La mia vita in una parola: burrasca

di Liv Catnip Jane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Shower ***
Capitolo 2: *** District 11 ***
Capitolo 3: *** Women and hope ***



Capitolo 1
*** Shower ***


Quando le prime luci dell’alba iniziano a illuminare la mia camera, decido di alzarmi. È inutile che continui a rigirarmi tra le coperte, non mi riaddormenterò più. Ci sono riuscita ieri sera sul tardi, ma da quanto mi sono svegliata urlando il nome di Gale, non sono più riuscita a chiudere occhio per tutta la notte. Scaccio dalla mia mente l’immagine del mio migliore amico che viene picchiato a sangue da un pacificatore davanti ai miei occhi, mentre in sottofondo sento la risata crudele di Snow. È la scena che vedevo nel mio incubo. Inizialmente eravamo solo io e Gale sul nostro masso nel bosco ed ecco che all’improvviso spuntava il presidente Snow con una squadra di pacificatori. Ci arrestavano e portavano nelle segrete della Villa del Presidente a Capitol City. Una volta arrivati, io venivo legata con delle catene a un muro e costretta a guardare Gale che veniva picchiato, torturato, accoltellato, marchiato a fuoco. Stringevo i pugni fino a quando non sentivo il sangue uscire dai tagli che le mie unghie avevano procurato sui palmi. E intanto urlavo, piangevo e imploravo Snow di lasciare andare Gale e prendere me, perché lui non aveva fatto niente di male.

– Sì, ha ragione, signorina Everdeen. Lui non ha fatto niente di male, ma lei lo ama. – ecco perché lo stavano uccidendo. Per distruggere me, perché io avevo non avevo sposato Peeta e avevo deciso di stare comunque con Gale, nonostante le minacce di Snow. Nel sogno, il Presidente mi rideva in faccia e sputava addosso a Gale. Mi sono svegliata nell’attimo stesso in cui Snow premeva il grilletto della pistola puntata verso la tempia del mio migliore amico.

Va avanti così dal giorno dell’inaspettata visita. Tutte le notte faccio un nuovo incubo nel quale succede qualcosa a Gale per colpa mia. Conosco il motivo. Quando Snow è venuto a casa mia mi ha detto chiaramente che, se non calmerò le situazioni nei distretti, se non convincerò tutti che l’idea delle bacche nell’Arena non era altro che un modo per salvare sia Peeta che me, che io amo Peeta con tutta me stessa e non intendevo sfidare la sua autorità; lui ucciderà Gale.

Vado in bagno e mi getto in faccia dell’acqua fredda, sperando che questa mi distragga da tutti i pensieri opprimenti e dalle mie numerose paure. Mi cambio velocemente e prendo la giacca di mio padre e la bisaccia. Esco da quella casa sommersa dal silenzio senza che né Prim né mia madre si accorgano di nulla. È domenica mattina, perciò oggi in giro non ci sono neppure i minatori stanchi che si dirigono al lavoro per un’altra, estenuante, giornata. Cammino tra le strade del Distretto dove sono nata e cresciuta, supero la mia vecchia casa al Giacimento e solo allora trovo delle impronte diverse dalle mie, nella neve. Sorrido. So di chi sono. Corro per il Prato e supero la recinzione non elettrificata. Mi incammino per il sentiero, seguendo quelle impronte fresche.

Poi lo vedo, seduto sul nostro masso, ad aspettarmi. Ha indossato il giubbotto che gli ho portato la settimana scorsa, noto contenta. Era l’ora. Sorride e capisco che mi ha sentita arrivare, come sempre.

– Non è giusto, io non sento mai quando arrivi! Come fai? – gli chiedo sbuffando. Sono anche io una cacciatrice, anche io mi muovo senza fare il minimo rumore. Come ci riesce?

– È come un richiamo. So sempre quando ci sei. – lui ride della mia espressione scettica. – Oh, andiamo. Non ha importanza. È così e basta. – Mi si avvicina e subito io mi getto tra le sue braccia.

– Non riuscivi a dormire neppure tu? – gli chiedo. Lui scuote la testa e mi accarezza i capelli.

– Come potrei, sapendo che poi non ti rivedrò per almeno due settimane durante le quali tu tornerai ad essere la fidanzata di Mellark? – dice sarcastico. Quindi ha passato una nottata a pensare a me. – E tu perché non hai dormito? – ci metto un po’ di tempo prima di rispondere.

– Mi mancavi. – gli rispondo. E sono sincera, anche se non gli ho detto tutta la verità. Se ci fosse stato lui a calmarmi, stanotte, probabilmente non avrei fatto incubi.

Quando ci stacchiamo, prendo le sue mani tra le mie. Sono gelide, come immaginavo.

– Metti questi. – gli dico, porgendogli un paio di guanti di lana. Lui sembra studiarli un po’, poi le sue nocche bianche e spaccate dal freddo hanno la meglio sul suo orgoglio. Se li infila senza fare domande.

– Iniziamo? – mi chiede. Annuisco. Decidiamo di sistemare le sue trappole e di fare anche un giro per provare a prendere qualcosa di più grosso. Magari un cervo. Ci farebbe comodo, avremmo più carne da barattare con cose più numerose e di maggior valore. Potremmo addirittura ottenere un po’ di sale, in modo che Hazelle possa sistemare la carne e farla durare più a lungo. Anche se, per quello, c’è sempre il piccolo frigo della mia nuova casa. Ho ordinato a mia madre di aiutare la famiglia di Gale durante la mia assenza e a Prim di portare tutti i giorni un po’ di latte e formaggio ad Hazelle, per i bambini. E loro mi hanno promesso che se ci sarà un’altra nottata di bufera come quella di due giorni fa, faranno venire almeno Rory, Vicky e Posy a casa nostra e proveranno a convincere anche Hazelle e Gale. Non voglio che la mia assenza causi troppi disagi alla famiglia Hawthorne e loro l’hanno capito.

Gale e io abbiamo già sistemato tutte le trappole, quando sento il richiamo di un gruppo di tacchini. Prendo una freccia dalla mia faretra e mi preparo. Vedo il primo pennuto e scocco la prima freccia, che gli trafigge la gola. Gale ne uccide un secondo e un terzo senza che questi se ne rendano neppure conto. Ma gli altri componenti del gruppo sembrano aver capito e iniziano a scappare emettendo suoni striduli. Ne uccidiamo altri due prima che scompaiano dalla nostra vista. Ci scambiamo un sorriso contento e ci diamo il cinque. Nessuno dei due si aspettava un bottino così consistente, eravamo già convinti che oggi sarebbe andato tutto male. Forse la fortuna ha deciso di aiutarci per questa mattina, sapendo che quello che affronteremo nei prossimi giorni ci metterà a dura prova. Recuperiamo le nostre prede e torniamo verso il nostro sasso. Il sole è ormai nato, ma i suoi raggi non sono abbastanza caldi per sciogliere la neve. Il lago è completamente congelato, quindi non proviamo neppure a pescare qualcosa. Dalle trappole di Gale recuperiamo una lepre e due scoiattoli. È andata davvero bene e questo ci tira un po’ su di morale. Ci sediamo, godendoci il tepore timido di quella luce invernale e la presenza dell’altro, in silenzio.

– Ehi, Catnip. – dice lui, spostandomi una ciocca di capelli che mi era scivolata sugli occhi.

– Sì? – gli chiedo, girandomi a guardarlo.

– Non mi hai ancora baciato stamani. – mi ricorda, fissando le mie labbra screpolate.

– Beh, neppure tu. – preciso, alzando le sopracciglia. E lui rimedia a questa mancanza. Un attimo dopo la sua bocca è sulla mia e io chiudo gli occhi, abbandonandomi a quel contatto così caldo. Le mie dita sono tra i suoi capelli scuri, le sue mani mi cingono i fianchi. Non so quanto tempo passiamo intrecciati l’una all’altro senza la minima intenzione di lasciarci andare. Le nostre labbra continuano a cercarsi, a trovarsi e a prendersi con passione.

– Ti amo, Catnip. – mi sussurra, appoggiando la sua fronte contro la mia. Sorrido.

– Dillo ancora. – gli chiedo e lui lo fa. – Ancora. – continuo io. Lui esegue. Lo ripete un’altra volta e un’altra ancora.

– Ti amo, Catnip! – urla alla fine. Io scoppio a ridere, mi sento il cuore così leggero. Sicuramente adesso avremmo fatto scappare tutta le selvaggina, ma non ci interessa.

– Ti amo! – grida di nuovo. Apre la bocca per ripeterlo, ma io lo interrompo, occupando le sue labbra con un altro bacio.

– Ti amo anche io. – gli mormoro sulla bocca, prima di lasciargli un bacio veloce e alzarmi dalle sue ginocchia.

Recupero le nostre vittime e insieme iniziamo a spennare i tacchini e a pulire gli scoiattoli e la lepre. Quando abbiamo finito, decidiamo che terremo per Hazelle due tacchini, grazie ai quali dovrebbero andare avanti per quasi una settimana, e di barattare il resto. Al Forno ricaviamo un paio di gomitoli di lana con la lepre e uno scoiattolo, mia madre li userà per fare una sciarpa per Rory e Vicky. Sae la Zozza sembra insolitamente di buon umore, forse perché le faccio pena a causa dell’impegno che mi aspetta, forse perché convinco Gale ad essere più gentile con lei, in modo da sfruttare il debole che ha la donna nei suoi confronti, lo stesso che hanno tutte le ragazze del Distretto.

– Baciami e la saluto. – mi promette. Mi mordo l’interno della guancia.

– Non basta. Devi anche sorriderle. – replico. Lui ci pensa un po’ su.

– Per due baci le scosto pure capelli dal viso. – mi offre, porgendomi la mano. Gliela stringo.

– Affare fatto. – annuisco, poi faccio per entrare nel Forno, ma Gale mi ferma.

– E i miei baci? – mi chiede. Un piccolo sorriso increspa le mie labbra.

– Chiudi gli occhi. – dico e lui lo fa. Appoggio una mano sul suo petto e una dietro la sua nuca, alzandomi sulle punte. Mi avvicino alla sua bocca, per essere sicura che lui senta il mio respiro sulla sua pelle, e quando mancano solo pochi millimetri al contatto, mi sposto velocemente di lato e gli lascio due baci sulla guancia. Appena capisce il mio scherzo, Gale spalanca gli occhi e cerca in tutti i modi di tenermi stretta a sé. Ma perde tempo a causa dello stupore e io sfuggo alla sua presa. Un attimo dopo gli sorrido entrando nel Forno.

Nonostante il mio giochetto, Gale si comporta con Sae come eravamo d’accordo, così, grazie a lui e allo scoiattolo che ci era rimasto, ci ritroviamo a mangiare due porzioni grandi il doppio più del solito dello stufato misterioso della donna. Non voglio sapere cosa ci sia dentro, mi basta che sia abbastanza buono da non farmi vomitare subito dopo. Con gli altri tre tacchini ricaviamo un pacco di sale e un cappello abbruciacchiato che servirà ai due fratelli di Gale. Quando usciamo dal Forno, ci dirigiamo verso casa Hawthorne per lasciare i due pennuti e il frutto del nostro baratto.

– Veni da me? – gli domando, mentre riusciamo dalla casa. – Prim ha dei maglioncini per Posy. – gli spiego. Lui annuisce.

– Però devo tornare per pranzo. Mia mamma non si sente troppo bene e devo stare dietro ai bambini. – mi dice. Quindi staremo poco tempo insieme, dato che ormai mancherà poco a mezzogiorno. Sto per incamminarmi verso casa mia, quando Gale mi tira per un braccio. Un attimo dopo sono bloccata tra il suo corpo e il muro di casa sua. Le sue labbra si abbattono sulle mie, esigendo i baci che prima gli ho negato. Questa volta non provo ad ingannarlo, anzi, ricambio immediatamente il bacio con altrettanta passione. Le mie braccia gli circondano il collo, mentre le sue mi stringono la vita. Sento una nuova sensazione crescermi dal cuore e ad ogni battito diffondersi sempre di più per tutto il mio corpo. Scorre nelle mie vene, passa attraverso ogni singola cellula, ogni organo.

È forse la paura per ciò che potrebbe succedergli se io non riesco nell’incarico assegnatomi da Snow? È forse il peso di quella sceneggiata sul mio amore finto che dovrò portare avanti per sempre? È forse il dolore per il fatto di dover rinunciare a lui, tanto lo amo? Non lo so, ma il mio corpo mi sta chiedendo di più di quei baci. Ha bisogno di Gale pienamente. L’istinto mi dice di fare questo, di accontentare Gale e assecondarlo in questo grande passo che so lui desidera fare con me, ma la mente -o forse questa volta è il cuore- parla chiaro. Devo fermarmi qui, ora. Sarebbe troppo difficile rinunciare a lui dopo. Così, con sforzo immenso, mi stacco dal suo corpo. Lui capisce altro, crede che io voglia andare a casa solo per quei maglioncini, non sa che in realtà avevo paura di quello che il mio istinto mi stava chiedendo di fare con lui. Mi prende per mano e insieme camminiamo fino alla mia villetta. Non parliamo e ci limitiamo a salutare con un cenno del capo le persone che ci vedono. Appena oltrepassiamo il cancello che delimita il Villaggio dei Vincitori, vedo Peeta uscire di casa. Anche Gale lo vede e subito mi stringe la mano più forte, intrecciando le nostre dita. Peeta ci raggiunge.

– Stavo giusto venendo da te. – mi dice, senza perdere tempo in saluti. Il suo tono di voce è quello freddo e distaccato che usa da quando gli ho detto che nell’Arena stavo recitando, che non provo nulla per lui. Da quel giorno mi ignora e cerca in tutti i modi di evitarmi e nelle poche volte in cui è costretto a rivolgermi la parola, lo fa sempre con un tono distante e quasi sprezzante.

– E perché? – gli domanda Gale, passandomi un braccio intorno ai fianchi e tirandomi più vicina a sé. Sbuffo, infastidita dalla suo istinto troppo protettivo. Solitamente mi fa anche piacere, ma non quando c’è Peeta. Non voglio che il nostro rapporto peggiori ancora, dato che per le prossime settimane dovremmo tornare a fingerci innamorati.

– Haymitch mi ha detto di avvisarvi che Effie arriverà verso le tre e che la nostra prima apparizione davanti alle telecamere avverrà intorno alle sei. Partiamo alle sette. – detto questo, si gira e torna in casa senza aggiungere altro. Gale scuote la testa.

– Dai, andiamo dentro, prima che ricominci a nevicare. – mi incita. Troviamo mia mamma in cucina, intenta preparare qualcosa per pranzo. Ci saluta e inizia a parlare con Gale, io cerco Prim.

– Paperella! – urlo per chiamarla. Lei appare sulle scale.

– Ciao, Katniss. – mi sorride.

– Vai a prendere i vestiti che avevi preparato per Posy. – le dico. Lei scompare nella sua stanza. Mi lascio cadere su una delle sedie intorno al tavolo. Mia madre si gira a fissarmi con aria leggermente preoccupata.

– Come ti senti? – mi chiede. La guardo con un’espressione stralunata e incavolata.

– Secondo te? Dovrò andare a parlare in tutti i distretti, vedere le famiglie e gli amici dei ragazzi che ho ucciso, partecipare alle feste di Capitol City e sorridere a tutta quella gente idiota che si diverte vedendo dei ragazzini ammazzarsi a vicenda. In più dovrò anche fingere di essere innamorata pazza di Peeta. Davvero mi chiedi come mi sento? – le grido contro, sfogando tutta la rabbia repressa in questi ultimi mesi. La vedo impallidire e capisco che forse ho esagerato un po’. Forse.

– Non è colpa di tua madre, Katniss. – interviene Gale. Mi si avvicina e mi abbraccia. – Lei non c’entra nulla, lo sai. – dice continuando a stringermi. Lentamente ricambio l’abbraccio. Poi mi giro a guardare mia mamma.

– Mi dispiace. – le dico. Un piccolo sorriso si dipinge sulle sue labbra.

– Anche a me dispiace. Per tutto. – mi dice lasciandomi un tenero bacio sulla fronte. Capisco che si riferisce al fatto di essersi lasciata andare dopo la morte di mio padre, al fatto di aver lasciato che fosse una ragazzina di dodici anni a prendere in mano la situazione e salvare la sua vita e quella di Prim, al fatto di aver avuto bisogno che la suddetta ragazzina si offrisse volontaria agli Hunger Games pur di salvare sua sorella, prima di riuscire a reagire e tornare alla vita.

– Ti voglio bene. – le dico in uno momento di romanticismo. Poi mi copro la bocca con una mano, come per ritirare quella verità che mi rende ancora più vulnerabile davanti a Snow. Gale ride della mia espressione incredula e per questo riceve un pugno sul braccio.

– Ecco qua. – dice Prim, porgendo a Gale due borse piene di vestiti di quando era più piccola. Ora che molte ragazzine di Capitol City le mandano i loro indumenti, dato che si sono affezionate a quella dodicenne dal visino angelico, ha dovuto svuotare l’armadio per fare posto ai nuovi capi d’abbigliamento provenienti dalla capitale. E poi erano comunque vestiti che non le entravano più, in quest’anno è cresciuta davvero tanto sotto tutti i punti di vista, anche in altezza. Gale la ringrazia e la bacia sulla guancia. Rimango stupita da quel gesto e anche Prim, che arrossisce e scappa su per le scale.

– Ehi, guarda che è la mia sorellina. – rimprovero Gale. Mia madre ride davanti alla mia appena accennata gelosia per quel piccolo bacio. O forse sono solo protettiva nei confronti di Prim?

– Tranquilla, io preferisco le cacciatrici con una lunga treccia scura. Sono insuperabili. – mi prende in giro lui, afferrandomi per i fianchi e tirandomi verso il suo petto.

– Devo già essere gelosa? – mi informo, sorridendo appena e inarcando le sopracciglia.

– Probabilmente. – mi consiglia lui. Poi preme le sue labbra contro le mie, prima che io possa anche solo pensare di replicare qualcosa. Ci stacchiamo dopo poco, quando io mi ricordo che mia madre è lì e ci sta guardando. Arrossisco e nascondo il mio viso nella camicia di Gale, mentre lui mi circonda con le sue braccia e si gira verso mia mamma.

– Siete così belli. Sono davvero felice che finalmente vi siate trovati. – ci dice. Gale mormora un grazie, poi piano piano mi lascia andare. Raccoglie le borse da terra e saluta educatamente mia madre.

– Ci vediamo dopo. – mi promette, salutandomi con un bacio veloce. Gli sorrido e chiudo la porta d’ingresso alla sue spalle. Sento dei passi alle mie spalle e una voce che mi parla.

– È proprio un bravo ragazzo. Complimenti, Katniss. – sorrido anche a lei, poi mi ritiro in camera mia, chiedendole di non chiamarmi per il pranzo. Ho bisogno di stare un po’ da sola.

Mi getto sul letto e subito la mia mente torna ad essere invasa da quelle preoccupazioni che mi impediscono di dormire. Ho paura. Inutile che continui a negarlo anche a me stessa. Ho paura di fare qualcosa di sbagliato e causare la morte delle persone che amo, ho paura che il compito assegnatomi dal Presidente sia troppo complicato da portare a termine. Ho paura per cosa dirò, cosa farò, come mi presenterò davanti al popolo di ogni singolo distretto. Come potrò guardare in faccia quelle madri, padri, fratelli, cugini, nonni, parenti, amici, dei ragazzi che ho ucciso? E come farò a convincere che sono innamorata di Peeta, visto che adesso neppure ci salutiamo più? Con questa angoscia che mi tormenta, lentamente, prendo sonno. Dormo senza fare incubi, questa volta, tutto è solo scuro e fermo.

Quando mi risveglio trovo davanti al mio letto una donna che indossa un’assurda parrucca arancione lunga fino alla fine della schiena e un capello a forma di tazza di tea in ferro nero, che pare pesare parecchio. Mi ci vuole un secondo per riconoscerla.

– Ciao, Effie. – la saluto.

– Katniss, è tardi! Devi subito andare a lavarti, sei piena di terra! Non vorrai mica farti trovare in questo stato da Cinna, vero? – mi chiede, facendomi alzare a forza.

– Va bene, va bene. Ora vado. – sbadiglio, mentre lei mi spinge fuori dalla mia stanza. Prima di dirigermi in bagno, però, vado a rubare qualcosa da mangiare dalla cucina. Trovo mia mamma e Prim che parlano con Haymitch e Peeta. Saluto tutti con un gesto veloce della mano, prima di venir richiamata dalla voce stridula di Effie.

– Katniss! Ma dove sei? Corri a farti la doccia, ho detto! – sbuffo, guardando gli altri con aria esasperata. Haymitch mi sorride e alza il suo bicchiere mezzo vuoto verso di me, in segno di solidarietà. Io corro su per le scale e mi chiudo in bagno.

Mi spoglio ed entro velocemente nella cabina doccia invasa dal vapore e il profumo del mio bagnoschiuma. Mi insapono i capelli e il corpo, divertendomi per un po’ con le bolle colorate.

Il rumore dell’acqua che scorre nasconde il leggero cigolio della porta che si apre. Ma io sono una cacciatrice e il mio udito coglie qualsiasi suono, sospiro. Non mi preoccupo di controllare chi sia la persona appena entrata nel mio bagno senza bussare, mentre io mi sto facendo la doccia. Lo so già.

– Non finire tutta l’acqua calda, Catnip. – mi dice. Sbuffo per l’ennesima volta in questa giornata, ma sto sorridendo.

– Non lo farò, Gale. – lo rassicuro. – Ti hanno visto salire? – chiedo un po’ imbarazzata. Lui, invece, è tranquillissimo.

– Sì, ma tua mamma ha fatto finta di credere alla mia scusa. Le ho detto che dovevo cercare una cosa che avevo lasciato qua l’altra sera e ti avrei aspettato nel boudoir. – rido al sentire quella parola. La usano a Capitol City e Gale si diverte a chiamare così il salottino del mio “appartamento”. La casa è su tre piani e l’ultimo è diventato solo mio. C’è la mia camera da letto, il bagno e il famoso boudoir, dove io e Gale ceniamo e guardiamo la televisione quando fa troppo freddo e non possiamo stare nei boschi.

Ringrazio mentalmente mia madre per non aver impedito a Gale di salire. Credo che lei abbia capito molto prima di noi due il vero rapporto che ci lega, come ci ha detto pirma. Ecco perché non si è mai opposta a tutto il tempo che passo fuori di casa e mi ha lasciata libera di stare con lui. Sa che è la persona a cui tengo di più al mondo, dopo Prim. L’unica che mi conosce veramente.

Chiudo l’acqua e lascio gocciolare i miei capelli dentro la doccia.

– Puoi passarmi l’asciugamano? – gli chiedo. Poco dopo il vetro della doccia si sposta lievemente verso destra e la mano di Gale appare con il mio asciugamanone verde. Me lo giro intorno al corpo, uscendo dalla cabina doccia. Lui è già in mutande, pronto per lavarsi velocemente e stare il più tempo possibile con me prima della mia partenza. È il primo giorno del Tuor della Vittoria. Ancora non ci credo. E Gale ha capito che voglio che stia insieme a me fino all’ultimo.

Gli sorrido e lui mi lascia un rapido bacio sulle labbra, prima di fiondarsi in doccia. Prendo un asciugamano più piccolo con cui inizio a tamponare e stringere i capelli ancora gocciolanti, in modo che si assorba un po’ d’acqua. Dopo poco, l’asciugamano che ho usato per avvolgermi il corpo è troppo umido e vista la temperatura rigida che persiste anche in casa, nonostante il riscaldamento accesso da tutto il giorno, decido di toglierlo per non rischiare di ammalarmi. La situazione è già abbastanza spiacevole, non voglio peggiorare le cose. Vedo la camicia chiara che Gale ha lasciato sul mobiletto accanto allo specchio. La indosso, agganciando qualche bottone a casaccio.

È così bello, rassicurante, essere circondata dal suo profumo, dal suo calore. Sa di bosco, neve e fuoco. Sa di Gale.

In quel momento sento un timido bussare.

– Avanti. – e Peeta appare sulla porta. Sembra sorpreso di trovarmi con quella camicia per me troppo grande, forse si sta chiedendo di chi sia. Rimane a fissarmi per qualche istante, prima di rendersi conto della situazione e arrossire leggermente.

– Sono venuto solo a dirti che Cinna e gli altri tre sono arrivati. Hai due ore e mezza di tempo per prepararti, poi dobbiamo partire. – mi annuncia con voce tremante. È così diverso dal ragazzo scostante che ho incontrato prima. Che sia solo la presenza di Gale ad infastidirlo tanto? Poi la sua attenzione viene rapita dal rumore insistente dell’acqua che scorre e lui sembra accorgersi solo in quel momento che in bagno c’è qualcun altro, oltre a me. Pare sul punto di chiedermi qualcosa, quando un’altra voce lo precede.

– Catnip, l’asciugamano. – guardo Peeta, imbarazzata, perché è chiaro che lui ha frainteso la situazione. Il suo viso si incupisce e io capisco di avere ragione nel credere che Gale influisca tanto sul suo malumore. Mi tolgo l’asciugamano dai capelli e senza tante cerimonie apro la porta della doccia e lo tiro addosso a Gale. Lui esce qualche secondo dopo, mostrandosi a noi ovviamente coperto solo da quell’asciugamano.

– Peeta. Non ti avevo sentito arrivare. – dice fissandolo in modo strano, lo stesso che aveva questa mattina.

– E io non pensavo di trovarti qui, Gale. – risponde lui con lo stesso tono infastidito. Capisco che la cosa sta degenerando. Devo intervenire prima che questi due inizino a discutere seriamente. Come ho già detto, non voglio che la giornata peggiori ulteriormente.

– È venuto solo per dirmi che Cinna è arrivato e che mi vogliono velocemente in camera a prepararmi, va tutto bene. – dico a Gale, stringendogli la mano destra tra le mie dita. Quella che so avrebbe usato per colpire Peeta, nel caso lui avesse reagito in qualche modo strano. Sembra un regolamento che conoscono solo loro maschi e io sono sempre a disagio quando mi ritrovo nel mezzo di un “scontro”. Gale lancia un’ultima occhiata dubbiosa a Peeta, poi decide che il mio finto innamorato sventurato non era venuto con cattive intenzioni ed annuisce. Dopo gli Hunger Games teme sempre che qualcuno voglia portarmi via da lui, per questo è molto protettivo nei miei confronti. Come io lo sono nei suoi, basta vedere il modo in cui ho reagito prima per quel piccolo bacio a Prim.

– Allora ci vediamo dopo, Peeta. – gli sorrido, con un chiaro invito ad uscire dalla stanza. E lui se ne va. Mi giro verso Gale, innervosita dal modo in cui ha trattato Peeta, ma quando lo vedo fissare i miei occhi con un sorriso triste appena accennato sulle labbra, tutta la mia rabbia svanisce e rimane solo uno sguardo addolcito e malinconico al tempo stesso. So cosa sta pensando.

– Credimi, neppure io sono felice della situazione. – gli dico dando voce ai suoi pensieri. – Ma non prendertela con lui, sai che non c’entra niente, come mia madre. E poi non hai bisogno di essere geloso, ho scelto te e non cambio idea. – Gli prendo delicatamente il volto tra le mie dita, alzandomi in punta di piedi per arrivare alla sua altezza. Poi, per dimostrare che ciò che ho appena detto è vero, premo le mie labbra sulle sue. Lo sento sorridere sulla mia bocca, mentre le sue mani scendono a stringermi i fianchi. Quando ci stacchiamo, lui mi abbraccia stretta. E io mi lascio andare tra le sue braccia. Mi sento protetta, lontano da tutti i mali del mondo. Le sue braccia sono il posto più sicuro, il mio preferito.

– Sei così bella con la mia camicia. – dice ispirando il profumo dei miei capelli umidi. Sorrido. – Sei sempre bellissima, sia quando indossi gli abiti di Cinna, sia con i vestiti da caccia. – continua lui. – Ma con la mia camicia è tutta un’altra storia. Sembra casa. – capisco subito di cosa sta parlando, perché è l’impressione che ho avuto anche io. Il fatto che io abbia addosso qualcosa di suo è una sorta di sicurezza. Quella camicia è sua, ma la sto indossando io, come tra marito e moglie. Come se quella fosse la nostra casa e condividessimo tutto, anche i vestiti. Gale è mio. Io sono sua.

– Ti amo. – gli dico, fissandolo negli occhi. Grigio in grigio. Occhi da Distretto 12. Occhi da Giacimento. Occhi che mi ricordano chi sono io veramente e chi le persone di cui mi posso fidare. E chi è il vero nemico.

– Ti amo anche io, Catnip. – mi bacia. – Forza, adesso andiamo. – mi incoraggia. Lo prendo per mano, portandolo con me da Cinna e i miei fenomeni da baraccone. Apro la porta esitando e quando faccio il mio ingresso seguita da Gale la stanza viene sommersa da un silenzio imbarazzato e stupito. Gli occhi di tutti e quattro i miei ospiti sono puntati su quel ragazzo che non hanno mai visto e sulle nostre mani unite. È Cinna a rompere il silenzio.

– Immagino che tu sia il vero amore della sua vita, quindi. Sono Cinna. – gli dice tendendogli la mano.

– Gale. – risponde lui e stringe la mano di Cinna. Sorride, passandosi le dita tra i capelli bagnaticci, cercando di sistemarli un po’. Flavius e Venia sospirano, mentre Octavia rischia lo svenimento. Lui se ne accorge e si avvicina alla capitolina dalla pelle verdognola, sorreggendola tra le sue braccia forti. Con tutte le ragazze che gli vanno dietro e continuano a provarci con lui, Gale è ormai abituato a questo genere di cose, anche se nessuna gli era mai svenuta davanti. Regala agli altri due un sorriso sghembo, mentre io scuoto la testa. Sempre il solito.

– Allora, ragazza in fiamme, ti va di vedere cosa ho preparato per te? – mi chiede Cinna, riportando tutti alla realtà. Octavia si riprende e inizia a saltellare e a battere le mani. Venia e Flavius si avvicinano al mio armadio e tirano fuori una trentina di abiti diversi. Sono così tanti perché, oltre le apparizioni davanti alla folla di persone, dovrò partecipare anche a delle cene con il sindaco e i funzionari più importanti di ogni distretto. I miei tre preparatori iniziano a stendere i capolavori di Cinna sul letto, in modo da mostrarceli meglio. Alcuni sono corti e vaporosi, altri più eleganti lunghi fino alle caviglie, tre e quattro sono a maniche lunghe. Noto subito un bellissimo vestitino verde acqua sfumato, che dovrebbe arrivarmi più o meno alle ginocchia. La stoffa della gonna sembra ricreare le onde del mare e subito capisco che quello è l’abito destinato alla visita del Distretto 4, la pesca. Eccone uno verde scuro che pare essere formato solo da foglie. Sembrerò una parte di bosco al Distretto 7, mi sentirò più vicina a casa e alla mia famiglia, magari.

Rimango incantata davanti a tutti quei colori, quelle stoffe diverse, tutte le originali storie che Cinna ha visto dietro ad ogni distretto.

– Sono bellissimi, Cinna. – dico, senza riuscire a staccare gli occhi dai vestiti. – Grazie. – di slancio, mi getto tra le sue braccia, stringendolo a me. Ho bisogno di fargli capire che per me lui è importante, che non lo considero solo come il mio stilista di Capitol City. Era forse la persona di cui mi fidavo di più mentre ero a Capitol City per l’addestramento, prima degli Hunger Games. Era il mio confidente, la mia calma, la mia ancora di sicurezza dopo che avevo perso tutto. È colui con il quale sono potuta essere me stessa anche lontano dai boschi del Giacimento, lontano da Gale. È colui che mi ha sostenuta, aiutata, senza volere niente in cambio. Ed ora è mio amico e gli sono affezionata tanto quanto gli sono debitrice per tutto quello che ha fatto per me. Ha creduto in me fin da subito e pensare a lui è stato un altro dei ricordi che mi ha tenuto in vita nell’Arena.

– Grazie, ti voglio bene, grazie. – continuo a ripetergli vicino all’orecchio. È così non da me, ammettere di voler bene a qualcuno. Però lui è Cinna e sarà lui che mi eviterà un esaurimento nervoso nei prossimi giorni. All’improvviso sento una goccia calda bagnarmi la guancia attacca a quella di Cinna e capisco che si è commosso. Sento Octavia iniziare a singhiozzare e subito dopo Flavius la segue a ruota. Venia non resiste più di qualche altro secondo.

Ed è a questo punto che anche i miei occhi si fanno lucidi e io decido di lasciarmi andare. Decido che mi è permesso, solo per quella volta. E così smetto di sforzarmi e libero le mie lacrime, che iniziano a correre veloci giù dai miei occhi. Mi attraversano gli zigomi, il naso, la bocca e scivolano giù dal mio mento, fino al collo.

La situazione è assurda. Non ho pianto mentre dicevo addio a Prim, a mia madre e a Gale. Non ho pianto nell’Arena, con Peeta che moriva tra le mie braccia. E piango ora, per dei vestiti di Cinna. Ma tutti i presenti nella stanza sanno che non è solo per quegli abiti. È che non voglio partire, non voglio fare finta di essere innamorata di Peeta, non voglio fare la carina davanti al popolo di Capitol City, non voglio partecipare a quelle cene nei distretti, non voglio incontrare la famiglia di Rue, né di nessun’altra mia vittima.

Però devo.

Perché queste sono le regole di Snow e se non farò tutto quello che dice, lui ucciderà Gale e questa è davvero l’ultima cosa che voglio. Ed è anche per questo che sto piangendo. Perché so che Snow vorrà che io e Peeta ci sposiamo, tra qualche anno, e questo dovrà succedere. Perché so che non mi sarà mai permesso di vivere la mia vita a modo mio, di crearmi una famiglia con il ragazzo che amo veramente, non mi sarà mai permesso di essere felice. Dovrò attenermi ai piani di Snow, oppure lui prenderà Gale.

Senza rendermene conto, ho iniziato anche io a singhiozzare come una bambina. Mi sento ridicola e stupida, ma per qualche sconosciuto motivo, non riesco a fermarmi più. Sarà a causa di tutto lo stress che ho accumulato negli ultimi mesi, dal giorno della Mietitura. O forse è qualcosa che risale a molto prima, al giorno dell’esplosione della miniera, al giorno della morte di mio padre. E ad un certo punto, non sono più io che abbraccio Cinna per ringraziarlo, ma è lui che mi sorregge tra le sue mani per non farmi crollare a terra, i tutti i sensi. Sento che alza la testa e la gira in direzione degli altri presenti. Poi dei passi. Infine due mani che mi accarezzano la schiena delicatamente. Le sento. Le riconosco. Sono le mani di cui mi fido di più al mondo. E un attimo dopo non sono più le braccia di Cinna a stringermi, ma il calore di Gale. Solo lui riesce a controllarmi, a volte, e Cinna l’ha capito.

– Catnip. Ehi, Catnip. Stai tranquilla. Andrà tutto bene, vedrai. Andrà bene. – prova a rassicurami lui. – Andrà tutto bene, si sistemerà tutto. Andrà bene. – continua a sussurrarmi, accarezzandomi i capelli e la schiena. A questo punto scatto.

– Cosa andrà bene, Gale? Cosa? – urlo staccandomi di colpo da lui, mentre le mie lacrime si bloccano a metà del loro percorso. – Cosa andrà bene? Lo sai anche tu che non finirà tutto con questo maledetto tour, che noi non potremo mai fare una famiglia e stare insieme. Io dopo dovrò continuare a stare con Peeta. Dovrò sposarlo, Gale! Altrimenti Snow ti ucciderà, me l’ha giurato! Dimmi, credi ancora che andrà tutto bene?! – mi accorgo di quello che ho appena detto solo quando mi rendo conto del silenzio che ci circonda. Anche Cinna e gli altri tre hanno smesso di piangere e ora stanno trattenendo il respiro. Non proviene il minimo rumore dal piano di sotto e a quel punto capisco che sicuramente hanno sentito anche le persone giù. Ho appena fatto sapere a tutti che sto male, che non vorrò mai sposare Peeta, perché amo Gale e voglio stare con lui. Ah, e anche che il presidente Snow in persona mi ha minacciata di uccidere Gale se non faccio esattamente quello che mi ha ordinato. Non l’avevo ancora detto a nessuno e ora lo sanno tutti. Fantastico.

Prendo un repiro profondo e mi asciugo il viso, riprendendo il controllo di me stessa.

– Scusa, Gale. Non sono arrabbiata con te, non volevo urlarti contro. – gli dico fissando la sua espressione incredula. La porta si spalanca e Prim, mia madre, Effie, Haymitch e Peeta entrano in camera mia. Gale decide di ignorarli.

– Di cosa stavi parlando prima? – mi chiede. Mi guardo intorno e capisco che non ho vie di fuga. Adesso so come si sento le mie prede quando sono in trappola. È strano non essere più io la cacciatrice, quella che dirige il gioco. Però tutti loro hanno avuto un ruolo importante della mia vita e hanno fatto qualcosa per me. Quindi questa volta va bene così.

– Trovatevi un posto e sedetevi. – dico con un sospiro. È tempo di dire la verità. Mi sistemo a gambe incrociate sul letto. Gale è al mio fianco, come sempre.

– Ricordate di quando Snow è venuto da noi? – chiedo alla mamma e a Prim. Annuiscono. – Bene. Mi ha raccontato che nei distretti il nostro giochetto con le bacche era stato effettivamente preso come una sfida a Capitol City e all’autorità del Presidente. Sono addirittura iniziate delle rivolte in qualche distretto. Poi mi ha detto che, dato che era stata mia l’idea delle bacche, avrei dovuto sistemare io le cose. Vuole che io convinca tutti che il mio gesto era solo il desiderio di una ragazzina di salvare l’amato, che non c’entrava affatto la sfida a Capitol City e tutto il resto. Vuole che io convinca tutti del mio amore per te, Peeta. – dico fissandolo. – In qualunque modo. Mi ha fatto capire che dovremmo sposarci e fingere di essere innamorati per sempre, creare una famiglia. Lui sa di noi, Gale. – mi giro a guardarlo con un sorriso amaro. – Non capisco come, ma lo sa. E mi ha promesso che se non farò come lui ha deciso, tu morirai. Farà esplodere la miniere o manderà dei pacificatori a catturati nei boschi, non so. Ma lui lo farà, ti ucciderà. Ecco perché io farò esattamente quello che lui mi ha detto. – ora il tono della mia voce si è indurito e sto fissando tutti gli altri presenti, in modo che abbiano ben chiaro che sarà impossibile farmi cambiare idea o impedirmi di proteggere Gale. Devo riuscire a salvare almeno lui.

– Dovrò vivere come una pedina tra le sue mani, ma non m’importa. Voglio che tu viva. – un’ombra copre lo sguardo di Gale per un attimo e io temo che anche lui stia per crollare come io ho fatto prima, e che adesso si alzerà e se ne andrà da qui e non tornerà mai più da me. Ma mi sbagliavo. Gale mi prende una mano tra le sue e punta i suoi occhi dritti nei miei.

– Questi sono i piani di Snow, non i nostri. – mi dice. E allora capisco che lui non permetterà neppure al Presidente in persona di portarmi via da sé.

Inspiegabilmente, sorrido. Ho appena finito di raccontare a tutti della tragica piega che ha preso la mia vita e che ho deciso di scarificare me stessa e la mia felicità per lasciare Gale libero, senza di me, e lui riesce a farmi sorridere anche in una situazione del genere. Ma un attimo dopo, l’euforia e la gioia del momento vengono coperte dalla paura. E mi ricordo che non lascerò che Gale rischi così tanto per me.

– Gale, io ti amo e lo farò per sempre, ma non ti permetterò di rinunciare al tuo futuro solo per stare con me. Troverai un’altra dolcissima ragazza che ti ami e anche tu l’amerai. Vi sposerete e insieme darete alla luce tanti piccoli Hawthorne. Sarete felici. – sento i miei occhi diventare di nuovo lucidi e riempirsi di lacrime che questa volta non le farò cadere. Voglio che lui capisca che io sono sicura della mia scelta e che non rimpiango il fatto di averlo lasciato andare.

– Ma non lo capisci che io voglio anche delle piccole Everdeen, Catnip? Voglio una piccola te a cui insegnare a cacciare e a nuotare nel laghetto del bosco. Voglio che impari a farsi la treccia come la tua, a riconoscere i frutti buoni e quelli velenosi. Voglio mostrarle come usare l’arco e le frecce e farle vedere come arrampicarsi sugli alberi. – i suoi occhi brillano dall’emozione e le sue parole così sincere mi hanno completamente rapita. Ci stacchiamo dalla realtà e finalmente siamo solo io e lui che sogniamo ad occhi aperti.

– E lo sai che non troverò mai nessuna come te, Katniss. Perché non riuscirò mai ad amare nessun’altra tanto quanto amo te. E non provare ad allontanarmi e a tenermi a distanza, sai che non servirebbe a nulla. Io voglio te e non sarà certo un vecchio presidente sadico ad impedirmi di ottenere ciò che desidero di più al mondo. – sento un’unica, singola, lacrima traditrice solcarmi silenziosa la guancia sinistra. Gale me la asciuga con un bacio e poi mi abbraccia tanto stretta da farmi mancare il respiro per qualche secondo, ma non mi importa. Mi accorgo solo ora che tutto quello che ha detto è vero. Lui non mi permetterà di lasciarlo andare per nessuna ragione ed è inutile che io ci provi ugualmente, come farei se si trattasse di qualcun altro. Lui è Gale e quando si mette in testa una cosa nessuno può fermarlo. In effetti, un’altra delle tante ragioni grazie alle quali mi fido di lui è proprio quella che nessuno è in grado di fargli cambiare idea. E allora decido che va bene così. Che combatteremo insieme per ottenere la nostra porzione di felicità.

– Ti amo. – gli ripeto sorridendo. Non mi stancherò mai di dirglielo. È così bello non essere più sola. Ricambia il mio sorriso e scuote la testa. Sembra incredulo e sorpreso, ma è felice.

– Ti amo anche io. – mi dice e mi prende il viso tra le sue mani. Dopo un attimo, la sua bocca è premuta sulla mia. Mi aggrappo a quel bacio come se da questo dipendesse la mia vita. È la mia ancora di salvezza, la mia calma prima della tempesta, la certezza che mi mancherà più di ogni altra cosa nelle prossime due settimane.

E quando ci stacchiamo per riprendere fiato, un applauso si leva dal nostro piccolo pubblico. Mi ero completamente dimenticata che ci fossero mia madre e Prim e tutti gli altri. Mi giro a fissarli e noto subito nuovi segni di pianto sui volti dei miei tre preparatori, sul viso di Effie e su quello di mia madre. Prim sta tenendo la mano a Cinna, seduto accanto a lei e questo è il dettaglio che mi fa sorridere di più. Poi c’è Haymitch, che ci fissa con uno sguardo orgoglioso e contento, così non da lui. E infine vedo Peeta, seduto vicino al nostro mentore. Ha un sorriso vuoto e falso che disegna sul suo viso un’espressione quasi inquietante. Mi dispiace che abbia assistito a tutte le effusioni tra me e Gale, ma sapeva già che io ho scelto lui.

– Forza, dolcezza. Devi prepararti o faremo davvero troppo tardi, giusto Effie? – chiede Haymitch ad un certo punto, anche per ammorbidire un po’ la tensione che si è creata nella stanza. Lei sembra risvegliarsi da una qualche specie di sogno e ci mette qualche secondo per capire di cosa diavolo stia parlando Haymitch. Quando controlla l’orologio, impallidisce e si alza di scatto, ordinando a tutti quanti di uscire e aspettarci giù.

– Abbiamo perso quasi un’ora, Katniss! Su, uscire, muoversi, abbiamo da fare! – urla. Nella stanza rimaniamo solo io, lei, Cinna e i suoi tre stravaganti aiutanti e Gale. Mi tiene ancora per mano e non sembra voler ascoltare i comandi di Effie. Questo la fa innervosire ancora di più.

– Guarda che le regole valgono anche per te, signorino. – lo sgrida. – Forza, devi uscire e lasciarci lavorare. – lui la ignora spudoratamente e torna a stringermi tra le sue braccia.

– Mi prenderò io cura di lei, Gale. Puoi andare, davvero. – gli dice Cinna, leggendo i veri pensieri del mio ragazzo. Lui lo fissa un attimo, soppesando la sua promessa. Poi mi prende il viso tra le mani e mi lascia un ultimo bacio sulle labbra, prima di andarsene. Un secondo dopo mi ritrovo seduta e circondata dalle chiacchiere di Effie, Octavia, Venia e Flavius. Mentre loro cercano di dare un senso ai miei capelli, alle unghie ed eliminare le imperfezioni presenti sulla mia faccia, Effie mi illustra tutto il piano della serata e di tutta la durata del viaggio. Nonostante lo sforzo, non riesco a rimanere attenta per più di qualche minuto, così mi concentro su Cinna e suoi suoi occhi che mi fissano. Provo a leggere nella sua mente e lui fa lo stesso con me. Con qualche sguardo e un paio di buffe espressioni, mi distrae dalla confusione di quelle ultime ore e dalla preoccupazione per quello che accadrà nei prossimi giorni. Penso che sia passata più o meno un’altra ora, quando finalmente Venia e gli altri due si staccano da me e mi lasciano respirare. Fanno un paio di passi indietro, dandomi un’occhiata attenta per controllare che sia tutto perfetto. Poi annuiscono. Vedo Cinna alzarsi e subito le altre quattro persone nella stanza escono e raggiungo il resto dei presenti al piano terra. Questo è il nostro momento, mio e di Cinna e di nessun altro. Lui prende una tuta unita di un lucente blu scuro e mi aiuta ad indossarla. Ha le maniche lunghe che, quando alzo le braccia, sembrano trasformarsi in delle ali. È molto calda, nonostante la stoffa non sia affatto spessa. Deve essere un qualche materiale che hanno solo a Capitol City, perché qua al 12 non l’ho mai visto addosso a nessuno. Mi accompagna fino allo specchio e là rimaniamo a fissare la mia immagine riflessa per qualche minuto, persi nelle nostre riflessioni. Poi mi appoggia una mano sulla spalla e la stringe un po’. Capisco che è ora di andare.

– Aspetta, Katniss. Non dimentichiamoci questa. – dice e mi appunta la mia spilla caratteristica all’altezza del cuore. L’oro della ghiandaia imitatrice brilla tra tutto quel blu, risplende alla luce del tramonto. Mi infilo le scarpe alte e chiuse e Cinna mi sistema un’ultima volta i capelli mossi. Poi scendiamo.

In salotto ci sono mia madre, Prim, i tre aiutanti di Cinna e Gale. Ricordo che anche Peeta doveva prepararsi e che poi la nostra prima apparizione davanti alle telecamere sarà per strada. Haymitch ed Effie saranno con lui. Noto che Gale adesso è vestito. Probabilmente ha preso il cambio che tiene nel mobiletto del mio bagno.

– La tua camicia è sul mio letto. – gli dico, attirando l’attenzione dei presenti, che non ci avevano sentiti arrivare.

– Ne ho trovata un’altra, quella puoi tenerla. – mi risponde. Si avvicina e sta per prendermi il viso tra le sue mani, come sempre, quando Octavia interviene.

– Non vorrai mica rovinare tutto il lavoro di Venia, vero? – lo ferma con voce stridula. Lui la guarda sconcertato, con la bocca già semiaperta. Rido della sua espressione sconvolta.

– Oh, lasciali stare, Octavia! – la riprende invece Venia. – Vedrai che non si sciuperà proprio un bel niente! Forza, Gale. Ora baciala. – lo incita. Lui le sorride e finalmente sento le sue labbra sulle mie. In un gesto automatico, gli circondo il collo con le mie braccia, mentre le sue mani scendono sulla mia vita. Chiede il permesso di approfondire il bacio e io glielo concedo senza troppi complimenti. Non ho nessuno voglia di fare la preziosa adesso, visto che abbiamo così poco tempo da passare insieme. Ci stacchiamo di nuovo dal resto del mondo e perdiamo la cognizione del tempo e dello spazio. C’è solo lui e le sue carezze, il suo profumo, il suo calore, il suo amore. È Effie che ci interrompe, tossicchiando per attirare la nostra attenzione. Ci stacchiamo malvolentieri, ma le nostre mani si cercano subito e quando si trovano, si stringono con forza.

– Dobbiamo andare, Katniss. – mi comunica. Non mi muovo. – Sono tutti pronti. – insiste. Mi giro a guardare Gale.

– Verrai alla stazione? – gli domando, mentre sento un enorme peso schiacciarmi il cuore. Il mio respiro si fa affannoso e improvvisamente sono terrorizzata.

– Penso che sia meglio se ci salutiamo ora. Dopo vorrei baciarti e non potrei farlo. – mi risponde lui con un tono quasi di scuse. Ma ha ragione. Sarebbe più difficile se venisse alla stazione, è meglio così. Deglutisco a fatica e mi lancio delicatamente sulle sue labbra di nuovo.

– Ti amo. – la mia voce trema.

– Anche io, Catnip, anche io. Adesso vai. – mi dice, provando a sorridere. Gli lascio la mano e fisso il suo viso per un’ultima volta. Poi mi giro e mi incammino verso l’uscita senza voltarmi più indietro. Prendo un respiro profondo e apro la porta.

Si va in scena.

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Capitolo 2
*** District 11 ***


Vengo accecata dalle luci dei fari che alcuni tecnici mi stanno puntando contro. Guardo di fronte a me e vedo Peeta che sta uscendo da casa sua. I nostri occhi si incontrano. Sorrido e gli corro incontro e lui si muove verso di me. Ci scontriamo e cadiamo a terra, sciovolando sulla neve. Scoppiamo a ridere come due imbecilli, tanto per fare contenti gli spettatori e in qualche modo riusciamo a rialzarci. Peeta si appoggia a me, dato che non riesce a mantenere bene l'equilibrio, con quella protesi. Il che va anche bene, perché in questo modo sembra che ci siamo abbracciando. Vedo il volto di Caesar su uno degli schermi posizionati accanto alle telecamere e sento la sua voce che ci parla.

– Katniss, Peeta! Sono così felice di rivedervi! – esclama con un grandissimo sorriso, – Come state? Come vanno le cose là al 12? – ci chiede.

Io e Peeta ci scambiamo un'occhiata complice, poi lui mi mette una mano tra i capelli e mi avvicina al suo viso. Quando le nostre labbra si sfiorano di nuovo dopo così tanto tempo, non riesco a trattenermi dal pensare a Gale. Al suo sapore di fuoco e libertà, misto a quello del nostro bosco. Al suo sapore di casa. Quello con Peeta è un bacio vuoto, forse rabbioso, ora che il nostro rapporto è stato distrutto. Anzi, ora che io l'ho distrutto. Ma cosa potevo fare? Continuare a mentirgli? Certo che no.

Sento la voce di Caesar che cerca di attirare la nostra attenzione e mi stacco delicatamente da Peeta.

– Beh... le cose vanno benissimo, come puoi vedere – gli sorrido io, sperando che nessuno capisca che sto mentendo. È tutto così sbagliato. Io dovrei essere al Forno a ridere con Gale, oppure nel bosco a baciarlo. Mi manca. E se per me è già così difficile, chissà quanto sia dura per lui stare a guardare la sua ragazza che bacia un altro, che si tiene per mano con un altro, che finge di essere innamorata pazza di un altro. Scaccio il suo viso dalla mia mente e torno a concentrarmi sulla mia recita.

– Che bello vedervi così uniti ragazzi – continua Caesar. Sento Peeta prendermi la mano. Gliela stringo per rendere felici tutti coloro che ci stanno guardando.

– Lo siamo davvero tanto – risponde Peeta, mentre io continuo a passarmi una mano tra i capelli per far togliere la neve che continua a cadere – Non vediamo l'ora di arrivare là da te, Caesar – gli confida. Invece l'intervista a Capitol City è quella che più mi preoccupa. Spero che quando saremo laggiù, sia Peeta a prendere in mano la situazione e a parlare per tutti e due, io sicuramente farei un disastro.

– Prima però dovete far visita a tutti i distretti – ci ricorda il presentatore. Annuiamo – Avete già in mente cosa dire alle famiglie degli altri tributi? – questa domanda mi turba. Come può parlarne con così tanta leggerezza? Sono i conoscenti di persone che noi abbiamo ucciso! Mi viene da urlare, ma l'unica cosa che faccio è stringere con più forza la mano di Peeta, in modo che capisca che preferei rispondesse lui alla domanda.

– Credo che ci verrà in mente qualcosa sul momento, quando rivedremo le loro immagini e i volti dei loro cari – risponde lui in tono sprezzante. Cosa diavolo sta facendo? Vuole far arrabbiare il Presidente e i capitolini? Caesar si accorge del suo cambiamento di voce.

– Qualcosa non va, Peeta? – gli chiede indagatore. Decido di intervenire.

– Siamo solo un po' preoccupati – dico – Sarà impegnativo guardare negli occhi i parenti di quei ragazzi. Alcuni siamo stati noi ad ucciderli. Sono stata io – mi incupisco, chiedendomi perché stia parlando a quel modo. Il mio incarico è quello di dimostrare il mio amore per Peeta, non quello di alimentare le rivolte. Fisso Caesar, cercando di fargli capire che quello è un argomento che non vogliamo approfondire, che ci turba a tal punto che perdiamo anche la ragione.

– Credo che adesso dobbiate andare, giusto? – ci chiede, come se fosse davvero riuscito a leggere i miei pensieri. Io e Peeta facciamo “sì” con la testa e salutiamo la folla della capitale mentre ci scambiamo un secondo bacio. Il collegamento si interrompe con gli applausi dei cittadini felici. Peeta e io ci allontaniamo l'uno dall'altra subito dopo. Torna dentro casa sua, seguito da Portia e i suoi tre preparatori. Mi giro in direzione di Effie che mi dirige dentro casa, complimentandosi per il nostro lavoro. Haymitch si limita ad un – Sembrava che tu volessi staccargliela, quella mano, dolcezza –, prima di attaccarsi nuovamente alla sua bottiglia.

In casa, Effie comunica a tutti che il treno partirà tra mezz'ora e che quindi dobbiamo fare in fretta. Come sempre. Cinna, Venia, Octavia e Flavius hanno già recuperato tuttti gli abiti che mi serviranno e la loro attrezzatura magica capace di trasformare una ragazza povera del Giacimento come ero io una volta, in una principessa. Lo cerco con lo sguardo, ma non riesco a vedere Gale. Che sia uscito dal retro e abbia fatto il giro lungo per andarsene dal Villaggio dei Vincitori e tornare a casa? Una punta di delusione mi invade e mi impegno per ignorarla. Ad un certo punto sento uno strano calore alle mie spalle e so che lui è lì, in piedi dietro di me. Le sue mani mi circondano la vita un attimo prima che io mi giri verso di lui. Sento la guancia di Gale contro la mia tempia e sorrido.

– Pensavo che te ne fossi andato – sussurro, facendomi più piccola tra le sue braccia forti.

– Non vado da nessuna parte fino a quando tu sei qui – mi confida, mentre respira il profumo dei mei capelli. Il mio sorriso si allarga ancora. Intercetto lo sguardo di mia mamma e quello di Prim, ma non mi stacco dal petto rassicurante di Gale.

– Rimanete qua, non venite alla stazione. Sta iniziando una bufera come l'altra sera, state a casa – loro non provano neppure a contraddirmi, sanno già che non cambierò idea. Non voglio che si ammalino per colpa mia, molto meglio che rimangano al riparo in casa. Poi mi rivolgo a Gale.

– E voglio che tu porti qua i bambini – gli dico.

– I bambini? – chiede Effie sbalordita. Io e Gale ci scambiamo un'occhiata e scoppiamo a ridere contemporaneamente. Quando riesco a riprendermi, rispondo a Effie.

– Non sono i nostri, Effie! – le dico, continuando a scuotere la testa.

– Per ora – mi corregge lui. E due. Oggi si è proprio fissato con il parlare dei nostri ipotetici figli futuri. In più, adora mettermi in imbarazzo davanti ad altre persone e l'idea che io possa un giorno aspettare un bambino da lui, mi fa arrossire. E per questo si prende il secondo pugno della giornata.

– Sono Rory, Vicky e Posy – interviene mia sorella – I fratelli di Gale – spiega. Effie annuisce, mentre mia madre sospira. Poi mi torna in mente il perché siamo finiti a parlare di loro.

– Non sto scherzando, Gale – torno seria – Adesso tu vai a prenderli e loro dormiranno qua. E anche tu e Hazelle lo farete – decido. Lui acconsente, perché sa che mi arrabbierei molto se non facesse come gli ho detto. Effie ci informa che è ora di andare, quindi io mi stacco di malavoglia dal calore di Gale e mi avvicino a mia mamma e a Prim. Ci abbracciamo strette.

– Tornerò presto, paperella – dico a mia sorella, aciugandole una piccola lacrima che le sta attraversando il viso. Lascio una carezza sulla guancia di mia madre e, con un ultimo sorriso, mi allontano da loro. Gale è in attesa davanti alla porta d'ingresso. Apre le braccia, pronto ad accogliere nuovamente il mio corpo, ma io ho in mente qualcos'altro. Stringo le mie mani dietro alla sua nuca e faccio incontrare le nostre labbra ancora una volta. Un attimo dopo le sue braccia mi stringono la schiena, mentre io gioco con i suoi capelli scuri. È così bello, così triste, così coinvolgente. Ci stacchiamo per riprendere fiato e io sono pronta a ricominciare da dove ci eravamo fermati, ma Gale poggia la sua fronte contro lo mia, ansimando appena.

– Ti amo, Catnip. Ricordatelo sempre, okay? – mi dice accarezzandomi una guancia. Sorrido. So che è l'ora di partire, però adesso sono tranquilla. Non so come, ma riesco solo a credere che andrà tutto bene, prima o poi.

– Okay – gli rispondo – Ti amo anche io, Gale – con un veloce bacio sulle labbra, mi lascia andare.

Mi ritrovo sul treno che viaggia a tutta velocità, senza neppure sapere come. Effie guida subito me e Peeta verso le nostre rispettive camere. Noto con sollievo che sono dai lati opposti del treno, la mia verso l'ultimo vagone e quella di Peeta quasi all'inizio. In questo modo magari non sarà svegliato da me che urlo il nome di Gale durante la notte. Ormai quasi tutti i miei incubi hanno lui come protagonista, vittima nelle mani di Snow. Mi dirigo verso nella mia stanza e non faccio in tempo a togliermi la bellissima tuta di Cinna e ad infilarmi una camicetta verde e un paio di anonimi pantaloni scuri, che subito qualcuno bussa.

– Sì? – chiedo. Haymitch appare sulla porta.

– È pronta la cena, dolcezza – mi annuncia – Effie sarebbe molto contenta se tu mangiassi con noi.. – mi informa, con una punta di comprensione nella voce. Vuole farmi sapere che, anche se non cenassi insieme a loro, sarei scusata senza problemi anche da Effie. Tutti sono più gentili con me, ora che sanno la verità su quello che sto passando. Decido di unirmi a loro per mangiare, tanto per fare felice Effie, così seguo Haymitch fino al vagone ristorante. Sono già tutti seduti. Peeta nel mezzo tra Portia e a uno dei suoi tre preparatori, credo si chiami Marcus. Ha i capelli e il rossetto verde acceso e sta parlando tranquillamente con un Flavius tutto sorridente e di buon umore. Accanto a Marcus ci sono le due preparatrici di Peeta di cui ignoro i nomi. E non mi preoccupo neppure di impararli, probabilmente non li ricorderei a lungo. Di fronte a loro due ci sono Venia e Octavia, che chiacchierano senza zittirsi un attimo. Cinna è seduto davanti a Portia e subito mi sorride quando mi vede arrivare. Anche Effie si accorge di me e si alza immediatamente per venire a salutarmi. È davvero contenta per il fatto che io mi sia aggiunta al gruppo. Mi accompagna al mio posto e si risiede al suo, a capotavola davanti a Haymitch. Tengo gli occhi bassi mentre mi siedo e cerco subito di iniziare una conversazione con Cinna, per non dover parlare con il ragazzo che mi siede di fronte. Sono sollevata, dopo aver capito che Peeta non si interessa minimamente a me. Se ci ignoramo, almeno non litigheremo. Ci portano una densa zuppa rosina, decorata con tre lamponi al centro della scodella dorata.

– Hanno fatto il vellutato di rose e lamponi! – esclama Venia felice, quando lo riconosce. Rabbrividisco. Il profumo di rose mi invade il naso e l'immagine di Snow nello studio di casa mia mi paralizza. Noto i vari sguardi preoccupati e confusi dei presenti, che tranquillizzo con un vago ceno del capo. Faccio finta che vada tutto bene e assaggio la pietanza. Rimango dolcemente sorpresa da quel gusto leggero e morbido. Decido che le rose si sentono appena, quindi svuto la scodella velocemente e subito mi viene portato il secondo, ma decido di non mangiare il salmone con dei frutti chiamati fichi e mi accontento di una porzione sostanziosa di funghi e tartufo. Quando finisco anche quelli, mi concentro sulle persone intorno a me.

Le quattro preparatrici stanno ancora parlando tra loro riguardo alle nuove mode di Capitol City. Scopro che sono stata abolite le pellicce e le fantasie a fiori, quadri, scacchi, onde, stelle, animali. Quest'inverno tutte le donne indossano esclusivamente giacche e giubbotti di piume colorate. Sembra sia l'annata degli stivali con le stringhe e le piume e dei capelli a forma di pennuti di vario genere, dagli struzzi ai colibrì, ai tucani, ai fenicotteri. Pare che questa nuova fissazione per le piume sia dovuta alla mia spilla con la ghiandaia imitatrice. In più, sono tutti fissati con le fiamme, il fuoco, i colori che sfumano dal rosso della scintilla al nero del carbone. Questo spiega la parrucca arancione di Effie. Rabbrividisco, pensando a tutte quelle donne che si ispirano a me, alla mia ghiandaia imitatrice, alla ragazza in fiamme. Poi scopro che in Città non si vedono più ragazze bionde o con i capelli rossi o tinti di colori assurdi, ma solo lunghe trecce scure.

A questo punto decido di ascoltare qualcun'altro.

Mi accorgo che Peeta mi sta fissando, quindi mi metto anche io a guardarlo. Occhi grigi in occhi azzurri. Mi ero dimenticata di quanto potessero essere capaci di catturare tutta la mia attenzione ed impedirmi di guardare altrove. Cerco di leggere i suoi pensieri, mentre ci isoliamo dal resto del mondo, ma il suo sguardo è impenetrabile. Posso sentire la tensione crescere tra di noi. La sua espressione immobile urla contro di me, in silenzio. Come potremmo riuscire a convincere tutti del nostro amore, se lui non riesce neppure a parlare con me? Forse vuole che sia io a fare il primo passo verso di lui.

– Ti è piaciuta la cena? – gli chiedo. Lui continua a fissarmi con disprezzo, poi si volta verso Portia e fa finta che io non esista più. Sbuffo infastidita e cerco di trovare qualche altra conversazione interessante da ascoltare.

Effie sta di nuovo brontalando Haymitch per tutto l'alcol che ha ingerito durante il pasto. Decido di intervenire, in modo da potermi allontanare da questo vagone con una scusa. Alzo Haymitch dalla sua sedia e lo trascino fino al salottino con la televisione, alla fine del treno. Ci lasciamo cadere su un grande divano viola, sospirando pesantemente.

– Copiano me – realizzo, rompendo il silenzio – Tutti, a Capitol City, copiano me – è disgustoso e sento la rabbia diffondersi nelle mie vene. Ho voglia di urlare, non posso pensare di trovarmi di fronte ad una folla di persone che detesto – e che si ispirano a me – e di dover fingere di amarli.

Haymitch mi prende inaspettatamente una mano tra le sue.

– Puoi farcela, dolcezza – mi sussurra, leggendo tutte i pensieri che mi vagano per la mente. Improvvisamente sembra più lucido, quasi sobrio.

– Come? – gli chiedo – Ogni anno io dovrò tornare a fingermi innamorata di Peeta e i capitolini vorranno un matrimonio, prima o poi. Come posso impedire che questo accada? Come posso impedire a Snow di decidere per la mia vita? – il problema non è solo ritrovarmi davanti a quella folla di gente vuota e fingere di voler loro bene. Il problema è cosa succederà nel mio futuro, una volta tornata a casa. Ecco le mie vere preoccupazioni.

Haymitch mi fissa in silenzio, senza dire nulla.

– Quando sono tornato a casa, dopo la vittoria degli Hunger Games, non ho trovato nessuno ad aspettarmi. Non c'era più nessuno. Snow aveva ucciso i miei genitori, i miei fratelli, la mia ragazza, distrutto la mia casa, il mio passato. Si era preso tutto quello che avevo, tutta la mia vita. Non sapevo cosa fare, come poter andare avanti, vivendo in una casa troppo grande e silenziosa per un ragazzino della mia età. Ero completamente solo. Ho iniziato a bere per allontanarmi dalla realtà, per dimenticare tutte quelle morti che mi avevano completamente svuotato. Il resto della storia la sai, non sono riuscito più a smettere o forse non ho mai voluto farlo davvero – il racconto e quell'ammisione così intima di Haymitch mi lasciano a bocca aperta. Non so cosa dire, perciò mi limito a stringergli più forte la mano, come per fargli capire che mi dispiace per quello che ha dovuto passare e che io proverò ad aiutarlo, se vorrà. Gli sono grata per la fiducia che mi sta donando, i suoi ricordi mi fanno sentire meno sola.

– Tu non devi avere paura di nulla – riprende – Gale non permetterà che tocchino le vostre famiglie e sappiamo entrambi che troverà un modo per cambiare il vostro destino. Ce la farete – vedo un'ombra di malinconia velare il suo sguardo – Almeno voi sarete felici – mi sussurra, probabilmente alludendo a quel futuro che lui ha perso quando la sua ragazza è stata uccisa. Fissa i suoi occhi da Giacimento nei miei per un lungo secondo, prima di lasciarmi la mano e uscire dal salottino. Rimango sola con i miei pensieri che corrono subito verso casa. Cosa starà succedendo nel 12? Gale avrà davvero portato i bambini e Hazelle a casa mia? Avranno cenato? Avranno freddo? Ripenso alle parole di Haymitch e mi rendo conto che ha ragione. Gale non permetterebbe mai a nessuno di distruggere i nostri piani. Ma se Snow minacciasse i suoi fratelli? Cosa farebbe in quel caso? Mi lascerebbe andare per proteggere loro, o forse sarei io a staccarmi da lui per difendere le nostre famiglie, come facciamo da anni. Siamo nelle mani del Presidente, niente dipende più dalla nostra volontà. Lui sa dove colpire per tenerci a bada e noi non rischieremo mai la vita dei nostri cari in questo modo. Se solo loro si trovassero al sicuro da qualche parte, lontano da Snow, sarebbe tutto diverso. Ma cosa possiamo fare? Scappare nei boschi, forse. Magari potremo farcela davvero. Io e Gale sappiamo cacciare e ci orientiamo senza problemi, però sicuramente mia madre si troverebbe malissimo, per non parlare di mia sorella e della piccola Posy. Non c'è niente che possiamo fare per sfuggire al volore di Snow. Un suono misto tra un lamento e un grugnito arrabbiato esce dalle mie labbra. Sbuffo sonoramente e sento la porta che si apre ed Effie appare davanti ai mie occhi. La guardo, ma non la vedo davvero.

– Oh, tesoro – inizia, lasciandosi cadere seduta accanto a me – Non sai quanto mi dispiaccia – prosegue. Il suo sguardo carico di compassione e il suo tono impietosito mi fanno scattare.

– Non è colpa tua, Effie – la interrompo bruscamente – E non ho bisogno della tua pietà. Cambiamo argomento? – le chiedo seria. Lei apre la bocca, stupita, ma non le do il tempo per pensare. Non ho voglia di fingere una conversazione piacevole con lei, mi dispiace. Così mi alzo ed esco dalla stanza, senza dare una spiegazione e lei non cerca neppure di fermarmi. Sa che non la ascolterei. Giro a vuoto per il treno, fino a quando non trovo la stanza di Peeta. La porta è socchiusa e busso un paio di volte, senza ricevere risposta. Decido di entrare. Dentro non c'è nessuno e questo peggiora ancora il mio umore. Volevo provare a chiarire con Peeta, dato che domani ci dovremmo fingere innamorati davanti a così tante persone. Mi guardo un po' intorno, gironzolo per la camera, mi affaccio al finestrino, apro qualche cassetto. Alla fine mi siedo sul letto e rimango a fissare la parete davanti a me per qualche minuto, in attesa del suo arrivo. Ad un certo punto realizzo che forse non è stata una grande idea quella di intrufolarmi di nascosto nella sua stanza, anzi. Mi sembra solo un'assoluta perdita di tempo. Peeta non si fa vedere, non ho idea di dove sia. Così me ne vado, stizzita e delusa.

Ora sto cercando Cinna. Lo trovo nel salottino in fondo al treno, intento a leggere un libro dalla copertina scura rilegata in pelle. Mi avvicino silenziosamente, per poi buttarmi sul divano accanto a lui, sbuffando. Lo vedo sorridere e questo un po' mi rallegra.

– Ti senti sola, ragazza in fiamme? – mi chiede. Annuisco, poggiando liberamente la testa sulla sua spalla e mi lascio calmare dalle sue mani che mi accarezzano delicatamente i capelli, come se fossi una bambina spaventata.

– Domani andrà tutto bene, vedrai. Effie vi darà un foglio con un discorso già scritto, limitatevi a leggerlo e non inventate niente di vostro – mi consiglia. Possibile che le parole che più riescano a tranquillizarmi siano quelle di uno stilista che lavora per Capitol City? Lui non è come gli altri, però. Lui è Cinna, con la sua consueta linea di eyeliner dorato ad illuminargli gli occhi. Mi posso fidare.

Non so quanto tempo passo abbracciata a quel corpo elegantemente vestito, ma ad un certo punto sento la sua bocca sulla mia fronte e parole pronunciate con tono dolce che mi consigliano di andare a riposarmi un po', domani sarà una giornata impegnativa. Mi accompagna fino alla mia stanza, per poi salutarmi con un timido sorrido. Mi metto velocemente una camicia da notte candida e sprofondo nella morbidezza del piumone. Così, al caldo tra lenzuola felpate e non forti braccia, scivolo in un sonno pesante e abitato da svariati occhi. Appaiono prima quelli di Snow, gelidi ed impenetrabili, che mi fissano con austuzia e superiorità. Poi quelli di Gale, pieni di amore e preoccupazione, ma quelli che mi stupiscono di più, sono gli ultimi che sogno: due occhi azzurri, distanti e arrabbiati, nei quali scorgo, però, un'ombra di malinconia.

La prima cosa che noto appena sveglia è che non sto urlando. Questo vuol dire che non ho impaurito tutti con le mie grida notturne. Questo vuol dire che Peeta non mi ha sentito piangere per Gale nel sonno. Un sorriso appena accennato rallegra per un attimo il mio volto, prima che realizzi dove sono e che tipo di giornata sarà questa. A questo punto, torno la solita incupita ragazza di sempre. Improvvisamente la porta si spalanca e una coloratissima Effie fa il suo ingresso nella stanza.

– È ora di alzarsi, Katniss. Devi preparati per un'altra grande, grandissima giornata! – esclama inspiegabilmente felice. La fisso con uno sguardo truce, chiedendomi se è davvero matta o se fa finta di essere così allegra solo per sollevarmi un po' il morale inutilmente. Le faccio un cenno con il capo, come per rassicurarla che farò velocemente, e lei se ne va. Lascio cadere pesantemente la testa sul cuscino e tiro le coperte fin sopra ai capelli, raggomitolandomi in posizione fetale. Ed ecco che dopo poco perdo di nuovo la concezione del tempo, rapita da quel calore piacevole. Sto per riappisolarmi, quando sento la porta aprirsi per la seconda volta e qualcuno che si siede sul mio letto delicatamente.

– Andiamo, Katniss – mi incita una voce maschile, – dobbiamo vestirci.

Abbasso di poco il piumone, quanto basta per guardare fisso lo sguardo di Cinna, apparentemente molto tranquillo. Cerco qualcosa che mi incoraggi e i suoi occhi scuri sono abbastanza rassicuranti, almeno quanto basta per fare in modo che decida di mettermi seduta davanti a lui. Cinna non perde l'occasione e subito scatta in piedi e spalanca il mio armadio. Lo vedo cercare tra tutti quei vestiti, fino a quando non tira fuori un abito corto e arancione intrecciato a motivi autunnali. Ci sono applicate anche delle foglie, alcune più sul rosso, altre vicino al giallo e infine alcune che si avvicinano al marrone delle foglie secche. Fisso il vestito, poi guardo Cinna, ringraziandolo silenziosamente per aver deciso di non cucirmi un abito-frutteto. Sarebbe stato troppo indossare una parte di Rue. Per me e per la sua famiglia. Sento un nodo bloccarmi il respiro, al ricordo di quel visino dolce e di quei grandi occhi neri. Sarà davvero una giornata difficile, questa.

– Non credi che mi farà freddo? – gli chiedo, notando quanto il vestito sia leggero.

– Non al Distretto 11 – mi risponde lui con un sorriso. Il quel momento usciamo dalla galleria e subito una luce intensa invade la mia stanza. Catturata dai raggi del sole, mi alzo e mi avvicino al finestrino, per perdermi nella vista del paesaggio che scorre veloce davanti ai miei occhi. Vedo lunghe file di frutteti ordinati, campi immensi con diverse coltivazioni, ma nessuno che stia lavorando. Entriamo in una stazione vuota e silenziosa e Cinna mi appunta su una spallina la mia spilla con la ghiandaia imitatrice, poi insieme ci incamminiamo verso l'uscita del treno. Ci accoglie un gruppo di Pacificatori che ci fa salire senza troppe cerimonie su un camion blindato, sbattendo violentemente lo sportello metallico alle nostre spalle. Effie borbotta qualcosa che non mi preoccupo di ascoltare, mentre i miei occhi incontrano finalmente quegli azzurri di Peeta. Cerco un appiglio a cui aggrapparmi, un'ancora che mi ricordi casa, qualcosa nel suo sguardo che mi impedisca di crollare, ma trovo solo astio e antipatia. Stringo la mano di Haymitch al mio fianco, e nell'attimo stesso in cui i suoi occhi grigi si fissano nei miei, ritrovo un po' di pace nel ricordo del Giacimento, della neve, delle primule che nascono a primavera nel Prato del mio distretto.

Il camion ci lascia dietro il Palazzo di Giustizia situato nella piazza più grande dell'11. Entriamo e subito alcuni Pacificatori corrono verso di noi. Qualcuno mi aggancia un microfono e non ho neppure il tempo di guardarmi intorno che sento la voce del sindaco che ci sta presentando e vedo le imponenti porte d'ingresso che si aprono sulla piazza strapiena di persone. Effie mette la mia mano in quella di Peeta e – Un bel sorriso! – ci spinge fuori con una leggere spinta. I miei occhi si abituano in fretta alla luce accecante, mentre un applauso fragoroso si alza dalla folla. Noto subito la tribuna speciale per le famiglie dei tributi morti: sulla sinistra siedono due donne che assomigliano molto a Thresh, probabilmente sua madre e sua sorella, poi faccio di tutto per non voltarmi dall'altro lato. Non sono pronta a vedere i genitori di Rue, i suoi cinque fratelli minori che hanno ancora freschi sul viso i segni di un pianto lancinante; ma una forza superiore mi costringe a girarmi, a guardare quella famiglia completamente vestita a lutto, gli abiti neri quasi indistinguibili dal colore della loro pelle. Cerco in quei bambini lo sguardo caldo di Rue e tremo.

Sento Peeta che inizia la sua parte del discorso e quando termina, attacco io, pronunciando un fiume di parole che non ascolto, che non mi preoccupo di capire. Le ripeto a memoria senza che realmente mi importi qualcosa di quello che sto dicendo, perché sono persa negli occhi neri e comi di lacrime della mamma di Rue e nelle labbra serrate della sorella di Thresh, che si mostra forte e che stringe la madre tra le sue braccia, la sorregge, mentre questa non riesce a smettere di singhiozzare. Mi accorgo che Peeta non ha tirato fuori i bigliettini sui quali aveva scritto i suoi commenti personali, sta parlando di come Thresh e Rue si siano dimostrati valorosi e coraggiosi, di come abbiano salvato me e quindi anche lui, e che siamo in debito con loro. Poi dice qualcosa che non era programmato e che stupisce tutti.

– Io e Katniss sappiamo bene che non esiste un modo per rimediare alle vostre perdite, ma consciamo altrettanto bene la difficile situazione in cui vivete. Per questo abbiamo deciso di farvi ricevere un mese delle nostre vincite ogni anno, come dimostrazione della nostre gratitudine – mi giro verso Peeta e sono senza parole, così come tutta la piazza. Peeta ha appena garantito dei pasti certi a quelle due famiglie che ora ci fissano sotto shock: fino a quando noi vivremo, loro non avranno più fame. Ci fissiamo in silenzio qualche secondo e io mi alzo automaticamente sulle punte per baciarlo. Infondo è questo il mio compito, devo convincere tutti di essere innamorata di lui. Capisco che la cerimonia sta per concludersi e lo sguardo severo di una delle sorelle di Rue mi riscuote. Nonostante la nostra donazione, il suo sguardo è ancora pieno di rimprovero e so perché. Mi faccio avanti, non posto rimanere ferma e muta davanti a tutte queste ingiustizie.

– Aspettate! – corro avanti, sapendo di aver sprecato il tempo che avevo a disposizione per parlare. Non so cosa dire, ma in qualche modo devo esprimere la mia gratitudine, devo rimediare al silenzio vergognoso in cui sono rimasta bloccata. Improvvisamente le parole mi escono fuori come un fiume in piena e non riesco più a fermarmi. Parlo di Thresh e di tutta la stima che ho per lui, per il fatto che si fosse rifiutato di unirsi al gruppo dei Favoriti, parlo della sua forza e di quanto fossero potenti i valori in cui credeva. La piazza è totalmente silenziosa e sono certa che tutti stiano trattenendo il respiro. Mi rivolgo alla famiglia di Rue e racconto di quanto la sua morte mi perseguiti, di quanto io mi senta in colpa per non essere riuscita a salvarla. Dico che rivedo la piccola Rue in ognu cosa belle che vedo. La vedo nei fiori che crescono nel Distretto 12, la vedo nei cesti di frutta che vengono venduti al mercato, la ritrovo nel canto degli uccelli e tra i bambini che giocano a palla nella piazza del mio Distretto.

– Ma soprattutto la rivedo in Prim, mia sorella – la mia voce si spezza, ma so che non posso fermarmi, non adesso. Ringrazio le due famiglie per i loro figli, ringrazio l'intera popolazione del Distretto per tutto quello che insegnano ai loro giovani, gli ringrazio per quello che sono. Esprimo ancora una volta la mia solidarietà a tutti quei volti che mi fissino rapiti dalle mie parole. E concludo il mio monologo con un apello alla pace. Ricordo che dobbiamo sempre credere nel bene e nell'amore – stringo la mano di Peeta tra le mie –, ricordo che dobbiamo sempre impegnarci per svolgere la meglio quelli che sono i nostri compiti, dico che bisogna continuare ad avere speranza e che soparattutto ogni tanto dobbiamo anche prenderci ciò che ci spetta di diritto.

– Nessuno può impedirci di riprenderci ciò che è nostro, nessuno può impedirci di inseguire i nostri sogni e di provare a relizzarli! – urlo alla fine.

Segue un interminabile momento di silenzio in cui si sente solo il mio respiro irregolare. Ho paura di questa immobilità, di questa situazione statica e sfiancante. Poi lo sento. E' il motivetto a quattro di quattro note che intonava Rue. In un unico movimento sincronizzato, tutti i presenti alzano il loro braccio sinistro e le tre dita cerntrali della mano verso l'alto, imitando il saluto solonne del mio Distretto. Per un attimo sul mio viso si dipinge un sorriso orgoglioso e i miei occhi si riempiono di lacrime commosse, poi torna alla mia mente il ricordo del colloquio con il presidente Snow e le sue minacce. Ho appena provocato un gigantesco atto di dissenso cittadino verso gli hunger games e l'autorità di Snow, esattamente il tipo di problema che dovevo arginare! Io e Peeta veniamo allontanati malamente dal centro del palco dove ci trovavamo e le pesanti porti vengono chiuse con tonfo alle nostre spalle. Un attimo prima che si chiudano riesco a vedere, nel minuscolo spiraglio di luce che rimane, un esercito di Pacificatori che si getta sulla folle e inizia a sparare alla cieca, mietendo decine di morti.

La nostra gita al Distretto 11 finisce prima del previsto a causa di quello che ci hanno descritto come un piccolo imprevisto, ma che io temo sia l'inizio di qualcosa di molto più grosso. Venti minuti dopo la fine del mio discorso, siamo già tutti sul treno, pronti a ripartire. Vedo Peeta cercare di calmare Effie che non sa cosa è realmente successe e non capisce il motivo per il quale siamo dovuti ripartire così velocemente. Mi dirigo stanca nella mia camera e noto che sia Cinna che Haymitch mi stanno seguendo. Immagino che vogliano solo assicurarsi di come mi sento. Apro la porta della stanza con un gesto automatico.

– Non c'è bisogno che vi preoccupiate per me – inizio. – sto bene, davvero. –

Vedo i loro occhi spalancati fissi sul mio letto e senza che io lo voglia davvero, anche il mio sguardo si posa su quel punto. Sento il mio respiro mozzarsi a metà e il mio cuore perdere troppi battitti, mentre mi chiedo come ho fatto a non accorgermi prima dell'odore nauseabondo che impregna l'aria.

Sul mio letto circa un centinaio di rose bianche sono state sistemate a formare un'enorme lettera: G.

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Capitolo 3
*** Women and hope ***


Distretto 10. Piazza, folla, discorso, telecamere, saluti, treno.

Distretto 9. Piazza, folla, discorso, telecamere, saluti, treno.

Distretto 8. Piazza, folla, discorso, telecamere, saluti, treno.

Distretto 7. Piazza, folla, discorso, telecamere, saluti. E due donne. Siamo all’interno dell’ennesimo Palazzo di Giustizia, abbiamo appena finito di leggere l’ennesimo discorsetto scritto da Effie e totalmente privo di qualsiasi segno di opposizione verso Capitol City, nessun intervento personale, niente più iniziative ribelli di Peeta; quando vedo due donne venire verso di me, mano nella mano. Una ha i capelli scuri quasi quanto i miei legati in una coda stretta e la faccia arrabbiata, mentre quasi trascina la seconda donna dai lunghi capelli biondi. In poche falcate sono davanti ai miei occhi e la prima mi fissa con espressione truce.

– Tu! – mi indica. – Non credi ad una singola parola di quelle che hai appena letto, non è così? E allora perché non dici quello che pensi davvero, eh, ragazzina? – la fisso interdetta, non sapendo cosa rispondere. L’altra le tocca un braccio, gentilmente.

– Ah, lasciala stare, non devi arrabbiarti in questo modo – inizia, ma viene interrotta dalla voce incredula di Haymitch.

– Johanna Mason! – esclama estasiato. La ragazza mora lo guarda storto, mentre io mi domando chi siano queste due e come faccia Haymitch a conoscerle. Lui pare leggermi nel pensiero.

– Johanna è una vincitrice, dolcezza. – spiega al mio sguardo interrogativo. – Ha vinto fingendosi debole e per niente una minaccia, mentre alla fine si è rivelata un’assassina astuta e capace. E lei è sua moglie… –

– Alexandra Wilson. – si presenta la ragazza bionda, porgendomi la mano. La stringo debolmente, ancora stupita da quell’arrivo improvviso. Anche Peeta si è accorto delle due donne e si avvicina a noi. Si presenta con un sorriso a cui Johanna risponde con un grugnito, mentre sua moglie presenta entrambe molto educatamente.

– Allora? – Johanna torna a rivolgersi a me con sguardo sospettoso. – Perché continui a recitare quella stupida farsa della ragazzina innamorata e non ci dici quello che davvero credi? Pensi che qualcuno di quelle centinaia di persone con cui hai parlato ti creda, quando fingi di essere gradata a Capitol City per averti permesso di vivere con questo ragazzino? Non senti che sotto le urla di esultanza delle folle si cela la collera per le tue bugie, rabbia pura e delusione? – il silenzio che cade sul nostro piccolo gruppetto quando la donna finisce il suo discorso, mi fa correre una serie di brividi lungo la schiena. Non so cosa rispondere a quella ruvida verità che mi è appena stata sbattuta in faccia con tanta schiettezza e franchezza. Apro la bocca per difendermi da quelle giuste accuse, ma nessun suono viene fuori dalla mia bocca. Cerco un appiglio nello sguardo di Peeta, un aiuto. Perché alla fine è sempre stato lui quello bravo con le parole, non io.

– Lo sentiamo tutti. – le risponde, con gli occhi ancora piantati nei miei. – Sentiamo tutti l’amarezza della gente quando noi recitiamo i nostri discorsi già scritti, la sentiamo, ma non possiamo fare niente al riguardo. –

– E questo è molto frustrante per voi, non è così? Questi due giovani innamorati che si trovano per le mani qualcosa che non sanno gestire e si sentono così soli e spaventati, poveri piccoli. – il tono sarcastico e contrariato di irrita, così come il suo sguardo falsamente intristito. Sento la rabbia crescere dentro di me, mentre lei riprende a parlare.

– Ma a me non importa nulla di voi e del vostro stupido ego! Non si parla della vostra paura, ma del coraggio che siete riusciti a smuovere nel cuore delle persone! – il tono della sua voce si alza e noto che anche Effie ha notato le due donne e si sta avvicinando. – Katniss, la tua è stata letta dal popolo come un’aperta sfida a Capitol City e a quello stronzo di Snow. Per due volte ti hanno vista attaccare la sua autorità ed uscirne indenne. La gente crede in quello che fai, crede in te, perché tu lo hai sfidato e sei ancora qua, sana e salva, con il ragazzo che dici di amare. Erano anni che non succedeva una cosa del genere, finalmente ci si rende conto di com’è la realtà e non si ha più paura – la rabbia che prima traspirava dalle sue parole è scomparsa e ora i suoi occhi sono illuminati da una luce brillante, che li rende ancora più verdi. Faccio un passo indietro, colpita da quel cambiamento improvviso del tono della voce. Lei mi prende un polso e me lo stringe con fermezza.

– Tu non hai idea di che effetto fai alle persone, vero? – mi chiede con un sorriso nascente sulle labbra. I suoi occhi rimangono fissi nei miei per secondi interminabili, durante i quali la sua stretta solida sul mio braccio non diminuisce affatto. Cerco di trovare qualcosa di sensato da rispondere, ma le sue parole mi hanno stordita completamente e riesco solo a pensare che la luce negli occhi di Johanna era la stessa che si accendeva nello sguardo di mio padre quando parlava di come prima o poi avremmo raggiunto la libertà, mentre raccontava le sue idee fiduciose e scomode agli altri uomini che lavoravano con lui in miniera. Dopo non so quanto tempo, Johanna torna a parlare, ma questa volta in un sussurro che riesco a percepire solo perché lei sta bisbigliando nel mio orecchio. Poi riprende Alexandra per mano, la bacia sulle labbra, saluta tutti con un cenno veloce della mano e si allontana con lo stesso passo deciso di quando è arrivata da noi.

– Johanna Mason. – si limita a ripetere Haymitch ed Effie sbuffa in risposta, scuotendo la testa.

– Chissà come possa sua moglie riuscire a sopportarla. – la sento borbottare, mentre lei si incammina verso l’uscita del Palazzo di Giustizia. Hamitch la segue poco dopo, sorridendo davanti al commento di Effie. Io invece rimango ferma, a riflettere sulle parole appena pronunciate da quella donna così tempestosa e decisa. Mi accorgo che Peeta è ancora al mio fianco solo quando lo sento parlare.

– Che cosa ti ha detto? – mi chiede. E io mi domando quanto sia giusto che gli dica ciò che Johanna ha deciso di dire solo a me, se lei sarebbe d’accordo nel passare quell’informazione anche a lui oppure no. Poi, però, mi ricordo che lui è Peeta, il ragazzo del pane, e non trovo un motivo abbastanza valido per non condividere quella notizia anche con lui. Lo guardo fisso negli occhi, mentre pronuncio le stesse parole che Johanna mi ha sussurrato.

– Nel Distretto 11, appena noi ce ne siamo andati, i Pacificatori si sono abbattuti sulla folla. Inizialmente ci sono state solo vittime civili, ma durante la notte il popolo si è organizzato e all’alba ha attaccato la caserma principale dei Pacificatori è l’ha bruciata. Poi hanno occupato anche il Palazzo di Giustizia. Lo stesso vale per l’8 e il 9. La gente si difende dai soprusi dei Pacificatori e ora quasi tre distretti sono nelle mani del popolo. Attaccano cantando il ritornello di Rue e quando prendono un edificio pubblico, appendono degli striscioni con questa. – dico indicandogli la spilla della ghiandaia imitatrice attaccata alla spallina del mio abito. Rimaniamo a fissarci in silenzio per qualche secondo, consci entrambi di aver alimentato la scintilla che invece dovevamo, o meglio, dovevo spegnere del tutto. Effie ci chiama perché è ora di ripartire e con un semplice sguardo Peeta mi assicura che non dirà niente di quello che sa a meno che non lo voglia io. Mentre ci incamminiamo verso il treno, gli stringo la mano per cercare conforto e non perché sto recitando. E per la prima volta da quando siamo tornati a casa dopo gli Hunger Games, lui non mi caccia via, ma anzi, aumenta ancora la stretta, senza ovviamente arrivare a farmi male. Sento che dentro di me qualcosa scatta ed è per questo motivo che per un secondo il mio cuore diventa più leggero e permetto ad un minuscolo sorriso di aprirsi sul mio viso.

Perché forse Johanna ha ragione quando dice che io ho riportato la forza negli animi della gente, che io ho restituito al popolo la speranza che sembrava persa da troppo tempo per essere ritrovata. Speranza che ha il viso dolce della mia piccola Rue, la gentilezza del ragazzo del pane, l’eccentricità degli abiti di Effie e l’eleganza di Cinna, la serietà di mia madre, Prim e di Hazelle, la distruttività di Haymitch ubriaco. Speranza con la tenera possessività di Johanna nei confronti di sua moglie e la cordialità dei sorrisi di quest’ultima. Speranza che brucia nel cuore delle persone, che scaccia le paure e convince tutti con lo sguardo fiero di una persona che combatte, che non ha intenzione di arrendersi davanti alle difficoltà della vita. Lo sguardo di mio padre e di Johanna e finalmente ricordo di aver incontrato quella stessa luce anche in un paio di occhi grigi da Giacimento. Gli occhi di Gale.

Parliamone:

Salve! Prima di tutto, scusate il ritardo! Ho avuto due settimane molto impegantive ed ecco che il risultato è un capitolo corto e apparentemente inutile, ma non è così. Questo, come il prossimo, sono capitoli di passaggio nei quali devo introdurre alcuni personaggi –Alexandra, ad esempio– che mi serviranno in futuro.

Punto due: Johanna mi ha sempre dato l’impressione di essere lesbica o comunque bisessuale, ecco perché ho voluto che nella mia storia avesse una moglie. Inizialmente io ero per i Finna (?), Johanna e Finnick insomma, ma una volta conosciuta Annie non me la sono sentita di distruggere il rapporto tra lei e Finnick. Perciò ecco che Johanna è sposata con Alex, ho immaginato che almeno in futuro i matrimoni omosessuali siano possibili ovunque.

Basta, la finisco qua.

Grazia ancora a chi si prende del tempo per lasciarmi una recensione, ma grazie anche solo a chi legge!

Un bacio,

Liv Catnip Jane

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