HELTER SKELTER

di Peach Blossoms
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo, "Scelte" ***
Capitolo 2: *** Capitolo I, "Tempismo perfetto" ***
Capitolo 3: *** Capitolo II, "Amare Sorprese" ***
Capitolo 4: *** Capitolo III, "All alone" ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV, "Notti Rosa" ***
Capitolo 6: *** Capitolo V, "Mosse avventate" ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI, "Tra sogno e realtà" ***



Capitolo 1
*** Prologo, "Scelte" ***


                                                                    HELTER SKELTER

                                                                                 

                                                                                                                                                                                                             "When I get to the bottom
                                                                                                                                                              I go back to the top of the slide
                                                                                                                                                 Where I stop and turn and I go for a ride
                                                                                                                                              Till I get to the bottom and I see you again
                                                                                                                                                                                   Yeah, yeah, yeah
                                                                                                                                                     Do you don't you want me to love you
                                                                                                                                         I'm coming down fast but I'm miles above you
                                                                                                                                             Tell me tell me come on tell me the answer
                                                                                                                                             You may be a lover but you ain't no dancer”

Prologo, “Scelte”

Le parole di Ai Haibara, quella mattina, erano state semplici e concise: “Sono riuscita a creare l’antidoto per l’APTX4869 dunque potrai tornare ad essere Shinichi, definitivamente.” Conan rimase colpito dalla freddezza della ragazzina, nemmeno un filo di soddisfazione o eccitazione aveva lasciato trapelare in quelle parole. Le aveva pronunciate con la stessa normalità con cui poco prima lo aveva salutato, facendolo accomodare nel salotto di Agasa. Al contrario Conan, dopo un attimo di smarrimento e incredulità, sentì ogni singola cellula del corpo percorsa da brividi di euforia, una scarica elettrica che lo fece sussultare. Ci vollero alcuni secondi prima che metabolizzasse appieno il significato di quelle parole, subito dopo un sorriso smagliante gli comparve sul viso. Haibara, a braccia incrociate, studiava in silenzio la reazione di Conan senza però variare la sua espressione attenta e seria; solo i suoi occhi parlavano, mostravano tanta preoccupazione e senso di colpa verso quel ragazzo a cui indirettamente aveva rovinato la vita. Sapeva anche che offrirgli la possibilità di tornare Shinichi, in un momento delicato come quello, avrebbe comportato grossi rischi.
- "Comunque, sarebbe meglio se..." La ragazza non fece in tempo a terminare la frase che Conan si era già precipitato fuori e correva verso casa. – "…come non detto."

In quella tarda mattina di inizio estate, il cielo appariva limpido e sereno. Di fronte ad una distesa così azzurra e cristallina perfino le nuvole avevano rinunciato ad apparire, lasciando al sole spazio libero per risplendere.
Conan alzò lo sguardo e si perse ad ammirare i giochi di luci e colori che i raggi del sole creavano andando a scontrarsi contro i rami degli alberi di pesco.
Quanto avrebbe voluto che in quel momento anche nella sua testa ci fossero la stessa armonia e lo stesso ordine che regnavano nel cielo, al posto di tutta quella confusione che gli stava mandando in tilt il cervello.
Chiuse gli occhi e si portò le mani tra i capelli grattandosi la testa, come per riordinare quei pensieri sconnessi che ronzavano senza sosta. Tra questi, il più insistente era il pensiero di Ran: la voglia matta di volerla riabbracciare e stare con lei, finalmente nei panni di Shinichi ma la paura di poterla esporre troppo al pericolo.
Era seduto sui gradini nel giardino di villa Kudo, ormai da mezz’ora e fissava attentamente la pillola che teneva tra le mani, da così tanto tempo l’aveva desiderata e ora, grazie ad Haibara, era sua.
Perché deve essere sempre così difficile fare delle scelte?
Aveva due possibilità: poteva tornare ad essere Shinichi Kudo, e ciò avrebbe significato non aver più bisogno di mentire a se stesso, di mentire a Ran; sarebbe tornato il giovane detective di una volta, senza più il bisogno di nascondersi o mascherare il suo talento. Ma significava anche dare nell’occhio, attirare a sé l’attenzione dell’Organizzazione ed anticipare inevitabilmente il tanto atteso scontro. Oppure poteva semplicemente rimanere Conan Edogawa e attendere che l’FBI e la CIA facessero il loro dovere, senza quindi dover necessariamente rischiare la vita e mettere in pericolo le persone a lui care.
Perché deve essere sempre così difficile fare delle scelte?!
Pensò, sbuffando per l’ennesima volta. Aveva bisogno di un consiglio sincero e schietto, da parte di qualcuno senza peli sulla lingua.
Sono davvero così confuso da dover chiedere consigli a lui?
Mise da parte l’orgoglio da detective e chiamò la persona più sfrontata e impulsiva che il Giappone avesse mai conosciuto: Hattori Heiji.
- “Hei Kudo, che piacere sentirti!” Heiji rispose con la sua solita vitalità. Dopo avergli spiegato la situazione, Conan chiese all’amico cosa avrebbe fatto lui se si fosse trovato nei suoi panni.
- “ Beh, amico… quelli dell’Organizzazione non scherzano, senza dubbio correresti rischi maggiori a mostrarti come Shinichi, ma sai una cosa? Fossi in te, prenderei subito quella pillola. Corri il rischio Kudo! So che non sei il tipo di persona che si arrende facilmente. Questa battaglia è tua, combattila fino in fondo. Poi ci sarò io al tuo fianco, no? Di cosa hai paura?”
In una vita passata, Heiji era stato sicuramente un generale valoroso, pensò Conan, uno di quelli che prima di una dura battaglia, riesce a spronare i proprio soldati infondendo loro la grinta e il coraggio necessari per affrontare ogni pericolo. Perché proprio così Conan si sentì  in quel momento: determinato, sicuro di sé, pronto a lottare . Aveva ragione Heiji, quella battaglia era sua e costi quel che costi, l’avrebbe vinta.
“Dì addio a Conan Edogawa, Shinichi Kudo sta tornando”.



 

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Capitolo 2
*** Capitolo I, "Tempismo perfetto" ***


Capitolo I, “Tempismo perfetto”

L’Organizzazione era probabilmente l’associazione di criminali più potente del Giappone, e allo stesso tempo, la meno nota. Forse era questo il segreto degli Uomini in nero: per il resto del mondo, loro non esistevano; esisteva solo una scia di cadaveri che spesso la polizia non riusciva nemmeno ad identificare. Perché era questa la fine che spettava a coloro che non portavano a termine il compito impostogli dall’Organizzazione, a chi aveva tentato di opporsi, come Shiyo Miyano, o a chi, come Shinichi Kudo, si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ogni minimo errore veniva pagato con la vita. Questo metodo spietato e crudele, aveva permesso loro di creare una “setta” costituita unicamente da membri fedelissimi, altamente addestrati e senza scrupoli. Agivano nell’ombra senza lasciare traccia, erano infatti soliti appiccare incendi nei luoghi dei crimini, e le loro azioni erano sconnesse e segrete a tal punto che  l’FBI faticava a capire quale fosse il loro reale fine. Negli ultimi tre anni Conan, grazie anche all’aiuto prezioso di Ai Haibara, in passato membro dell’Organizzazione, aveva intuito che all’interno di essa venivano attuati degli esperimenti scientifici oscuri, miranti alla scoperta di sostanze in grado di ringiovanire e di resuscitare perfino i morti.
Conan era a conoscenza dell’identità di uno solo dei membri, Vermouth, nome in codice della famosa attrice americana Sharon Vineyard. Fu proprio la vicenda di Vermouth a suggerire l’ipotesi dell’esistenza di un farmaco sperimentale che donasse eterna giovinezza: la donna, infatti, pur avendo una cinquantina di anni ne dimostrava solamente trenta. Molti indizi portavano Conan a sospettare che sotto le spoglie della giovane Chris Vineyard, figlia della nota attrice, si celasse in realtà la stessa Vermouth, esperta tra l’altro nell’arte del travestimento.
Ad eccezione di Gin e Vodka, con cui aveva avuto un incontro diretto la sera della sua trasformazione al Tropical Land, degli altri membri Conan conosceva solo il nome in codice, ignoti erano il sesso e l’età. L’unica cosa certa era la presenza di una gerarchia solida all’interno dell’Organizzazione; questo implicava l’esistenza di un capo unico in cima alla piramide, “un boss, vero bersaglio da individuare per poter colpire nel profondo l’Organizzazione”,  come lo aveva definito l’agente Akai.
Nell’ultimo anno, Conan era riuscito a mettersi in contatto e a collaborare sia con l’FBI che con la CIA. Molti di loro, nonostante le prime titubanze, avevano deciso di coinvolgere, anche se non in modo diretto,  quel piccoletto che sembrava troppo sveglio per la sua età e che molte volte aveva fornito loro indizi più che utili. Eisuke Hondou aveva scoperto la vera identità di Conan e spesso e volentieri faceva da tramite tra lui e l’FBI. Purtroppo anche Vermouth conosceva il segreto di Conan, ma per qualche strano motivo, lo aveva tenuto nascosto al resto dell’Organizzazione.

Almeno fino a quel momento.

                                                                                                                                                              Villa Kudo, ore 14.30
Il telefono di Conan squillò. Il ragazzo si trovava nella sua vecchia cameretta, difficilmente sarebbe giunto qualcuno, ma per sicurezza aveva preferito serrare la porta. I suoi battiti erano ancora irregolari e il petto gli doleva ad ogni respiro. Era sdraiato sul pavimento, ancora nudo e stringeva tra le mani le lenzuola del letto che erano scivolate per terra durante quel tumulto e gli coprivano parzialmente il corpo pallido e sudato. La trasformazione fu molto più dolorosa delle precedenti: sebbene fosse passata circa un’ora, sentiva ancora degli aghi trafiggergli da un lato all’altro le tempie e la fronte scottargli terribilmente. Con difficoltà riuscì a rispondere al telefono.
- “C-Conan? Sei tu?” una voce maschile, ma delicata lo chiamava confusa. Riconobbe Eisuke Hondou.
- “No-non” Shinichi spirava faticosamente “non più” concluse, riuscendo ad emettere una leggera risata. Il ragazzo si allontanò dal resto del gruppo, per non farsi sentire.
- “Shinichi? non può essere! Vuoi dire che allora…”
- “Sono tornato ad essere Shinichi, per sempre” lo interruppe Kudo. Parlare lo stava sfinendo.
- “Mi spiegherai più tardi. Ora dobbiamo vederci, abbiamo notizie sull’Organizzazione”, continuò, abbassando il tono della voce.
Shinichi sorrise, lasciando cadere il telefono dalle mani, “tempismo perfetto” pensò. A quel punto la vista cominciò ad annebbiarsi ed un intenso calore gli inondò la testa. Svenne, ormai sfinito.
- “Sei ancora in linea? .. Conan?...”

James Black, sentendo la telefonata, rimase confuso.  - “Cosa ti salta in mente?” chiese con tono brusco ad Eisuke, che aveva appena concluso la telefonata. – “Parlare di quel ragazzo proprio ora che gli Uomini in nero sono a Tokyo! Lo sai che potrebbero intercettarci?”.
Eisuke si rese conto di aver alzato troppo la voce, “che stupido, ora cosa mi invento?” pensò, mentre gocce di sudore cominciavano a bagnargli la fronte.
Jodie abbassò lo sguardo, i capelli le coprivano la fronte ma lasciavano intravedere un sorriso beffardo. Da ormai qualche giorno aveva notato che Hondou passava continuamente informazioni segrete al ragazzino con gli occhiali e la cosa l’aveva insospettita molto, così dopo aver fatto delle ricerche, aveva formulato alcune ipotesi tra cui quella che dietro Conan si celasse invece il famoso detective dell’Est. “come sospettavo”, pensò.
- “Caro James” la sua voce compiaciuta risuonò nella stanza, attirando l’attenzione dei due presenti “sembra che il ragazzino con gli occhiali non sia altro che il nostro Silver Bullet”. Così veniva chiamato da Vermouth, pallottola d’argento, termine che spesso utilizzavano il Capo e Gin per indicare colui che avrebbe minato la sicurezza e la segretezza dell’Organizzazione.
Eisuke fu costretto a dire la verità. In fondo conosceva bene gli agenti del’FBI ed era abbastanza sicuro che di loro si potesse fidare. “E’ così” ammise. Il viso di Black mostrava disappunto.
- “Vi spiego” proseguì il ragazzo, “l’Organizzazione ha progettato una pastiglia mortale, da utilizzare in casi di emergenza per eliminare persone a lei scomode, si chiama APTX4869. Shinichi Kudo, tre anni fa, vide Gin e Vodka nel bel mezzo di un’azione, venne scoperto, colpito e costretto ad ingerire la pastiglia. Ma su di lui ebbe un effetto inaspettato: lo rimpicciolì di dieci anni. Da allora si nasconde nei panni di Conan Edogawa.”
Black rimase in silenzio, riflettendo sulle parole appena ascoltate mentre alla Starling, risultò subito tutto molto più chiaro.
- “Ma la sua copertura è saltata, non potrà più essere Conan” continuò Eisuke “da quello che ho capito, è tornato adulto definitivamente”.
- “Questo è un problema” un uomo entrò nella stanza, attirando a sé l’attenzione di tutti.
- “Akai…” sussurrò Jodie, sorpresa dell’inaspettata visita.
- “Avremmo potuto sfruttare il ragazzino per colpire di sorpresa. Loro si stanno preparando ad agire, lo stanno già cercando. Il ragazzo è in pericolo, va protetto.”


 

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Capitolo 3
*** Capitolo II, "Amare Sorprese" ***


Capitolo II, “Amare sorprese”
 

                                                                                                                                                                           Villa Kudo, ore 19.30
Non appena si svegliò, i suoi occhi ricaddero sulla finestra e notò che, al di fuori di essa,  il cielo cominciava ad imbrunire. Il dolori era spariti, ma sentiva il suo corpo intorpidito, provava la particolare sensazione che si ha dopo un periodo di convalescenza da una lunga malattia. Sentiva ancora freddo, così si rannicchiò nel letto tirando a sé le coperte calde. Passò una mano sulla fronte, accarezzandosi i capelli spettinati. Solo allora fece il punto della situazione.
Aspetta, come ho fatto a salire sul letto? Shinichi si sollevò di scatto, aiutandosi con la braccia. Effettivamente era sdraiato sul letto e le coperte prima disfatte sul pavimento, ora erano rimboccate con cura. Solo alcuni attimi dopo realizzò di essere vestito: indossava il suo pigiama preferito, quello blu con le righe bianche.
Qualcuno deve essere entrato in casa e deve avermi trovato privo di sensi. Fu l’unica sua deduzione, che tra l’altro gli sembrò alquanto inquietante considerando il fatto che non aveva detto a nessuno dove si trovava e per di più la porta era serrata.  Scese le scale per dare un’occhiata al resto della casa, magari il suo angelo custode aveva lasciato tracce del suo passaggio, oppure, nel migliore dei casi, si trovava ancora all’interno della casa.
- “Mamma, sei tu? Papà?” nelle stanze vuote rimbombava solo la sua voce, “Dottor Agasa, è lei? Ai?”.
Né in salotto, né in cucina sembrava ci fosse anima viva. Non resta che la biblioteca… pensò.
- “C’è nessuno?” chiese ancora, prima di varcare la soglia.
Stava per ritornare in camera quando sentì dei leggeri singhiozzi provenire proprio dalla biblioteca. Si avvicinò in silenzio ed intravide, adagiata sulla poltrona, un’ombra nitida. Avrebbe riconosciuto il dolce profilo di quel viso fra mille.
- “Ran” dal tono della voce con il quale aveva pronunciato quell’unica parola, si potevano cogliere i sentimenti contrastanti che travolsero il giovane in quel momento: la gioia genuina di chi dopo tanta attesa  può finalmente stringere l’oggetto dei suoi sogni ma allo stesso tempo la pressante paura generata dalla possibilità che quell’oggetto possa scivolargli dalle mani.
La ragazza alzò la testa di scatto. Era seduta sulla poltrona, con le gambe piegate in avanti e cinte dalle braccia fini; forse inconsapevolmente, si era adagiata nella stessa posizione che Shinichi era solito assumere per concentrasi quando rifletteva. Il viso, prima nascosto dalle ginocchia, ora era immobile e fisso sul ragazzo. Gli occhi lucidi e arrossati lasciavano cadere ancora qualche goccia sulle guance già umide.
 La luce riflessa dalla luna illuminava la stanza attraverso l’ampia finestra, creando nella biblioteca un’atmosfera surreale. Nessuno dei due sentì il bisogno di accendere la luce, temendo di rompere l’equilibrio e il silenzio che si erano creati. A fianco della poltrona, poggiati ordinatamente sulla scrivania, c’erano un paio di occhiali, un buffo farfallino e stracci di vestiti che ad occhio e croce parevano essere appartenuti ad un bambino.
Non ci volle molto prima che nella mente del ragazzo si concretizzò la necessità di dover spiegare una volta per tutte la verità che si celava dietro quegli oggetti, anche se l’espressione di Ran lasciava intendere che lei, la verità, l’aveva già capita da un bel pezzo.
- “Bentornato Shinichi” sussurrò, con quel poco di voce che le era rimasta in gola, “anche se, a quanto pare, non te ne sei mai andato…”.
Nessun abbraccio, nessuna parola dolce per rompere il ghiaccio, la tensione era palpabile; Ran aveva preferito puntare subito al cuore della discussione, senza tanti convenevoli. Dopotutto, aveva già aspettato abbastanza. Shinichi non ebbe nemmeno il tempo di pensare alle parole giuste da dire, che lei aveva ricominciato a parlare. Come un fiume in piena, che dopo un abbondante pioggia, rompe gli argini e travolge ogni cosa, così le sue parole uscivano dalla sua bocca e colpivano il cuore di Shinichi.
- “Mi hai mentito” i suoi occhi ora fissavano il pavimento, temeva che guardandolo il suo coraggio sarebbe affondato e dato per disperso nei suoi occhi blu oceano, “mi hai mentito così tante volte. Ed io… che stupida..” si fermò per rimproverarsi ed una lacrima le rigò il viso.  “Io mi fidavo di te, delle tue parole che dopo ogni telefonata custodivo gelosamente nel mio cuore, io ti aspettavo...”

-  flashback -
Negli ultimi tre anni, il pensiero di Shinichi era ormai un chiodo fisso nella mente di Ran, non passava minuto senza che ne sentisse la mancanza; dopotutto era abituata ad averlo sempre al suo fianco e la sua improvvisa assenza aveva lasciato in lei un vuoto incolmabile. Certo, con i suoi amici si divertiva molto, aveva conosciuto molti nuovi ragazzi che mostravano un certo interesse nei suoi confronti, ma nessuno era come lui. Avrebbe volentieri barattato tutti quei ragazzi avvenenti e facoltosi, per avere in cambio il suo amato Shinichi.
Quel pomeriggio, la sua mancanza si faceva sentire più del solito. Tornando da scuola, aveva deciso di fare un salto in quella meravigliosa villa con la scusa di voler spolverare i mobili e far arieggiare l’ambiente, anche se faticava a convincere perfino se stessa. La verità era che le piaceva farsi del male, le piaceva entrare nella sua cameretta, annusare il suo dolce profumo ancora impregnato tra la stoffa dei suoi abiti, sdraiarsi sul suo letto e farsi un sano e lungo pianto. Stava lì ferma per ore ed ogni volta che usciva da quel magico luogo, le pareva di lasciarci un pezzo di cuore.
Aveva sentito il battito del suo cuore aumentare vertiginosamente, quando salendo le scale che portavano alle camere da letto, aveva notato la luce del corridoio del piano superiore accesa. Subito la speranza che Shinichi fosse tornato a casa l’aveva inondata di gioia. I piedi frementi, si muovevano veloci e le dita delle mani tamburellavano nervose sul corrimano. Ma i suoi muscoli si erano fermati improvvisamente, paralizzati alla vista di quella scena: aveva riconosciuto all’istante i vestiti di Conan, nonostante fossero stracciati, erano buttati disordinatamente sul pavimento insieme al farfallino rosso e agli immancabili occhiali. I resti dei vestiti arrivavano d’innanzi alla porta della cameretta di Shinichi. Si era stupita di trovare la porta chiusa, ma memore delle utili quanto imbarazzanti lezioni di spionaggio e stalking impartitole da Sonoko, era riuscita ad aprirla facilmente servendosi di due mollette per i capelli.
Vedere il ragazzo che amava per terra, privo di sensi e per metà denudato l’aveva fatta gridare dallo spavento. Si era subito gettata davanti a quel corpo esanime, mentre gli occhi lucidi e colmi di lacrime cominciavano ad appannarle la vista e a scaldarle il volto pallido. Dopo qualche attimo di comprensibile smarrimento, era riuscita a farsi coraggio e pian piano aveva, non senza difficoltà e imbarazzo, poggiato il ragazzo sul letto. Lo aveva vestito e rinfrescato, passandogli con estrema delicatezza e accuratezza una pezza umida su tutto il corpo, gli aveva rimboccato le coperte e aveva lasciato che riposasse tranquillo. Dopo aver raccolto gli indumenti stracciati e gli oggetti vari, si era recata nella biblioteca, dove si era seduta sulla comoda poltrona. Qualcuno poteva pensare che quel modo particolare di sedere fosse niente di più di un gesto scaramantico o che al giovane detective piacesse semplicemente copiare le abitudini del suo idolo Holmes; ma a Ran, fin da piccola, piaceva pensare che quella poltrona fosse magica e che aiutasse a risolvere i rompicapi di chiunque vi si fosse seduto sopra. E questa volta funzionò più del solito, visto che in poco tempo, ogni tassello del puzzle le sembrava combaciare perfettamente e il risultato fu la prova di ciò che il suo cuore fin dall’inizio le aveva suggerito: Shinichi e Conan sono la stessa persona.

Non appena quell’ondata di parole si calmò, Shinichi si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia in modo che i suoi occhi fossero alla stessa altezza degli occhi di Ran; le accarezzò la guancia umida e sorrise, “non sai da quanto tempo avevo voglia di sfiorarti il viso…”. La ragazza, che in un primo momento sembrò sciogliersi a quel contatto rassicurante e caldo, poi si scansò ripetendo a se stessa di rimanere forte ed impassibile.
Non basta una carezza per farti perdonare tre anni di bugie, pensò.
- “Se ho fatto quel che ho fatto, è perché non avevo alternative. Credimi.”
- “Non riesco più a fidarmi di te…” sussurrò piano, sentendo il suo coraggio farsi sempre più flebile.
Non voglio fidarmi di te, si corresse mentalmente.
- “Ran, non sai quante volte sono stato sul punto di rivelarti tutto… E’ stato terribile per me mentirti per tutto questo tempo, ogni volta vederti piangere a causa mia, prometterti cose che sapevo di non poter mantenere!” la sua voce rotta e a momenti rauca, faceva trapelare tutto il dispiacere e i sensi di colpa che Shinichi si era tenuto dentro di sé per ben tre anni, ma questo non sembrò convincere la ragazza.
- “Ma non l’hai fatto, Shinichi! volevo, scusa, cerca di capirmi… sono solo parole!” urlò Ran, scansando da davanti il ragazzo, che non riuscendo a mantenersi in equilibrio sulle ginocchia, si lasciò cadere per terra; sollevò il busto facendo forza con i gomiti. Vedere Ran dal basso verso l’alto, gli provocò una strana sensazione: fino ad allora aveva vegliato su di lei costantemente, sentiva sempre il bisogno di proteggerla da qualsiasi pericolo e lei non aveva mai rifiutato questo tipo di attenzioni anzi, la rendevano immensamente felice, ma in quel momento la vide con occhi diversi, o più semplicemente non si era mai accorto di quanto fosse cambiata, di quanto la sofferenza l’avesse resa forte. Aveva ancora bisogno di lui?
Lo sguardo supplicante del ragazzo le strinse il cuore, neppure Dio poteva immaginare quanto avrebbe voluto abbracciarlo, ma aveva deciso di essere egoista, voleva che avesse chiaro in testa cosa si provava ad essere abbandonati. Si alzò e si diresse verso la porta, rompendo il contatto visivo che fino a quel momento era rimasto saldo.
- “Sai qual è la verità?” continuò, voltandosi per l’ultima volta verso di lui, che ancora giaceva a terra “la verità è che non mi reputi abbastanza forte da stare al tuo fianco.” Quelle parole colpirono Shinichi nel profondo.
- “L’ho fatto solo per tenerti al sicuro, non sai di cosa sono capaci quegli uomini!” provò a difendersi, nonostante avesse la piena consapevolezza di star lottando per una battaglia già persa. L’aveva letto nei suoi occhi, che non si sarebbe arresa.
- “Nessuno si salva da solo, ricordalo sempre Shinichi” fu l’ultima cosa che disse, prima di correre lontano da quel ragazzo che per lei rappresentava il mondo intero, il suo unico amore. Si sentì come se si fosse auto pugnalata: era a due passi dalla felicità, ma l’aveva respinta.  Shinichi aveva tradito la sua fiducia, l’aveva ingannata e questo le faceva ancora più male che saperlo lontano.

Shinichi la guardò allontanarsi correndo, ed ebbe un terribile presentimento. Gli ricordò quella sera al Tropical Land, lui correva e le diceva di non preoccuparsi, che sarebbe tornato presto e lei era rimasta ferma, incapace di muoversi mentre lo vedeva sparire in lontananza. Diversamente a lui Ran non aveva riservato parole rassicuranti, nessun “tornerò”, nessun “a presto”.
Non lasciarmi da solo, Ran

 

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Capitolo 4
*** Capitolo III, "All alone" ***


Capitolo III, “All alone”
I can tell by your eyes that you've probably been cryin' forever,
and the stars in the sky don't mean nothin' to you, they're a mirror.
I don't want to talk about it, how you broke my heart.
If I stay here just a little bit longer,
If I stay here, won't you listen to my heart, whoa, heart?
 
If I stand all alone, will the shadow hide the color of my heart;
blue for the tears, black for the night's fears.
The star in the sky don't mean nothin' to you, they're a mirror.
I don't want to talk about it, how you broke my heart. 
If I stay here just a little bit longer,
if I stay here, won't you listen to my heart, whoa, heart?
I don't want to talk about it, how you broke this ol' heart.
 
If I stay here just a little bit longer,
if I stay here, won't you listen to my heart, whoa, heart?
My heart, whoa, heart.

Grazie destino, sorrise ironico, avevo già capito di non andarti a genio…
Shinichi tirò fuori dalla tasca il suo iPod e premette il pulsante di spegnimento. Le parole di quella canzone l’avevano fatto  tornare con la mente alla spiacevole discussione che aveva affrontato con Ran qualche minuto prima. Buffo come, in circostanze simili, ogni canzone sembra essere scritta appositamente per te; alcune sembrano invogliarti a reagire, a riprendere in mano la situazione, altre invece, come questa, sembrano dirti “ehi amico, hai perso l’occasione, lascia perdere”.
Forse è meglio così… pensò. D’altronde, cancellarla dalla sua vita complicata avrebbe significato tenerla per sempre lontano dai guai, e non era forse questo ciò che si era prefissato fin dall’inizio? Volente o nolente, aveva fatto la cosa giusta, per il bene di tutti.
Ma allora perché sto così male? Il peso che per tre lunghi anni gli aveva gravato sullo stomaco, ora sembrava essersi spostato poco più in alto, a livello del cuore. La costante preoccupazione di tenere al sicuro Ran era stata soppiantata dal dolore di averla persa e a si accorse che avrebbe preferito mille volte aver rischiato di perderla lottando, che averla persa senza aver fatto nulla. Era rimasto paralizzato di fronte all’inaspettata forza di Ran, abituato com’era a vederla sempre insicura e bisognosa di attenzioni; non aveva mosso un dito e nonostante gli occhi della ragazza lo intimassero a reagire, lui non ne era stato in grado, non ne aveva avuto il coraggio, ne la forza.
Possibile che litigare con Ran lo rendesse così terribilmente debole e volubile?
Forse perché era consapevole che quella non era stata una semplice litigata, che forse per la prima volta nella sua vita si trovava davvero a dover combattere da solo e non perché non avesse nessuno a cui chiedere aiuto, ma perché lui stesso aveva allontanato tutti. Si rese conto di quanto fossero vere le parole di Ran: nessuno si salva da solo.
Ma mettere gli altri in pericolo, per una faccenda che riguardava solo lui, non era nel suo stile. Avrebbe fatto l’eroe e probabilmente sarebbe morto; sarebbero stati gli altri a vivere anche per lui. Non era convinto di essere pronto a tutto questo, ma d’altronde, non aveva scelta. Era un rischio che aveva accolto nel momento esatto in cui inghiottì l’antidoto.
Scosse la testa per scacciare quei cupi pensieri e solo allora si accorse di aver percorso ben cinque isolati e di essersi allontanato troppo da casa. Fece per tornare indietro, quando un uomo completamente vestito di nero lo placcò, serrandogli la strada. Del viso, solo la bocca era scoperta e lasciava intravedere un sorriso beffardo e sicuro.
- “Ci si rivede Shinichi” disse l’uomo, “da quanto tempo…”. Avrebbe riconosciuto quella voce roca e penetrante tra mille: Vodka.
Non fece in tempo a scansarsi, che l’uomo lo prese per il braccio e lo trascinò con sé in un vicolo.
- “Stai fermo..”
Shinichi cercava di divincolarsi dalla presa ferrea dell’uomo alle sue spalle,invano. Vodka lo aveva colto di sorpresa e l’aveva condotto in un luogo isolato e buio; con una mano gli serrava la bocca, impedendogli di urlare, mentre con l’altra gli bloccava il braccio dietro la schiena, impedendogli anche i più semplici movimenti. Il ragazzo cominciava ad agitarsi: era tornato adulto da pochissime ore, possibile che l’Organizzazione l’avesse già scovato?
- “Ti ho detto di stare fermo!” ripeté l’uomo, stavolta con tono minaccioso, ma Shinichi non sembrava arrendersi.
- “Non mi lasci altra scelta…” Vodka prese dalla tasca una siringa e iniettò tutto il contenuto nel braccio del ragazzo, che lentamente sentì le forze abbandonarlo.
E’ già finita?  fu il suo ultimo pensiero, prima di perdere i sensi.


                                                                                            *

- “Allora…” Akai cominciava a spazientirsi, “si può sapere dov’è finito?”.
Si trovavano in quella stanza da ormai parecchie ore. Si trattava di un bilocale, situato in un edificio nel quartiere industriale di Tokyo, non lontano dalla periferia. La scelta di porre in quel luogo la loro “base” temporanea era stata di Andre Camel: secondo le sue indagini, l’edificio era stato costruito nel dopo guerra ed era stato adibito a uffici. Nonostante il suo scopo puramente lavorativo, i componenti utilizzati nella costruzione risultarono essere molto più solidi e costosi di quelli solitamente impiegati per gli edifici civili. Probabilmente erano componenti avanzati dal secondo conflitto mondiale e questo rappresentava un grande vantaggio per l’FBI: un piccolo bilocale, per nulla sospetto, che funzionava anche come rifugio anti esplosione e soprattutto era completamente isolato e questo voleva dire maggior sicurezza contro eventuali spionaggi da parte dell’Organizzazione. Era stato utilizzato per alcuni anni, poi, in seguito al fallimento dell’azienda, era stato abbandonato. Il quartiere non era frequentato, se non da bande di gatti randagi che di notte si intrufolavano nei bidoni vuoti dell’immondizia alla disperata ricerca di avanzi.
Il salotto spoglio era poco ammobiliato: un divano basso occupava in lunghezza una parete della stanza, al centro della quale si trovava un  tavolo ampio, sopra il quale primeggiavano in modo disordinato vari oggetti: cartine di Tokyo scarabocchiate, documenti e fotografie di persone e zone della città. Un piccolo cucinotto occupava l’angolo sinistro della stanza, mentre nelle altre due camere avevano sistemato diversi futon d’emergenza. La permanenza prevista in quell’appartamento era di qualche giorno, il tempo necessario all’elaborazione del piano e al seguente attacco.
- “L’ho chiamato di nuovo, ma non risponde nessuno” lo avvisò Eisuke, che più di tutti temeva la reazione dell’agente, “sembra che il telefono sia spento…”
- “Se gli fosse successo qualcosa?” dubitò Camel, unitosi agli altri qualche ore prima. “forse è meglio andare a controllare, dopotutto Eisuke non è certo che il ragazzino si sia effettivamente trasformato.”
- “Tranquilli” li interruppe Jodie, con voce rilassata, appoggiando sulle gambe accavallate la tazza di tè fumante. “Ho fatto in modo che arrivi qui sano e salvo.”

                                                                                                *

Shinichi schiuse gli occhi: la prima cosa che vide fu il paesaggio che correva veloce fuori dal finestrino. Le luci dei neon e delle auto creavano linee colorate e rendevano l’atmosfera quasi futuristica.
- “Dove mi trovo?” sussurrò Shinichi, dimenticando momentaneamente l’incontro con Vodka.
- “Buongiorno principessina!”
Shinichi si voltò e vide il giovane Hattori alla guida. Subito si accorse che portava gli stessi indumenti scuri che aveva visto indossare a Vodka poco prima e, per di più, un piccolo farfallino rosso gli pendeva ancora dal collo.
- “Prima che tu mi uccida…” Heiji cominciò a preoccuparsi , notando la faccia prima confusa, poi furiosa dell’amico.
Shinichi si sollevò, il volto si era tinto di rosso per la rabbia e le sue mani fremevano dal desiderio di strangolare quel collo scuro e sottile. “Hattoriii!!” urlò talmente forte che con tutta probabilità anche gli abitanti dello Sri Lanka sentirono la sua voce. “Hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere? E che bisogno c’era di sedarmi?”.
- “Si può sapere che vuoi? Non mi hai mai voluto prestare questo fantastico modulatore vocale, è ovvio che appena l’ho visto ho pensato di usarlo!” spiegò Heiji, come se fosse più che normale, in una situazione delicata come quella, fingersi un membro dell’Organizzazione solo per il piacere di giocare un po’ con il tanto desiderato farfallino. “Se dovessi fallire come detective” continuò, “cosa che non credo possibile… comunque” si corresse da solo, inscenando un leggero colpo di tosse, “potrei tranquillamente fare l’attore!”
Shinichi sospirò rumorosamente e poi si allacciò la cintura, per prevenire un - più che lecito- tentato omicidio. “Posso almeno sapere dove mi stai portando e il perché di tutta questa discrezione?” chiese poi.
- “Mi è stato chiesto di portarti in un luogo” rispose Hattori, tornando serio “ricordi la chiamata di Eisuke?” Shinichi si colpì la fronte, sollevando gli occhi al cielo.
Come ho fatto a dimenticarlo? Si maledì.
- “Beh amico, direi che ci siamo: l’Organizzazione ha scoperto che sei vivo e, stando alle informazioni ottenute dalla Mizunashi, agirà molto presto” dalla sua voce trapelava un velo di preoccupazione.
- “Capisco” rispose schietto Shinichi.
Il suo pensiero ora era rivolto ad Haibara: era successo tutto così velocemente che non aveva avuto nemmeno il tempo di chiamarla. Stava bene? Era al sicuro? Anche se non in modo del tutto consapevolmente era riuscito a  proteggere Ran, era certo che non sarebbe stato altrettanto facile con Ai, non si sarebbe mai messa da parte. Si accorse di non avere il suo cellulare a portata di mano.
- “Manca molto?”
- “No, siamo quasi arrivati”.
Potrebbe già trovarsi con Hondou riflettè, sfiorandosi il mento con un mano. sì, vorrà parlare anche con lei. Questo bastò a rassicurarlo.
Dopo una decina di minuti, parcheggiarono l’auto nel garage dell’antico edificio. Heiji, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno, aiutò Shinichi, ancora barcollante, a scendere dall’auto. Salirono le scale e raggiunsero il terzo piano. Il giovane del Kansai si sentiva irrequieto, aveva il presentimento che qualcuno li stesse spiando; si guardò nuovamente intorno e non vedendo nulla di sospetto, decise di non farci caso.
- “Finalmente!” Camel aprì la porta. Shinichi fu sorpreso di vedere Akai e gli altri membri dell’FBI al completo, ma nello stesso tempo si sentì deluso nel constatare che tra loro non c’era Haibara.
I ragazzi vennero fatti accomodare al tavolo e Jodie cominciò a raccontare il motivo della loro convocazione.
- “Come penso abbiate capito, siete qui per via dell’Organizzazione. Ora che Kudo è tornato, possiamo finalmente elaborare un piano per sventare una volta per tutte questa banda di criminali. Dovete però essere consapevoli che questo non è un gioco, stiamo rischiando la vita: non c’è spazio per i ripensamenti, per le paure. Siete con noi?”
I due ragazzi annuirono senza esitazione.
- “Non credete di aver dimenticato qualcuno?” una donna alta, dai capelli biondi e lo sguardo fiero, entrò nella stanza. Con la schiena poggiata allo stipite della porta, sorrideva ai presenti.
Shinichi sorrise sollevato, mentre Heiji spalancò gli occhi alla vista di tanta bellezza, e quella sarebbe la piccola scienziata scorbutica? Pensò fra sé e sé.
Shiho scambiò con Kudo un sorriso d’intesa e questo piccolo gesto bastò per rassicurare entrambi: sapere di avere in squadra un compagno così leale e forte, li fece sentire più sicuri e un po’ meno soli. Così tante volte si erano confidati che ormai le parole risultavano superflue, per capirsi erano sufficienti due sguardi.
Nel vedere l’agente Akai, i battiti cardiaci della donna aumentarono. Cercò di non darlo a vedere, si rivolse a lui sorridendo.
- “Anche tu, caro Shuichi, mi hai dimenticato?” la sua voce appariva sicura, ma chi la conosceva bene poteva notare un velo un velo di tristezza ed ansia nei suoi occhi e a Shinichi questo non sfuggì.
L’agente rimase calmo, come sempre, anche se dentro di lui qualcosa cambiò. Il ricordo di quella ragazza, la sua ragazza, tornò ad essere nitido nella sua mente. Per tutti questi anni aveva cercato di evitare Shiho, i suoi occhi gli ricordavano gli occhi della persona che tanto aveva amato e che a causa sua, aveva perso la vita.
- “Certo che no, Shiho Miyano.” Quel nome rimbombò nella stanza, lasciando gli altri presenti esterrefatti, quasi avesse pronunciato il nome del diavolo in persona.
- “Ma allora, quella ragazzina…” Jodie finalmente capì il motivo per cui Vermouth fosse così ossessionata dalla piccola Haibara. Si sentì una sciocca per non averlo intuito prima.
- “Sono in debito con te” la interruppe Shiho, abbassando il capo in segno di ringraziamento. Non aveva dimenticato la premura con la quale l’aveva trattata quel giorno al porto.
- “Ora che ci siamo tutti” riprese il discorso Black, rivolgendosi alla Starling , “illustra ai nuovi arrivati il nostro piano!”

                                                                                                *
 
- “Sì. Sì… sarà fatto. La lettera è stata spedita, abbiamo tutto sotto controllo.” Vermouth concluse la chiamata e riagganciò il telefono pubblico.
Gin e Vodka osservavano da lontano la cabina telefonica, a bordo della loro auto nera e lucida.
-  “Ci dobbiamo fidare di lei? Ci aveva tenuto nascosta la verità sulla morte del ragazzino.”
- “Penserà a tutto il capo, non ti preoccupare.”
I due sorrisero, scambiandosi sguardi complici. “E’ stata un membro fedele, ma ha commesso un grave errore:  gli Uomini in nero non provano pietà per nessuno. La useremo per mettere k.o. l’FBI una volta per tutte. ” continuò sorridendo compiaciuto, “nessuno avrà più il coraggio di ostacolarci”.

                                                                                                 *

- “Heiji…” Shinichi, seppur stremato dalla giornata fin troppo ricca di sorprese, non riusciva a prendere sonno. Ogni volta che chiudeva occhio, gli compariva innanzi una sagoma scura e tetra che il ragazzo attribuì alla morte in persona; lo fissava sorridendo, indicandolo con la sua falce appuntita come a volerlo avvisare della sua fine ormai prossima. Allora subito riapriva gli occhi, spaventato. Le parole di Jodie lo avevano impressionato: com’era possibile che le menti geniali di ben cinque agenti federali avessero partorito un piano così avventato e rischioso? Troppe vite innocenti erano state messe in gioco.
- “Si?” nemmeno l’amico, sdraiato sul futon vicino al suo, sembrava riuscire a prendere sonno. Con le braccia incrociate sorreggeva la nuca e fissava il soffitto con lo sguardo perso nel vuoto.
- “Perché hai accettato?” gli chiese, dopo qualche minuto di silenzio. “Lo sai che questo piano è una missione suicida…”
- “Perché sei il mio migliore amico” rispose senza esitazione Heiji, “questo tuo continuo bisogno di affetto di spaventa Kudo, ma sei vuoi, posso ripetertelo all’infinito!” continuò, cominciando a ridere di gusto e mandando di tanto in tanto baci con la mano.
- “Non dire assurdità!” rispose Shinichi, tirandogli un cuscino in faccia. Poi, tornando serio, riprese ad insistere, “non avresti dovuto… no-non pensi a.. Kazuha?” disse lentamente, conscio di essersi addentrato in un argomento delicato.
Il sorriso di Hattori scomparve, coperto da un velo di nostalgia e rabbia.  Abbassò le braccia, portando le mani sotto il cuscino, sdraiandosi poi su di un fianco.
- “Ci penso sempre...” rispose, dando le spalle all’amico, come a non voler mostrare il suo volto triste. “Entrambi dovevamo fare una scelta, e se il mio intuito non sbaglia, direi che anche questa volta abbiamo pensato esattamente la stessa cosa”. Shinichi colse subito il chiaro riferimento a Ran e ostentò sul volto un sorriso carico di amarezza: più sconfortante del perdere la donna che ami, è perdere la donna che ami al solo scopo di proteggerla. Pensò a quanto fosse ingiusto e illogico allo stesso tempo, era come dover lasciarsi perché ci si amava troppo. I due ragazzi, seppur vicini, non si sentirono mai così soli.
Fu proprio il pensiero del suo amore smisurato per Ran che lo fece addormentare, stavolta un po’ più sereno.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo IV, "Notti Rosa" ***


Capitolo IV, “Notti Rosa”

Piccola precisazione: questo che state per leggere -che non definirei un vero e proprio capitolo- rappresenta più una digressione del racconto. Ho deciso di dedicare questa parte unicamente alle figure femminili presenti nella storia, ai loro pensieri ed umori. Un po’ perché volevo approfondire i loro personaggi, che altrimenti avrei trascurato, e un po’ perché mi piaceva l’idea di poter mostrare, attraverso queste donne, come la stessa vicenda potesse essere vissuta con punti di vista anche molto diversi tra loro.
Questa raccolta di pensieri coincide con l’ambientazione temporale della storia principale, quindi durante la notte in cui Shinichi ed Heiji hanno avuto l’ultima conversazione ;da qui, il titolo Notti Rosa.
Mi scuso in anticipo per avervi “illuso” che Helter Skelter fosse andata avanti e avesse finalmente preso una piega più entusiasmante rispetto ai precedenti capitoli (lo confesso anch’io, ha un ritmo piuttosto lento) e vi prego di portare ancora pazienza. Prometto che la svolta arriverà molto presto.
Detto questo, spero la  piccola parentesi vi piaccia e vi auguro una buona lettura.
Peach Blossoms



Tokyo, casa del Dottor Agasa, ore 00.00

Oggi ho riflettuto molto.
Per quanto mi ostini ad odiarlo, mi risulta davvero impossibile. Da una parte questo mi spaventa, perché solo ora mi rendo conto di quanto, nei momenti più tristi, il mio amore per lui possa farmi male tanto da farmi desiderare di non averlo mai conosciuto –anche se poi mi pento subito di aver anche solo pensato una cosa simile; dall’altra mi sento fortunata perché posso dire, nonostante la mia giovane età, di aver amato veramente. Un sentimento puro e profondo che non merita di essere gettato al vento, per quanto doloroso possa essere mantenerlo in vita.
Il mio amore per Shinichi è come una fiamma: se troppo alimentata diventa indomabile, in assenza di ossigeno muore; va tenuta sotto controllo, con pazienza e costanza. I ricordi dei momenti belli vissuti insieme sono come dei legnetti che ravvivano il fuoco, riscaldando il mio cuore, la sua lontananza è come neve fredda che gela ed irrigidisce il mio spirito.
Ho riflettuto sugli ultimi tre anni trascorsi nella speranza che tornasse, ed ora che è qui, ho lasciato che la rabbia e il rancore prevalessero.
Questi sentimenti sono cresciuti come un cancro dentro di me: silenziosi, si espandevano veloci ad ogni chiamata non risposta, ad ogni appuntamento rimandato, ad ogni lacrima che scendeva quando, seduta su una panchina del parco o ad una tavola di un bar, realizzavo che lui non sarebbe venuto.
Ad ogni singola delusione.
Il brutto di questa malattia è che spesso i sintomi compaiono quando ormai è in uno stadio già avanzato e a quel punto ti rimangono poche possibilità. Così la mia rabbia e il mio rancore si manifestarono di colpo quella sera, appannandomi la mente e non lasciandomi altra scelta che scappare.
Questa mattina la lucidità mi ha permesso di fare ordine nella mia mente: non avrei dovuto lasciarlo solo, dopo quello che ha passato; lui in fin dei conti non mi ha mai abbandonato, è sempre stato al mio fianco, e ora più che mai capisco il perché del suo comportamento e gli sono grata per avermi sempre protetto, mettendo la mia vita al primo posto… il mio fratellino. A pensarci ora, mi viene da ridere. Ma di una cosa sono ancora fermamente convinta: mi ha sottovalutato.
Io l’avrei capito, l’avrei aiutato e sostenuto con tutta me stessa. L’avrei protetto dalle sue paure, dalle sue ansie… e perché no, perfino dagli stessi Uomini in nero. Ma lui è troppo nobile, troppo gentile, troppo fiero per ammettere di aver bisogno di aiuto. Con quello sguardo presuntuoso, di chi è intelligente e sa perfettamente di esserlo, quello sguardo a volte perfino irritante, così sicuro di sé e così maturo… quello sguardo che ogni giorno mi fa innamorare. Quello sguardo devo salvarlo, ad ogni costo.
Per questo ora sono qui, a mezzanotte, a casa del Dottor Agasa.
Ho aspettato che si fosse addormentato profondamente e poi mi sono intrufolata; devo trovare indizi circa l’Organizzazione e so già dove posso trovare ciò che mi serve.

La scorsa sera, dopo aver sdraiato Shinichi sul letto e averlo medicato, ho trovato sul pavimento il suo cellulare. Era acceso, e il display segnalava ben dodici chiamate perse, nove da parte di Eisuke, una di Heiji e due di Ai e un messaggio da un numero sconosciuto. Diceva:
Ho mandato le informazioni che mi chiedevi sul sito di condivisione dell’FBI.
Codice: WZXa12S221KO

In quel momento non potevo comprendere il suo significato, ho pensato  solo che fosse qualche indicazione su un caso che stava risolvendo. Per qualche motivo strano, ho voluto comunque scrivere su un bigliettino quel codice.

Cercando di non fare rumore, accendo il computer del Dottor Agasa, ho visto spesso Conan maneggiarlo con fare molto serio. Controllo la cronologia di internet, e come sospettavo, non trovo nulla di sospetto. Come posso trovare il sito di condivisione dell’FBI? Certamente non è di dominio pubblico… chiudo la finestra e rimango a fissare il monitor in cerca di idee.
Allora forse potrebbe averlo salvato come documento, no troppo rischioso… beh, controlliamo comunque…
Senza sperarci troppo, digito FBI nella barra di ricerca e come previsto compare una sola cartella, che con l’FBI non ha nulla a che vedere. “Assassin's creed II Conan E.”
Sbuffo, passandomi una mano tra i capelli. Non sono portata per fare il detective… Aspetta un attimo, Conan non giocava mai ad Assassin’s creed; ricordo benissimo che una volta lo definì “il gioco più inutile e noioso della storia dei giochi”. Perché mai dovrebbe salvare i dati di un gioco che odia?
Decido di aprire la cartella e per poco non mi lascio sfuggire un urlo di vittoria. L’avevo trovato!
FBI
inserire codice:

Inserisco con attenzione le lettere e i numeri che compongono la password e in un attimo accedo al sito. Entro nella posta elettronica, la cui icona segnalava una notifica. Subito compare un documento lungo alcune pagine: leggo diversi nomi in codice, Borboun, Gin, Vodka.. certo, sono gli Uomini in nero! Scorro velocemente le pagine senza leggere attentamente. Noto alcune foto, raffigurano tutte una donna dai capelli argento, molto bella. Incuriosita da questa donna, decido di leggere qualcosa in più sul suo conto.
nome in codice: Vermouth
età: 40/50 anni
  Cosa? Non è possibile, ne dimostra meno di trenta!
nazionalità: americana
nome di battesimo: Sharon Vineyard/Chris Vineyard

Sharon Vineyard? Rileggo più volte quel nome. Non può essere, lei è la donna che ho conosciuto a New York con Shinichi, lei è l’attrice famosa, lei…
Sotto, altre foto mostrano la somiglianza tra le due donne. In effetti sono molto somiglianti, ma questo non vuol dire che… no, non voglio crederci. Leggo altri appunti, date, descrizioni minuziose di azioni e crimini, prove che convalidano la tesi che Sharon Vineyard  e Vermouth, membro dell’Organizzazione, sono la stessa persona. L’analisi del confronto delle due impronte digitali non mi lascia altra scelta che credere in quei documenti. D’altra parte questi fogli sono sfrutto delle ricerca dell’FBI, devono per forza essere attendibili.
Però io… fatico a crederci. Quella donna, per giunta amica di Yukiko… una donna così gentile, così in gamba, così bella che ricordo ancora l'invidia che provai non appena la vidi. Possibile che sotto quel viso delicato, si nasconda una criminale internazionale?
D’un tratto, un rumore mi riporta alla realtà. Il Dottor Agasa si è svegliato, lo sento scendere le scale. Devo andarmene subito! Spengo il computer in fretta e mi precipito fuori dalla finestra, da dove ero entrata poco prima. Corro più veloce che posso, la testa mi pulsa e il cuore mi batte all’impazzata.
Ho in mente solo l’immagine di quella donna, del fazzoletto che mi ha regalato, e quella frase…

Chissà se in questo mondo esiste un essere superiore… certo che se da qualche parte ci fosse un essere superiore, tutti quelli che lottano per sopravvivere dovrebbero ricevere una ricompensa, non credi? No, mi dispiace, ma a me purtroppo nessun angelo ha mai rivolto un piccolo sorriso… neanche una volta.



                                                                                                                                       
Osaka, casa Toyama, ore 01.30

Sento una goccia di sudore freddo percorrermi la tempia e poi scivolare lungo il viso, raggiungere il mento e cadere veloce verso il collo, continuando poi la sua corsa tra le curve del mio seno. Il brivido che provoca mi desta. Mi sento inquieta, probabilmente ho fatto un brutto sogno ma non ricordo bene. Con dei movimenti sgraziati mi allontano di dosso le coperte calde e il contatto dell’aria fresca con il mio corpo accaldato mi dà un senso di sollievo. Mi alzo, rimanendo seduta per qualche secondo con gli occhi persi, fissi sulla parete di fronte a me. Lo specchio rotondo riflette il mio volto stanco e sciupato, semi illuminato dalla luce chiara della luna: le occhiaie violacee e la pelle screpolata intorno agli occhi sono la prova lampante degli ultimi due giorni trascorsi in lacrime.
Mi rendo conto di essere cambiata molto negli ultimi anni: il viso allungato non è più quello di una bambina, i miei lineamenti sono quelli di una giovane donna; il mio seno, ora più prosperoso, è in pieno sviluppo e insieme ai fianchi leggermente più larghi, regala al mio corpo una siluette elegante.
Ma anche nella mia testa qualcosa è cambiato, ma in peggio.
Cosa ne è stato della ragazzina forte e impulsiva di una volta? Quella matta e sconsiderata, disposta perfino a pedinare il ragazzo di cui è innamorata, mossa dal dubbio e dalla paura che lui stia incontrando un’altra donna? Quant’ero imbarazzante … non più di adesso, in realtà.
Sono diventata una piagnucolona, questa è la verità. Chi mai si innamorerebbe di una piagnucolona?
Almeno nel pedinare Heiji mi divertivo, quell’energia e quell’adrenalina mi facevano sentire viva. Tante volte sono apparsa strana agli occhi degli altri, ma in quei momenti non mi importava: avevo una missione e l’avrei portata avanti ad ogni costo. Guardatemi ora… sono morta dentro, e brutta fuori.
Abbandono il letto e mi dirigo verso la finestra, con dei movimenti lenti e scoordinati,  come se le mie braccia e le mie gambe fossero legate a dei fili e manovrate da un burattinaio alle prime armi. Spalanco le ante e mi siedo sul davanzale della finestra. E’ una notte silenziosa, nessuna macchina passa per la strada che è scarsamente illuminata dai lampioni. Una leggera folata di vento fa volare da terra alcune foglie secche, creando un suono particolare. Mi sporgo pericolosamente e riesco ad afferrarne una. Insieme al dolce fruscio del vento, mi sembra di sentire le parole di Heiji…

“Sì, questo caso è più importante di te!”

Devo apparire davvero insulsa ai suoi occhi, se perfino uno stupido caso è più importante di me.
Avvicino la foglia al viso, giocando a sfiorarmi il naso e  ripercorro con la mente la discussione di quel pomeriggio; una lacrima torna a rigarmi il viso…

- Dove vai questa volta?- gli chiesi incuriosita, mentre lo guardavo sistemare dei vestiti nel solito borsone blu.
- Devo risolvere un caso importante a Tokyo.- rispose con un’insolita freddezza, a cui però non feci caso.
- Perfetto! Dopo tanto tempo potrò rivedere Ran!- esultai, saltellando qua e là per la stanza.
- No, non hai capito. Io vado a Tokyo, tu rimani qui.- se una risposta secca non mi aveva affatto insospettito, due- e per giunta di seguito- mi fecero spaventare.
- Cosa dici? Io vengo sempre con te, sono la tua dipendente no?- cercai di sdrammatizzare, l’atmosfera stava diventando improvvisamente tesa.
- Non più.- e siamo a tre; un’altra di queste e non avrei incassato il colpo. Era il mio turno, decisi di andarci pesante.
- Scegli: rimani con me o vai a Tokyo.- rimasi stupita io stessa dal tono brusco con il quale avevo pronunciato quella frase, ma un ultimatum mi sembrava la cosa più adatta per mettere fine a quella assurda discussione.
- Ho detto che vado a Tokyo, punto.-
- Quindi valgo meno di questo stupido caso?- sapevo di aver lanciato una mina pericolosa che poteva esplodere da un momento all’altro.
- Sì, questo caso è più importante di te!- ma quel punto esplose solo il mio cuore.


Quanto odio queste lacrime. Ho pianto fin troppo, troppe volte a causa sua e troppo volte davanti a lui. Ho lasciato che vedesse ogni mio punto debole, e lui l’ha sfruttato davvero bene: solo quattro colpi sono stati sufficienti ad affondarmi… perfino il Titanic ha avuto vita più lunga.
Con due dita sfoglio velocemente il mio diario, che era rimasto nascosto sotto i libri di scuola, ed apro una pagina a caso.

22 Dicembre
Caro diario, oggi ho trascorso il pomeriggio con Heiji. Mi ha portato a pattinare… che stupido, lo sa che non sono capace! Sono caduta tante di quelle volte, ho ancora  le gambe e le braccia piene di lividi. Stavo per mollare, ma poi ho visto Heiji che guardava beato una pattinatrice, era bellissima e danzava in modo elegante e sensuale. D’un tratto ho sentito una strana energia invadermi tutto il corpo, ho trovato la forza di alzarmi e con tutta la buona volontà di cui disponevo, ho cominciato a pattinare. Non ci crederai mai, caro diario, ma ho fatto addirittura una piroetta! A quel punto Heiji si è avvicinato a me, e sorridendo mi ha svelato che quando divento determinata e combattiva, sembro quasi bella… Sono così felice!


Poso la foglia in mezzo alle due pagine e richiudo dolcemente il diario. Mi manca la vecchia Kazuha.
Porto il diario vicino al naso e con un ampio respiro assaporo il profumo di pagine invecchiate. Quelle parole sono state per me come una rivelazione e d’un tratto tutto mi sembra più chiaro: ogni volta che Heiji si mostra protettivo nei miei confronti, che mi abbraccia e si prende cura di me cresce dentro di me il mio amore per lui e subito arrossisco felice; ma nello stesso momento, ogni protezione, ogni abbraccio ed ogni cura mi ammosciano, mi rendono passiva e sempre più dipendente da lui. Più cedo alle sue attenzioni, e più si indebolisce la mia “difesa immunitaria”. Come posso essere combattiva, se non mi è più permesso di combattere? Come posso essere determinata, se ogni mia scelta viene a presa da altri? Senza accorgermene sono diventata una parassita, e per giunta piagnucolona.
Ma queste parole non celano alcun rancore verso Heiji, dio solo sa quanto mi riempiono di gioia i suoi momenti di tenerezza; io provo rancore verso me stessa, che mi sono abbandonata completamente a quei rarissimi attimi di pura felicità, trascorrendo ogni altro momento nell’attesa e nella speranza di poterne vivere altri. La mia avidità è così forte che non mi sono neppure fermata a pensare se a lui, quelle attenzioni, regalano la stessa felicità che regalano a me.
Ma qualcosa mi dice che tornerò presto ad essere la vecchia Kazuha, quella che amo. Sento che sta per accadere qualcosa, ma per ora il mio presentimento è ancora avvolto nella nebbia.
Torno nel letto e mi ricopro fino al mento. Mi sento serena e speranzosa, come una bambina che compila la lista dei buoni propositi per l’anno nuovo e non vede l’ora di realizzarli.
 Ancora frastornata dall’ondata di ricordi che ho rivissuto, chiudo gli occhi.
Domani prendo il primo treno per Tokyo.


                                                                                                            
                                                                                                                                   
 Tokyo, base FBI, ore 01.50

Come previsto, non riesco a prendere sonno. Condivido la camera con l’agente Jodie e sembra che anche lei non riesca ad addormentarsi; vedo che si agita, rigirandosi in continuazione nel suo futon.
Il mio è decisamente corto, i piedi fuoriescono dalla trapunta e non riesco a riscaldarli.
Però non mi dispiace affatto, anzi, in un certo senso mi aiuta a realizzare di aver ripreso finalmente possesso del mio vecchio corpo.
Guardo le mie mani, sono affusolate come una volta, sempre tremolanti. Perché al di là di tutto, al di là dell’eccitazione e della sorpresa,  essere tornata adulta vuol dire solo una cosa: morire.
Tutti qui dentro sanno quanto sia spietata l’Organizzazione, ma nessuno di loro ha vissuto- come l’ho vissuto io- il terrore e l’ansia di farne parte. Non mi sono mai considerata un vero membro dell’Organizzazione, sono stata costretta a quella vita misera, colpevole solo di essere nata nel posto sbagliato al momento sbagliato e la sfortuna ha voluto che nascessi con un’intelligenza superiore al normale, che mi è stata strappata in tenera età e sfruttata per troppi anni. Mentre le mie coetanee imparavano a giocare a karate, io studiavo formule chimiche complicate per elaborare droghe in grado di uccidere gli uomini; mentre loro vivevano i primi sintomi dell’innamoramento, io vivevo il trauma della morte dei miei genitori e dell’unica persona che mi abbia mai amato, Akemi.
A volte, quando sono triste, mi sembra di risentire la sua mano delicata che mi sfiora la guancia e mi sussurra parole dolci:
“Esci, Shiho, prova a divertirti. Non devi perdere la speranza, solo così ti sentirai viva!”
Come potevo considerarmi membro di qualcosa che mi aveva privato della libertà, dell’affetto, di qualsiasi forma di felicità?
Essere Shiho Miyano per me era una maledizione, anche se un giorno fossi riuscita a scappare, le ombre del passato mi avrebbero perseguitato per sempre. Al contrario di Shinichi, io non avevo motivi per tornare ad essere me stessa, nessuno mi avrebbe accolto a braccia aperte al mio ritorno perché Shiho Miyano non aveva più nessuno. Era sola, con i suoi tormenti.
Dopo anni di paure, tornare bambina mi ha permesso di riprendermi parte della libertà che mi era stata sottratta da ormai troppi anni. Quasi non ricordavo più cosa volesse dire essere liberi, essere felici. Mi ha permesso di ricominciare da capo, di nascondere per un po’ il mio passato, fingere addirittura di non averne uno; agli occhi degli altri ero una bambina come tante altre, la cui intelligenza era qualcosa da coltivare e non da sfruttare. Ho avuto la possibilità di vivere l’infanzia che mi era stata negata, di avere un posto da chiamare casa e persone da chiamare amici. Ai Haibara è stata la mia rinascita, i miei attimi di felicità. Ma come tutte le cose belle, anche Ai Haibara era un’illusione. Una breve pausa dalla mia vita disastrosa, una sorta di “ricarica”, un regalo donatomi dal cielo affinché assaporassi la gioia di stare al mondo. Un’illusione che mi ha dato la forza necessaria per affrontare questo ultimo grande ostacolo. Il mio destino è stato scritto l’esatto momento in cui sono venuta al mondo.
Perché io lo so che per me è finita, io voglio che finisca. Se sulla terra non c’è nessuno che mi aspetti, in quel posto misterioso che tanti chiamano paradiso io ho i miei genitori, ho Akemi. E per dirla tutta, non vedo l’ora di rivederli. E se non dovesse esserci un aldilà, almeno potrò riposare in pace per l’eternità. Al pensiero, mi vien voglia di morire.
Prima di tornare bambina, temevo terribilmente la morte. Non volevo assolutamente lasciare questo mondo, per quanto orribile fosse. Ero arrivata al punto di creare ogni tipo di compromesso, pur di riuscire a sfuggirle.
Ma ora sono pronta, io voglio morire. Ciò che desideravo dalla vita l’ho avuto: posso dire anche io di aver ricevuto un regalo di natale, di aver avuto una festa a sorpresa per il compleanno e… per colpa di Shinichi, di aver vissuto i primi sintomi dell’innamoramento.
Questo ricordo mi basta, e desidero portarlo con me oltre questa vita…



 nel frattempo, nella stessa stanza…

Shuichi…
Lo credevo morto, e proprio ora che stavo imparando ad accettare la sua morte, è ricomparso dal nulla. Perché non mi ha detto nulla? Bastava una lettera …
Ancora ricordo quella mattina, era l’alba e mi ero svegliata presto per correggere alcune verifiche di inglese quando ricevetti una telefonata. Ricordo che in un primo momento, non volli rispondere; in quel preciso attimo il sole venne oscurato da una nube grigia, carica di pioggia ed ebbi subito l’impressione che stesse per accadere qualcosa di estremamente negativo. Data l’insistenza con cui squillava il cellulare, mi arresi e risposi.

- Jodie, devi venire subito da me.- la voce di Black era cupa, riuscivo a percepire la sua preoccupazione.
- Perché, è successo qualcosa?- chiesi ansiosa.
- Ti spiegherò, ora vieni.- mi aveva liquidato lui, lasciandomi sulle spine.
- No, voglio sapere ora altrimenti non mi muovo di qui.- replicai, con la mia solita determinazione.
- Akai è morto.-


Rimasi immobile, con il telefono ancora attaccato all’orecchio, incapace di proferire alcuna parola. La mia voce era rimasta bloccata in gola, ostruita da quel groppo che non riuscivo a sciogliere; il mio cuore, che qualche attimo prima batteva veloce, si era fermato. Il silenzio che mi circondava mi opprimeva e l’aria diventava sempre più rarefatta, d’improvviso non riuscì più a respirare e di istinto corsi fuori dal mio appartamento.
Aveva cominciato a piovere; sentì le gocce di pioggia confondersi con le mie lacrime e pensai subito che qualcuno, lassù, non volesse vedermi piangere.
Papà…
Dopo la morte di mio padre, promisi a me stessa che non avrei mai più permesso che qualcuno a me caro morisse per mano loro. Non ero riuscita a mantenerla.

Una parte di me si sente sollevata, l’uomo che ho amavo- e che non ho mai smesso di amare, neanche dopo tutto questo tempo- è vivo; ma l’altra parte, una minuscola parte, avrebbe preferito che fosse morto davvero. Perché più doloroso di perdere la persona che ami, è essere abbandonato da lei. Sapere che sta bene anche senza di te, mentre tu muori dentro.
Non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi, non riesco a parlargli. Lo sento così lontano, nonostante ci separi solo una porta di legno.
Tante volte, durante le sere che passavamo insieme, gli avevo parlato di quanto per me fosse stato doloroso superare la morte di mio padre: l’avevo visto morire davanti ai miei occhi, ucciso a sangue freddo da Vermouth, quella donna – che chiamarla donna mi risulta ancora difficile- solo perché era a conoscenza di alcune informazioni riguardo la sua vera identità. Ero ancora una bambina allora, costretta già in tenera età a dover affrontare una perdita tale. Una perdita che però mi ha reso forte e determinata.
Eppure quei racconti non l’hanno fermato dal fingersi ucciso in quel modo atroce, così simile a quello di mio padre. All’epoca mi raccontarono che morì per mano di Rena Mizunashi, una nostra infiltrata nell’Organizzazione; gli uomini in nero cominciarono a sospettare di lei, così durante un incontro, Shuichi si sacrificò costringendo la ragazza ad ucciderlo. In questo modo le permise di dimostrare loro di essere un membro fedele e di rimanere così all’interno dell’Organizzazione.

Sicuramente qualcosa in lui è cambiato, forse non prova più nulla per me. I suoi sentimenti per me non sono mai stati sinceri come i miei; il suo amore è morto insieme ad Akemi Miyano.
La sorella della donna che ora dorme in camera con me. Hanno gli stessi occhi… Qualcosa in quegli occhi mi turba, sono velati da una leggera oscurità che mi inquieta e mi fa venire i brividi. So bene che è dalla nostra parte, eppure il fatto che in passato sia stata membro degli Uomini in nero non mi rassicura.
Le ho involontariamente salvato la vita, e nonostante i miei pregiudizi, non me ne pento affatto.
Lentamente sento i miei occhi appesantirsi, la stanchezza mi vince e mi addormento sfinita.
Buonanotte papà...


                                                                                                                  

 Tokyo, luogo ignoto, ore 02.00

Accendo l’ennesima sigaretta, una Lucky Strike Red, le mie preferite –ovviamente nel pacchetto morbido.
Mi appoggio con i gomiti sul davanzale della finestra e mi lascio accarezzare dal vento fresco. Il fumo della sigaretta, spinto dalla corrente del vento, crea piccoli mulinelli nell’aria scura. In lontananza, sento il suono di una sirena.
Il paesaggio che si presenta davanti ai miei occhi non è di certo la bella vista che si aspetterebbe di vedere una donna come me: la muffa attaccata al muro dell’edificio di fronte, lo rende ancora più squallido. Il mio sguardo cade nuovamente sulle vecchie scale di emergenza; ogni volta che le guardo, mi ritorna in mente quell’episodio a New York che mi ha cambiato per sempre la vita…

- Serve per forza una ragione? Io non so che motivo abbia un uomo di uccidere un altro uomo e nemmeno perché gli salvi la vita…- era così sicuro di sé, i suoi occhi erano in grado di penetrare anche l’animo dell’uomo più duro.
- … a quanto pare, direi che una ragione logica non esista.- gli puntai nuovamente contro la pistola, ma mi interruppe.
- Non ti conviene. Ho notato che ti hanno ferito quindi la polizia non dovrebbe essere molto lontana; e poi non hai neanche il silenziatore, se spari ti saranno subito addosso.. Ti conviene lasciarci andare, in fondo ci devi un favore, non ti sembra?.- si voltò, dandomi le spalle e cominciò a scendere la scale portando in braccio la ragazza che era svenuta.
- Bene, per stavolta siamo pari, amico. Ma la prossima volta non sarò così magnanimo.- continuò.
- Quando un giorno noi due ci rincontreremo –perché accadrà, puoi esserne sicuro- ti spedirò dritto dritto all’inferno, ci puoi scommettere.-


Avevi ragione, Shinichi Kudo. Le nostre strade si sono incrociate di nuovo. Da quella sera, ho capito che tu saresti stato il mio asso nella manica, il famoso Silver Bullet che tanto temono.
Spengo la sigaretta e la getto dalla finestra.
Io e te abbiamo molto in comune: siamo testardi, siamo forti e determinati all’inverosimile. Noi facciamo ciò che vogliamo, come vogliamo… sempre; l’ unica differenza è tu faresti qualsiasi cosa pur di salvare chi ami, al contrario, a me la vita ha insegnato che se vuoi sopravvivere in questo modo devi essere incredibilmente egoista.
Nessuno mi ha mai guardato nel modo in cui tu guardi quella ragazza e forse è per questo che sono diventata la donna che sono oggi…
Degli anni che ho vissuto, più della metà li ho spesi cercando vendetta. Ho ucciso senza esitazione più persone di quante ne abbia mai conosciute in una vita, per ragioni che nemmeno ricordo. Ho preso parte ad azioni crudeli, solo per il piacere di guardare negli occhi di quegli uomini la loro estrema sofferenza, la loro ultima supplica. Ero responsabile di una violenza gratuita e becera.
Non ho rimpianti, né rimorsi… so bene che ciò che ho fatto in passato non può essere cancellato, dunque non mi tormento; sento solo di essere arrivata al capolinea.
Quell’incontro mi ha cambiata, ha risvegliato qualcosa negli abissi nella mia anima, un sentimento che promisi a me stessa che avrei represso per sempre.
La compassione.
Da quel giorno a New York, la compassione sta riaffiorando lentamente in me: non ho più voglia di giocare a fare la criminale, né tanto meno di sporcarmi le mani per cose che non mi riguardano. Ora vedo con occhi diversi gli altri membri dell’Organizzazione, con un disprezzo tale da farmi rivolare le viscere.
Ho vissuto con un solo scopo, la vendetta. Ho difeso la mia vita con le unghie e con i denti, non perché ne fossi particolarmente legata, ma solo per poter portare a compimento la mia vendetta.
E ora sono ad un passo dal realizzarla, sono così vicina… non posso permette che un sentimento ancora così fioco mi faccia desistere.
Io ucciderò Shiho Miyano e insieme con lei, morirà l’intera Organizzazione.
Gin e Vodka, quegli idioti, sono convinti che farmi uscire dai giochi sia semplice. Si sbagliano di grosso, sono io che domino la partita: per ingannarli è bastato riferire loro ciò che sapevo sul giovane detective, ho finto di essere dispiaciuta per il mio errore e ho giurato che avrei sistemato personalmente in cambio del loro perdono. Sapevo che per punirmi mi avrebbero usato come pedina nello scontro con l’FBI; pensano che sacrificando me, l’Organizzazione continuerà indisturbata ancora a lungo… credono che io non sia importante, ma non sanno che io sono fondamentale.
Perché io sono il Boss.



Note dell'autore:

Seguo il consiglio che una lettore, o meglio di un recensore, e approfitto di questo piccolo spazio per scrivere alcune note. per prima cosa mi scuso per il ritardo, ma ho avuto alcuni impegni e ho dovuto rimandare più volte la continuazione della storia; secondo, spero che questo capitolo un po' lungo non vi abbia troppo annoiato! 
I riferimenti alla vicenda sul passato di Akai, raccontanto da Jodie, è in inventato da me.
I riferimenti all'incontro di Vermouth con Shinichi e Ran, nel racconto di Vermouth e il ricordo di Ran di Sharon Vineyard all'interno del suo racconto, sono tratti dall'epidodio 308 e 310 dell'anime.
Ringrazio di cuore chi ha letto e ha recensito questa storia, 
un bacio, Peach Blossoms

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Capitolo 6
*** Capitolo V, "Mosse avventate" ***


Capitolo V, “Mosse avventate”

Prossima fermata: stazione di Tokyo. Il treno 23 48 5 viaggia con due minuti di ritardo, ci scusiamo per il disagio.

Kazuha sospirò soddisfatta, ripose il diario nella borsa a tracolla con cura meticolosa -quasi fosse una reliquia santa di inestimabile valore- e posò lo sguardo sul finestrino. Il paesaggio che correva veloce al di là del vetro le riempì il cuore di una gioia inspiegabile: forse erano i colori della primavera, forse il sole che splendeva alto nel cielo, o le nuvole che in controluce si tingevano di rosa… forse era tutto l’insieme. Piccoli dettagli che visti singolarmente non hanno significato, ma se osservati nel loro insieme compongono un dipinto meraviglioso. Si sentì connessa con il mondo.
Appena scese dal treno, respirò l’aria di Tokyo. Ogni cosa intorno a lei la sorprendeva, ma allo stesso tempo le appariva familiare, sentiva le stesse emozioni di chi, dopo tantissimi anni, torna nel luogo natale. Decise di custodire nel cuore quelle sensazioni genuine. Le preoccupazioni di quei giorni si erano dissolte, ora non provava più alcuna tristezza né ansia. Perfino il pensiero di dover affrontare Heiji, la consapevolezza che una volta di fronte a lui avrebbe dovuto inevitabilmente confessare i suoi sentimenti, le infondevano una forza inaudita. Sì, perché era venuta fino a Tokyo solo per lui.
Aveva deciso anche di soggiornare per qualche giorno nell’appartamento di sua zia -che in quei giorni si trovava all’estero per lavoro- in modo da non disturbare ulteriormente Ran e suo padre.
Prese un taxi e in soli dieci minuti arrivò davanti all’agenzia investigativa Mouri.
- “Kazuha! Finalmente sei arrivata!” Ran, che se ne stava affacciata alla finestra in attesa del suo arrivo, non appena la vide la accolse a braccia aperte.
- “Ti aspettavo con ansia! Per fortuna sei arrivata!” continuò, abbracciandola e baciandola. Kazuha rimase un po’ sorpresa dalla reazione così euforica dell’amica, ma senza pensarci troppo, ricambiò affettuosamente.
- “Sì, sono qui… ma ora calmati!” Le disse ridendo, staccandosi dalla forte presa della karateka, “non ti ho mai vista così agitata!”
Ran mise entrambe le mani sul petto e inspirò lentamente, “hai ragione, ora mi calmo” disse.
Era un vulcano, pronto ad esplodere. Affrontare da sola gli avvenimenti di quei giorni l’aveva sfinita e non poter confidarsi con nessuno l’aveva resa nervosa e impaziente. Sentiva la necessità di dover dire tutto, di doversi liberare di quel peso, doveva condividerlo con qualcuno perché stava diventando troppo grande per essere sorretto solo dalle sue esili spalle.
E adesso Kazuha era lì, al suo fianco e questo bastò a darle forza e coraggio.
La invitò ad accomodarsi sul divano e le offrì del tè caldo. Dopo aver scambiato quattro chiacchiere da ragazze, Ran provò ad orientare il discorso su Shinichi.
- “Ti ricordi quando, ormai qualche anno fa, avevo ammesso di avere dei dubbi sull’identità di Conan?” la sua voce cambiò improvvisamente, da euforica che era, divenne cupa e bassa, borbottava piano le parole, come se stesse per confessare un segreto pericoloso e temesse che nella stanza ci fosse qualcun altro, oltre a Kazuha, che potesse sentirla.
- “Ehm, sì?” rispose incerta Kazuha, con tono interrogativo; non riusciva a capire dove volesse andare a parare l’amica.
- “Ecco, avevo ragione. Conan è...” si fermò per qualche secondo. Erano passate sì e no 48 ore e non erano state sufficienti a metabolizzare tutte le assurdità che erano accadute in così poco tempo.
- “Insomma, Conan… Conan e Shinichi… sì, loro… loro sono la stessa persona!” concluse tutto d’un fiato.
Kazuha in un primo momento scoppiò a ridere, trovando quella battuta davvero esilarante. Ma poi, notando la faccia seria e impassibile di Ran, capì che l’amica non stava affatto scherzando. Rimase immobile, con bocca aperta e occhi spalancati. Provò a dire qualcosa, ma era così confusa e scioccata che le sue parole risultavano sconnesse e incomprensibili. Conan è Shinichi, cioè Shinichi è Conan? Continuava a pensare tra sé e sé.
Dopo un attimo di smarrimento, le balenò in mente di quando Heiji, parlando di Conan, aveva finito col chiamarlo Kudo e subito arrossendo, si era corretto;  di come quei due, nonostante la grande differenza di età, fossero diventati buoni amici, tanto da sentirsi regolarmente per telefono;  o di come ogni volta che Shinichi compariva dal nulla a risolvere un caso, alla prima occasione si allontanava con Heiji per poi scomparire, lasciando il posto a Conan.
- “E’ così Kazuha, l’ha confessato… ci, ci siamo visti…” vedendo l’amica in difficoltà, Ran cominciò a raccontarle ogni particolare: di come l’aveva trovato nella villa, di come era tornato adulto, della loro discussione, chi fosse e quanto fosse pericolosa l’Organizzazione e della vera identità dell’attrice Vineyard.
- “Heiji sapeva tutto…” quello strano senso di disagio, che credeva essersi dissolto, si impadronì nuovamente di Kazuha. Sentì il suo cuore e la sua mente appesantirsi, le venne un forte senso di nausea. Le sembrò di essere tornata al punto di partenza, alla sera precedente quando stesa sul letto, bagnava il cuscino con le sue lacrime.
Heiji si era reso complice di una bugia che era andata avanti per tantissimo tempo.
Sentì un brivido percorrergli la schiena, poi una strana sensazione, come un veleno che dopo essere stato iniettato si diffonde velocemente in tutto il corpo. Era tornata l’insicurezza.
Rileggere il suo diario, pensare ai sentimenti che la legavano ad Heiji e ai momenti che avevano vissuto insieme l’avevano aiutata a scacciarla, ma di nuovo era tornata e ancora più forte.
“Devo risolvere un caso importante a Tokyo”
Allora a questo si riferiva
, pensò. No, no ti prego. In che guai si sta cacciando… una lacrima le rigò il viso.
- “Ran, dobbiamo fermarli, Heiji è qui… sono in pericolo, me lo sento!”
- “Sono in gamba, sono sicura che… sì, vedrai che non è successo nulla…” Ran cercò di consolarla, ma vedere la sua amica piangere, sciolse quel rivestimento di ghiaccio che tanto attentamente aveva creato intorno al suo cuore.
Piansero per la rabbia di essere state ingannate;
Piansero per la paura di perdere le persone più importanti della loro vita;
Piansero per non essere state così forti e astute da capire ciò che stava succedendo sotto i loro occhi;
Piansero insieme.
E in quell’attimo ogni cosa intorno a loro scomparve; restarono solo loro due, due ragazze unite da una profonda amicizia, dalla voglia di riscattarsi, di riprendersi ciò che apparteneva loro. Quel pianto che era nato dalle loro debolezze, per qualche strana reazione chimica si trasformò in forza d’animo. Sfogarono tutte le lacrime rimaste e, solo allora, decisero di agire.
Avrebbero salvato Shinichi ed Heiji, e l’avrebbero fatto per dimostrare loro quanto valgono.
Mai sottovalutare due campionesse di arti marziali, per giunta arrabbiate…
e incredibilmente innamorate.


                                                                                                                                  Vecchio porto di Tokyo, ore 21.25

- “Li vedete?” Akai, nascosto dietro due ciminiere sopra il tetto di un edificio, osservava dall’alto il vecchio porto buio e silenzioso. Teneva stretto fra le mani un binocolo professionale, un Olympus, che oltre a permettergli un’ottima vista a distanze notevoli, era provvisto di una luce infrarossi in modo da riuscire a vedere bene anche al buio.
I lampioni non funzionavano, da anni ormai quel posto era stato abbandonato. Era stato chiuso, soppiantato da quello nuovo, più moderno e con infrastrutture più adeguate e in norma. Il vecchio porto era diventato quindi un luogo tetro, lontano dalla città e frequentato da pochi ubriachi e qualche tossico. Ogni anno, ad Halloween diventava il posto privilegiato per i più coraggiosi che organizzavano “gite del terrore”. Ma a fine primavera, difficilmente si vedeva qualche anima viva.
Quella sera però, l’FBI venne a conoscenza di uno scambio, probabilmente un commercio di droghe o armi, che l’Organizzazione aveva pianificato con certi contrabbandieri, che secondo le indiscrezioni sarebbe dovuto avvenire vicino al molo 2, alle 21.30 circa.
Era l’occasione perfetta per anticipare i piani vendicativi degli Uomini in nero e coglierli di sorpresa. L’unica loro speranza, infatti, era giocare d’anticipo.
- “Sì… sono appena arrivati.” A rispondergli fu Shinichi che si era appostato con Heiji nei pressi del molo 2, come accordato nel piano. Questo prevedeva che i due ragazzi apparissero davanti agli Uomini in nero nel momento appena successivo allo scambio, il momento in cui teoricamente il nemico avrebbe abbassato la guardia.
- “Siete pronti?” chiese Jodie, anche lei collegata agli altri attraverso un apposito microfono. Con lei, appostata all’ingresso del porto, c’erano Shiho ed Eisuke, anch’essi pronti ad agire nel momento prefissato. Camel e Black si erano appostati nell’uscita sud del porto, in modo da bloccare la strada per eventuali fughe dell’Organizzazione.
- “Sì”, la voce convinta di Shinichi, seguita da un lieve “sì” di Heiji, rincuorò la donna. La loro voce, sicura e ferma, non tradiva il loro stato d’animo: Heiji era nervoso,le mani tremavano leggermente e qualche goccia di sudore freddo cadeva dalla sua fronte; era comprensibile, di lì a poco avrebbe affrontato un nemico temibile.  Ma i suoi occhi erano carichi di concentrazione e il suo sguardo intenso non lasciava, nemmeno per un attimo, gli Uomini in nero. Shinichi, stranamente silenzioso, attendeva con ansia il momento per poter agire. Entrambi indossavano una giacca scura e un cappellino che copriva gli occhi e oscurava con l’ombra della visiera i loro volti.
- “Contiamo solo su di voi, ragazzi”

Un uomo, all’apparenza arabo, scese dal camioncino nero portando con sé una valigetta. Si avvicinò lentamente ad un auto lussuosa e a pochi metri da essa, si fermò. Tirò fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni una Revolver e con fare teatrale, estrasse uno ad uno i proiettili, poi poggiò l’arma scarica sull’asfalto. A quel punto, dall’auto scesero Gin, Vodka seguiti dopo qualche secondo da Rena.
I due uomini si avvicinarono all’arabo, fecero lo stesso con le loro armi e dopo aver assicurato di non possederne altre, gli mostrarono i soldi.
L’arabo con una mano porse a Gin la valigetta e con l’altra prese i soldi. Senza scambiarsi alcuna parola, si allontanò e tornò sul camioncino che ripartì velocemente.

- “Ok, ci siamo”
- “Ti seguo”
I due ragazzi attesero il momento giusto per mostrarsi agli Uomini in nero: Vodka stava risalendo in auto, sotto lo sguardo attento di Rena, mentre Gin portava all’orecchio un cellulare, probabilmente per avvisare il Boss che lo scambio era avvenuto con successo.
- “Gin!” Shinichi uscì per primo allo scoperto, mostrandosi sotto la luce pallida della luna. “Ho sentito dire che mi stavi cercando…”
I due uomini si voltarono all’unisono, rimanendo, forse per la prima volta, senza parole. Ma il silenzio durò poco.
- “Shinichi Kudo…” un sorriso comparve sul volto di Gin “finalmente ci rivediamo.” Entrambi erano sorpresi, ma comunque felici di trovarsi di fronte al ragazzo a cui da tanto tempo avevano dato la caccia. Presentarsi lì in quel momento, aveva risparmiato loro tante fatiche.
Vodka scoppiò a ridere, “Ah! Ah! Il ragazzo ha proprio voglia di morire! Se avessi aspettato giusto qualche giorno, saremmo venuti noi stessi a prenderti”. Pronunciarono quelle parole con una tale freddezza da gelare il sangue a chiunque.
- “Beh, vi ho risparmiato un bel viaggio” sorrise il giovane detective. Nonostante il livello di paura ed ansia aveva raggiunto il picco, si sforzava con tutto se stesso di mantenere lucidità e sangue freddo.
Shiho, che da lontano stava ascoltando ogni cosa, rimase un po’ stupida dal modo di fare di Shinichi: rispondere alle provocazioni con battutine, non era proprio nel suo stile. Soprattutto in una situazione come quella che stava vivendo ora.

Intanto, Heiji avendo cura di non farsi vedere, sgattaiolò dietro l’auto nera. Rena lo vide, ma lo ignorò per evitare che i due uomini lo scoprissero.
 Era stata lei stessa ad avvertire Akai dello scambio con i contrabbandieri e, all’insaputa dei federali, grazie ad una piccola spifferata di Heiji e Shinichi, era anche a conoscenza del piano. I due ragazzi avevano deciso di apportare una piccola modifica al piano originario, secondo loro troppo pericoloso e avevano  deciso di mettere maggiormente a rischio la loro vita pur di salvare quella delle altre persone coinvolte.
- “Bene, ora che ci siamo presentati…” Gin tirò fuori dalla manica una piccola Revolver e la puntò dritto verso Shinichi, “dì le tue ultime preghiere!”.
Shinichi chiuse gli occhi e strinse i pugni. Forza, sbrigati! pregò con tutto se stesso che il suo amico comparisse. Erano convinti che i due uomini non avessero più alcuna arma con loro, ma si sbagliavano.
- “Addio, Shinichi Kudo!” Gin sfiorò con il dito il grilletto e…
- “Fermo!” Heiji saltò da dietro l’auto e prese alle spalle Vodka, immobilizzandolo. Gli puntava una pistola alla tempia. Rena cadde improvvisamente in terra, addormentata; Heiji agì per il suo bene, se non l'avesse anestetizzata e lei non fosse intervenuta a favore dell’Organizzazione, avrebbe destato sicuramente dei sospetti.
-  “Spara e sparerò anche io!” urlò Heiji, stringendo con il braccio il collo di Vodka.
Gin fece una smorfia di disappunto, si guardò intorno e disse: “Bene bene, non sei da solo a quanto vedo…” nonostante fosse rimasto da solo, il suo sguardo non accennava alcuna preoccupazione.
Gli occhi di Shiho, Akai e gli altri membri dell’FBI erano tutti fissi sul molo.
Cosa diavolo stanno facendo… pensò Akai, mordendosi le labbra dalla rabbia. Non era questo il piano, dannazione!
- “Jodie, preparati ad intervenire in caso di bisogno, quei ragazzi vogliono farci uccidere!” la avvisò tramite il  microfono.
Vodka cercava di divincolarsi: essendo più grosso e pesante, Heiji faceva fatica a tenerlo, così decise di liberare la presa; velocemente sparò dall’orologio un ago anestetizzante, lo stesso usato contro di Rena. L’omaccione cadde a terra, privo di sensi.
A quel punto Gin sparò senza esitare. Colto a un’ira improvvisa, sparò tutti i colpi che aveva in canna.
Sei colpi di pistola ruppero il silenzio con un rumore assordante. L’eco rimbombò per tutto il porto, facendo rabbrividire tutti.
Seguì un gemito di dolore.
Shinichi cadde a terra, il sangue lentamente dilagò tutto  intorno mentre il cappellino, caduto a pochi metri dal suo corpo, si allontanava, spinto dal vento  e rotolò fino ai piedi di Shiho, che guardava esterrefatta la scena.
- “Resisti, amico” sussurrò fra sé e sé Heiji.
Il silenzio era assordante, nessuno osava parlare. Solo i gemiti del ragazzo risuonavano nell’aria fresca e cupa.
Shiho raccolse il capello, mentre la vista cominciava ad annebbiarsi. Le lacrime scorrevano sul suo viso come ruscelli. Shinichi, no…
- “Ferma, dove pensi di andare?” l’urlò di Akai non fermò la ragazza.
Lasciò cadere il capello nelle mani di Eisuke e senza pensarci due volte, cominciò a correre. La paura di essere vista, di essere uccisa, non contavano nulla contro la paura di poterlo perdere per sempre. Voleva correre veloce, voleva correre da Shinichi. Le lacrime bagnavano il suo viso accaldato ma non le importava più ormai.
- “Ti sei unita anche tu alla nostra festicciola, piccola Miyano?” sul viso di Gin apparve un sorriso malizioso.
Heiji puntò subito la pistola verso di lui, per evitare che colpisse anche Shiho.
La ragazza, senza staccare lo sguardo da quell’assassino,  si accosciò al giovane: respirava ancora ma aveva perso i sensi. Stava perdendo molto sangue, ma c’era ancora una piccola speranza che riuscisse a salvarsi.
- “Ci sono qui io, Kudo” gli sussurrò delicatamente, accarezzandogli i capelli.
- “Shuichi, ora cosa facciamo?” Jodie fu presa da sgomento: prima il piano e ora Shinichi… ogni cosa stava andando nel verso sbagliato.
- “Rimani ferma dove sei” le rispose lui, cambiando idea.

Eisuke, dopo essersi ripreso dallo shock, guardò attentamente il cappello che si era ritrovato fra le mani.
- “Non è Shinichi!” esclamò, con voce ferma e sicura.
- “Cosa?” Jodie si volse verso di lui, guardandolo quasi con disprezzo, “cosa stai dicendo?”
- “Il ragazzo ferito non è Shinichi, è Heiji!”
Shinichi accennò una smorfia, il loro trucco era stato scoperto.
- “Guarda, sulla fodera interna di questo capello c’è inciso il suo nome: Heiji Hattori.” Eisuke mostrò la targhetta alla Starling, “sì, ma questo non vuol dire che…”
- “Hattori?...” Shiho, che aveva sentito tutto, la interruppe. Sollevò delicatamente il ragazzo, prese tra le mani il suo volto e lo guardò attentamente. Con la manica della giacca sfiorò il suo viso e scoprì la carnagione scura sotto uno strato spesso di cerone. Incredula alzò lo sguardo verso quello che credeva essere Heiji.
Ma allora Shinichi sei tu…
 Il ragazzo la guardò intensamente, i suoi occhi severi sembravano dire “zitta! E non fare nulla”.
Vodka giaceva per terra, privo di sensi e Gin, che aveva una pistola puntata addosso, sembrava essersi arreso. Nonostante Heiji fosse rimasto ferito, la situazione si era voltata a loro favore. Bisognava concludere, e al più presto.
Shinichi stava per avvicinare il microfono alla bocca per chiedere soccorsi, quando sentì una presenza alle sue spalle.
“Attento, dietro di te!” urlò Shiho.
Non fece in tempo a voltarsi che Vermouth, sorridendo, lo colpì violentemente alla nuca, e cadde anche lui, privo di sensi. La donna prese la pistola del detective e la puntò verso la ragazza.
Shiho tremava e dai suoi occhi le lacrime cadevano incessantemente. Tranquilla Shiho, tranquilla, si ripeteva, cercando di trovare un briciolo di forza.
- “Finalmente ti sei decisa ad uscire da quella maledetta auto!” Gin rimproverò la collega, “cosa aspettavi? Che mi uccidessero, per caso?” continuò a brontolare.
La donna sembrò non ascoltarlo, mentre lentamente si avvicinava verso Shiho.
- “Ciao carina” le disse, senza abbandonare il suo sorriso beffardo. “Che ne dici di venire con me?”
Shiho rimase immobile, la paura l’aveva paralizzata. Era da sola, da sola contro Vermouth. Sapeva che prima o poi questo momento sarebbe giunto, ma mai avrebbe immaginato che una tale paura si potesse impadronire di lei. Non riuscì a trovare la forza per rispondere.
- “Lo prendo come un sì”
- “Akai, dobbiamo intervenire o..” , “ferma!” la interruppe lui, “non ti muovere.”

L’ultima che cosa che Shiho vide fu la pistola di Vermouth puntata sulla sua fronte.
Un colpo, poi buio totale.

Il porto era più silenzioso che mai. L’aria si era fatta cupa e irrespirabile e la luna piena illuminava il molo, rendendo lo scenario ancora più agghiacciante.
 Era successo tutto così velocemente, tanto che Eisuke faticava a riordinare nella mente la sequenza di quello scontro: lo scambio della droga, poi quei i colpi di pistola e il sangue di Heiji, la comparsa di Vermouth e l’aggressione di Shinichi, il rapimento di Shiho.
Tutto gli appariva confuso, come un incubo vissuto pochi secondi prima di svegliarsi. Tenne gli occhi chiusi per qualche attimo e strinse forte i pugni, sperando con tutto se stesso di ritrovarsi nel suo letto, una volta riaperti. Invece era ancora lì, era tutto vero.
Era un campo di battaglia, dove tutti attendevano con ansia i soccorsi, con la tristezza negli occhi, la paura nel cuore e lo sguardo spento, di chi ha perso la speranza.
Ma in fin dei conti, una piccola vittoria l’avevano ottenuta: vicino all’auto, Vodka giaceva ancora addormentato, con mani e piedi ammanettati. Vermouth e Gin l’avevano lasciato lì sul molo, abbandonato al suo destino. Questa era la prova di quanto poco contasse la vita delle persone per gli Uomini in nero, perfino un membro fedele come Vodka non fu considerato degno di essere salvato. Rena, anche lei abbandonata sul molo, riposava sui sedili posteriori dell’auto.
 Akai si avvicinò a Jodie, che seduta per terra, teneva fra le braccia il corpo sanguinante di Heiji.
- “L’ambulanza sta arrivando”, le disse dolcemente, posando la mano sulla spalla esile della donna. Lei accarezzava i capelli mori del ragazzo, pulendogli il viso dal cerone chiaro. E’ un così bel ragazzo, pensava.
Shinichi era steso per terra, con la nuca sollevata e poggiata sulla giacca di Camel, sistemata a mo’ di cuscino. L’uomo, con un fazzoletto bagnato, gli inumidiva la fronte, attendendo con ansia che riprendesse conoscenza.
Jodie osservò i visi addormentati di entrambi i ragazzi, e nonostante avessero mandato a monte il piano e ogni possibilità di successo, non riusciva a provare rancore o rabbia nei loro confronti; solo uno strano senso di gratitudine.
- “Sono stati coraggiosi” sussurrò, con un filo di voce.
- “Sono stati incoscienti” la corresse Black. “Hanno fatto di testa loro, confondendoci tutti e impedendoci di intervenire!”.
- “Se la caveranno, vero?” la voce di Eisuke risuonando timida e fievole, parve quella di un bambino.
- “E’ una fortuna che il ragazzo indossasse il giubbotto anti proiettile” commentò Camel, “le sue ferite non sono mortali, ma ha perso molto sangue.”
Alcuni minuti più tardi, arrivò l’ambulanza ed Heiji e Shinichi vennero condotti d’urgenza nell’ospedale più vicino.
- “Shuichi” Jodie si alzò da terra e afferrò la mano di Akai, “la ritroveremo, te lo prometto!”
L’uomo sorrise, “certo…” rispose, ma in cuor suo sapeva che la possibilità di ritrovare Shiho in vita diminuiva di minuto in minuto. Vermouth l’aveva colpita e sedata, Gin l’aveva sollevata di peso e poggiata sui sedili posteriori dell’auto, che poi era sfrecciata veloce, allontanandosi e scomparendo nell’oscurità della notte. E lui, davanti a tutto questo, era rimasto fermo, impotente e incapace di agire. Aveva ordinato agli altri di non intervenire, perchè se l'avessero fatto e avessero fallito,avrebbero sprecato l'opportunità di avere un secondo scontro con l'Organizzazione. Non mostrandosi, invece, avevano fatto credere agli Uomini in nero che lo scontro fosse stato messo in atto dai ragazzi e che l'FBI non avesse a che fare con loro. Questo avrebbe permesso loro di giocare, per lo scontro seguente, un altro "attacco a sorpresa".
Ma nonostante questo, una morsa gli strinse le viscere e per un attimo, si sentì mancare: lo stava rivivendo di nuovo, lo sentiva ancora, fresco e vivo nella sua mente, il ricordo di Akemi.
Perdonami…



Note dell'autore
Buondì :) Mi scuso per il ritardo, ma oltre a non avere idee per il capitolo, lo studio mi ha portato via parecchio tempo!
Mi scuso soprattutto con chi è stato così gentile da recensire i capitoli e che purtroppo non ha ancora ricevuto una risposta, prometto che vi scriverò il prima possibile! Vi sono grata per il tempo che avete speso per leggere la mia storia, e spero che continui a piacervi ;)
Sto mettendo tutto il mio impegno e la mia buona volontà, ogni vostro consiglio è ben accetto!
Continuate a seguirmi ;)
con affetto, Peach Blossoms

   

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Capitolo 7
*** Capitolo VI, "Tra sogno e realtà" ***


Capitolo VI, “Tra sogno e realtà” 

I raggi del sole che passano attraverso la finestra mi svegliano. 
Che buon profumo… ma cos’è?  qualcosa di salato, di caldo. 
Il fusuma è leggermente aperto e l’arietta leggera, che passa tra lo spiraglio, porta con sé la freschezza del mattino e una miriade di odori. La sento che mi sfiora il viso, che mi penetra nelle narici e si fissa nei miei capelli.
Ora riesco a distinguere il profumo delle verdure, dello zenzero e dell’aglio. Sento il rumore del brodo di miso che bolle in pentola. Ramen!
Insieme a quei profumi deliziosi, penetra nel mio animo l’odore della familiarità. 
Ma mi sento ancora confuso, non riesco a ricordare nulla; sparsi qua e là nella mente ho solo alcuni frammenti della mia vita. Sono ancora molto stanco, non riesco ad aprire gli occhi, sono pesanti e le ciglia sembrano incollate l’una all’altra. 
Eppure questi odori li conosco. Mi rilasso e cerco di assimilarli uno alla volta. Lentamente quegli odori iniziano a tracciare dei contorni nel buio, ho gli occhi chiusi ma percepisco ogni cosa intorno a me. Mi sembra di vedere i mobili, il colore delle tende. Mi accorgo di essere a casa, nel mio futon e un’ondata di buon umore si diffonde dentro di  me, contagiando ogni centimetro del mio corpo. 
La mia cameretta, ora la ricordo molto bene. 
Un rumore di passi che si avvicina, passi leggeri e sicuri, cattura la mia attenzione. Come ogni cosa, anche quei passi sembrano familiari. Il fusuma si apre, sento i passi avvicinarsi per poi fermarsi a pochi centimetri da me. Qualcuno si abbassa e si siede a fianco del mio futon. 
- “Shinichi” è una voce bellissima. “Shinichi svegliati”, una mano mi sfiora la fronte e mi accarezza la guancia. 
- “Ho ancora sonno…” bisbiglio.
Sento una piccola risata, “con questo ti svegli?” mi dice divertita, ma io non capisco. D’un tratto due labbra calda e morbide si posano sulle mie. Due mani mi cingono delicatamente il viso e io mi sento subito in paradiso. 
Cos’è tutto questo? Cos’è questo calore, che dalle labbra penetra dritto fino al mio petto. Mi piace, mi piace troppo! Non voglio che finisca mai… Scopro le braccia, che erano ancora nascoste sotto la coperta, e stringo forte questa figura incantevole. Forse è un angelo…
Le sue labbra si allontanano dalle mie. “Forza, la colazione è pronta”
- “Non riesco ad aprire gli occhi” le dico, dispiaciuto che quel momento magico sia già finito. 
Sento le sue labbra avvicinarsi di nuovo, ma stavolta si fermano sui miei occhi e baciano dolcemente le mie palpebre. La sento ridere di nuovo.
- “Ran…”
Apro gli occhi e lei è lì, davanti a me, bella come non mai. Pronunciare il suo nome ad alta voce ha reso reali e più nitidi i contorni di quella figura. Ricordo la sua voce, il suo viso, ogni momento trascorso insieme. Un’ incredibile voglia di fare l’amore mi fa pulsare ogni cellula del corpo. 
Mi metto seduto e la guardo degli occhi, lei sorride ancora. Mi fa impazzire. Prendo il suo viso tra le mani e la bacio. Poi sposto le mie labbra sul suo collo bianco e il mio contatto con la sua pelle la fa tremare. Sposto le mie mani sui suoi fianchi, stringendoli ma senza farle male, poi le lascio cadere sulle sue gambe, le accarezzo le cosce; il calore che sento tra le sue gambe mi attira e cerco di addentrarmi, senza timidezza… 
- “Shinichi” sospira. “non possiamo, lo sai” mi fermo e la guardo confuso. “perché? Non vuoi?”
- “Sai benissimo perché…” i suoi occhi diventano spenti, ma l’espressione dolce ed angelica del suo volto non cambia. “… Io sono morta Shin, non ti ricordi più?”
Rido,ma che battute fai Ran?  Allora le accarezzo ancora il viso, le sfioro i capelli. Ma lei non reagisce, i suoi occhi sono ancora spenti, qualcosa dentro di lei è scomparso.
- “Lasciami andare Shinichi. Io sono morta, lo sai” mi bacia per l’ultima volta, ora le sue labbra sono fredde e violacee. Ogni cosa in lei sembra spenta, priva di vitalità. Dov’è andato il luccichio dei suoi occhi? Il rossore delle sue guance e delle sue labbra?  Ora è così pallida… Sorridendo si alza, mi saluta e poi si volta. 
- “Ran! Fermati Ran!” le urlo con tutto me stesso. Vorrei alzarmi anche io, prenderla per mano, fermarla ed urlarle che lei non è morta, che è qui davanti a me! ma il mio corpo è rigido e non riescono a muovere neanche un muscolo. “Ran, ti prego, resta!”, ma lei non mi ascolta e non si volta. I fusuma che circondavano la mia stanza non ci sono più, siamo entrambi sospesi nel vuoto, nei buio. La sua figura si allontana, diventa sempre più piccola. “Ran, voltati!” 


-“Ran!” Shinichi si svegliò di soprassalto, la maglia e i suoi capelli erano fradici di sudore. Il cuore gli batteva ancora forte nel petto e il respiro era affannoso. Stava tremando.
 Si guardò intorno, ancora più confuso. Era sdraiato nel letto di un ospedale.
E’ stato solo un incubo… pensò, sollevato. Si toccò le labbra con le dita, però sembrava così vero… quel bacio
D’un tratto, sentì qualcuno bussare alla porta. Era Jodie.
- “Come stai?” gli chiese, mentre si avvicinava al suo letto, “ti ho sentito urlare…”
- “Ho avuto un incubo” rispose frettolosamente Shinichi. Dai suoi occhi si intravedeva la confusione che regnava ancora nella sua mente. 
- “Dovresti riposarti, sei rimasto privo di coscienza per parecchi giorni, i dottori temevano che fossi in coma” Jodie sembrava molto preoccupata per la sua salute, “dicono che i tuoi valori non sono ancora stabili. La trasformazione ti deve aver reso molto debole.”
Shinichi non rispose, si limitò ad ascoltare il consiglio della donna e si sdraiò nel letto. Si voltò e alla sua sinistra notò un letto vuoto, semi disfatto.
- “Dov’è Heiji?”
Come un fiume che rompe gli argini e straripa, inondando e distruggendo tutto ciò che ostacola la sua corsa, così i ricordi di quella tragica notte colpirono la mente di Shinichi. Immagini distorte, frasi frammentate. La testa cominciò a dolergli terribilmente. Voleva ricordare meglio, ma tutto appariva così confuso.
Poi, d’un tratto, davanti ai suoi occhi apparve una carrellata di ricordi, così nitidi che gli sembrò di poter respirare di nuovo quell’aria salmastra che veniva dal mare. Sentì di nuovo i sei spari, rivide Heiji che giaceva per terra esangue, il volto di Shiho bagnato dalle lacrime. Poi un forte colpo alla nuca e il grido disperato della ragazza, poco prima di perdere i sensi. 
Il suo cuore tornò a battere forte e la sua fronte si terse di sudore. “Cosa è successo? Non riesco a ricordare bene.”
- “Ti racconterò tutto più tardi, ok? Ora stai tranquillo, devi riprenderti.” La voce di Jodie era calma e rassicurante, nonostante i suoi occhi lasciassero intravedere tanta paura. Non sapeva come comportarsi, non aveva mai visto Shinichi così indifeso. 
Il giovane detective avrebbe voluto insistere, ma non riuscì a controbattere, si sentiva ancora troppo debole e sconvolto. Come potevo pensare che un piano del genere potesse funzionare? Io.. non sto capendo niente.
Jodie gli rimboccò le coperte, stava per andarsene quando Shinichi la bloccò, afferrandogli il polso.
- “Promettimi una cosa…” la sua voce era ancora molto roca, “proteggi Ran, ho paura che sia in pericolo.” 
- “Farò del mio meglio”, Jodie gli sorrise dolcemente, poi lasciò la stanza.


                                                                                                *

- “Te lo ripeto un’ultima volta: dove si nascondono i membri dell’Organizzazione?” Akai prese Vodka per il colletto, sollevandolo leggermente dalla sedia. Sul volto erano evidenti i segni della stanchezza: dopo quattro ore consecutive di interrogatorio, Vodka non sembrava voler collaborare.
- “Ah, ah! anche se lo sapessi non lo direi certo a te!” 
Akai, sempre più spazientito e innervosito dalla sfrontatezza dell’uomo, gli tirò un pugno dritto in faccia. 
- “Vai al diavolo!” 
- “Akai! Fermati!” nella stanza dell’interrogatorio intervennero subito Camel e Black, che dall’altro lato del vetro osservavano con attenzione. “Dannazione, che ti salta in mente?” Black si abbassò, cercando di sollevare da terra il corpo semi cosciente di Vodka. Dal suo naso cominciò a sgorgare sangue vivo. 
- “Bel colpo…” ridacchiò poi Camel, “un pugno se lo merita di certo!”, continuò voltandosi verso Vodka.
Akai uscì per prendere un po’ d’aria. Mosse il collo, facendosi scrocchiare le ossa. Non ne poteva più, né di Vodka, né dell’Organizzazione, né tanto meno di Shinichi Kudo. Cominciava a nutrire un profondo odio verso quel ragazzo che aveva mandato a monte un piano studiato nei minimi dettagli. E’ una fortuna per lui che si trovi in ospedale… se ce l’avessi qui di fronte, non so che gli farei!
Shuichi era conosciuto come un uomo razionale, con un notevole autocontrollo. In ogni situazione mostrava calma e sangue freddo. Ma non accettava perdere, odiava fallire e quando succedeva, perdeva le staffe. 
Shiho, maledizione, dove sei? Alzò lo sguardo verso il cielo. Le nuvole stavano oscurando il sole, presto avrebbe cominciato a piovere. 
Ti avevo promesso che l’avrei prottetta, Akemi. Ma ho fallito, ho fallito di nuovo come feci quella volta con te. 
Oh, Akemi. Quanto vorrei che fossi qui… non posso permettere la storia si ripeta, non posso!


                                                                                             *


Kazuha camminava per le strade di Tokyo. 
Aveva trascorso la mattina con Ran, alla ricerca di informazioni e notizie utili, ma purtroppo il loro piano si era rivelato più difficile del previsto. L’Organizzazione non appariva in alcuno schedario della polizia, eppure i loro crimini erano molto noti. Erano dei fantasmi, che uccidevano e poi svanivano nel nulla. Burocraticamente, non esistevano. Le informazioni in loro possesso erano ancora troppo povere per poter sperare di capire le vere identità dei membri, per di più non possedevano alcuna foto, se non qualche immagine sfuocata trovata nel sito segreto dell’FBI. Ma sfortunatamente Ran non ebbe il tempo di salvarle e recuperarle risultava ancora più impossibile. L’unica su cui poter indagare era l’attrice Vineyard. Le loro ricerche, per ora, si muovevano in quella direzione. 
Il cellulare che teneva nella borsetta, squillò e la distolse dai suoi pensieri.  Era Ran. 
- “Pronto, Ran… Ran?”  dopo qualche secondo di attesa, la ragazza di Tokyo rispose. 
- “Kazuha! Ho buone notizie…”  la voce di Ran appariva bassa, probabilmente non prendeva bene la linea, “il Dott. Agasa è molto preoccupato, penso che ci aiuterà.”
- “E’ fantastico!”,  le rispose sollevata.
- “Poco fa ho contattato anche la madre di Shinichi, lei conosce bene l’attrice, anche il suo aiuto può esserci utile.”
Kazuha annuì e sorrise, anche se l’amica non poteva vederla. Vedrai che ce la faremo, Ran.
- “Ora devo tornare a casa, mio padre sta aspettando la cena!” Kazuha sentiva il respiro dell’amica farsi sempre più affannato; la immaginò correre per le strade di Tokyo con le buste della spesa in mano, tutta rossa e imbronciata, e al pensiero le venne da ridere. 
- “Sicura che non vuoi stare da noi? Puoi dormire con me e poi…”
- “Grazie, Ran. Ma preferisco stare nell’appartamento di mia zia.” , la interruppe Kazuha. In effetti sentiva il bisogno di trascorrere un po’ di tempo da sola. 
- “Ok, non insisto! A domani Kazuha!”.
- “A domani!”.
Chiuse il cellulare e, delusa, lo posò nella borsetta. Falso allarme, neanche questa volta era lui… pensò, abbassando gli occhi. Ogni volta che il cellulare squillava, nel suo cuore nutriva la speranza di leggere il suo nome sul display; le succedeva sempre, fin da ragazzina. Nel registro delle chiamate appariva solo un nome: Heiji, seguito da un piccolo cuoricino. Se lui l’avesse visto, chissà che imbarazzo! 
Ma da ormai più di una settimana, nell’elenco delle chiamate ricevute, il suo nome non compariva e Kazuha non riusciva a darsi pace: non sapeva dove fosse, né se stesse bene. 
Inutile dire che le mancava da morire. Le mancavano i battibecchi, gli scherzi, le chiacchierate e i suoi sorrisi. Quel sorriso che illuminava anche le giornate più cupe. Come questa. 
Se non fosse partito per questa maledetta “missione”, a quest’ora sarebbero seduti sul divano, con una copertina e una bibita a guardare un film; o forse al cinema, o al bar, o magari a risolvere l’ennesimo caso. Qualsiasi cosa sarebbe stata perfetta, con lui al suo fianco.  A pensarci, sembra quasi un sogno lontano. 
D’un tratto, una goccia le cadde sul naso. Oh no, comincia a piovere! Non avendo con sé l’ombrello, cominciò a correre verso casa. 


                                                                                  *


Come ho fatto a sopravvivere? 
Questa domanda non gli dava pace. Aveva il giubbotto antiproiettile e sapeva di non correre grandi rischi, ma uno di quei sei proiettili l’aveva comunque colpito al fianco e un altro gli aveva colpito di striscio il collo. Nonostante tutte le precauzioni, né lui né Shinichi avrebbe potuto immaginare che potesse finire così. 
Stava camminando nei pressi nel parco, quando cominciò a piovere. 
Ci mancava solo la pioggia… pensò infastidito Heiji. 
Da quando l’avevano portato in ospedale, era già scappato due volte. 
Le ferite non erano ancora guarite del tutto, ma lui si sentiva già molto meglio, nonostante i dolori che ogni tanto tornavano a farsi sentire e non gli davano tregua. Le infermiere e i dottori lo avevano rimproverato non poco, aveva ancora bisogno di riposo e nelle sue condizioni, uscire avrebbe causato solo danni. 
- “Le ferite potrebbero riaprirsi, hai ancora i punti. Sei debole, potresti svenire da un momento all’altro!” gli avevano detto. E lui, sfacciato come al solito, aveva risposto: “Ho rischiato di morire, non sarà una passeggiata a spaventarmi!”
Così avevano rinunciato a seguirlo, lasciandogli fare ciò che voleva. Si limitava a fare piccole passeggiate, senza allontanarsi troppo. Ne aveva bisogno per allentare la tensione e per riflettere in tranquillità. 
Già, ho rischiato di morire. 
Questa consapevolezza lo aveva cambiato nel profondo. E’ una consapevolezza che acquisisci nell’attimo esatto in cui ti rendi conto che l’aria che esce dalla tua bocca sarà il tuo ultimo respiro, che quella davanti a te è l’ultima persona che potrai vedere, la persona alla quale potrai dire le tue ultime parole. 
E quella persona non era Kazuha. 
Per quanto tu possa essere pronto a morire, per quanto sia valida e onorevole la causa per cui ti sacrifichi, quando vedi la morte davanti ai tuoi occhi non puoi fare a meno di avere paura. Paura di non aver vissuto abbastanza, paura di essere dimenticato, di non aver lasciato una traccia indelebile del tuo passaggio sulla terra, di non aver avuto il coraggio di confessare qualcosa di importante. 
Di non aver confessato il mio amore a Kazuha. 
Perché nel profondo del suo cuore, Heiji sapeva che la risposta alla sua domanda poteva essere solo una: perché c’è Kazuha. 
Ecco dove aveva trovato la forza di sopravvivere, ecco perché era sopravvissuto: perché il suo destino era stare al fianco di Kazuha. Lui voleva stare al fianco di Kazuha. Eh dannazione, l’avrebbe fatto!

La gocce di pioggia cominciavano a cadere copiose. Heiji non poteva far altro che correre verso l’ospedale, per evitare di bagnarsi ulteriormente; temeva che le ferite potessero riaprirsi. 
Corse veloce, per quanto poteva, coprendosi la testa con il cappuccio della felpa, più grande di qualche taglia. 
 Dannazione, non vedo nulla così… 
Non appena svoltò l’angolo di un negozietto, si scontrò con una ragazza minuta che correva nella direzione opposta. Nello scontro, lei cadde per terra. 
- “Ahi, ma stia attento! Guardi dove va la prossima volta!” urlò lei, irritata e furiosa. Era caduta proprio su una pozzanghera, bagnandosi completamente i vestiti già umidi. 
- “Mi scusi, ma è stata lei a venirmi addosso!” rispose di rimando il ragazzo. Che seccatura, pensò.
Cominciò a diluviare. 
Senza nemmeno togliersi il cappuccio dal viso, le porse una mano. “Venga, la aiuto io…” 
La ragazza seppur sbuffando, accettò l’aiuto e afferrò la mano del ragazzo. Facendo forza sul braccio la sollevò, ma quello sforzo affaticò il fianco già stanco e dolorante; il dolore era lancinante, una fitta equivalente a mille spine. 
- “Cos’ha? Non si sente bene?” gli chiese la ragazza, notando il suo improvviso malessere.
- “Ah, il fianco…” bisbigliò lui. Heiji faticava a tenersi in piedi, e non avendo nulla a cui appigliarsi, per evitare di cadere a terra si appoggiò alla ragazza, ancora in piedi di fronte a lui. 
Che buon profumo, mi ricorda tanto quello di Kazu… 
 Involontariamente Heiji appoggiò la testa sulla spalla della ragazza e in quel momento il cappuccio largo scivolò indietro, scoprendogli il viso. Si rese conto di essersi affaticato troppo, la vista cominciava ad annebbiarsi leggermente. Ho le allucinazioni… pensò.
- “Heiji… ma allora sei davvero tu…” gli occhi della ragazza erano spalancati, lucidi per l’emozione. Sì, era lui. Quella voce così simile alla sua, quella mano, possibile che non l’avesse riconosciuto? Pochi minuti prima desiderava sapere dove fosse, ed ora era lì fra le sue braccia. Lo strinse forte a sé. Mi sembra un sogno!
- “Heiji?” ripetè ancora. Il ragazzo si voltò, la vide e sorrise. Sei proprio tu, Kazuha.
- “Con tutti i tredici milioni di abitanti, dovevo andare a sbattere proprio con te!”. I due si guardarono negli occhi per qualche istante, poi scoppiarono a ridere. 
Rimasero lì per qualche secondo ridendo a crepa pelle, come quando erano ragazzini. Ridevano per la gioia inaspettata, per la felicità di trovarsi abbracciati sotto la pioggia. In quel momento Heiji dimenticò l’Organizzazione, dimenticò di essersene andato, lasciandola sola in quel modo, dimenticò il dolore; Kazuha dimenticò le bugie, le delusioni, le preoccupazioni. 
Fu come se non si fossero mai lasciati, se nulla fosse cambiato. 
La pioggia continuava a scendere fitta sui loro volti, i loro capelli erano fradici, così come i loro vestiti. 
- “Sei tutto bagnato” disse poi Kazuha, con voce premurosa. “Vieni da me, ho dei vestiti asciutti anche per te.”

                                                                                             
                                                                                              *


- “Posso entrare?” 
- “Sì, prego.”
Eisuke aprì lentamente il fusuma scorrevole. Dosò i suoi passi, stando attento a non fare troppo rumore.
- “Non ti preoccupare, entra pure” sorrise lei. 
Rena era seduta sul suo futon, stava sorseggiando un tè caldo e sulle gambe teneva un libro aperto. Non appena Eisuke si avvicinò a lei, lo chiuse e lo mise da parte. 
- “Ti ho disturbato?” le chiese timidamente. La sua voce era dolce e fine, emanava una tenerezza tale che avrebbe fatto compassione anche al peggiore dei criminali. 
- “Certo che no, accomodati pure.” La delicatezza della donna, non era da meno. 
Entrambi mostravano una compostezza e una cortesia rari, frutto di una educazione esemplare. Guardandoli, chiunque avrebbe affermato che i loro genitori avevano fatto un buon lavoro, crescendoli seguendo quei rigidi valori. 
- “Vuoi dirmi qualcosa?” gli chiese lei, cercando di rompere il silenzio che si era creato. Si era finta sorpresa per la visita del ragazzo, ma in fondo sapeva benissimo che quell’incontro, prima o poi, sarebbe avvenuto. E se il suo intuito non sbagliava, pensava di conoscere già la domanda che il ragazzo le avrebbe posto.
- “Tu sei mia sorella, vero?” il suo tono di voce, seppur rimanendo calmo e dolce, nascondeva un velo di rabbia. Perché lui ne era certo, aveva scoperto la vera identità di quella donna, ma aveva bisogno di spiegazioni. E solo lei poteva sciogliere quei dubbi che aveva portato con sé fin da bambino. 
Perché papà se n’è andato? Perché tu te ne sei andata? Perché mi avete abbandonato?
Rena abbassò lo sguardo, poi chiuse gli occhi per qualche secondo, come per cercare dentro di sé le parole giuste da utilizzare. Posò la tazza di tè sul pavimento, poi i suoi occhi si posarono su quelli di Eisuke. In quell’istante, le sembrò di guardarsi allo specchio.
- “Sì, sono io”, disse con un filo di voce, “sono Hidemi”. Le sue mani, così come quelle di Eisuke, cominciarono a tremare. Lui la guardava incantato, senza mai spostare lo sguardo dalle sue labbra, il fiato sospeso. I suoi occhi sembravano intimarla a continuare il racconto.
- “Ho sempre saputo che tu eri mio fratello. Ti ho visto crescere, seppur da lontano. Avrei tanto voluto stare al tuo fianco, consolarti nei momenti brutti e gioire con te nei momenti belli. Avrei voluto tanto, credimi…” si fermò, poi gli afferrò la mano, cercando di trovare in lui il coraggio per continuare. “Eisuke, io non ho mai smesso di volerti bene.”
- “Allora perché te ne sei andata?” la sua voce divenne rotta, a malapena riusciva a trattenere le lacrime. Aveva atteso quel momento da così tanto tempo e ora che lei era lì davanti, la rabbia e il rancore che aveva portato nel suo cuore per tutti quegli anni, si stavano dissolvendo al suono delle sue parole. “Ricordo solo che stavo giocando in camera mia, tu sei entrata, mi hai dato un bacio sulla guancia e dopo avermi detto -devo uscire, torno presto- te ne sei andata, ma non sei più tornata…”
- “Non avevo altra scelta…”
- “Ti ho aspettato Hidemi, ti ho aspettato per così tanti anni… ho creduto addirittura che fossi morta!” 
La donna non rispose. Temeva che il dolore e la rabbia del fratello fossero troppo forti e radicati, per essere perdonati dopo un solo incontro. 
- “Ho bisogno di spiegazioni”, la supplicò Eisuke. Hidemi cominciò a raccontare… 
- “Ero entrata da poco a far parte della CIA. Mi avevano affidato un compito pericoloso, e nonostante papà mi avesse chiesto di non accettare, io lo feci. Entrai a far parte dell’Organizzazione come infiltrata. Ma gli Uomini in Nero scoprirono presto il mio segreto e la mia vita fu in serio pericolo. Papà allora decise di sacrificarsi, per salvare me e le ricerche della CIA.” fece una pausa e i suoi occhi si inumidirono. Qualche lacrima cominciò a bagnare il viso del giovane Eisuke. 
- “Papà mi dette appuntamento in luogo isolato, per poter parlare con calma senza essere scoperti. Ma era una trappola, l’Organizzazione mi aveva seguito e papà lo sapeva. Voleva dar loro la prova della mia fedeltà.” 
- “..continua, ti prego” disse lui, notando la sorella in difficoltà. Ora lacrime copiose scendevano anche sul viso della donna. 
- “E’ doloroso da raccontare” 
- “Io devo sapere!” insistette il ragazzo. 
- “A quel punto… a quel punto mi costrinse ad ucciderlo!” subito si coprì il volto con entrambe le mani, mentre le spalle esili tremavano per i continui singhiozzi. Eisuke non trovo la forza per reagire, restò immobile, di fronte a quella scena pietosa. Si rese conto di quanto avesse sofferto Hidemi, più di quanto una donna giovane possa mai sopportare. E si sentì in colpa per aver dubitato di lei, per aver anche solo pensato che avesse potuto abbandonarlo. 
- “Da allora diventai un membro dell’Organizzazione. E credimi, la rabbia che ho portato dentro il mio cuore per tutti questi anni, mi ha avvicinato a loro più di quanto potessi mai immaginare. La rabbia mi stava trasformando in ciò che volevo combattere, per un attimo ho temuto di toccare il fondo e stavo per rendere vano il sacrificio di nostro padre. Ma pensare a te, Eisuke, che eri così lontano da me, mi dava la forza per andare avanti, di ritrovare me stessa, persa in quel mare di crudeltà che ogni giorni mi circondava.” 
- “Hidemi…” il ragazzo si lasciò andare, si gettò sul suo grembo e le strinse i fianchi. La ragazza ricambiò quell’abbraccio, stringendo forte a sé il fratello. Gli baciò la fronte, le guance e le mani. Da così tanto tempo non sentiva pronunciare il suo vero nome. “Perdonami, Eisuke!” 
Rimasero abbracciarti per un tempo lunghissimo, il tempo necessario a comprendersi, a dissolvere la distanza che in tanti anni li aveva separati. Il tempo necessario per tornare ad essere fratelli.




Note dell'autrice.
- fusuma: sono pannelli verticali rettangolari, che scorrendo ridefiniscono la struttura delle stanze giapponesi, o fungono da porte, all'interno delle abitazioni traduzionali.
- futon: è il materasso traduzione della cultura giapponese, interamente in cotone, rigido, sottile e arrotolabile.
- miso: è un condimento derivato dai semi della soia gialla, cui spesso vengono aggiunti cereali come orzo o riso, segale, grano saraceno o miglio.
- ramen: è un piatto tipico giapponese a base di tagliatelle di frumento servite in brodo di carne o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso. 

Eccomi, sono tornata con un nuovo capitolo. Purtroppo passerà un po' di tempo fra una pubblicazione e l'altra, ma sono molto impegnata con lo studio e spero mi perdonerete. In questo capitolo, mi sono concentrata solo su alcuni personaggi, tralasciandone altri. Avrei messo tutti, ma il capitolo sarebbe risultato troppo lungo! Così ho deciso di approfondirli nel prossimo capitolo. Per tutte le amanti di Shiho, non disperate, non l'ho dimenticata! Anzi, annuncio un piccolo spoiler: il prossimo capitolo sarà dedicato quasi completamente a lei e al suo passato! 
Detto questo, spero che vi piaccia! Ringrazio con tutto il cuore tutti i lettori e chi ha dedicato il suo tempo per scrivere una recensione!
Siete molto gentili :)
A presto, 
Peach Blossoms. 



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