava per trovare la fine.
- Alla fine sai cosa ho capito? -
Cercava di zittirlo, ma Scourge continuava a parlare.
- Tutto questo caos, tutto questo disordine.. è l’unico modo per poter vivere davvero.. senza nessuna regola -
Il riccio verde si tirò su, dolorosamente.
- Ho vinto io, Shadz.. ti ho fatto perdere il controllo - sussurrò con un ghigno sul volto tumefatto.
A quel punto, le mani di Shadow si mossero quasi senza che se ne accorgesse. Prese la sua testa e la sbattè contro il muro più vicino. Tre volte, una più forte dell’altra. Poi si avvicinò al suo volto.
- Avevo una sola regola - gli disse - E tu sei l’unico per cui farò un’eccezione -
Lo buttò di nuovo a terra, lontano da sé. La mano destra venne avvolta da una luce verde. Questa volta Scourge non avrebbe evitato quella Chaos Spear, ne era certo.
- Lo so, Shadz. Tu e il tuo strano modo di fare.. -
Caricò il colpo con tutta l’energia che gli era rimasta. Sarebbe morto all’instante.
- Non avrai un’altra occasione - sussurrò l’odiato nemico.
Con uno scatto improvviso, Scourge tirò fuori qualcosa di metallico dalla sua giacca ridotta a brandelli. Prima che Shadow potesse capirlo, il proiettile era già entrato nella canna della pistola.
- Sayonara, Shadow! -
Lo sparo riecheggiò tra i resti delle aule, dentro quella scuola ormai teatro di un massacro.
Poi ci fu solo il buio.
 
 
<< È così.. che sono morto? >>
Prima di addormentarsi, Shadow pensò a quanto ironica fosse quella situazione. Tutti i suoi poteri erano spariti. La Forma di Vita Definitiva era invecchiata. Così patetico, così senile.. il mondo era andato avanti senza di lui, ormai parte di un passato che non sarebbe tornato. Avrebbe dovuto sentirsi triste, ma ormai non aveva alcun senso. Ormai Shadow dormiva nel suo piccolo letto, sconfitto da un mondo che non riusciva a comprendere. Non poteva sentire la sua mano sinistra venire scossa da un leggero tremore. Tra l’indice e il pollice, una scintilla verde comparve per una frazione di secondo. Ricomparve ancora, e questa volta sembrò durare qualche secondo in più. Una strana, piccola e impercettibile vittoria. La prima dopo tanto tempo, ma sicuramente non l’ultima.
Nel sonno, Shadow the Hedgehog sorrise di nuovo.
 
 
“Venite intorno gente
dovunque voi vagate
ed ammettete che le acque
attorno a voi stanno crescendo
ed accettate che presto
sarete inzuppati fino all’osso
E se il tempo per voi
rappresenta qualcosa
fareste meglio ad incominciare a nuotare
o affonderete come pietre
perché i tempi stanno cambiando”
Bob Dylan - The times they are a-changin’
 
 
 
 
 
Angolo dell’autore
Ed eccoci qui! Colgo l’occasione per augurarvi buone feste e un felice anno nuovo! Il capitolo che avete appena letto è stato bello da scrivere. Difficile, ma è stato un modo per riprendermi dal precedente, che probabilmente verrà modificato quando ne avrò tempo. Se ciò dovesse accadere, vi avviserò a tempo debito ;)
La storia si avvia verso capitoli decisamente più dinamici e sconcertanti. Per questo, ho una notizia per voi.
Il prossimo capitolo sarà ambientato nel passato. Servirà a spiegare alcune cose su Shadow e sul suo avversario, colui che si credeva l’avesse definitivamente ucciso.. Scourge! Sarà un capitolo di pausa, ma servirà a chiarire alcune cose sul nostro amato riccio nero prima che Neo Crisis City diventi il teatro di uno scontro senza precedenti!
Di nuovo, vi auguro delle buone feste e spero che passiate la fine del 2017 felici e sereni.. perché i tempi stanno cambiando!
Con grande affetto.
Vicarious10

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