La bella addormentata

di Curleyswife3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** KURAMA ***
Capitolo 2: *** La macchina psichica ***
Capitolo 3: *** A mali estremi... ***
Capitolo 4: *** LAST FRIDAY NIGHT ***
Capitolo 5: *** Il ritorno di Kurama ***
Capitolo 6: *** Amara come assenzio ***
Capitolo 7: *** Un vero uomo! ***
Capitolo 8: *** Il raggio cambia-sesso ***
Capitolo 9: *** Final Fantasy ***



Capitolo 1
*** KURAMA ***


Buongiorno amici, è la prima volta che mi cimento in questo fandom... quindi, per favore, siate clementi.
Leggendo qua e là su efp ho ritrovato questo anime che quando ero bambina adoravo. Già, incredibilmente, lo adoravo.
Nonostante la brutalità, il pessimismo cosmico e le giapponesate che si sprecavano.
Boh, sarà perché forse allora non lo capivo bene, però c'era Marin.
C'era il suo ciuffo ribelle, c'era il suo sguardo sempre fisso su tramonti struggenti e io mi scioglievo.
Così, grazie a telesette e a fandani03, mi è venuta voglia di scrivere un po' di loro.
Però, dato che lì loro si prendono sempre troppo sul serio, tutti, ho deciso di fargli staccare un po' la spina.
E questo è il risultato, spero vi piaccia. :)
Dimenticavo: ovviamente questi personaggi non mi appartengono e sto' raccontino è stato scritto senza scopo di lucro, ma solo per il mio personale divertimento.
L'avvertimento OOC l'ho inserito perché i personaggi sono un tantino sopra le righe.

CAPITOLO PRIMO

KURAMA


“Che meraviglioso cielo stellato!” sospirò Jamie Oshino.
Spostò lo sguardo sul ragazzo in piedi al suo fianco.
“Sai, Marin” continuò, con voce dolcissima “qui sulla Terra si dice che se esprimi un desiderio mentre cade una stella, il tuo desiderio si avvererà...”.
“Guardate!” la voce eccitata di Raita Hokuto la fece quasi sussultare.
“Guardate” ripeté il giapponese, indicando il cielo “una stella cadente!”
“Oh, sì, è vero” intervenne Oliver Jack “Adesso dobbiamo esprimere un desiderio...”.
Jamie alzò gli occhi verso il morbido smalto blu di quel cielo dalla tinta così profonda, allora non più gonfio di nuvole cariche di pioggia, ma sorridente come un pezzo di porcellana.
Giunse le mani e sussurrò: “Desidero che Marin finalmente si accorga di me”.
Marin a sua volta fissò il cielo stellato, serrò i pugni, scosse i capelli e disse fieramente: “Desidero uccidere Gattler e vendicare mio padre!”.
Oliver guardò di sottecchi l'amica bionda e disse nel suo cuore: “Desidero che Jamie finalmente capisca che sono io l'uomo giusto per lei”.
Raita si passò una mano sullo stomaco e mormorò: “Desidero tornare a casa e aprire un chiosco di ramen”.
D'un tratto, la stella cadente smise di cadere e iniziò a precipitare, sempre più vicina, sempre più luminosa.
Oliver fece un passo indietro e indicò l'oggetto il cui fulgore adesso riempiva tutta la volta celeste.
“Ehi” gridò “sembra che si stia avvicinando!”.
Dopo una curva repentina, il bolide infuocato andò a schiantarsi con una fragorosa esplosione oltre la collina alle spalle della base. 
I quatto si guardarono un istante negli occhi.
“Potrebbe essere un UFO” disse Raita.
“Dobbiamo andare a vedere” esclamò Marin.
Gli altri annuirono.

                                                                                                       ***
“E' caduto da queste parti, no?” chiese Oliver, arrancando lungo il pendio in discesa.
Marin era già corso avanti.
Jamie si slanciò dietro di lui, ma inciampò su un sasso e con un gridolino gli si avvinghiò. Lui cadde a sedere sull'erba, con lei sulle ginocchia.
“Oh, Marin” cinguettò Jamie, arrossendo.
Oliver sollevò gli occhi al cielo.
Il ragazzo dai capelli verdi si massaggiò la schiena.
“Jamie, sei stata leggera come una piuma...” bofonchiò.
A un tratto si rese conto di essere caduto su qualcosa di morbido, qualcosa che... si muoveva ed emetteva strani suoni.
Si rialzò, Jamie appesa al suo braccio.
“E questo che cos'è?” fece Oliver, che li aveva appena raggiunti.
Davanti ai loro occhi si agitava un grosso corvo nero, il più grosso che avessero mai visto. E come se non bastasse era anche vestito con un elegante kimono di foggia antiquata. Le zampette calzate in elaborati geta di legno chiaro.
“Incredibile” esclamò Raita “questo... questo è un goblin!”.
“Un goblin dal naso lungo”.
Marin lo sollevò per la collottola, guardandolo con curiosità.
“Un goblin?” ripeté, sorpreso.
Il corvo aprì gli occhi, mugolando per il dolore, e poi lo fissò.
Sbattè  le palpebre più volte, mettendo bene a fuoco.
Poi, d'improvviso, esclamò con entusiasmo: “Ho trovato il marito giusto per la principessa Kurama!”.
I quattro uomini sgranarono gli occhi, sbalorditi.
“Va bene, veniamo subito” gracchiò un'altra voce "corvina" da quella che aveva tutta l'aria di essere una ricetrasmittente.
All'improvviso, senza che nulla - in una tiepida notte d'estate come quella - lo lasciasse presagire, cominciò a soffiare un vento fortissimo.
Jamie cadde all'indietro sull'erba con un gemito, Oliver e Raita vennero trascinati via e solo per miracolo riuscirono ad aggrapparsi al tronco di un albero.
Marin, invece, fu afferrato per le spalle dal goblin. Il corvo sbattè le ali con una forza che nessuno avrebbe potuto immaginare e spiccò il volo.
Lui cercò di divincolarsi e cacciò un grido, ma venne sollevato da una folata più violenta delle altre e risucchiato su nel cielo.
“Vieni” gracchiò l'uccello, levandosi in volo “viaggeremo sulle ali del vento!”.
Jamie si rialzò e tese le mani verso di lui.
“Mariiiiiiiiiiiin!” strillò, impotente.

                                                                                                   ***

Il tornado sospinse il goblin e Marin fino a una grossa astronave di forma circolare, dove un portellone si spalancò al loro arrivo.
Cessato il vento, l'uccello atterrò senza problemi in un frullio di piume color carbone, mentre il ragazzo cadde pesantemente sul pavimento metallico.
“Ahi!” gemette.
Due volte in dieci minuti erano troppe anche per il suo marmoreo fondoschiena.
Si rialzò subito e si guardò intorno, sbalordito: quello era certamente un U.F.O., ma non aveva niente a che vedere con i suoi conterranei di S1.
Il che - considerò - era certamente un buon punto di partenza.
Già, soprattutto perché, toccandosi il fianco, si accorse che non aveva più con sé la sua pistola; probabilmente gli era caduta durante il volo.
Davanti a lui c'erano una gran quantità di strane apparecchiature ricoperte di tasti e lucine luminose; sul pavimento e sui computer stavano appollaiati una decina di grossi corvi, tutti vestiti come quello che lo aveva rapito, che lo guardavano con curiosità.
Fece un passo verso di loro.
Il più anziano - Marin lo capì perché aveva le piume non di un nero brillante come gli altri, ma venate di grigio - che pareva anche il più autorevole, gli saltellò incontro.
Lo squadrò da capo a piedi.
“E così” disse alla fine, come soddisfatto da quell'esame “è questo il nuovo marito della principessa Kurama?”.
“Non è male” confermò un altro goblin dall'aria pasciuta.
Il ragazzo sgranò gli occhi.
Marito? Lui? E di chi?
Il primo uccellaccio che aveva conosciuto gli svolazzò intorno allegramente.
“È molto bello, primo consigliere, non è vero?” domandò, compiaciuto.
“Sì” fece l'altro “Però è anche molto giovane. E sembra inesperto”.
Pensieroso, aggiunse: “È una faccenda delicata...non so se sarà all'altezza”.
Marin approfittò di quel momento di distrazione per slanciarsi verso l'uscita: non aveva idea di dove fosse capitato o di cosa avessero in mente quegli strani esseri, ma di certo la sua vita era già abbastanza complicata e non aveva bisogno di altre seccature. Mogli comprese.
“Ehi” gracchiò il goblin “ehi, guardate, il mio prescelto sta scappando!”.
Nuovamente si alzò un vento potentissimo, che trascinò il ragazzo a terra. Lui tentò di divincolarsi, di scalciare e di rialzarsi, ma non c'era niente da fare.
“Ma si può sapere che diavolo volete da me?” esalò alla fine.
Il goblin anziano si posò accanto a lui e lo fissò con i suoi occhietti lucenti.
“Dovrai rischiare la pelle con la principessa Kurama per una notte”.
Lui rimase a bocca aperta, cercando di capire dove volesse andare a parare quella strana creatura.
D'un tratto, comprese.
“E dare alla nostra stirpe un successore” concluse il corvaccio.
“Perché non ve la giocate tra voi goblin dal naso lungo?” domandò allora Marin, indignato.
La sua mente si era improvvisamente affollata di raccapriccianti immagini di femmine di corvo col becco impiastricciato di rossetto, che lo guardavano con aria lasciva.
“Sul nostro pianeta” gli rispose l'uccello con calma “non ci sono esseri umani, perciò stiamo cercando uomini alieni come te”.
“Lasciatemi andare!” gridò Marin, rialzandosi.
“Dovrete trovare qualcun altro!”.
In quel momento, con un sibilo metallico di spalancò una porta e nella stanza circolare venne spinta una lunga teca argentata; come una bara, ma con il coperchio di cristallo.
“Aspetta” disse il corvo “lascia che ti mostri quanto è bella la nostra principessa”.
Marin si avvicinò alla teca, ormai al centro della camera.
Guardò al suo interno e piegò la testa da un lato, a bocca aperta.
Profondamente addormentata, le braccia conserte sul petto, giaceva la fanciulla più bella che avesse mai visto in tutta la sua vita.
A un cenno del consigliere, il coperchio di cristallo venne fatto scorrere e Kurama, la principessa dei goblin, apparve in tutto il suo splendore.
La sua pelle diafana emanava un tenue profumo di fiori, il petto morbido si sollevava e si abbassava appena. Le labbra dipinte di rosso erano una curva minaccia, diabolicamente seducente.

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Il ragazzo la fissò per qualche istante, come incatenato.
“Avanti” lo incoraggiò un goblin “su, dalle il buongiorno con un bel bacio!”.
Però Marin si riscosse, agitò la chioma e serrò le mascelle.
“Non posso” disse, a voce alta.
I goblin sollevarono gli occhi su di lui, sbalorditi.
“Non posso” ripeté, voltandosi verso l'uscita.
“Ho dedicato la mia vita a sconfiggere le armate di Aldebaran, a salvare questo pianeta e a vendicare mio padre. Non ho tempo per queste cose”.
Drizzò le spalle, gonfiò il torace e si avviò.
Ma ancora una volta il vento lo riprese e lo trascinò indietro.
Questa volta con una tale forza che il giovane, senza sapere nemmeno come, si ritrovò accanto alla teca della principessa; urtò contro il bordo e perse l'equilibrio.
Una sapiente spinta del consigliere anziano, data al momento opportuno, lo fece cadere proprio addosso alla fanciulla addormentata.
Senza volerlo, posò per un istante le sue labbra su quelle di lei.
Si rialzò immediatamente, vergognoso, ma ormai era troppo tardi.
Perché la principessa Kurama aveva aperto i suoi meravigliosi occhi di velluto nero e lo fissava con aria sognante.
Si sollevò e gli sorrise.
Lo fissò, senza smettere di sorridere.
“Oh” sospirò “Tu sei mio marito... Sono così felice di conoscerti!”.
La sua voce era carezzevole come un gatto che fa le fusa davanti al camino una sera d'inverno.
Marin però fece un passo indietro.
“Ehm... no, mi dispiace, c'è stato un equivoco” disse.
Kurama spostò lo sguardo - stavolta divenuto tagliente come una lama - sui tengu, appollaiati lì intorno.
Il ragazzo proseguì con tono fermo.
“Mi dispiace, principessa, ma come ho cercato di spiegare ai suoi consiglieri io non posso assolutamente pensare a queste cose.
Non c'è posto nella mia vita per l'amore. Né tanto meno per una moglie.
Le mie energie sono tutte dedicate a combattere le schiere di Aldebaran...”
“...e a vendicare tuo padre, abbiamo capito!” completò il primo goblin.
Lui lo guardò con stizza per un secondo.
I goblin fissarono la principessa, in attesa di ordini.
Ma lei non fece niente, si limitò a osservare il giovane senza profferir parola.
Marin a passo svelto andò verso la porta.
Sulla soglia, si voltò e disse: “Mi dispiace, davvero. Però la Terra è in gravissimo pericolo e la sua salvezza dipende da me, solo da me”.
Scosse di nuovo i capelli color cobalto e uscì.
Un goblin diede di gomito al suo compagno.
“Certo che quel tipo sa cos'è un'uscita in grande stile...” sussurrò.
Kurama non aveva staccato gli occhi dalla porta dove il ragazzo era appena scomparso.
“Che parole appassionate” mormorò “Non mi importa che sia già sposato con la sua causa...”,
Socchiuse le palpebre bistrate.
“Non mi importa: io lo desidero”.

(CONTINUA)

Angolino dell'autrice: per chi non lo sapesse, Kurama (o Glamour) è un personaggio di Lamù. È una bellissima principessa aliena che vaga alla ricerca di un marito che la risvegli dal suo sonno con un bacio. Solo che in Lamù, poraccia, incontra Ataru Moroboshi.
Kurama va in giro scortata dai suoi sudditi, i goblin dal naso lungo o tengu, folletti della tradizione giapponese; è armata di una grossa foglia con la quale può provocare improvvise raffiche di vento per attirare a sé qualcuno o farlo volare via.
Questa storia è ripresa dagli episodi dell'anime in cui compare Kurama (17, 18 e 24 credo).
I ramen sono le tradizionali tagliatelle in brodo giapponesi.
Che il fondoschiena del protagonista sia marmoreo credo non si discuta; per le scettiche, vedasi la famosa scena della doccia. No, non quella di Psycho (in Baldios già stanno inguaiati, ci manca solo il killer psicopatico), bensì quella della puntata n. 11.
Chiedo perdono alle fans di Jamie, ma qui mi serviva particolarmente oca; sì, lo so, Marin scuote sempre il ciuffo. Sempre.
Dicevo, Kurama nell'anime è svegliata da Ataru.
Mo', capirete che se il passaggio è da questo

 

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a questo

 

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la ragazza non ci capisce più niente.
Per l'idea del confronto fotografico sono debitrice a innominetuo e alla sua fic "Tesoruccioooo!!!"

A presto col secondo capitolo.

 


 

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Capitolo 2
*** La macchina psichica ***


Comincio ringraziando fandani03 e innominetuo che hanno voluto lasciarmi un pensiero, ma anche chi semplicemente ha avuto la pazienza di leggere.

 

 

CAPITOLO SECONDO

 

 

La macchina psichica

 

“Ah, ah, questa sì che è una storia divertente!”.

Raita era piegato in due, Oliver aveva le lacrime agli occhi.

Bannister e la professoressa Quinstein, invece, chiacchieravano amabilmente tra loro godendosi il tramonto dalla bella terrazza panoramica che dava sul mare.

Jamie, anziché perdere il suo sguardo azzurro nell'orizzonte corrusco come faceva sempre, in quel momento squadrava Marin con un'aria un po' offesa, quasi che per la prima volta in vita sua non riuscisse a credere che le aveva detto la verità.

Il ragazzo di S1, dal canto suo, non capiva la reazione dei suoi amici: con Kurama le cose erano andate esattamente come lui aveva raccontato... e invece quei due parevano quasi divertirsi a prenderlo in giro.

Boh, evidentemente i terrestri avevano uno strano senso dell'umorismo.

E come se non bastasse, Jamie sembrava - chissà perché - in collera con lui ed evitava di rivolgergli la parola.

“Se è davvero la principessa dei goblin” esclamò il biondo a un tratto, asciugandosi gli occhi “sono proprio curioso di vedere che faccia ha!”.

“Forse ha un bel becco adunco” rincarò la dose l'altro pilota “o magari un naso come Pinocchio”.

Marin non capiva la battuta, ma non gli sfuggiva il tono insolente dei compagni e cominciava a scaldarsi.

Però, prima che il ragazzo potesse reagire, d'un tratto un'impetuosa raffica di vento preannunciò che qualcosa di strano stava per accadere.

Di nuovo.

Bannister e la professoressa, allarmati, corsero verso i piloti che cercavano di non essere trascinati via aggrappandosi alla ringhiera.

Un'imperiosa voce femminile alle loro spalle li fece sobbalzare.

“Come vi permettete di parlare così di me?” tuonò Kurama, in piedi davanti alla balaustra.

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Le gambe divaricate, le labbra frementi per l'indignazione.

Eppure, nonostante questo, incredibilmente seducente.

“Io non sono una ragazza qualunque” continuò, rivolgendosi minacciosa ai due uomini “sono una principessa e il mio nome è Kurama!”.

Svelta si avvicinò al gruppetto, che la fissava senza fiato.

Inguainata in un corpetto nero chiuso da stringhe sottili che lasciavano ben poco all'immaginazione, una fascia di seta gialla a sottolineare l'estrema snellezza della vita che poi l'allargava fino alla ricchezza dei fianchi, la principessa dei goblin era semplicemente spettacolare.

Nella mano destra brandiva una grossa foglia di fico, con la quale era stata capace di suscitare quell'inaspettata tromba d'aria.

Jamie fu la prima a ritrovare la parola.

Rivolse a Marin uno sguardo che per poco non lo incenerì.

“T-tu hai baciato quella lì!” esclamò.

E me invece mai!” pensò la ragazza, sull'orlo delle lacrime.

“Tu hai baciato quella lì!” le fece eco la professoressa Quinstein con aria ugualmente accusatoria.

Lascia che ti rimetta le mani addosso, ingrato ragazzino” si disse la scienziata “e grazie alla mia macchina encefalica il tuo cervello sarà ridotto a un etto di stracchino scaduto in meno di trenta secondi”.

“Tu hai baciato quella lì!” esclamarono in coro Oliver e Raita, ammirati.

“Tu hai baciato quella lì?” domandò incredulo il comandante Bannister, ridendo sotto i baffi.

Marin voleva sprofondare.

Kurama, invece, annuì con un sorriso e si avvicinò al ragazzo.

Un grosso corvo dall'aria autorevole planò sulla ringhiera.

“Da noi vige la regola” sentenziò “che chi si bacia deve poi unirsi in matrimonio”.

“Assolutamente” aggiunse, fissando il giovane dai capelli verdi.

Lo sguardo incandescente della principessa ebbe l'effetto di scuoterlo come un elettroshock.

Fece un passo avanti.

“Principessa Kurama” esclamò, con la sua migliore espressione risoluta “Sono lusingato dalla tua offerta, ma ti ho detto e ti ripeto che io non posso.

La mia vita è qui, in questa base”.

Si guardò intorno.

“Al fianco dei miei compagni”.

Jamie per poco non svenne dalla gioia.

“Spiacente” replicò però la sovrana dei goblin, con un sorrisetto “Ma questa ipotesi non è contemplata”.

Gli si avvicinò e lo afferrò per un braccio.

A quel punto la bionda non ci vide più, balzò come una leonessa accanto a Marin e lo strattonò violentemente per l'altro braccio.

“Vattene subito, principessa dei miei stivali!” gridò, il pugno levato in aria.

La Quinstein a sua volta avanzò minacciosa verso la sovrana dei tengu.

“Già, non hai sentito?” rincarò la dose “Lui non ti vuole!”.

Bannister la fissava stravolto.

Raita diede di gomito a Oliver e bisbigliò: “Questa è la prima volta che sono felice di essere solo un comprimario”.

L'altro annuì.

“Mio caro...” disse Kurama, con un'espressione beffarda che fece schiumare di rabbia le altre due donne.

Non le guardava nemmeno, fissando solo Marin.

“Perché ti circondi di persone che si comportano in modo così sciocco e volgare?”.

“Andiamo, vieni con me!”.

Agitò con forza la foglia che stringeva tra le mani e subito di levò una raffica impetuosa di vento, che fece rotolare tutti a terra.

Quando si rialzarono, Marin era sparito per la seconda volta.

 

***

 

“Cos'hai in mente, principessa?” domandò il primo consigliere, posandosi sulla sua spalla.

“Sto cercando di risalire alle cause che lo rendono così poco interessato alle donne” replicò Kurama, piegandosi sul macchinario davanti a lei.

Marin sedeva, gambe incrociate e braccia conserte sul petto, su una specie di poltroncina; sulla fronte, sulle spalle e sul torace erano stati applicati dei piccoli sensori collegati a un grosso schermo.

Il ragazzo aveva un'aria decisamente contrariata.

“La mia macchina psichica mi aiuterà a leggere nella sua mente” concluse Kurama.

Lui fece una smorfia e girò la faccia con espressione sdegnata.

“Meglio” esclamò “così potrai vedere quali sono i nobili pensieri che governano le mie scelte”.

La principessa alzò gli occhi al cielo.

“Cominciamo” disse, pigiando un tasto rosso.

In quell'istante, la porta dell'U.F.O. venne fatta saltare con un potente fascio di energia e i Blue Fixer, seguiti a ruota dalla Quinstein, si precipitarono dentro.

La scienziata non appena vide l'apparecchiatura assunse un'espressione di viva curiosità, si avvicinò e parve dimenticare la causa della loro corsa a perdifiato fuori dalla base alla ricerca del giovane alieno dai capelli verdi.

“Accidenti...” mormorò, ammirata.

“Ma questa assomiglia alla mia macchina encefalica...solo che sembra molto più potente”.

Due dei goblin le saltellarono accanto.

“Ma che tipo di transistor avete installato?” domandò, lanciandosi immediatamente in un'accanita e complicatissima discussione scientifica con i due uccelli, della quale nessuno dei suoi compagni capì nulla.

Nel frattempo, sullo schermo iniziarono a formarsi delle immagini. Prima sfocate, poi via via sempre più nitide.

Jamie fissò il monitor piena di curiosità.

Di certo non le sarebbe mai più capitata l'occasione di capire cosa passava - letteralmente - per la mente il ragazzo dei suoi sogni.

Ok” tirò un sospiro di sollievo “niente che non mi aspettassi”: desolati panorami di S1 devastato dall'inquinamento, un furibondo combattimento in un laboratorio isolato, un tale con la barba che muore malissimo desiderando invano di rivedere il mare (“oh, povero caro, adesso capisco molte cose!”), Marin che uccide con una scheggia di metallo (“ah, però, che mira il mio amore...”) un insulso tipaccio... Aphrodia in bikini... un tramonto dorato sul mare... esplosioni nucleari, bombe fotoniche...

Eh?

Aphrodia in bikini?!

Oliver e Raita si concessero un sorrisetto, Kurama si accigliò, la Quinstein ancora discuteva di circuiti integrati.

Jamie si morse le labbra.

Vabbè, sarà stato un caso, andiamo avanti”.

E di nuovo oceani luccicanti nella luce dell'alba, albe dorate, mari spumeggianti al tramonto, tramonti sul mare...

...e che due palle!” sbuffò Oliver.

...onde che lambivano spiagge deserte, cieli rutilanti di radiazioni gamma, Gattler con una smorfia di trionfo sul grugno, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, raggi B balenanti nel buio vicino alle porte di Tannhauser...

Bello però, pare un film” considerò Raita.

… Emy Latin sotto la doccia.

Jamie e Kurama sgranarono gli occhi.

Marin non sapeva più dove guardare.

A un tratto serrò le palpebre, tutto concentrato.

Gattler. Gattler che faceva il saluto romano. Gattler con Aphrodia al suo fianco. Gattler con il braccio sulle spalle di Aphrodia. Gattler che fissava con intensità Aphrodia. Gattler. Gattler. E ancora Gattler.

Il macchinario iniziò a vibrare paurosamente, emettendo strane luci colorate.

“Principessa!” strillò un goblin.

“Attenzione, il suo desiderio di vendetta è troppo forte... la macchina sta per saltare in aria!”.

***

Marin si staccò di dosso gli elettrodi con aria schifata e balzò in piedi.

Aveva perso già troppo tempo in quel posto.

Kurama però non aveva nessuna intenzione di lasciarlo andare.

“Avanti, prendetelo!” ordinò ai suoi servitori. In un istante, il ragazzo venne circondato da una ventina di corvi che lo afferrarono per i vestiti e lo immobilizzarono.

“Che cosa vuoi fargli ancora?” gridò Jamie, parandoglisi davanti.

“Voglio usare su di lui il raggio-anima per modificare la sua personalità!” replicò secca la principessa.

Tese verso il giovane l'arma-foglia, che subito iniziò a lampeggiare di sinistri bagliori viola.

“Non voglio essere rimodellato!” protestò Marin divincolandosi inutilmente.

“No, non ti permetterò di cambiarlo!” strillò Jamie.

“Levati di mezzo, tu” ringhiò Kurama, dandole una spinta.

“Come osi, brutta strega!” inveì l'altra, gettandosi addosso alla rivale.

Nel corpo a corpo che ne seguì, prima di cadere a terra l'aliena riuscì a scagliare un colpo che centrò il bersaglio.

Marin scivolò al suolo, pallidissimo, gli occhi chiusi.

Jamie accorse al suo fianco.

“Oh-oh” mormorò la principessa, pensierosa “Ho usato tutta l'energia-anima disponibile...”.

“E questo che vuol dire?”.

La voce della ragazza era incrinata dal terrore.

Kurama fece una smorfia.

“Che la sua personalità è stata stravolta...” rispose.

In quell'istante, Marin si rialzò.

Si passò una mano tra i capelli e sorrise.

Si guardò intorno senza smettere di sorridere, tirò fuori i pollici ed emise un sonoro “Ehiiii!”.

Fece un passo verso Jamie e le afferrò entrambe le mani, con improvviso ardore.

La fissò negli occhi, le cinse la vita con un braccio e le fece fare un casquè da antologia.

La bionda rimase a bocca aperta.

Occhi negli occhi, le sue labbra sempre più vicine.

Ok, mo' posso morire felice” pensò.

“Marin, Oliver, Raita!” la voce del comandante Bannister era concitata.

L'uomo si precipitò nella stanza con un'espressione serissima sul viso.

“Ma dove eravate?” gridò “Presto, sbrigatevi, Aldebaran ci attacca!”.

Marin sbatté le palpebre un paio di volte, il sorriso morì sulle sue labbra.

Si raddrizzò e immediatamente mollò la presa, correndo poi a perdifiato fuori dall'U.F.O.

Jamie si schiantò al suolo con un gemito sordo.

“Missione fallita” considerò mestamente il goblin anziano, saltellando sul pavimento.

 

 

(CONTINUA)

 

Angolino dell'autrice: questa parte della fic riprende l'episodio 18 di Lamù, in cui appunto Kurama sottopone Ataru alla sua macchina psichica. La cosa divertente è che evidentemente negli anni ottanta in Giappone si portavano le “macchine psichiche”, perché un'apparecchiatura del tutto simile fa la sua comparsa anche negli episodi iniziali di Baldios.

L'occasione era troppo ghiotta.

Emy Latin era la giornalista strafiga dell'episodio n. 15, quella che quando si leva il casco cominciano tutti a sbavare, Bannister compreso. Giuro.

La professoressa: non so perché, ma ho la sensazione che sul giovanotto ci abbia fatto anche lei un pensierino.

C'è una scena che fa molto “50 sfumature” in cui lui è incatenato al muro e lei deve cercare di stimolare uhm... qualcosa affinché lui ritrovi l'uso delle mani. Capirete che una fic bondage non ci starebbe male (e non è detto che non la scriva, prima o poi).

I pensieri del nostro eroe sono ripresi dal primo episodio (morte del padre, assassinio di Miran e blablabla). Quanto alla sua ossessione per il mare al tramonto, credo che Freud avrebbe da dire due o tre cosette.

Il saluto romano lo fanno davvero, vedere per credere.

Versione latin lover, Marin ovviamente cita Fonzie.

Che altro? Vabbè, i bastioni di Orione etc... lo sapete tutti che sono una citazione del mitico Blade Runner. Pinocchio e lo stracchino: sì, diciamo che non credo i nostri eroi ne abbiano conoscenza, considerateli quindi una licenza poetica.

Grazie a chi legge. :)

Nel prossimo capitolo, le devastanti conseguenze di un supercampo magnetico mentale (!)

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Capitolo 3
*** A mali estremi... ***


CAPITOLO TERZO
 
A mali estremi…
 
“Ma perché sono così sfortunata?” gemette la principessa Kurama.
“L’uomo che il destino ha scelto come mio sposo non ne vuole sapere di me!” strillò, battendo nervosamente sul pavimento il piedino calzato di pelle nera.
“Senza di lui sarà la fine della nostra gloriosa dinastia!”.
 “Principessa…” tentò di confortarla un goblin “su, non fare così…”.
“Sì” aggiunse un altro, posandosi sulla sua spalla “Forse non tutto è perduto”.
 
“Puoi ancora cercare di cambiare le cose, di migliorarlo”.
“Potresti tentare di trasformare la sua personalità…” intervenne un terzo uccellaccio.
La signora dei goblin dal naso lungo iniziò a camminare avanti e indietro misurando lo stretto spazio della sua astronave con passi veloci, le braccia conserte e un’espressione di intensa concentrazione stampata sul bel viso accuratamente truccato.
A un tratto si fermò, schioccò le dita ed esclamò: “Ho trovato! Userò su di lui il supercampo magnetico mentale!”.
I suoi servitori alati si scambiarono uno sguardo carico di preoccupazione.
“M-ma, principessa” azzardò il consigliere anziano “Il supercampo magnetico mentale… non ti sembra di esagerare?”.
“Già” aggiunse un altro “in fondo è soltanto un ragazzo, non sappiamo a quali conseguenze potrebbe andare incontro…”.
“Non mi interessa!” strillò Kurama, pestando i piedi.
“L’unico modo perché lui si abbandoni a me è trasformare completamente la sua mente e la sua anima e il supercampo magnetico mentale è la sola arma in grado di farlo”.
“È la mia ultima speranza” concluse, con aria decisa.
Afferrò un goblin per il kimono e, tenendolo davanti alla sua faccia, disse: “Andare a prendere Marin Reigan e portatemelo qui”.
La sua voce era fredda come una lama e altrettanto tagliente.
“Il futuro del mio regno dipende da lui”.
 
***
 
A passo svelto Marin Reigan s’inoltrò per un sentiero appena tracciato, irto di rocce grigio-bianche, abbandonando così la strada principale che conduceva alla base. Intorno a lui, solo bassi cespugli di ginestra e di cisto marino che esalavano nell’aria calda i loro tenui effluvi vegetali.
Un frinire ininterrotto di cicale, la luce accecante, il vento tiepido che asciugava il sudore e infine, dietro una parete di roccia, il mare: gli si rivelò d’improvviso in tutta la sua bellezza, splendente, abbacinante nella piena luce meridiana.
Appena increspato, crestato di schiuma bianca sulla sommità delle piccole onde che si frangevano sulla spiaggia assolata.
Respirò a pieni polmoni l’aria salmastra dell’oceano.
Una dolce brezza gli scompigliava i capelli, mentre camminava lungo la riva sabbiosa.
Cielo d’indaco sgombro di filacciose nubi, acqua di vetro blu a distesa infinita.
Fissò per un istante l’occhio pallido del sole; il mare, dal punto più lontano e luccicante, ritmicamente avanzava - immutabile e mutevole - verso la riva, sfrangiandosi in sbuffi leggeri di spuma bianca che si richiudevano in cerchi via via più sbiaditi contro la rena.
Il fruscio delle onde sulla sabbia allungava verso di lui le sue dita invisibili.
Guardò l’orizzonte dove, oltre la distesa del mare, in lontananza si scorgevano appena i profili di montagne sconosciute, avvolti in una nebbiolina leggera.
Gli sfuggì un sospiro malinconico.
“Non so cosa mi prende ogni volta che vengo qui: è come tornare a casa. E allo stesso tempo è una ferita che si riapre, un dolore antico e sempre nuovo”.
Serrò i pugni.
“Oh, papà!” mormorò tristemente, gli occhi velati di lacrime di tenerezza.
“Se solo tu avessi potuto vedere questo posto…”.
In quell’istante, una voce alle sue spalle lo fece sussultare.
“Ehi, amico!”.
Si voltò, seccato per essere stato interrotto.
Di fronte a lui c’erano quattro ragazzi e una ragazza, tutti alti almeno venti centimetri più di lui, muscolosi e abbronzati.
Avevano lunghi capelli color grano maturo, occhiali da sole e costumi da bagno di tinte sgargianti.
Ognuno teneva sotto braccio una strana tavola di legno colorato, luccicante e bizzarramente decorata.
“Scusa” continuò il tipo di prima, aprendo le braccia “non potresti spostarti?”.
“Sai com’è” aggiunse il secondo beach boy, sorridendo sotto il pizzetto fulvo “tra poco arrivano le onde migliori”.
La ragazza del gruppo sollevò le lenti scure per un istante e gli fece l’occhiolino mentre gli passava accanto, ma lui era rimasto semplicemente senza parole.
 
***
“Dunque” disse tra sé e sé Marin Reigan, raggiungendo l’angolo opposto della spiaggia “Dov’ero rimasto?”.
“Ah, sì…”
“Oh papà”.
Serrò i pugni.
“Oh, papà!” mormorò tristemente, gli occhi velati di lacrime di tenerezza.
“Se solo tu avessi potuto vedere questo posto…”.
In quell’istante, una voce alle sue spalle lo fece sussultare.

“Eh, no, adesso basta!” esclamò, tirando fuori la pistola laser.
Senza nemmeno guardare di chi si trattasse, si voltò di scatto e fece fuoco.
Al suono del colpo seguì un gracchiare terrorizzato.
“Ancora voi!” esclamò Marin “Che cosa fate qui?”.
I corvi neri di Kurama si alzarono in volo, tranne il consigliere anziano che giaceva sulla sabbia immobile.
Il ragazzo gli si avvicinò, improvvisamente preoccupato.
Si inginocchiò accanto a lui.
“Stai bene?” domandò, toccando l’ala destra dell’uccello.
Oddio, non sarà mica morto” pensò, con un tuffo al cuore.
Ma per fortuna quello aprì i suoi occhietti lucenti.
“Ohi ohi ohi” si lamentò, agitandosi.
“Mi dispiace” disse il ragazzo.
Si rialzò.
 “I-io non…”.
Rimise l’arma nella fondina, mentre lo stormo tornava a posarsi intorno a lui sulla sabbia.
“Ehm… ci scusi, signore…” disse un secondo goblin, mentre altri due aiutavano il decano a tirarsi su.
Porse al giovane una piccola pergamena ornata di nastri di seta viola.
“La principessa Kurama le manda questo messaggio”.
Marin fece una smorfia.
“Vi ho già detto che non voglio avere niente a che fare con lei”. replicò, irritato.
Allungò la mano per restituire il rotolino al messaggero, ma quello si allontanò in volo.
“Per favore…” gemette il goblin ferito, sorretto da due compagni.
“La principessa ci spennerà vivi se non le consegniamo il suo messaggio”.
Levò su di lui i suoi occhietti imploranti, finché Marin non cedette e aprì la pergamena.
Sbuffò, ma iniziò a leggere.
“Hai visto, che ti dicevo?” sussurrò il pennuto al vicino, strizzandogli l’occhio “Ha il cuore tenero…”.
Mio caro marito - diceva la lettera - mi dispiace per ciò che è successo. Io non volevo arrendermi all’evidenza e ho provato in ogni modo a conquistare il tuo amore.
Ma adesso mi è tutto chiaro: devo rinunciare a te.
Lascerò la Terra per sempre, però prima di partire vorrei vederti un’ultima volta.
Ti aspetto tra un’ora nel luogo dove il tuo bacio mi ha risvegliata. 
Ti prego, vieni.
Con amore, Kurama.
***
 
“Jamie” disse la professoressa Quinstein sollevando per un istante gli occhi dal computer “hai visto Marin?”.
La bionda scosse la testa.
“So che è andato a guardare il mare, ma…è vero” esitò un istante, accarezzandosi il mento “in effetti, a quest’ora dovrebbe essere già qui”.
Le due donne si scambiarono un’occhiata carica di angoscia.
“C’è di sicuro qualcosa che non va…”.
E se gli fosse accaduto qualcosa? Se qualche spia di Aphrodia lo avesse preso prigioniero? Se l’avessero ucciso?
“Adesso vado a controllare” Jamie scattò in piedi.
“Aspetta” disse l’altra, spegnendo il monitor “vengo con te”.
 
***

“Eccolo, è lì” gridò Jamie indicando la snella figura del ragazzo che scendeva il pendio alle spalle della base.
Guardò la scienziata.
“Ma che starà facendo in quel posto?” esclamò.
Affrettarono il passo, col cuore in tumulto.
A un tratto, videro levarsi in volo tra gli alberi un nugolo di corvacci neri fin troppo familiari.
“Oh, no!” strillò Jamie.
“Quella maledetta” disse la Quinstein con aria sdegnata “non ha ancora rinunciato a lui!”.
Corsero a perdifiato lungo la scarpata, chiamando disperatamente il giovane pilota.
Ma era troppo tardi e loro erano ancora troppo lontane.
Perché il solito vento impetuoso aveva sollevato Marin, trascinandolo verso una strana porta con la cornice verde, dietro la quale s’intravedeva un abisso di buio profondo.
“Ancora quelle scocciatrici!” inveì Kurama, nascosta dietro un albero.
Jamie e la professoressa arrivarono trafelate ai piedi della scarpata, ancora gridando, giusto in tempo per vedere il loro compagno sparire - mentre si dibatteva e urlava - oltre la soglia.
L’uscio si richiuse dietro di lui con un lugubre scatto.
 “Dove sei, Marin?” gridò Jamie.
La Quinstein scrutava tutta concentrata la strana porta, su cui baluginavano due inquietanti occhiacci gialli tra orrendi disegni fucsia e celesti.
La cosa bizzarra era che dietro la porta non sembrava esserci niente: era solo una stramaledetta porta in piedi in mezzo al niente.
“Apri, per favore, apri…” gemette la ragazza.
“È troppo tardi!”.
Kurama sbucò fuori, con un ghigno di trionfo sul viso.
“Non lo potrete rivedere mai più”.
“Ah, sì, davvero?” urlò la scienziata, lanciandosi con tutte le sue forze contro la porta che non solo non cedette, ma la fece rimbalzare lontano, mandandola a sedere pesantemente sull’erba.
“Nessuno può entrare qui dentro” disse la principessa con voce dura.
“E io come potrò vivere senza di lui?”.
Jamie batteva i pugni sull’uscio, tra le lacrime.
“Come farò?”.
“L’atmosfera oltre questa porta” spiegò un goblin appollaiato su un ramo, a distanza di sicurezza “è pervasa da un potentissimo campo magnetico mentale”.
“Quando uscirà di qui Marin sarà un uomo completamente nuovo” aggiunse Kurama, spietata.
“Non lo riconoscerete più”.
 
(SEGUE)
 
Angolino dell’autrice: dunque, questo capitolo riprende l’episodio di Lamù in cui Kurama, disperata, tenta di rendere Ataru Moroboshi meno debosciato servendosi di un mega campo magnetico psichico. Dato che era venuto veramente troppo lungo, l’ho diviso in due parti.
Quella davvero schizzata è la prossima, che spero di riuscire a postare tra un paio di giorni. 
Vorrei chiedervi una cosa: all’inizio, fino ai surfisti voglio dire, ho cercato di scrivere di questi personaggi in modo “normale” - cioè senza prenderli per il culo - per capire come la cosa veniva fuori. Mi frulla in testa l’idea di una fic più tradizionale… che ne dite, se po’ fa?

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Capitolo 4
*** LAST FRIDAY NIGHT ***


 

AVVERTENZA: per leggere questo capitolo è necessario trovarsi nella condizione di spirito giusta. E la condizione di spirito giusta si ottiene solo assumendo molte droghe.

Per un effetto maggiormente psichedelico vi suggerisco di leggere con questo sottofondo musicale:

https://www.youtube.com/watch?v=Zcy_1IPREw8

 

 

LAST FRIDAY NIGHT

 

Il canto del gallo fece sussultare Marin, svegliandolo all’improvviso.

Perché, qui alla base ci sono i galli?” pensò confusamente, aprendo un occhio. 

Mosse una gamba, facendo scappare una gallina padovana appollaiata sul suo letto, che svolazzò via indignata in un frullio di piume marroni.

Una gallina? Nella mia stanza?

E come se non bastasse, si sentiva così… strano, come stordito.

La testa gli pulsava dolorosamente, molto ma molto peggio di quella volta dello scanner encefalico della Quinstein.

Infinitamente peggio.

Anche perché quella volta non si era sentito la bocca impastata e non gli avevano fatto male tutti i muscoli.

E di certo non gli era sembrato di puzzare come un minibar.

Se solo fosse riuscito ad aprire anche l’altro occhio…

Allungò una mano, fino a toccare qualcosa di morbido. Morbido e caldo.

Si sollevò di scatto, spalancando gli occhi con una fitta di dolore.

Si guardò intorno e rimase senza fiato.

Era nel suo alloggio, ma… Dio Santo, se quello era ancora il suo alloggio!

La luce impietosa del mattino entrava dalla finestra, rivelando ogni dettaglio.

Dappertutto - sulle pareti, sul pavimento, sui mobili - stelle filanti e coriandoli di mille colori, bicchieri di plastica e bottiglie vuote di superalcolici.

Sulla sedia davanti alla scrivania stava stravaccato Oliver, profondamente addormentato. Quando lo guardò meglio, si accorse che al posto della sua solita uniforme celeste aveva…niente, assolutamente niente.

Meglio, qualcuno si era divertito a disegnargli con l’uniposca sulla pelle nuda la tuta azzurra dei Blue Fixer, oltre a un bel paio di baffi neri alla Groucho Marx proprio sotto il naso.

Il giovane di S1 si girò, stravolto.

Accanto a lui, sul letto sfatto, giaceva Emy Latin.

Gli occhi serrati, le labbra morbide appena dischiuse e un’espressione beata sul viso.

I lunghi capelli di fiamma sparsi sul cuscino e sul petto.

Completamente nuda, coperta fino alla cintola solo dalle lenzuola spiegazzate.

Ommadonna!

“Va bene, va bene” mormorò lui, il respiro accelerato “stiamo calmi, ci sarà sicuramente una spiegazione razionale…”.

Fissò di nuovo la giornalista, che senza svegliarsi sospirò in modo incredibilmente sensuale.

 

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Marin si guardò intorno ancora una volta.

Tutto taceva, Oliver dormiva della grossa.

Con circospezione, sollevò il lenzuolo e sbirciò sotto.

Poi, piano piano, allungò una mano.

La porta che si apriva di scatto lo fece sobbalzare, strappandogli un grido strozzato.

Colto sul fatto, sollevò lo sguardo.

Strabuzzò gli occhi, il respiro gli morì in gola.

Perché in piedi sulla soglia della sua camera da letto stava Theo Gattler in persona.

Il cuore di Marin si fermò per un istante e subito dopo iniziò a battere furiosamente.

La pistola. La mia pistola. Dove sarà?

I pensieri rimbalzavano impazziti nel suo cervello annebbiato.

Era la fine, non sarebbe mai riuscito a raggiungere un’arma in tempo.

Stava per morire? Davvero stava per morire?

Ma Gattler non sparò e se è per questo non provò nemmeno a entrare.

Si affacciò solo e sorrise.

Sorrise!

Marin trattenne il respiro.

Il dittatore di S1 guardò dentro con un’aria divertita e disse: “Ehi, Marin, volevo solo dirti grazie…”.

Fece un gesto eloquente con la mano e il giovane si accorse che non indossava più la sua corazza viola, bensì una maglietta giallo fosforescente completamente aperta di lato che mostrava i pettorali e i bicipiti muscolosi. Sul torace, in azzurro, c’era scritto in bizzarri caratteri decorati “SORRY FOR PARTY ROCKING”.

I capelli sconvolti e sul naso un paio di strani occhiali da vista con la montatura ricoperta di swarovsky.

“… per uno dei migliori party di tutti i tempi”.

“Assolutamente incredibile!”.

“Non avrei mai creduto di dirlo, ma…”

Ridacchiò e abbassò la voce, con aria complice.

“… tu sei davvero molto cool!”.

Marin deglutì.

Gattler emise un sonoro “U-uh!”.

“Best party ever…UAAAAO!”.

Sorrise di nuovo e chiuse la porta.

Marin si passò una mano sul viso sudato. Un doloretto lo costrinse e guardarsi: sul collo aveva un enorme succhiotto viola.

Confusamente, si augurò che alla riunione dal comandante nessuno se ne sarebbe accorto.

Appena fu in grado di pensare di nuovo il ragazzo scese da letto, deciso a capire cosa diavolo fosse accaduto.

Attraversando la stanza, per poco non inciampò in Jamie: anche lei dormiva beatamente sdraiata sul pavimento con i capelli biondi sul viso, il rossetto viola sbavato sulla labbra semiaperte, braccia e gambe divaricate.

Completamente circondata da almeno duecento bicchieri di carta vuoti o semivuoti.

Marin sbarrò gli occhi, trattenendo a stento un’imprecazione.

Uscì nel corridoio, guardandosi in giro con circospezione.

Accanto alla porta della sua camera, scorse nella penombra due che limonavano selvaggiamente appoggiati alla parete.

Sgranò gli occhi: lui era David, il suo pilota sostituto (scarsissimo…aveva sempre pensato) e lei era la Quinstein, quasi irriconoscibile con i capelli cotonati, una striminzita minigonna verde acido e un top fucsia troppo piccolo di almeno due taglie.

Marin li folgorò con uno sguardo carico di riprovazione, ma loro non lo degnarono di un’occhiata e non si fermarono nemmeno per un istante.

La moquette fantasia (Da quando nei corridoi della base c’era la moquette fantasia?) era ricoperta di palloncini sgonfi, pezzi di carta igienica e macchie di liquore. E di altro.

Dopo qualche passo, il pilota dovette scavalcare il corpo del comandante Bannister che, vestito solo con un paio di pantaloni a strisce gialle e nere, lustrini dorati a coprirgli i capezzoli, ronfava abbracciato a una zebra di plastica gonfiabile a grandezza naturale.

“Uggesù!” sibilò Marin.

Scese la scala di legno (Ma non c’erano le scale mobili alla base?) che portava al piano terra appoggiandosi alla balaustra.

La testa gli girava ancora un po’ e ogni tanto sentiva qualcosa di non ben identificato aggrovigliarsi nelle sue budella.

Ai piedi della scala, dove fino al giorno prima c’era un’austera sala comando, si scorgevano solo poche sagome indistinte nell’oscurità.

E forse era meglio così.

A un tratto la porta si spalancò e due persone si precipitarono dentro ridendo.

La prima era una ragazza con una strana parrucca blu elettrico: la divisa color mattone dei soldati di Aldebaran era ridotta a brandelli e le pendeva di dosso rivelava un paio di gambe da urlo.

Si fermò un momento, si voltò indietro senza guardare il Blue Fixer ai piedi della scala, e rise.

Poi ricominciò a saltellare, sempre ridendo.

La seconda era Raita in maglietta bianca e boxer con cuoricini rosa; attaccata alla schiena con grosse cinghie di cuoio, un’enorme pinna da squalo.

Con le braccia mimava le fauci spalancate del predatore che si aprivano e chiudevano minacciose.

Marin non ricordava di averlo mai visto così felice.

La soldatessa si fermò una seconda volta e, quando il terrestre la raggiunse, gli mandò un bacetto e riprese a scappare.

Marin era senza parole.

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“Ehi, cowboy…” disse a un tratto una voce vellutata alle sue spalle.

Si voltò e per poco non svenne.

A piedi nudi sul pavimento, il Gran Comandante Aphrodia lo fissava con intensità.

Aveva sciolto i capelli e tolto quegli strani occhiali gialli alla Venditti.

Non portava più la lugubre divisa che le aveva sempre visto addosso e, con una semplice shirt grigia che le lasciava scoperta una spalla, appariva sexy senza sforzo.

“M-ma…”

Il ragazzo balbettò, in debito di ossigeno.

“Che ci fai qui, nella base segreta dei Blue Fixer?” domandò, rendendosi conto mentre la faceva dell’idiozia della domanda.

Lei ridacchiò.

Si guardò intorno e rispose: “Ho i miei dubbi che questa sia una base e di sicuro - dopo quello che è successo stanotte - non è più tanto segreta…”.

Gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

Piegò la testa di lato e sussurrò: “Non credi sia arrivato il momento di mettere alla prova questa attrazione fatale che c’è tra noi fin dalla prima puntata?”.

Sorrise maliziosa.

“In fondo i fans stanno aspettando da trentacinque anni…”.

Marin indietreggiò di un passo.

“Ma… e tuo fratello Miran?” domandò, stravolto.

Aphrodia fece una smorfia.

“Oh, quello sfigato!” replicò, facendoglisi ancora più vicina “L’ho sempre detestato, fin da quando è venuto al mondo”.

“Una vera piaga sociale. Pensa che si fregava sempre i miei vestiti e una volta ha messo anche la mia bambola preferita nel forno a microonde…”

Mise il broncio per un istante.

“Povera Priscilla, non si è ripresa mai più”.

Poi tornò a fissare il giovane di fronte a lei: le sue labbra voluttuose gli sfiorarono una guancia.

Ma lui ancora esitava.

Lei allora si allontanò un pochino.

Si guardò.

“Oh, capisco” esclamò “forse il problema è questa?!”.

In quel momento Marin si rese conto che sulla maglietta c’era scritto, in lettere rosa glitterate, “KEEP CALM AND FUCK PLANET EARTH”.

“Rimediamo subito!” esclamò e con un gesto repentino si sfilò l’indumento, facendolo cadere sul pavimento.

Lui allora ebbe seppe che era vero quel che si diceva in giro: le truppe di Aldebaran lesinavano sulla biancheria intima.

 

***

“Principessa” esclamò il primo consigliere che, armato di stetoscopio, cercava di ascoltare cosa stesse avvenendo dietro la porta nera.

“…sembra che ora stia ridendo”.

“Ridendo?” disse incredula la Quinstein.

“Marin?” le fece eco Jamie.

Kurama si avvicinò alla porta e ci appoggiò su l’orecchio.

Dopo un istante, sorrise.

“No, consigliere…”

Ammiccò maliziosamente “NON sta ridendo…”.

Jamie e la scienziata si fissarono, perplesse.

Nel frattempo, li aveva raggiunti anche Bannister che osservava la principessa con diffidenza.

“Missione compiuta” disse compiaciuta Kurama.

“Possiamo aprire, allora?” domandò il goblin.

Lei annuì.

“Va bene”.

Quando la porta venne spalancata, Marin comparve sulla soglia.

Senza una parola, crollò al suolo in ginocchio.

“Forse abbiamo esagerato…” mormorò uno dei corvi.

“No, non credo” rispose la sovrana “State a vedere”.

Jamie e la Quinstein gli si avvicinarono, scrutandolo con angoscia. Bannister le seguì, la mano sulla fondina.

“Stai bene?” chiese la prima, afferrandolo per le spalle.

“Che ti è successo?” domandò la seconda, inginocchiata accanto a lui.

Il ragazzo sollevò su di loro lo sguardo smarrito.

“I-io non lo so” mormorò con voce rotta “era tutto così bizzarro…c’erano lustrini dappertutto e fenicotteri rosa dentro la piscina”.

La piscina? Fenicotteri rosa?

Il comandante lo guardò stranito.

Marin si prese la testa tra le mani.

“Io avevo bevuto troppo, la mia testa pulsava e noi… noi…”

Parlava con difficoltà.

“… noi abbiamo corso nudi nel parco…”

Jamie sgranò gli occhi.

I baffi del militare fremettero appena.

“… nuotato nudi nel buio e…”

Guardò la scienziata.

“…forse ci siamo baciati ieri sera, ma non mi ricordo bene”.

Le due donne erano senza fiato.

“Poi” proseguì Marin “io… io credo di aver avuto un ménage à trois”.

“Un che?” chiese la bionda, che non capiva il francese.

“Oh Mio Dio” gemette il ragazzo “sono così confuso!”.

“Non c’era più la guerra e tutti bevevano, ballavano, ridevano…c’era una musica spaccatimpani…e io mi sentivo così fuori posto”.

“Così fuori posto” ripeté, scuotendo la testa.

 

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A un tratto, alzò gli occhi su Bannister.

“Comandante…” domandò esitante “lei non ha una zebra di gomma gonfiabile, vero?”.

Lui esito una frazione di secondo, soffocando un colpo di tosse.

Prima che potesse rispondere, intervenne Jamie.

“Marin, ma come ti vengono in mente queste cose!” esclamò.

Lo abbracciò e lo tenne stretto.

“Non temere, è stato solo un sogno”.

Marin sbatté le palpebre.

“Come… è stato solo un sogno?”.

“Sì” intervenne la professoressa “solo uno strano sogno”.

“Allora questa è la realtà?” domandò Marin, abbracciando a sua volta Jamie e la scienziata.

 “C’è ancora la guerra? L’esercito di Aldebaran sta ancora sterminando i terrestri?”.

Le due annuirono e Marin sorrise, come sollevato.

Il goblin più vecchio svolazzò accanto a Kurama, che aveva assistito alla scena col cuore in gola.

“Principessa” disse, pensieroso “mi sembra che non sia cambiato affatto…”.

Kurama assestò un violento calcio alla porta magica.

“Questo è proprio un caso senza speranza!” gridò.

 

 

 

Angolino dell’autrice: come avrete certamente intuito, questo capitolo è ispirato al video della canzone omonima di Katy Perry. 

La maglietta di Gattler è un omaggio al fantastico video della canzone omonima dei LMFAO: ecco, mi sembrava abbastanza comico che uno che è venuto qui a devastare la Terra indossi una shirt con la quale si scusa per una festa troppo rumorosa…

Spero che vi sia piaciuto questo viaggio nel peccaminoso mondo del come sarebbe se Baldios non fosse un anime votato al pessimismo interdimensionale.

Nel prossimo capitolo, Kurama sfiderà le leggi del suo pianeta alla ricerca del tanto sospirato marito.

Grazie a chi continua a seguire questa folle fic, il party non sarebbe stato lo stesso senza di voi!

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Capitolo 5
*** Il ritorno di Kurama ***


CAPITOLO QUINTO
 
Il ritorno di Kurama
 
Da molti mesi ormai il terribile conflitto tra le armate di S1 e l’esercito dell’Unione Mondiale semina morte e distruzione.
Da entrambe le parti i cadaveri non si contano più, il sangue riempie le strade.
Ovunque si spinga lo sguardo sono solo morte e desolazione.
E, come sempre,  a pagare il più pesante tributo di sangue non sono i soldati, ma i civili: vecchi, donne, bambini… vittime inermi della…della…
La voce di Takkou Ishimori d’improvviso s’incrinò.
Esitò un istante e poi ruppe in singhiozzi.
“Mi dispiace… mi dispiace” mormorò tra le lacrime “Ma non ce la faccio!”.
Si soffiò rumorosamente il naso.
Akiyoshi Sakai scattò in piedi.
“No, no, aspetta… ti prego”.
“Ti pagheremo il doppio” aggiunse Kazuyuki Hirokawa.
Il narratore scosse la testa, asciugandosi gli occhi.
“Da quando faccio questo lavoro sono costretto a dormire con la luce accesa”.
“Me ne vado!”.
“Uff…” sospirò Yuzo Yamada “che disastro: è già il terzo questo mese!”.
 
***
 
Da quando era iniziata la guerra i momenti in cui Oliver Jack aveva avuto un po’ di tempo per se stesso si contavano sulle dita di una mano; le sue giornate erano scandite dai ritmi forsennati dell’addestramento, dall’angoscia che precede l’assalto, dalla tumultuosa danza della battaglia.
Per questo, l’occasione era troppo ghiotta per sprecarla: un mese senza incursioni nemiche significava qualche ora libera, tempo per fare ciò che preferiva.
Passeggiare da solo nei boschi intorno alla base, leggere e riflettere.
Così quella mattina presto, mentre tutti ancora dormivano, aveva messo qualche provvista nello zaino ed era uscito senza salutare nessuno; con sé aveva portato il libro che teneva sul comodino, quello che più di tutti gli altri - e molto più di tutte le persone che aveva intorno - riusciva a dargli le risposte di cui aveva bisogno.
Arrivato in una piccola radura, si sedette su un grosso sasso e si guardò intorno con gli occhi pieni di meraviglia: sotto quella volta verdeggiante così intricata che a stento filtrava la luce del sole pareva che il tempo si fosse fermato.
La guerra lì non esisteva.
C’era solo il silenzio, turbato dal dolce mormorio di un limpido ruscello e dalla melodia di qualche uccellino al quale i bombardamenti alieni non avevano tolto la voglia di cinguettare.
Con un sorriso appena accennato, tirò fuori il libro fissando per un istante la severa copertina di cuoio scuro.
Come se indovinasse il suo pensiero, il volume si aprì esattamente al punto dove aveva infilato la foto di Jamie: occhi blu ridenti, occhi che parlavano alla sua anima…
Sospirò.
Una volta per tutte, doveva decidersi ad accettare che non avrebbe mai avuto una chance con lei: e non perché fossero compagni di squadra, non a causa delle atrocità della guerra, no.
Ma perché era chiaro che lei non lo amava e non sarebbe mai riuscita ad amarlo: il cuore di Jamie Oshino era un territorio già conquistato.
Si era arreso senza nemmeno provare a difendersi.
Aveva spalancato le porte a un nemico inconsapevole del proprio stesso potere.
Scattò in piedi, furioso.
Le labbra sottili premute in una linea esangue.
Non poteva fare a nessuno dei due una colpa di ciò che era accaduto, eppure era dannatamente doloroso per lui andare avanti così.
Mormorò un’imprecazione.
Andassero al diavolo, andassero al diavolo tutti!
In quel momento, la sua attenzione fu attirata da un vociare proveniente dal fitto della foresta; ripose il libro e con circospezione, la mano sulla pistola, avanzò nella direzione da cui proveniva il suono.
Si nascose tra i cespugli in attesa.
Dopo qualche istante, vide spuntare tra i tronchi un oggetto argentato di forma rettangolare che pareva muoversi da solo; quando si avvicinò di più, però, si accorse che a spingerlo c’erano quattro grossi corvi neri che indossavano kimoni rossi e bianchi.
Li riconobbe senza esitazioni: i goblin dal naso lungo!
E se lì c’erano quegli uccellacci parlanti, poco ma sicuro che c’era anche la principessa Kurama.
A un tratto, i pennuti si fermarono ansimanti e senza fiato: decisamente la teca della loro sovrana era troppo pesante per le loro piccole ali!
Oliver avanzò verso di loro, gli occhi fissi sulla fanciulla addormentata.
I corvi quando lo videro si alzarono subito in volo per poi rifugiarsi sui rami circostanti: gli umani giocavano brutti tiri, meglio essere prudenti.
“Ohi, ohi” esclamò il consigliere anziano a mezza voce, riconoscendo l’uniforme del guerriero “ancora uno di loro…”.
Una goccia di sudore gelido gli solcò la fronte piumata.
“Certamente accadrà qualcosa di terribile”.
“Ehi, voi!” esclamò il Blue Fixer “Da dove venite?”.
“È una lunga storia” rispose uno dei goblin più giovani “ascolta”.
 
TRE GIORNI PRIMA
 
“È una follia!” sbottò la principessa Kurama.
“Io non sono venuta sulla Terra per stabilirmici, ero qui solo di passaggio…”.
Sbuffò, irritata.
“Hai visto come mi ha trattato? Perché dovrei darmi a quell’idiota?”.
“Ma principessa” obiettò il primo consigliere “È la legge, lo sai. Hai già toccato le labbra di Marin Reigan e quindi ormai appartieni a lui”.
La ragazza scattò in piedi.
“Se questa è la legge” replicò furiosa “allora sarà peggio per tutti!”.
“C-cosa vuoi dire?” domandò il corvo.
“Ma non lo capisci?” ruggì lei “Io non sarò mai e poi mai sua… ho usato tutte le mie armi con lui e non voglio umiliarmi ancora.
Preferisco far estinguere la specie piuttosto che mendicare di nuovo la sua compagnia”.
A un tratto si avvicinò al consigliere e lo afferrò per il collo.
Lo fissò intensamente.
“Desidero ricominciare tutto da capo” esclamò.
“Ti prego” disse “esaudisci il mio desiderio…”
Aumentò la pressione.
“Ahi, mi fai male!” gemette il pennuto.
“Devi darmi un’altra possibilità, per favore…”.
Serrò ancora di più le dita affusolate intorno alla gola del piccolo uccello, che sentì mancargli il respiro.
“Va bene, va bene” annuì “ma ricorda: è consentita una sola infrazione alla legge”.
Kurama sorrise.
“Non preoccuparti: nessuno è tanto stupido come quello”.
Sospirò, sdraiandosi nella teca argentata.
“Spero tanto di incontrare un uomo bello e intelligente!”
 
***
 
“E così” concluse il goblin “la principessa cadde di nuovo in un freddo sonno”.
“Da allora” aggiunse un secondo “andiamo in giro alla ricerca di un marito adatto a lei”.
Il consigliere anziano incrociò le ali, pensieroso.
“Per Kurama questo è diventato un gioco d’azzardo!” sentenziò.
A un tratto un goblin dal becco piatto cominciò a saltellare intorno a Oliver, scrutandolo con attenzione.
“Ehi” disse a un tratto “Che ne pensate di questo?”.
Il pilota sgranò gli occhi, sbalordito.
“Sì, sì” fece un secondo corvaccio, squadrandolo a sua volta “potrebbe andare…”.
Prima che il giovane potesse replicare, lo spinsero fino alla bara dove la sovrana dei goblin dal naso lungo giaceva immobile, immersa nel suo magico sopore.
“Vieni, dai…”.
Aprirono il coperchio.
Oliver la fissò senza fiato.
Umana, bellissima e perfettamente umana, salvo che per le ali da corvo che le spuntavano ai lati della testa.
Il volto dai lineamenti alteri - il naso leggermente aquilino, gli zigomi alti, le sopracciglia imperiose e sottili, gli occhi dal taglio allungato e le labbra semiaperte - aveva un’espressione indecifrabile, come se provenisse da un mondo lontano un milione di miglia, oppure un milione di anni.
La bocca vermiglia era atteggiata a un vago sorriso, con un fremito imperativo di sfida sensuale.
Impenetrabile, severa, potente e ineffabile.
Incredibile che Marin fosse riuscito a resisterle.
“Su, avanti, non fare il timido…” lo incoraggiò uno dei goblin.
“Dai, procedi!” fece un altro.
“Ma-ma” esitò Oliver “come posso farlo qui davanti a tutti?”.
I due corvi si guardarono, perplessi.
“Andiamo, ci sei solo tu da selezionare!”.
“Coraggio, non sei forse un uomo?”.
Il biondo deglutì, palesemente in imbarazzo.
“Oh no” si lagnò uno dei corvi “questo è ancora peggio di Marin”.
Quelle parole ebbero su Oliver l’effetto di una scarica elettrica: lui non era come Marin, no che non lo era!
Quel ragazzino alieno si era già preso Jamie e adesso la faceva da padrone alla base. La Quinstein pendeva dalle sue labbra. Persino Bannister pareva dare più importanza a lui che a tutti gli uomini che per anni erano stati i suoi fedeli soldati!
Strinse i pugni.
No, almeno in quel caso l’avrebbe avuta vinta lui.
Trasse un respiro profondo e si chinò sulla principessa assopita. Senza riflettere, chiuse gli occhi e la baciò con passione.
 
Note&credits: nell’episodio 71 di Lamù Kurama riesce a ottenere una seconda chance per trovare marito e mette gli occhi su Mendo; qui ho giocato sul poco che si conosce del personaggio di Oliver, vale a dire il suo interesse per la Bibbia, che legge e cita, e il suo amore non corrisposto per Jamie che, di tanto in tanto, lo fa apparire amareggiato.
I nomi giapponesi all’inizio sono quelli (veri) del narratore, dell’autore e di due registi dell’anime: in alcuni degli episodi c’è effettivamente un narratore che all’inizio fa degli spiegoni tristissimi e ho pensato cosa potesse provare quel povero doppiatore di fronte a cotanta tragedia. Io credo che avrei reagito così…
Grazie a chi legge. 
 
 

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Capitolo 6
*** Amara come assenzio ***


 
CAPITOLO SESTO
 
Amara come assenzio
 
“Aahhh, come sono contenta!” cinguettò la principessa Kurama, immergendosi nell’acqua tiepida della sua grande vasca da bagno.
“Evviva, sarà lui il mio uomo!” sospirò.
Chiuse gli occhi, accarezzandosi piano la pelle con la schiuma profumata.
“Non sono mai stata così felice…”
Nella stanza accanto, tre goblin dal naso lungo parlottavano tra loro.
“Cosa pensi che farà adesso?” domandò uno.
“Ma è chiaro” replicò un secondo pennuto “tra poco andrà da quel tipo a dichiararsi”.
“Speriamo che stavolta non ci siano intoppi” aggiunse il terzo, pensieroso.
 
***
 
Solo nella sua stanza, Oliver Jack non smetteva di tormentarsi: aveva baciato la straniera senza pensarci su, trascinato da un impulso più forte di qualsiasi ragionevolezza.
Ma adesso che conseguenze ci sarebbero state?
E Jamie… la sua piccola, innocente Jamie cosa avrebbe pensato se lui avesse ceduto alle lusinghe carnali di quella donna così seducente?
Come sempre, cercò una riposta nella Bibbia.
Respirò profondamente e aprì il volume a caso.
Lesse le prime righe.
 
Fuggite la fornicazione.
Ogni altro peccato che l’uomo commette è fuori dal corpo, ma il fornicatore pecca contro il proprio corpo.
 
Fece una smorfia di dolore: nessuna speranza, anche lì lo condannavano.
In fondo, considerò, non sarebbe poi stata una gran tragedia: doveva solo mantenere il segreto su ciò che era successo e sperare che Kurama andasse a cercare marito altrove.
Forse lei avrebbe fatto un altro tentativo con Marin… già, forse quella era la soluzione giusta.
In fondo era lui la sua prima scelta, come per Jamie del resto. Come per tutti.
E del resto era giusto così: Marin era un extraterrestre proprio come lei.
Gli sfuggì un sospiro amaro.
Kurama.
La regina dei goblin, bella come nessuna donna mortale potrà mai essere. Bella di una bellezza che mai occhi terrestri avevano ammirato.
E gli aveva sorriso.
Aveva sorriso a lui.
Il suoi meravigliosi lineamenti esotici erano attraenti, in una maniera che il mondo non aveva mai sognato o immaginato: e lui avrebbe potuto essere il suo sposo.
Scosse la testa.
No, non era possibile.
Doveva assolutamente smettere di pensare a lei.
 
***
Allarme, allarme!
La voce metallica del computer riempiva il silenzio carico di tensione.
Oggetto volante non identificato in avvicinamento rapido alla base.
Distanza: meno di cinquanta metri.
Identificazione: impossibile.
Quando nei corridoi della base segreta dei Blue Fixer riecheggiavano le lugubri sirene dell’allarme aereo ciascuno sapeva cosa fare; Marin, Raita, Oliver e Jamie si catapultarono più veloci che poterono sul ponte di comando.
Il comandante Bannister fissava perplesso lo schermo.
Quando la porta si spalancò, rivolse ai quattro uno sguardo strano.
La Quinstein indicò il monitor, che mostrava un bizzarro U.F.O. color arancione fermo esattamente sopra la base.
Marin scosse i capelli, Jamie serrò le labbra, Raita si chiese quanto mancava all’ora di pranzo.
Oliver iniziò a sudare freddo.
“Computer!” Ordinò il comandante con voce ferma “Attiva le telecamere di sorveglianza”.
Dopo un istante, sullo schermo comparve un dettaglio della sala comandi dell’astronave, con i goblin affaccendati a pilotare e Kurama mollemente seduta sul suo trono, le lunghe gambe accavallate con aria sensuale.
 
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Jamie non trattenne un moto di stizza, la Quinstein aggrottò le sopracciglia, Marin scosse i capelli, Oliver cominciò a tremare.
Raita realizzò che mancava ancora oltre un’ora al pranzo.
 
***
 
Il personale della base si era riunito nel piazzale antistante e si scambiava battute sullo strano oggetto volante che stazionava lì davanti.
A un tratto, si aprì una botola sul fondo dell’astronave e da essa fuoriuscì un secondo velivolo, questa volta rosa confetto e di forma perfettamente sferica.
Dopo un istante, la porta dell’U.F.O. più grande si dischiuse con un sibilo metallico e la principessa Kurama fece la sua entrata a effetto, tra i mormorii di ammirazione dei presenti.
Attraversò la folla di terrestri scortata dai suoi fidi servitori.
Marin la seguì con lo sguardo, allarmato, ma lei gli passò sdegnosamente davanti come se fosse stato invisibile e andò a fermarsi giusto di fronte a Oliver.
L’americano, da parte sua, tremava per l’imbarazzo e si fissava la punta degli stivali bianchi.
Kurama lo prese per la mano, piegò la testa di lato e sorrise.
Oliver fu costretto ad alzare lo sguardo su di lei: la meravigliosa principessa era di fronte a lui, i suoi occhi ardevano come tizzoni d’inferno, ma le sue labbra promettevano il paradiso.
Il pilota deglutì nervosamente, senza muoversi.
“Andiamo!” intervenne allora uno dei corvi parlanti “Devi solo essere naturale e far l’amore con lei affinché si perpetui la stirpe…”.
“Non ci saranno strascichi” aggiunse un secondo pennuto.
Dalla folla riunita si levò un mormorio di sorpresa, misto a invidia e incredulità.
“M-ma…ma…” balbettò Marin.
Raita gli diede una pacca sulla spalla, come a voler dire: amico, hai avuto la tua occasione e l’hai gettata nel cesso. Mo’ con chi te la vuoi prendere?
Oliver guardò un istante Jamie, che era arrossita follemente. Quando i loro occhi s’incontrarono, la ragazza fece una smorfia indignata e girò la faccia.
Nel frattempo Kurama aveva cominciato a trascinare il terrestre verso il suo U.F.O. fermandosi nei pressi del piccolo oggetto volante rosa shocking.
“E-e questo cos’è?” domandò Oliver, fissandolo.
“Come che cos’è?” rispose allegramente la principessa “Ma è chiaro: è il nostro nido d’amore!”.
Un ooooooooohhhhhh di meraviglia serpeggiò tra la folla assiepata.
La professoressa Quinstein ridacchiava, le braccia conserte.
“Sono proprio contenta che vada a finire così!” mormorò.
“Eh?” fece il pilota biondo, stravolto  “Nido d’amore?”.
Kurama annuì e lo trascinò di un altro passo.
“Forza!” s’intromise uno dei corvi “Andiamo avanti con la cerimonia!”.
  
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“M-m-ma… come sarebbe a dire?” Oliver esitava “In pieno giorno e davanti a tutta questa gente?”.
“Perché esiti, marito mio?” replicò la principessa “Concepire un bambino è una cosa sacra”.
“Concepire un bambino?!” le guance di Jamie erano diventate di fuoco.
“Andiamo” insisté la sovrana dei Goblin “di cosa hai paura, che ti mangi?”.
Oliver sentiva su di sé tutti gli sguardi dei suoi compagni, carichi di curiosità, divertiti o scandalizzati. E la cosa lo paralizzava.
“È che…” balbettò “n-non so-sono in vena…”.
“Coraggio” lo confortò il consigliere anziano “andrai benissimo! Sarai in piena forma”.
A un cenno di Kurama la porta della piccola astronave si aprì, rivelando al suo interno un enorme letto rotondo coperto da lenzuola di seta rosa. 
Jamie avvampava.
Il pilota dai capelli ricci, ormai sulla soglia dell’alcova metallica, si voltò ancora una volta cercando tra la folla alle sue spalle solo una persona, una persona in particolare.
Jamie Oshino se ne stava immobile, le mani giunte, e lo fissava mordendosi le labbra come se stesse per piangere.
 
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“Compiremo il rito!” esclamò trionfante la principessa.
“No!” gridò a quel punto Oliver “Non posso farlo!”.
Il goblin anziano levò gli occhietti al cielo.
“Eh?”.
Kurama era sbalordita.
Il pilota indietreggiò di un passo e senza smettere di guardare Jamie disse a voce alta: “Veramente le labbra della straniera stillano miele…ma alla fine ella è amara come assenzio, pungente come spada a doppio taglio”.
Alla ragazza sfuggì un sospiro estatico: allora era vero, Oliver la amava a tal punto da rinunciare a quella bellissima, seducente donna aliena! Nessun altro aveva mai fatto nulla del genere per lei!
Gli corse incontro e gli prese le mani.
“Oh, Oliver” tubò, mentre un dolce rossore le tingeva le gote.
“Oh, Jamie” fece lui, fissandola negli occhi con ardore.
“Oh, Santo Cielo!” sbottò il goblin anziano.
Ma Kurama non demordeva.
Avanzò veloce verso i due e afferrò Oliver per il braccio, tirandolo con violenza.
“Compiremo il rito!” ripeté.
In quell’istante, però, si materializzò dal nulla uno squadrone d’attacco di Aldebaran: navicelle traslucide a forma di manta iniziarono a sparare e colpirono l’U.F.O. alcova, che saltò in aria in mille pezzi.
Mentre il personale della base si affrettava a mettersi in salvo e i quattro piloti raggiungevano le loro postazioni, Kurama contemplò per un istante i rottami fumanti di quello che avrebbe dovuto essere il suo nido d’amore.
Con una ricca maledizione, la sovrana dei goblin saltò nella sua astronave seguita dallo stuolo di servitori.
Il velivolo decollò.
“Ai posti di combattimento!” gridò la principessa, furibonda.
A un suo cenno, un tornado di incredibile potenza investì le navicelle aliene che cozzarono l’una contro l’altra distruggendosi.
 “Chi osa disturbare i miei piani merita una lezione!”.
 
 
Angolino dell’autrice: qui viene citato ancora l’episodio 71 di Lamù, in cui Kurama tenta la sorte col bel Mendo Shutaru (ma lui dimostra di non essere all’altezza della sua fama di latin lover). Oliver legge e cita la Bibbia, quindi in questo caso gli ho messo in bocca due autentiche perle di saggezza, la prima è 1, Corinzi, 6:18 e la seconda Proverbi, 5, 3-4.
Nel prossimo capitolo, un imbarazzante equivoco che coinvolgerà l’esercito invasore.
Grazie a innominetuo e a fandani03 che continuano a seguire questa storiellina. 

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Capitolo 7
*** Un vero uomo! ***


 
Benebenebene, forse nessuno di voi lettori ha notato che ho fatto un piccolo cambiamento negli avvertimenti di questa storia: volete scoprire perché? Leggete e lo saprete.
 
 
CAPITOLO SETTIMO
 
Un vero uomo!
 
“No, principessa, te lo proibisco categoricamente!” starnazzò il consigliere anziano, sbattendo le ali in preda alla rabbia.
Tu” ribatté Kurama, furibonda “…tu proibisci qualcosa a me?”.
“Non è possibile violare la tradizione, sarai punita se non ti adegui!” rincarò la dose il pennuto.
“Ah sì?” fece allora Kurama, afferrandolo per il kimono e tenendolo sospeso esattamente davanti alla sua faccia “Sarò punita? E quindi dimmi, quale sarebbe la punizione che mi aspetta?”.
Il goblin tacque, visibilmente imbarazzato.
Esitò un istante.
“Allora?” lo incalzò lei, scuotendolo con tale violenza che un paio di piume nere caddero sul pavimento.
“Ehm…” fece quello, scuotendo il capino “Io-io non lo so…”.
“Cosa?” replicò aggressiva la principessa, facendolo di nuovo oscillare pericolosamente di qua e di là  “Tu che sei così bravo a intimidire le persone con la minaccia di un terribile castigo, poi non sai nemmeno di quale punizione si tratta?”.
Fece una smorfia e lo lasciò andare di colpo.
Il povero volatile, tutto tremante, cadde a corpo morto e solo all’ultimo secondo riuscì ad aprire le ali, atterrando sul pavimento senza farsi male.
Kurama intanto passeggiava avanti e indietro, le braccia conserte, con aria meditabonda.
“Dunque” disse dopo qualche minuto “se non si sa quale punizione tocchi a chi non rispetta la tradizione del bacio…”.
Guardò i suoi servitori uno a uno.
“…vuol dire che sarò libera di trovarmi un marito come piace a me!” esclamò alla fine, trionfante.
“Che bello” sospirò “avrò finalmente un uomo che starà al mio fianco come una roccia e non…”.
Socchiuse gli occhi, ripensando al disastro con Marin e al fallimento con il terrestre Oliver.
“…e non come un sassolino che intralci la mia strada”.
 
***

Le immagini scorrevano una dopo l’altra sul grande schermo del computer: fotografie di uomini di ogni età e aspetto che i goblin avevano selezionato apposta per mostrarle alla loro padrona.
A un tratto comparve l’immagine accigliata di Raita Hokuto.
Lei ci pensò un secondo e poi disse, secca: “No, non mi piace”.
Poi fu il turno del severo comandante Bannister.
“Questo neanche morta…” sibilò Kurama.
Infine comparve il barbuto signor Morgan dell’Unione Mondiale.
La principessa sgranò gli occhi disgustata.
“Ehi” esclamò “Brutto corvaccio, ma mi stai prendendo in giro?”.
Afferrò il pennuto con entrambe le mani e strinse forte.
“Ahi” gemette il malcapitato “così mi soffochi…”.
Lei non lasciò la presa.
“Ti prego, aiuto…” l’animaletto si agitò convulsamente “Te ne farò vedere degli altri!”.
“Principessa” per fortuna intervennero altri due corvi in soccorso del primo “Calmati, per favore, ti fa male agitarti così!”.
Kurama sbuffò e lasciò andare la bestiola, che già respirava appena.
“Nessuno è perfetto” disse uno dei goblin “tu sei una sognatrice e non vuoi arrenderti alla realtà”.
“E la realtà è che la perfezione non esiste” ripeté il terzo pennuto.
“Questo lo dici tu!” gridò lei di rimando.
“Basta: vi esonero da questo incarico” aggiunse, con aria severa “Troverò da sola l’uomo perfetto”.
“Dammi un’altra possibilità, ti prego” implorò il primo volatile, mostrandole lo schermo del computer.
“Guarda questo che bel tipo…”.
La principessa si voltò e subito mutò espressione: la scena mostrava i dintorni della base terrestre, un aspro paesaggio roccioso, e due persone che si affrontavano in una lotta all’ultimo sangue.
Uno era Marin e l’altro un giovane vestito con un’elegante uniforme color porpora, i corti capelli verdi ben acconciati e occhiali da militare che gli coprivano in parte il viso.
Kurama lo fissò affascinata.
“Mica male, no?” disse il corvo.
“Allora, che te ne pare?” aggiunse un altro uccello.
“Piuttosto attraente, vero?” chiosò il terzo.
Ma lei li ascoltava appena, incapace di distogliere lo sguardo dal giovane ufficiale che teneva testa a Marin contrastandolo con forza e agilità.
Che portamento marziale, che espressione altera!
“Sì” rispose poi “Questo sì che è il tipo d’uomo che mi piacerebbe avere accanto…”.
Le immagini si interruppero all’improvviso.
“Bene” esclamò la sovrana in tono autoritario “vi ordino di scoprire immediatamente come si chiama questo ragazzo e dove posso trovarlo!”.
 
***
 
“Sei proprio sicuro che sia qui?” mormorò un goblin al suo vicino.
I due uccelli se ne stavano appollaiati su una delle travi di metallo che sostenevano il soffitto della sala delle adunate dove si era riunito l’intero esercito di Aldebaran.
In silenzio, col fiato sospeso, i militari bevevano le parole del Gran Comandante Aphrodia che li arringava con la sua solita espressione truce.
L’altro annuì.
“Sì, guarda” replicò, indicando con l’ala il palco “è lui!”.
L’alto ufficiale picchiò con violenza il pugno sul leggio.
“Primo: pena di morte…”
La sua voce tuonava.
“…per chi agisce di propria iniziativa”.
“Secondo: pena di morte per chi volta le spalle al nemico”.
“Terzo: pena di morte per chi prova pietà per il nemico o suscita pietà nel nemico”.
I soldati la ascoltavano, tremando.
I due goblin si guardarono un istante negli occhi.
“Quarto: pena di morte per chi non obbedisce” concluse Aphrodia con un tono che non ammetteva repliche né spiegazioni.
“Non sarà un tantino esagerato?” chiese timidamente un pennuto.
“Noooo” rispose l’altro, a bassa voce “è proprio il tipo d’uomo capace di tenere testa alla principessa Kurama!”.
 
***

“Vieni, sbrigati!” sussurrò il goblin dal naso lungo, posandosi il più silenziosamente possibile sull’armadietto del bagno dell’alloggio del Gran Comandante.
Si erano appena nascosti, stretti stretti nell’angusto spazio che li separava dal soffitto, quando la porta si aprì ed entrò l’oggetto della loro ricerca.
L’acqua scrosciava nella vasca, riempiendo di vapore il piccolo locale. 
“Ecco” mormorò l’uccello “adesso parleremo con lui e gli spiegheremo di Kurama…”.
Il Gran Comandante si tolse il cappello, rivelando una massa disordinata di capelli verdi che le giungevano fin quasi alla vita.
I due corvi spalancarono gli occhietti neri.
Poi, con gesti rapidi, Aphrodia si liberò dell’uniforme, che scivolò sul pavimento.
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Uno dei pennuti aprì il becco per gridare, ma l’altro fu lesto a zittirlo.
L’ufficiale scosse la chioma lussureggiante, calciò via gli stivali e si guardò per un istante nello specchio prima di immergersi nella vasca con un sospiro languido.
Le bestiole deglutirono all’unisono e si fissarono, stravolte.
Una donna!
Quel tale era in realtà una tale.
“Oddio…” gemette il primo uccello “…una donna, questa sì che è una vera sorpresa…”.
“E adesso che si fa?” si chiese con angoscia l’altro “Dobbiamo assolutamente trovare una soluzione, altrimenti Kurama ci spennerà vivi!”.
Si guardarono ancora una volta per un istante.
Poi, il primo disse: “Aspetta, forse ho un’idea”.
 
***
 
“Accidenti, quanto pesa questo affare!” ansimò uno dei goblin, trascinando sulla sabbia un grosso fucile argentato.
“Fai attenzione” gli disse brusco un altro “a come lo maneggi, è l’unica nostra speranza di trovar marito alla principessa…”.
“Ma siete sicuri che funzionerà?” domandò un terzo “In fondo è un’arma sperimentale, non è mai stata utilizzata prima”.
Un quarto pennuto annuì, serio serio, le ali conserte.
“Funzionerà” disse lentamente.
“Deve funzionare”.
“E comunque, per questa ragione stiamo cercando una cavia” aggiunse dopo un istante.
In quel momento videro sbucare sulla sommità della scarpata una figura che procedeva a grandi balzi verso la spiaggia.
“Ssssssh!” intimò un corvo ai compagni “forse la nostra cavia sta arrivando, non facciamoci scoprire!”.
“Datemi una mano, piuttosto” mormorò il primo uccellaccio, spingendo con tutte le sue forze il fucile dietro le rocce.
Ma prima che ci riuscisse, una voce severa alle loro spalle fece sobbalzare i quattro animaletti.
“Ehi, che cosa ci fate qui?” esclamò Marin Reigan coprendo a passi veloci la breve distanza che ancora lo separava da loro.
“La principessa è con voi?” aggiunse, le mani sui fianchi.
I quattro fecero segno di no con la testina piumata.
“Dovete andarvene subito!” disse il ragazzo, fissandoli freddamente.
Levò il pugno contro di loro.
“In questa base stiamo combattendo una guerra sanguinosa e non possiamo perdere tempo con le vostre stupidaggini!”.
I pennuti si fissarono in silenzio per un istante.
Poi, senza dire nulla, due di loro puntarono il fucile contro Marin e un terzo premette il grilletto.
Il pilota lanciò un grido e balzò di lato, ma fu colto di sorpresa e non riuscì a schivare il fascio di luce rosa che lo colpì esattamente all’altezza del cuore. 
“Ecco” ghignò il quarto volatile “ora abbiamo trovato la nostra cavia…”.
 
Note&credits: Le parole di Aphrodia sono prese dalla puntata n. 16 (“Legge senza pietà”) e anche il combattimento tra Marin e il Gran Comandante è ripreso da quell’episodio. La scena del bagno è una citazione dalla puntata “La sfida del Broliler”. Cosa avranno fatto questi birboni alati al nostro povero protagonista? Nel prossimo capitolo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità. 

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Capitolo 8
*** Il raggio cambia-sesso ***


CAPITOLO OTTAVO
 
Il raggio cambia-sesso
 
Marin sbatté le palpebre e si passò una mano sul viso, disorientato.
Quando si guardò intorno ebbe la sensazione che la realtà gli apparisse sfocata, come se la stesse guardando attraverso il velo d’acqua di una fontana.
Respirò profondamente, cercando di riprendere il controllo di sé.
Nel frattempo, i quattro corvi si erano posati in altro sulla scogliera e lo osservavano con curiosità, tenendosi però a distanza di sicurezza.
“Allora, come ti senti?” gli chiese uno di loro.
“Noti qualcosa di diverso in te?” fece un altro.
Marin li fissò sbalordito.
“N-no” balbettò “Sì… cioè… non lo so!”.
“Mi sento… mi sento…” esitò, non riuscendo a trovare le parole adatte. 
“C-che cosa mi avete fatto, maledetti?!” esclamò, poi, avvicinandosi alle rocce.
I quattro prudentemente si alzarono in volo.
“Abbiamo sperimentato su di te il nostro raggio cambia-sesso” rispose con calma un goblin vestito di rosso.
Mentre Marin seguitava a guardarli a bocca aperta, i corvi iniziarono a battere le ali con vigore e si allontanarono in un frullio di piume nere.
“Raggio cambia-sesso?” gridò il giovane soldato “Aspettate, che cosa vuol dire!?”.
Ma i quattro erano ormai lontani nel cielo.
Uno di voltò verso di lui e ridacchiando esclamò: “Te ne accorgerai presto, signorina!”.
 
***
 
“Ma insomma, Marin, dov’eri finito?” la voce di Raita tradiva rabbia e impazienza.
“Lo sai che quando suona l’allarme dobbiamo correre tutti qui immediatamente!”.
Il ragazzo di S1 lo guardò pensieroso e non rispose, gli occhi bassi.
“Ehi, si può sapere che ti prende?” insisté l’altro, dandogli una spinta sul petto che lo fece indietreggiare di un passo.
Marin impallidì, esalò un gemito di dolore e si portò le mani al torace.
Jamie si slanciò verso di lui, fissandolo con angoscia.
Oliver si frappose tra loro.
“Stai esagerando, amico” disse “ti ha fatto solo così…”.
Lo toccò sul petto col palmo della mano. Un istante.
Poi di colpo l’americano spalancò gli occhi, lanciò un grido disumano e si guardò la mano terrificato: la sua mano, il braccio si erano improvvisamente ricoperti di pelle d’oca.
Oliver urlò ancora e poi scappò via dalla stanza, stravolto, senza smettere di gridare.
Jamie e Raita si guardarono allibiti.
“Ma-ma che sta succedendo?” domandò la ragazza.
“Esatto” aggiunse l’altro, avvicinandosi al pilota con aria aggressiva.
“Che diavolo hai?”.
“Andiamo, Raita…” fece Marin, giungendo le mani e piegando la testa di lato “fai il duro con me?”.
“Ecco” aggiunse, schiudendo appena le labbra pallide “ecco… io adesso avrei una gran voglia di urlare…”.
Jamie gli si avvicinò ancora, senza smettere di fissarlo.
Il giapponese era sbalordito.
Allora Marin si aprì la tuta celeste, rivelando un magnifico seno terza misura.
Jamie strillò il suo nome. Raita svenne.
“Ma-ma-marin…” biascicò la bionda.
“Marin è diventato una donna!” gemette.
“In effetti” annuì il giovane, fissandosi il petto “questo sminuisce un po’ la mia virilità…”.
 
***
 
Marin si guardava da almeno dieci minuti allo specchio; indietreggiava di un passo, poi si girava di tre quarti e faceva una mezza piroetta.
A un tratto, si aprì la tuta e si guardò il seno. Arrossì per un istante e distolse lo sguardo.
“La vuoi piantare!?” esclamò Jamie, senza cercare di nascondere il violento tic che le faceva sbattere continuamente la palpebra sinistra.
L’extraterrestre si passò una mano sull’uniforme azzurra e fece una smorfia.
“Questa non va bene, è troppo aderente…”.
“Mi fa sentire così in imbarazzo” aggiunse, arrossendo di nuovo.
La ragazza sbuffò e aprì il suo armadio, iniziando a tirare fuori indumenti di ogni foggia e colore.
“Dobbiamo trovare qualcosa che valorizzi la mia figura” ammiccò lui. La raggiunse e trionfante afferrò dal mucchio una camicia rosa shocking di seta con ampie maniche a sbuffo. 
La guardò con aria sognante, poi palpò la stoffa morbidissima.
“Ecco, questa sarà perfetta…”.
Se la appoggiò per un istante sul petto.
“Insomma” gridò Jamie esasperata “ti sbrighi?”.
Lui la osservò imbarazzato.
“È che… mi vergogno se tu mi guardi!”.
Jamie trattenne a stento un’imprecazione.
“Sbrigati, ti ho detto!” ripeté minacciosa.
Lui sospirò.
“Va bene, va bene, ma non agitarti così…”
Tolse la parte di sopra della tuta e rimase nudo.
In quell’istante la porta dell’alloggio di Jamie si spalancò e la professoressa Quinstein entrò con aria allarmata.
“Marin, Jamie,  si può sapere cosa sta succedend…ooooohhh”.
Guardò il pilota senza vestiti e le parole le morirono in gola.
“Mamamama…” balbettò.
“Chechche-che cosa vuol dire?!”.
“Bannister…” annaspò, sorreggendosi alla cornice della porta per non cadere a terra “devo dirlo immediatamente a Bannister…”.
Il pilota la guardava, imbambolato.
Lesta come un fulmine, Jamie afferrò Marin  per una mano e lo trascinò fuori che ancora stringeva al petto la camicetta rosa di chiffon.
Cominciò a correre verso l’hangar delle navette spaziali.
“Vieni” disse con energia “dobbiamo andare via di qui”.
“Dobbiamo assolutamente trovare una soluzione!”.
 
***

“Quindi, Gran Comandante” il corvo anziano passeggiava avanti e indietro, le ali dietro la schiena, con aria concentrata.
“La nostra principessa, la bellissima Kurama, ti ha scelto come suo marito e l’unico modo in cui il suo sogno potrà realizzarsi è che tu ti sottoponga al nostro raggio cambia-sesso…”.
Aphrodia lo fissava senza parlare.
In un altro momento avrebbe scacciato quei mostriciattoli assurdi, li avrebbe senza tante cerimonie fatti a pezzettini… eppure ciò che era successo quella mattina rendeva tutto diverso, tutto più difficile.
Era stato un momento terribile per lei, anche se aveva fatto del suo meglio per non darlo a vedere: i componenti del consiglio di guerra, i collaboratori più fidati di Gattler, nessuno escluso, diffidavano di lei. Tutti tramavano alle sue spalle e la disprezzavano perché era una donna.
Poteva impegnarsi più di ogni singolo soldato, poteva rinunciare all’amore, poteva persino morire per la causa… ma niente sarebbe stato sufficiente giacché per loro - per ciascuno di loro, Gattler compreso - sarebbe stata sempre solo una donna.
“Un uomo se la spassa molto più di una donna” la blandì un altro dei goblin, svolazzandole intorno.
“E finalmente nessuno ti sminuirà più come Gran Comandante solamente perché sei una donna” aggiunse un altro, come se sapesse leggerle nel pensiero. 
“Tutti ti prenderanno sul serio, ti rispetteranno e avranno paura di te”.
Il segnale di una videochiamata interruppe il volatile.
Aphrodia fece cenno agli uccelli di nascondersi e premette un pulsante, che fece accendere subito lo schermo alle spalle della scrivania.
Il volto severo e autoritario del dittatore di S1 riempì tutto il video, la sua voce riecheggiò nella piccola camera arredata semplicità.
L’alto ufficiale scattò sull’attenti.
“Ti aspetto subito nel mio studio” disse lentamente. La sua voce era tranquilla, eppure tutti i presenti nella stanza - fossero umani o animali - sentirono distintamente accelerare i battiti del loro cuore.
“Dobbiamo discutere di ciò che è accaduto stamattina…”.
La giovane donna annuì in silenzio.
Nascosti dietro il letto, i goblin si scambiarono uno sguardo d’intesa.
***

“Jamie” esclamò Marin, tenendo le mani giunte davanti al viso “è una pazzia: ti rendi conto che siamo nella base delle forze di Aldebaran?”.
La ragazza annuì con vigore.
“L’U.F.O. dei tirapiedi di Kurama è atterrato qui… e tu hai detto che i goblin volevano usare il raggio cambia-sesso per aiutare la principessa Kurama a trovare marito…”.
“Non so cosa abbiano in mente quelle bestiacce” continuò “ma bisogna assolutamente che ti facciano ritornare come prima”.
“Io-io non so cosa farei se tu non tornassi più…ecco…se non tornassi un uomo”.
Lo guardò con intensità, mentre l’altro distoglieva il viso cercando di nascondere l’imbarazzo.

***

“Allora, Gran Comandante” insisté il goblin anziano “procediamo?”.
Lei camminava a passo svelto dirigendosi verso lo studio di Gattler, mentre i corvi la seguivano trascinandosi dietro il fucile cambia-sesso.
“Lasciatemi in pace!” replicò lei “in questo momento ho altro a cui pensare”.
Due corvi le si pararono davanti, tagliandole la strada.
 
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“Andiamo” dissero “ci vorrà solo un attimo, tu diventerai un uomo, potrai sposare Kurama e tutti saremo felici e contenti!”.
Gli altri due uccelli che erano rimasti indietro sollevarono l’arma e la puntarono sulla fanciulla, che rimase immobile, persa nei suoi pensieri.
Davvero se fosse diventata un uomo la sua vita sarebbe stata migliore? In fondo, non aveva già rinunciato a essere una donna per compiere la sua vendetta? Se l’era ripetuto decine, centinaia di volte e in quel modo avrebbe reso solo le cose più semplici.
Un uomo.
Sarebbe stata un uomo.
Così avrebbe potuto vendicarsi finalmente di Marin.
Marin.
Il volto del suo nemico le attraversò la mente in un istante. Se fosse diventata un uomo non avrebbe mai…
Cercò di scacciare quel pensiero così strano, inopportuno e disonorevole, ma per quanto ci provasse non ci riuscì.
Marin.
I due goblin annuirono e armarono il fucile, che rispose con un secco click.
Sollevarono la canna.
“No!” un grido li fece sussultare.
Marin e Jamie comparvero d’improvviso.
“Dovete assolutamente far tornare Marin com’era prima!” protestò la ragazza, puntando la sua pistola sui corvi.
Aphrodia a sua volta tirò fuori l’arma e la puntò verso l’assassino di suo fratello.
“Volete usare il raggio cambia-sesso su di lei?” esclamò Marin.
“È una follia, non ve lo permetterò!” gridò.
 
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“Fatti gli affari tuoi!” replicarono i goblin all’unisono.
“Esatto” intervenne Jamie “non pensare a quella donna…”.
“Basta” urlò il consigliere anziano “FUOCO!”
Avvenne tutto in un istante: il fucile vomitò il suo raggio in direzione del Gran Comandante, Marin si slanciò verso di lei e le fece scudo col suo corpo; ricevette un altro colpo in pieno petto e si accasciò al suolo con un grido strozzato.
Jamie lo fissava incredula, gli occhi velati di lacrime, le labbra tremanti. 
Aphrodia rispose al fuoco e colpì il fucile, che esplose in mille pezzi.
“Oh no…”
I corvi parlanti si guardarono l’un l’altro disperati.
“Abbiamo fallito di nuovo…”
 
 
Note&credits: nell’episodio n. 91 Kurama s’invaghisce di Ryunosuke Fujinami, convinta che sia un uomo, e i goblin per porre rimedio all’equivoco tentano di trasformarla in un maschietto, colpendo accidentalmente Ataru che diventa quindi una donna. O qualcosa di simile.
I pensieri di Aphrodia sono mutuati da vari episodi dell’anime, in cui gli alti ufficiali di Aldebaran fanno brutalmente i sessisti contro la ragazza, sminuendola perché donna e dandole la colpa dei fallimenti dell’esercito. 
Nel prossimo capitolo, finalmente Kurama coronerà i suoi sforzi.
 

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Capitolo 9
*** Final Fantasy ***


Ecco a voi, amici, l’ultimo capitolo di questa folle storiella: buona lettura!
 
 
Final fantasy
 
Le incursioni dell’armata Aldebaran comandata da Aphrodia si facevano sempre più numerose e audaci; l’Unione mondiale e i Blue Fixer non mostravano tracce di cedimento, ma le masse popolari…” 
A un tratto, il narratore si interruppe e rimase in silenzio per qualche istante.
Akiyoshi Sakai e Kazuyuki Hirokawa si guardarono interrogativi, poi il primo aprì la bocca per dire qualcosa
“Stavo pensando” riprese però la voce fuori campo “…il protagonista si chiama Marin e ama il mare…”
“Beh?” chiese l’autore, che iniziava a spazientirsi.
“Pensavo: meno male che non è un fan dell’isola di Creta” e scoppiò a ridere.
L’atmosfera era tesissima, chini sui loro scranni i disegnatori sudavano freddo; solo il ragazzo che portava i panini soffocò una risatina.
Akiyoshi si passò una mano sulla fronte, disperato.
“Ma proprio sto’ cabarettista da quattro soldi dovevi trovare?” mormorò al produttore.
“È l’unico che ha accettato questo lavoro” replicò l’altro, costernato.
 
***
 
“Ragazzo mio” disse Bannister, posando la pipa e avvicinandosi a Marin.
“Più volte mi hai detto che per te sono come un padre…”
Gli appoggiò le mani sulle spalle e lo guardò intensamente in volto.
“E adesso ti parlo come un padre”.
Tacque un momento.
“Devi andare a letto con quella donna, o aliena, o mezza cornacchia che sia!” esclamò poi con decisione.
Marin lo guardò sbalordito.
“C-che cosa?” esalò.
“Non mi pare che passare una notte di fuoco con una donna bellissima che pende dalla tue labbra sia chiederti troppo” aggiunse.
“Ma, comandante…?” fece l’altro, interrogativo.
“Mi sono spiegato?!” insisté Bannister con forza “Quando ha combattuto al nostro fianco abbiamo riportato una delle poche vittorie schiaccianti contro l’esercito di Gattler”.
“Se Kurama e il suo U.F.O.” concluse, serio “passano dalla parte di Aldebaran siamo spacciati! Non possiamo permetterci di perdere questo prezioso alleato”.
“Cioè vuol dire che io” esitò Marin “che io dovrei…”.
L’ufficiale sbuffò e levò gli occhi al cielo.
“Esatto” esclamò, spazientito “hai presente le api e i fiori?” .
“O hai bisogno che ti faccia un disegnino?”.
Lo spinse senza tanti complimenti verso la porta.
“E mi raccomando, dacci dentro! Se quella passa al nemico possiamo dire addio alla vittoria”.
“Ma, comandante…” Marin tentò ancora una debole protesta.
“Coraggio, ragazzo” aggiunse l’altro, spingendolo nel corridoio “se non sai come fare non preoccuparti, vai per tentativi”.
Lo guardò con espressione vacua.
“Prima un dito nell’occhio, poi un gomito nell’orecchio…”.
“Vedrai che ce la farai” concluse, chiudendo la porta.
Rimasto solo, Bannister si lasciò sedere pesantemente dietro la scrivania.
Sospirò e si passò una mano sul volto pallido e teso.
“Mannaggia a me quando non ho accettato la parte del dottor Kenzo Kabuto…” mormorò stancamente.
 
***
 
Quel pomeriggio Marin indugiò più del solito sotto l’acqua tiepida della doccia: era una delle poche cose che lo aiutava a rilassarsi e, insieme, a riflettere. Le ultime parole che gli aveva detto il comandante gli rimbombavano ancora nelle orecchie: era veramente possibile che Bannister volesse da lui una cosa del genere?
 
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L’uomo che aveva sempre considerato come un padre gli aveva chiesto senza mezzi termini di usare il suo corpo per uno scopo assolutamente vile: conquistare un’alleata, vincere la guerra in quella maniera gli sembravano una mostruosità. Decine di volte si era domandato se sarebbe stato capace di andare fino in fondo con una donna per la quale non provava niente, se non una discreta antipatia epidermica.
 
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Chiuse l’acqua e, rabbrividendo, si avvolse nell’accappatoio; i capelli bagnati gli si appiccicavano alla fronte depositando goccioline gelate sul collo e il torace.
Sospirò, pensieroso.
Il tempo stringeva e lui avrebbe dovuto prendere una decisione al più presto.

 
***
 
“Ehi, dove siete?” gridò Marin, la voce appena tremante.
Dall’U.F.O. di Kurama, che ancora stazionava davanti alla base BF, non venne nessuna risposta.
“Ehi?!” ripeté il ragazzo, avvicinandosi di più al portellone.
Assurdo: la principessa dei goblin gli aveva dato il tormento perché passasse la notte con lei e adesso che - dopo ore di terrificanti elucubrazioni mentali - si era finalmente deciso a cedere alle sue lusinghe, non solo non gli correva incontro a braccia spalancate, ma si permetteva pure di fargli fare anticamera?
“Principessa Kurama?!” disse ancora, avvicinandosi di più al portellone.
Ma in quell’istante il rombo dei motori dell’astronave lo avvertì appena in tempo che doveva togliersi velocemente di là se non voleva essere incenerito dai propulsori; in pochi secondi il velivolo si sollevò e si dileguò a velocità supersonica sparendo sull’orizzonte.
A bocca aperta, Marin  lo guardò svanire senza riuscire a muovere un muscolo.
 
UNA SETTIMANA DOPO
 
Nei giorni precedenti, subito dopo la partenza di Kurama, il clima alla base BF era stato assai teso: Bannister dava la colpa all’indecisione di Marin e lo trattava con grande freddezza, mentre gli altri erano terrorizzati al pensiero di cosa poteva accadere se la principessa dei corvi si fosse alleata con Aldebaran.
Come se non bastasse, gli attacchi nemici erano bruscamente cessati senza alcuna ragione apparente e iniziava a serpeggiare l’idea che le truppe di Gattler avessero intenzione di sferrare un ultimo attacco, l’attacco finale, per infliggere il colpo di grazia all’umanità.
Quel pomeriggio un cielo cupo e plumbeo nonostante fosse la fine di agosto salutò i Blue Fixer a rapporto dal comandante; Bannister camminava nervosamente avanti e indietro misurando la grande sala con passi veloci, la professoressa fissava il plico di documenti che aveva davanti come se fosse la cosa più importante del mondo mentre i piloti, immobili al centro della stanza, aspettavano muti sull’attenti.
Una decina di tecnici non staccavano gli occhi dagli schermi, attenti a monitorare ogni più piccola anomalia, ogni segnale premonitore dell’imminente catastrofe. 
La tensione si tagliava con il coltello.
A un tratto un grido strozzato fece sobbalzare la scienziata; non trattenne un sussulto e fece così cadere i fogli, che si sparsero sul pavimento in un frusciare spettrale.
Bannister in un balzo fu accanto al tecnico che aveva appena urlato.
“Cose c’è? Che succede?” domandò, ansiosamente.
“È… è incredibile…” replicò quello, sbalordito.
I quattro piloti si scambiarono uno sguardo carico di tensione, la Quinstein boccheggiava.
“Che cosa, che cosa è incredibile?” fece il comandante.
La sua mente si affollava di pensieri drammatici: cosa dovevano aspettarsi? Un attacco in massa, una schiera di mostri meccanici, un altro corpo celeste scagliato contro la Terra?
Ah, quel Marin, se avesse potuto gli avrebbe strappato uno a uno quegli assurdi capelli verdi dalla sua testaccia vuota!
Il tecnico deglutì.
“L’esercito di Aldebaran…” disse con voce tremante, dopo un attimo.
“Ecco… l’esercito di Aldebaran se n’è andato!”.
Le sue parole esplosero come una bomba.
“Ma…ma com’è possibile?” bofonchiò Bannister.
“Sei sicuro?” gli fece eco la professoressa.
“Confermo: da tutte le nostre basi ci stanno arrivando informazioni dello stesso tipo” aggiunse un altro tecnico, lo sguardo incollato al monitor.
“Le astronavi nemiche hanno ripreso a bordo il personale delle basi sulla Terra e, una dopo l’altra, hanno effettuato il balzo interdimensionale”.
“Si sono ritirate dai territori conquistati…” mormorò un terzo.
“Siete sicuri che non sia una trappola?” intervenne a quel punto Oliver.
“E chi può dirlo? Ciò che possiamo sapere adesso è che sono andati via senza lasciare nessuno dietro di loro”.
“Ma com’è possibile?” domandò Oliver.
“Ma questo vuol dire che…” esclamò Raita.
“… che la guerra è finita!” Jamie completò la frase.
“È finita, finita, capite?” la sua gioia era incontenibile e ben presto contagiò tutti.
Raita cominciò a ridere istericamente, Oliver volse lo sguardo sulla ragazza bionda al suo fianco, ma Jamie si avvicinò a Marin e gli prese le mani, fissandolo con aria sognante.
 “È finita…la guerra è finita” ripeté, quasi incredula.
Lui, però, si staccò freddamente da lei senza rivolgerle nemmeno uno sguardo.
Bannister con un sorriso a 354 denti si slanciò verso la Quinstein.
“Sono mesi che desidero farlo!” mormorò un istante prima di afferrarla e baciarla, tenendole le mani intorno al collo come se volesse staccarle la testa dal corpo. 
Nel clima di euforia generale, solo Marin manteneva un contegno funereo.
“Ma insomma, che ti prende?” gli chiese brusco Raita “Non sei felice?”.
Il ragazzo si strinse nelle spalle: l’unica cosa cui riusciva a pensare era che Gattler se n’era andato chissà dove e la sua vendetta sarebbe sfumata per sempre.
Nel frattempo, Bannister e la Quinstein non si erano ancora scollati.
A un tratto risuonò il segnale di una videochiamata e sull’enorme schermo apparve la faccia accigliata della signora Bannister; all’istante il comandante mollò la presa, lasciando che la professoressa piombasse al suolo con un gemito strozzato.
L’ufficiale si rialzò, rassettandosi l’uniforme un po’ spiegazzata.
“Ehm… sì, tesoro, dimmi?” fece con voce tremula.
La donna dai capelli a crocchia lo guardava in cagnesco.
“Insomma” disse, acida “la guerra è finita”.
“Da circa trenta secondi, amore della mia vita…” sussurrò il comandante.
Poi annuì, timido.
“Ti aspetto stasera a casa”.
“Sì, cara”.
“Alle otto”.
“Certo, cara”.
“Non fare tardi che ci sono i miei a cena”.
“Come no, cara”.
“E ricordati di comprare il latte tornando tornando che qui sono sei mesi che ci stiamo facendo il cappuccino con il sakè: un’acidità di stomaco che non ti dico…”. 
Non appena il viso arcigno scomparve, la Quinstein voltò le spalle a tutti e uscì dalla stanza con aria schifata.
In quel momento squillò il citofono.
“Sì?” rispose uno dei tecnici, sollevando il ricevitore.
“Sì, è qui”.
“Marin...” disse “c’è un corriere con un pacco per te, devi scendere subito”.
 
***

“A fraciconi” inveì il corriere “è mezz’ora che ve sto a aspetta’ qua sotto!”.
Il tale, un orrendo butterato di 35 anni con un alito agghiacciante tipo fogna di Calcutta, si grattò i capelli unticci con la penna che poi porse a Marin perché firmasse.
Il ragazzo lo squadrò con aria disgustata e afferrò l’arnese tenendolo appena appena tra le dita come se si trattasse di una scoria tossica.
Il pacco era enorme, alto quasi come un uomo, e del tutto anonimo.
“Chi lo manda?” chiese Oliver.
Il tizio si strinse nelle spalle senza rispondere; poi guardò Marin e gli tese la mano.
Quello lo fissò a sua volta, senza capire.
“A belli capelli…” borbottò.
“Che, me stai a cogliona’?”
“Eh?” fece Marin, sbalordito.
Il trucido allora saltò a bordo del suo furgone masticando insulti in lingua swahili.
I quattro piloti si accostarono all’involucro misterioso.
A un tratto la carta iniziò a lacerarsi dall’interno e ben presto apparve il Gran Comandante Aphrodia inguainata in un sexissimo abitino ultrascollato.
 
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“Sorpresa!” esclamò, con un freddo sorriso.
Saltò a terra e spianò la sua pistola contro Marin.
 “Finalmente siamo faccia a faccia” esclamò, fissandolo “sono qui apposta per regolare i conti con te”.
“Però!” Raita diede di gomito a Oliver “Se questa si veste così per un duello, non oso immaginare come si deve combinare per un appuntamento…”.
L’altro annuì, in silenzio.
“Ascolta” intervenne Jamie “Vuoi spiegarci cos’è successo e tu cosa ci fai qui?”.
“Già” fece il pilota biondo “il tuo esercito se n’è andato!”.
Marin intanto seguitava a fissarla, imbambolato.
Aphrodia fece una smorfia di dolore.
“Quella sgualdrina pennuta di Kurama…”  cominciò - occhi lucidi, guance paonazze, labbra tremanti  - “ha deciso che Gattler doveva essere suo marito e lui… lui ha accettato!”.
I piloti si scambiarono uno sguardo stranito.
“Dato che sul pianeta dei goblin non ci sono esseri umani” proseguì lei “hanno pensato che sarebbe stato il luogo ideale per il popolo di S1 e quindi…”.
Esitò un attimo, sull’orlo delle lacrime.
“… e quindi se ne sono andati e mi hanno mollata qui tutta sola, soltanto perché ho detto che non mi sembrava una buona idea”.
 Puntò la pistola di nuovo contro Marin.
“È tutta colpa tua!” piagnucolò “Se non fosse stato per te Gattler sarebbe ancora qui e io sarei ancora il Gran Comandante.
E invece ora sono disoccupata...  finirò a fare l’Isola dei famosi, ti rendi conto?”.
Si asciugò gli occhi e riprese il controllo.
“Ma adesso è finita per te” disse, severamente.
Raita si schiarì la voce.
“Ehm… ok, mi dispiace interrompere questo bel momento tra voi ma ho lasciato di nuovo il Cater Ranger in doppia fila.
E adesso che la guerra è finita dubito che gli ausiliari saranno comprensivi come in passato”.
Così detto, si eclissò in un secondo e mezzo.
Aphrodia avanzò di un passo verso Marin, sempre tenendolo sotto tiro.
Jamie e Oliver si guardarono un istante.
“Senti” disse lei, prendendolo sotto braccio “Com’erano quei versi bellissimi che mi hai letto l’altra sera nella tua stanza?”.
Si mordicchiò le labbra in maniera seducente.
“Oh sì” mormorò, trascinandolo via “Che parole meravigliose: mettimi come sigillo sul tuo braccio”.
“Mettimi come sigillo sul tuo cuore…”
Si avviarono insieme, stretti stretti, verso la base.
“… perché forte come la morte è l’amore” concluse Oliver.
In piedi, da soli, Marin e Aphrodia si fronteggiarono.
Con gli sguardi si trafissero scambiandosi rabbia e cinismo, ingenuità e viltà.
“E così” disse lui, estraendo a sua volta l’arma “alla fine è arrivato il momento della resa dei conti”.
“Già” fece lei, avanzando con la pistola spianata.
Poi a un tratto incespicò in un sassolino e con un urletto gli cadde addosso.
“Ahi, ahi” gemette “la mia caviglia…”.
“Ti sei fatta male?” chiese lui, preoccupato.
La ragazza annuì.
“La mia caviglia” ripeté “Non credo di riuscire a camminare…”.
Marin la guardò interrogativa.
“Non è che mi prenderesti in braccio?” chiese lei, con la sua voce più sensuale.
Lui sospirò e la sollevò tra le braccia.
 
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Si avviò barcollando, con lei che gli si aggrappava al collo, verso uno struggente tramonto di fine estate.
“Te l’ha mai detto nessuno che sei una falsa magra?” borbottò Marin, cercando di mantenere l’equilibrio sui sassi del pendio.
Mentre scendeva verso la spiaggia, però, mise un piede in fallo…
 
FINE
 
 
E ricordate che, come sa benissimo chiunque abbia pilotato il Baldios, LE DIMENSIONI CONTANO!!!!!!
 
 
 
Note&credits:
Lo spiegone inziale è ripreso dall’episodio n. 15, le parole di Jamie sono tratte dal Cantico dei Cantici.
Mi ha sempre fatto sorridere che Marin - nomen omen - amasse il mare, come pure trovavo involontariamente assai comico che Aphrodia nella metà delle occasioni in cui ha a che fare con Marin trova il sistema di farsi prendere in braccio da lui… vero, fandani?
Ora, chi di voi ha per caso letto qualche mia fic su M.A.S.K. sa che io ADORO i cattivi, perché spesso sono molto più interessanti dei buoni. Però. C’è un però. Perché Aphrodia non è una cattiva normale, è una che - per dirla con Crozza - se passa sotto la Porta Santa durante il Giubileo comincia a suonare il metal detector. Quindi per lei niente lieto fine. O forse sì.
Grazie di cuore a tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere questo racconto. Grazie a fandani, baldios e a innominetuo che hanno, in aggiunta, pure trovato la forza fisica di recensirla.
Alla prossima, con Marin&co.
E tante nuove sorprese.
 
 

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