La clinica degli orrori di Maty66 e ChiaraBJ

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Espiazione ***
Capitolo 2: *** Arrivo e nuove conoscenze ***
Capitolo 3: *** Fantasmi del passato ***
Capitolo 4: *** Musica di libertà ***
Capitolo 5: *** Ferite aperte e piani fallti ***
Capitolo 6: *** L'ultima ninna nanna ***
Capitolo 7: *** Sospetti ***
Capitolo 8: *** Redenzione ***
Capitolo 9: *** Ragione e sentimento ***
Capitolo 10: *** Pericoli in agguato ***
Capitolo 11: *** La curiosità è sempre cattiva consigliera ***
Capitolo 12: *** Dov'è Chiara? ***
Capitolo 13: *** Situazione esplosiva ***
Capitolo 14: *** Sepolti ***
Capitolo 15: *** Per me ci sei sempre ***
Capitolo 16: *** Fratelli ***



Capitolo 1
*** Espiazione ***


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LA CLINICA  DEGLI ORRORI DI MATY66 e CHIARA BJ
 
 Capitolo 1
Espiazione
La neve andava sciogliendosi sugli alberi del piccolo giardino di casa Gerkan, ai raggi del timido sole di primavera che faceva capolino fra i rami, annunciando la rinascita della natura.
“Ben… fa freddo lì fuori, sei senza giacca… vieni dentro”
Semir Gerkan richiamò il suo giovane amico con voce preoccupata dalla finestra del soggiorno, ma  Ben non si voltò, né diede l’impressione neppure d’averlo sentito.
“Maledizione…” imprecò Semir prendendo la giacca a vento e avviandosi verso la porta.
Erano passati quattro mesi dal loro ritorno a Colonia e non erano stati mesi facili.
Passato il primo periodo d’euforia, i due soci si erano subito resi conto che probabilmente le cose non sarebbero andate come loro speravano.
Perché nonostante la fisioterapia e le cure di Max, Ben non camminava.
Era bloccato sulla sedia a rotelle senza alcun progresso da quando erano rientrati da Dallas.
E il giovane stava sprofondando sempre più nella depressione, trascinando anche Semir in un vortice di disperazione e sensi di colpa.
Sensi di colpa che inutilmente  il piccolo turco cercava di calmare diventando l’ombra dell’amico.
A parte il tempo che passava al lavoro Semir seguiva Ben ovunque, era ossessivamente presente qualunque cosa facesse e dovunque andasse, dalla fisioterapia ai pasti, e offriva ossessivamente il suo aiuto per qualsiasi cosa.
Era arrivato a  cercare di controllarlo anche durante il sonno, piazzando il baby-control di Lily sotto il suo letto.
La scoperta dell’aggeggio aveva provocato l’ilarità di tutta la famiglia, ma non quella di Ben; Semir  aveva visto lampi d’ira passare negli occhi scuri del giovane.
Ben era sempre più nervoso, sempre più solitario e triste.
Passava quasi tutta la giornata in camera sua, ad eccezione delle ore di fisioterapia che affrontava sempre più demoralizzato, e da alcune settimane mangiava sempre meno, a stento prendeva un boccone o due dai manicaretti che tutti i giorni Andrea preparava appositamente, per poi rifugiarsi di nuovo nella stanza a piano terra.
L’unica con cui sembrava  riuscire a bucare per un attimo il muro di solitudine e isolamento in cui si era richiuso il giovane era Aida.
La bambina passava ore intere la sera a giocare ai videogames con lo zio ed erano gli unici momenti in cui Semir vedeva tornare per un attimo sul viso del socio il sorriso.
 
“Semir… lascialo stare, non stargli sempre addosso” intervenne Andrea mentre il piccolo turco si avviava nel giardino.
“E’ ancora freddo e ha solo la camicia, si becca una polmonite” ribeccò stizzito il marito.
“Semir… ma perché non lasci che stia un po’ per i fatti suoi?”
Andrea non demordeva rendendosi conto che l’atteggiamento del marito stava trascinando Ben ed un po’ tutti all’isteria.
“Forse perché tengo alla sua salute…  tu piuttosto, non  hai visto quando è uscito che stava in maniche di camicia?” la voce di Semir ora era davvero irata e Andrea non rispose al rimprovero, limitandosi a guardarlo sospirando mentre si avvicinava al giovane, seduto sulla sedia a rotelle sotto la piccola quercia in giardino.
“Ehi socio… non mi pare il caso di stare qui senza giacca… fa ancora freddo” disse piano porgendogli la giacca a vento.
Ben prese la giacca dalle mani del suo socio, ma non dette il minimo cenno di volerla indossare, continuando a fissare un punto indefinito nel vuoto.
“Ehi tutto bene?” chiese preoccupato Semir.
“Sì tutto bene…”
La voce del ragazzo era atona, senza emozione.
“Allora metti la giacca, forza ti do una mano io” fece il piccolo turco, riprendendo la giacca e cercando d’infilarla all’amico.
La reazione di Ben lo lasciò di stucco.
“Non voglio mettere questa stupida giacca Semir, e se anche volessi metterla potrei farlo da solo, le braccia mi funzionano ancora” disse irato mentre spingeva la sedia a rotelle verso l‘ingresso della villetta.
Semir rimase a guardarlo senza fiatare, non era la prima volta che aveva quel tipo di reazione, anzi si facevano sempre più frequenti, ma ogni volta Semir  ne rimaneva sconvolto.
Ma non aveva tempo per pensarci, era già in ritardo di almeno mezz’ora per l’inizio del turno di lavoro.
Rientrò in casa, prese la giacca e le chiavi dell’auto e con il cuore di piombo si avviò al distretto.
 
Quando rientrò a casa era già ora di cena.
Entrando in casa lo accolse il delizioso profumo che proveniva dalla cucina: le famose lasagne di Andrea, il piatto preferito da Ben.
Mentalmente Semir si complimentò con la moglie: era quello che ci voleva per tirarlo su.
Entrando in cucina trovò Andrea e le bambine che stavano per sedersi a tavola, ma non Ben.
“Ciao tesori miei, tutto bene?” chiese Semir mentre le bambine lo baciavano ognuna su di una guancia.
Questo era in assoluto il momento della giornata preferito da Semir.
“Ciao cara, hai chiamato Ben per la cena?” chiese poi avvicinandosi alla moglie e baciandola sul collo.
Andrea lo guardò triste.
“Non vuole venire, dice che non ha fame” lo informò.
“Ma gli hai detto che ci sono le lasagne?” chiese il marito.
“Certo… ma non vuole venire”
“Non ha mangiato neppure a pranzo” intervenne con vocina dispettosa Lily.
“Non può stare digiuno, Max dice che è sottopeso…”
Semir stava avviandosi a passo di carica verso la stanza dell’amico, ma venne bloccato dalla moglie.
“Semir, ti prego, lascialo stare… lascia che stia un po’ da solo. Non capisci che così fai peggio? Dopo cena mandiamo Aida a vedere se vuole mangiare qualcosa, ma non puoi forzarlo, non è un bambino”
“E poi oggi è stata proprio una giornata no, non ha neppure voluto fare la fisioterapia, lasciamolo stare tranquillo per un po’” continuò la moglie mettendo i piatti in tavola.
A malincuore Semir si sedette, ma l‘appetito gli era completamente passato.
 
“Dice che proprio non ha fame” annunciò Aida uscendo dalla stanza di Ben.
“E non ha neppure voglia di giocare stasera” continuò triste la ragazzina, andandosi a sedere sul divano.
Semir strinse più volte la mani a pugno nel tentativo di domare l’ansia.
Poi andò in cucina e prese un piatto, ritagliò una porzione dalla teglia della lasagne che era ancora in caldo e si avviò verso la stanza dell’amico.
“Se Maometto non va alla montagna…” pensò mentre bussava piano prima di entrare.
Ben non aveva mai saputo resistere al profumo della lasagne di Andrea.
“Ehi socio ho pensato che dovevi vedere e sentire il profumo delle mitiche lasagne prima di rifiutare” disse con forzata allegria, entrando nella stanza illuminata solo dalla luce sul comodino.
Ben era come al solito vicino alla finestra a fissare il vuoto.
“Non ho fame Semir, l’ho già detto ad Andrea ed anche ad Aida” disse senza neppure voltarsi a guardarlo.
“Dai… solo un boccone, Max dice che sei sottopeso, e non mangi da stamattina…”
Istintivamente Semir prese una forchettata di pasta e gliela porse.
La violenza della reazione lo soprese del tutto.
Con un movimento improvviso del braccio Ben rovesciò dalle mani di Semir il piatto che finì con tutto il suo contenuto sul pavimento.
“Lo vuoi capire che non ho fame??? Basta!!! Lasciami in pace… voglio stare solo” urlò.
Semir cercò di conservare calma e lucidità.
Prese dei tovaglioli di carta dalla scrivania e si mise a pulire.
“Se non ti piacevano le lasagne potevi dirlo… che ne dici di una bella pizza? Ci metto un minuto ad andarla a prendere” disse con voce calma.
“Non voglio la pizza e non voglio mangiare!” urlò rabbioso il giovane.
“Ben… ti prego… non fare così, capisco che è difficile e frustrante, ma ce la faremo, ci vuole solo un po’ di tempo, ma tornerà tutto a posto” provò a calmarlo il socio.
“No Semir, tu non capisci proprio nulla. Non sai cosa significa essere bloccati su questa sedia, aver bisogno d’aiuto per qualsiasi cosa, anche per fare la doccia. Non sai cosa significa non potersi muovere liberamente, non arrivare a prendere le cose in alto, non poter andare nei posti dove ci sono le scale. E non tornerà tutto a posto solo perché tu lo desideri”
“Max dice che la parte di cervello che è rimasta danneggiata può essere ripresa, che deve passare tempo per capire se…”
“Lo so anche io cosa dice Max. Ma sono passati quattro mesi Semir, quattro mesi… e non c’è stato il minimo miglioramento… ”
“Sei sempre precipitoso, devi avere pazienza, ci vuole solo un po’ di tempo ed insieme possiamo fare tutto…”
“Basta con questa storia Semir, insieme non possiamo fare tutto. Lo sai anche tu che probabilmente rimarrò così per sempre!!!”
“Questo non è vero… andrà tutto bene, vedrai…”
“Basta con questo finto ottimismo, Semir, basta. Mi stai sempre addosso, ma questo non mi fa stare meglio. Nulla che tu possa fare o dire mi fa stare meglio. Vuoi sapere cosa penso davvero? Lo vuoi proprio sapere? Che era meglio se mi lasciavate morire quella notte!!!”  urlò alla fine Ben con le lacrime agli occhi.
A queste parole un’ira furibonda si impadronì di Semir.
Furioso s’ avvicinò all’amico e girò di forza la sedia a rotelle, prendendogli il viso fra le mani.
“Non dire mai più una cosa del genere!!! MAI PIU’!!! Mi hai capito???” urlò scuotendolo.
“Cosa ne sai tu di cosa è stata la nostra vita senza di te? Di cosa è stata la mia vita??? Come fai a non capire quanto sei essenziale nelle nostre vite??” urlò ancora.
“Essenziale? Sono uno storpio, Semir,  un peso per tutti, e non posso far finta che vada tutto bene solo per non farti sentire in colpa”
La frase colpì Semir come una coltellata.
“Tu non sarai mai un peso per me…mai…” mormorò uscendo dalla stanza.
Appena richiusa la porta si lasciò scivolare contro il muro, prendendosi la testa fra le mani.
“Come faccio ad aiutarlo? Come faccio? Non so proprio cosa fare…” mormorò alla moglie che intanto lo aveva  raggiunto ed abbracciato.
 
“Posso entrare?” chiese Andrea dalla porta socchiusa.
“Sì certo…” Ben la guardò dispiaciuto.
“Scusa per prima, abbiamo urlato, ed io non volevo…”
“Non fa nulla Ben…ma possiamo parlare un attimo?” chiese la donna sedendosi sul letto.
Ben annuì triste.
“Ben… Semir ti ha parlato di quello che è successo l’anno scorso? Di quello che ha fatto dopo il tuo  incidente?”
“Se ti riferisci a Tanja Marcus…”
“No, non solo a lei…”
Ben la guardò e scosse la testa.
“Allora lascia che te lo racconti… forse capirai alcune cose…” disse la donna.
Il racconto fu duro e doloroso e per la prima volta Ben apprese della discesa agli inferi che aveva affrontato il suo migliore amico.
“Ora capisci perché Semir è così terrorizzato da quello che ti può accadere…per lui è stato un incubo, e neppure io so come e dove  abbia trovato la forza di uscirne”
Ben rimase in silenzio per un po’.
“Io so che lui mi vuole bene, ma ora come ora sento che sono solo un peso per lui, per tutti voi…”
“Qualsiasi cosa Ben, qualsiasi cosa non potrà mai essere peggio che non averti nelle nostre vite. Noi siamo la tua famiglia, e tu per noi sei essenziale, ricordatelo. Io non so se riuscirai di nuovo a camminare. Non voglio illuderti con false speranze. Quello che so è che noi ti amiamo e ti ameremo sempre e comunque. E saremo sempre al tuo fianco, pronti a qualsiasi cosa per aiutarti, se lo vorrai”
Andrea gli mise una mano sulla spalla prima di uscire.
Ben rimase per molto tempo seduto a fissare la porta da cui era uscita la donna.
Poi prese la sua decisione.
Si avvicinò alla scrivania e prese dal cassetto il dépliant che giaceva lì da quattro mesi.
Poi incurante dell’orario prese il cellulare e chiamò Max.
“Max sono io… scusa l’ora, no sto bene, non ti preoccupare… solo che… ho deciso, per favore organizza tutto per quella clinica. Sì voglio andarci al più presto possibile”
 
 
“Cosa??? Come sarebbe a dire che ti ricoveri domani???” balbettò Semir.
La mattina seguente Ben si era presentato a colazione con un’aria quasi allegra e stava mangiando quasi di gusto.
“Non se ne parla… queste decisioni vanno prese con calma…”
“Ho già aspettato abbastanza Semir. Andrà tutto bene, Max dice che è la migliore clinica riabilitativa della Germania” rispose con tono sicuro Ben.
“Sì ma… ma…staresti lontano da noi, è a più di un’ora d’auto… ed io devo lavorare…”
“Verrai quando potrai”
Ma il panico si era impadronito del piccolo turco.
“No non mi piace. Piuttosto potemmo rivolgerci a quel medico che ha trovato tuo padre…” provò ancora ad opporsi.
Andrea stava a guardare silenziosa.
“Semir sai bene che questa è l’unica soluzione, avrei dovuto andarci subito, non aspettare tutto questo tempo…”
“Aspetta ancora un po’…”
“Semir basta dai, la decisione spetta a Ben e a Max che è il suo medico” intervenne Andrea.
Il marito le rivolse uno sguardo irato.
“Non ti ci mettere pure tu. Starebbe solo lì, senza di noi…”
“E’ una clinica Semir non un ospizio…” provò a scherzare Ben.
Ma il viso dell’amico rimase scuro.
“Semir… andrà tutto bene. Questa è l’unica possibilità, anche a me dispiace lasciarti, ma non posso continuare così… lo capisci vero? Mi devo dare una possibilità di tornare come prima”
Il piccolo turco annuì con le lacrime agli occhi.
“Se questo è quello che desideri davvero…”
“Io devo farlo…” rispose Ben mentre spingeva la sedia a rotelle fuori dalla cucina.
Andrea si avvicinò al marito e lo abbracciò.
“Semir non ti preoccupare, vedrai andrà bene, lui guarirà…”
“Solo, lo sto lasciando di nuovo solo…” balbettò lui mentre una lacrima solitaria gli scendeva sulla guancia.
 
Angolino musicale: Recensiste tremate le streghe son tornate... Allora questa è la versione di Maty ‘Biancaneve’, il finale ‘tarallucci e vino’, condito però dalla perfidia della strega ‘Grimilde’ quindi non è detto che sia poi tutto rose e viole... Bene direi che per adesso è tutto, quindi colonna sonora: Mary J. Blige con Tiziano Ferro ‘Each tear’ (ogni lacrima)
 
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=B8zQ-qMBCvw
C'è qualcosa che voglio dire, ma sento di non sapere come fare Penso che non potrò trattenerla più Quindi la lascerò uscire Tu sei nella mia mente più di quanto io possa sapere Sei nel mio cuore più di quanto tu possa sapere E l'ultima cosa che voglio È che tu ti allontani da me Io sarò chiaro con te Voglio che tu ricordi. In ogni lacrima c'è una lezione Ti rende più saggio di prima Ti rende più forte di quanto tu possa sapere In ogni lacrima Ti fa avvicinare ai tuoi sogni Nessun errore, nessun crepacuore Ti può distogliere da cui per cui sei stato creato Non possiamo cambiare le cose Che abbiamo fatto in passato. Ma combattere non ci porterà da nessuna parte Allora se vuoi, ecco la mia mano Ogni sera c'è una cosa che faccio Chino il capo e prego per te Dentro il male del dolore che ti ho detto Più della mancanza forte che ti ho detto Più di tutti quanti i drammi che ti ho detto No no non possiamo mollare No io ho non posso mollare Tu non puoi lasciare la presa Noi non possiamo lasciare 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Arrivo e nuove conoscenze ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI DI MATY66 e CHIARABJ
Capitolo 2
Arrivo e nuove conoscenze
 
“Bene allora mi pare che abbiamo preso tutto” disse Max mentre finiva di sistemare le valigie in auto.
“Semir, sei di turno oggi, non c’è bisogno che mi accompagni anche tu,  lo fa Max”
La voce di Ben era leggermente incrinata dall’emozione, ma il piccolo turco provò una fitta di dolore sentendo la frase.
Ora ne era più che sicuro, Ben  voleva soprattutto allontanarsi da loro.
Ma comunque non poteva negargli  la possibilità di recuperare.
Anche se questo voleva dire lasciarlo solo e soprattutto non poterlo vedere se non nel fine settimana.
“Ho già chiamato la Kruger che mi ha dato il giorno libero, quindi vengo anch’io“
Ben non replicò spingendo la sedia a rotelle verso le auto parcheggiate sul vialetto.
“Zio Ben aspetta… stai dimenticando questa”
Aida richiamò lo zio preferito correndo verso di lui con la chitarra.
“Volevi lasciarla qui?” chiese sorpreso Semir, con una fitta al cuore.
La chitarra era praticamente un prolungamento fisico di Ben quando non era al lavoro.
“No, l’ho solo dimenticata.  Ma non credo che lì ci sarà occasione per suonare” rispose il giovane con voce roca.
Semir capì all’istante che stava mentendo e la cosa lo preoccupò ancor di più.
Con animo pesante prese lo strumento dalle mani della figlia e lo mise nel bagagliaio.
Non ebbe il coraggio di stare a guardare i saluti della sua famiglia al giovane.
Gli sembravano troppo un addio.
 
 
La clinica ‘Felsen’era un edificio enorme, risalente ai primi del novecento, di ben cinque piani.
Arrivando Semir si meravigliò del tempo che ci voleva per percorrere il lungo viale alberato dal cancello d’ingresso all’edificio in pietra bianca.
“Ehi… è proprio enorme” fece a Max che stava aiutando Ben a scendere ed a sistemarsi sulla sedia a rotelle.
“Già ed è una delle migliori cliniche riabilitative al mondo, credimi, Semir”
“Io vado ad organizzare dentro” disse poi il medico avviandosi all’entrata.
“Ok…” Semir si sentiva sempre più depresso sentendo avvicinarsi il momento del distacco.
“Ehi Ben… tu sai che in qualsiasi momento puoi tornare a casa, oppure se vuoi solo parlare… basta una chiamata e ci metto meno di un’ora…”  disse il piccolo turco avvicinandosi al giovane in sedia a rotelle che si stava guardando intorno.
“Sì lo so Semir… ma ci sono cose che devo fare da solo, non puoi aiutarmi in tutto”
“Ma…”
“Niente ‘ma’… andrà tutto bene vedrai” concluse Ben con voce dura, anche se Semir vi intuì una disperazione profonda.
Il piccolo ispettore turco sospirò triste mentre andava al portabagagli per prendere le valigie. 
 
Con la coda dell’occhio vide una donna in bici che si avvicinava a velocità folle.
“Ehi…”
Provò ad avvertire accorgendosi che continuando  la bici avrebbe investito in pieno  Ben sulla sedia a rotelle,  visto che nel frattempo il giovane si era spostato per guardare meglio l’edificio.
“Ehi!!!” urlò di nuovo  cercando di attirare l’attenzione della donna che non sembrava minimamente sentirlo.
Semir si preparò a gettarsi verso Ben, che si era appena accorto del pericolo, per spostarlo dalla traiettoria di quella pazza.
Ma per fortuna con un gran stridore di freni la bici si fermò a meno di mezzo metro dalla sedia a rotelle.
“Dica un po’ per caso è pazza? Non lo ha visto?”  urlò Semir alla giovane donna che si levò il cappuccio della felpa rilevando una magnifica capigliatura bruna.
La ciclista lo guardò perplessa togliendosi dalle orecchie le cuffiette dell’ iPod.
“E voi non avete visto che siete sulla pista ciclabile?” rispose la ragazza indicando i segnali a terra.
Effettivamente nessuno ci aveva fatto caso, ma Semir era ancora furibondo.
“E con questo? Che voleva fare? Investirlo in pieno? Non ha sentito che stavo urlando?”
“No, mi spiace questo tizio alla radio urlava più di lei…” rispose acida la donna.
Dalle cuffiette usciva flebile un canto e anche da lontano Semir riconobbe le note di ‘This Time’
“Bella canzone, peccato che l’abbiano usata per la pubblicità della carta igienica…” borbottò la donna.
Semir arrossì all’istante per la vergogna, ricordando l’ira di Ben quando aveva scoperto che aveva ceduto i diritti della canzone scritta per lui per una pubblicità di quel tipo.
“Comunque lei è il signor Jager?” continuò la donna rivolgendo la sua attenzione a Ben, che era rimasto per tutto il tempo in silenzio.
Il giovane annuì perplesso, per poi accorgersi che sotto la felpa la  ragazza indossava un camice medico.
Aveva dei magnifici occhi  blu, ma il tono della voce e l’atteggiamento suggerivano subito che era una dura.
“Salve, ho saputo del suo arrivo. Mi chiamo Chiara Beck e sono  il capo equipe del reparto di fisioterapia” fece la donna sorridendo per la prima volta.
Aveva un bellissimo sorriso, ma questo non bastò a Semir per superare la prima impressione.
Quella donna non gli stava simpatica.
 
Chiara, aveva parcheggiato la bici nell’apposita rastrelliera.
“Bene, allora l’aspetto all’interno” disse a Ben mentre s’avviava all’interno.
“Scusi… non è che potrebbe arrivare qualcuno ad aiutarci?” chiese leggermente indispettito Semir.
Ma come era una specie di medico e neppure si prendeva la briga di aiutare Ben ad entrare?
E lui aveva due valigie e la chitarra da portare.
“Beh…  a quanto vedo  il signor Jager può tranquillamente entrare spingendo da solo  la sedia. Anzi questa la può portare lui” rispose la ragazza prendendo la valigia più piccola dalle mani di Semir e piazzandola sul grembo di Ben.
Semir rimase a bocca aperta a guardare la donna che entrava a passo svelto.
“Ma che str…” pensò mentre furibondo la seguiva.
“Ben aspetta qui,  deposito dentro i bagagli e vengo ad aiutarti”
“Non c’è bisogno” rispose il giovane che lo stava già seguendo, spingendo la sedia e tenendo in  equilibrio sulle gambe la valigia.
 
Semir stava sistemando  i vestiti nella stanza che avevano assegnato a Ben.
Il giovane e Max erano ancora al piano terra a completare le formalità per il ricovero.
Era una bella stanza luminosa, a due letti, ma Semir non aveva ancora incontrato il compagno di stanza del suo migliore amico.
Mentalmente si augurò che fosse almeno simpatico e giovane come Ben.
Era sempre più preoccupato all’idea di lasciare il ragazzo in quel posto.
Se erano tutti come la pazza che avevano incontrato all’entrata non c’era d’aspettarsi nulla di buono.
“Perché sta svuotando lei la valigia?”
La voce alle sue spalle fece trasalire Semir, che si voltò spaventato.
Chiara era  sulla porta e lo guardava con aria severa.
“Beh voglio solo rendermi utile. Ben è ancora impegnato di sotto…”
“Il signor Jager può farlo benissimo dopo, c’è un sacco di tempo…”
“Il signor Jager è su una sedia a rotelle, se non l’ha notato” Semir stava davvero perdendo la pazienza.
“I cassetti sono tutti ad altezza giusta. Sono fatti apposta” rispose la donna con calma.
La reazione della giovane mandò ancor più Semir fuori dai gangheri.
“Dica un po’… per caso l’ha punta una tarantola? Non mi pare molto comprensiva infermiera Beck.”
“Non sono un’infermiera, ma una fisioterapista… e noi incoraggiamo i pazienti all’autonomia, anche quelli in condizioni ben peggiori del signor Jager”
Semir non ebbe il tempo di replicare.
Si zittì vedendo Ben che arrivava, seguito da Max.
               
 
“Questo posto sembra un lager, Max!”
Semir era letteralmente fuori dai gangheri ed aveva praticamente aggredito Max non appena Ben si era allontanato per andare a fare i primi esami preliminari.
“Non esagerare Semir, capisco che è difficile per te lasciare qui Ben, ma è per il suo bene e ti assicuro che questo posto non è un lager. Hanno i migliori specialisti e se c’è una speranza che Ben possa tornare a camminare qui…”
“Ma l’hai vista la fisioterapista? Sembra una strega acida! Per poco non l’accoppava lì fuori” lo interruppe il piccolo turco.
Max non poté fare a meno di sorridere.
“Forse sei tu che non hai un buon rapporto con il personale medico…” ridacchiò ricordando i litigi furibondi che Semir aveva avuto con Henrietta l’infermiera americana di Ben.
Ma Semir rimase serio.
“E poi cosa significa che le visite non sono consentite se non la domenica? E se per caso…”
“Starà bene Semir. E le visite non sono consentite perché i pazienti devono concentrarsi sul processo di guarigione” spiegò il medico con voce calma, intuendo il tormento di Semir nel lasciare l’amico.
Il senso di colpa che il piccolo turco provava per quello che era successo col tempo si era forse attutito, ma era sempre lì, pronto a tormentarlo.
“E’ ora di andare… cerco Ben così lo salutiamo” disse poi il medico uscendo dalla stanza.
Semir si sedette sconsolato sul letto; un senso di angoscia lo prese allo stomaco.
Doveva lasciare di nuovo solo Ben, anche se aveva giurato di non farlo mai più.
Un colpo di tosse alle sue spalle lo fece tornare alla realtà.
Voltandosi vide un uomo che si sorreggeva sulle stampelle che lo guardava con aria torva.
Un solo sguardo bastò a Semir per provare inquietudine.
Barba brizzolata, sguardo fisso e braccia completamente tatuate.
“E tu chi saresti? Hai la tipica aria da sbirro” chiese con voce roca l’uomo.
“Semir Gerkan” si presentò Semir cercando di vincere la prima impressione e porgendo la mano.
Ma l’uomo non la prese né si presentò.
“Mica sei il nuovo compagno di stanza? Non mi avevano detto che dovevo avere a che fare con un turco. Anche se mi sembra che cammini e ti muovi benissimo” replicò con aria disgustata.
“No in realtà sono il suo migliore amico… di Ben cioè… il nuovo paziente” rispose Semir balbettando leggermente.
Quell’uomo faceva paura solo a guardarlo.
“Sei uno sbirro? Confessa” fece di nuovo l’uomo.
Stavolta Semir reagì, doveva farlo, visto che anche Ben in fondo era un poliziotto.
“Perché le interessa tanto? E se anche lo fossi?” chiese duro.
L’uomo si limitò a guardarlo con aria torva.
“Niente non mi piacciono gli sbirri” concluse trascinandosi verso il suo letto.
Quell’uomo non gli piaceva ed era il compagno di stanza di Ben.
Provò un senso di profonda angoscia mentre usciva dalla stanza richiamato da Max.
Prima d’incamminarsi verso il corridoio prese nota mentalmente del nome dell’uomo scritto sulla targhetta a lato della porta della stanza: Alexander Brummer.
 
“Semir cosa hai?” chiese Max vedendolo arrivare con aria cupa e preoccupata.
“Niente ho appena conosciuto il compagno di stanza di Ben. Sembra  uno che fino a poco fa ha soggiornato a ‘Sing Sing” borbottò il piccolo turco.
Max sorrise di nuovo.
“Esagerato. Invece a Ben farà bene avere qualcuno che condivide i suoi problemi con cui parlare”
“Sì come no…  parla con Jack lo Squartatore…” borbottò di rimando Semir scendendo le scale.
 
“Ricordati… qualsiasi cosa, in qualsiasi momento, un’ora e sono qui per riportarti a casa”
Semir aveva le lacrime agli occhi, ma non voleva deprimere ancor più l’atmosfera.
Conosceva fin troppo bene il suo migliore amico per non accorgersi che  quella che mostrava era finta allegria.
“Non sarà necessario. Andrà tutto bene” rispose Ben sorridendogli.
“Allora ci vediamo domenica” disse Semir cercando di abbracciarlo.
“Non è necessario. Piuttosto porta le bambine allo zoo, te lo stanno chiedendo da tanto tempo” rispose Ben  restando rigido all’abbraccio dell’amico.
Semir rimase malissimo al comportamento  di Ben, ma fece finta di nulla.
“Ci vediamo domenica” ripeté con convinzione.
Mentre s’avviava all’auto dove lo stava aspettando Max il piccolo turco aveva il cuore di ghiaccio.
Si  girò per salutare ancora una volta Ben, ma il giovane stava già spingendo la sedia verso l’ingresso ed entrò nell’enorme edificio senza voltarsi indietro.
  
I due medici stavano assistendo alla scena dalle tende dell’ampia finestra a piano terra.
“Sai chi è il nuovo paziente vero?” chiese il più giovane.
“Certo il figlio di Konrad Jager. Il padre ha appena fatto una donazione molto generosa alla nostra fondazione” rispose l’uomo più anziano con aria calma.
“Non solo. E’ anche un poliziotto. O meglio lo era”
“Ti posso assicurare che la cosa non sarà di ostacolo ai nostri piani”
“Sei sicuro? In ballo ci sono interessi molto più grandi di me o di te” chiese ancora il medico più giovane.
 Il medico anziano si limitò a guardarlo con i suoi gelidi occhi azzurri.
“Nulla mi fermerà, questo lo sai anche tu” sibilò.
 
 
 
 ANGOLINO MUSICALE: Vi siete immaginati Ben che si allontana volutamente e nuovamente da Semir (ma non in sella alla sua Harley e senza chitarra a tracolla)?  Molto bene, perché è arrivato il momento d’ascoltare la canzone che è stata il ‘motivo conduttore’ di tutta la serie, canzone che accompagna l’arrivo e la conoscenza di un personaggio,  cui una delle due perfide autrici tiene molto, mentre l’altra non vede l’ora di ‘sfogare’ tutta la sua ‘creatività’. Non fatevi ingannare o intimidire dal nome, quel che pensate di lei scrivetelo pure nelle recensioni…Dunque tornando a noi…Ladies and gentlemen Tom Beck ‘This time’ (questa volta)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=a16HAk3bQCY
 
 …le stagioni cambiamo questa volta ho intenzione di attraversarle le persone cambiano questa volta ho intenzione di cercare la verità, baratto il mio tesserino per un paio di logori Jeans scambio la mia pistola per una sei corde (chitarra) una parte di me resterà sempre con te i re dell’autostrada tu sai tutto quello che so l’ho imparato da te Questa volta Oh io sono più forte dentro ho avuto modo di lasciarmi andare verso le luci brillanti questa volta nei miei occhi troverai che va tutto bene dobbiamo lasciarci andare verso le luci brillanti chiudo la porta lascio andare tutto nessun rimpianto perché ho deciso questa volta volo via con te ora ho deciso questa volta resterò con te sì, oh abbiamo una sola vita, cerchiamo di viverla bene abbiamo avuto modo di lasciar andare tutto e voglio lasciarti andare questa volta nei miei occhi tu troverai che va tutto bene dobbiamo lasciarci andare verso le luci brillanti...
 


Angolino personale di Maty
Ora vi starete chiedendo, ma è proprio lei? Sì è proprio lei…
Chiara ed io abbiamo discusso a lungo sulla possibilità di inserire un personaggio ispirato ad una delle due in una  nostra ff e dopo vari (finti) attacchi di modestia e (veri)  attacchi di narcisismo ci siamo dette… ma sì dai, dopo tante storie ce lo possiamo permettere.
Ovviamente la scelta è ricaduta sulla cattivona, perché Maty sarebbe stata troppo una Mary Sue (per chi non sapesse chi è una Mary Sue nelle ff prego consultare wikipedia) mentre Chiara… beh lei è molto più interessante proprio perché non sarà Mary Sue.
 E posso farla anche un po’ stronzetta come vedrete (sul punto ho carta libera, la coautrice non può mettere bocca, e sono aperta anche a suggerimenti purchè cattivi).

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Capitolo 3
*** Fantasmi del passato ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
 
CAPITOLO 3
Fantasmi del passato
 
Ben spinse la sedia a rotelle nella stanza che da quel giorno  in poi sarebbe stata la sua casa.
Arrivare sin lì era stata una vera impresa; tutte le infermiere si erano limitate  spiegargli come raggiungerla, ma nessuna si era offerta di aiutarlo.
Quasi ansimando per la fatica entrò nella stanza e guardò verso il letto a destra.
L’uomo sulla sessantina che lo guardava immobile, seduto sul letto con accanto le stampelle, lo mise in agitazione.
Negli anni che aveva lavorato in Polizia aveva visto boss della droga dall’aspetto più rassicurante.
“Salve”  salutò timidamente, ottenendo solo un grugnito come risposta.
Seguirono minuti di silenzio assoluto, che Ben decise di rompere.
“Io mi chiamo Ben”  disse cercando di ottenere una risposta mentre porgeva la mano.
“E sei anche tu uno sbirro, giusto?” rispose l’uomo.
Aveva una voce roca e profonda.
Ben rimase interdetto per un minuto.
“Beh in questo momento sono tutto tranne che quello…” rispose amaramente.
“Comunque sì lo sono stato, qualcosa in contrario?” continuò indispettito.
“No, solo che non mi stanno simpatici” rispose l’uomo.
“Spiacente, non so cosa farci, visto che dobbiamo comunque convivere. Sai dov’è il bagno? Vorrei fare una doccia”
“Di fronte. Gli asciugamani li trovi sul mobile all’ingresso” si limitò a rispondere l’umo senza neppure guardarlo.
Ben rimase un attimo a pensare.
Voleva fare disperatamente la doccia, ma non sapeva bene come fare neppure a spogliarsi da solo.
A casa di Semir non aveva mai neppure avuto bisogno di chiedere.
Era Semir che lo aiutava a spogliarsi e aveva fatto modificare la doccia per la sedia a rotelle.
Così come era pronto ad aiutarlo appena uscito dal bagno.
Ma ora  aveva tutta l’impressione di doversela cavare da solo.
Levarsi il maglione fu facile, ma i pantaloni erano praticamente un’impresa impossibile.
Troppo umiliato per chiamare aiuto stava per rinunciare, quando vide il vecchio alzarsi e raggiungere faticosamente l’altro letto, per poi sedersi.
“Ma non sai fare niente da solo marmocchio? Devi poggiarti prima su di un fianco e spingi giù i pantaloni, poi fai lo stesso dall’altro lato.
L’uomo rimase a guardare mentre Ben seguiva le istruzioni.
“Grazie…”
“Alex. E non aspettarti che ora ti faccia la doccia” fece burbero l’uomo.
 
 
Appena tornato a casa Semir si era collegato con il suo pc al data base del distretto.
Il compagno di stanza di Ben non gli piaceva per nulla e quando comparve la scheda segnaletica di Alexander Brummer sullo schermo Semir imprecò ad alta voce.
“Dannazione. Ma questo è un criminale”
“Semir, non imprecare in casa  ci sono le bambine”
“Scusa, ma…”
“Che succede?” chiese la moglie vedendolo visibilmente preoccupato.
“Succede che il compagno di stanza di Ben è un pregiudicato. E’ stato dentro per una rapina in banca sino a tre anni fa, quando è uscito per ragioni di salute. Gli hanno ridotto la pena”
Andrea si sedette accanto al marito sul divano.
“Beh, ha pagato il suo debito con la giustizia. E a quanto pare è anche lui malato” cercò di ragionare.
Ma Semir era  visibilmente alterato.
“Mi chiedo cosa sia saltato in testa a Max ed a Konrad per scegliere proprio quella clinica. Sembra un lager. La fisioterapista è una vera pazza, per poco non investiva Ben con la bicicletta. Nessuno che abbia un minimo di comprensione per i pazienti. E lo hanno messo  in stanza con un criminale. Lui… un poliziotto”
“Semir non esagerare”
“Non esagero. Lo dovevi vedere, a confronto Jack lo Squartatore pare un chierichetto. Appena mi ha visto  ci ha tenuto a chiarire che odia i poliziotti. E ora se ne ritrova uno in stanza”
Andrea sorrise.
“Cosa credi che farà? Lo soffocherà con un cuscino durante la notte?” scherzò.
Ma Semir non rise.
“E’ una cosa seria Andrea non c’è nulla da ridere!”
La donna tornò seria.
“Non credo che il problema sia la clinica…”
“Che vuoi dire?”
“Che il problema è averlo lasciato lì. Qualsiasi posto non sarebbe andato bene” rispose la moglie guardandolo negli occhi.
Semir rimase in silenzio.
Come al solito  Andrea aveva colto nel segno.
“E’ che… che non riesco a liberarmi dalla sensazione che Ben  si sia solo voluto allontanare. Da noi, da tutto e tutti. Crede di essere un peso…”
La voce di Semir era poco più di un sussurro.
“Forse lì lo aiuteranno. Max dice che ci sono buone possibilità che riprenda a camminare”
“Pensi davvero che degli estranei possano aiutarlo meglio di come avremmo fatto noi?”
“Non ci siamo riusciti ad aiutarlo in questi mesi, nonostante lo volessimo disperatamente”
Semir dentro  di sé doveva ammettere che la moglie aveva ragione, ma era difficile.
Appena entrato in casa era stato colto da una sensazione di vuoto allo stomaco.
Ben non c’era e non poteva vederlo sino alla fine della settimana.
“Andrà bene, Semir. Devi pensare positivo”
Andrea tornò in cucina lasciandolo sconsolato sul divano.
Era ormai sera e Semir prese il cellulare.
Se non poteva vederlo almeno poteva sentirlo.
Ma alla chiamata rispose solo la fredda voce della segreteria telefonica.
 
 
Alex rimase a guardare il giovane che dormiva nel letto a fianco al suo.
Era un sonno agitato, disturbato da incubi, il ragazzo continuava ad agitarsi e lamentarsi.
Alex prese un sospiro cercando di cacciare indietro i ricordi.
Per l’ennesima volta in quel giorno, dopo averlo incontrato, si chiese perché mai la vita, il fato, il destino e come cavolo lo si voleva chiamare l’aveva messo di fronte a questa cosa, proprio in quel momento.
Chiuse gli occhi e ancora una volta il volto sorridente di suo fratello gli comparve, nitido, nonostante gli anni passati.
“Mark, torna immediatamente qui. Papà  non ti picchierà più te lo giuro”
Rivide se stesso a  quattordici anni che inseguiva il fratellino di cinque nel lurido campo di roulotte dove abitavano, cercando di calmarlo dopo che per l’ennesima volta il padre l’aveva picchiato a sangue.
Rivide se stesso prendere a pugni suo padre, quando ci aveva riprovato.
“Mark tu devi stare fuori da quest’affare. Fuori hai capito???”
 Ripensò a quando, anni dopo, aveva urlato contro suo fratello così forte che tutto il vicinato si era affacciato ai balconi del decrepito condominio.
Ma Mark non era stato a sentire.
L’aveva seguito in quella maledetta rapina in banca, quando tutto era andato storto.
Gli aveva detto di restare in macchina, ma il ragazzo era stato colto dal panico quando aveva visto arrivare le macchine della polizia.
Era saltato giù dall’auto e aveva cercato di avvisarlo, ma intorno a lui si era scatenato l’inferno.
Aveva urlato ai complici di non sparare, che il suo fratellino era sulla linea di fuoco, ma quelli era rimasti insensibili e crudeli e non si erano fermati neppure quando il ragazzo era crollato in una pozza di sangue, esamine.
Da quel giorno la vita di Alex era cambiata, lui era cambiato.
Era l’assassino del suo fratellino adorato, l’unica persona che avesse mai amato al mondo dopo la morte di sua madre.
Quella clinica era stata la sua occasione di riscatto, aveva dato un senso alla sua inutile vita.
Che ormai, lo aveva capito, era alla fine.
Ma perché proprio ora il fato lo aveva messo di fronte al giovane che dormiva nel letto a fianco al suo?
Appena lo aveva visto era rimasto senza fiato.
Certo era più grande e maturo, ma era assolutamente identico a Mark.
Stessi occhi, stesso colore di capelli, persino le stesse movenze come le ricordava.
E tremendamente vulnerabile in quel momento.
Proprio come Mark.
 
 
Ben si era svegliato di pessimo umore.
Aveva dormito male, tormentato da incubi strani e non aveva voglia di fare nulla, se non di stare in un angolo a leccarsi le ferite e ripensare alla sua vita miserevole.
Appena tornato da Dallas aveva sperato e creduto di rimettersi in piedi nel giro di pochi mesi, ma nonostante tutti gli sforzi suoi, di Semir e della sua famiglia nulla era cambiato.
Le sua gambe erano lì, immobili e fredde, un’inutile appendice  da trascinarsi in giro come un inutile peso.
Non poteva più correre, muoversi liberamente, amare una donna.
Il pensiero di Tanja spuntava ogni tanto nell’angolo remoto della sua mente, ma immediatamente lo ricacciava indietro.
Aveva amato una spietata assassina.
E dopo di lei probabilmente non avrebbe potuto amare nessuna mai più.
“Buongiorno signor Jager”
La voce di Chiara lo fece sobbalzare.
“L’aspettavamo per colazione” disse la giovane, senza però mostrare emozione.
“Non avevo fame” rispose laconico Ben.
“Bene, mangerà a pranzo. Ora abbiamo la seduta di fisioterapia in acqua” fece la donna porgendogli un costume.
In acqua? Ben non aveva alcuna voglia di entrare in una piscina.
“Senta dottoressa Beck, non si potrebbe evitare? Oggi non sono proprio dell’umore giusto!”
“No non si può evitare. Metta il costume, per favore. Non è molto comodo entrare in piscina vestiti” concluse la donna uscendo  dalla stanza.
Ben rimase di stucco.
Quella donna era  antipatica e autoritaria.
Ma non aveva voglia di discutere più di tanto.
Spogliandosi come gli aveva insegnato Alex la sera prima indossò il costume e l’accappatoio e spinse la sedia a rotelle fuori dalla stanza.
 
La piscina era enorme e divisa in settori.
C’erano pazienti e fisioterapisti che lavoravano alacremente, ma Ben non aveva alcuna voglia di entrare e mettersi a galleggiare come un bambino piccolo cui stavano insegnando a nuotare.
“Bene lì c’è lo scivolo. Si posizioni e poi cerchi di spostarsi verso il sedile. Dopo che si è posizionato la calo in acqua con la carrucola” disse Chiara spingendo la sedia verso la parte libera della piscina.
Questo fu troppo per Ben.
Non aveva intenzione di farsi trasportare e manipolare come un pacco.
Rimase immobile dove stava fino a che la Beck non tornò verso di lui.
“Beh? Che succede?” chiese la donna.
“Nulla, solo che non ho voglia di scendere in piscina” rispose il giovane indispettito.
Chiara lo guardò  fredda.
“Signor Jager, capisco che all’inizio soprattutto può esser difficile, ma è necessario.  Dobbiamo lavorare  insieme se vogliamo ottenere dei risultati”
Per la prima volta Ben sentì nella voce della donna una nota di emozione.
Ma era troppo umiliato e stanco.
“Le ho detto che non ho voglia. Forse un altro giorno” scandì mentre spingeva la sedia verso l’uscita.
“La smetta di comportarsi come un bambino capriccioso ed entri in acqua”
Ora la voce di Chiara era dura.
“Non ho intenzione di salire sul quel trabiccolo e di farmi calare in acqua come un pacco. Ci siamo capiti?”
Le circostanze stavano stimolando il lato ribelle di Ben, che forse si era sopito, ma era sempre lì.
“Per l’ultima volta… entri in acqua” sibilò Chiara, ma Ben non la stava a sentire, spingendo la carrozzella verso l’uscita.
“Non vuole usare lo scivolo? Molto bene” concluse la donna mentre  raggiungeva Ben e spingeva la sedia verso la piscina.
Ben rimase basito e non riuscì neppure a reagire, quando Chiara raggiunto il bordo della piscina  rovesciò la sedia a rotelle e lo scaraventò in acqua con ancora indosso l’accappatoio.
 
Ben sputò e tossì per l’acqua che aveva ingoiato più per la sorpresa che per il fatto che era andato giù.
Con suo sommo stupore realizzò infatti di riuscire  a galleggiare perfettamente anche senza muovere le gambe.
“Mi spiace signor Jager. Ma se resta in questa clinica deve fare di tutto per camminare di nuovo. Altrimenti è libero di chiamare il suo amico e tornare a casa. Ora George le mostrerà gli esercizi” disse Chiara mentre raccoglieva dall’acqua con un bastone l’accappatoio che Ben aveva tolto.
Ben arrossì per la vergogna e l’umiliazione, ma comunque iniziò a muovere le braccia.
Era sorprendentemente facile e si sentiva incredibilmente leggero.
Per la prima volta era libero di muoversi avanti ed indietro senza la sedia e si sentiva… bene.
“Non ti conviene contraddirla. Chiara è una tosta” fece una voce infantile dietro di lui.
Ben si voltò e trovò davanti a sé un ragazzino biondo, di circa dieci anni che galleggiava aiutandosi con le sole braccia.
“Ciao. Io sono Leon” disse il ragazzino sorridendogli.
 
Ricacciando indietro l’umiliazione provata Ben aveva eseguito obbediente tutti gli esercizi che gli aveva mostrato George e la presenza di Leon era servita a distrarlo.
Quel ragazzino era una forza della natura.
Era capace di fare tutti gli esercizi senza mi smettere di parlare delle cose più svariate, dalla nuova serie di “Cobra 11” che iniziava quella sera in tv, al nuovo videogioco che i genitori gli avevano appena comprato, alle lezioni scolastiche che frequentava all’interno della clinica ogni pomeriggio.
Alla fine Ben neppure aveva fatto caso al fatto di dover salire sul sedile per uscire dalla piscina, vista la naturalità con cui Leon l’aveva fatto.
“Ci vediamo a pranzo Ben? Dai ti prego, siediti al mio tavolo, così mi racconti di quando eri poliziotto.  Hai arrestato molti criminali?”
Gli occhi del bambino si erano illuminati quando Ben gli aveva detto che faceva il poliziotto.
In realtà Ben non aveva alcuna voglia di parlare del suo lavoro, che probabilmente non poteva più tornare a fare, ma non se la sentiva   di deludere il ragazzino.
E all’improvviso aveva realizzato che aveva anche fame.
“Ok ci vediamo a pranzo” sorrise Ben asciugandosi i capelli.
 
Alex se ne stava a fumare in santa pace, seduto sulla panchina in fondo al parco.
Non riusciva a fare altro che a pensare a quel ragazzo, così simile al suo fratellino, anche se non gli aveva praticamente rivolto la parola dalla sera prima.
“Smettila Alex, non è Mark. E’ un poliziotto per di più” pensò.
“Ecco ti ho beccato. Quante volte te lo devo dire che fumare ti fa male?”
Chiara si sedette vicino ad Alex e lo guardò con un finto sguardo severo.
“Già potrebbe accorciarmi la vita giusto?” rispose sarcastico Alex, prendendo una boccata di gusto.
Chiara non rispose.
“Come va con il nuovo compagno di stanza?” chiese dopo alcuni minuti di silenzio.
“E’ un poliziotto. Proprio con me lo dovevi mettere?” rispose l’uomo sempre con aria sarcastica.
“E dai… qui non è un poliziotto. E ha bisogno di… qualche stimolo in più” Chiara sorrise divertita.
Alex la guardò.
“E’ nella sperimentazione anche lui?” chiese diretto.
“No per ora no,  la sua non è una patologia congenita”
“Perché cosa gli è successo?”
“Beh… ha avuto un incidente in servizio. E’ stato quasi un anno in coma. Ma penso che dietro ci sia molto di più. Non ha alcuna voglia di reagire”
“Ma si può riprendere?” Alex voleva sapere se quello che gli stava chiedendo Chiara era un’impresa impossibile.
“Tecnicamente sì, anche se i danni cerebrali sono stati gravi. Dipende molto da lui”
“Non mi va di fargli da baby-sitter”
“Mai chiesto questo. Solo… potresti dargli un’occhiata”
Alex rimase in silenzio.
Aveva una voglia terribile di dire a Chiara quello che provava, che quel giovane somigliava in modo spaventoso a suo fratello, che non ce la faceva a vederselo davanti tutto il giorno perché la cosa gli provocava un dolore immenso.
Ma non era certo colpa del ragazzo e Alex era in quel posto per dare un senso alla sua vita.
“Non ti aspettare che gli cambi i pannolini o gli tenga la mano la notte”
“No, anzi… tu cerca ti stimolarlo. Sei autorizzato a trattarlo anche male”
Chiara si alzò e prese dalla bocca di Alex la sigaretta.
“E butta sta schifezza” disse mentre spegneva la cicca e la buttava nel cestino.
 
 
“Dottor Stein c’è una chiamata sulla linea tre”
La voce della segretaria nell’interfono distrasse il medico completamente immerso nella lettura delle cartelle davanti a lui.
Era la telefonata che stava aspettando
“Stein” disse, prendendo la chiamata.
“Finalmente, quanto tempo ci avete messo? Aspettavo la fornitura un mese fa. Sì lo so che avete avuto difficoltà con la Cina, ma io ne ho bisogno subito, non posso interrompere la sperimentazione. Ok… almeno il trasporto è sicuro? Non sorgeranno problemi come l’ultima volta?”
Quando concluse la chiamata  era ansioso.
Troppi intoppi sul suo cammino.
Perché i finanziatori non capivano che in  nome della scienza tutto era possibile?
Che il fine giustifica sempre i mezzi?
Che non era disposto a fermarsi davanti a nulla pur di dimostrare che aveva ragione?
Sarebbe passato alla storia come uno dei più grandi medici, un benefattore dell’umanità.
E per questo era disposto a pagare  qualsiasi prezzo.
 
 
Angolino musicale: Abbiamo conosciuto un po’ di più i personaggi che faranno da contorno alla storia…Povero Benuccio sarà davvero finito ‘dalla padella nella brace?’ Ben dovrebbe cercare di vivere, non di sopravvivere, affrontare le sue paure e in questo potrebbe trovare degli ‘stravaganti’ alleati…anche loro con  i loro ‘fantasmi del passato’ con cui prima o poi dovranno fare i conti. Quindi per tutti loro:
Gloria Gaynor ‘Iwill survive’ (sopravviverò).
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=ZBR2G-iI3-I
 
All’inizio avevo paura, ero pietrificato continuavo a pensare che non avrei potuto vivere senza di te al mio fianco, ma poi ho passato cosi tante notti E sono cresciuto forte, e ho imparato ad andare avanti e così sei tornato,  sono semplicemente entrato e ti ho trovato qui con quello sguardo triste sul tuo viso…Va’, adesso va’ via, esci dalla porta va’ a farti un giro perché non sei più il benvenuto qui pensavi che sarei crollato? pensavi che mi sarei buttato giù e sarei morto? oh no, non io! sopravviverò oh finché saprò come si ama so che resterò vivo ho tutta la mia vita da vivere ho tutto il mio amore da dare e sopravviverò... ho usato tutte le mie forze non potevo crollare e ho provato a mettere insieme i pezzi del mio cuore spezzato e ho passato cosi tante notti dispiacendomi per me stesso, piangevo, ma ora tengo alta la testa e mi vedrai, sono una persona nuova…


 
 

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Capitolo 4
*** Musica di libertà ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
 
Capitolo 4
Musica di libertà
  
“Allora come sta Ben? Come si trova alla clinica?” chiese Susanne appena vide Semir entrare in ufficio.
“Non mi va di parlarne” rispose cupo dirigendosi verso la sua stanza.
Ma appena seduto alla scrivania lo raggiunsero Jenny e Dieter con la medesima domanda.
“E Ben? Sta bene?” chiese subito la ragazza.
Semir esplose.
“Non lo so come sta Ben,  va bene? Non lo posso vedere sino a domenica e non mi risponde al cellulare, per cui non  lo so come sta. E smettete di chiederlo” urlò.
“Qualcosa non va?” chiese Kim affacciandosi alla porta dell’ufficio.
“No, tutto a posto” rispose stizzoso Semir, mentre gli altri lo guardavano allibiti.
Kim fece finta di nulla.
“Bene allora potete iniziare il turno di pattuglia” disse rivolta a Semir e Jenny.
 
“Scusa per prima non volevo urlare… è solo che mi sento frustrato. Non riesco a parlare con Ben da ieri. Ha il telefono staccato” si  giustificò Semir mentre guidava lungo l’A4.
“Forse sono le regole della clinica, hai provato a chiamarlo sul numero fisso?” rispose Jenny con un sorriso comprensivo.
“Sì, ma non me lo hanno passato né mi ha richiamato… in realtà sembra una prigione quella, più che una clinica. La fisioterapista è completamente folle, e l’hanno messo in stanza con un gaglioffo che sembra ora uscito dal carcere di massima sicurezza”
Jenny non poté fare a meno di ridere sommessamente.
“Non c’è nulla da ridere… non ti ci mettere anche tu, oltre Andrea” sbottò il piccolo turco.
La reazione di Semir fece morire il sorriso sulle labbra di Jenny.
“Scusa, capisco che sei preoccupato”
“No scusa tu… è che in realtà quel che mi preoccupa è la reazione di Ben. Si sta allontanando da tutti. Sai cosa mi ha risposto quando gli h detto che sarei  andato a trovarlo domenica? Di portare invece le bambine allo zoo…”
“Forse ha davvero bisogno di stare un po’ da solo” azzardò Jenny, beccandosi una nuova occhiata di fuoco da parte di Semir.
“Accendi il lampeggiante, controlliamo quel camion, ha gli stop posteriori che non funzionano” la invitò il piccolo turco, lieto di poter cambiare argomento.
 
Ben aveva pranzato al tavolo con Leon e Alex e, mentre il vecchio era rimasto praticamente in silenzio, fissandolo però per tutto il tempo in modo inquietante, Leon non era stato un minuto solo  zitto.
“Ma hai mai arrestato dei mafiosi? E dei terroristi?” chiese il bambino mentre addentava la sua mela.
“Beh, entrambi e più di una volta” rispose Ben anche se il ricordo della sua vita passata, del lavoro che con tanta ostinazione aveva voluto e che probabilmente non sarebbe mai più  stato in grado di fare , lo tormentava.
“Wow figo… racconta” chiese ancora Leon con occhi adoranti.
“Moccioso ora basta però, mi hai stancato con queste continue chiacchiere. E poi lui, per quanto si vanti, faceva parte della CID,  il massimo dell’azione sarà stato fermare automobilisti ubriachi” sbottò Alex.
“In realtà la competenza della CID è su tutti i reati che vengono commessi sull’autostrada, di qualsiasi natura. A parte il fatto che  dopo ho fatto parte della Delta” rispose Ben infastidito.
“Bene, allora abbiamo un vero ‘Superman’. Spero solo che vorrai alzarti da quella sedia prima o poi e dimostrarlo a tutti” concluse Alex prendendo le stampelle ed alzandosi di botto.
Ben rimase in silenzio a guardare il vecchio che si allontanava, senza reagire.
In altri tempi avrebbe iniziato, quanto meno, un violento litigio, ma ora non gli importava più di nulla.
Quello che era stato o non era stato prima, ‘Superman’ o meno, non poteva più essere.
Ora era bloccato su quella sedia, senza possibilità di uscita.
 
“Mapporca…” imprecò Semir mentre il camion  sterzava all’improvviso a sinistra, cercando d’imboccare un’uscita laterale.
Appena aveva visto i lampeggianti il guidatore del camion aveva iniziato a sterzare a destra ed a sinistra nel tentativo di seminare la BMW di Semir che però non mollava la presa.
“Cobra 11 a Centrale, siamo all’inseguimento di un camion targato ‘K-HL 7370’ sulla A57 all’altezza dell’uscita di ‘Colonia Sud’ chiediamo rinforzi”
Jenny aveva preso il microfono cercando di non essere sballottata di qua e di là  dalle manovre di Semir.
“Ma tu guarda questo…” borbottò il piccolo turco cercando di non farsi seminare.
Il camion riuscì con difficoltà a prendere l’uscita e iniziò a percorrere la corsia unica di marcia a velocità folle.
Semir e Jenny videro però il mezzo che precedeva iniziare a sbandare violentemente: il guidatore aveva perso il controllo.
“Deve aver bucato una gomma” sibilò Semir cercando di tenersi a distanza di sicurezza.
I due poliziotti rimasero attoniti a guardare il camion che dopo l’ennesima sbandata sfondava il guardrail.
Il mezzo proseguì la sua corsa folle sino a che la cabina non si schiantò contro un albero e subito dopo prese fuoco.
 
“Ha chiamato di nuovo il suo amico Gerkan. Ha chiesto se lo richiamava”
Chiara mise la testa nella stanza di Ben che se ne stava seduto davanti alla finestra a guardare  gli ultimi bagliori di luce.
Il pomeriggio non era stato meno faticoso del mattino, ore ed ore di fisioterapia, in cui Ben si  era sentito manipolato e manovrato come una bambola di pezza, senza possibilità neppure di reagire.
Il giovane si limitò ad annuire a Chiara continuando ostinatamente a guardare fuori.
“Fra poco è ora di cena. L’aspettiamo giù” fece Chiara guardando con preoccupazione il suo paziente.
Era un osso duro, quel giovane poliziotto.
Ostinato e depresso, durante la fisioterapia non aveva mostrato alcun segno di voler collaborare.
Chiara non si aspettava alcuna risposta ed infatti non la ricevette.
Proseguendo nel corridoio incontrò Alex che stava per entrare nella stanza.
“Testardo eh?” chiese la giovane al vecchio.
Entrambi sapevano a chi si riferiva.
“Te lo ripeto non so se sono in grado…”
“Invece credo proprio che tu sei quel che ci vuole in questo caso. Hai preso le tue medicine?”  rispose Chiara.
“Certo, ma… davvero credi che funzionino?” fece scuro in volto Alex.
“Beh… è una terapia sperimentale Alex, nessuno può darci sicurezze. Perciò è su base volontaria”
“Non mi sembra che Leon abbia espresso una volontà al riguardo, o sia in grado di farlo”
“Te l’ho già detto Alex. I suoi genitori hanno chiesto di mettere Leon nella sperimentazione. E’ giovane, le sue cellule sono ancora in grado di riprodursi in modo sano. E poi non ci sono veri pericoli… e pare la sua unica speranza”
“Mi chiedo allora a cosa servo io… sono un vecchio,  praticamente ho un piede nella fossa” rispose amaro Alex.
“Smettila Alex, sai bene che  non tutto è perduto…”
“Sì, come no…” troncò la conversazione il vecchio entrando nella stanza che condivideva con il giovane poliziotto.
 
Semir e Jenny erano tornati al distretto dopo i rilievi sul luogo dell’incidente del camion.
Il conducente era morto sul colpo ed il mezzo era andato quasi completamente distrutto nell’incendio.
Si erano salvate solo poche casse di quello che il mezzo trasportava sul retro.
Mentre aspettava notizie da Hartmut sul contenuto delle casse Semir non riuscì  a vincere la tentazione di controllare di nuovo il passato del compagno di stanza di Ben.
Appena inserito il nome di Alexander Brummer nel database  ebbe la conferma dei suoi sospetti.
“Maledizione, lo sapevo” imprecò mentre guardava lo schermo.
Condannato a quindici anni per rapina a mano armata e complicità in omicidio, aveva  avuto uno sconto di pena per aver collaborato con l’ufficio del Procuratore denunciando i suoi complici.
Aveva poi scontato gran parte della pena sino a che, tre anni prima, era stato rilasciato per motivi di salute.
Irato e preoccupato al tempo stesso, compose il numero di cellulare di Ben per l’ennesima volta in quella giornata e per l’ennesima volta gli rispose la vocina irritante della segreteria telefonica.
Stavolta non lasciò neppure il messaggio.
Chiuse il cellulare e con gesto iroso lo buttò sulla scrivania.
 
Ben prese il cellulare dal ripiano dell’armadietto e lo accese, per la prima volta da quando era arrivato.
Il tintinnio dei messaggi iniziò appena il cellulare si collegò alla rete.
“Dodici telefonate perse da: SEMIR”
“Venti Messaggi  da: 15  SEMIR- 1 PAPA’- 4 JULIA”
Ben sospirò iniziando a sentirsi anche in colpa, ma in quel momento non aveva proprio voglia di parlare con l’amico.
Gli voleva bene come e più di prima, era una delle persone fondamentali nella sua vita, ma ora non ce la faceva a parlagli.
Con mano tremante compose un sms ‘ Sto bene, va tutto bene non ti preoccupare. Ci sentiamo presto ’ e lo mandò in risposta a tutti.
Subito dopo spense di nuovo il telefono per evitare di essere richiamato.
 
“Ehi… ma quella è una chitarra?”
La voce di Leon gli giunse alle spalle e lo fece trasalire.
Quel ragazzino ormai lo seguiva dappertutto.
Leon guardava affascinato la chitarra poggiata in un angolo dell’armadio.
“La sai suonare? Ti prego, ti prego suona qualcosa…” supplicò il bambino.
“Leon… non ho…”
“E dai, forza vediamo se almeno le braccia e le mani ti funzionano ancora” disse acido Alex seduto sul proprio letto.
“Ti pregooooooo” supplicò ancora il piccino.
Ben guardò i magnifici occhi azzurri del bambino e non ebbe la forza di resistere.
Aida e Lily gli mancavano da morire  e quel bambino gliele ricordava.
“Ok, ma solo una cosina”
Quando  tirò i primi accordi sulla chitarra Ben fu invaso da strane e magnifiche sensazioni.
Non aveva più ripreso in mano lo strumento da quando aveva avuto l’incidente e solo allora si accorse di quanto gli era mancata la sua musica.
Istintivamente prese a cantare dapprima sommessamente e poi con convinzione.
Tutti gli altri pazienti uscirono dalle stanze attratti dalla musica e si formò un piccolo capannello  nella stanza e subito fuori.
Ben non faceva caso al suo pubblico, era troppo concentrato sulle sensazioni magnifiche che gli dava la musica.
Quasi sobbalzò quando al termine della canzone si levò l’applauso dei presenti.
“Ma che bravo…”
“Magnifico… canta ancora…”
“Forza ragazzi è tardi… tornate nelle vostre stanze. Magari Ben canterà di nuovo per noi domani” disse Chiara che aveva assistito in disparte.
Brusii di delusione si levarono fra i pazienti, ma poco a poco tutti tornarono nelle loro stanze.
“Coraggio Leon, vieni via anche tu, devi prendere le tue medicine” 
Chiara esortò il bambino con un sorriso.
“Canti davvero bene, la voce… non so mi ricorda qualcuno…” disse il bambino mentre si preparava ad andare con Chiara.
“La canzone della carta igienica… la voce è praticamente identica” ridacchiò Alex.
Ben non rispose alla provocazione né tanto meno rivelò  la verità.
“Buonanotte Ben” fece il bambino stendendo le braccia verso il giovane.
“Notte Leon” rispose Ben mentre riceveva un bacio appiccicoso.
Chiara accompagnò Leon fuori sorridendo fra sé e sé.
Forse aveva trovato un altro gancio per arrivare al suo paziente.
 
Semir prese il cellulare appena sentì il suono del messaggio in arrivo.
Sospirò di sollievo quando vide il mittente, ma durò poco.
Il messaggio era anonimo e poco rassicurante in realtà.
Compose immediatamente il numero dell’amico, ma il cellulare risultò nuovamente spento ed irraggiungibile.
Cercando di calmarsi e non pensare per forza al peggio pianificò l’azione.
Quella domenica sarebbe andato alla clinica e avrebbe trascinato Ben via di lì a costo di legarlo o sedarlo.
“Bene abbiamo novità sul contenuto delle casse” disse Hartmut entrando trionfante nell’ufficio di Semir.
Kim Kruger li aveva già raggiunti con Jenny.
“Sono certamente farmaci, ma dalla composizione sconosciuta qui in Europa. Ho mandato i test che ho effettuato all’istituto di farmacologia e mi hanno confermato che  i componenti non sono reperibili qui in Europa. Provengono probabilmente dalla Cina”
“Farmaci illegali quindi. Questo spiega perché il conducente non si è fermato e ha tentato di seminarci” ragionò Jenny.
“Sappiamo dove erano diretti?” chiese la Kruger.
“Purtroppo no. Il conducente non era identificabile e non aveva documenti. Ho dato a Susanne le impronte dentarie che mi ha inviato il medico legale, vediamo se era schedato”
Semir rimase in silenzio.
Non sapeva spiegare bene perché, ma aveva  la strana sensazione che in qualche modo la storia aveva a che fare con Ben.
 
 
  
Angolino musicale: la depressione la fa un po’ da padrona, ma vedrete magari potrebbe andare meglio o forse no…intanto diamo un po’ di speranza…più o meno…
R.E.M. ‘Losing my religion’ (perdere la mia fede/pazienza)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=xwtdhWltSIg
 La vita è più grande è più grande di te e tu non sei me le lunghezze che percorrerò la distanza dai tuoi occhi oh no, ho detto fin troppo l'ho voluto io Sono io quello nell'angolo Sono io quello alla ribalta che perdo la mia pazienza cercando di sostenermi con te e non so se posso farlo oh no, ho detto fin troppo non ho detto abbastanza pensavo di averti sentito ridere pensavo di averti sentito cantare credo che pensassi di averti visto tentare Considera questo l'aiuto del secolo considera questo l'errore che mi portò fallito alle mie ginocchia che importa se tutte queste fantasie arriveranno a colpire qui ora ho detto veramente troppo pensavo di averti sentito ridere pensavo di averti sentito cantare credo che pensassi di averti visto tentare Ma quello era solo un sogno era solo un sogno...
 
 

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Capitolo 5
*** Ferite aperte e piani fallti ***


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 LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
 
 Capitolo 5
 Ferite aperte e piani falliti
 
Semir aveva quasi contato le ore che lo separavano dalla possibilità di vedere finalmente Ben e scoprire cosa stava succedendo in realtà al suo amico.
Aveva mandato centinaia di messaggi e chiamato almeno dieci volte al giorno, ma Ben aveva sempre risposto con il solito messaggio di rassicurazioni che suonava ancor più preoccupante.
Il piccolo turco era stato completamente distratto sul lavoro in quei giorni, in altri tempi la questione dei farmaci  illegali scoperti sul tir andato distrutto avrebbe occupato la sua mente a tempo pieno,  ed invece non riusciva altro che a pensare a Ben.
Ma ora Semir era decisissimo; aveva già  fatto preparare da Andrea la stanza al piano terra e l’avrebbe trascinato di nuovo a casa con lui, di sua volontà o anche tramortito.
Questa storia doveva finire.
Poi si poteva decidere il da farsi, il necessario era farlo uscire di lì.
Quel posto gli dava i brividi al solo pensarci.
Mentre parcheggiava la BMW si sforzò di pensare bene alle cose da dire e al tono da usare; se lo aggrediva rischiava di ottenere l’effetto contrario, ma il suo animo era decisamente… incazzato.
Non se ne sapeva spiegare bene la ragione, ma era veramente incazzato con quel ragazzo.
“Buongiorno, vorrei vedere Ben Jager per favore” disse con aria spazientita all'infermiera della reception.
“I pazienti sono quasi tutti nel giardino. Può trovarlo lì, se ha voglia di ricevere visite” rispose la donna con aria gelida e professionale, indicandogli la porta di fronte che dava sull’ampio giardino della clinica.
Era un parco enorme  e Semir non vide subito l’amico in giro.
Iniziò a gironzolare cercandolo con la sguardo sino a che non lo vide.
Era accanto ad una panchina e stava discutendo con un uomo elegantemente vestito che vi sedeva.
Anche da lontano Semir poteva percepire la tensione fra i due.
“Maledizione, Konrad” pensò riconoscendo subito l’uomo che parlava con Ben.
Si rimproverò mentalmente per non essere arrivato prima del padre dell'amico.
I rapporti fra padre e figlio, dopo quello che era successo l’anno prima, erano migliorati sino ad un certo punto, ma il rancore, la paura e lo sconcerto  del vecchio imprenditore per il lavoro del figlio erano venuti tristemente a galla di nuovo quando era diventato chiaro che Ben non si sarebbe alzato tanto facilmente dalla sedia a rotelle.
Konrad continuava a credere che la ragione, la causa di tutto quello che era successo era il lavoro che Ben si era scelto, e non mancava di farglielo notare ogni volta che incontrava il figlio.
Semir poteva capire il dolore che il vecchio provava nel vedere il figlio ridotto su di una sedia a rotelle, ma come faceva a non comprendere che così  peggiorava solo la situazione?
A volte l’avrebbe volentieri preso a pugni per il dolore che cagionava al suo migliore amico.
“Almeno pensaci. Il posto d'amministratore delegato è sempre disponibile e per quel lavoro non c’è bisogno che tu…”  disse Konrad.
Semir  si bloccò ad alcuni metri di distanza, indeciso se intervenire nella conversazione fra padre e figlio.
“Che io stia sulle mie gambe giusto?” 
Ben concluse la frase in tono amaro.
“Non ho detto questo. Ma devi iniziare a pensare al tuo futuro…”
Semir sentì la rabbia che gli saliva.
Come poteva un padre dire praticamente al figlio di rassegnarsi a passare la sua vita su di una sedia a rotelle? Come faceva a non capire che Ben si DOVEVA alzare da quella sedia e tornare a fare quello per cui era nato, ovvero il poliziotto?
“Dopo tutto, se vogliamo essere sinceri, la colpa di quello che è successo è…”
Semir stavolta ebbe serissime difficoltà a restare calmo e distante, ma si sforzò a farlo.
Non voleva di nuovo compromettere i rapporti con il padre di Ben e soprattutto non voleva impegnarsi in un litigio davanti al suo amico.
“Certo la colpa è mia e del lavoro che mi sono scelto. Penso che ora tu debba andare papà. Julia ti sta aspettando a quella conferenza, giusto? Salutamela e dille che sto bene”
Ben guardò il padre gelido.
Konrad si alzò sospirando.
“Ok, allora ci vediamo figliolo” disse senza neppure tentare di abbracciare il figlio per salutarlo.
Semir voleva credere che  lo faceva perché il vecchio sapeva che Ben si sarebbe ritratto, ma non ne era poi così sicuro.
Sospirò di sollievo mentre Konrad prendeva un’altra direzione per uscire dal giardino, almeno non lo doveva incrociare.
Non era sicuro di riuscire a trattenersi dal prenderlo a pugni.
Aspettò un paio di minuti prima di avvicinarsi a Ben, non prima di aver indossato una perfetta maschera d'allegria. L’incazzatura era sparita.
Ora era solo preoccupato nel guardare la figura del giovane poliziotto, triste ed ingobbito sulla sedia.
“Ciao socio… comunicare con te è diventato difficile” disse sorridendo.
“Ciao” si limitò a rispondere Ben guardando altrove.
“Allora… come stai? Hai iniziato a dare fastidio a tutte le infermiere?”
Semir cercò d’imprimere alla conversazione un tono sciolto.
“Bene. Sto bene. Perché non hai portato le bambine allo zoo?” chiese in risposta l’amico senza guardarlo in faccia.
Brutto segno, stava mentendo.
Ormai Semir aveva imparato a captare le bugie che gli diceva Ben dal linguaggio del corpo.  
“Sì  certo andiamo nel pomeriggio allo zoo. Anzi in realtà ho dovuto faticare parecchio per convincere loro ed Andrea a non venire, hanno piantato una tale storia. Vogliono vedere lo zio”
“Questo non mi pare proprio posto per le bambine” 
Ben aveva una voce atona e dura.
Semir rimase per un po’ in silenzio, indeciso su cosa dire.
“Ben… posso sapere cosa c’è che non va?” chiese preoccupato.
Stava prendendo il discorso alla larga, ma se attaccava subito era sicuro di ricevere un rifiuto ed il suo obiettivo era tornare a casa con Ben quella mattina.
  “Nulla, va tutto bene”  fu l’unica risposta.
Semir iniziò a perdere la calma che si era imposto.
“Senti, non mi dire cazzate. Ti conosco troppo bene. Il problema è questo posto. Non è adatto, sembra una prigione. Sono tutti scortesi e freddi. Ad iniziare dalla pazza che quando siamo arrivati stava per metterti sotto con la bicicletta…”
“Fanno solo il loro lavoro” replicò l’amico.
“Ecco appunto fanno il ‘solo’ loro lavoro, non sanno cosa significhi essere vicini ai pazienti. Non mi piace questo posto. Ho una brutta sensazione, quindi per favore, facciamo le valigie e vieni via con me. Troveremo un’altra clinica se proprio vuoi”
“Va bene qui. Non ti preoccupare”
“Non va bene affatto! Non cercare di mentirmi, perché in fondo io ho capito qual è il vero problema. Tu non vuoi veramente stare qui, tu vuoi stare solo lontano da noi… da tutti giusto? E’ per questo che non rispondi alle chiamate e mandi finti messaggi di rassicurazione”
Ben non rispose, ma mosse la sedia verso l’entrata voltandogli le spalle.
“Ben per favore… aspetta dai, non volevo” fece Semir sentendosi da schifo.
Come al solito aveva lasciato che il suo caratteraccio prendesse il sopravvento.
Era arrivato con le migliori intenzioni per convincerlo a venire via e meno di cinque minuti dopo lo stava aggredendo.
“Ben…”
Ma il giovane era già lontano alcuni metri.
Semir vide un ragazzino  su di una sedia a rotelle venire incontro a loro.
“Ben… dai vieni, ti faccio conoscere i miei genitori” disse il bambino, bloccando Ben con aria adorante sul viso.
Svelto ne approfittò per raggiungere Ben.
“Ciao, io sono Leon” fece il piccolo non appena Semir li raggiunse.
“Semir” si presentò il piccolo turco, mentre gli si stringeva il cuore alla vista del piccino. 
La stessa età di Aida e così sfortunato.
“Sei anche tu un poliziotto?” chiese Leon.
“Semir era il mio socio di lavoro” intervenne  Ben.
Il verbo della frase, declinato al passato, fece a Semir più male di una coltellata.
“Io SONO il socio di lavoro di Ben. Sì siamo in polizia insieme”
Gli occhi di Leon s'illuminarono letteralmente.
“Forte. Anche tu  catturi gli assassini?” chiese adorante.
“Beh ci provo”  rispose Semir con un gran sorriso.
“Semir stava andando via.  Dì ai tuoi genitori che sto arrivando”
 
Lo sguardo di Ben era più che eloquente.
“Ok… ciao Semir”
Leon salutò e spinse la sua sedia  lungo il vialetto.
“E’ ora che tu vada Semir” disse il giovane duro e senza emozione.
“Aspetta un  minuto. Non credere di liberarti di me così facilmente mio caro. Te lo ripeto questo posto non è adatto. E poi  sai chi è il tuo compagno di stanza? Un…”
Ben lo bloccò con sguardo di fuoco.
“Non mi interessa chi era Alex fuori di qui Semir… e sai perché? Perché qui dentro siamo tutti uguali. Gente storpia che non può camminare e non è indipendente. Cosa siamo stati fuori di qui non ha più nessuna importanza. Per favore ora vai via. Ciao Semir” urlò girandogli le spalle.
Semir rimase come congelato.
Era molto peggio di quanto aveva previsto.
Non riuscì  a fare niente altro che guardare Ben che raggiungeva Leon e i genitori ed iniziava a parlare con loro.
 
“Ehi tu… credi di far bene, di aiutare così?”
La voce di Alex fece sobbalzare Semir che si stava avviando all’uscita.
L’uomo se ne stava appoggiato ad un albero, con le stampelle a fianco, e fumava una sigaretta.
Il piccolo turco provò un'ondata di rabbia travolgente.
“Come ha detto scusi?”
“Ho chiesto se credi di far bene parlando al ragazzo in quel modo” ripeté calmo l’uomo.
Semir cercò di controllarsi.
“Conosco quel ‘ragazzo’ da molto più tempo di lei. E’ il mio migliore amico e certo non accetto lezioni su come comportarmi o su cosa sia meglio per lui” sibilò furioso.
“Se pensi che venire qui e prima ancora di chiedergli come sta, imporgli di venire via con te, allora sei più stupido ancora di suo padre” rispose il vecchio, sempre calmo.
“Ma cosa ne sa lei di Ben? Cosa ne sa di quello che ha passato negli ultimi due anni? Non accetto lezioni da un…” Semir si bloccò appena in tempo per non pronunciare la parola fatidica.
“Pregiudicato? Dillo pure. Cosa sono non è un mistero qui. La voce sarà giunta certamente anche a Ben, senza bisogno che glielo dici tu”
“Non ho intenzione di discutere con lei di Ben. Lei non ha alcun diritto d'intromettersi”
“Neppure tu. Ben non è un bambino…” borbottò l’uomo.
Semir buttò fuori l’aria per tenersi calmo e si girò senza neppure dire un parola.
“Quello di cui ha bisogno non glielo puoi dare. Deve farcela da solo. Renditene conto” gli urlò Alex di riamando.
 
Pensieri furibondi si agitavano nella testa di Semir mentre percorreva il grande salone della clinica verso l’uscita.
Si rendeva conto che ormai era andato in ‘modalità iperprotettiva’, e che probabilmente Alex  aveva ragione  sul fatto che non poteva arrivare lì e aggredire Ben cercando di convincerlo a venir via.
Ma Semir aveva paura.
Paura  non tanto che il suo migliore amico non tornasse a camminare sulle sue gambe, ma che non tornasse più ad essere il ragazzone intelligente allegro e scanzonato che era sempre stato.
E che tutto questo fosse colpa sua.
Perché era colpa sua quello che era successo l’anno prima.
Semir cercò di cancellare le immagini spaventose di Ben che praticamente gli moriva fra le braccia nella neve.
Con la coda dell’occhio vide in un angolo la fisioterapista parlare con altre due ragazze del personale e non riuscì a trattenersi.
“Proprio lei cercavo” sibilò parandosi davanti alla giovane che conservò una calma olimpica.
“Come posso esserle utile signor Gerkan?” rispose Chiara.
“Posso dirle due parole in privato?” chiese Semir conducendola in un angolo appartato.
“Non mi pare che Ben stia bene…  mi è sembrato abbastanza depresso”
“Non credo di poter discutere con lei delle condizioni mediche del signor Jager. Lei non è un familiare…” protestò la ragazza.
“Lasci perdere, con me non funziona. Cosa fate qui? Vi divertite a torturare i pazienti? Il vostro primo dovere dovrebbe essere quello di far star bene i vostri pazienti. Invece Ben sta cento volte peggio di quando l’ho lasciato”
“Il signor Jager sta seguendo i protocolli di cura… certo non è molto collaborativo, ma questo nei primi giorni può essere normale”
“Normale? Non ha risposto a nessuna delle chiamate mie o di mia moglie o delle bambine. Lui stravede per le mie figlie, non è mai stato più di due giorni senza parlare con loro almeno al telefono. Ed ora invece se ne sta qui isolato da tutto e tutti. Praticamente mi ha cacciato prima. Secondo lei è ‘normale’ questo?”
Ormai Semir stava quasi urlando e tutti i presenti si erano girati verso la loro direzione.
“Abbassi la voce e si calmi. Mi creda qui stiamo facendo di tutto per sostenere il paziente, ma il trauma psicologico…”
“Stava benissimo, o comunque meglio prima di venire qui…”
“Senta signor Gerkan capisco le sue preoccupazioni, sono comuni a  molti dei familiari. Ma l’importante è capire che il processo di guarigione è una cosa molto personale. E avere qualcuno che ti assilla e ti sta continuamente vicino, nonostante le migliori intenzioni, spesso non aiuta il paziente a trovare dentro di sé la forza”
“Ah… ora sarebbe colpa mia!” Semir ora era rosso dalla rabbia.
“Non ho detto questo. Solo che se il signor Jager non trova dentro di sé la forza per reagire non si alzerà mai da quella sedia. E quella forza non gliela può dare lei, evidentemente, altrimenti Ben non sarebbe qui”
Semir rimase scioccato. 
In fondo quella giovane lo stava mettendo davanti alla realtà: lui non era con evidenza capace di aiutare il suo amico.
Ma il piccolo turco era troppo testardo per ammettere le sconfitte.
“Mi aspetto che non gli succeda nulla… altrimenti…”
Chiara non rispose, si limitò a girare i tacchi e tornare verso la reception.
 
“Merda, merda, merda” imprecò Semir uscito nel parcheggio, mentre prendeva a calci la ruota della BMW.
Era andato tutto storto.
Voleva portare Ben a casa ed invece ci aveva litigato.
Voleva dare una lezione a quella fisioterapista ed invece era stato messo di fronte al suo fallimento.
E ora se ne stava tornando a casa lasciando Ben in quel posto che continuava a dargli i brividi, anche se non sapeva bene spiegare il perché.
 
“Questo posto brulica di poliziotti ormai” fece il giovane medico, guardando fuori dalla finestra Semir che si allontanava sulla sua BMW.
“Questo non è il nostro problema principale allo stato” rispose Stein senza alzare gli occhi dal pc.
“Piuttosto, hai detto ai nostri fornitori che non tollererò più alcun errore? E’ il secondo carico che perdiamo e per di più stavolta una delle casse è finita in mano alla Polizia”
“Non ti preoccupare, nulla può collegare quel tir a noi. Fortunatamente è andato tutto a fuoco, compreso l’autista” rispose il medico giovane.
“Sì, ma io ho bisogno comunque della mia fornitura, senza mi dovrò fermare… e io voglio risultati entro l’anno”
“Non ti preoccupare. Il nuovo carico è già in viaggio. Arriverà via fiume stavolta”
“Speriamo. Ti ripeto non tollero altri errori. Piuttosto… questo è il programma per la settimana” disse Stein porgendo al  giovane una cartellina.
Il medico diede una rapida occhiata.
“Sei sicuro di voler aumentare così le dosi sul  paziente 6? Può essere pericoloso”
“Lo so, ma se non corriamo qualche rischio non otterremo mai risultati. Bisogna osare” Rispose Stein del tutto indifferente.
“E’ giovane, allo stato è l’unico che risponde ai requisiti” continuò.
“Sì, ma se  va male come le altre volte?”
“Allora faremo sparire tutte le tracce, come le altre volte” sorrise Stein.
 

Angolino musicale: la coppia d’oro della CID è scoppiata un’altra volta e i due soci nuovamente divisi da insanabili accadimenti???Ma, forse, chissà, una cosa è certa raramente l’intuito di Semir sbaglia…ma ciò basterà a farli tornate uniti???
Nick Lachey ‘What's Left Of Me’(ciò che resta di me)
 
 
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=899a8WlVpNk
Guarda la mia vita,passa come nel specchietto retrovisore Immagini congelate nel tempo Stanno diventando più chiare Non voglio sprecare un altro giorno Bloccato all'ombra dei miei errori Perché voglio che…E ti sento Strisciare sotto la mia pelle Come una fame Come un bruciore Per trovare un posto che non sono mai stato
Ora sono a pezzi E sto svanendo Io sono la metà dell’uomo che pensavo di essere,
Ma si può avere ciò che resta di me,sto morendo dentro Poco a poco Non so dove andare…

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Capitolo 6
*** L'ultima ninna nanna ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
 
Capitolo 6
L’ultima ninna nanna
  
“I miei genitori hanno detto che sei supermegafantastico” fece Leon  nuotando accanto a Ben nella piscina della fisioterapia.
“Dubito che i tuoi abbiano usato quel termine”  sorrise Ben.
“Beh… sì hanno detto che sei simpatico, ma tu per me sei supermegafantastico”
Ben sorrise di nuovo.
Neppure Aida gli mostrava una tale adorazione.
“Leon… George ti aspetta dall’altro lato” disse Chiara entrando in acqua anche lei.
“Pronto?” chiese poi a Ben iniziando gli esercizi di mobilizzazione.
Ben la lasciò fare completamente indifferente.
“Senti Ben… posso chiamarti così visto che ormai siamo intimi?” sorrise Chiara.
Da quando era lì era la prima volta che Ben la vedeva sorridere davvero.
Ben annuì pensando che in fondo Chiara era la donna con cui aveva avuto più contatti fisici  da quasi due anni.
“Bene… posso sapere perché sei così poco collaborativo?” chiese la giovane con calma mentre massaggiava la gamba.
“Mi pare di fare tutto quello che dici…” rispose Ben svogliato.
“Sembri un pupazzo. Non t’ impegni Ben” lo rimproverò Chiara.
Ben non rispose, non volendo mentirle.
“L’altro giorno ho fatto una chiacchierata con il tuo amico… mai visto un tipo più protettivo. Siete molto amici giusto?”
“Semir? Sì… lui è fatto così a volte esagera, ma è l’uomo migliore che io conosca”
La voce di Ben si era fatta bassa e triste.
“Gli amici sono importanti,  una delle cose più belle nella vita, ma a  volte sono un po’… ingombranti” fece Chiara continuando il suo lavoro.
“Semir è più di un amico. Lui, sua moglie e le bambine sono l’unica vera famiglia che io abbia mai avuto”
“E forse non meritano un po’ più d’impegno da parte tua? Suppongo che loro vogliano vederti felice” fece Chiara.
Ben pensò che la giovane stava decisamente tentando di cambiare approccio.
“Loro forse meritano di meglio di un paralitico che gli gira per casa a cui pensare” rispose con una punta di acidità nella voce.
Chiara rimase un attimo scioccata, ma non ebbe il tempo di replicare.
Un gran chiasso si stava alzando dall’altra parte della piscina.
“Leon… cosa hai?” sentì urlare.
Chiara mollò tutto e si diresse a grandi bracciate verso l’altro lato.
I suoi colleghi avevano tirato fuori dall’acqua Leon che stava vomitando platealmente sul bordo della piscina.
“Vai a chiamare il dottor Stein” urlò Chiara ad una collega, mentre usciva rapida dalla piscina.
“No…sto bene” fece il bambino.
“Cosa ha?” urlò Ben  che si era avvicinato anche lui, impossibilitato ad uscire da solo.
“Nulla non ti preoccupare. Ora gli altri ti aiutano ad uscire” rispose Chiara mentre seguiva il collega che stava portando in braccio Leon verso l’infermeria.
Ben non poté fare altro che assistere alla scena del tutto impotente.
 
“Mi sento meglio davvero” borbottò il piccolo Leon mentre  il  primario della clinica il dottor Frank Stein,  finiva di  visitarlo.
Chiara assisteva alla scena in disparte, ma era molto preoccupata.
Il bambino appariva pallido e stava sudando abbondantemente, nonostante non facesse per nulla caldo.
“Sembra solo un’ intossicazione o un’ influenza virale, nulla di grave” concluse il medico alzandosi.
“Dottore a me non sembra un’intossicazione. Non ha la diarrea e  non presenta gli altri sintomi… solo una debolezza muscolare spiccata” protestò Chiara.
Leon non riusciva ad alzarsi dal letto da qualche ora.
“Beck… chi è il medico qui? Lei faccia il suo lavoro da fisioterapista e lasci a noi quello di medico” rispose Stein inviperito.
“Dovremmo almeno avvisare i genitori…”
“Non mi pare il caso di spaventarli solo per un’indigestione”
“Ma…”
“Dottoressa Beck le ripeto. Si limiti a fare il suo lavoro”
Chiara non ebbe il tempo di rispondere che il medico aveva già lasciato la stanza.
“Ehi… come ti senti?” chiese la giovane rivolgendo la sua attenzione al piccino steso sul letto.
“Così…” fece il bambino, sincero.
“Vuoi che chiamo la tua mamma?” chiese Chiara.
“Ma il dottor Stein  ha detto…”
“Me ne frego di quello che dice il dottor Stein” pensò Chiara.
“Se la vuoi chiamare non ci sono problemi, nessuno s’arrabbierà”
Leon ci pensò un po’ su combattuto. Ma era sempre stato un bambino forte.
“No lascia stare… la mia sorellina è appena nata, non li fa dormire… magari la chiamiamo domani. Tanto mi sento meglio” fece sorridendo.
Chiara era indecisa, ma si fidò del piccolo.
 
“Semir abbiamo novità sull’autista del tir” annunciò Susanne.
“Dimmi” rispose il piccolo turco, sempre distratto.
“Semir, tutto bene?” chiese la segretaria accomodandosi nell’ufficio.
“Sì certo…”
“Sembri distratto” fece la bionda segretaria guardandolo fisso.
“No… allora dimmi”
Susanne continuò a guardarlo incerta, ma azionò comunque il telecomando per proiettare le slides sullo schermo.
“Si chiamava Ettore Lazzari. Era italiano, ma viveva in Germania da molti anni ed è stato più volte arrestato. Aveva contatti con la  mafia siciliana, ma i colleghi dicono che non era in organico alle cosche mafiose”
Sullo schermo era comparsa la foto di un cinquantenne dall’aria truce.
“Non abbiamo modo di sapere dove stava trasportando quei farmaci?”
“Purtroppo è difficile, il camion è andato quasi completamente distrutto”
“Sappiamo qualcosa della famiglia?”
“No… solo che aveva moglie e due figli. In realtà erano tre, ma una bambina è morta qualche anno fa” la voce di Susanne divenne triste.
“Dammi l’indirizzo, vediamo se domani riesco a capire qualcosa dalla moglie” disse alla fine Semir prendendo la giacca.
 
Era quasi sera ormai e la debolezza di Leon non accennava a migliorare.
Tutti i pazienti del reparto erano passati  a vedere la loro piccola mascotte e Chiara era sempre più angosciata.
Aveva cercato più volte di contattare il dottor Stein, senza risultato e ora se ne stava seduta accanto al letto di Leon, aspettando  che migliorasse, anche se il suo turno era finito da un pezzo.
Il medico di turno, il dottor Morge, non sembrava preoccupato e le sorrise quando entrò nella stanza con una  siringa.
Chiara rimase interdetta.
“Dottore non crede che il bambino sia troppo debole per seguire la terapia?” chiese.
“Ma no  Chiara, ti stai preoccupando troppo. Gira un brutto virus influenzale,  non c’è nulla di cui spaventarsi” disse mentre faceva l’iniezione.
Come al solito Leon non aveva battuto ciglio, era un ragazzino davvero coraggioso, ma sembrava pallido ed indifeso.
Il medico uscì dopo aver dato una carezza a Leon.
“Posso entrare?” chiese Ben fermandosi sulla soglia.
“Ben!” il viso di Leon s’illuminò all’istante.
“Ciao piccolo, come ti senti?” chiese il giovane poliziotto avvicinando la sedia al letto.
“Bene… mi racconti una storia di polizia? Ma la voglio paurosa”
“Certo” rispose Ben guardando preoccupato verso Chiara.
“Bene,  mentre Ben ti racconta la storia, io  ho una cosa da fare. Però prima devo dire qualcosa a  Ben ”
I due uscirono.
“Tienigli compagnia, io vado a chiamare i genitori” gli disse sussurrando.
“Non l’avete ancora fatto? Ma sta così male?” Ben  era sempre più preoccupato.
“No anzi i medici dicono che è solo un virus influenzale, ma ha solo nove anni.  La mamma deve stare con lui”
Ben pensò con nostalgia ai pochi anni  in cui aveva avuto da piccolo il conforto di sua madre quando era malato.
Era morta quando lui aveva solo otto anni.
Il giovane poliziotto tornò nella stanza di Leon.
“Allora una storia paurosa? Vediamo… sai che una volta mi hanno… sepolto vivo?”
 
Chiara riattaccò il cellulare più sollevata.
La madre di Leon stava arrivando.
Risalendo verso la stanza incrociò nel corridoio Alex.
Se ne stava impietrito, poggiato al muro.
“Perché hai permesso che gli facessero l’iniezione anche stasera?” chiese a bruciapelo.
“Cosa vuol dire anche stasera?”
“Che  ne hanno già fatta una stamattina” fece Alex guardandola negli occhi.
“Smettila Alex, non puoi credere che la terapia lo faccia stare male”
Chiara  cercò di cancellare il pensiero dalla mente.
“Non è così Alex!” disse scandendo le parole.
 
“Ehi piccolo, non dovresti dormire un po’ ora?”
“Ma non ho sonno, mi fanno male le gambe…” piagnucolò il piccino.
“E se ti canto qualcosa?”
Leon sorrise.
“Sì dai…  la mamma mi cantava sempre la ninna nanna”
Ben iniziò ad intonare piano ‘La le lu’.
Come la cantava a Lily e come prima l’aveva cantata ad Aida.
 
La le lu solamente l'omino nella luna osserva quando i piccolini dormono dormi anche tu la le lu. Davanti al lettino ci sono due scarpicine sono stanche come te…
 
Non ci volle molto prima che Leon chiudesse gli occhi per la stanchezza.
Ben uscì spingendo la sedia in modo da non far rumore.
Sull’uscio incrociò Chiara.
“I genitori stanno arrivando, vai a dormire non ti preoccupare” gli disse riprendendo il suo posto vicino al letto.
“Ben… grazie di tutto” disse la giovane mentre Ben  s’avviava nel corridoio.
 
Ben e Alex rimasero in perfetto silenzio mentre si stendevano sui loro letti per dormire.
Non avevano bisogno di parole per esprimere la loro angoscia.
 
La luce del mattino penetrava appena dalle persiane quando Ben aprì gli occhi all’improvviso.
Aveva una brutta sensazione e sentiva come se qualcuno lo  stesse  guardando.
E infatti sulla porta c’era Chiara.
La giovane era completamente sconvolta, il viso gonfio dalle lacrime, i capelli scompigliati ed i vestiti in disordine.
Nel corridoio si sentiva un gran via vai di gente.
“Cosa è successo?” chiese Alex che si era messo a sedere sul suo letto completamente sveglio.
“Ragazzi, non volevo che lo sapeste da altri…”
La voce di Chiara era solo un sussurro.
Ben sapeva già quello che era successo prima che le parole uscissero dalla bocca della donna.
“Leon… stanotte ha avuto una crisi respiratoria… è morto” disse Chiara scoppiando in lacrime.
 
Angolino musicale: Noi autrici ci sentiamo un po’, anzi decisamente in colpa…povero Leon. E questa volta la ‘colonna sonora’ sarà molto …particolare.
‘la le lu nur der mann im mond schaut zu’(la le lu solamente l’omino sulla Luna osserva)
 
 
Per ascoltarla : https://www.youtube.com/watch?v=gPxdDzmIlCk
La le lu 
solamente l'omino nella luna osserva 
quando i piccolini dormono 
dormi anche tu 
- la le lu 

Davanti al lettino 
ci sono due scarpicine 
sono stanche come te 
e ora si riposano 

Ecco che arriva il mago "Sabbiolino"
silenziosamente entra in casa 
cerca per te il più bello tra i suoi "sogni" 
- la le lu 

Solamente l'omino della luna osserva 
quando i piccolini dormono 
ora dormi anche tu 

Quando tutte le stelle del cielo si sono svegliate 
ti canto volentieri una ninna nanna 
- la le lu 
solo l'omino sulla luna osserva 
quando i piccolini dormono 
ora dormi anche tu. 

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Capitolo 7
*** Sospetti ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ

Capitolo 7
Sospetti

Semir suonò il campanello dell’appartamento della famiglia Lazzari di buon mattino.
Aveva dormito poco e male, la lontananza dal suo migliore amico e soprattutto la sua freddezza nei suoi confronti, lo tormentavano.
“Ciao, chi sei?” fece una vocina dallo spiraglio della porta che si aprì.
Semir intravide la sagoma di un bambino di non più di sei anni.
“Ciao, c’è la mamma? Devo parlare con lei”
Subito dopo comparve sull’uscio una donna sui cinquant’anni.
Si vedeva che era sconvolta, e Semir cercò di essere quanto più delicato possibile.
“Buongiorno, signora Lazzari. Scusi il disturbo.  Ispettore Semir Gerkan, della CID” disse mostrando il tesserino.
La donna si limitò a guardarlo.
“Vorrei farle delle domande se possibile…”
La donna aprì la porta indicando la strada verso un piccolo salotto.
Semir si sedette sul piccolo divano dalla tappezzeria usurata, con accanto la Lazzari.
“Signora dovrei farle qualche domanda su suo marito”
“Sono già venuti altri suoi colleghi, e le ripeto quello che ho detto loro. Non sapevo molto del lavoro di mio marito, solo che faceva l’autotrasportatore. E non so cosa stesse trasportando e per conto di chi” rispose tutto d’un fiato la donna.
Semir rimase in silenzio, probabilmente la donna era  ancora sconvolta e lui stava lì a tormentarla di primo mattino.
“Sa se suo marito aveva contatti con qualcuno in particolare nell’ultimo periodo?”
“No, so solo che lavorava almeno diciotto ore al giorno, sette giorni su sette. Con la situazione che abbiamo in casa…”
La donna iniziò a piangere silenziosamente.
“Mi spiace molto signora. So della vostra prima figlia…”
“Fosse solo quello ispettore. Anche il mio secondo figlio, Russell, ha la stessa malattia di Alessia. Come faremo ora? Come faremo per le cure?” la donna continuò a piangere mentre prendeva una foto dal tavolino accanto al divano.
La donna la porse a Semir.
Mostrava due bambini in un bel parco, abbracciati  ai genitori. Sullo sfondo si intravedeva un grande edificio.
Semir ci mise un attimo a connettere l’immagine che vedeva al suo ricordo della clinica dove stava Ben.
“Signora dove è stata scattata questa fotografia?” chiese mentre iniziava a sentirsi agitato.
“Nel giardino della clinica ‘Felsen’. Alessia era in cura lì e ora anche Russell” mormorò la donna.
“Le cure in quel posto sono molto care…” fece Semir.
Sapeva che i conti della clinica erano abbastanza salati, anche se per Ben ovviamente  questo non era un problema.
“Credo che mio marito avesse ottenuto  un favore dal dottor Stein… il primario della clinica. Ma ora con la morte di Ettore ora non so neppure se potremo continuare le cure”
“Suo marito conosceva il primario della clinica?” chiese ancora Semir, con un senso crescente d’ansia. La sua sensazione che tutta la storia avesse qualcosa in comune con Ben stava ricevendo conferme.
“Sì lo conosceva bene, credo che sia stato lui a far ammettere sia Martina che Russell nel gruppo di sperimentazione che porta avanti nella clinica”
Semir concluse la visita salutando la donna sempre più agitato. Quel posto era pericoloso, ora ne aveva avuto la conferma.
Non vedeva l’ora d’interrogare questo dottor Stein per vedere cosa c’entrava nella storia.
All’improvviso il cellulare nella sua tasca iniziò a vibrare e quasi rimase senza fiato quando vide il chiamante.
“Ben… è successo qualcosa?” chiese con voce strozzata.
 
 
Ben era rimasto per quasi un’ora, seduto sulla sedia, a fissare la parete di fronte.
Con il suo lavoro aveva avuto a che fare con la morte molte volte, anche con la morte di bambini, spesso.
Non riusciva più a contare le volte in cui li aveva visti morire negli incidenti stradali.
Ma stavolta era diverso.
Non  sapeva come spiegarselo, conosceva quel bambino da poche settimane, ma il pensiero che se ne fosse andato per sempre gli riusciva insopportabile.
Dovette stringere forte i braccioli della sedia per non piangere al pensiero della sera precedente, quando aveva raccontato le sue storie, ottenendo sguardi meravigliati e adoranti, quando gli aveva cantato la ninna nanna.
Alex stava seduto sul suo letto, muto anche lui, e Ben l’aveva visto più volte asciugarsi le lacrime di nascosto.
In tutto il reparto regnava un silenzio insopportabile.
“Ragazzi…”
Chiara si era cambiata, ma sul suo volto si leggevano ancora angoscia e dolore.
“I genitori di Leon  hanno organizzato  per  il pomeriggio una piccola cerimonia nella cappella della clinica. E vorrebbero vederti un attimo Ben”
Ben la guardò sconsolato.
In realtà l’ultima cosa che voleva fare era vedere i genitori di Leon e la loro disperazione, ma non poteva negarglielo.
“Penso che dovremmo procurarci vestiti adatti  per oggi pomeriggio” disse piano annuendo verso Chiara.
“Faccio una telefonata e vengo subito dai genitori di Leon”
 
Semir sussultò al suono del cellulare e ancor più vedendo il chiamante.
“Ben… è successo qualcosa?” rispose con il cuore in gola.
“Ciao Semir… no , se ti chiamo non deve necessariamente essermi successo qualcosa, ho  solo bisogno di un favore”
Semir sospirò di sollievo, ma la voce del giovane gli sembrava strana.
“Qualsiasi cosa…”
“Se hai un po’ di tempo dovresti prendere nel mio vecchio appartamento il vestito nero, lo trovi nell’armadio nel ripostiglio”
Il battito di Semir aumentò.
“Vestito nero? A cosa ti serve un vestito nero? Che diamine è successo???”
Mentre parlava Semir stesso si accorse del tono eccessivo che aveva nella voce, ma non riusciva a trattenersi.
“Non è successo nulla… o meglio sì, ma ora non ho voglia di parlarne. Se puoi aiutarmi bene…”
Ben appariva incazzato o addolorato, Semir non riusciva a capirlo, ma lasciò subito perdere.
“Certo che posso aiutarti. Dammi un paio d’ore e sono lì”
 
Parlare con i genitori di Leon era stato ancora peggio di quanto Ben avesse immaginato.
La madre non piangeva neppure, probabilmente abituata all’idea di poter perdere quel  fragile figlio da un momento all’altro.
Il padre lo aveva ringraziato più volte per aver allietato gli ultimi giorni del piccolo, diventandone una specie di eroe personale.
E Ben si era sentito sempre peggio.
Era entrato in polizia proprio perché voleva far del bene, aiutare gli altri.
Ma l’aver aiutato  un piccino a distrarsi dalla malattia e dall’infermità subito prima di morire non faceva parte dei suoi programmi.
E gli provocava un dolore indicibile.
Ora se ne stava lì, sul tetto dell’edificio, e non sapeva neppure bene come e perché ci era arrivato.
Solo uscire dall’ascensore con la sedia a rotelle era stata una vera impresa, ma aveva bisogno di stare solo.
Non per riflettere, ma almeno per cercare di non pensare a nulla.
Fra poco sarebbe iniziata la cerimonia e Semir l’aveva avvisato con un sms che stava per arrivare.
Anche l’idea di affrontare l’amico, parlare con lui lo faceva stare male.
Sapeva che il suo comportamento stava causando un grande dolore al piccolo turco, ma non ne poteva fare a meno.
Non incolpava Semir per quello che gli era successo negli ultimi anni: nulla delle vicende che l’avevano portato a questo punto era colpa sua.
Ma il senso di colpa, la pietà e la preoccupazione che leggeva in ogni gesto, in ogni parola dell’amico lo facevano stare sempre peggio.
“Anche tu qui?”
La voce di Alex lo fece sobbalzare.
Non lo aveva visto, poggiato dietro la grande caldaia che c’era sul tetto.
“Effettivamente questo è uno dei pochi posti dove stare in pace qui” continuò l’uomo.
Ai piedi di Alex c’erano almeno dieci cicche di sigarette schiacciate.
“Non ti pare che  dovresti  fumare meno?” chiese Ben piano.
“Non ti ci mettere anche tu, ragazzo, già Chiara mi tormenta. E credimi se ti dico che la nicotina è l’ultimo dei miei problemi”
I due rimasero in silenzio per un po’.
“Certo che la vita fa proprio schifo” borbottò alla fine il vecchio, schiacciando una cicca e  prendendo subito dalla tasca il pacchetto per accedere un’altra sigaretta.
“I genitori mi hanno detto che Leon era malato dalla nascita… che non c’erano molte speranze e che con la sua malattia qualsiasi infezione poteva…”
Ben non riuscì a finire la frase.
Alex lo guardò intensamente.
“Davvero credi che sia stata una  ‘infezione’ ad uccidere il bambino?” chiese poi quasi scandendo le parole.
Ben lo guardò perplesso.
“Cosa vuoi dire?”
Alex lo guardò ed aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse senza dire nulla.
“Cavolo Ben… ti ho cercato dappertutto, se non fosse stato per un’infermiera che aveva visto che salivi qui… mi hai spaventato”
La voce di Semir sembrava davvero spaventata, mentre veniva incontro ai due uscendo dalla porta che dava sul terrazzo.
“Sto bene Semir… si può sapere perché ti agiti sempre in questo modo?” rispose stizzito il giovane.
“Sì effettivamente sembri sempre un po’ troppo su di giri. Sicuro che non ti fai?” commentò ironico Alex.
Semir vide rosso.
Già quell’uomo non gli stava simpatico e non si fidava di lui, ora ci mancava che lo prendesse pure in giro, davanti a Ben per di più.
“Non mi pare di averle rivolto la parola”
“Per carità…” Alex sorrise beffardo.
“Se avete finito e mi dici dove hai lasciato il vestito, io vado a vestirmi”
Ben non degnò nessuno dei due di uno sguardo mentre spingeva la sedia verso la porta.
“E’ nella tua stanza. Mi  spiace molto per il bambino… vuoi che ti dia una mano?” chiese Semir preoccupato.
“Ce la faccio da solo”
Semir non rispose e rimase a guardare Ben che si allontanava.
“Te l’ho già detto… non gli stare troppo addosso. Lascialo in pace” disse Alex appena Ben fu uscito.
“Ed io le ho già detto di non immischiarsi. Cosa ne sa lei di Ben? Di quello che ha passato? E’ il mio migliore amico, lo conosco meglio di mio fratello. Lei è solo un rapinatore di banche e dovrebbe stare lontano da lui”
Alex guardò il piccolo turco con occhi di fuoco.
“Non dovresti combattere contro di me… noi dovremo essere alleati. Anche io voglio aiutare il ragazzo”
“Aiutarlo? E perché mai lei dovrebbe voler aiutare Ben?  Non più di qualche giorno fa mi ha detto che odia tutti i poliziotti… cos’è questo improvviso attacco di bontà?”
Alex rimase in silenzio.
“Se ci sono pericoli in questo posto per Ben o per gli altri non sono costituiti certo dalla mia persona. Al posto di fare la chioccia isterica  guardati un po’ intorno” disse Alex mentre s’avviava appoggiandosi alle stampelle.
Semir trasalì a sentire la frase. 
Non poté fare a meno di collegarla a quanto aveva scoperto quella mattina.
“Ehi aspetti… che vuol dire?” urlò, ma Alex era già entrato in ascensore e le porte si erano richiuse.
 
La cerimonia era stata breve e commovente.
Chiara aveva pianto in silenzio per tutto il tempo, guardando fisso verso il piccolo altare, ma alla giovane non era sfuggito lo sguardo duro con cui Alex aveva guardato il  dottor Stein che pronunciava poche parole di commiato.
Nessun altro aveva avuto il coraggio di parlare dopo Stein così Chiara si era alzata e aveva parlato del bambino coraggioso e determinato che aveva conosciuto. Quasi se n’era pentita nel vedere la mamma di  Leon scoppiare in lacrime, dopo che era  riuscita a controllarsi per tutta la cerimonia.
Ora tutti si stavano allontanando mesti dopo aver salutato i genitori, ma Alex stava aspettando la giovane fisioterapista proprio all’uscita.
“Ancora credi che si sia trattato solo di un effetto collaterale?” le chiese brusco appena l’ebbe a tiro.
“Alex ti prego, già è difficile” rispose triste la donna.
“Quando inizierai ad aprire gli occhi Chiara? Stein ci usa ed ha usato Leon. Quanta gente deve ancora morire?”
La determinazione di Chiara iniziò a vacillare.
“Cosa ti fa pensare che Stein stia usando qualcosa… insomma che stia deliberatamente sperimentando farmaci pericolosi? E’ un luminare nel suo campo, ha salvato centinaia di persone… sono solo  tue deduzioni…”
“In questa clinica quando sono entrato nella sperimentazione, prima che arrivasse Stein, non c’erano state morti. Poi è arrivato il grande professore ed in meno di cinque anni sono morte nove persone. Nove, Chiara... avrei potuto accettare la cosa se a morire fossi stato io o qualcuno dei malati terminali, ma la sua sperimentazione si svolge essenzialmente sui più giovani, su quelli che potrebbero resistere meglio… i bambini maledizione… ti ricordi di Alessia Lazzari? ”
Chiara aveva il cuore a mille, nella sua testa c’era una vocina che le diceva che Alex aveva ragione, ma la sua parte razionale si rifiutava di considerare l’idea.
Ancora una volta vinse la sua parte razionale.
“Non è così, Alex, ma…”
“Spero che tu ti convinca che ho ragione, prima che ci scappi qualche altro morto”
 
 
Angolino musicale: Sarà dura per tutti i protagonisti andare avanti, ma…
Tom Beck ‘Carry on’(andare avanti)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=8UI7tHS39YU
  Alla fine hai avuto quello che volevi alla fine hai  tagliato tutte le corde E spero che troverai Te Stesso Ora vorrei che un giorno tu possa tornare a sorridere di nuovo alla vita…Devo ricominciare da capo alla fine Ho lasciato andare le corde E, naturalmente, è necessario che ritrovi me stesso Ora vorrei un giorno Rivedere il tuo sorriso Trovo difficile andare avanti Quando la speranza è arrivata e  se ne è andata via Sì, è difficile… 


 
 

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Capitolo 8
*** Redenzione ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ

Capitolo 8
Redenzione

Semir era rimasto per tutto il tempo sul fondo della chiesa, cercando d’intercettare almeno con lo sguardo Ben che però non si era mai voltato.
Quasi dovette fermare a forza la sedia a rotelle per bloccare Ben all’uscita della chiesa.
“Ben aspetta, parliamo un attimo…”
“Di cosa Semir?”
“Ti prego… mi spiace se ti sto sempre addosso, mi spiace… non lo faccio apposta, sono solo preoccupato”
L’atteggiamento di Ben si addolcì e finalmente guardò l’amico con un sospiro.
Ma ci volle un minuto per cambiare lo scenario.
“Se  vieni via con me prometto che mi controllerò.   Possiamo trovare un aiuto e fra un po’ potresti stare a casa tua, oppure se vuoi andare da tuo padre…”
Lampi d’ira passarono nuovamente negl’occhi castani di Ben.
“Perché siete tutti convinti che io non sia capace di prendere le mie decisioni? Tu, mio padre, mia sorella… sono stanco di questo vostro atteggiamento, sono su una sedia a rotelle, ma questo non significa che il cervello non mi funziona più. Posso decidere da solo cosa voglio, senza che nessuno mi dica  cosa devo fare o non fare…”  urlò.
“Questo posto non mi piace, e su questo conviene anche il tuo nuovo amico Alex”
“Basta! Non ho più voglia di parlare con te. E’ come conversare con un muro. Qualsiasi cosa io dica o faccia non farà cambiare idea al grande Semir Gerkan, lui sa tutto, intuisce tutto…”
“Ben smettila, io voglio solo il tuo bene”
“Bene, allora rispetta le mie decisioni, tanto per iniziare”
Ben chiuse la conversazione girando bruscamente la sedia.
Semir stava per seguirlo,  ma poi vide Stein che s’avviava verso la clinica con un gruppetto di altri medici.
 
 
“Dottor Stein… Semir Gerkan della CID. Possiamo scambiare due parole?”
“Professor Stein” corresse il medico guardando Semir con aria scettica.
“Professore potrei parlarle un attimo? In veste ufficiale” il piccolo turco assunse un’aria seria e dura.
“Se proprio è indispensabile…”
“Sì lo è”
I due si sedettero sulla panchina di fronte la piccola cappella.
“Lei conosceva un certo Ettore Lazzari?” chiese subito l’ispettore.
“Lazzari… Lazzari…. Mi pare che una delle nostre pazienti si chiamasse Lazzari, Alessia Lazzari” ragionò Stein con calma, anche se a Semir sembrò di leggere un moto di inquietudine negl’occhi.
“Sì,ma aveva rapporti diretti anche con il padre?”
“Come con tutti i genitori dei miei piccoli pazienti” rispose Stein agitandosi leggermente.
“Strano perché la signora Lazzari ha detto che invece lei è stato di molto aiuto per la famiglia, che ha fatto inserire sia Alessia che il fratellino in un gruppo di sperimentazione”
“Il programma prevede comunque l’inserimento anche di persone indigenti… ma è successo qualcosa? Perché mi fa queste domande?”
“Ettore Lazzari è morto alcuni giorni fa in un incidente stradale.  Il suo camion si è schiantato contro un albero e si è incendiato” disse piano Semir cercando di scrutare le reazioni dell’uomo.
“Mi spiace, ma non vedo come la cosa mi riguardi”
“Vede stava trasportando farmaci di provenienza illegale probabilmente dalla Cina”
Stavolta Semir vide chiaramente  Stein impallidire, sia pure leggermente.
“Continuo a non vedere come questa tragica storia possa riguardarmi”
“Sto solo facendo indagini ad ampio raggio… professore. Probabilmente ne sapremo di più quando i nostri tecnici avranno stabilito il principio attivo dei farmaci ed il loro possibile utilizzo”
Stein rimase a guardalo senza dire nulla.
“Bene ispettore… Gerkan se è tutto… non credo di poterle essere d’aiuto”
Semir lo fissò.
“Certo professore, ma se ci sono novità mi farò risentire”
Mentre il medico s’allontanava Semir ne era ormai certo quella clinica e quell’uomo erano dentro la storia. Il che significava che Ben era nel bel mezzo della scena di un crimine e lui non sapeva come tirarlo via.
 
“Cosa fai? Giochi a ‘vegeto’?” chiese Alex entrando nella stanza e vedendo Ben immobile sulla sedia intento a guardare fisso fuori dalla finestra.
Ben si riscosse dal suo torpore e sorrise.
“Pensavo” rispose con un fil di voce.
“Hai di nuovo litigato con il tuo amico?”
“Non è più una novità”
“Sai per quanto detesti ammetterlo e per quanto possa effettivamente sembrare assillante e snervante credo che il tuo amico sia solo preoccupato”
 Alex si sedette con fatica nella poltrona accanto a Ben.
“Questo lo so, ma è come se lui, o meglio tutti quelli che conosco credano che io non sia più in grado di prendere una decisione. Fai questo, fai quello…”
Alex sospirò.
“Forse fanno così perché tu ti dimostri debole ed incapace di reagire”
“Che vuoi dire?”
“Avanti ragazzo, te ne stai lì seduto tutto il tempo, in depressione. Non fai il minimo sforzo per alzarti da quella sedia”
Ben non rispose all’inizio.
“Tanto non mi alzerò mai” concluse.
“Se la pensi così perché sei qui?”
Anche stavolta Ben rimase in silenzio.
“Quando mi hanno detto della mia malattia ero in carcere. E mi sentivo esattamente come te. La mia vita era inutile, avevo perso tutto…” la voce di Alex divenne roca.
“Così la malattia per me è stata l’annuncio della liberazione. E quando mi hanno detto della possibilità di venire qui e contribuire alla ricerca per me è stato… l’inizio di una nuova vita. Non ero più inutile, un inutile pregiudicato morente. Potevo avere uno scopo anche nel breve periodo di vita che mi restava”
Ben lo guardò ad occhi spalancati.
“Non sapevo che stessi…”
“Per morire? La morte è solo un evento della vita, prima o poi arriva e per me è già troppo tardi” rise amaro Alex.
Entrambi  abbassarono lo sguardo, pensando a Leon.
“Ma tu ragazzo… tu sei vivo. E’ vero per ora stai su questa sedia e tutto ti sembra nero e senza speranza.  Ma le cose possono cambiare se davvero t’ impegni. Devi solo crearti uno scopo e raggiungerlo”
“E se non potessi avere quello che voglio? Se non potessi più camminare, correre, fare di nuovo il poliziotto?”
“Ci riuscirai. E se anche non dovesse succedere devi crearti un nuovo scopo, una nuova indipendenza”
Ben lo guardò, ma stavolta gli rivolse un mezzo sorriso.
“E poi… sei un bel ragazzo. E io ho visto come ti guarda Chiara, anche se lei lo nasconde…” fece Alex stringendo il ginocchio di Ben.
“Così conciato non credo di poter piacere ad una donna”
“Chiara non è una donna come le altre. E non conosci la sua storia” sorrise Alex prima di alzarsi e uscire dalla stanza.
 
 
“George è molto contento di te”
Chiara raggiunse Ben che stava sotto l’albero nel grande giardino aspettando la visita di Semir.
Erano passati dieci giorni dal funerale di Leon ed effettivamente Ben si stava impegnando nella fisioterapia.
Ormai passava quasi tutto il suo tempo libero con Alex, anche se aveva ripreso i contatti telefonici con la sua famiglia e soprattutto con Semir.
Le conversazioni con Alex  avevano chiarito tante cose nella testa del giovane poliziotto ed ora iniziava a vedere la vita in modo diverso.
“Faccio del mio meglio” rispose Ben sorridendo.
“Infatti gli esami elettromiografici vanno bene. Siamo sulla buona strada”
Ben sorrise di nuovo e Chiara pensò che quando lo faceva  quel ragazzo aveva un’aura speciale.
“Stai aspettando il tuo amico?” chiese ancora  la fisioterapista.
Ben annuì.
“Meglio che vada allora. Penso di non stargli simpatica”
“Semir è solo un po’… turco” rise Ben.
“Che vuoi dire?”
“Impulsivo e possessivo. Ma è la persona che mi conosce meglio al mondo e la cosa più vicina ad un fratello che abbia mai avuto”  
“Gli amici e la famiglia sono importanti nella vita”
“E tu? La tua famiglia?” chiese d’impulso Ben.
Gli occhi di Chiara s’ intristirono.
“Scusa, se non ne vuoi parlare… sono stato invadente”
“No figurati… sono vedova, mio marito è morto tre anni fa”
“Mi spiace davvero…”
“Ho imparato a gestire il dolore. Con il lavoro…”
Chiara vide  la piccola figura di Semir avvicinarsi a spasso svelto.
“E’ arrivato il tuo amico. Ci vediamo dopo” disse alzandosi ed allontanandosi prima.
“Ciao socio” fece Semir appena s’avvicinò.
Si vedeva che era emozionato.
“Ciao socio. Siediti, dobbiamo parlare” rispose  Ben.
 
Alex aveva passato giorni infernali.
Le immagini di Leon continuavano a tornagli continuamente in mente e l’unica cosa che lo distraeva era parlare con il ragazzo.
Parlava con Ben in continuazione,  cercava di spronarlo e tenerlo su di morale. Ormai era diventato per lui l’unico vero scopo nella giornata, l’unica cosa che poteva fare per non pensare al piccolo Leon ed a come era morto.
Guardava con sospetto e preoccupazione i medici mentre somministravano le dosi della terapia a lui ed  agli altri pazienti della sperimentazione. Ormai ne era certo. Leon non era morto  naturalmente.
Stava attento ad ogni sussurro dei medici, cercava di leggere sulla labbra di Stein ogni parola e più volte li aveva seguiti sino all’ascensore,  sino a che sparivano nei sotterranei.
Si chiedeva più e più volte cosa poteva fare a chi confidare i suoi sospetti.
Non ne voleva né poteva parlare con Ben, il ragazzo sembrava in ripresa e non voleva turbarlo.
Poteva parlare con il poliziotto amico del ragazzo, ma  sentiva a pelle la sua ostilità e se  parlava dei suoi sospetti senza prove poteva fare solo peggio.
 
Quella notte  Alex era più inquieto che mai.
Ben dormiva pacifico nel suo letto, lamentandosi di tanto in tanto.
Da qualche giorno aveva dolori alle gambe e Chiara aveva detto che  questo era un gran buon segno, i nervi cominciavano a ricollegarsi al cervello.
Ma ad Alex spiaceva vederlo soffrire.
Ormai si era affezionato al ragazzo.
Aiutarlo lo faceva sentire collegato al fratellino, come se stesse facendo qualcosa per lui, quello che non aveva potuto fare quando era vivo.
Ma sentiva il pericolo incombere.
Nel corso della sua tormentata e non onesta vita aveva sviluppato un sesto senso per le situazioni pericolose, le annusava da lontano, come l’odore dei temporali estivi che s’avvicinano.
Dormicchiava quando sentì parlottare nel corridoio.
Riconobbe quasi subito le voci.
Stein ed il suo assistente.
Cosa ci facevano a quell’ora di notte?
Stein non veniva mai ai piani dei pazienti, figuriamoci la notte.
“La storia non mi piace. Quel poliziotto ormai è qui quasi ogni giorno.  L’avevo detto che la presenza di Jager qui avrebbe portato problemi”
“Smettila di agitarti. Non c’è nulla che possa collegarci a Lazzari, né ai farmaci. Terremo d’occhio la situazione e se continua a ficcare il naso farò in modo che quel poliziotto non venga più qui” rispose Stein.
“Come?”
“Beh se non c’è più il suo amico non c’è motivo che quel polizotto turco venga qui”
 
Alex aspettò che le voci si allontanassero e poi si alzò.
Non capiva bene il discorso che avevano fatto quei due,ma non gli piaceva per nulla e vi vedeva solo una conferma ai suoi sospetti.
Silenzioso prese le stampelle se s’avviò nel corridoio.
Poi prese l’ascensore e arrivò a piano terra.
Le voci dei due medici riecheggiavano nel  silenzio generale della hall.
Ora i due erano vicino al montacarichi che portava direttamente al sotterraneo.
Nessuno poteva arrivarci.
Alex  sapeva che la struttura aveva un intero piano sotterraneo, ma Chiara gli aveva detto che l’accesso era consentito solo a Stein e ai suoi assistenti.
Secondo tutti erano i laboratori della sperimentazione, al sicuro da eventuali contaminazioni, ma Alex trovava strano che neppure gli inservienti potevano  scendere a pulire.
 
Memorizzò il codice che l’assistente di Stein batteva sulla tastiera e poi attese diversi minuti prima di seguire i due.
Il seminterrato era un posto umido e scuro.
Il corridoio sembrava essere rimasto praticamente identico alla costruzione, nessuno l’aveva ristrutturato e  dava l’idea di tutto tranne che di un moderno laboratorio.
Alex seguì le voci che provenivano dal fondo del corridoio.
Alla fine si appostò dietro la porta di quello che effettivamente sembrava un laboratorio.
Ai lati c’erano delle casse con in bella vista la provenienza ‘China’.
“Non stiamo facendo alcun progresso sugli anziani. Dobbiamo concentrarci sui giovani. Raddoppia le dosi per il bambino dei Lazzari” disse Stein all’assistente.
“E’ pericoloso. Ha visto le reazioni di Leon. Dobbiamo andarci cauti”
“Sappiamo tutti che il rischio è alto, ma la sperimentazione richiede sacrifici”
La voce di Stein era dura e completamente priva d’emozioni.
Alex cercò di trattenere il respiro, ma aveva il cuore in tumulto.
Stavano deliberatamente uccidendo dei bambini in nome di chissà quale ricerca.
Più silenzioso che poteva si girò per andarsene, per avvisare il poliziotto amico di Ben, ma le stampelle lo rendevano impacciato.
Inciampò in una delle casse e cadde rovinosamente a terra.
Neppure il tempo di girarsi e vide l’assistente di Stein che incombeva su di lui.
 
Alex si svegliò con la testa che pulsava e girava.
Lo avevano colpito duro e sentiva la nausea che gli saliva prepotente, ma non ci mise molto a capire che era sul tetto dell’edificio.
Stein s’accovacciò accanto a lui.
“Cosa facevi nei sotterranei?” chiese scandendo le parole.
“Cosa sai??? Con chi sei in contatto???” continuò duro, prendendogli i capelli e tirandogli la testa all’indietro.
“Faculo” sibilò Alex.
“Hai parlato con qualcuno? Con il poliziotto che è in stanza con te? Con la Beck???”
“No…” urlò Alex nel tentativo disperato di proteggerli.
Stein lo guardò come si guarda un topo da laboratorio.
“Tanto finirò per scoprirlo e se hai parlato risolverò il problema” disse rialzandosi ed aggiustandosi il camice.
“Fate quello che dovete fare” disse ai due infermieri che erano con lui.
Alex era incapace di reagire efficacemente senza l’uso effettivo delle gambe.
Qualcuno gli mise una mano sulla bocca, smorzando le urla che gli salivano.
Si sentì trascinare verso il bordo del tetto e sollevare.
Mentre precipitava l’ultimo suo pensiero fu per il fratellino.
 
 
Note delle autrici e Angolino musicale: sì lo ammettiamo siamo sempre più cattive e perfide, ma vi possiamo assicurare che ‘eliminare’ Alex è stato molto ‘doloroso’ anche per noi (vi siete rese conto che abbiamo ‘ucciso’ Magnum P.I.?). E adesso chi guarderà le spalle al povero Ben? Avrà il ‘tracollo’ definitivo oppure sarà la molla che lo farà reagire? E Semir come reagirà? Ci saranno altre vittime (magari vogliamo scrivere una specie di ‘dieci piccoli indiani’ stile Agatha Christie…). Pensate con calma e tranquillità…noi andiamo in vacanza per un po’…per tornare più perfide e agguerrite che mai.

BUONE VACANZE.
CHIARA & MATY.
 
 
Scorpions ‘Send me an angel’ (Mandami un angelo).
Per ascoltarla https://www.youtube.com/watch?v=PjlGtIr5vto
 
Il saggio disse: "percorri questa strada verso l'alba della luce Il vento soffierà sul tuo viso Mentre gli anni passano Ascolta questa voce che viene dal profondo E' il richiamo del tuo cuore Chiudi gli occhi e troverai il varco tra le tenebre "Sono qui Mi manderai un angelo? Sono qui Nella terra della Stella del mattino” Il saggio disse: "trova il tuo posto Nell'occhio della tempesta Cerca le rose lungo la strada Ma stai attento alle spine" Il saggio disse: "Alza la tua mano e stendila per afferrare l'incantesimo Trova la porta per la terra promessa Semplicemente credi in te Ascolta questa voce che sale dal profondo E' il richiamo del tuo cuore Chiudi gli occhi e troverai Il varco tra le tenebre"
 

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Capitolo 9
*** Ragione e sentimento ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARA BJ
 
Capitolo 9
Ragione e sentimento

Ben si svegliò di soprassalto.
Aprendo gli occhi si accorse che stava appena albeggiando, ma provò subito una strana sensazione d’inquietudine.
Da qualche giorno le gambe sembravano dargli il tormento con continui formicolii e improvvisi crampi  e anche se tutti i fisioterapisti gli avevano confermato che era un attimo segno, non riusciva a riposare bene.
Ma quella mattina era sicuro che non era stato svegliato dal fastidio alle gambe.
Guardò verso il letto di Alex e vide che era intatto.
La cosa lo mise subito in allarme.
Non ricordava di aver visto la sera prima il suo compagno di stanza coricarsi e la cosa lo gettò nel panico.
Guardò verso l’orologio sul comodino.
Le sei e quindici.
Fra poco sarebbero riprese le attività nella clinica.
Si era appena sistemato con fatica sulla sedia per andare alla ricerca di Alex quando un urlo risuonò per tutta l’edificio.
 
Chiara aveva il primo turno di mattina.
Erano stati giorni difficili.
La morte di Leon e i dubbi di Alex avevano minato nel profondo il suo animo e le sue certezze.
Aveva iniziato a lavorare per la ‘Felsen’ subito dopo la morte di suo marito René e quel lavoro era stato per lei una vera ancora di salvezza.
 Aiutare gli altri a superare la malattia, la menomazione fisica era stato come avere di nuovo René vicino.
Aveva amato suo marito sopra ogni cosa, lo aveva amato ancor di più dopo  che  avevano scoperto che era malato, dopo che pian piano si era ridotto a camminare prima con le stampelle e poi era finito sulla sedia a rotelle.
Lo aveva amato quando alla fine era stato ricoverato in ospedale, incapace di muoversi del tutto.
Lo aveva amato mentre moriva.
Lo amava ancora oggi e non si era permessa di pensare a nessun altro, anche se René, subito prima di morire, quella notte le aveva fatto giurare  che non sarebbe restata da sola, che si sarebbe ricostruita una vita.
E anche se ora il giovane poliziotto bruno aveva iniziato ad occupare una parte dei suoi pensieri non si permetteva di pensare a lui in quel modo.
La clinica ed il suo lavoro ormai erano la ragione di vita e non poteva credere che Stein avesse trasformato la speranza dei suoi pazienti in un vile espediente, in un pericoloso esperimento per raggiungere la fama.
Non poteva credere che Leon era morto per questo, di non essersi accorta di nulla, di aver partecipato  sia pure inconsapevolmente a questa mostruosità. 
Ma le parole di Alex avevano scavato un solco profondo nella sua coscienza, doveva saperne di più.
Arrivata come al solito alla clinica, decise di parcheggiare la bicicletta sul retro.
Era ancora molto presto, non c’era nessuno in giro.
Scese dal sellino e spinse la bicicletta sul vialetto in ghiaia.
La prima cosa che vide furono le stampelle.
Le riconobbe subito, erano particolari ed era stato Alex a decorarle così, con adesivi  colorati “Per ridere anche di una cosa triste” le aveva detto.
Le sembrò che il cuore smettesse di batterle nel petto quando vide il corpo a terra.
Sembrava una bambola, un fantoccio buttato contro un muro da un bambino dispettoso, un burattino disarticolato.
Aprì la bocca, ma solo dopo alcuni tentativi riuscì ad urlare.
 
Semir quella mattina si era svegliato di buon umore.
Le cose andavano decisamente meglio con Ben, avevano parlato e anche se non tutto era chiarito tra loro, almeno stavolta non si erano lasciati in malo modo.
Il piccolo ispettore turco entrò baldanzoso in ufficio con almeno un’ora d’anticipo sull’orario di servizio.
Aveva intenzione di rivedere tutte le prove sul caso dei farmaci cinesi e di sicuro avrebbe incastrato Stein.
Perché era più che certo  che quel cosiddetto ‘dottore’ era nella storia sino al collo, che c’era lui dietro il traffico dalla Cina e forse anche dietro la morte del piccolo Leon.
Rabbrividì al pensiero di Ben in quella clinica, ma ormai si era rassegnato a non poterlo portare via.
L’unica cosa che poteva fare era risolvere il caso.
Distratto accese la tv che aveva in ufficio per ascoltare le notizie del primo telegiornale.
Il cronista blaterava del tempo, troppo caldo per il periodo,  le coltivazioni di crauti ne  avrebbero risentito.
“Sino alla settimana scorsa dicevano che faceva troppo freddo” pensò Semir con un mezzo sorriso.
Stava spulciando attentamente il rapporto di Hartmut quando il tono del cronista cambiò.
“Ci è appena giunta la notizia del ritrovamento di un cadavere alla clinica ‘Felsen’.  Le prime notizie ipotizzano il suicidio di uno dei pazienti che si sarebbe lanciato dal terrazzo all’ultimo piano dell’edificio…”
Semir sentì di non poter respirare.
Il terrore puro lo prese.
“Che pensi… non è Ben. Sta meglio, era sereno quando abbiamo parlato. Sta meglio, non può essere lui…” pensò cercando di restare razionale.
Con le mani che gli tremavano alzò il volume della tv, ma il cronista era già passato ad un’altra notizia.
Sapeva di essere  irragionevole, ma l’unica cosa che pensò di fare fu di afferrare le chiavi dell’auto e precipitarsi fuori.
 
Nella clinica c’era ormai il delirio.
Poliziotti andavano e venivano, c’erano infermieri e pazienti che piangevano, altri parlottavano tristi.
Ben non aveva occhi che per il corpo steso sul vialetto, coperto pietosamente da un lenzuolo bianco.
Non riusciva a credere che lì sotto ci fosse Alex.
Il giovane guardava scettico i rilievi dei suoi colleghi della polizia locale, sembravano davvero un gruppo di dilettanti allo sbaraglio, erano anche senza tuta bianca e permettevano a chiunque d’inquinare la scena  camminando qua e là senza sovrascarpe.
“Ehi… che fai!!! Non la spostare senza fotografare prima” urlò ad uno dei poliziotti che stava prendendo una delle stampelle.
Il poliziotto lo guardò irato.
“Signor Jager, lei non dovrebbe stare qui” fece uno degli assistenti di Stein spingendo la sedia senza tanti complimenti verso l’ingresso della clinica.
“Faccio da solo grazie” sibilò Ben iniziando a spingere da solo le ruote.
Doveva raggiungere il suo cellulare e chiamare Semir.
Subito.
Salendo la rampa vide Chiara seduta sulle scale, la testa fra le gambe, il corpo scosso dai singhiozzi.
“Chiara…” chiamò.
La giovane alzò lo sguardo su di lui gli occhi rossi e gonfi.
“Come ha potuto farlo…” balbettò fra le lacrime.
Ben la guardò in silenzio per alcuni secondi.
“Non si è ucciso. Credimi, non si è ucciso” sussurrò alla fine.
 
Chiara e Ben si erano rifugiati nella stanza di Ben.
“Cosa vuoi dire… “ chiese finalmente la dottoressa.
“Hai mai visto qualcuno che si butta con le stampelle? E hai visto quanto erano distanti dal corpo? Qualcuno le ha buttate dopo… l’hanno ucciso”
Ben aveva  la voce sicura dettata dall’esperienza.
“Ucciso? Chi? Come…” Chiara ormai non ragionava più chiaramente, riusciva solo a singhiozzare.
La loro attenzione fu distratta dal turbine che entrò nella stanza.
“Allah ti ringrazio. Ben!!!  Stai bene???” urlò Semir  entrando come un toro impazzito.
“Sì, Semir sto bene” sussurrò il giovane.
“Scusatemi” balbettò Chiara precipitandosi fuori.
 
“Niente, il deficiente che dirige le indagini non mi permette di chiamare Hartmut  per i rilievi”
Semir era letteralmente furioso.
“E se chiamassimo la Kruger?” propose Ben.
“La conosci, vorrà delle prove concrete. Vado a parlarle comunque” fece Semir.
Semir fece per uscire.
“Starai attento? Qui la situazione si sta facendo grave…” disse voltandosi.
“Starò attento non ti preoccupare. Sono pur sempre un poliziotto”
Semir non rispose, gli diede solo una pacca sulla spalla, anche se Ben poteva leggergli la paura negli occhi.
 
Mentre guardava dalla finestra il suo amico che si allontanava lungo il viale di ingresso, Ben vide Chiara appoggiata ad un albero del grande giardino.
Dal movimento delle spalle si accorse che stava piangendo di nuovo.
Più svelto che poteva si diresse verso l’ascensore per uscire e raggiungerla.
Provava per quella donna uno strano sentimento, desiderio di protezione e attrazione.
Appena uscito si accorse però che Chiara non era più appoggiata all’albero, ma si stava dirigendo quasi di corsa, verso il fondo del  grande giardino, verso il piccolo capanno che c’era addossato al muro di cinta.
Gli avevano detto che era stata l’abitazione del custode sino a che non era stato licenziato, ma lui non aveva mai avuto la voglia di entrarvi.
Non senza difficoltà, uscendo dal sentiero di ghiaia Ben riuscì a condurre la sedia sino alla piccola costruzione dove era entrata Chiara.
Non sapeva perché l’aveva seguita, ma sentiva di doverlo fare.
La giovane  appariva completamente disperata.
Bussò, ma non ricevette risposta.
Ben con fatica aprì la porta in legno.
Il capanno era stranamente ampio e ben tenuto.
Era anche arredato, con un bel letto al centro e  Chiara stava seduta sul bordo fissando il vuoto.
“Chiara… stai bene?” chiese piano.
“Sì… sto bene. Volevo solo stare un po’ qui a ragionare. E’ il mio rifugio sai…”
“Non è vero, non stai bene” fece Ben, avvicinatosi al letto,  asciugandole le lacrime con il pollice.
“E’ colpa mia” sussurrò Chiara tirando su con il naso.
“Ma che dici…”
“E’ colpa mia invece, se lo fossi stata a sentire, ha cercato di avvertirmi, ma io non volevo credere, non potevo” Chiara singhiozzava disperata.
“Shhhh, va tutto bene, non è assolutamente colpa tua” sussurrò il giovane,  tirando Chiara verso di sé, sino a farla sedere sulle sue ginocchia.
Erano così vicini ed il primo bacio fu naturale come respirare.
Per un minuto Chiara rimase abbracciata a Ben, seduta sulle sue ginocchia, la testa appoggiata nell’incavo del collo, mentre lui le carezzava i capelli.
Provò una strana sensazione quando lui iniziò a baciarle il collo.
Desiderio, paura, eccitazione.
Inarcò la schiena scossa da un brivido folle mentre i baci si facevano più intensi.
Non era il momento e non era il luogo, ma non riusciva più a pensare.
Ansimò forte mentre Ben le sbottonava i bottoni della camicia e le abbassava la spallina del reggiseno, baciandola dappertutto.
 


Angolino (insolito)   delle autrici
Maty: Chiara che dici, andiamo avanti?
Chiara: in che?
Maty: nella descrizione della scena… piccante.
Chiara: Ehi guarda che il raiting della storia NON è rosso
Maty: lo so ma… sarà l’estate, sarà lo svago… ho voglia di scrivere qualcosa di… diverso.
Chiara: Non esageriamo. Siamo adulte, entrambe mamme…
Maty: E mica voglio scrivere mille sfumature di Ben… solo un po’… sfumato…

Carissime, dopo innumerevoli tentennamenti, Chiara ha ceduto alla volontà di Maty che ha scritto… il seguito un po’ “sfumato” del capitolo. La responsabilità è solo di Maty e diciamo che è un regalo di compleanno per Chiara ( o meglio all’avatar della storia). Posto che non vogliamo offendere nessuno e non vogliamo cambiare il raiting della storia il seguito del  capitolo sarà mandato solo a chi lo richiede  a Maty con msg privato sulla posta di efp e mandato con lo stesso mezzo (solo ai maggiorenni ovvio).
Ovviamente il capitolo seguente si  riattacca alla storia senza problemi, anche se non  si legge la parte mancante.

 
Angolino musicale: Ben è tornato ad essere un poliziotto e… altro.
Landon Pigg ‘the way it ends’ (il modo in cui finisce)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=iZXvyHrad5k

Corri è questo il nostro destino? Nasconditi la libertà è nostra come il continuo scappare  camminiamo nelle tenebre lo facciamo scopriamo quello che noi tutti sappiamola nostra ora è vicina se è così che finisce non dirmi che non ha senso non ci sarà alcun compromesso cadiamo, risorgeremo tu mi afferrasti e mi insegnasti come Penso di essere pronto ora se è così che finisce questo è il modo in cui doveva finire emergere dalle ombre lo faremo sotto la pelle loro svaniscono questa è la vita senza rimpianti ci rivedremo tutti un giorno concedimi l’amore o concedimi la morte se è così che finisce questa è la vita che comincia se è così che finisce niente ha più senso non ci sarà alcun compromesso cadiamo e rinasceremo ancora se è così che finisce allora questo è il modo in cui doveva finire
 

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Capitolo 10
*** Pericoli in agguato ***


 
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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARA BJ

Capitolo 10
Pericoli in agguato
 
Le luci  della sera filtravano dalle persiane del piccolo capanno e Chiara sospirò, stiracchiandosi come un gatto.
Provava un misto di colpa e felicità. Le immagini del corpo di Alex, steso a terra come una bambola rotta, si confondevano con quelle delle ore precedenti.
Sentì le dita di Ben che le carezzavano la schiena nuda.
“Smettila… è ora di andare. Ci staranno sicuramente cercando” gli disse voltandosi verso di lui.
Non ci aveva ancora fatto mente locale, ma sicuramente Ben aveva uno dei sorrisi più belli e seducenti che aveva mai visto. O forse era che Ben non aveva sorriso molto da quando era alla clinica.
“E tu lascia che cerchino” rispose il giovane mentre la baciava, prima sulla bocca e poi scendendo verso il collo.
Chiara sentiva il suo corpo rispondere appassionato, ma cercò di dominarsi. Lo guardò con aria triste
“Stai pensando ad Alex?” chiese Ben guardandola negli occhi, improvvisamente triste anche lui.
La domanda non aveva bisogno di risposte.
Ben si tirò con una certa fatica a sedere sulla branda.
“Non capisco perché non mi abbia parlato dei suoi sospetti. Perché non ha parlato almeno con Semir…” disse piano.
“Ne ha parlato con me… ma io non gli ho dato retta. E’ colpa mia quello che gli è successo…” rispose la giovane fisioterapista, seduta sul bordo del letto.
“Non è colpa tua… in fondo non sappiamo neppure se è stato Stein o qualcuno dei suoi. Sono solo sospetti” fece Ben baciandole la spalla nuda.
“Invece avrei dovuto capire. Alex ha cercato di mettermi in guardia su questo molte volte… ma io non potevo credere che uno scienziato, un medico di fama internazionale come Stein potesse… io non VOLEVO crederlo. E sai perché? Perché tutto il lavoro fatto qui, i miei sacrifici, quelli dei colleghi sarebbero stati senza senso”
Una lacrima scappò sulla guancia di Chiara.
Ben sospirò e l’abbracciò da dietro.
“Dobbiamo parlare con Semir. Subito” disse alla fine Chiara con aria improvvisamente sicura.
Poi veloce prese dalla tasca del camice che aveva abbandonato sulla sedia una fiala.
“E’ una delle dosi della terapia sperimentale. L’ho trovata sul comodino di Alex, pronta per l’uso. Evidentemente non sono riusciti a somministragliela”
La voce di Chiara si incrinò, mentre rigirava la fiale fra le dita.
“Devi portarla a Semir, al Distretto abbiamo un tecnico bravissimo, saprà dirci tutto ” concluse Ben.
Chiara annuì in silenzio.
“Soprattutto dobbiamo tornare alla clinica. Altrimenti Semir manda  qui la SEC non vedendomi in giro”
Ben quasi   sorrise  fra sé e sé al pensiero di Semir che faceva irruzione con il giubbotto antiproiettile nel capanno, per trovarli tutti nudi sul letto.
“Ne sarebbe capace eh?” il sorriso tornò per un attimo fugace sul volto di Chiara.
“Oh sì, che ne sarebbe capace”
Chiara si voltò a baciare Ben di nuovo.
“Dai, ti do una mano a vestirti” sospirò dolce.
“Aspetta prima ti devo far vedere una cosa…” fece Ben guardandola con una certa emozione negli occhi.
Alzò il plaid che gli copriva le gambe e con orgoglio mostrò le dita dei piedi che si muovevano.
“Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo!!!” Chiara quasi urlò di gioia.
“Quando?” chiese poi.
“Da stamattina, ma con tutta la confusione…e poi non ne ero proprio sicuro…”
Chiara abbracciò Ben ed i due ripresero a baciarsi.
“Ben… proprio dobbiamo andare” fece Chiara quasi soffocata dai baci appassionati.
 
“Ben mi raccomando, stai lontano da Stein. Non ti esporre e non  far capire nulla. Io porto la fiala a Semir e cerco di tornare nel più breve tempo possibile” disse Chiara indossando  la giacca, mentre si avviavano verso il grande edificio della clinica.
“Frequentare Semir ti sta facendo male, so cavarmela da solo per qualche ora” protestò Ben leggermente imbronciato.
“Ben, anche se le cose stanno andando bene, non sei ancora in grado di alzarti da solo da questa sedia. E gli uomini di Stein sono pericolosi, hai visto cosa è successo ad Alex”
“Va bene starò attento, ma anche tu…”
Chiara sorrise, andando verso la sua bicicletta.
Avrebbe voluto baciarlo, ma potevano vederli, così si limitò ad una fugace carezza sulla guancia.
“A dopo” sussurrò.
“Chiara… non farti convincere. Appena lo saprà Semir cercherà di portami via di qui anche con la forza, lo conosco. Ma noi dobbiamo scoprire la verità. Lo dobbiamo ad Alex e  Leon”
Chiara annuì decisa.
Nessuno dei due vide Stein che li scrutava dalla finestra del suo studio.
 
“Si stanno insospettendo” disse l’assistente, mentre guardava anche lui preoccupato Ben e Chiara che parlavano in giardino.
“Sembra giunto il momento di occuparsi del nostro ispettore Jager. Poi penseremo anche alla Beck” fece Stein, conservando una calma assoluta.
Prese una boccettina dal cassetto e la consegnò all’assistente.
“Sai cosa fare” gli disse.
 
“Semir…  qui fuori c’è Chiara Beck che chiede di vederti”
Susanne entrò nell’ufficio dell’ispettore turco mentre questi era completamente assorto nello studio delle immagini del cadavere di Alex.
Il piccolo turco fu subito preso dal panico.
Si alzò come una furia ed andò incontro alla donna che lo aspettava vicino alla scrivania di Susanne.
“E’ successo qualcosa a Ben?” chiese pallido.
“No, ma le devo parlare”
 
“Questa l’ho trovata nella stanza di Alex. E’ una delle fiale della terapia sperimentale, è raro vederle in giro. Stein ed i suoi assistenti prima della somministrazione le conservano esclusivamente nel laboratorio sotterraneo, cui noi del personale non abbiamo accesso”
Semir rigirò la fiala fra le mani.
“Ne ha parlato con qualcun altro?”
“Solo con Ben ovviamente…”
“E se si accorgono che manca la fiala? Perché ha lasciato Ben da solo?” Semir  aveva una voce quasi isterica.
“Non credo, chi l’ha lasciata in giro non evidenzierà l’errore. E non mi fidavo a far venire di nuovo lei alla clinica, si sarebbero insospettiti”
Semir non disse niente altro mentre prendeva il telefono.
“Einstein… sì lo so che è tardi, ma è una questione di vitale importanza. Ci vediamo al laboratorio” fece concitato al telefono.
“Io porto questa al laboratorio scientifico. Lei torni alla clinica, io vi raggiungo appena so qualcosa per portare via Ben” disse  poi sicuro verso Chiara.
“Semir… so che vorrebbe Ben fuori di lì, anche io preferirei saperlo fuori, ma…”
“Ma cosa??? E’ appena venuta qui  dicendomi che probabilmente un medico folle sta sperimentando un farmaco, che questo folle ha già ucciso  un bambino e che Alex è stato  buttato giù da un tetto ed io dovrei lasciare Ben in quel posto?”
“Lo so che è difficile, ma se la vedono arrivare in piena notte a prendere Ben si insospettiranno. Distruggeranno tutte le prove e non sapremmo mai la verità” obiettò la donna.
“E cosa dovrei fare? Lasciare lì Ben, su una sedia a rotelle, in balia di assassini a sangue freddo?”
“Non succederà nulla, ci sarò io, appena mi accorgo di un pericolo…”
“Dottoressa, ma non mi pare che lei si sia ‘accorta’ di molte cose sino ad ora”
La voce di Semir era dura e tagliente.
Chiara abbassò gli occhi, arrossendo.
“Scusi, mi spiace non volevo…” fece Semir addolcendosi.
“No ha ragione, Alex aveva cercato di avvisarmi, ma io non credevo che un medico, che una persona che doveva dedicare la sua vita agli altri…”
“In fondo la capisco. Stein è un medico di fama internazionale…”
I due rimasero in silenzio per un po’.
Semir capiva bene che per quanto  volesse Ben fuori da ogni pericolo, portarlo via così all’improvviso avrebbe significato la fine delle indagini
A malincuore si costrinse a dire “Ok… lei torni lì e non lasci Ben da solo. State molto attenti. Vi faccio sapere cosa ha scoperto il nostro tecnico. Ci vediamo domani.”
Chiara stava per uscire quando si fermò e si girò verso Semir.
“Muove le dita dei piedi” disse  d’istinto, volendo condividere almeno una buona notizia.
La fisioterapista lesse la gioia pura negli occhi del piccolo turco.
“State attenti” fece Semir prendendo la giacca ed accompagnandola all’uscita.
 
Ben si sentiva stranamente stanco.
Aveva cenato in perfetto silenzio, come tutti i pazienti della clinica, ancora scioccati dalla notizia della morte di Alex.
Per tutto il tempo il poliziotto aveva cercato di non guardare la sedia vuota di fronte a lui, quella dove di solito si sedeva Alex, ma un senso di vuoto e di angoscia lo aveva tormentato per tutto il tempo della cena, prendendo il posto della sensazione di pace e dolcezza del pomeriggio con Chiara.
Dopo cena si stese sul letto, cercando di restare sveglio in attesa di Chiara, ma la sonnolenza era davvero invincibile.
Lentamente scivolò nel buio del sonno.
 
“Nella cartella clinica del signor Jager non c’è la prescrizione di alcuna flebo” disse Ester, l’infermiera di notte, mentre guardava l’assistente di Stein che sistemava l’ago nel braccio di Ben.
“L’ha prescritta ora. Dalle ultime analisi è risultato disidratato ed i suoi elettroliti sono scompensati”
Ester continuò a guardarlo con aria scettica.
“Può rivolgersi direttamente al primario se ha qualche dubbio. Ma parli sottovoce. Il paziente sta dormendo” sbottò il medico.
Ester aprì bocca per parlare di nuovo, ma poi desistette, confortata dal respiro regolare di Ben.
Lasciò la stanza mentre il medico apriva la flebo e il medicinale iniziava a gocciolare nelle vene del giovane poliziotto.
 
Angolino musicale: il risveglio dolce dei due giovani, il ritorno a vivere di entrambi e la loro determinazione hanno ‘scatenato’ il lato dolce di Grimilde…PFM Impressioni di settembre

Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=OzbDUbu1lMM
Quante gocce di rugiada intorno a me cerco il sole, ma non c'è. Dorme ancora la campagna, forse no, è sveglia, mi guarda, non so. Già l'odor di terra, odor di grano sale adagio verso me, e la vita nel mio petto batte piano, respiro la nebbia, penso a te. Quanto verde tutto intorno, e ancor più in là sembra quasi un mare d'erba, e leggero il mio pensiero vola e va ho quasi paura che si perda... No, cosa sono adesso non lo so, sono un uomo, un uomo in cerca di se stesso. No, cosa sono adesso non lo so, sono solo, solo il suono del mio passo e intanto il sole tra la nebbia filtra già il giorno come sempre sarà.
 
 
 

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Capitolo 11
*** La curiosità è sempre cattiva consigliera ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
 

Capitolo 11
La curiosità è sempre cattiva consigliera
 
Chiara tornò alla clinica in bici come era andata via.
Ormai era notte fonda e si chiese come poteva giustificare la sua presenza lì, a quell’ora senza essere di turno, ma era necessario che restasse accanto a Ben.
Se come si aspettava il contenuto della fiala che aveva consegnato a Semir si rivelava un medicinale non consentito, le cose sarebbero precipitate in poco tempo e nessuno poteva prevedere le reazioni di Stein.
Aveva colto gli sguardi ansiosi ed irati che il professore ed il suo assistente lanciavano in direzione di Ben e anche nei suoi riguardi: ne era sicura, quei due stavano su chi va là  e al primo segno di pericolo erano pronti a far sparire tutte le tracce o anche peggio a far sparire chi ritenevano a conoscenza dei loro misfatti.
“Buonasera Chiara, cosa ci fai qui a quest’ora?” chiese Ester, la sua collega, vedendola entrare.
“Credo di aver dimenticato il mio cellulare, nell’armadietto… tutto a posto?” rispose  Chiara cercando di  non far trapelare la menzogna.
“Sì tutto bene… il paziente della 302 è un po’ agitato, ma niente di serio”
“Bene…” fece Chiara avviandosi verso le stanze riservate al personale.
“Ah… e Stein ha ordinato una flebo per compensare gli elettroliti del signor Jager. La cosa mi è parsa strana, ma quando ho chiesto l’assistente di Stein mi ha mandato a quel paese… tu ne sai niente?”
La voce di Ester era calma, senza note di pericolo, ma un campanello d’allarme si accese nella testa di Chiara.
“No niente” Chiara si costrinse alla calma, mentre saliva le scale verso la stanza di Ben.
Non poteva suscitare sospetti.
Appena fu fuori vista però la ragazza iniziò a correre verso la stanza di Ben con il cuore in gola.
La vista del giovane steso sul letto le provocò subito un  moto di terrore.
“Ben!” chiamò senza risposta.
“BEN!!!” Chiara si costrinse a non urlare per la paura, mentre schiaffeggiava dolcemente il ragazzo, ancora una volta senza risposta.
Con le mani che le tremavano chiuse la valvola della flebo che continuava a gocciolare e corse nel corridoio per cercare quello che le serviva, una torcia medica e lo stetoscopio.
Con la piccola torcia illuminò le pupille del giovane poliziotto.
Bene, era dilatate, ma reagivano alla luce.
Il cuore pulsava regolarmente e anche il respiro era regolare.
Ben stava dormendo. Probabilmente drogato.
Con il cuore che le batteva a mille guardò la flebo.
Il sacchetto era ancora pieno, il che voleva dire che solo una modesta quantità di farmaco era penetrato nel sistema.
Chiara rigirò il sacchetto, ma non vide né etichette né altro che indicassero la natura del liquido trasparente.
Ancora una volta, più silenziosa che poteva andò nel corridoio, nella stanza dove conservavano i medicinali e tornò con un altro sacchetto.
Strappò le etichette che indicavano che si trattava di una semplice soluzione fisiologica e lo sostituì con quello collegato all’ago nella mano di Ben.
Cercando di calmare il respiro si sedette sulla sedia accanto al letto, chiedendosi cosa doveva fare ora.
Chiamare Semir e spiegare cosa era successo? Sarebbe arrivato con un’intera squadra di polizia per trascinare via Ben;  no, non prima che fosse sicura che il poliziotto turco avesse qualcosa di concreto in mano, altrimenti rischiava che quei bastardi assassini facessero sparire tutte le prove. Né poteva lasciare di nuovo solo Ben per portare il sacchetto della flebo a Semir per scoprire cosa gli volevano iniettare.
Sapeva che correva  un rischio in questo modo, ma  non restava altro che aspettare che Ben si svegliasse e decidere cosa fare.
 
 
Semir non si era neppure spogliato.
Era rimasto seduto sul divano di casa ad aspettare la chiamata di Hartmut, nonostante le proteste di Andrea.
Era troppo nervoso per dormire.
Nervoso ed anche eccitato.
“Muove le dita dei piedi”
Le parole di Chiara  risuonavano nella sua mente come una canzone di speranza.
Ce la stava facendo: Ben sarebbe stato di nuovo in piedi presto, tutto sarebbe tornato come prima.
I re dell’autostrada di nuovo insieme.
Non riusciva neppure a ricordare  la sensazione di andare a lavorare e divertirsi follemente nel farlo, come era quando Ben era il suo partner.
Ne era certo, poteva riavere la sua vita indietro dopo anni passati nella depressione e nell’angoscia per quello che aveva fatto.
Poteva buttarsi alle spalle tutti i sensi di colpa e il dolore e ricominciare.
Sobbalzò alla vibrazione del cellulare sul tavolino.
“Hartmut…”
“Buonasera Semir” rispose il tecnico.
 
Chiara si era praticamente appisolata sulla sedia quando il rumore dei passi nel corridoio la fece quasi cadere a terra.
Svelta si nascose dietro la porta del piccolo bagno nella stanza, subito prima che Stein e l’assistente facessero il loro ingresso.
I due rimasero sulla porta a guardare Ben steso sul letto, ancora inconscio.
Il sacchetto della flebo era quasi vuoto.
“Quanto ci vorrà?” chiese l’assistente.
“Più o meno tre ore… sembrerà un ictus quando lo troveranno” bisbigliò Stein.
“E la Beck?”
“A lei penseremo domattina” rispose Stein mentre si allontanava nel corridoio.
Chiara uscì dal suo nascondiglio e rimase per un attimo indecisa sul da farsi; poi seguendo un impulso irrazionale seguì i due giù per le scale sino all’ascensore che portava al seminterrato.
 
Le mani le tremavano mentre batteva sulla tastiera i numeri che aveva memorizzato quando Stein e il suo assistente erano entrati nell’ascensore.
Sapeva che era pericoloso, sapeva che doveva chiamare Semir, sapeva che non doveva lasciare Ben da solo,  sapeva che non doveva scendere lì da sola, ma lo stava facendo.
Lo stava facendo per Leon, per Alex e forse per Alessia Lazzari, la piccola che era morta mesi prima.
E lo stava facendo per se stessa, perché doveva sapere la verità.
 
Il corridoio era poco illuminato e la lasciò abbastanza sconcertata.
Non aveva pensato che sotto il piano terra della clinica il seminterrato si estendesse per quasi tutto l’edificio e parte del giardino.
Sapeva che la costruzione era stata utilizzata ai tempi della Seconda Guerra Mondiale come deposito  di armi e centro di controllo della Wermacht, ma non la immaginava così grande.
Esitante fece un paio di passi lungo il corridoio,  mentre la razionalità iniziava a farsi strada in lei.
Che le era venuto in mente di scendere così da sola? Come poteva aver lasciato Ben da solo quando era ancora sedato ed indifeso?
Indecisa sul da farsi e distratta Chiara non si accorse dei passi alle sue spalle.
Una mano ferrea le tappò la bocca sin quasi a soffocarla, mentre veniva bloccata da braccia forti.
“La curiosità è sempre una cattiva consigliera” sibilò la voce di Stein.
 

Angolino musicale: Molto bene, anzi no…altre morti potrebbero ‘costellare’ i prossimi capitoli…intanto Simple Plan this song saved my life(Questa canzone mi ha salvato la vita)
Per ascoltarla https://www.youtube.com/watch?v=BOBSOtfUevA
Voglio iniziare facendoti sapere questo Grazie a te la mia vita ha uno scopo Mi hai aiutate ad essere quel che sono oggi Mi rivedo in ogni parola che dici A volte sembra che nessuno mi comprenda Sono intrappolato in un mondo in cui tutti mi odiano Sto passando per così tante cose Non sarei qui se non fosse stato per te Ero distrutto Stavo soffocando Ero smarrito Questa canzone mi ha salvato la vita Stavo sanguinando, avevo smesso di credere Sarei potuto morire Questa canzone mi ha salvato la vita Ero depresso Stavo annegando Ma è arrivata giusto in tempo Questa canzone mi ha salvato la vita A volte mi sembra che tu mi conosca da sempre Sai sempre come farmi sentire meglio Ti ascolto ogni qualvolta mi sento giù Mi hai fatto sapere come nessun altro Che va bene essere me stesso Non saprai mai cosa significa per me Che non sono solo Che non dovrò mai esserlo

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Capitolo 12
*** Dov'è Chiara? ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
 
Capitolo 12
Dov’è Chiara? 
 
Ben si svegliò piano, con un mal di testa lancinante, senza capire bene neppure dove si trovasse e che ora fosse.
Era stato troppe volte e per troppo tempo in ospedale per non capire che si trattava degli effetti di un sedativo, ed anche pesante.
Lentamente si guardò intorno, con la luce che appena iniziava a filtrare dalle persiane.
Era mattino presto evidentemente, e di Chiara non c’era traccia.
Mentre cercava di riconnettere il cervello vide una delle infermiere entrare nella stanza.
A fatica ricordò il suo nome: Ester.
“Non volevo svegliarla, signor Jager. Devo solo staccare la flebo, torni a dormire” disse piano mentre con professionalità staccava la flebo e delicatamente sfilava l’ago dal dorso della mano.
Ben non riusciva ancora a capire bene, non ricordava che qualcuno gli avesse parlato della necessità di una flebo e l’assenza di Chiara era preoccupante.
“Che…ore sono?” chiese piano.
“Le cinque… non si sente bene? Vuole che chiami un medico?” chiese preoccupata Ester vedendo le reazioni rallentate del giovane.
“No… Chiara…dov’è Chiara?” balbettò.
Ester sorrise, ormai tutto il personale della clinica si era accorto del feeling fra il poliziotto e la fisioterapista.
“La dottoressa Beck inizia il suo turno alle sette. Anche se ieri sera è passata a riprendere il suo cellulare…” rispose l’infermiera, continuando  però a guardarlo con preoccupazione.
“Sarà meglio che la controlli un medico” disse risoluta, prima di uscire per cercare l’assistente di Stein che era di turno.
 
“Sei sicuro di quello che dici?” chiese ancora una volta Semir ad Hartmut.
Entrambi erano rientrati al Distretto, anche se a quell’ora c’erano solo pochi colleghi in servizio. La Kruger tuttavia stava arrivando per chiamare il procuratore distrettuale.
“Certo. Il contenuto di quella fiala ha come componenti principali i farmaci che abbiamo ritrovato sul camion che si è incendiato”
“Hai capito  cosa possono servire?” incalzò il piccolo turco.
“Ho contattato un mio amico, il dottor  Harburg di Vienna. E’ un noto neurochirurgo e ha sentito molte volte parlare di Stein. Entrambi si sono occupati in passato di un progetto per una cura sperimentale delle malattie neurodegenerative. Il farmaco che  ha creato Stein è tuttavia molto pericoloso, ha effetti collaterali terribili, soprattutto se non dosato bene, per cui fu escluso quasi subito dal progetto”
“Credi che abbia continuato la sperimentazione per conto suo alla ‘Felsen’?”
“Il dottor Harburg  ha definito Stein letteralmente un ‘ pazzo esaltato disposto a qualsiasi cosa ’. Diceva sempre che avrebbe vinto il Nobel e che il progresso scientifico richiedeva sacrifici. Fu anche deferito all’autorità di vigilanza, ma l’inchiesta fu archiviata perché Stein aveva fatto sparire gran parte dei componenti del suo cocktail fatale”
Semir rabbrividì al pensiero di Ben in mano a quel folle.
“Pensi che lo abbia sperimentato anche sul bambino che è morto nei giorni scorsi?” chiese con il cuore pesante.
“Penso di sì, e probabilmente anche sulla figlia di Lazzari. Harburg dice che i soggetti preferiti per la sperimentazione di Stein erano proprio i bambini, ed in subordine le persone anziane, per rilevare i diversi effetti”
Semir dovette costringersi alla calma, mentre aspettava l’arrivo della Kruger. Avrebbe voluto precipitarsi alla clinica, portare Ben al sicuro, e soprattutto voleva prendere a pugni Stein, ma non poteva mandare tutto a rotoli.
Senza un’operazione in forze e senza un mandato di sequestro immediato quel bastardo poteva far sparire di nuovo tutte le prove e con le stesse la speranza di far avere  giustizia ai bambini morti e probabilmente anche ad Alex.
“Buongiorno, spero che davvero ci sia una buona ragione per farmi chiamare il procuratore a quest’ora del mattino” disse la Kruger entrando nell’ufficio di Semir.
 
“Dottore, dovrebbe dare un’occhiata al signor Jager. Non mi piace… ha reazioni rallentate, come se fosse stato  pesantemente sedato, o peggio”
Ester aveva raggiunto e fermato quasi a forza l’assistente di Stein, che appariva leggermente sconvolto.
“Perché? Che sintomi mostra…”
“E’ rallentato e chiede in continuazione di Chiara, insomma è poco lucido”
“Forse perché lo ha svegliato alle cinque del mattino?” fece duro il medico.
Ester lo guardò severa.
“Ci passerò fra poco. Del resto il dottor Stein aveva notato uno squilibrio degli elettroliti” concluse il medico avviandosi verso l’ascensore per il seminterrato.
 
Ben stava diventando un po’ più lucido,  anche se tutto sembrava ancora sfocato e poco chiaro.
Una sola cosa aveva però in mente: l’assenza di Chiara non era normale.
La giovane gli aveva detto che sarebbe tornata subito dopo essere stata da Semir, ma le ore erano trascorse e di lei non c’era traccia.
Doveva alzarsi e prendere il cellulare nell’armadio.
Doveva chiamare Semir, doveva chiamare Chiara.
Ma qualunque cosa gli avessero dato era davvero forte, la stanza sembrava oscillare davanti a lui mentre cercava faticosamente di mettersi seduto.
Le gambe gli rimandarono subito un dolore acuto una specie di scossa elettrica che partendo dai piedi arrivava sino al cervello.
Mentre cercava di raggiungere la sedia a fianco del letto notò piccoli movimenti delle gambe, involontari, ma non aveva il tempo per rallegrarsi. Doveva chiamare Semir e scoprire se Chiara era in pericolo.
Gli effetti della droga  erano pesanti e il giovane poliziotto ebbe più di una difficoltà a mettersi sulla sedia.
La testa girava e sentiva come se dovesse vomitare da un momento all’altro.
Lentamente, costringendo le sue braccia a muovere le ruote della sedia si avvicinò all’armadio per prendere il cellulare.
Ma all’improvviso si vide trascinato indietro da qualcuno.
“Signor Jager lei è in condizioni migliori di quanto mi aspettassi” fece l’assistente di Stein mentre spingeva la sedia verso il corridoio.
Ben non aveva la forza di opporsi.
“Chiara…” fu l’unica cosa che riuscì a balbettare.
“Non si preoccupi signor Jager, la sto portando proprio da lei”
 
“Dove lo sta portando?” chiese Ester, accigliandosi al passaggio del medico che spingeva la sedia di Ben verso l’ascensore per il seminterrato.
“Aveva ragione, le condizioni cliniche del paziente  devono essere monitorate. Lo sto portando in laboratorio per fare i prelievi” disse senza neppure voltarsi a guardarla.
“Ma i prelievi li potevo fare io…” balbettò l’infermiera sconcertata.
“Chiamar… Semir…” le sembrò di sentire mentre  la porta dell’ascensore si chiudevano.
 
“Cosa hai combinato??? Che ci fa lui qui? Maledizione, doveva essere morto a quest’ora!!!” urlò Stein vedendo il suo assistente arrivare spingendo in avanti la sedia con Ben sopra.
“Non lo so… qualcuno deve aver sostituito il medicinale nella flebo, non c’è altra spiegazione” balbettò sconvolto il giovane medico.
“Siamo fregati!!! Il lavoro della mia vita rovinato da una fisioterapista e da uno storpio sulla sedia a rotelle!!!” urlò pieno di rabbia il professore.
“Forse siamo ancora in tempo, sono sicuro di averlo preso prima che riuscisse ad avvisare l’amico”
Ben nel frattempo riusciva a capire la metà di quello che dicevano, anche se la sua visione diventava man mano più chiara.
“Dobbiamo far sparire tutto” intimò Stein.
“E cosa facciamo con questo qui e la Beck?”
“Spariranno con tutto il resto” fu la risposta.


Angolino musicale: Adesso sì che si mette male…chi salverà i due ‘piccioncini’?
the calling ‘Our Lives’ ( le nostre vite)
Per ascoltarla:   https://www.youtube.com/watch?v=Vn7CBtdM3dE
Quando tutti sognano Una vita migliore In questo mondo Diviso dalla paura Dobbiamo credere che Se siamo qui c'è una ragione Perché vale la pena vivere in questi giorni Questi sono gli anni che abbiamo E questi sono i momenti Questa è l'ora Sfruttiamo al meglio le nostre vite Vedi la verità tutt'intorno La nostra fiducia può essere distrutta E le nostre mani possono essere legate Ma apriamo i cuori e riempiamo il vuoto Non lasciamo che qualcosa ci fermi Non vale la pena rischiare? Anche se la speranza fosse infranta so che non avrebbe importanza Perché questi sono i momenti Questa è l'ora Sfruttiamo al meglio le nostre vite…
 

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Capitolo 13
*** Situazione esplosiva ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI DI MATY66 e CHIARABJ
 
Capitolo 13
Situazione esplosiva


 
“Ben… Ben stai bene?”
La voce di Chiara si fece strada nella mente ancora offuscata del giovane poliziotto.
Girando la testa vide che l’avevano legata ad una sedia in una grande stanza.
La presenza di attrezzature mediche per analisi e di vari pc  faceva immediatamente capire che si trattava del laboratorio di Stein.
A lui avevano legato solo le mani ai braccioli della sedia, ritenendo inutile fermare anche le gambe.
Ben annuì verso la ragazza.
“Bene, ma mi gira la testa” balbettò.
“Zitti voi due…  fra un po’ avrete tutto il tempo per ‘tubare’ fra di voi, tutta l’eternità in effetti” intimò l’assistente.
Chiara spalancò gli occhi dalla paura.
Urlare era inutile, laggiù non li avrebbe sentiti nessuno.
“Perché sei qui giù? Perché sei venuta qui da sola?” chiese Ben sottovoce, mentre ormai il cervello si schiariva sempre più.
“Lo so… ho sbagliato, scusa… ho agito d’istinto, ma ti avevano messo in vena qualcosa… non lo so…” Chiara era sull’orlo delle lacrime.
“Non piangere, Semir arriverà, ci troverà vedrai” la consolò Ben.
“Ho detto zitti!!!” urlò l’assistente, mentre si sedava alla scrivania ed iniziava a lavorare al pc.
“Fai il backup di tutti i dati mi raccomando, non voglio perdere il mio lavoro” intimò Stein entrando  nel laboratorio con un’enorme borsa da lavoro.
Si mise alla scrivania e frenetico iniziò  prendere i documenti e a ficcarli nella borsa.
“Cosa facciamo dopo?” chiese l’assistente.
“Qui giù ci sono le tubature del gas… basterà provocare una fuoriuscita e poi al momento giusto… bum!” ridacchiò malefico Stein.
“Sparirà tutto, le prove e soprattutto questi due. E sembrerà un incidente, già l’anno scorso c’è stata una perdita ricordi?” continuò.
“Mentre il pc scarica i dati, dammi una mano di là” chiese alla fine Stein.
I due si allontanarono dalla stanza, lasciando Ben e Chiara da soli.
Con un occhio alla porta Ben  si chinò ed iniziò a mordere la corda che gli legava il polso destro.
“Dobbiamo uscire di qui” disse a Chiara che lo guardava sempre più impaurita.
 
“Allora abbiamo ottenuto il mandato per la perquisizione sia della clinica che dei sotterranei” annunciò la Kruger entrando nell’ufficio di Semir.
“Finalmente… voglio arrivare possibilmente prima di quei bastardi. E soprattutto voglio mettere Ben in un’auto e portarlo qui a Colonia” fece Semir.
“Non possiamo essere sicuri che quei farmaci sino la causa delle morti avvenute nella clinica” fece notare la Kruger.
“Perché su nessuno è stata effettuata l’autopsia, le hanno considerate morti naturali”
Il pensiero della probabile riesumazione dei piccoli morti provocava a Semir un moto di rabbia, come se i genitori non ne avessero già passate abbastanza.
“Siamo pronti” Dieter era appena entrato in ufficio con Jenny.
“Tenetemi informata” chiese Kim mentre tutti uscivano e si dirigevano alle auto.
 
Ben  aveva quasi  sciolto il nodo della corda che gli legava il polso quando dovette raddirizzarsi  vedendo Stein ed il suo assistente rientrare nel laboratorio.
Poco dopo una sirena riecheggiò acutissima, mentre un odore acido si diffondeva nell’aria.
“Ecco l’allarme… ora inizierà l’evacuazione. Approfitteremo della confusione per allontanarci. Nessuno noterà l’assenza di questi due e anche se la noteranno… beh saranno solo due sfortunati che non sono riusciti a scappare” rise Stein.
“Io vado, tu prendi la chiavetta con i dati, poi li stordisci e li sleghi”
L’assistente lo guardò perplesso.
“Deficiente, vuoi che li trovino legati ad una sedia? Ti aspetto sopra, quando saremo fuori basterà far squillare il cellulare per l’innesco” disse Stein mentre chiudeva tutte le porte per permettere al gas di saturare prima l’aria.
 
L’odore del gas era penetrante e disgustoso.
L’assistente di Stein si avvicinò minaccioso a Chiara, pronto a colpirla con un pugno in faccia.
Ben non sapeva cosa fare… era letteralmente disperato e immobilizzato.
Il polso era ancora attaccato al bracciolo e nonostante le corde fossero allentate non riusciva a liberarsi completamente.
Non poteva finire così,  non voleva morire e non voleva che Chiara morisse con lui.
Cercò di mandare dei segnali alle sue gambe, ma gli arti si ostinavano a rimanere immobili.
“Muoviti muoviti muoviti” pensò, senza capire se stava anche urlando.
“Lasciala stare bastardo” urlò mentre l’uomo aveva già alzato il pugno per colpire Chiara.
“Che vuoi? Vuoi prenderle per  primo tu?” fece  il medico avvicinandosi e calandosi su di lui.
Errore fatale, perché così senza nessun preavviso, reagendo a stimoli che non sentiva da tempo , il ginocchio di Ben si alzò di scatto e urtò con tutta la sua forza contro il  naso dell’uomo.
 
L’assistente di Stein crollò a terrà tenendosi il naso e urlando di dolore.
“Bastardo… il mio naso…” strillò mentre il sangue gli filtrava tra le dita.
Ormai l’odore del gas stava diventando insopportabile e Ben sentì Chiara tossire violentemente.
Ben strattonò ancora una volta le corde e finalmente sentì la pressione sul polso allentarsi.
Cercò di liberare la mano e sciogliere i nodi dell’altra, ma era troppo tardi.
Il medico si era rialzato e con gli occhi rossi di rabbia si avvicinò al giovane poliziotto.
“Bastardo maledetto” sibilò mentre gli stringeva le mani al collo.
 
 
 
“Centrale a Cobra 11” gracchiò la radio.
Semir stava guidando velocemente, ma  il traffico sull’autostrada era rallentato da un carico speciale che precedeva la BMW.
“Dimmi Susanne” rispose Semir.
“Semir… pare che alla clinica Felsen sia in corso un allarme per una fuga di gas, stanno evacuando tutti”
“Maledizione, hanno chiamato i  vigili del fuoco?” balbettò il piccolo turco, ricacciando indietro il panico.
“Sì certo… Semir stanno evacuando i pazienti, sicuramente anche Ben… starà bene, vedrai”
  L’ispettore non si prese cura di rispondere.
La sua mano era già sul cellulare  a chiamare Ben.
“Dannazione rispondi” sibilò mentre il telefono squillava a vuoto.
 
Il primo piano della clinica sembrava una bolgia infernale.
Tutti correvano in viarie direzioni, gli infermieri si affannavano a trasferire i pazienti su sedie a rotelle e barelle, alcuni venivano trasportati a mano per uscire più in fretta.
Non c’erano molte grida, solo alcuni dei pazienti piangevano dalla paura e la tipica confusione che si crea quando tante persone devono andare in un medesimo posto il più in fretta possibile.
Stein guardava impaziente verso l’ascensore, contando i secondi.
Presto il sotterraneo sarebbe stato saturo e bastava un nulla per far scoppiare tutto.
Non poteva perdere i dati, il backup del suo lavoro, ma quel deficiente non si vedeva. Mai far fare un lavoro delicato ad incompetenti.
“Professore, abbiamo evacuato tutti ai piani superiori, ma non riesco a trovare il signor Jager”
La voce di Ester fece sobbalzare Stein.
“Sarà già fuori con gli altri pazienti” rispose cercando di apparire calmo.
“No, ho controllato due volte. L‘ultima volta che l’ho visto il suo assistente lo stava portando nel seminterrato per le analisi”
Questo poteva rivelarsi un problema, ma Stein non se ne preoccupò più di tanto.
Bastava fuggire, poi comunque doveva lasciare il paese per continuare i suoi studi. Forse in Russia o meglio ancora in Cina.
“Infermiera quando è scattato l’allarme sono sceso nel laboratorio ed il signor Jager non era là. Forse il mio assistente lo ha accompagnato fuori prima. Controlli di nuovo” ordinò.
Ester non si mosse guardandolo sospettosa.
“Vada! E trovi il paziente” urlò.
Ester uscì  nel parco con passo incerto.
Stein aspettò che si allontanasse e poi lanciando maledizioni prese l’ascensore per tornare nel seminterrato e vedere quel che stava succedendo.
 
Ben tossiva e le immagini del mondo intorno a lui iniziavano a sfocarsi sempre più.
Le mani dell’uomo intorno al collo erano una morsa ferrea e non riusciva a prendere neppure più un respiro.
Cercò di mandare nuovamente segnali alle sue gambe, ma al di là di un leggero movimento gli arti non avevano alcuna intenzione di collaborare.
Con la coda dell’occhio vide Chiara semiaccasciata sulla sedia.
Doveva agire subito o sarebbe stato troppo tardi.
“Non voglio morire” pensò.
Con la mano libera andò a tentoni cercando disperatamente di trovare qualcosa… qualunque cosa.
Era vicino ad un tavolo di laboratorio e afferrò la prima cosa voluminosa, senza neppure guardare.
Raccogliendo le ultime forze, colpì l’assistente di Stein alla testa.
 
L’uomo s’accasciò a terra con un gemito e restò immobile.
Ben non riusciva a smettere di tossire, era al limite delle sue forze, ma doveva fare qualcosa per salvare la vita di  Chiara e la sua.
Sporgendosi dalla sedia riuscì ad arrivare a lei.
“Chiara… Chiara… svegliati dobbiamo uscire di qui… mi devi aiutare, non ce la faccio  a portarti…” balbettò mentre tossiva.
Con fatica riuscì a liberare le mani e le gambe della ragazza.
“Chiara ti prego…” balbettò di nuovo.
“Ben…” finalmente la fisioterapista reagì.
Tossiva, ma riuscì  a mettersi lentamente in piedi.
“Dobbiamo uscire, dammi una mano” chiese Ben.
 
Semir non ricordava di essere stato più in ansia, se non per la nascita delle sue figlie.
Sperava solo di non svenire come allora, ma ora aveva anche  paura e la paura gli imponeva di restare lucido.
Arrivato al  viale che conduceva alla clinica dovette fermarsi, accodato all’auto con Dieter e Jenny.
Il posto era già invaso da ambulanze, auto e mezzi dei vigili del fuoco.
La confusione era incredibile.
Semir non ebbe neppure il tempo di scendere dall’auto.
“Attenzione sta per esplodere tutto” sentì urlare.

Subito dopo una enorme palla di fuoco esplose e lo spostamento d’aria  quasi lo buttò a  terra. 
 
 
 
 
Angolino musicale: Siamo ‘arci sicure’ che nessuno di voi, cari fedelissimi e stupendi lettori, si aspettava che avvenisse ciò…Semir non è arrivato in tempo…
Bon Jovi ‘Save A Prayer’ ( dire una preghiera)

Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=2iiF989xT2Q
Ti sei mai sentito come se stessi affogando? Ti sei mai sentito tradito da un bacio? Hai mai sentito di aver bisogno di qualcuno. Ti sentiresti solo in un mondo come questo? Hai mai avuto bisogno di un rifugio Hai mai riso quando volevi piangere 
Hai mai sognato la rivoluzione? Non ti sembra mai di vivere una menzogna? Oh troppi bambini crescono ciechi alla verità Che dire …dì una preghiera per me, io la dirò per te. Ti sei mai sentito indifeso Ti sei mai sentito come una ferita aperta? Hai mai voluto vendicarti o perdonare, ti sei mai sentito così vicino alla verità? Il mondo ha chiuso gli occhi sull’accecante verità Dì una preghiera per me, io la dirò per te…

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Capitolo 14
*** Sepolti ***


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LA CLINICA DELI ORRORI DI MATY66 e CHIARABJ
 
Capitolo 14
SEPOLTI
  
 
Semir si tenne allo sportello dell’auto per non essere scaraventato a terra dallo spostamento d’aria.
Per molti secondi il cervello non riuscì a connettere le immagini alla realtà.
La maggior parte dell’edificio era saltato in aria e l’aria si era riempita di fumo mentre i detriti continuavano a cadere qua e là, fra le urla disperate della gente.
“STATE LONTANI” gridavano i vigili del fuoco cercando di fare barriera.
Semir stava ancora  fissando lo spettacolo ammutolito quando sentì la mano di Dieter sulla spalla.
Voltandosi il piccolo turco vide gli occhi disperati dell’uomo e la sua muta domanda.
“E’ uscito Dieter, Ben non è là dentro, non può esser…” si costrinse a dire, mentre la voce si rompeva per l’emozione.
 
Rintracciare chiunque nell’inferno che si era creato era praticamente una cosa impossibile.
Semir, Jenny e Dieter continuavano ad aggirarsi fra la gente, i feriti, la polizia ed i vigili del fuoco, chiamando Ben a gran voce, ma del tutto inutilmente.
Più i minuti passavano più  Semir sentiva la morsa gelida del terrore scendere su di lui.
“E’ rimasto qualcuno dentro?” urlò al vigile che gli passava accanto.
“Non sappiamo… una delle infermiere dice che manca il dottor Stein ed uno dei pazienti” urlò in risposta il vigile, senza neppure fermarsi.
“Uno dei pazienti…”
La frase piombò su Semir come un macigno.
“Non può essere…” pensò fra sé  precipitandosi verso l’edificio.
 
Semir aveva chiamato il numero di Chiara almeno dieci volte, ma la linea era irraggiungibile.
Colto da una frenesia insopportabile si avviò a passo di carica verso l’edificio, ancora in parte in fiamme.
“Dove sta andando???Non può avvicinarsi è pericoloso”
Un vigile del fuoco bloccò Semir con una mossa degna di un giocatore di rugby.
“Non riesco a trovare il mio collega… era uno dei pazienti… non riesco…”
“Capisco, ma ora lei non può avvicinarsi, è troppo pericoloso,  può crollare tutto da un momento all’altro” gli rispose il giovane vigile, mentre lo teneva fermo con mossa ferrea.
“Ha capito quello che le ho detto? Non lo trovo, credo sia rimasto lì dentro!!!”
Semir continuava a dimenarsi cercando di liberarsi.
“Senta, mi dispiace… ma se qualcuno è rimasto  là dentro ci sono poche speranze di trovarlo vivo”
La frase ebbe l’effetto di lasciare Semir come paralizzato.
Il vigile del fuoco lo lasciò andare, guardandolo con compassione.
“Comunque faremo del nostro meglio… lei resti qui non abbiamo bisogno che altri si mettano in pericolo” concluse il vigile.
“No… non può finire tutto così” pensò Semir mentre una lacrima gli scendeva sul viso.
 
Ben ritornò alla coscienza lentamente, come quando ci si riprende da una sbornia.
Mentre i sensi tornavano a funzionare il dolore fisico aumentava sempre più.
Sentiva un peso enorme sul torace, ma quando aprì gli occhi non  vide assolutamente nulla.
Per un terribile attimo pensò di essere diventato cieco, ma quando gli occhi si abituarono all’oscurità capì.
Erano bloccati sotto le macerie dell’edificio.
Cercando di non pensare ad altro, a tentoni cercò di capire cosa lo bloccava e sentì la trave di cemento su di lui.
Era bloccato… una trave gli aveva salvato la vita, almeno per ora, ma gli bloccava qualsiasi movimento.
“Chiara…” chiamò pregando che qualcuno rispondesse.
“Chiara…” chiamò a voce più alta, con il cuore che iniziava a frantumarsi.
“Sì… sono qui” sentì alla fine.
“Co… come stai…” chiese Ben mentre un attacco di tosse lo squassava.
“Insomma… ho il braccio bloccato sotto qualcosa…” rispose con voce debolissima la ragazza.
Doveva essere a qualche metro da lui, ma nell’oscurità Ben non riusciva a distinguere nulla.
“Ci troveranno” provò a consolarla Ben, mentre ricordi orribili si facevano strada nella sua mente.
 
“Lei è Semir?” chiese Ester venendo il poliziotto che si aggirava frenetico fra la gente chiedendo di Ben Jager.
“Sì… sì… sa qualcosa, lo ha visto??” rispose  avvicinandosi.
Ester ebbe in momento di esitazione non erano buone notizie quelle che gli doveva dare.
“L’ultima volta che l’ho visto un assistente del professor Stein lo stava portando nel seminterrato per fare delle analisi… così mi ha detto. Quando è scattato l’allarme ho cercato il signor Jager.. due volte in tutti i piani e ho anche  informato il professore che mancava. Ma lui ha detto che l’assistente probabilmente lo aveva già portato fuori… mi ha imposto di uscire…”
Semir sbiancò.
Lo avevano portato nel seminterrato.
“Ha visto Chiara Beck?” chiese  con voce strozzata.
“Ieri sera sul tardi, era venuta a riprendere il suo cellulare, così mi ha detto…”
Semir cadde seduto sul prato, con un enorme desiderio di mettersi a piangere.
Da lontano vedeva Kim Kruger, arrivata da poco con Hartmut, che cercava di convincere  il capo dei vigili del fuoco a far passare il tecnico e la sua attrezzatura per l’individuazione delle fonti di calore.
“Commissario, capisco che forse uno dei suoi uomini è ancora sotto le macerie, ma non posso farla passare. E’ pericoloso e non posso assumermi la responsabilità” abbaiò  il vigile, un uomo muscoloso e dall’aria decisa.
Ma Kim Kruger non era tipo da farsi intimidire.
“ Comandante, ma noi abbiamo attrezzature migliori ed io ed il mio tecnico siamo disposti ad assumerci tutti i rischi”
In quel momento pur scoraggiato come era Semir apprezzò Kim.
 Il distretto… erano davvero una specie di grande famiglia.
“OK… ma se vi dico di allontanarvi lo fate  senza discutere” acconsentì alla fine il Comandante dei vigili.
 
Ben doveva essersi addormentato per la stanchezza, il freddo e la sete.
Quando si svegliò non era più sotto le macerie della Felsen, ma di nuovo nella bara dove l’aveva rinchiuso Wolf  Mahler.
Aveva impiegato anni di pazienza e terapie per dimenticare quell’incubo e ora, dopo tutte le sofferenze patite in quegli anni, il destino lo aveva rimesso in quella situazione.
Sarebbero morti lì.
Lentamente, con l’aria che si consumava e al buio.
L’ironia della sorte era che ora sentiva le gambe muoversi… ancora a scatti e senza poter controllarle bene, ma erano l’unica parte del suo corpo che  riusciva a  muovere.
Buio… buio e silenzio, rotto solo dal flebile respiro di Chiara accanto a lui.
Sarebbero morti lì, per asfissia.
Il respiro iniziò a farsi frenetico.
Il cuore batteva impazzito.
Stava andando in iperventilazione.
“Ben…”
“BEN” sentì la voce di Chiara accanto a lui.
“Ben…calmati… respira con me… uno, due…”
Ben cercò di fare come le diceva la ragazza.
“Dentro, fuori…” continuò Chiara.
Poco a poco il respiro di Ben si calmò e l’uomo riacquistò lucidità.
“Stai bene?” chiese Chiara.
“E’ solo che…” rispose Ben cercando di spiegare il suo attacco di panico.
“Sì lo so… ho sentito quando raccontavi la storia a Leon” fece Chiara a bassa voce.
Ben rimase in silenzio, con ancora il cuore che gli batteva forte nel petto.
“Semir ti ha trovato allora e ci troverà ora. Ne sono sicura” continuò Chiara con voce calma.
L’aria era pesante.
“Dobbiamo resistere… pensa a qualcosa di bello” mormorò Chiara.
Ben cercò di concentrarsi e pensare a cose piacevoli.
Pensò a sua madre, a quando era piccolo e lo faceva girare vorticosamente tenendolo per le braccia, mentre i colori del giardino di casa danzavano davanti ai suoi occhi.
Pensò a Semir e alle risate che  si facevano quando facevano scherzi orribili ai colleghi o imitavano la Kruger.
Pensò ancora a Semir e all’affetto che provava per lui, molto più fratello che collega.
Pensò ad Aida ed a Lily, alle favole raccontate e alle ninna nanna cantante con loro che si addormentavano fra le sue braccia.
Ad Andrea e all’affetto che gli mostrava ogni volta che cucinava solo le cose che gli piacevano.
Pensò a sua sorella e anche a suo padre.
E alla fine pensò a Chiara e alle sensazioni provate mentre faceva l’amore con lei.
L’aria era troppo pesante, non riusciva a respirare.
Tutto stava diventando nero e scuro.
 
Le ore passavano ed anche le apparecchiature di Hartmut non erano utili.
L’umore di Semir era passato da preoccupato, a frenetico ed ora disperato.
Non sapeva cosa fare, dove cercare in quell’enorme mucchio di macerie che c'era davanti a lui e che probabilmente  si era portato via la vita del suo migliore amico.
Senza che si fossero realmente chiariti fra loro, senza tante cose che dovevano essere ancora dette e fatte.
Dieter e Jenny stavano aiutando i vigili a sgomberare a mano le macerie, cercando anche loro di tenersi occupati e non pensare.
Il cellulare nella sua tasca vibrò.
“Andrea…” riuscì a rispondere con un filo di voce.
“No, ancora niente… sì lo so….”
Semir non riusciva a parlare con la moglie che voleva rincuorarlo.
Nulla poteva rincuorarlo, se non ritrovare Ben vivo.
“Ti chiamo appena ho novità” concluse veloce la telefonata.
L’ispettore si avvicinò ai colleghi e prese anche lui a portare via le grosse pietre che c’erano dappertutto: qualsiasi cosa era meglio che stare fermo immobile ad aspettare.
“Abbiamo trovato un cadavere” urlò qualcuno.
E il cuore di Semir si spezzò.
 
Angolino musicale : ormai proviamo un ‘perfido gusto’ a finire i capitoli così...Queen  ‘These Are The Days Of Our Lives’  (questi sono i giorni della nostra vita)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=oB4K0scMysc

A volte ho la sensazione di essere tornato come ai vecchi tempi, molto tempo fa Quando eravamo ragazzi, quando eravamo giovani Tutto sembrava così perfetto, sai? I giorni erano senza fine, eravamo pazzi, eravamo giovani Il sole splendeva sempre, vivevamo solo per divertirci A volte sembra che dopo, proprio non so, Il resto della mia vita sia stato solo uno spettacolo Quelli erano i giorni della nostra vita Le brutte cose erano così poche...Quei giorni sono tutti finiti ora, ma una cosa è certa Quando ci penso e ti rivedo ti voglio bene  ancora Non si possono mettere indietro le lancette dell'orologio, non si può invertine il corso Non è un peccato? Mi piacerebbe tornare indietro Quando la vita era solo un gioco A volte sembra che dopo, proprio non so, sia meglio sedersi e lasciarsi portare dalla corrente Perché questi sono i giorni della nostra vita Sono scivolati velocemente, via col tempo Questi giorni sono tutti finiti ora, ma alcune cose restano Quando ci penso e trovo che niente è cambiato Quelli erano i giorni della nostra vita, sì Le brutte cose erano così poche...Quei giorni sono tutti finiti ora, ma una cosa è ancora certa Quando ci penso e ti rivedo, ti voglio bene ancora
 
 
 

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Capitolo 15
*** Per me ci sei sempre ***


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LA CLINICA DEGLI ORRORI DI MATY66 e CHIARABJ
 
Capitolo 15
Per me ci sei sempre
  
“Aspetti qui, vado io” intimò Kim, mentre Semir guardava imbambolato il corpo coperto da un lenzuolo che i vigili del fuoco avevano appena tirato fuori dalle macerie.
Il piccolo turco aveva le gambe che gli tremavano e quasi non riusciva a respirare; fu estremamente grato per la proposta, ma i minuti che Kim ci mise per arrivare vicino al fagotto steso in terra, alzare il lenzuolo e tornare verso di lui gli sembrarono secoli.
“Non è Ben. E’ Stein” disse solo la Kruger tornando verso di lui, anche se a Semir sembrò di vedere una lacrima di sollievo scendere sulla guancia della donna.
Il piccolo turco sospirò più volte cercando di reprimere le lacrime.
E’ vero non era Ben, ma il suo amico era ancora lì, sepolto sotto quintali di macerie e le ore passavano inesorabili, allontanando sempre di più la possibilità di rivederlo vivo.
Se quel bastardo di Stein non fosse morto Semir era certo di poterlo uccidere con le sue stesse mani, ed in modo molto lento.
 
Ormai era notte inoltrata ed i lavori continuavano alla luce delle fotoelettriche. Neppure i cani erano riusciti a fiutare qualcosa e Semir se ne stava seduto sotto un albero del grande giardino, esausto dopo aver lavorato per ore con i vigili del fuoco.
Nessuno parlava, ma dallo sguardo di pietà che ogni tanto i suoi colleghi del distretto gli lanciavano capiva bene che il tempo si stava esaurendo. Probabilmente Ben e anche Chiara erano già morti, là sotto, da soli, al buio e senza aria.
Il pensiero gli riusciva davvero insopportabile; due anni passati a litigare, incomprensioni e ripicche assurde, poi il lungo periodo con Ben in coma in  America, la ripresa e la speranza  che tutto si potesse risolvere ed ora? 
Tutto finito per sempre?
Semir ripensò al sogno che aveva fatto poco prima che Ben si risvegliasse dal coma… il funerale, la pioggia, la disperazione di tutti.
Quando lo avevano chiamato da Dallas per dirgli che Ben si era svegliato dal coma lo aveva completamente cancellato dalla sua mente, come un brutto incubo svanito all’alba con le prime luci del sole.
Ma ora le immagini gli tornavano come una premonizione.
No!!!
Non poteva essere.
“Tom ti prego aiutami” invocò.
Pensava spesso al suo amico Tom Kranich, soprattutto nei momenti del bisogno, lo aveva sempre considerato una specie di angelo custode che lo proteggeva da lassù.
“A destra sotto quella grande trave”
Semir non capì se qualcuno avesse davvero pronunciato quella frase o se la fosse solo immaginata.
Si girò di scatto solo per vedere una figura scura che si allontanava.
Per un attimo la figura si girò e Semir ebbe netta l’impressione di vedere un paio di  familiari occhi verdi che lo fissavano amorevoli.
“No non può essere stai avendo di nuovo le allucinazioni” si disse il piccolo turco.
Ma sapeva di dover cercare lì.
“VENITE QUI!” urlò mentre si precipitava  dove gli aveva detto la voce.
 
“Abbiamo già controllato, anche con i cani, non c’è nulla qui… e sinceramente se anche il suo amico fosse qui sotto non ci sono speranze che sia ancora in vita” concluse scettico il  comandante dei vigili del fuoco.
Semir riusciva a stento a tenere a bada la rabbia.
“Dobbiamo cercare ancora. Sono sicuro che sono lì sotto” urlò disperato.
“Calma Semir… se il capo dice che…” 
“Sono lì e sono vivi” urlò di nuovo Semir.
“Questa parte dell’edificio è molto instabile ispettore, non posso permettere a nessuno di rischiare…” continuò il comandante dei vigili con aria severa.
“Rischio io. Mi assumo ogni responsabilità. Basta che mi create un piccolo passaggio.  Non mi serve molto spazio come vede”
“Semir è pericoloso… pensi ad Andrea, alle bambine” cercò di opporsi la Kruger.
“Io non lascio morire così il mio migliore amico. Costi quel che costi”
 
I vigili erano riusciti a creare con molta difficoltà un piccolo passaggio sotto la grande trave che sovrastava il cumulo di macerie, ma i continui piccoli smottamenti di pietre e i rumori alquanto sinistri erano già di per sé sinonimo di instabilità.
Poteva crollare tutto da un momento all’altro.
“Semir lei non può andare là sotto… Semir!!” provò a richiamare la Kruger, ma il piccolo turco, imbragato e con un caschetto protettivo si stava già avviando e non diede il minimo segno di volerla ascoltare.
“BEN!!!” urlò Semir mentre cercava faticosamente di avanzare in quel cumulo di ferro, cemento, pietre, mobili e quant’altro che lo circondava.
“BEN!!!” urlò di nuovo con quanto fiato aveva, rimanendo poi in silenzio nella speranza di  ascoltare anche un minimo segno di vita.
Semir avanzò ancora, ma lì sotto al buio con la luce della sola torcia era difficile orientarsi.
“BEN!!! CHIARA!!!” urlò mentre la voce gli si rompeva in un singhiozzo disperato.
Nulla.
Solo il silenzio.
E poi all’improvviso una vocina debole femminile.
“Se… Semir… siamo qui!”
 
 
Semir ci mese quasi mezz’ora per arrivare strisciando a Chiara, incurante delle intimazioni dei vigili del fuoco che attraverso la radio gli intimavano di aspettare fermo.
Sopra di sé sentiva il rumore degli scavi, ma la situazione era comunque instabile, con pietre e calcinacci che cadevano ovunque.
Il cuore gli saltò un battito quando vide la figura di Ben distesa sotto la trave.
“State bene?” chiese con un filo di voce, mentre cercava di avvicinarsi di più.
“Io ho il braccio bloccato, penso sia rotto… ma non sento Ben da almeno due ore…” singhiozzò Chiara.
“Ben!!!” chiamò di nuovo Semir, sempre più terrorizzato.
“Ben ti prego parlami!” urlò ancora strisciando più vicino.
“Se… Semir” sentì alla fine in risposta.
“Allah ti ringrazio” ormai il piccolo turco stava singhiozzando.
“Sapevo che saresti arrivato” sorrise Ben mentre strizzava gli occhi alla luce della torcia.
 

Il tempo che i vigili del fuoco ci misero per raggiungerli sembrò a Semir un’eternità.
Un incubo lunghissimo in cui ogni pietra o rumore forte gli faceva pensare che tutto sarebbe crollato su di loro seppellendoli definitivamente.
 
Il medico aveva dato a Ben un leggero sedativo, ma già uscendo dall’ambulanza dove aveva fatto i primi controlli aveva lanciato un timido sorriso di rassicurazione.
“Il suo amico è stato fortunato. Solo due costole rotte ed una piccola commozione celebrale. Due giorni e potrà andare a casa”
“E Chiara? La dottoressa Beck…” chiese ancora Semir accennando all’altra ambulanza su cui c’era Chiara.
“Braccio  fratturato in due punti. Ma niente di preoccupante. Come detto sono stati molto fortunati”
Semir sospirò di sollievo.
Guardò distrattamente i vigili che portavano via il corpo, coperto da un lenzuolo, dell’assistente di Stein che avevano trovato accanto a Ben e Chiara. Se uno dei due si fosse trovato a meno di un metro da dove erano potevano esserci loro sotto quel lenzuolo.
Cercando di scacciare il pensiero dalla mente, si avvicinò di nuovo al medico.
“Posso vedere un attimo Ben?”
“Certo” rispose il medico conciliante.
 
Agile, Semir salì sull’ambulanza dove  Ben era disteso sulla barella, con gli occhi chiusi.
“Ehi… come va? Come ti senti?” chiese sfiorando la mano.
“Affamato” rispose il ragazzo aprendo gli occhi.
“Buon segno…” sorrise Semir.
“Chiara?”
“Qui a fianco nell’ altra ambulanza, ha un braccio rotto, ma sta bene. Stein e l’assistente  invece sono  morti”
“Non posso dire che mi dispiaccia. Posso vedere Chiara?” chiese preoccupato Ben.
“Più tardi penso. Vi stanno portando allo stesso ospedale. Non ti posso promettere che vi metteranno in stanza insieme però” ridacchiò Semir.
Ben sorrise a sua volta.
“Ehi… ho una sorpresa per te” disse poi sornione, alzando la coperta che gli copriva le gambe.
A Semir non sembrava vero mentre guardava le gambe di Ben che si alzano e si piegavano sia pure lentamente.
Non riuscì a dire nulla, ma non c’era neppure bisogno di dire nulla mentre gli stringeva la mano.
I due amici passarono alcuni secondi in silenzio.
“Sapevo che saresti arrivato” fece alla fine Ben, trattenendo le lacrime.
“Davvero? Perché io invece ho avuto una paura dannata di non riuscire a trovarti stavolta. Come facevi a sapere che sarei arrivato in tempo?” chiese Semir con voce triste.
“Perché tu per me ci sei sempre”
 
 
Angolino musicale: l’affetto che unisce Semir e Ben è qualcosa di speciale e il piccolo ispettore è disposto a rischiare il tutto per tutto pur di ritrovarlo…
 
Queen ‘Too Much Love Will Kill You’…( Troppo amore ti ucciderà)
Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=ivbO3s1udic
 
Sono solo i frammenti dell'uomo che ero solito essere Troppe lacrime amare si stanno riversando su di me Sono molto lontano da casa E sto affrontando tutto questo da solo 
da troppo tempo Mi sento come se nessuno mi avesse mai detto la verità Su come crescere e sullo sforzo che avrebbe comportato Nella mia mente piena di confusione Sto guardando indietro per scoprire dove ho sbagliato Troppo amore ti ucciderà Se non riuscirai a deciderti Diviso tra l'amante e l'amore che lasci indietro Vai incontro ad un disastro perché non hai mai letto le indicazioni Troppo amore ti ucciderà - ogni volta Sono solo l'ombra dell'uomo che ero solito essere E sembra che per me non ci sia alcuna via d'uscita da tutto ciò Ero solito ridarti la felicità Adesso tutto ciò che faccio è deprimerti Come sarebbe se tu fossi nei miei panni? Non vedi che è impossibile scegliere? Non c'è alcun senso in tutto questo Qualunque strada io intraprenda, devo perdere Troppo amore ti ucciderà Come quando non ne hai affatto Prosciugherà la forza che c'è in te Ti farà gridare, implorare e strisciare E il dolore ti renderà pazzo Sei la vittima del tuo crimine Troppo amore ti ucciderà - ogni volta 
Troppo amore ti ucciderà Renderà la tua vita una farsa Sì, troppo amore ti ucciderà 
E non riuscirai a capire il perché Daresti la tua vita, venderesti la tua anima Ma sarà di nuovo così Troppo amore ti ucciderà Alla fine...

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Capitolo 16
*** Fratelli ***


 
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LA CLINICA DEGLI ORRORI di MATY66 e CHIARABJ
CAPITOLO 16
FRATELLI
 
Ben e Semir stavano seduti a  prua della piccola imbarcazione che navigava tranquilla sul Reno.
Era passato poco più di un mese dai fatti della Felsen e l’inchiesta era stata chiusa con l’arresto dell’altro assistente di Stein e dei complici che avevano fatto in modo che i farmaci illegali arrivassero in Germania.
Purtroppo non c’era più nulla da fare per Alessia o Leon, per Alex o per gli altri bambini morti nella folle sperimentazione, ma ai due poliziotti restava la consolazione di aver evitato altre morti.
La Felsen era andata distrutta e probabilmente non sarebbe più stata ricostruita.
La giornata era bella e calda e Ben alzò il viso verso il sole chiudendo gli occhi.
Accanto a sé aveva ancora il bastone, ma se ne serviva sempre meno.
All’interno si sentivano le voci di Chiara, Andrea e delle altre infermiere della Felsen che chiacchieravano piano fra di loro.
“Forse non dovrei essere qui” disse piano Semir.
Non era infatti una gita di piacere quella che stavano facendo e il piccolo turco si sentiva un po’ fuori posto. Ma Ben aveva insistito molto e Semir non se l’era sentita di rifiutare.
“Sciocchezze, ti ho già detto che tu hai tutto il diritto di stare qui. Se non altro avete condiviso la cura di questo incosciente” sorrise Ben un po’ triste.
Semir sospirò; si sentiva in colpa per aver giudicato male Alex, l’aveva considerato solo un delinquente ed invece aveva sacrificato la sua vita per proteggere quella di Ben e degli altri pazienti.
“Mi spiace sai… mi spiace averlo giudicato male” fece alla  fine il piccolo turco guardando l’acqua del fiume che scorreva sotto la barca.
“Era un uomo che aveva sbagliato, ma che poi aveva cercato di dare un senso alla sua vita. Anche io all’inizio non l’avevo capito. Ha fatto di tutto negli ultimi tempi per aiutarmi, è anche merito suo se sto di nuovo in posizione verticale” La voce di Ben era triste.
Semir guardò l’amico senza parlare, agitandosi sulla panca a disagio.
“Semir… che c’è?” chiese Ben guardandolo negli occhi.
In realtà il giovane sapeva l’origine del disagio del suo migliore amico e  avevano rimandato quella discussione per troppo tempo.
“Ho fatto un bel po’ di cazzate in questi ultimi mesi… e probabilmente Alex  ti è stato molto più d’aiuto di quanto abbia saputo fare io” borbottò il piccolo turco.
“Questa è una cavolata e tu lo sai. Certo sei stato iperprotettivo a volte, ma la maggior parte della colpa è mia. Ero così arrabbiato con il mondo intero che non ho capito che volevi solo aiutarmi”
Ancora una volta Semir rimase in silenzio.
“So che  a Dallas ci siamo ripromessi di non parlare di quanto era successo negli anni passati, di buttarci tutto alle spalle, ma io… io non riesco a non pensare  a quello che ho fatto… ti ho lasciato solo… se io non…”
“Basta Semir!!!” lo interruppe Ben.
“Se serve a farti sentire meglio ti posso anche dire che è colpa tua. Ma non è così.  Probabilmente è più colpa mia che tua, ma  trovo assurdo questo gioco… colpa mia, colpa tua. Non m’importa!!! Tu per me ci sei sempre,  me lo hai dimostrato ancora una volta tirandoci fuori da quelle macerie. Ti prego Semir, io rivoglio la mia vecchia vita, rivoglio il mio migliore amico, il mio fratellone e se tu non smetti…”
La voce di Ben si ruppe per l’emozione.
Semir lo guardò a lungo e poi sorrise.
“Sai che sei proprio un fratellino fastidioso?” fece stringendoli la mano.

“Signori siamo quasi arrivati” disse il sacerdote mentre la barca rallentava e si fermava, nella parte del fiume poco fuori l’abitato di Colonia.
Tutti si alzarono e si misero a poppa dell’imbarcazione, Chiara in prima fila reggendo l’urna.
“Affidiamo le spoglie mortali di Alexander al fiume, come egli desiderava. Non dobbiamo essere tristi per la sua morte, ma grati al Signore per avercelo fatto conoscere…”
Mentre il sacerdote recitava le ultime preghiere Chiara rovesciò poco a poco il contenuto dell’urna nel fiume, con le lacrime che le scendevano sul volto.Ben lanciò in acqua una corona di fiori.
Poi tutto fu finito e mentre gli altri ritornavano all’interno dell’imbarcazione Ben e Chiara si trattennero , appoggiati sulla balaustra a guardare sotto.
Rimasero per un po’ in silenzio poi Chiara tirò fuori dalla tasca una fotografia.
“Questa l’hanno trovata i Vigili del Fuoco tra le macerie della vostra stanza” bisbigliò mentre gliela porgeva.
Ben rimase un attimo interdetto.
La foto mostrava un sorridente Alex, di molti anni più giovane, abbracciato ad un ragazzo assolutamente identico a Ben.
“Ma chi è?”
“Credo sia Mark, il fratello di Alex. Alex mi aveva parlato di lui. E’ morto anni fa, nel corso di una rapina ed Alex non si è mai perdonato di non essere riuscito a proteggerlo. Non sapevo però che fosse identico a te”
Ben guardò di nuovo la foto.
“Credi che sia per questo che…”
“Che cercava di proteggerti? No, almeno non solo per questo. In realtà sono stata anche io a chiedergli di aiutarti un po’… non sapevo… Lui voleva dare un senso alla sua vita dopo i tanti errori commessi”
I due rimasero in assoluto silenzio.
Poi Ben lasciò andare la foto nel vento che iniziava a soffiare sul fiume.
“Addio Alex. Spero che tu sia felice, ovunque sei ora”

Due mesi dopo.

Semir parcheggiò la sua BMW davanti al condominio dove c’era l’appartamento di Ben.
Il ritorno in servizio attivo era previsto per il lunedì successivo, ma come al solito lo sbadato si era scordato, prima di partire con Chiara per la loro gita sull’Eifel, di ritirare il certificato finale di superamento dei test fisici e senza quello la Kruger non l’avrebbe fatto uscire in pattuglia.
Certo potevano aspettare il giorno successivo per tornare di nuovo insieme sull’autostrada, ma a Semir non andava proprio di   passare un altro giorno da solo per colpa della sola distrazione del ragazzo.In realtà non voleva aspettare neppure un minuto in più per tornare a lavorare con lui.
Così aveva ritirato lui i documenti e stava per metterli in bella mostra sul bancone della cucina con un biglietto ironico.
“Così smette di dire che sono io quello vecchio che scorda tutto” disse fra sé e sé mentre apriva la porta dell’appartamento con la sua copia delle chiavi.
Aveva appena poggiato i documenti sul bancone della cucina quando Semir sentì dei lamenti provenienti dal piano di sopra.
Immediatamente si mise in allarme.
Era certo che  Ben e Chiara sarebbero tornati solo a sera tardi dalla loro gita in mountain bike sull’Eifel.
Silenzioso iniziò a salire le scale quando sentì di nuovo quei lamenti.
Mille pensieri folli iniziarono ad attraversare la mente di Semir.
Ben ferito, agonizzante sul pavimento della camera da letto, aggredito da chissà chi; Ben che aveva avuto una ricaduta ed aveva battuto la testa…
Tirò fuori con gesto fluido la pistola dalla fondina e si avvicinò alla camera da letto, percorrendo veloce il corridoio.
Ancora quei lamenti… cosa stava succedendo?
Lesto Semir si nascose dietro lo stipite della porta e si preparò all’azione.
Uno, due, tre…
“Fermi Polizia!!!” urlò puntando la pistola all’interno della stanza.
Quel che vide lo lasciò di stucco.
“Ma che ca…” fece una testa scura con i capelli scompigliati sporgendosi dal piumone.
Subito dopo una risatina incontrollabile accompagnò la testa di Chiara che usciva  da sotto il piumone, capelli altrettanto scompigliati.
“Porca paletta!!! SCUSATE!!! Oddio Scusate!!!” fece Semir appena si rese conto di quello che stava vedendo.
Le imprecazioni di  Ben e le risate a crepapelle di Chiara lo raggiunsero mentre scendeva le scale ad una velocità folle, prima di uscire di casa sbattendo la porta.

Il lunedì seguente quando Semir arrivò in ufficio Ben era già seduto alla sua scrivania.
Entrò nell’ufficio senza avere il coraggio di guardare l’amico negli occhi, anche se Ben sembrava del tutto normale mentre  fissava lo schermo del suo pc.
“Buongiorno” balbettò Semir, imbarazzatissimo.
“Buongiorno” rispose Ben porgendo la mano aperta.
“La chiavi. Forza restituisci le chiavi del mio appartamento” disse mentre continuava a guardare lo schermo del pc.
“Senti Ben mi spiace… Ho sentito dei rumori, sapevo che tu e Chiara eravate fuori sino  domenica tardi… e poi a dir la verità mi sono spaventato… sembravano lamenti…”
“Dovevamo  fare campeggio sino a domenica, ma prova tu a  seguire Chiara in mountain bike per due giorni… e poi lamenti? Che significa che sembravano lamenti?” Ben era sempre più furioso.
“Beh sì… insomma devi ammettere che siete un po’… rumorosi” balbettò Semir.
Accidenti stava cercando di giustificarsi, ma stava solo facendo peggio.
“Perché tu e Andrea siete muti???”
“No, ma abbiamo imparato a farlo in silenzio con le bambine in casa”
Ben gli lanciò uno sguardo furibondo.
“Ben, mi spiace davvero… “
“Ti spiace??? Ti rendi conto che mi hai rovinato il weekend? Appena cercavo di riprendere l’argomento  Chiara scoppiava a ridere a crepapelle. E  anche lei oggi inizia il suo nuovo lavoro quindi possiamo stare insieme solo nei fine settimana”
“Beh  almeno  lei l’ha presa con spirito”
Ben non rispose.
“Ti piace molto vero?”
Ben rimase ancora in silenzio.
“E quando mi fate diventare zio?” rise Semir.
“Mai, se continui a fare questi scherzetti”
“Signori, cosa ci fate ancora qui? L’orario di lavoro è iniziato da un pezzo!!!” la voce della Kruger li fece trasalire.
“Vieni socio andiamo al lavoro” disse Semir mentre si alzava dalla sedia ed usciva dall’ufficio, seguito da Ben.
“Lamenti? Mica erano lamenti… ti assicuro che nessuno si stava lamentando” continuò imperterrito Ben mentre si avviavano alla Mercedes.
“Dai per farmi perdonare ti faccio guidare…”
 
FINE.



E questa è la fine della nostra storia. Per un po’ Maty prenderà una pausa per dedicarsi "alle stelle", ma non temete… Chiara è più agguerrita che mai… quindi restate sintonizzate per nuove storie ed emozioni.
Grazie a tutti quelli che hanno letto, recensito, commentato, indicata la storia come preferita o ricordata ecc. ecc.
Bacioni a tutti/e.




Angolino musicale: i ‘Re dell’Autostrada’ sono tornati: The Corrs ‘At your side’(al tuo fianco)
Per ascoltarla:https://www.youtube.com/watch?v=7YVio0CKju8&feature=youtu.be
 
Quando la luce del giorno svanisce e sei da solo e hai bisogno di un amico solo per aver compagnia Ti conforterò, prenderò la tua mano e ti aiuterò a farcela, io capirò E tu sai che Io sarò al tuo fianco, non c'é bisogno di preoccuparsi Insieme sopravviveremo attraverso la fretta e la precipitazione Io sarò al tuo fianco Se senti di essere abbandonato e non sai dove girarti Io sarò al tuo fianco Se la vita non si muove e la tua anima é confusa e non riesci a capire quale strada scegliere Se fai degli sbagli Non lasciarmi fuori Io continuerò a credere Io ci sarò E tu sai che Io sarò al tuo fianco Se ti senti solo hai un posto dove andare Perché io ci sarò Io ti sono affianco
 

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