In The Long Run

di Eluviel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Winter

 

 

"Toglimi le tue zampacce di dosso, razza di pervertito! Vuoi un'altra guerra dei cent'anni, eh?"

 

Tutto stava filando liscio, liscio come l'olio, fino a qualche istante prima.

I bei sogni di Francis ultimamente avevano come ospite d'onore lo stizzoso Inghilterra, riverso e a gambe all'aria sul suo letto; e si concludevano nell'unico modo in cui qualcosa immaginato da Francia può concludersi. A parte questa volta, a quanto pare: il poveraccio aveva fatto indigestione di escargot e quell' abbondante piatto di graziose lumache che si era sbafato la sera prima gli era rimasto proprio sullo stomaco; e il risultato ottenuto fu una notte piuttosto agitata dai gorgoglii del suo stomaco e dall'indomito Arthur, che non accennava a farsi domare manco nella sua fantasia.

Ciò fece si che il francese si risvegliasse davvero di pessimo umore; quasi si poteva notare una deprimente aura nera tutt'attorno al suo corpo. Perfino Russia ne fu intimorito, quando lo vide aggirarsi cupamente per il corridoio del palazzo scelto per ospitare la riunione dei Paesi Alleati riguardante il da farsi per frenare l'avanzata di 'quel bastardo mangia patate di Germania'.

A Francis, le riunioni non piacevano per niente. Le trovava davvero noiose. L'unica cosa in grado di intrattenerlo durante le suddette era punzecchiare Inghilterra fino all'inverosimile; e i due finivano sempre per rotolare a terra mentre si riempivano reciprocamente la faccia di pugni. Le loro azzuffate erano diventate parte della routine giornaliera da circa cinque secoli. Non che prima si accarezzassero coi guanti di velluto e si lanciassero addosso margherite; più che altro si divertivano a perdersi in inutili battibecchi. Il loro rapporto cominciò ad incrinarsi a seguito di guerre e azioni di pirateria da parte di Arthur, che si era inselvatichito un po', ma si spezzò del tutto con l'arrivo di America. Conteso da subito dai due, Inghilterra ebbe la meglio, e Francia dovette ritirarsi nella sua amata Parigi a rimuginare su ciò che aveva perso: la possibilità di avere un fratellino minore, di possedere nuovi territori carichi di chissà quali ricchezze -che in un periodo del genere non guastavano di certo-; ma soprattutto, le attenzioni di colui che gli fece battere il cuore di nuovo, dopo la morte di Giovanna d'Arco.

 

 

 

Arrivò per ultimo e fu accolto dai lamenti delle altre nazioni, che lo rimproverarono per il ritardo. Per tutta la durata del meeting non fece altro che mordicchiare distrattamente il cappuccio di una penna e attorcigliarsi una ciocca ribelle di capelli che gli cadeva sempre sugli occhi, limitandosi a rispondere con uno svogliato 'oui' ogni volta che fu interpellato. Sembrava proprio fuori dal mondo e questa sua assenza totale fu notata -positivamente- dagli altri membri Alleati, che per la prima volta riuscirono a concludere una riunione senza che Francis li ammiccasse -e molestasse- con le sue indecenti proposte. L'unico che mostrò una nota di preoccupazione, seppur impercettibile, fu proprio l'oggetto del suo malo umore, Arthur.

 

"...Che hai oggi?" disse guardingo.

 

"Aaaaaah, mon chérie, sono giù di morale" sbuffò mentre si stropicciava gli occhi con le mani, e aggiunse "magari, oh magari, potresti darmi una mano a risollevar-"

 

"Risollevarti? Te lo scordi, razza di idiota! Col cavolo che io ti aiuto."

 

"Sei sempre il solito bastardo! Vuoi proprio che io muoia?"

 

"Non sai quanto mi piacerebbe! Verrei tutti i giorni a ballare sulla tua tomba e a stappare bottiglie di champagne per festeggiare."

 

Dopo essersi lanciati addosso tutte le cattiverie possibili e immaginabili, se ne andarono via impettiti, uno dalla parte opposta dell'altro, ringhiandosi dietro altri insulti mentre ognuno procedeva nella sua direzione. Solo Francis dopo un po' si voltò indietro; America che volteggiava attorno ad Inghilterra come un'ape fa con un fiore. Da dove era sbucato fuori, quel pezzo di uno yenkie?

 

"DAIDAIDAI ARRRRRRRTHUR! TI PREGO VIENI!"

 

"Non insistere, ti ho detto di no! I tuoi party mi fanno schifo e lo stesso vale per i tuoi hamburger!"

 

"Ma è il mio compleanno! Il compleanno dell'eroe! Ci saranno many many dolci!"

 

Insistere con Alfred era la cosa più inutile del mondo. Una volta che si era ficcato in testa una cosa, non gliela si poteva tirar fuori nemmeno con un paio di pinze o sotto minaccia: Arthur, malgrado suo, fu costretto ad accettare, sbuffando e scuotendo la testa. America allora cominciò a fare salti di gioia, prese il povero Inghilterra per la manica della divisa color muschio e lo trascinò letteralmente, mentre rideva ripetendosi che era un eroe a squarciagola.

Francia sospirò.

Era davvero geloso di America.

Alfred, in un modo o nell'altro, riusciva sempre ad ottenere ciò che voleva da Inghilterra: quella scatola di soldatini, l'Indipendenza, la sua presenza.

Francis invece non faceva altro che collezionare rifiuti e disgusto e rimaneva sempre più nascosto dall'ombra di America, che diventava sempre più grande e che inghiottiva Arthur sempre più.

Avrebbe ceduto volentieri l'Alsazia a chiunque, pur di poter stringere la mano dell'inglese come stava facendo America in quel momento.

 

 

 

 

Come si poteva immaginare, la festa di America poteva essere riassunta in una sola espressione: casino.

C'era gente ovunque, dentro casa, nel giardino, nel terrazzo; ragazzi che ballavano, bevevano, si accasciavano e vomitavano; e poi c'era Italia che ruotava -come al solito- attorno a Ludwig come se fosse il suo satellite, mentre l'ariano si limitava a bere qualche boccale di birra. Germania era sempre impeccabile e serio, pure da ubriaco. Al contrario, suo fratello Prussia doveva aver alzato il gomito più del dovuto e si era messo a fare il cretino al centro della pista, dondolandosi tenendo sotto braccio una zebra gonfiabile mentre Spagna cercava di aiutarlo a non sbattere il muso per terra. America invece si era dato al suo tanto amato karaoke, cantava a squarciagola chissà quali parole -era decisamente brillo anche lui- e poi in un angolino, seduto in disparte, c'era Arthur, visibilmente annoiato, che lanciava truci occhiate a chiunque lo andasse a spronare per convincerlo a scatenarsi un po'. Aveva ammucchiato sotto la sua sedia cinque o sei bottiglie vuote, si sosteneva la testa con una mano usando il gomito come puntello e talvolta si lasciava andare ad un qualche sbadiglio, prontamente coperto con l'altra mano rimasta libera.

Il destino gli aveva appena servito un piatto d'argento e Francis accettò con molto piacere l'occasione che gli si era parata davanti.

Rubò una sedia da un tavolo lì accanto e la trascinò fino a quello di Inghilterra; ci si sedette poi all'incontrario, appoggiando gli avambracci sopra lo schienale di legno, perché era convinto che così sembrasse più figo. Di tutta risposta Arthur si girò verso di lui e alzò un sopracciglio, domandandogli silenziosamente che cosa volesse.

 

"Perché sei qui da solo?" chiese Francia, sorridendo maliziosamente sotto ai baffi.

 

"Cazzo 'sta festa è proprio una merda. Mi viene anche da sboccare." Inghilterra normalmente era un uomo piuttosto educato, ma una volta ubriaco, era la persona più sboccata e rozza del mondo.

 

"Ohohoh, dov'è finita tutta la tua storia sull'essere un gentleman?"

 

"Senti, va' a farti fottere e lasciami in pace."

 

"Per quanto mi piaccia l'idea, preferisco stare qui a farti un po' di compagnia."

 

Compagnia, eh. Arthur se lo sentiva che quel maniaco stupratore di Francia aveva -ovviamente- altri fini oltre a quelli di fargli compagnia, ma al momento non aveva ne la forza ne la voglia di trovar da dire con lui per mandarlo via a molestare qualcun altro. Sospirò e socchiuse gli occhi facendo un breve cenno con la testa, in segno di arresa, e Francia sorrise compiaciuto e soddisfatto.

"Andiamo fuori?" aggiunse poi, e gli porse educatamente una mano, incitandolo con lo sguardo a stringerla. Inghilterra in quel momento non voleva altro se non scappare via a gambe levate da quella maledetta casa casinara, così afferrò la sua mano ed insieme si alzarono dal tavolo, prendendo i rispettivi cappotti prima di uscire.

Una volta fuori Arthur si trascinò barcollando fino ad una panchina dalla parte opposta della strada. Non ce la faceva proprio a restare in piedi e la musica assordante, ben udibile anche da lì gli rimbombava in testa e gli faceva sembrare che il suo cervello stesse per esplodere da un momento all'altro. Sollevò a fatica una mano, se la appoggiò sugli occhi e maledisse America in ogni modo possibile, per averlo trascinato al suo party del cazzo. Francia si lasciò fuggire una risata, ascoltare Inghilterra imprecare lo divertiva -quando ovviamente l'oggetto del suo odio non era lui-.

 

"Col cazzo che la prossima volta lo assecondo, quel bambino viziato!" disse poi stizzito, dimenticandosi che in fondo era stato proprio lui a viziarlo in tenera età.

Francia ben si guardò da ricordarglielo, non era proprio il caso di inimicarselo adesso.

 

"Avresti sempre potuto rifiutare da subito".

 

"E come dovevo fare? Ogni volta che gli dico di no, poi salta fuori con quella sua faccia da represso del cazzo, e mi da fastidio vederlo frignare tutto il giorno".

 

Francia sospirò e la loro conversazione cadde nel silenzio assoluto per diversi minuti. Entrambi erano lì, seduti uno accanto all'altro, con le gambe e i gomiti che si sfioravano appena; ogni tanto si abbandonavano a qualche lamento per poi riprendere a stare nuovamente in silenzio, aspettando che qualcuno trovasse un argomento su cui fondare qualche nuovo discorso.

 

"...Senti, Arthur" mormorò poi Francia, "se invece fossi stato io ad invitarti, avresti accettato subito?"

 

Arthur fu colto un po' alla sprovvista. Ogni tanto Francis se ne usciva fuori con domande strane ma non se ne aspettava di certo una ora.

 

"Cos'è, una domanda trabocchetto?"

 

"Non, pura curiosità".

 

Inghilterra lo guardò di sbieco, poi, stanco, fece scivolare la propria testa sulla spalla del francese. Francis arrossì un poco sulle guance, poi girò il viso dall'altra parte per far sì che il suo interlocutore non se ne accorgesse. Non era decisamente abituato ad avere un certo tipo di contatto fisico con Arthur, perciò dovette sforzarsi per rimanere calmo e controllare la sua agitazione.

"...certo che avrei rifiutato, cosa ti credi. America sarà troppo casinaro ma tu sei un maledetto porco, mi sarei dovuto mettere addosso tre cinture di castità per potermi ritenere tranquillo", sparò poi Arthur tutto d'un fiato. Poi alzò gli occhi puntandoli sul viso di Francia per testare la sua reazione e si sorprese nel vederlo girato dall'altra parte. Ci avrebbe giurato però che stesse facendo le sue solite facce da depravato deluso. E invece quando Francis si girò verso di lui sembrava tutto forché triste.

 

"Sapevo che avresti risposto così, mi sarei davvero preoccupato a morte se avessi detto il contrario! Ma non è colpa mia" -aggiunse dopo- "se sei così carino che ogni volta che ti vedo mi vien voglia di trascinarti a letto".

 

"Sta zitto, a te basta che un qualcosa respiri e già hai voglia di provarci. E poi, n...non sono carino, cazzo".

 

"Si che lo sei, specialmente quando sei in imbarazzo come ora!"

 

"Giuro che ti riempio il culo di piombo!" sbottò Inghilterra, divenuto ormai rosso come un pomodoro, agitando le mani ovunque e dimenandosi come un tarantolato.

 

"...Comunque, se davvero sei così terrorizzato da ciò che potrei farti, non saresti nemmeno dovuto uscire fuori dalla casa di Alfred con me."

 

Inghilterra smise di agitarsi di colpo e si portò una mano tra i capelli, cominciando a grattarsi la nuca in segno di disagio. Poi abbassò lo sguardo.

"N-Non ti credere chissà quale roba, sono qui con te solo perché la festa mi fa schifo".

 

"Oui, oui. Mi posso ritenere fortunato allora!"

 

"Perché mai?"

 

"Perché così ho avuto la possibilità di trascorrere un po' di tempo assieme a te, Arthur. Mi mancano i vecchi tempi, quando io ero un giovincello grazioso e tu un rozzone fuori moda. Ohohoh..."

 

"Senti che bastardo!", disse sferrandogli un leggero pugno sul braccio, "però un po' mancano anche a me, quei giorni. Giocavamo sempre insieme da bambini".

 

"Già", si limitò a rispondere il francese che già stava volando con la mente ai tempi passati, assumendo un'espressione rabbuiata e malinconica.

 

"Francis, ti ricordi quella volta che mi feci crescere i capelli perché volevo assomigliarti?"

 

"Oh si che lo ricordo, tuo padre ti voleva menare perché credeva fossero poco virili. Che razza di scorbutico e insensibile!"

 

"E quando mi crebbero mi parve di avere un fienile al posto della testa..."

 

"Ecco perché te li tagliai nuovamente corti, era l'unico taglio che andava bene col tuo faccino imbronciato".

 

Si abbandonarono entrambi ad una leggera risata, poi il loro sguardo cadde dentro gli occhi dell'altro.

 

"Eravamo davvero uniti io e te, Arthur. Perché non lo possiamo essere di nuovo?"

 

"...sono cambiati i tempi, ci sono state guerre che ci hanno portato a combattere l'uno contro l'altro. Non mi piace vivere nel passato, no, ma non credo che sarei in grado di ricostruire quel rapporto di amicizia di cui ci vantavamo un tempo".

 

Per Inghilterra il discorso stava iniziando a spingersi troppo oltre e i suoi sensi stavano vibrando tutti come in allarme, per suggerirgli che era il momento di tagliare corto e chiudere le danze. In verità aveva solo paura di come si sarebbe evoluta quella conversazione in cui ogni parola gli apriva degli interrogativi, come se Francis volutamente volesse fargli intendere qualcosa, e tutto ciò gli puzzava da guaio.

 

"Senti, io ora torno a casa e no, vado a piedi da solo, non ho bisogno che mi accompagni" disse mentre si alzava dalla panchina con la testa che ancora gli girava per via della sbornia non completamente passata.

 

"Sicuro di non volere nemmeno una mano?"

 

"No, no, ce la faccio. Torna dentro a divertirti".

 

Detto ciò si avviò col passo più spedito che fosse in grado di sostenere al momento, frettoloso di allontanarsi da lì prima che Francia ci ripensasse e gli saltasse addosso da dietro come era solito fare con chiunque quando aveva voglia di portarsi qualcuno in camera.

 

 

"Mi manchi, Arthur".

 

 

Fu tutto ciò che disse, un sospiro silenzioso abbandonato nell'aria ed arrivato alle orecchie di Inghilterra grazie al leggero vento della serata molto abile a trasportare parole a destinazione. Si voltò di scatto, ma Francis già era rientrato in casa di Alfred.

Arthur rimase fermo nel mezzo della strada a fissare quella porta, come aspettando che Francia vi uscisse fuori per andarlo a riprendere.

Ma non lo fece.

Solo dopo una decina di minuti si decise a riprendere il suo passo, nell'oscurità della notte, con le mani infilate nella tasca del giaccone per ripararle dal freddo e il mento nascosto nella sciarpa arrotolata attorno al collo.

 

"...Francis, sei davvero un cretino..."

 




Angolo delle note

Salut e grazie per aver letto il primo capitolo di questa storia. Un piccolo avvertimento: cominciai a scrivere i vari capitoli due anni fa e per via di un blocco esistenziale ho ripreso a scriverla recentemente, circa quattro mesi fa. E' quindi altamente probabile che tra il terzo e il quarto capitolo troverete un notevole cambiamento stilistico, spero che ciò non vi disturbi troppo. Quando ci arriveremo, fatemi sapere se sono migliorata! Le opinioni sincere sono sempre ben accette c:
Detto ciò, mi auspico di ritrovarvi anche nei capitoli successivi, au revoir!


*Eluviel


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Spring


 
Da quel giorno non si rivolsero più la parola.
Ogni volta che per dovere o piacere tutte le nazioni si riunivano assieme loro due facevano in modo di trovarsi l'uno dalla parte opposta dell'altro, e se per disgrazia doveva capitare che si passassero vicino, si ignoravano nella maniera più assoluta cercando addirittura di evitare qualsiasi contatto visivo. A dir la verità nemmeno i due diretti interessati si spiegavano il perché del loro comportamento, ma nessuno voleva attaccar bottone per primo e quindi per colpa del loro orgoglio finirono per ignorarsi a vicenda. Arthur aveva ripreso -dopo averlo riempito di stregonerie varie- a parlare al brioso Alfred, Francis si limitava ad osservare i due a debita distanza e a fingere che non gli importasse nulla, aveva anche ricominciato ad uscire assieme a Spagna e a Prussia. Francia si trovava davvero bene assieme ad Antonio e Gilbert, gli ricordavano, in un qualche modo, sé stesso, perciò riusciva ad andarci d'accordo senza troppi problemi. Qualche volta ovviamente trovavano da dire anche loro, ma non erano mai arrivati alle mani. Un secondo prima si minacciavano, un secondo dopo erano già pronti a fare la pace e a dimenticarsi dell'accaduto.
Inoltre quei due erano gli unici al corrente dei problemi di cuore di Francia.



"Aaah, la Printemps!"


Quella mattina il sole si era deciso a fare capolino tra le nuvole e finalmente, dopo un gelido e lungo inverno, i primi segni della bella stagione iniziavano a vedersi. Francis si appoggiò sul davanzale della finestra e inspirò profondamente un paio di volte. Nell'aria si sentiva un leggero profumo di baguette appena sfornata -erano le sei- e negli alberi lungo il viale già si scorgevano i primi boccioli colorati. La primavera era senza dubbio la sua stagione preferita, dove la tristezza delle giornate buie e grigie lasciava spazio al tepore e ai vivaci colori dei fiori. Tutto durante la primavera raggiungeva il massimo della sua bellezza e Francia adorava perdersi tra i viali alberati di Parigi, accogliere i turisti nella sua amata città e fermarsi nei jardins ad oziare. Il suo preferito da sempre era il Jardin Sauvage di Montmartre.
Era così tanto di buonumore che mentre si cambiava canticchiava e fischiettava. Scese le scale correndo - rischiando anche di farsi male diverse volte- e prima di uscire si appese la macchina fotografica attorno al collo. Un'altra cosa che gli piaceva fare era scattare miriadi di foto e raccoglierle in vari album a tema.
Aprì e chiuse la porta tutto su di giri, non esitò a scendere in strada e a mischiarsi tra la gente. La primavera gli riempiva il cuore.
Si fermò in una pasticceria poco più avanti e comprò un paio di croissant grondanti di cioccolato bianco per poi dirigersi verso il Jardin Sauvage. Aveva intenzione di sedersi a pancia in su sull'erba del prato, poco lontano dall'ombra degli alberi, osservare il cielo azzurro chiazzato di bianco e scattare un paio di foto, e così fece. Fotografò una nuvola che gli ricordava un coniglio, una ragazza carina che passeggiava tranquilla più in là, dei graziosi fiori color lilla pallido, dei ragazzini che si divertivano a giocare con la palla accanto ai loro genitori. Poi vide passare davanti a sé un cane davvero bello e maestoso. Non se ne intendeva di razze canine, ma suppose fosse un alano poiché aveva una struttura davvero slanciata ed esile, progettata per tagliare il vento. Subito si prestò a mettere a fuoco l'immagine ruotando la lente della macchina, ma esattamente un secondo prima che premesse il bottone per scattare la foto, l'obiettivo inquadrò Inghilterra, dietro al cane, che teneva ben saldo tra le mani il suo guinzaglio.

Restarono entrambi immobili, fissandosi per la prima volta dopo settimane in cui avevano volutamente evitato di trovarsi faccia a faccia.

"...Inghilterra, che ci fai a casa mia?"

"Ah...niente di ché, insomma. E' stato il mio superiore ad insistere per farmi viaggiare un po'".

"Non sapevo avessi un cane!"

"Infatti non è mio, è di quella signora laggiù" indicò successivamente con un dito la donna mentre usciva da una caffetteria "non poteva portarlo dentro, così mi ha chiesto se potevo tenerlo per lei giusto il tempo di prendere un caffé".

"Che sciocchino che sei, era solo una scusa per abbordarti. Possibile che tu debba essere così ingenuo? Ohohoh.."

"No, non lo era! Perché devi sempre fraintendere ogni gesto di galanteria?"

"Io sono il Paese dell'amore, mi viene naturale vedere prima il lato romantico delle cose", sottolineò Francis.

"Peccato che tu romantico non lo sia affatto".

La signora intanto lo aveva raggiunto e Arthur le porse il guinzaglio sorridendo cortesemente, ricevendo tantissimi ringraziamenti per la sua disponibilità e gentilezza. I due si strinsero la mano e si salutarono, poi l'inglese tornò a fianco di Francia e si sedette sul prato, guardandolo con superiorità.

"Visto? Dovevo solo tenerle il cane".

"Oui, mi sono sbagliato, questa volta. Ci tenevi così tanto a dimostrarmi che ero dalla parte del torto?"

"Si, per farti capire che non sono uno che cede con così poco, tch."

"Ah, capisco. Guarda, si vede la Tourre Eiffel da qui".

"Ci sono salito ieri in cima. Riuscivo a vedere tutta Parigi, mi sembrava di poter stringere l'intera città tra le mani".

"E' un panorama davvero mozzafiato, la prima volta che ci sono salito sopra io mi sentivo le farfalle nello stomaco dall'emozione".

"Parigi è una città davvero piena di opere meravigliose".

"Tutti questi complimenti mi lusingano, Arthur! Ancora però non possiedo l'opera più bella di tutte".

"Eh? E quale sarebbe? Qualche dipinto italiano?"

"No, no, ci sei davvero lontano. E comunque è un segreto!" tagliò corto Francia facendogli l'occhiolino."Hai piani per stasera?"

"Pensavo di andare a mangiare qualcosa fuori".

"Ti andrebbe di andarci con me?"

Francia ora stava guardando Arthur speranzoso, quest'ultimo invece era sprofondato nei ricordi della loro ultima conversazione.
                                            
                                        

                           
Erano stati davvero troppo tempo senza rivolgersi la parola e ad Inghilterra, dopo tutto, mancavano i continui litigi con Francia. Forse invece gli mancava semplicemente lui, ma di certo mai e poi mai lo avrebbe ammesso, a costo di dover tirargli fuori le parole di bocca sotto tortura. Così giunse alla conclusione che l'invito di Francis non era una cattiva idea.


"Va bene, dove mi porti?"



---
Francia, da canto suo, voleva fare bella figura e impressionare Inghilterra, così scelse come posto dove cenare uno dei ristoranti stellati più rinomati di tutta Parigi. Vedere la faccia che fece Arthur quando entrò nella sala decorata con candelabri di cristallo non aveva prezzo, invece l'aveva, anche piuttosto salato, il conto che il cameriere portò al tavolo dei due a fine cena; sortendo un mancato malore al povero Francis, poiché toccava a lui pagar tutto di tasca sua.
Nel mentre Arthur se ne stava seduto a pulirsi gli angoli della bocca col tovagliolo e a strisciarsi la pancia bella piena, fissando Francia con gli occhi semichiusi e sghignazzando sotto i baffi tutto compiaciuto mentre il francese cercava di riprendersi dopo aver visto quella bruttissima cifra a tre zeri stampata in nero alla fine dello scontrino.

"Ohi Francis, sappi che io ho lasciato il portafoglio nella camera dell'albergo".

"R-Razza di demonio! Malvagio! Guarda, guarda quanto mi tocca sborsare! C'è pure la crisi!"

"Non sono io l'idiota che ha deciso di venire qui a mangiare".

"Ma sei tu l'idiota che si è sbafato quattro porzioni di croque mounsier e due piatti di crêpes! Ti pare normale?! Una persona non mangia così tanto! Mon Dieu, se ingrassi perderai tutto il tuo fascino! A me piacciono i sederi piccoli e sodi, non quelli flaccidi come il culo di America!!"

"Io non sono gra-- EH? Che ne sai di come ha il culo America? Depravato, gliel'hai toccato!"

"Oh suvvia non farne una tragedia, mica l'ho molestato, ohnononon..."

"Hai un concetto di 'molestia' davvero inverosimile. Comunque, alzati e va' a pagare, faccia da rana!"

"A proposito di pagare, se stasera torno a casa col portafogli vuoto è solo colpa tua che ti sei ingozzato a non finire. Fattelo pesare sulla coscienza!"

"Te lo scordi, io sono in pace con me stesso. Tu mi hai invitato, io ho mangiato, tu paghi. Fine della storia".

"Che mi cadda Notre Dame in testa se mai un giorno mi venisse ancora la voglia di portarti a cena fuori, malédiction!"

Francia si alzò dal tavolo stringendo con odio lo scontrino tra la mano e guardò in cagnesco Inghilterra per tutta la durata del percorso sedia-cassa cassa-sedia. Una volta pagato il conto e aver osservato tristemente due banconote di colore verde abbandonare le sue tasche, si infilò il cappotto con stizza e uscì dal ristorante senza neppure aspettare Arthur, che lo raggiunse qualche minuto dopo, una volto accortosi che Francis era già fuori.
Si era seduto sul ciglio della strada e aveva acceso una sigaretta, fumando nervosamente per scaricarsi un po'. Arthur gli si avvicinò coprendosi il naso col colletto del suo trench, cercando di non inalare, per quanto possibile, quell'orribile puzzo di nicotina.

"...Mi volevi abbandonare là dentro, come si fa con un cane prima delle vacanze?"

"Sarebbe il minimo che possa fare per fartela pagare, ma non sono così scortese".

Tirò un paio di volte dal mozzicone acceso, poi si girò verso Inghilterra e vendolo coperto in quel modo, gli venne una voglia tremenda di soffiargli tutto il fumo in faccia.

"Ascolta, se ti pesa così tanto la faccenda del conto, quando arrivo in hotel ti do' la metà. Così la finisci di fare la vittima e mi lasci stare".

Evidentemente quell'orgogliosetto si sentiva un briciolo di colpa addosso, altrimenti non avrebbe tirato fuori una frase del genere di sua spontanea volontà - pensò Francia-, ma anche così doveva sempre rigirare la faccenda come se non fosse mai colpa sua. Gli si ispessì per un secondo una vena nella fronte.

"Figurati se voglio i tuoi soldi! Non è per questo se ora sono arrabbiato".

"E per cosa allora? 'Questa volta che ti ho fatto?"

"Non mi hai nemmeno detto grazie".

Arthur fece scattare l'indice in avanti per ribattere ma si fermò qualche istante dopo, giusto quando realizzò che Francis aveva ragione, e lasciò cadere il suo sguardo nel vuoto, più che altro deluso per la mancanza di rispetto che aveva mostrato a Francia. Per carità, il rispetto glielo mancava tutti i giorni, lo seppelliva proprio e lo calpestava, quando gareggiavano a chi dei due si insultasse meglio. Però quella era una mancanza di rispetto diversa, o almeno così la considerava Inghilterra.
Quella era bilaterale. Questa unilaterale.
Tossì per schiarirsi la gola in modo solenne, nel tentativo di rimarcare chi dei due fosse il superiore, anche se il più immaturo della situazione era senza dubbio lui.

"...G-Grazie. Per la cena".

Disse subito dopo abbassando al minimo il volume della voce.

"Hai per caso detto qualcosa?"

Ovviamente Francia aveva capito benissimo quello che l'inglese aveva mormorato tra i denti ma voleva togliersi la soddisfazione di sentirglielo dire per bene. Così, come se fosse una mini-vendetta atta per umiliarlo un poco.

"Ti ho detto grazie per la cena..."

"Cosa?"

"GRAZIE PER AVER OFFERTO LA CENA!! HAI DEGLI STRAMALEDETTISSIMI PROBLEMI ACUSTICI, IDIOTA?" Urlò Arthur tutto d'un fiato, spolmonandosi, mentre afferrava Francia per il colletto della camicia e lo strattonava in qua e in là e quest'ultimo si lasciava scrollare fissandolo con un espressione da beota.

"Ohnonononon Arthur, ci sento magnificamente e splendidamente"

"... Are you trying to kidding me, you fucking brat??"

Inghilterra aveva assunto una spaventosa espressione in grado di far le scarpe ad Ivan, con la voglia di omicidio che gli trasudava da sotto la pelle.

"Non, non!"

"Allora cerchi la rissa? Vuoi la rissa, Francis?!"

"Inghilterra, stai zitto per cinque secondi, mollami così rerspiro, e lasciami parlare!"

"...Tch'".

Lasciò il colletto della camicia con tutta la grazia richiesta dal momento -scaraventandolo quasi a terra- e si mise a braccia conserte pestando sui sanpietrini, aspettando nervosamente che Francia prendesse fiato.

"Mon chérie, stavi quasi per uccidermi...!"

"Non sai quanto mi penta di averti mollato".

"Non volevo farmi beffa di te -almeno non stavolta-! Volevo solo divertirmi un po'".

"Sei sempre il solito cretino" ammise sommessamente Arthur stropicciandosi mezza faccia e facendo un breve sospiro.
Poi tese una mano verso Francis.

Il francese ebbe un attimo di esitazione e poi la afferrò con una presa salda ma timorosa allo stesso tempo, aspettandosi tristemente un chissà quale scherzo da parte di Arthur.
Invece si limitò solo a tirarlo su e a dargli una leggera pacca sulla spalla.

"Questa volta hai vinto tu, Francis. Ti devo le mie scuse. Ma non abituartici troppo, you bloody git!" sfuriò Arthur subito dopo, ritraendo la mano dalla spalla del francese e infilandola rapidamente dentro la tasca del suo cappotto. Poi mosse gli occhi verdi da destra verso sinistra come una persona venutasi a trovare in una situazione di disagio.

"...B-bene."

Osservò le lancette dell'orologio che indossava sul polso, segnavano le undici meno un quarto.

"E'.. è tardi e tra poco la reception dell'hotel chiude. Non voglio dormire sotto ad un dannato ponte quindi...beh..vado."

"Ohohoh se rimaner senza un letto ti preoccupa, sappi che sono ben contento di accoglierti nel mio, Angleterre~"

Di fronte a quell'avance a carattere casualmente sessuale, Inghilterra reagì nell'unico modo possibile: lo ignorò platealmente e girò i tacchi. Non aveva voglia di perder tempo a ricordare a Francis quanto fosse maledettamente fastidioso. Rischiava di fare tardi.

"Ma tourterelle, questa volta non ti lascio scappar via".

Con un rapido gesto, Francia afferrò il sottile polso di Inghilterra e, cercando di essere il più galante possibile, sollevò la mano di quest'ultimo e se la avvicinò al viso; gli poggiò le labbra sul dorso facendole schioccare lentamente.

"...GET OVER YOURSELF, FOOL!!!!" gli urlò praticamente in faccia il povero Arthur, aveva il viso più viola di una melanzana; sfilò la mano da quella di Francia e gli piazzò uno schiaffo ben assestato sulla guancia.

"N-NON TI AZZARDARE A TOCCARMI DI NUOVO!"

Si strinse la mano, le nocche gli doloravano leggermente, e fissò l'esatto punto dove poco tempo prima il francese l'aveva baciato. Si morse un labbro, guardò Francis massaggiarsi con piccoli movimenti circolari. Doveva avergli fatto davvero molto male, a giudicare dal segno delle cinque dita che gli aveva lasciato sul volto.

"Arthur.."

"Z-ZITTO, BASTARDO! TI ODIO, DANNAZIONE! TI ODIO!"


Qualcosa si ruppe.



Francis sospirò; piantò i suoi occhi azzurri nei verdi e lucidi di Inghilterra. Si fissarono a lungo, uno immobile e l'altro che tremava stringendosi nel suo trench.
Senza chiedere nessuna spiegazione entrambi scoppiarono a piangere.


Mentre l'inglese continuava singhiozzare e a tamponare le lacrime, una carezza gentile gli sfiorò il viso, salendo lungo le guance e terminando sulla sua fronte. Arthur smise di strofinarsi gli occhi arrossati ed ebbe quasi un sussulto quando si rese conto di quanto Francis gli fosse vicino in quel momento: riusciva a sentire il calore e l'umidità del suo respiro sulle guance.
Le mani di Francia si spostarono dal suo viso alla sua schiena, stringendo Inghilterra forte contro il proprio corpo.


"Je t'aime, Angleterre".


"Non parlo il francese, idiota..."




La primavera era senza dubbio la sua stagione preferita, perché tutto raggiungeva il massimo della sua bellezza.
Fiori, alberi, persone.

                                                                    

Arthur.







Note dell'autrice
Ed eccoci qua al secondo capitolo! Inanzitutto, voglio ringraziare davvero tanto tutti coloro che hanno letto il primo capitolo e che *addirittura!* hanno inserito la storia tra le preferite e le seguite! Many many thanks! Un grazie speciale se ne va tutto a Lady White Witch, per avermi lasciato una bella recensione.
Fin'ora i capitoli scritti sono 6, comprendendo anche questi due pubblicati. Tempo di rileggerli, correggere eventuali sviste e/o modificare parti di testi e dialoghi che non mi soddisfano più e saranno pubblicati il più presto possibile. La prossima settimana, probabilmente di mercoledì, uscirà il capitolo 3. Spero che non ci siano troppi ritardi ma non
garantisco nulla, le lezioni universitarie mi tengono molto occupata durante il giorno.

Vi lascio con due fan comic, uno sulla Spamano e l'altro -ovviamente- FrUk. Mi spaccano in due dalle risate ogni volta che li leggo.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Summer
 




"Vi giuro che non ha nulla che non vada".

"Cosa? Romania, non sparare boiate! L'hai controllato bene?"

"Ovvio, mica sono un pivello io, ma non ho trovato nulla".

Antonio, Gilbert e Romania l'avevano praticamente accerchiato, continuandolo a fissare come se fosse un alieno. Come biasimarli, Francis aveva un aspetto orribile.
Non molestava pesantemente qualcuno da troppo tempo, e questo era preoccupante. Non ammiccava nessuno, e questo era ancora più preoccupante. Manco parlava per doppi sensi come al suo solito. Terrorizzante. Solo perché era ancora in grado di soddisfare i suoi bisogni primari non poteva essere classificato come vegetale. Irrecuperabile. Perfino i suoi due migliori amici, Spagna e Prussia per l'appunto, non avevano la minima idea di cosa gli fosse pigliato, anzi, stentavano a riconoscerlo. Che si fosse preso qualche malattia dal nome impronunciabile? Rifiutato da una donna? Sull'orlo del default? Ogni volta che gli si avvicinavano per chiedergli il motivo del suo malessere, Francis mugugnava qualcosa di incapibile sotto i denti e ignorava ogni domanda bevendo del buon vino. Tutto questo suo strano comportamento aveva fatto salire il livello della preoccupazione dei due al massimo, fino a ridurli a pensare che Inghilterra avesse lanciato addosso a Francia un maleficio come prodotto del loro ennesimo litigio. Si sapeva che l'inglese era piuttosto afferrato in materia di pratiche pagane e di stregoneria e che, se esasperato al limite, non esitava a rintanarsi nel suo scantinato ad augurare chissà quali malocchi. Per questo avevano chiamato Romania. Se non ne capiva lui di malefici e cose simili... Si aspettavano come minimo un papiro di sortilegi vari, e invece l'unica cosa che sentirono dire dal rumeno come risposta fu 'questo qui non ha niente addosso'.

"Q-Quello non è Francia. E' un impostore! Impostore! Chi ti ha mandato?! Ti ammazzo! Rivoglio Francia!"

"S'il te plaît Gilbert, non ti agitare. Sono sempre io".

"No che non lo sei! Dov'è? Dovel'hai messa tutta la tua maniacaggine?"

"Dai, lasciami stare. Non ho voglia...di andare a spargere il mio amore per le piazze adesso. E poi non sono maniaco! Sono solo un tipo affettuoso".

"...Non ha voglia." Sottolineò Spagna con voce tremula, fissando poi Prussia, decisamente ancora più sconcertato di lui.

"...N-Non dire cazzate, sono troppo awesome per non accorgermi che stai mentendo! Dai, andiamo a conquistare le regioni vitali di Austria. So che ti va. ...Ti va, vero Francis?"

"Non insistere mon ami, non sono in vena".

Antonio e Gilbert si fissarono ancora una volta increduli. Francia che rifiutava un invito a carattere palesemente sessuale. La fine del mondo doveva essere ormai vicina. Prussia cominciò a strillare e a disperarsi con fare teatrale, aveva sempre l'abitudine di ingigantire tutto. Spagna invece, che da sempre era il più calmo dei tre -quando non si trattava di bambini ovviamente, e in specifico di Romano-, cercò di riordinare le idee e di non farsi venire un attacco di panico.
Poi gli si accese una scintilla.

"Fusosososososo, lo entiendo!"

"Che?"

"Credo di aver capito perché il nostro niño è così giù di morale".

"Sei serio?!"

"Claro que sì! Forse tu non te lo ricordi, perché quando accadde eri ancora un piccoletto carinissimo sotto la protezione di papà Fritz, come lo chiami tu".

"Avanti, non girarci attorno e vai al punto!"

Francia intanto aveva aguzzato l'udito restando in disparte ad ascoltare i due, anche se sapeva dov'è che Antonio voleva andare a parare.

"Mai sentito parlare di una certa Giovanna D'Arco?"

"Ja, ma che diavolo c'entra ora?"

"Solo una volta ho visto Francis nello stesso stato in cui è ora, e fu quando Giovanna venne condannata. Anzi, direi che stava anche peggio. E tu sai che genere di affetto provava nei suoi confronti..."

"Quindi potrebbe essere che...?"

"Si, penso sia così".

"Oh mein Gott".

Entrambi tirarono un sospiro di sollievo e si girarono verso Francis; sorridevano in un modo talmente tanto irritante ed agghiacciante da far drizzare i peli.

"Chi è."

"Chi è cosa?" rispose sotto tono il francese cercando di apparire come l'ingenuo di turno, aveva cominciato a rigirarsi nervosamente i capelli tra le dita. "...già ne siete al corrente, quindi non c'è bisogno che continuiamo questo interrog-"

"INGHILTERRA?! SOPRACCIGLIA DA PROCIONE?!?! KESESESESESE, TI SI E' RALLENTATO IL CERVELLO PER CASO?"

"Smettila, non sei per niente carino!"

"MA ANTONIO! NON E' MANCO PER NULLA FIGO!"

"Per te no, ma a quanto pare per Francia si. Ah, el corazón no se puede controlar! Questa situazione mi ricorda tanto me e il mio adorato Romano! Aaaah, Romano! Te quiero, te quiero muchisimo!"

"Verdammt, Antonio, piantala di tirar sempre fuori quello sciattone spezzabolgia! Io vado a farmi una birra con West, 'sta situazione problematica mi ha fatto venire mal di testa e non ho voglia di sentirti straparlare di Romano".

Ogni volta che Prussia si sentiva a disagio o inopportuno aveva il vizio di uscire sempre di scena con una scusa. Non che non volesse aiutare Francis, ma semplicemente era consapevole di essere pressoché inutile quando si trattava di problemi di cuore o cose simili. Quando Dio distribuiva il romanticismo, lui era in fila per l'egocentrismo; quindi non era la persona più adatta a dare consigli ad uno che si vantava di essere la nazione dell'amore. Del restoun certo nobilotto austriaco non si faceva tanti problemi per la mancanza di dolcezza di Prussia, e ciò contibuiva ad alimentare la sua non curanza verso la romanticheria. Fece l'occhiolino ad Antonio che già aveva intuito che non era esattamente da un birraio dove voleva andare e diede una pacca sulla spalla a Francia, per poi andarsene tutto fiero di sé col suo solito sorrisetto strafottente sulle labbra.



"Ne sei proprio certo, Francis?"

"Non accade dal 1431, sono in grado di capire quando mi innamoro di qualcuno".

"Non sarà facile con Arthur...Non per demoralizzarti, te lo voglio solo far presente".

"Lo so, lo so benissimo, Antonio. Eppure mi piace pensare a noi, a me ed Inghilterra, come ad una coppia felice".

"Si te gusta mucho hay que luchar! Anche io ho combattuto tanto per avere il mio Romanito e ne è valsa la pena, non ti dico quanto...fusososososo"

"Ma io mi trovo in una situazione più complicata! Aaaah, moi misérable! In che faccenda mi sono ficcato..."

"No - no - no hay que ser tan desperado! Lascia che ti dia una mano, in nome dei vecchi tempi... Consideralo come una sorta di ringraziamento per aver perso la guerra e aver rinunciato al dominio di Romano~ E' così carino quando si arrabbia e mi insulta, che quasi mi fa venire le lacrime dall'emozione. Lo dovevi vedere ieri sera, com'era diventato tutto rosso! Come un piccolo pomodoro! Fusososososo, Romano è davvero carino~"

"E basta parlare di Lovino!" sbottò Francia mentre affondava la testa tra le ginocchia. Però Spagna aveva ragione, i fratelli Vargas erano davvero troppo innocenti, teneri e fifoni; ed era impossibile non farci nessun pensierino a proposito. Gli sarebbe piaciuto un mondo poter fare del Sud Italia una sua colonia, ma gli eventi avevano girato a suo sfavore ed Antonio ebbe la fortuna di poter prendere in carica il piccolo Romano. Veneziano invece già era schiavizzato a dovere da Austria, e lui era rimasto a bocca asciutta a pensare quanto fossero fortunate quelle due nazioni a poter usufruire -ed abusare- dei due piccoletti. Vista la circostanza, sentir strippare Spagna di continuo non lo aiutava minimamente a riprendersi, anzi, gli ricordava ancor più quanto si sentisse solo e privo di speranza in quel momento.

"..Oh, si, scusa Francis, mi ero lasciato prendere dall'emozione! Succede sempre così quanto parlo di quel brontolone. Ah, a proposito, Alfred vuole fare un altro party per la fine dell'estate. Potrebbe essere la tua occasione~"

"Dubito che lo sarà...Arthur mi eviterà di certo, dopo quello che è successo a Parigi..."

"Porque? Cos'è successo tra voi due che io ancora non so?"

"Beh... Abbiamo litigato. Ha detto che mi odia e si è messo a piangere".

"Arthur che piange?! Sicuro che fossero lacrime vere?! Non è che eri sotto l'effetto di qualcosa?"

"Je suis sûr! Mi sono stupito anche io della sua reazione... Non l'ho mai visto piangere, manco quando ci riempivamo di botte e tornavamo a casa strisciando doloranti. Conoscendolo cercherà di strangolarmi se ne avrà la possibilità".

"Allora non ci resta che costringerlo a stare con te".

"Come pensi di fare? Quando si impunta è più testardo di un somaro, quel maledetto théinomane!"

"Beh...non ci resta che imbrogliare!"

 


-----



Francis era restato in ansia per tutto il tempo antecedente la serata del party di America.
Spagna aveva preferito fare il misterioso e sghignazzare tra sé e sé, rifiutandosi di informare Francia su quale fosse la sua trovata per costringere Inghilterra a trascorrere un po' di tempo assieme a lui. 'Se te lo dico, non c'è emozione!' diceva. Il problema è che Francis di emozioni ne stava provando troppe: insicurezza, agitazione, euforia, impazienza. Aveva il groppo in gola e faticava a deglutire la sua stessa saliva. Era da troppo tempo che ciò non accadeva; si era totalmente dimenticato cosa significasse avere le farfalle nello stomaco e difficilmente riusciva a riconoscersi: lui, da sempre il più malizioso e audace quando si parlava di amore, ora si stava contorcendo dal mal di stomaco.



L'attesa lo stava facendo a pezzi.



La sera stessa della festa invece aveva recuperato tutto il suo carisma.
O meglio, faceva solo finta.
Dopo vari momenti di riflessione era giunto alla conclusione di non voler mostrare ad Inghilterra tutta l'insicurezza che lo aveva fatto dannare nelle settimane precedenti e di riprendere ad essere il solito flirt di sempre. Non voleva far capire ad Arthur quanta possibilità aveva di incidere sul suo umore e carattere; meglio dire, si sarebbe sotterrato dalla vergogna se l'inglese avesse scoperto quando fosse stato in pena a causa sua.
Cercava di comportarsi normalmente: ammiccava a chiunque gli passasse di fianco, porgeva rose e riempiva di complimenti ogni ragazza presente e  non toccava nulla da
bere se non vino. Ogni tanto si lasciava sfuggire un'occhiata ad Inghilterra per vedere che stava facendo, giusto per pura curiosità. Non per controllare con chi fosse, assolutamente no. Stava parlando con Romania, probabilmente si stavano scambiando opinioni e consigli su qualche strana magia da effettuare. Da lì vicino passò poi Kiku; Arthur gli sorrise e lo invitò a prendere qualcosa da bere assieme a lui, appoggiandogli un braccio attorno alle spalle. Francis sbuffò. Stava odiando la situazione in cui si trovava con tutto il proprio cuore e anche se provava a distrarsi non riusciva a fare a meno di cercarlo e di farsi rodere il fegato nel vedere quanto fosse amichevole nei confronti delle altre nazioni. Nei confronti di tutti a parte lui.

Fortunatamente i suoi pensieri negativi furono interrotti di netto dalla voce squillante di America, sbucato fuori da chissà dove tutto brioso come al solito.

"DUDEEEEEEES, THE HERO IS HEEEEEEEEEERE! LETS PLAY DAH GAME!"

Dietro di lui c'era Antonio con un sacchetto di tela tra le mani, si avvicinò a Francia e gli fece discretamente l'occhiolino.

"AHAHAHAHAH, GIOCHIAMO A SEVEN MINUTES IN HEAVEN!"

"You bloody damn, io non faccio dei giochi così idioti!" rispose subito Inghilterra spazientito, ma America non ne volle sapere di un no, così semplicemente non si curò della sua opinione e lo afferrò per un braccio, trascinandolo mentre rideva come un pazzo nel mezzo del cerchio dei partecipanti che cominciava a delinearsi.

"Chi va per primo?"

"Oh potrei andare io, se mi promettete che Romano sarà assieme a me~"

"BASTARDO MANGIA POMODORI, S-STAI ZITTO!" urlò Romano in preda alla vergogna.

"EHI ARTHUR, PERCHE' NON VAI TU? AHAHAHAHAHAHAHAH!"

"N-no! Non ci voglio andare! Levatelo dalla tua testaccia vuota!"

"NON FARE COSI', POTRAI BACIARE TANTE BELLE DUDETTE!"

"Io non voglio baciare proprio nessuno!"

A nulla servì cercare di opporsi, in men che non si dica si ritrovò chiuso dentro uno stanzino. Imprecava talmente forte che i suoi insulti si riuscivano a sentire nonostante il caos più assoluto che stava regnando in casa in quel momento.

"Bene, ora lasciamo decidere alla sorte! Mettete un vostro oggetto dentro al sacco, quello di Igghy gia gliel'ho messo io~ Ayyy muchacos, gettate e pescate!"

Antonio cominciò a far girare il sacchetto e ognuno vi lasciò scivolare dentro un proprio oggetto personale. Quando ritornò nelle mani di Spagna, quest'utimo, sfruttando la distrazione del momento, estrasse una bustina di thé e la passò senza farsi notare tra le mani di Francia, il quale afferrò l'oggetto d'impulso, guardando Spagna come a chiedergli delle spiegazioni.

"Questo è l'oggetto di Inghilterra. Quando tocca a te pescare, fai finta di estrarlo".

"Ti sono debitore, ma fleur".

"E' a questo che servono gli amici, fusososososo~".

Una volta compiuto il magheggio, il sacchetto venne posato in mezzo al cerchio e ad uno ad uno, tutti cominciarono a tirar fuori un effetto personale a testa. Veneziano estrasse un proiettile e Germania arrossì nel preciso istante in cui dovette ammettere che era suo; America una fiaschetta di vodka e rabbrividì dalla paura nel pensare di dover restar chiuso per sette minuti con Ivan, il quale sorrise con la sua solita faccia da omicidio imminente. Kiku pescò l'oggetto di China, Spagna -guardacaso- scelse proprio quello di Romano, il che lasciò supporre a Francia che non era l'unico ad aver sabotato il gioco. Poi toccò proprio a lui e fece esattamente ciò che gli era stato detto; allungò il pugno chiuso dentro il sacchetto, fece finta di razzolare un po' e ritirò la mano contenente la bustina passatagli pochi istanti prima.

"Oh, ho preso Angleterre..." Dovette impegnarsi per trattenere una risata ed apparire il più non conscio possibile.

Tutti lo fissarono ad occhi sgranati, lo stavano palesemente compatendo. Sapevano che quei due, una volta chiusi assieme, avrebbero fatto faville; ma nel senso che si sarebbero come minimo rotti il setto nasale a vicenda. Non erano invece al corrente del recente sviluppo degli eventi come lo erano Spagna e Prussia, i quali, in disparte, erano su di giri per Francis e continuavano a fare gli scemi mentre quest'ultimo si incamminava verso lo stanzino dove era stato recluso Arthur. Gli altri invece erano semplicemente pronti a chiamare un'ambulanza.
Francia appoggiò la mano sul pomello della porta e fece un lungo sospiro per svuotarsi da tutto lo stress accumulato in precedenza. Questa era la resa dei conti e doveva giocare tutte le sue carte nel miglior modo possibile. Non poteva permettersi nessun errore.
Aprì la porta lentamente e strtisciò di soppiatto dentro la stanza, poi la richiuse dietro di sé. Regnava il buio, non si vedeva assolutamente nulla. Inghilterra poteva anche essere ad una spanna dalle sue gambe che non si sarebbe nemmeno accorto di averlo così accanto.

"Con chi ho il tremendo onore di trascorrere sette minuti della mia vita qui dentro?"

La voce irritata di Arthur spezzò il silenzio. Francia dedusse che doveva essere seduto alla sua sinistra, visto che proveniva da lì.

"Mon chérie, sono Francis".

"...Voglio uscire. AMERICA, YOU FUCKTARD, FAMMI USCIRE!" cominciò a strillare Arthur con tutta la voce che le sue corde vocali erano in grado di fornirgli.

"No, non ti farò nulla, lo giuro! Anche se volessi, è buio, e sono totalmente impossibilitato."

"Grazie al cielo! Io non ci resto chiuso qui con te!"

"Te ne prego, Angleterre...ho bisogno di parlarti..." mormorò, con un tono smielato e supplichevole.

"...Se solo ci provi a toccarmi con quelle tue zampacce, giuro che ti ammazzo di botte".


Francia si accovacciò poco distante da Inghilterra, tastando a terra con le mani per evitare di sedersi sopra qualche aggeggio di America. Poi restò per qualche secondo in silenzio; cercava di visualizzarsi mentalmente un discorso decente. Si arrese poco dopo, quando si rese conto che era troppo emozionato per pensare ad un discorso con un senso compiuto.

"Io...ecco...mi sento strano, da parecchio tempo".

"Tu sei sempre stato strano, mangialumache!"

"Stai zitto e non mi interrompere, sto cercando di fare un discorso serio!"

"Sorry, sorry".

"Ti ricordi quello che è successo l'ultima volta che ci siamo visti?"

"Non me lo ricordare... Non so cosa mi fosse preso quella sera. L'ultima cosa che avrei voluto fare era piangerti addosso".

"E quali sentimenti hai provato quando piangevi, contro al mio petto?"

"C-Che domande sono?! Insomma, n-non lo so...che cosa..provavo.."

"Io invece sì, so che cosa ho provato, perché quei sentimenti li ho avvertiti solo in un'altra occasione nella mia vita. E noi nazioni abbiamo un'esistenza davvero lunga, huh?"

Inghilterra si strinse a sé, imbarazzato. Ringraziò il cielo che Francis non lo potesse vedere in quel momento.

"Successe con Jeanne. La mia Jeanne d'Arc. Lei... Lei è stata l'unica donna di cui io mi sia veramente innamorato. Quando ero assieme a lei mi sentivo libero nonostante avessi mille problemi a cui pensare, e quando mi sorrideva sentivo il cuore cantare. L'unica cosa che volevo era rimanere al suo fianco. Non ho mai voluto legarmi affettivamente a nessun'altro. Non volevo relazioni serie. Pensavo che sarei riuscito ad andare avanti così, supplendo alle carenze d'amore nei modi in cui tutti voi conoscete. Però... Non ce l'ho fatta, non con te".

"...Con me...?"

"Oui, proprio tu, Arthur.

"I-Io non capisco quello che vuoi dirmi..."

"E' così complicato? Mon Dieu... Angleterre, tutti quei sentimenti io li ho provati nuovamente nell'istante in cui ci siamo abbracciati".

Arthur non emise un singolo respiro. Sgranò gli occhi e cercò di dire qualcosa ma non riuscì. Stava esplodendo dentro di sé, come se al posto del cuore avesse una
bomba atomica e di tutto il resto una centrifuga.

"M-Mi sei da sempre piaciuto... Non solo esteticamente, con te mi sono spinto oltre. Cercavo di mantenermi sotto controllo, non ci sono riuscito, ed io..mi sono..."

"...Please, d-don't say that, you bloody idiot..."

"Io mi sono innamorato di te".



Era la prima volta che qualcuno si dichiarava ad Inghilterra.



"You're a pain in the arse. Cosa ti fa pensare che io possa mai ricambiarti, eh?..."

"Nulla. Ma chère, non riuscivo più a tenertelo nascosto... Ma non ti preoccupare, so che mi detesti".

"Esatto, io ti odio. Ti odio, ti odio maledettamente tanto. Ti prenderei a calci tutti i giorni se ne avessi l'occasione, e muoio sempre dalla voglia di infilarmi nel tuo letto mentre dormi e rasarti tutti i capelli. E poi, dopo anni di zuffe, te ne esci fuori tu, mi dici che mi ami."  La voce di Inghilterra stava diventando tremula, e si affievoliva man mano che procedeva a parlare.

"...Mi dici che mi ami, e pensi che io possa starmene qui, con le mani in mano? Pensi che possa fregarmene e continuare a far finta di nulla...? I-Io non ho un cuore di pietra, Francis".

Si alzò sulle ginocchia e cominciò a gattonare nell'oscurità procedendo a tentoni fino a quando non si accorse di essere incappato nel corpo di Francia. Continuò a tastare l'aria fermandosi solamente quando trovò un braccio del francese; lasciò correre la mano sul dorso di quella di Francis e, sempre tremando, se la portò sul petto in prossimità del cuore.
Voleva che sentisse quello che aveva combinato.



"Anche..io....so....sciogliermi".



"Posso baciarti?"



Arthur non rispose.
Chi tace acconsente, gli avevano sempre detto.
Francis si inclinò leggermente in avanti ad occhi chiusi, non aveva bisogno della vista in quel momento.
Le sue dita erano andate all'avanscoperta del viso di Arthur e si erano fermate sulle sue labbra, le accarezzavano ripassandone il contorno; si riscaldavano a contatto col suo respiro leggermente affannato. Poi tutto si fermò all'improvviso e anche se non poteva far uso della vista, Inghilterra comprese che ormai non c'era più distanza in grado di tenerli separati a lungo. Sentiva i capelli di Francia strisciargli sulle guance, quasi gli facevano solletico.
Chi l'avrebbe mai detto.
Avrebbe dato il suo primo bacio proprio all'ultima persona a cui avrebbe pensato.





"YOOOO, I SETTE MINUTI SONO SCADUTI!!!"

America irruppe come un uragano dentro allo stanzino, togliendo ogni possibilità di preavviso ai due, ancora attaccati e a una spanna l'uno dalle labbra dell'altro.

"... What ? Che stavate facendo?"

"N-Non lo vedi? AHAHAHAHAHAHAHAH AMERICA, SEI PROPRIO TONTO! STAVO PER RIEMPIRGLI LA FACCIA DI SCHIAFFONI"

"Ma che vai dic- OHNONONONONON E IO STAVO PER PRENDERLO A GINOCCHIATE NELLE SUE REGIONI VITALI~"

"PERCHE', NON SI NOTA? AHAHAHAHAH!"

Dissero con un'espressione isterica stampata sulla faccia, mentre si allontanavano a spintoni, cercando di rimettersi in piedi.

"Veramente sembrava che stavate amoreggiando-"

"ASSOLUTAMENTE NO, YOU JERK!! IO? CON FACCIA DA RANA MANGIA BAGUETTE? PSSSSSSHT!"

"Okay, dudes, uscite fuori mentre l'eroe va a chiamare i prossimi!"

Entrambi scossarono la testa su e giù e si defilarono ad una velocità persino superiore a quella di Italia quando batte in ritirata, sperando che America se la fosse bevuta e che specialmente non raccontasse a nessuno come li aveva trovati. Perché di idiota come America, c'era soltanto America.
Si fiondarono fuori di casa senza smettere di correre e si lasciarono cadere sul prato nel retro della villa, sporco di stelle filanti e appiccicoso per chissà quale cosa gli fosse caduta sopra: Francis si poggiò l'avambraccio sugli occhi e scoppiò a ridere di gusto, seguito a ruota da Arthur. Non si era mai sentito meglio in tutta la sua vita. Stare sul prato freddo di notte, con l'aria umida che arruffava i capelli e Inghilterra al suo fianco, senziente, non ubriaco.


"Nah, Alfred secondo te ci ha creduto veramente?"

"Figurati, è tanto scemo quanto ingenuo. Quello crede a tutto, pensa pure che esistano gli alieni".

"Disse quello che parla con unicorni, coniglietti color menta volanti e leprecauni!"

"Si da il caso che esistano davvero, a contrario degli alieni".

"Io non ho visto niente di tutto ciò, quindi per me non esistono. Né alieni né creaturine magiche da compagnia".

"Prima o poi ne vedrai anche tu uno, di leprecauno o folletto. A loro piacciono le persone".

"Magari potrai presentarmeli di persona quando verrò a farti visita, ohnonononon..."

Inghilterra storse il naso per un attimo, non capiva se Francia si stava prendendo gioco di lui o meno.

"Però Alfred ha proprio rovinato il momento, eh... Ma non temere, avrò altre mille occasioni per rubarti un bacio, mon amour!"

"Chi ti dice che t-te lo lascerò rifare? For God's sake, hai sprecato la tua occasione, e adesso non sono in vena".

"M-Ma Arthur! Così mi ferisci il cuore! E' come se ti mostri nudo e poi pretendi che nessuno ti tocchi!"

"Che razza di paragoni idioti fai?! Poi non mi sembra di aver detto che ricambio i tuoi sentimenti...psssht. Diciamo che ti detesto solo un po' meno di prima".

"E' comunque un ottimo traguardo!"

Francis rotolò più vicino ad Inghilterra, gli soffiò sulla guancia per sollevare i ciuffi di capelli che la coprivano e la baciò, poi si accoccolò posando la testa sul petto dell'inglese e chiuse gli occhi, felice. Arthur, più impacciato che mai, trattenne un pesante sopriro ed infilò timidamente una mano tra i capelli color biondo sporco di Francia, trovando poi gusto ad arrotolarsi le lunghe e morbide ciocche tra le nocche delle dita.

"Ehi Francis, posso chiederti una cosa?"

Inghilterra restò in attesa di una risposta per un po', ma non ricevette nessun feedback dal suo interlocutore. Francis si era addormentato sopra al suo petto, come un bambino fa col suo peluche preferito. Arthur lo scosse per cercare di svegliarlo ma non riuscì manco a farlo mugugnare; era proprio andato.

"Guarda te in che situazione mi trovo".

Francia sembrava davvero un'altra persona mentre dormiva. Debole, senza difesa. Inghilterra lo fissò, non aveva mai notato prima d'ora che avesse delle occhiaie.
Chissà quante notti in bianco aveva passato per ridursi così, e chissà cosa mai gli avesse impedito di prendere sonno.

"Non posso manco alzarmi senza doverti svegliare prima".


Sarà mica colpa sua?


"Sei davvero una gran noia..."

Francia emise un piccolo lamento e aggrottò le sopracciglia, forse stava sognando qualcosa di non proprio piacevole. Arthur sollevò un braccio e lo passò dietro le spalle del parigino, premendolo ancor più contro di sé, mentre una mano scivolava attorno al suo collo. Non si era mai accorto di quanto potesse essere così sottile e fragile; sentiva chiaramente il sangue pulsargli contro il palmo. Strinse la presa. Bastava davvero così poco, perché non ci aveva mai pensato?
Allentò la stretta.
Francis ancora dormiva beatamente a labbra semichiuse.
Che invito palese, per quanto involontario...

Le sfiorò appena, Arthur, aveva paura che si svegliasse. Si poggiò il dorso della mano sulla bocca, quasi a rinnegare quello che aveva appena fatto.
Anni e anni di guerre li avevano separati.
Lui odiava Francis.
O almeno, era quello che riteneva giusto fare.

"Hey, hey..."


La sua attenzione tornò sul collo del francese, poi sul suo viso addormentato.






"You don't even know what I could do to you..."












Note dell'autrice
Ed eccoci qua col terzo capitolo! Devo ammettere di aver sempre avuto una relazione di amore-odio con questo capitolo, dei giorni mi piace e dei giorni lo vorrei cancellare tutto quanto e riscriverlo daccapo. Ero davvero combattuta dal farlo, ma alla fine la mia pigrizia ha vinto e ho deciso soltanto di correggere qualche dialogo in qua e in là. Spero che voi possiate apprezzarlo, anche solo in una minima parte.
Detto ciò, passo alla roba più seria!
Non fisserò una data di pubblicazione del capitolo 4. Purtroppola prossima settimana ho sempre i pomeriggi e davvero non so quando potrò mettermi alla revisione della storia, quindi abbiate semplicemente molta pazienza. Mi scuso enormemente ;-;
Ed ora i ringraziamenti, che vanno a tutti coloro che hanno lasciato una recensione (siete dei gran beddi adorabili), che hanno inserito la storia tra le seguite, ricordate e/o preferite e infine a chi si è preso due minuti per leggere tutto 'sto popò di roba.

 
Ps: se trovate errori grammaticali, ditemelo. Scrivendo la storia nel blocco note, non sempre mi accorgo di commetterli e talvolta sfuggono anche alla rilettura pre-pubblicazione.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 Autumn
~
October


 


La stagione estiva era volta al termine e aveva ceduto il dominio indiscusso all'umido autunno, che puntuale era arrivato portando con se null'altro se non giornate piovose ed una discreta dose di fitta nebbia. Non era certo un tempo adatto a tirar su l'umore di qualcuno, ma Francis era perennemente con l'animo che viaggiava alto.
Le cose tra lui ed Inghilterra erano discretamente migliorate dalla serata del party di America in cui aveva finalmente tirato fuori le palle ed esplicitato i suoi sentimenti per il biondino britannico. Non c'era ancora stato alcun rapporto fisico tra i due - benché Francia non facesse altro che aspettare impaziente il momento giusto per stabilire il suo dominio sulle regioni vitali del compagno-, Arthur cercava sempre di evitare possibili discorsi a riguardo e di deviare discussioni già cominciate; e quando ciò non era possibile o scappava, o riempiva il povero parigino di legnate, arrossendo in modo esagerato e lanciando imprecazioni a destra e a manca. Francia si ripeteva sempre di sopportare, di calmare i bollenti spiriti e concedere all'inglese il tempo che gli serviva per ritenersi pronto, senza troppi risultati. La sua pazienza si stava sempre più assottigliando e oramai non gli bastava più fare fantasie assurde ed oscene mentre osservava di nascosto Arthur cambiarsi d'abiti.
Aveva bisogno di contatto.
D'altra parte, le visite di Inghilterra a casa di Francis avevano cominciato ad assumere una certa regolarità. Vedere Arthur bazzicare con frequenza attorno a lui era l'unica cosa in grado di mantenerlo felice e vedere che pure il britannico sembrava esser veramente contento di trascorrere del tempo in sua compagnia era ben più di una magra consolazione per l'assenza di uno spazio intimo condiviso.


"Ehi, mangialumache, il té è pronto".


La voce di Arthur recuperò l'attenzione di Francis e riportò indietro la sua mente, provocandogli un leggero sussulto.
Si era completamente assentato seduto accanto alla finestra, a fissare le foglie rosse che volteggiavano lentamente verso terra del ginepro troppo cresciuto del suo vicino. I rami si erano allungati così tanto che avevano oltrepassato lo steccato laccato di almeno un paio di metri, riducendo il suo praticello ben curato ad una discarica abusiva di foglie secche e scricchiolanti.
Inghilterra alzò un sopracciglio incuriosito, mentre allungava la tazza piena della bollente bevanda verso il francese, aspettando che quest'ultimo lo degnasse di una qualche attenzione.


"Oh, ti chiedo scusa, mi ero perso guardando fuori".


Prese la tazza fumante con la mano e accigliò per un istante la fronte, domandandosi come l'inglese facesse a tenere stretta una cosa così ustionante, e la depositò immediatamente sul tavolo aspettando che si freddasse un po'.

"Che guardavi?"

Inghilterra si era seduto sulla poltrona accanto alla sua e lo stava fissando, genuinamente interessato alla risposta, con le labbra appoggiate al bordo della tazza.

"Ohnohnohnohn, se mi fissi con quell'espressione eroticissima finirò per-"

"Piantala, razza di porco!"

Era quasi tentato da spaccargli il recipiente di ceramica in testa e di rigirargli i ciottoli nelle ferite, ma poi pensò al prezioso té bianco che aveva preparato con tanta cura e che sarebbe andato inequivocabilmente sprecato, e non lo fece. A volte si domandava proprio cos'era che continuava a spingerlo a tornare a bussare alla sua porta, quando avrebbe potuto restarsene in pace nella sua caotica Londra ed evitare Francis come la peste. Più se lo chiedeva e meno giungeva ad una risposta; anche se nel suo cervello si era fatta strada da tempo una certa idea che si rifiutava di accettare a priori. Sperava per lo più di riuscire a trovare alternative logiche al suo comportamento, ma col tempo la consapevolezza che forse le attenzioni del francese non gli dispiacevano così tanto cancellava ogni altra possibilità.
Non sapeva se sentirsi lusingato o se provare ribrezzo.
Francia notò il self-control di Inghilterra irrigidirgli tutti i muscoli e gli scappò un sorriso quando si immaginò la lotta mentale che stava facendo per evitare di riempirlo di ceffoni o strangolarlo. E il sorriso scoppiò in una lieve risata quando si rese conto che il suo gentil animo aveva prevalso sulla voglia di omicidio.

"E ora che ci trovi di così esilarante?"

"Nulla, nulla, stavo solo pensando ad una cosa".

"Ti dispiace dirmi che cosa stava pensando quella tua dannata testaccia?"

"Sai, Angleterre, non penso che tu voglia veramente saperlo".


Fece ondeggiare il liquido giallognolo dentro al recipiente e poi ne bevve un sorso.


"Merde, come fai a bere questa roba? Sembra acqua sporca! ...E' acqua sporca? Mi hai messo acqua del cesso nella tazza?!"

"Razza di idiota, che persona orribile mi credi? Ti detesto ma non sarei mai così pessimo da darti da bere l'acqua dello scarico".


Inghilterra guardò imbronciato Francis mentre si contorceva in preda a finti spasmi sulla poltrona, rantolava e piagnucolava di continuo discutendo da solo su quello che aveva appena ingurgitato; ogni tanto sbirciava di soppiatto Arthur per sondare la reazione di quest'ultimo alle sue lamentele. Il londinese aveva chiuso le spalle contro il suo petto e aveva assunto un'espressione piuttosto accigliata, con le sopracciglia corrugate ravvicinate tra loro.
Era incazzato nero e non ci voleva certo un master per arrivarci.
Francia allora la smise coi suoi prolissi teatrini e si ricompose, fissando verso il basso per timore di incrociare lo sguardo furibondo di Arthur.

"White tea".

"Pardon?"

"Quello che hai appena bevuto e di cui ti sei lamentato fino allo sfinimento".

"Non riesco a capire dove tu voglia arrivare, mon amour..."

"Smettila di chiamarmi in quel modo, Francis.
Forse tu non sai quanto possa essere pregiata ogni singola foglia del té bianco. Veniva raccolto apposta per essere offerto all'imperatore della Cina."

"Ehi, ehi... Mi dispiace Angleterre, non pensavo te la prendessi fino a questo punto..."

"Shut up, non mi interessano le tue scuse. Non ci arrivi? Sei pure ritardato di cervello oltre che deficiente di persona? Io...l'avevo scelto apposta per te..."

Mormorò con un filo di voce, augurandosi con tutto il suo cuore che le orecchie di Francia non fossero così fini da percepire le sue parole.

"Pour moi?"

Non si era nemmeno reso conto di quando Francis si fosse alzato dalla poltrona dove si era annidato per sedersi sopra al bracciolo della sua. L'unica cosa di cui era consapevole era che il parigino aveva le labbra a una manciata di millimetri dal suo orecchio, sussurrava sornione parole dal chissà quale significato facendo in modo che il suo respiro finisse per accarezzargli dolcemente il collo. Inghilterra sentì una forte sensazione di disagio risalirgli dallo stomaco, nulla l'avrebbe mai abituato a certi modi di fare di Francia.

"Hai preparato un té così pregiato per me nonostante tu sia consapevole della mia incapacità di apprezzarlo?"

Arthur si prese un secondo, socchiuse le palpebre, per selezionare la risposta più adeguata da fornirgli. Avrebbe potuto mentirgli e non sarebbe nemmeno stata la
prima volta, oppure avrebbe potuto dirgli la verità.
Aprì gli occhi e si voltò verso il suo inquisitore alla ricerca di un contatto visivo, senza pensare a quanto ora fosse vicino alle labbra di quest'ultimo.

"Sì".

Lo ammise schiettamente, per i ripensamenti aveva davanti tutta una vita.
Francis sospirò. Non chiese il permesso ad Inghilterra per baciarlo sulla fronte e si incupì sentendo Arthur avere un fremito non appena le sue labbra si posarono sulla sua fronte tiepida.

"Non ti abituerai mai, non ho forse ragione chérie?"

"Potrò cominciare a tollerare il tuoi modi di fare quando comincerai ad apprezzare il té come bevanda e la smetterai di tracannare vino come fosse acqua".

Francis si chiese se Arthur fosse consapevole dell'uso appena fatto della parola 'quando', come se sapesse che il suo cambiamento di gusti sarebbe stato inevitabile. Aspettò che l'inglese si girasse dalla parte opposta alla sua nel tentativo di interrompere un loro ulteriore futuro contatto, prima di concedersi un sorriso soddisfatto.

"Che ne dici di andare un po' all'aperto a fare una passeggiata?"

Disse scostandosi dalla poltrona mentre si dirigeva a recuperare il suo cappotto. La sua non era una proposta, né una scusa per ritrattare sulla piccola pretesa dell'inglese, più che altro era un caldo invito a stare un po' al fresco e permettere ad entrambi di accantonare momentaneamente ogni sorta di pensiero.

Non udì risposta da quest'ultimo, che si alzò e di tutta fretta si infilò trench e sciarpa di lana avvolgendosela fin sopra alla punta delle orecchie, mentre sfrecciava fuori di casa fissandolo come un leone ferito.



----



I due si inoltrarono per le affollate strade di Parigi e passeggiarono a lungo fianco a fianco senza proferire verbo. Arthur se ne stava avvolto perennemente nella sua sciarpa con le mani infilate in profondità nelle tasche del cappotto pesante senza dar segno di aver voglia di tirar fuori un qualche argomento su cui costruire una conversazione più o meno seriosa e utile. Semplicemente rigava dritto immerso nella grande sfera dei fatti suoi, riguardandosi bene dal non allontanarsi troppo da Francis col rischio di perdersi. Quest'ultimo ancora si sentiva in colpa per non essere stato in grado di apprezzare - anche solo un minimo- il té preparatogli con cura, ben conscio di aver buttato al vento una delle poche possibilità che Inghilterra gli aveva offerto, ben camuffata, come strumento di contatto tra loro. Si auto flagellava mentalmente per quanto sprovveduto e idiota fosse stato: si vantava tanto di essere il romantico d'eccellenza e poi era incapace di cogliere indizi sottili come quello lasciatogli poco tempo prima. Tentava anche di giustificarsi da solo, dopo il momento di pindarico masochismo, ripetendosi che lui era abituato a manifestare e ricevere amore ed attenzioni in maniere molto più esplicite e che perciò non notò la piccola dimostrazione di affetto del londinese; immediatamente però riprendeva ad auto maledire la sua avventatezza.
Tutto quel rimorso e rimuginare gli provocò languori di fame allo stomaco e si sentì meno solo quando la pancia di Inghilterra fece l'eco al suo borbottare, indice che, sebbene non stesse chiedendo del cibo, non gli sarebbe dispiaciuto affondare i denti in qualcosa di sostanzioso.
Questa volta non l'avrebbe certo portato in un ristorante stellato, si sarebbe limitato ad alimenti meno sofisticati e più informali: per quanto gli facesse piacere vedere che l'inglese apprezzava la sua cucina, per quanto gli dispiaceva dal profondo dire addio ad una sostanziosa quota del suo patrimonio per via di un solo pasto.

"Amour, hai per caso voglia di qualcosa da mangiare?"

Arthur simulò una voce scocciata quando gli rispose, giusto per non fargli notare che era felice che Francia si fosse accorto del suo bisogno. Apprezzò questo suo preoccuparsi.

"Mah, tu che dici? Ho lo stomaco che borbotta come un vulcano in eruzione".

Francis lo afferrò sottobraccio e saltellò assieme a lui fino ad una pasticceria situata un centinaio di metri più avanti, a detta sua la migliore che si potesse trovare in tutto il Paese. Elencò nel mentre tutte le prelibatezze che aveva assaggiato, sottolineando le sue preferite e dando realistiche descrizione dell'aspetto fisico di tutti i dolci e del relativo sapore, facendo venire l'acquolina ad Inghilterra; tant'è che dovette asciugarsi la bocca un paio di volte per evitare di sbavare come un cane al quale viene mostrato un osso ancora da spolpare.
Quando finalmente arrivarono alla pasticceria, Arthur si meravigliò di quanto fosse bravo Francis nelle descrizioni dettagliate, notando che ogni singolo dolce era esattamente come se l'era immaginata grazie a tutti i piccoli particolari che il francese gli fornì tutto entusiasta.
Avrebbe voluto svaligiare l'intero negozio e scappare con delizioso bottino ma per l'amore della sua linea e con la tristezza nel cuore prese una porzione di fettine di mela fritte con salsa alla vaniglia e lamponi più una piccola fettina di saint honoré. Si sedette in uno dei tavolini in mezzo al cortile esterno della pasticceria e non aspettò affatto Francia per iniziare a banchettare, il quale arrivò poco dopo con un piattino contenente diversi pasticcini di forme e colori sgargianti. Scoppiò a ridere in faccia ad Inghilterra quando vide il modo da troglodita con cui si abbuffava. Trovava che non si addicesse affatto alla sua personalità e ai suoi modi di fare, per un istante gli ricordò Prussia quando faceva a gara con West -da ubriachi fradici- a chi riusciva ad ingoiare più krauti e salsicce con patate nel giro di mezz'ora.

"Qfesta roba è daffevo fuona!" , biascicò Arthur a bocca piena senza rallentare il ritmo con cui continuava a divorare le fettine di mele tiepide e croccanti.

"Sono contento che tu apprezzi, ma s'il te plaît, manda giù prima di parlare! Non voglio che tu soffochi!"

"Ah no?"

L'inglese finì di ripulire il piatto dagli ultimi residui di sostanze commestibili e deglutì, concedendo a Francis un piccolo sprazzo di dialogo prima di passare alla fetta di saint honoré.

"Veramente hai cercato di ammazzarmi per giusto un centinaio di anni, you rascal!"

"Come se tutto quel casino fosse dipeso da una mia decisione! Sai bene che noi non possiamo interferire con le follie decise dai nostri boss".

Inghilterra fece le spallucce e spostò la sua attenzione sulla torta, mangiandola però con più delicatezza delle precedenti fettine di mela.

"Penso proprio che dovresti portarmi a Londra prima o poi".

Arthur alzò un sopracciglio e restò in ascolto per esortare l'altro a continuare il discorso, visto che apparentemente non aveva nulla a che vedere col precedente.

"Si, insomma... Tourterelle, magari potrei cominciare ad apprezzare il tuo cibo se mi dai l'opportunità di farci l'abitudine! Ma non il tuo cibo, nel senso quello che fai tu. Quello non lo voglio sentire perché cucini senza grazia e amore, ohnohnohn!".

"Che avete tutti contro quello che preparo? Bloody hell, sei persino più irritante di Alfred. Non ti porterò da me per permetterti di lamentarti di continuo!"

"Angleterre ti prego, voglio solo poterti apprezzare meglio..."

"No, tu a casa mia non ci vieni. Non voglio dover appendere cartelli ovunque con scritto di barricarsi in casa quando passi tu per evitare di essere molestati".

"Ohnohnohnhon, sarai mica geloso?"

Ora Francia lo stava fissando col mento leggermente all'insù ed un'aria piuttosto inquisitoria, nascondeva a pelo un ghigno sadico per la domanda che sapeva essere piuttosto critica. Il fatto che Arthur non gli avesse risposto nell'immediato mandandolo a quel paese era segno che aveva fatto centro. Quest'ultimo cercò di replicare alla domanda,che più aveva l'aria di un'accusa, diverse volte, ma alla fine decise di lasciar cadere lo sguardo a terra e di abbandonarsi ad un intenso sospiro di arrendevolezza. Questo francese in grado di spiazzarlo non lo entusiasmava affatto, si riteneva più al sicuro quando i loro litigi gli impedivano di scrutargli dentro con l'intensità con cui lo stava facendo ora, coi suoi occhi azzurri piantati su di sé. O forse era Inghilterra stesso ad essere diventato troppo prevedibile e malleabile?
Scelse saggiamente l'opzione del silenzio, sapendo che se Francia non era completamente rincitrullito avrebbe capito.
Poteva perfettamente immaginarsi l'espressione trionfante e vittoriosa che molto probabilmente, anzi certamente segnava il viso del parigino e perciò di rimanere a testa bassa ancora un po', per permettergli di metabolizzare la situazione. Gli dava ancora fastidio dover dargliela vinta.

"... Alla prima idiozia che combini ti rispedisco indietro a calci".

Concluse poi più convinto che mai di aver fatto una cazzata a dar la possibilità ad un potenziale molestatore seriale di invadere la sua città, ma sapeva perfettamente che se non avesse accettato la proposta di Francis quest'ultimo l'avrebbe a dir poco perseguitato per il resto della sua vita, fin quando non avrebbe ceduto sfinito.

"OH ANGLETERRE MERCI JE T'AIMEEEEEE~!"

Francia gli si fiondò addosso con una velocità pari a quella di un razzo e prese a strusciarsi addosso a lui come normalmente fanno i gatti con le gambe del loro padrone mentre emetteva mugolii allucinanti. Tentò anche di baciarlo ma venne prontamente respinto con un manrovescio da Inghilterra, non ancora abituato a certe effusioni in luoghi pubblici.

"STUPIDO MANGIARANOCCHIE! YOU MORON! CHE HAI AL POSTO DEL BUONSENSO? I'LL BLOODY KILL YOU!"

"P-Perché non vuoi il mio amore, Angleterre? Mi hai fatto male! Mi potevi deturpare! Zotico! Rozzo! Insensibile!"

"Perché siamo in un fottuto luogo pubblico pieno di gente!"

"Quindi vuoi dire che se siamo in privato posso s-

"NO."

Disse con violenza Arthur, caricando la sua risposta negativa quanto più possibile per far in modo che Francia la recepisse bene.

"NON CI PENSARE NEMMENO."

Aggiunse poi puntandogli un dito contro e fissandolo con un'espressione palesemente da 'toccami e ti ritrovi col culo sottoterra'.

La vergogna di essere pubblicamente corteggiato gli fece passare la fame e con dispiacere abbandonò ciò che era ancora rimasto della gustosa fetta di saint honoré sul tavolo, allontanandosi a passi veloci dalla 'scena del crimine' ed evitando gli sguardi delle persone che si erano fermate a sbirciare dopo averlo sentito urlare a pieni polmoni.
Francia, ancora destabilizzato per le percosse ricevute qualche istante prima, si alzò barcollando lievemente e seguì a ruota Inghilterra, dispiacendosi del fatto che l'uomo non riuscisse ancora ad accettare le sue avances. Dedusse anche che trovasse immenso piacere nel picchiarlo, visto che ogni volta che ci provava con lui finiva sempre per pigliarsi una raffica di dolorosi scappellotti, ma ciò non lo avrebbe certo fermato la sua corsa alla conquista del cuore del londinese.
Non era masochista fino al punto di farsi malmenare apposta, ma reputava adorabile la faccia che faceva Arthur ogni volta che gliele suonava di santa ragione. Era un po' un mix tra imbarazzo, rabbia e forse pure sottomessa felicità; visto che ormai aveva capito che ad Inghilterra infondo piacevano tutti i complimenti che gli riservava, solo che era troppo orgoglioso per ammetterlo.

"Allora, ti muovi o no? Prima che io cambi idea..." mormorò Arthur quando il francese raggiunse il suo fianco, accennando un lieve sorriso di risposta a quello che fece Francia quando scoprì che aveva ancora intenzione di portarlo con sé a Londra.

Quando raggiunsero un viale meno affollato, Francis fece scivolare la mano su quella di Arthur e timidamente intrecciò le dita tra quelle dell'inglese, aspettando un permesso per poter continuare a stringergli la mano o, tanto per cambiare, altre botte come punizione per la sua avventatezza.
Inghilterra osservò le loro mani unite e sospirò, facendo un lieve cenno col capo.

"Solo per stavolta" aggiunse, "non ti ci abituare".

Francis sorrise contento e gli piazzò un rapido bacio sulla guancia.
Questa volta non arrivarono né sberle né insulti come regalo per il suo affetto, ma soltanto un lieve mugugno del timido Arthur, che strizzò gli occhi e fissò il parigino a labbra accartocciate per un secondo, prima di ritornare in una posizione neutra e riprendere a camminare mano nella mano col suo corteggiatore.


Avere attorno quel bastardo sforna baguette era maledettamente piacevole.







 
Angolo dell'autrice

Che dire, finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare la serie, dopo circa due settimane di stallo.... Meglio tardi che mai... Comunque, come avrete notato questo è un pezzo di storia in cui non succede nulla. Letteralmente. Per non sminurlo troppo d'importanza, chiamiamolo 'di transizione'. A partire dal prossimo capitolo si enta gradualmente nel vivo delle vicenduole dei nostri due piccioncini in amore, quindi forza e coraggio, che prima o poi accadranno cose.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 Autumn

 

(November)






 

Sembrava che il tempo si fosse fermato. Tutto scorreva a rilento nell'attesa che arrivasse il giorno della sua partenza per Londra. In preda ad un attacco d'ansia o di pura euforia, Francis decise di acquistare il biglietto del volo con un mese d'anticipo e di riporlo in bella vista dentro uno sportello di vetro della credenza che aveva in salotto, cosicché passandoci davanti si potesse ricordare che in quella data aveva un grosso impegno da rispettare. Il problema fu che avere sotto gli occhi quel pezzo di carta comportava un continuo crescendo della sua impazienza. Osservare il calendario per mezza giornata era alquanto controproducente e di certo non aumentava il fluire del tempo ma Francia puntualmente non rinunciava alle sue sedute pomeridiane intime con il suddetto.

Malgrado il pensiero di potersi inglesizzare anche solo di un briciolo lo schifasse, ogni sera accendeva il televisore sul canale della BBC, si arrotolava in una coperta e si stendeva sul divano con penna e taccuino sotto mano per appuntarsi qualche notizia sul mondo britannico, sui modi di dire, o su parole e frasi che riteneva opportuno imparare.

Più ascoltava e più si convinceva che come lingua l'inglese non gli piaceva affatto. Troppo poco melodica e suadente per i soddisfare i suoi gusti, ma ci teneva parecchio ad imparare di più sulle preferenze e abitudini degli inglesi per poter dimostrare ad Arthur quanto davvero gli stesse a cuore.

 

 

 

Non era un tipo particolarmente incline al volo.

La tratta, seppur relativamente breve, era piena di turbolenze e più volte l'aereo sobbalzò su e giù facendo venire al francese una nausea preoccupante e diversi crampi allo stomaco e conati di vomito. Passò praticamente tutta l'ora e mezza di viaggio nella cabina bagno, solo ogni tanto metteva il naso fuori dalla porta per respirare un po' di aria e immediatamente tornava dentro portandosi addosso tutte le maledizioni dei passeggeri che desideravano usufruire dei servizi igienici perennemente occupati. La prossima volta avrebbe senza dubbio preso una nave, ammesso che ci fosse un'altra volta. Tutti quelli scossoni avevano alimentato il suo timore di arrivare a Londra dentro ad una bara ed era scoppiato a piangere più volte all'idea di dover morire senza prima aver passato con Inghilterra una 'nottata come si deve'. Aveva cercato di chiamarlo ma ovviamente non c'era campo ad alta quota e disperato si arrese all'idea di dover combattere contro la paura completamente da solo.

Appena l'aereo toccò terra e i portelloni vennero aperti dagli assistenti di bordo si fiondò fuori dall'abitacolo dove si era costretto, scavalcando quasi i passeggeri pur di uscire in fretta da quella che riteneva una trappola mortale, sentendosi immediatamente sollevato quando realizzò di non essere più sospeso sul vuoto ma ben ancorato sull'asfalto della pista di atterraggio.

Il primo dei suoi pensieri andò subito al telefono, inutile fino a poco tempo prima ma con il massimo della ricezione ora. Compose frenetico il numero di Arthur, impaziente di parlargli e di vederlo, mentre vagava verso il terminal per recuperare i suoi bagagli.

 

"Pronto?"

"CHERIEEEEEEE!" disse con voce acuta e pimpante, rischiando quasi che il povero Inghilterra perdesse l'udito; "Non sai quanto sia felice di sentirti! Ho temuto per la mia vita, pour de vrai!1"

"Hai paura di una cosa banale come i viaggi aerei?"

"Sacrebleu, quelle macchine sono terrificanti!"

"Sei a dir poco ridicolo." Inghilterra si massaggiò la fronte, perplesso per l'infantilità del parigino.

"Resta in aeroporto ad aspettarmi. NON girare da solo e non dar fastidio alle persone."

"Oui Angleterre, però non tardare troppo."

 

Arthur annuì e riattaccò il telefono preoccupato. Per esperienza, ogni volta che Francis obbediva ai suoi ordine era perché aveva in mente qualcosa e quel qualcosa molto probabilmente era ben poco casto. Gli venne un nodo alle viscere nel pensare a quanto inopportuno si sarebbe potuto rendere e si pentì di non essere partito per tempo anziché aspettare una sua chiamata. Si infilò di fretta in macchina e guidò ad una velocità molto al di sopra dei limiti imposti senza mai smettere di pensare a cosa stesse combinando quel mascalzone parigino. Sicuramente, si disse a se stesso, aveva già puntato gli occhi su qualcuno o anche qualcosa -perché aveva imparato che l'appartenenza alla razza umana o meno probabilmente non era un vincolo per Francis- e stava infastidendo le sue vittime con le solite pessime frasi sentite già troppe volte. Magari si era pure dimenticato che a Londra c'era venuto per lui, non per andare a letto con un quartiere intero.

I suoi pensieri furono interrotti da un lontano rimbombo cupo e sordo di un tuono. Accidenti, pensò. Aveva lasciato l'ombrello a casa per la fretta e questa sua dimenticanza significava che si sarebbe bagnato parecchio e l'idea non gli andava particolarmente a genio; in particolar modo perché ogni volta Francia lo prendeva in giro dicendogli che somigliava ad un cane bagnato per via dei ciuffi di capelli fradici che gli penzolavano davanti agli occhi.

Quando arrivò al parcheggio dell'aeroporto alcune gocce erano già cadute sul parabrezza della sua auto e non appena aprì lo sportello per scendere l'intensità della pioggia aumentò sia in quantità che in misura. Maledisse più cose per il pessimo tempismo mentre correva verso l'entrata, sperando che per una volta Francis non gli causasse ulteriori problemi e si facesse trovare seduto a gambe incrociate nella sala d'aspetto.

Ma ovviamente il francese non c'era.

Si fece l'intera sala avanti e indietro per tre volte attirando gli sguardi curiosi delle persone il fila al check-in prima di appurare di essere ridicolo. Già non bastava essere inzuppati come un pezzo di mollica di pane in mezzo al brodo, ora era pure costretto ad aspettare al freddo quel mangia baguette fin troppo irritante per essere tollerato ancora a lungo dalla sua pazienza. Lo chiamò per chiedergli dove si fosse cacciato e tutte quante le volte gli rispose la segreteria alla quale Arthur rivolse tutta la propria ira, intasandola di vocaboli che un gentleman non dovrebbe manco sognarsi di dire e di minacce.

Appena l'avrebbe visto gli avrebbe strappato via tutti i suoi adorati e curati capelli biondi. Uno alla volta. A mano. E poi li avrebbe gettati tra le fiamme scoppiettanti del suo camino per evitare che quel lurido potesse costruircisi una parrucca.

Poi dal nulla udì la voce di Francia, prima lieve quanto un sussurro e via via sempre più squillante. Si voltò in direzione di quest'ultima e vide il parigino farsi strada tra le code smisurate di gente mentre lo chiamava a squarciagola.

Era fortunato a trovarsi in un luogo pubblico. Quella marmaglia di persone gli aveva evitato un brutale pestaggio, poiché lo avrebbero sicuramente sbattuto al fresco se si fosse messo a prendere a cinghiate Francis davanti agli occhi di tutti. Riusciva sempre a tirare fuori il peggio di lui e quando si ritrovò il francese ansimante per la corsa intrapresa davanti a sé, la rabbia contenuta scoppiò come un palloncino gonfio fino al limite.

Onde evitare di fare altre pessime figure, afferrò Francia per un polso e lo trascinò fuori dalla sala d'aspetto. Lasciò la presa solo una volta fuori, dove reputò che la pioggia scrosciante fosse in grado di coprire le sue urla -e insulti-.

 

"YOU FUCKING PIECE OF SHIT! CHE TI AVEVO DETTO DI FARE?!"

"Arthur non ti adirare così tanto, c'è stato un problema..."

"Non me ne frega dei tuoi problemi, ti avevo detto di aspettarmi! E tu che fai, idiota? Te ne vai per i fattacci tuoi?"

"Mon Dieu, mi hanno perso la valigia! La mia valigia, con le MIE cose! Ero andato in giro a firmare le pratiche di smarrimento!"

"Ci saremmo potuti andare assieme, you bloody wanker... Lo sai che figure da cretino mi hai fatto fare?"

Francia lo fissò desolato. Si, non aveva fatto ciò che gli era stato detto, ma solo con le intenzioni migliori. Voleva risparmiare ad Inghilterra tutto lo strazio di dover correre da una parte all'altra dell'aeroporto per siglare moduli ma i suoi sforzi non erano stati riconosciuti come sperava. Appoggiò una mano sulla spalla di Arthur ma quest'ultimo la spostò con un gesto brusco.

 

"Manco hai risposto al telefono!" continuò l'inglese in piena crisi isterica; "Sai che pensavo? Che te la fossi svignata con qualcuno. Non sarebbe la prima volta ne l'ultima."

"Allora, mon cher, sei davvero cocciuto."

"The fuck? Con che razza di coraggio lo dici?! Giuro che appena ti scarico a casa te la farò pagar-

"Io non invado nessuno da quanto siamo usciti assieme a cena! Vous êtes vraiment stupide, ohnohnohnohn!"

"Davvero pensi che sia così scemo da crederti? Tu vai a letto con le persone con la stessa facilità con cui mi bevo una tazza di té."

"Oh mi ferisci, non sono un uomo di così facili costumi. Anche io ho i miei gusti e solo tu li soddisfi, mio adorato Arthur~"

Mettere in imbarazzo Inghilterra era una cosa senza valore, non c'era nulla al mondo che gli rendesse più piacere di vedere la pelle immacolata dell'inglese colorarsi di rosso, come se si fosse dipinto le guance con la tempera. La sua era una reazione così immediata e spontanea che non poteva proprio trattenere e che dimostrava quanto lo toccassero i continui complimenti di Francis.

"...davvero...non...i-insomma, non frequenti nessuno a parte me..?"

Soffiò balbettando Inghilterra mentre la rabbia per la disubbidienza di Francia cominciava a scemare, sopraffatta da un sentimento molto più caldo.

"Certo, mon amour! L'unico con cui voglio condividere...le mie intimità...sei tu, Angleterre!"

Ad Arthur sfuggì una sommessa risata, frutto dell'isterismo di poco tempo prima e della devozione assoluta che il parigino gli stava dimostrando. Era impressionante quanto cambiasse umore velocemente passando dalla collera più nera ad uno stato più neutrale, se non quasi divertito e appagato. Giappone gli aveva detto più di una volta che lui era lo stereotipo dello tsundere ma Inghilterra non voleva mai dargli ragione: troncava stizzito il discorso e poi domandava immensamente scusa a Kiku per il suo scatto di nervi, a prova di quanto quest'ultimo avesse veramente ragione sul suo conto.

 

"TSK, NON OGGI."

Disse dopo aver concluso il piccolo momento di riflessione personale, rispondendo all'ultima affermazione del francese. Sapeva che la risatina di pochi istanti prima era senza dubbio stata recepita come un invito a strappargli i vestiti di dosso e perciò ci tenne a mettere le cose in chiaro.

"Eddai Arthur, sei perfino più crudele di Ivan! Lo sai, ma dico, lo sai da quand'è che aspetto?"

"E ALLORA CONTINUERAI AD ASPETTARE ANCORA!"

"MALVAGIO! SEI DIABOLICO! HAI INTENZIONE DI FARMI CREPARE PER L'ATTESA?"

"POTREBBE ANCHE DARSI, FACCIA DA RANA!"

"FRIGIDO!"

Sputò offeso Francia per i continui rifiuti. Che Arthur non fosse un tipo facile era chiaro, ma tutto quel sorridere e far alludere a cose e poi negarle con cattiveria lo stava portando all'esasperazione mentale e fisica.

"...sarai mica asessuato?!"

Gli domandò a basso tono inarcando un sopracciglio.

"C-Che vai a dire! Non sono asessuato...!"

"Però questo giustificherebbe la tua continua non voglia di fare sesso!"

"Non è che non ne abbia voglia... E' solo che..."

"Che?"

Il francese incrociò le braccia e si mise in posizione di attesa, tamburellando con le dita sugli avambracci per esortare Arthur a continuare la sua frase e a smetterla di restare in silenzio.

"...ho bisogno d-del mio tempo."

 

Nella testa di Francis si accese una scintilla. Inghilterra notò il cambiamento d'espressione del parigino e prese ad osservarlo con sospetto, spostando di continuo lo sguardo perché era veramente troppo terrorizzato dal sorriso famelico che gli stava rivolgendo.

 

"A-Allora, hai intenzione di restare qui a perderti in discorsi inutili o possiamo andare a casa?", disse Arthur mentre estraeva dalla tasca della sua giacca le chiavi della macchina. Francis annuì con un gesto del capo e lo seguì saltellando felice fino al parcheggio, senza dar troppa importanza a quanto si potessero rovinare i vestiti e le scarpe che aveva addosso. Aveva altri pensieri che gli occupavano la mente in quel momento.

Entrambi si strizzarono capelli e cappotti prima di salire sulla berlina nera, per minimizzare i danni che l'acqua avrebbe potuto causare agli interni.

Francia scoprì così che Arthur era un bravo guidatore, manco lontanamente paragonabile a certi italiani di sua conoscenza. L'unica volta che era salito in auto con Feliciano e suo fratello Romano aveva rischiato un paio di incidenti potenzialmente mortali, per di più Italia guidava ad una velocità così elevata da tenere chiunque compresso contro lo schienale del sedile.

La guida di Inghilterra era meno frenetica e più rilassata, nonostante il traffico delle strade della capitale. Con lui al volante si sentiva al sicuro ed in buone mani.

La casa di Arthur restava nella campagna attorno Londra. L'inglese non amava particolarmente i ritmi frenetici e il caos urbano delle grandi città, perciò aveva comprato una proprietà in periferia dove potesse starsene tranquillo ed al silenzio senza rimanere troppo isolato dalla civiltà. Francia non era stato a casa sua nemmeno una volta perciò era davvero curioso di vedere che aspetto avesse, e scoprì che s'addiceva perfettamente ad Arthur. Circondata da un giardino ben tenuto, in fondo ad un vialetto di ghiaia bianca, si erigeva un edificio dallo stile antico che gli ricordava quelli presenti nel villaggio di Stradford-upon-Avon di cui aveva visto le immagini nei libri di letteratura inglese. La trovò carina e dotata del suo personalissimo stile e ne dedusse che non avrebbe affatto rimpianto il suo appartamento a Parigi.

Stanco di dover restare bagnato, Inghilterra invitò gentilmente Francia ad entrare in casa, rammendandogli di togliersi le scarpe e lasciarle sull'uscio per evitare che gli rovinasse tutto il parquet. Francis ubbidì alla raccomandazione del compagno e lasciò le sue calzature fuori dalla porta, fiondandosi poi all'interno con nonchalance, desideroso di esplorare tutta l'abitazione. Aveva grandi aspettative per quanto concerneva l'arredamento e perciò era impaziente di vedere ogni singola stanza, specialmente per scoprire quale fosse la camera da letto di Arthur. Sperava che il gentleman non fosse provvisto di una stanza per gli ospiti perché la mancanza della suddetta comportava che avrebbero dormito assieme ed ovviamente fremeva all'idea di poter condividere lo stesso letto per tutta la durata della sua permanenza.

Ciò che però lo colpì non appena mise piede in casa non fu il mobilio ma il pungente odore di bruciato che proveniva dalla cucina. Ciò poteva solo significare una cosa. Inghilterra aveva cotto gli scones.

Lunghi brividi gli scesero lungo la colonna vertebrale quando realizzò che, se gli fossero stati offerti, sarebbe stato costretto a mangiare quei biscotti letali. Non poteva correre via piangendo e urlando come di solito perché ciò avrebbe deluso profondamente Arthur, e una sua delusione era sinonimo di gettare all'aria ogni possibilità di acquistare maggiore fiducia. Ma se li avrebbe mangiati sarebbe morto all'istante.

Francis si pietrificò davanti al dilemma che si era formato e cominciò a sudare freddo, mentre guardava l'inglese con aria terrorizzata.

 

"N-n-non.... dirmi c-che.... hai preparato.... g-gli s-scones......."

Balbettò a tratti scandendo ogni parola con lunghi spazi.

"Eh? No, io non ho cotto nulla oggi".

 

Francia resuscitò. Riacquistò un colorito molto più sano e riprese a respirare, perché era in apnea da quando aveva fiutato l'orribile odore. Però se non aveva preparato i biscotti, ciò significava che c'era qualcuno oltre a loro in casa. Inghilterra afferrò la prima cosa che gli capitò sotto mano -un vaso su un mobiletto poco distante da lui- e camminò quatto verso la cucina con la sua nuova arma occasionale. Si accostò al muro e sporse la testa al di là degli infissi della porta, stringendo involontariamente la mano di Francis, che lo aveva seguito mantenendo un passo felpato degno del migliore scassinatore della storia. Aveva bisogno di coraggio e di supporto in quanto non sapeva se l'intruso fosse armato o no. I due si scambiarono uno sguardo d'incoraggiamento e non appena scorsero un'ombra muoversi accanto al piano cottura scattarono in avanti e Arthur lanciò il vaso dritto contro la nuca dell'ospite non desiderato. Il recipiente si ruppe in mille pezzi non appena colpì il misterioso uomo e quest'ultimo si accasciò a terra stringendosi il capo tra gli avambracci, frignando per il dolore provocato dall'urto.

Inghilterra però riconobbe qualcosa di familiare in quei piagnistei.

 

"IT HURTSSSS! IT HURTS!!!!"

 

Al centro del pavimento c'era un sofferente America che si rotolava dolorante tra i cocci del vaso. Arthur subito si fiondò accanto a lui e spostò tutti i ciotoli acuminati lontano da Alfred per evitare che si potesse ferire.

 

"CHE DIAVOLO CI FAI A CASA MIA?!"

"P-Passavo da qui e ho pensato d-di.. AHIA! DUDE, NON E' STATO DIVERTENTE, INGHILTERRA!!"

"COLPA TUA CHE ENTRI IN CASA ALTRUI SENZA AVVISARE!!!"

 

Arthur si sentiva davvero in colpa per quello che gli aveva fatto e non riusciva davvero ad attribuire la colpa ad America per l'accaduto. Gli passò un braccio attorno alla vita per aiutarlo ad alzarsi, poi, zoppicando per via del peso di Alfred che gli gravava addosso, lo appoggiò lentamente a sedere sul divano. Esaminò rapidamente la ferita che aveva sulla testa e per fortuna non era nulla di preoccupante. Sospirò sollevato.

Corse a prendere il kit di pronto soccorso che teneva sempre a disposizione per le emergenze e medicò con cura il taglio sanguinante, lanciando maledizioni sotto voce perché America non stava mai fermo e gli rendeva il lavoro più complicato.

Francis intanto se ne stava in disparte ad osservare la scena, dispiaciuto per la piccola disavventura dell'americano ma altrettanto irritato per la sua presenza totalmente inaspettata.

 

In pochi minuti la ferita fu completamente disinfettata e Alfred ritornò nel pieno del suo brio.

 

"Dunque, posso sapere che ci fai qui? Non ti aspettav-

"AHAHAHAH, SURPRISE!! All'inzio ero passato per andare a vedere Deadpool, poi visto che non eri in casa mi sono messo a cucinarti dei biscotti decenti, perché i tuoi sono proprio lame."

"YOU JERK! LI HAI BRUCIATI!"

"Ah, si, mentre cuocevano ho acceso la tv e mi sono dimenticato di toglierli!"

 

Inghilterra si passò una mano sulla faccia in segno di disperazione.

 

"Allora? Ci vieni a vedere Deadpool? E' davvero figo!"

"No."

"EH? M-ma ci sono le armi! I supereroi! E le dudette!"

"Chiedi a qualcun'altro, stavolta non vengo".

"You gotta be kidding me! DAI ARTHUR DAAAI! DOPO ANDIAMO ANCHE A MANGIARE DIECI HAMBURGER DAL MC!!"

"FUCKING HELL I TUOI HAMBURGER TE LI MANGI DA SOLO!! E poi, non so se il tuo ego l'ha notato, ma ho un ospite! Quindi, niente film oggi".

Indicò Francis con il dito e incrociò le braccia spazientito per l'insistenza di America. Quel ragazzo non sapeva accettare un no e si pentì di averlo viziato così tanto. Alfred continuò a perseverare nella speranza che Arthur cambiasse idea, ma dovette arrendersi difronte all'incaponimento dell'inglese e a malincuore se ne andò, fissando Inghilterra con le lacrime agli occhi fino a quando non fu fuori dalla porta. Francia, per tutta la durata degli scongiuri di America, se n'era restato buono buono appoggiato accanto al cornicione della finestra che dava sul giardino. Era rimasto piacevolmente stupito dal comportamento di Inghilterra, a dir la verità si era già psicologicamente preparato a dover trascorrere un pomeriggio solo a scorrazzare in giro per la campagna umida o ad aspettare sugli scalini fuori dalla porta d'ingresso, visto che dubitava altamente che gli fosse concesso di gironzolare in libertà per la casa e di ficcanasare tra le cose dell'introverso inglese. Fu sollevato nel sapere che non sarebbe stato abbandonato e che, per la prima volta in assoluto nella storia, Arthur avesse preferito restare con lui che andare a fare da baby sitter ad Alfred.

Sorrise come un beota al pensiero e fu sul punto di arrossire, cosa che raramente faceva.

 

"Mercì, ma petit bonbon2".

 

Inghilterra ignorò momentaneamente la seconda parte dei ringraziamenti riconosciutigli, appuntandosi nel suo block notes mentale di porre una qualche forma di

restrizione per quanto riguardava i nomignoli assurdi che gli venivano puntualmente affibbiati. Casa sua, regole sue: se Francis sarebbe restato sotto il suo stesso tetto allora sarebbe stato carino da parte sua adeguarsi alle sue richieste. Sperò nella sua comprensione ma si convinse che il francese non gli avrebbe affatto dato ascolto, perciò cominciò a pensare ad una serie di minacce che avrebbe potuto utilizzare in caso di necessità.

 

"Pensavo mi avresti lasciato ad aspettarti fuori".

"Non sono così scortese da piantare in asso i miei ospiti! E anche se per caso fossi andato assieme ad America, non ti avrei lasciato di certo fuori in mezzo alla pioggia. Sai essere parecchio seccante quando sei malato e non voglio dovermi prendere cura di te, tsk..."

 

Francia trotterellò allegro per la risposta ottenuta al suo fianco e gli scompigliò i capelli umettati rendendoli ancora più impresentabili di quello che già erano e ricordando ad entrambi che dovevano darsi una bella asciugata e riscaldarsi un po', se non avevano intenzione di subire un inlettamento pesante per colpa dei malanni vari che potevano prendere o aver già preso.

Ovviamente il francese propose di fare un bagno caldo e rilassante assieme e, altrettanto ovviamente, Arthur declinò immediatamente l'offerta, per nulla intenzionato a mostrarsi nudo e a condividere la stessa vasca. L'altro non sembrò deluso o amareggiato dal suo rigetto perché sapeva di aver avanzato una richiesta assurda, alzò le spalle e si fece mostrare la strada per il bagno. Almeno ci aveva provato.

Fu proprio Francis ad infilarsi per primo nell'acqua tiepida e piena di bolle colorate raccolta nella vasca. Vi ci si immerse fino alla punta del naso e non appena tutto il suo corpo fu avvolto dal piacevole tepore trasmesso dal liquido trasparente, si abbandonò ai suoi sensi e al totale relax, scaricando la tensione accumulata con un lungo e rauco 'aaah' di piacere. Inghilterra era rimasto fuori dalla stanza e desiderò catapultarsi immediatamente dentro quella piccola oasi di calore non appena sentì i mormorii delicati e rilassati del francese, ma si ricordò che ciò implicava certe cose che avrebbe preferito evitare.

 

"Ohi Arthur, sei ancora lì?"

 

Francia lo chiamò con una voce piuttosto soffusa per via della porta che li separava.

 

"Sì. Che vuoi?"

"Sai, mentre eravamo ancora in aeroporto mi è venuta in mente una cosa che mi farebbe piacere chiederti".

"Se questa cosa implica atti osceni, sappi che la mia risposta è no".

"Ne te inquiétez pas3, è solo una domanda di pura curiosità!"

"...va bene, chiedi pure."

"Dunque, stavo pensando... Vorrei chiedertelo nel modo più delicato possibile ma non penso ci siano altre maniere per saperlo, désolé..."

"For God's sake, smettila di girarci attorno e vai al punto."

 

"...tu, Arthur...sei per caso ancora vergine?"

 

La domanda trafisse Inghilterra come una freccia conficcata nella gola. Si aspettava che Francia gli chiedesse di tutto, ma non che gli domandasse a proposito della sua verginità. Sentì la bocca farsi improvvisamente asciutta e un uragano carico di imbarazzo prese ad impazzargli dentro, aumentandogli notevolmente i battiti cardiaci e rallentandogli le facoltà intellettive e la capacità di formare frasi di senso compiuto. Se gli fosse stata data la possibilità, si sarebbe sepolto vivo pur di non rispondere. Pregò perché Ivan sbucasse fuori dal nulla e gli prestasse la sua pala per poter scavarsi la fossa, ma il russo non capitava mai a tiro nei momenti opportuni. Sbucava fuori solo quando si trattavano di argomenti che personalmente lui non doveva sentire.

Sapeva che non poteva sfuggire dal fornire l'informazione che gli era stata richiesta. Poteva non rispondere ma sicuramente Francis gliel'avrebbe richiesto un'altra volta fino a quando non avrebbe ottenuto il responso, tanto valeva togliersi il dente da subito, per quando frustrante potesse essere.

Raccolse tutte le briciole di fegato che gli erano ancora rimaste e timidamente aprì la porta, facendo capolino dalla fessura creata dall'apertura di quest'ultima.

Francia lo stava aspettando. Raccolse tutta la schiuma presente dentro la vasca e l'agglomerò attorno a sé, coprendo con quest'ultima certe parti che intuiva che Inghilterra avrebbe preferito non vedere. Quest'ultimo lo ringraziò per l'accortezza con un lieve gesto, afferrò uno sgabello appoggiato accanto alla finestra e lo trascinò accanto a dove si trovava Francis. Si sedette sul piccolo panchetto senza mai guardare il suo interlocutore in faccia, tutto il suo corpo era in tensione, aveva i muscoli contratti e la gola chiusa.

 

"Preferiresti non dirmelo?" disse Francis con un tono di voce dolce e mieloso, mentre le sue dita accarezzavano gentilmente i ciuffi ribelli di Arthur.

"...No, no. Preferisco parlarne subito, prima o poi il discorso sarebbe comunque venuto a tiro."

Sospirò e si prese una lunga pausa prima di ricominciare a parlare, mentre il francese continuava a coccolarlo. Non c'era dubbio che lo facesse per cercare di calmarlo per mettergli di affrontare il discorso con più spensieratezza, ma le continue carezze subite sortivano l'effetto contrario e contribuivano a rendere il tutto ancora più difficile. Gli faceva davvero strano, ad Arthur, pensare che si stava confidando proprio con l'ultima persona con cui avrebbe immaginato di farlo.

"Vedi, io...sì...non ho mai voluto bene a qualcuno fino a quel punto, e quindi...e-ecco...ho preferito aspettare la persona giusta, p-piuttosto che perdere la m-mia verginità con il primo essere vivente che mi capitava a tiro...! Insomma, i-il contrario di quello che hai fatto t-tu."

Ancora non si capacitava di quello che aveva appena ammesso e lentamente aveva serrato i pugni contro il tessuto zuppo dei suoi pantaloni, nel tentativo di scaricare tutta la tensione e il crescente impaccio che aveva accumulato senza dare troppo nell'occhio. Si riteneva già abbastanza patetico da solo senza il bisogno che Francis glielo facesse notare.

"Mhmh, ora ne ho la conferma, ma petit" disse Francia intonando una riflessione a sé stesso, "però, mon cher, non hai niente di cui vergognarti".

Si sporse con l'addome fuori dalla vasca e appoggiò entrambe le mani sulle guance di Arthur, girandogli il viso verso di sé per costringerlo a guardarlo - per una buona volta- in faccia, e a piantarla di nascondersi evitando il contatto visivo ogni qualvolta i due toccavano argomenti delicati. Odiava questo sfuggire continuo di Inghilterra da ogni sorta di situazione per lui scomoda e per stavolta voleva che lasciasse in disparte la sua solita vigliaccheria. Il suo gesto fu accolto con stupore dal britannico, che rimase come paralizzato quando gli fu negata la possibilità di rifugiarsi nei suoi pensieri. Non c'era nessuna via di fuga.

"Abbiamo fatto scelte diverse, io e te, e non ti giudicherò per ciò. Hai deciso ciò che ritenevi migliore pour toi, non? Ceci est ce qui importe, ça va bien4. Se fossi in te mi riterrei davvero orgoglioso, honhohnhon! Sono poche le persone che aspettano di incontrare il vero amore. Ecco cosa ti rende speciale, Angleterre. Tu es vraiment un ange5."

 

Arthur non sapeva cosa dire. Il francese gli aveva totalmente tolto le parole di bocca e ora se ne stava a fissarlo a bocca spalancata ed occhi sgranati, come un pesce lesso. Si aspettava di essere preso in giro, deriso. Si aspettava effettivamente di tutto ma non di certo di ricevere comprensione ed elogi alla sua decisione di restare casto ed immacolato fino a data da destinarsi. Francis non cessava di stupirlo.

"Io pensavo che- che mi avresti umiliato..." fu l'unica cosa che fu capace di dire, ancora meravigliato per le belle parole spese per lui. Forse Francia non era poi così perverso come pensava e dopotutto poteva essere un compagno piuttosto gradevole.

"E perché mai? Se devo essere onesto, quasi ti invidio. Potrei anche vendere la mia adorata Tour Eiffel, se ciò servisse a farmi riacquistare la mia verginità! Mi piacerebbe...anzi, mi sarebbe piaciuto poterla perdere con te, mon amour..."

"S-Sarebbe stato comunque fuori discussione!!"

"Tu pensez? In ogni caso, ti auguro di donarla a chi veramente la merita", soffiò Francis con un leggero gemito e gli fece l'occhiolino. Lasciò in contemporanea anche il volto del britannico e fu piacevolmente deliziato nel rilevare che Arthur non era ritornato nella sua fase difensiva e che lo stava fissando perplesso, come se volesse che continuasse a parlare.

"Bien-aimé, sono stato a mollo a sufficienza, immagino che tu voglia girarti mentre esco, ma sappi che non disdegno affatto il contrario".

L'altro obbedì senza storie all'avviso ricevuto, ruotando sullo sgabello dove era seduto fino a dare completamente le spalle all'uomo dietro di lui. Poi si ricordò che stava dando le spalle ad un francese pervertito completamente nudo. Anche se Francis si stava comportando meglio del solito gli restava comunque incisa nel cervello la paura di essere assaltato dal nulla e trascinato con violenza in qualche scantinato buio per poi divenire fonte di abusi e soprusi infiniti. Un po' come una sorta di istinto animalesco di sopravvivenza che nelle situazioni critiche cominciava a prendere possesso di ogni muscolo per rendere più lesta e tempestiva la fuga. La consapevolezza che Francia potesse trattarlo male scemava però di giorno in giorno e Arthur tendeva a fidarsi sempre un pochino più di prima; se questa sua fiducia fosse allo stesso livello di quella che aveva nei suoi confronti mesi prima, di sicuro non gli avrebbe mai permesso di condividere i suoi spazi e tanto meno gli avrebbe dato le spalle, scoprendo il suo lato vulnerabile e rendendosi appetibile e facilmente ottenibile.

 

Francis scivolò leggiadro fuori dalla vasca facendo attenzione a non bagnare troppo il pavimento e si avvolse in un morbido accappatoio appeso poco distante da lui.

Un profumo lievemente speziato e legnoso gli invase le narici e realizzò che quello che si era appena messo addosso era l'accappatoio di Inghilterra. Il suo odore era praticamente inconfondibile, a forza di girargli attorno Francia l'aveva potuto saggiare a lungo e memorizzare. Chiuse per un istante gli occhi, stringendosi dentro l'indumento caldo che lo ricopriva, inseguendo il viaggio che il profumo gli ispirava. Era come ritrovarsi dentro una vecchia foresta del Nord, con la corteccia del pini bagnata dalla pioggia e l'odore della resina che colava mielosa lungo di essa. Una fragranza piuttosto comune nell'universo maschile ma al contempo resa unica dalla sferzata di legno marino che si poteva percepire come nota di fondo, come tappa finale di un lungo viaggio cominciato tra i boschi silenziosi e scricchiolanti che trovava il termine sul bordo della scogliera, dove si infrangevano selvagge e tumultuose le onde del mare. Inspirò a lungo, cauto, per timore che Arthur lo vedesse e di conseguenza lo additasse come ridicolo. Finì di assimilare fino in fondo l'effluvio che impregnava la vestaglia di spugna presa in prestito e prese un'altra tovaglia appoggiata sul davanzale della finestra, passando davanti ad Inghilterra che notò immediatamente il che suo accappatoio aveva trovato un nuovo occupante.

"Oh, ah, oui...non volevo prendere il tuo, ma è il primo che mi è capitato sotto mano. Se ti irrita lo tolgo e ne metto un altro..."

"No, puoi tenerlo tu, non mi da fastidio...tanto ne ho uno nuovo ancora più figo per me."

"Ah! Merci beaucoup!"

 

Contento per la piccola conquista appena intrapresa, Francis uscì dal bagno a passo spumeggiante e felice e richiuse la porta dietro di sé, non prima di aver mandato un bacio a distanza ad Arthur.

Quest'ultimo, dopo essersi assicurato che il francese se ne fosse realmente andato, chiuse a chiave la serratura e si spogliò, immergendosi poi a sua volta nell'acqua calda. Se restava totalmente in silenzio riusciva a sentire Francia mentre cantava e fischiettava al piano di sotto, ogni tanto udiva lo stridere di un coltello e il gorgogliare di una pentola. Pregò perché non gli stesse cucinando delle escargot, in quel caso se ne sarebbe andato a letto a stomaco vuoto, ma si ricordò di non avere tali schifezze pronte da riscaldare dentro al frigorifero e si sentì immediatamente meglio. Era consapevole delle abilità culinarie del parigino e non vedeva l'ora di scoprire quale prelibatezza gli stava preparando, quasi gli veniva l'acquolina alla bocca.

Stava cucinando per lui...

Riteneva il modo di Francia di prendersi cura di lui quasi paragonabile e quello di una coppia di coniugi, il che era davvero bizzarro. Bizzarro che stesse cominciando a riassumere entrambi sotto la parola 'coppia', e che non stesse facendo assolutamente nulla per evitare che i loro comportamenti diventassero più intimi. Non gli dispiaceva stare in sua compagnia, non gli dispiaceva lasciare che usasse le sue cose e nemmeno le confessioni e le piccole preoccupazioni che ogni tanto si lasciava sfuggire di bocca.

Avrebbe voluto che Francis lasciasse stare padelle e posate varie e che corresse lì da lui immediatamente, voleva abbracciarlo, era davvero strano.

Ma ciò non gliel'avrebbe mai detto, almeno non ancora.


 
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1 pour de vrai: seriamente, per davvero.
2 merci, ma petit bonbon: merci significa grazie, ma petit = mio/a piccolo/a; bonbon letteralmente significa caramella, in questo caso è usato come vezzeggiativo. Un po' come se in italiano dite ad una persona "sei il mio trottolino amoroso", ecco.
3 ne te inquiétez pas: non ti preoccupare. 
4 Ceci est ce qui importe, ça va bien: questo è ciò che conta, va bene così.
5 Tu es vraiment un ange: sei veramente un angelo.


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Note dell'autrice

Eccomi ritornata dalle tenebre dell'inferno più gloriosa che mai, con un nuovo capitolo, in cui Inghilterra e i suoi attacchi di sclerosi la fanno da padrone (come al solito).
La comparsa di America è veramente molto casuale, ma avevo bisogno per un istante della sua stupidità e ho deciso di prenderlo in prestito per un pochino.
Ho deciso di introdurre alcune (inutilissime e abbastanza sucate) note riguardanti la traduzione dei discorsetti più lunghi in francese di Francis, (non l'ho fatta di ogni singola parola francese perché sono pigra) per facilitare la comprensione delle sue battute più significative *coff coff*
Detto ciò, è con piacere che ho notato che i primi capitoli hanno superato le 200 views! Woo, grazie mille! Quando ho pubblicato il primo capitolo pensavo che solo quattro gatti (per stare abbondanti) l'avrebbero letto, e invece mi devo piacevolmente ricredere. Un grazie di cuore a tutti quanti, siete voi il vero motore di questa storia, se non fosse per merito del vostro supporto probabilmente non avrei mai continuato questa tumultuosa, pazzoide serie.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Winter

Inghilterra era sempre stato un tipo piuttosto freddoloso. Aveva un po' il sangue di un serpente, era sempre gelido e appena rientrava dai giri che faceva quotidianamente nella capitale si accucciava con un plaid pesante arrotolato addosso davanti al camino, perennemente ricolmo di legna al fine che le fiamme non si potessero spegnere. Quella piccola porzione di tappeto sulla quale si sedeva sempre era diventata la sua postazione fissa per fare qualsiasi cosa non richiedesse espressamente la necessità di muoversi in un'altra stanza. Ci passava ore a leggere dei libri, a guardare la televisione e talvolta anche a mangiare. Capitava che chiamasse Francis quando non voleva restare solo o si era stufato di leggere Macbeth per la sesta volta; lui si appollaiava sulla poltrona accanto a dove Arthur si sedeva e passavano interi pomeriggi a raccontarsi i loro pensieri e curiosità varie sulla cucina - in questo caso era Francia che indottrinava Inghilterra, nella speranza che potesse finalmente cucinare qualcosa di non velenoso e cancerogeno- o sul folklore di entrambe le culture.
Il francese si stava persino abituando a bere il té in modo regolare e a ridurre il suo consumo di vino, poiché Arthur non ne teneva in casa e quando uscivano assieme a fare compere gli proibiva categoricamente di acquistarne. Sentiva la mancanza di quel sapore dolciastro e leggermente aspro ma vi resisteva senza troppi sforzi: prima di partire alla volta di Londra aveva nascosto nel bagaglio a mano un paio di bottiglie di buona annata e quanto sentiva particolamente il bisogno di bere del vino si insinuava di soppiatto nella camera dove entrambi dormivano e dove aveva riposto in un angolino, al riparo da occhiate indiscrete, il suo trolley e si faceva un sorsino o due per tamponare il desiderio di bere. Aveva infilato altre bottiglie nella valigia ma purtroppo quella era andata persa e doveva attentamente razionare quel po' che aveva fino a quando -e se- quella non fosse stata ritrovata. Nel frattempo aveva scoperto che il té non era un intruglio di erbe così tanto imbevibile, anzi, aveva pure incominciato ad apprezzarlo a dovere, specialmente per via della bravura e dell'amore che Arthur metteva dentro ogni singola tazza che gli preparava.
Inghilterra era davvero felice di poter condividere la sua pausa delle cinque assieme a Francia e si sentiva davvero orgoglioso di se stesso quando riceveva raffiche di complimenti riguardanti la sua bevanda preferita. Ogni giorno aspettava con trepidazione l'arrivo del pomeriggio per poter stare comodo al caldo in compagnia di Francis.
Scoprì poi che il parigino era esattamente il contrario di lui per quanto riguardava la temperatura corporea e alla sera, quando scivolavano sotto le coperte, rotolava sempre accanto a lui per catturare un po' di calore e intiepidirsi gli arti; spesso finiva per stringersi al suo petto o abbracciarlo. Francia non disdegnava affatto l'abitudine che Arthur aveva assunto e lo lasciava fare con comodità, anche se a volte gli si stendeva sopra e al mattino aveva parti del corpo completamente intorpidite e faticava a muoverle. Si chiedeva quanto ingenuo dovesse essere il povero Inghilterra per addormentarsi tra le braccia di un uomo che aveva chiaramente espresso di amarlo e di voler avere un rapporto fisico con lui, ma ben si guardava dal ricordarglielo.

"Cosa siamo?"

La domanda a cui entrambi stavano segretamente pensando da quando si frequentavano uscì fuori in una mattinata qualunque, mentre Francis attendeva la colazione ed Arthur lasciava a bollire il caffé. Fu proprio lui a porre il quesito in un momento di noia; si era stufato di attendere che il vapore scaturisse fuori dalla caffettiera e voleva in una qualche maniera conversare con il francese, che quella mattina era stranamente silenzioso.

"In che senso, mon cher?"
"Nel senso, come potremmo definirci io e te?"

Francia sollevò la testa e appoggiò gli avambracci sul tavolo, abbozzando un sorriso. Aveva catturato in pieno la sua attenzione.

"E' da un po' che ci penso, but damn, non riesco a capirlo."
"Ohnohnhohn Angleterre non fare il conformista. La nostra relazione non deve per forza essere etichettata".
"Però gradirei saperlo!"
"Allora pensa che siamo qualcosa di speciale".
"...speciale?"
"Esatto, così speciale da non avere ancora una definizione precisa".

La caffettiera aveva inziato a soffiare e a ribollire come lava dentro ad un cratere ma Inghilterra la ignorò completamente, il suo interesse era tutto concentrato sul loro discorso e la colazione poteva aspettare ancora un po'.

"Io non credo di capire, Francis. Ci frequentiamo, ma non siamo amici. Litighiamo ogni giorno, ma non ci odiamo. Non abbiamo mai fatto...certe cose...quindi non siamo
amanti. Tanto meno stiamo assieme come coppia..."
"Oh lascia perdere questa roba per un momento! Pensa piuttosto a ciò che vuoi che ci sia tra noi, lo decideremo dopo un nome per la nostra relazione. Io so quello che
voglio, e tu?"
"Beh...di sicuro...non voglio che ci sia indifferenza."

Il continuo sbuffare del vapore era diventato piuttosto irritante e sufficiente per costringere Arthur a dare un po' della sua attenzione anche al povero e dimenticato strumento. Versò il liquido nerastro in due piccole tazzine di ceramica e le posò sul tavolo. Nella sua ci aggiunse qualche goccia di latte, non era particolarmente fan dei sapori troppo amari.

"Preferisco provare odio piuttosto che niente" aggiunse prima di portarsi il piccolo recipiente alle labbra e di saggiare la temperatura del caffé prima di berlo, per evitare di scottarsi qualche papilla gustativa. Francia sembrò approvare la sua ultima affermazione e scosse la testa dal basso verso l'alto per assentire.
"Finalmente qualcosa su cui mi trovo d'accordo! L'apatia è il peggiore tra tutti gli stati d'animo."

Arthur non era pienamente soddisfatto delle risposte non risposte ottenute ma cercò di lasciar perdere tutto quel mistero che il francese gli aveva insinuato addosso.
Appena cominciarono a degustare e consumare la colazione, un trillo acuto e ripetitivo arrivò alle orecchie dei due. Francis si alzò con malavoglia dalla sedia abbandonando momentaneamente Inghilterra e il suo caffé per andare a rispondere al suo telefono e farlo cessare di sfondare i timpani ad entrambi. Si domandò chi ci potesse essere così mentalmente infermo da chiamarlo alle sette e mezzo di mattina e non appena lesse 'Gilbert' sullo schermo del cellulare si rese conto che la sua era proprio stata una domanda stupida.

"Prussia?" rispose in maniera scocciata mentre si stropicciava gli occhi.
"Kesesesesese, genaue, meine Liebe!"
"Ma sei pazzo a chiamarmi alle sette di mattina?!"
"E io che pensavo fossi felice di sentirmi!"
"Certo che lo sono mon ami, ma mi hai interrotto la colazione..."
"Che si fotta la colazione, l'awesome me ti vuole parlare ora!"
"Fai in fretta che mi si raffredda il caffé!"
"Ja, ja. Insomma che è da un po' che non ti becco a bere, così mi sono messo a chiedere in giro dove cazzo ti eri ficcato, e nessuno sapeva niente! Manco Antonio e quel sapientone di West. Pensavo che ti avesse rapito quel bastardo comunista di Ivan, ma ieri ad una conferenza ho parlato a caso con Alfred, e che vengo a sapere?? KESESESESESESE, te la stai facendo a casa dell'inglese!!"
"Gilbert, razza di esaltato, non strillare!"
"Mein Gott, ti stai beccando tutta la noiosità di mister sopracciglia da procione... Perché non ci hai avvisati che saresti partito?!"
"Per evitare che qualcuno A CASO potesse ficcare il naso nella situazione e combinare disatri!"
"Ah, è così? E' così che tratti i tuoi amici, Francis?"
"Mon Dieu Gilbert, non cominciare a prenderla troppo sul personale! Se ve l'avessi detto per tempo mi sareste sicuramente venuti dietro di nascosto e non voglio che Arthur si ritrovi voi due fuori di casa nascosti tra dei cespugli mentre lo spiate!"
"Oh, hai paura quindi che non potessimo essere discreti? TU? Tu che tocchi culi e pacchi di persone a random?"
"Quelle sono cose passate! Non lo faccio più da quando c'è il mio petit chouchou."
"...Sei cotto marcio..."
"Oui, e non ho intenzione di mandare tutto all'aria per una piccola imprudenza! Salutami Antonio, ora vado a finire di mangiare."
"Eh, testa di pomodoro è qui con me, aspetta che te lo passo"
"--Hola, Francis! Dunque sei a casa di Inghilterra?"
"Salut et oui, sono qui da circa due settimane."
"E come vanno le cosite tra voi due?"
"Beh, potrebbero anche andare meglio, se sai che intendo...ohnohnohn...ma oltre a quello non mi lamen-
"OH ANCHE IO E ROMANO ANDIAMO BENISSIMO! Ieri mi ha picchiato perché mi ha scoperto spiarlo mentre si lavava. Dovevi vederlo come era imbarazzato, che carino che è Roma~"
"Antonio, se Romano ti picchia non dovresti essere felice..."
"Ma quello è il suo modo per dirmi che mi ama, fusosososososo"
"Certo...Ora però devo andare altrimenti mi si fredda la colazione. Quando ritorno a Parigi vi racconterò tutto, je jure!"
"Eh? Parigi? Ma se ci vediamo oggi?"
"...come sarebbe oggi?"
"Ah, Prussia non te l'ha detto?"
"Detto cosa?!"
"Che ha comprato i biglietti per l'aereo e che siamo arrivati un'ora fa a Londra! No estás contento? Saremo lì a casa di Arthur tra una mezz'ora."
"C-Come fate a sapere dove abita....?"
"Oh facile, abbiamo giusto frugato tra gli archivi dell'assemblea! Ora scappo che è arrivato il taxi, ¡hasta luego!"

Antonio riattaccò.

Francia era pietifricato.
Arthur aveva vagamente ascoltato la conversazione dalla cucina e sentendo il tono di voce del francese divenire sempre più preoccupato finì anch'egli per allarmarsi.
Lo raggiunse in camera e lo trovò completamente irrigidito, con il telefono ancora attaccato all'orecchio e una faccia sconvolta da molteplici espressioni di sconforto.

"Ehi idiota, che succede?"

Non giunse nessuna risposta alle sue orecchie, cosicché afferrò bruscamente il cellulare del francese e lasciò scivolare l'occhio sullo schermo illuminato, curioso di sapere chi l'avesse chiamato e per quale ragione Francis era diventato un pezzo di mattone. Quasi come uno dei tanti gargoyle che sorvegliavano, sparsi in qua e in la, i tetti di Parigi dall'altissima Notre Dame.
Entrambi i suoi quesiti furono soddisfatti in una sola piccola sbirciata, e per una volta Inghilterra non seppe a chi rivolgere i suoi malefici per primo: all'alquanto seccante e strafottente albino o all'inaffidabile francese accanto a lui. Odiava avere ospiti tutt'altro che indesiderati a scaldare le sue amate poltrone, ancor più detestava riporsi ed affidarsi a mani sbagliate.

"Dovevi proprio rovinare tutto. E' più forte di te, eh?"

Arthur scelse volutamente di adottare un tono pacato, certo che l'altro avesse già empatizzato la sua delusione senza bisogno che gli urlasse addosso come un forsennato.
D'altra parte, Francia sentiva di aver subito un discreto affronto. Non riusciva a spiegarsi perché Inghilterra dovesse sempre attribuire a lui la responsabilità di qualsiasi faccenda che non gli garbava.

"Io non c'entro, hanno fatto tutto da soli."

Irrigidì e contrasse ogni singolo muscolo mentre guardava l'inglese rattristato, ricevendo un piglio altrettanto amareggiato, velato da una buona dose di livore.
L'aria attorno era così carica di tensione che si sarebbe potuta affettare con la lama di un coltello. Entrambi erano consapevoli che in gioco c'era il loro avvenire e il ritorno agli antipodi del loro rapporto era lontano poco più di un passo.

"Bugiardo..."
"No, Angleterre. Non ti sto mentendo."
"Spiegami come diamine hanno fatto a sapere che eri qui con me, se non sei stato tu ad informarli. Bloody hell, spero che ti inventerai una scusa accettabile."
"E' stato il tuo tanto bien-aimé Alfred.
"Banale e alquanto discutibile. Non tirare in ballo America e ammetti di essere un coglione."
"Desolé, ma non ho intenzione di scusarmi per qualcosa che non ho fatto."
"Smettila di mentirmi.."
"Non mi credi? Très bien."

Francia si riappropriò del suo cellulare e compose rapidamente un numero, poi sbattè letteralmente il dispositivo in faccia all'inglese e attaccò il vivavoce. Un paio di squilli dopo Gilbert rispose col suo solito timbro acidulo e scanzonato.
"Hallo Schätze, il sottoscritto ti manca così tanto da doverlo richiamare dopo dieci minuti? Kesesesese!"
"Bonjour Gilbert, mi sono ricordato di doverti chiedere una cosa.
Stavo pensando, com'è che sei andato a parlare con Amérique? Non dicevi che 'quel culo caga hamburger' non ti stava simpatico manco un po'?"
"West era impegnato a badare a quel frignone mangiaspaghetti e mi ha detto di portargli 'sto foglio da firmare per la prossima assemblea, e visto che la mia intelligenza è awesome quanto me, ne ho approfittato per chiedergli se sapeva qualcosa su dove fossi finito. Chi meglio di Alfred poteva saperlo, che ha spie ovunque?"
"Merci Gilbert, au revoir"
"Ehi aspetta, perche ti int-

Francis riattaccò non appena sentì ciò di cui aveva bisogno e si concentrò su Arthur, che nel frattempo si era seduto sul letto morbido, tenendosi le mani tra i capelli.
Si sentiva esageratamente gratificato nel vederlo mentre si lasciava inghiottire dalla vergogna di aver inutilmente accusato la sua innocenza e come conseguenza lasciò che un ghigno di puro compiacimento gli scavasse le labbra. Il suo piccolo momento di trionfo svanì più in fretta di ciò che pensava e, una volta ristabilito il proprio orgoglio, andò a sedersi vicino al frustrato inglese, mantenendo comunque tra di loro una minima distanza.

"I'm...so sorry...", frusciò Arthur mortificato.
"Oh, ci credo che ti dispiaccia. Brutto essere dalla parte del torto, eh."
"Mi dispiace di averti dato del bugiardo, non di essermi sbagliato."
"Ti viene ancora così tanto difficile fidarti di me?"
"No..E' solo che..."
"Che?"
"Non lo so.."

Era più che evidente che una parte di Inghilterra fosse ancora legata al passato di entrambi e che fosse piuttosto complessa da estirpare alla radice. Francia poteva giurare di aver provocato grandi cambiamenti nell'io di Arthur, di averlo in un qualche modo aperto a sé, ma non era stato sufficiente.

Afferrò le sue spalle saldamente e si posizionò davanti a lui senza allentare la presa, inclinando il torso in avanti per raggiungere la sua stessa altezza.

"Chiudi gli occhi, Arthur."
"...Perché mai dovrei farlo?" chiese con stupore, rendendosi conto che quella del francese non era una richiesta, ma piuttosto un imperativo, un comando cammuffato per dar l'idea che avesse il privilegio di poter rifiutare, anche se così non era.
"Considerala come una prova di fiducia, mon amour" sibilò Francis; le sue parole caddero profonde e leggere come le fusa di un felino facendo singhiozzare il provato Inghilterra.
Questa sua uscita non lo faceva impazzire dalla gioia, ma decise comunque di obbedire a quanto gli era stato imposto e socchiuse lentamente le palpebre, ben conscio
che il francese si trovasse ancora davanti a lui e che senza dubbio l'avrebbe baciato senza curarsi di ottenere il suo consenso. Avrebbe preferito essere lui quello a scegliere il momento piu opportuno e corrugò la fronte realizzando di essere stato privato di tale opportunità; ciò nonostante non gli dispiaceva più di tanto.
Quella era l'unica cosa che poteva fare ora per scusarsi dell'inutile scenata fatta poco prima, era l'unica cosa che potesse offrire e scelse di aspettare paziente, mantenendo gli occhi ben chiusi, di sentire le labbra di Francis appoggiarsi sulle sue, e divorarle, perché sapeva che non sarebbe stato un bacio dolce e gentile.
Avrebbe avuto il sapore del sangue e del desiderio, sarebbe stato una sorta di penitenza, di punizione per non aver creduto alla sua parola.

Però l'attesa cominciò a protrarsi un po' troppo nel tempo e a diventare logorante e snervante.
Arthur schiuse di poco un occhio per scrutare discretamente cosa diamine Francis avesse da aspettare e finì per aprirli entrambi quando si accorse che non era più accanto a lui, ma intento a cambiarsi d'abiti dalla parte opposta a dove lui fosse seduto. Quando finì di armeggiare col pull blu che aveva deciso di indossare si diede una stropicciata e rivolse un caldo sorriso ad Inghilterra, che stava cercando di comprendere a quale assurdo gioco stesse partecipando il francese.

"Ah salut, Angleterre! Pensavo avessi intenzione di rimanere così fino a domani"
"Wha- io credevo che tu volessi baciarmi!"
"Ohnohnohnohnohn, beh, in effetti si!"
"Perché non...?"
"Sarebbe stato un po' come prostituirsi. Non voglio che tu debba pensare di doverti offrire così, per riscattarti dalle barbarie che fai. Così come so che un paio di belle parole non bastano per farti scrollare di dosso i blocchi mentali che hai riguardo al fidarti di me."

Il gentiluomo britannico rimase a bocca aperta e fiato sospeso per il ragionevole discorso fattogli, incredulo che fosse proprio uscito dalla bocca di Francia.

"Suvvia Arthur, mon petit lapin, togliti quel pigiama scialbo prima che Gilbert e Antonio arrivino qui, se ti dovessero vedere con addosso quel...coso...penso che si faranno burla di te a vita."

Inghilterra annuì sbuffando senza capire come mai chiunque vedesse il suo pigiama avesse la stessa reazione - a parte Polonia. Lui dimostrava sempre apprezzamento per i piccoli unicorni dal crine colorato che galoppavano sulla flanella del suo completo da notte e addirittura lo supplicava per riceverne uno uguale. Ne concluse che non erano ovviamente in grado di ammirare quanto potesse essere carino.

Francis gli passò una camicia e un paio di pantaloni che aveva appositamente scelto per lui mentre rovistava nei meandri del suo armadio alla ricerca di qualcosa di suo gusto da indossare, ritenendoli un ottimo abbinamento. Arthur non ebbe il coraggio di obiettare la sua scelta poiché sapeva che in fatto di stile il francese la vedeva lunga, e spiegò i panni che gli erano stati porsi esaminandoli attentamente, per poi concludere la sua revisione con un mugugno di approvazione.

"Sappi che questa è la prima ed ultima volta che ti lascio scegliere cosa mettermi"

La sua era più che altro una presa d'autorità. Sentiva che la sua indipendenza era sempre più condizionata dall'altro e stabilire quanto in verità comandasse lui sulla sua vita era uno dei piccoli capricci nati dalla loro relazione, seppur era consapevole di quanto sentisse la necessità di dipendere da qualcuno. Tutti gli anni che aveva passato solo lo avevano ispessito, irrigidito, e trovarsi ad avere bisogno di una persona in particolare era un'esperienza nuova e per certi versi addirittura spaventosa per Arthur, ma che non finiva mai di donargli tanti piccoli piaceri.

Prima che Francia potesse allontanarsi da lui per lasciarlo cambiare, gli avvolse le braccia attorno alla vita così forte e all'improvviso da farlo sussultare per via dello stupore e lo trascinò sopra di sé lasciandosi cadere all'indietro sul letto. Rotolò poi su di un fianco invertendo le loro posizioni e affondò la testa sul petto caldo del francese, aumentando l'intimità del loro abbraccio.

Francis non seppe bene come reagire e lo stupore gli rubò rapidamente la forza. Dovette sforzarsi per spostare una mano sulla nuca di Arthur e compiere delle piccole carezze gentili e rasserenanti, il tutto era reso più difficile dalla continua percezione delle labbra del britannico pressate contro l'incavo del suo collo e del calore umido dissipato dai suoi respiri lungo la pelle.
Si meravigliò di quanto autocontrollo potesse avere.


"Grazie."

Inghilterra si tirò su leggermente facendo pressione sui gomiti, giusto ciò che bastava per poter fissare l'uomo sotto di lui negli occhi.

"Per cosa, mon amì?"


Senza gagliardia, senza vigore, in modo gracile, sfiorò le labbra di Francis con le proprie, solleticandole, provocandole; e interruppe il loro contatto con la stessa lestezza con lui l'aveva incominciato.

Scivolò via lentamente e afferrò i vesititi per lui appositamente selezionati appoggiati sulle lenzuola stropicciate, riservando un ultimo sguardo lascivo al francese, che se ne stava ancora disteso sul letto con il dorso della mano appoggiato sulla bocca.

Uscì dalla camera trasciandosi dietro la porta e solo quando fu certo di non poter essere udito e visto sospirò pesantemente e si lasciò andare ai fremiti che avevano preso il controllo su gran parte delle sue articolazioni.


Baciare Francis una seconda volta era stata una liberazione.










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Note dell'autrice
Si, sono ancora viva. Mi scuso davvero per il ritardo di pubblicazione (4 mesi - sigh), ma la vita è la vita e tra un probema e l'altro non ho avuto mai il tempo di aggiornare la storia.
Me misera.
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, e ringrazio nuovamente di cuore tutti coloro che stanno leggendo la mia storia.


 

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