21

di pgiovannini
(/viewuser.php?uid=890375)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


       PROLOGO
Odio i risvegli bruschi. Sono come essere catapultati dall’oscurità alla luce. Il risultato ti stordisce, oltre a provocare un’inevitabile incazzatura. E’ stata una lunga notte, e che notte! Non so se mi sento più americano per il 4 Luglio o per i festeggiamenti che ne derivano. Insomma, le parate, le grida, i fiumi di birra, le ragazze eccitate; e tutto ciò è amplificato dal fatto che è anche il giorno del mio compleanno. 20 anni.
E chi si scorda una la festa di ieri notte? Sono collassato a letto con Sarah, la mia ragazza, che non capiva più niente anche lei, la santina. A volte mi chiedo come faccio a ridurmi in questo stato ogni volta: la maglia umida di sudore misto all’alcol, i pantaloni persi chissà dove insieme alle scarpe, e i capelli che sono un tripudio di zucchero e sostanze appiccicose. Non c’è una parte del mio cervello che è intenta a fermarmi, a dire “Chris, basta”, i freni inibitori con cui sono nato penso abbiano fatto le valige parecchi anni fa, lasciandomi affrontare, impavido, ogni fottutissima situazione. Ricordo quando al primo anno di liceo insieme a Lucas rubammo la macchina del preside Miller e la nascondemmo nel retro della palestra. La faccia sconcertata di Miller nel non trovare la propria vettura fu una cosa inebriante. Povero bastardo, quante cose ha dovuto passare a causa della mia irrefrenabile vena creativa nel rovinargli le giornate. Un giorno gli regalerò un mazzo di fiori, lo prometto. 
C’è una luce strana che penetra la finestra, non il caldo sole di Luglio che ti toglie il respiro e fa sembrare una passeggiata al parco, un viaggio interminabile nel deserto del Sahara; questo è un sole freddo, quello delle giornate sbagliate, quello che c’è ma non c’è. Avete capito? Quel cazzo di sole che, anche se coperto dalle nuvole, da fastidio alla vista.
Non è un buon giorno, non poteva esserlo, lo sentivo. Ci sono delle volte che, nel momento stesso in cui mi sveglio capisco come andrà la giornata. Se sarà una vittoria o un’emerita merda. Ho quel presentimento, come se le cose fossero destinate ad andare male. Forse è il karma, penso. Mi sono divertito così tanto ieri notte con Sarah, Lucas, Valerie, quel cocainomane di Steve e persino con mia sorella Beatrice e il suo ragazzo stronzo, Derek, che oggi dovrà per forza essere una giornata da schifo. Ok, sono pronto a odiare questo 5 Luglio 2015.  Il mio udito si sta pian piano abituando al mondo esterno, pensavo che dormissero tutti, ma mi ero sbagliato. Quei festaioli stanno ancora facendo festa? Sento le loro grida di sotto. Penso siano veramente pazzi, e per questo li amo. Mi hanno fatto passare la notte più bella della mia vita, ed è incredibile quanto mi sia divertito. Ok, diciamocela tutta, merito del buon risultato della festa è anche dei Miei che hanno lasciato a me e a Beatrice le chiavi della casa qui a Redeye Park. I party in montagna hanno il loro fascino, lo ammetto. Una casa in mezzo al nulla. Casino a volontà e niente polizia: tagliati fuori dal mondo.
L’unica rottura è che per raggiungere la casa abbiamo dovuto prendere quella vecchia funivia: non esiste una strada che permetta alle macchine di raggiungerci, e questo ha comportato anche una breve camminata. Poco male, un po’ d’isolamento non fa mai male, se non fosse per la rete assente. Dovrò aspettare di raggiungere la fine della funivia per caricare le foto della festa su Facebook, e ora che controllo il cellulare mi rendo conto di quanto matto ero.
Mi alzo dal letto con calma, non voglio vomitare sul parquet, mi gira ancora la testa. Inizio a frugare per la stanza: dove cazzo sono i miei pantaloni? Non ci tengo per niente a fare un chilometro di strada a piedi in mezzo al bosco in mutande, bucate tra l’altro. Ispezionata la camera, mi rendo conto che dei miei pantaloni, qui, non c’è traccia. Probabilmente me li avranno fatti togliere durante qualche sorta di scherzo, continuando a scorrere le foto nel telefono ne ho la prova inconfutabile. Bastardi.
Saranno sicuramente in soggiorno, dunque, apro sospirando la porta della camera per recarmi al piano di sotto a grandi passi, ma mi blocco. Il mio udito capta qualcosa d’insolito, come se nell’equazione che mi ero formulato in testa il risultato venisse sbagliato. Non stavano “festeggiando”, non sembrano urla di gioia. E’ un frastuono frenetico, come quando si è in ritardo per l’autobus e ci si prepara velocemente per non perderlo. Che cosa sta succedendo? Il mio corpo si muove d’istinto, scatto in avanti. Scendo le scale velocemente, la curiosità mista al cupo mistero. Mentre sto per giungere al piano terra sento distintamente le grida: Beatrice sta gridando a squarcia gola. Non frasi, non concetti. Un nome:
Derek.

Stordito dalla situazione, provo a far mente locale mentre mi avvicino di corsa agli altri. Cos’era sucecsso? Derek non è mai stato il tipo di ragazzo che combina casini durante le serate: mai uno spinello, figurarsi qualche pasticca di Steve, il che esclude l’overdose; non ha mai alzato troppo il gomito, era un ragazzo responsabile. Anche se stronzo. Il che ha sempre tranquillizzato, ma non troppo, le mie incertezze sul suo rapporto con Beatrice. Beatrice è sempre stata una ragazza esigente, ma con Derek si trova bene. Mai li ho sentiti litigare se non per stronzate. In fin dei conti, sono contento della loro relazione. Derek è un duro. Il classico ragazzo tutto d’un pezzo che vuole e sa di avere sempre ragione. Una specie di soldato. É stato il quarterback della squadra del Liceo, non era una mezza calzetta. Eppure ora è lì, disteso a terra, i ragazzi che creano un muro intorno a lui e Beatrice, che gli è accanto e gli urla addosso. Vedo le scene al rallentatore. Spingo via Valerie e Sarah e mi butto di fianco a Beatrice. Le sue urla si sono placate e cerca disperatamente il battito del fidanzato sul collo con due dita. Non respira.
Cazzo.
Gli strappo la camicia, i bottoni volano ai lati, il suo petto è così freddo, sebbene sia cosparso di sudore. Inizio a fargli il massaggio cardiaco, una, due, tre, quattro volte. Niente.
-Beatrice, la respirazione bocca a bocca, ORA!
Sono agitato cazzo, cazzo! Di situazioni così ne ho viste minimo un centinaio alla televisione, guardando quelle stupide serie tv sui medici, o giocando ai videogiochi. Questa è la vita reale, qui un mio amico sta morendo. Le gambe tremano, i movimenti sono frenetici. I miei palmi sul suo sterno che spingono, spingono, spingono. Ogni quattro pressioni Beatrice libera il suo ossigeno nella bocca di Derek. Non funziona. Perché non funziona, perché?! Continuo a premere contro il suo petto, sempre più forte, le lacrime agli occhi.
-Chris…- Spingo, premo. É tutto cosi lento e veloce allo stesso tempo. Le mani iniziano a farmi male, sento che non ho più forza nelle braccia. Respira cazzo, respira. Ti prego. So che ci sono gli altri vicino a me, ma io non li sento, non sento la loro presenza. Mi sento così solo, isolato nelle mie azioni. Non sento il peso del tempo. Non sento gli sguardi o le parole, non sento niente, come Derek. Non voglio arrend…
-Chris, basta. - Di scatto mi fermo, torno alla realtà. Lucas mi mette un braccio intorno al collo e mi stringe, Beatrice, tra le braccia di Sarah, piange. Evidentemente mi sono fatto trasportare dal momento, non mi sono accorto che lottavo invano ormai da qualche minuto. Da solo.  Beatrice si era arresa, ma io no. Ho lottato contro l’impossibile, l’inevitabile quasi. Il sole filtrava delle finestre, la polvere vagava nell’aria come uno sciame di minuscoli insetti. E’ un giorno dal sole freddo. Ho appena perso un’altra sfida contro il destino, contro il fato, ma a questa sconfitta non c’è rimedio.
Derek è morto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1 ***


É disteso atterra, gli occhi serrati, così pallido. Dicono che la morte abbia un sapore diverso per ciascuno di noi, che sia un fattore personale, che ognuno la vive a modo suo. La verità è che la morte fa schifo e basta. Perdere qualcuno è un’esperienza indelebile che non potrà mai andare via. Che lascerà il nostro animo solamente con la nostra stessa morte. Ovunque io guardi, vedo sofferenza. Vedo la disperazione. Cerco di darmi delle risposte, dove queste non ci sono. È come guardarsi allo specchio e non capire chi hai davanti. Non capire il senso della propria esistenza. Allo specchio ora c’è solo dolore. Derek stava bene, diamine! Stava fottutamente bene. Non ha alcun senso quello che è appena successo. Non ha senso il malore, non ha alcuna malattia, un cancro, un virus, niente. Non ha mai avuto il morbillo, per Dio! Continuo a fissare senza parole il suo corpo, lì dove lo avevamo lasciato, dopo aver provato, invano, di salvarlo. Probabilmente era già morto quando i ragazzi l’hanno trovato, mi sono detto a malincuore. Il suo corpo era intriso di sudore, ma era così freddo, così inerme, cosi … senza alcun segno di vita. Distolgo immediatamente lo sguardo, guardo altrove, in un sussulto. Incrocio lo sguardo di Lucas. Nella stanza siamo rimasti soltanto io e lui, gli altri sono andati al piano superiore, stanno tutti accanto a Beatrice. Beatrice, posso solo immaginare il suo dolore. L’unico lutto che abbiamo avuto è stato quello di nostra nonna Rose. Eravamo piccoli e lei ci era stata sempre vicina. Ricordo i pianti di Beatrice. In confronto a quelli di adesso, la differenza punge il cuore. Ora piange, grida, scalcia, non vuole credere di aver perso Derek, non lo reputa possibile. È l’equivalente di perdere Sarah, penso. Di vedere il suo gracile corpo disteso atterra, senza vita, senza una reazione a tutto ciò che provi a fare: perdere una parte di te è come vedersi morire. Lucas mi è accanto, non ha detto niente fino ad adesso. Piange, anche se il suo pianto è impercettibile. Si sta immedesimando in Beatrice pure lui. Rompo io il silenzio. -Dobbiamo coprirlo, meglio metterlo disteso sul divano. Non voglio che tutti lo vedano così di nuovo, quando scenderanno, soprattutto mia sorella. – Lucas mi fa un cenno con la testa e prende una coperta dal sofà alla sua destra. Il soggiorno ingloba l’entrata, dove è disteso il corpo senza vita di Derek. Lo distendiamo su un divano sulla destra, in prossimità di sofà ed un altro divano, che formano un semicerchio davanti al camino. Con una coperta, lo copro. Prima di coprirlo lo guardo per l’ultimo secondo. I suoi jeans, la camicia rossa strappata che mostra i suoi addominali da atleta; il viso ancora bello ma inerte, con quei suoi occhi azzurri che fissano il vuoto e i capelli neri arruffati. Gli chiudo gli occhi con l’indice e il medio, come ho sempre visto fare nei film, e passo la coperta sul suo corpo. Non è un fottuto film. Ancora la mia mente non crede a tutto ciò che è successo. Non ho ancora metabolizzato, nessuno l’ha fatto, probabilmente. -Come ti senti? Mi chiede Lucas, mentre come me guarda la sagoma di Derek. Sul subito non sapevo cosa rispondergli, avrei potuto sfogarmi, gridare e disperarmi per non essere riuscito a fare qualcosa. Sfogare la mia tristezza e piangere fino ad esaurire ogni lacrima, ma gli dico solamente: -Da schifo, non ha un cazzo di senso, Lucas. Non riesco a darmi una spiegazione. -Lo so amico, lo so. Mi sento come te anch’io. Dobbiamo chiamare i soccorsi, non possiamo rimanere qui. -Già. Però telefoni qui non prendono, il… il segnale non arriva per via dell’altitudine. Dobbiamo arrivare per forza alla stazione della funivia a valle, dove abbiamo lasciato le macchine, per avere della connessione. Però posso contattare la guardia forestale direttamente dalla stazione qui vicino, via radio. Conosco il responsabile della stazione, Mike, è un amico di famiglia. Lavora qui da quando abbiamo acquistato questa tenuta. Lucas fa di sì con la testa. -Quindi andiamo da questo Mike, e chiamiamo i soccorsi con la radio. -Esatto, magari loro sapranno darci delle spiegazioni. Io vado di sopra ad avvertire Beatrice e gli altri, voglio vedere se mia sorella sta meglio. Non sono di certo rare le volte in cui ho visto mia sorella Beatrice piangere. È sempre stata una ragazza fragile: coraggiosa, intraprendente, raggiante … ma fragile. Di solito si chiude in camera e affonda la testa nel cuscino, che in pochi minuti si bagna delle sue lacrime. Questa volta è diverso, nonostante il dejà vu che ho provato al di fuori della stanza in cui si trovava con Sarah, Valerie e Steve. Il suo pianto è accompagnato da frasi singhiozzate: -Tu… – Le sento dire. –È colpa tua…- Beatrice inizia a strillare, in quel momento io e Lucas affrettiamo il passo. Apro la solida porta di legno che delimita la stanza e trovo Sarah che cerca di tenere ferma mia sorella, protesa in avanti in direzione di Steve. Valerie se ne stava seduta sul letto fissando il vuoto, quasi stordita. Steve è appoggiato alla parete opposta, affianco della finestra, letteralmente con le spalle al muro a causa della furia di Beatrice. -Che cazzo succede qui, me lo spiegate?!- Grida Lucas mettendosi nel mezzo delle due parti. Mi avvicino timidamente a Beatrice, che trema dalla rabbia. -Bea, per favore, calmati.- Lei ansima, poi alza lo sguardo in mia direzione, mi guarda in cagnesco come se l’avessi offesa. -Stai scherzando Chris? È colpa sua! – indica Steve – Se Derek è morto è colpa delle pasticche di merda che questo stronzo gli ha dato! Prima che potessi rispondere Steve si rizza in piedi, quasi scattando. -Non ho dato niente al tuo ragazzo Beatrice! Ero collassato a letto, che ne sai che non si sia preso una dose di nascosto? -Non osare dare del tossico a Derek! Figlio di puttana io ti ammazzo! Me l’hai portato via! Mi hai rovinato la vita! Mi avvicino per calmare il fuoco che divampa in lei, prima di poterlo fare Lucas mette le mani avanti per impedire che si avvicinasse a Steve. -Bea! Ha ragione, almeno in parte – comincia Lucas, sotto lo sguardo incredulo di mia sorella - Steve ha dormito di fianco alla nostra camera – Lancia uno sguardo a Valerie, che non sembra essersi ripresa, poi continua – Non ho dormito, non ci riuscivo, e ti posso assicurare che non è mai uscito dalla sua stanza, lo avrei sentito altrimenti. – Il tempo sembra essersi fermato: Beatrice guarda Lucas, Lucas guarda ad intermittenza Beatrice e Valerie, Valerie guarda un punto non definito della stanza, Sarah mi guarda come per dire “Fa’ qualcosa”, io la guardo senza poter far nulla, Steve assiste alla scena con l’acqua alla gola. –Però- riprende Lucas – come è vero che nessuno è uscito, nessuno è entrato. È da escludere che Derek si sia intrufolato nella stanza per rubare la roba di Steve. Se l’intenzione di Lucas era quella di calmare l’animo di Beatrice, ha ottenuto l’esatto contrario. Beatrice è fuoco, e le parole di Lucas sono benzina. -Allora spiegami come cazzo è possibile? Mi ha detto che andava in cucina a mangiare qualcosa e pochi secondi dopo lo trovo agonizzante a terra. Dimmi come! Spiegamelo! Lucas non sembra avere parole in bocca. Prima che qualcuno mi possa togliere la parola, mi faccio avanti. -Non sappiamo spiegarcelo Bea. Vorrei avere delle risposte, ma non le ho. E non possiamo permetterci che questa tragedia ci metta gli uni contro gli altri. Dobbiamo restare uniti! I muscoli del suo collo si rilassano, è il momento. Mi avvicino a lei, mi inginocchio e le prendo la mano. Lei mi guarda: le sue guance, oltre al rossore, mostrano i rilievi delle lacrime. -Perché lui Chris? Singhiozza ancora, inizia a tremare tra le mie braccia, i suoi respiri sono spezzati. Tutti ci guardano, ma nella stanza è come se ci fossimo solo io e lei: la abbraccio. -Non lo so Bea, non lo so.- Lei ora piange a dirotto, le passo una mano tra i capelli, stringendomela al petto. La mia piccola sorellina. Il pensiero di Derek disteso senza vita sul divano echeggia nella mia testa, ma distolgo il pensiero. Lo sfogo sembra via via arrestarsi. Sento la sua presa forte su di me allentarsi. Le prendo le guance e faccio coincidere le nostre nuche. -Adesso ascoltami, Bea. Io e Lucas andiamo a chiamare i soccorsi da Mike, se volete, voi potete già dirigervi alle macchine una volta che i soccorsi saranno qui, restiamo io e Lucas qui. Vi raggiungeremo direttamente a Washington una volta che qui sarà tutto sistemato. Forse è meglio se torni da mamma e papà, Sarah può accompagnarti lì.- Lucas prende la parola non appena io smetto di parlare. -Si, Chris ha ragione. Potete usare la mia macchina e quella di Steve, noi vi raggiungeremo con quella di Chris, appena le autorità avranno finito qui. Vi assicuro che non ce ne andremo senza risposte. Guardo Sarah, lei mi fa un cenno con la testa come per acconsentire a quanto detto. Beatrice sembra inerme, difficile capire a cosa stia pensando. -Bea- le dico – Andrà tutto bene. Io e Lucas andiamo da Mike, voi riposatevi e preparate le valige. Quando torniamo con le autorità, voi partite. Ok Beatrice? Nella stanza è calato di nuovo il silenzio, che dura qualche lunghissimo secondo. -D’accordo, l’unica cosa che voglio adesso è andarmene via da questo posto. Fate presto vi prego. -Perfetto.- Le dico, fingendo un sorriso. Faccio segno a Lucas di seguirmi fuori dalla stanza. Lui mi segue, tenendo per mano Valerie. Con loro esce anche Steve, che a grandi passi ci supera e si chiude in camera, sbattendo la porta. Noi lo fissiamo, o almeno, fissiamo la porta della stanza. -Che pensi?- mi fa Lucas, mentre i miei pensieri vagano nell’aria. -Non lo so neppure io, voglio solo che finisca tutto. Sbrighiamoci. Mi giro, la porta della stanza di Beatrice è ancora aperta e posso vedere Sarah che parla con mia sorella. In silenzio, Sarah mi guarda per un millesimo di secondo, poi chiude la porta, lasciando al di fuori di quella stanza ogni mio pensiero. Nel frattempo Lucas si era chiuso in camera con Valerie. Lei era così scioccata prima, come tutti noi non aveva mai visto la morte da così vicino, ed è compito di Lucas confortarla. Penso che ora, per quanto difficile sia, bisogna cercare di riportare la calma. Sono rimasto solo in corridoio, quale momento migliore per fare mente locale: ora è necessario che le autorità arrivino al più presto, il che significa che io e Lucas dobbiamo incamminarci al più presto in direzione della funivia. Entro nella mia camera, adiacente a quella in cui si trova Bea con Sarah, la voglia di origliare i loro di scorsi è quasi incontenibile, ma mi astengo. Mi infilo gli scarponi ai piedi del letto e un maglioncino: nonostante sia Luglio, spira un forte vento. Il maglione rosso che indosso apparteneva, e appartiene in certi versi, a mio padre. Ci è molto affezionato: quando esce per le ronde notturne alla volante se lo porta sempre dietro, non lo indossa, ma lo diene nella volante. Mi ha raccontato che sua madre lo aveva fatto ai ferri per suo padre, mio nonno Jack, e che, quando è mancato, lo ha donato a mio padre, che lo ha poi donato a me prima di partire per queste “vacanze”. Per mio padre è una sorta di porta-fortuna e, diciamocelo, la fortuna è proprio ciò di cui abbiamo bisogno ora. Mi guardo allo specchio, accanto alla porta, e mi rendo conto di quanto surreale sia la calma che avverto intorno a me. Esco dalla stanza e busso a quella di Lucas, che esce quasi all’istante. Il suo viso è visibilmente provato: dare risposte che non ci sono è una lotta contro il sapere, e come ogni battaglia, comporta molta fatica. È la situazione in cui ci troviamo tutti. Ecco, forse questa calma è l’effetto della nostra stanchezza a livello psicologico. Il Lucas energico che si schiera in mezzo ad una zuffa tra Bea e Steve sembra solo un miraggio in confronto al Lucas a pezzi che mi trovo davanti. Dio. Cosa fa la morte a noi uomini. -Coraggio Lucas, un ultimo sforzo. – Dico, comprendendolo. -Si lo so fratello. È solo che Valerie è distrutta. Non ha detto che qualche parola. Ed ora si è messa a dormire. Forse è meglio così, forse tutti dovremmo dormire. Magari il sonno può cancellare quello che è successo. Sto delirando cazzo. Lucas non ha tutti i torti, vederlo così per me è come infilarmi una lama nel petto, non riesco a vederlo così. -Sarebbe bello sì, ma dobbiamo restare nella realtà. Dobbiamo essere forti, dobbiamo farlo per loro: per Valerie, per Sarah, per Beatrice e, buon dio, anche per Steve. Coraggio amico. Gli do una pacca sulla spalla mentre lui fa di sì con la testa e tira su con il naso, cacciando dentro le lacrime. Scese le scale passiamo per il soggiorno per uscire di casa. La sagoma senza vita di Derek incombe sul divano, è come un pugno allo stomaco. Sembra così brutto tenere un cadavere così in vista, ma cosa avremmo dovuto fare? Spero solo che le ragazze non scendano fino al momento in cui noi faremo ritorno, sarebbe devastante. La vista del sole sembra rasserenare lievemente la cupa aria che si respira dentro casa. La veranda è ancora piena di bicchieri traboccanti di birra e vodka. Il tiepido ricordo di una ormai lontana serata di festa. Uno scoiattolo sgranocchia un pezzo di torta a terra, appena dopo il pianerottolo. Scappa dalla nostra vista, Lucas lo segue con lo sguardo. -Lo senti? Questo silenzio, questa pace. Dice, guardandosi intorno, soltanto gli alberi e la natura ci circondano. -A quanto pare, non caccia nessuno oggi. Dico, sostenendo il suo sguardo. Il sentiero che dobbiamo percorrere e affiancato da piccole rocce che lo rendono visibile, al di là di esse la foresta si espande fino alla pianura, dominando questo tratto degli Allegheny Mounts. La natura domina la foresta: oltre ai cacciatori che si recano qui sopra a cacciare cervi, sono rare le volte in cui, nelle vacanze con la famiglia, ho visto qualcuno qui. Mike è un’eccezione. Lui viene qui ogni giorno, aspettando di vedere qualcuno varcare la soglia di una cabina. Mi sono sempre chiesto come faccia ad avere così tanta pazienza, come faccia a scacciare la noia. Con i cacciatori che salgono autonomamente con i fuoristrada, penso veda non più di una decina di persone ogni mese - esclusi noi -: qualche fanatico dell’ambiente o qualche avventuriero, ma niente di che. Forse è depresso, anche questa è un’opzione possibile. Insomma, avere quatant’anni e lavorare in una funivia isolato dalla civiltà, farebbe venire i complessi a chiunque. Non sono sicuro di volergli dire ciò che è accaduto, ma lo verrebbe comunque a sapere sentendo la chiamata, quindi, depressione o no, dovrò rovinargli la giornata, trascinandolo dentro questa situazione. -Cosa pensi di dire alla guardia forestale?- Mi chiede Lucas. -La verità. Che ci siamo svegliati e abbiamo trovato Derek nel mezzo di una crisi epilettica, dopodiché dirò loro di avvisare le nostre famiglie, è giusto così. -Chris, se i paramedici trovano la roba di Steve, finiamo tutti nella merda. Cazzo, mi era passato di mente. Steve è già stato arrestato una volta per detenzione di sostanze stupefacenti, se viene beccato, questa volta lo sbattono in cella. -Facciamoli andare via subito, senza aspettare che arrivino i soccorsi, così non lo potranno controllare. Spero solo si porti con sé la sua merda, e non la dimentichi in giro per la casa. Steve è sempre stato la causa dei casini, sin da quando eravamo piccoli. Diciamo la verità, che avrebbe preso la direzione della droga era una cosa alquanto prevedibile: a quattordici anni ha acceso la prima canna, in un bagno della scuola. Un giorno, quando i cani anti-droga hanno invaso la classe, lui svuotò l’erba nella borsa della povera Betty Ross, come se lui non emanasse odore di marijuana. Il risultato fu una sospensione da scuola e una denuncia dai genitori della Ross. I genitori di Steve sono avvocati, ed è forse la loro mancanza di tempo ad averlo agevolato nell’imboccare il tunnel della droga. -È sempre Steve…- Dice Lucas, guardando il cielo e scuotendo la testa. -Già, non cambia mai.- Concludo io. Io e Lucas siamo probabilmente gli unici amici che ha, lo siamo sempre stati, e sempre lo saremo, nonostante tutto. Finalmente in lontananza scorgiamo la stazione della funivia. -Oh, sia ringraziato il cielo!- Le mie parole furono una liberazione. Non vedo l’ora di tornare a casa, e pian piano dimenticare questo maledetto giorno. Mi aspettavo di vedere Mike seduto al di fuori della stazione a fumare, ma non c’è. Avvicinandoci non lo scorgiamo neppure dai finestrini della sala destinata ai comandi, dove tra l’altro, c’è la radio. -Chris. - Mi chiama Lucas, mentre scrutavo la struttura. – La funivia è spenta.- Guardo l’orologio, sono le undici del mattino. Di solito la funivia viene spenta di notte, per essere riaccesa alle sette del mattino. Qualcosa non va. Avvicinandoci, ci rendiamo conto che effettivamente la funivia non è in funzione: una cabina è sospesa nel vuoto, oltre la stazione. Saliamo sulla piattaforma coperta, destinata alla salita e alla discesa delle persone. Non c’è nessuno. Mi sporgo dal reggipetto che dà a valle, nelle cabine ferme non c’è anima viva. È da escludere dunque un guasto. Semplicemente la funivia non è stata attivata, il che è strano per due motivi: Mike di solito è efficiente nel suo lavoro, non si sarebbe scordato un compito così basilare, e se fosse stato assente, sarebbe stato rimpiazzato da qualcun altro; la funivia si può attivare anche a valle, il che significa che non c’è nessuno anche lì. Cerco di mantenere la calma, magari è solo un equivoco, magari hanno un giorno libero, ciò significa che dobbiamo tornare a valle con i soccorsi, rischiando di far finire Steve nei casini. Sembra che la sfortuna ci perseguiti. Quando cazzo inizia a funzionare questo maglione rosso? -Chris… - Mi chiama Lucas – ho trovato Mike. Ecco, finalmente la fortuna inizia a girare, chiedo silenziosamente scusa al portafortuna di mio padre e mi giro. Lucas è immobile davanti alla sala macchine, rialzata dalla piattaforma. Guarda verso il basso, la porta aperta, lo raggiungo di corsa. Arrivato accanto a lui mi bloccco, pietrificato davanti all’ingresso della piccola sala. Mike è lì. O almeno, il suo corpo lo è: disteso a terra, gli occhi spalancati ed un’ orrida espressione in viso, la schiuma alla bocca. Mike è morto soffrendo, lo si capisce dalla sua faccia rigida, contratta. Un conato di vomito mi percuote, mi porto una mano alla bocca e mi giro, tossendo. Lucas sbatte i pugni contro il muro. -Porca troia, che cazzo sta succedendo in questo posto? Il suo urlo si perde echeggiando nell’aria. -Chris! Me ne frego della guardia forestale, dobbiamo andarcene di qui cazzo! Senza che potessi replicare, lui corre dentro la stanza, ma davanti al macchinario si blocca, gli occhi sgranati. -No, no, no, no! Merda! Cercando di non guardare il cadavere di Mike mi affianco a lui, guardando nella stessa direzione. Impreco dentro di me, non devo perdere la poca pazienza che mi è rimasta: all’interno dell’interruttore di accensione c’è una parte spezzata di chiave, che rende impossibile l’accensione della funivia. Probabilmente Mike ha provato ad azionarla per qualche motivo, ma, preso dalle convulsioni, ha spezzato la chiave all’interno. Voglio svegliarmi, voglio che questo fottuto incubo finisca, non è possibile. Ma non tutto era perduto: la radio funzionava ed era di fronte a noi. Lucas sta ancora guardando il pezzo di chiave incastrato nel chiavistello. Lucas il duro, Lucas l’impavido, lì inerme. -Lucas.- comincio, poggiandogli il braccio sulla spalla. –La radio! Possiamo chiamare la guardia forestale. Io cerco di accenderla. Lì, dentro quell’armadio- indico la parete di destra sulla quale è appoggiato un armadio di metallo grigio –dovrebbe esserci un libro con le frequenze, trova quella della guardia forestale. Tentennando, acconsente e si avvicina velocemente, apre l’armadio, estraendone una pila di carte al suo interno. Le scorre velocemente, buttando a terra i pezzi di carta inutili, l’ansia gli si legge in faccia. Il suo volto si illumina, tira un sospiro di sollievo. Sono rare le volte in cui lo vedo così ansioso. – Trovato, tieni. Mi passa il foglio e guardo la radio: è un arnese rettangolare grande quanto un avambraccio, sul quale ci sono una decina di pulsanti. Quello che mi interessa, come mi ha spiegato papà, è quella rotella che fa scorrere le frequenze. Alla radio è poi collegato un microfono di metallo nero, alla cui base è posto un pulsante nero rettangolare che serve a cominciare la comunicazione, lo premo. -Sto cercando di contattare la guardia forestale di Redeye Park, rispondete passo. La radio suona muta, con un sospiro riprovo. -Guardia forestale di Redeye Park, necessitiamo aiuto, passo. Ancora niente, sbatto il pugno contro il tavolo. -Sono Christopher Lost, aiutat… Lucas mi strappa il microfono di mano violentemente, gridando. -Ci sentite cazzo? Sono morte due persone, e non sappiamo come andarcene da questo fottutissimo posto! Aiutateci! Sotto i nostri occhi colmi di speranza e paura, giungono sono interferenze e voci spezzate, incomprensibili. Nessuno ha risposto alla nostra chiamata: Siamo soli. Io respiro lentamente, cacciando dentro le lacrime, Lucas trema, colmo di rabbia. Sospira, gettando il microfono sul tavolo, poi si accascia sulla sedia di fianco alla mia, la mano a coprire gli occhi. Questa sensazione d’impotenza, di rassegnazione è struggente, persino per un tipo energico come Lucas. Avevamo le spalle al muro. Nella stanza erano rimasti solo sospiri e imprecazioni strozzate, nessuno dice niente. Nessuno … fino al momento in cui la radio comincia a parlare. Noi increduli ci sporgiamo in avanti, alzando il volume. Prendo il microfono in mano, sperando non sia rotto. –Ripeti, passo, ripeti. Sembrava la voce di una ragazza, ma le interferenze l’avevano confusa. Dopo qualche secondo, la voce torna, facendosi spazio tra il brusio della radio. -Pronto? C’è qualcuno? Vi prego rispondete.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3285402