Mo chùisle

di HeavenIsInYourEyes
(/viewuser.php?uid=211737)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Solo per il mare ***
Capitolo 3: *** Ho lasciato la finestra aperta ***
Capitolo 4: *** Il “Come ho potuto?” degli altri ***
Capitolo 5: *** Sailors fighting in the dance hall ***
Capitolo 6: *** Silver horses ran down moonbeams in your dark eyes ***
Capitolo 7: *** But don't look back in anger, I heard you say ***
Capitolo 8: *** (S)He took the midnight train goin’ anywhere ***
Capitolo 9: *** But the film is a sadd'ning bore for she's lived it ten times or more ***
Capitolo 10: *** Come as you are, as you were, as I want you to be ***
Capitolo 11: *** This war has spoiled a lot of things for everyone ***
Capitolo 12: *** But I still remember that day we met in December ***
Capitolo 13: *** Life is a box of chocolates: you never know what you're gonna get ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Pubblicare su un fandom nuovo mi mette sempre una paura boia, credo sarà una cosa che non mi toglierò mai (no, nemmeno se Pablo Neruda comparisse in sogno solo per dirmi: e pubblicala!).
Vaneggiamenti a parte... Wow. Slam Dunk è il primissimo fandom che ho silenziosamente frequentato da quando ho scoperto EFP e riuscire a postare una fan fiction mi sembra quasi la realizzazione di un sogno.
Questa ha più di due anni. No, non sto scherzando. È abbastanza banale, forse piena di cliché ma è la boccata d’aria che mi serve. Spero che con il procedere della storia non saltino fuori scene/situazioni già riprese in altre fan fiction. Sarebbe alquanto imbarazzante…
Detto questo, lascio alcuni punticini che ai fini della storia non servono a nulla ma mi premeva scriverli (volendo potete saltarli o premere sulla X rossa, se non lo avete già fatto xD):

  • Per quanto sia una fan dello Yaoi (e Slam Dunk è un terreno fertile), ho deciso di cimentarmi in una het perché mi sento più a mio agio a scriverne. Lo Yaoi per me resterà sempre quel momento in cui ti passano un joystick, magari mentre si fa una maratona di Zelda e ti trovi a rispondere: no grazie, preferisco guardare.
  • Sono prolissa. Quando distribuivano la capacità di sintesi, ero a letto a dormire abbracciata alla pigrizia. Ho cercato di stringare il più possibile ma se dovesse darvi noia la lunghezza dei capitoli fatemelo pure notare :) 
  •  Mi sono concentrata più sulla psicologia dei protagonisti che sulle scene effettive, questo perché la story-line segue fedelmente il manga; per fare un esempio, tutti sanno sicuramente come si è svolta la scena del pestaggio in palestra (insomma, quei momenti belli in cui Inoue ti schiaffa un Mitsui col taglio alla Renato Zero e poi sbam!, addio ovaie), non avrebbe quindi avuto senso che descrivessi la scena nel dettaglio.
  • I dialoghi sono… Ngh. Avete presente le cose in stile “Robe… Robe a caso”? Ecco, diciamo che a volte sembrano botte e risposte messe lì tanto per, anche se in realtà è stato fatto solo per un mio gusto personale. A mia discolpa posso dire che quando la scrissi ero nel mio periodo Tarantiniano (Oh, Quentin ) e diciamo che Le Iene mi ha abbastanza influenzata.
  •  Il Prologo è quanto di più inutile e noioso esista sulla faccia di tutto Efp. Purtroppo non sono granché brava con gli incipit e avevo voglia di qualcosa che non partisse nel presente, con l’introduzione di ogni singolo personaggio. Vedetelo come un capitolo di transizione. Mi sto scavando la fossa da sola, praticamente :/
  • Mo chùisle è un termine gaelico irlandese preso dalla frase “A chùisle mo chroí” che tradotta verrebbe dire “Il battito del mio cuore”. Ringrazio Clint Eastwood e il suo Million Dollar Baby per avermi fatto scoprire una tale bellezza.


Direi che è tutto. Non mi resta che augurarvi una buona lettura


 

«Non aprite agli estranei, non mandate a fuoco la casa e non--»
«Non bevete la candeggina, lo sappiamo.» Akira sorride assonnato.
«E non mangiate sul divano, sappiamo anche questo.» seguita Shibahime, giocherellando con la punta della lunga coda laterale. Alla luce del sole, i suoi capelli corvini freschi di tinta sono colorati da venature bluastre che risaltano il suo incarnato pallido. Akira nasconde un sorriso dietro il palmo della mano; sembra quasi una di loro.
Madoka è tutta trafelata, tartassa Kyosuke Sendoh di continui «Hai preso tutto? Ho preso tutto? Abbiamo preso tutto?» che si perdono con la risata svagata dell’uomo.
«Oh, andiamo tesoro, se hai dimenticato qualcosa lo compreremo là!» si avvia verso la macchina con le valigie, lasciandola a tamburellare la scarpa col tacco cinque.
«Ehi, puoi sempre abbandonarla al primo scalo.»
«O puoi buttarla giù dall’aereo.»
«Vedo che il senso dell’umorismo lo avete anche appena svegli» li interrompe la madre, guardandoli poi con un sorriso enorme «Mi mancherete molto, lo sapete?»
«Andiamo, staremo via solo qualche mese.» si intromette il marito, abbracciando Shibahime.
«Papà, hai la barba che punge.» si lagna la ragazza sotto le risate dell’uomo.
Akira si volta verso sua madre, ora con le braccia aperte «Tesoro mio, se non ti abbassi mi spieghi come faccio ad abbracciarti?» Akira ride scanzonato sotto gli sbuffi di sua madre.
«Akira, ricordati di svegliarti.»
«Shiba, ricordati di mangiare.»
«Sì, sì.» belano in coro, sventolando le mani.
Se ne vanno qualche minuto dopo, lasciando loro un sacco di raccomandazioni, numeri di telefono da chiamare in caso di bisogno e una moltitudine di Vi voglio bene che non saranno più sprecati d’ora in poi.
Shiba sbadiglia sonoramente, si dondola su e giù sul bordo della veranda.
«Mh, quindi siamo rimasti noi due.»
Akira si massaggia il mento «Già…» scappa di corsa «Il telecomando è mio!»
«Mh?! Ma—No, ehi!»

Mo chùisle


Prologo
(In quattro non si sta così male)

“Beh, siamo tutti pieni di ferite. Ce le portiamo dietro per tutta la vita e alla fine, ci uccidono.
Succede che lasciano un segno nello spazio. Nel tempo. In noi.” 

                                                -The Will [1.02], Six feet under-

 

Sendoh conosce Shibahime un mattino d’inverno, quando la neve non fiocca più e suo padre ha smesso di imprecare perché fa troppo freddo. Sua madre ride spensierata aggrappandoglisi al braccio, la mano libera stringe invece la sua, piccola e guantata; c’è una saldezza che non le riconosce, come se avesse il timore di vederselo scappare da un momento all’altro.
Ed è ciò che Akira vorrebbe fare.
Madoka lo ha svegliato con un’ora di anticipo e canticchiando lo ha vestito di tutto punto. Lei non canticchia mai, lo fa solo quando nonna Izumi se ne torna a casa o quando papà la porta fuori a cena in quel ristorantino in centro che le piace tanto.
Eppure è sempre felice, ultimamente.
Irradia ogni angolo di casa con i suoi sorrisi, le sue canzoni stonate e le lacrime fra le risate. Ricorda ancora di averla vista piangere mentre puliva la stanza degli ospiti, quella sempre chiusa con la carta da parati a fiori blu e gialli e al suo preoccupato «Mamma, che cos’hai?» lei gli ha detto che era solo felice.
Akira non ha ben compreso, continua a dirsi che se una persona è felice non può piangere. A lui capita quando perde una partita contro Koshino o quando si sbuccia le ginocchia perché scivola sul campetto da basket dietro casa. Ma quando segna un punto, quando suo padre lo porta in spalletta come se fosse un campione dell’NBA, ride di cuore.
E poi gli è tutto più chiaro.
È durante un soleggiato pomeriggio di primavera che sua madre lo accoglie sulla veranda di casa, con i suoi grandi occhi scuri tutti rossi e un foglio stretto fra le mani rovinate dai lavori in giardino. Akira è rimasto interdetto nel vederla fremere -assomiglia alla minuta Shizuka, quella che si agita sulla sedia quando le maestre riconsegnano i compiti corretti- e prima che possa chiederle perché sia così strana, Madoka ha aperto le braccia e dopo averlo stretto in una morsa delicata gli ha sussurrato un tremante «Presto avrai una fratellino, non sei contento?» che lo indispettisce.
Pensa che in tre si sta bene. E che sua madre, grossa come un’enorme mongolfiera, non sarà più bella come continuano a ripetergli i suoi amichetti.
I giorni passano fra chiamate ad amici e parenti, canzoni canticchiate per i corridoi e sempre più sporadici «Alza di più le braccia quando tiri, altrimenti non centrerai mai il canestro.» che suo padre era solito rivolgergli quando tornava da lavoro. Ora corre in casa, lo saluta di sfuggita, è sempre chino su carte da firmare mentre sua madre galleggia su di un’invisibile nuvola rosa.
Si curano poco di lui e dei suoi capricci, tanto che ha smesso di lagnarsi per ogni piccola cosa. Si prepara lo zaino da solo, non chiede più aiuto a Kyosuke per i compiti di inglese e smette di chiedere a sua madre di fare il tifo per lui mentre sconfigge Michael Jordan immaginari, nel campetto sul retro.
A volte vengono degli strani Man in Black, fanno domande su domande e scribacchiano qualcosa su enormi quaderni neri e Akira, che assiste a tutto quello stringendo la gonna della mamma, continua a chiedersi dove lo abbia nascosto il fratellino perché è ancora magra come due mesi prima.
Ichigo della terza sezione G ha raccontato a tutti che presto avrà una sorellina e la pancia di sua madre lievita giorno dopo giorno, come le torte di mele che la nonna sforna quando la vanno a trovare. 
Una sera ha chiesto a Madoka, mentre lo accompagnava a letto e gli rimboccava le coperte, dove lo tenesse nascosto perché aveva cercato dappertutto ma non era riuscito a trovarlo. Le ha addirittura sollevato il maglione, tastandole il ventre piatto e lei ha riso di cuore. Ha scosso la nuca e gli ha scompigliato i capelli scuri «Non nascerà come sei nato tu. Saremo noi a doverlo andare a prendere.»
«A prendere?»
Fa ciondolare la nuca «Hai presente quando vai con papà a comprare le caramelle? Ecco, noi faremo così. Andremo in questo posto e prenderemo un bambino.»
Akira non capisce, non fa domande.
Cade in un sonno agitato e sogna bambini vestiti come enormi caramelle che urlano, chiusi in gabbie di plastica.
Spera che non prendano i bambini vestiti da Coca cola frizzantine.
Akira le odia. 

«Porca miseria!»
Si ridesta quando sua madre rischia di scivolare e avverte freddo quando la sua presa gli sfugge.
Li segue in religioso silenzio su degli scalini ghiacciati e gli pare che il negozio che vende bambini sia più simile ad una chiesa che ad un negozio vero e proprio. Ha i muri scrostati e un’insegna fatta in legno che pende sulle loro teste.

Orfanotrofio Sacro Cuore, legge silenziosamente, storcendo il naso quando vede una suora aprire loro la porta. Sembra un pinguino, ad Akira non piacciono i pinguini; sono sempre impettiti e quando scivolano in acqua vengono mangiati dalle orche. Almeno, così c’è scritto nel libro sugli animali che gli hanno regalato a Natale.
Ci sono scambi di convenevoli che non segue, troppo impegnato a crogiolarsi nel chiacchiericcio che proviene da ogni stanza che si getta sul lungo corridoio. Ci sono un mucchio di scarpe e giacconi appesi sugli appendiabiti all’ingresso, che si estende per quasi un’intera parete.
Madoka gli ha ristretto la mano e Akira smette di interessarsi al mondo che lo circonda. 
Ci sono un sacco di bambini che corrono in giro sotto gli sguardi severi delle suore, scappano come topolini che non vogliono farsi prendere dal gatto e quando vengono acciuffati, sghignazzano o mettono il broncio.
Akira corruga la fronte. Non sono vestiti come caramelle.
La donna in tailleur che li sta accompagnando in questa specie di zoo, affiancata dal pinguino, si ferma davanti ad un’altra sala gremita di bambine che starnazzano, giocano con le bambole o ridono per sciocchezze. Lui non le capisce, le femmine. Sono così… Stupide, fastidiose, sempre a lasciargli lettere cosparse di brillantini che gli si appiccicano alla divisa. Ma la cosa che più odia è essere costretto a giocare con loro al “Principe azzurro che salva la bella dal drago”.
A parte che nessuno tra loro è bella, ma perché è sempre Koshino quello che finisce a fare il drago? Lui non vuole ucciderlo col righello e neppure vuole che Hiroaki sia il suo prode destriero!
E poi la bella ha sempre il brutto vizio di lasciargli viscidi baci sulla guancia… Che. Schifo.
Si rende conto di essere rimasto da solo quando la mano guantata torna ad essere fredda e della gonna a campana di sua madre non c’è più traccia, così come non ci sono più i mocassini di suo padre, né la lunga tonaca nera del pinguino.
Inizia a tremare, lì dentro fa un freddo cane e quando crede di essere diventato una caramella anche lui, ecco che la scorge… 

«Vai a giocare con le altre bambine.»
«Non mi va!»
 

E lì che disegna, con la testa china sul foglio e i pastelli sparsi sul tavolo. Una cascata di rossi boccoli la incornicia, ricadono oltre il bordo del tavolo come stelle filanti. Si morde il labbro inferiore e si pulisce i polpastrelli sporchi sulla camicetta bianca, facendo venire una sincope alla suora che sorveglia la sala giochi.
«Non te lo ripeto più: vai a giocare con le altre bambine.» le intima severa, scuotendola per una spalla. Quella seguita a disegnare, la ignora, sembra un giglio bianco in mezzo ad un mucchio di erbacce, come quelle che sua mamma estirpa quando va in giardino.
Al terzo richiamo inascoltato, le strappa il pastello verde e il quaderno di mano per poi dirigersi verso uno schiamazzante gruppo di galline intente a battibeccare su chi debba essere la Regina della cucina. La lascia con il broncio e una bambola di pezza senza un occhio; le tira i capelli di lana con rabbia prima di scagliarla con forza a terra, imbronciandosi.
Akira mangiucchia l’interno delle guance raccogliendo la bambola finita vicino ai suoi piedi, infilandosi in quel covo di vipere non senza un briciolo di timore. Alcune si accorgono di lui, parlottano e si danno gomitate prima di ridacchiare scioccamente. Vorrebbe che il drago-suora se le pappasse in un sol boccone, almeno le orecchie smetterebbero di dolere.
Si dondola sui piedi quando la raggiunge, ma non lo guarda. Ricorda di esserci rimasto male quando posa la bambola sul tavolo e lei nemmeno lo ringrazia, gli sorride, gli dice qualcosa.
«Sai come si dice in questi casi?» la bambina si acciglia, sembra infastidita dalla sua presenza «Si dice: grazie. La tua mamma non te l’ha insegnato?» per tutta risposta, spinge il giocattolo fino al bordo, lasciandolo cadere.
Gli volta le spalle e Akira è tentato di lasciarla perdere, ma poi la sente parlare ed è come se il pentimento per essersi infilato lì dentro sia scomparso «Sei nuovo? Non ti ho mai visto qui.» esala apatica, scrutandolo da capo a piedi.
Akira si sente in gabbia, i suoi occhi scuri sono guardinghi e sembrano voler incenerire i suoi abiti ben messi e le scarpe lucide.
Scuote la nuca «Sono qui con mamma e papà.» 
La vede allargare gli occhi scuri e che non hanno il suo stesso taglio, sono un po’ più rotondi e meno allungati «Oh, quindi non sei come noi.»
«Come voi?»
«Sì… Un orfano. Qui ci mettono i bambini che non hanno più la mamma e il papà. Quelli soli.» gli dice spicciola; le gambe corte dondolando sulla sedia troppo alta.
«Oh, ma io ce l’ho una mamma e un papà.»
«E dove sono?»
«Non lo so. Li ho persi…» alza le spalle «Dobbiamo comprare un bambino!» all’epoca non dà peso alla manciata di parole che getta tra loro e non si cruccia per la piega malinconica che assumono i suoi occhi e le sue labbra. Sembra avvilita ma l’unica cosa a cui riesce a pensare è che non ha mai visto una bambina così triste.
Osserva la sua figurina e si chiede dove sia nascosto il cartellino con il prezzo. Del resto, un negozio che vende bambini non è poi così diverso da un negozio che vende verdure o articoli sportivi, no? Non c'è nessun codice a barre sotto la sua frangetta spettinata, però «Che strano colore…» mormora tirandogli i boccoli, ricevendo un pizzicotto sulla mano. La piccola si copre la nuca con entrambe le mani e quando si sente al sicuro comincia a pulire la zona in cui le sue dita si sono annidate per un paio di secondi «Scusa…» mormora piano, sentendosi in colpa per neppure lui sa cosa. 
Gli ricorda una di quelle lucertole che mette all’angolo insieme ai compagni di scuola, quando si annoiano e non hanno voglia di sbirciare sotto le gonne delle compagne.
«Non toccarli più, mi dà fastidio.» borbotta stizzita.
«Scusa… E’ che sono così strani!» ridacchia, vedendola tranquillizzarsi un po’ «E’ la prima volta che li vedo di questo colore. Nella mia scuola hanno tutti i capelli neri.»
Le sue dita sottili scivolano fra le onde, si incastrano e il suo naso si arriccia quando prova a districarle dai nodi. «Mamma diceva che nessuno può toccarli. Solo lei può farlo, sono il suo Sole.»
«E la tua mamma dov’è ora?» glielo chiede con curiosità e un breve sorriso ad increspargli le labbra. Non ci vede nulla di male in quella domanda eppure la bimba reagisce con freddezza, aggrottando le sopracciglia e appiattendosi sempre più sulla sedia, quasi volesse diventare minuscola.
«I maschi non possono stare qui. Se suora Kong ti scopre, chiamerà il Cane randagio
.» lo sussurra con fare cospiratorio, cambia discorso così repentinamente da lasciarlo interdetto.
Akira è tramortito, sa di aver sbagliato ma non sa esattamente per cosa «Il Cane randagio?»
Lei annuisce e allarga le braccia mentre le dita tratteggiano una figura enorme e dai contorni tremolanti «Viene di notte, mentre stai dormendo. Ti prende e ti porta via e
quando ha fame…»
«Quando ha fame…?» si dimentica della domanda che le aveva posto, è troppo concentrato sul suo sguardo opaco e la tonalità cantilenante della sua voce. Indietreggia un poco, trema quando la sedia della bambina striscia, producendo un suono così sinistro da fargli vibrare l’anima.
I suoi piedi toccano terra e si accorge di quanto sia bassa in confronto a lui, che all’età di otto anni è alto quasi quanto un ragazzino delle medie. Ha dei lividi e graffi sulle gambe lasciate scoperte perché le calze sono troppo larghe e le scivolano fino al polpaccio. Le sue scarpe rotte fanno scricchiolare il legno mentre gli si avvicina con passo leggero e prima che possa spintonarla lontano, questa gli è ormai ad un palmo dal naso, sollevata sulle punte dei piedi pur di guardarlo negli occhi.
«Quando ha fame, ti prende e ti porta nella sua cantina--»
«E poi…?»
«E poi ti mangia, no?» 

«Akira…» gli sfiorano la spalla e l’urlo di terrore gli si mozza in gola quando vede che è solo sua madre. Gli sorride placida ma qualcosa non va nel tremolio nei suoi occhi. Sembra così stanca... «Che stavi facendo, si può sapere?»
«Stavo chiacchierando con lei.» la indica, sua mamma gli abbassa il braccio.
«Sai che non si indica, è maleducazione… Ah, ma guardati. Hai il colletto tutto spiegazzato» gli aggiusta la camicia, i capelli scuri, gli bacia la punta del naso. Lancia uno sguardo verso la bambina, ora in piedi e silenziosa «Non la stavi importunando, vero?»
Akira vorrebbe strapparle quei suoi orribili capelli uno ad uno, facendogliela pagare per lo spavento che gli ha fatto prendere, ma sua madre la guarda incuriosita «E tu come ti chiami?»
La bimba guarda le loro mani intrecciate e Akira, preso da un moto di cattiveria che mai prima d’allora ha provato, le solleva leggermente, quasi a sottolineare che lui tornerà a casa con i suoi genitori mentre lei se ne dovrà stare lì, da sola, per chissà quanto altro tempo.
Ma lei abbassa lo sguardo e subito il senso di colpa bussa al suo minuscolo cuore.
«Shibahime.»
«Shibahime… E' davvero un bel nome, lo sai?» sua madre sorride un poco prima di guardarlo con amorevolezza «Coraggio Akira, dobbiamo andare. Saluta la tua amica.»
«Non è mia amica!» un pizzicotto dietro la schiena lo fa sussultare «Ciao…» piagnucola mogio prima di farsi trascinare via.
Volge lo sguardo oltre la spalla e l’ultima cosa che vede è la manina sporca di pastello di Shibahime che fa su e giù.
In macchina i suoi sono silenziosi, Madoka guarda fuori dal finestrino e Kyosuke lo guarda di tanto in tanto dallo specchietto.
Akira sente la schiena bruciare lì, dove mamma lo ha pizzicato. 

La bambina dalle stelle filanti rosse diventa uno spettro dei suoi otto anni, viene accantonata come un brutto episodio da dimenticare, fino a quando i suoi non lo ritrascinano in quel postaccio e lui la rivede; è sempre sporca e piena di lividi, sempre triste e sola. Gli ricorda una di quelle orribili bambole di porcellana che nonna Izumi ha regalato a Madoka per non ricorda quale festività -mamma la odia, prega sempre che si rompa durante le pulizie-. Ed è in uno di quegli incontri fugaci, in cui c'è solo uno sventolio di mani tra loro, che comincia a pensare a come sarebbe bello tirarle i capelli prima di andare a dormire, lanciarle contro la palla da basket o costringerla a mangiare anche le sue carote, perché proprio non le sopporta.
Accade così che un giorno si intrufola in cucina tutto sudato e sporco di polvere, dopo una partita vinta contro Koshino e per poco non fa venire un infarto a Madoka, che ha appena finito di pulire il pavimento.
«Mamma?»
«Sì, tesoro?» è distratta, gli toglie la felpa dei Lakers con cipiglio severo, tutta corrucciata.
E le sorride, mostrando la fila di denti bianchi.
«Al posto di un fratellino, posso avere una sorellina?» 

Akira è andato al Sacro Cuore altre cinque volte. Alla quinta è uscito trascinando Shibahime per un polso mentre lei tenta di azzannargli la mano.
Suo padre gli dice di non farle male e sua madre ride come solo lei sa fare.
Si accorge che in quattro non si sta così male.




Note noiose finali (d'obbligo):

E questo primo “capitolo” è andato.
Mi sono documentata sulle adozioni ma il tema è vario e ostico, perciò l’ho molto edulcorato e affrontato velatamente, se così si può dire. Ho cercato di metterci tutta la sensibilità possibile, se dovesse darvi fastidio il modo in cui è stato trattato vi prego di farmelo notare. Ok che è una fan fiction ma, beh, non vorrei mancare di rispetto a nessuno, ecco.
Ringrazio di cuore chi non ha premuto subito la X rossa o chi deciderà di dare un minimo di fiducia a questa storia. Qualsiasi critica o nota positiva è ben accetta perciò se vi andasse di spendere cinque minuti del vostro tempo, sappiate che ne sarei felicissima. 

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Solo per il mare ***


capitolo 1

«Sì, mamma, stiamo bene. Eh? No, Akira sta facendo colazione.» Shiba giocherella con le pieghe della gonna.
Akira sbadiglia sonoramente, la guancia gli scivola dal palmo della mano e per poco la faccia non finisce nella tazza di latte e cereali.
«Sì, ho già finito. Davvero, sto mangiando tutti i giorni!»
Sbircia alla propria destra; la sua ciotola di riso è piena fino all’orlo.
«Mh? Sì, stiamo andando agli allenamenti» la sua voce si incupisce «Perché mai dovrei saltarli?!» sbuffa «Non sto alzando la voce, solo—Sì, va bene.»
Akira copre i suoi sbuffi con le stoviglie, gettandole malamente nel lavabo pieno. Forse dovrebbe pulire, appena tornato dal club.
«Ok… Posso parlare con papà? Ah, già la cena… Sì, sì, ciao.»
Quando Shiba posa la cornetta con così tanta forza, vuol dire che mamma ha chiuso senza neppure salutare. Lo fa sempre quand’è in ritardo o quando un leone li sta per sbranare. O quando qualche scimmia le ha rubato il fermaglio.
Sua sorella compare dopo qualche secondo, la cartella fra le mani e il borsone in spalla. Gli sorride appena e lui non può fare altro, in rimando.
«Ehi, sei pronto?»
«Non hai finito di mangiare.»
Rotea gli occhi «Ti aspetto fuori.»
Fuori è primavera. Shibahime, invece, è il ritratto dell’inverno.

 

Mo Chùisle

Capitolo 1
(Solo per il mare)

      

“Nate: Ho la sensazione che tutto quello che faccio tutto il giorno sia cercare disperatamente di trovare un punto di contatto con le altre persone, ma nonostante la quantità di energia che sprechi per… Per arrivare alla stazione in tempo, per salire su quel treno, non esiste nessuna garanzia che ci sarà qualcuno ad aspettarti, chi verrà a prenderti.”                            

                                                    -Time flies [5.04], Six feet under-

                                                                                    


Akira si sveglia di soprassalto quando la borsa di un’anziana urta contro la sua spalla.
Si è addormentato scompostamente sul sedile del vagone e quando getta lo sguardo pesante fuori dal finestrino, uno sbuffo sonoro gli scappa.
Stazione di Noborito … Ma quanto diamine ha dormito?!
Sbatte la testa sul sedile senza neppure cercare di ricomporsi sperando di catturare l’attenzione di sua sorella, impegnata a scribacchiare sul quaderno.
«Shiba, perché non mi hai svegliato?» si lagna reprimendo uno sbadiglio «Ora arriverò in ritardo.»
Lei solleva lo sguardo e i suoi occhi scuri lo scrutano divertiti, anche se sono attorniati da un’aura di stanchezza che le ha tenuto compagnia per tutto il tragitto da casa alla stazione «Dormivi così bene… Mi si stringeva il cuore a svegliarti.»
«Ma se tu non ce l’hai un cuore…» Shiba ghigna alla sua lapidaria affermazione, si aggiusta gli occhiali da lettura che le cadono sul naso e torna ai proprio appunti «Hai un compito?»
«Di storia. E me ne sono dimenticata.»
«Tutta tuo fratello!» sbrodola orgoglioso, ricevendo un pizzicotto sul braccio.
Scoppia a ridere nell’abitacolo silenzioso, poggiando la mano sulla guancia mentre la ode borbottare minacce di morte o di come terrà in ostaggio il suo adorato pallone da basket se non la smette.
«Sei proprio un demente. Staresti bene allo Shohoku, lo sai? Con i tuoi simili…»
«Nah, il Ryonan è più adatto a me. Mi lasciano dormire in classe senza dirmi niente.»
«Solo perché sei la star della squadra di basket.»
«O forse perché sono a-do-ra-bi-le—»
«Sei odioso, ecco cosa sei!» lo interrompe scocciata, celandogli un sorrisetto dietro il palmo della mano. A lui non sfuggono le sue guance sollevate e la piega a mezza luna che hanno assunto i suoi occhi dal taglio occidentale «E ora lasciami studiare!»
Sendoh si accuccia e osserva le case e i palazzi srotolarsi davanti a sé. Scenderà alla prossima fermata e, come al solito, se la farà di corsa fino a scuola maledicendo Shiba che, come al solito, non l’ha svegliato.
Lo sguardo cade irrimediabilmente su di lei e sulla concentrazione che le costringe i lineamenti delicati del volto in una maschera di seccatura. Shiba odia storia, l’ha sempre odiata e per di più con le date fa schifo -a malapena si ricorda quand’è il compleanno di Madoka-.
I capelli neri e legati in un perfetto chignon le conferiscono un’aria matura, la invecchiano di almeno cinque anni. 
E’ appassita rispetto alla bambina che lo seguiva in capo al mondo quando fingevano di essere supereroi impegnati nel salvataggio della Terra. Ricorda con nostalgia i suoi fiammanti capelli raccolti in alti codini che dondolavano durante le corse per strada o al parco giochi, il suo continuo chiamarlo
«Acchan!» per richiamare la sua attenzione mentre lo seguiva senza riuscire a stargli dietro, piombandogli davanti col fiatone e con le ginocchia sbucciate perché era inciampata nei propri piedi.
La Shibahime di allora era tutta sorrisi e risate.
«A che ora ce l’hai la partita, domani?» si massaggia la fronte e toglie gli occhiali, segno che per una manciata di secondi si prenderà una pausa.
«Alle 10.00… Verrai a vedermi?»
Alza le spalle «Sai che mi annoiano le partite di basket.»

Una volta non era così…, lo pensa piano, ha il timore che Shiba possa leggere il flusso dei suoi pensieri.
Lei però riprende a scrivere e Sendoh si sente un po’ più tranquillo «Oh, andiamo. Non muori dalla voglia di vedere com’è diventata la squadra?»
«Tanto li straccerete. A parte Akagi e quel tizio là, Kazawa, non è che ci siano grandi elementi.»
«Kazawa?»
«O era Karuwa? Ad ogni modo, ci tengo alla mia pelle. Se scoprono che sono lì per te, come minimo mi immolano in palestra. Tu non hai idea di quanto siano decerebrati quelli del club di basket!» le labbra di Akira traballano «Che cosa ridi, idiota?!»
«Non credi di star esagerando?»
«Domani conoscerai Hanamichi Sakuragi e sarai costretto a ricrederti… Comunque ho gli allenamenti, non credo farò in tempo.»
«Ma domani è sabato.»
«
Vallo a dire a Nana-chan.»
Akira sbatte le folte ciglia ma Shiba tronca con un grugnito ogni suo tentativo di farla cedere «Andiamo, se vieni farai felice Hikoichi» le tira una piega della gonna, ignorando la venuzza che pulsa sulla sua tempia «Credo abbia una cotta per te, lo sai?»
«Per te, semmai. L’ultima volta che sono venuta a prenderti, ha continuato a farmi domande su di te. Mi spieghi a cosa gli serve sapere quante volte ti fai la doccia?!»
Akira ride senza freni, smette solo quando Shiba gli dà un pizzicotto sulla mano che continua a torturare la sua povera divisa.
«Prima o poi dovrai venire a vedermi. Una volta ti piaceva il basket.»
«Mi piaceva anche sniffare la colla.»
Akira getta la testa indietro e ride, scivolando di più sul sedile; ha le gambe talmente lunghe che rischia di colpire il tizio vestito elegante davanti a lui «Mamma si arrabbiava sempre quando ti beccava col tubetto fra le mani.» se solo ci pensa può ancora udire la sua voce risuonare alta fra le quattro mura della villa mentre una Shiba appena approdata nella loro famiglia replicava candidamente
«Ma all’orfanotrofio me lo lasciavano fare.»
«Poi ha smesso di arrabbiarsi e ci ha rinunciato.» aggiunge atona, il pugno chiuso sulla tempia, lo sguardo disperso sul foglio.
Akira osserva la linea ricurva dei suoi occhi, delle sue labbra… Si chiede quando la sua Shiba ha smesso di essere il suo piccolo Sole ma il cambiamento ha radici così profonde e ben radicate, che a malapena riesce a trovare un inizio.
Semplicemente, un giorno si è spenta e vane sono state le sue buone intenzioni di tornare a farla brillare.
Shibahime è sempre stata in perenne fase di eclissi, piena di luci e ombre.
«Questa mattina ti ha rimproverata perché non mangi, mh?» è la sua implacabile sentenza, adagiatasi nel silenzio che gli dà in risposta «Sai che è apprensiva. Lo fa per il tuo bene.»
Sua sorella smette di scrivere e lo guarda con frustrazione «E sentiamo: com’è che a te non ti rimprovera mai perché dormi troppo?»
Alza le spalle «Dormire cinque minuti in più non uccide.» rimbrotta con placidità.
Shiba si rintana in uno dei suoi soliti mutismi, posando lo sguardo oltre il finestrino. Il treno comincia a rallentare e lei ne approfitta per salvarsi «Se scendi qui, magari riesci ad arrivare in tempo per l’appello» giocherella con una ciocca corvina sfuggita alle forcine, lo guarda confusamente «Oi, a che pensi?»

Scuote la nuca e recupera il borsone per gli allenamenti, elevandosi in tutta la sua statura. Le sorride, ricevendo in cambio un aggrottamento di sopracciglia.
Pensavo che rossa eri decisamente più bella…
«Pensavo che passerò la prima ora in corridoio. Di nuovo.»



Shiba sospira di sollievo quando la campanella suona, annunciando la pausa pranzo.
Si stiracchia, si lascia beare dal vociare concitato dei compagni di classe che si perdono in isterici OhSantoBuddha lo sapevo che era la C la risposta giusta!, ma sa bene che
è poco il tempo per starsene tranquille a rimuginare su quanto schifo abbia fatto…

«Itou, a te com’è andata?»
«Nh, è stato un gioco da ragazzi.»

Nanaka Itou, aka La Regina delle clavette, aka L’Oni della squadra di ginnastica ritmica, si volta in sua direzione con mento sollevato e aria di chi ha sicuramente preso 100/100 nel compito di storia. Del resto, non può aspettarsi altro dalla secchiona della terza sezione 3.
Shiba trattiene un sospiro e sfoggia un sorriso stiracchiato mentre si lascia scrutare in religioso silenzio.
Nana giocherella con la punta della lunga treccia corvina, arricciando le labbra mentre osserva i suoi capelli che, dopo il compito, saranno sicuramente simili ad un nido di rondini.
«Quando ti deciderai a ritornare rossa?» la voce di Nanaka è sgradevole, soprattutto dopo un estenuante test. E’ seria, la fissa arcigna e le sue dita che tamburellano senza sosta sul banco sembrano metterle fretta.
«Mi piace questo colore.» mugugna toccandosi la testa, conscia che quello è solo l’ennesimo modo per snervarla ulteriormente.
Non ha ancora capito perché, ma la coetanea si è erta a paladina della sua salute mentale -che comunque non è mai stata granché a posto- marciando su argomenti che per lei sono ormai un tabù e, subdolamente, tenta di far riaffiorare ricordi che Shiba ha bandito da anni.
«A me piacevi di più prima.»
«Sì, ma pensaci… Potrebbero scambiarmi per la sorella di Sakuragi.» sbotta lapidaria, vedendo le sue labbra contrarsi in un sorrisetto.
La mano di Nana scivola sinuosa nello zaino e ne recupera il bento: dentro c’è solo del riso e qualche verdura, Shiba avverte la bile salirle in gola al pensiero che il proprio contiene le stesse identiche cose.
«Non mangi?»
«Ho dimenticato il pranzo a casa» mente distogliendo lo sguardo, conscia che l’altra riuscirebbe a scovare ogni traccia di bugia «E poi ho lo stomaco chiuso. Non avrei comunque mangiato.»
«Sarà l’ansia per il compito… Come credi sia andato?» addenta quello che dovrebbe essere un broccolo e la Sendoh si chiede perché si ostini a mangiarli se la sua faccia si contrae sempre per il disgusto.
«Come quando mangi i broccoli…» Nana si ferma, la contempla con un sopracciglio elegantemente arcuato «Uno schifo.»
Il suo sospiro è pesante come un macigno, le schiaccia la testa ora china sul banco su cui giacciono fogliettini strappati e cartacce. Shiba solleva appena lo sguardo e quando viene trafitta dai suoi occhi blu scuro, opta per il silenzio.
Mai far incazzare Nanaka Itou quando sta già ribollendo di rabbia.
«Sendoh--»
«Pure per cognome, fantastico--»
«Ti ricordo che se vuoi continuare a gareggiare, devi mantenere una buona--»
«Una buona media scolastica, lo so...»
Nana annuisce «Sai che abbiamo bisogno anche di te. Questo è il nostro ultimo anno!» solleva il pugno, il fuoco arde nei suoi occhi… Shiba vorrebbe tanto che il suo entusiasmo la trascinasse,  ma non è così.
«Avete già vinto l’anno scorso.»
«E dobbiamo farlo anche quest anno. Sai, ho sentito che il Kainan ha delle nuove ginnaste che promettono bene. Non possiamo lasciarci sconfiggere, non da loro.»
Shiba scuote la nuca «Sei andata ancora a spiare i loro allenamenti?»
«No…» Oh, sia lodato il cielo-- «Ho mandato la Murosaki e la Watanabe.»
Shiba spalanca gli occhi scuri, guardandola sconvolta «Tu cosa?! Ma—Ma sono solo due matricole!»
«E allora?» alza le spalle mentre ingoia l’ultimo broccolo «Anche io facevo queste cose per la mia senpai.»
Shiba si massaggia le tempie, esasperata «Sei orribile, lo sai?»
«Sto solo cercando di sondare il terreno.»
«Orribile. Or-ri-bi-le!
»
Nana le regala un ghigno da Stronza Con Lode e per quanto sia tentata di andare avanti con quella cantilena, il vociare concitato delle loro compagne di classe le distrae; sono tutte ammassate alla porta, sbraitando in direzione dell’idolo della scuola che sta sfilando indifferente sotto i loro occhi a forma di cuore.
«Se non guarda per terra, rischia di scivolare sulla loro bava…»
«Disgustose.» sibila la Itou guardandole con rassegnazione.
Shiba vorrebbe dirle di aver visto anche la testolina bionda della Murosaki in mezzo al gregge che pascola dietro lo stangone, ma preferisce tacere; se venisse a saperlo, sarebbe capace di legarla alla trave e lasciarla lì per tutta la notte.
«Andiamo, non puoi negare che Kizawa sia un bel ragazzo.»
Nana inclina il capo «Si chiama Kaede Rukawa. Kizawa è il nano del club di tennis» la Sendoh sta per farfugliare qualcosa come Abbiamo un club di tennis?, ma la ragazza seguita imperterrita «E comunque sono esagerate. E’ come se ogni volta che venissi a casa tua, mi ritrovassi a sbavare per tuo fratello.»
«Oh, ti prego. Possibile tu debba sempre usare Akira come esempio?! E’--»
«Disgustoso?» le sue labbra si incurvano in un sorrisetto sornione, Shiba manda giù una sonora imprecazione.
Si volta in direzione della matricola, studiando il suo profilo elegante che lo fa sembrare uno di quei principi che da piccola sognava di continuo. Alti, belli, forti e impavidi, di quelli che non si fermano di fronte a nulla e nessuno pur di salvare la bella dalle grinfie del perfido stregone che l’ha ridotta in schiavitù.
Shiba distoglie lo sguardo; ha smesso di credere a queste cazzate quando si è accorta che i suoi principi azzurri amano più il basket di lei.
«Resta comunque un bel ragazzo.»
«Mi piace soprattutto il suo sorriso» ironizza la Itou rigirando le bacchette nel riso «Mh, a proposito… So che domani gareggeranno in un’amichevole con il Ryonan» sembra indifferente, disegna cerchi nel riso per poi rimescolare il tutto «Non hai intenzione di andare a vederli?»
«Ci sono gli allenamenti.» replica senza pensarci, vedendo i suoi occhi brillare.
E’ solo questione di un attimo però, perché subito torna alla carica «Quindi non intendi chiedermi se posso lasciarti andare? Nemmeno una corruzione piccina piccina?»
«Credevo saresti stata felice di sapermi agli allenamenti. Di sabato. Sabato mattina.» c’è fastidio nella sua voce bassa.
«Già… Ma se sei con la mente da un’altra parte, non mi servi» ribatte brusca, sorridendole leggermente prima di poggiare il mento sui pugni chiusi «Nh, ma tanto non ti avrei lasciata andare.»
Shiba reprime una risatina, la guarda con un pizzico di gratitudine per non essersi intrufolata in discorsi più grandi di lei «Lo sapevo.»
Le due tacciono, Shiba porta una mano sullo stomaco per placare i crampi che ha per la fame. Forse dovrebbe mangiare qualcosa, giusto per non rischiare di svenire in palestra come la settimana precedente.
Al pensiero che anche per cena ci sarà riso, però, subito lo stomaco le si chiude, costringendola a piegarsi sul tavolo mentre sogna di addentare un bel Cheesburger. Nh, ormai nemmeno si ricorda più che sapore abbia…

Quando alza la nuca, l’odore di curry le fa girare la testa. Nana le dà le spalle, le ha lasciato il riso che ha avanzato.
«Tra poco inizia letteratura. Vedi di mangiare qualcosa…»
«Aha.»
«E torna rossa. E riccia.»

 
«Quello è il tuo letto.»
«Vuoi dire divano.»
«Accontentati e non rompermi i coglioni» Tetsuo sparisce in quel buco che chiama cucina, l’unico suono che giunge è quello del frigo che si apre e delle bottiglie che tintinnano «Ti va una birra?»
«Sì, sì.»
Le molle del divano malandato scricchiolano quando ci cade sopra con pesantezza.
«Vedi di non spaccarmelo. È l’unico che ho.»
«Sarebbe ora di cambiarlo. Fa cagare.» tasta il tessuto ruvido, cosparso qua e là di bruciatura di sigarette. Sa di stantio, il pensiero che dovrà dormirci per chissà quanto altro tempo gli fa salire la bile ma è l’unico posto che gli rimane, visto che dai suoi non ha intenzione di tornare.
Le urla di sua madre gli fanno sempre venire il mal di testa ma la cosa peggiore sono gli sguardi di suo padre: sono pregni di delusione, non riesce a leggervi alcun'altra emozione.
All’inizio gli facevano male, ora gli danno solo a noia.
«Perché non chiedi un prestito ai tuoi? A quelli i soldi escono dal culo.» gli porge la bottiglia, si butta sulla poltrona sfondata e si accende una sigaretta.
«Io con quelli non ci parlo.» categorico, toglie il tappo e inizia a bere.
«Non vorrai mica restare qui per molto, vero? Ho una vita privata, se non lo sapessi.»
«Cazzate.» ghigna il più giovane, ricevendo un medio alzato in risposta.
«Se dormi qui, dove porto le mie donne?»
«Le tipe puoi portartele in motel. O in camera da letto.»
La cenere cade sul tappeto sporco e pieno di mozziconi «Continua di questo passo e ti sbatto fuori a calci in culo» si alza «Ma perché mi sono preso questa rottura di coglioni?» sbotta strofinandosi i capelli scuri.
Mitsui scoppia a ridere ma il dolore allo stomaco è talmente forte da farlo tossire. Per poco non si strozza con la birra, finita sul tappeto.
«Ehi, non sporcarmelo.»
«Non dovrebbe essere pulito, prima?!» sbotta caustico, massaggiandosi dappertutto. Porco cane, è appena uscito dall’ospedale e ancora si sente di merda. È tutto rotto, teme che un passo sbagliato possa frantumargli le ossa già doloranti.
Istintivamente porta una mano sul ginocchio sinistro; è sempre la prima parte che controlla, è più forte di lui. Non pulsa, non brucia, non duole… Incredibile come il problema sembri essersi sistemato mentre tutto il resto sta andando a farsi fottere.
«Certo che doveva essere proprio un bestione quello che ti ha ridotto in questo stato.» è il serio commento di Tetsuo.
Lo sguardo adombrato di Mitsui si riveste di rancore. Vorrebbe dirgli che in realtà è stato un pigmeo alto quanto un bonsai a spedirlo all’ospedale ma sa che le sue prese per il culo, a quel punto, diventerebbero infinite. Tace, limitandosi ad un secco «Non mi va di parlarne.» che Testuo accoglie con un’alzata di spalle.
«Tsk, non è che tu sia questo gran lottatore.»
«Risparmiami, Muhammad Ali
«Se sei una donnicciola quando si tratta di botte, non è colpa mia.»
«Disse l'uomo dalla chioma fluente.» freccia con un ghigno, scoppiando a ridere quando quell’altro si mette a smadonnare in aramaico.
A modo suo, Tetsuo è in grado di fargli dimenticare per un attimo quanta merda abbia sparso in giro da quando ha detto bye bye al basket.
Già, il basket… Gli viene da ridere al pensiero che, un tempo, è stato uno dei più grandi giocatori che Kanagawa avesse mai avuto, conteso da un sacco di scuole prestigiose. Sembra passata una vita, invece sono solo due gli anni che gravano sulle spalle scricchiolanti.
«Cos’hai da ridere, si può sapere?» Tetsuo si vota a tutti i Santi Protettori dei Teppisti per ricevere pazienza e non strozzarlo «Mi sa che quello ti ha fottuto anche il cervello, quando ti ha preso a calci.»
Mitsui continua a ridere.
Tetsuo smadonna.
«Coglione, smettila di ridere. Cazzo, senza quei denti davanti sembri mia nonna!»


Akira si ferma per riprendere fiato.
Sotto lo sguardo vigile di Taoka, si pulisce la fronte con la maglietta bianca «Continuate a correre!» intima severo, fissandoli uno ad uno.
Hikoichi ansima poco più indietro, ripetendo esausti «Perché non mi sono candidato come manager? Perché?!» strappandogli una risata svagata che viene accolta dal coach con un grugnito e una sequela infinita di rimproveri.

Stupidone, è così che lo chiama quando commette qualche errore, arriva in ritardo o semplicemente prende gli allenamenti sotto gamba.; si ritrova a sorridere quando viene appellato con quel nomignolo, gli ricorda i bonari rimproveri che sua madre gli rifilava quando era piccolo.
«Sendoh, smettila di sognare ad occhi aperti!» Taoka porta le mani vicino alla bocca, per poco non strozza una matricola che si è prostrata ai suoi piedi per chiedergli pietà e acqua.
Akira ride, Koshino gli si affianca e gli tira un calcio sul polpaccio.
«Smettila o ci farà fare il doppio dei giri!» esala a fatica, fulminandolo con lo sguardo.
«Speriamo ce li faccia fare sulla spiaggia.» è la sua pacata risposta.
«… Tu sei tutto scemo!»
Già, decisamente è uno scemo.
Lo Scemo.
Glielo dice sempre anche Nanaka, magari
quando si lascia andare a qualche smanceria di troppo non prevista dai loro patti, quando insegue Spock per tutta casa andando a sbattere contro ogni mobile o quando si lascia graffiare da quella scorbutica palla di pelo.
«Non capisco che cacchio ci sia di così bello nel correre sulla spiaggia. È faticoso!» seguita Koshino prima di superarlo, borbottando come una teiera.
Akira si ferma, lo sguardo perso lungo la costa che si staglia alla propria destra. 
Gli piace, è più forte di lui e non può farci niente.
Ai suoi non l’ha mai detto, ma ha scelto il Ryonan solo per il mare.


Il rientro in casa è la parte peggiore della giornata.
Nanaka ha smesso di annunciarsi con un quieto «Sono tornata.» all’età di tredici anni, quando si è accorta che il silenzio non le avrebbe mai risposto.
La porta si chiude dietro le sue spalle, lascia scivolare il borsone vicino l’ingresso e appende la felpa all’appendiabiti, ignorando il caos che regna in salotto. Suo padre è di nuovo in viaggio d’affari in compagnia della giovane segretaria poco più che venticinquenne e sua madre non l’ha presa bene, di nuovo. 
Si chiede perché ad ogni telefonata, quella debba per forza sfasciare il soggiorno; distruggere tutti i vasi di sua nonna, non riporterà il suo matrimonio all’antico splendore di venti anni fa.
Un tintinnio cattura la sua pigra attenzione, interamente dedicata al setaccio della stanza messa a soqquadro, fino a che non scorge un batuffolo di pelo acquattato sotto il tavolo in cucina.
«Oi, allora ci sei…» lo guarda con un accenno di sorriso, grata del suo miagolio che riga l’aria densa di spettri di urla, recriminazioni e amabili parole «Spock, non ora. Levati!» il suo lento strusciarsi sui polpacci è fastidioso, le fa il solletico e più tenta di allontanarlo con leggeri colpetti con la punta dei piedi, più quello si accanisce con miagolii perforanti.
Il suo gatto è una divetta buona a nulla.
Zampetta via solo quando la voce metallica della segretaria rompe il silenzio, lasciando poi spazio a quella ombrosa di sua madre che le dice che farà tardi, che nel frigo le ha lasciato del ramen da riscaldare e di mettere a posto il soggiorno perché è un vero disastro.
Non fa più caso ai Ti voglio bene che non si registrano mai, è stanca di piangerci come una cretina.
Si lascia cadere sul divano, crogiolandosi nella calma. Si aspetta di udire strani e ovattati rumori provenire dalla camera da letto, sorrisi che brillano al buio e rincorse disperate per catturare la diva con la coda lunga e folta ma i minuti passano e ogni aspettativa finisce col diventare una certezza: oggi non verrà.

Spock le sale sulle gambe, miagola stridulamente e si guarda attorno circospetto prima di acciambellarsi sulle cosce, apparentemente indispettito.
«Viziato…» borbotta Nana carezzandolo «Lo Scemo oggi non viene.»



Note noiose finali (d’obbligo):
E anche questo primo, vero capitolo è andato. È di un’inutilità scandalosa ma dovevo dare uno scorcio di quelli che saranno i protagonisti e questo era l’unico modo.
So che le scene sembrano buttate lì a caso ma ammetto che è per un mio gusto personale; non volevo qualcosa in stile “Dopo gli allenamenti…” o “Dopo le lezioni...”; preferivo entrare subito “nel mezzo” della scena. Spero non faccia venire il mal di mare @.@
Di seguito i classici punticini che mi preme segnalare (ma che ovviamente non siete costretti a leggere xD):

· La stazione di Noborito esiste ma non ho idea se si trovi prima o dopo quella del Ryonan (che stando a mie ricerche, dovrebbe essere la stazione di Kamakura). Il succo comunque è: ai fini della trama non è poi così importante dove si sveglia Akira quindi chiudiamo tutti gli occhi e facciamo finta di nulla XD

· Gestire degli OC non è mai facile e ho sempre il timore di creare delle Mary Sue, quelle classiche e bellissime personcine che ti spingono a dire: ma alla fine della storia quelle schiattano, vero? So bene che al momento la loro caratterizzazione è pressoché nulla (siamo solo al 1° capitolo, del resto) ma se doveste sentirne l’odore di sandali e lillà fatemelo notare senza alcun problema :) I giochi sono fatti e non posso farci granché ma posso sempre migliorarmi ;)

· Sendoh e Mitsui sono OOC? Non ne ho idea, lo ammetto. Non mi sembra di essere andata troppo oltre quello che è il loro carattere ma se così dovesse essere, aggiungerò la nota senza alcun problema.


Direi che è tutto, quindi passerei ai ringraziamenti a quelle sante lettrici che hanno speso cinque minuti per me: a ReginaMills89, kanagawa, pinkjude e Ice_DP va tutta la mia gratitudine. Siete state squisite e per una che non si aspettava un’accoglienza così calorosa, beh, vi meritereste più di un banale grazie ♥
Ringrazio inoltre i lettori silenziosi e chi ha inserito la storia fra le seguite/preferite.
Se avete tempo/voglia e vi andasse di lasciarmi detto cosa ne pensate 
di tanta inutilità, mi rendeste felice :)

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ho lasciato la finestra aperta ***


Capitolo 2

«Questa è la mia stanza, questi sono i miei giocattoli e questi sono i miei poster. Se vuoi qualcosa devi chiedermi il permesso e non è detto che to lo dia.»
Akira si ferma al centro dell’ampia stanza dipinta di azzurro tenue, scrutando l’esile figurina di Shibahime che lo ha seguito in religioso silenzio.
Si massaggia il polso che le ha tenuto stretto per l’intero viaggio e annuisce al suo secco «Hai capito?» che fa ripiombare il silenzio.
Ora che ci pensa, non ha aperto bocca da quando il pinguino le ha detto «Questi sono i tuoi novi genitori!», riducendola ad una statua di sale.
I suoi grandi occhi scuri si sono adombrati di terrore, ma prima è riuscito a scorgere un lampo di aspettativa, gioia, sospinti immediatamente via da un senso di colpa a cui non riesce ad attribuire un significato.
Shiba tasta il materasso del letto a castello e Akira la spintona via «Anche questo è mio!» il suo sguardo punta al letto superiore «E anche quello! Tutto quello che c’è qui è mio!» si avvicina alla finestra che getta sul giardino sul retro «Anche il campo da basket è mio, me lo ha costruito papà per il mio compleanno, quindi non puoi andarci. Hai capito? Ehi, ma mi stai ascoltando?!»
Akira scruta la sagoma appallottolata nell’angolo della stanza: Shibahime si è addormentata.
Sbuffa sonoramente e prima di recuperare il pallone, l’avvolge con la coperta dei superereoi che gli hanno regalato per il compleanno.
Shiba lo raggiunge dopo qualche ora facendo strisciare la coperta, Batman viene calpestato dalle sue calze bucate; ha i capelli tutti arruffati e lo sguardo perso. Gliela porge senza dire nulla ma Akira torna a concentrarsi sul canestro e ignora il suo continuo scuoterla.
«Guarda che puoi tenertela. Tanto non mi piace.»
Non è vero, è la sua preferita. 
Però è la prima volta che Shiba gli sorride di pura gioia.
A otto anni, Akira ne resta folgorato.

 
Starnutisce e subito il sonno gli passa.
Dalla cucina arriva un buon odore di riso e uova, i passi frenetici di Shiba risuonano pesanti nel corridoio.
«Acchan, svegliati!»
Akira guarda la sveglia che segna le 9.30… E’ in ritardo per il match.

Mo Chùisle

Capitolo 2
(Ho lasciato la finestra aperta)

 

Ruth: Claire, sei depressa?
Claire: Non risponderò nemmeno ad una domanda del genere.
Ruth: Beh, qualsiasi cosa tu stia
passando, spero non me ne darai la colpa”

                                                      - The liar and the whore [2.11], Six feet under-



«Oh, ben alzato!»

L’allegria di Shibahime non è contagiosa, eppure un mezzo sorriso glielo strappa fra gli sbadigli.

Sua sorella è già in piedi che traffica in cucina, indossando un grembiule a scacchi sopra gli shorts e la canottiera. Non capisce ancora perché si ostini a mettere mano ai fornelli se è limpido come il sole che non sa cucinare, ma proprio cose che Gordon Ramsey potrebbe sbranarsela da viva, eppure non ha il cuore di dirle alcunché.
E’ lì tutta concentrata, smadonna contro l’acqua che bolle troppo o l’olio che schizza pizzicandole la braccia scoperte.
E' una gioia per gli occhi vederla serena, lontana dal caos che si porta dentro e che difficilmente lascia oltre la porta di casa.

In momenti come questi, Akira addenta le fette di pane bruciate e manda giù in un sol boccone le uova incollate. Tanto, quando non guarderà, sputerà tutto nel cestino o fuori dalla finestra.

«Come mai in piedi così presto?» le domanda insonnolito, facendo ciondolare la nuca in avanti mentre cerca una sedia che non sia occupata da qualsiasi utensile da cucina.

«Presto? Ma se sono le 9.30…»

Akira alza la nuca di colpo, i rimasugli di sonno sono ormai scivolati via.

«Ah… Quindi sono in ritardo.»

«Già!»

«E non mi hai svegliato perché…?»

«Ma veramente io ti ho svegliato. Cioè, ci ho provato» ribatte coprendosi il volto con un coperchio; l’olio comincia a schizzare «Solo che ti sei voltato dall’altra parte.»

«E non potevi insistere?»

«Alla seconda volta mi hai tirato la sveglia in faccia. Ci tengo alla mia vita!»
starnazza quando gocce d’olio incandescente le finiscono sulla coscia.
Olio = ∞ – Shibahime = 0

«Mh, quindi mi toccherà correre.»

«In realtà dovresti già star correndo!» lo apostrofa esasperata; mette un coperchio sulla pentola e quando è deconcentrata, gli lancia un’occhiata scrutatrice «Allora, agitato?»

Akira si dondola sulla sedia, guarda il soffitto con occhi pesanti e mani giunte sul grembo
«Assonnato, più che altro.»
Shiba rotea gli occhi «Fossi in te non sottovaluterei lo Shohoku.»

«Aha, me lo hai già detto.»

«Sì, ma sembra non importarti granché.»

Sventola una mano «Ma solo perché è un’amichevole!» le sorride raggiante e Shiba si ritrova a scuotere la nuca «Sicura che non debba accompagnarti a scuola?»

«Ma se sei in ritardo?!»

«Era per essere gentili…»

«Beh, per una volta sii gentile con quel pover’uomo di Taoka sensei e vedi di arrivare presto!»

«Ma se avranno già cominciato?» allunga una mano verso la marmellata, poi si accorge che il pancarrè si sta carbonizzando e allora decide di digiunare.

«Non cominciano senza di te! Figurati se cominciano senza la stella del Ryonan!» Sendoh sorride quando quell’appellativo pascola tra di loro. Dovrebbe essere abituato ad essere così apostrofato, eppure quel nomignolo comincia a pesargli. Non sempre, solo a volte... Quando scrollare le spalle non basta per scacciare via la costante sensazione di dover essere il migliore perché altrimenti tutto se ne va a rotoli.

Con vaghezza, guarda l’orologio da muro che segna le 10.00; sarebbe dovuto essere in palestra da un’ora abbondante.

Starnutisce rumorosamente «Ah, mi sa che mi sto beccando qualcosa.»

«Nah, probabilmente ti sta pensando qualcuno» batte le mani e lo guarda «Allora, cosa preferisci? Uova? Pancetta? Fette biscottate? Fette biscottate con sopra le uova e la pancetta?»

«Mh, c’è del riso?»

«No. Il riso è per me. Per te ci sono le uova. O la pancetta. O le fette biscottate. O le fette--»

«Mangio una mela. E dovresti mangiarla anche tu. Ma non sei stanca di tutto quel riso?»
Shiba sospira, guarda il soffitto, si concentra su qualsiasi cosa che non sia il suo sguardo scrutatore; lo fa sempre quando vuole evitare un argomento in cui parte già sconfitta «Allora?»
«Oh, il campanello. Vado ad aprire!» sua sorella sgattaiola via, abbandonando la battaglia contro di lui e l’olio.

«Ma quale--» un trillo perforante smorza la sua confusione «Campanell—Oi, come facevi a sapere che avrebbero suonato?!»

«Mi aveva già vista dalla finestra...» la voce vellutata di Nana si intromette nel flusso dei suoi pensieri. Smette di dondolarsi sulla sedia e volta la testa in sua direzione: si staglia davanti a lui in tutta la sua leggiadria mattutina, senza alcun velo di occhiaie o stanchezza; come faccia ad essere così sveglia a quell’ora, è un mistero che neppure Shiba è ancora riuscita a scoprire «Come ti va, Asso

«Sì, di picche.» borbotta sua sorella passandogli accanto, armandosi questa volta di guanti.

«Qualcuno qui è già nervoso di prima mattina.» la punzecchia la Itou stando ferma sulla soglia della cucina, un ghigno talmente fastidioso da fargli scappare una risata che Shiba accoglie con un grugnito.

«E’ perché non mangia.»

«O perché c’è olio in giro?»

«Mh, forse è perché ha sporcato la cucina.»

«Ma tu non dovresti essere a giocare una partita?!»

«Credo che i nostri siano già lì da un beeel pezzo.» cinguetta Nana guardandolo divertita, sempre se quella specie di sorriso uscito male possa esprimere divertimento.
Stringe il borsone per gli allenamenti con forza, quasi avesse paura che scappi da un momento all’altro. Ha indosso la tuta dell’Adidas e per un istante si chiede se sotto abbia già il body. E’ un pensiero fugace, sgattaiola via velocemente quando Shiba fa la propria entrata trionfale con passo pesante mentre borbotta cose come «Potresti almeno iniziare a cambiarti, che poi il Sensei dà la colpa a me!», e amenità del genere.

Nana è snella, supera in altezza quella tappa di sua sorella di almeno dieci centimetri e ha un’eleganza nei movimenti da far invidia a una regina; fra gli studenti della sua scuola è stranamente popolare e quando sente i loro farneticamenti su come gli piacerebbe essere una delle clavette che si rigira come fosse aria, a stento soffoca le risate.

Se sapessero che lui, quella sventola, l’ha già saggiata più volte probabilmente lo lincerebbero. Sì, anche costo di mandare a rotoli la loro squadra di pallacanestro.

La sua simpatia è, ovviamente, inversamente proporzionale alla bellezza che la contraddistingue ma questo ha deciso di tenerselo per sé.

«Nana, non startene lì in piedi! E tu--» la voce dolciastra di Shiba sfuma in acido «Hai almeno preparato il borsone?» lo interpella con fare da mammina petulante, lanciandogli un’occhiata torva.

«E’ nella lista delle cose da fare.»

«Nella lista—Ma dannazione, Akira! Possibile che tu non sia mai puntuale in niente?!» ed eccola lì che se la fila via, girovagando per casa alla ricerca del borsone, della tuta, delle scarpe e del suo cervello.

«Prova in camera! Magari è ancora a letto!» replica divertito, ridendo limpidamente gettando la nuca indietro quando la sente richiamare tutte le divinità Azteche che conosce.
Nana scuote la nuca e si avvicina al tavolo «Vincerete anche quest’anno i campionati?» le domanda solare, osservando la sua sagoma snella sfilare al suo fianco.
Si siede composta «Ovvio che sì.»

«Attente. Il Kainan sembra forte quest’anno.»

Arcua un sopracciglio «Cos’è, sei andato a spiare anche tu le nuove matricole insieme ai tuoi compari?»

Sendoh scoppia a ridere; come se perdesse tempo per stronzate del genere! Poi la sua frase viene metabolizzata e subito la sua maschera di ilarità crolla in mille pezzettini «Come: Anche tu?! Vai ancora a spiare--»

«Non io. Le altre. Sono troppo vecchia per queste cose.»

«Le altre… Anche Shiba?»

«No, Shiba se ne frega.»

«Mh, fa bene. Dovrebbero farlo anche le altre

«E tu dovresti fare attenzione allo Shohoku. Dicono ci siano degli elementi validi.»

E cinquantamila…

«Ah, sì, Shiba me ne ha parlato. C’è un certo Kurawa--»

«Kurawa?»

«O era Rawaka

Nana si spalma una mano in faccia, rischiando di mandare in malora il leggero filo di matita che le colora gli occhi «Si chiama Kaede Rukawa» esplode lei con cipiglio esasperato «Possibile che voi due non riusciate a memorizzare un nome che sia uno?!» Akira scoppia a ridere, Nanaka sbuffa e gonfia le guance richiamando la pace dei sensi «Non riderei fossi in te, sai? E’ tanto bello quanto pericoloso, quindi…» la sua frase sfuma nel silenzio eppure il suo ghigno non accenna a traballare.

Akira smette di dondolarsi. Quella frase sibillina ha catturato la sua completa attenzione. Poggia i gomiti sul tavolo e la scruta
«Quindi...?»
«Quindi non sottovalutarlo. Era l’asso delle medie Tomigaoka e presto lo diventerà anche dello Shohoku, sempre se non lo è già.»

Le labbra di Akira si incurvano e senza pensarci, forse complice il macello che Shiba continua a fare nelle stanze adiacenti, le rifila un deliziato «Passaggio di testimone?» che Nana accoglie con una stortura di naso, come a metabolizzarne il senso.

E quando capisce, il suo sguardo smette di reggere finalmente il suo.

«Mh, sì, forse… Non so neppure se quel cretino lo sia mai stato, l’asso.»

«Per Shiba lo era.»

Nana sventola una mano, scacciando quell’argomento dalla loro conversazione. Forse lo fa per proteggere Shiba che svolazza nel salotto o forse perché anche lei ne è stanca, fatto sta che il nome dell’idiota non pascola fra le cibarie ed è meglio così.

Cala un silenzio piatto, di quelli che Akira non intende spezzare né con battute né con risate. Li ha solo con Nanaka e ammette che non gli dispiacciono. Sono comodi, ci galleggia dentro senza pensieri perché sa che lei non si aspetta alcuna domanda, quindi neppure deve pensare a formularne una.

Con la coda dell’occhio la vede tamburellare le dita sulle labbra sottili «Ho lasciato la finestra aperta.» la sua voce è bassa, annoiata, le dita prendono ad inseguire le briciole sul tavolo.

Akira la guarda per una manciata di secondi.

Non si aspetta quell’affermazione, non così platealmente.

Eppure le sorride, per nulla sfiorato dall’idea di poter essere sconfitto da quella banda di caproni insolenti, come ama definirli sua sorella. E' una specie di rito, quello di infilarsi nella sua stanza quando le cose non vanno bene e ora che ci pensa, è da un sacco che vanno.

«Sei davvero convinta che perderemo?» butta lì con noncuranza, vedendo le sue labbra aprirsi in un leggero sorriso.

«No, ho pescato la Papessa quindi andrà bene» La Papessa??? «Ma non si può mai sapere.» lo guarda con la coda dell’occhio e Akira pensa, per un breve istante, che se perdesse potrebbe sfogarsi sotto le coperte con lei. Forse lo sta pensando anche Nanaka, perché le sue guance si tingono di un pallido rosa.

Un tonfo sordo fa sì che i loro sguardi smettano di sorreggersi.

«Dannato gradino!» una Shiba tutta trafelata, dai capelli arruffati e con una mano sul sedere, lo guarda con i lacrimoni «Non c’è di là la tua stupida divisa!»

«Ma sei sicura? Forse non hai guardato bene.»

«Forse l’hai dimenticata in palestra!»

«Forse dovresti metterci del ghiaccio.» si intrufola Nana.

Shiba getta il borsone sulla sedia, gli lancia un asciugamano sui capelli schiacciati e si abbarbica al braccio di Nanaka, mugolando su quanto sia ingiusta la vita che le ha donato un fratello idiota.

Akira ride da bravo idiota qual è, per l’appunto.


«Devo prepararti qualcosa per quando torni?» chiede sua sorella quando lo vede pronto sulla soglia.

Akira sorride, alza le spalle «Non ce n’è bisogno…» lo sguardo scivola su Nana, lo fissa in attesa di una risposta che ormai dovrebbe essersi persa con l’arrivo irruento di Shibahime. Eppure le sorride e i suoi occhi blu si allargano più del dovuto «E ricordati di chiudere la finestra.»

«La finestra?» Shiba smadonna contro l’olio.

Le lancia un’ultima occhiata e se ne scappa via, anche perché ha il vago sospetto che il coach Taoka stia stramazzando al suolo.

L’ultima cosa che sente prima che il clack della porta colori i suoi pensieri, è il limpido «Ma sì, la finestra.» della Itou.

 Akira è ammantato da luce divina, quando fa il proprio trionfale ingresso nella palestra gremita. C’è un gran chiacchiericcio e sugli spalti si levano alte le voci delle ragazzine del primo e del secondo anno che, se ha capito bene, vorrebbero essere spalmate da lui sul parquet.
Non ha mai capito il perché del loro masochismo, mah!
«Sendoh, razza di stupido! Si può sapere perché sei così in ritardo?!» Taoka ha una vena pulsante sulla tempia e sembra invecchiato di almeno dieci anni.
«Non ho sentito la sveglia.» spiega sincero, prima che uno starnuto faccia salire la pressione del suo allenatore.
«Buddha santissimo, non dirmi che ti stai prendendo l’influenza! Non puoi prenderti l’influenza!» il coach Taoka per poco non sviene sul lucido parquet.
Sventola una mano «Ma no, ma no… Shiba dice che qualcuno mi sta pensando.» cinguetta noncurante, dirigendosi verso Hikoichi che, tutto sognante, regge la sua maglia # 7. Ah, ecco dove l’aveva lasciata! Povera Shiba che per poco si è spaccata l’osso del collo…
«Sendoh, non hai tempo per riscaldarti. La partita inizia a breve.» lo avvisa Uozumi, quell’armadio a due ante che si ritrova come capitano. Ricorda ancora l’effetto che gli ha fatto ritrovandoselo di fronte, quel mix tra paura e ilarità che a stento era riuscito a trattenere, quando si è presentato in palestra per la prima volta. Gli aveva ricordato uno di quei gorilla che aveva visto allo zoo con Shiba, quando erano bambini e i loro genitori avevano tempo per scarrozzarli in giro.
Ora che ci pensa… Ma da quant’è che non ci vanno? E pensare che gli piaceva un sacco perdersi in quel luogo che, per un paio d’ore, li faceva sentire lontani da Kanagawa. Si improvviavano esploratori venuti da luoghi lontano alla ricerca di non ricorda quale sacra paccottiglia -che stranamente si trovava sempre nella fossa delle tigri- e poi c'era Kyosuke che aveva il brutto vizio di farli avvicinare alle gabbie dei gorilla con continui 
«Un po' più indietro, ancora un po', di più. Shiba, più vicina al gorilla su!» mentre i capelli di Madoka diventavano sempre più bianchi.
Un ragazzo dai capelli rossicci lo sovrasta, lo guarda con aria di sfida e subito il ricordo di Shiba che tenta di gettarlo nella gabbia dei leoni, sotto gli strepiti di sua madre e la risata limpida di suo padre, sfuma nello scroscio degli incitamenti.
Sendoh ricambia lo sguardo con paciosa tranquillità, mentre dentro sé è tutto un Oh cazzo dove l’ho già visto presto qualcuno mi dica il suo nome prima che dica qualche cazzata delle mie!
Le sue labbra si aprono in un ghigno e il suo indice si leva contro il suo petto «Preparati Sendoh, hai di fronte a te l’arma segreta delle Shohoku!»
«Sakuragi, smettila di fare l’idiota!» sbraita un clone un po’ più basso di Uozumi, un King Kong dalla pelle scura che viene trattenuto da due guardie--… Ah, no, sono due membri dello Shohoku.

«Domani conoscerai Hanamichi Sakuragi e sarai costretto a ricrederti…»

Le parole di Shiba serpeggiano fra loro.
Sendoh sorride, è inevitabile.
«Piacere di conoscerti.»

 
Il coach Taoka è infuriato.
«Sendoh, dannazione! Ma tua sorella ti ha preparato la colazione prima di venire qui?!»
Shibahime, sul vialetto di casa, starnutisce.
«Coach, si calmi! Altrimenti le esplodono le coronarie!»
Hikoichi rischia la decapitazione.
La vecchia porchetta tra le fila dello Shohoku ride beata.
Akira segna il punto che porta il Ryonan in vantaggio.
Ah, già… E Hanamichi “L’arma segreta” Sakuragi è rimasto in panchina.



Quando mette piede in palestra, Shiba viene travolta da un uragano dai capelli biondi sbarazzini e un body rosa pallido attillato.
La placca come un giocatore di Rugby e la schianta sul parquet appena lucidato dalle matricole.
«Fujiko-chan, staccati!» è la sua stridula richiesta ma questa non vuol proprio saperne di scollarsi. Sembra un gatto che ha appena trovato un cuscino soffice su cui dormire e non è intenzionato ad allontanarsi da lì.
«Aw, come sono contenta di vederla, senpai!»
«Sì, va bene, ora levati!»
I corti capelli biondi a spazzola le pizzicano il mento mentre le sue fusa si fanno sempre più insistenti. È tentata di farle pat pat sulla testa ma ha il sentore che, così facendo, non se la staccherà più di dosso.
«Ha letto le ultime notizie sul giornalino della scuola?» domanda esaltata, liberandola finalmente dalla morsa assassina. Continua a rimanerle a cavalcioni, mostrandole la copertina del giornalino dello Shohoku su cui svetta una piccola immagine di Nanaka durante un’amichevole contro il Meiho Kogyo della prefettura di Aichi.
In primo piano, il testone rosso di Hanamichi Sakuragi che a quanto pare sta facendo parlare di sé per le sue presunte “doti sportive” e delusioni amorose; Shibahime spera vivamente che quello scapestrato non sappia leggere, altrimenti del club del giornalino non resterà altro che fumo e cenere.
«Non leggo quella roba là. E dovresti smettere anche tu.»
«Ma c’è un articolo su Itou-senpai e sulla stella di Aichi!» sfoglia velocemente le pagine e le piazza davanti al naso una gigantografia di… OhMio-- «E a centro pagina c’è il poster di Kaede Rukawa! Sono 43x62 cm di pura bellezza!»
«Certo, aha... A quando la sua bambolina in omaggio?»
«Oh, quella l’hanno già fatta.»
«Che cosa?!»
«Ad ogni modo qui parlano di Ran Ine! Dicono che ha subito una brutta frattura alla caviglia a seguito di una caduta. Non è fantastico?!»
«Vedo che la notizia ti ha sconvolta.» sbuffa secca, cercando di scacciare le stelline che i suoi occhi scuri continuano a far saettare in giro.
Ran Ine è stata loro avversaria sin dai tempi della prima superiore. 
Prima qualificata ai campionati nazionali, Ran Ine è sempre stata una degna rivale di Nanaka, incapace di batterla in qualsiasi tipo di disciplina eccezione fatta per le clavette.
Shiba ricorda ancora il giorno in cui se l’è ritrovata davanti, con quel suo costume tutto sbrilluccicante di un accesso rosa che metteva in risalto la carnagione scura e quel trucco perfetto che la faceva sembrare più vecchia dei suoi sedici anni.
Le aveva sorriso con sincerità prima di augurarle buona fortuna per le eliminatorie. È sempre stata gentile e mai spavalda, forse è per questo che a Nana piace da morire l’idea di avere un confronto con lei.
«Ma ci pensi?! Senza la Ine avremo sicuramente i campionati nazionali in mano! Saremo imbattibili, saremo--»
La palla dorata d’allenamento le finisce sulla nuca «Murosaki, fila ad allenarti, ora.» Nanaka fa il proprio trionfale ingresso.
«Ma, senpai, poteva farmi male!
» piagnucola con enormi lacrimoni, tirando su con il naso.
«Ringrazia che non ho usato le clavette.»
Non appena il suo saluto si sparge per le quattro mura, ecco che le matricole si fiondano verso di lei tutte adoranti.
Nanaka è apprezzata per le sue strabilianti doti di ginnasta, nonostante sia contraddistinta da una severità senza eguali; non è gentile, non è dolce e non è incline a lasciarsi addolcire da piagnistei e moine. Le invidia questa sua capacità di sapersi allenare con una freddezza che lei non acquisirà mai, ma nemmeno in tutta una vita; Shiba si fa prendere dal panico se le cose non vanno come dovrebbero.
«Non la trovi bellissima?» la Murosaki si stacca, ha gli occhi che sbrilluccicano.
«Una rosa con le spine.» cinguetta prima di alzarsi e sistemarsi il body.
La ragazzina ridacchia alla sua sparata «Ma se è la sua migliore amica?»
Storce il naso «Sì, ma lei non si fa problemi a darmi della piattola.» constata infastidita.
La matricola sospira sognante «Io la trovo fantastica.»
«Seh, va beh…»
«Ragazze, non battete la fiacca. Tra un’ora dobbiamo lasciare la palestra a quelle montate del club di pallavolo.»
Se Shibahime potesse descrivere Nanaka Itou con una sola parola, questa sarebbe: StronzaStakanovistaDalCuoreDiGhiaccio. Questo solo in palestra, ovvio.
E’ precisa, non si lascia andare a futili chiacchiericci e per tutta la durata degli allenamenti non perde mai la concentrazione. Incenerisce le ragazze che si riposano in un angolino, ammonendole con poche parole capaci di far scendere l’Apocalisse. Con lei, poi, è di una severità indicibile. Non si perde mai d’animo, la sprona sempre a dare il massimo e quando non lo fa, la incoraggia in quel modo un po' brusco ma che sa colpire nei punti giusti.
Ha un modo tutto suo di esserle amica ma Shiba lo trova assolutamente perfetto.
E’ sempre pronta ad ascoltarla, le dice come stanno le cose senza giri di parole e se deve dirle che ha sbagliato, è ottima a farla sentire in colpa.
Un sorrisetto spunta mentre la vede cazziare un’indifesa matricola terrorizzata al pensiero di ritrovarsi con la palla in testa…

Quando Shibahime conosce Nanaka, ha lunghi capelli rossi raccolti in due codini alti che le ricadono fino al seno come stelle filanti; le punte sono tutte ingarbugliate per colpa di Akira che ci ha giocato fino a due minuti prima.
La brezza leggera le scompiglia la frangetta, ricoprendo la cascata rossiccia di petali di ciliegio che difficilmente riuscirà a togliere; lascerà questo piacere a suo fratello, visto che non riesce a tenere le mani lontano dai suoi boccoli.
Il primo giorno di scuola non è poi così diverso dalla prima volta che ha messo piede al Sacro Cuore: gli sguardi fissi su di lei e sui suoi tratti occidentali, la stramba zazzera a canuli dal colore così particolare. 
Un bambino nuovo è sempre una probabile minaccia, in quei luoghi; un bambino così appariscente diventa un immediato pericolo.
«Hai visto che capelli? Ma saranno tinti?»
«Ma no, è contro il regolamento!»
«Non sembra di qua. Hai visto gli occhi?»
«E il fiocco della divisa? Hai visto il suo fiocco? E’ allacciato male!»
Il vociare degli studenti è fastidioso, si incastra nelle pareti più incrostate del suo cervello e ci si radica, alimentando quel barlume di rabbia che credeva di aver lasciato dietro le porte dell’orfanotrofio.
Le prese in giro dei bambini fanno ancora male, nonostante ora abbia una famiglia che le vuole bene e un fratello che non le ruba le coperte o i giocattoli -anche se ha il vizio di rifilarle il cibo che scarta-.
Le loro risate di scherno risuonano forti, si confondono con il vociare fitto fitto degli studenti; gli schiaffi delle bambine che le davano il tormento hanno lasciato segni visibili
sulle bracciache non se ne andranno mai e lo sforbiciare fra quei fili rossi mentre questi vengono recisi e cadono sul pavimento continua a farle visita nei suoi incubi.
Dovrebbe essere abituata alle prese in giro o alle sevizie, ma ogni volta se ne riscopre incapace.
Suo fratello Akira non c’è a poterla salvare, lui è troppo piccolo per poter frequentare con lei il primo anno di scuole medie.
Si guarda attorno, alla ricerca di un angolo buio in cui potersi nascondere ma qualcuno la prende per la spalle e Shiba si ritrova catapultata nel passato, quando faceva qualche pasticcio e subito suora Kong la rinchiudeva nello sgabuzzino dopo averle impartito una lezione fatta di sberle e bacchettate sulle mani.
«Scusami, sai dov’è la prima sezione C?»
La guarda con timore, pulendosi la spalla ora libera. Aggrotta le sopracciglia e scuote la nuca, rimirando i suoi capelli corvini legati in una treccia perfetta: sua madre a malapena sa farle una coda di cavallo…
«Oh, peccato… Sei di prima anche tu, vero?» Shiba annuisce e l’altra la scruta «Sei muta o sei solo troppo pigra per parlare?» sbuffa di fronte al suo mutismo ostinato, infine allunga una mano verso di lei e le sistema il fiocco «Aggiustalo o gli insegnanti si arrabbieranno.» e se ne va, braccando un altro paio di studenti più grandi.
Se la ritroverà in classe, quella miniatura dai lineamenti duri ma non le rivolgerà la parola se non dopo un mese, quando sgattaiola dalla classe durante la pausa pranzo per allenarsi. Ha scoperto che c'è un club di ginnastica ritmica, si intrufola in palestra per poter usare gli attrezzi di nascosto e fingere di essere alle Olimpiadi. Si ricorda ancora come e quando far girare il nastro, i movimenti del polso, come girare per non lasciarsi attorcigliare.
E' come se fosse un tutt'uno con l'attrezzo.
La sua passione è sempre stata il nastro, le conferisce un’eleganza di movimenti che gli altri attrezzi non le donano.
Si avvolge con il filo rosso, lasciandosi trasportare dalla musica immaginaria che suona solo nella sua testa. È fuori allenamento, quegli anni passati all’orfanotrofio l’hanno resa un po’ fiacca e priva di energie… E pensare che era considerata una bambina prodigio.
Recupera il nastro lanciato in aria e lo scricchiolio della porta la distrae, facendola sussultare: Nanaka è lì che applaude e le rivolge un deliziato «Sai che sei davvero brava?» che la riporta coi piedi per terra.
«Che ci fai qui?»
«Ti ho pedinata.»
«Cosa?!»
«Fossi in te non sarei così rigida quando fai la ruota» le dà consigli non richiesti mentre si toglie le scarpe, zampettando fino a lei. Studia la sua esile corporatura, la sommerge di severi «Dovresti mangiare un po’ di più», di seri «Meno rigida, meno rigida!» per poi concludere il tutto con un incuriosito «Da quanto fai ginnastica?» che la tramortisce.

La pratica da quando aveva quattro anni, nella palestra di fianco a quella in cui sua madre insegnava danza classica a bimbe poco più piccine di lei; vorrebbe dirglielo ma un nodo alla gola le fa venire voglia di vomitare. Le parole ingarbugliano e allora niente, se ne sta zitta, che tanto non ha voglia di fare conversazione con una che continua a girarle intorno tastandole la braccia e le gambe.
«Possibile che tu non parli mai?» domanda esasperata, arcuando un sopracciglio.
Shiba corruga la fronte e recupera le proprie cose, rifilandole un’occhiata al vetriolo «Perché mi pedinavi?»
«Oh, allora sai parlare» il suo sorrisetto si allarga, Shiba vorrebbe spaccarglielo «Beh? Da quanto fai ginnastica?» ripete più pacata.
«Non lo so. Un po’.»
«Un po’ quanto?»
«Un po’… Tanto.»
«Oh, ottimo! Immagino quindi che ti iscriverai al club di ginnastica.» le sorride invogliante, ma Shiba scuote la nuca e lancia il nastro nello sgabuzzino, ignorandola.
«Non frequenterò alcun club.»
Le sue labbra color pesca si arricciano di disappunto «Oh, perché?»
«Perché non mi va.»
«Nh, è un peccato» Nanaka giocherella con il nastro «Dovresti iscriverti al club.»
«No.»
«Eddai, iscriviti-i.»
«No-o.»
La campanella la salva ma la ragazza non si dà per vinta «Non mi arrendo mica, cosa credi?» è l’ultima cosa che le dice prima di allontanarsi, dicendole di non fare tardi a lezione. Anzi, no… L’ultima cosa che le dice con un occhiolino è «A proposito… Hai dei capelli pazzeschi!» che la fa imbambolare con la schiena piegata e le scarpe fra le mani.
Ha fatto un complimento sui suoi capelli…
Probabilmente è daltonica.
I giorni trascorrono monotoni, Nanaka Itou continua a chiederle se non sia intenzionata ad entrare nel club di ginnastica; a volte la tampina fino alla stazione dei treni, altre volte le manda bigliettini durante le lezioni, altre ancora la insegue nei bagni…  E’ costretta a pranzare nel parco giochi vicino alla scuola pur di non farsi trovare.
Akira la portava lì spesso quando tornavano da scuola e i loro genitori partivano per chissà quale paese che lei nemmeno sapeva esistesse. Lui dondolava sull’altalena fino al tramonto, lei si rintanava nello scivolo a forma di elefantino, quello stesso in cui si trova acciambellata.
Se solo chiude gli occhi può risentire le risate svagate di suo fratello, il loro scalpicciare sui ciottoli, il loro gareggiare a chi arriva più in alto dondolandosi… O quell'idiota di Koshino che cercava in tutti i modi di buttarla già dallo scivolo.
«Oh, eccoti qui…»
Si desta, guarda alla propria destra e la sagoma che le si staglia davanti la fa sbuffare «Itou, che vuoi?»
La ragazza sogghigna «Ci credo che non riesci a farti degli amici, simpatica come sei...» si piega sulle ginocchia, riparandola dal sole che la illuminava.
«Non mi servono.»
«Mh, vedo che non siamo poi così diverse…» Shiba sbatacchia le palpebre, sorpresa, e Nana ne approfitta per infilarsi nel suo fortino «Posso?»
«Come vuoi…»
«Non venivo qui da una vita» apre il bento e un buon profumo di riso e pollo le invade le narici; si tasta lo stomaco brontolante, ricordandosi che quella mattina si è svegliata tardi e non ha fatto in tempo a prepararlo «Tu non mangi?»
«Non ho fame.»
«Quindi ti nascondi da me venendo qui.»
«Non mi sto nascondendo!»
«E allora cos’hai? La sindrome di Peter Pan?»
«Eh?!»
«Dovresti mangiare, comunque, sei così magra--»
«Ti ha mandata mia madre o volevi qualcosa?» la interrompe con bruschezza, distogliendo lo sguardo dagli Onigiri dall’aspetto appetitoso.
Nana rimane interdetta per una manciata di secondi, poi alza le spalle «Volevo sapere dove ti cacciavi tutti i giorni. Sei l’unica con cui riesca a parlare senza annoiarmi.»
«Parlare?»
«Ne sei stupita anche tu, mh?» sogghigna divertita, facendole roteare gli occhi «Immagino tu sappia perché sono qui…»
«Per rompermi i coglioni—Ahio!» si massaggia la gamba su cui il suo piede si è avventato; Nana mangiucchia come se nulla fosse accaduto.
«Si dice rompere le scatole. E comunque no, volevo chiederti--»
«Non ci vengo al club.»
Il capo di Nana cade con indolenza «Ma si può sapere il perché? Sei così brava…»
«Affari miei.»
La ginnastica ritmica è una parte della sua vita che ha relegato in un cassettino e non è intenzionata ad aprirlo. Le ricorda la sua vera madre, quei suoi capelli ricci e rossi raccolti in un elegante chignon, i suoi tifi sfegatati durante gli allenamenti e le corse fuori in strada per correre incontro a suo padre, di ritorno da lavoro. Le ricordano i sorrisi fra i pianti quando si faceva male, gli applausi in soggiorno mentre La morte del cigno risuona leggera e le estati che sapevano d’Irlanda.
La ginnastica ritmica è solo uno stralcio di quel passato che le hanno strappato via, non se ne fa più nulla ormai.
«Beh, qualunque sia il motivo a me non importa, sei brava» rimbrotta perentoria «Allora, ci vieni agli allenamenti?»
«Nh.»
Mette via il bento, la guarda con austerità «Senti, sappiamo entrambe quanto tu sia una frana a scuola--»
«Fai schifo a convincere le persone, lo sai?»
«E frequentare un’attività extrascolastica non farà altro che bene al tuo curriculum. Così tu avrai i tuoi crediti, io avrò qualcuno di decente in squadra. Due piccioni con una fava!»
Shiba si pulisce la gonna sporca di sabbia. Finge di pensarci poi sbuffa «Senti, perché proprio io? Non hai qualcun altro da stressare?»
Nana posa le bacchette, si apre in un sorriso così uguale a quello di suo fratello da farla sentire giusta «Perché hai talento. È un peccato sprecarlo, non trovi?» torna a mangiare «E poi voglio vincere ai campionati interscolastici o almeno provarci. Sono sicura che con te avremo qualche possibilità. Come te la cavi con il lavoro di squadra?»
«Nh.»
«Oh, beh, ci possiamo sempre lavorare» sventola una mano poi l’allunga verso di lei «Allora, ci stai?»
«Cosa non ti è chiaro della parola no
«Andiamo, è solo un anno. Poi sarai libera.» la mano finemente curata ondeggia su e giù con lentezza, Shiba ne è quasi ipnotizzata. È forse per questo che gliela stringe senza neppure pensarci, rassicurata da quel barlume di libertà che nonostante tutto continua a lasciarle.
«Solo un anno.» ripete secca, osservando le sue labbra aprirsi in un ghigno
«Tanto non te ne andrai, non potrai più farne a meno. Sarà come respirare» il ghigno si allarga «Bene, direi che siamo a posto!» si inginocchia e si pulisce la gonna tutta sporca «Gli allenamenti iniziano alle 16.15, sii puntuale.»
«Oggi non posso, devo pulire l’aula.»
«Puoi sempre venire non appena finito» Nana sgattaiola fuori «Vedi di non far tardi, le lezioni iniziano tra poco!»
Shiba si allunga «Ehi, il tuo bento!»
«Non mi va più. Puoi mangiarlo se ti va!»
Le sue parole sfumano nel suono della prima campanella, ma Shiba non si solleva.
La mano che le ha stretto per suggellare la loro promessa brucia, proprio come quando le suore la prendevano a bacchettate per aver picchiato qualche bambina.

Un anno passa in fretta, pensa mentre mette piede in palestra la prima volta, incrociando lo sguardo divertito della Itou.
Ma poi non smette più.
Nana aveva ragione: è come respirare.

Ume entra di filata in palestra, i capelli scuri raccolti in due alti codini e le guance rosse per la corsa.
«Scusate il ritardo!» esordisce così, prima di ricevere una clavettata dalla Itou.
«A cosa lo dobbiamo, di grazia? La partita dovrebbe essere finita da ben tre quarti d’ora.» le fa notare con calma, il sorriso traballante che si allarga sempre più.
La Watanabe si massaggia la testa «Sendoh-san è arrivato in ritardo!» è l’unica spiegazione che dà e Nana, eletta a teiera sbuffante della mattina, rivolge a Shiba un’occhiata esasperata.
La Sendoh ridacchia «Allora, com’è andata la partita?»
La ragazzina si avvicina a Shiba e la strattona per un braccio «Oh, ci sarebbe dovuta essere senpai! Suo fratello è stato ma-gni-fi-co, magnifico! Ha dribblato Rukawa, che era davvero tanta roba anche ‘sta mattina, e poi ha smarcato tutti e ha fatto un canestro dietro l’altro e--»
«Sì, ma chi ha vinto?» interviene Nana, aiutando l’amica a non farsi staccare il braccio.
«Il Ryonan! Abbiamo perso di un solo punto, però!»
«Non mi sembri molto dispiaciuta.» osserva Fujiko una volta recuperato il cerchio rotolato fino al muro.
La matricola sprizza stelline e cuoricini di dubbio gusto che Nana tenta di scacciare. 
E’ la felicità fatta a persona e quando credono che abbia preso un colpo in testa sulla strada del ritorno, ecco che mostra a tutte il proprio trofeo: una maglietta bianca con sopra uno scarabocchio nero.
«Sendoh-san mi ha autografato la maglietta!»
«Ah, beh… Che?!»
«Suo fratello è molto gettonato, senpai!» cinguetta la Watanabe.
«Ed è anche tanto figo!» seguita l’altra.
Nana la fa scendere dalla sua soffice nuvola rosa e la risbatte col sedere sul materasso blu «Sì, ed è anche un indisciplinato cronico. Ora fila ad allenarti.»
«Beh, ma lei non lo trova figo senpai?»
«Nh.»
«Peccato la divisa da basket non sia abbastanza aderente per--»
«Potete smetterla di parlare della figosità di mio fratello? È disgustoso!» inveisce contro le due matricole, ora intente a parlottare su quanto sia ingiusto che un adone nel genere non bazzichi nella loro scuola. A quanto pare quel bell’imbusto di Kaede Rukawa non basta a saziare i loro ormoni in subbuglio…
«Hanno ragione.»
«Eh?» il cerchio per poco non le finisce sulla testa «Non dirmi che lo trovi figo anche tu!»
«Si fa guardare.»
«Nana, per favore--» riceve una clavettata sulla testa, fischiettando di fronte al suo lagnarsi «Saresti dovuta essere lì. Ad Akira-kun avrebbe fatto piacere.»
«Ma se non mi avresti lasciata andare?!»
«Se mi avessi supplicata, magari…» Shiba smadonna «Ma non ti viene mai la voglia di ritornarci?» 
«… Nah. Ormai non ha più importanza.»

Shiba finge di allenarsi per tutto il tempo, troppo impegnata a scacciare gli spettri del passato.
Nana è fuggita cinque minuti prima del termine.
Ha detto di aver dimenticato la finestra aperta.

 

 «Quindi Sakuragi ti ha stretto troppo forte la mano…» l’acqua scorre, Shiba osserva la schiena larga di suo fratello, riverso sul lavabo.
«E’ un pazzo!»
«Non lo sono un po’ tutti, là dentro?»
Akira grugnisce «Sembrano usciti da un riformatorio!»
Shiba ridacchia «Potresti sfornare delle pizze con una mano del genere, lo sai?»
«Passami un asciugamano e smettila di ridere!»

 

La brezza gli scompiglia i lunghi capelli scuri, è costretto a portarseli indietro con stizza. Ma perché cazzo se li è fatti crescere? Sono solo un impiccio.
Ci rimugina su, ignorando quei tre cretini che si porta a spasso e che ora si rincorrono sul bagnasciuga.
Le onde si infrangono sulle scarpe, dovrà ricordarsi di toglierle una volta tornato a casa o Tetsuo Casalinga Disperata gli sfracasserà i coglioni finché campa. Scaccia un’alga con espressione vitrea.
Mitsui detesta il mare.
L’ultima volta che è venuto in spiaggia, una sociopatica dai capelli rossi e lo sguardo magnetico gli ha dato il benservito.
È avvenuto tutto così velocemente che lui nemmeno se ne è accorto. Ricorda solo di essere stato sommerso da un’ondata di parole e recriminazioni a cui non ha saputo proteggersi e quando si è reso conto che il suo E’ finita voleva dire E’ finita e non E’ finita ma se vuoi ci riproviamo, lei era già lontana.
Le ha chiesto di aspettare, ma la sua schiena è divenuta un puntino e tanti cari saluti alla sua rossa mozzafiato.
A volte pensa che sia stato un bene. 
La sua libertà ha sentitamente ringraziato quando le chiamate, i messaggi e i litigi sono cessati, altre volte manca l’aria e tutto quello che gli pareva seccante sembra stranamente giusto.

Però per un po’ mi era piaciuta davvero.
Le sue parole di addio sono ancora ben stampate nella mente, a riprova che il suo cervello incanala solo cazzate e tralascia le cose veramente importanti.
Non ricorda di aver pianto… In compenso ha scatenato una rissa al bar, giusto per sfogarsi.
Gli sale una rabbia indicibile, di quelle che gli fanno arricciare le dita dei piedi e formicolare le mani, costringendolo a prendersela con il mondo intero pur di levarsi di dosso quel prurito.
E’ lo stesso tipo di collera che prova quando sente il pallone rimbalzare sul terreno, quando ode le catenelle del canestro vibrare, quando la parola basket serpeggia fra i discorsi frivoli, insinuandosi in ogni piega del suo cervello.
Perde il controllo, come se la parte peggiore di sé prendesse il sopravvento e mettesse a tacere quella vocina interiore che continua a ripetergli di darci un taglio con la vita da teppista e tornare sulla retta via. Quella che porta in palestra, insomma…
Ma basta una scazzottata a farla tacere e tutto torna come prima.

Anche se il “prima” di adesso era decisamente meglio…
«Immagino domani tornerai a scuola.» è Hotta a distrarlo, facendo migrare via ogni pensiero. Lo fissa con un ghigno ma nei suoi occhi può leggere un accenno di timore che, lo ammette, lo fa sentire decisamente importante in quel branco di mentecatti.
Non sa come si sia guadagnato la sua fiducia né come abbia fatto ad integrarsi così bene in un gruppo di persone che neppure salutava fra i corridoi di scuola; fatto sta che una rissa finita in vittoria ha sancito la loro alleanza e l’essere amico fidato di Tetsuo, lo erge automaticamente al rango di Teppista Con Lode.
«Mi tocca.»
«Dev’essere dura dopo tutto questo tempo.»
Mitsui si massaggia la cicatrice «Sempre meglio che stare a casa con quella rompipalle di mia madre.» è l’aspro commento che gli rivolge, calciando un sasso in acqua.
Hotta osserva i cerchi concentrici che si aprono «So che anche Miyagi ha intenzione di tornare.»
I suoi neuroni si svegliano al suono di quel nome, facendogli prudere le mani.
Miyagi è quella matricola delle sue palle che lo ha mandato all’ospedale e gli ha rotto i denti davanti, lasciandogli in omaggio un pacchetto di lesioni non compreso nel prezzo.
Di quel giorno ha pochi ricordi, la maggior parte frammentari o sbiaditi.
È svenuto sotto i suoi colpi, può ancora sentire le urla dei suoi compagni che si accaniscono contro di lui che ghigna di trionfo per averlo messo al tappeto.
Si risveglia in ospedale, circondato da infermiere che lo guardano come se fosse un poveraccio mentre sua madre urla qualcosa al medico, fuori dal corridoio, attaccata a suo padre che pare invecchiato di almeno una decina d’anni e non parla, limitandosi a fissare un punto del muro.
Poi sono entrati e le grida si sono sprecate.
Sua madre starnazzava cose come Sono stanca di ripulire tutte le sue puttanate e lui le aveva chiesto se almeno gli avesse pulito la maglietta bianca. No perché era tutta sporca di sangue…
«L’hanno dimesso?»
«Qualche giorno fa.»
Le dita gli pizzicano, ha voglia di ribaltare il mondo.
«Ottimo.» sorride dietro la mascherina, lasciando che Nori possa leggere la sua voglia di vendetta negli occhi ora ridotti a due fessure.


La Danza delle fate confetto risuona nella piccola stanza a fiori gialli e blu, quando il carillon cade accidentalmente dalla scrivania.
Shiba si sveglia, davanti agli occhi l’immagine di sua madre che volteggia sul palcoscenico mentre lei stringe la mano grande di suo padre che tra i folti capelli rossi continua a ripeterle «Un giorno diventerai bella come lei.».
Raccoglie la piccola scatola di fine velluto rosso e la poggia sulla scrivania, osservando la minuscola ballerina girare in tondo, con il mento poggiato su entrambe le braccia.
All’età di nove anni, Shiba è in preda ad incubi che la tengono sveglia tutta la notte; la psicologa che la tiene in cura consiglia di farle ascoltare un po’ di musica prima che si addormenti.
Il carillon è stato uno dei primi regali di Madoka ma quando le urla e i pianti si sono amplificati, la donna non ha più aperto la scatoletta.
Lo Schiaccianoci è stato l’ultimo spettacolo che ha eseguito sua madre, dopodiché è calato il sipario su tutta la sua infanzia.
Nello scrigno ha nascosto piccole cose che ha giurato di non voler più vedere, perché dimenticare le è sempre sembrata la scelta migliore.
C’è una foto di lei con i suoi genitori naturali, un ciondolo a forma di panda che ha rubato ad una kohai all’orfanotrofio e un’altra foto che la ritrae tutta sorridente vicino a un ragazzo dai capelli a scodella mentre mostrano le medaglie.
Un sorriso nostalgico le solleva le guance: quello è il giorno in cui lui è diventato Mvp e lei è arrivata terza col nastro alle finali della prefettura di Kanagawa. Vorrebbe piangere ma non lo fa, non con suo fratello che continua a entrare di soppiatto chiedendole se per cena vuole riso, manzo o pollo.
Richiude il carillon con stizza e la musica smette, seppellendo la valanga di ricordi scomodi.
Uno tra tutti però perdura, la punzecchia nonostante Akira le stia elencando il menu della serata che tanto lei non sfiorerà.
Che è dolce e fa male al tempo stesso…
Che, nonostante tutto, non ha dimenticato quanto Hisashi Mitsui le facesse bene all’anima.





Note noiose finali (d’obbligo):
Un altro capitolo andato
Finalmente si smuovono un po’ le acque e si iniziano a gettare le basi di quelli che sono i legami tra i vari personaggi; probabilmente non è tutto molto chiaro ma i nodi verranno sbrigliati mano a mano che andiamo avanti ;)
Non ho granché da aggiungere, anche perché questa volta mi sono ripromessa di non autocriticarmi il capitolo come mio solito  e passerei a ringraziare quelle pie lettrici che hanno speso cinque minuti per me: a pinkjude, lilli84, Ice_DP e Regina_Mills89 va il mio smisurato affetto. Siete sempre carinissime e io mi sforzo per cercare qualcosa che vada oltre il banale grazie ma non ci riesco mai. Sappiate che apprezzo le vostre opinioni, sono le classiche cose belle che rallegrano la giornata un po’ di più :)
Ringrazio infinitamente anche i lettori silenzio e chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite. L’invito a farmi sapere cosa ne pensate è sempre valido ma sappiate che vi apprezzo già così, anche se restate nell’ombra

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il “Come ho potuto?” degli altri ***


capitolo 3

Quando Nanaka addenta la fetta di pancarré lasciata sul tavolo, un tonfo proveniente dal salotto la fa sussultare.
Affacciandosi, scorge la coda pelosa di quello scemo di Spock sgattaiolare lungo le scale; riverso a terra, il cadavere della ciotola con tutte le chiavi, monetine e carte dei tarocchi che sua madre si ostina a non bruciare.
Si china per pulire, le capita fra le mani la carta del mondo. Rovesciata.
Nanaka Itou si accascia a terra in preda alla disperazione.
«No, ti prego

 

 

Mo Chùisle

Capitolo 3
Il “Come ho potuto?” degli altri
 


“Edie:
Non capisco cos’è cambiato.
Claire: Non è cambiato niente. Una parte di me pensa che questo è ciò che voglio, l’altra no.
Ma… E se la parte che non vuole la pensasse così solo perché è spaventata?”

                                                        - The dare [4.07], Six feet under-

 

«Ah, ci sei tu Itou?»
Quando Nana recupera la palla dorata, la figura di Kogure entra nel suo campo visivo. Le braccia tese ricadono lungo i fianchi e dopo essersi sistemata il body, si rialza con un’ultima capriola all'indietro.
Il ragazzo applaude e lei si perde in inchini.
«Perdonami, credevo fosse qualcuno dei nostri.» si giustifica con un leggero sorriso.
Nana sventola una mano affusolata «Non preoccuparti, tanto avevo finito.» porta l’asciugamano sulle spalle e inclinando il capo gli sorride un poco.
Kogure guarda gli attrezzi posti ordinatamente ai lati della palestra «Tenterete di vincere i campionati anche quest’anno?»
Gli occhi di Nana si infiammano «Come sempre.»
Indossa gli occhiali da saldatore del laboratorio quando le fiamme lo raggiungono «Non ne avevo dubbi» batte le mani per richiamare la sua attenzione «So che la Sendoh è tornata in forma. Parteciperà anche lei quest’anno?»
Nana lo guarda con la coda dell’occhio.
Se Shibahime è in forma, lei è lo Hobbit destinato a portare l’anello.
Nana però tace e annuisce, mentre l’unico rumore che riga l’aria è quello della cerniera del borsone «Con lei dovremmo essere al sicuro. L’anno scorso abbiamo vinto per il rotto della cuffia.» ammette non senza un certo fastidio, memore del casino che il suo improvviso allontanamento aveva lasciato.
Si era ritrovata sola, con un mucchio di matricole su cui non poteva contare e la vana speranza che quella scema si sarebbe ripresentata con il suo body azzurrognolo e i capelli rossi perennemente disordinati, magari con le sue scuse fargugliate ma che sono sincere e la scaldano sempre.
Ricorda ancora i pomeriggi trascorsi a guardare la porta verde quando la coach spiegava loro come non clavettarsi o alla fine di un perfetto moulinet sotto lo scrosciare degli applausi delle altre o dei maniaci appostati sulle tribune, in attesa che tornasse indietro. Poi la ex capoclasse, Ryoko Shimura, le ha detto di essersi ritrovata una Shibahime dai capelli neri imbrattata di farina al corso di cucina; la speranza, a quel punto, è migrata verso lidi più felici.
«Quando ha abbandonato la squadra, non ci volevo credere. Il giornalino scolastico non faceva che parlarne.»
Nana ridacchia appena «Ah già, ricordo... Qual'era il motivo?»
«Che entrambe vi contendavate Sendoh-san e quando lui ha scelto te, la Sendoh ha deciso di andarsene.»
Il ghigno della ragazza si amplia, sgretolando quel macigno che le è precipitato sullo stomaco «Quante fesserie. Chi lo vuole Sendoh-san?»
«C’era anche la versione: “Il club di ginnastica ritmica si dopa, Shibahime Sendoh lo scopre e decide di togliersi dalla squadra”» Nanaka scoppia a ridere; quella se l’era persa «Sono felice che il reale motivo non sia uscito.»
«Già… Non le avrebbe giovato.»
Sospira «Almeno lei ha deciso di tornare sui suoi passi» le rivolge un tenue sorriso, Nana si ritrova a ricambiarlo avvertendo un fremito al cuore. Ha paura che le cose possano cambiare ancora, è preoccupata per lei in maniera così viscerale da sentirsi quasi impotente «Ad ogni modo, vedrai che andrà bene. So che ci sono delle matricole dotate.»
Il sorriso si addolcisce, nonostante i lineamenti duri del suo volto ovale non lascino intendere granché. La Watanabe e la Murosaki sono due delle matricole più promettenti di quest’anno, le considera le sue adorate pupille. E poi, per farla contenta, vanno addirittura a piantonare gli altri istituti, tornando indietro con una marea di appunti sulle avversarie.

A-do-ra-bi-li!
La ragazza gli lancia uno sguardo divertito, poi lo fissa con un sorrisetto «A voi invece come vanno gli allenamenti?»
Gli occhi del ragazzo brillano «Oh, alla grande! Se continuiamo di questo passo, potremmo andare ai campionati nazionali!» guarda il canestro con aria sognante «So che può non sembrare, ma Akagi sta galleggiando su di una nuvola rosa.»
Nana rabbrividisce; è un’immagine orribile quella di Akagi con indosso le vesti di un putto alato che sorvola la città a bordo della nuvola Speedy «Nuvola rosa… Piuttosto, un autocarro fatto di nuvole» Kiminobu vede afflosciarsi tutti i propri istinti poetici «Ad ogni modo, sarebbe fantastico se ce la faceste.»
«Già, già!»
«Del resto, ve lo meritate. Tranne quella matricola, Sakuragi, quello si merita solo tanti schiaffi.» sbrodola con malumore, memore del casino infernale che combina e che riesce ad arrivare fino alla loro palestra, posta dall’altra parte del corridoio. Ha una voce da trombone che copre perfino la musica di sottofondo che utilizzano per gli allenamenti e molte volte è stata costretta a sedare la sua marea di cazzate chiedendo espressamente ad Akagi di intervenire.  Quello è l’unico momento in cui seppelliscono l’ascia di guerra, unanimi nel voler far passare a miglior vita quel decerebrato. E’ lì che ha scoperto che Takenori e Ade sono amici per la pelle: come scatena lui l’Inferno, non lo fa nessuno.
Kogure si aggiusta gli occhiali «Oh, ha molto potenziale» sancisce con un leggero tic al sopracciglio destro «Deve solo migliorare--»
«L’educazione?»
«Le basi--»
«Dell’educazione?»
«Della pallacanestro. Quelle basi.»
«… E anche quelle dell’educazione.» cinguetta.
«Eh…» il ragazzo ride nervosamente «Ammetto che ci fa un po’ disperare, ma tutto sommato è un elemento valido.»
«E’ un’attaccabrighe.» esala lapidaria, sciogliendo lo chignon.
«Anche la Murosaki lo è.»
«Sì, ma almeno lei si limita alle parole. Non spacca gambe e non spezza ginocchia… E non rompe mani» Kiminobu diventa cianotico «Ha quasi rotto la mano a Sendoh, il vostro "Elemento valido".»
«Vedo che la notizia ha già fatto il giro della prefettura.» gronda sudore dalla fronte, Nana è quasi tentata di passargli il proprio asciugamano.
«No, a dir la verità è stata Shibahime a raccontarmelo. Ridendo… Quindi probabilmente non è nulla di grave.» sventola una mano. Quella ragazza è una cretina di dimensioni bibliche -giusto per restare in tema di Apocalissi e Inferi-.
«Beh, speriamo sia così. Altrimenti dobbiamo aspettarci un attacco da parte del Ryonan!» la risata del ragazzo si fa ancora più nervosa.
«Quelli del Ryonan non sono dei teppisti.» cerca di chetarlo, ma quello sembra in procinto di sgonfiarsi come un palloncino.
«Beh, loro no. Ma le fan di Sendoh sono paragonabili a quelle di Rukawa.»
«Delle invasate, insomma» Nana infila tutto nel borsone e fa ciondolare la nuca. Si chiede ancora come quei due possano restare indifferenti di fronte ai loro cori da stadio a sfondo sessuale. Meriterebbero un premio solo per la loro pazienza «E poi, anche se dovessero tendervi un agguato sono sicura che i vostri darebbero loro filo da torcere.»
«Ah, beh… Eh.»
«Sakuragi andrebbe bene nel club di Kendo.»
«Quelli del Judo lo vorrebbero.»
«Che culo che ve lo teniate voi, mh?» trilla armoniosa, facendolo afflosciare per terra.
«Oltretutto, ora che anche Miyagi è tornato… Ah, sia fatta la nostra volontà!»
«Come in cielo così in—Miyagi?!» Nana volge il viso con scatto repentino, guardandolo allucinata. Ha sentito bene? No, non può aver sentito bene. Forse la caduta di prima le ha causato uno scompenso cerebrale, deve essere per forza così!
«Già, dicono che sia uscito dall’ospedale qualche giorno fa. Non è fantastico?» gracida felice come un bambino a Disneyworld.
Se Miyagi è uscito dall’ospedale + è tornato a scuola, moltiplicato per il fattore Rissa-con-Senpai-Cazzuti, il risultato è… Una tragedia! Una tragedia da fine del mondo!
«No che non lo è!» starnazza, Kiminobu per poco non viene scaraventato dall’altra parte della palestra «Ahm, cioè… Wow!»
Il ragazzo si asciuga la fronte, poi si cheta e le rivolge un sorriso talmente dolce e felice che Nana vorrebbe fare una visitina ad Ade e prendere il the con lui e Akagi. Chissà se ha anche i dorayaki.
«Ora che Miyagi è tornato, saremo di sicuro più forti.»
Nana vede stagliarsi di fronte a sé l’ombra del mondo rovesciato che ha pescato questa mattina. Se non fosse per Kogure che farnetica riguardo un compito di inglese, probabilmente andrebbe a sbattere contro l’entrata della torre.
«Itou, tutto bene?» le sventola una mano davanti al naso arricciato «Hai l’aria di una che ha visto un fantasma.» aggiunge divertito.

No, fantasma no. Teppisti, magari. Che cadono dal mondo rovesciato.
«Mh, cosa? Hai detto Miyagi?»
«In realtà parlavo del compito di geografia.»
«Non era quello di inglese?» Kogure fa per rispondere ma Nana sventola entrambe le mani «Sì, ma parliamo di Miyagi…» si guarda attorno, circospetta «Come sarebbe a dire che è tornato?!» fatica a mantenere una certa compostezza; se lo fa, è solo grazie agli insegnamenti pseudo-russi che la coach Kitamura impartisce loro da tempi immemori.
«E’ tornato, nel senso che è tornato a scuola» la guarda come se fosse una schizoide «Anche se nessuno l’ha visto, a dir la verità.»
«Ah… Ma allora magari è solo uno scherzo.»
«Beh, come si dice? Quando sono più campane a suonare…» le sorride ed eccolo lì che si perde in farfugliamenti su come quest’anno potranno finalmente sperare di vincere ai campionati nazionali e amenità varie.

Campane, certo… Di fine di mondo!
«Beh, ma… Qualcosa non va?» domanda preoccupato. Forse sono le sue guance bordeaux o magari il sudore grondante dalla fronte o ancora il colorito cadaverico ad impensierirlo. No perché Nanaka è ormai lontana dall’essere l’astro luminoso della squadra di ginnastica; no, sembra più uscita da Resident Evil. Nel ruolo dello zombie. E nemmeno quello grande, forte, cazzuto, che ti ostruisce il passaggio e ti costringe a combattere su di un treno in movimento. 
No. Lei somiglia di più a quello per strada che viene ucciso da un proiettile vagante.
«Ahm, no, niente. Devo solo farmi una doccia.» sbrodola a casaccio, vedendolo annuire.
«Oh, allora ti lascio. Ci vediamo oggi in palestra.»
«Sì, certo, aha…» i suoi passi rimbombano talmente tanto che coprono i battiti martellanti del suo cuore. Ode la porta aprirsi e prima che il ragazzo possa sparirvi dietro, si ritrova a guardarlo con timore «Kogure-kun. Ma… E Mitsui?» glielo domanda con curiosità, deglutendo quel mucchio di domande e paturnie che vorrebbe rifilargli a mo’ di sfogo.
Le spalle del ragazzo si incurvano, sembra quasi che il peso del passato sia troppo gravoso per le sue spalle larghe.
«A quanto pare è uscito anche lui.»
«Mh.»
«So che quest’anno è in classe con te.»
«Mh. Mhmh.»
«Stai tranquilla, la Sendoh non si farà influenzare.»
«Ngh.»
«Andiamo, cosa può succedere?» La fine del mondo? «Coraggio Itou, il peggio è passato. Ora ci aspettano i campionati nazionali!» e il ragazzo viene spazzato via dall’onda d’urto che il mondo rovesciato, ormai ridotto ad un cumulo di macerie, ha lasciato dietro sé.

La ragazza cade pesantemente sulla trave, le gambe molli e la testa pesante. 
Raccoglie il cellulare dalla borsa e compone il numero senza pensarci, trattenendo il fiato per tutta la durata dell’attesa, fino a che una voce impastata dal sonno non dà il via alla conversazione e lei si sente un po’ più in pace. 
«Sei ancora a letto?.»
«Shiba non mi ha svegliato.»
«Sarà in ritardo anche lei…» uno smadonnamento di sottofondo fa ridere il ragazzo «Ecco, appunto.»
«Avevi bisogno di lei?»

Non di lei. Di te.
Si massaggia la fronte «Volevo andare da Ade ma oggi è in riunione con le Parche…»
«E’ in riunione?»
«A quanto pare.»
«Ah… Mh. Le Parche?»
Si inumidisce le labbra sottili «Posso passare stasera?» la sua voce cala di qualche tono, stringe il borsone contro il petto mentre il pavimento sotto di lei si sgretola.
«Hai perso qualche gara?»
«Mh? No, no… Allora?»
C’è un silenzio che la inquieta e al tempo stesso la fa sentire tranquilla. I suoi silenzi le fanno sempre quest’effetto.
Sa che Akira è sempre stanco dopo gli allenamenti ma punta sulla sua bontà e sul fatto che, forse, anche lui ha bisogno di sfogarsi in qualche altra maniera, qualcosa che non implichi una palla da basket o i videogiochi o delle partite registrate.
Ode un sospiro, il fruscio delle coperte e il suo «Sì, tra poco sono pronto» in risposta agli schiamazzi di Shibahime che fanno da contorno ai battiti pulsanti del suo cuore.
E poi c’è il suo sorriso, vuole immaginarselo così.
«Finisco alle 18.30. Ti lascio la finestra aperta.»

 
Alle 18.30 il chiacchiericcio dei corridoi si affievolisce.
Le matricole sono già scappate a casa, ciarlavano di una soap-opera che stanno trasmettendo in questo periodo.
Shiba pensa che le piacerebbe da morire tornare a casa e guardarsela, giusto per vedere cosa si sta perdendo nel mondo. Si ricorda però che deve cucinare, stendere i panni e stirare il mucchio di camice e magliette che Akira continua a reclamarle da una settimana.
Ci saranno poi le bisticciate perché lui dovrà lavare i piatti e invece lo troverà lì, spaparanzato sul divano a guardarsi l’ennesima partita dell’NBA registrata; ci saranno i messaggi fugaci di mamma in segreteria e quel classico senso di vuoto che sono capaci di lasciarle quando la voce metallica annuncia «Fine dei messaggi».
La musica risuona alta, può avvertire i piedi nudi vibrare ad ogni contatto con il parquet lucido.
Shiba si sostiene con la gamba destra e solleva l’altra, eseguendo un lento promenade.
Il nastro rosso compie onde infuocate intorno al suo corpo e lo osserva centellinando i secondi, all’ottavo compie una ruota sul piede di sostegno e lo lancia in aria, per poi fare una doppia capriola a terra atterrando dove c’è la X rossa immaginaria, così da poterlo recuperare e concludere la prima sequenza.
E’ seduta a terra, il nastro infilato fra le gambe e la bacchetta rigida stretta alle dita dei piedi. Le braccia che si muovono in lente onde davanti al suo viso rigano l’aria a passo di violino, le dita sembrano strimpellare corde di arpa tanto si muovono delicate. Le porta dietro la testa e con uno slancio si rialza all’indietro, lanciando il nastro che però cadrà poco più indietro di lei.
«Ah, maledizione!» sbotta caustica, andandolo a recuperare a passo di marcia.
«Se ti comporti così anche in gara, ti cacceranno per scarsa eleganza.» la voce di Nana è divertita, ben si accosta all’oboe che ora sta suonando.
Shiba storce il naso e abbassa il volume «Quel pezzo non vuole uscire.»
«Lo lanci quando il piede è già sopra la testa. Dovresti anticipare di qualche secondo.» è la sua pratica spiegazione, pronunciata come se l’errore scorto sia sicuramente il vero problema.
Shiba è tentata di chiederle se vuole farle vedere dove sta sbagliando ma nota che indossa già la divisa scolastica, i capelli le ricadono sciolti e umidi fino alla vita. 
È strano che il capitano vada via prima di tutti gli altri…
«Vai di già?»
«Ho delle cose da fare.»
«Ah, ok…»
«Di là è rimasta Ayako con Miyagi. Gliele dai tu le chiavi?»
«Certo.»
Nana giocherella con le chiavi della palestra eppure non accenna ad andarsene. Tamburella un piede per terra, lo fa sempre quando deve affrontare un discorso scomodo. Quante volte glielo ha visto fare quando la implorava di ritornare al club? Ormai ne ha perso il conto, così come ha perso il conto degli adorabili «Sei una delusione.» che sua madre le rifilava una volta rincasata imbrattata di farina e cioccolata.
«Non vuoi parlarne?»
Ed ecco che la domanda piomba fra di loro. Se l’aspettava ma non pensava che Nana ci mettesse così tanto ad affrontare l’argomento.
«Di cosa?»
«Oh, sai benissimo a cosa mi riferisco.»
«Vuoi parlare di Miyagi?»
«Non di lui. Di quell’altro
«Di quell’altro chi, Sakuragi?» Nana arcua un sopracciglio «Ho sentito che si sono presi a pugni. Sono proprio due attaccabrighe--»
«Non di Sakuragi, dell’altro. Di quello coi capelli lunghi e l’ego grande quanto l’universo. Oh sì, e che è fermamente convinto che gli Unni abbiano invaso la Polonia nel 1939.» spiccia, Nana la guarda con irritazione, probabilmente infastidita dalla piega sciocca che ha preso il loro discorso.
Shiba giocherella con la bacchetta del nastro, se la fa rigirare fra le dita e mastica bene le parole da dire. Si chiede se Nana non pronunci il suo nome per paura di vederla esplodere o di vedersi esplodere.
Alla fine, è stato lui a mandare tutto a rotoli.
Solleva però lo sguardo e la preoccupazione che coglie nei suoi occhi blu fa quasi male, tanto da tarparle il respiro nei polmoni.
Ridacchia appena «Beh, non si è ancora fatto vivo.»
«Oggi c’era.»
«Non è venuto in classe.»
«Qualcuno l’ha visto. Quando Sakuragi ha fatto spettacolo, ecco, a quanto pare c’era anche lui.»
Shiba si morde l’interno delle guance «Sì, beh… Sapevamo che sarebbe tornato, no?» fa roteare il nastro in un susseguirsi di onde.
Nana le osserva «Mh, quindi?»
«Quindi che?»
«Quindi che hai intenzione di fare?»
Shiba lancia il filo in aria e lo recupera per la bacchetta «Nulla, perché?»
Nana la fissa con un sopracciglio arcuato, la testa inclinata, le mani sui fianchi e lo sguardo scettico «Nulla nel senso di nulla o nulla nel senso di nulla ma non mi presenterò mai più agli allenamenti?» le spara quella mitragliata di parole con palpabile nervosismo, le sillabe sono talmente acuminate che rischiano di tagliarla in minuscoli pezzettini.
Shiba prende il nastro fra due mani, lo tira con forza e lo attorciglia intorno alle nocche ora bianche. Non vuole addentrarsi in quel discorso, vuole solo finire di allenarsi e tornare a casa, sfiancarsi e dimenticarsi di ogni problema «Nana, non ho intenzione di mollare. Ci sono i campionati, no?» le sorride, cercando di tranquillizzarla.
Nana sospira «Non è solo per quello.»
«Non devi preoccuparti, dico sul serio. Ormai non mi fa più alcun effetto! Figurati se mi importa qualcosa!» le sorride rassicurante ma l’amica arcua un sopracciglio.
Vorrebbe dirle che invece ci sono ancora le fitte al cuore, allo stomaco, ma teme che tutto possa degenerare in una furiosa litigata. L’ultima volta che è successo, Shiba ha detto addio al club di ginnastica, trascinandosi in un vortice di apatia che ancora la spaventa.
Nana non insiste, si limita a sbuffare uno stanco «Se lo dici tu… Tio lascio qui le chiavi, eh.» prima di lasciarla sola proprio quando c’è la morte del cigno.
Shiba spegne la musica.
Le è passata la voglia di allenarsi.

Sono quasi le 20:00 quando rincasa, accolta da un buon odore di pollo, uova e cipolle che la trascina fino in cucina.
Trova Akira ai fornelli, la tele sintonizzata su una soap-opera. Ha un asciugamano sulle spalle, i capelli umidi gli ricadono scomposti.
«Se non ti asciughi rischi di ammalarti.» gracida gettando la cartella e la borsa in soggiorno.
«Oh, ciao… Ti ho preparato l’Oyakodon
«Non ho molta fame» Akira le lancia un’occhiataccia e lei sospira «Facciamo una ciotola piccola piccola?»
«Così va meglio.» le sorride allegro e Shiba si sente trasportare su di una stella, lontana da Kanagawa, dalle sue vie silenziose e dalla costante sensazione di non poter trovare pace. I rimproveri via telefono di sua madre, il suo costante ribadirle quanto debba impegnarsi nello studio e negli allenamenti senza però dirle mai quanto sia orgogliosa di lei e dei suoi, a volte scadenti lo ammette, risultati. Le urla di Koshino quando si piazza in casa loro a guardare la partita dell’NBA in salotto, con Akira che se la ride ai suoi «Donna, vacci a prendere un panino!». Gli ordini di Nanaka e il suo infondato timore di vederla sparire come l’ultima volta solo perché un demente dall’ego smisurato ha pensato bene di mandare tutto a rotoli, sparire, per poi ritornare, trascinando dietro sé un fiume di ricordi che non riesce ad arginare.
Possibile che nessuno si fidi di lei?
«Beh? Che fai lì impilata?» Shiba si ridesta e si accuccia al proprio posto. Akira le schiocca una bacio sulla fronte quando le lascia la ciotola davanti al naso, viene travolta da un buon profumo di loto. Vorrebbe chiedergli se ha cambiato bagnoschiuma ma non ne ha il tempo «Com’è andata a scuola?»
«Bene. Solite cose.»
«Solite cose…» le bacchette rimestano nella ciotola, raccolgono il pollo e lo fanno ricadere fra i chicchi bianchi. Sembra in procinto di dirle qualcosa ma poi le sue labbra si appianano nel suo bel sorriso e Shiba crede di essersi sognata tutto.
«A te tutto bene?»
«Oh, sì. Oggi la mia squadra ha vinto contro i senpai» lo dice con ovvietà e Shiba non può non sorridere di prevedibilità «E poi una ragazza mi ha lasciato una lettera d’amore nei pantaloni della divisa.»
Shiba sputa il riso «Cosa?!» si pulisce col tovagliolo «Ma… E chi è stato?! Su racconta, non startene lì zitto!»
«Non lo so. Non l’ho letta.»
«Beh, e che aspetti?! Andiamo a prenderla e--»
«Ahm… Ho messo i pantaloni in lavatrice. La lettera era nella tasca…»
La testa di Shiba cade con un secco tonf sul tavolo, facendo rovesciare i barattolini di sale e pepe. Non sa se essere stupita per l’idiozia abissale di suo fratello, per la risata svagata che segue le sue maledizioni o per il fatto che qualcuna possa lasciare delle lettere d’amore a quel babbeo.
Lo osserva mentre ride svagatamente, si scompiglia i capelli corvini o giocherella con i lacci della felpa dei Chicago Bulls, raccontandole dell’ultima disavventura di quel simpaticone di Koshino.
Akira è di una bellezza inaudita, di quelle che fanno girare la testa e riducono le gambe in gelatina.
È normale che le ragazze della sua scuola lo adorino quasi fosse un Dio, pur non conoscendolo di persona. Ha un carisma senza pari, sa trascinare la squadra anche quando la partita sembra farli sprofondare in un abisso senza via d’uscita ed è alla mano, peculiarità che non tutti i ragazzi possiedono. Quando era piccola, le mancava il fiato al pensiero che l’avrebbe abbandonata per qualcuna che non era lei. 
Ora è la paura di restare sola e indietro a tarparle il respiro.
«Sei tremendo. Che ne sarà di quella poveretta?»
Suo fratello alza il naso dalla ciotola e la guarda con un pizzico di tedio «Tanto sono tutte uguali. Mi cercano perché sono l’asso della squadra e non appena scoprono che mi piace dormire, non so fare la lavatrice e la vita di coppia non è la mia priorità, si chiederanno Come ho potuto?... Capisci che intendo?»
Shiba deglutisce, si concentra sul mangiare pur di non dargli risposta.
Vorrebbe confessargli che quel rammarico lo legge spesso negli occhi dei suoi genitori e talvolta neppure i loro sorrisi che danno calore servono a mascherarlo.
Gli mormora un blando «Può essere…» e rimesta nella ciotola, scartando le cipolle.
Akira borbotta uno sfiancato «Sono stanco di essere il Come ho potuto? degli altri.» e torna a mangiare.

 
La cena si consuma nel silenzio.
È Shiba a spezzarlo, mentre sposta la ciotola mezza vuota.
«Puoi alzare il volume?»
Akira guarda la tele, poi si volta a fissarla con un sopracciglio arcuato «Ti piace questa robaccia?» indica la telenovela appena cominciata.
Shiba alza le spalle.
«No. Ma dicono che sia bella.»

 

 
Akira capisce che qualcosa non va quando sua sorella entra in camera, nel cuore della notte, e si impala al centro della stanza torturandosi le dita.
Non ha bisogno di parole o spiegazioni per capire che un altro incubo l’ha tormentata. Ma quando il suo «Acchan?» si fa più incrinato e basso, capisce che non si tratta di sogni, bensì scomode realtà.
La guarda con un occhio chiuso, mentre quello aperto valuta la situazione: Shibahime è tremula come una foglia, perfino le dita dei piedi si arricciano dal nervoso. 
Non le succedeva da quando aveva dieci anni.
Il sospiro pesante è il segnale a procedere ma è solo allo scostarsi delle coperte che la ragazzina gli zampetta incontro, accucciandosi fra le fini lenzuola di lino. Akira le scompiglia i capelli, sono umidi come la sua fronte calda.
«Domani resti a casa.» obbliga perentorio.
La sua testolina è l’unica cosa che sbuca in quel groviglio di coperte «Non posso. Allenamenti.»
«Per una volta puoi saltarli.» rimbrotta serio, vedendola farsi piccola piccola.
«Nana-chan si arrabbia.» sembra sull’orlo del pianto o della disperazione e neppure il suo lento accarezzarle i capelli sembra mitigare la sua angoscia.
«Se hai la febbre, non se la prenderà.»
«Non ho la febbre.»
«E allora che hai?» soffoca uno sbadiglio, dai suoi capelli legati alla bene e meglio giunge una dolce fragranza di loto. Gli ricorda il profumo di Nanaka, quello che invade camera sua quando entra ed esce dalla finestra, lo stesso che gli lascia addosso per un casino di tempo, anche quando le loro pelli sono madide di sudore e dovrebbero sapere solo di sesso.
Shiba si rannicchia, dandogli le spalle «Sono solo stanca.» è quello che mormora con voce fievole, sprofondando in un sonno che neppure le sue dita che girovagano fra i fili scuri riusciranno a spezzare.
Gli torna alla mente la Shibahime della sua infanzia, quella che aveva paura del buio e si rintanava fra le sue coperte. Ricorda l’imbarazzo nel ritrovarsi stretto contro il suo esile corpicino, divenuto poi disagio quando gli ormoni lo hanno fatto entrare nell’adolescenza.
Lo faceva quando aveva paura, quando era tormentata, quando succedeva qualcosa che non sapeva spiegarsi o affrontare.
Poi ha smesso. Di colpo, senza preavviso.
Semplicemente era felice e priva di pensieri.
Si è innamorata di qualcuno, lo avrebbe capito solo poi.
«Domani resti a casa.» mormora prima di precipitare in un sonno tormentato.
Sa che Nanaka capirà.
E crede di capire perché lo ha cercato, quella mattina, senza che avesse perso una gara.


 
La bottiglia si infrange contro il muro, producendo un sinistro tintinnio.
Tetsuo si affaccia dal bagno «Che cazzo combini?»
«Rivernicio il muro.»
Il ragazzo lo guarda con un sopracciglio arcuato, lo sguardo scorre sui i cocci sparpagliati per terra e sul liquido ambrato che cola sulla carta da parati scrostata.
«Finiscila di demolirmi la casa.» sbotta caustico.
«L’hai detto tu che la tappezzeria fa cagare.»
Tetsuo smadonna talmente forte che il soffitto traballa, facendo dondolare il lampadario con due lampadine fulminate.
Mitsui si perde nel lento colare della birra, come ipnotizzato. Ha la stessa consistenza del sangue che scorre sui suoi avversari dopo ogni rissa, ha il potere di lasciarlo affascinato per motivi che neppure lui riesce a spiegarsi.
Si chiede se oltre al ginocchio non gli si sia spappolato pure il cervello.
A volte pensa che sia stato sempre così, che il ginocchio frantumato sia stato solo l’input affinché la sua pazzia emergesse.

Ce'è però che si sente sbagliato, sì è così che si sente dopo una lotta in un vicolo o un inseguimento scampato dalla polizia. Eppure non riesce a smettere di cacciarsi nei guai, ci si lascia trascinare incurante delle conseguenze.
È l’unica cosa che gli dà un qualsiasi tipo di brivido.
La cassetta del kit medico si infrange ai suoi piedi, Tetsuo si stravacca sul divano con noia «Che cazzo ti è successo, si può sapere?» Mitsui lo guarda con un sopracciglio arcuato «Beh? Vuoi che ti medichi? Non sono mica tua madre.»
La raccoglie non senza fatica, avvertendo lo stomaco contorcersi dal dolore «Me la cavo da solo…»
«Quindi, che è successo?» Mitsui ravana fra le garze e i cerotti, spazientendolo «Oi, devo picchiarti per avere una risposta?»
«Ho rivisto Miyagi» esala secco «E con lui c’era uno strano tipo.»
«Uno strano tipo?»
«Ma che ne so, uno coi capelli rossi. Mai visti capelli così assurdi.»
«Non dirmi palle…» Tetsuo si accende una sigaretta, il suo sorriso brilla nel bagliore della fiamma prodotta dall’accendino «Non avevi mica una ex coi capelli rossi?»
Mitsui si blocca.
«Ma sì, quella stronza che ti ha lasciato.»
Le mani gli prudono.
«Come si chiamava? Shise? Shyori?»
«Shibahime.»
Lo pronuncia lapidario, tornando a ravanare nel kit. Tetsuo è l’unico a conoscenza di quell’episodio che ha seppellito in un cassetto della mente. Ogni tanto risalta fuori, fa un male atroce.
«Ah… Già. Chissà che fine ha fatto.»
«Ma chi se ne fotte! Ma dove cazzo è il cotone?! Non c’è una sega qui dentro!» lo scaraventa a terra, ricevendo un medio alzato in risposta.
«Smettila di fare la prima donna e calmati. Cristo, sei peggio di mia madre!» sbuffa del fumo «Si può sapere che ti hanno fatto?»
«Non lo vedi?» si indica il volto cosparso di lividi.
«Sei stato tu a cominciare?»
«Non ho fatto un cazzo! Si sono messi a litigare tra loro, mi hanno ignorato completamente!»
Tetsuo per poco non si strozza con il fumo «Il motivo della rissa?»
«Donne.»
«Ah, le risse per una pollastra. Bei vecchi tempi.»
«Immagino che ai vostri tempi usavate clave e bastoni.» vorrebbe rifilargli quella battutina con la solita ironia che tanto fa incazzare l’amico, ma le parole gli escono in un vortice di cattiveria e collera che fa drizzare seduto Tetsuo.
«Oi, conosco quello sguardo.» borbotta serio, grattandosi la barba incolta.
«Quale?»
«Quello che hai adesso. Lo stesso che hai quando vuoi menare le mani» spiega pratico, la cenere finisce sul tappeto «Ehi, se vuoi posso darti una mano.» seguita indifferente, facendo scricchiolare le dita.
Mitsui non si lascia trascinare, è troppo concentrato a cercare il disinfettante «E cosa vorresti fare? Andare a scuola e aiutarmi a fargliela pagare?»
Il sorriso di Tetsuo si amplia.
Mitsui sente i brividi scorrere lungo la schiena.
«Esattamente.»

 

 
Shibahime non si presenta a lezione né mercoledì né giovedì. E non si presenta neppure agli allenamenti.
Ha la febbre, ufficialmente. C’è ricascata, ufficiosamente.
Nanaka attraversa il corridoio con lentezza, le matricole le zampettano intorno sommergendola di domande su come poter migliorare le verticali, le capriole, su come non mancare la presa del cerchio.
Ma lei non le ascolta e neppure le vede.
L’unica cosa che vede è la spensieratezza di Kogure quando passa vicino alla palestra del club di basket e il suo sorriso complice quando i loro sguardi si incrociano, prima che quello del ragazzo si posi su Ryota Miyagi che ha appena fatto passare la sua squadra in vantaggio.
Le pare le stia dicendo, con i suoi occhi scuri:
«Hai visto? Cosa può mai succedere?»
E lei non lo sa.
Sa solo che vorrebbe vedere Akira, quella sera. Ma lui ha il telefono staccato e quando squilla non risponde.
E’ chiaro che ha scelto Shibahime.

 



Dorayaki: dolce tipico giapponese composto da due pancake simili al pan di spagna. Al centro è riempito con l'anko, una salsa dolce rossatra ricavata da fagioli azuki. 
Moulinet:
uno dei gruppi tecnici fondamentale nella ginnastica ritmica, consiste nel compiere quattro piccoli circoli con le clavette.
Promenade: nel balletto indica un giro lento eseguito su un piede solo.

Note noiose finali (d’obbligo):

Perdonate il leggero ritardo ma tra feste, lavoro e stanchezza, il weekend scorso ho deciso di prendermi un po’ di tempo per me e l’aggiornamento è saltato.
Piano piano le cose cominciano a delinearsi anche se non sono proprio del tutto chiare; ammetto che tutto questo è dettato da un mio gusto personale e da un lato sono felice che alcuni punti non siano poi così scorgibili :3 Ma tranquille, le cose si aggiusteranno e spero vivamente di non lasciarmi dietro grossi buchi neri.

Ringrazio vivamente quelle anime pie che mi hanno lasciato un commentino: ReginaMills89, pinkjude e Ice_DP sappiate che il mio affetto per voi è smisurato

Ringrazio anche i lettori silenziosi e chi ha aggiunto le storie fra le seguite/ricordate/preferite :)

Io come al solito invito chiunque abbia tempo e voglia a lasciare un commentino, mi rendereste felice

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes.



Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sailors fighting in the dance hall ***


capitolo 4

Le 16.00 sono passate da una manciata di minuti, c’è un fuggi fuggi generale e una valanga di saluti che colorano i corridoi del terzo piano.
Nanaka infila i libri in borsa con meccanicità, lo sguardo puntato verso il banco di Shibahime.
È vuoto da due giorni, sente la sua mancanza fin sotto pelle.
Le manca il suo sbuffare concitato quando matematica diventa troppo difficile, i suoi confusi «Eh?!» quando i numeri devono essere moltiplicati alle lettere e i suoi snervati «Lo sapevo che la risposta era la A!» quando i compiti vengono riconsegnati e una sufficienza stiracchiata fa pandan sul foglio pieno di correzioni.

Ha la febbre. Non viene neanche oggi, è tutto ciò che le ha detto Akira via messaggio, facendole salire un magone che le si è incastrato in gola, tarpandole il respiro.
Si chiede perché i Sendoh abbiano così tanta influenza su di lei e sul suo umore.
Prende il borsone ma la via per la libertà è ostruita…
«Oh, Itou… Cercavo proprio te!»


Mo Chùisle 

Capitolo 4
(Sailors fighting in the dance hall)


Nathaniel Sr.: Resti legato al tuo dolore come se ne valesse la pena. Beh, lasciami dire che non vale un cazzo. Liberatene.
David: Bene, e quindi che dovrei fare?
Nathaniel Sr.: Tu che dici? Puoi fare quello che vuoi, fortunato bastardo, sei vivo! Che vuoi che sia un po’ di dolore in confronto a questo?
David: Non può essere così semplice.
Nathaniel Sr.… E se lo fosse?

                                                  - Untitled [4.12], Six feet under-

                                                       

 

*Biiip*
Il caffè smette di uscire dalla macchinetta, la ragazza con gli occhiali a mezzaluna si piega per recuperare il bicchierino.
«Sicura di non volere nulla?» domanda cordiale, rivolgendole un sorriso appuntito come aculei di un riccio.
Nanaka scuote la nuca «Mi cercavi per un caffè, En?»
«Certo che no. Devo parlarti.» sorseggia il caffè zuccherato con lentezza, quasi volesse tenerla sulle spine.
Vorrebbe prenderle, queste spine, e ficcargliele in gola, negli occhi, dappertutto purché il suo ego smisurato si sgonfi.
Nanaka conosce Tomoko En sin dai tempi dell’asilo, quando ancora i suoi genitori andavano d’amore e d’accordo e lei neppure sapeva cosa volesse dire la parola tradimento. Erano bei momenti, spensierati e colorati da abbracci e sorrisi che, con l’andare del tempo, sono venuti meno.
Non le mancano, ad essere sinceri.
Ma le chiacchierate a cena, quelle sì. Ormai casa sua è vuota e silenziosa, se non fosse per Spock che va a sbattere contro qualcosa e butta giù le paccottiglie che suo padre porta da ogni viaggio all’estero che fa. Come se regalarle un posacenere spagnolo o un vaso d’ambra cinese possa rendere meno lacerante la sua non presenza.
Di Tomoko serba un ricordo dolce-amaro, di quelli che le fanno sciogliere il cuore in un mix di zucchero a velo e veleno. Sua madre le ha raccontato che erano inseparabili, le maestre non riuscivano a dividerle e quello che faceva una faceva anche l’altra, ma lei quei momenti li ha rimossi; facevano un male cane.
Ricorda solo che quando i suoi hanno iniziato a litigare, la En si è eclissata in una nuvola di profumo di marca e civetterie fra amiche che nemmeno le ha mai presentato, accusandola di trascorrere troppo tempo fra palle, clavette e cerchi anziché aiutarla a capire se il pesca si abbinasse bene al color acquamarina.
Sono cambiate, non sa dirsi se in peggio o in meglio.
«Di cosa?» chiede tediata, lanciando un’occhiata all’orologio «Diamoci una mossa, ho gli allenamenti. Sono in ritardo.»
«Ah, già… La ginnastica. Trascorri ancora tutto il tuo tempo in palestra?» glielo chiede con voce monocorde, come se quel discorso la stesse annoiando prima ancora di essere cominciato «Non capisco come facciate a reggere certi ritmi.»
«Quando una cosa ti piace…»
«O quando ci si avvale di qualche aiuto…» l’angolo delle sue labbra si solleva, Nana stringe le mani intorno al borsone pur di non prenderla a schiaffi.
«Ci hai già provato l’anno scorso e non ti è andata bene» le sfugge una risatina leggera «La coach Kitamura che ci passa anfetamine e steroidi, assurdo!»
«La gente vi vedeva assumere pillole strane, io ho solamente riportato fedelmente i fatti al preside.» rimbrotta indispettita, gettando il bicchiere nel cestino.
«Rischiando di farci chiudere.»
«Sì, ma le cose sono andate bene, no?» cinguetta. Certo, come no. Hanno dovuto chiudere il club per parecchi mesi, rinunciando a partecipare ai campionati invernali e la loro sensei ha dovuto starsene lontana dalla scuola fino a che le indagini non si sono concluse. Ci crede che si sfumazza una stecca intera di sigarette al giorno «Che poi, ma che roba erano quelle pillole là?»
«Si chiamano vitamine. Ma immagino che a una che pratica shopping compulsivo come sport, queste cose non servano.»
«E allora perché la Sendoh trascorre la maggior parte del tempo in infermeria?» la sua insinuazione serpeggia con cattiveria, sibila talmente tanto da farle fischiare le orecchie.
Shiba si sfinisce fino a star male.
Lo ha sempre fatto da che ne ricorda e una volta raggiunto il limite, sviene come una pera cotta. Glielo dice sempre di non strafare, di riposarsi, ma quella è troppo testarda per darle retta.
O forse lo fa apposta a rovinarsi.
«Perché non sa quando è il momento di fermarsi» si scolla dal muro, fa tamburellare un piede a terra «Senti, si può sapere cosa vuoi?» spazientita, la guarda ormai al limite della propria già scarsa pazienza.
La En si sistema la gonna a pieghe sollevata leggermente dalla brezza che spira quel giorno; è fresca, sembra presagire guai e nuvole all’orizzonte nonostante il sole brilli alto.
«Sai perché la Sendoh non si è presentata a scuola?» va dritta al punto, cogliendola di sorpresa. Il suo sguardo è serio, sembra studiare ogni espressione che muta sul suo viso pur di carpire la risposta.
«E dovrei dirtelo perché…?»
«Perché manca da due giorni, devo riportare tutto nel verbale della giornata» si guarda le unghie «Allora?»
Nana deglutisce, cercando di mantenere il sangue freddo «Ha la febbre.»
«… E basta?»
«Che altro dovrebbe esserci?»
«Mah, non lo so… Magari ha solo voglia di starsene con suo fratello.» ride frivolmente, facendole nascere un bruciore che si propaga dallo stomaco fino al cervello.
Quando hanno scoperto che Shiba e Akira non sono consanguinei, subito le malelingue si sono insinuate in ogni angolo della scuola, facendo nascere storie al limite dell’assurdo. La En ci aveva sguazzato in questo mucchio di cazzate, alimentando il fiume in piena che continuava a travolgere l’amica senza possibilità di uscita.
Shiba aveva retto qualche mese, poi aveva dato forfait.
Si presentava qualche giorno e poi spariva, dicendo di essere malata. Erano andati addirittura ad intervistare quel poveretto di Akira che, alle insinuazioni generali, aveva riso come un cretino dichiarando «Ma io sto con lui!» raccattando un povero Koshino che passava di là.
Ancora ricorda il volto tumefatto da tutte le sberle che si è preso dal nano malefico, con Madoka che cotinuava  rimproverarlo per il suo ridere assolutamente fuori luogo mentre cercava di medicarlo. 
Però il giorno dopo Shiba è ritornata e non ha perso più neanche un giorno.
«O magari ha solo la febbre.»
«O magari ha paura di affrontare il passato…» si spilucca la giacca della divisa «So che il suo ex è tornato a scuola.»
Nana è attraversata da un brivido che le fa prudere le mani.
Se questa deficiente mette alla berlina la sgangherata storia che Shibahime ha avuto con quel demente di Mitsui, rischia di perdere l’amica proprio come è accaduto anni addietro.
Shiba vive in un perenne stato di disequilibrio, invischiata in un passato così sporco da renderla distante, diffidente, incapace di saper gestire problemi che altri reputano sciocchi.
Le banali liti coi genitori, le scaramucce tra fidanzati, gli allenamenti che non vanno… Tutto le sembra insormontabile.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
Tomoko En ghigna, estraendo dalla cartella un taccuino nero che sfoglia con esasperante lentezza, Nana arcua un sopracciglio «Parlo di Hisashi Mitsui, immagino tu lo conosca.»
Nana alza le spalle «Di vista.»
«Vuoi farmi credere che la Sendoh non te l’ha mai presentato?»
«Perché mai avrebbe dovuto?»
«Perché siete amiche. E perché era il suo ex
«Ah davvero?»
La En sbuffa contrariata «Non prendermi per il culo, Itou. Io so tutto» esala animata, sventolando il blocchetto per gli appunti «Hisashi Mitsui, classe III sezione 3, alto 1,84cm, peso 70 Kg. Ho anche le misure de--»
«No per carità non mi interessa!»
«Ehi, perché sei tutta rossa?» domanda la capoclasse corrugando la fronte «Non vuoi sapere quanto misura di piedi?»
Nana sospira di sollievo «No. Sono podofobica
L’altra la scruta per qualche secondo, poi riprende la lettura del suo Vangelo «Ha frequentato le medie Takeishi, è stato un ex Mvp e—Oh, ma guarda un po’!, è stato legato a Shibahime Sendoh per ben tre anni!»
«E con questo?»
«Quindi ammetti che tra loro c’è stato qualcosa.» è famelica di gossip, può leggerlo nella piega che hanno assunto i suoi connotati. Del resto, dovrà pure rimpolpare il giornalino scolastico in questi tempi di magra.
«No. Ma se anche fosse?»
La ragazza si dondola sui piedi «Oh, nulla di che. Solo che sarebbe divertente vedere cosa accadrebbe se una tale notizia saltasse fuori, tu non trovi?»
Nana lascia scivolare le mani lungo i fianchi, ormai è esasperata.
«La grande Shibahime Sendoh, beniamina del club di ginnastica ritmica, è stata fidanzata con l’ex Mvp Hisashi Mitsui, famoso ormai per aver mandato all’ospedale Ryota Miyagi…» Tomoko sghignazza «Il suo fanclub si incazzerà non poco.»
Nana sbuffa. Fa un passo verso la capoclasse che, nonostante tutto, continua a sorriderle con zuccherosità nauseante.
«Guai a te se--»
Le sue parole si perdono in uno strombazzare concitato di clacson. Si guardano per qualche istante, Tomoko è la prima a spezzare il silenzio.
«Ma che succede?»
La En zampetta fino agli scalini, fissa la scena con curiosità.
Nanaka le si affianca.
Sono le 16.20 di venerdì pomeriggio quando la terra comincia a tremare e la gente scappa in preda al terrore.
Alcuni annunciano che sia il chiaro segnale che la terra si sta ribellando alla malignità umana, altri dichiarano di aver visto i quattro Cavalieri dell’Apocalisse sfondare i cancelli della scuola in sella a cavalli neri con occhi rossi e criniera fulva.
«A me quelli non sembrano dei cavalli.» è il sincero commento di Tomoko.
«Fai perspicacia di secondo nome?»
«Fai poco la spiritosa, Itou» sbotta lapidaria «Ma chi sono quelli?» indica il gruppo di motociclisti, che hanno appena preso di mira uno degli amici di Sakuragi.
«Saranno amici di Mr Baffo
«Chuichirou Noma, 16 anni, scuole medie frequentate--»
«La smetti con quella roba? Cavolo, sembri una stalker!» rotea gli occhi «Non sono di qua…» mormora socchiudendo gli occhi per poterli vedere meglio; quando i puntini restano puntini, si dilegua «Beh, ma chi se ne importa. Sono in ritardo. Au revoir!» trilla con un sorrisetto, bloccandosi quando la risatina di Tomoko riga l’aria.
«Oh, sì che sono di qua…»
«Eh?»
«Beh, uno di loro sicuramente…» il suo lampeggia, un sorriso diabolico le si staglia sul volto «Guarda un po’! Parli del Diavolo…»
Nanaka vorrebbe dirle che Satana in persona è lei, con quei suoi odiosi capelli scuri a caschetto perfettamente tagliati e l’aria da santarellina dalle buone maniere che nasconde una vipera velenosa.
Nana però tace, ne conta tre di Cavalieri «Allora, abbiamo: Pestilenza, Carestia, Guerra--»

 

«Testuo, così attirerai l’attenzione…»
«Questo idiota non vuole dirmi dov’è la palestra.»
«Non doveva essere una scorreria in incognito?» borbotta uno.
«No, abbiamo lasciato i sacchetti a casa.» spiega l’altro.
«Piantatela di sparare cazzate! Muovetevi!» il capo si porta indietro i capelli
«La palestra è per di qua!»

 

E Morte—Oh, cazzo!
«E il vincitore per l’entrata in scena più folgorante è… Vuoi annunciarlo tu, Itou?» la En le pianta una matita davanti alle labbra serrate.
«Ma quello è--»
«Hisashi Mitsui? Già!» la supera, le braccia dietro la schiena e l’espressione divertita «E' un peccato che Shibahime Sendoh abbia la febbre proprio oggi.»

 

«Se vuoi, puoi restare.»
«Mh?»
«Non mi dà fastidio se resti. Basta che non mi distrai.» la palla fa una parabola perfetta, entra nel canestro senza sbavature.
Shiba annuisce, resta seduta sul borsone e osserva i suoi movimenti eleganti. Mai è stata così ammaliata da qualcuno, neppure da Akira.
Trascorrono i minuti, spezzati dallo scrosciare della pioggia e dal rimbalzo della palla sul parquet. Segna un altro canestro dalla linea dei tre punti e lei emette un «Wow.» che non sfugge al ragazzo.
Scosta i capelli a scodella da davanti il viso «Comunque io sono Hisashi Mitsui.» le sorride gentile, palleggiando con entrambe le mani.
Shiba stende la gambe, giocherella con i capelli rossi e bagnati «Shibahime Sendoh, piacere.»

 

«Non voglio più vederti…»
«Andiamo, Shiba-chan--»

 
«Sei stata… Wow.» i suoi occhi brillano, Shiba può specchiarvisi dentro.
«Wow?»
«Sì, insomma… Wow, no?»
«Wow, certo…»
«Wow è una buona cosa. E’ come dire che sei pazzesca, no?»
Poi la bacia.
Le sue parole finiscono sempre fra i baci.

 

 «E’ finita.»
«Shiba, aspetta!»

 

Shiba apre gli occhi quando le 16:30 scoccano sul quadrante della sveglia.
I rumori della città trascinano via i suoi incubi, gli stralci di ricordi e quel senso di pesantezza che si è aggrappato al suo cuore.
Respira a fatica e gli occhi le pizzicano.
Stringe le coperte a scacchi, rannicchiandosi quando si rende conto che Akira non c’è. Al suo posto c’è un foglietto dai bordi strappati che dice “Nana ha detto di riposarti. E di mangiare. Ti ho lasciato del riso.”.
Shiba si sente da schifo.
Le viene da piangere.

 

Il piede che tocca con forza il parquet lucido della palestra gli procura un brivido di piacere come da tempo non ne provava.
C’è odore di limone, probabilmente hanno appena finito di pulirlo; ricorda che gli piaceva da matti quella fragranza tanto che aveva costretto sua madre a comprare lo stesso detersivo.
Mitsui sente gli sguardi confusi e sorpresi del gruppo di bambocci davanti a sé, eppure non riesce a vederli. 
Lo sguardo vaga sulle alte vetrate, sugli spalti che un tempo occupavano striscioni in suo onore, sul canestro distante e sulle strisce bianche dipinte a terra che delimitano i confini.
Se solo ci pensa, può ancora udire il frenetico rimbalzare della palla sul parquet, le suole che scivolano sul pavimento e il suono del pallone che si infrange contro l’anello, per poi finire nel cesto.
Sono tutti ricordi che lo assalgono in massa, spietati e dolorosi, e lo ritrascinano in quello che una volta era stato davvero un mondo fatato, per lui.
Si chiede se riesca ancora a maneggiare la palla che regge fra le mani, che gli brucia i polpastrelli, o se debba ripartire da zero.
È aggredito da quel senso di frustrazione che lo ha spinto lontano da quel Paradiso e la marmaglia di gente che lo fissa e che rappresenta tutto ciò che lui ha dovuto gettarsi alle spalle, non fa altro che accrescere la collera che irrigidisce ogni suo muscolo.
Li sterminerebbe uno ad uno, se potesse.
«Toglietevi le scarpe, ho detto.»
Kogure si avvicina a passo di marcia, bloccato da Miyagi che sembra aver capito le loro reali intenzioni.
Kogure… Il fido compare di Akagi. Chissà dove si è infilata quella bestia mastodontica; probabilmente sta mangiando la sua dose di banane, chiuso in qualche gabbia negli spogliatoi.
Dai borbottii sommessi riesce a cogliere un incredulo «Ma quello è Hisashi Mitsui!» che lo fa incazzare ancora di più.
Un tempo era famoso per i suoi tiri da tre punti, oggi lo è solo per aver mandato un bonsai all’ospedale e per il gruppo di teppisti che si porta a spasso.
«Mitsui, si può sapere che vuoi?» Miyagi interrompe il flusso dei suoi pensieri, riportandolo coi piedi sul lucido parquet. 
C’è un mix di terrore e rassegnazione nel suo sguardo scuro e Mitsui si ricorda perché sia piombato lì, in palestra, con l’intento di farla pagare a quel demente e alla sua scimmia rossa.
Al Diavolo Ryota, il basket….
Gli sorride «Ti va se giochiamo con voi, Miyagi?»
… Al Diavolo tutto.

 

 

«Quei balordi del club di basket oggi fanno più casino del solito.»
Nanaka smette di far girare le clavette quando il commento della coach, incazzosa, giunge fino a lei.
La musica quel giorno è inudibile, dall’altra palestra provengono grida e schiamazzi che però non hanno lo stesso suono. Sono più aggressivi, quasi stessero disputando un incontro clandestino tra mandingo.
«Saranno Rukawa e Sakuragi che se le danno.» propone la Murosaki, terminando la serie di addominali ricevuti come punizione per essere arrivata tardi.
La coach la guarda ma quando le grida si amplificano, i suoi lineamenti si induriscono «Dovrebbero rinchiuderli in uno zoo quegli animali!»
Delle matricole, poco più in là, parlottano del gruppo di teppisti che si sono aggirati per il cortile della scuola una manciata di minuti prima.
Nanaka sente il cuore scapparle in gola non appena l’immagine nitida di Mitsui si staglia nella mente vorticante di pensieri.
Si chiede se c’entri qualcosa col casino che sta succedendo di là.
Porta una mano sullo stomaco, le brucia.
Da quando la En è venuta a parlarle, l’ansia non la sta più abbandonando. Ha paura che quella vipera piazzi la storia di Shiba e Mitsui sul giornalino scolastico, rendendola più fragile di quanto già non sia.
Vuole sentire Akira, ma non risponde al cellulare…
«Co-Coach, la prego, venga di là!»
«Watanabe, che succede?»
Nanaka smette di allenarsi, di pensare, fisa confuamente la ragazzina dai lunghi codini ondeggianti. E' tremolante, sembra aver appena assistito ad un’invasione aliena che non ha lasciato superstiti. Farfuglia cose insensate, gesticola senza tregua e non sembra placarsi nemmeno con Fujiko che le intima di respirare, di prendersela con calma.
E poi sgancia la bomba.
«Ci sono dei teppisti di là! Dicono che Mitsui-kun sia andato a farla pagare a Ryota-kun!»
La clavetta le scivola di mano e si schianta sulle dita dei piedi.
Nana trattiene un’imprecazione.
«Cosa?!»
«Hanno chiuso le porte! Gli altri professori non riescono ad entrare!»
«E Anzai?!» sbraita l’allenatrice mentre esce di filato dalla palestra.
«Non è ancora arrivato! Sensei, aspetti!» Ume si dilegua, sparisce insieme alle altre matricole che curiose si fiondano verso la scena del crimine.
«Non dovremmo armarci di clavette?» propone la Murosaki, ciondolando in giro per la palestra.
Nana si massaggia il piede, immobile.
Non sa distinguere se il dolore provenga dal piede dolorante o dal cuore che ha cominciato a pulsarle così forte da farle girare la testa.
È certa solo di una cosa: è un bene che Shibahime non si sia presentata.

 

 

Akira le carezza i capelli, attento a non lasciarsi sfuggire neppure una ciocca umida.
Dopo la doccia Shibahime sa sempre di lavanda, è lo stesso profumo che lo ha accolto in casa e che si mescola a quello di loto che impregna la sua tuta –l’ha indossata Nana una sera, quando aveva freddo e da allora non ha smesso di annusarla-.
Lei non fiata, fissa il quadrante della sveglia con occhi vitrei.
«Oggi gli allenamenti sono finiti prima.» mente con un sorriso, sentendosi opprimere dal suo infondato senso di colpa. Se le dicesse che li ha saltati solo per accertarsi che stesse bene, quella si lascerebbe andare ancora di più.
«Stasera dormi ancora qui…» le sue dita si incastrano fra i boccoli scuri, le radici all’attaccatura del collo stanno sbiadendo in un ramato che lo fa sorridere.
Le stelle filanti rosse sono scomparse in un baratro corvino tre anni prima, ricorda ancora il colpo al cuore che lo ha colpito.
«Stavi meglio prima.»
le ha confidato sincero, vedendola sorridere abbacchiata e alzare le spalle, mentre sua madre si era persa in complimenti talmente entusiasti da fargli venire la nausea.
Non è cambiando colore di capelli che Shiba sarebbe diventata più simile a loro, ma questo Madoka non riesce proprio ad accettarlo.
Gli manca la Shiba che si confidava per ogni problema, che gli descriveva minuziosamente ogni coreografia, che si svegliava almeno tre ore prima quando aveva una gara.
Quella che tornava a casa con un sorriso talmente splendido da farlo star bene e che rossa come i suoi capelli mormorava «Sono stata con Hisashi.», prima di svolazzare per casa come una libellula un po' ubriaca.
Se la stringe un po’ di più, sentendola irrigidirsi.
«Guarda che papà e mamma non ci sono. Non c’è problema.» mormora stanco, chiudendo gli occhi e dandole le spalle.
La sente rannicchiarsi e nel giro di qualche sbadiglio, crolla anche lui.
Quella notte non ha dormito granché.

 

 

C’è talmente tanto sangue in palestra, che non sa più distinguere quale sia il proprio e quale quello degli altri.
Sa solo che le cose gli stanno sfuggendo di mano e quando Akagi fa il proprio trionfale ingresso, capisce di essere ormai spacciato.
Gli da uno, due schiaffi, ha perso il conto delle botte che ha ricevuto.
Il suo «Mitsui…» lo riporta indietro a tanto tempo prima, quando i capelli non erano così lunghi e il suo ego non era così ferito.
C’è delusione, quella stessa delusione che vede aleggiare ogni giorno negli occhi dei suoi genitori o quella che ha visto sfrecciare negli occhi scuri di Shiba tante, troppe volte; è quel tipo di delusione che ha la stessa consistenza della propria, provata quando ha capito che per vincere, lui, non era poi così indispensabile…

«E allora? È normale che ci sia qualcuno più bravo di te…»
«Nessuno è indispensabile, ma tutti servono…»

 
Chi glielo ripeteva sempre?
«Era così in gamba…»

Kogure?...

«Tu sei in gamba. Che ti importa degli altri?»
Ha un sorriso che gli toglie il fiato
«Devi avere pazienza…»
I suoi baci sono come pioggia elettrica
«Vedrai che si sistema tutto.»

 

Chi me lo ripeteva sempre?
«Perché si è ridotto così?»
Miyagi?...

 

«Perché fai così, si può sapere?!»
«Tesoro--»
«Mio figlio non prende a pugni, mio figlio non risponde male--»
Lo schiaffo riga l’aria.
«Noriko, fermati--»
Le sue lacrime crollano sul tavolo della cucina, fra le garze
«Perché ti sei ridotto così?»

 
Mamma? Papà?...

 «Le cose non vanno mai come vogliamo…»

 

No... Ma chi è?

Le cose non stanno andando come vorrebbe…
Il suo corpo è lì, mal ridotto, privo di forze, ma la mente è trasportata lontana dalle lentezza con cui Kogure racconta stralci di passato che credeva sepolti in angoli remoti della mente.
Alla rabbia e la collera si mescola la pietà dei loro sguardi, la commiserazione per ciò che è stato e ciò che sarebbe diventato se solo non fosse stato troppo orgoglioso…
«E’ stato Mvp? E che è?»

Da quanto non lo chiamavano così?
«Il miglior giocatore della stagione.»
«Ma chi? Quello scopettino là?»
«Sakuragi, chiudi quella fogna!»

 

«Hai visto chi c’è quest’anno? L’Mvp delle Takeishi!»
I suoi compagni lo guardano con occhi che brillano.
«Un Mvp tra di noi… Abbiamo la vittoria in tasca, allora!»

 

Mi chiamavano sempre Mvp… Mvp di qui, Mvp di là…

 

«Forza! Sconfiggi l’Mvp!»
«Akagi potrebbe diventare più forte di lui, un giorno!»

 

Mvp.
Lo odiava…

Lo aveva sempre odiato…

«Coraggio, Mvp!»
«Sconfiggete l’Mvp!»

 
Lui aveva un nome…

 

«Vai così, Mitsui!»

 Shiba…?

 

«Mitsui, stai bene?»
«Mitsui, sei proprio un demente.»
«Per te il basket è tutto, vero, Mitsui?»
«Mitsui, dobbiamo parlare…»

 
Basta…

 
«E’ finita…»

Davvero, basta…

 
«Ragazzi, aprite le porte. Per favore…»
«E’ l’allenatore!»

«Ricorda, non è finita finché c’è ancora la speranza.»

 Allenatore Anzai…

E’ stanco, vuole tornarsene a casa.
Vuole tagliarsi i capelli, pulirsi il sangue.
Vuole tornare indietro…
«Che succede? Oh…»

… All’inizio. Potrei?
A quando giocava a basket.
A quando ero felice.
Si accascia al suolo, in lacrime.

 

… Che cazzo ho fatto?

 

 

La prima notte in orfanotrofio Shibahime la passa rannicchiata sul letto, il cuscino stretto fra le gracili braccia e un pupazzo con un occhio solo a farle da arma.
Qualcuno le ha rubato le lenzuola strappandola dal sonno a suon di risatine frivole.
Non ha versato neppure una lacrima, limitandosi a tremare sul materasso scomodo e scricchiolante; l’ultima bambina che ha pianto ha ricevuto uno schiaffo così forte da far ammutolire perfino il reparto maschile, posto dall’altra parte dell’edificio.
Lo stanzone accoglie una decina di bambine veterane del luogo, è buio e le tegole del pavimento scricchiolano senza che nessuno le calpesti.
Shiba ha paura ma quando chiede a suora Kong se può dormire con lei, viene strattonata per il polso e riportata a letto, ricevendo una tirata di orecchie per aver fatto sparire la coperta; non ne hanno altre pulite, per il momento dovrà accontentarsi del copriletto bucato e di fine lino.
Odia quel posto, lo odia con tutta sé stessa.
Se fosse stata a casa, sua madre l’avrebbe fatta mettere tra lei e suo padre, le avrebbe baciato i capelli e poi le avrebbe cantato Come Josephine in my flying machine all’orecchio, cullandola fino a che i mostriciattoli non se ne fossero andati.
E quel motivetto lo canticchia anche lei ma disturba il sonno delle altre bambine; la bulletta che dorme qualche materasso più in là, il giorno dopo le stringe il braccio talmente forte da lasciarle come ricordo il segno rosso delle dita.
D’ora in poi smette addirittura di respirare, spaventata al pensiero che possa infastidirle.
Diventa così una bambina grande ad appena nove anni.
Impara a convivere con gli incubi, a guardare il soffitto quando non riesce a prendere sonno perché troppo scossa da ciò che l’ha svegliata e a dormire da sola, senza bisogno di qualcuno che le canti nell’orecchio o la culli mentre dorme.
Fino a che Akira non compare nella sua vita, allora quel senso di protezione che a lungo ha rifiutato torna prepotente a farle visita, costringendola a sostare sotto le sue coperte nonostante i loro genitori disapprovino.
Se si concentra può ancora vedere le sopracciglia aggrottate di Madoka, l’indurirsi dei suoi dolci lineamenti e la piega incattivita che assumono le sue parole.
Sono una sequela di «Smettila di intrufolarti in camera sua! Quante volte dovrò ripetertelo?!» che la fanno sentire tremendamente sbagliata. Eppure non fanno nulla di male. Lui la fa mettere vicino al bordo e le dà le schiena, fissando il muro azzurrognolo.
Per la prima volta si accorge che vivere in una famiglia che non è la sua, non è poi così diverso dal vivere in un orfanotrofio con bambini che hanno i suoi stessi, identici problemi.
Madoka è gentile e premurosa ma non smette di rimproverarla per la distanza che continua a mettere tra loro.
Kiyosuke è troppo distratto o assorbito dal lavoro per badare a lei; il tempo libero lo trascorre con Akira al campetto e in un modo tutto suo la fa sentire come la principessina di casa. Come quando le permette di usare la sua macchina fotografica –è diventata una maestra nel riprendere il proprio dito- o la invita nella camera oscura per farle vedere come sviluppare le foto.

«Non sta bene…» Madoka ne parla come se fossero marci «Cosa succederebbe se la gente sapesse?»
Si quieta solo quando Kiyosuke ride svagato, prende la cosa per quella che è: una sciocchezza.
Shiba non trova nulla di malizioso nel modo in cui Akira le carezza i capelli, non c’è bramosia nei suoi abbracci e mai si è spinto oltre la soglia fratello-sorella.
E’ un peccato che debbano rovinare una cosa così pura con paturnie infondate…
Oppure è lei che rovina tutto, senza neppure accorgersene.
Spesso ci pensa… L’equilibro di quella famiglia sembra essersi sfaldato da quando ha messo piede in quella villa.
I sorrisi dei loro genitori non sono più così aperti come nelle foto di tanto tempo prima, quando erano solo in tre e la sua figura diversa non compariva nelle foto di famiglia.
Una vibrazione acuta la desta.
Il cellulare di Akira vibra fra le lenzuola; un certo Mo chùisle lo sta cercando.

Mo chùisle…
Sua madre la chiamava così…
Hisashi la chiamava così…
Era una cosa sua ed è diventata di Akira quando l’ha scoperto perché «E’ fantastico, non trovi? Essere il battito di qualcuno.»
«Oi, ti chiamano.» lo scuote con voce impastata. Akira si solleva su di un gomito, fissa il cellulare stranito e ciondola fuori dalla camera, sbadigliando sonoramente prima di rispondere.
E’ tentata di seguirlo per origliare la conversazione ma teme di venir investita da una valangata di scomodi pensieri se solo si azzardasse a sfilarsi dalle coperte.
Si chiede chi sia Mo chùisle.
Forse lei non è l’unica a mettere delle distanze, in quella casa.

Non piangeva così da quando il ginocchio ha fatto crack.
Gli occhi sono rossi e gonfi… Anzi, a dir la verità è tutto gonfio. Non riesce a parlare, le guance gli fanno un male cane; le labbra sono spezzate in più punti e se solo prova a stiracchiarle, bruciori lancinanti lo costringono in una smorfia.
Mitsui è riverso sul lettino dell’infermeria scolastica, osserva il disastro che la sua crociata personale ha provocato.
«Ce la caveremo?» sente mormorare da qualcuno.
«A quanto pare sì. Dovremmo ringraziare Mito e gli altri per essersi presa la colpa.» aggiunge un altro con sollievo.
Mh, anche Nori si è preso la colpa solo per aiutarlo, ora che ci pensa. Forse dovrebbe offrirgli una birra non appena se ne esce da quel postaccio. L’infermeria della scuola è identica alla clinica in cui lo rinchiudevano quando aveva problemi col ginocchio. Chissà se hanno riverniciato le pareti, quel bianco era davvero fastidioso.
«Oi…» è una voce femminile quella che sfregia l’aria, si mescola a quello dei ragazzi; non è di Ayako, anche perché quella è impegnata a medicare Ryota. Cristo, lo hanno conciato proprio male… Forse dovrebbe chiedergli scusa o magari offrirgli un pranzo o boh, qualsiasi cosa.
«Ti sei fatta male anche tu?! Ma non abbiamo più posto!» gracchia l’infermiera in evidente crisi isterica.
La ragazzina fa ondeggiare la lunga treccia «Faccio da sola, non si preoccupi.»
«Ecco sì, bene—Sakuragi, non devi prendere così tante pastiglie! Qualcuno lo fermi prima che si uccida!»
«E sarebbe anche ora.»
«Che hai detto, Rukawa?! Abbi il coraggio di—Gori, ma che cazzo fai? Devi spaccare la testa di Rukawa, non la mia!»
«Chiamami ancora Gori e ti mutilo.»
Le labbra gli si aprono in un sorriso, lo nasconde dietro il palmo fasciato.
Certo che nel club di basket ci sono dei tipi davvero strani…
«Oh, Itou!» è Kogure a parlare, di sottecchi lo vede sventolare una mano «Anche tu qui?»
La ragazza zoppica verso di lui «Mi è finita una clavetta sul piede. Nulla di grave.»
Clavetta? Shiba le odiava le clavette, diceva che aveva paura che le finissero in testa.
«Itou.»
«Akagi…» i due si fulminano con lo sguardo; che sia una specie di triangolo amoroso?
«Tenterai anche quest’anno di battermi alle gare di scienze?» Takenori ghigna «Seconda classificata?»
«L’anno scorso è stata solo fortuna, quest’anno piangerai.»
… No, ok, è solo un pestaggio fra secchie.
I tre chiacchierano di campionati nazionali e della rissa appena avvenuta. Non fanno il suo nome, gliene è grato, anche se dal modo in cui quella sconosciuta lo fissa capisce quanto lei sappia.
Ha allungati occhi blu e zigomi alti, rosati, labbra sottili e chiare; gli ricorda una pesca tanto il suo incarnato è diafano. Indossa la tuta dello Shohoku, quella del club di ginnastica ritmica.
Ha un tuffo al cuore al pensiero che Shiba possa essere lì e comparire da un momento all’altro, trovandolo conciato in quel modo.
Così le darebbe ragione… Che è un buono a nulla, che fa solo guai, che solo perché si sente ferito decide di trascinare nella propria merda tutti gli altri…
Alza lo sguardo; quella lo sta fissando ancora.
«Che hai da guardare, si può sapere?» la bocca sa di ferro, ingoia probabilmente del sangue.
La ragazza arcua un sopracciglio, prende garza e pomata e scuote la nuca «Sempre detto che quelli del club di basket sono dei cretini. E tagliati quei capelli, che sembri un cantante degli anni ‘70.» e si eclissa, senza lasciargli possibilità di replica.

Ma chi cazzo è quell’invasata?!
«Oh, non prendertela. La Itou è fatta così» Kimonobu gli sorride, sembra felice di riaverlo tra i piedi «Però ha ragione. Così lunghi non ti stanno granché bene.»

 
Quando Hisashi rincasa, i suoi sono in cucina.
La televisione copre il loro mutismo e il severo «Sei in ritardo. La cena è pronta da tempo.» di sua madre, è solo la miccia che darà vita alla non quantificabile litigata.
Ma prima c’è lo stupore, le bacchette che tintinnano sul tavolo dopo la caduta libera e l’incessante tossicchiare di suo padre per il riso andato di traverso.
Si passa una mano fra i capelli corti e freschi di parrucchiere.
«Ti-Ti--» sua madre lo guarda ad occhi larghi.
Suo padre è riverso sul tavolo, che sputa chicchi di riso.
Lui sorride con i denti nuovi freschi di dentista.

 


Buondì
Chiedo perdono per il solito, leggero ritardo ma per farmi perdonare vi ho piazzato un capitolo decisamente più lungo rispetto ai precedenti.
Finalmente c’è stata la rissa in palestra! Sì, ok, non c’è nulla di cui essere felici, ma almeno tutti i personaggi sono entrati in scena e possiamo finalmente andare avanti con la trama xD
Spero che il pezzo di Mitsui in cui c’è l’alternanza tra presente e passato non sia uscito un macello: nella mia mente era una figata assurda ma su Word… Ngh, beh, questo è il risultato. Il problema è tendo a vedere tutto come se fosse un fumetto, con scene ben definite che poi su carta non rendono come dovrebbero… Va beh, fatemi sapere nel caso non si capisse nulla D:
Ringrazio come sempre quelle care anime che hanno commentato il precedente capitolo: a pinkjude, lilli84, ReginaMills89, Ice_DP e LuMiK va tutta la mia gratitudine. Ah, vi sommergerei di cuoricini in stile Zelda se solo vi avessi qui

Ringrazio anche i lettori silenziosi e chi ha aggiunto la storia fra le ricordate/seguite/preferite. Siete più di quanti mi sarei mai potuta aspettare… Grazie.

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Silver horses ran down moonbeams in your dark eyes ***


capitolo 5

«Daiiii, dimmelo!»
«No-o.»
«Eddai, ma che ti costa!» gli si aggrappa al braccio «Chi è Mo chùisle? E’ la tua ragazza, eh?»
Akira cerca di scrollarsela di dosso «Non è nessuno di importante. Ora vestiti.»
«Ma no, oggi non--»
«Stai benissimo» le sorride raggiante «Altrimenti chiamo Itou-senpai, scegli tu…»
«… Dov’è la mia divisa? Hai visto la mia divisa?!» Shiba scheggia verso la camera «E non ridere, demente!»

  

Capitolo 5
Silver horses ran down moonbeams in your dark eyes

David: E se gli sbattessi la porta in faccia, come se fosse morto... Finirei col rimpiazzarlo con qualcun altro, proprio come la mamma sta rimpiazzando te con George. La vita è solo questo? Rimpiazzare le persone?
Nathaniel Sr.: Più o meno è così. Solo che alcuni lo fanno più spesso e velocemente di altri."                                                                                                               
                                                                          -I'm Sorry, I'm Lost [3.13], Six feet under-

 

Shiba sbadiglia sonoramente.
Rigira il cucchiaino del caffè amaro appena preso alla macchinetta, salutando svogliatamente quei pochi che le augurano il buongiorno.
Si siede sulla panca lì vicino, adagiando la borsa al proprio fianco.
C’è una strana aria allo Shohoku.
Gli studenti parlottano tra loro, strani chiacchiericci si diffondono lungo i corridoi gremiti di persone.
Non vedeva tanto movimento da quando Kenji del club di tennis è stato tradito dalla sua storica fidanzata dai tempi delle elementari, tale Yori Yoshizuki, con Seto dello Shoyo. O da quando Kaede Rukawa è entrato a far parte del club di basket, stuzzicando l’interesse dell’intera popolazione femminile dell’istituto Shohoku, fatta eccezione per lei, quel ghiacciolo ibernato di Nanaka, Kagome della III sezione 5 -dichiaratamente lesbica e fiera di esserlo-, e Ayako Quella Senza Cognome –che tanto anche se l’avesse avuto, non se lo sarebbe ricordato- rinominata la Santa  Martire Di Shohoku per il semplice fatto che trascorre ore ininterrotte con quei demente del club di basket, essendone la manager, e ne esce sempre con il cervello perfettamente funzionante.
«Oh, finito il weekend lungo?» la voce civettuola di Tomoko le perfora il timpano, quando le sue ballerine le si fermano a pochi passi. La guarda con i suoi occhi scuri affilati, accentuati dalla montatura a mezzaluna rosa che ben si intona al fiocco a pois fucsia che tiene legati i capelli.
«En, buongiorno!» saluta con un sorriso tirato, concentrandosi sull'indice che preme sul caffè al ginseng «Mi spiace aver perso così tanti giorni. Purtroppo ho avuto la febbre e--»
«La febbre, certo… La Itou è stata chiara» la capoclasse si sistema i capelli e le guarda con un sorriso complice «E’ un vero peccato però, lo sai? Ti sei persa così tante cose.»
Shibahime sostiene il suo sguardo per qualche secondo, poi si aggiusta le pieghe della gonna.
Eletta capoclasse per tre anni di fila e ritenuta all’unanimità –di quelli a cui frega qualcosa- miglior rappresentate di istituto, Tomoko En si è guadagnata la fama di più grande pettegola della prefettura di Kanagawa da quando ha preso il posto di Shiori Ken al club del giornalismo, rimpinzando il giornalino scolastico con gossip presunti o veritieri che l’hanno resa temibile e famosa. Sa tutto di tutti, non si lascia sfuggire nessuna notizia e quel che è peggio, è che la gente crede alle fandonie che mette in circolazione senza curarsi delle conseguenze: quante risse sono avvenute nei bagni del terzo piano per colpa di tradimenti mai avvenuti ma messi sulla pubblica piazza come se fossero oro colato, quante scazzottate per voci di corridoio magistralmente elaborate solo per tener viva l’atmosfera grigia e tediosa che si respira ultimamente, a detta sua.
È una vipera, la fa sentire a disagio quel suo sguardo scrutatore.
«Eh? Che mi sono persa?»
La En smette di girare il cucchiaino, la fissa con occhi larghi e un sorriso che va ampliandosi «Davvero non sai nulla?»
Scuote il capo.
«Strano la Itou non ti abbia detto nulla…»
«Che c’entra Nanaka--»
La ragazza le fa segno di stare zitta, prende a ravanare nella cartella «Oh, ma dove l’ho messo?»
E se questa avesse messo in giro qualche altra diceria sul suo conto? E se avesse approfittato di questa sua assenza per ricamare sul rapporto che la lega ad Akira?
No, Nanaka glielo avrebbe detto, l’avrebbe messa in guardia.
Così è impreparata, così--
«Eccolo!»
Shiba trema quando scorge il suo sorriso, ma ciò che le incute più timore è il giornalino che regge fra le dita perfettamente curate. Glielo lascia scivolare sulle cosce e Shibahime corruga la fronte «L’ultimo giorno del club di basket…»  legge stranita «Che è successo?»
«Vai a pagina 5 e lo saprai.»
«Ma scherzi?! E’ lungo due pagine!» fa scorrere lo sguardo sugli ideogrammi ma prima che possa tirarglielo dietro, ecco che un nome cattura la sua svogliata attenzione: Hisashi Mitsui.
Quel Hisashi Mitsui.
Quello che una volta avrebbe potuto definire suo.
Quello che aveva rappresentato il suo buon motivo per svegliarsi al mattino, sopportare i suoi genitori e che la faceva sentire speciale. 
Quello che era perfino riuscito a superare Akira nel suo cuore.
Quello che la chiamava ubriaco chiedendole di andarlo a trovare, quello che tornava ferito e le ordinava di medicarlo.
Quello che aveva smesso di chiamarla Mo chùisle, rendendola una Shibahime qualunque.

Che cavolo ha combinato quel cretino?!
«Che c’entra Mitsui?»
«Vedo che ora leggere due pagine non è più un problema» la pizzica la ragazza, gettando il bicchiere nel cestino «Cos’è, ti sorprende che Mitsui possa aver scatenato una rissa nel club di basket?»
Shiba scuote la nuca «Qui c’è scritto che sono stati Mito, Hotta e altri a--»
«A voler far chiudere perché Mitsui voleva tornare a giocare e allora gliela volevano far pagare e bla bla bla, certo» rotea gli occhi, pare annoiata «Lo sanno tutti come sono andate le cose: Mitsui voleva farla pagare a Miyagi e Sakuragi, è andato al club, ha ricevuto un mucchio di botte, si è pentito ed è tornato a giocare.»
«E’ tornato a giocare?» la guarda sorpresa, confusa dal mare di parole che l’ha appena investita. Si è accorta di non aver respirato per tutta la durata dello striminzito racconto, la testa le sta scoppiando.
«Aha, lo hanno visto allenarsi con gli altri. Comunque il preside ha creduto alla versione di Mito e ha sospeso lui e i suoi compari per qualche giorno. Tutto è bene quel che finisce bene, no?» pigola divertita «E poi… Non è un bene che il tuo fidanzato si sia redento?»  
Shiba deglutisce.
«O dovrei dire ex?»
«Eh?»
«Come preferisci, dimmi tu.»
«No, ma noi--Noi, non--»
Forse dovrebbe scappare, forse--
«En, levati dalla macchinetta.»
Shiba si rilassa non appena la voce della Itou si schianta fra loro due, interrompendo il sibilo della compagna.
«Mattinata difficile?» la capoclasse si fa seria, probabilmente è seccata per essere stata interrotta.
«No, era accettabile fino a che non ho visto te» osserva tutti i tipi di caffè «Vi ho interrotte, per caso?»
Shiba la guarda corrucciata. Non le ha rivolto nemmeno un minuscolo salutino… Che ce l’abbia con lei?
Tomoko sorride dolce «Nah, tranquilla. Tanto abbiamo tutto l’anno scolastico, mh?» sventola le dita mentre si allontana «Ci vediamo in classe. Non fate tardi o lo riporterò nel verbale!»
«Seh, seh…» Nana si china per prendere il bicchierino, porta oltre le spalla la lunga treccia «Ti stava disturbando?»
«Mi ha solo detto cos’è successo al club di basket…» le sorride appena, le dita scorrono sul gruppo di foto che incorniciano l’articolo «Mitsui è tornato in grande stile.» ridacchia, sotto il continuo soffiare sul caffè dell’amica.
C’è il Mitsui del passato messo a confronto a quello del presente.
Vorrebbe urlare che non ci sono mai stati due Mitsui, che se prima era tutto luce ora è diventato tutto ombra. Che di Mitsui ce n’è uno e che quello di prima non era poi così perfetto come lo descrivono. Forse lo è stato nel basket, ma come persona…
«Stai bene?» Nanaka è preoccupata, lo coglie nel tono di voce accorto e nel garbo con cui la sua mano si è posata delicata sulla spalla incurvata.
Vorrebbe chiederle perché non glielo ha detto, perché non l’ha preparata, perché non l’ha protetta… Ma si specchia nei suoi occhi e capisce che Nanaka non ha alcuna colpa.
Chi continua a scappare è solo lei.
Chiude il giornalino «Sono solo sorpresa. Ma sì, sto bene» le sorride alla Akira, vedendola chetarsi «Mi spiace aver perso gli allenamenti.»
Nana le scompiglia i capelli «Tranquilla, stavi male. L’importante è che tu sia tornata. Ah, nello spogliatoio troverai un altarino con una tua foto e delle lucine. Non farci caso.»
«Che?!»
«La Murosaki ti stava dando per morta, pregava ad ogni pausa. Ci tiene a te.»
«Certo, bello… Togliamolo oggi, ok? È inquietante…»  Shiba sfoglia velocemente il giornalino; non c’è nulla di interessante a parte la faccenda del club di pallacanestro.
«Akira-kun è stato con te tutto il tempo?» domanda curiosa, sedendosi al suo fianco. Apre il libro di giapponese e comincia a leggere gli appunti.
«Aha, quello scemo. Ha saltato anche gli allenamenti.»
«Era solo preoccupato.»
«E credo abbia rinunciato ad uscire con la sua ragazza.»
«Che?!» Nanaka la fissa sorpresa, il bicchiere le cade per terra «Ah, cavolo!»
«Non dirlo a me! Sono scioccata che qualcuno possa uscire con un demente del genere. È—Argh, le mi scarpe!»
Nanaka tossicchia «Ragazza? Ma te l’ha detto lui?»
«Ma va, lui non parla. C’era una certa Mo chùisle che lo chiamava. Le mie ballerine, uffa!»
«Mo chùisle?»
«Mhmh. Hai mica dei fazzoletti?»
«Usa il giornalino.»
«Ah, già!»
«Mo chùisle… Ma che vuol dire?»
Shiba strappa la pagina # 5 «Mio battito in gaelico antico, o mio tesoro. Mia madre, quella vera, me lo diceva sempre: A chùisle mo chroí. Mi faceva sempre sentire importante. Me lo diceva anche--» Nana la guarda curiosa ma Shiba scuote la nuca «No, niente. Comunque deve essere qualcuna di importante se la chiama così, no?» torna a pulirsi le scarpe, di sottecchi scorge il sorriso abbozzato di Nanaka.
«Chi l’avrebbe mai detto che ha una ragazza…»
«Spero non giochi a basket. E spero non sia bionda.»
«Che hai contro le bionde?»
«Non mi piacciono. La bulla dell’orfanotrofio era bionda. Oh, fatto!» getta le pagine accartocciate nel cestino, il suono della prima campanella la costringe a raccogliere borsone e cartella «Allora, andiamo?»
Ma Nana non si muove, troppo presa a guardare dritto davanti a sé.
Shiba segue la linea del suo sguardo, scontrandosi con la figura di…
«Ma chi è quello?»
«Mitsui.»
«Che?!»
«Aha. Si è tagliato i capelli. E si è messo la dentiera» Nana si alza in piedi, evitando la pozzanghera di caffè. Le si affianca, così da evitarle uno svenimento.
Kami, non si è fatto vedere per più di un mese, visto che aveva pensato bene di farsi mandare all’ospedale e ora cosa fa?!, ripiomba come se nulla fosse, con i suoi capelli scuri corti e tirati in su, con quell’aria da bello e dannato, con ragazzine di prima che lo fissano adoranti?!
Shibahime si volta di scatto, sentendosi avvampare come la scolaretta delle medie che faceva fatica a salutarlo nei corridoi, quando lo incrociava in compagnia dei suoi amici. Era sempre lui a salutarla, se lo ricorda ancora così vividamente da sentire la testa girare, da potersi vedere lì, davanti a sé, con i propri capelli rossi come il tramonto che le arrivano poco oltre il seno.
E riesce a vedere anche lui.
Con i suoi capelli a scodella, il sorriso affabile, le mani che gesticolavano mentre parlava, i suoi caldi
«Shibahime» che la facevano sentire importante.
«Ehi, andiamo. Tra poco cominciano le lezioni» Nana le picchietta una mano sulla spalla, ridestandola.
Shiba vorrebbe scappare ma la Itou la trascina fino in classe.
Tomoko tossicchia non appena viene spinta in aula, indicandole con il capo Mitsui che, annoiato, gira le pagine del libro di giapponese.
Si accascia sul banco.
È condannata ad un anno scolastico di sofferenza.

 
La campanella suona.
Nanaka la guarda sorniona «Sì?»
Shiba fa per tirare fuori il pranzo ma ha lo stomaco chiuso; rinuncia «Che?»
«Non vai lì a salutarlo?»
«No. Il nemico va ignorato.»
«Oh, andiamo…» scuote la nuca, gli lancia un’occhiata e poggia la guancia sul palmo aperto «Devo ammettere che è proprio carino coi capelli corti.»
«Nanaka!»
«Tranquilla, non intendo portartelo via»
«Dannata Nanaka!»

 

 

Il palleggio rimbomba nella palestra, è musica per le sue orecchie.
Si mescola allo strisciare delle Asics sul parquet, all’inconfondibile suono della palla quando centra il canestro.
«Arrivederci, senpai!» le matricole sfilano davanti ai suoi occhi con riverenza, sgattaiolano via sfiancati eppure con un sorrisone a trentadue denti. Gli ricordano il sé stesso delle medie, quello che si tratteneva di più in palestra per allenarsi, che si dimenticava addirittura di studiare o di avere un appuntamento con lei...
«Tu non vieni?»
Kogure lo salva dai pensieri scomodi e, mentalmente, lo ringrazia.
Lo guarda sulla soglia con il borsone in mano e un sorriso rasserenante, gli stessi che gli rivolgeva quando Akagi parava i suoi tiri.
«Resto ancora un po’ ad allenarmi.» si rigira il pallone fra le mani e che sotto le sue dita brucia, lo sguardo perso sul canestro che se ne sta così lontano da apparirgli irraggiungibile.
Si era dimenticato della sensazione che provava quando alzava le braccia al cielo e la sfera arancione compiva una parabola perfetta. Ricorda i brividi nel seguire la linea immaginaria che quella tracciava, quel mix di sensazioni contrastanti che lo facevano fremere fino a che la palla non entrava nel canestro.
La completa certezza di segnare tre punti, intaccata da quel pizzico di ansia dovuta ai se, ai ma, a tutte le probabilità di cui lui non teneva conto.
Non quando giocava.
«Sicuro? Sarai stanco, dopotutto hai appena ricominciato a--» gli rifila un’occhiata al vetriolo e il ragazzo sventola le mani, intimorito «Non strapazzarti troppo. Vedrai che piano piano ritornerai alla tua forma--» la palla entra senza sbavature nel canestro, Mitsui gli lancia un’occhiata sorniona che Kogure accetta con un collasso sul parquet.
«Dicevi?»
«… Non strapazzarti troppo!» ripete stridulamente «Prima di chiudere, assicurati che non ci sia nessuno nell’altra palestra. Se non sbaglio, anche la squadra di ginnastica si allenava questa mattina.»
Ha un sussulto al cuore quando le parole dell’amico lo raggiungono e subito il nubifragio di ricordi dapprima sfumati, si ripresentano con ancora più prepotenza. Non ci aveva pensato, troppo preso dagli allenamenti e dai propri problemi, ma qui in giro potrebbe bazzicare l’unica persona che vorrebbe evitare in questo suo momento di redenzione, l’unica con cui ancora non si è scusato.
Solo perché le cose gli stanno andando bene, non significa che la sfiga non sia dietro l’angolo. Anzi, nella palestra adiacente.
L’ha rivista in classe, bella come il sole e inavvicinabile come un cobra.
Non c’ha provato neppure a rivolgerle la parola, il suo scappare in pausa pranzo o finite le lezioni vale più di qualsiasi discorso potrebbero affrontare.
«Ahm, ecco, mi chiedevo--»
«Sì?»
Kiminobu sembra nervoso, striscia le dita sui pantaloni della divisa «Hai già parlato con la Sendoh?»
Il pallone sbatte sull’anello «Che cosa?! E perché dovrei?»
«Beh… Non stavate assieme?» si gratta la punta del naso «Quando venivo a trovarti all’ospedale, c’era anche lei. Credevo che voi due--»
«Ma no, ti sbagli!» recupera il pallone «Cioè, sì! Ma era una cosa così!»
«Una cosa così.»
«Sì, nulla di importante.»
«Nulla di importante, certo. Forse è così» gli sorride placido «Beh, ci vediamo domani. E non ammazzarti eh! Abbiamo bisogno di te se vogliamo vincere!»
La porta si chiude e Mitsui resta solo con i propri, scomodi pensieri e quel senso di benefico orgoglio che le parole di Kogure gli hanno infuso.  
Gli mancava quel senso di importanza che gli altri gli attribuivano per il semplice fatto che è bravo, ma bravo coi controcazzi, e non solo perché sa menare le mani –più o meno, ecco-.
Quando finisce di allenarsi, in corridoio risuona ancora la musica proveniente dalla palestra in fondo.
È musica classica, la riconosce solo perché sua madre ha il brutto vizio di metterla quando fa le pulizie la domenica pomeriggio –proprio quando lui tenta di dormire o fa finta di studiare-, e più la melodia si fa così vicina da divenire palpabile, più si lascia lambire dal mare di ricordi che carezzano la sua mente.
È un miscuglio di nostalgia e amarezza,
ci sono scene in cui si ributterebbe per riviverle in ogni minimo dettaglio, senza spostare neppure una virgola; altre vorrebbe cancellarle, modificarle, rispondere "Ma" anziché "Beh", dire "Sì" invece di "No".
Mitsui continua a chiedersi cosa sarebbe successo se non avesse abbandonato il basket, se, se… Ne è talmente schiacciato da sentire l’aria mancare e più ci pensa, meno riesce a trovare una via d’uscita.
Ed è così che si sente anche quando apre la porta della palestra; poco, è solo uno spiraglio ma gli basta per sentire la testa girare, il cuore pulsare e tutto il resto farsi effimero.
Il suo "se" più grande se ne sta lì, trasportata dalla musica e leggera come l’aria.
Shibahime è… Da dove può cominciare per descriverla?

Il ricordo di lei non è mutato, solo ora però tutti i puntini si uniscono e il contorno dapprima sbiadito comincia ad assumere tonalità ben definite.
La sua magrezza è accentuata dal body azzurrognolo che fascia ogni sua forma e se non fosse che sta per mettersi a fare una rovesciata, probabilmente perderebbe tempo a decantare lodi sul seno mai stato generoso.
Si solleva sulle punte, inarca leggermente la schiena e il nastro le carezza il corpo, avvolgendola come un serpente, per poi librarsi sulla testa corvina in un susseguirsi di onde blu che lo distraggono per un istante dalla contemplazione della sua sinuosità.
Gli pare più magra di quel che ricordasse ma forse è solo la mente a giocargli brutti scherzi.
Avrebbe voglia di stringerla a sé solo per appurare che è davvero così, che è solo uno scherzo e null’altro, ma la bacchetta le scivola dalle mani e la sua imprecazione lo risveglia.
Non ha idea di cosa il disco stia suonando, lui è davvero una capra quando si tratta di musica classica, ma la malinconia che trasmette ben si accosta alla Shibahime dei suoi ricordi.
Gli tornano alla mente i suoi occhi scuri sempre incupiti, scrigni di un turbinio di pensieri che mai è riuscito a carpirle. Ci sono tutte le parole dette male e quelle taciute per paura di peggiorare le cose, il modo in cui le sue labbra si piegavano in un sorriso sormontato da crepe ben scorgibili, come se fosse in procinto di spezzarsi da un momento all’altro.
Il movimento sinuoso del suo corpo lo strappa da ogni pensiero.
Piroetta leggera per tutta la palestra, lancia il nastro per aria e dopo una ruota in avanti, lo recupera con la mano destra, continuando a volteggiare.
E’ un tutt’uno con l’aria, ha la strabiliante capacità di saperlo portare lontano.
Come se fosse un mondo tutto loro.
Non glielo ha mai detto per paura di risultare troppo innamorato o un po’ coglione, ma a lui piaceva sul serio vederla ballare ed eseguire tutte quelle acrobazie –che le avevano donato un’elasticità utile anche in camera da letto, se ne ricorda ora che la vede effettuare una spaccata senza fatica alcuna, prima di chiudere le gambe e rialzarsi con una capriola all’indietro-. Si riscopre ammaliato come tanti anni prima, quando si era recato al palazzetto dello sport solo perché lo aveva implorato di andare a fare il tifo, convintissimo di addormentarsi tra una perdita di palla e un rotolamento di cerchio sfuggito alla sua presa, ritrovandosi invece a guardarla a bocca aperta, col costante timore che scivolasse rovinosamente sul tappeto o perdesse gli attrezzi dopo averli lanciati in aria.
La sinfonia termina e Shiba è rigidamente immobile con il nastro che smette di rotearle intorno. Sbuffa sonoramente quando si ricompone, segno che l’esecuzione non è stata di suo gradimento. 
Si pulisce la fronte madida di sudore e il batticuore che non l’ha abbandonato da quando l’ha vista, aumenta vertiginosamente quando i loro sguardi si incrociano.
Shiba è sorpresa, stringe la bacchetta del nastro con crescente nervosismo e sembra indecisa se renderlo un groviera con quella, dirgli qualcosa o scapparsene negli spogliatoi.
Lui d’altro canto sembra un maniaco.
Si ridesta al suo secco «Che vuoi?» capace di distruggere quel castello di ricordi belli che la vedevano protagonista e che gliel’hanno resa sempre cara.
Corruga la fronte e subito la sua bruschezza prende il sopravvento «Ti lascio le chiavi. Di là non c’è nessuno. Chiudi tutto.» si dilegua e solo una volta fuori si accorge di averle rifilato una specie di telegramma.
Non sa di preciso quanto sosti lì, fuori dalla porta.
Forse si aspetta un grazie che non ode, un bentornato che non arriva o un qualsiasi cosa che smetta di farlo sentire su di un altro pianeta.
La verità è che a Shibahime, di lui, non importa più nulla.
E nemmeno a lui dovrebbe importare qualcosa.

  

 

Nanaka fa danzare l’indice e il medio sul suo torace.
Bofonchia numeri, passi di danza che non conosce e il tutto termina con cerchi concentrici sulla pelle bollente, nonostante la brezza proveniente dalla finestra aperta gli stia dando un po’ di refrigerio.
Scosta le coperte di lato, lasciando che le gambe lunghe possano districarsi da quelle ragnatele incandescenti. Sta andando a fuoco e il seno di Nana che preme contro il suo corpo non gli è d’aiuto.
Arriccia ciocche dei suoi lunghi capelli castani fra le dita, abituato ormai a farlo con quelli di sua sorella quando non riesce a prendere sonno o quando deve tranquillizzarla. I capelli di Nana sono morbidi, sembrano seta al tatto; sono così diversi da quelli crespi di Shiba, con quei nodi difficili da districare.
«Hai cambiato profumo?» mormora Nana ad un tratto, il naso arricciato mentre gli solletica il collo.
«Mh?»
«Le coperte sanno di lavanda» constata assonnata, reprimendo uno sbadiglio «Mi piace. E’… Familiare.»
Sendoh sgrana gli occhi, il sonno ormai passato.
Vorrebbe confessarle che Shiba si infila fra le sue coperte quasi ogni notte, perché spaventata da incubi che la tengono sveglia, ha però imparato a tenere queste cose per sé da quando sua madre ha cominciato a sollevare obiezioni, dicendogli quanto tutto quello sia sbagliato.
Ha il timore che la Itou possa pensare la stessa cosa, non riuscirebbe a reggere il suo sguardo critico.
Si limita ad alzare le spalle «Sarà il nuovo detersivo» Nana scuote la nuca, farfugliando cose a caso, Akira cambia discorso «Shiba mi ha detto che sono venuti dei teppisti nella vostra scuola… E’ così?»
«Aha. Hanno fatto un po’ di casino al club di basket.»
«Il club di basket? E perché?»
«Ma boh, sai che in quella scuola sono tutti spostati. Ma dove l’ho già sentito?» Akira ride di fronte alla sua schiettezza, Nana continua ad annusare le coperte «Ti ha raccontato tutto?»
«Nah. Ha solo accennato qualcosa.»
«E ti ha detto chi ha scatenato la rissa?» Akira smette di carezzarle i capelli e Nana si drizza sui gomiti, guardandolo seria seria «Non te l’ha detto...» tuffa il volto nel cuscino, mangiucchiando un nugolo di imprecazioni che solleticano la sua ilarità; la gomitata fra le costole che riceve poco dopo, però, tarpa ogni risata «Sapevo che non te l’avrebbe detto. Non è importante un corno!»
Il suo borbottio si cheta in un silenzio teso, di quelli che Akira solitamente evita di spezzare. Eppure c’è qualcosa che non va nella cripticità di Nana, nel suo preferire spiluccare il cuscino anziché far girovagare le dita sul suo corpo.
Pensa inoltre che Shiba è piuttosto sfuggente quando tira fuori l’argomenti “rissa”, i suoi occhi si velano di fastidiosa malinconia e terrore e lui non può fare altro che invitarla a dormire con lui, perché il suo andirivieni nevrotico nel corridoio lo fa solo agitare di più. Gli ricorda la Shiba di tanti anni prima, quella che litigava al telefono e si chiudeva in mutismi talmente infrangibili da far imbestialire Madoka; quella che si svegliava nel bel mezzo della notte e se ne andava in veranda indossando una delle larghe tute di suo padre, sorseggiando della tisana mentre Kyosuke sbadigliava fingendo di leggere dei libri, pur di non lasciarla sola.
Un pensiero fugace sfreccia nella sua mente, forse è quello che può dargli ogni risposta ma prima che possa afferrarlo, Akira è assalito dal vago timore che addentrarsi in tutto quello non gli piacerà affatto.  
I silenzi di Shiba, gli incubi incessanti e i pianti nascosti lo mettono però in allarme e si ritrova costretto, suo malgrado, a invischiarsi in tutto quello.
Cattura l’attenzione di Nana solleticandole la schiena «Chi è stato?»
La ragazza lo guarda attraverso la persiana di capelli castani, traccia il suo viso con l’indice «Mitsui.»
«Mitsui… Quel Mitsui?»
«Certo che è quel Mitsui! Quanti Mitsui conosci?!»
Guarda il soffitto «C’è il signor Mitsui che vende i panini in pausa pranzo, il signor Mitsui che lavora nel negozio di pesca, la signora Mitsui che faceva le pulizie da noi, c’è anche un Mitsui al Ryonan--»
«Hisashi Mitsui!» gli tira un orecchio «L’ex di tua sorella, l’ex Mvp, quello che si è spappolato il ginocchio e si è dato alla mala vita! Quello che ha lasciato Shiba, ricordi?»
Le sorride appena, mormorando un vago «Ah, lui. Certo.»
Akira ha sempre pensato che Shiba avrebbe amato solo e soltanto lui, ci sarebbe stato Akira e basta.
Ci ha creduto per qualche anno, quando non si scollava mai da lui, andava a vederlo ad ogni allenamento o partita e il modo in cui lo guardava lo faceva davvero sentire una specie di supereroe. C’era qualcosa nei suoi profondi occhi scuri, poteva scorgerlo ogni notte che passavano svegli a fissarsi, risvegliandosi abbracciati.
Poi nei loro discorsi è entrato Mitsui, senza preavviso.
Il modo in cui lo descriveva, il brillio nei suoi occhi quando ne parlava, il tingersi delle guance quando si preparava per andare ad un appuntamento, il dormire nel proprio letto senza essere preda degli incubi… Si era innamorata e lui aveva fatto i conti con l’urticante sensazione di dover condividere il suo cuore con qualcuno.
Si rende conto però che la cosa peggiore, in tutta quella faccenda, non è stata la propria incapacità di sapersela tenere stretta quanto più la propria inabilità nel donarle protezione, nell’evitate che precipitasse in un baratro di disperazione talmente profonda da impedirle di godersi i suoi diciassette anni.
Akira ricorda ancora vividamente il giorno in cui tutto è andato a rotoli.
Ha ancora davanti agli occhi il suo sguardo vacuo e la costante sensazione che sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro, anche se poi nessuna lacrima è stata versata.

«Mi ha lasciato.» ha detto prima di chiudersi in camera.
Da allora ha solo smesso di nominarlo e la Shiba dai capelli rossi è sparita dietro una ragazza dai capelli scuri che fatica a riconoscere, che è spaventata dal passato e preferisce scappare anziché affrontarlo.
Che è divorata dagli incubi, che non mangia e che preferisce sfiancarsi pur di non dover pensare.
Corruga la fronte.
E’ divorato dalla bruciante sensazione di star ricommettendo gli stessi errori, Shiba sta andando fuori controllo e lui non sta facendo nulla per aiutarla.
Forse dovrebbe parlarle, forse--
Nana gli pizzica una guancia, la guarda confusamente.
«Oi, cos’è quella faccia?»
«Quale faccia?»
«Quella da: il mondo ha bisogno di me ma il costume da supereroe è in lavanderia» sbotta spiccia, strappandogli un traballante sorriso «Non devi essere in pensiero.»
«Non dovrei?»
Nana torna a far danzare le dita sul suo petto «Non puoi fare nulla per lei, lo sai. Ci si deve tirare fuori da sola.»
«Sì ma--»
«Mitsui non è più il cretino che fa a botte, che la chiama perché è grondante di sangue e ha bisogno di cure… E’ cambiato» storce il naso «Certo, fa ancora schifo in storia però è tornato a giocare a basket.»
«Ah.»
«E ogni tanto riesce a prendere qualche sufficienza.»
«Ah.»
«E non salta neppure una lezione.»
«Ah.»
«E si è tagliato i capelli.»
«Ah.»
«Se dici ancora Ah, giuro che ti mozzo le mani!»
Akira ingoia l’ennesimo Ah «Quindi è cambiato.»
Nana sospira di fronte al suo scetticismo «Lui ce la sta mettendo davvero tutta per migliorarsi. Ma credo che Shiba non lo veda.»
«Magari non vuole vederlo. Nana…» la chiama piano «Shiba ne ha sofferto troppo.»
«… Lo so» mormora poco dopo, mangiucchiando l’interno delle guance «E’ che una seconda possibilità potrebbe dargliela. Tutti meritano una seconda possibilità, no?»
La sveglia sul comodino suona, segna le 19.00; Akira lascia che la sua domanda sfumi nel silenzio. 
Il fruscio delle coperte lo fa rabbrividire.
«Devo andare.»
«Di già?»
«E’ tardi.»

In realtà è ancora presto…
Vorrebbe chiederle di restare, ma Shiba potrebbe rientrare da un momento all’altro e comunque sa che Nanaka non si tratterrebbe.
Non l’ha mai fatto, non lo fai mai e forse mai lo farà.
Si prende ciò di cui ha bisogno e nel silenzio di parole mai dette se ne va, calandosi dalla finestra fino a toccare terra con invidiabile leggiadria.
Lui d’altro canto resta a fissare per ore le tende svolazzanti, quasi si aspettasse di vederla ricomparire con vellutati 
«Mi sono accorta che voglio restare», con baci incandescenti e lenzuola che si appiccicano alle pelli madide di sudore.
E’ un odore denso quello che impregna la stanza in quei momenti, a volte teme che sia talmente forte che anche Shiba potrebbe accorgersene.
«Non dirle che abbiamo parlato di Mitsui.» il suo corpo scivola dalla sua presa neppure troppo salda, facendo così sfumare ogni fantasia o speranza -ormai non sa più che nome attribuire loro-.
«Ti pare?!» si mette a sedere «Ehi Shiba, io e Nana, sì insomma la tua migliore amica, mentre lo facevamo abbiamo parlato un po’ del tuo ex.»
Nana lo fulmina con lo sguardo «Spiritoso…» si avvolge nelle lenzuola e riprende ad annusarle.
Akira rotea gli occhi.
«Si può sapere cosa c’è?»
La Itou inspira profondamente prima di lasciarle cadere; freme al pensiero che dovrà aspettare chissà quanto ancora prima di potersi ristringere quel corpo «Le coperte…»
«Cos’hanno?»
«… Profumano di Shiba.»


I giorni scorrono pesanti.
Shibahime li passa guardando fuori dalla finestra, Mitsui sonnecchiando sul banco.
Si scambiano saluti fugaci in classe, in palestra, ma non vanno oltre il banale Ciao che suona comunque di cortesia.
Lui ha lo sguardo di chi il passato se lo è lasciato alle spalle, lei di quella che ne è profondamente dipendente.
Nana dice che dovrebbe provare a parlargli o a far finta che nulla sia accaduto ma Mitsui, per lei, rappresenta la bambina dai capelli biondi, quella che all’orfanotrofio le rubava il cibo, i vestiti puliti, le coperte e la picchiava in giardino se non eseguiva gli ordini.
A Shiba sembra di essere ritornata al Sacro Cuore: scappa e si nasconde per non venir presa dalla bambina bionda.

 
Tetsuo ignora il suo andirivieni senza battere ciglio, con la sigaretta pendente dalle labbra e il telecomando fra le mani.
Zigzaga fra i canali ma Mitsui continua a sfilargli di fronte, impedendogli di guardarsi un programma che sia uno.
Ha i capelli più corti, conferiscono ai suoi lineamenti un aspetto decisamente più mascolino; per poco non ha ingoiato la sigaretta quando se lo è ritrovato davanti tutto sorridente fresco di parrucchiere.

«Sei il primo che mi vede così.» gli ha detto tutto felice e Tetsuo non sapeva se esserne rabbrividito o onorato.
Vorrebbe dirgli qualche cazzata tipo «Lo sai che ti donano?», ma non vuole mostrarsi troppo sentimentale di fronte a quel coglioncello che lo cazzia perché le canottiere sono piene di sangue rappreso.
«Cazzo sei diventato? Mia madre? E levati da lì, non riesco a cambiare!» un movimento sbagliato lo costringe dolorante sul divano, appiattendosi pur di chetare le fitte allo stomaco.
Quello stronzo di Sakuragi l’ha pestato per bene, non era ridotto così dai tempi in cui era un novellino nel campo delle risse.
«Se fossi tua madre, ti avrei già preso a calci in culo da quando sei nato.» ghigna in sua direzione, mostrandogli la fila perfetta di denti bianchi.
«Tsk, insultato da uno che porta la dentiera a diciassette anni.»
Mitsui si volta di scatto, rosso in viso «Non ho la dentiera! È un ponte!»
«Dentiera, protesi, chiamala come cazzo ti pare. Sempre roba finta è.» si ferma su un canale che trasmette un incontro di wrestling. Fantastico… L’energumeno che ha appena steso l’avversario ha i capelli rosso Sakuragi. Gli infami scherzi del destino…
«Non potevo andare a scuola senza denti.» si difende mite, triando su le magliette sporche.
Tetsuo lo guarda di traverso «Paura che le donne ti rifiutino senza quelli?» il ragazzo si perde in imprecazioni varie e colorite che beano le sue orecchie «Fossi in te, temerei più per i tuoi trascorsi che per i denti.»
«Come se me ne fregasse qualcosa.»
«Vuoi farmi credere che non ti interessa la montagna di figa che gira là dentro?» sogghigna «Certo, le vostre divise fanno davvero cagare, però--»
«Mi interessa solo il basket, ora come ora» si gratta la nuca, si guarda la mano come se mancasse qualcosa «Non ho tempo per le ragazze.»
«Il tempo per le ragazze lo si trova sempre.»
«Non quando il Gorilla ti tiene chiuso in palestra fino alle otto di sera.»
«… Quel tipo avrebbe bisogno di scopare.»
Mitsui scoppia a ridere, lascia cadere il discorso ragazze insieme alla pila di magliette smesse, logore e sporche d’olio di motore.
Vorrebbe chiedergli se ha rivisto la sua Ragazzina dai capelli rossi, come l’ha adorabilmente rinominata in quegli anni ogni qualvolta volesse rompergli i coglioni.
Quel demente ne è ha ancora perso, ci si gioca le palle.
Mitsui sfreccia davanti a lui con una pila di magliette fra le braccia.
Per un attimo pensa che non se lo ritroverà più fra i piedi, che sarà talmente assorbito dal suo mondo da dimenticarsi di lui e di tutto ciò che hanno passato assieme. Ma un pensiero fugace passa per di là, lasciandogli un amarezza tale da spingerlo a comportarsi da persona assennata –almeno per una volta-: che Hisashi, ormai, non ha più nulla da che spartire con lui.
Fa un male atroce pensarlo, figurarsi dirglielo per davvero.
Hisashi sparisce in bagno, litiga con la lavatrice che perde acqua e ricompare dopo una vita tutto sudato, nemmeno avesse dovuto aggiustarla lui stesso.
Lancia un’occhiata all’orologio, borbotta qualcosa sugli allenamenti e sul suo essere in ritardo «Vuoi che faccia altro?» chiede mentre prende il borsone.
E’ a quel punto che glielo dice, che tanto un momento vale l’altro…
«Cenerentola…» lo guarda serio, Mitsui ricambia lo sguardo con confusione «Smetti di venire qui.»
Hisashi inclina il capo, lo fissa come se fosse pazzo e l’unica cosa che riesce a blaterare è uno sconnesso «Cosa? Che?» che Tetsuo accoglie con un grugnito.
«Oh, hai capito benissimo» cambia canale «Non è più la tua vita, questa.»
«Lo dici solo perché mi sono tagliato i capelli--»
«Mitsui, non sto scherzando» Tetsuo si solleva sui gomiti «Smetti di venire qui. Hai scelto il basket, la scuola, la dentiera--»
«Ancora con questa storia della dentiera--»
«E’ la vita che più ti si addice.»
Mitsui abbassa lo sguardo e abbozza un sorriso «Non ero portato per quella di prima? È questo che vuoi dirmi?» domanda candidamente.
«Già…»
«Nh. Non sono mai stato bravo a picchiare la gente.»
«Fai cagare» sbotta «Steso da un bonsai, non posso crederci.»
«Ma se salta come un Pincher! L’hai visto anche tu, no?!» il ragazzo alza un medio quando gli scoppia a ridere in faccia, lo stomaco gli fa un male cane «Bah, io vado. Sono in ritardo. Passo appena ho tempo!»
«Non hai capito un cazzo di quello che ho detto?! Basta venire qui!» il ragazzo sventola una mano «Mitsui, se ti ripresenti qui, giuro che ti spacco la faccia.»
Mitsui sorride prima di chiudersi la porta alle spalle «Non lo farai!»
Sente i suoi passi correre frenetici per le scale malandate.
Tetsuo si lascia cadere sul divano, esausto.

«… Già, non lo farò.»


Buondì
Credevo  che oggi non sarei riuscita a postare un bel niente, e invece… Sia ringraziata la mia ormai incapacità di riuscire a dormire fino a mezzogiorno come ne sento la mancanza T.T

Avrei un mucchio di cose da dire sui miei capitoli ma quando arriva il momento, me ne dimentico completamente. Mi soffermo solamente su Mitsui e Shiba che hanno avuto il loro non-incontro, se così vogliamo chiamarlo, e per quanto possa far storcere il naso, non potevo fare altrimenti. Insomma, ci sono ancora un mucchio di cose che non si sono detti, non posso farli parlare come se in mezzo non ci fosse nulla xD Mi sarei odiata se lo avessi fatto.

Ma abbiate fede, prima o poi questi due dovranno affrontarsi ;)

Passerei ai ringraziamenti, che sono sempre dovuti e, in fondo, sono una delle parti che preferisco: a ReginaMills89, pinkjude, Ice_DP e LuMiK va il mio affetto, siete sempre carinissime

Ringrazio anche i lettori silenziosi e chi ha aggiunto la storia fra le seguite/ricordate/preferite.

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** But don't look back in anger, I heard you say ***


capitolo 6

19 maggio. Mattina.
Mitsui lascia oltre la porta di casa un secco «Vedi di non piantare grane!», che sua madre gli ripete da quando i capelli gli sono cresciuti e il resto è andato un po’ a puttane.
Poco importa che non risponda più male e passi i pomeriggi liberi sui libri –rileggendo venti volte le stesse cose perché proprio non gli entrano in testa-: lui, per loro, resterà sempre il ragazzo che ha buttato all’aria un futuro promettente solo perché troppo orgoglioso per lasciarsi aiutare.
Si passa una mano fra i capelli, gli fa uno strano effetto sentirli così corti. E gli fa anche strano riavere i denti davanti, se per questo--
«Mitsui-kun, stai andando alla partita?»

 

Mo Chùisle

Capitolo 6
But don't look back in anger, I heard you say

“Karen: Ho ricevuto il tuo messaggio.
Lip: Quello in cui ti dicevo di andare a farti fottere?
Karen: … E’ stato bello sentire la tua voce.”

                                                                                                          -Where There's a Will [3.08], Shameless-

Quel mercoledì si tinge di scuro.
E pensare che era stata una così bella giornata, fino a pochi minuti prima.
Davanti a Mitsui si staglia una snella ragazza che indossa la divisa regolare della sua scuola e un sospiro di sollievo gli sfugge, liberatorio. Per un istante ha temuto che qualche ex fosse venuta a reclamare soldi, tempo, amore e un sacco di cazzate che lui chissà dove ha smarrito, ma non ha nessuna ex allo Shohoku, quindi… Ah!, beh, merda…
Una c’è. Più o meno.
Però questa specie di betulla che gli galleggia intorno non ha lunghi e ricci capelli rossi, non ha grandi occhi da cerbiatto e non è alta quanto un bonsai.
Gli si affianca e Mitsui capisce che non ha molto tempo per pensare a come si chiami o cosa voglia da lui, di prima mattina, proprio nel giorno del suo trionfale ritorno al mondo del basket.
«Allora?»
«Ahm, già…» Ma dove cazzo l’ho vista questa?!
La ragazza si incammina e lui, seppure con scetticismo, le è subito dietro. Ha lunghi capelli castani che le carezzano la vita, legati con un fiocco nero a pois blu che ben si intona a quel paio di occhi che lo hanno frastornato per una manciata di secondi.
La segue in silenzio, grattandosi la nuca mentre fa sfilare le tessere mentali su cui ha annotato nomi e cognomi delle ragazze con cui è stato nei suoi anni bui.
Zero, vuoto, nada de nada, tabula rasa…
La ragazza sembra cogliere i suoi pensieri, perché con invidiabile placidità dice «Tranquillizzati, non sono una tua ex.» e lui vorrebbe solo sprofondare.
Per poco la mascella non gli rotola per terra «Questo lo so! Ho ben altri gusti, io.»
«Già, a te piacciono le rosse…» Cosa?! «Allora, contro chi giocherete questa mattina?» gli trotterella al fianco con invidiabile placidità, decide però di non dissuaderla dal camminare con lui, teme di ritrovarsi appeso per le palle in qualche viuzza sperduta.
E poi chi lo sente il Gorilla, se arrivasse in ritardo? E anche la sua vita sessuale avrebbe di che lamentarsi…
Ancora sconvolto da quanto appena udito, cammina come un automa e per un attimo è tentato di tornare indietro e farsi rimproverare da sua madre per tutti quei casini che ancora non ha combinato; così, tanto per sfuggire a questa squinternata.
«Il Miuradai…»
«Oh, sei agitato?»
«Veramente--»
«Non dovresti esserlo.»

Ma non lo sono, infatti!, «E sentiamo… Perché non dovrei?»
Lei lo guarda con sufficienza, la cartella sfrega sulla gonna a pieghe «Perché la loro squadra di ginnastica fa schifo, quella di basket non può essere messa tanto meglio.» snocciola con serietà, facendo calare un silenzio che Mitsui vorrebbe rompere a suon di testate contro il primo palo.

Ma questa pazza da dove cazzo è uscita?!,
questo pensiero continua a martellargli in testa per l’intero tragitto e l’idea di chiederle come si chiami o da quale pianeta sia atterrata non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello.
«Tu non hai idea di chi io sia, vero?»
«No davvero.»
La ragazza rotea gli occhi blu «Nanaka Itou, capitano della squadra di ginnastica ritmica. Siamo in classe insieme, se non te ne fossi accorto tra un pisolino e l’altro.»
Mitsui stringe le mani intorno al borsone, indeciso se mozzarle la testa o le gambe, così che possa soffrire in eterno.
«Cosa--»
«Tranquillo, ti perdono» Mh, beh, che misericordiosa… «Ma solo perché sei prosopagnosico

Cosa sarei?!
«… Mi sta scoppiando la testa.» confessa affranto, il capo pesante che gli cade in avanti mentre il accelera il passo.
«Le prime conversazioni colte fanno sempre quest’effetto.» gli dà una pacca sulla spalla, lo compatisce come se fosse un povero cretino. O Hanamichi Sakuragi.
«Hai per caso intenzione di accompagnarmi ancora per molto?»
«Ehi, non è colpa mia se la scuola è in questa direzione.» cinguetta con un sorriso furbetto, facendogli salire brividi e bile.
Hisashi si crogiola nel silenzio che segue questo scambio di inutili convenevoli. Sente che forse, almeno per educazione, dovrebbe presentarsi ma ha il sentore che quella lo conosca più di quanto lui conosca sé stesso.
C’è però un tarlo che lo pizzica, in mezzo alla confusione generale che regna nell’androne di quella villa con piscina che è la sua mente: squadra di ginnastica? Possibile che sia amica della Sendoh? Non che gliene freghi qualcosa, ovvio, però la curiosità lo sta divorando…
«Hai detto che fai parte del club di ginnastica?»
«Aha… C’è anche Shibahime, visto che ti interessa saperlo.»
«Ma io non ti ho chiesto nulla!»
Se Mitsui fosse un oggetto, in quel preciso istante sarebbe una bomba pronta ad esplodere. Anzi, no, sarebbe il fungo atomico che segue la detonazione della bomba. Peccato non sia radioattivo, così da lasciar stramazzare al suolo quella rompicoglioni della Itou.
La ragazza arcua un sopracciglio «Vuoi farmi credere che non ti interessa?»
«No che non me ne frega! Perché dovrebbe?!»
«Oh, così… Pensavo.»
«Pensavi male!»
«Pensavo male, certo…» ghigna, la stronza «E’ per questo che sei rosso come un peperone?»
«No, è solo un principio di detonazione» il passo si fa più pesante «Sai cosa me ne frega di quella.» rimugina serio, spazzando via il mucchio di ricordi che poppano nella sua mente come funghi.
Solo perché ha ripreso in mano la sua vita, non significa che voglia renderla partecipe.
Shibahime è stata una bella parentesi dei suoi giorni felici ma è stata lei a decidere di tagliarsene fuori proprio quando aveva più bisogno di aiuto.
Diceva che conciato in quel modo, la spaventava… Come se nemmeno lui si facesse paura!
Nemmeno si immagina il casino che gli ha lasciato dietro, questo però sembra pensarlo solo lui.
«Quella… Pensavo che ti importasse qualcosa della tua ex.»
«E’ una ex, sai cosa me ne frega di una ex--» Mitsui si ferma «Come—Che?!» come Diavolo fa quella squinternata a sapere che lui e Shibahime sono stati legati sentimentalmente?
E pensare che avevano nascosto bene la cosa…
Nanaka lo guarda oltre la spalla «Siamo amiche, credevi che non mi avesse mai parlato di te?»
Quelle parole fanno scattare i suoi neuroni appisolati.

Aspetta, momento, aspetta aspetta aspetta!
«Ma tu sei quella Nanaka Itou!» l’indice ondeggia su e giù, Nana lo fissa con le sopracciglia arcuate e l’aria di chi vuole chiamare la neuro «Quella di cui Shiba mi parlava sempre! La stronza che la teneva agli allenamenti fino a tardi!»
«La stronza?»
«Ma sì, ogni volte che le chiedevo di uscire diceva sempre: Nanaka vuole che resti ad allenarmi un po’ di più!» la imita con voce stridula.
«Quella è Shiba o un maiale agonizzante?»
«Shiba, ovvio.»
«Ah, pensavo un maiale agonizzante…»
«Sai quante litigate ci siamo fatti per colpa tua? Ti ho soprannominata l’Arpia
«Quanta maturità» freccia caustica  «Quindi litigavate per colpa mia, certo.»
«Ah, beh… Mh.» beh, forse la colpa era pure un po’ sua, ora che ci pensa…
«Non hai mai pensato che, magari, non voleva passare il tempo con te?» butta lì noncurante, guardandolo di sottecchi.
«E perché mai?!» Mitsui riprende a camminare di malavoglia; quel discorso gli brucia lo stomaco e il cervello.
«Perché negli ultimi due anni non sei stato esattamente un fidanzato modello.» analizza spiccia, rifilandogli un sorrisetto dolciastro.
Mitsui vorrebbe triturarla e gettare i brandelli del suo corpo nel primo cassonetto che trova. Quella Itou è capace di farlo sentire enormemente in colpa senza neppure recriminargli nulla.
Non lo guarda come se fosse un poveraccio che ha gettato la propria vita all’aria e ora torna con la coda tra le gambe, non lo tratta come un appestato. Non c’è pietà nei suoi sorrisi né disprezzo nei suoi sguardi, si comporta da semplice spettatrice che cerca di capire cosa diamine stia accadendo.
Peccato che Mitsui si senta un attore orribile costretto ad improvvisare.
«Nh.» grugnisce il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli.
«Hai già parlato con lei?»
«No.»
«E cosa aspetti a farlo?»
«Non aspetto nulla! Non me ne frega niente, non--»
«E’ per questo che la ignori?»
Vorrebbe dirle che la ignora semplicemente perché Shiba è la prima ad ignorarlo, che la scottatura per essere stato lasciato su di una spiaggia gli brucia ancora, perché ha paura di rivedere nei suoi occhi quel terrore che piano piano l’ha portata via da lui.
«Lei ignora me.» si limita a dire.
«Lei ha i suoi buoni motivi, ma tu?»
Anche lui ha i suoi buoni motivi, che crede?! Che lì l’unica ad aver sofferto sia la Sendoh? Perché nessuno si ferma a chiedersi perché mai le cose siano andate così, che forse non è stato solo lui a rovinare quel che di bello avevano?
Si sente soffocare da tutto ciò che di buono ha fatto per lei, che è stato polverizzato nel momento in cui ha deciso di intraprendere una vita in cui non voleva coinvolgerla.
Sembra essersene dimenticata mentre in lui sono ancora vividi i ricordi delle cose buone e belle che si sono dati senza riserve.
«Non saprei cosa dirle.»
«Le cose verranno da sé. Prima o poi vi dovrete affrontare» gli dà una pacca sulla spalla e svolta l’angolo «Beh, io vado di qua. In bocca al lupo per la partita.»
«Voi non fate le gare?»
«Iniziamo settimana prossima» sventola la mano «Au revoir!»
Mitsui se ne resta impalato all’entrata della metropolitana, fissando la sua schiena stretta. È stata una chiacchierata inutile, di quelle che dimenticherà nell’arco di uno sbadiglio.
Però qualcosina resta sempre, un dettaglio, una parola…

Nanaka si volta «Coraggio, è appena cominciato il secondo tempo.»

… La completa sensazione di dover ancora aggiustare un mucchio di roba, quella non se la scorderà facilmente.


Hanamichi sta facendo un casino infernale, continua a ripetere che senza di lui le sorti della partita sono segnate, che il suo incommensurabile genio li porterà alla vittoria e stronzate talmente abissali da spingerlo a disconnettere il cervello.
Agaki, sotto canestro, se potesse se lo mangerebbe.
«Ehi, Baciapiselli?» lo chiama con quel suo sorriso scemo «Ti sei svegliato senza dentiera, questa mattina?»
«No deficiente, ho appena scoperto di essere prosopagnosico.»
«Ugh! Spero non sia contagioso!» sbrodola Hanamichi, pulendosi il braccio.
«La tua idiozia è contagiosa.»
«Cosa hai detto, Rukawa?!»
«State per caso litigando, ragazzi?»
«No, allenatore, noi ci vogliamo bene!» Miyagi sventola le mani, fulminando il genio ora impegnato a mandare maledizioni fra i denti all’impassibile Kaede, spalmato sulla panchina.
«Ohohoh, bravi ragazzi.»
«Maledetta porchetta!»
Miyagi stacca la testa a Sakuragi –o almeno ci prova-; Rukawa sbuffa; Hanamichi delira.
Mitsui vorrebbe solo sapere che cazzo è la prosopoagnosia.

 

 

Akira scopre come sia fatto Hisashi Mitsui solo quando il poderoso vocione di Uozumi si leva alto fra gli spalti, con quel «Ma quello è Hisashi Mitsui delle medie Takeishi!» a metà strada fra un ruggito e un verso alla King Kong.
Shiba non è mai stata molto dettagliata nelle sue descrizioni, limitandosi ad un vago
«Ha dei bei capelli, begli occhi, è bello tutto!», che lo rendevano sempre meno immaginabile.
Vane sono state le richieste di Madoka affinché lo portasse a casa, vani sono stati i tentativi di pedinamento di suo padre -che probabilmente stava attraversando la fase Mia figlia è mia-.
Akira non le ha mai chiesto di presentarglielo, la gelosia era troppa.
Era lei che si perdeva in entusiaste descrizioni su come fosse un giocatore eccellente, che aveva addirittura un suo fan club con stuoli di ragazzine adoranti, e che
«E' bello come la fila di lanterne che invadono il fiume durante l'Obon», una descrizione che l’ha sempre fatto ridere ma per Shiba quelle lanterne sono sempre uno spettacolo mozzafiato.
Sa solo che era un vero e proprio cecchino nei tiri da tre punti, che il titolo di Mvp se l’era guadagnato ma ciò non era granché servito a donargli una forma.
Restava un punto di domanda con in mano una sfera arancione.
Solo ora tutti i contorni sbiaditi assumono connotazioni graduali e più vivide e Akira giunge ad una lacerante conclusione: non è come se lo era immaginato.
Alla sagoma di Leonardo Di Caprio che va a canestro va sostituendosi quella di un comune diciassettenne che tira la palla dalla linea dei tre punti senza fermarsi a pensare, in uno quei tipici gesti da fiato sospeso e con un’eleganza invidiabile che Shiba ha sempre decantato.

«C’è elettricità nell’aria quando tira.» è stato il suo commento quando le ha chiesto cosa ci trovasse di così stratosferico nel suo modo di giocare; proprio lei, che nonostante gli anni trascorsi con lui sul campetto da basket, ancora non sa distinguere un Alley Hoop da un Tap-in.
E Akira la può sentire, l’elettricità, è palpabile.
Si perde nel chiacchiericcio concitato dei compagni di squadra e nel compulsivo «Devo prendere appunti!» di Hikoichi.
Koshino si stacca dalla balaustra e getta la testa all’indietro «Quindi nello Shohoku c’è quel bestione di Akagi.»
«Già…»
«E quella scheggia di Miyagi.»
«Eh…»
«E Rukawa, che è una specie di te solo meno bravo.»
«Ah, una specie di me, sì.»
«E Mitsui, che è un ex Mvp.»

E un ex di mia sorella.
«E Sakuragi! Non dimentichiamoci di Sakuragi!» scatta su Hikoichi, balzando sul posto come una molla.
Uozumi lo cheta con un imbufalito «Quell’idiota è il male minore!» e il ragazzino torna a sbrodolare su come debba prendere appunti, altrimenti rischiano di cadere nel baratro.
Koshino si scompiglia i capelli a scodella.
«Direi che è un bel casino.»
Akira sorride appena.
«… Puoi dirlo forte.»
Koshino non avrebbe potuto trovare parole migliori.

 

 

Shiba addenta un polipetto di carne, lo mangia con lentezza per cercare di non rimettere.
Ha saltato troppi pranzi, il suo stomaco si è abituato a non ricevere cibo fino a che non rincasa a sera tardi.
Se mangia, o almeno ci prova, è solo perché Nanaka fissa ogni suo gesto, accertandosi che mandi giù e che non sputi una volta datele le spalle. Le ricorda le signora che c’era all’orfanotrofio, quella che controllava per vedere se rifaceva il letto o se finiva tutti i broccoli e le carote. Se ne stava sull’uscio con le mani grassocce sui fianchi, scrutava ogni angolo con i suoi occhietti piccoli e sottili come quelli di un falco e bacchettava le mani dei bambini che non ubbidivano.
Alcuni segni rosati sono ancora rimasti sulle mani sottili, ricorda che Mitsui gliele baciava quando non riusciva ad addormentarsi perché accerchiata da incubi.
Ha smesso quando le risse sono diventate la sua priorità.
«Certo che si sente la sua mancanza...» la voce di Nanaka scioglie i suoi ricordi; fissa il banco vuoto di Mitsui «Quel russare di sottofondo cominciava a piacermi.»
«Mi fai passare l’appetito.»
«Esagerata…» storce il naso «Dovresti cominciare a parlargli. Non so se l’hai notato, ma è piuttosto diverso dal teppista che bestemmiava in classe.»
Shiba reprime a fatica un sorrisetto, memore delle urla dei professori di fronte alle colorite espressioni che Hisashi era solito usare quando non capiva niente.
Sente però che tutto non può sistemarsi così facilmente.
Le cose belle continuano a sfumare nel ricordo di tutto ciò che di brutto c’è stato tra loro. Le notti passate a piangere per gli insulti ricevuti ingiustamente, il suo trattarla con rabbia quando provava ad aiutarlo col suo ginocchio malandato… La costante sensazione di essere tornata ad essere il vestito in vetrina che tutti vogliono ma poi nessuno compra per una serie di motivi che la fanno sentire sbagliata.
Gli anni passati con Hisashi, quelli bui, non sono poi così diversi dagli anni trascorsi al Sacro Cuore.
«Non mi va.»
«Non ti va?»
«Non mi va di parlare con qualcuno a cui non ho nulla da dire.»
«Di cose da dire ce ne sarebbero, invece.» seguita Nana con voce punzecchiante, di quelle che stimolano il suo inascoltato senso di colpa a guaire.
«Tipo?»
Nanaka giocherella con le bacchette «Mah, puoi sempre chiedergli come vanno gli allenamenti, se il ginocchio gli fa ancora male, se i suoi lo trattano ancora come un rifiuto umano, se imparerà mai che Lenin e Stalin sono due persone diverse» la sua voce si fa più bassa quando Tomoko si annuncia con una risata sguaiata, accompagnata dalle sue fedeli servette «Sei tu la sua ex, mica io.»
«Non abbiamo mai parlato di storia.»
«Questo perché siete due capre.»
«Ehi!»
«Quello che intendo è: vai avanti.» Shiba vorrebbe ribattere ma lo sguardo di Nana è talmente duro da farle ingoiare qualsiasi protesta.
Sposta i polipetti e si concentra sul riso con verdure che nemmeno sa nominare, mangiandone pochi chicchi alla volta «Magari neanche lui vuole andare avanti.»
«Oh andiamo, hai visto anche tu quanto si stia dando da fare per--»
«Con me, lui non vuole andare avanti con me» infila le bacchette nel bento, Nanaka la guarda con severità «Si è ripreso il suo adorato basket, sai che gliene frega del resto?»
«E il resto saresti tu?»
«Tutto! Tutto ciò che c’è intorno! Sai che me ne frega se ci sono anche io, là dentro.» spinge via il bento, l’appetito le è passato. Lo stomaco gorgoglia ma forse è solo la rabbia a farlo ribaltare.
Da quando i suoi genitori l’hanno abbandonata, Shiba è sempre stata abituata ad essere messa da parte, relegata a quel secondo posto che a volte la fa sentire un’inetta.
In casa è Akira il prediletto, lei è solo la nuova arrivata che ancora non ha imparato a comportarsi come Madoka vorrebbe. Quella che va a sbattere contro i mobili e le porte, che impreca ad alta voce quando le cose non vanno e che finge di dover studiare pur di non dover trascorrere dieci minuti in più coi parenti serpenti.
Nel club di ginnastica è Nanaka la stella brillante che da orgoglio alla squadra, lei è il braccio destro che si guadagna il podio per il rotto della cuffia. Che si dimentica i passi, sviene come una persa cotta negli spogliatoi e ha una dieta talmente altalenante da far sentire la coach sulle montagne russe.
Per e con Mitsui, è sempre stata messa dopo il basket e dopo ancora, erano le risse ad avere la sua completa attenzione. E la bira, e le uscite con i nuovi amici, quelli che la guardavano con un ghigno talmente sbilenco da farle salire i brividi, e le chiamate mai fatte e i weekend fatti di silenzi.
Non vuole risentirsi così, data per scontata.
La campanella suona, c’è un fuggi fuggi generale che le distrae dalla loro conversazione. Nana sposta il bento e il suo sospiro pesante è uno schiaffo in pieno volto.
«Io credo che lui si sia davvero pentito per tutto quello che ha fatto. E in quel tutto ci sei dentro anche tu» Shiba corruga la fronte, Nana sbuffa «Non dico che devi tornare ad essere la sua fidanzata ma almeno non guardarlo come fai tu sarebbe qualcosa.»
«Io non lo guardo in nessunissimo modo!»
«Oh, sì che lo fai…» le punta l’indice sulle pieghe della fronte «Lo guardi come gli altri guardano te: come l’orfana che non farà mai nulla di buono nella vita. E tu odi quando fanno così.»
Già, odia quegli sguardi.
Ma odia anche lui.
E odia Nanaka perché, nonostante tutto, ha sempre ragione.

 
Lo Shohoku batte il Miuradai per 114 a 51.
Mitsui per tutto questo tempo si è convinto che il boato del pubblico, il tifo dei compagni, i brividi nel vedere i punti aumentare sul tabellone grazie a suoi tiri da tre punti non gli sarebbero mancati. 
Sono superflui, attimi che scaldano per una manciata di secondi e di cui ci si dimentica una volta messo piede fuori dal palazzetto.
Si sbagliava.

 

 

Ci sono due date segnate in rosso sul calendario di Shiba: il 26 maggio, il giorno in cui iniziano le gare di ginnastica e il 23 maggio, quando tornano i suoi genitori.
Non sa dirsi per cosa sia più preoccupata.
Quando è a scuola pensa che dovrebbe pulire il soggiorno, togliere le erbacce dal giardino, stendere la biancheria e fare la spesa.
Quando è a casa, ripensa ai secondi che devono trascorrere prima di fare la rovesciata, a quanti passi sulle punte deve compiere prima di fare una capriola e recuperare il nastro, a quanti giri devono fare le clavette onde evitare che le finiscano sui piedi.
Ha troppo da fare e troppo poco tempo.
Passa gli ultimi giorni a casa, va a scuola solo per le due ore del club. Nana non è d’accordo che perda così tante ore ma è troppo concentrata sulle qualificazioni per darsi pena per lei.
L’aspirapolvere copre il macello che Elwood e Jake stanno combinando in un supermercato, alla televisione. Se Madoka fosse lì le direbbe qualcosa come
«Ancora con questo film?» ma per fortuna la sua voce un po' stridula è solo un vago ricordo capace di strimpellare le corde tese del suo intero essere. 
Incredibile come anche a mille miglia di distanza riesca a farla innervosire.

Akira rientra e le sorride in quella sua splendida maniera da capogiro, lasciando le scarpe della divisa all’ingresso.
Non le chiede di abbassare la musica né di lucidare meglio le vetrate del soggiorno; le mancherà questa libertà. Le dice solo che porterà fuori la spesa, che cucinerà del riso e che mamma e papà torneranno tra poco.
«Non vedo l’ora!» le dice sincero, svanendo sulle scale che portano di sopra.
Shiba pensa solamente che le mancherà non poter dormire più con lui.

 


Prosopagnosia: l’incapacità dei soggetti che ne sono colpiti di saper distinguere i volti delle persone.

L’Obon: La festa delle lanterne è un’antica celebrazione Buddista in onore dei defunti. Si celebra tra il 13 e il 16 agosto.

Alley Hoop: santa Wikipedia ci insegna che un giocatore effettua un passaggio alto, normalmente non teso, verso il ferro (senza tirare), mentre un compagno salta, afferra la palla al volo e la schiaccia o appoggia a canestro.

Tap-in: Se un giocatore salta a rimbalzo e, mentre è ancora in aria, corregge la palla a canestro, si parla di tap-in. Questa azione può essere fatta apposta per fare un passaggio e tiro o un assist (sia lodata sempre santa Wikipedia)

Elwood e Jake: I fratelli Blues, protagonisti del film I Blues brothers. Ah, la bellezza 

 


Sono in ritardo.
Sì, lo so, sono le mie solite due settimane accademiche ma vedendo la lunghezza e la poca corposità del capitolo avrei potuto pubblicarlo giorni fa. Mi vergogno anche un po’ a pubblicarlo dato che non accade praticamente nulla di eclatante ma è un capitolo di transizione in cui ho cercato di spiegare un po’ di cose e ammetto che mi serviva come trampolino di lancio per quelle che sono le varie sotto trame tra i personaggi. Per farmi perdonare, cercherò di pubblicare il prossimo in tempi decenti e di renderlo il meno noioso possibile!
Poi… Non sono solita
complimentarmi per i capitoli che pubblico, mi sembra inutile e stupido anche perché il giudizio finale spetta ai lettori, però questa volta voglio concedermi un minuscolo sfogo: ADORO LE SCENE TRA HISASHI E NANAKA. Punto. Non ce n’è, mi piace l’alchimia che ho creato per questi due beoti, è un tripudio di idiozia. Non lo so, si prestano a fare i cretini quando si trovano così vicini
Per concludere, ringrazio infinitamente Ace_DP e LuMiK per le recensioni al capitolo precedente -you made my day, sappiatelo- e i lettori silenziosi, grazie grazie grazie

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** (S)He took the midnight train goin’ anywhere ***


capitolo 7

Shiba si rigira fra le lenzuola appiccicate al corpo nudo. Quelle mattine i cuscini, il copriletto a scacchi, l’intera stanza sanno di Mitsui, dei suoi baci, dei suo gemiti sottili.
Sparisce nel silenzio quando il sole sta per sorgere e l’unica cosa che le lascia è un bacio fra i capelli rossicci, un «Ci vediamo dopo.» sussurratole con un sorriso.
Quel tiepido mattino di fine luglio le lascia una foto nella porzione di letto vuota. Nell’angolo destro sul retro c’è un “Mo chùisle” scarabocchiato. Il cuore le esplode nel petto, si sente amata.
Mitsui riesce a farla sentire a casa, dopo tanto tempo.

La realtà di Shiba è fatta di palleggi che hanno cullato i suoi sogni.
Suo fratello non c’è, la sua porzione di materasso è gelida.
Si alza su di un gomito e getta un’occhiata fuori, scostando la leggera tendina vicino al letto.
Akira si sta allenando.

 

Mo Chùisle

Capitolo 7
(S)He took the midnight train goin’ anywhere

“Nate: Le relazioni non sono mai semplici, ci devi lavorare ogni giorno. Non puoi aspettarti che tutto sia sempre perfetto e non restarne scosso quando non lo è. Quando mi sento imprigionato, devo solo pensare a tutti quei momenti in cui mi sono sentito sano e salvo e ricordarmi che questo può far passare i momenti di prigionia.
Brenda: Restare solo è la vera prigionia. Pensa a te, intrappolato in questo cazzo di vortice in cui pensi solo a te stesso. Che credo vada bene se sei interessante ma la verità è: nessuno è davvero così interessante.
                     
                                                               -The Trap [3.05], Six Feet Under-

                                 
23 maggio, mattina.
Il sole splende su Kanagawa e sul suo umore uggioso.
Poggiata contro la colonna della veranda, Shibahime osserva la figura di Akira che zigzaga sul campetto di basket, quello nel cortile dietro casa.
La brezza leggera scompiglia i suoi lunghi capelli scuri, trascinando dietro sé un mucchio di ricordi che le lasciano solo tanta malinconia.
Rivede la sé stessa di nove anni che tenta vanamente di smarcarsi da un Akira di otto, alto il doppio di lei, che fa finte che nemmeno un professionista e segna con una maestria degna di Bryant. E lei è lì, con due stecchi
che ricadono lungo i fianchial posto delle braccia, gli occhi scuri pieni di lacrime e in sottofondo c'è la sua risata limpida, priva di schernimento.
E poi ci sono i suoi «Vedrai che col tempo migliorerai!» e il suo crederci, perché Akira non le avrebbe mai detto una bugia. Fino a che non crescono e Koshino, con la sua fine garbatezza, le fa notare quanto schiappa sia in realtà. Da allora ha smesso anche solo di palleggiare, che tanto non c’è portata.
«Ti ho svegliato?» la palla entra nel canestro senza sbavature, Akira osserva le catene tintinnare.
«Nah, stavo fissando il soffitto.» mente, alzando le spalle.
«Un brutto sogno?»
Le labbra di Shiba si spiegano in un accenno di sorriso. Ma i sogni non dovrebbero essere belli? No, perché solitamente Mitsui li aveva sempre riempiti tutti e, Kami, non ricorda di essersi mai svegliata di colpo, con brividi e sudori freddi. C’era sempre stato il batticuore, un fiotto di calore che non accennava a spegnersi nemmeno se apriva la finestra e la costante sensazione di bruciare per il troppo desiderio.
«Una brutta realtà.» butta lì con noncuranza, scuotendo la nuca quando vede le sue sopracciglia aggrottarsi.
Vorrebbe accennargli del ritorno di Mitsui e di come tutto, ma proprio tutto, sembri esserle ritornato alla mente con una prepotenza che non può sopportare. Ogni via di Kanagawa le ricorda i baci spesi, le risate sprecate e le parole taciute o ingoiate per paura di rovinare quella bolla di perfezione in cui si rinchiudevano ogni volta che stavano insieme. A volte le pare di sentire ancora il "pluff!" che la bolla ha fatto poco prima di scoppiare, mostrandole quanto labile fosse ciò che credeva avessero costruito.
«Ho sentito mamma. Dice che tra poco arriveranno.» Akira spezza i suoi pensieri, un leggero sorriso gli addolcisce i tratti.
Shiba ricambia lieve, mormorando un «Bene…» poco convinto.
Un senso di vuoto si impadronisce di lei al pensiero che la voce acuta di sua madre riempirà i corridoi di casa, che le cene a tavola saranno incentrate solo su Akira, che ogni cosa che farà o dirà verrà meticolosamente sminuzzata e analizzata, così da far nascere una nuova discussione che si concluderà con uno sfiancato
«Dovresti tornare dalla dottoressa Nakamura. Fallo, per il tuo bene».
Quando Akira l’ha strattonata per le scale del Sacro Cuore con sottofondo la risata cristallina di Madoka e la mano di Kyosuke posata sulla spalla, Shiba ha creduto per un attimo di aver trovato il Paradiso o qualcosa che ci assomigliasse vagamente. Non avrebbe più dovuto fingere di essere una bambina perfetta perché i suoi nuovi genitori l’avrebbero amata incondizionatamente per quella che era, con tutto ciò che era incluso nel pacchetto: lacrime, incubi che non se ne vanno nemmeno con la lucina accessa nella camera da letto, solitudine che divora ogni brandello di gioia e quella scomoda sensazione di essere un'estranea, qualunque cosa sarebbe potuto accadere.
Altrimenti non l’avrebbero scelta, no?
Eppure gli occhi di sua madre si sono fatti più cupi nel corso degli anni, quasi non fosse quella che si era aspettata. Da quando è approdata in quella casa, si respira quello stesso senso di inadeguatezza che la perseguitava ogni volta che nuove famiglie venivano all’orfanotrofio e alla fine la scartavano.
«Oi, che hai?» la palla entra nel canestro, le catenelle che tintinnano la fanno fremere.
«Nulla.»
Akira è qualche gradino più in basso di lei, ciononostante Shiba sembra comunque una nana da giardino. L’abbraccia senza nemmeno lasciarle il tempo di pensare, giocherellando con i lunghi capelli scuri.
La sua guancia si posa sul suo addome, le servirebbe una scala per poterlo guardare negli occhi.
E pensare che un tempo questi gesti le facevano venire le palpitazioni, credeva seriamente di essersi presa una sbandata per quel bontempone di Akira.
Fino a che non si è accorta che la parola fratelli risuonava un po’ troppo spesso fra le mura di casa.
Fino a che un ragazzo dai capelli a scodella non le ha chiesto di restare in palestra, perché tanto non gli dava fastidio. Per poi invitarla a vedere una partita, un'amichevole con una scuola di cui mai aveva sentito parlare. Andarci accompagnata da Nanaka perché 
«Col piffero che ti lascio andare da sola. E se fosse un maniaco?!». E incrociarla per i corridoi e invitarla fuori per festeggiare la vittoria anche se ormai sono passate più di due settimane ma chi se ne frega, una scusa vale l'altra pur di stare insieme.
Gli abbracci di Mitsui l’hanno sempre fatta sentire protetta, anche se le cose andavano male lui sapeva sempre risollevarla.
Aggrotta le sopracciglia. Ma perché anche in un momento di quiete come questo deve per forza pensare a quel demente?!


«Sai? Pensavo che dovremmo riandarci, quando mamma torna.»
«Dove?»
«Allo zoo… Come ai bei vecchi tempi.»
Shiba ridacchia «Non siamo un po’ troppo cresciuti per quello?»
«Ah, già…»
Sorride appena.
Il rumore del clacson li fa dividere. I loro genitori sono tornati.

 
26 maggio, mattina.
Il momento prima di un’esibizione è la parte peggiore.
L’ansia che si respira è palpabile, la costringe a sedersi.
Un’enorme stanzone bianco contiene decine e decine di ragazze che gridano, strepitano e richiedono l’aiuto delle coach o delle madri per sistemare i capelli, il body o il trucco. Ci sono pianti nervosi, scatti isterici e lanci di sfida che puntualmente rischiano di finire in rissa.
Ha imparato a convivere con il caos che le rimbomba nella testa, quel caos che le fa invertire i passi dei movimenti, che la fa sentire impreparata nonostante le ore e il sudore spesi per arrivare fino a lì, al limite della perfezione.
Le luci al neon degli specchi danno fastidio alla vista e risaltano il trucco che tenue copre i loro volti. Shiba vorrebbe togliersi quel lillà che le colora le palpebre; lo odia, la fa sembrare un cadavere.
Getta un’occhiata a Nanaka, intenta a sistemarsi. È placida e la sua priorità è far sì che la linea di eyeliner sull’occhio destro combaci con quella dell’occhio sinistro.
Shiba invidia la sua freddezza. Lei ha la nausea, le mani le sudano e le gambe le formicolano.
«I tuoi verranno?»
«Mh? Oh, no. C’è la partita di Akira, oggi» torna a sistemarsi il rossetto «Dov’è la coach?»
«A fumare. Agitata?» Nana la guarda di sbieco «Non esserlo, la maggior parte di quelle che ci sono qui non sanno neppure tenere in mano una clavetta. E poi basta che entriamo fra le prime dieci in ogni disciplina, non c’è bisogno di strafare» si guarda allo specchio, un sorrisetto compiaciuto le dipinge le labbra color ciliegia «Ricordati che sei brava, ok? E ora stai ferma che ti aggiusto, hai i capelli tutti da schifo.»
Shiba le sorride appena, la vista però le si appanna mentre le sue dita affusolate le sciolgono lo chignon fatto alla bene e meglio.
Preferirebbe che fosse Madoka ad aggiustarla.

 

 
Il momento prima di un’esibizione è la parte migliore.
L’adrenalina le scorre in vena, si propaga per tutto il corpo. Le dita si stringono intorno alle clavette rosse e nere, dello stesso colore del body con paiette che la fascia.
C’è un sottile velo di ansia che tende ogni muscolo, ha la stessa consistenza di quella pre-esame o di quella che la fa sempre deglutire quando Akira la guarda in quella maniera assolutamente mozzafiato, prima di chinarsi a baciarla nel buio del suo soggiorno pieno di vasi rotti, con quel demente di Spock che miagola perché ha fame o è semplicemente invidioso che un tale splendore si dedichi completamente a lei.
Nella mente ha ben impressi i passi che deve compiere ma li ripercorre uno ad uno, timorosa di averne perso qualcuno mentre si truccava o rassicurava le matricole tutte tremanti sulla panca.
Nanaka sente il petto gonfiarsi quando il giudice l’annuncia, viene travolta dagli applausi di quei fan che si è guadagnata nel corso degli anni e ad ogni passo che compie impettita, si lascia dietro un po’ di quell’agitazione che l’attesa ha prodotto.
Gli sguardi sono tutti su di lei, sulla sua figura rigida che regge le clavette mentre punta i piedi a terra, ma lei non li avverte.
E’ quello il momento che più le piace.
Quello che dura un respiro, uno sfarfallio di ciglia.
E’ un istante, sfuma nel flebile suono della sirena e il silenzio si fa musica, l’aria si fa elettricità e lei ne diviene un tutt’uno. Si libra leggera, le clavette ruotano, si incrociano, rigano l’aria e riatterrano fra le sue mani.
Prima c’è la rovesciata, un Arabesque, quella capriola all’indietro che ha sempre sbagliato agli allenamenti ma che per qualche miracolo le viene durante la gara.
Quel minuto e quarantadue secondi dura un’eternità ma quando la musica ritorna silenzio, il tempo torna a scorrere normalmente.
Allora si ricorda che sua madre dovrebbe essere lì, fra il pubblico che l’applaude; glielo ha promesso l’altra sera mentre preparava un grafico per la riunione del mattino, con la mano appoggiatta sulla fronte e i capelli arruffati e l'aria di chi vorrebbe solo della ricina nel proprio bicchiere.
Nana si guarda attorno, lo sguardo disperso sugli spalti.
Sua mamma non è venuta a vederla.
Quello è decisamente il momento peggiore.


 
«Dovresti venire a vedermi, sono fantastico!»
«Non ci verrei nemmeno se mi promettessi donne e birra a volontà, è inutile che me lo ripeti. E poi si può sapere che cazzo ci fai qui? Sbaglio o avevo detto di non farti più vedere?!» Tetsuo si solleva sui gomiti, osserva la schiena larga di Hisashi che, da bravo moccioso combina guai qual è, ovviamente non lo ha ascoltato. Tsk!, quel coglione non lo ascolterebbe neppure se fosse in punto di morte.
Si è presentato a casa sua con della birra, convinto di poterlo corrompere e prima che potesse sbatterlo fuori a suon di calci in culo, quello si era già fiondato in cucina alla ricerca del cavatappi. Tetsuo si è arreso quando si è spalmato sulla poltrona cominciando a ciarlare di basket, di Sakuragi che ha scambiato la pallacanestro per un incontro di box e di come il suo allenatore, quel vecchio panzone di cui ha dimenticato il nome, lo abbia guardato con orgoglio prima di dirgli «Hai giocato bene, figliolo.»
Hisashi sghignazza di fronte alla sua reticenza, gli ripete qualcosa come «Tanto so che cederai.» riprendendo a straparlare di incontri e tiri da tre punti. A quanto pare sono la sua specialità ma lui nemmeno ha idea di cosa siano ma evita di chiederglielo, gli è venuto mal di testa dopo appena tre secondi di conversazione.
Eppure c’è qualcosa che gli impedisce di zittirlo. 
Sarà quel fuoco combattivo che neppure durante le risse ha visto ardere nei suoi occhi scuri o magari è la vitalità con cui parla e gesticola a fargli ingoiare ogni bestemmia.
Mitsui è vivo come non lo era da tempo e lui non può che esserne felice.
È cresciuto dal giorno in cui si è presentato da lui con la divisa sporca di sangue e polvere, con quei suoi capelli lunghi da donnicciola e l’aria di chi vuole fare a pezzi ogni cosa che incontra per strada. Glie è parso di rivedere il sé stesso di tanto tempo fa, quello sbandato che non sapeva che cazzo farne della propria vita e ha deciso di mandare tutto a puttane, che tanto non gli usciva neppure male.
Per questo l’ha preso sotto la propria ala protettiva e gli ha insegnato tutto ciò che c’è da sapere nel mondo della malavita, mostrandogli però solo la superficie.
Sapeva che quel ragazzo era destinato a ben altro, che quell’esistenza fatta di botte e scorribande non faceva per lui. Nh, dubita che quel demente diventerà dirigente d’azienda o banchiere come il padre ma saperlo fuori dall’ospedale e lontano dalla galera è già qualcosa.
Approfitta di quel momento di pausa per fargli una domanda qualsiasi, tutto pur di non sentir parlare di palle e canestri «A scuola come va?»
Mitsui arcua un sopracciglio «Mi stai davvero chiedendo come va a scuola?»
«Ehi, ci tengo alla tua istruzione» ghigna «E poi voglio assicurarmi che non ti metta più nei casini.»
Il ragazzo rigira la bottiglia fra le mani, il sorriso gli penzola dalle labbra «Tranquillo, ho smesso di fare a botte. Ormai sono solo casa-basket, basket-casa.»
«E a donne come sei messo?»
Rotea gli occhi «Ancora con questa storia?»
«Tengo anche alla tua vita sessuale, cosa credi?»
Mitsui si gratta la nuca, imbarazzato «Ti ho detto che non ne ho il tempo!» le sue labbra si attaccano alla bottiglia con troppa foga, quasi volesse soffocare un mucchio di parole pericolose.
«Tutti hanno tempo per il sesso.»
«Beh, io no.»
«Dovresti. Potrebbe essere un ottimo metodo di sfogo contro lo stress.»
«Ma non sono stressato!»
«Presto lo sarai. La scuola, gli esami, le partite, i tuoi… Porti già la dentiera» Mitsui alza un amorevole dito medio e lui non può fare a meno di ridergli rumorosamente in faccia; le sue guance rosse lo stanno facendo morire, sembra un moccioso beccato a guardare i giornaletti porno del padre «Oi, va che sono serio. Una ragazza non sarebbe male come idea.»
«Ma non eri tu quello che diceva che le donne portano solo guai e sono buone solo per scopare?»
«Beh, almeno sono buone in quello» ravana nella tasche per cecare le sigarette «Andiamo, ci sarà pure qualcuna che ti interessa. La manager della squadra mi sembra un bel bocconcino.»
Sgrana gli occhi «Ma chi, Ayako? Tu sei tutto scemo!» sventola una mano davanti alla faccia «Quella picchia peggio di un uomo, fidati! E poi è proprietà di Miyagi. Se provo ad avvicinarmi, quello è capace di staccarmi i coglioni.»
«Beh, non c’è mica solo lei in tutta la scuola» si gratta la barba incolta «Una compagna di classe o che so io.» Tetsuo gliela butta lì senza convinzione ma la reazione di Mitsui è troppo plateale perché possa ignorarla.
Si sta strozzando con la birra, boccheggia cose senza senso e quando riacquista un po’ di lucidità sbotta un caustico «No che non c’è.» che gli fa cascare le palle.
«Si vede lontano un miglio che c’è qualcuna.»
«Se ho detto che non c’è, non c’è.»
Testuo si mette a sedere, assume un’aria da genitore incazzoso pronto a farla pagare al figlio ribelle «Senti, mi hai frantumato i coglioni sul basket per tre ore» Mitsui sbuffa «Ora: o mi dici chi cazzo è questa o ti faccio uscire dalla finestra.»
Il ragazzo si chiude in un mutismo ostinato, conta i mozziconi sul tappeto e rifugge il suo sguardo fino a che non si lascia andare «E’ la solita.»
«La solita.»
«Sì, la solita!»
«Ma la solita chi?! Avrà un cazzo di nome!»
Le dita strette intorno alla bottiglia rendono bianche le nocche «… Shibahime.»
«Ah… La solita.»
«Eh.»
Mitsui non ha mai raccontato per filo e per segno cosa sia successo tra loro ma nella mente di Tetsuo è ancora vivido il ricordo di quando lei lo ha piantato. Si è presentato a casa sua conciato da far schifo, ubriaco fradicio e grondante di sangue. «Ho fatto a botte» gli ha detto fra le risate convulse e amare e ai suoi perché e percome, quello se ne era uscito con un rabbioso «Quella stronza di Shiba se n’è andata. Anche lei, come tutti.». I giorni a seguire sono stati una tortura, un susseguirsi di scazzottate e sbronze, fino a che non gli ha confessato di essersela lasciata alle spalle. Più o meno… Era chiaro come il sole che non riuscisse a scordarsi di lei, c’era sempre qualcosa che lo tormentava.
Il modo in cui ne parlava, il modo in cui gli occhi si riempivano di qualcosa quando si pronunciava il suo nome… Lui non se ne era mai accorto, ma bastava nominargliela per aggiustargli la giornata.
«E’ in classe con te?» annuisce «Che sfiga.»
«Già…»
«Vi parlate?»
«Macché. Ci ignoriamo.»
«E che aspetti a parlarle?»
Il ragazzo aggrotta le sopracciglia «Perché dovrei essere io a parlarle per primo?! E’ stata lei a mollarmi!»
«E tu sei quello che ha combinato i casini» Hisashi si fa minuscolo sulla poltrona, borbotta come una teiera «Dille che ti dispiace e amici come prima. Cosa vuoi che sia?»
«Non è così facile.» mormora sconsolato. Gli si legge in faccia che vorrebbe ritornare ad avere un qualsivoglia tipo di rapporto con lei ma qualcosa lo blocca.
Tetsuo si arrende; gli toccherà fare da Dottor Stranamore quella notte «Certo che lo è» si accende la sigaretta «Perché non dovrebbe?»
Si massaggia il collo «Perché è lei a non esserlo» si stropiccia il volto «Hai presente quelle che sono tue ma non lo sono mai completamente? Lei è una di quelle…» le dita strisciano sui jeans scuri e larghi «Lei è stata adottata, te l’ho mai detto?» gli sorride leggero, quasi volesse scacciare la frustrazione. Tetsuo scuote la nuca, lo lascia parlare «Non ne so granché, non ha mai voluto approfondire la cosa. Sua madre è morta quando aveva sei anni, suo padre è scappato poco dopo. C’erano giorni in cui le cose andavano bene, altri in cui aveva delle crisi che duravano ore e non c’era modo di tranquillizzarla. Era convita che i suoi genitori adottivi l’avrebbero abbandonata e che l’avrei fatto anche io perché era sbagliata e cazzate del genere» si gratta la nuca «Ha sempre mantenuto una distanza tra noi e non sono mai riuscito a colmarla. Pensavo che una volta che ci fossimo lasciati mi sarei sentito meglio ma non è andata così.» finisce il tutto con un sorriso tirato, quasi bastasse a spiegare perché vuole tenersi lontano da lei.
Tetsuo si gratta il mento «E com’è che è andata?»
Alza le spalle «Continuo a pensare che sia colpa mia. E’ come se avessi fallito, no? Alla fine l’ho abbandonata.»
«E’ stata lei a lasciarti.»
«Non è che abbia fatto molto per fermarla… Senti, possiamo non parlare più di lei?» ha lo sguardo sofferente, continua a sfregarsi le mani quasi avesse voglia di spaccargli la casa.
Tetsuo teme che possa sfasciargli quei pochi mobili sani che ha, decide quindi di cambiare argomento «Parliamo d’altro, ok...»
«Mh.»
«Coi tuoi tutto a posto?»
«Ma argomenti più felici no, eh?»
«Non rompere e rispondi.»
«Nh, la solita merda. Sono convinti che me ne vada in giro a spaccare i denti alla gente.»
«Te ne stai in giro fino a quest’ora…» getta un’occhiata all’orologio, segna le 22.45 «Non ti chiedono dove te ne vai tutte le sere?»
Alza le spalle «Dico loro che sono da compagni di classe ma tanto non mi crederebbero neppure se fosse vero. Non parliamo, a malapena ci salutiamo. Lo sai che non sono venuti neppure ad una partita?» sorride appena «Forse è quello che mi merito dopo tutto il male che gli ho procurato.» le sue parole sfumano in rassegnazione.
Mitsui sembra fatto di cristallo, in quel momento. 
Gli pare sia la cosa più fragile che ci sia in quella casa e ha la sensazione che la parola sbagliata possa creare una crepa distruttiva, di quelle che lo farebbero crollare in mille pezzettini non ricomponibili.
Spegne la sigaretta e un’idea del cazzo gli frulla in testa.
«Quando hai detto che giochi?»
«Eh?»
«La prossima partita. Quando ce l’hai?»
«Settimana prossima, perché?»
Alza le spalle «Mah, magari passo.»
Mitsui sghignazza eppure la gioia nei suoi occhi non gli è sfuggita «Sempre se non ti mettono in galera prima.»
«Cercherò di evitare i casini.»
Quel demente si merita qualcosa di più dei sensi di colpa.

 

 

Shiba odia mangiare fuori. Di sabato, quando i locali sono pieni di gente.
Il ristorante chic in cui si sono infilati è talmente perfetto da darle il voltastomaco. Akira le carezza una mano sotto il tavolo, dandole un briciolo di conforto che ha smesso di provare da quando i suoi sono tornati.
L’aria in casa è tornata irrespirabile, non parla per evitare liti e sta fuori fino a tardi pur di sfuggire alle cene o ai rimproveri di Madoka. L'unico momento di pace lo trova nella camera oscura di suo padre, il suo santuario come ama definirlo;  le piace osservare la sua schiena curva sulla vaschette, con le pinze che reggono la foto appena sviluppata, studiare ogni singolo cambiamento della sua espressione mentre studia la fotografia, così come adora i suoi sorrisi alla Akira quando le dice 
«Vuoi darmi una mano?», insegnandole passo per passo come fare. 
«Oh, e quando hai segnato dalla linea dei tre punti? Sei stato fantastico!» la voce compiaciuta di Madoka è uno strattone che la riporta alla realtà. Il suo volto è illuminato da orgoglio, quello stesso orgoglio che le ha letto quando la coach della palestra in cui si allenava le ha detto
«Sua figlia è straordinaria, dovrebbe puntare all'agonismo».
«E’ stata fortuna» Akira sventola una mano «In realtà è merito di Hikegami-senpai, ha fatto un buon passaggio.»
«Oh, beh, ma il tiro l’hai fatto tu mica lui.» la sua capacità di smontare l’abilità altrui è strabiliante, Shibahime ne rimane sempre sorpresa. Akira stiracchia un sorriso poi riprende a mangiare il suo Dobin mushi.
«Beh, che fai, non racconti a tua sorella com’è andata la partita?»
Shiba gli rivolge uno sguardo addolorato, Akira per poco non si strozza con la zuppa.
«Non credi che abbiamo parlato un po’ troppo di Akira?» Kyouske si intromette, ha quel sorriso rincuorante che la fa sempre sentire a suo agio; le fa un occhilino «Shiba, non ci dici com’è andata la tua gara?»
«Mi sarebbe piaciuto vederti perdere il nastro.» sghignazza suo fratello, ricevendo una sberla sulla spalla che lo fa scoppiare a ridere.
Madoka la guarda con occhi brillanti «E’ andata bene?»
Annuisce «Ho commesso qualche errore qua e là ma tutto sommato me la sono cavata. Sono arrivata terza!»
«E Nanaka?»
«Oh, è stata bravissima come sempre!»
«Quella ragazza è adorabile, oltre che brava. E’ stupendo vederla ballare. A proposito, dovresti invitarla a cena qualche volta.» il commento inopportuno di Madoka la fa sentire minuscola, ha una zuccherosità che le fa venire la nausea.
Shiba annuisce, rigira le bacchette nell'Udon. A volte ha la sensazione che sua madre preferisca Nanaka a lei. 
«Immagino tu sia stata brava.» seguita Kyosuke, scompigliandole la frangetta.
«Già…»
«Peccato che le abbiano fatte lo stesso giorno...» la guarda preoccupato «Shiba, non hai toccato nulla.»
La ragazza spinge lontano il piatto «Non ho molta fame.»
Madoka storce le labbra pitturate di rosso «Devi mangiare, tesoro. Vuoi scomparire, per caso?»
Shiba ingoia un pezzo di pane pur di tacerle un .

 
Tetsuo lo ha cacciato di casa quando una donna lo ha chiamato al telefono.
Mitsui entra nel primo vagone vuoto che trova, decidendo come passare la serata. Per il momento si accontenta di viaggiare senza meta in metropolitana.
A casa non ci vuole tornare, si sente soffocare.

Shibahime si è defilata con una scusa quando i suoi si sono alzati da tavola. Akira le ha chiesto se volesse uscire con lui e i suoi amici a festeggiare ma ha preferito scappare.
Viaggia senza meta in metropolitana, non sa come passare la serata ma qualsiasi cosa andrà bene.
A casa non ci vuole tornare, si sente soffocare.

 

Quando apre gli occhi, la stazione di Shibuya gli ricorda che la sua è passata da ben tre fermate.
Si sistema sullo scomodo sedile, si stringe la borsa degli allenamenti contro il petto e cerca di far mente locale per capire cosa ci faccia lì e quale sia la sua destinazione.
Gli basta ingoiare un po’ di saliva per ricordarsi di tutto: non può tornare a casa a quell’ora con il rischio di incappare nei suoi; se scoprissero che ha bevuto della birra comincerebbero ad assillarlo con sciocche domande e Mitsui non ha proprio voglia di litigare. Il vagone è vuoto, fatta eccezione per un gruppetto di teppistelli che fanno cerchio intorno alla malcapitata vittima.
«Andiamo piccola, non vuoi venire a giocare con noi?»
Ah, le care, vecchie tecniche di abbordaggio in teppista style. Ora che ci pensa, non gli mancano granché, anche perché non ha mai riscosso tutto ‘sto successo…
«Cos’è, non parli?»
«Le ragazze che non parlano sono le migliori.»
Nh, vorrebbe intromettersi nella loro discussione e affermare per esperienza che le ragazze che non parlano sono decisamente le più complicate ma dubita fortemente che quei tre saprebbero andare oltre il “Chi sta sotto e chi sta sopra?”
«Gentilmente, potreste levarvi dalle scatole?» la voce sottile che riga l’aria ha un non sa che di familiare. Trattiene una risata nel sentire tanta garbatezza rivolta a dei bifolchi, probabilmente qualche madamigella indifesa della Kanagawa bene deve essere finita lì per sbaglio. Si sporge leggermente per godersi la scena e—Oh Buddah santissimo!
«Shiba?!»
I tre smettono di tormentarla, si guardano tra loro e poi gli rivolgono uno sguardo sorpreso.
«Ah, Mitsui-kun!» bofonchia uno di loro, mollando il polso della ragazza. E’ un ragazzetto basso e minuto, uno di quelli di cui a malapena ti ricordi il nome. Si scervella per capire dove lo abbia incontrato ma è lui a fugargli ogni dubbio «Tetsuo ha detto che non bazzicavi più da queste parti.» c’è un velo di durezza nelle sue parole ma appena lo sovrasta ecco che il fastidio sgattaiola via.
«Che stavate facendo?» ignora volutamente la sua constatazione, non ha voglia di dilungarsi in futili spiegazioni davanti a Shiba; Shibahime che lo fissa con un misto tra la sorpresa e la voglia di buttarsi sotto le rotaie. Ho accettare le proposte indecenti di questi tre.
«Volevamo divertirci un po’…» il secondo, quello allampanato, sorride furbamente verso la ragazza «Ma non vuole collaborare.»
«Ci credo che non vuole, sta con me.» le parole gli escono prima ancora che le abbia pensate, lasciandolo spiazzato. C’è che quel Sta con me per anni lo ha fatto sentire il padrone del mondo, mentre ora lascia solo tanto amaro da fargli salire la birra in gola.
«Sta con te?»
«Già…»
«Oh, beh, non pensavamo che fosse di tua proprietà.»
«Proprietà?» squittisce incredula.
«Mhm, lo è, quindi levatevi dalle palle, d’accordo?»
«Proprietà?!» gracida ancora, guardandoli tutti e quattro con occhi saettanti.
Mitsui rotea gli occhi e non appena la metro si ferma, la prende per il polso, tirandosela dietro «Sì, beh, noi scendiamo qui! A mai più.» soffia mentre le porte si chiudono. La trascina fino fuori, lasciandola non appena le luci del lampione rischiarano la sua figurina tutta ben vestita. Gli fa uno stranno effetto ritrovarsela tra i piedi di sera, senza la divisa scolastica, è come venir catapultati nei loro bei giorni felici.
«Proprietà…» Shiba spezza il silenzio, lo fissa con un sopracciglio arcuato «Cosa sono? Una casa?»
«Che ne dici di una villa con piscina?»
«Mistui--»
«Ehi, con quelli bisogna usare un certo linguaggio» sventola la mano che fino a qualche istante prima ha stretto il suo polso fin troppo sottile «E poi ti ho salvata, no? Basta un grazie.»
«Me la sarei cavata benissimo da sola!»
Scocca la lingua «Gentilmente, potreste levarvi dalle scatole?» la imita malamente, con la voce incrinata da un principio di risa.
Shibahime
guarda il cielo buio, ignora la sua scadente imitazione «Con gli asini va usata la carota.»
«Sì e con le api il miele…»
C’è un istante di tremendo imbarazzo, con una spruzzatina di rancore e rabbia che non guasta mai. L’ostilità di Shiba è visibile, tutto di lei sembra volerlo spingere un po’ più in là ma c’è qualcosa nel suo lento tremolio che lo induce a non voltarle le spalle. Lasciarla lì sarebbe di gran lunga più semplice, si eviterebbe un mal di testa e qualche bestemmia.
Ma se decide di restare, forse può ancora salvare il salvabile.
E' un pensiero che lo attraversa veloce e lo fa sentire a disagio.
Tossisce, un po’ per tagliare la tensione e un po’ per farle credere che voglia effettivamente dirle qualcosa, ma Shiba lo anticipa con un incuriosito «Quei tre… Uscivate nella stessa banda?» che lo spiazza. E non è che lo spiazza solo un po’, è molto più di un po’… E’… E’ l’apoteosi dell’assurdo, ecco. Shibahime che decide di affrontare un discorso per prima, con lui e sul suo passato è davvero assurdo.
Annuisce, esala un incerto «Mhm, non spesso. A volte.»
«Vedo che sei ancora temuto.» la sua ironia non è tagliente, c’è qualcosa che non va nel suo continuo carezzarsi le braccia. Gli ricorda la Shiba delle giornate no, quella che si rinchiudeva nel buio della camera e lo costringeva a starsene lì, con lei, continuando a ripeterle che i suoi non l’avrebbero di certo abbandonata, non dopo averla adottata. Ha la stessa espressione tormentata e spaventata, quella che l’ha fatto innamorare –o rincoglionire, come amava ripetere Tetsuo- e per quanto abbia dimenticato parecchie cose su di lei, queste restano impresse nella mente nemmeno fossero state marchiate a fuoco.
Il senso di colpa lo punzecchia «Ti hanno fatto male?» scuote la nuca; Mitsui la guarda per qualche secondo poi alza le mani in segno di resa «Coraggio, ti accompagno a casa--»
«No!»
«Che?»
«No, non voglio! Non ci torno a casa!» Shiba scoppia a piangere come quando avevano sedici anni e sua madre l’aveva cazziata per chissà cosa. O l’aveva trattata come la figlia indesiderata.
Mitsui si massaggia il collo prima di affiancarla, anche se è tentato di abbandonarla al suo destino giusto per ripagarla con la propria moneta.
Ma prima ancora che possa anche solo pensarlo sul serio, la sua mano è già sulla sua spalla.
Da tempo non le sta così vicino e si riscopre ancora incapace di saper gestire le proprie emozioni, facendo i conti con tutto quel miscuglio di cazzate -come amabilmente le definisce- che gliel’hanno resa cara e al contempo spaventosa.
I suoi silenzi in cui poteva galleggiare senza sentirsi a disagio, la malinconia che traspariva dai suoi occhi e comunque vi si sarebbe smarrito volentieri, i suoi sorrisi mai pieni eppure sempre presenti.
Vorrebbe sorridere e dirle
«Ti ricordi quando mangiavamo sul divano quando i tuoi non c’erano?», oppure «Ti ricordi quando hai vinto le regionali e abbiamo festeggiato in camera tua fino al mattino?», «Ti ricordi che per un po’ ci siamo piaciuti?», ma lei tira su con il naso, facendo svanire i buoni propositi di chiudere ogni conflitto per sempre.
«Oi, tutto bene?» la ragazza scuote la nuca, tiene la testa bassa e trema «Sicura che non ti hanno fatto niente? Vuoi andare all’ospedale? Vuoi—»
Lo guarda con i suoi grandi occhi scuri pieni di lacrime e le parole si rituffano in gola, intimorite. Non la vede così da anni, è un’immagine che ha accantonato nel dimenticatoio e che ora è tornata indietro con tutta la prepotenza che possiede.
Shiba è straziante, le sue parole lo spiazzano.
«Ho fame... Ho una fame tremenda.»

«Due Cheesburger, due patatine grandi… Anzi, fammene tre, è meglio. E due Coca Cola maxi e due crocchette e—No, al posto delle crocchette dammi un altro Cheesburger...» la ragazza batte lo scontrino arcuando un sopracciglio.
«Vuoi anche la macedonia?»
«Vuoi farmi credere che vendete anche robe salutari?»
«La vuoi o no?!»
«Seh, seh, va bene… Ah! E dammi anche quella che dovrebbe essere insalata.»
«Non: dovrebbe, lo è.»
«… Friggete anche quella, per caso?»
Gli sorride tirata, con una vena pulsante sulla tempia «Porti tutto a casa o ci fai l’onore di mangiare qui?»
«La tua simpatia è compresa nel prezzo?» la ragazza sputa raggi laser dagli occhi «Mangio qui, mangio qui!» quella batte le ultime cose e gli lascia lo scontrino, mandando le ordinazioni alla cucina «Kami, che caratteraccio.»
Mitsui si gratta la nuca e mentre attende alla cassa, sbircia la figura di Shibahime seduta ad uno dei tavoli vicino alla finestra, giusto per accertarsi che non sia scappata o che non si sia tagliata la carotide con una forcina.
E’ intenta a sciogliersi lo chignon, vede le sua braccia esili sollevarsi sulla nuca mentre le dita sfilano le mollettine sparpagliate sul tavolo, le dita sciano fra i lunghi capelli scuri, giocherellano con le punte, fino a che non si stanca e si perde nel rimirare le vie poco trafficate.

"Forse ho esagerato con le porzioni"

Nh, probabilmente dovrà mangiarsi lui tutta quella roba e quella demente non toccherà nemmeno la macedonia...
Mitsui paga senza nemmeno curarsi di quanto abbia effettivamente speso e se ne va al tavolo, assaporando il gusto delle infinite discussioni che, lo sa bene, nasceranno una volta stufi.
Lo guarda con un sopracciglio arcuato «Devono arrivare i tuoi compagni caproni?»
Ecco, appunto.
«E’ per noi.» rimbrotta secco, posando i vassoi sul tavolo. Deglutisce l’amaro sapore che quel noi gli ha lasciato sul palato, non badando alle lamentele della ragazza. Nh, forse è meglio se copre lo schifo con un panino.
«Non posso, ricordi? Sono a dieta.»
«Ma se prima ti lagnavi che avevi fame?»
«Sì, beh, non parlavo di cibo spazzatura.» la ragazza si tasta la pancia quando un gorgoglio ovattato riga il silenzio.
«Al tuo stomaco va.» ghigna in sua direzione, beandosi del porpora che ha invaso le sue guance.
Ora che la scorge avvolta nel suo vestitino elegante, si accorge di quanto magra sia effettivamente diventata nel corso dei suoi anni di assenza. La divisa scolastica le dona un po’ di massa che, a ben vedere, non c’è; il seno è meno di quanto ricordi e… No, ma davvero le sta guardando le tette?! Dannazione, c’è cascato ancora! Nh, e comunque gli sembra di star cenando con una mocciosa delle medie.
«Tutta questa roba contiene il triplo delle calorie che dovrei ingerire in una giornata.» sbotta asciutta, rovistando fra le cartacce e le scatole.
«Forse dovresti, invece» addenta il cheeseburger «Si può sapere quanto pesi?»
«… 43.»
La Coca cola gli va di traverso «Che cosa?! Ma sei impazzita?! Vuoi scomparire per caso?!»
«Non sarebbe una cattiva idea…» mormora con un leggero sorriso, alzando poi le spalle «Ehi, ci si sacrifica per amore dello sport.»
«La Itou non mi sembra ridotta così…»
«Deduco tu l’abbia guardata bene.» gli sorride affabile e Mitsui avrebbe solo tanta voglia di decapitarla.
«Ti prego, vuoi farmi salire il panino?»
«Addirittura?! Nanaka è una bella ragazza!»
«Se ti piacciono le streghe.»
«Esagerato… Ai nostri compagni di classe piace. Credo che per molti sia una specie di sogno erotico o qualcosa del genere.»
«Ma chi? Quella tavola da surf con le gambe?»
«Tavola… Ha una terza abbondante.» e mentre quella disegna un paio di tette nell’aria, lui tenta di non strozzarsi con le patatine.
«Po-Possiamo smetterla di parlare delle tette della Itou?! Mi fa senso!»
«Le sue tette?»
«No, lei e—Ah, mangia e taci!» le scaravenmta contro una patatina.
Shiba lo fissa con sopracciglia arcuate, i suoi occhi sono pregni di derisione, forse per le sue guance rosse o per il suo mangiare compulsivamente. Fatto sta che scoppia a ridere senza ritegno, con la fronte poggiata sulle braccia conserte.
Si era dimenticato il suono limpido della sua risata, il modo in cui gli perfora i timpani e si incastra fra le pieghe del cervello. Di come i lati dei suoi occhi si arriccino, delle minuscole rughe intorno… 
Si era dimenticato della parte bella di Shiba e la cosa peggiore è che rivederla non lo fa stare bene.
E’ avvolto dal drappo dell’incertezza, ha il terrore di dire la parola sbagliata e veder tutto sfumare in un bel nulla. E pensare che parlarle era così facile, una volta.
«Scusami, volevo solo stuzzicarti un po’.» si asciuga le lacrime.
«Come sono fortunato.»
«Era solo per rompere il ghiaccio.»
«Le palle. Pensavo fosse per rompermi le palle.»
Il battibecco si perde nel chiacchiericcio di una banda di ragazzini che fa casino a pochi metri da loro; qualcuno sta facendo commenti su Shiba e su come vorrebbe portarsela in branda ma la ragazza sembra non accorgersene e lui ripone la forchetta di plastica della macedonia.
«Cosa ci facevi qua in giro?» glielo chiede con placidità, giocherellando con un tovagliolino.
«Non stavo cercando guai.» si difende con scontrosità, vedendola sbatacchiare le palpebre pitturate di rosa chiaro.
«Non stavo facendo insinuazioni…» mormora sventolando una mano, portandosela poi sulle labbra.
Nh, forse è anche un po’ colpa propria se non riescono a parlare. L’attacca prima che possa attaccarlo, si nasconde dietro giustificazioni preventive prima che lei possa farsi castelli per aria.
Ingoia l’enorme boccone di panino «Ero a trovare un amico. Sai, Tetsuo…»
«Ah, sì. Riuscite a vedervi ancora?»
«Diciamo che sono io a vederlo, lui vorrebbe prendermi a calci ogni volta che mi presento a casa sua.» ghigna al pensiero delle sue minacce di morte.
«Come mai?»
«Boh, dice che la mia vita è cambiata, cazzate del genere» ravana fra le cartacce «Cioè, solo perché non faccio più a botte non vuol dire che debba tagliarlo fuori così, no? Insomma… C’è sempre stato quando avevo bisogno.» non si chiede subito se le sue parole provocheranno un’eruzione di recriminazioni o si perderanno come loro solito ma quando solleva lo sguardo e incrocia quello malinconico di Shiba, comincia ad analizzare ogni sillaba spesa.
Tagliare fuori, esserci quando qualcuno ha bisogno… Che oratore di merda, sul serio.
«Tu piuttosto? Che ci facevi qui?»
«Avevo voglia di un po’ di azione.» solleva i pugni chiusi, li muove nell'aria.
«Prendi per il culo?»
Shiba sbuffa «Non volevo tornare a casa, va bene? Che pesantezza…»
Mitsui reprime il desiderio di strozzarla «Si può sapere che è successo?»
«Nulla di importante.»
«Per questo frignavi in mezzo alla strada?»
«Frignavi… Vedo che la tua delicatezza è rimasta intatta.»
«Cosa vuoi? Certe qualità sono innate» rimbrotta zuccheroso, ricevendo una stortura di naso «Hai litigato ancora con i tuoi?»
«No.»
«Magari tuo fratello ha tagliato il cordone ombelicale e ha finalmente deciso di trovarsi una fidanzata?»
Il volto di Shiba diventa una maschera di freddezza «Non tirarlo in mezzo, lui non c’entra.»
«E allora qual è il problema?»
Lo guarda come se da un momento all’altro dovesse dirgli
«Sei tu il problema» ma la sua figurina si rilassa sulla sedia e dopo due panini e due pacchetti di patatine che gli tocca mangiarsi, ecco che la ragazza decide di rispondergli «Oggi ho gareggiato. Mi sono qualificata tra le prime dieci, sono stata ammessa alle altre eliminatorie.»
La fronte di Mitsui si riempi di piccole dune mentre la confusione modella il suo viso mascolino «E non dovrebbe essere una bella cosa?»
Si gratta la punta del naso «Sì… Ma i miei non c’erano.»
«Neppure i miei vengono a vedermi ma mica ne faccio un dramma.»
«I miei sono tornati qualche giorno fa, hanno detto che sarebbero venuti.»
Ah… Già. Ricorda che spesso i suoi sono via per lavoro; suo padre fa il fotografo per delle riviste tipo National Geographic o cose del genere e sua moglie lo segue in capo al mondo; non ha mai capito se lo fa per amore o solo per visitare le città in cui si infilano.
«Ma…?»
«Ma c’era la partita di Akira…»
Mitsui apre il panino, scarta le zucchine «Dovresti esserci abituata. I tuoi non scelgono sempre tuo fratello?»
«Pensavo che oggi sarebbe stato diverso. Mi fanno passare la voglia di continuare…» i suoi occhi si rifanno lucidi.
Mitsui arcua un sopracciglio; queste zucchine sono infinite! «Vorresti smettere perché i tuoi non vengono a vederti?»
Scuote la nuca, i suoi boccoli ondeggiano in maniera ipnotica. Se solo ci pensa, può ancora rivedere le proprie dita che si incastrano fra quei fili ora scuri, ci giocano, ne seguono il contorno ondulato.
Si ridesta quando le sue parole escono più spezzate di quanto dovrebbero «Non importa a nessuno. Che io vinca, che perda, non importa a nessuno. Non importa a loro e non importa neppure a me» sventola le mani «Non ha più alcun senso.»
«E allora perché hai cominciato?»
«Perché la mia mamma mi diceva che ero brava» Shiba giocherella con un acino d’uva della macedonia ancora intaccata «Non ti manca mai l’aria quando giochi a basket?» lo guarda senza ostilità per la prima volta in tutta la serata e Mitsui non sa come reagire.
Si ritrova a masticare con lentezza, con l’insalata che gli pende dalle labbra sporche di salsa tartara e lo sguardo confuso.
«No.» è l’unica risposta che riesce a darle, incapace di poter aggiungere qualsiasi altra cosa. Ma come le salta in mente una cazzata del genere?! Lui sente mancare l’aria quando pensa ai due anni di vuoto, alla palla che non entra nel canestro o ad una partita che finisce in una clamorosa sconfitta.
Giocare per lui è… E’ vita.
È come se si risvegliasse, ogni volta che la palla entra nel canestro.
Shiba gli sorride placida «Che domanda stupida…» Mitsui vorrebbe dirle che ha ragione ma il casino fuori in strada lo fa zittire. Lampeggianti e sirene attirano la loro pigra attenzione; a quanto pare c’è un inseguimento «Non ti manca mai quella vita?»
Mitsui la guarda di striscio e un A volte appena pensato rischia di scappargli di bocca. Ma passandosi una mano sul mento avverte le grinze della piccola cicatrice e subito i ricordi del sangue, delle botte, dei calci e delle nottate passate a medicarsi sotto le urla di sua madre, tornano a galla come spettri mai spariti.
E allora scuote la nuca.
Non tornerebbe indietro nemmeno se fosse Shiba stessa a chiederglielo.

 
Shiba stringe le braccia intorno alla vita sottile, le dita conficcate nella carne pur di non sfiorare Mitsui che le siede a pochi millimetri.
C’è un mucchio di gente in metro eppure le pare che ci siano solo loro due e una stupida vocina che le intima di dire qualcosa, qualsiasi cosa che possa fargli capire come le cose si possano sistemare.
Non subito, non solo perché gli ha offerto da mangiare… Ma possono.
«Dovresti parlarne con loro.»
Lo guarda di sottecchi; credeva si fosse addormentato «Cosa?»
«Dovresti parlare con i tuoi. Dirgli che non possono pensare solo a tuo fratello, che esisti anche tu. Digli che sei stanca della ginnastica… Magari capirebbero.»
Scuote la nuca «Non lo faranno. Perché dovrebbero?»
«Perché sono i tuoi genitori.»
«Genitori...»
«Ehi, ti hanno scelta loro. Mica li hai inseguiti fino a casa.»
Il modo brusco con cui le dice ogni suo pensiero le strappa un sorriso, solletica tutte le urla e le grida che trattiene ogni volta che sua madre le rivolge la parola.
Da quel momento si rilassa, si accorge che averlo così vicino non è poi una specie di tortura cinese e la consapevolezza che Mitsui sa trovare le parole giuste al momento giusto la fa sentire protetta.
«Hai mai provato a parlare con loro? Parlare davvero? Poi oh, fai come ti pare…» il fruscio della sua tuta la ridesta «E’ la mia fermata. Sicura di non volere che ti accompagni?
» scuote la nuca «Come ti pare... Ci si becca.»
Shibahime non risponde. 
Vorrebbe dirgli grazie per averla aiutata da quei dementi, per averle offerto una cena che non ha toccato e per non aver provato a riprendere fra le mani il loro passato. Per essere stato un estraneo a cui frega poco di lei e dei suoi trascorsi dandole comunque qualche buon consiglio. Ma nessun suono esce dalle sue labbra e quando sente che il momento è giunto, altrimenti poi sarà troppo tardi, le porte si sono già chiuse e Mitsui è una sagoma in mezzo a tante altre sagome fuori dal vagone.
Si affloscia sul sedile e porta una mano sullo stomaco brontolante, maledicendosi per non aver almeno accettato la macedonia. Si rende però conto che quel babbeo di un cestista ha lasciato il sacchetto del Mc con gli avanzi vicino a lei e allora sospira, perché quello ha la testa piena di palle arancioni e Buddah solo sa quante altre cazzate.
Ma poi tutto assume un senso quando scorge uno scarabocchio sulla confezione, che scaccia via ogni insulto e lascia solo un alone di imbarazzo e un batticuore che non riesce a frenare.
Mitsui resta un idiota di dimensioni megagalattiche ma porca misera se ci sa ancora fare con lei…

 
«Oh, sei tornata» Akira infila la testa nel frigorifero «Dove sei stata?»
«In giro.»
«In giro…» tira fuori dell’acqua e scruta il sacchetto sul tavolo «Da quando vai al Mc?!»
«Avevo fame.» addenta l’insalata.
Suo fratello legge stranito lo scarabocchio in penna «Mangia…» lo sventola «Non dovresti mangiare queste schifezze. E butta tutto quando hai finito e non farti scoprire da mamma.»
Shiba sorride.
Ha la sensazione che quel sacchetto non finirà in spazzatura tanto presto.


Kobe Bryant: Giocatore di pallacanestro statunitense. Milita nei Los Angeles Lakers e gioca prevalentemente come guarda tiratrice.

Arabesque: passo base del balletto in cui una gamba è allungata all’indietro e le braccia sono distese in direzioni opposte.

Dobin mushi: Zuppa classica della cucina giapponese servita nella teiera chiamata dobin e contiene diversi ingredienti a piacere, tra cui pesce, funghi matsutake, germogli di bambù ecc. Viene solitamente insaporita con succo di limone.

Udon: Spaghetti di grano tenero spessi. Si servono in brodo in varie versioni: guarniti con tofu fritto o gamberi tempura.


Buondì
Essere costrette ad alzarsi presto nel weekend è sicuramente un bene per voi, perché almeno non vi faccio attendere ere geologiche prima di pubblicare e un male per me, che vorrei ronfarmela alla grande.
Ad ogni modo, per farmi perdonare per il ritardo dell’altra volta e per aver pubblicato un capitolo corto e insulso, vi lascio con questo che è decisamente lungo. Molto lungo. Sono stata più volte sul punto di spezzettarlo ma sarebbe solo stato un allungamento di capitoli inutile che non voglio permettermi, dato che ho una scaletta ben precisa in mente. Perciò beccatevelo tutto intero, che magari vi fa anche più piacere.
E poi è pieno di cose importanti… Cioè solo la chiacchierata tra Mitsui e Shiba ma va beh, è già qualcosa! Probabilmente non vi aspettavate che avvenisse così presto ma, a ben vedere, non si dicono poi molto e non è che questo cambi qualcosa nel loro rapporto. È qualcosa, facciamocelo bastare ;)
Tengo a precisare una cosuccia sul peso di Shibahime, mica che si arrivi a parlare di anoressia –tasto che non intendo assolutamente toccare, non ho abbastanza tatto per affrontarlo, se così vogliamo chiamarlo-: ho fatto una ricerca –non chiedetemi dove perché è passato del tempo e ritrovare il sito è stata un’impresa titanica caduta nel vuoto- ma a quanto pare il peso delle ginnaste deve essere proporzionato alla loro altezza e, facendo i calcoli, usciva qualcosa come 45 -Shiba è una tappa, già-. Toltole qualche chilo per il suo non mangiare o mangiare male, arriviamo a 43. Tutto qui. Se lì fuori ci fosse qualcuno di esperto e volesse correggermi, è il benvenuto :)
Uh, che note lunghe! Passiamo ai ringraziamenti: ringrazio infinitamente pinkjude,
Ice_DP, ReginaMills89 e LuMiK per aver recensito lo scorso capitolo. Spero non me ne vogliate se ancora non vi ho risposto ma purtroppo le cose a lavoro si fanno complicate e gran parte delle mie energie se ne vanno. Questa poi è stata una settimana che definire infernale è poco. Ero talmente sotto pressione e incazzata che quando mi hanno detto che tutta la merce urgente è stata consegnata, mi sono sgonfiata sulla scrivania come un palloncino, ho proprio sentito la stanchezza crollarmi addosso. E rispondere alle recensioni è passato in secondo piano, ahimè. Sappiate solo che ho visto, ho letto, ho apprezzato e gongolato come una scema e mi fate sentire sempre un po’ più brava e vi adoro per questo. Siete davvero la cosa bella nella giornata odiosa.
Aaaah, vi manderei un personaggio di Slam Dunk a casa ad ognuna per dimostrarvi quando vi adori
♥ 
Conto e prometto di farlo in questi giorni. 
Ringrazio poi i lettori silenziosi -se aveste voglia di farvi sentire sappiate che non mordo, nah scherzo, se avete voglia bene se no vi voglio bene lo stesso!- e chi ha inserito la storia fra le seguite/ricordate/preferite. 

Alla prossima! 
HeavenIsInYourEyes.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** But the film is a sadd'ning bore for she's lived it ten times or more ***


capitolo 8

«Sai di lavanda.»
È l’unico suono che esce dalle sue labbra tumefatte e che provvidenzialmente fa tacere anche Shiba, intenta a medicargli la tempia sanguinante. Uno stronzo ha pensato bene di spaccargli una bottiglia di birra in testa nonostante le regole fossero state chiare: niente armi, solo pugni.
«Idiota…» bisbiglia, dandogli una sberla quando la sua risata roca si spande nell’aria «Vuoi che i miei ci scoprano?!» si pulisce una mano sulle coperte di lino a fiori «Il sangue si sta fermando.»
Vorrebbe dirle “Grazie” ma è troppo impegnato a giocherellare con i suoi boccoli ramati; le punte sono sporche di sangue, dure e appiccicose.
«Perché hai fatto a botte?»
«Così.»
«Così, certo.»
Shiba gli pizzica le dita e si tiene i capelli con entrambe le mani, guardandolo in cagnesco. Mitsui capitola ma solo perché vuole giocare con i suoi capelli; sono così brillanti «Uno a cui dovevamo un favore ci ha chiesto una mano. Non potevamo tirarci indietro.»
«Loro no, ma tu sì» gli tocca il ginocchio sinistro, sussulta e il suo viso si intorpidisce dal dolore «E’ gonfio… Mitsui, se continui così--»
«Se continuo così rischio di non guarire più, di finire nei guai, di far soffrire gli altri, bla bla bla. Sai che cazzo me ne frega…» cade di lato sul letto, la stanchezza lo prende alla sprovvista «Che senso ha?»
Shiba smette di carezzarlo, si fa lontana nonostante il letto sia ad una piazza e mezza.
«Tanto non posso più giocare a basket.»

«Mitsui? Hisashi Mitsui?»
Solleva lo sguardo, i capelli rossi di Shiba diventano un lontano ricordo.
L’infermiera che fa capolino dalla porta dello studio del fisioterapista si guarda attorno.
«… Cosa?» tossicchia, la voce gli è finita nell’Oltretomba.
La donna gli sorride cordiale «E’ il suo turno.»

 

Mo Chùisle

Capitolo 8
But the film is a sadd'ning bore for she's lived it ten times or more
 

“Dr. Jennifer Melfi: Con gli aiuti farmacologici di oggi, nessuno è più costretto a soffrire per esaurimento o depressione.
Tony Soprano: Eccoci. Ecco che arriva il Prozac”
                                                                            -
Affari di famiglia  [1.01], I Soprano-

 

 
Galleggia a tre metri da terra.
Può tornare a giocare senza problemi, dovrà farsi controllar di tanto in tanto ma può finalmente dire addio alle sue paturnie.
Il ginocchio è guarito, un problema in meno.
Fischietta un motivetto di cui a malapena sa le parole, Jospehine qualcosa; Shiba lo cantava spesso quando era sovrappensiero e lui aveva preso il brutto vizio di sussurrargliela nelle orecchie quando non riusciva ad addormentarsi o quando le veniva uno dei suoi soliti attacchi di panico.
Nh, per essere uno a cui non frega un cazzo di quella, continua a pensarci un po’ troppo spesso.
Il fatto è che quella serata trascorsa in tranquillità continua a far capolino nella sua mente quando meno se lo aspetta: è il pensiero fugace fra le lezioni di matematica e storia, è il pensiero imprendibile fra un tiro e un rimprovero di Akagi o qualche buffonata di Hanamichi e gli fa salire su tutte le emozioni che faticosamente ha cercato di seppellire.
È come se la speranza avesse ripreso a brillare vividamente nel buio di quello che si sono lasciati indietro ma non riesce a capire che cazzo voglia da lui. Speranza che ritornino a parlare come ai bei vecchi tempi, anche se nemmeno si ricorda dove andavano a finire i loro discorsi? Tornare ad esserle amico? Certo, ok, peccato che non lo siano mai stati, non nel senso stretto del termine. Quando l’ha conosciuta, con i suoi capelli fradici, il suo imbarazzato «Oh cacchio, ho sbagliato ora!» e lo scrosciare incessante della pioggia a far da sottofondo al loro silenzio, la prima cosa che ha pensato è che se la sarebbe spalmata volentieri sul parquet ed è stato… Improvviso, come se il mondo si fosse rovesciato di botto. I brividi ci sono sempre e solo stati per la pallacanestro poi piomba ‘sta ginnasta dai capelli strani e gli scombussola il cervello, ovvio che non può diventarci amico. Deve esserci per forza qualcosa in più.
E quel qualcosa in più c’è stato e, davvero, è stato bello fino a che è durato. 
Perché prima delle liti, prima dei pianti, prima dei silenzi inscalfibili c’è stato tutto un mondo di bellezza che ancora adesso gli scalda l’anima, se solo ci pensa. E forse è per questo che la speranza brilla così tanto da bruciargli gli occhi, per fargli riprendere le cose da dove le avevano lasciate e portarle avanti e non sarebbe poi così male se non fosse che, porca miseria, Shiba ormai è una specie di orso a cui hanno toccato i cuccioli.
«To’, guarda chi si vede…»
Si volta di colpo, i pensieri sbalzati via lontani «Tetsuo?!» fissa la sua moto «Che ci fai da queste parti?»
«Intendi nelle zone per ricconi?» Mitsui si gratta la nuca, tira su con il naso per celare l’imbarazzo «Sto scappando.»
«Scappando?»
«Sì, insomma, le solite cose che una volta facevi anche tu. A quanto pare agli sbirri dà fastidio che me ne vada in giro senza casco» scende dalla moto e si appoggia al guardrail.
Non va a trovarlo da appena qualche giorno ma gli pare siano passati anni: la barba incolta lo invecchia di almeno cinque anni, rispetto a quando lo ha abbandonato sul divano di casa inseguito dalle sue imprecazioni. Non sa esattamente dirsi il perché, ma quello sembra quasi l’inizio di un addio e questa volta per davvero… «Problemi al ginocchio?» indica la clinica poco distante da loro.
Mitsui scuote la nuca «Nulla di che. Sai, le solite visite di routine… Posso tornare a giocare senza problemi.» trattiene un sorriso, ha il timore che l’altro non capirebbe. Sente che mostrargli sfacciatamente quanto bene stia ora, potrebbe sminuire ciò che hanno condiviso. Tetsuo, per quanto possa sembrare strano, è stato un padre migliore di quello che non è stato il suo quando le cose sono cominciate a peggiorare. È facile essere buoni genitori quando tutto va bene, quando si prendono bei voti a scuola e quando la vita sorride luminosamente; quando le cose vanno a rotoli, beh, non tutti sono bravi a raccogliere i cocci e aspettare di poterli ricongiungere insieme.
I suoi, in quello, hanno fatto decisamente schifo.
Suo padre ci ha provato a comprenderlo, qualche volta, quando si ricordava che suo figlio non spendeva più il tempo libero nei campetti vicino casa ma disperso chissà dove, ma è sempre stato troppo preso da altro per chiedersi davvero che cazzo stesse combinando. E poi c’era sua madre, l’isteria fatta donna, che a capirlo non ci ha nemmeno mai provato, ma neppure per sbaglio.
«Ho sempre pensato che questa sia la vita più adatta a te. Mi sbaglio?»
Mitsui vorrebbe dirgli che no, ha ragione. Lui è portato per il basket, una vita non sregolata e forse un po’ monotona, fatta di gente che non sa neppure cosa significhi beccarsi un pugno in pieno petto o un calcio in mezzo ai coglioni ma le parole se ne stanno lì, in gola, non vogliono saperne di uscire e quando crede che qualcuna di loro stia timidamente cercando di farsi sentire, ecco che uno dei suoi incubi peggiori compare di soppiatto…
«Mitsui!»
E non è quel bell’incubo coi capelli rossi, gli occhi scuri e il sorriso rotto. È quell’altra… Quella a cui staccherebbe la testa a morsi.

Eh, ma cazzo…
Guarda oltre la spalla, scorgendo la figura snella della Itou che, manina sventolante, gli zampetta incontro. Prega ardentemente che lo sorpassi ma questa gli si ferma a qualche passo dal ginocchio spappolato e allora ogni speranza svanisce nel fumo di sigaretta che Tetsuo ha appena acceso.
«Itou… Che spiacere rivederti.» sbotta contrito, rifilandole un’occhiata al vetriolo.
Nana accenna ad un sorriso e posa lo sguardo sul motociclista appollaiato sul guardrail «Oh, sei in giro con tuo padre?» si inchina «Mitsui-san, mi spiace avervi disturbati--»
«Cazzo vai dicendo, Itou?! Ma ti sembra mio padre?»
«I capelli ci sono. La faccia da fuori legge, pure.»
«Ehi, mio padre è un uomo rispettabile!» si volta sventolando le mani «Non che tu non lo sia, Tetsuo. Lo sai quanto ti ammiri e rispetti e--»
«Anche Harvey Dent era un rispettabile procuratore distrettuale e poi è diventato un super cattivo.»
«Harvey… Chi?!»
«Certo che frequenti gente strana, tu.» Tetsuo ghigna.
«Doveva vedere quelli con cui bazzicava prima.» si intromette la giovane, guardandosi le unghie laccate di rosso.
Tanaka accenna ad una roca risata, mormorando un mite «Quelli che frequentava prima, già…» che sembra mettere fine alla loro amicizia. Mitsui si ritrova a fissarlo come se davvero suo padre stesse per cacciarlo fuori dalla propria vita.
Non vuole ammetterlo ad alta voce, conscio che Tetsuo lo spalmerebbe sul selciato a suon di pugni, ma se è sopravvissuto senza impazzire completamente lo deve solo a lui.
Si rende conto di dovergli dire un mucchio di cose ma le parole si incastrano per via di quel nodo che gli si è conficcato in gola e non vogliono saperne di uscire.
Oltretutto la Itou non si leva dai coglioni…
«Che vuoi ancora, si può sapere?»
«Ti aspetto.»
«Mi aspetti?!»
Tetsuo soffia del fumo, intromettendosi «E’ lei la bella di cui mi parlavi spesso?»
«Bella?»
«Per carità, no!»
«Anche perché non è rossa.»
«Oh, lei è un adulatore, Finto-Papà-di-Mitsui» il ragazzo si schiaffa una mano in viso «Ma… E’ la rossa che penso io?»
«Non c’è nessuna bella! Tantomeno rossa!»
«Sì che c’è. Quella tua ex rossa, in classe con te. Quella che faceva ginnastica, che è talmente snodata che--»
«Non—Tetsuo, possiamo non parlarne?»
«Shibahime?» lo interrompe placida, con quel sorrisetto odioso penzolante sul viso ovale.
«Sì, quella là…» l’amico sorride «Cazzo se c’hai perso la testa per quella.»
«Non--»
«Lo sappiamo.»
«Ma tu sei ancora qui?! Non hai qualche matricola da schiavizzare?»
«A quest’ora sono tutte a casa» rimbrotta serafica, facendogli perdere ogni briciolo di astio nei suoi confronti. Quell’essere è… Esasperante, non ce la fa più ad incazzarsi per il suo essere così deleteria «Ma diceva, Finto-Papà-di-Mitsui?»
«Se fiati ancora, sarai tu quella che perderà la testa!»
La Itou alza le mani «E va bene, va bene...» fischietta spensierata, gironzola lì intorno fingendo di non interessarsi minimamente ai loro discorsi. Peccato che la sua misera messinscena si sfaldi nel giro di un paio di battute…
«A proposito, non te l’ho mai detto ma… Questi capelli ti fanno sembrare un vero sportivo.»
«Ah.»
«Ti donano di più, così.»
«Ha ragione. Prima eri orribile.»
«Vuoi sparire?!»
Nana arriccia le labbra ma non accenna a muoversi. Kami, nella sua vita precedente deve essere stato uno schiavista egizio per meritarsi un supplizio con due gambe mozzafiato e gli occhi pericolosi, come la descrivono i suoi compagni di classe. O magari il Karma gliela sta facendo pagare per aver fatto quasi chiudere il club e aver quasi spaccato la testa di Rukawa.
«Senti, ti aspetto là--»
«Ma perché?! Tornatene a casa e basta!»
«Vi lascio soli.» accenna ad un inchino e sparisce poco più in là, dondolandosi sui piedi. Quella la butta in mezzo alla strada non appena passa un camion, così almeno se ne libera…
«Ascolta, so che ne hai le palle piene e che parlarne è un po’ come avere un cane attaccato ai coglioni… Ma manca solo lei, no?» Tetsuo si gratta la folta chioma «Hai risolto col basket, risolvi anche con lei.»
Gli pare che tutte le barriere siano crollate nel fumo di sigaretta e nelle sirene distanti della polizia.
Tetsuo gli scava dentro come nessun’altro sa fare, gli mancherà quella specie di complicità che si è instaurata tra loro.
«Non è così facile.»
«E che ci vuole? Vai lì, la prendi e le dici che te la vuoi bombare come ai vecchi tempi, no?»
«Cosa--»
«Oh, no, così non funzionerà mai!»
«Itou, estinguiti, dico sul serio!»
Tetsuo tira del fumo, li guarda cicalare fino a che le sirene della pattuglia non interrompono le minacce di morte di Mitsui.
Il ragazzo si alza dal guardrail, si pulisce i jeans sdruciti e lo guarda con noia «Staranno cercando me.»
«Dovresti mettertelo quel benedetto casco» mormora sfibrato, riscoprendosi decisamente più preoccupato di quanto non dovrebbe essere. Non sa spiegarsi se lo fa perché vorrebbe saperlo in salvo o perché così può ancora godere un po’ della sua compagnia «Qualche sera passo a trovarti.»
«Sì, fallo e ti spacco i denti. Così te la fai per davvero la dentiera.»
Si lascia sfuggire una risata svagata eppure dentro di sé è tutto un terremoto.
Pensa che se Tetsuo se ne va, ma se ne va per davvero, significa che con la sua vecchia vita ha chiuso e per quanto sia fortemente convinto che questa sia la cosa più giusta per lui… Beh, un po’ gli mancherà tutto quello che c’è stato.
Ed è così che si sente quando vede la sua moto divenire un puntino lontano: come se si fosse finalmente liberato di tutto. Come se per tutto quel tempo avesse tenuto stretto a sé un palloncino colmo di tutto quello che si stava trascinando dietro e ora se ne è liberato, lo vede librarsi alto e non sente la necessità di riacciuffarlo.
È una bella sensazione.
Si volta con un sospiro, ritrovandosi di fronte il sorrisetto cordiale di quel mostro in gonnella della Itou.
«Sei ancora qui?!»
«Non vorrai che una signorina se ne torni a casa tutta sola, nel cuore della notte?»
«Nemmeno un ubriaco ti abborderebbe.»
«Hai detto qualcosa?»
«No… Muoviti o ti lascio indietro.»
Nana gli zampetta incontro e lo affianca, standosene in silenzio. La borsetta striscia sulle pieghe della corta gonna scura, che mette in risalto il pallore delle sue gambe lunghe.
Distoglie lo sguardo e prega che la casa di questa squinternata sia vicina; non può reggere più di cinque secondi in sua compagnia.
«Che ci fa una signorina come te in giro a quest’ora?» studia il suo abbigliamento vagamente elegante e un ghigno spunta «Incontro galante?»
«Se il sesso può definirsi galante…»
Mitsui per poco non si prende un palo in fronte. Non sa se essere sconvolto per la naturalezza con cui la Itou gli spiattella la propria vita sessuale o se essere sconvolto per l’essere incappato in un argomento del genere senza averne la benché minima intenzione.
«Se-Ses—EH?!»
«Sai cos’è o vuoi che ti faccia un disegnino?
«Sono solo sorpreso che una vipera come te faccia sesso con qualcuno. O che lo faccia e basta. O che qualcuno voglia farlo con te.» si massaggia la cicatrice.
«Ehi, il tuo finto padre ha detto che sono bella.»
«Tetsuo trova belle perfino quelle che fanno body building. Non credo sia attendibile» corruga la fronte «E basta con ‘sta storia del finto padre!» Nana non dà segno di essersela presa per il suo tono vagamente alterato ma non è che quella lasci trasparire chissà ché «Quindi… Chi è lo sfigato?»
«Uno…»
«Se fosse stata una, ti avrei chiesto di invitarmi» ribatte sarcastico, vedendo il suo naso allungato storcersi un poco «Certo che deve avere uno stomaco di ferro per sopportarti.»
«E’ solo sesso. Non c’è sopportazione nel sesso.» rimbrotta placida, come se l’argomento non la toccasse direttamente.
Con la coda dell’occhio studia il suo profilo di porcellana, rilassato e per nulla turbato dalla piega che ha preso il discorso. Lui, se ne fosse stato il protagonista, se la sarebbe filata alla velocità della luce. Non gli piace esporsi troppo, preferisce rimanersene in quel cantuccio di mistero che si è ritagliato solo perché non si reputa così interessante. Insomma… Un ex MVP che diventa un teppista, si redime e torna a giocare a basket è una storia noiosa, sa di già sentito. Gli altri sembrano invece trovare questo argomento molto succulento perché non smettono di tampinarlo di domande, psicanalizzarlo.
Ha preso una sbandata ed è tornato sui propri passi, che altro c’è da raccontare?
«Comunque non è niente di importante, se può farti stare meglio.»
Hisashi la fissa allucinato «… Ma sai cosa cazzo me ne frega.» rimbrotta mettendo le mani in tasca, giusto per enfatizzare la propria incazzatura.
Quella strega invece cammina beata, come se avessero appena disquisito dell’ultima puntata dei Pokémon.
«E tu? Non dovresti essere a riposarti?»
«Sono andato dal dottore. Per il ginocchio, sai, quelle cose lì.»
«Quelle cose lì, certo» Nana annuisce «E com’è andata?»
«Dice che posso giocare senza problemi ma devo comunque tenerlo sotto controllo, fare terapie se necessario… Quelle così lì.»
«Quelle cose lì, mh.»
Nana si ferma di colpo dopo quella che gli pare un’infinità «Casa mia è per di qua, posso andare da sola» indica la rientranza che porta in una delle tante zone bene di Kanagawa «Grazie per avermi accompagnata a casa, Mitsui.»
«Avevo altra scelta?»
«Smettila di fingere che non ti sia piaciuto.»
«Avrei preferito farmi spappolare il ginocchio alla terapia» le sorride acidamente e lei replica con un sospiro pesante «Beh, a domani.» alza una mano e se la fila via, che quella è capace di invitarlo a bere un caffè o peggio.
«Mitsui…?»

Ecco, appunto…
«Mh?» si volta con scazzo, vuole solo tornarsene a casa.
Nana ha la mano stretta intorno alla cinghia della borsa, lo sguardo serio serio e le labbra serrate «No, niente… Buona notte.» la ragazza fugge nel vicolo prima che possa mostrarsi confuso.

Bah! Quella è psicopatica!
Fa per andarsene ma il suo «Mitsui!» questa volta urlato con decisamente più vigore, lo fa bloccare.
«Si può sapere che vuoi?!»
Il suo ghigno è qualcosa di tremendo «Non funzionerà mai, con Shiba. Non in quel modo lì, almeno. Però il tuo finto padre ha ragione!»
«Su cosa?»
«Che sono bella, ovvio.»
«Ma che cazzo--»
«E che manca lei per risolvere tutto»

 

 
31 maggio, sabato mattina.
Il palazzetto è gremito di gente, le ricorda il parco giochi a Tokyo in cui la portavano i suoi; sì insomma quando suo padre non sapeva neppure che nome avesse la sua segretaria e mamma usciva un po’ più spesso dall’ufficio.
Nana si chiede da quando il basket a livello scolastico sia così popolare ma poi si ricorda che in campo ci saranno degli animali liberi di dar sfogo alla loro demenza e allora le viene in mente che, effettivamente, allo zoo ci va un mucchio di gente.
Si guarda intorno circospetta, lo sguardo che vaga sulla folla in movimento alla ricerca di quel beone di Akira e per un attimo, al pensiero di incontrarlo all’aperto e senza Shiba, il cuore fa un salto, di quelli belli difficili e carpiati che le fanno mancare l’aria nei polmoni.
È come sentirsi normale, per una volta, ed è una sensazione gradevole che non la lascia per un sacco di tempo.
Neppure quando Fujiko interrompe i suoi pensieri con un belante «Uuuurca, che stanghe!» alzandosi sulle punte, mano davanti alla fronte e l’aria di una leonessa che sta per attaccare l’indifesa gazzella. Ed eccola lì, infatti, pronta a scattare verso quei lampioni umani dello Shoyo appena entrati nel palazzetto, capitanati da un bonsai.
«Ma quello è Fujima senpai! Oddio, è bellissimo!» Fujiko fa un balzo in avanti ma viene prontamente afferrata prima che possa commettere un abuso ai danni di qualche povero studente.
«Ferma qui, da brava.» Nana la tira per collottola, storcendo il naso di fronte ai lacrimoni che le penzolano dagli occhi scuri.
«Ma, senpai--»
«Cosa ci eravamo dette?»
«Uh, uh! Che ci avrebbe accompagnate solo se avessimo fatte le brave!» quel biscottino di Ume saltella sul posto, facendo oscillare i corti codini laterali.
Nana le sorride affabile, lasciando la matricola ancora mugugnante «Ecco, quindi evitiamo figuracce. O di violentare qualche giocatore.» le vede annuire anche su Fujiko continua a fissare gli avversari con un principio di bava alla bocca.
Ah, che pazienza…
«Però Fujima senpai…» si lagna Fujiko, continuando a guardare nella direzione opposta.
Nana sbuffa, rotea gli occhi, richiama la pace dei sensi e indossa i panni della paziente babysitter che ha a che fare con dei mocciosi irritanti, quelli che solitamente ti riempiono di domande a raffica o terrificanti e continui «Perché?»
Si arrende «Fujima senpai… Cosa?»
«E’ bello!» si intromette Ume.
«E’ un dio.» seguita Fujiko, sospirando.
Nana segue la scia di stelline che i loro occhi sparano senza alcun ritegno, scontrandosi con… «Oh, il bonsai.»
«Un bonsai molto affascinante.» la corregge la matricola, mani giunte e cuoricini che cadono a terra ad ogni sospiro trasognato; un Link di passaggio raccoglie, ringrazia e se ne va.
«Mh, ok… E sarebbe?»
Ume, la più sana tra le due, la guarda con occhi larghi «Capitano, possibile che non lo conosca?» tira fuori dalla borsa il giornalino scolastico «Ne parlavano sul giornalino!» sorride allegra, sfogliando le pagine.
«Io non leggo quella robaccia là. E dovreste smettere anche voi.» sentenzia macabra, raggelandole con la sola forza dello sguardo. La Bibbia di Tomoko En è pregna di stronzate, due ragazzine assennate come loro dovrebbero evitare di perderci tempo.
«Ma al centro c’è una sua gigantografia!» si lagna Fujiko, passandosi una mano fra i corti capelli.
«Ma che cosa--»
«Lei non lo trova bellissimo?» gli schiaffa davanti il suo primo piano, il poverino è stato fotografato in treno da chissà quale stalker.
Nana lo fissa con curiosità, studiandone i tratti delicati. Un «No.» sta per sgusciarle dalle labbra ma ha il timore che quelle due si perderebbero in piagnistei incessanti e finirebbero col trascorrere il tempo della partita a parlare delle doti di quel Fujima. O di quanto lei sia strana perché «Ma possibile che li trovi tutti brutti?!».
La verità è che Akira a parte, non le è mai piaciuto nessuno.
Non ne ha mai avuto il tempo, troppo presa dallo sport o dal raccogliere i cocci di quella che una volta avrebbe chiamato famiglia. C’era solo lo sport, i piedi che dolevano e le clavettate accidentali. C’erano i litigi a tavola, con lei seduta in un angolo a mangiare le sue ciotole di riso, perché «Lo sai che il riso al curry non mi piace!» o «Hai portato dei fiori per farti perdonare?» seguiti dai soliti «Te la fai con quella cretina della tua segretaria, vero? Ho visto come la guardi!» che la costringevano a chiudersi in camera. E allora c’erano i libri, ci si rifugiava sempre quando le cose si facevano difficili. E i trofei, le medaglie, i diplomi per i concorsi scolastici vinti… C’era tutto quello, che se ne faceva di un ragazzo?
Che poi sapeva come sarebbe andata finire: prima sarebbe stato tutto rosa e fiori, poi ci sarebbero state le incomprensioni e la poca voglia di affrontarle pur di passarci sopra. E i pianti, le notti insonni… Lei non c’era portata per tutto questo, no davvero.
Poi è arrivato Akira, dal nulla.
Con quel suo sorriso bonario, la battuta pronta e l’aria scanzonata di chi i problemi sembra sempre lasciarseli alle spalle, quel tipo di aria che la fa galleggiare in una bolla indistruttibile di pura quiete. A volte lo invidia. A volte vorrebbe avere la sua innata capacità di prendere la vita per come viene, con le cose belle e le difficoltà, senza lasciarsene però travolgere.
«Carino…» concede di malavoglia, restituendo il giornalino, pulendosi la mano nemmeno fosse stato radioattivo.
La Murosaki diventa il ritratto dell’Urlo, borbottando contrariati «Carino, solo?! È molto più che carino! È un adone!» e un mucchio di altre boiate a cui l’altra da man forte annuendo.
Poi, per chissà quale intervento divino, il parlottare concitato di Ume e Fujiko si spegne, letteralmente. Fissano la porta d’ingresso con occhi larghi, guance rosse e labbra a forma di “O”. Sono adorabili, non c’è che dire. E anche un po’ inquietanti…
«Beh? Vi siete rotte? Oh…» le sue parole si perdono nei meandri della mente al cospetto della beltà di Akira Sendoh, giunto probabilmente in suo soccorso, con quel suo sorriso da 3.000 Watt e gli occhi che brillano come nemmeno le luci di Las Vegas.
È sempre così, lui.
Così luminoso da farle dimenticare di essere sulla Terra e non su qualche pianeta sconosciuto o inesplorato.
«Ehi.» alza la mano, le trema appena. Le trema sempre quando sa che non può sfiorarlo per il semplice fatto che non sono chiusi in una camera da letto.
Il suo sorriso si fa più ampio mentre zampetta verso di lei, la tuta del Ryonan indosso e il borsone in spalla. Ha l’aria di chi ha appena vinto una partita e il suo «Abbiamo vinto!» esclamato con due dita belle aperte non è che una futilità. Oh, ma chissenefrega, quando fa così rende tutto un po’ migliore.
E lo devono pensare anche le due matricole al suo fianco, perché se ne stanno lì immobili come due statue di sale «Oi, non si saluta?» domanda con fare materno, dando una leggera gomitata alla ragazzina con i codini.
Ume solleva appena lo sguardo e quando incrocia il sorriso di Akira, lo riabbassa alla velocità della luca, fissando i piedi che vanno su e giù.
Fujiko rotea lo sguardo «Capitano, sarà meglio che andiamo a prendere i posti o Ume-chan ci muore qui» la prende per un polso «E’ stato un piace Sendoh-san, dal vivo è ancora più bello!» saltella via e il ragazzo se ne sta lì, fino a che le due non diventano dei puntini.
«E grazie ancora per l’autografo dell’altra volta! Lo custodirò a costo della vita!»
Akira sventola una mano «Chi… Sono, quelle?»
«Le mie predilette.»
«Ah. Sono quelle che vanno a spiare le altre squadre, vero?»
«Già. Sono adorabili, non trovi?»
«Adorabili, certo. Inquietanti, magari.»
Gli dà una sberla sul braccio, beandosi della sua risata un po’ sciocca che gli fa pesare meno il fatto di doversi sorbire una partita di pallacanestro di cui non gliene frega niente. Non l’ha mai capito, il basket. Non capisce cosa ci trovi Akira nell’inseguire una palla arancione, una cosa che non è poi così diversa dal suo solito «E io non capisco cosa ci trovi in un paio di clavette che potrebbero romperti la testa.» a cui, effettivamente, non sa dare una risposta.
È elettricità, come dice lui.
Pura e semplice elettricità che per un istante la fa sentire viva.
«Non è venuta, mh?» la sua voce rassegnata la riporta sul pavimento lucido, immersa in un vociare concitato che non le permette di pensare. Ci mette qualche secondo a realizzare chi è il fulcro del suo discorso e quando e lo fa, un sonoro sospiro le sfugge dalle labbra piegate.
«Certo che no, ma ti pare? Figurati, quella è testarda, è proprio come--»
«Come mia madre, lo so» le risponde bonario, facendole storcere il naso; si dice che la mela non cada tanto lontana dall’albero e Shiba, nonostante sia stata adottata, non è poi così diversa da Madoka. Secondo lei è per questo che si scontrano facilmente, hanno due caratteri talmente simili che tendono a prendere fuoco se si avvicinano un po’ troppo e quando sono sul punto di capirsi, c’è sempre quella parolina di troppo che fa crollare tutto «Oi, cos’è quella faccia?»
«Quale faccia?»
«Quella che hai adesso. Sei tutta corrucciata, ti farai venire le rughe.» le puntella un indice sulla fronte e per un breve istante crede di essere andata a fuoco; non è abituata a certi slanci improvvisi, non in pubblico.
«E’ che—No, niente.»
«Che?»
Vorrebbe dirgli che a Mitsui piace ancora.
E che è solo una sua opinione. Che è solo una sua opinione basata su fatti oggettivi come i suoi occhi che brillano quando si parla di Shiba, i suoi goffi tentativi di nascondere che, in fondo, arde anche lui dalla voglia di riacquistare quel rapporto che è andato deteriorandosi e che quando gli ha detto che manca lei per risolvere tutti i casini che si trascina dietro da un po’, non le è sfuggito quel lampo di nostalgia che è sfrecciato veloce nei suoi occhi blu.
Scuote la nuca «Ma no, niente… Piuttosto, volevi dirmi qualcosa?»
«Volevo solo salutarti.»
«E immagino tu abbia lasciato la finestra chiusa.» ribatte con un sorrisetto.
Il ragazzo annuisce un poco poi sospira quando vede i suoi compagni sbracciarsi per attirare la sua attenzione.
«Sendoh, datti una mossa!» quel simpaticone di Koshino lo richiama a sé, braccio sventolante e sorriso malizioso che le fa arcuare un sopracciglio.
«Sicuro ci si possa fidare di quello?»
«Mh? Oh, certo, perché?»
«Ha la faccia da scemo.»
Sendoh scoppia a ridere, con quella sua risata che spazza via ogni turbamento, che porta via perfino quel discorso un po’ opprimente che hanno affrontato poc’anzi.
Mentre avverte le sue dita sfiorarle la spalla, mentre osserva la sua larga schiena divenire un puntino lontano, si rende conto che finiscono sempre per parlare di Shibahime o Madoka, mettendosi da parte.
«Capitanooo? Si sbrighi! La partita sta per cominciare!»
Ha la sensazione che nel cuore di Akira Sendoh non ci sia spazio per più di due donne contemporaneamente.
 

 
Shiba muove distrattamente la forchetta sulla griglia posta a centrotavola e Akira si perde nello svagato muoversi delle sue dita. Ha ricominciato a mangiarsi le unghie, segno che qualcosa la turba.
E’ concentrata nel non far bruciacchiare la carne, storce il naso quando le sfugge dalle bacchette proprio mentre sta per girarla dall’altra parte. Sa bene che dietro ai suoi sbuffi o ai suoi sorrisi troppo larghi o anche dietro il suo pigro scuotere della nuca c’è di più, il problema è che non sa come arrivarci.
Ultimamente non sa più come arrivare a qualcosa, con lei.
Tossicchia, richiamando la sua debole attenzione «So che siete andate bene.»
«Oh, siamo state grandi! Ci saresti dovuto essere!» le labbra si aprono in un bel sorriso e l’aria tormentata che le ha tenuto compagnia fino a quel momento sembra dissiparsi.
Dura poco, però, il tempo di un placido «Avrei tanto voluto, ma Uozumi ci ha costretti a studiare gli avversarsi.
Ah, a proposito, Sakuragi a parte lo Shohoku è davvero in gamba!» ed ecco che tutto crolla miseramente. Puff!, svanito, come se quel sorriso non ci fosse mai stato.
Le sue labbra tremano appena mentre un risolino le sfugge «Te l’avevo detto.» che sembra voler porre fine a quella fiacca discussione.
«Ma perché non sei venuta?» 
«Ma no, macché, mi sarei annoiata.» arriccia le labbra.
«Dovevi esserci, è stato uno spasso!» Akira si sistema sulla sedia e Shiba gli regala un sopracciglio arcuato.
«Uno spasso… Sicuro di non essere stato al circo?»
«Beh, effettivamente un gorilla in campo c’era.»
«E una volpe.»
«E una scimmia… Certo che Sakuragi è un danno. Ma dove l’avete trovato, si può sapere?»
«In un cesto davanti alle porte della palestra» addenta un pezzo di carne «Che ha combinato questa volta?» 
Akira guarda il soffitto «Allora, ha dato una manata a uno dello Shoyo, ha dato una gomitata ad Hanagata e poi è volato.»
«Volato?»
«Ma sì, è volato!» apre le braccia, sono larghe come il suo sorriso divertito «Ed è caduto addosso a Fujima, che è caduto addosso al nanetto.»
«Al nanetto.»
«Quello piccolo con i capelli a fungo.» si scompiglia i capelli.
«Ah, Miyavi
«Boh, forse… Dovrò chiedere a Hikoichi di prestarmi i suoi appunti.»
«O era Miyabi?»
«Ah, a proposito… Ho visto che è tornato.»
«Chi, Miyavi? A quanto pare ha fatto un comeback che--»
«Mitsui.»
Quel nome rotola fra le spezie come un macigno e si ferma davanti al viso contratto di Shiba. 
Cacchio, può leggerci un mucchio di roba in quello sguardo, un misto fra mortificazione e rabbia e timore e quel suo continuo attorcigliarsi le ciocche nere fra i capelli non farà altro che palesare la scomodità di quell’argomento. Per un attimo gli galoppano in mente le parole accorte di Nana ma tutto sfuma con il suo leggero sventolio della mano.
«Ah, sì, da qualche settimana… Non te l’avevo detto?» è indifferente, Shiba, come se l’argomento non la tangesse minimamente.
«Non me lo hai detto.»
Alza le spalle, sorride abbacchiata «Mi è passato di mente. Sai, tra gli allenamenti, le gare, lo studio…» si scompiglia la frangetta scura «E poi non è così importante.»
«Ah no?»
«No, certo che no, non lo è» infilza un pezzo di carne con secchezza «Potete smetterla di preoccuparvi?»
«Potete
«Te e Nanaka! Kami, non ho più sedici anni, non mi fa più alcun effetto quel demente.»
«E’ per questo che vieni a dormire da me ogni notte?» gli esce prima ancora che le parole vortichino in mente; se lo avessero fatto, di certo non se ne sarebbe uscito con una stronzata del genere, non con quel tono serio.
Shiba si accartoccia sulla sedia. Ha le spalle strette, l’aria di chi ha appena ingoiato una quantità abnorme di limoni rancidi e quel che è peggio, lo guarda con lo stesso sguardo che elargisce a Madoka quando la costringe a fare qualcosa che odia.
«Se ti infastidisce basta dirlo.»
Vorrebbe dirle che non è quello il problema.
Il problema sono i suoi continui fare avanti e indietro nel corridoio perché non riesce ad addormentarsi, il suo stare fino a tardi in palestra pur di sfiancarsi così da crollare una volta a casa e non dover accampare scuse su scuse pur di non dover parlare con sua madre, il problema sono gli incubi lasciati a dodici anni e ripresi a diciotto e quel suo costante ripararsi dietro muri di spesso silenzio pur di tenere tutti alla larga.
E i segreti. 
Quelli non li ha mai sopportati, non tra loro. Si era aspettato una confessione a cuore aperto, quando Nana gli aveva raccontato del trionfale ritorno di Hisashi Mitsui, ma Shiba ha dribblato l'argomento con algido distacco e lui non ha mai avuto le carte giuste per poterlo affrontare.
La Shiba che ha di fronte non emette più quel bruciante calore che lo fa sentire bene, sembra quasi... Un'estranea.
E' ritornata ad essere la Shibahime dei suoi otto anni, quella che si accucciava in un angolo con la sua coperta a righe e non parlava, quella che mangiava la notte di nascosto perché, a cena, si rintanava in camera da letto, quella diffidente che guardava tutto e tutti come se fossero nemici.
Arriccia le labbra rossastre, lo scruta severa «Non ne hai parlato con mamma, vero?»
«Mh? Oh, no, figurati.»
«Eh, bene. Che poi sai com’è fatta, inizia a preoccuparsi per niente e fa storie.»
«Già.» anche se c’è un però lì, sulla punta della lingua, che pesta i piedi pur di uscire. La verità è che è stato più volte tentato di spifferare tutto a Madoka per il semplice fatto che non può più gestire i problemi di sua sorella, non da solo.
Shibahime ha bisogno di qualcuno che non è lui.
Un po’ gli dispiace appendere al chiodo il vestito da supereroe, lo faceva quasi sentire il re del mondo.
«Però con Mitsui dovresti parlarci. Sembra cambiato.»
«Ma se non l’hai mai visto?!»
Già, non l'ha mai visto, ma Nanaka dice che è cambiato e s elo dice lei, in un certo senso si fida. Perché Nana vuole il bene di Shiba, a volte più di quanto potrebbe mai volergliene lui e anche se è un po' maldestra nel dimostrarglielo, sa che non farebbe mai nulla per farla soffrire. 
A parte tenere nascosta la loro... Cosa ma, oh, beh...
Scuote la testa «Beh, l’ho visto mentre giocava e--»
«Non è che se uno torna a giocare con la coda tra le gambe, allora tutto ciò che c’è stato prima svanisce. Puff!, andato!» schiocca le dita, lancia le bacchette sulla tovaglia.
«Shiba--» è un fiume in piena, continua a vomitare una marea di parole che non riesce ad arginare e al suo ennesimo «Shibahime, ascolta--» questa volta più rassegnato, lei sembra chiamarsi.
E gli dice una cosa.
Una cosa banalissima ma che gli resta conficcata in mente per un sacco di tempo, che non se ne va nemmeno quando prova a scacciarla soffocandola con altri pensieri.
C'è il suo stanco «Non basta un taglio di capelli nuovo per rimettere tutto a posto.» e il loro starsene in silenzio per un'infinità.
Akira fissa i suoi capelli corvini.
Già, a volte non basta.

 

Life on Mars risuona bassa nell’abitacolo, Madoka ne segue distrattamente il ritmo e ogni tanto azzecca qualche parolina. Non molte, giusto le ultime di ogni frase; incredibile come propini questa benedetta canzone ogni volta che vanno in viaggio ma ancora non se ne ricordi neppure una sillaba.
Inizia a credere che la metta su solo perché David Bowie è il suo cantante preferito. O magari le piace solo Life on Mars, non ne ha idea.
Ricorda ancora il suo
sorpreso «Ma... Ti piace lui?! Anche io lo ascoltavo quando ero giovane!»  quando i suoi poster hanno cominciato a tappezzare le pareti di camera sua, per poi scoprire che Madoka nemmeno conosce il paese d'origine di questo santo uomo; probabilmente lo ha fatto per trovare un punto di incontro con lei, non lo sa, sa solo che non basta così poco per andare d'accordo.
È all’ennesimo acuto sbagliato che Shiba si decide a smorzare quella quiete costruita e che inizia a darle noia.
«Non c’era bisogno di accompagnarmi a scuola.» il suo mormorio è un po’ roco, copre l’acuta voce di David Bowie che sembra dirle:
«C’è vita su Marte, ragazzina, scappa da quest’auto e vacci!»; qualsiasi pianeta sarebbe meglio della Toyota di Madoka. C’è sempre odore di Big bubble alla fragola, le fa venire la nausea; quella di sua madre sapeva di limone, le dava freschezza.
«Dovevo passare di qua. E poi lo faccio volentieri.» il sorriso che le rivolge è delicato ma non sincero. Lo legge nei nervi tesi del collo e nel leggero tic che hanno gli angoli sollevati che si trova lì perché deve; si sforza così tanto con lei che dovrebbe essergliene grata, invece la fa sentire solamente di troppo. È tentata di chiederle perché mai se la sia portata a casa, quel giorno di dicembre, se è chiaro come il Sole che picchia sulle loro teste quanto sembri pentita di averlo fatto, ma un brivido la scuote al pensiero che la risposta potrebbe farla crollare in uno di quei suoi soliti baratri da cui non riesce ad uscire.
A volte è meglio non sapere. 
Proprio come non saprà mai perché suo padre abbia deciso di abbandonarla.
Volge il viso verso il finestrino, gli occhi le pizzicano «Non si direbbe.»
«Come?» la domanda è simile all’acuto di un violino strimpellato male, le fa scorrere brividi lungo la schiena. Sventola una mano e sua madre torna a guardare la strada, questa volta non canticchia «Come sta andando a scuola?» le sue dita perfettamente pitturate tamburellano sul volante, è come se scandissero il tempo in una maniera tutta loro, allungando il tragitto.
Shibahime non vede l’ora di arrivare a scuola; la prima ora ha algebra, le fa schifo, ma è sempre meglio che starsene qui a fare una chiacchierata cuore a cuore con sua madre.
«Va bene.»
«Nell’ultimo compito di matematica hai preso l’insufficienza.»
«Può capitare.»
«Ma non dovrebbe. E se ti cacciassero dal club?»
«Non mi sbatteranno fuori per un voto basso, la mia media è buona. E basta con questa canzone!» con un gesto secco va a quella successiva, afflosciandosi sul sedile.
«Credevo ti piacesse.» mormora sfibrata, massaggiandosi una tempia con le dita. Quando non ode risposta, spegne la radio.
Il silenzio che cala è pesante, di quelli spessi che frequentemente accompagnano le cene o le giornate con i parenti; Madoka ci prova a fare qualche foro, giusto per raggiungerla un po’ di più ma i tentativi finiscono col colare a picco.
«Sì, ma dopo un po’ stanca.» borbotta pigramente.
Il tragitto casa-scuola non le è mai parso così lungo, soprattutto perché la chiacchierata con Mitsui continua a galleggiare fra i pensieri sconnessi. C’è che è sul punto di dire a Madoka tutto quello che le passa per la testa, tipo che a volte la ginnastica la fa soffocare, che vorrebbe essere considerata qualcosina in più di un’estranea perché, oh lui ha ragione, mica li ha seguiti fino a casa, sono stati loro a prendersela e allora si prendano tutto ciò che si trascina dietro.
Ma Madoka sembra essere su un altro piante, di quelli che non riuscirebbe a raggiungere nemmeno tra un milione di anni. E’ sempre stata così, sua mamma. Così frivola, poco accorta, ha un modo di far del bene tutto suo ed è poco incline alle discussioni.
Per quanto ci provi, non potrà mai somigliare ad Akira e forse Madoka lo ha capito, per questo si è arresa.
«Shibahime, ascolta…» si rizza sul sedile, la schiena dritta e le mani strette a pugno sulla gonna a pieghe; quando la chiamano per intero significa che stanno per impegolarla in qualche discorso scomodo, qualcosa che ha sempre il potere di farla sentire un’inetta. Si chiede spesso quando arriverà il giorno in cui le diranno «Abbiamo deciso di ridarti indietro.» come si fa con gli animali che sporcano o fanno danni o con quei bambini problematici che non fanno nulla per lasciarsi amare. Ci pensa spesso, un po’ troppo, è uno dei suoi incubi ricorrenti.
«Sì?» le esce con un filo di voce, stringe la mano intorno alla maniglia cosicché possa aprire la portiera e buttarsi in strada, poco importa che l’auto sia ancora in movimento.
«Tuo padre ed io ne abbiamo discusso a lungo--»
Oh, ecco che arriva il discorso.
Strano, ha sempre pensato che ci sarebbero state lacrime e un suo implorante «No ma dai, proviamo a risolvere le cose, ti giuro che farò la brava!», invece c’è solo uno strano senso di ansia che le fa battere il cuore all’impazzata.
Chissà cosa si prova a sentirsi dire «Abbiamo deciso di ridarti indietro.», forse assomiglia ad un banale «E’ finita.» pronunciato su di una spiaggia mentre il cielo si tinge d’arancio.
Non sa perché lo pensi in quel momento, mentre le cose sembrano rotolare via senza che possa fermale, ma è la prima volta che si chiede cos’abbia provato Mitsui quando se n’è andata via.
«Che?»
«Forse dovresti tornare dalla Dottoressa Nakajima.»

Ah…
Shibahime sente il suono di una frenata o almeno lo sentirebbe se fosse lei quella a guidare. Non si aspetta un’uscita del genere, non dopo così tanto tempo.
Della dottoressa Nakajima ricorda i capelli grigi legati in uno chignon, gli occhiali a mezza luna e un delicato sorriso che l’ha sempre fatta sentire una pazza. Aveva la voce delicata, un filo sottile che sembrava raccogliere i suoi sfuggevoli pensieri e metterli alla berlina, sgusciandoli ben bene pur di trovare cosa non andasse in lei.
Non le è mai piaciuto andare lì, lo studio giallo canarino le ha sempre dato il voltastomaco.
E poi Shibahime odia il giallo canarino.
«Scherzi, vero?» la domanda ne esce in un soffio misto a risata, le mani le prudono.
La donna scuote la nuca «E’ la cosa più giusta e lo sai anche tu.» la sua voce decisa non ammette repliche, le dita si stringono così forte intorno al volante da far divenire le nocche bianche.
«No, non lo so.» cantilena nervosa.
Sua madre sospira, sembra quasi sia stata costretta ad affrontare un discorso del genere. Già può vederli quei due, sdraiati a letto con la luce della lampada accesa perché suo padre sta finendo di leggere un libro e sua madre, presa da uno dei suoi soliti trip dovuti all’insonnia, si volta verso di lui con un plateale «Nostra figlia ha qualche problema.» e giù a discutere su chi debba gettarsi per primo in quest’ardua battaglia.
«Non mangi, non dormi, vai male a scuola. Ti svegli in preda agli incubi, non va bene! Siamo preoccupati per te!» la sua voce si alza di qualche ottava «Co-Come pensi che ci sentiamo vedendoti ridotta così?»
«Ma così come?!»
«Come quando quel ragazzino è uscito dalla tua vita! Quel… MAtsui, o come diamine si chiama!» la mano si sposta dal cambio all’aria, gesticolando nervosamente, fino a che non torna a posarsi sul voltante e la sua voce sembra farsi più pacata.
Quel nome è precipitato nell’abitacolo come un macigno. Sbagliato eh, perché non sia mai che un Sendoh azzecchi un nome che sia uno, ma lo ha fatto, con tutta la pesantezza che si trascina dietro.
E Shiba non sa come reagire, non lo sa davvero.
Sa solo che tutto il male che Mitsui le ha fatto è tornato indietro come una raffica di proiettili e ha per un attimo seppellito quel fiotto di calore che ha provato da quando si sono rivolti la parola, quella notte che sembra ormai lontana.
E si ricorda che deve ancora buttare il sacchetto del Mc.
E si ricorda che i suoi occhi blu hanno una luce strana, diversa, non brillano più come tanto tempo prima.
Shiba deglutisce.
«E’ la cosa più giusta per te.» pontifica inflessibile, Madoka, deglutendo probabilmente un altro nodo di recriminazioni. Glielo legge negli occhi scuri che c’è molto altro dietro.

Strano non sia saltata fuori la storia dell’adozione, lo pensa piano, intimorita che possa origliare pure fra i suoi pensieri. Non credeva avrebbe tirato fuori Mitsui, è sempre stato uno di quegli argomenti tabù che la fanno incupire.
Shiba decide di non protrarsi per un discorso così impervio, non sarebbe in grado di uscirne vincitrice «Farmi imbottire di farmaci non è la cosa più giusta.»
«Se non ci sono altri modi…»
Per un attimo ha la sensazione che Madoka sia davvero preoccupata per lei, ma preoccupata sul serio. Che i suoi modi bruschi siano tali solo perché non si sente ancora in grado di poter sostituire la sua vera madre e Shiba, che è diffidente per il semplice timore di vedere tutto quello sgretolarsi come castelli di sabbia al vento, non le lascia neppure uno spiraglio di speranza.
Tiene un braccio teso, è quella la distanza che devono mantenere tutti.
Perché quando dà di più, tutti se ne vanno.
«Fermati qui.» esala sfibrata.
«Non essere sciocca, ti accompagno fino all’entrata.»
«Va bene qui! Ho bisogno di aria!» il fiato corto le si mozza in gola e l’aria che le sbatte in faccia quando apre la portiera per poco non la fa svenire in terra.
«Shiba--»
«Non aspettarmi a cena, ho gli allenamenti fino a tardi.»
«Ma, Shiba--»
Chiude di colpo, lasciandosi indietro il suo sospiro e il suo afflosciarsi sul volante probabilmente in preda a chissà quale crisi isterica Made In Madoka.
Che. Mattinata. Di. Merda.
Primo la sveglia che non suona, poi suo padre che la costringe a finire tutte le uova e come se non bastasse ci si è messa Madoka e il suo squillante «Ti accompagno io tesoro!» che è stato solo un espediente come un altro per dirle che la reputa ancora uno schizoide che ha bisogno del Prozac per poter sopravvivere.
Non ha bisogno della dottoressa Nakajima e del suo inutile «Allora, mi dica cosa non va nella sua vita.», insomma, che domanda del cazzo è?! È ovvio che niente va nella sua vita! Sua madre preferirebbe aver adottato un cane, suo padre è troppo occupato a mantenere la quiete in casa per schierarsi dalla sua parte e Akira sarebbe l’uomo perfetto se solo non fosse suo fratello. E come se non bastasse, quell’impiastro di Hisashi Mitsui ha pensato bene di ripiombare nella sua vita proprio quando credeva di averne ripreso le redini e quando è stata sul punto di pensare che, ma sì, in fondo una seconda chance potrebbe dargliela perché l’ha trattata come un essere umano, Madoka le ricorda che in fondo se si trova ridotta così un po’ glielo deve anche a lui.
Le ha fatto tornare in mente tutto ciò che c’è stato prima di quella sera.
Quindi no, non va una sega nella sua vita ma non ha certo bisogno che sia una con due lauree a dirglielo, ci arriva benissimo da sola.
Abbacchiata, stringe la cartella di scuola mentre il borsone in spalla le sembra più pesante ogni passo che fa.
Un chiacchiericcio frenetico attira la sua attenzione, davanti all’ingresso c’è un nugolo di ragazzi appostato, sventolano il giornalino scolastico e parlottano concitatamente. Non vedeva tanto scalpore da quando Akane della seconda sezione 2 ha pubblicato foto in costume da bagno per non ricorda quale rivista, finendo tra le prime pagine del giornalino.
«Eccola, è arrivata!»
«Ma che cazzo--» si blocca, la borsa stretta a sé. Si pente di non essersi fatta accompagnare fino a lì, probabilmente si sarebbe evitata questa scocciatura.
«Sendoh-san, Sendoh-san!» la marmaglia le si para davanti, brandendo il giornalino scolastico. Shiba indietreggia, fissa stralunata quel branco di ormoni impazziti che la guardano adoranti, nemmeno fosse Gong Li. Non è abituata a questo genere di cose, solitamente è Nanaka quella che viene braccata all’ingresso della scuola!
«Sì?» domanda spaesata, guardandoli uno ad uno alla ricerca di un volto familiare; zero, nada de nada, tabula rasa… Ma davvero questi tizi frequentano lo Shohoku?!
«Sendoh-san! Siamo membri del suo fanclub!»
Fanclub?!
Ma da quando ha un fun-club? E' Nana quella coi fanclub! Mica lei!
«Sei stata fantastica nell’ultima gara!»
«Ahm, sì, grazie.»
«Il body rosso ti dona!»
«Eh. Ma da quando ho un fanclub?»
«Ma da un sacco! Le abbiamo anche dedicato una pagina sul giornalino!»
«Ah... Beh.»
«Ci rilasci un'intervista?»
«Ci fai un autografo?»

«Ci fai vedere come fai la spaccata?»
«Che cosa?!»
«Vi levate dalle palle?» Shiba sobbalza al suono di quella voce greve: Mitsui svetta alle sue spalle, è scazzato e visibilmente irritato «Cristo, avete dimenticato i porno a casa?» la massa dapprima compatta diventa informe, lo lasciano passare intimoriti, quasi si fossero visti di fronte Godzilla.
Shiba fissa la sua larga schiena e la disarmonia dei suoi movimenti.
Sembra uno di quei bulletti di periferia che salva la ragazzina innocente dalle grinfie di una banda di motociclisti, è così diverso dal ragazzino coi capelli a scodella che irradiava tutto con un solo gesto o sorriso.
«E tu muoviti! Che te ne stai lì impalata?»
La sua voce un po’ roca e scocciata la ridesta, scende prepotente come un fulmine nel bel mezzo di un cielo azzurro e le fa tremare le ossa come non le succedeva da tempo; si è dimenticata cosa volesse dire trovarsi di fronte i suoi occhi blu incupiti.
Tentenna ma quando vede l’orda di ormoni impazziti farsi nuovamente strada verso lei, opta per il male minore, ovvero Mitsui, la sua camminata sgangherata e la sua allegria da condannato a morte.
Lo affianca stando però ben distante, quel tanto che basta per non lasciarsi inebriare dal suo odore o dalla sua aura incazzosa; in un certo senso, il suo silenzio è la cosa migliore che gli sia capitata da quando ha aperto gli occhi.
Salgono le scale in silenzio, Shibahime sente l’aria mancarle nei polmoni. 
Com’è possibile che quel demente possa avere ancora così tanto potere su di lei e sul suo umore altalenante? Per un istante, breve e a malapena acciuffabile, si è sentita talmente bene da poter spiccare il volo, ma cose che se si fosse buttata dal tetto probabilmente avrebbe raggiunto il manto di nuvole bianche. Fino a che non si è fermato, guardandola oltre la spalla. Shiba prega che se ne stia zitto, che non se ne esca fuori con una delle sue solite stronzate apocalittiche ma, beh, Hisashi per certe cose non è poi così tanto cambiato.
«E’ la seconda volta che ti salvo da un gruppo di arrapati, inizio a credere che tu lo stia facendo apposta.» le sue labbra si aprono in un ghigno, quella che dovrebbe essere una battuta buttata lì per smorzare la tensione non sortisce gli effetti sperati.
Shiba è reticente, risponde con un secco «Apposta, certo…» che spera chiuda lì la conversazione, anche perché non ha voglia di perdersi in chiacchiere. La discussione con Madoka è ancora fresca, divora quel briciolo di bontà che le permetterebbe di non trattare Hisashi come un caso umano.
Lo studia e quando crede che non ci sia più nulla da dire, perché tanto finirebbero col lanciarsi contro qualsiasi oggetto o persona che passa di là, lo supera, lo sguardo basso e le dita che giocherellano con la lunga coda di cavallo.
Ma Mitsui a quanto pare non è della stessa idea «Un grazie sarebbe d’obbligo.»
E Shiba esplode.
Nel corridoio della scuola, mentre delle povere matricole pascolano ignare di essere appena giunte in zona di guerra, con quei pochi presenti che si affacciano in corridoio per vedere chi sta dando spettacolo.
Lo guarda con occhi larghi e che sputano fiamme, è costretto ad indietreggiare pur di non sciogliersi per tutto quel calore.
«Non ti devo niente, mi hai sentito?! Me la so cavare benissimo da sola! Non ho bisogno di pastiglie, chiaro?!» agita i pugni, sbraita, se solo non ci fosse dentro il pranzo gli lancerebbe contro pure il borsone.
«Pastiglie?!»

«E la mia canzone preferita è Heroes!
Non Life on Mars, Heroes!»
E impettita, si allontana, lasciandolo in mezzo al corridoio.

 
«Heroes.» Nana chiude l’anta dell’armadietto, ci si appoggia e la fissa con un ghigno.
Shiba si allaccia le scarpe «Non. Dire. Niente.»
«E io che ti facevo più tipo da Baby one more time
«Nana...»
«My loneliness, is killing me--»
«Nanaka, smettila o ti avveleno la cena!»
«Hit me Mitsui one more time.
Sì, ci sta bene!»
«Vai al Diavolo!»


 
«Oi, sono a casa!» poggia le chiavi sul tavolino all’ingresso, già pregusta l’odore di liti e riso che andrà a mangiare quella sera.
Da quando i suoi sono tornati a casa, le discussioni tra le donne di casa sono diventate sempre più frequenti.
Le porte che sbattono sono all’ordine del giorno, i sospiri di sua madre sembrano sempre più pesanti e i silenzi a tavola si possono tagliare con le bacchette. Se non fosse per suo padre che smorza tutto con la sua spensieratezza, probabilmente Shibahime e Madoka finirebbero col tirarsi contro ogni oggetto nel raggio di un metro.
Quella sera però c’è la voce alta di Shiba, un sonoro «Ma smettila!» che gli fa temere il peggio e una ben più familiare risata, quella leggera di Nanaka che gli fa sempre scorrere i brividi lungo tutto il corpo.
Nemmeno se ne accorge, ma accelera il passo di istinto quando si accorge che quell’adorabile miniatura sta impregnando casa sua con il suo profumo.
«E il Principe azzurro salvò la bella principessa dai pretendenti arraffoni.»
«E basta!» il gracchio perforante di Shiba fa traballare le pareti di casa, perfino il portaombrelli in veranda ha rischiato di ribaltarsi.
«Devi ammettere che è stato piuttosto carino.»
Le trova in salotto spaparanzate sul divano. O meglio: Shiba se ne sta stravaccata sul divano, la faccia sprofondata nel cuscino e i piedi incerottati in più punti che dondolano nell’aria; Nana siede per terra, sfoglia svogliatamente una rivista di basket e scuote la nuca ai suoi convulsi piagnistei.
Shibahime ha un’altra crisi isterica.
Diversa dalle altre, nota non senza un velo di speranza. Niente lacrime, niente su e giù per la stanza, niente balbettii o domande sparate a raffica senza alcun nesso logico. E' come se avesse raggiunto il punto di ebollizione e avesse deciso finalmente di sfogarsi.
«Chi ha salvato chi?» si intromette nel loro cicaleccio con bonarietà, ricevendo un seccato «Dovevi essere a casa un’ora fa!» accompagnato da un cuscino che gli sfiora la guancia, per poi schiantarsi contro il muro oltre le sue spalle. Ah, la mira orribile di Shibahime…
«Mi sono trattenuto a chiacchierare con Koshino» si giustifica con un mezzo sorriso, indeciso se restare in quella specie di campo minato o nascondersi dentro l’armadio «Ma si può sapere che è successo?»
Ed eccolo lì, il volto di Shibahime rosso come un peperone e gli occhi che saettano a destra e sinistra quasi si sentisse osservata. Nana trafigge il silenzio con un delizioso «Quanto la fai tragica.» e sua sorella, dopo quella che sembra un’eternità, se ne esce fuori con un incomprensibile «Acchan, ti è mai capitato di venir salvato da qualcuno che odi?»
«Che?» si siede sulla prima poltrona libera che trova, quella che gli permette di vedere meglio Nana evitando che Shiba possa scorgere i loro sguardi sfuggevoli; o quell’accenno di sorriso che gli ha subito celato tornando a guardare la rivista.
È la prima volta che sente il bisogno di urlare a gran voce che si frequentano –nh, più o meno- da qualche tempo, ma Shiba è tutta presa da chissà quale problema e allora ricaccia tutto, perché non ha voglia di vederla sgretolarsi davanti ai suoi occhi. Si è spesso chiesto come la prenderebbe sua sorella se scoprisse che da qualche anno, la sua migliore amica si infila sotto le sue coperte senza averle mai confessato nulla ma, date le circostante, finirebbe per scaraventare loro contro Hisashi Mitsui, così da porre fine a ogni flagello che affligge la sua vita.
«Hisashi Mitsui le ha salvato la pelle da un branco di futuri molestatori, lei non gli ha detto grazie e ora si sente in colpa.»
«Non mi sento in colpa!»
«Non glielo hai detto?»
«Beh--»
«Se non ti sentissi in colpa, non faresti così tante storie.»
«Mi sento in colpa solo perché tu mi ci fai sentire!»
«Beh, avresti dovuto dirglielo.»
«Tu non intrometterti!»
«E che gli hai detto, si può sapere?»
«Niente, che avrei dovuto dirgli?!»
«Ah, niente.»
«Gli ha detto che la sua canzone preferita è Heroes.»
«Nanaka!»
«Ah. E perché?»
«Magari voleva renderlo geloso di David Bowie.»
«Dubito che Mitsui sappia chi è David Bowie.»
«Questo perché è una capra!» Shiba si stringe il cuscino in petto «E’ anche vero che è la seconda volta che si comporta bene.»
«Cosa cosa?!» Nana perde interesse per la rivista, ha lo sguardo di un felino pronto ad agguantare la preda «C’è già stata una prima volta?»
Shiba riemerge dal proprio annaspare «Ahm, beh, ecco, giorni fa sono capitata a Shibuya--»
«Che ci facevi a Shibuya?» Akira inclina il capo.
«Mi sono addormentata sulla metro» ridacchia scioccamente «E Mitsui mi ha salvato da un gruppo di teppisti e--»
«Che ci faceva a Shibuya?» questa volta è Nana quella curiosa, la fissa con un sopracciglio arcuato.
«Ma che ne so, si sarà addormentato.»
«Siete proprio fatti per stare assieme!» cinguetta malefica.
«E lo hai ringraziato?»
«Ahm, veramente--»
«Shibahime!» gracchiano in coro, scaraventandola lontana.
«E’ che non ce n’è stato il tempo!» agita le mani «Lui era lì, che si comportava come se nulla fosse e mi ha offerto la cena al Mc e io--»
«Che ci facevate al Mc?!»
«Ahm, non credo che questo sia il punto.»
«Certo che lo è!» Nana spara raggi laser dagli occhi, Akira si copre con un cuscino «E’ a dieta, non può mangiare schifezze!»
«Ma se ha mangiato tutto lui?!» si intromette sua sorella «Io ho assaggiato la macedonia!»
Akira batte un pugno sul palmo aperto «Ah, quindi era suo il sacchetto!»
«Il sacchetto?»
«Ma sì, mi ha lasciato un sacchetto.»
«Con su scritto: Mangia.»
«Ah…» Nana allunga le gambe, guarda il soffitto «Beh, è stato carino.»
«Eh.»
«E tu una cavernicola.»
«Ugh.»
«Direi che un grazie se lo merita, non credi?» Akira si rintromette, guardandola con un sorriso.
Shibahime si ributta sul divano, mangiucchiando frasi inconcludenti.
Nana sospira pesantemente, sembra più uno sbuffo a dire il vero «Shiba, tutti ci hanno messo una pietra sopra. Possibile non possa farlo anche tu?» i suoi occhi liquidi traballano sotto il suo sguardo esasperato, fino a che non si affloscia sul cuscino.
«Non ci riesco. Lui è--»
«Cambiato. O almeno ci sta provando» Shiba si fa piccola piccola «Non credi che anche per lui sia snervante saperti così diffidente?» Nana le picchietta amorevolmente una mano sulla testa, ad Akira tornano in mente le serate in cui Shiba si svegliava nel cuore della notte in preda agli incubi e Madoka era lì, a carezzarle la schiena mentre le teneva su i lunghi capelli cremisi.
Non sa quanto tempo spendono lì, in silenzio, con Shiba che probabilmente cerca di soffocarsi col cusino e loro che tentano di non cadere ancora sull'argomento Mitsui, fino a che Nana non si solleva, si pulisce i leggings neri e le scompiglia i capelli.
«Devo andare. Ricordati che domani mattina abbiamo gli allenamenti.»

«Ngh. Posso morire?»

«Prima finiamo i campioanti.»
«Ma che stronza!» la Itou scoppia a ridere mentre tenta di schivare i suoi cuscini e i fulmini che spara dagli occhi.
Akira si alza «Ti accompagno, fuori è buio.»
Nana gli sorride appena mentre lancia uno sguardo a Shiba ma quella sventola una mano e farnetica qualcosa come «Spero che un meteorite vi colpisca.» e amenità del genere.
Una volta fuori sente l'aria ritornargli nei polmoni, come se se ne fosse andata a pascolare verso lidi migliori quando si è accorto che Shiba è entrata in uno dei suoi soliti tunnel infiniti.
«Testarda. E' una testada.» borbotta Nana pestando i piedi per terra. Ogni tanto gli sfiora la mano, nemmeno si rende conto che così facendo gli fa venire voglia di sbatterla contro il primo muro che trova.
«Forse deve andare così.»
«Sono due stupidi, stupidi! Si piacciono e fanno gli stupidi!»

«Nanaka--»

«Almeno, a Mitsui piace, insomma, si vede!»
«Che cosa?»
«Ma sì, si vede! Ha quello sguardo stupido che hanno tutti gli innamorati, si capisce che non gli è passata! E poi me l'ha praticamente detto!»
«Ah. Te l'ha detto.»
«Beh, non proprio. Me l'ha detto il suo finto padre.»
«Il suo finto padre, certo.»

«Parlava di una rossa snodata in classe con lui. E' lei, per forza! Mi ci gioco i trofei!»
«Ma quando?»
«Ma l'altra sera! Li ho incontrati per caso» sventola una mano, le gote rosse come se avesse appena svelato un segreto inconfessabile «E' cambiato, sai? E' sempre un idiota ma, va beh, se si sorvola sulla sua stupidità non è poi così male.»
«Nana?»
«E se si sorvola sulla sua camminata da gorilla.» cammina impettita.
«Nanaka?»
«Che?»
«Casa tua è questa.»
«Ah.»
«E non sono affari tuoi.»
Nanaka lo guarda con quel suo sguardo strano, quello che ha quando sta per esplodere o dirgli di andare via. Raramente l'ha vista così presa per la vita di qualcun'altro e, in un certo senso, lo eccita vederla scaldarsi. Sembra... Viva, in quella maniera tutta sua.
Borbotta qualcosa come «Certo che lo sono, è Shibahime dopotutto.» che gli ricorda una frase che spesso sua madre mormora a Kyosuke quando le dice di lasciarla perdere, che è solo una fase e non deve intromettersi.
Nana lo supera, ravana nella borsa alla ricerca delle chiavi e quando apre la porta, si impala sulla soglia, lo sguardo puntato su dei cocci fiocamente illuminati dalla luce della luna.
«Ha chiamato tuo padre.» gli sfugge senza nemmeno pensarci, mentre accende la luce. 
«Già…» Nana sospira e dopo aver sventolato una mano si infila in casa con passo pesante, gettando la borsa con malagrazia per terra.
In casa c'è un silenzio quasi surreale, se non fosse per il bigliettino appeso al frigo che dice "Sono uscita, faccio tardi", penserebbe che i ladri hanno pensato bene di svaligiarle casa.
Chiama Spock a gran voce ma quella sfuggevole palla di pelo deve essersi rintanata chissà dove «Beh? Che ci fai ancora qui?» glielo chiede con sgarbatezza anche se nel suo lieve rossore può scorgervi imbarazzo.
Akira comincia a raccogliere i pezzi di vaso sparpagliati in giro
«Pulisco qui e vado.»
Nana gli da le spalle «Shiba potrebbe preoccuparsi.» 
«Ma va.»
Per la prima volta, pensa che Shiba può aspettare.

 


Harvey Dent: Il “Due facce” di Batman. Brillante avvocato di Gotham, durante un’udienza viene sfigurato sul volto con del vetriolo dal boss mafioso Maroni. Divenuto schizofrenico, ha inizio la sua carriera da criminale. Tanto amore per lui.

Miyavi: Cantautore, musicista e produttore discografico giapponese.

David Bowie: Cantautore e attore britannico, “Life on Mars?” e “Heroes” sono due dei suoi più grandi successi. La bellezza

Prozac: Farmaco usato per curare la depressione, disturbi ossessivi-compulsivi e la bulumia nervosa.

Gong Li: Attrice cinese, è famosa per aver interpretato la geisha Hatsumomo nel film “Memorie di una Geisha”. 


*Toc toc*
Sì, lo so, sono un sacco in ritardo T.T
Vi prego di perdonarmi ma a lavoro sta diventando impossibile, finisco tardi, torno a casa che sono cotta come una mela e i giorni a seguire saranno ancora più tremendi e Mo chuisle è passata in secondo piano. Ad ogni modo, il capitolo è un po' più lungo del solito (mi pare!) anche se mi sembra un po’ sottotono o magari sono io ad esserlo, non lo so. 
Sta di fatto che ho fatto una fatica immane a finirlo, le parole non uscivano come volevo e i pensieri mi sembrano confusionari, come se i personaggi continuassero a rincorrere qualcosa senza però raggiungerlo. Spero però di essermi fatta perdonare con il breve siparietto Nana-Mitsui.
Nota dolente: i capitoli che avevo scritto per intero sono ahimè conclusi, dal 9 in poi sono solo abbozzati pertanto non credo sarò celere nel pubblicare, anche se spero di non far passare i miei soliti mesi comunque. La scaletta c'è, so cosa deve succedere nei singoli capitoli, si tratta solo di una questione di tempo, voglia e stanchezza. Inoltre sto buttando giù un’altra fanfiction che mi sta a cuore quindi mi divido tra le due e il tempo è che quel che è T.T Farò del mio meglio, lo giuro! Anche perché non posso abbandonare questi cretini, insomma, vi meritate di vedere come vanno le cose!

Bom, direi che mi sono cosparsa il capo di cenere già per troppo XD
Ringrazio infinitamente pinkjude, Ice_DP, ReginaMills89 e LuMiK per aver recensito lo scorso capitolo, siete state carinissime come sempre e io invece sono una disgraziata, perché ancora non vi ho risposto. Ma abbiate fede, presto vi riempierò di amore cosmico 

Alla prossima! 
HeavenIsInYourEyes.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Come as you are, as you were, as I want you to be ***


Capitolo 9

Mitsui è sempre stato bravo a comprendere Shibahime.
I suoi silenzi, le sue storture di naso, i suoi sbuffi, tutto è sempre stato interpretabile. Perfino alle sue mezze parole riusciva a dare un senso. Ma quando quella se ne è uscita fuori con un isterico
«E la mia canzone preferita è Heroes! Non Life on Mars, Heroes!» Hisashi ha seriamente cominciato a dubitare delle proprie doti di interprete e delle sue facoltà mentali.
All’inizio ha pensato che le piacesse quella canzone e volesse renderlo partecipe, tanto per rendersi un po’ più incomprensibile ai suoi occhi ma dopo averci rimuginato su una manciata di secondi, è giunto alla conclusione che Shibahime Sendoh è una psicotica.
Basta. Punto. Si è fottuta il cervello.
Addio ai bei tempi andati, ai baci, alle carezze…

«Mitsui, stai andando a casa?»

 

Mo Chùisle

Capitolo 9

Come as you are, as you were, as I want you to be

 
“Nate: Lisa! Lisa! Dove sei?
Lisa: Sono proprio qui! E tu?
Nate: Non lo so. Niente sta andando come avrei voluto, Lisa. Lo sai? 
Io volevo davvero amarti, ti ho amata!
E ho sentito che stavamo per cominciare—Io lo so, 
lo sento nel mio cuore ed è come se avessi appena mandato all’aria l’unica chance che capita una volta nella vita.

Lisa: Nate, io non sono una chance. Sono una persona.”
                                                                                      -Twilight  [3.12], Six feet under-

  

 
Shiba gli corre incontro, si ferma a qualche passo da lui per riprendere fiato.
Hisashi alza gli occhi al cielo, convinto che il sole stia per rintanarsi dietro una coltre di nubi nere che cominceranno a buttare giù lampi e tuoni. O magari gli Angeli dell’Apocalisse hanno deciso di visitare Kanagawa come meta turistica, altrimenti non si spiega la corsa affannata di quella miniatura che ora se ne sta lì, come se dovesse sputare i polmoni davanti alle sue Asics.
«Cosa guardi?» glielo domanda confusamente, fissando il cielo terso d’azzurro.
Mitsui solleva le spalle, continuando a guardare le nuvole che si spostano con lentezza «I segnali dell’Apocalisse.»
«Eh?»
«No niente… Hai bisogno di qualcosa?» la guarda curioso, studiando il suo essere così… Distante, nonostante pochi metri li separino. E’ come se un’invisibile barriera si ergesse ogni qualvolta i loro corpi gravitano così vicini da potersi sfiorare
Tentenna «Ahm… per caso stai andando a casa?»
Superato il momento di sbigottimento, Mitsui opta per la difensiva…
«Sì, perché? Hai bisogno della scorta?»
… O per essere un cazzone di prima categoria.
La guarda storto, anche se in realtà è più incazzato con sé stesso e con il proprio modo di trattarla così, come se fosse una specie di Itou # 2.
Shiba sembra intimidita dal suo comportamento ma sospira e sfoggia una tranquillità davvero invidiabile «Volevo ringraziarti per ieri. Sai, per il fun club» sventola una mano «Se non fosse stato per te, a quest’ora sarei ancora bloccata da quei pazzi.»

O senza mutande…
«Non l’ho fatto per te, quelli stavano bloccando l’ingresso.» le dà le spalle, riprende a camminare anche se con passo più cadenzato, aspettando di udire i suoi passettini veloci raggiungerlo e quando se la ritrova affianco gli tornano alla mente i pomeriggi trascorsi a passeggiare per vicoli isolati per spingere un po’ più in là il rientro a casa.
I baci sotto i lampioni, il tenersi per mano… Sono tutte cose di cui non ha più sentito la mancanza, che nei suoi anni bui ha reputato stupide e pure un po’ troppo melense per un duro e puro come lui e ora invece continua a dirsi che, in fondo, erano le poche cose belle che lo facevano alzare il mattino senza un sonoro «Che due coglioni.»
«Sì, beh, mh… Grazie, comunque…  E’ stato gentile da parte tua.»
«Figurati…» borbotta scazzato, mentre la mano infilata nella tasca dei pantaloni gli pizzica la coscia, rammentandogli che un momento di così rara quiete non può assolutamente essere rovinato dal suo essere un becero coglione.
Anche perché se la Itou venisse a scoprirlo, lo appenderebbe per le palle al centro del cortile scolastico, punendolo pubblicamente. E Tetsuo le darebbe una mano, può scommetterci quei pochi yen che i suoi gli sganciano spacciandoli per lauta paghetta.
La guarda di sottecchi e può avvertire quello stesso attorcigliamento di budella che gli ha mozzato il fiato in gola quel lontano sabato sera trascorso al Mc, quando per un attimo ha visto appianarsi la strada per ritornare alla normalità; poi l’attacco isterico in corridoio ha fatto sfumare ogni possibilità.
Mentre ne studia il profilo non sa esattamente come comportarsi, del resto Shibahime non è come tutte quelle ex che si è lasciato dietro nei suoi anni bravi, quelle che non si lagnano se non vengono richiamate e che se ne infischiano altamente delle chiacchiere, soprattutto se servono per riempire scomodi silenzi che lo fanno soffocare.
Mah, che tanto quella se ne ondeggia lì come se stessero facendo una scampagnata nei boschi…
«Certo che sei diventata una star, ormai. Addirittura un tuo fun club…» la prende bonariamente in giro, sente i nervi distendersi quando ode la sua risatina leggera che cozza con lo sguardo vago che gli ha appena rivolto.
«Ah, che imbarazzo» si schiaffa una mano sul volto «Non sono abituata a certe cose.» confessa rassegnata.
«Ah no?»
«Ma va, ma ti pare?! È Nanaka quella coi fan che la tampinano per i corridoi o in palestra.»
«La Itou?»
«O negli spogliatoi. Incredibile come voi maschi sappiate sempre trovare i nascondigli più assurdi per--»
«Mi vuoi far credere che la Itou ha un fun club? Quella specie di schiavista?!»
«Beh, perché ti stupisci? È brava!»
«Sì, ma… E’ la Itou, andiamo!»
«Ed è bella.»
«Ed è bella—E basta con questa storia!» sbrodola arcigno, avvertendo la bile salirgli in gola al pensiero che, di questo passo, potrebbero finire col parlare del davanzale della Itou. Di nuovo.
«E comunque sai che non mi piacciono. Gli autografi, le foto… Non fanno per me.» glielo dice candidamente, con quell’aria un po’ annoiata e un po’ altera che lo ha sempre affascinato.
Già, ricorda perfettamente le fughe dagli stadi non appena finiva una gara e irrimediabilmente un’orda di assatanati si gettavano su di lei, il suo body e i capelli rossi umidi; così come ricorda i momenti di fuoco che ne seguivano, quella ricerca disperata di un piacere che ha sempre creduto di poter trovare solo nel basket, per raggiungere una complicità guadagnata con così tanta fatica e persa in una soffiata di vento estivo, con la sabbia che brucia sotto i piedi e i capelli che gli finiscono davanti agli occhi.
Ripensarci lo fa parecchio incazzare, soprattutto perché non è più il ragazzino delle medie smanioso di scoprire cosa si celasse nel suo cuore ingarbugliato –o sotto l’orribile gonna a pieghe-, non ne ha il tempo né il coraggio, quel briciolo di forze che ha le vuole spendere tutte nel basket e magari ritornare agli albori di un tempo, quando il suo nome riecheggiava di bocca in bocca ad ogni partita. Poi gli viene in mente che in squadra c’è quel mostro di Rukawa, quella scheggia di Myagi e quella montagna umana di Akagi, quindi dovrà faticare il quadruplo e—Ah, beh, sì, c’è anche Sakuragi.
«Come stanno andando le partite?»
La guarda con tanto d’occhi «Eh?»
«Le partite… Come vanno?»
«Ah, beh, vanno…» si gratta la nuca, non si aspetta un’intromissione così repentina negli affari suoi «Vanno bene. Questo sabato c’è l’incontro con il Kainan.» un pizzicorio allo stomaco lo prende in contropiede; non sa se sia dovuto all’ansia pre-partita o al fatto che non si stanno lanciando contro bidoni della spazzatura e gatti casuali. Si sente come ai primi tempi in cui l’ha conosciuta, impacciato e capace solo di fare il gradasso pur di impressionarla, finendo poi per venir bonariamente deriso.
«Oh, il Kainan… Non è quella che ha vinto per diciassette volte consecutive i campionati?» glielo annuncia con placidità, facendo aumentare il bruciore.
«Seh, grazie…» sbrodola uggioso.
«Ahm, eh… Immagino siano davvero bravi se—Però anche voi lo siete!»
«Ma se non ci hai mai visto?»
«Mio fratello mi ha parlato così bene di voi! Dice che siete grandi e che non vede l’ora di scontrarsi con voi e--»
Ah, già, Akira Sendoh.
Il fratello d’oro, quello che la capisce meglio di chiunque altro, quello che si getterebbe nel fuoco pur di salvarla.
Quello che farebbe meglio a trovarsi una fidanzata vera, insomma.
Incredibile come gli anni siano passati, loro siano cambiati eppure certe cose restino immutate, come la gelosia che cova ogni volta che il nome di quel beota pascola nei loro discorsi e si ritrova a fare i conti con il suo lodarlo, il suo parlarne con uno strano brillio negli occhi, nemmeno fosse un supereroe; e c’è sempre quella bruciante sensazione di “secondo posto” che non ha mai sopportato e forse mai lo farà.
«E poi avete sconfitto lo Shoyo e lo Shoyo ha una buona squadra di ginnastica, quindi vuol dire che non siete così male. E anche il Kainan--»
«Ha una buona squadra di ginnastica, lo so.»
«Lo sai?»
Sventola una mano, deciso a sorvolare l’argomento. Possibile che la Itou non sia l’unica a seguire la filosofia “Se hanno una buona squadra di ginnastica ritmica, sicuramente quella di basket non sarà da meno”?
Chi capisce quelle frastornate, merita un premio.
«Stai tranquillo, vedrai che li sconfiggerete.»
«Ma io sono tranquillo.» puntualizza accigliato.
«Mh, bene, essere agitati non porta altro che guai. Non sei agitato, eh?»
«Ma no, macché» le rivolge un ghigno «Non è poi così diverso da quando giocavo alle medie.»
Shiba gli rivolge la stessa espressione sorniona «Sakuragi va in giro a dire che hai passato il pre-partita in bagno.»
«Ma io l’ammazzo quel demente!» brutto stronzo di un rosso! Ma gli stacca la testa non appena la vede! Gliela stacca e ci gioca a calcio, a pallacanestro, la usa come lanterna alla festa di Tanabata, la usa per--
«Ma tanto ci ha pensato Kogure a elogiarti.»

Ah, sia lodato quel santone di Kiminobu!
«Quello esagera sempre.»
«E’ solo contento di riaverti tra i piedi.» si interrompe lì, con quel suo sorrisetto penzolante e l’aria di chi non ha nessuna intenzione di esporsi troppo; Mitsui non ci resta così male nel constatare che, in fondo, Shibahime continua a mantenere una certa distanza tra loro.
Non parte neppure a chiedersi se riuscirà a colmarla, tanto non ci è mai riuscito.
«Certo, un po’ come Akagi.»
«Non finirà mai la rivalità tra voi, vero?» per poco non si strozza nel trattenere una risata «Ricordo ancora le litigate in palestra.»
«Era grande e grosso e pure incapace» la risata svagata che ha accompagnato le sue parole si sperde nel giro di un fiacco «Incredibile che sia diventato capitano.» che lo fa tornare indietro di qualche anno, quando lui aveva ancora quei tremendi capelli a scodella e Akagi era soltanto un armadio che cercava di fare canestro.
Shiba gli sorride appena ma non si pronuncia, quasi avesse il timore di riportare aneddoti scomodi. Come le visite in ospedale in cui lui parlava tutto il tempo del basket, di come Akagi fosse un fallito che aveva sì la tecnica ma si muoveva come un caterpillar impazzito, di come gli sarebbe piaciuto portare la squadra alla vittoria e quindi no che non ci stava seduto in uno stupido letto d’ospedale. Con lei, seduta lì di fianco, che sospirava e gli sorrideva gentile e leniva un po’ della sua sofferenza dicendogli che doveva stare tranquillo, che doveva pazientare e tutto si sarebbe sistemato.
Parlando di lui, lui e il basket, mentre si metteva in un angolino forse sperando che le chiedesse come le andavano le cose. Ora che ci pensa, le ha mai chiesto come andassero gli allenamenti? Di ginnastica, ovviamente, perché la prima cosa che le chiedeva non appena entrata in stanza era: «Akagi ha ucciso qualcuno, oggi?». Le ha mai chiesto come andassero le cose coi suoi, se suo padre la costringeva ancora a mangiare le uova che tanto odia o se sua madre si intrometteva ancora nella sua vita, progettandogliela?
No, decisamente no.
Un po’ capisce perché Shiba si sia allontanata, perché le sue visite si erano fatte più sporadiche. Doveva essere stato frustrante parlare sempre e solo dei suoi assurdi problemi, ponendolo al centro del suo minuscolo universo.
Ed è forse per questo, per quel suo essere stato un madornale coglione che butta lì un «Come vanno le gare?» che deve averla presa alla sprovvista, perché se ne esce fuori con un «Eh?» sorpreso e confuso allo stesso tempo.
«Le gare, come stanno andando?»
«Mh? Oh, direi bene» sorride «Siamo passate tra le prime dieci di ogni disciplina, dopodomani abbiamo le gare a squadre.»
«Sei agitata?»
«Un po’, ma credo che Nana sia quella più agitata di tutte. Ci tiene un sacco a vincere i campionati.»
«Agitata, quella? A me sembra sempre il solito Gundam pronto ad ucciderci tutti.»
«Oh, andiamo, ma sei proprio stronzo quando ti ci metti!» lo spintona un poco mentre la sua risata lo fa rilassare.
Si prende del tempo per studiarla da vicino, cercando di ritrovare tutti quei minuscoli particolari che gliel’hanno resa così cara o che gli hanno fatto desiderare di starsene spalmati sotto le lenzuola ogni volta che potevano.
E non trova nulla.
Shibahime è una nebulosa di imperfezioni che non riesce a mettere insieme e quella davanti a lei le nasconde talmente bene da apparirgli finta. I suoi sorrisi, i suoi zigomi sollevati, le increspature intorno agli occhi quando ride… Non riconosce nulla e quel che è peggio, non sa da che parte cominciare per poter ritrovare tutto ciò che gli è caro.
Ma poi eccoli lì, i suoi occhi farsi più sottili come se stesse cercando di riacciuffare i pensieri; è la stessa espressione che gli ha rivolto quando l’ha invitata a uscire per la prima volta.
Può ancora sentire il chiacchiericcio concitato nei corridoi del terzo piano, le gomitate dei suoi compagni che gli sussurravano di invitarla fuori non appena la sua testolina rossa ha fatto capolino in mezzo a quella marea di caschi scuri e il cuore in gola, che lo ha fatto balbettare come un perfetto imbecille per tutta la conversazione.
Lo ha tenuto sulle spine così a lungo da fargli venire i sudori freddi.
«Mitsui, riguardo a ieri--»
«Mi hai già ringraziato a sufficienza.» sventola una mano, stordito ancora dalla matassa di ricordi.
«Ahm, no, non è quello…» comincia a giocherellare con la punta della lunga coda, lo sguardo rivolto a terra «Per la scenata in corridoio, ecco, scusami.» e le parole che scivolano così inaspettate da fargli credere di essere piombato su di un altro pianeta. Uno di quelli dove il tempo scorre lento o all’incontrario e i ricordi possono essere modificati a proprio piacimento, perché c’è sempre qualcosa che si desidera cambiare, qualche frase ad effetto che non è stata pronunciata per tempo. Come quel giorno sulla spiaggia in cui avrebbe potuto fermarla se solo le parole non gli si fossero incastrate in gola o sullo stomaco.
Abbassa il capo e prima che possa dirle che va bene così, o che in realtà non va ma se lo fa andar bene lo stesso, eccola che si perde in uno dei suoi soliti irrefrenabili fiumi di parole.
«Non avrei dovuto, è che ho litigato con mia madre e allora…» seguita con imbarazzo, sventolando le mani sottili «Mi sono sfogata su di te.»
«Continuate a non andare d’accordo?»
Si gratta la nuca «Va a giorni.»
«E le hai parlato?»
«Mh?»
«Della ginnastica… Glielo hai detto che vorresti smettere?»
«Ahm, ecco—Ci ho provato ma non è che—Sì, insomma, sai com’è fatta. Lei non ascolta nessuno e—E poi non posso smettere, Nanaka mi ucciderebbe. Insomma, devo continuare, glielo devo.»
«Glielo devi?»
«Beh, sì, sono rientrata nel club solo per lei.»
Mitsui si massaggia il mento «E’ vero che avevi smesso. Non l’ho mai capito il perché.»
«Già, chissà perché…» ingoia ciò che stava per dirgli, probabilmente le torna in mente che in fondo non sono più così amici da potersi dire qualsiasi cosa che vada oltre la banalità e il suo cambiare argomento con repentinità ne è un esempio lampante «Beh, io vado per di qua.» si ferma davanti alle scale della metro, la cartella che sfrega contro la gonna a pieghe e la faccia costretta in una maschera di tranquillità. Glielo legge negli occhi scuri che si sente a disagio, lo vede nel suo costante ondeggiare sulle punte dei piedi, nel modo in cui sposta nervosamente i capelli scuri.
Non gli piacciono così.
Con quel corvino, la sua testa è identica alle mille altre teste che girovagano per la scuola, per le vie di Kanagawa. La appesantiscono, la invecchiano di almeno un paio d’anni e le conferiscono un’aria di tristezza che non le riconosce.
La cascata di fiammanti boccoli rossi le ha sempre conferito un’aria più sbarazzina, irradiavano ogni angolo buio e grigio della sua vita.
Si chiede dove sia finita la Shibahime della sua adolescenza, quella che lo aspettava alla fine di ogni allenamento, che andava a vedere le sue partite e faceva il tifo per lui, quella che si esaltava per ogni canestro da tre punti e che si lasciava sfiorare come se non stesse aspettando altro.
Questa che ha di fronte non sa chi sia e non gli piace.
Eppure la vuole trattene ancora un po’ a sé, perché sa che dietro tutto quello c’è sicuramente la Shibahime che è ancora capace di togliergli il fiato.
«Tu non verrai domani?»
Shiba sgrana appena gli occhi, inclina il capo e i fili neri le scivolano lungo il braccio «Allenamenti.» è tutto ciò che gli dice, prima di salutarlo con gli angoli della bocca ben sollevati.
Mh, beh, ci ha provato…
Si gratta la nuca e accantona ogni futile discorso con un sospiro. Si rende conto di quanto le loro chiacchierate siano vuote, di quanto poco lascino e di quanto Shibahime si interessi scarsamente a lui.
Non gli ha chiesto del ginocchio, se si è ambientato in squadra, se i suoi gli frantumano ancora le palle per quei due anni di stupidità… Paradossalmente è più interessata la Itou, quella viscida vipera che di tanto in tanto gli appare in mente con il suo «Sbatterla al muro non è una buona idea, ricordalo!»

Che dannata, infida stronza--
«Mitsui!» si blocca, gettando un’occhiata lungo la rampa di scale che porta alla metro; Shibahime ha il capo sollevato, le sue guance rosse sembrano il preludio di un’ennesima catastrofe.
«Che?»
«Ahm… Ecco, tu--»
«Allora?»
Gli sorride «Con i capelli così, tu… Stai bene, dico sul serio.»
E gli toglie il fiato, riesce ancora a toglierlo.
Non ce n’è.

 
A Madoka piace lasciare post-it in giro per casa, addobbando le pareti piene di fotografie scattate da suo padre. Dice che in questo modo può lasciare una prova del suo amore per loro, perché le parole tendono ad essere dimenticate col trascorrere del tempo.
Non le è mai passato per la testa che i post-it potrebbero puntualmente finire nel cestino, forse perché certa che non lo farebbero.
Ed in effetti, Shiba li conserva ancora.
Ricorda che da piccola, quando si svegliava e lei non c’era, se ne ritrovava uno sul cuscino, sempre di un colore diverso, con su scritto frasi come “Passa una bella giornata, tesoro!” e sciocchezze di questo genere.
Sciocchezze che l’hanno sempre fatta sentire un po’ meno scomoda e un po’ più simile a loro.
Ma quel pomeriggio, rincasata da lezioni di recupero in cui ha lasciato gran parte del cervello e pure un po’ di educazione e allenamenti in cui ha ricevuto più insulti che incoraggiamenti, il post-it che trova sulla scrivania ha il potere di farla avvilire.
È rosso, piccolo, con su scritto un veloce “Pensaci”, appiccicato su di un bigliettino di sottile carta di riso dai bordi decorati in verdognolo.
Punta il polpastrello sul bordo rigido del bigliettino, segue i tratti eleganti con cui è scritto…

 «Dott.ssa Nakajima Megumi.
Psicologa e psicoterapeuta.
Tel. XXX”

 Si sente come la bambina appena approdata in casa che fa la pipì a letto perché ha paura di svegliare i suoi nuovi genitori, perché l’ultima volta che ha disturbato una suora nel cuore della notte si è beccata una valanga di sberle; come la bambina che mangia tutto fino a scoppiare, anche quello che non le piace, perché l’ultima volta che si è rifiutata è rimasta a digiuno per una giornata intera.
Come la bambina che dice «Sì.» solo perché ha paura di essere rimandata indietro.
«Che due palle.» sbotta, gettandolo per terra, cercando di mettere per un po’ da parte il fastidio che non l’ha abbandonata da quando è salita sul treno.
Al suo posto prende la foto che la ritrae con Mitsui, chiedendosi come sia potuta cadere per un idiota con dei capelli orribili. Poi si ricorda che il suo sorriso l’ha sempre saputa sciogliere e allora smette addirittura di chiedersi perché stia compiendo quel viaggio nel tempo che a tratti fa male, altre volte lascia addosso un calore che fatica a lavar via.
Si è ripromessa che l’avrebbe tenuta ben nascosta, perché le cose belle tendono a durare poco e restare legata ad un ricordo simile avrebbe soltanto nuociuto ma ultimamente continua a riguardarsela, quasi si aspettasse di veder comparire particolari che fino ad allora non aveva preso in considerazione.
E in tutto quello, come se non bastasse, continua a vorticarle nella mente la loro ultima chiacchierata, quel suo essere così fastidiosamente burbero e il proprio essere troppo agitata per riuscire a tener testa a quel mucchio di emozioni che le si sono aggrappate al cuore.

«Con i capelli così, tu… Stai bene.»
Il capo le cade pesante sulle pagine del libro aperto, i piedi in aria smettono di dondolare e si afflosciano sul letto.
Porca miseria, ma quanto può essere cretina?! I capelli! Si è complimentata per i suoi capelli! Avrebbe potuto dargli l’in bocca al lupo per la partita ma no, lei doveva concentrarsi sulla cosa più stupida dell’intero pianeta! Diamine, non è più la dodicenne che camminava per i corridoi con la testa fra le nuvole e che lo riempiva di stupidi complimenti pur di rendersi un po’ più simpatica ai suoi occhi.
Patetica, ridicola, assolutamente--
«Shiba, sei qui?» quel bussare cantilenante lo riconoscerebbe tra mille…
«Papà, è aperto.»
Ed infatti eccolo lì, col suo sorriso alla Akira e gli occhi blu nascosti dalle enormi lenti degli occhiali squadrati.
«Disturbo?»
Shiba solleva il capo e gli sorride «Nah, tanto stavo facendo finta di studiare.»
Suo padre si lascia andare ad un’allegra risata prima di chiudersi la porta alle spalle «Cosa studiavi?»
«Matematica.»
«Ngh.»
«Già…»stiracchia un sorriso mentre giocherella con la penna «L’ultimo test non è andato bene e mamma ha paura che se non recupero, mi sbattono fuori dal club. Mamma esagera sempre.» le sfugge non senza un pizzico di fastidio, storcendo il naso mentre suo padre si accomoda alla scrivania.
«Sai che quando si preoccupa, diventa paranoica.» la giustifica, come sempre del resto.
«Troppo…» borbotta stanca, gonfiando le guance «Avevi bisogno di qualcosa?» chiede tornando a scribacchiare sul quaderno, ben consapevole del perché suo padre si sia addentrato nel suo santuario come se stesse per varcare un mondo inesplorato: Madoka l’ha mandato lì. Sicuramente lo avrà asfissiato talmente tanto da costringerlo a prendere in mano la situazione, perché a quanto pare in quella casa solo gli uomini Sendoh sanno come assestare i loro isterismi.
«Avevo voglia di svagarmi. È da ore che sono chiuso a lavorare.»
Shiba potrebbe trovarsi sulla Luna e sentirebbe comunque la puzza di bugia, perché suo padre non si svagherebbe mai in camera sua. Probabilmente andrebbe al campetto con Akira e urlando da bravo scaricatore di porto dimentico delle buone maniere –e che Madoka gira a piede libero per casa- la inviterebbe ad unirsi a loro, giusto per sfottere lei, le sue mani di pasta frolla e i piedi scemi che si incastrano tra loro.
È insolito trovarselo lì, a girare sulla sedia mentre osserva le medaglie e i trofei che troneggiano sulla parete adiacente il letto, circondati da quelle poche foto che è riuscita a scattare senza far finire il dito davanti all’obiettivo.
Le piacerebbe pensare che sia lì solo ed esclusivamente perché ha voglia di stare in sua compagnia ma il leggero tamburellare delle dita sui pantaloni della tuta, fanno sfumare quella sciocchezza.
«Al direttore sono piaciute le foto?» butta lì quella domanda per ritardare l’inevitabile.
«Aha. Sta valutando l’ipotesi di farmi fare qualche altro mese fuori, parlava dell’Africa…» allunga il collo per sbirciare una foto incorniciata sul comodino «Cielo, ma quanti anni avevi?»
«Nove. Mi avevate portata allo zoo.»
«Quella volta che è venuta anche la nonna?»
«No, quella volta che tuo figlio ha cercato di buttarmi nella gabbia dei leoni.» gli ricorda con un sorriso tirato, sbuffando al cospetto della sua risata cristallina. No, non riesce ad avercela con lui, è come avere a che fare con un Akira con gli occhiali e la barba.
Torna a guardare il quaderno, gli scarabocchi che spaccerà per esercizi mal riusciti e il bordino della foto nascosta non appena suo padre ha fatto capolino.
Suo padre smette di ridere e la guarda con serietà «Shiba… Va tutto bene?»
Lo guarda con tanto d’occhi «Certo, perché?»
«Negli ultimi tempi sei piuttosto--»
«Ingrata?» così, giusto per ricordarsi che Madoka ha il vizio di farglielo notare quando le liti degenerano.
«Preoccupata… Lo sai che se qualcosa non va, con noi puoi parlarne.»
Shiba storce il naso «Sono un po’ in ansia per la gara di domani, tutto qui.» e mica è così scema da spifferargli che Hisashi Mitsui è tornato in città pensando bene di scombussolarla un po’ di più. Non vuole nemmeno immaginare il putiferio che ne verrebbe fuori se sua madre dovesse scoprirlo, le viene la nausea al solo pensarci.
«Vedrai che andrà bene.»
Suo padre ha quel sorriso rassicurante che la fa star bene, lo stesso sorriso che non ha smesso di regalarle da quando ha posto piede sul tappetino all’ingresso, quel lontano dicembre di molti anni addietro.
Può ancora rivedere la sua barba incolta, i capelli un po’ più scuri e il sorriso ben coperto dall’enorme sciarpa a scacchi che ora è diventata proprietà di Akira. E il suo «Vieni qui, la tele non morde!» mentre guardavano le partite e lei se ne stava lì, acciambellata in un angolo. E i baci della buona notte, le coperte rimboccate, le favole inventate nel cuore della notte quando non riusciva a dormire, le carezze sui capelli…
Le trasmette un calore talmente cocente da farla sentire fortunata per essere stata salvata, in un certo senso.
«Deve andar bene! Altrimenti Nanaka mi fa ingoiare il nastro!» sentenzia tetra.
«Andiamo, la Itou è una così brava ragazza.»
«Sì, fuori dalla palestra!»
«Continuerà con la ginnastica, terminata la scuola?»
Alza le spalle «Penso di sì, non ne abbiamo parlato» fa ciondolare il capo «Qualche università si è interessata a lei, comunque.»
«E a te no?»
«Pff… Chi vuoi che vada da un secondo posto?» anche se, beh, non è che gliene freghi granché. È quasi tentata di dirglielo, forse perché il suo sorriso la incoraggia a non tenere quel lacerante segreto solo per sé, ma la sensazione che Madoka potrebbe non prenderla bene la fa tacere.
«Vedrai che chiederanno anche di te» le fa un occhiolino e Shiba lo accoglie con un sorriso tirato, pregando dentro sé che nessuno si interessi alle sue scarse performance. Ha il sentore che se dovesse farsi avanti qualche istituto, la possibilità di allontanarsi da quel mondo che a volte la fa soffocare diventerebbe pari a zero «In caso contrario, puoi sempre venirtene in giro con me.»
«A far che? A portarti il treppiede?»
«In realtà ti vedo meglio come esca mentre siamo in mezzo alle tigri.»
«Aha, non vedo l’ora!» ridacchia quando lo sente ridere di gusto, a quanto pare i Sendoh maschi si divertono un mondo a vederla circondata da felini pronti a sbranarla «Però sarebbe bello, visitare posti nuovi… Potrei conoscere l’amore della mia vita, sai, come nei Ponti di Madison County!» sospira sognante, la guancia posata sulla mano e la mente che vaga per lidi inesplorati.
Ci pensa però Kyosuke a riportarla coi piedi sul letto «Scordatelo. Ti sposerai a trent’anni e tuo marito lo conoscerai il giorno del matrimonio.»
«Papà, come sei retrogrado.»
«Ma tanto nessuno vorrebbe mai sposare una con il tuo caratteraccio.»
«Ma—ehi!» gli tira contro il cuscino ma lo manca, perché non sia mai che la sua mira decida di darsi da fare una buona volta.
«Quando fai così sei uguale a Madoka.»
Ed effettivamente Shiba non ne resta poi così tanto colpita.
Si è resa conto che della dolcezza della sua vera madre è rimasto ben poco, lasciando spazio ad un carattere decisamente più difficile da gestire. Probabilmente è per questo che si scontrano: per tutto quel tempo ha cercato di modellarla affinché somigliasse a quella che potrebbe essere la figlia perfetta, ritrovandosi con un’estranea che di lei ha ben poco.
«A proposito di Madoka, mi ha detto che avete discusso…» suo padre si allunga verso il pavimento e raccoglie il bigliettino, rigirandoselo fra le mani «E’ per questo?» la fa irrigidire il modo in cui lo squadra.
«Eccoci…»
«Shiba--»
«Papà, non ho voglia di parlarne.»
Suo padre sospira e quando un Sendoh maschio sospira, non è mai una buona cosa «Shibahime…» Oh, no, il nome per intero… «So che a volte Madoka può essere ansiosa--»
«Pesante, pesante è la parola giusta.»
Le lancia un’occhiataccia «Il punto è che ti vuole bene, te ne vogliamo tutti, e crediamo davvero che sia un bene se tornassi dalla dottoressa Nakajima.» è una sentenza asciutta, se non fosse per la postura rilassata faticherebbe a credere che quello sia suo padre.
Rotea gli occhi «Vedo che sei d’accordo anche tu con le belle idee di mamma--»
«E’ stata una mia idea.» la interrompe mite, sventolandolo.
Shibahime si solleva, guardandolo con tanto d’occhi «Cosa?!» è decisamente sorpresa, questo genere di bizzarrie solitamente escono fuori dalla mente geniale di Madoka; e si sente decisamente in colpa al pensiero di averla praticamente fatta piangere sul volante.
Grugnisce mentre affonda sui libri, con suo padre che si avvicina e le carezza la nuca «Io non ci voglio andare» piagnucola con voce ovattata «Non mi serve a niente.»
Kyosuke sospira «Akira ci ha raccontato che sei svenuta spesso quando non c’eravamo e che gli incubi sono ricominciati. Non credi sia il caso di lasciarti aiutare?»
«Perché proprio da lei?»
«Perché ci sono cose che neppure noi siamo in grado di fare» si massaggia il collo, ha l’aria di un supereroe che si è appena rifiutato di salvare la città dall’ultima imminente catastrofe «Ti basta come spiegazione?» il suo sorriso si amplia, scioglie quel senso di pesantezza che è calato nella stanza, ora immersa nel silenzio.
Shiba abbassa lo sguardo.
Se solo riuscisse a parlare tranquillamente di ciò che le frulla in testa, si risparmierebbe tutti quei casini ma ha il timore che, una volta confessato ogni più recondito segreto, le cose finirebbero col precipitare in un oblio talmente profondo da impedirle di riprendersele.
Si rende conto che non è poi così cambiata dalla bambina di appena dieci anni che si rintanava nel buio della stanzetta pur di non dover avere a che fare con quegli estranei.
Suo padre abbandona il bigliettino vicino a lei «Mi prometti che ci penserai?»
«Seh.»
«E chiedi scusa alla mamma.»
«Nh.»
«Shiba--»
«Sì, sì…»
Le scocca un bacio sulla fronte e lei ridacchia, la sua barba ispida le fa sempre il solletico «Comunque, ero serio quando parlavo di portarti in giro con me.»
«Anche per le tigri?»
«Soprattutto per le tigri!» Shiba scuote la nuca «Ma questa estate, se non hai programmi e se sei libera, dovresti venire con noi. Ti insegnerei a non fotografarti l’indice.» se ne va con un sorriso e quella labile promessa che forse si dimenticherà una volta che la porta si sarà chiusa ma chissenefrega, un sorriso glielo ha strappato.
I maschi di casa Sendoh sanno sempre come farla sentire meglio.

Koshino si sporge dalla balaustra, osserva lo sciame di ginnaste dai colori sgargianti delle Fumino[1] che danzano da quasi due minuti.
Al termine del brano, conclusosi con uno scrosciare di applausi che quasi fanno crollare il palazzetto, getta la testa indietro ributtandosi sulla sedia.
Koshino sbuffa, afflosciandosi «Ne avremo ancora per molto?»
«Non eri costretto a venire.»
«E perdermi qualche caduta di tua sorella? No, grazie.»
Akira si lascia andare ad una fiacca risata mentre si immagina Shiba che si fa attorcigliare dal nastro per poi precipitare rovinosamente a terra.
Non è mai stata molto elegante, è un’impacciata cronica e la maggior parte delle cose che tocca finiscono col disintegrarsi, eppure quando si esibisce diventa un’altra persona, è come se una strana energia l’avvolgesse e la facesse sembrare una libellula o qualcosa del genere.
È uno spettacolo.
«25,245… Vuol dire che sono andate bene?» con la nuca indica il tabellone con i punteggi.
«Penalità[2]: 5,045… Se fosse successo a Nanaka, avrebbe ucciso qualcuno.»
«Non ci capisco niente di ginnastica.»
«Nemmeno io.» Akira scrolla le spalle.
«Ci fosse almeno qualche bella ragazza.» ribatte l’altro, spiluccandosi la maglia del Ryonan.
«Le compagne di squadra di Shiba sono carine. Se vuoi te le presento.»
«Risparmiami, col culo che ho saranno tutte come tua sorella. Tanto vale darsi alla castità permanente.»
«Magari ce n’è qualcuna come Nanaka. Nanaka non si tocca, eh.»
«Figurati se la più figa non andavi a pescartela tu» porta le braccia dietro la testa, scuotendola quando l’altro si lascia andare ad una spensierata risata «Ma quindi fate sul serio?»
Sendoh ci pensa su un momento «Vedi anelli o cose simili?»
«E che vuol dire? Non è che serva per forza un anello.»
«Già, anche perché penso che Nanaka me lo tirerebbe dietro.»
«O te lo farebbe ingoiare» e lui vorrebbe ridere della battuta, vorrebbe davvero perché in fondo prendere tutto alla leggera è l’unico modo che ha per non lasciarsi divorare dai dubbi, il problema è che non ci riesce. Un vago sorriso è tutto ciò che gli concede, mentre alla mente gli tornano le sue parole sussurrate nel buio della stanza -quando si è reso conto che la sua divisa era già finita sul pavimento- quel suo «Fai sul serio?», che lo ha tenuto appigliato alla realtà per qualche istante prima di perdersi completamente.
Sono passati tre anni da quando hanno dato il via a quel loro piccolo segreto, certo che fa sul serio! Che domanda del cazzo…
«Come fanno a piacerti le ginnaste? Sono tutte così… Magre.» fa strisciare le dita nell’aria, dipingendo quella che dovrebbe essere una lavagna o una tavola da surf.
«Guarda che non mi piacciono le ginnaste, mi piace solo Nanaka.»
«E tua sorella. Ma come faceva a piacerti? È un’isterica.» Koshino non sa mai tenere la bocca chiusa, da aria a ogni pensiero che naviga nell’androne del suo cervello e lo fa con quel suo modo sempre garbato che lo spinge a chiedersi perché se lo sia trascinato dietro.
Poi si ricorda che è il suo amico più caro, nonostante tutto, e che a modo suo è sempre disposto a dispensargli qualche buon consiglio -con poco garbo eh, non sia mai che si addolcisca un po’ quel nevrotico-.
Sospira «Guarda che è stato tanto tempo fa.»
Il suo ghigno si apre a dismisura «Già. Cosa facevamo? Le medie, no?»
«Può essere.»
«Ti eri preso una sbandata allucinante.» si schiaffa una mano sul viso per trattenere una risata. Akira, d’altro canto, vorrebbe sprofondare dalla vergogna.
Fatica ancora a credere di essersi preso una cotta stratosferica per Shibahime, se solo ci pensa nemmeno sa dirsi da quando sia cominciata.
C’è che un giorno si è svegliato -avrà avuto sì e no undici anni- e si è accorto di quanto luminosa fosse -e di quanto scemo si sentisse al suo cospetto-.
Coi suoi capelli lunghi e ricci e rossi, i suoi occhi particolari che brillavano, il suo sorriso sdentato ma sempre aperto… Era come un faro in lontananza, la lucina della notte che da poco aveva smesso di tenere accesa.
E poi è arrivata Nanaka.
Dal nulla, improvvisa, con la sua compostezza e la seriosità di chi non si lascia di certo andare con uno sconosciuto.
E’ un pomeriggio di aprile, può ancora sentire il chiacchiericcio di sua madre in giardino che gli racconta dell’ultima gaffe di suo padre ad una cena di beneficenza a cui hanno partecipato qualche sera prima, mentre lui fa qualche tiro a canestro pur di non studiare.
Ode la risata di Shiba dal vialetto d’ingresso e senza nemmeno curarsi del pallone che si schianta contro il ferro, le corre incontro pronto a chiederle come sia andata la giornata, preso com’era da quel sentimento acerbo che covava nei suoi confronti.
Ed eccola là.
Di fianco a lei, composta e altera, così diversa dalla luminosa miniatura che le saltella intorno vantandosi delle peonie che ha piantato –e che miracolosamente non sono ancora morte-.
Ha i capelli un po’ più corti e legati in una treccia laterale, la divisa della scuola mette in risalto le sue forme poco evidenti e gli occhi che saettano da una parte all’altra mentre studia l’ampio giardino sono di un blu così intenso da farlo quasi sentire immerso nel mare che tanto ama.
Sente le viscere contorcersi come tanti anni prima, come quando Shibahime era una nana da giardino che se ne stava seduta in un angolo di un orfanotrofio e lui ha sentito il bisogno impellente di parlarle.
Può ancora avvertire l’elettricità che l’ha pervaso quando i loro sguardi si sono incrociati, sotto le allegre presentazioni di Shiba che, stranamente, è passata in secondo piano.
«Sai? C’è una cosa che non ti ho mai detto» la serietà di Koshino per poco non lo spaventa ma non fa in tempo a chiedergli cosa ci sia dietro che quello torna a guardare la palestra «Oi, eccole lì.» gli dà una botta sul braccio, indicando con il mento le ragazze che entrano sulle punte, rigide e con il naso all’insù.
Nanaka fa il proprio trionfale ingresso brandendo il cerchio, affiancata da una compagna che si guarda attorno intimidita –la riconosce, è la matricola coi codini che per poco non ci è rimasta secca quando le ha sorriso-. Shibahime è nel retro, chiude la fila reggendo ben tre nastri, restando distante dalle altre quando si posizionano al centro della palestra.
Indossano un body rosso e nero di paiette, Nanaka glielo ha mostrato orgogliosamente qualche mese prima in uno dei loro incontri segreti; gli ricorda la Regina di cuori, complice la compostezza con cui regge il cerchio all’indietro mentre inarca la schiena.
L’allarme dà il via all’esibizione e Shiba, date le spalle alle compagne, lancia in aria i tre nastri per poi recuperare il cerchio che Nana ha lanciato qualche secondo prima.
È un susseguirsi di passaggi veloci che coglie con fatica e preso da un moto di orgoglio nei confronti di sua sorella -che ha appena tirato il cerchio e recuperato il nastro zampettando più in là-, si ritrova a scuotere quel brontolone di Koshino che ha l’aria di uno che vorrebbe morire «Guarda quanta eleganza.»
«A me sembrano solo un mucchio di invasate che agitano il nastro» sbotta lugubre, probabilmente è entrato nella fase “Porca miseria ma chi me l’ha fatto fare di essere venuto qui?”. Poi si risveglia, preso da chissà quale raptus «Una ha lanciato il cerchio col piede!»
«Aha, ho visto.»
«Una ha lanciato il cerchio col piede e l’altra l’ha preso!» Koshino sembra aver guadagnato interesse «Quante volte dici che si saranno colpite prima di farlo uscire bene?»
No, ok, è il solito demente.
Le cinque ragazze compiono un Fouettés en tournant[3] in perfetta sincronia e ad Akira tornano in mente tutte le bestemmie che Shiba ha sprecato in quei mesi perché «Porca miseria se la Mitamura mi dice ancora che giro come un aereo che precipita le cavo gli occhi con la bacchetta! E che cavolo, non lo so fare il Fouettés!», mentre gironzolava per la cucina, prendendosela poi con lui perché aveva cucinato ancora ramen.
Ha versato sudore, lacrime e fatica per quei miseri due minuti, eppure stanno scivolando via con una fluidità inaudita, nemmeno li sentisse. Si muove leggera, cammina sulle punte slanciandosi con il nastro rosso che le si attorciglia intorno senza mai sfiorarla e lo fa girare reggendosi su di una gamba sola con la schiena piegata all’indietro.
Anche Nanaka è di una naturalezza strabiliante mentre si fa passare il cerchio sulle spalle per poi lanciarlo all’altra compagna, recuperando il nastro prima che tocchi terra.
Resterebbe a contemplarla in religioso silenzio se solo Koshino non gracchiasse così tanto «Le ha lanciato il cerchio con il nastro!» si sporge «Se non vincono vado dai giudici e gliene dico quattro.»
«Solo quattro?»
Hiroaki lo guarda di sbieco per poi tornare a concentrarsi sul balletto che è quasi giunto al termine «Ricordami di non prendere per il culo tua sorella per almeno un mese.»
«Un mese? Come sei caritatevole!»
«Facciamo una settimana, va.»
«Non resisteresti nemmeno per cinque minuti.»
«E’ che si presta, capisci? Quando le chiedi un panino col pollo e te ne fa uno col maiale, sembra quasi ti stia supplicando di sfotterla.»
Akira si schiaffa una mano sulla faccia mentre le ragazze danno il via agli ultimi passi, passandosi i nastri e i cerchi prima di disporsi a stella, le mani sollevate e rigide fino a che la musica non sfuma in una cascata di applausi.
Fanno un breve inchino e salutano il pubblico, poi zampettano via per attendere il risultato. Può vedere nitidamente Shiba che viene sollevata da una matricola coi capelli corti e biondi quando sul tabellone compare un enorme 27,450 che, per il momento, le piazza al secondo posto.
«Maledetto Kainan, pure nella ginnastica ci sa fare.» è il commento acido di Koshino, mentre osserva l’altra squadra sospirare per il primato ancora mantenuto.
Akira annuisce. Gli viene in mente che questo sabato lo Shohoku se la dovrò vedere proprio con il Kainan King.
Quasi prova pena per loro…
Hiroaki si alza «Beh, finito, alleluja e amen.»
«Ma se mancano ancora tre squadre?»
«Non resto qui un minuto di più! Se sento altra musica classica mi sparo. Andiamo ad aspettarle fuori» si volta, il suo ghigno è qualcosa di spaventoso «Se vuoi distraggo tua sorella così puoi farti la Itou.»
«Con distrarla intendi: attentare alla sua vita?»
«Se lo meriterebbe. Non sa preparare nemmeno dei sandwich decenti.» borbotta caustico, incamminandosi verso l’uscita del palazzetto.
Akira gli è dietro, indeciso se ridere o votarsi alla santa pazienza. Fuori dal palazzetto respira a pieni polmoni e gli torna alla mente il discorso lasciato in sospeso «Oi, cosa dovevi dirmi?»
«Eh?»
«Prima… Stavi per dirmi qualcosa.»
Hiroaki sembra cadere dalle nuvole poi i suoi occhi si sgranano «Oh, quello… Nh, ma no niente, non è mica importante.»
«Se non ti conoscessi, penserei che stai per chiedermi la mano di Shiba.»
Koshino fa una smorfia «Che schifo, vuoi farmi rimettere il pranzo di Natale?» Akira sorride beato
«E’ che… No, niente.»
«Non fare la donnetta e spara.»
«Va che non
è una cosa molto carina
«Koshino che si preoccupa di dire una cattiveria, sono quasi commosso.» commenta allegro, ridendosela alla grande quando l’amico per poco non gli morsica un braccio.
Si massaggia il collo e poi sospira «Ma niente, è che quando eravamo bambini, ecco, a volte pensavo che sarebbe stato meglio se aveste adottato un maschio.»
Akira lo fissa con tanto d’occhi.
Effettivamente non è una cosa carina.
Il problema è che, spesso, ci ha pensato anche lui.

Ci sono state mattine, due anni fa, in cui si svegliava sperando di essere già morto. O in un mondo diverso da quello schifo che era costretto a vivere senza averne voglia.
Lo psichiatra che lo ha avuto in cura per qualche tempo, prima che cominciasse a marinare le sedute da bravo teppista cazzone che è stato, gli ha parlato di depressione e di un mucchio di altre stronzate di cui non ricorda il nome e che, a dire il vero, gli sono scivolate addosso come gli scivolavano le prediche infinite che sua madre gli donava in macchina.
La verità è che non c’era molto per cui valesse la pena svegliarsi ma la sua non era depressione, era più… Noia, ecco.
Era annoiato.
Quando le cose non andavano si rifugiava nel campetto da basket vicino alla spiaggia e ci passava le ore, sentendo di aver dato un senso al vuoto che si trascinava dietro ma quando il ginocchio glielo ha impedito, beh, che altro gli era rimasto?
Neppure il sesso con Shibahime serviva a lenire quel senso di tedio che si era impadronito delle sue viscere, forse perché aveva perso quel non sapeva che, che gliel’aveva sempre resa affascinante.
Ecco, quella è una delle mattine di due anni fa. Quando la sveglia ha suonato e il suo occhio si è aperto, ha quasi sperato di vedersi comparire fuochi e fiamme mentre Lucifero lo invita a banchettare alla sua tavola, ma l’unica cosa che ha visto è stato il caos di camera sua e quell’enorme X rossa sul calendario, scarabocchiata fino a farla scomparire.
Hanno perso contro il Kainan e sente che la colpa è in parte sua.
Sarebbe bastato spostare di appena qualche millimetro la traiettoria, saltare un po’ più in alto, tentennare meno e forse la palla sarebbe finita nel canestro.
Forse a quest’ora sarebbe con un mal di testa post-sbronza da festeggiamento folle.
Forse--
«Mi-tsu-iiii
Si blocca di colpo, la schiena incurvata.
No, la Itou alle 8:05 è qualcosa di inaccettabile!
Quel cinguettio cantilenante di prima mattina è peggio delle litigate che i suoi si sparano a colazione, pranzo e cena.
Accelera il passo, magari se finge di non sentirla quell’aguzzina si leverà dalle scatole.
«Mitsui, stai scappando?» lo rincorre, sul viso fresco penzola un sorrisetto talmente fastidioso da fargli girare i coglioni -e quelli gli stanno vorticando senza sosta da quando i piedi hanno toccato il pavimento, per dire-.
Non sa ancora se sia dovuto alla squillante voce di sua madre che gli ha ricordato quanto nulla sia poi così cambiato da quando ha appeso le risse al chiodo o la costante sensazione di angoscia che lo attanaglia quando pensa che avrebbe potuto portare lo Shohoku alla vittoria, se solo Kyota non avesse deviato la palla.
«Ma chi scappa.»
«E allora perché corri?»
«Perché sono in ritardo!»
«Macché, macché, di tempo ce n’è in abbondanza!» sventola una mano, la maledetta, costringendolo a rallentare il passo.
Ed è così che se la ritrova affianco, con quella sua aria beata di chi sembra aver dimenticato cosa significhi “avere un sonno boia”.
Si arrende all’idea di dover arrivare a scuola in sua compagnia «Com’è che sei così allegra di prima mattina?» sbrodola uggioso, guardandolo di sbieco.
Nana alza le spalle «Vederti mi ha risollevato il morale» ribatte civettuola, dandogli una pacca sulla spalla quando comincia a strozzarsi con la saliva «Su, su, stavo scherzando!»
«Cazzo Itou, vuoi farmi vomitare i cereali?!»
«Come la fai tragica» rotea gli occhi blu «Scommetto che se fosse stata Shibahime a dirtelo, a quest’ora staresti andando a scuola a bordo di una nuvola rosa.» è il suo commento che gli fa venire in mente immagini orribili.
Ci rinuncia, questa psicopatica gli si è appiccicata come una carta moschicida e non riesce mica a levarsela di dosso.
«Se vuoi ti ci mando a calci in culo a scuola-»
Gli dà un pizzico sul braccio «L’educazione l’hai lasciata sotto le lenzuola?»
«No, ma tu potevi restarci.» borbotta tetro, incurvando ancora di più la schiena mentre sente la sua risatina svagata perforargli il cervello. Non credeva che questa squinternata potesse essere così… Normale.
Gli mette i brividi vederla sotto effetto di chissà quale sostanza stupefacente.
«Avanti, cos’è quel muso lungo?»
«Nh, niente» si massaggia la cicatrice «Abbiamo perso contro il Kainan.» sbrodola uggioso, maledicendosi subito per essersi lasciato andare proprio con lei. Non ama parlare delle sue sconfitte, odia gli sguardi di pietà che la gente gli riserva, nemmeno fosse scampato ad una guerra atomica riscoprendosi uno dei pochi superstiti.
E quando pensa che quella rompipalle lo riempirà di scontati «Oh, mi dispiace, vedrai che andrà meglio la prossima volta.», ecco che se ne salta su con un serafico «Lo so, siete sull’orlo del precipizio.» che gli fa cascare i coglioni.

Che merda a consolare le persone…
«Nhg, è la stessa cosa che ci ha detto Ayako.»
«Ah, saggia donna. Mi piace quell’Ayako, sai? È l’unica che sta a contatto con voi debosciati e ne esce fuori sana e salva» gli sorride beata; Mitsui mormora qualcosa di incomprensibile «Tu… Non ti senti in colpa per aver sbagliato canestro, vero?»
«Non ho sbagliato! È stato Kyota che—Oh, ma che ne parlo a fare con te? Tanto non ci capisci niente di basket.»
«Ne capisco abbastanza per sapere che non è stata colpa tua, quindi levati quest’aria da martire.» sbotta spiccia, lasciandolo impalato per qualche istante.
«Aria da martire?!»
«Certo che il Kainan è davvero forte, come la loro squadra di ginnastica del resto.» ed ecco che la schizoide comincia a parlottare tra sé, facendolo dubitare della sua sanità mentale.
La Itou a volte lo spaventa…
«Com’è che sei venuta a vedere la partita?»
«Mh? Oh, le matricole mi hanno chiesto di accompagnarle.»
«Credevo aveste gli allenamenti.»
«Già, ma abbiamo finito prima» lo guarda di sottecchi, il suo sorrisino mellifluo lo fa rabbrividire «Ho provato a convincere Shiba…» e non c’è bisogno che concluda la frase, perché tanto sa che quella non c’è venuta.
«Sai che mi importa.»
«Oh, sì che ti importa» asserisce punzecchiandogli una guancia «Però questa è una situazione perfetta!» il suo sorriso si spande, ha un non sa che di diabolico «Cosa c’è di meglio di una sconfitta per far riavvicinare due ottusi come voi?»
«Come dici?»
«No, no, nulla.» sventola una mano.
Mitsui grugnisce. La Itou canticchia.
Canticchia.
Canticchia, per la miseria!
C’è qualcosa di sbagliato e inquietante in tutto questo.
«La vuoi smettere di essere così allegra?! È lunedì, è mattina, e che cazzo!»
La Itou gli galleggia intorno «Non posso farne a meno. Ci siamo qualificate per i qaurti, sai? Nelle gare a squadre siamo arrivate seconde nel nostro girone!»
«Ma che brave, urrà.» agita un pugno senza troppa convinzione.
«E Shiba è uno schianto con quel body.»
La guarda di sottecchi, sente di star andando in fiamme. Maledetta stronza che gli fa venire in mente strane immagini proprio quando ha le difese abbassate!
«Brutta--»
«Dovresti venire a vederci un giorno.»
«No, grazie. Mi dà noia la musica classica.»
Nana arcua un sopracciglio, poi torna a guardare davanti a sé «A Shibahime farebbe piacere.»
«Non gliene frega niente.»
«Ma sì che le importa.»
«No che non le importa, ok? Perché se le importasse, verrebbe ai miei allenamenti o alle mie partite e invece no, non ci viene mica» le parole gli raschiano la gola e solo dopo averle vomitate con troppa enfasi, si rende conto di essersi comportato da donna mestruata che è stata appena mollata dal fidanzato di turno. Gli basta osservare il candore sul volto di Nanaka per capire di essersi infilato in un vicolo cieco «Non che me ne freghi qualcosa.»
«Aha, certo.»
«Può fare quel che vuole.»
«Già.»
«Non è mica la mia fidanzata.»
«Ma ti piacerebbe che lo fosse.»
«Eh—No, certo che no!»
Nanaka sospira, la sua allegria è migrata via «Sai? Se lo ammettessi sarebbe tutto molto più semplice.»
«Ammettere cosa?»
«Che ti piace ancora» scuote le spalle ma quando le rivolge uno sguardo vago, il suo capo cade in avanti con pesantezza «Beh, quando ci arriverai vieni da me, ok?»
Mitsui resta imbambolato per qualche istante, frastornato dalla piattezza cui gli ha scaraventato addosso quelle parole.
Ovvio che Shibahime gli piace, non l’ha scordata quando sono stati distanti, figurarsi ora che ce l’ha praticamente a tre banchi di distanza, certo è che non ha il tempo per riprendere tutto da dove l’hanno lasciato e sperare che possano ripartire da zero, magari accantonando ciò che di brutto c’è stato fra loro.
Realizza però un’assoluta verità: non può farcela da solo.
Devono essere in due a volere le cose e Mitsui non è così autodistruttivo da crogiolarsi nella sua rabbia.
«Itou…?» la chiama piano, serio «A Shiba non piaccio più.» e l’espressione di pura confusione che gli regala, è qualcosa di memorabile.
Così come è memorabile la finezza con cui gli si rivolge «Ma sei scemo?»
«Cosa?»
«Mi chiedo se facciate a gara di idiozia, voi due» scuote la nuca, la lunga treccia ondeggia sulla sua spalla «E’ ovvio che gli piaci, devi solo darle tempo.»
«Aha, certo, e ti aspetti che me ne stia qui ad attenderla fino a che non mi si atrofizza il—»
«Certo che no» gli dà un pizzico sul braccio «Ma nessuna qui vorrebbe mettersi con te, oh ex teppista.» cinguetta maligna.
«Questo perché siete tutte delle damigelle di ‘sto grande ca—Ahi! La vuoi smettere di pizzicarmi?!»
«Ohohoh, guarda un po’ chi c’è qui…» la capoclasse En squadra la mano di Nanaka posata sul suo braccio come se avesse una fotocamera integrata agli occhiali «Itou, Mitsui…» il sibilo di Tomoko serpeggia fra loro, sorride come se li avesse colti con le mani nelle mutande l’uno dell’altra e quel ghigno che penzola sul suo volta prima di superarli, è quasi peggio di quello che Nanaka gli rivolge ogni volta che parlano di Shiba.
«Serpe…» la sente sibilare.
«Che?»
Scuote la nuca «Mitsui, fa attenzione alla En. Quella è peggio di una vipera.»
Hisashi la guarda con tanto d’occhi, non comprendendo appieno le sue parole «E questo che vorrebbe dire?»
Nana si volta, solleva le spalle «Non mi stupirebbe se la tua storia con Shiba saltasse fuori e, date le circostanze, non ho idea di come potrebbe prenderla.»
Non ha idea del perché ma quelle parole stimolano quel senso di rabbia sopito che se ne sta lì, in un angolino remoto del suo stomaco e che lo costringere a ribattere con decisamente più incazzatura di quanta avrebbe dovuto metterne «Se le dà così fastidio che gli altri sappiano che è stata con me, non è un problema mio.»
Nana sbuffa, lo guarda come se fosse un ritardato «Non sei tu il problema, è tutto il resto.»
«Il resto.»
«Il resto, certo, cosa credi?» inclina il capo, davvero lo sta guardando come se il cervello gli stesse colando dalle orecchie! Adesso la uccide «Il tuo passato, il suo passato… Sono dell’idea che potrebbe nascerci una bellissima soap-opera se ci mettessimo lì a discuterne--»
«Ma che cazzo--»
«Ma se la En decide di spiattellare tutto, non so cosa ne uscirebbe fuori. Quella è capace di inventarsi storie improbabili pur di vendere quella robaccia che spaccia per giornalino scolastico. Tipo… Che so, che sei tornato a giocare solo per riconquistare il suo amore o che lei ti ha lasciato perché avevi deciso usarla come palo mentre rapinavi banche e casinò.»
Nh, beh, effettivamente è stato lasciato. Certo, la storia del casinò sarebbe decisamente più divertente ma si deve accontentare di una normale rottura tra adolescenti.
Rintronato dal suo fiume di parole, scuote la nuca e la guarda scettico «E sentiamo, che dovrei fare?»
«Nulla.»
«Nulla, certo. Nulla?!»
«No, fino a che la serpe non fa niente è inutile fasciarsi la testa.»
«E allora cos’era tutto quel discorso?!»
«Ti ho messo in guardia» sventola una mano e gli dà le spalle, la stronza, lasciandolo pieno di dubbi e con l’incazzatura che si è trascinato dal letto «E poi guarda il lato positivo: se dovesse succedere, potresti tornare ad essere il suo supereroe pronto a proteggerla.» e gli fa un occhiolino. Se ne va facendogli un maledetto, disgustosissimo occhiolino che lo lascia impalato all’ingresso.
Supereroe, certo, come no.
Come potrebbe mai salvarla se a malapena le rivolge la parola?!
«No, dici davvero?» è la voce di Shiba, la riconoscerebbe perfino in un rave party con la musica a palla.
«Ma sì, ti dico di sì!»
La sente ridacchiare con una loro compagna di classe mentre sfilano al suo fianco, senza nemmeno accorgersi della sua grigia presenza.
Come può salvarla se nemmeno si accorge di lui?

«Tornare a seguire le partite potrebbe aiutarti a superare il tuo trauma.» la sentenza di Nanaka, pontificata per la non numerabile volta nell’arco dell’intera giornata, si mescola al leggero sbattere dell’armadietto. Vi si appoggia e immancabilmente il suo ghigno si posa su di lei, ricurva sulla panca mentre si massaggia i piedi doloranti; ha dovuto mettere dei cerotti sulle dita, le si stanno spaccando a furia di camminare sulle punte durante gli allenamenti.
«Ti avanzano dei cerotti?»
«Pensaci…» insiste di fronte al suo ignorarla «Tornare a veder giocare il tuo incubo potrebbe ricordarti che, in fondo, il basket non ti dispiace come vuoi continuare a far credere» pontifica sicura, asciugandosi i capelli umidi con un asciugamano «Superare il trauma, andando incontro alla tua più grande paura. Vedila come una caduta da cavallo, su.»
«Ma Mitsui non è un cavallo.»
Le dà una leggera clavettata in testa «E’ una metafora.»
Shibahime sospira «Hai intenzione di studiare psicologia?» rimbrotta scorbutica, socchiudendo gli occhi mentre li punta sul suo ghigno fastidioso.
«Mi piacerebbe ma no, sai che mamma non vuole» alza le spalle «E’ che credo che il problema sia tutto lì.»
Shiba sta per risponderle ma il frastuono proveniente dalla palestra in fondo al corridoio le fa impalare.
«Siamo stati invasi dagli Unni?» è il serafico commento di Shiba mentre getta la testolina fuori dallo spogliatoio, cercando di capire chi sia il fautore di un macello tanto apocalittico.
«O magari sono solo quei dementi del club di basket.» replica asciutta Nanaka, già armata di clavette e nastri.
Shiba sbatacchia gli occhi «A quest’ora?!»
Alza le spalle «Hanno perso contro il Kainan, staranno facendo allenamenti extra… Speravo si dessero all’Arakiri ma--»
«Hanno perso?»
«Aha» la sua risatina le perfora le orecchie «Ci stai pensando, vero?»
«A cosa?»
«A come questo sia il momento giusto.»
«Il momento giusto per cosa?» lo domanda stanca, ben conscia di dove andrà a parare quel discorso sibillino.
«Per consolare il tuo musone, ovvio!»
Shiba apre la bocca, poi il capo cade con indolenza «Nanaka, no--»
«Pensaci, quale momento migliore per andare lì e rivolgergli la parola?» le dà una leggera gomitata prima di superarla, diretta verso la fossa dei gladiatori «La gente tende ad essere più accondiscendente quando è vulnerabile. Credo gli farebbe piacere se tu andassi lì a parlargli.»
«Certo, come no…» si gratta la nuca, sentendosi di una stupidità abissale; un po’ perché la sta seguendo verso quella che sarà sicuramente la scena madre di chissà quale rissa tra teppisti falliti, e un po’ perché si sta inerpicando con lei in una discussione tanto sconclusionata.
Consolare Hisashi Mitsui, certo.
Quello che in ospedale, nervoso per la terapia, le scaraventava contro le riviste di basket se solo si azzardava a consolarlo. Quello che le ha tirato un ceffone in pieno viso solo perché «Ti stai intromettendo in affari che non ti riguardano, ragazzina.»
Ricorda ancora i suoi occhi, i brividi che le hanno trasmesso ed è una sensazione che non vuole più assaporare.
«Sai? Lui le odia queste cose» confessa con un leggero sorriso «Non gli è mai piaciuta la pietà degli altri, né le frasi di circostanza.»
«Ora è diverso. Mitsui, intendo… Non è più il ragazzino spocchioso che si credeva il miglior giocatore del mondo» le puntella l’indice sulla fronte «E tu non sei più la ragazzina che gli sbavava dietro.»
I suoi lineamenti si addolciscono mentre i ricordi la assalgono ma non fa nemmeno in tempo ad aggrapparsi ad uno di loro che il frastuono in palestra la fa sobbalzare.
Le getta un’occhiata impaurita «Apri tu, Nana-chaaan
L’altra sbuffa «Oh, andiamo, cosa potrà mai esserci di così—Oh.Mio--»
Nana si impala sulla porta, lo sguardo vacuo perso sullo spettacolo che si spalanca di fronte ai loro occhi: Sakuragi gonfio come un melone che pesta un Rukawa pieno di lividi e che ripete eleganti «Piantala coglione!» e finezze simili, seguite da altrettanto amorevoli «Sei una volpe morta! Ti scuoio e ci faccio una sciarpa con la tua pellaccia!»
E giù di botte come nemmeno nei film di Stallone.
Shibahime si copre le labbra con una mano, ripresasi dallo stupore «Fantastici!» e giù a ridere come quel demente di suo fratello.
Nana si riprende «Seriamente, che stanno combinando?»
«Si staranno allenando per il prossimo raduno in memoria di Street Fighter
Nana la trucida con lo sguardo ma d’altro canto, Shibahime fatica a restare seria di fronte a cotanta idiozia umana.
«Vuoi finire a fare da sacco?» domanda acida, facendole roteare gli occhi.
«Oh, suvvia, è divertente!»
«Da quando ti piace il pugilato?» Nana sbuffa «Interrompiamo il massacro, prima che Rukawa apra la testa del cretino.»
«Sakuragi, si chiama Sakuragi.»
«Chiamarlo cretino mi fa venire meno voglia di lasciarlo al suo destino.»
«Ah.»
Nana porta due dita alle labbra e fischia «Cos’è? State cercando di entrare nel club di wrestling?» l’ironia è sferzante e divide i due litiganti, grondanti di sudore e con qualche taglio e livido qua e là che li rende malconci.
Le matricole si lanciano un’occhiata intenditrice –sarà la prima ed ultima, Shiba vorrebbe fotografare tale miracoloso evento-, e dopo un attimo di smarrimento è Hanamichi Sakuragi a farsi avanti, sempre con la propria regalità.
«E voi chi Diavolo sareste? Siete delle spie mandate qua per osservare il mio incommensurabile talento, vero?» la sua risata sguaiata rimbomba nella palestra e Shiba, nonostante tutto, si ritrova a soffocare un risolino di fronte alla sua posa da supereroe.
Nana, d’altro canto, è ammantata da furia omicida «Questo demente avrebbe bisogno di una lavata di capo.»
«Secondo me sono tutte le botte in testa che gli dà Akagi ad averlo ridotto così.»
Le due si guardano sconsolate e quando un «Deficiente.» serpeggia fra loro, ecco che il siparietto riprende.
Kaede ha lanciato una palla contro Sakuragi e questo gli si è scaraventato contro.
«Li lasciamo qui e facciamo finta di niente?»
«Se muoiono e scoprono che siamo state qui, finiremmo nei guai.»
«Magari Akagi ci pagherà la cauzione come ringraziamento.»
Nana scuote la nuca, si avvia in palestra «Tu prendi Sakuragi, io mi occupo di Rukawa.»
«Cos—Ma, ehi! Perché devo occuparmene io?!» la segue con passo pesante, guardandola in cagnesco.
«Perché avete i capelli rossi.»
«Cosa c’entra?!»
«E perché se mi capita fra le mani, lo sbudello.»

«Sta’ fermo!» Shiba è esasperata, se Sakuragi non smette di dimenarsi gli cava un occhio.
«Non voglio che il nemico mi sfiori!» si divincola e comincia a sfregarsi la faccia con le mani «Ah, i germi del nemico! Andate ad infettare la maledetta Kitsune, io devo portare la squadra alla vittoria!»
«Demente.»
«Hai detto qualcosa?!»
«Sì, che sei un--»
«Piantala di dargli corda, ti prego.» Nana tira uno scappellotto a Rukawa e questo per poco non le mozza una mano.
«Sakuragi, guarda che non siamo spie.» si intromette Shiba, sorridendogli affabile.
I suoi occhi si riducono a due puntini sbatacchianti.
«Ah… Non siete qui per spiare il tensai?»
«Nessuno verrebbe mai a spiare una mezzasega come te.»
«Io lo ammazzo!»
«Stai a cuccia!» Nana gli lancia contro un batuffolo di cotone e il ragazzo si quieta «Siamo del club di ginnastica ritmica. Gli unici atleti che spiamo, sono le ginnaste delle altre squadre.»
«Non vantartene, è imbarazzante!»
Cala un silenzio teso, Hanamichi stringe le dita intorno al bordo della panca metallica su cui è seduto mentre Rukawa si lascia medicare senza fare troppe storie.
Shiba lo guarda oltre la spalla, stranita dalla mansuetudine con cui si fa sfiorare. E’... Strano. Non le pare quella borsa frigo che tutti decantano, così come non le pare l’algido atleta che corre dritto al canestro infischiandosene degli urletti striduli e delle adulazioni.
E’ un normale adolescente, solo un po’ più taciturno.
Risponde alla Itou con monosillabi, scazzati «Nh» e superbi «Tsk »a cui l’altra replica noncurante, quasi fosse abituata a leggere dietro le righe.
«Sicure di non essere del club di infermieristica?» la voce di Hanamichi la riporta alla realtà.
«Per la decima volta: no.» ribatte Shibahime, indecisa se chiudergli la bocca con i cerotti o limitarsi ad ignorarlo.
«Eppure sei così brava.» seguita scettico.
«Come se ci volesse un brevetto per sapere usare una garza e un paio di cerotti.»
«La Sendoh è avvezza agli idioti come voi.» cantilena la Itou, non consapevole di aver appena innescato l’ennesima miccia.
«Sendoh… Sendoh come--»
«Akira Sendoh? Oh, già già, è suo fratello!» cinguetta pimpante, guardandola con occhi sbrilluccicanti. Shibahime le scaraventa contro la cassetta dei medicamenti ma finisce per colpire l’armadietto.
«… Sei una Sendoh uscita male.» è il fine commento di Rukawa.
«Che?! E cosa ridi tu, maledetta!»
«Effettivamente… Non è che vi assomigliate granché.» constata Hanamichi.
«E per fortuna!»
«E dimmi! Ti ha mai parlato di me?» tutto gongolante, Sakuragi le sposta le mani e la guarda con aria da invincibile-uomo-che-non-deve-chiedere-mai.
«No.»
«Come sarebbe a dire: no?!»
«Però mi parla spesso di Rukawa!»
«Della Kitsune?! Ma è scemo o cosa--» gli tappa la bocca con la garza.
Shiba guarda oltre la spalla e nota che Kaede ha l’aria confusa, sempre che quella specie di maschera al vetriolo possa chiamarsi confusione «Dice che gli piaci.» aggiunge con un leggero sorriso.
Kaede alza le spalle «Boh. Non ho certe tendenze.»
«Non hai certe--» Nana scoppia a ridere, per poco non rotola sul pavimento; Sakuragi tenta di districarsi dalla ragnatela di bende mentre tenta di dare un calcio alla ragazza.
Shiba lo fissa allucinata «Ma non in quel senso! Intendevo come giocatore!» spiega esasperata «Dice che sei uno dei pochi avversarsi degni e che non vede l’ora di scontrarsi con te nella prossima partita» gli occhi di Kaede sembrano accendersi «Vedi di allenarti, eh. Acchan si sta dando da fare.»
«Tsk, ovvio.»
«Ma tu guarda quel porcospino, non riconosce nemmeno il talento quando ce l’ha di fronte.»
«Porcospino?» Nana lancia un’occhiata a Shiba ma questa scrolla le spalle.
«Ma glieli affloscio quegli spilli che si ritrova per capelli, glieli--»
Shiba sospira, li guarda a intermittenza «Parlando di cose più serie… Si può sapere perché vi stavate azzuffando?»
Hanamichi si cala nella parte del protagonista fragile e ferito che si ritrova a fare i conti con i proprio errori «Perché è colpa mia se abbiamo perso la partita contro il Ka—Maledetto Rukawa! Non tirarmi i cerotti!»
«Ringrazia che non ho un bisturi.»
«Da bravi, bisticcerete fuori» Nana sorride maligna sventolando un paio di forbici e i due tornano ad ammutolirsi «Sakuragi, guarda che non è colpa tua.»
«Ma cosa vuoi saperne, tu?»
«Ho visto la partita e, credimi, è stata solo sfortuna. Se Kyota non avesse deviato la palla, Mitsui avrebbe segnato un bel canestro da tre punti e a quest’ora sareste tutti ad ubriacarvi in qualche bar.» ah, già, gli incredibili canestri da tre punti di Mitsui; per un attimo si chiede se sia ancora così bravo come ricorda, se è ancora capace di far stare il pubblico in sospeso mentre la palla compie una parabola perfetta per poi infilarsi nel canestro.
Per lui è sempre stato come respirare.
«Sì, però--»
«E tu--» Nana lo guarda oltre la spalla «Nella foga non ti sei accorto di chi ti stava davanti. Può capitare.»
Shiba si ridesta, la guarda scettica «Com’è che a noi non ci consoli così quando perdiamo?»
«Perché voi non siete autorizzate a perdere» Nana mette le mani sui fianchi mentre studia il proprio lavoro, ovvero cercare di non far sembrare Kaede Rukawa una mummia «Ah, che matricole indisciplinate. Ai miei tempi ci si tagliava i capelli quando si commettevano certi errori.»
«Non era quando si veniva lasciate dal fidanzato?»
«Credi che io sia mai stata lasciata?»
«Non intendevo quello.»
«E comunque in quei casi ci si tinge.»
«Ma certo che sei stronza forte, eh!»
«Sakuragi dovrebbe avere la testa color arcobaleno, allora.»
«Brutta volpe, ma io ti mangio a colazione!»
«Non lo farei fossi in te, le volpi sono indigeste.»
«Nanaka—Ah, ci rinuncio» gli dà una sberla sulla nuca «Oh, fatto! Sei libero.» gli sorride affabile, venendo sovrastata da quella montagna umana di Sakuragi che mugugna frasi come «Tagliarsi i capelli, mh?» e amenità simili.
«Potete evitare di uccidervi fino a che siamo qui?» è la pacata richiesta di Nanaka, intenta a sistemare.
«Certo!» è l’affermazione di Hanamichi, anche se il modo in cui guarda Kaede fa morire ogni speranza.
«Seh, certo, come no…» replica Shiba, fissando i due che si allontanano fin troppo mansueti. Li accompagnano fuori, giusto per essere pronte a sedare quelle teste calde che potrebbero andare a fuoco da un momento all’altro.
Hanamichi si volta dopo qualche passo, punta l’indice verso di loro che se ne stanno lì impalate
«Sasaime! Di’ a tuo fratello che lo straccerò! Dopo tutto, sono il genio numero uno di Kanagawa!»
«Seh, l’idiota numero uno, vorrai dire.»
«Che hai detto, Kitsune?!»
E giù di nuovo ad azzuffarsi come due gatti.
«Io… Sono costernata.»
«Ma chi è Sasaime
«Sei tu.»
«Ah.»
«Cos-ter-na-ta.»
«Eh. Però è simpatico.»
«Mah.»
«Più di Rukawa di sicuro.»
«Anche il mio freezer è più simpatico di Rukawa, non vale come metodo di paragone.» sventola una mano.
«Ah, com’è che il nostro bel tenebroso ti rivolge la parola?»
Nana alza le spalle «Qualche estate fa eravamo allo stesso campo estivo.»
«Sì, ma con questo?»
«Non gli sbavo dietro e non gli rompo le palle.»
«Tutto chiaro.»
Li osservano appoggiate alla porta della palestra. Sakuragi dà un calcio alla bicicletta di Kaede e prima che questo possa montarci in sella, si ritrova ad imbastire una lotta con il rossino. L’ennesima.
«Coraggio, sistemiamo e andiamocene a casa. Quei due mi hanno esaurita.»
Shiba annuisce e guarda le matricole, convinta che in palestra avrebbe trovato il muso lungo di Mitsui e la linea elegante del suo profilo mentre tira a canestro.
Realizza solo ora di averci quasi sperato.

 
«Quindi andrai a consolarlo?»
Shiba, seduta sulla metro, copre uno sbadiglio dietro la sciarpa leggera «Ti ho detto di no.»
Nana riporta lo sguardo sul libro di storia «Che noiosa.»
«Ficcanaso.»
«Sasaime
«Ma piantala!» 


[1]Fumino: prima scuola scelta a caso nel mucchio che compare quando lo Shohoku batte il Miuradai.

[2]Penalità: Una delle quattro categorie a cui viene dato un punteggio per l’esecuzione. Gli altri tre sono: difficoltà, artistica ed esecuzione. Mi sono basata sulle Olimpiadi di Londra del 2012, spero che nel frattempo le cose non siano mutate.

[3]Fouettés en tournant: movimento del Balletto classico in cui la ballerina, poggiata su di un piede, si dà la spinta per compiere dei giri su sé stessa.


*Toc toc* Ahm… C’è nessuno?
Perdonatemi per il ritardo, scrivere il capitolo con il caldo e in ferie non si è rivelata una battaglia semplice ma alla fine qualcosa è uscito fuori e ammetto che il risultato non mi dispiace, e almeno ci stiamo avvicinando a quella che può essere considerata una riappacificazione tra i due mentecatti –e poi è piuttosto lungo, giusto per farmi perdonare-.
Ho cercato di mantenere i toni più leggeri, piazzando un po’ qua e un po’ là siparietti nonsense tra i vari personaggi; un po’ perché è lo spirito che ho sempre voluto avesse questa storia e un po’ perché mi diverte scriverli, sembra che si prestino a fare i dementi.
Poooi, per descrivere l’esibizione di ginnastica dello Shohoku mi sono basata sulle varie performance delle Olimpiadi di Londra del 2012, in particolare quella delle italiane … No, non mi ci sono avvicinata nemmeno di un millimetro a quella bellezza. È da togliere il fiato e io mi sono dovuta limitare a far capire cosa succedesse, ngh.
Come sempre ringrazio chi continua a seguire la storia, in particolare ReginaMills89 e Ice_DP per aver commentato lo scorso capitolo: siete state carinissime e gentilissime e io mi sento sempre un uno schifo a non sapervi ringraziare in maniera un po’ più decente :/

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** This war has spoiled a lot of things for everyone ***


Quel 23 maggio tira un’aria strana allo Shohoku.
I corridoi sono sommersi da sibilanti chiacchiericci e sembra che l’intero terzo piano si sia eclissato al primo, per motivi a lei ignoti. Tomoko En è stata così gentile da lasciarsi dietro le spalle un sibillino e incomprensibile «Sakuragi è uno spasso, glielo concedo!» che è stato accolto da Shiba con uno sguardo confuso e da Nanaka con un delicatissimo «Quella è tutta scema.»
Sulla via per la palestra, un fitto gruppetto di persone se ne sta appollaiata vicino alla porta, commentando la partita di allenamento che si sta svolgendo: primo anno VS secondo e terzo.
Implacabili, i ricordi tornano a far capolino nella sua mente, ricordandole che un tempo si sarebbe unita agli altri senza nemmeno lasciarselo ripetere due volte.
Incuriosita, si avvicina alla folla e nel mezzo scorge la lunga treccia di Nanaka e—Da quando si è interessata al basket?!
Tira dritto, che proprio non ha voglia di sorbirsi la sua psicologia spiccia ma qualcosa la trattiene saldamente. Si volta, pronta ad azzannare chiunque le stia rompendo le palle ma il visetto tondo di Nanaka, cosparso di furbizia e quel pizzico di sadismo che non guasta mai, la costringono a rivedere i propri piani.
«Te ne vai di già, Shiba-chan?»
 

Capitolo 10
This war has spoiled a lot of things for everyone

Cheyenne: Sto cercando di far fidanzare una ragazza triste con un ragazzo triste ma è difficile.
Ho il sospetto che la tristezza sia poco compatibile con la tristezza.
Tatuatore: Io ho fatto fidanzare mia zia, una donna disabile, con un mio amico.
Un barbiere, un buon barbiere… È una bella cosa. Quei due si fanno compagnia e mi sono riconoscenti. 
È un’altra bella cosa, la riconoscenza.”

                                                                                    -This must be the place, Paolo Sorrentino-

 

Shiba sbatte un piede per terra da abbondanti minuti, guardando di sbieco una Nanaka stranamente presa dall’incontro che si sta svolgendo.
«Mollami la mano--»
«O me l’azzanni, lo so. Dovresti cambiare repertorio, sai?»
«Te la taglio, te la mangio, te la stacco, te la squarcio--»
Nana la ignora «Il tuo polso è davvero sottile» lo solleva, scrutandolo con disappunto «Mangi abbastanza?»
Glielo scosta con secchezza, massaggiandoselo «Sì, mammina, non preoccuparti» storce il naso di fronte al suo sorrisetto beffardo «Da quando ti interessa la pallacanestro?»
«Da quando hanno quasi battuto il Kainan» con un cenno del capo indica i giocatori in campo «E poi volevo ammirare il nuovo taglio di Sakuragi.»
Shiba scorge il primino, impegnato a placcare uno del secondo anno –o a ucciderlo, è uguale- «Ha davvero ascoltato il tuo consiglio.»
«A quanto pare chi ha i capelli rossi, tende a prendersela con loro quando le cose vanno male.»
«Stai insinuando qualcosa?»
«No, no… Coda di paglia.»
«Ti ho sentita, guarda che ti ho sentita!» agita le mani, gonfiando le guance quando ode la sua risatina divertita. Il fischio di Ayako le distrae: Mitsui sta entrando in campo.
«Oh, finalmente lo fanno giocare» il commento di Nana, pronunciato con fin troppa voce, ha il potere di irritarla «Beh, non mi chiedi perché non giocava?»
«Ma sai cosa me ne frega.»
Lo osserva incitare i suoi compagni, riscoprendolo identico a come lo ha lasciato: carismatico, capace di trascinarsi dietro tutti anche quando le cose si fanno difficili. Per un attimo la figura del Mitsui di qualche anno prima, con quei suoi ridicoli capelli a scodella, si sovrappone a quella del Mitsui del presente, decisamente più uomo di come se lo ricorda.
Nota solo ora come la sua schiena si sia fatta più larga, di come si sia fatto più alto…
«E’ davvero bravo.» il sottile commento di Nanaka la ridesta.
La sua tecnica di difesa non è affatto cambiata, porta all’estremo quel poveraccio di Sakuragi che tenta in tutti i modi di fare canestro, commettendo addirittura dei falli clamorosi.
«Ma chi? Sakuragi?»
«Lo sai di chi sto parlando» le scocca un’occhiata annoiata «Se mettesse questo impegno anche in classe…»
Se lo avesse messo anche con me… «Figurati, quello ha in testa solo il basket.»
«Magari è cambiato, che ne sai?»
«Qualcuno che nasce quadrato, non morirà mai rotondo.» si mette a guardare un punto indefinito della palestra, che guardarlo giocare le fa solo un male atroce. Sente lo stomaco attorcigliarsi e le gambe divenire molli, ha come la sensazione che da un momento all’altro potrebbe svenire.
«Secondo me sarebbe un buon fidanzato.»
Shiba per poco non sputa un polmone «Ma cosa stai dicendo?!»
Nana annuisce «Aha, dico davvero! Posso già vedervi: lui che viene a prenderti sotto casa e ti urla: Shiba, ti vuoi muovere?!, e tu, ancora in biancheria intima ti affacci e gridi: Cosa urli razza di scemo?! E poi sei tu quello in ritardo!»
«Una coppia di ritardati, insomma.»
«Ritardatari, Shiba, ritardatari» Shiba rotea gli occhi «Però non sarebbe male.»
«Che viene ad urlare sotto casa?»
«Che ti aspetta anche se sei in ritardo» la guarda con tanto d’occhi «Sotto sotto, credo che sia un bravo ragazzo e che farebbe di tutto per renderti felice. Lo hai visto anche tu, no? Non è più lo scemo delle medie.»
Shiba sta per ribattere che no, non è vero, è rimasto il solito cretino che metterebbe sempre il basket davanti a lei, che è cambiato solo d’aspetto ma di cervello è rimasto quel che era ma non fa in tempo, perché Sakuragi ha avuto la brillante idea di tirare la palla direttamente fra le mani della Akagi, persa in farfugliamenti imbarazzati mentre tenta di difenderlo.
Nanaka sembra quasi indemoniata tanto forte ride.
Shibahime vorrebbe trascinarla via ma i piedi di quella sono piantati al terreno «Nana, contieniti, ci guardano tutti--»
«Ah! La sorella di Sendoh!»
Oh, no, quell’idiota… «Ehilà, Sakuragi-kun.» sventola una mano, in evidente imbarazzo mentre sente gli sguardi di tutte le persone puntati contro sé; Nana, ovviamente, è piegata in due.
«Sei venuta a spiare gli allenamenti del genio, non è vero?!» guarda sconsolata il ragazzo dai capelli rossi, ora in mezzo al campo con la solita posa da supereroe «Sasaime, corri pure a dire a quell’imbranato di tuo fratello che il genio Sakuragi è--»
«Un idiota.»
«Che hai detto, Rukawa?»
Akagi gli lancia contro un pallone «Da bravi, ora tornate ad allenarvi.»
Myagi si rotola in mezzo alla palestra mentre Mitsui, sconsolato, scuote la nuca fino a quando i loro sguardi si incrociano e Shiba si ricorda cosa si prova a volare su di un altro pianeta senza neppure muoversi.
Sente il fiato fermarsi in gola di fronte al suo sorriso appena abbozzato e al suo accenno di saluto con uno sventolio della mano non può che ricambiare sollevando la propria, restandosene impalata.
Porca miseria quanto è bello…
Scuote la nuca, vergognandosi di sé stessa… Ma che Diavolo le prende?! E sì che non è la più la deficiente delle medie, eh.
Ma come se non bastasse, in mezzo a quel siparietto assolutamente ridicolo, con Sakuragi che si fionda a canestro seguito da Rukawa nemmeno stessero gareggiando a chi corre più veloce, ci si mette pure Nanaka con la sua pazzia dilagante.
Li scruta a intermittenza e ridacchia come una squilibrata.
«Ottimo.»
«Ottimo? Cos’è ottimo?»
«Qui c’è bisogno di smuovere le acque.»
«Eh? Acque? Che acque?» la vede mettere le mani davanti alle labbra «Oi, che hai intenzione di fare--»
Prende un profondo respiro «Mitsui! Continua così che sei forte!»
Nanaka si nasconde dietro la porta, lasciandola completamente sola e—Maledetta stronza! Così crederanno che sia stata lei ad esultare come una fangirl! Ma la strozza quella maledetta, la decapita, le taglia i capelli nel sonno e li usa per farci il salto con la corda, la—
«Mitsui sta guardando qua?» fa capolino dal suo nascondiglio.
«Cosa vuoi che ne sappia?!» Shiba zampetta via a passo di marcia, il viso rosso e la consapevolezza di doversi sotterrare per la figuraccia appena fatta.
«Eheheh--»
«Che cosa ti ridi?!»
«Il mio piano sta procedendo come sperato.»
«Piano? Che piano?! Smettila di farfugliare!» si lascia superare, restandosene immobile nel corridoio.
Quando Nana ride in quel modo, non è mai nulla di buono.

 
Alle 16.46, ad allenamenti in corso, Shibahime sviene come una pera cotta.
Fujiko le ha tirato una palla in pieno viso, senza che lei potesse fare nulla per prenderla.
La verità è che si è distratta e prima di piombare nel nero più buio, un mucchio di pensieri hanno pensato bene di affacciarsi prepotenti, starnazzando.
Ha pensato che oggi non ha mangiato...

«Sendoh senpai, si svegli!»
«Ragazze, spostatevi, fatela respirare!»
«Ho ucciso Sendoh senpai!»
«No che non l’hai uccisa, Fuji-chan.»

Ha pensato che in realtà non mangia da ieri sera, perché ha discusso con Madoka e se n’è andata a cena appena cominciata. Non ricorda esattamente per cosa hanno discusso ma l’ha sentita sfogarsi con suo padre, in camera da letto, mentre si lasciava andare ad un rassegnato «Non ce la faccio più con lei.»
Neanche Shiba ce la fa più con sé stessa, a dire il vero.
Ha pensato che dovrà strozzare Nanaka perché quando ci si mette è parecchio stronza…

 «Shiba, mi senti?»

Ha pensato a Mitsui.

 
Shibahime lo ha visto allenarsi.
Non riesce a smettere di pensarci. Per quanto ci provi, per quanto tenti di far vagare i pensieri in altri lidi, quelli continuano a fossilizzarsi su quel minuscolo particolare.
Era lì, sulla soglia, con lo zaino per gli allenamenti e quell’orrenda divisa scolastica che su di lei sembra vagamente accettabile, con i capelli raccolti in un’alta cipolla sbarazzina e l’aria di essere capitata lì per caso.
Si rende conto di averla adocchiata per appena un paio di secondi eppure la sua immagine gli si è marchiata in mente come se l’avesse osservata per ore.
Tira la palla, entra nel canestro senza sbavature.
Le verità è che Shiba è un pensiero ricorrente.
C’è fra le ore di lezioni, negli allenamenti, fra le grida di Akagi e le stronzate di Hanamichi, fra gli strepiti di sua madre e i sospiri rassegnati di suo padre.
Un “clap clap” distante lo ridesta: Nanaka Itou se ne sta sulla soglia, applaudendo.
No, lei no…
«Itou!» Mitsui vorrebbe staccarle la testa a morsi. Dannata secchia! «Non hai qualche matricola da torturare?»
«E’ più divertente torturare te.»
«Sei proprio una stronza.»
Si avvicina lenta con quel suo sorrisetto fastidioso che vorrebbe toglierle a suon di sberle ma lei ignora il suo insulto, guardando il canestro «Allora è vero quando dicono che sei un vero mago nei tiri da tre.»
«Avevi dubbi?» la vede aprire le labbra «Fammi un favore: non rispondere» recupera il pallone, se lo rigira fra le mani «Che ci fai qui?»
«Ti aspettavo per tornare a casa.» cinguetta.
«Scordatelo!»
La stronza ridacchia, battendogli una mano sulla spalla «Scherzavo, non ho bisogno della balia.»
Grugnisce «E allora che vuoi?»
Si mette in posizione di tiro…
«La tua bella è in infermeria.»
E la palla rotola via senza neppure colpire l’anello.
Mitsui è costretto ad ascoltarla «Cosa?!» Nana trotterella verso il pallone, palleggiando con entrambe le mani in maniera decisamente poco graziosa «Non ha mangiato?»
«Secondo te?»
«Nh, deve smetterla con le sue diete del cazzo.»
«La dieta ci serve. E’ lei che non la sa gestire» la Itou lo guarda di sottecchi «Magari, però, se le parlassi tu—»
«Scordatelo!»
«Oh, andiamo, come puoi pretendere di rimetterti con lei se nemmeno provi ad avvicinarla?»
Ma che cazzo si fuma?!
«Ma chi vuole tornare con lei! Ti sono cadute le clavette in testa, Itou?»
«Un paio di volte» Questa è rincoglionita… «Senti, anche quella tontolona dell’Akagi capirebbe che c’è ancora qualcosa tra di voi, quindi puoi per una volta non comportarti da caprone e provare a starle vicino?»
Starle vicino… Come se non ci stesse già provando!
Quella strega nemmeno si immagina la fatica immonda che sta facendo per riprovare a parlare come un tempo, per riguadagnare anche solo un centesimo della cieca fiducia che sempre ha riposto in lui.
Le braccia cadono lungo i fianchi quando la palla tocca l’anello e precipita al suolo, proprio come il suo umore «E tu potresti smetterla di essere così invadente?» agita le mani, come se un pensiero lo avesse pizzicato all’improvviso «Ma poi che te ne frega a te?!»
Nanaka si avvicina al canestro «Niente…» fa tre passi e tira, facendo entrare la palla senza insicurezza alcuna «Però sono dell’idea che insieme sareste più felici.» sorride in direzione della palla che rimbalza lontana e lo guarda con aria di sfida, quasi si aspettasse una risposta piccata.
«Dove hai imparato a--»
«Un amico. E non cambiare discorso.» poggia le mani sui fianchi, sorridendogli.
Arriccia le labbra, ponderando sulle sue insinuazioni.
Hisashi non sa se con Shibahime sarebbe più felice, certo è che quella fetta della sua esistenza che sente vuota e priva di senso probabilmente acquisterebbe un nuovo significato. Il problema è che lui non c’è portato per quelle cose, non nel modo in cui lei vorrebbe: non prende per mano, non è esattamente un principino, non riempie di complimenti e fa schifo a consolare.
Nanaka gli lancia contro la palla «Allora, ci vieni in infermeria?»
Sospira «Scherzi? Non posso presentarmi così come se nulla fosse. Poi magari quella si fa strane idee.»
«Ma noi vogliamo che si faccia strane idee.»
«No, tu vuoi che se la faccia.»
Nana rotea gli occhi «Tu lascia fare a me» porta le mani dietro la schiena e gli fa un inquietante occhiolino «Ho un’idea brillante.»

 
«E appoggiati bene.»
«Non voglio toccarti!»
«Devi solo mettermi un braccio intorno alle spalle e lamentarti un po’, mica ti ho chiesto di toccarmi le tette!»
«Seh, probabilmente sono come quelle di Afrodite A[1]—Ahio!» la maledetta gli rifila una gomitata nello stomaco, facendolo piegare in due.
«Si può sapere chi fa casino?!» l’infermiera si affaccia, richiamata dal loro battibecco «Qualcosa non va?»
La Itou se lo trascina dietro «Un placcaggio andato male. Ha la testa che gli gira, non è vero?» sorride a trentadue denti, ha la sensazione che se dicesse no si ritroverebbe appeso per i coglioni al terrazzo della scuola.
Deglutisce e annuisce, fingendosi moribondo.
L’infermiera lo aiuta a sedersi sul lettino «Sdraiati un po’ finché non ti senti meglio» ravana fra le dispense, rifilandogli una pastiglia e un bicchierino d’acqua «Tieni, con questa dovrebbe passarti.» esala rancida, assicurandosi che la ingoi.
Annuisce soddisfatta anche se il suo sorriso è paragonabile ad una smorfia «Maledetto Anzai! Perché non lo tiene rinchiuso questo gruppo di bestie?!» sbotta seccata, allontanandosi dalla saletta.
Nana la guarda con un sorriso affabile, Mitsui sputa la pillola non appena la sua figura grassoccia sparisce dalla sua vista.
«Maledetta ciabatta!» sibila caustico.
«Puoi biasimarla? Siete qui ogni tre per due.»
«Anche voi, se per questo.»
«Noi scivoliamo, le clavette ci finiscono in testa, inciampiamo. Voi simulate incontri di pugilato.»
«Me lo stai facendo venire sul serio il mal di testa.»
Gli rifila un ghigno pregno di soddisfazione, poi lo sguardo si addolcisce quando carezza la figurina sdraiata di Shiba.
«Non la trovi adorabile mentre dorme?» Nanaka sospira sognante, la guarda con amorevolezza e, seppur con fatica, cerca di non lasciarsi fregare.
La scruta di soppiatto, conscio che la Itou aspetta solo un suo attimo di debolezza per poterlo prendere in giro.
«Itou, è già abbastanza patetico che io debba starmene qui. Puoi almeno farmi il favore di chiudere quella fogna? O levarti dalle palle, è uguale.»
La ragazza sorride affabile «Un giorno mi ringrazierai.»
«Fanculo.»
«Basta un: grazie, sua maestà.»
«Maestà di sto cazzo--»
«Potete andare a rompere da un’altra parte?!» la Sendoh si solleva dal giaciglio con aria lugubre, la voce le è calata di almeno tre ottave; perfino Nanaka si è immobilizzata sul posto. Mitsui ingoia le proprie imprecazioni, guardandola allucinato «Ah, siete voi?» nasconde uno sbadiglio dietro i lunghi capelli scuri, guardandoli ad intermittenza «Che è successo?»
«A Mitchi fa male il ginocchio.»
«Non chiamarmi in quel modo idiota!»
«Credevo ti facesse male la testa, Mitchi.»
«Eri sveglia?!»
«Oh, anche quello. Nevvero, Mitchi?»
«Andatevene a fanculo!» sbotta lapidario, riparandosi dietro le tende verdognole. Può avvertire il sospiro pesante di Nanaka e il flebile «Ma che gli è preso?» di Shibahime, che a giudicare dal fruscio delle coperte sta cercando di rimettersi in piedi.
«Ehi, che intenzioni hai?»
«Andarmi ad allenare, no?»
«Scordatelo» la Itou è glaciale, perfino a lui scorrono i brividi lungo la schiena «Per oggi niente allenamento. Non voglio vederti svenire un’altra volta.»
«Ma--»
«Riposati, poi fila a casa» il grugnito della Sendoh gli strappa un sorriso ma subito sparisce, quando quell’infame della Itou intrufola la testolina castana fra le tende «Sai cosa devi fare» Mitsui grugnisce «Bye bye Mitchi! Non sfiancarmela troppo, mi raccomando.»
Non sfiancarla—Ma che cazzo va dicendo quella demente?!
Mitsui è allibito, non sa se suicidarsi con un mix di pillole o buttarsi dalla finestra.
Sibila un «Fanculo.» fra i denti, bofonchiando quando la sua risatina civettuola gli pizzica le orecchie.
Il fruscio delle coperte oltre le tende gli fa intuire come Shiba si sia risdraiata e per quanto sia tentato di dare una sbirciatina alla sua sagoma, giunge le mani che prudono dietro la testa e tiene conto dei minuti di silenzio che passano, chiedendosi come abbia potuto permettere a quella scema di incastrarlo così.
Quella vipera sa sempre su quale perno fare pressione, gioca col suo costante essere in pensiero per la ragazza e sfrutta a proprio piacimento questa sua debolezza, rigirandolo come un calzino. E lui è un pirla che si lascia fregare quando potrebbe semplicemente mandarla a quel paese.
Stende le gambe, il ginocchio fa un po’ i capricci ma tutto sommato il dolore è accettabile.
L’odore dell’infermeria è identico a quella della stanza d’ospedale che l’ha ospitato in tutti quegli anni ed è in quel momento, sopraffatto dai ricordi, che gli ritornano alla mente i suoi abbracci fra le bianche pareti, quel lento carezzargli i capelli di ritorno dalla terapia, le sue visite inaspettate, le litigate fra una lettura di un articolo di basket e un racconto sugli allenamenti di ginnastica.
E i baci, i «Ci vediamo domani» fra i sorrisi, i suoi rimproveri materni e amichevoli, quel suo essere così devota da saltare addirittura gli allenamenti pur di non lasciarlo solo.
Si sente precipitare in un baratro quando, per un istante, pensa che per lei non avrebbe reagito allo stesso modo. Il basket era sempre stato il perno della sua vita, quel motore che faceva girare il suo mondo e metteva in ordine il resto.
Lei era solo uno dei tanti ingranaggi.
Il fiato gli manca a quel pensiero, ha una voglia folle di scappare da lei e da tutto ciò che gli riporta alla mente ma il suo «Ti fa tanto male?» lo priva di ogni forza.
«Eh?»
«Il ginocchio… Ha ripreso a farti male?» c’è preoccupazione nella sua voce, si chiede se anche il suo viso abbia assunto le stesse increspature.
Il suo essere così delicata è una morsa al cuore; si sente quasi in colpa per starsi approfittando della sua cagionevolezza solo per poterle parlare. Nh, che poi è colpa di quella stronza della Itou a ben vedere. La prossima volta che lo infila in una situazione del genere la massacra di botte, la brucia viva, la--
«Ehi, sei morto?»
«Cosa?»
«Ti ho chiesto se ti fa male il ginocchio!» è esasperata, lo riconosce dalla cadenza stridula che hanno assunto le sue parole.
«Un po’… Fa le bizze ogni tanto.»
«Ed è normale?»
«Ma sì, il fisioterapista dice che non c’è da temere.»
«Non dovresti strapazzarti troppo.»
«E tu dovresti mangiare.» non voleva sganciare subito la bomba, non senza essersi preparato meglio il terreno.
«Cosa c’entra il mangiare?»
«Sei svenuta perché non hai mangiato, no?»
«Eh? Ma va, ho preso una pallonata in faccia.»
Una pallonata—Quella maledetta stronza!
Si è fatto fregare come un cretino!
Di fronte al suo silenzio, Shiba sospira pesantemente «Cosa ti ha raccontato Nana?»
«Cosa c’entra quella secchia?»
«E’ stata lei a mandarti qui, mh?»
Colpito…
«Già…» si appoggia al cuscino «Ha detto che sei svenuta perché non mangi.»
«Che sciocca…»
«E’ preoccupata per te. Svieni ogni due per tre negli spogliatoi, non puoi biasimarla. E oggi non hai mangiato.»
«Mi spii per caso?!»
«Siamo in classe assieme, ti vedo eh.»
«Il cibo non centra. Sono solo stanca, tutto qua.»
«Non dovresti sfiancarti così. Ne va della tua salute.»
Cristo, si sente un cazzo di genitore che tenta di avere una chiacchierata cuore a cuore con il figlio adolescente e ribelle.
Shiba non gli risponde, non subito.
Lo fa galleggiare in un silenzio godibile, così diverso da quello che è ormai abituato a ricevere.
La semplicità che c’era tra loro gli manca da morire.
La complicità perduta, quella più di tutto, lo fa sentire incompleto.
Lo scalfisce con poche parole, pesanti e sfiancate «E’ l’unico modo che ho per non pensare.»
«Pensare a cosa?»
«A tutto. A cosa devo preparare per cena, alle tute di Akira che spariscono, ai compiti in classe, alla sfida con il Kainan, a Nanaka e ai suoi stupidi integratori, a mamma. A tutto.»
Mitsui si sente sollevato per non essere stato infilato nel mezzo ma è ben consapevole di essere parte integrante di quel tutto che tanto la indebolisce.
«Dovresti prenderla con più leggerezza.»
«Come se fosse facile…»
«Guarda che lo è.»
«No che non lo è! Ah, ma cosa parlo a fare con te? Tanto l’unica cosa a cui pensi è il basket.»
Qualcosa si spezza.
Mitsui l’ha sentito indistintamente quella specie di filo sottile che per tutto quel tempo ha tenuto salda la ragione, spezzandosi con un suono così stridente da ricordargli le corde di un violino.
Davvero quella stupida è convinta che pensi al basket notte e giorno?!
Si solleva di colpo, sopraffatto da un impeto di rabbia che da tempo non provava. È quello stesso tipo di rabbia che gli faceva venire voglia di spaccare il mondo costringendolo a limitarsi alle paccottiglie in casa.
Si alza, scosta la tendina guardandola fisso fisso per una manciata di secondi… E la rabbia svanisce, veloce com’è arrivata.
Si è svuotata, lasciandolo con le gambe molli e la sensazione di aver fatto tremila passi indietro.
Shiba lo fissa seria seria, portandosi le gambe al petto a mo’ di difesa.
«Non è vero che penso solo al basket, razza di stupida!»
«Stupida?!»
«E i capelli rossi ti stavano meglio. Così sei uguale a tutte le altre.»
E se ne va.
Non esattamente una frase da supereroe o da impavido paladino dall’armatura splendente, ma il modo in cui l’ha guardato è stato decisamente appagante.
O almeno vuole crederci.
Perché, ammettiamolo, come frase ad effetto fa proprio schifo.

 
La Itou lo ha braccato all’uscita da scuola. Ancora.
«Allora, com’è andata?» ha un sorrisone così orripilante da fargli scorrere i brividi lungo la spina dorsale.
«Meglio del previsto.»
La ragazza tossicchia «Spero abbiate aspettato che l’infermiera uscisse prima di darci dentro.»
«Itou--» il suo raffinatissimo «Vedi di andartene a fanculo.» se ne sta buono buono nella bocca serrata, perché qualcosa l’ha distratto «Ma che cazzo--» è il flash di una macchina fotografica e proviene dai portici della scuola «Ma chi cazzo è quello?!»
Nanaka osserva la figurina del paparazzo allontanarsi e, senza battere ciglio, lo scruta con invidiabile rilassatezza «Siamo nei guai, credo.»
«Dovrei sapere qualcosa?»
«Tomoko En.»
Ah, già, quella…
È la prima volta che un nome gli fa presagire catastrofe.

 
Seduta nel salotto di casa Sendoh, Nanaka legge una rivista di basket senza capirci nulla, sbirciando di tanto in tanto la figurina sottile di Shiba impegnata in chissà quali elucubrazioni mentali.
Tira le ciocche di capelli scure rigirandosele fra le dita, studiandole con cipiglio serio serio.
«Qualcosa non va?» glielo chiede dopo l’ennesimo borbottio soffocato, rimirando il suo frenetico scuotere della nuca corvina.
«Ma no, nulla…» si abbandona sul divano, stringendosi un cuscino al petto «Sono solo preoccupata per Akira, tutto qui.»
Nanaka sa benissimo che non è tutto qui, perché da quando è rimasta chiusa in infermeria con quel beota di Mitsui, l’amica sembra sempre persa nei meandri della propria mente, quasi non fosse capace di acciuffare i propri pensieri. Decide però di darle corda perché quando ci si addentra in discorsi scomodi, Shiba ha il vizio di chiudersi a riccio e lei non ha voglia di lasciarsi pungere.
«Vedrai che andrà bene. È o non è l’asso del Ryonan?»
«Sì, ma il Kainan è forte e—Ahio! Mi hai fatto male!» piagnucola come una mocciosa mentre si massaggia la testa su cui si è appena schiantata la rivista.
Nana l’arrotola, facendola ondeggiare minacciosa «Devi pensare positivo, altrimenti la tua negatività influenzerà il punteggio.»
«Oh, ma che mucchio di—Ahio! E questa per che cos’era?!»
«Per la parolaccia che stavi per tirare fuori. E per aver dubitato delle mie capacità da sensitiva» Shiba arcua un sopracciglio, scettica «E poi questa mattina ho pescato la carta della Luna.»
Shiba si illumina «Oh, che bella!»
«Però era rovesciata.»
«Ma la Luna è bella quindi porta fortuna, no?»
«Veramente vuol dire: circostanze sfavorevoli o qualcuno ti sta ingannando--»
«Ma è una carta orribile!»
«Però noi pensiamo positivo, ok?»
Shiba si rannicchia «… Buttale quelle carte appena torni a casa, ok?»
«Non posso, sono di mia madre.»
«… Dì a tua madre di buttarle quelle carte appena torni a casa, ok?»
Solleva le spalle «Non posso chiederglielo. Le usa quando ha qualche riunione, per vedere come andrà.»
«Quindi se la partita andrà male dovrò prendermela con tua madre.»
«Non con lei, con la Luna» Shiba sbatacchia le palpebre un paio di volte prima di mangiucchiare quelli che, ad occhio e croce, sono velati insulti alla luna. O a sua madre. Nana rotea gli occhi prima di cambiare argomento «Mh, ma poi com’è andata con Mitsui?» decide di buttare la bomba senza nemmeno prepararla al peggio, godendosi le sue guance rosse e la parlantina frenetica e insensata.
«Come vuoi che sia andata? È andata» alza le spalle, rigirandosi il cuscino fra le mani «È andata meglio del solito. Siamo riusciti a parlarci senza ucciderci.»
«E bacia bene come un tempo?»
«Beh, non lo so e—E come faccio saperlo?! Mica ci siamo baciati!»
«E a quando il primo appuntamento?»
«Mai perché non ci sarà nessun appuntamento!»
«Oh, come sei noiosa.» Nana si spilucca la maglia dei Does[2], Shiba mangiucchia i bordi del cuscino.
«Senti, a Mitsui non interesso più e lui non interessa a me --»
«E io sono felicemente sposata con Ken Watanabe[3]
«Quindi non farti strane idee» le lancia contro il cuscino «E poi non capisco perché ti interessi vederci ancora assieme» si mette a braccia conserte, sbuffando come una teiera «Le cose vanno bene così.»
«Ma prima andavano meglio.» la guarda con un angolo delle labbra sollevato, gustandosi il suo ammutolirsi come se avesse c’entrato in pieno il nocciolo della questione. È vero, Nanaka non ci guadagna nulla nel saperli di nuovo assieme, così come non ci guadagna nulla nell’interferire nelle loro vite, ma quei due sono troppo stupidi per accorgersi che i loro sentimenti sono solo assopiti, non scomparsi. E poi è divertente vederli barcamenarsi nelle loro emozioni confuse, così come è un vero spasso far soffrire un po’ quel demente di Mitsui che, in fondo, ha fatto soffrire la sua migliore amica.
«Non è che andassero meglio, erano solo diverse…» Shiba sbuffa «La verità è che non so nemmeno io cosa voglio. Quando lo vedo, mi risento come la ragazzina che sudava di fronte al suo sorriso, che si scioglieva quando le parlava, che faticava a ragionare perché il cuore batteva troppo forte e pensava: OhmieKami lui è così bello» i suoi occhi brillano come i giorni in cui le raccontava di aver conosciuto questo ragazzo bello bello da far impazzire, che giocava a basket e che la salutava per i corridoi anche se circondato dai suoi amici casinisti «Ma poi tutto il male che ci siamo fatti torna indietro e allora--»
«Ci siamo?» sottolinea confusa, guardandola con un sopracciglio alzato.
Shiba si irrigidisce, farfuglia qualcosa come «Mi ha fatto, mi. Mi sono confusa.» perdendosi in una risatina frivola e al contempo nervosa che solleva una marea di dubbi.
Ha la sensazione che Shiba le stia nascondendo qualcosa, che la storia con Mitsui celi più ombre di quante lei conosca ma non fa in tempo a chiederlo perché un tornado dai capelli a punta fa il proprio ingresso in casa. Sbattendo la porta. Senza nemmeno salutarle.
Sono le 19:14 di un sabato pomeriggio…
«Oh, Acchan! Bentornato! Di quanto avete battuto il Kainan?»
«89 a 83. Per il Kainan.»
… E Akira Sendoh è il ritratto della delusione.
Lancia un’occhiata alle due, soffermandosi sul volto di Nanaka che è pietrificato in una maschera di incertezza.
Sua sorella è imbarazzata, l’euforia si smorza di fronte al suo sguardo spento «Oh, ahm—Che ne dici di mangiare qualcosa? Nana-chan e io--»
«Non mangio.»
Shiba agita le mani «Ma--»
«Non ho fame.» scompare su per le scale, sbattendo la porta della propria camera con talmente tanta forza da farle sobbalzare.
Shiba si lascia cadere sul divano, striscia i piedi sul tappeto «Uffa.»
«Ma fa sempre così?»
«Quando perde una partita importante, sì» giocherella con i capelli «Si chiude in camera e non scende fino al giorno dopo. L’ultima volta che mamma ha provato ad entrare, è uscita quasi in lacrime.» stiracchia un sorriso ma le si legge in faccia quanto tutto quello le dia dispiacere.
Nana guarda lei, guarda il soffitto, riguarda lei e prima che possa anche solo pensare a cosa esattamente il suo cervello stia pensando, si ritrova a zampettare impettita in direzione delle scale.
«Dove stai andando?»
«Da tuo fratello.»
«Cosa?!»
«Hai capito bene. Abbiamo passato il pomeriggio a cucinare, non butterò tutto solo perché si comporta da moccioso.»
Shiba si alza di scatto, parandosi tra lei e la porta con sguardo allucinato «Non posso lasciarti andare!»
«Eh?»
«Rischi di tornare giù senza qualche arto!»
«… Voi Sendoh siete strani» la scosta, fiondandosi lungo il corridoio lasciandosi dietro le sue parole disperate «Se non torni tra dieci minuti chiamo la polizia!» urla, facendola ridacchia scioccamente «Tu inizia a scaldare la roba!»
Prende un profondo respiro prima di bussare alla sua porta ma tutto ciò che riceve è silenzio.
«Santa pazienza» rotea gli occhi «Nudo o no, io entro.» apre quel tanto che basta per far sì che uno spiraglio di luce penetri nel corridoio buio fino a che non scorge la sua figura: è seduto in terra, poggia la schiena contro la fine del letto e, cuffie alle orecchie, gioca a quello che dovrebbe essere uno sparatutto.
Ha i capelli un po’ schiacciati e umidi, probabilmente si è fatto una doccia veloce ed è scappato a casa, rintanandosi nel suo santuario.
La camera da letto di Akira è… Essenziale.
C’è un letto, una scrivania, qualche poster dell’NBA e foto scattate da suo padre ma a parte quello non c’è null’altro che attiri l’attenzione.
Gli assomiglia: è semplice ma per qualche ragione si incastra nella mente.
Non si è accorto della sua presenza silenziosa così zampetta fino a lui in punta di piedi, piegandosi leggermente.
Gli sfila un auricolare, mormorando un divertito «Ti facevo più tipo da Fifa
Akira sobbalza, guardandola sorpreso «Quando sei--» il capo gli cade in avanti «Senti, Nana, non è giornata.»
«Aha, lo so, Shiba è stata piuttosto chiara…» si liscia i fuseaux neri «Verrò cucinata alla brace o in forno?»
«Pensavo di usare la piastra. Magari con un bel contorno di patate.»
«Mh, credo che sarebbero meglio dei pomodori. Sai, sono un po’ indigesta.» glielo sussurra con fare cospiratorio e Akira si lascia andare ad un leggero sorriso, tornando a fissare la televisione.
Nana recupera un gioco dalla pila vicino alla scrivania, rigirandoselo fra le mani smaltate «Mio fratello ama Resident Evil» ridacchia «Ogni tanto mi faceva giocare solo per prendermi in giro.»
«Mira pessima come Shiba?»
«Io sparavo con gli occhi chiusi.» ride frivolmente e Akira la segue, questa volta con decisamente più trasporto.
«Mi piacerebbe vedervi giocare. Sareste un vero spasso» si gratta la nuca, sospirando «Senti, mi spiace per prima, è che sono così incazzato» lascia cadere il joystick «Abbiamo perso per pochi punti e per tutto il tempo mi sono sentito sotto pressione, come se non bastasse sono passato a casa tua ma la finestra era chiusa e--» la guarda con tanto d’occhi, come se avesse detto qualcosa di indelicato «Non che tu debba stare in casa per me, cioè, non è che ti cerco solo per quello e--»
«Tranquillo, essere il giocattolo di qualcuno non è poi così male. Mi fa sentire… Sexy.» glielo dice con un velato sorriso, giocherellando con la punta della lunga treccia.
Da un lato è rincuorata nel constatare che Akira la pensi come lei per quanto riguarda il loro rapporto ma dall’altro… Dall’altro sente pervadersi da un senso di noia al pensiero che, in fondo, sono bloccati ad un punto morto.
A volte si sente soffocare, come se la vita passasse e lei fosse incagliata in quel rapporto che le impedisce di cercarsi qualcuno che possa volerla in maniera viscerale, spingendosi oltre il semplice sesso. Ma è un pensiero fugace, perché vede i suoi lanciarsi contro piatti e bicchieri e la poesia galleggia via.
«Comunque oggi non sarebbe andato bene, c’è mamma...» si appoggia alla scrivania «E poi credevo avreste vinto» di fronte al suo sguardo scuro solleva le spalle «Shiba e io abbiamo passato l’intero pomeriggio a cucinare per la tua vittoria.» ridacchia al ricordo dell’amica che ingaggia una guerriglia contro le stoviglie che sembrano sempre avercela con lei e le sue scarse doti culinarie.
«Non ho molta fame.»
«Potresti scendere a farci compagnia. A tua sorella farebbe piacere.»
Si massaggia il collo «Compagnia… Ti sembro di compagnia?»
Nanaka l’ha visto solo una volta ridotto in tali condizioni: quando Mitsui ha lasciato Shiba ed è caduta in un vortice di depressione da cui, forse, non si è ancora ripresa completamente.
Inclina il capo e d’improvviso gli stringe il collo fra le braccia, stritolandoglielo.
Akira si libera con difficoltà, fissandola paonazzo per lo sforzo «Ma che sei impazzita?! Rischi di spezzarmelo!» se lo massaggia, guardandolo sconvolto.
«Con mio fratello funzionava sempre quando non passava gli esami.»
Akira storce il naso e fissa la sua felpa, stringendone un lembo fra le dita «Come sta Takashi?»
«Sta bene. Si è trovato una bella russa, lo sai?» sospira «Un motivo in più per non tornare» non era sua intenzione dirglielo, non con tono così mesto e di fronte al suo volto contratto in una smorfia di serietà decide di smorzare i toni «Ma tanto non sarebbe tornato comunque» sorride «Prima di andare mi ha lasciato questa felpa e ha detto: così mi faccio perdonare per tutte le volte che non chiamerò. Era la sua felpa preferita.»
Akira stende le lunghe gambe «Tua madre non dice nulla?»
«Papà e Takashi sono argomenti off-limit. Quando chiama, se chiama, non vuole che glielo passi e se salta fuori il suo nome, si innervosisce.»
«Magari si sente in colpa per non averlo fermato.»
«Nah, è lei che si innervosisce per tutto» sventola una mano, conscia di essere appena diventata il centro del discorso e no, non va assolutamente bene! Per fortuna che il campanello suona, facendo sì che Akira ingoi qualsiasi cosa le stesse per dire «I tuoi?»
«Impossibile, sono dalla nonna, dovrebbero tornare domani» ed eccolo lì che si alza in piedi di scatto non appena il grido di Shiba li raggiunge, facendo tremare le pareti «Ma che cazzo--»
«Acchan? Aaaaacchaaan?!»
Nanaka lancia un’occhiata alla porta «Ma che le prende?» e prima che Akira possa anche solo cominciare a pensare alle miliardi di bizzarrie per cui sua sorella dovrebbe chiamarlo a gran voce, un sonoro «Io non sono isterica, e levati le scarpe maledetto Koshino!» lo fa esplodere in una sonora risata.
«Direi che abbiamo visite.»
«Almeno qualcuno vi aiuterà a mangiare.»
«Acchan, scendi! Ci sono quei caproni dei tuoi amici!»
«Caproni a chi, oca?»
«Koshino, strozzati col pollo!»
«Asciutto com’è mi si incastrerà in gola.»
«… Acchan, scendi o stasera ci sarà Koshino arrosto.»
«Per me la coscia, grazie.»
«Ikegami senpai, non darle corda!»
Nana sbuffa, scuotendo la nuca «Scendiamo prima che si uccidano.» gli rifila un buffetto sulla guancia, lasciandolo più frastornato di come l’ha trovato. Trotterella fino in cucina, assistendo inerme allo spettacolo che le si para davanti: quella montagna umana di Uozumi si è messo a capotavola, distribuendo piatti e posate mentre Ikegami tenta di sedare la zuffa tra Fukuda e Koshino su chi si debba sedere il più lontano possibile dalla sorella isterica di Akira –con conseguente crisi isterica della sorella di Akira, impegnata a scacciare i cuoricini provenienti da un povero Hikoichi in venerazione dell’esemplare di Sendoh femmina-.
«Sembra di stare allo zoo.»
Akira compare dopo qualche secondo, fissandoli con un sorriso «Ragazzi, che ci fate qui?»
I presenti si bloccano, guardandosi uno ad  uno «Ahm, noi--»
«Siamo venuti a controllare che non ti fossi suicidato, Sendoh senpai!» Hikoichi se ne salta fuori con quella sparata, gli occhi lucidi e la forchetta che si agita nell’aria.
Uozumi gli rifila una mestolata sulla testa «Avevamo detto niente sceneggiate.»
«Ma io--»
«Sei imbarazzante, Hikoichi.» è il fine commento di Hiroaki.
Shiba gli sfila affianco «Tu sei imbarazzante.»
«Ma brutta--»
«Non avevamo voglia di deprimerci a casa» si intrometto Fukuda, abbandonandosi sulla sedia con le braccia dietro la testa «Così abbiamo pensato di farti una visitina.»
«Te ne sei andato via senza nemmeno aspettarci.» aggiunge Ikegami.
Akira ridacchia nervoso, grattandosi i capelli afflosciati «Ma non c’era bisogno.»
Nanaka gli rifila una gomitata sul costato «Guarda che vogliono tirarti su di morale. Sorridi, su su.»
«Beh, non vi sedete?» Uozumi li richiama con tono severo.
Akira scuote la nuca, infilandosi in quella specie di jungla mentre Nana li osserva con un leggero sorriso, prima di andarsi a sedere nell’unico posto rimasto libero.


Hikoichi la guarda con tanto d’occhi «Ma-Ma-Ma tu sei--»
«Nanaka Itou, piacere» perde il leggero sorriso di fronte al suo sbigottimento «È morto?»
«Hikoichi fa sempre così quando incontra una bella ragazza.» mormora Akira poggiando il mento sul palmo aperto.
Koshino ingoia del pane «Itou, sei uno splendore come sempre. Shiba, levati di torno che mi fai andare di traverso il cibo.»
«Ma come—E tu non ridere, maledetta!» Shiba si volta verso Akira, piegato in due dalle risate «Pure tu?! Ma che stronzi!» infuriata, si siede tra Hikoichi –che diventa rosso peggio dei capelli di Sakuragi- e quel santone di Hikegami «Sareste davvero una bella coppia, sapete?»
Koshino sputa l’acqua addosso a Fukuda.
I due si immobilizzano, si fissano.
Su quello, non c’è proprio nulla da ridere.

 
Akira si sveglia all’incessante bussare della porta.
«Shiba?» sbadiglia sonoramente, stropicciandosi gli occhi.
Di fronte al suo tentennamento si prepara a scostare le coperte, a dormire su di una misera porzione di letto e a passare una notte insonne. Ma proprio mentre sta per sollevarsi, la voce leggera di sua sorella lo fa fermare.
«Domani sei libero?»
«Cosa?»
«Domani non hai gli allenamenti, no?» scuote la nuca e lei gli punta un dito contro «Ottimo! Allora tieniti libero!»
«Ma per cosa?»
«Oh, finalmente, non vedo l’ora! Sono un po’ agitata però—Ma no, andrà bene!»
«Ma per cosa?!»
«Buona notte, Acchan!»
«Ma per—Aaah!» il capo gli cade sul cuscino quando Shiba sbatte la porta, scomparendo in una scia di risatine tutt’altro che rincuoranti.
Non ha idea di che cosa sua sorella abbia in mente ma di una cosa è certo: da tempo non la vedeva rivestita di vita.

 
All’ennesimo sbuffo, Mitsui si volta armato della sola incazzatura mattutina, con la speranza che l’essere inutile che gli gravita a qualche centimetro di distanza decida di migrare. Su di un pianeta lontanissimo, possibilmente.
«Spiegami ancora perché mi stai seguendo.»
«Non ti sto seguendo.»
«Itou--»
Quella rotea gli occhi finemente truccati «Che pesante che sei… Da quando imbattersi in qualcuno per caso, è sinonimo di seguire?»
«Non ci siamo incontrati per caso, eri davanti a casa mia!»
«Passavo di là.»
«Eri appoggiata al mio cancello!»
«Non potresti sorridere e basta?»
«Itou, sei una rompipalle, lo sai--»
«Oh, che ne pensi di quelle scarpe?»
Mitsui viene ignorato per la millesima volta e dopo aver tirato giù tutti i santi che conosce, si piega al volere della sfiga e segue quella parassita della Itou.
E pensare che quella doveva essere una mattina come tante, cominciata con il solito piede sbagliato perché è domenica e porcalamiseria domani è già lunedì e lui non ha nemmeno aperto i libri che stanno facendo la muffa sulla scrivania ridotta ad armadio di vestiti sporchi.
Come se non bastasse le sue scarpe da ginnastica, quelle che l’hanno accompagnato in anni e anni di sacrifici e sofferenze, hanno pensato bene di passare a miglior vita e di certo non può giocare a piedi scalzi, macché, quindi perché non andare a spendere quei pochi spicci che i suoi gli hanno sganciato con un’occhiata torva seguita da uno sbuffante «Vedi di non buttarli al Pachinko.» come se fosse avvezzo a certi luoghi.
Ciliegina sulla torta, appena uscito dal vialetto di casa, la figura dapprima sfuocata di quella megera della Itou ha pensato bene di mostrarsi in tutta la sua inutilità, rifilandogli un allegro «Vai da qualche parte?» a cui lui ha replicato con un secco «Spostati dalle palle!» rendendosi conto solo poi che quella non passava di lì per caso, come gli ha ripetuto per tutto il tragitto fino in centro.
Si avvicina, richiamata dal suo annoiato «Allora?»
«Fanno schifo. Voglio le Asics.»
«Voi cestisti siete proprio fissati. Sono scarpe, una vale l’altra.»
Si mette a braccia conserte «Voglio. Le. Asics.»
«Anche io voglio l’ultima borsa di Prada ma non faccio mica tante storie.»
Sta per chiederle cosa stia farneticando ma di fronte alla sua espressione impietrita, non sa esattamente cosa dire. Ha gli occhi larghi, le labbra serrate e stringe la borsetta con fin troppa forza.
«Beh? Che ti prende?
«Fossi in te, non mi volterei.»
«Che? Perché cazzo non dovrei--» le parole gli muoiono in gola alla vista di Shibahime al fianco di… To’, Akira Sendoh in persona. Il supereroe dai capelli antigravitazionali, l’unico in grado di capirla sul serio, ma sul serio sul serio eh!, l’unico che mai la tradirebbe ma in nessuna maniera in cui una persona può essere tradita.
L’uomo perfetto, insomma.
«Fantastico…»
«Ti avevo detto di non voltarti» sbatacchia le lunghe ciglia scure «Hai l’aria di uno a cui hanno rovinato la giornata.»
«Ti senti tirata in causa?» ironizza tetro, vedendola roteare gli occhi blu.
Gli rifila una gomitata «Sono uno spettacolo, non trovi?»
«D’orrore.»
«Pensavo più ad un Monet» la ragazza abbassa la voce «Contieniti, stai sputando fumo dalle orecchie.»
«Ma smettila!» e prima che possa smadonnare perché, davvero, la giornata era iniziata di merda e stava procedendo ancora peggio, Nanaka si premura di mettersi in mostra perché non sia mai che passino inosservati.
«Ehi, Shiba!»
Ma porca--!
«Già che ci sei perché non metti i manifesti?!»
«Ugh, già è abbastanza farmi vedere con te. Non voglio che la gente pensi che tra noi ci sia qualcosa di vagamente romantico.»
«… Itou, fatti vedere, dico sul serio.»
Shiba, impegnata a chiacchierare con il fratello, si blocca confusa nell’udire il proprio nome e dopo qualche istante di sbigottimento, li saluta con fin troppa foga.
Una più scema dell’altra…
Si avvicina trascinandosi quel palo di Akira, sorridendo ad entrambi «Che coincidenza incontrarvi qui!»
Nana ridacchia «Già…» lo spintona, costringendolo ad unirsi al gruppetto «Stavamo andando a cercare delle scarpe per questo scemo--»
«Scemo?!»
«Ma fa così il difficile» gonfia le guance «Vuole disperatamente le Asics ma non siamo riusciti a trovarle.»
«Ti piacciono le Asics?» Akira si intromette con curiosità, fissandolo con un leggero sorriso.
Mitsui stringe i pugni nelle tasche, sente l’impellente bisogno di sdentarlo «Già.»
«Più avanti c’è un negozio ben fornito» si premura di dirgli, sbattendosi poi una mano sulla fronte «Che scemo, non mi sono neanche presentato…» allunga una mano «Non credo che ci conosciamo. Sono Akira--»
«Lo so chi sei.» sbotta contrito, vedendolo grattarsi la nuca sempre con quel sorriso affabile a penzolargli sul volto. Kami, avrebbe voglia di spaccarglielo a suon di pugni.
La Itou sospira con pesantezza ma è Shiba ad esternare quello che deve essere il pensiero comune delle due «Però, quanta garbatezza.»
«Al confronto, Sakuragi è un principino.» seguita l’altra, coalizzandosi con la migliore amica.
Si massaggia la nuca, tendendogli una mano controvoglia «Mitsui.»
«E basta?»
«Hisashi Mitsui, contenta?»
«Estasiata!» Nanaka allarga il sorriso, poi torna a guardare gli altri due «Allora, dove state andando di bello?»
«Stavamo andando a--»
«A fare la spesa.» Shiba lo interrompe, sorride appena e li guarda ad intermittenza. Sembra alla ricerca di qualcosa che in realtà non c’è, come se si aspettasse che uno dei due se ne salti fuori con qualcosa tipo «Lo sai che ci siamo fidanzati alle tue spalle?», cose da film dell’orrore insomma.
Tra i quattro cala un silenzio talmente teso che si potrebbe tagliare con un dito. Mitsui è tentato di scappare e se non fosse per le austere occhiate che la Itou gli tira di soppiatto, probabilmente lo avrebbe già fatto.
Nanaka sembra fiutare l’aria pesante che si pone fra loro, così decide di spezzarlo con una delle cazzate più mastodontiche che mai avrebbe potuto partorire «Beh, se non è urgente vi va di unirvi a noi?»
Certo, così finiranno per andare al parco e affogarsi nel laghetto delle papere. Idea geniale, sublime proprio!
Per fortuna Shiba non sembra intenzionata a trascorrere altro tempo con loro «Mi spiace ma davvero non possiamo! Siamo già in ritardo e-E poi oggi tornano i nostri e sai com’è mamma che se non ci trova a casa si preoccupa.»
«Sicura?»
«Aha, tranquilla» spintona via suo fratello «Beh, ci vediamo domani a scuola! Ciao ciao!»
«Spero troverai le scarpe, Mitsui senpai!»
«Te le faccio ingoiare le scarpe.» borbotta tetro quando li vede divenire due puntini lontani.
Nanaka sventola una mano e quando non ci sono più, si lascia andare ad uno sconfitto «Questa proprio non ci voleva.» che lui non coglie.
«Eh?»
«Non ti preoccupare. Domani le parlo io.» Nana è tornata a guardare le vetrine.
Mitsui distoglie lo sguardo «Mh?»
«Con Shiba. Le dirò che non c’è nulla tra noi e che non deve preoccuparsi.»
«Ma sai che cosa me ne frega.»
«Vuoi farmi credere che non ti interessa?» Mitsui grugnisce «No, perché hai l’aria di uno che vorrebbe correre da lei e dirle che è tutto un malinteso.»
«Nh.»
«O che vuole spaccare la faccia ad Akira, è uguale.»
«Nh.»
«Ti ricordo che è suo fratello, nel caso te ne fossi scordato.»
«Nh.»
«Sei stato contagiato dal germe Rukawa, per caso?»
«E’ che—No, lascia perdere.»
«Cosa?» Nana si solleva, sospira e porta le mani sui fianchi «Tenere tutto dentro non farà altro che peggiorare le cose.»
Mitsui si massaggia la cicatrice, tenta di assumere l’espressione più distaccata che ha nel repertorio solo per non far germogliare certezze sbagliate in quella scema della Itou, eppure alla fine cede e si infila in discorsi che nemmeno pensava sarebbe arrivato ad affrontare.
«Non che me ne freghi qualcosa… Ma non hai mai la sensazione che tra loro ci sia… Qualcosa
«Qualcosa?»
«Qualcosa… Di più, ecco.»
Nana è la serietà fatta a persona ma mai come allora gli è sembrata così… Poco incline allo scherzo, ecco. I suoi lineamenti si contraggono in una maschera di pura incredulità e solo dopo qualche istante vede le sue labbra tremare, prima che si aprano per lasciar uscire una risata talmente rumorosa da far voltare i passanti.
Si è rincoglionita…
«Sei impazzito per caso?! Sono fratelli! Fra-te--»
«Oi, la smetti di trattarmi come un ritardato?! Guarda che lo so!»
«Era per fartelo entrare meglio in quella tua testolina vuota» Nana ghigna «Qualcosa di più, come no.»
«Non sono fratelli di sangue.» puntualizza meditabondo, come se fosse il punto decisivo in una partita.
Nana non sembra però colpita, anzi lo guarda come se avesse a che fare con un microcefalo «Se non continuassi a ripetermi che non te ne frega niente, comincerei a credere che sei geloso di Akira.»
«Oh, ma per favore--»
«Senti, hai ragione quando dici che tra loro c’è qualcosa di più, ma credimi: non è amore. Forse lo è stato per un po’, ma questo prima che arrivassi tu…» c’è una limpidezza spaventosa nelle sue parole, non gli sta dicendo quelle cose per mettergli l’anima in pace o per farlo sentire meno confuso, Nana parla perché è consapevole che le cose stanno così e l’unico che le distorce perché più facile, è lui «Non c’è nessuno che abbia preso il tuo posto, mettitelo in testa.»
«Nh.»
Nana ridacchia leggera dandogli una pacca sulla spalla, sempre in quel suo modo delicato «Tu nemmeno ti immagini quanti casini hai lasciato dietro te, mh?»
No, in realtà lui lo sa benissimo.
È che ne ha perso il conto.


Il giorno dopo in classe, una saetta dai boccoli rossi sfreccia davanti a lui.
Shibahime è tornata del suo colore naturale.
La Itou fischia «Eccola la mia strafiga!»
Mitsui, per la prima volta, è d’accordo con lei.
 


[1] Afrodita A: compagna femmina di Mazinga Z, utilizzava dei missili che sparava dal seno come arma.

[2] Does: band rock giapponese composta da tre membri, formatasi nel 2000. Tecnicamente non dovrebbe ancora esistere stando all’anno in cui il manga è ambientato ma è una delle poche band giapponesi che conosco e che mi piace. E poi ai fini della trama importa poco XD

[3] Ken Watanabe: attore giapponese, famoso per aver interpretato il generale Tadamichi Kuribayashi ne L’ultimo Samurai ,il signor Saito nel film Inception e il direttore generale in Memorie di una Geisha.
 


Buona sera ♥
So di essere più in ritardo del solito ma sono arrivata ad un punto in cui ho dovuto riunire le idee perché i miei appunti sono quanto di più inutile ci sia. Ma cose tipo: scena Shiba + Akira… Aha, certo… Essere un po’ più specifica no?! E quindi niente, dovevo un attimino capire cosa si sarebbero detti/avrebbero fatto. Mi odio, sono LA stupidità.
Ad ogni modo… Capitolo lunghetto per farmi perdonare :) Si inizia a vedere qualche spiraglio di speranza fra quegli scemi di Hisashi e Shiba anche se lei è talmente stupida da vanificare qualsiasi approccio. Ma voi non disperate che le cose dovranno pure sistemarsi prima o poi ;) È che tendo a far srotolare tutto in maniera lenta, questo per dare un minimo di veridicità agli eventi. Spero non vi stia dando noia ç.ç
Nota dolente: i tempi di aggiornamento credo andranno allungandosi essenzialmente per un motivo. Ci addentriamo nel periodo dell’anno che più odio in tutta la mia vita, quello per cui devo spendere ogni briciolo di energia a lavoro perché se no so’ cazzi (mi si passi il francesismo): il pre Natale/Natale. Lavoro, grazie per farmelo odiare :’) Sì, lo so, manca ancora un sacco di tempo ma nel mio settore giochiamo d’anticipo e quando passo mesi di quiete… Beh, non è mai un buon segno.
Ad ogni modo non ho intenzione di abbandonare Mo Chuisle quindi sappiate che sono qui e anzi, se vedete che ci metto decadi sappiate che siete i benvenuti a sollecitarmi e darmi una scossa virtuale ^^
Passiamo ai ringraziamenti, va, che sono la parte che preferisco!
A pinkjude, Ice_DP e ReginaMills89 va tutto il mio affetto. Siete carinissime come sempre, grazie infinite ♥ Ringrazio altresì chi legge la storia in silenzio, invitandovi se vi va a lasciare un segno del vostro passaggio ^^

Alla prossima,
HeavenIsInYourEyes.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** But I still remember that day we met in December ***


Cosa c’è di peggio di una sveglia composta dall’adorabile voce di sua madre che pensa bene di uscirsene fuori con un cinguettante «Porca la miseria è da un mese che ti chiedo di aggiustare il lavandino!» rivolto a quello stanco uomo di suo padre che si ripara dietro l’enorme pagina di un giornale, un compito di algebra alle 9:00 e l’ansia che non lo fa dormire da una settimana, più precisamente da quando si è reso conto che la partita di domani è il loro biglietto di sola andata per i Campionati Nazionali?...
«È stato male?!»
«Già… Se non fosse stato per Sakuragi, a quest’ora non so come sarebbe finita…»
«Porca miseria…»
… Ma un Kogure che gli annuncia che il Signor Anzai è finito in ospedale l’altra sera, ecco cosa c’è di peggio.
Per un attimo si sente smarrito, non sa neppure lui spiegarsi cosa sia quella specie di voragine che gli si è aperta nello stomaco, facendogli un male atroce. È come se una delle tante ragioni che lo spingono a svegliarsi la mattina senza la voglia di distruggere l’intero pianeta, si stesse liquefacendo e non può fare nulla per trattenerla.
Non fa in tempo a elaborare la scioccante notizia che una sagoma dai lunghi capelli castani gli fluttua davanti come un orribile sogno ad occhi aperti.
«Buongiorno! Cercavo proprio te!»
«Itou, la mattinata è già uno schifo così, non mettertici anche tu--»
«Oh, Itou-san, che piacere vederti.» ma Kogure non è dello stesso parere, perché sembra davvero felice di ritrovarsela fra i piedi.
Gli rivolge un sorriso angelico «Kogure-kun, se ti fai vedere in giro con certa gente la tua reputazione da bravo ragazzo andrà a farsi benedire» a quella sparata Mitsui grugnisce un elegantissimo «’Sta stronza» che l’altra accoglie con un sorrisetto talmente orripilante da fargli salire su la colazione «Dovresti imparare da lui l’educazione, Mitchi
«Non chiamarmi Mitchi!»
«Vedo che andate d’accordo!» Kiminobu gli dà una pacca sulla spalla, facendo precipitare il suo già scarso umore sotto le suole delle scarpe.
«Se desiderare vederla stirata da un camion vuol dire andare d’accordo--»
«Ignorerò il fatto che tu sia così stupido da non accorgerti che posso sentirti, solo perché abbiamo problemi ben peggiori» il suo sorriso affabile, che stona con la sequela di parole appena mitragliate, fa scorrere i brividi lungo la schiena di entrambi «Leggi qua.» gli schiaffa in mano il giornalino scolastico che in prima pagina riporta una gigantografia di—
«Ma questi siete voi!» Kogure sgrana gli occhi di fronte al raccapricciante titolo glitter «Una nuova coppia di stelle è forse nata allo Shohoku?»
Hisashi sbatacchia le palpebre un paio di volte «Cos’è sta roba?! È terribile!»
Kiminobu si schiarisce la voce «Qui dice che continua a pagina # 5.» sfoglia veloce le pagine, immergendosi nella lettura con fin troppo interesse.
Mitsui lancia un’occhiata all’amico poi fissa Nanaka «Mi spieghi che cazzo succede?»
E lei sospira, pesante «Che ne dite di un caffè?»
 

Capitolo 11
But I still remember that day we met in December

 

Mal: Che cosa ci fai qui?
 Arianna: Sto solo cercando di… Capire.
Mal: Come puoi capire? Lo sai che significa amare all’estremo?
Essere la metà di una cosa sola?
Arianna: … No.”
                                                       -Inception, Christopher Nolan-

 

 
Hisashi Mitsui si accorge dell’universo femminile a quattordici anni, quando una ragazza gli lascia una lettera d’amore nell’armadietto, chiedendogli di incontrarsi dietro il cortile perché ha una cosa importantissima da dirgli. Si presenta con un’ora di ritardo perché c’erano gli allenamenti di basket e lui mica può saltarli per una ragazza, macché!, e lei è lì, in attesa come uno sposo sull’altare.
È carina, con quei suo capelli liscissimi e scurissimi, le guance rosse e i piedi che tamburellano sul prato e lui porca di quella vacca mica sa cosa debba fare esattamente, perché non ha mai avuto una fidanzata o qualcuna che dimostrasse interesse per lui e quindi non sa come si fa.
Si massaggia il collo, le sorride un po’ intimidito e di fronte al suo balbettio non può che cercare di rassicurarla anche se i suoi modi non sono propriamente garbati e in mezzo al farfuglio incomprensibile riesce a cogliere qualcosa come «Mi piaci, ti va di uscire un pomeriggio di questi?» e lui, da grandissimo coglione qual è, se ne salta fuori con un ingenuissimo «Ma al pomeriggio ho gli allenamenti di pallacanestro!» che gli valgono come un biglietto di sola andata per il paese dell’idiozia.
Insomma, nella sua testa è tutto cristallino e assolutamente logico: il basket prima di tutto e quel tutto può accumularsi altrove. Quindi non ci resta male quando quella ragazzina –che poi com’è che si chiamava?- se ne va via dicendogli qualcosa come «Oh, beh, se è così…» e un mucchio di altre cazzate come «Ma poi immagino che un ragazzo come te abbia già qualcuna, no?», perché non c’è nessuna ma tanto ha il basket, no? E poi mica gli piaceva quella, quindi...
Lui non ha tempo per le femmine.
Non ha tempo per le domeniche pomeriggio al cinema, per gli incontri fugaci dietro casa senza farsi scoprire dai genitori apprensivi, per i baci e i primi batticuore, non ce l’ha.
Fino a che non compare Shibahime.
È un giovedì di metà dicembre, col cielo che sputa tuoni e fulmini e gronda acqua come se di lì a poco dovesse arrivare un tornado.
Ricorda ancora il suono della pioggia che si infrange sui vetri, che va mescolandosi al rimbalzare della palla sul parquet e allo scivolio delle suole, in quell’inconfondibile rumore che gli inebria le orecchie. Smarca avversari invisibili, tira dalla linea dei tre punti e segna, anche se non ha avuto nemmeno bisogno di mettersi in posizione come si deve.
Gli viene naturale…

 «Scusate il ritardo! È che ho perso il treno e ho dovuto farmela di corsa
e poi fuori diluvia e non trovavo le scarpe e—Ma tu non sei la squadra di ginnastica!»


Così come gli viene naturale pensare che quella appena entrata sia la persona più bella che abbia mai visto in tutta la sua vita: una miniatura esile dai capelli lunghi e rossi che ricadono oltre le spalle in una cascata di boccoli rosso fiammante e lui ne è talmente colpito da dimenticarsi che la palla gli è rotolata via e lui dovrebbe andare a riprendersela.
È iniziata così, con una stilettata di scuse e il suo scombussolato «Ahm… No?» prima di tornare a palleggiare, cercando di ignorarla anche se, porca vacca, è difficile ignorare una come quella.
«Ma-Ma—Ma ci sono gli allenamenti oggi!»
«Sì, di basket. Quelli di ginnastica sono domani.»
«E da quando?!»
«Da quando il coach ha chiesto di fare a cambio. Non ti hanno avvisata?»
«Ho sbagliato orario…» la ragazzina sbatacchia le palpebre prima che il capo le cada in avanti.
È strana, quella, col suo comportarsi come se fosse sola, i capelli di quel colore improponibile e gli occhi troppo rotondi per una giapponese. Ha un fascino particolare, accentuato dal portamento elegante che forse tutte le ragazze hanno -o forse lo hanno solo quelle che fanno ginnastica, lui che ne sa?-
Si rende conto in quel momento di non averle mai guardate bene, le ragazze.
Si arrotolano tutte i capelli intorno alle dita quando sono nervose? Le loro guance si imporporano davvero così tanto quando sono imbarazzate? Sono tutte così belle?
Decide di non pensarci, perché lui è lì per allenarsi mica per dar retta a una squinternata. Poggia il piede destro, poi il sinistro e salta, facendo finire la palla nell’anello senza sbavatura alcuna.
«Sei bravo!» è un commento non richiesto e inaspettato che gli fa ricordare che quella è ancora lì, che lo fissa con un sorriso un po’ imbarazzato «Quello è un terzo tempo, vero?» sarà la prima e unica volta che azzeccherà qualcosa che riguarda la pallacanestro.
Recupera la palla, annuisce «Giochi anche a basket?»
Scuote la nuca, dai lunghi capelli cadono gocce che si infrangono sul parquet «Ci gioca mio fratello, ha provato a insegnarmi qualcosa ma non ci sono portata» ridacchia «L’altro giorno ho rotto la finestra di casa.»
«Immagino i tuoi si siano incazzati di brutto.»
«Non con me, si è preso lui la colpa.» il suo sorriso è dolce, lo è sempre quando parla di Akira ma ai tempi lui cosa può saperne che per lei è una specie di supereroe?
Si limita ad annuire, dicendosi che non gli dispiacerebbe sapere com’è andata avanti la storia della finestra rotta -stupendosi poi di averlo davvero pensato-. Sì insomma, magari può chiederle se vuole un the alla macchinetta così può chiederle da quanto fa ginnastica, se è brava, se è impegnata anche se magari non dovrebbe chiederglielo, non così in fretta almeno. Prima forse deve chiederle se è straniera perché lui una così non l’ha mai vista prima d’ora, magari scherzando può dirle che è strano non l’abbia mai notata per i corridoi e lei potrebbe rispondergli qualcosa come «Io invece ti ho notato da un sacco, solo non avevo il coraggio di parlarti» e—Davvero sta pensando ad una puttanata del genere?!
È talmente nervoso e impacciato che quando la vede dargli le spalle, pronta ad andarsene, un senso di sollievo si impossessa di lui ma al contempo è sopraffatto dall’angoscia al pensiero che quella potrebbe essere l’ultima volta che la vedrà o che potranno stare soli.
E allora la ferma.
È un «Ti conviene aspettare, fuori piove» che gli fa salire il cuore in gola e poi c’è stato un «Se vuoi, puoi restare.» che si sarebbe dovuto limitare a quel momento è invece si è protratto, perché cercare il suo sguardo nel cortile della scuola, dopo quel giorno, è quasi diventato un buon motivo per alzarsi la mattina. E salutarla per i corridoi, chiedersi se i capelli vanno bene o sembra un cretino, fare i conti con il batticuore quando gli sorride, domandarsi se i suoi capelli, al tatto, sono morbidi come quelli di sua madre, se, se, se…
Ci sono sempre stati i se, con Shibahime.

«Accidenti, questo è un bel pasticcio...» la sentenza di Kogure, pronunciata con rammarico, dissolve ogni ricordo piombatogli nella mente come un macigno.
Seduto sulla panca, Mitsui stende le lunghe gambe «Già…» guarda la Itou, in piedi davanti alla macchinetta «Hai idea di chi--»
«Tomoko En» lo guarda di sfuggita «Non ha scritto lei l’articolo ma è ovvio che c’è il suo zampino.»
«Le spacco gli occhiali non appena arrivo in classe.»
«No che non lo farai!» Kogure inizia ad agitarsi «E se ti espellono? Non puoi farti espellere, abbiamo i Campionati Nazionali e—No prima dobbiamo battere il Ryonan ma ce la faremo senza il Signor Anzai? E se perdiamo e gli viene un infarto--»
«Kogure, mi stai facendo venire l’ansia!»
«Senza il Signor Anzai? Anzai non verrà?» si interessa la Itou, forse per distrarsi dalla questione “nuova coppia”, porgendo all’occhialuto il suo the.
Hisashi è afflitto «È stato male.» si mette a braccia conserte.
«Oh, mi spiace… E Shiba lo sa?»
«Cosa c’entra Shibahime?!»
«Mah, puoi sempre farti consolare.»
«Ma io non ho bisogno di farmi consolare—Ah, lasciamo perdere!» guarda Kogure, ormai in fibrillazione «E tu respira. O vuoi morire prima della partita?»
«No che non muoio, ma tu non devi combinare stupidaggini!»
«Su, su, stai calmo…» il ragazzo sorride tirato e Nana torna a scegliere un’altra bevanda «Ha ragione: non fare stupidaggini, quella non vede l’ora di vederci crollare. Comportati come al solito, non dargliela vinta.»
Certo, la fa facile lei!
Non è lei quella che sta cercando di riallacciare i rapporti con la sua ex e che quando crede di avercela finalmente fatta, vede tutto crollare per colpa di un’invasata che si diverte a infilare il naso nei cazzacci altrui!
Il silenzio cala sul trio fino a che Kogure non se ne esce fuori con una domanda banalissima che ha però il potere di fargli venire una sincope…
«Shibahime lo sa?»
… Già, Shibahime lo sa?
Mitsui non ha ancora ben chiaro cosa la ragazza provi per lui, se sia andata oltre il rancore o si sia fermata alla linea della tregua solo per sopravvivere a quell’ultimo anno scolastico, certo è che una cosa del genere potrebbe minare quel briciolo di fiducia che magari ha cominciato a riporre in lui. Insomma, venire a scoprire che la sua migliore amica ha una tresca clandestina col suo ex, il tutto sbandierato su di un giornaletto dalle dubbie finalità, non è esattamente una manciata di One Up a suo carico.
«Non lo so.» mormora Nanaka, premendo sul tasto del caffè.
«L’ultima volta che è uscita fuori una cosa del genere, non è finita granché bene…»
Mitsui guarda l’amico, stralunato «L’ultima volta?»
«Addio Campionati Nazionali…»
«Ma no, vedrai che si aggiusterà tutto.»
«Cos’è successo l’ultima volta?!»
«Questa è la volta buona che cambia scuola.»
«Mi dite che cazzo è successo l’ultima volta?!» spolmona guardandoli imbufalito, gettando poi un’occhiataccia ad una coppia di matricole che li fissa parlottando «E voi che cazzo avete da guardare, eh? Vi mangio a cena, vi mangio!»
«Non ricordi che putiferio è saltato fuori quando hanno scoperto che lei e Akira non sono veri fratelli?» butta lì Nanaka con sguardo adombrato.
«Ngh.»
Kogure si gratta il naso «Forse avevi smesso di frequentare le lezioni—Come dire…»
«Eri già nel tuo periodo da cazzone, ecco» Mitsui le rifila un’occhiata torva «Ad ogni modo, hanno messo in giro strane voci su di loro, supportate da foto e da un mucchio di altre scemenze che la En spacciava per verità. Shibahime ha smesso di venire a scuola per un mese o giù di lì. Lei non riesce a reggerle certe cose…» soffia sul bicchierino, fissando davanti a sé.
Mitsui si tira su, fissa Kiminobu con sguardo allucinato «Sicurissimo che non possa farle male?» quell’altro sta per partire con un’altra delle sue crisi isteriche ma, buon’anima, decide di sedarla sul nascere «Che altro dice quella merda?»
È Nanaka a spiattellargli ogni stronzata riportata su quella robaccia «Che siete stati insieme per tre anni fino a che non sei diventato un teppista--»
«Erano quattro anni, quattro!»
«Che vi siete lasciati perché ha scoperto delle tue scappatelle, la parte delle scappatelle è la mia preferita» ci tiene a precisarlo con una strizzatina d’occhio che gli fa salire la bile «E che anche se ti ama ancora, tu hai scelto di metterti con me perché sono migliore e bla bla bla.»
«No, niente bla bla bla, voglio sapere cosa c’è scritto!»
Kogure tossisce «Uno come Hisashi Mitsui non può che volere il meglio anche nell’amore. Perché accontentarsi di un secondo posto come Shibahime Sendoh quando può aspirare ad un primo con l’affascinante Nanaka Itou, campionessa di ginnastica ritmica per due volte di fila ai Campionati Nazionali?»
«Che mucchio di stronzate.»
«Già. Lo sanno tutti che sono campionessa dei Campionati Nazionali da quando sono alle medie» i due la guardano «Beh, che c’è? È vero!»
«Itou, sei vergognosa…»
«Che ci vuoi fare? Sono per l’amore della cronaca.»
«E io per l’amore della mia sanità mentale.»
«Certo… Se solo l’avessi.»
«Brutta--»
«Qui dice che la vostra relazione è cominciata da quando hai abbandonato la vita del teppista per rivotarti al basket, dopo che ti è stata vicina aiutandoti a superare ogni momento buio--» Kogure si schiaffa una mano sul volto «Seriamente, chi mai potrebbe credere a tutto questo?»
Il parlottare che si fa fitto fitto quando la gente passa davanti a loro tre vale forse più delle parole ma Nanaka ci tiene a sottolinearlo con un mite «Direi più o meno tutti.» giusto per fargli girare le palle un pelo di più.
La ragazza si siede al suo fianco con un sospiro «È un bel pasticcio.»
L’odore forte del caffè gli ricorda la cucina di Shibahime, che ne è pregna; a quanto pare i Sendoh si sparano più caffè di quanto possa essercene in una singola piantagione.
Kogure sorride mite «Itou-san, sei la sua migliore amica no? Spiegale come stanno le cose.»
«Mh, ecco--» si gratta il naso.
Mitsui la fissa, allarmato dal suo improvviso irrigidimento «Che?»
«Beh, ecco… Non è che ci siamo granché parlate da quando ci ha visti assieme domenica scorsa» di fronte alle sue sopracciglia arcuate sventola una mano «Ma le parlerò, stai tranquillo. È che quella è così scostante quando ci si mette!»
«Ne so qualcosa…» Mitsui si affloscia, buttando la testa all’indietro.
Kogure si sporge, squadrandoli «Domenica scorsa?»
«Questa qua mi ha braccato all’uscita di casa» la guarda di sbieco «Se non fossi la stronza che sei, comincerei a credere che mi fai il filo.»
Nanaka gli rifila un calcio sul ginocchio buono, facendolo smadonnare «Non farti strane idee.»
A Kogure sfugge una risata strozzata, probabilmente non sa nemmeno lui se mettersi a piangere o prendere tutto alla leggera. Fatto sta che dopo qualche secondo, un preoccupato «Oh, questo non è bene…» fa inquietare gli altri, dapprima persi nei loro pensieri.
«Cosa? Cosa non è bene?»
Kogure si sistema gli occhiali, schiarendosi la gola «C’è da chiedersi se dopo quest’ennesima batosta, Shibahime Sendoh abbandonerà ancora la squadra di ginnastica o si butterà fra le braccia dell’asso del Ryonan, Akira Sendoh--»
«Abbandonare ancora la squadra?»
Gli altri due si lanciano un’occhiata intenditrice, Nanaka alza le spalle «Te l’ho detto che ti sei lasciato dietro un mucchio di casini» e prima che possa chiederle spiegazioni, la campanella dell’inizio delle lezioni trilla sopra le loro teste, seguita dal flautato «Muoviamoci, su.» della Itou che, amichevolmente, gli dà una pacca sulla spalla.
«Vedrete che si sistemerà tutto» è l’incoraggiante commento di Kiminobu che sparisce nella sua sezione «La Sendoh non si farà di certo sopraffare da tutto questo.»
A Mitsui stona più o meno tutto, di quell’accozzaglia di puttanate.
Innanzitutto dare per assodato che tra lui e la schiavista della squadra di ginnastica ci sia qualcosa di romantico è pura follia, così come è da disintegrazione del genere umano pensare che sceglierebbe quella fracassa palle della Itou a Shibahime. Che ok, anche lei ha la strabiliante capacità di fargliele vorticare a elica ma porca vacca, è tutto un altro tipo di cosa!
«Seh, seh…» sbuffa seccato, gettando la borsa dietro la spalla «Immagino che al tuo fidanzato non farà piacere tutto questo.»
La Itou lo guarda di striscio, scuotendo la nuca «Non è in questa scuola e non è il mio fidanzato. E poi il problema qui è Shibahime» ripete apatica «Non voglio nemmeno immaginare come potrebbe prenderla.» si stropiccia il volto con una mano, lasciando intravedere una stanchezza che non è solito vederle addosso.
Per un brevissimo istante è tentato di darle un’amichevole pacca sulla spalla, smosso da una bontà che nemmeno credeva di possedere, ma il parlottare fitto fitto che si sta trascinando dietro gli ricorda che, forse, non è una buona idea lasciarsi andare a certi gesti caritatevoli con lei.
Allora opta per un noncurante «Le parlo io.» che smuove la sua vocina interiore –ma sì, quella che di solito tiene stretta in un angolo puntellandole contro un rametto, intimandole di stare in silenzio- e che smuove pure l’ilarità di quella scema che gli pascola affianco.
«Tu?» sventola una mano «Se le parli tu, come minimo rischi di farla migrare in un altro stato.»
«Grazie per la fiducia!»

 «Oh, stanno litigando…»
«Ma allora è vero, stanno assieme!»
«Perché le strafighe scelgono sempre i teppisti?»
«Strafighe e stronze. Non lo sai? L’ha soffiato a Shibahime Sendoh.»
«Quei due stavano assieme?!»

 
«Beh, scusami se credo che i tuoi metodi da caprone rischieranno di peggiorare le cose!»
«Ma non eri tu quella che voleva che mi ci riavvicinassi?!»
«Sì ma--»

«Già… Ma ho sentito che tra i due Sendoh c’è qualcosa di più.»
«Ma no?!»
«Ti dico di sì! I due non sono mica fratelli! Fidati, quella se la fa con lui.»
«Probabilmente si butterà in qualche droga. Ricordi che casino è esploso tempo fa al club?»
«Credevo avessero smesso di--»

 
«Se non chiudete immediatamente quella bocca giuro che vi stacco le palle a morsi.» il sibilo di Nanaka, pronunciato con un sorriso tutt’altro che affabile, fa ammutolire l’intero corridoio mentre lo sciame di curiosi si disperde veloce.
«Pure la droga.» mormora Mitsui massaggiandosi la cicatrice.
Nana alza le spalle «Una delle tante puttanate della En…» sospira pesante «Senti, scusa per prima…» mormora poco dopo, giocherellando con la lunga treccia.
Mitsui grugnisce, alza le spalle come a dire che non c’è problema.
«Non è che non mi fidi di te…» continua lei con incertezza.
«Certo, aha, come no--»
«Non mi fido di Shiba.» conclude lapidaria, storcendo il naso per il fastidio.
Mitsui sbatacchia le palpebre, non comprendendo appieno i suoi criptici farfugliamenti «Mh. Quindi pensi che lei e suo fratello--»
«Ma non parlo di quello!» lo interrompe brusca, roteando gli enormi occhi blu «Parlo di lei e del fatto che questa storia potrebbe spingervi ancora più lontani. Mi ci gioco i miei stupendi capelli che quella userà questa storia a suo favore.»
Hisashi tralascia il fatto che ogni situazione sia buona per far sì che la Itou si autoelogi e pondera attentamente sulle sue parole, immusonendosi ancora di più. Già, Shiba tende a farle certe stronzate, soprattutto se serve a salvaguardarsi dalla sofferenza.
Il fatto è che lui non vuole spingersi ancora più lontano perché, porca la miseria quanto gli costa ammetterlo, quella continua a non essergli indifferente.
«Io le parlo comunque.» sentenza serio serio ma Nana non fa in tempo a rispondergli perché ormai sono giunti davanti alla loro sezione e la situazione in classe è quanto di più disastroso ci possa essere: Shibahime se ne sta lì, buona buona al proprio banco, attorniata da uno sciame di compagni che hanno pensato bene di credere alle frottole della En -ghignante al proprio banco, quella lurida stronza-, brandendo i giornalini scolastici e riempiendola di domande a cui non fa nemmeno in tempo a rispondere.
«Quindi è vero?»
«Eh…»
«Sei stata davvero con Mitsui?!» è un trillo che perfora le orecchie, a cui le replica con un blando «Beh, sì… Ma è stato tanto tempo fa!» che è un po’ come mettere un’enorme croce rossa sulla loro relazione.
Il chiacchiericcio si ferma quando qualcuno si accorge della loro presenza, bisbigliando cose come «Eccoli assieme.»
«Ma allora è vero!»
Insomma, la fiera della scemenza.
Un coraggioso –o stupido, non saprebbe come definirlo- si avvicina a Nanaka un po’ intimidito «Ahm, Itou-san, ma quindi voi--»
«No. E voi levatevi.» il suo sibilo è gelido, non lo fa nemmeno finire di parlare e la folla si apre come le acque con Mosè.
Qualcun altro punta su di lui, forse desideroso di morire giovane «Mitsui, ma è vero che stavate assieme? Tu e Sendoh-san, intendo…»
«Sì, e allora?» lo pronuncia senza nemmeno pensarci, senza chiedersi se questo potrebbe scatenare chissà quale catastrofe. Del resto le cose stanno già rotolando per i fatti loro, no?
I presenti si zittiscono e per un istante lasciano stare Shibahime, intenta a sfogliare distrattamente il libro di algebra. A quelle parole però si ferma, scrutandolo di sottecchi e lui mica ce la fa a sostenere quel suo sguardo adombrato, conscio che ancora una volta non sa come poterla aiutare.
«E comunque siamo stati insieme quattro anni, non tre» la En arcua un sopracciglio «Se devi scrivere stronzate, almeno fallo bene.» si getta sul banco con l’eleganza di un facocero, grugnendo a tutti quelli che provano a ficcarsi negli affari suoi.
La En ridacchia «Questa è bella!»
La Itou scuote la nuca, nessuno le si avvicina perché potrebbe sbranare chiunque.
Shibahime… Beh, che importanza ha?
Del resto, è stato tanto tempo fa…

 
Nanaka non sente Akira da quattro giorni.
È un pensiero che la coglie alla sprovvista mentre saluta distrattamente un compagno di classe che in fondo un po’ glielo ricorda, forse perché ha il suo stesso sorriso pacione e i capelli antigravitazionali, e si sente tremendamente stronza. Con tutto quel polverone sollevato dall’articolo che la dipinge come l’amante di Mitsui, non dovrebbe neppure preoccuparsi di una cazzata del genere. Il fatto è che ha bisogno di sfogarsi e l’unico modo è infilarsi nei pantaloni del bel giocatore che però si rifiuta di incontrarla.
Da quasi una settimana.
Ho gli allenamenti in vista della partita, è questa la tiritera che gli sta propinando da un po’ e lei, conscia che lo sport viene prima di ogni altra cosa, se ne sta lì buona buona ad aspettare che quel demente si rifaccia avanti perché lo conosce, sa che prima della partita si rifarà vivo perché sopraffatto dal nervosismo.
Entra in palestra con un Diavolo per capello, zittendo con la forza dello sguardo le matricole che la fissano incuriosite.
«Tornate ad allenarvi.» esala severa, scuotendo la nuca per l’esasperazione anche se un leggero tremolio alle labbra rischia di farla scoppiare a ridere proprio nel momento meno opportuno. Quella mattina, arrivata a scuola, un gruppo di primine piagnucolava su quanto fossero disperate perché quel manzo di Hisashi Mitsui si èfidanzato e loro non avevano nemmeno fatto in tempo a dirgli che avevano intenzione di istituire un funclub in suo onore e lei è quasi morta dalle risate perché, santo cielo, davvero quell’idiota è così popolare?
Apre la porta dello spogliatoio, incrociando la figurina minuta di Shibahime che si sta sistemando gli scaldamuscoli.
«Ehi.» le sorride lieve.
«Ehi…» Nana lascia cadere la borsa quando si avvicina all’armadietto «Sei scappata via.»
«Dovevo chiedere una cosa alla coach.»
Dovevi chiederle se puoi abbandonare la squadra?, pensa maligna, dandosi una manata sulla fronte per aver anche solo pensato una cosa del genere ma tutta questa situazione le sta urtando i nervi.
«Niente di grave spero.»
«No no.»
Nana si slaccia la camicetta, portando avanti quella conversazione che ha l’aria di essere morta già in partenza «Certo che il compito di oggi è stato davvero difficile…»
«Già.»
«Come credi sia andato?»
«Mah, boh… Uno schifo, credo» si gratta la nuca «Sai che in algebra faccio pena.» stira le gambe snelle, recuperando l’asciugamano senza aggiungere altro.
Avanza verso la porta e Nanaka capisce che quella va presa di petto, altrimenti rischiano di affogare nel loro patetico silenzio.
«Se hai qualcosa da dire, faresti bene a parlare.»
Shiba sussulta, presa in contropiede «Oggi posso saltare gli allenamenti?» butta lì la prima cosa che le capita con un finto sorriso alla Akira, ma il capitano la fulmina con il suo sguardo tagliente.
«Non parlavo di quello. E comunque scordatelo» Shiba storce il naso e Nana sospira «Parlo di quella cosa del giornale--»
E quando pensa che le cazzate siano terminate per quell’estenuante giornata, ecco che Shibahime se ne esce fuori con quella che può essere considerata la stronzata più grande che la mente umana potrebbe mai partorire…
«Non che io ci creda… Ma se tra te e Mitsui ci fosse qualcosa tu me lo diresti, vero?»
Una grande. Enorme. Gigantesca. Stronzata.
Nanaka sa che non dovrebbe farlo, non nella posizione in cui si trova, eppure scoppia a ridere. Senza ritegno.
Shibahime la fissa con occhi sbatacchianti «Lo trovi così divertente?!»
«No è che—Andiamo, davvero credi che tra me e quello scemo ci sia qualcosa?!»
«Ho detto di no!»
«Non si direbbe.»
Shiba balbetta qualcosa, poi agita le mani «È che io non so cosa pensare! Tu non parli mai di ragazzi. Per quanto ne so, potresti uscire con uno di nascosto e io non ne saprei nulla!»
Nana si sente colta in flagrante ma maschera il tutto con uno sbuffo «Ma che assurdità…»
Shiba si rintana in un abbraccio, accarezzandosi i gomiti «Vedo come andate d’accordo--»
«D’accordo?! Ma se la maggior parte delle volte ci insultiamo!»
«E se tra voi ci fosse qualcosa mi andrebbe bene, cioè no, però--» si inumidisce le labbra, gli occhi le si sono fatti lucidi e Nanaka non ha idea del perché di quel crollo emotivo «Io so bene che tra noi le cose sono quel che sono e che probabilmente non si ripareranno mai--»
«Oh forza, sai bene che quello vuole che le cose si aggiustino!» la interrompe brusca, sbattendo l’asciugamano nell’armadietto.
Shiba scuote la nuca «Non è questo il punto!»
«E allora qual è?»
Shiba si morde l’interno delle guance «Il punto è che saperlo con qualcuna mi fa pensare che in fondo valgo davvero poco perché lui non è mai stato mio fino in fondo…»
E un’illuminazione le fa brillare gli occhi spalancati per la sorpresa, come se fino a quel momento fosse stata cieca e solo ora vedesse la realtà delle cose.
«A te piace ancora…»
«Cosa?!»
La guarda con un mezzo sorriso, sentendosi davvero una stupida per non esserci arrivata prima. O meglio… C’era arrivata ma non completamente.
«Ti piace ancora! Per questo sei arrabbiata!»
«Io non sono arrabbiata!»
«Certo, per questo non mi parli da domenica» Shiba boccheggia e Nana ne approfitta per chiudere una volta per tutte quell’assurda faccenda «Mettiamo le cose in chiaro: tra me e Mitsui non c’è nulla. Domenica eravamo insieme solo perché ci siamo incrociati, nient’altro» porta le mani sui fianchi «E quello che dice la En--»
«Sono tutte stronzate, lo so» le rivolge un sorrisetto «Comunque non mi devi spiegazioni. Non è mica il mio ragazzo.»
«Ma lo è stato…» si sistema le forcine «E hai l’aria di una che vorrebbe lo fosse ancora.»
Shiba storce il naso «Basta con questa storia, ti scongiuro!»
Nana è implacabile, persiste nel romperle le palle come se godesse nel vederla contorcersi dal fastidio «Si può sapere perché sei così spaventata?» glielo chiede con delicatezza, sistemandosi i fuseaux scuri.
Shiba tentenna ma poi si lascia andare con una sincerità disarmante «Perché se quello ributta tutti i suoi sogni poi devo raccoglierglieli io. Cioè, sai quanto ci vuole a rimettere insieme i cocci di qualcun altro?»
«Shiba--»
«Io ci ho già provato, una volta, e non ci sono riuscita.»
«L’amore è anche questo.»
«Beh, forse non ci sono portata.» sentenzia atona, sollevando le spalle come a dirle che non ha altre spiegazioni da darle.
A Nana tutto quello pare familiare, perché è quello che è successo ai suoi genitori quando si sono resi conto che l’amore non è solo respiro che manca e un mondo pitturato di rosa. C’è la sofferenza, la disperazione, le responsabilità raddoppiano, è un gioco che va fatto in due perché altrimenti non ha senso.
Ed è anche il motivo per cui continua a ergere un muro tra lei e Akira.
Scuote la nuca, lasciandosi sfuggire una risatina divertita «Quando vi abbiamo visti in centro, Mitsui credeva che tra te e Akira ci fosse qualcosa.»
«Qualcosa cosa—Oh, ma che schifo! È mio fratello!» porta una mano sullo stomaco «Ma è disgustoso! Ma cosa gli salta in mente?!»
«Si sarà lasciato fregare dal vostro essere così carini assieme.»
«Ma per favore.»
«E credo che questa volta lui sarebbe pronto.»
«Pronto per cosa?»
«Per raccogliere i suoi cocci. E anche i tuoi» la vibrazione del cellulare pone fine a quella conversazione anche se Shiba se ne sta lì a mugugnare fra sé, il che non è mai un buon segno. Nana arcua un sopracciglio quando il nome dell’esemplare di Akira maschio fa capolino sullo schermo con uno striminzito “Stasera sei libera?” e, incontrollato, un sorrisetto spunta sulle labbra piene, suscitando la curiosità di Shibahime.
«Chi è?»
«Mh? Oh, nessuno…» sventola una mano «Solo un amico.» butta lì noncurante, zampettando in palestra seguita da una trotterellante Shiba che non ha capito una fava di niente.


«Verrai a vedere la partita?»
«Mh? No, devo andare in un posto…» Shiba recupera il nastro.
«In un posto.»
«Aha… Vado dalla dottoressa Nakajima.»
«Pensavo avessi smesso.»
«I miei credono che sia la cosa migliore per me.»
«E tu sei d’accordo?»
«Farebbe qualche differenza?»
Nana annuisce, poi inclina il capo «Comunque capirei.»
«Capiresti cosa?»
«Se tu e Akira foste andati a letto qualche volta. Non siete consanguinei, siete--» Shiba si impiglia nel nastro, capitombolando a terra «Oi, tutto a posto?»
«Nana, che schifo!»

 
Shibahime si guarda allo specchio e pensa che i suoi capelli rossi stonino con le tonalità blu e viola del vestito da ginnastica.
È un pensiero stupido tra un’infinità di pensieri stupidi ma pensarci le fa dimenticare che tra due giorni ha una gara importante.
Fa strisciare le mani sui fianchi, porta indentro la pancia già piatta e studia le forme appena accennate del seno, che qualche anno fa era decisamente più abbondante.
Il “toc toc” leggero alla porta la fa sobbalzare: Madoka fa capolino armata di sorriso affabile e un vago accenno di timore, quello che ha sempre quando si intrufola negli affari suoi.
«Disturbo?»
Scuote la nuca «Stavo provando la divisa…» tira i lembi della finissima gonnellina «Questo colore non mi sta bene.»
Ma sua madre la elogia con un amorevole «Sei stupenda.» e per un attimo è come se fosse stato Akira a dirglielo. Hanno lo stesso sorriso, quei due, solare e aperto, come se non avessero nemmeno un pensiero.
«Coi capelli scuri starei meglio.» borbotta in risposta, le guance rosse e la mano che vaga fra i fili rossicci.
Sua madre si appoggia allo stipite «A proposito, perché hai cambiato colore?»
Solleva le spalle «Mi andava.»
«Ti andava.»
«Aha, mi andava di cambiare.»
Le sue labbra si aprono in un bel sorriso «Non è che mi nascondi qualcosa, mh? O qualcuno…» la guarda attraverso lo specchio «Chessò, magari hai conosciuto un bel ragazzo--»
«Non ho conosciuto nessuno.»
Nessuno di nuovo, almeno…
Certamente non può dirle Hisashi Mitsui è rientrato nella sua vita come un maledettissimo ciclone, come minimo le verrebbe una sincope. Se ne salterebbe fuori con cose come «Non devi assolutamente rivederlo! Piuttosto cambi scuola!» e no, non può mica arrivare a quel punto… Decide di tenerselo per sé, del resto non sarebbe il primo segreto che le tace.
«Ma va, figurati. E poi non ho tempo per quelle cose.» sventola una mano, rifilandole un sorrisetto.
«Beh, almeno risparmi a tuo padre un bell’infarto.» e scoppia a ridere, in quel suo modo cristallino che da bambina le sembrava assolutamente fantastico. È stata la sua risata a farla avvicinare a quella donna che voleva troppi abbracci, troppi baci, che restava in camera con lei fino a che non si addormentava.
Come avrebbe potuto restare lontana da tanta bellezza?
«Acchan non c’è?» cambia discorso, così è più semplice frenare il batticuore che le è preso da quando ha pensato che Mitsui non le ha nemmeno detto nulla sui suoi capelli infuocati.
«Tuo fratello è uscito, chissà dove si va ad imboscare ogni volta» soffoca una risata «Secondo papà ha una fidanzata.»
«Acchan?» questa volta è Shiba a lasciarsi sfuggire una risata «Ma se quello pensa solo al basket!»
«Inizia a preoccuparmi questa cosa. Io voglio dei nipotini!» seguita scherzosa, aggregandosi alla sua risata.
Da tempo non c’è una tale leggerezza tra loro, probabilmente i pianeti stanno ruotando al contrario o forse gli alieni stanno per invadere la Terra. A Shibahime però non importa.
È decisa a sfruttare quella situazione a suo vantaggio, svelandole quel segreto che da tempo continua ad accartocciarle il cuore «Mamma, pensavo di smettere con la ginnastica, una volta finiti i campionati.» e glielo confessa con sicurezza, anche se il tremolio alle mani fa intendere il contrario.
Sua madre sbatacchia le palpebre finemente truccate «Cosa?» il suo tono non è brusco ma c’è una nota di irritazione in quel Cosa così stridulo.
«Pensavo di dedicarmi di più allo studio» aggiunge incerta, studiando la sua espressione decisamente troppo seria «Cioè… Non credo che all’università vorrò continuare.»
«Ma… Ma sei così brava.»
«Lo so, ma non credo sia quello che voglio.»
«Oh, andiamo Shiba, che sciocchezza.»
Che sciocchezza, già…
Come ha potuto anche solo pensare di affrontare una discussione così seria proprio con Madoka, l’unica persona sull’intero globo che non la capirebbe ma nemmeno se le desse il libretto di istruzioni?
«Parli così solo perché sei nervosa per la gara imminente.» riprende piano, sorridendole delicata.
Shiba annuisce «Già, forse è per quello…» si infila la tuta, sente l’aria mancarle nei polmoni «Credo andrò a fare un giro.»
«A quest’ora? Ma è tardi…» sua madre tamburella le dita sulle labbra «Vuoi che ti accompagni? Mi sentirei più sicura se--»
«Ho bisogno di stare da sola.» le parole le escono più brusche di come avrebbe voluto perché, davvero, non era così che voleva rivolgersi a lei. E vorrebbe chiederle scusa perché a volte è proprio una ragazzina egoista che dovrebbe decisamente esserle più riconoscente ma non ce la fa, non con lei.
Le sfila di fianco, fiondandosi giù per le scale a rotta di collo, fermandosi sulla soglia solo quando il suo dolce «Comunque coi capelli così stai davvero bene.» la fa sentire  uno schifo.

 
Nana siede sul letto a gambe incrociate, indossa la maglia della squadra di basket del Ryonan.
Con il dito, Akira segue le lettere stampate in nero che riportano B.C. Ryonan High School[1] , vedendola inarcare la schiena ad ogni tocco leggero.
«Smettila, sto studiando.» scosta la mano di Akira, tornando a concentrarsi sulle parole sottolineate con l’evidenziatore giallo.
Ha indosso gli occhiali da vista, una mano le sorregge la guancia e l’altra giocherella con la matita. L’adora in tenuta da insegnante sexy pronta a elargire severe punizioni.
Akira si stende «Non puoi farlo dopo?»
«Lunedì ho un esame» gli scocca un’occhiata torva «E poi è quello che ti meriti per non esserti fatto vedere fino ad oggi.»
Akira sorride, portando le mani giunte davanti al viso «Perdono. Taoka ci ha tenuti tutti i giorni fino a tardi ad allenarci.» e poi l'averla vista con Hisashi Mitsui in centro come una coppia di novelli sposini non gli ha fatto granché piacere. Non l'ha mai vista con un altro ragazzo e il pensiero che Nanaka non sarà mai completamente sua l'ha sfiorato per la prima volta, procurandogli più rabbia di quanto avrebbe creduto. Ha pensato che mettere un po' di distanza gli avrebbe fatto bene, perché si sta infognando troppo in quella relazione che gli fa bene solo quando sono assieme ma che, a ben vedere, gli lascia dentro solo un vuoto incolmabile.
Nana arriccia le labbra «Fa bene. Lo Shohoku è davvero in gamba.»
«Rukawa è in gamba. Akagi lo è.» replica con uno sbadiglio.
«Anche gli altri lo sono.»
«Aha, certo, soprattutto Sakuragi.»
Nana si volta, lo squadra con un sopracciglio arcuato «Cos’è tutta questa sicurezza?» gli tira mollemente una guancia «Mai sottovalutare il nemico.» consiglia con cipiglio severo, ricevendo in cambio un sorrisone enorme.
«Non li sto sottovalutando.»
«Certo.»
«Dico solo che ci siamo allenati tanto.»
«E anche loro. Anche se--» si zittisce, scuotendo la nuca.
«Anche se?»
«Anche se credo che domani saranno un po’ fuori quadro» di fronte alla sua fronte aggrottata, Nana seguita con un sospiro «L’allenatore Anzai è stato male. Senza una figura di riferimento, quelli rischiano di perdersi in un bicchier d’acqua.»
Akira si gratta il naso «Non c’è mica quel tuo amico con gli occhiali? Togura-qualcosa
«Kogure. E a quello rischia di venire un ictus al pensiero che dovrà badare a quella banda di caproni da solo» scivola sul materasso, lasciandosi carezzare i lunghi capelli sciolti «Un po’ ci spero che vincano.»
Akira ghigna «Non è molto carino dirlo davanti al tuo focoso amante.»
«Scemo, va che spero vinciate anche voi.»
«Ma non si può.»
«Già, non si può. Quindi sarò neutra e terrò la finestra aperta, non si sa mai.»
Forse sta peccando di presunzione ma Akira sente dentro di sé di avere la vittoria in tasca, per quanto lo Shohoku abbia fatto dei miglioramenti impressionanti. Insomma, le loro punte sono Rukawa, una matricola che non sa nemmeno cosa sia il gioco di squadra e questo rischia di mandare all’aria tutto, soprattutto se ingaggia una battaglia contro di lui a scapito dei compagni; Akagi ha la caviglia mezza andata, Miyagi ha dalla sua la velocità ma non l’altezza e Mitsui è stato lontano dal campo due anni, la fatica si farà sentire prima ancora che gli altri comincino ad avere il fiato corto.
E poi la loro panchina non è certo rinomata per avere giocatori degni di nota.
«Sai che Shiba era convinta che Mitsui ed io fossimo assieme?» Nana interrompe il flusso dei suoi pensieri, riportandolo fra le lenzuola «Che assurdità.»
Akira rotea gli occhi, evitando di invischiarsi in quel cumulo di irritazione e fastidio che gli fanno vibrare il sangue nelle vene. Ci manca solo che quell’idiota gli porti via Nana; non gli è bastato spezzare il cuore a sua sorella?
«A proposito, che ci facevi con Mitsui?»
«Geloso?»
«Ma va.» certo che lo è ma mica può confessarglielo così a cuore leggero.
Alza le spalle «Lo torturavo un po’.»
«Torturavi.»
«Aha. A quello scemo piace ancora tua sorella ma fa di tutto per non ammetterlo» sghignazza «Io cerco solo di smuovere un po’ le cose.»
«Certo. E perché?»
«Perché mi diverte.»
«Ah.»
«Anche se Shiba ha una paura boia. Crede che Mitsui possa perdersi ancora…»
«Sai mio padre cosa dice? Il lupo perde il pelo…»
Nana ridacchia «Sì, ma lui è diverso. Quando gioca sembra coperto di vita, come se riuscisse a respirare bene solo quando si trova in palestra. Ed è lo stesso sguardo che ha quando la guarda. È bello, no?, quando qualcuno ti guarda così.»
Che poi è un po’ come la guarda lui ma Nana sembra non accorgersene o forse fa così perché, andiamo, è più semplice fingere che tra loro non ci sia nulla. Il sesso disimpegnato è meno pesante da gestire, fino a che uno dei due non si fa prendere troppo dall’altro allora lì sì che è un bel casino e porca miseria, lui c’è cascato in pieno.
La sveglia del cellulare vibra sul comodino, Akira si sporge «Nh, è ora.»
Nana si solleva sui gomiti «In bocca al lupo per domani.»
«Ma come? Mi lasci andare così?» domanda scherzoso, spalmandosi su di lei che, alla sua muta richiesta di un bacio, gli concede solo la guancia lasciandosi andare a una risatina soffocata.
«Domani devi svegliarti presto. Se arrivi tardi, a Taoka è la volta buona che gli esplode il cervello.»
Nana si sfila la maglietta e gliela lancia, ma lui non l’afferra. E’ troppo impegnato ad osservare la linea candida del suo seno chiaro, chiedendosi perché non possa trattenersi un po’ di più e saggiarla ancora.
La sveglia suona ancora ma lui la spegne.
Si allunga verso di lei, le stringe la vita e lascia che le sue braccia esili l’avvolgano per il collo.
Dieci minuti in più non possono mica far male, no?

 
Nel campetto a pochi isolati da casa sua qualcuno sta giocando a basket e lei se ne sta lì, ciondolando fra il mucchio di ricordi che si susseguono ad ogni rimbalzo del pallone.
Si avvicina lenta, come se non potesse fare a meno di lasciarsi cullare da tutto quello.
Shibahime ricorda ancora i pomeriggi spesi a guardare Hisashi, osservando la naturalità dei suoi movimenti, la linea perfetta delle sue braccia tese, l’armoniosità del tiro compiuto senza incertezza alcuna… Le pare di poterlo rivedere mentre compie un tiro perfetto.
«Porco cane!»
Fino a che non si accorge che quello lì non è altri che lui. Con la sua solita finezza e pazienza.
No, no, no non va bene! Deve andare, scappare, fuggire, scomparire! Non può farsi trovare lì!
La palla ha sbattuto contro l’anello ed è rotolata via, schiantandosi contro i suoi piedi che si alzano e abbassano ritmicamente e porca miseria se si accorga della sua presenza è la fine...
«Oh, ciao…» le rivolge un breve sorriso
Ecco, appunto...
«Ehi…» sventola la manina, guardandolo imbarazzata.
«Me la passeresti?»
Shiba annuisce e gliela tira con entrambe le mani. Tamburella le dita sulle cosce, osservando il suo gioco pulito e privo di sbavature «Scarichi lo stress per la partita?» glielo butta lì con un accenno di sorriso.
Scuote la nuca, osservando la palla entrare perfettamente nel canestro «I miei stavano litigando» non accenna ad alcuna spiegazione e Shiba si sente di troppo, fino a che il pallone non entra perfettamente nel canestro e allora le parole escono con fluidità «A quanto pare, aver cambiato vita non è servito a granché.»
«Si arrabbiano ancora con te?»
«Non con me. Con loro.»
«Con loro?»
«All’inizio ce l’hanno con me, poi finiscono per ignorarmi. Continuano a rinfacciarsi cose…»
«Cose.»
«Ma sì, tipo: “E’ colpa tua se si è rovinato!” “Ah, mia?! Se solo tu gli fossi stato vicino non si sarebbe ridotto così!”. Cose così. E allora esco» si rigira il pallone fra le mani «Si direbbe che non è affatto facile riguadagnarmi la fiducia di quelli a cui tengo.»
Shiba non sa se si stia riferendo a lei, anche perché non le ha rivolto nessun’occhiata strana. Continua a darle le spalle e lei non sa esattamente come comportarsi.
Deve tirare fuori la storia del giornalino o deve fare finta di niente? Deve chiedergli se ha una cotta per Nanaka o lasciare che le cose vaghino per i fatti loro?
Shiba non lo sa, certo è che Mitsui non sembra intenzionato a lasciarla andare via perché dopo aver tirato un’altra volta, la scruta con curiosità «Tu che ci fai in giro a quest’ora?»
«Ho litigato con mia madre…» la guarda con un sopracciglio arcuato e lei sventola le mani «Ahm, oddio… Non è che abbiamo proprio litigato» si morde il labbro inferiore «Diciamo che mi ha fatto arrabbiare e allora sono uscita.»
«È per i capelli? O per i voti a scuola? Ci sono» le rivolge un ghigno «È perché sei amica di quel mostro della Itou.»
«Oh, andiamo, Nanaka è adorabile!»
«Come un cane attaccato ai coglioni.»
Le esce uno sbuffo misto a risata «Se la conosci meglio, non puoi fare a meno di lei» confessa con un sorriso delicato, roteando gli occhi di fronte al suo scetticismo «In realtà ho detto a mia madre che mi piacerebbe smettere con la ginnastica.» rivela in un mugugno.
«Immagino non sia andata granché bene» lei apre le braccia, come a dirgli che se si trova in giro a quell’ora in tuta, abbigliamento capace di allontanare qualsiasi potenziale maniaco, non è di certo per amore dell’aria notturna «Ma forse è un bene, no? Significa che ci tiene a te.» Shiba lo guarda seria seria, non pienamente convinta delle sue parole. A volte le sembra che tutto le vada stretto, come se per Madoka fosse brava solo nella ginnastica.
Giocherella con i lacci della tuta, lasciando che il tintinnio delle catene tremolanti del canestro faccia loro da sottofondo. Fino a che Mitsui se ne salta fuori con un pacato «Ci pensi ancora ai tuoi?» che la inchioda al terreno.
Lo guarda appena, colta alla sprovvista da quella domanda così troppo personale eppure le parole si gettano fuori dalle labbra schiuse senza alcuna intenzione di frenarsi «Ogni tanto… Di meno, però» si stringe nelle spalle «A volte mi capita di vederla, mia madre. Quando bevo a canna, quando litigo con Madoka e mi chiudo in camera…»
«E cosa ti dice?»
Alza le spalle «Niente» la guarda oltre la spalla mentre si mette in posa per tirare «Però vederla mi fa star bene» si sfrega le mani, osserva la sua larga schiena leggermente piegata mentre prende fiato «Fa piuttosto freddo questa sera.» cambia argomento sentendosi tremendamente stupida, perché così facendo sa benissimo di star mettendo una distanza che, a lungo andare, diverrà incolmabile.
C’è però che parlare dei suoi continua ad essere la cosa più difficile che possa fare, forse ancora più difficile del parlare della sua storia con Mitsui.
Così si concentra su di lui, perché quello le è sempre venuto facile.
«So che Anzai è stato male...»
«Già.»
«Vuoi…» porta dietro l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita all’alta coda di cavallo «Vuoi parlarne?»
«E che devo dire?»
«Ma non lo so. Come ti senti, ad esempio.»
«Preferirei di no» si gratta la nuca «Insomma, forse è meglio non parlarne no? Magari se non ne parlo le cose restano così e tutto si sistema» farnetica nervoso, mancando il canestro di qualche centimetro; Shiba serra le labbra, sentendosi una stronza come poche per aver tirato fuori un argomento così doloroso solo per non divenire il centro del discorso ma il fiume di parole non sembra volersi arginare «Sono venuto qui solo perché l’allenatore Anzai allenava la squadra.»
Shiba lo guarda di sfuggita, non riesce a reggere la malinconia delle sue parole «Lo so…»
«Se lui dovesse--»
«Ehi, devi stare tranquillo» lo interrompe piano «Sta bene, è fuori pericolo.»
Mitsui recupera la bottiglietta d’acqua, la stringe con forza; l’inconfondibile accartocciamento della plastica le riporta alla mente le tiepide giornate primaverili trascorse al campetto da basket.
Quante mattine ha speso per sostenerlo? Quanti pomeriggi ha sprecato seduta sugli spalti anziché allenarsi col cerchio?
Quante fatiche ha sprecato per raggiungere il suo amore preferendolo alle medaglie, agli allenamenti estenuanti, alla propria vita?
Si rende conto in quel preciso istante di come l’abbia sempre messo al primo posto su tutto e tutti. Lei invece, per lui, era seconda al basket e forse non sarebbe mai riuscita ad avvicinarsi al podio. Davvero divertente per una che di primi posti ne ha vinti a bizzeffe.
«Lo so, ma non posso fare a meno di pensare che se lui--» si massaggia il collo «A volte penso che se non lo avessi rivisto, a quest’ora sarei ancora in giro a far casino--» e lui si deve essere accorto del peso che certe parole lasciano, perché la guarda con un sorriso tremolante «E tu?»
«Io cosa?»
«Non so neppure perché tu sia venuta allo Shohoku.»
Perché ti amavo, razza di caprone!
È un pensiero che sbaraglia tutti gli altri mentre addosso sente ancora quella sgradevole sensazione di secondo posto che l’ha sempre fatta sentire meno di quanto in realtà è. Davvero ha rappresentato così poco, per lui, da non essere nemmeno degna di rientrare tra i vari motivi che l’hanno spinto a riprendere in mano le redini della sua vita sgangherata?
Davvero quell’idiota non ha ancora capito perché ha rinunciato al Kainan, allo Shoyo, al prestigio e alla fama per infilarsi in una scuola di teppisti, facendo infuriare i suoi genitori?
No, Mitsui ne è ignaro e probabilmente non gli è mai passato per la mente che in fondo c’entra anche lui.
Allora alza le spalle «Non è che abbia più molta importanza.»
«Ricordo che il Kainan aveva fatto salti mortali per averti.»
«Sì, beh, non ero interessata…»
Le sorride appena «Chissà dove potresti essere, a quest’ora.»
«Già…» si sfrega le mani «Ce la farete senza di lui?»
«Ma certo. Piuttosto, di’ a tuo fratello di stare in guardia» un ghigno si dipana sul volto sudato «Sarà agitato.»
«Veramente no.»
«Ah.»
«Cioè, non lo so» ridacchia «Prima di una partita sparisce sempre.»
«Sparisce?»
«Esce tutta la notte e torna tardi.»
«Magari esce con i compagni di squadra.»
«Nah.»
«Magari ha una ragazza.»
«Akira?!» le esce una risata fin troppo rumorosa «Akira non ha la ragazza! Perché pensate tutti che abbia una ragazza?!»
«Perché a quasi diciotto anni non puoi pensare solo al basket. Ci sono alcune cose fisiologiche che te lo impediscono.» le scocca un’occhiata ironica ma lei l’accoglie con un rigonfiamento delle guance.
«Rukawa ci riesce benissimo.»
«E infatti quello ha dei problemi» ghigna «Anche se le sue fan sono una peggio dell’altra, forse fa bene a starsene per i fatti suoi» inclina il capo «Andiamo, non puoi rivelarmi qualche loro strategia?»
«Se anche me l’avesse detta, non ci avrei capito nulla.» sventola una mano e lui scuote la nuca, divertito.
«Domani verrai?»
«Ho un impegno» di fronte al suo sospiro, che è simile a quelli che le rifila Nanaka quando dice categoricamente che non metterà più piede a una partita di basket, si affretta ad aggiungere un incerto «Se magari mi libero. Però, boh.» che non lascia speranza alcuna ma che sembra andar bene, anche perché non se la sente di concedergli di più.
Tanto, la sua presenza non farebbe differenza alcuna.
Lo fissa per qualche minuto fino a che l’aria gelida non le ricorda che dovrebbe essere a casa già da qualche minuto, così si alza e si pulisce i pantaloncini.
«Sarà meglio che vada. Buona fortuna per domani» sventola la mano, sentendo il suo sguardo perforarle la schiena «Mitsui?» gli sorride un poco «Ce la farete anche senza il Signor Anzai. Sei--Siete in gamba!»
L'ultima cosa che vede sono i suoi occhi spalancati, enormi, ci si può perdere dentro.
E il suo sorriso.


Sono le 22:13 quando si infila nel vialetto di casa.
In veranda, Akira siede sugli scalini, fissandola con un sorrisetto «Dove sei stata?»
«Da Nanaka.» butta lì veloce, usando la prima scusa pescata dal mucchio. Il suo sorriso traballa un po’, ha una strana luce negli occhi ma non sa dirsi a cosa sia dovuta.
Gli si siede affianco, scrutandolo divertita «Sei agitato per domani?»
Solleva le spalle «No. Adesso non più» le accarezza i capelli «Buona fortuna per domani, con la dottoressa.»
Shiba lo guarda di sfuggita.
Ripensa a Mitsui, ai suoi tiri da tre puliti e che le tarpano sempre il fiato nei polmoni.
Non è lei quella che ha bisogno di fortuna.


Mitsui ha la nausea.
Fissa la panchina del Ryonan sperando che una voragine si apra sotto i loro piedi e li risucchi tutti ma a quanto pare il Diavolo quel giorno ha deciso di prendersi le ferie.
Prende un profondo respiro quando sente il suo nome risuonare nell’altoparlante e quei deficienti dei suoi amici appellarlo con nomignoli che vorrebbe far loro ingoiare. Mitchi… Nemmeno sua madre lo chiama così! Cioè, non più… Ricorda che quando era piccolo quel vezzeggiativo pascolava leggero fra le loro chiacchiere.
Si avvia a centro campo cercando di apparire il più tranquillo possibile, col pensiero rivolto all’allenatore Anzai.
Lancia uno sguardo sugli spalti: di Shiba non c’è traccia.
La partita non è ancora cominciata ma per lui è come aver guadagnato una sconfitta.


Akira non ha la nausea.
Fissa la panchina dello Shohoku, l’adrenalina che gli pompa nelle vene.
È sicuro di farcela, si sono allenati così tanto.
L’allenatore Taoka li motiva, li sprona, ricorda loro tutti i sacrifici che hanno compiuto per arrivare a quel punto e ora che il traguardo è a portata di mano, non possono di certo farselo sfuggire.
Pensa che se dovessero perdere, c’è comunque la finestra di Nana aperta.
Ma, beh… Non è una consolazione.
Non adesso.
 


[1] B.C. Ryonan High School: Maglietta del Ryonan che indossa Sendoh alla fine dell’amichevole con lo Shohoku (cap 48).
 


Buondì ♥
Sì, lo so, sono in ritardo come mio solito ma a mia discolpa posso dire che ho perso del tempo a buttare giù anche i prossimi capitoli, così spero di non perdere le mie solite ere prima di pubblicare.
Qualche appunticino sul capitolo (che è lungo lungo, più del solito):
-So che il primo incontro tra Shiba e Mitsui è già stato descritto ma mi sono resa conto che lo avevo solo accennato quando in realtà mi sarebbe piaciuto da morire descriverlo un po’ più nel dettaglio, così ne ho approfittato;
-Stando al manga/anime, Anzai sta male mentre lo Shohoku siede sugli spalti durante la partita Kainan-Ryonan; per esigenze di trama ho dovuto cambiare un po’ le cose, spero possiate perdonarmi questa piccola licenza poetica.
Infine, alcune parti mi sembrano un po’ troppo veloci ma il mio cervello si è rifiutato di partorire qualcosa di più corposo e conoscendomi, so che col passare del tempo rischierei solo di incasinarmi di più rischiando di non pubblicare affatto. C’è comunque tutto quello che volevo dire/mettere quindi spero che il risultato non sia uno sfacelo!
Ringrazio infinitamente chi continua a leggere questa fanfiction, chi la segue in silenzio e chi l’ha aggiunta da qualche parte. In particolare ringrazio Ice_DP per aver commentato il capitolo scorso; grazie infinite del supporto che mi dai sempre, non immagini nemmeno quanto felice mi rendi ♥
Come al solito invito chiunque abbia voglia/tempo a lasciarmi un commentino, le critiche negative o positive sono sempre ben accette :)

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Life is a box of chocolates: you never know what you're gonna get ***


Le 12.15. La partita è già cominciata da un quarto d’ora.
Shiba scuote la nuca, cerca di concentrarsi su altro.
Lo studio della Dottoressa Nakajima è rosso. Non rosso sangue, è più un rosso pomodoro, che è comunque un colore orribile da scegliere per una parete. Ecco, assomiglia ai capelli di Sakuragi.
Chissà cosa starà combinando quel cretino. Avrà già commesso qualche fallo? Nanaka dice che è un vero spasso quando gioca a basket, non ne imbrocca mezza.
Serra le labbra per non scoppiare a ridere.
Preme le mani sui braccioli della sedia e per un attimo è tentata di alzarsi e correre fuori, buttare lì un frenetico «Oggi proprio non posso c’è una cosa più importante che devo fare!» ma lo scricchiolio della porta la immobilizza sulla sedia di velluto scuro.
La dottoressa le rivolge un sorriso cordiale «Mi perdoni per l’attesa.»
«Ah, no, si figuri…» porta le mani fra le ginocchia, stringendole. Non si sente poi così diversa dalla bambina coi codini che faceva penzolare le corte gambine dalla poltrona.
La donna si siede davanti a lei, incrocia le gambe e vi poggia sopra le mani giunte.
Shibahime lancia un’occhiata all’orologio…
«Allora, mi parli un po’ di lei, Sendoh-san.»
Può dire addio alla partita.

 

Mo Chùisle

Capitolo 12
Life is a box of chocolates: you never know what you're gonna get.

 “Mrs. Wilkinson: Doveva essere una donna speciale tua madre.
Billy: No, era solo la mia mamma.”
                                       -Billy Elliot, Stephen Daldry-

 

Il giorno in cui tutto è cambiato se lo ricorda come se fosse ieri…
E' il sei aprile, due giorni dopo il suo compleanno e ad Adare[1] ha appena smesso di piovere dopo mesi e mesi di pioggia, di quella fine fine che punge la pelle.
Shiba ha sei anni, lunghi capelli ricci che non stanno in ordine e guance paffute di un porpora acceso che risplende sull’incarnato pallido.
Si è svegliata da qualche minuto e stropiccia gli occhietti pesti di sonno con il pugno chiuso, sbadigliando a bocca larga nella disperata ricerca dei suoi genitori.
Fa capolino nel salotto, appese alle pareti ci sono ancora le decorazioni per la piccola festicciola tenuta con degli amichetti, palloncini azzurri e gialli che si sovrappongono in una cascata di stelle filanti colorate. Piccole campanule blu prendono il sole sul davanzale e le tende color panna svolazzano ad ogni passaggio di leggera brezza, disseminando per la stanza quell’odore particolare di erba bagnata.
«Otōsan[2] ?
» lo chiama con voce sottile e quando lo sente rispondere, ciabatta fino all’entrata.
Minuscole gocce di pioggia scendono dal tetto di paglia, infrangendosi sugli scalini in pietra e suo padre se ne sta lì, lo sguardo puntato sui fiori piegati e la sigaretta accesa fra le dita ossute.
Se si concentra può ancora vederle muoversi veloci sulla tastiera del portatile, vagare pigramente fra i capelli di sua madre quando guardavano un film sul divano… Sono particolari stupidi che le si sono incastrati nella mente e ogni tanto tornano a farle compagnia, quando pensa che vorrebbe essere lontana lontana, senza più preoccupazioni.
Osserva la sua schiena ricurva come i fili d’erba piegati dal vento e si avvicina con un sorriso smagliante. Striscia i piedi troppo piccoli per quelle ciabatte a forma di gatto e trascina il suo coniglio di pezza tenendolo per una zampetta, stringendoselo contro il petto quando si sporge per vedere il suo viso.
«Otōsan!» lo richiama allegra, mostrandogli un sorriso sdentato. Suo padre si ridesta, le sorride impigrito e torna a guardare davanti a sé «Mamma dov’è?»
«In camera con il dottore. Non sta bene.» è tutto quello che le dice prima di tornare a fumare.
È solcato da una stanchezza che non gli ha mai visto ma Shiba non ci fa caso.
A quell’età non fa caso a molte cose.
Ad esempio, anche lei la settimana prima ha avuto il raffreddore perché gliel’ha attaccato Dolly, la figlia dei vicini; basta stare a letto sotto le coperte, prendere del the caldo e tutto passa.
Zampetta fino in camera e la prima cosa che vede è la larga schiena del dottore paffuto; ricorda che di nascosto le regalava sempre le caramelle al miele quando andavano nel suo studio.
«Ciao Shiba.» sua madre sorride stanca, un po’ a lei e un po’ al dottore che traffica con la valigetta; le mormora qualcosa ma lei è troppo distante per capirli e ha la vaga sensazione che comunque non comprenderebbe metà delle sue parole.
Sa solo che sua mamma non è più la donna energica che insegnava danza nella palestra vicino alla scuola o quella che ballava con lei le domeniche pomeriggio in salotto, mentre in tv davano vecchi film.
Abigail Lynch aveva corti capelli rosso fuoco, un cespuglio di fitti ricci che incorniciavano un volto ovale ricoperto da una miriade di lentiggini.
Lavorava al Lena’s e il suo sorriso era pura calamita per gli avventori.
Suo padre ha detto che quando l’ha incontrata ha sentito l’elettricità scorrergli in corpo, la stessa che si prova poco prima che piova o allo scocco di un bacio.
Era abbagliante come il sole e lucente come le lanterne che svolazzano nel cielo scuro alla Festa delle Lanterne.
Il medico le scompiglia i capelli nel passarle di fianco, sorridendole un poco «Come ci siamo fatte grandi» ma Shiba si limita a stringere le labbra, imbarazzata da tutte quelle attenzioni «Tutta suo padre!» esplode in una fragorosa risata.
Sua madre gli si accoda, anche se in maniera più lieve e intervallata da colpi di tosse «Per fortuna non ha preso la mia esuberanza.»
«Fosse come te, a quest’ora starebbe picchiando qualche ragazzino al parco» le rivolge un’altra occhiata «Fai la brava, mh. Noi ci vediamo domani, Abby.»
«Aha.»
Il lieve chiudersi della porta fa calare un drappo di silenzio che Shiba ha il timore di strappare, mentre osserva la figurina emaciata di sua mamma.
I ricci rossi sono un ricordo lontano coperto da un foulard blu che richiama le onde del mare in tempesta e il suo sorriso ha lo stesso bagliore del sole che si corica dietro le alte montagne Mourne[3] quando la notte giunge, accompagnata dal freddo.
«Mháthair[4] , non stai bene?» si arrampica sul letto «Hai il raffreddore?»
Sua madre si solleva, se l’avvicina e le scocca un sonoro bacio sulla fronte. Può ancora avvertire le sue labbra tremule sulla pelle fresca e come sembravano di carta pesta tanto erano screpolate.
«Sto morendo, Shiba-chan.»
Sua madre ha sempre avuto la sfrontatezza di dire le cose senza edulcorarle, pregio che non le ha trasmesso fra il mucchio di peculiarità tutte sue. Di lei ha solo i capelli folti e di un colore troppo improponibile per una giapponese, tratti delicati e orecchie un po’ appuntite ma quell’ombrosità nel carattere è tutta di suo padre.
«E perché?»
«Perché succede a tutti, prima o poi» le ha sorriso stanca, ha preso un riccio fra i capelli e ha cominciato a rigirarselo fra le dita «Lo sai che sei nata in un giorno di pioggia? Pioveva così da quattro mesi: prima forte forte poi sempre più piano. Ma quando sei nata tu è come se fosse spuntato il sole.»
Sua madre aveva un modo tutto suo di dirle le cose, facendola sentire la creatura più meravigliosa che mai avesse vagato sulla terra e se avesse saputo che tutto quello prima o poi sarebbe finito, di sicuro non avrebbe sparato uno stupidissimo «Muori ma poi torni, no?»
Avrebbe dovuto capire che qualcosa non andava perché per la prima volta, Abygail si è limitata a scuotere la nuca senza darle risposta alcuna, tenendosela stretta stretta a sé.
«Stai tanto vicina a papà, ne avrà bisogno. E non bere a canna, pettinati i capelli prima di andare a dormire…» si è voltata verso di lei e l’ha trovata in lacrime «Mi mancherai, Mo Chùisle.»
Ha preso il cancro ed è morta un sabato mattina.
Suo padre da quel momento ha parlato sempre meno, ha messo in vendita la casa in pietra e ha chiesto il trasferimento nel suo paese natale, un posto sperduto in Giappone di cui a malapena si ricorda il nome. Ricorda il via vai di persona che aiutavano a portar via mobili e scatoloni mentre lei se ne stava seduta sulle scale, chiedendosi perché non potevano restarsene ad Adare.
Suo padre le ha detto qualcosa come «Qui piove sempre, non mi piace neanche un po’.» ma Shiba ha capito troppo tardi che la pioggia non c’entrava. Semplicemente ci sono volte in cui i ricordi schiacciano così tanto che relegarli in un angolo non basta, bisogna andarsene ed è quello che ha fatto lui qualche mese dopo, lasciandola davanti al cancello della scuola.

Ma lei è piccola, un po’ stupida e pensa solo che a scuola comprende la metà delle cose che le dicono i compagni, se gliele dicono. Metà del tempo lo trascorre da sola a sentirsi urlare contro cose, l’altra metà lo passa a piangere chiusa in bagno perché i bambini la prendono in giro, le tirano i capelli e le danno della tipa strana.
«Fai la brava con le maestre, tratta bene i tuoi compagni» le ha scompigliato i capelli di fronte al suo broncio «Ti voglio bene.» ha aggiunto prima di andarsene e avrebbe dovuto capire che non sarebbe mai più tornato, perché una cosa del genere non gliel’ha mai detta dacché è nata...
«E poi mi hanno adottata i Sendoh.» aggiunge in un soffio.
Solleva le spalle, serra le labbra e guarda la dottoressa, che non l’ha interrotta nemmeno per un secondo.
«E come si trova, adesso?»
Si ridesta, ricordandosi di essere seduta su di una poltrona in uno studio rosso e non nel lettone di casa sua in Irlanda, con la pioggia che si infrange senza sosta sulle finestre «Mh, sì, bene… Cioè, dovrei essere loro grata per avermi scelta
«Ma…?»
Già, ma? Shiba non sa bene cosa rispondere, anche se un mucchio di parole le gironzolano in testa, frenetiche e inafferrabili. Dovrebbe dirle che li adora per averle dato un tetto decente sulla testa ma che spesso si sente soffocare, perché Madoka è apprensiva e la vorrebbe più come suo figlio, che è splendido splendente ma lei mica può diventare come Akira. E lo adora, Akira, lo ama il suo Acchan tutto sorrisi e risate, di quelle che rimbombano per tutta casa e che si sentono perfino se ti trovi dall’altra parte del mondo ma pensa che qualcosa si sia rotto tra loro perché a volte la guarda in modo strano, come se preferisse non averla mai scelta in mezzo alla miriade di bambini urlanti.
Shiba boccheggia, sta per dirle qualcosa anche se ancora non sa bene cosa ma la dottoressa guarda l’orologio «È ora. Direi che per oggi può bastare» le rivolge un fugace sorriso prima di ripararsi dietro la scrivania, fra le scartoffie «Mi farebbe piacere se potessimo rivederci. Facciamo settimana prossima?»
È tentata di dirle di no, perché reputa tutto quello uno spreco di tempo e soldi ma pensa che se dicesse di no per davvero, poi litigherebbe con Madoka e non ha proprio voglia; arriverebbe dunque suo padre, che con una scusa qualsiasi si infilerebbe nel suo santuario per difendere l’amore della sua vita, facendola sentire orribile e quella sensazione che le si attacca fin dentro le ossa e non se ne va più, è decisamente troppo da sopportare.
Allora annuisce, stiracchiando le labbra quando prende il foglietto con su scritto data e ora del prossimo appuntamento.
Si è dimenticata tutto di quello che le ha detto la dottoressa Nakajima nei primi cinque minuti di incontro ma un cosa le è rimasta impressa, mentre gira la maniglia per filarsela via: quel «Sendoh-san, c’è ancora molto da lavorare ma vedrà che ne usciremo fuori.» che l’ha fatta sentire nel posto giusto, nonostante la consapevolezza che qualche stazione di bus più in là, un paio di persone hanno forse atteso la sua venuta.

Quando apre le porte dello stadio, Shiba viene accolta da un boato che fa tremare il pavimento.
Si lascia trasportare dal vociare, ritrovandosi sugli spalti in alto che si gettano sul campo e alzando lo sguardo verso il tabellone, capisce di essere arrivata troppo tardi: Shohoku 70 - Ryonan 66; deglutisce al pensiero di aver sorriso ed esultato interiormente quando ha notato che la sua scuola ha vinto con uno stacco di 4 punti.
Nota che fra le teste calde della squadra non c’è Mitsui. Magari lo hanno sostituito. O magari lo hanno espulso perché ha attacco briga con qualcuno.
Nella folla che affluisce verso le uscite scorge l’esile sagoma di Nanaka, attorniata dalle sue pargole del club di ginnastica.
«Nana!» la chiama a gran voce, sbracciandosi.
La ragazza sussulta e dopo un istante di titubanza si avvicina «Alla fine sei venuta.» ghigna sorniona.
«Sì, ma tanto è già finita.»
«Ma è già qualcosa, non trovi?» le scompiglia i capelli «Com’è andata dalla dottoressa?»
Alza le spalle «Bene.»
Nana la scruta ma non si addentra nel discorso. Poi brilla, come se avesse appena vinto alla lotteria «Comunque Mitsui è svenuto in campo! Non è fantastico?!»
«Vedo che la cosa ti sconvolge.»
«Dovresti esserne felice anche tu.»
«Andiamo! Non sono mica così stronza!»
L’altra arcua un sopracciglio prima di scuoterla per le spalle «Ma che hai capito?! Intendevo che adesso puoi consolarlo.»
Guance imporporate, Shiba volge il viso verso la squadra che sta festeggiando in campo e il suo pensiero vola a suo fratello, immobile fra i compagni piangenti.
Akira c’ha speso così tanta fatica per quella partita e in soli quaranta minuti si è visto portar via uno di quei pochi sogni che tiene ben chiuso nel cassetto sin da quando è un bambino troppo alto per la sua età, coi capelli più corti e le felpe troppo larghe.
«Tuo fratello è stato bravo» Nana sorride lieve, lo sguardo puntato sul campo che si sta svuotando dopo gli ultimi festeggiamenti, poi si stringe nelle spalle «Credo andranno a festeggiare. Puoi unirti all’armata Sakuragi, se ti va. Così mi controlli le mie piccole.» lancia un’occhiata rassegnata alle beniamine del club di ginnastica, fin troppo ciarliere con quegli attaccabrighe degli amici di Hanamichi.
«Tu non vieni?»
«Nah, ho cose più importanti da fare.»
E prima che possa chiederle quali faccende siano più importanti di una serata di bagordi, si ritrova ad osservare la schiena stretta dell’amica che tenta di infilarsi nella marmaglia di gente.
«Ma, ehi! Non mi va di andare se non ci sei!»
«Te la caverai! Ricordati di controllarle! Domani abbiamo l’ultima gara, non voglio si ubriachino come l’ultima volta!»
Shiba si alza sulle punte, cercando la sua lunga treccia «Si può sapere cos’hai da fare?!»
«Devo chiudere la finestra! L’ho lasciata aperta!»
Shiba non capisce.
Non può tornare dopo che l’ha chiusa?

 
Una volta fuori dal palazzetto, Shiba si guarda attorno alla disperata ricerca di suo fratello, fino a che lo scorge, coi capelli bagnati e piatti.
«Acchan! Acchan!»
Lo chiama a gran voce ma Akira non si ferma, fugge come una scheggia.
«Senpai, andiamo?» Ume la tira per una manica.
Annuisce ma forse non dovrebbe essere lì con loro, a festeggiare. Con Mitsui che la guarda con un leggero sorriso.
Forse dovrebbe essere con Akira.
Ma tanto sa che non andrà a casa.

Nanaka entra in casa di filato, dimenticandosi di togliersi le scarpe una volta che si è chiusa la porta alle spalle.
«Nana, sei tu?» la voce di sua madre la fa sobbalzare.
«Sì…» si avvicina al salotto, facendo capolino «Credevo che oggi avessi una riunione.» osserva le sue mani ben smaltate di scuro pescare qualche carta dal mazzo di tarocchi, sparpagliandole sul tavolo.
«Il capo ha avuto un contrattempo, l’hanno spostata a lunedì» si massaggia la fronte, scompigliandosi la frangia scura «A proposito, credo che Spock abbia fatto cadere qualcosa in camera tua.»
«Ah…»
«Ho sentito un tonfo prima.»
Ringrazia che sua madre sia troppo presa da altro per concedersi il beneficio del dubbio, tipo che un ladro a quest’ora potrebbe star rubando gioielli a paccottiglie al piano di sopra, prima di sgozzarla sul divano blu su cui è seduta.
«Quel gatto va addomestico, l’altro giorno ha rotto il vaso della nonna.»
«Tanto era orribile.»
«Lo so, ma me l’ero lasciata per questa riunione, nel caso fosse un fiasco colossale.» esala sarcastica, facendola sorridere. Sua madre ha solo quarant’anni ma tutta accartocciata sul divano, con indosso un maglione sgualcito e i capelli legati alla bene e meglio, dimostra il doppio della sua età. Non è sempre stata così. Un tempo rideva di più e urlava di meno, la baciava prima di andare a dormire e veniva a vedere le sue partite.
Poi papà ha assunto una nuova segretaria e tutto è precipitato.
«Vado di sopra a riposarmi. Domani ho la partita.»
«Magari passo a vederti.» torna a concentrarsi sulle carte e Nana annuisce, conscia che tanto non si presenterà.
Zampetta di sopra, il cuore le sale in gola per l’ansia e quando apre la porta, precipita sul fondo della stomaco con un tonfo sordo, quasi fosse stato in sospensione per tutto quel tempo.
«Dovresti sempre chiuderla la finestra. Può capitare che entri brutta gente in casa…» ma lei non risponde, continuando a fissare i cocci sparpagliati del vaso di fiori che una volta se ne stava sul davanzale «Scusami, non ho fatto in tempo a salvarlo.»
«Non fa niente…»
Nana getta le chiavi di casa sulla scrivania, fa scivolare la borsa lungo la spalla e quando anche la giacca è stata sfilata, si concentra su quella meraviglia di Akira che siede sul suo letto.
Beh… Sedere, nh, diciamo che è sdraiato, ecco. E legge una rivista di moda.
«Lo sapevi che il colore di quest’anno è il viola?» la guarda in faccia con un sorriso bonario «Ti starebbe bene come colore.»
«Il viola mi fa schifo.»
«Lo so… Ma ti starebbe bene.» ripete, tornando a concentrarsi sulla modella della pagina # 58.
Nana sospira pesantemente, ha un macigno a livello dello stomaco che si è posato da quando ha messo piede nel palazzetto. Sente che dovrebbe dire qualcosa, ma il silenzio che l’altro le regala le impedisce di formulare qualsivoglia frase.
E’ pietrificata, ha il timore che qualsiasi parola sbagliata porterebbe a una guerra di dimensioni apocalittiche, di quelle che nemmeno Buddha potrebbe scongiurare.
«Oi, fai come se fossi a casa tua.» l’apostrofa con ironia e Nana si ridesta.
Si scolla dalla porta chiusa a chiave e si siede sul bordo del letto, osservandolo in tutta la sua lunghezza: i suoi piedi sbordano, è troppo piccolo per lui; solo adesso capisce perché, quelle rare volte in cui è rimasto perché troppo tardi, si è rannicchiato tanto da costringerla a dormire in un minuscolo spazio vitale.
Indossa la divisa sportiva della scuola, la giacca è piegata con cura sulla spalliera della sedia mentre le Nike sono posate sotto la finestra aperta da cui entra una leggera brezza.
Si avvicina, poggiando un ginocchio sul materasso «Avresti dovuto asciugarti i capelli. Rischi di prenderti un malanno.» allunga una mano per carezzarglieli, ma si blocca quando nota il suo sguardo.
E’… Distaccato.
Non è l’Akira Sendoh che si intrufola in camera sua per sfogarsi con del sano sesso per la partita andata male. Questo è l’Akira Sendoh che si intrufola in camera sua in cerca di non sa bene cosa, ma qualunque cosa sia lei non crede di potergliela dare.
«Tanto non ho partite importanti da giocare, per il momento.» replica asciutto, tornando a sfogliare le pagine patinate.
Nana porta la mano tesa sopra l’altra, giocherella con le dita e con il braccialetto dell’amicizia che quella scemotta di Shiba le ha comprato in vacanza tanto tempo fa, quando girovagare ubriaca per il mercato notturno le era parsa una buona idea.
«Sì, ecco… Mh, al riguardo--»
«Se dici “Mi dispiace” rompo tutti i tuoi trofei.»
«Ma se non lo dicessi, non saprei come cominciare a parlarti--»
«E allora non farlo!» la sua voce si alza, la rivista è ormai riversa a terra in mezzo ad un mucchio di altre riviste. Nana vorrebbe defenestrarlo ma la voce del ragazzo si placa, come se la tempesta fosse già passata «Non farlo, non—Non è che ne ho bisogno. Insomma, è solo basket, no? Non è mica la fine del mondo, no? Ci saranno altre partite, mica dobbiamo morire. Non è che i miei mi hanno promesso di tornare solo se avessi vinto, domani saranno comunque qui e io dirò loro che ho perso e loro mi diranno che così è la vita. Che—Sì, com’è quella cosa che dici sempre tu a Shiba?»
«Che la vita è una salita ma il panorama in cima è fantastico?»
«Sì, quella cosa lì!» si mette a sedere «E’ tutto così. E’ solo una partita…»
«Già…» Nana si siede, dandogli le spalle. Distende le braccia, lascia che le mani scivolino sul ruvido tessuto delle coperte a fiori. Fa dondolare i piedi, ancora sopraffatta dallo sfogo mal riuscito del ragazzo.
Non è da Akira alzare la voce, non è da Akira piombare in casa sua solo per parlare… Non è da Akira stringere una delle sue mani con la propria, non quando sembra che tra loro sia calato un velo di intimità troppo profondo da poter sfilare.
«Non hai mai la sensazione di star deludendo qualcuno, quando le cose non vanno?»
«Ad esempio?»
«La squadra. La squadra contava su di me e alla fine abbiamo perso» lo guarda oltre la spalla, i suoi occhi blu risplendono di una luce strana «Mi sono sentito così sotto pressione, dover trascinare tutti anche quando ormai non c’era più nulla da fare. Mi chiedo a che cosa siano valsi tutti i pomeriggi spesi ad allenarmi.»
«Parli così perché avete perso.»
«È che mi fa così incazzare che tutto dipenda da me e--»
«E se gli altri fossero un po’ più bravi, probabilmente a quest’ora avreste vinto.»
«No è che--» i piedi strisciano sul letto, le sue parole si fanno più pesanti mentre si sistema sul cuscino «A volte lo penso, che gli altri non siano abbastanza e mi sento uno schifo, perché se siamo arrivati qui è anche grazie e a loro… La verità è che ho sottovalutato l’avversario. Mi sono concentrato solo su Rukawa e non mi sono accorto che lo Shohoku è pieno di elementi validi» Nana annuisce, fissandosi i piedi che vanno su e giù fino a che Akira non cambia argomento, allora è costretto a guardarlo «Lo porti ancora?» giocherella con il braccialetto «Credo che Shiba il suo l’abbia perso.»
«Se la testa di tua sorella non fosse attaccata al collo, perderebbe pure quella.» esala con tono divertito.
«Ricordi quando siamo andati a Jodogahama[5] con i miei?» la voce di Akira le pare distante, quasi stesse cercando di acciuffare un pensiero perduto da tempo.
«Aha…» e come fa a dimenticarselo? In quella vacanza le ha rubato il loro primo bacio uscendosene fuori con un divertito quanto spiazzante «Non sai da quanto volevo farlo!» «Ho dovuto pulire casa una settimana per convincere mamma a farmi venire.» ricorda con un sorriso nostalgico.
«E Takashi ti aveva chiesto di fargli da schiavetta per guadagnare qualcosa in più.»
«E alla fine non mi ha nemmeno dato tutti i soldi!» scoppia a ridere, tappandosi la bocca quando sente la voce di sua madre risuonare nel corridoio, probabilmente immersa in una qualche chiacchierata di lavoro con un collega.
Solo quando la sua voce si fa distante, Akira torna a parlare «Dovremmo riandarci… Al mare.»
«Già.»
«Solo io e te. Senza Shiba. Senza i miei» Nana si sdraia, lasciandosi avvolgere per la vita, il suo respiro calmo sulla schiena «Potremmo uscire senza doverci nascondere.»
«Mhmh.»
«Inventiamo una scusa e ce ne andiamo.» ripete piano, nascondendo uno sbadiglio fra i suoi capelli.
Nana osserva le loro mani intrecciate «Ti va di farlo?» glielo chiede senza pensare, tanto il cervello non collabora.
Akira se ne sta in silenzio, scuote la nuca e un placido «Non mi va. Sono stanco.» si insinua nella calma apparente calata sulle loro nuche.
Nana osserva le loro mani, distoglie lo sguardo ma inevitabilmente quello torna a posarsi su di loro.
Pensa che le loro dita incastrate con tanta naturalezza, non sono così male…
«Mi sarebbe piaciuto andare ai Campionati Nazionali.»
«Ci andrai presto. Sei tra i Best five, no?»
«Già… Nana…?»
«Mh?»
«Dovremmo stare così un po' più spesso…»
E neanche tutto quello è poi così male.

 
«Murosaki, scendi da lì!» Kogure starnazza con apprensione, mentre cerca di salvare la stellina del club di ginnastica da morte certa. Sta mostrando le proprie abilità di ginnasta utilizzando dei coltelli come clavette, il che non sarebbe esattamente un problema se non fosse che quello scemo di Sakuragi sta cercando di imitarla, proclamandosi genio perfino in quella disciplina.
«Guarda come te lo prendo al volo!»
Miyagi, alla non numerabile birra, fa ciondolare il capo «Hanamichi, così rischi di infilzarti un occhio.»
«Magari è la volta buona che ci libera della sua idiozia.» è l’adorabile commento che proviene da un Rukawa più di là che di qua, spalmato contro uno Yasuda terrorizzato di venir colpito.
Ayako si copre il volto con una mano, imbarazzata «Possibile che quei caproni debbano sempre dare spettacolo?»
«La mia Ayakuccia ha ragione!»
«Ti stai sbrodolando la birra sul pacco, tappo.»
«Cosa—Ma dove cazzo guardi, teppista?!» i due cominciano a bisticciare e se non si pestano è solo per buona pace di quel santone dell’occhialuto, che ha già perso sette vite nel vano tentativo di sedare risse cominciate a pranzo e non ancora conclusesi in quel baretto sperduto chissà dove.
«Concludiamo la serata in bellezza!» ha urlato qualcuno nelle retrovie, mentre decidevano dove finire quel loro vagabondaggio e quando uno dell’armata ha aggiunto «Conosco un localino carino a pochi isolati da qui! Sarà divertente!» avrebbero dovuto capirlo che localino carino, nella bocca di uno di quei bifolchi, significava manco a Caracas ci sono inferni del genere.
«Fuji-chan, scendi!» Ume cerca di fermarla ma quando le sue grida vanno a vuoto, la ragazzina si volta verso una Shiba con la vitalità di un condannato a morte «Se si spacca qualcosa, Itou senpai ci uccide» mormora la Watanabe in crisi «Ah, ma la senpai non ci raggiunge?»
«Ha detto che doveva chiudere la finestra.» spiattella la Sendoh con scazzo, mangiandosi una manciata di noccioline.
«La finestra…»
«Ma sì, ma che ne so» sbrodola uggiosa «Senti, vado a prendere un po’ d’aria. Qui si muore.»
«Mh, vuole un po’ di compagnia senpai?»
«No, no, preferisco che mi controlli Fujiko-chan» lancia un’occhiata sconsolata alla ragazzina «Nana non deve sapere che si è ubriacata, eh.»
L’altra porta una mano sulla fronte «Sarò muta come un pesce—Fujiko, no!» si catapulta verso l’amica, impegnata a lasciarsi abbordare da uno che potrebbe essere suo padre.
Shiba scuote la nuca, lasciandosi carezzare dalla brezza fresca della sera che le scompiglia i lunghi capelli.
Si chiede come sta Akira, un pensiero fugace che viene sbalzato via non appena la portafinestra si apre. Guarda oltre la spalla, incrociando lo sguardo un po’ annebbiato di quello scemo di Mitsui che si deve essere scolato almeno quattro birre. Non si sono rivolti che mezza parola nell’arco di tutta la giornata e Shiba non sa se essergliene grata o delusa.
Non sa più niente, ormai.
«Ehi, la Murosaki sta dando spettacolo. Non vieni dentro?»
«Sì, tra poco arrivo» Shiba si mette a braccia conserte, spera che con quell’atteggiamento scostante il ragazzo si defili ma i minuti passano e, di sottecchi, può ancora scorgere la sua sagoma incollata al muro «Oi, ho detto che arrivo.»
«E chi ti sta aspettando? Che due coglioni, nemmeno sul balcone posso starmene in santa pace.» sbuffa scazzato, tracannando la Asahi[6].
Shiba trasalisce, per un istante le sembra di rivedere il teppista dai capelli lunghi che sbraitava per ogni quisquiglia, che le scaraventava contro il proprio malumore costringendola a subire senza fiatare.
Puoi anche andartene…
Poggia la nuca contro il muro. Porca vacca, si sta comportando esattamente come lui. Capisce perché la tratti come una povera imbecille, fa soltanto bene!
Lo scruta con la coda dell’occhio e il cuore perde più di un battito. Li lascia scappare, tanto non può riafferrarli quando si tratta di lui, non c’è mai riuscita.
È serio, il suo profilo è talmente rigido da strapparle un sorriso colmo d’amarezza. Quando la smetteranno di comportarsi come due ragazzini? E soprattutto, quando la smetterà di vederlo come il cretino che ha mandato all’aria tutto solo perché incapace di saziare il proprio ego?
Si passa le mani sul volto, gli occhi le pizzicano eppure nessuna lacrima si versa sulle guance rosse.
E’ troppo stanca per tutto, ormai.
«Perdonami, sono solo stanca. E nervosa. Tutto qui.» fa fatica a pronunciare quel gomitolo di parole, perfino Mitsui sembra incapace di digerirle.
«Ovvio che sei nervosa, non mangi un cazzo.»
Shiba non sa se restare colpita per la delicatezza con cui infarcisce ogni singolo discorso o se per il suo comprenderla nonostante gli anni passati. Si avvale della facoltà di non pensare che tanto ne uscirebbe fuori solo con un bel mal di testa.
«Qualcosina l’ho mangiata.»
«Un paio di stuzzichini, tre patatine--»
«Che fai?! Conti quello che mangio?!»
«Quello che non mangi, vorrai dire…» sospira «Senti, non sono affari miei--»
«Ecco, appunto!»
«Ma non credi di star degenerando?» Shibahime lo guarda ad occhi larghi, sorpresa per la sua scelta di parole. Vorrebbe correggerlo con un saccente «Esagerando, si dice esagerando!» ma quel degenerando buttato lì le lascia un senso di calore addosso che non riesce a scrollarsi neppure quando la brezza notturna le scompiglia i lunghi capelli.
È come se avesse superato il limite da un pezzo e tutto stesse sfuggendo al suo controllo. Ha affrontato quell’argomento un mucchio di volte, le domande sembrano non esaurirsi mai e quando crede che tutto stia tornando al proprio posto, c’è sempre qualcosa che sposta ogni tassello.
Mitsui non aggiunge altro, finisce di bere la sua birra e apre la portafinestra che getta sul salone gremito di gente.
La musica dapprima ovattata si fa più presente ed è forse per quello che gli parla con assoluta tranquillità «Tu giochi a basket quando le cose non vanno.» quasi si aspettasse di non venire udita, di saperlo già dentro.
«Eh?» ma la sua voce la raggiunge carica di confusione e Shiba capisce di essere in trappola.
Deglutisce «Quando litighi con i tuoi o prendi un brutto voto o la terapia non va, tu giochi a basket. Lì, nel campetto vicino alla spiaggia. È sempre stato così.»
«Almeno io mangio.» replica piccato, quasi si sentisse in colpa per essere stato psicanalizzato in maniera così superficiale.
Shiba però ride, si trattiene dallo scagliargli contro la panca su cui si è appena lasciata cadere «Voglio solo dire che ognuno reagisce come può» sembra chetarsi e lei prosegue «Akira non torna a casa quando perde, Nana spacca il soggiorno quando le gare non vanno… Io non mangio.»
Mitsui si gratta la testa, non ha l’aria molto sveglia «E non sarebbe meglio se anche tu spaccassi il soggiorno?»
«Seh, così poi mamma spacca me» fa dondolare i piedi, stringe le dita intorno al bordo «E poi non ho abbastanza cose da spaccare, in casa.»
«Le cose vanno così male?»
«Non vanno.»
«Non vanno… In che senso?»
«Non vanno… E basta. Quando le cose non vanno non è che vadano in qualche modo!»
Mitsui aggrotta le sopracciglia, fa per dirle qualcosa ma si blocca per poi uscirsene con uno scettico «… Sei ubriaca, vero?» che per poco non le fa cadere la mascella in terra.
Shiba fa ciondolare la nuca «E’ la stessa cosa che mi ha chiesto mio padre quando ho lasciato la squadra, anni fa.»
«Perché l’hai fatto?» butta giù un sorso di birra.
Shiba non si aspetta una domanda del genere, non posta con così tanta sincerità e curiosità. Boccheggia, alla ricerca delle parole giuste che non portino allo scoppio dell’ennesima guerra insensata. Potrebbe dirgli che da quando si sono lasciati è precipitata in una specie di oblio da cui a fatica è riuscita a risalire ma questo rischierebbe di addossargli una colpa che, forse, sta cercando di scrollarsi via a piccoli passi.
«Non mi andava più.» pronuncia apatica, sollevando le spalle ma quello non c’è. E’ sparito, andato, eclissatosi dietro la porta scorrevole. Fantastico, proprio ora che aveva deciso di aprirsi un po’ ecco che quel demente se la fila.
Al Diavolo lui e il suo essere così menefreghista e—
«Tieni, credo tu ne abbia bisogno più di me.»
E il suo essere così scioccamente imprevedibile.
Le porge una birra prima di sedersi al suo fianco. Distante, lasciando che uno spesso strato d’aria faccia loro da barriera.
Le basterebbe allungare una mano per poterlo sfiorare, le dita sono però serrate intorno al gelido collo della bottiglia.
«Grazie…» gli mormora piano, vedendolo sventolare una mano.

Da lì al vedere i cavalieri dello zodiaco nel cielo il passo è davvero breve; il fatto che non vi siano stelle nel manto buio è ovviamente un dettaglio di cui nessuno dei due tiene conto.
Shiba è impegnata a cercare Orione, mentre Mitsui ha già visto Pegaso e Andromeda. Afferma di aver visto anche Hercules ma forse è stato solo tratto in inganno da un gruppo di ubriachi appoggiati alle balaustre che hanno urlato «Quello è il ragazzo di Phil!»
Ed è proprio in quel momento di quiete, quando ormai è già sulla strada dell’ebrezza, che Shiba se ne salta fuori con uno di quei discorsi che da sobria non avrebbe mai tirato in ballo...
«Hai avuto qualcuna, poi?» avrebbe voluto dirgli Dopo di me, ma le sembra di ergersi su di un piedistallo che nemmeno ha avuto l’onore di lucidare, tanto in basso era.
Lo vede massaggiarsi la cicatrice, perso in chissà quali pensieri. Poi le sue dita si aprono e i suoi occhi si assottigliano «Mah, qualcuna.»
«Hai addirittura bisogno di contarle, wow.» fischia, prima di tornare a bere la birra.
L'aiuta a soffocare un mucchio di parole inutili, discorsi frivoli e frasi colme di dubbi che la attanagliano da quando ha messo la parola addio sulla loro pseudo storia.
«Ehi, non è colpa mia se il mio fascino le stende tutte.»
«Il fascino… Una volta erano i discorsi sul basket a stenderle tutte.»
«Figurati se con loro parlavo di basket… Figurati se ci parlavo.»
«E di che parlavate?»
«Ma boh… Cazzate. Non è che me ne fregasse qualcosa. La prima che mi sono scopato non mi ha neppure detto il suo nome» la birra le va di traverso, si ritrova a tossire convulsamente «Oi, stai bene?» le rifila qualche pacca sulla spalla con la forza di un branco di gnu, rischiando di farle sputare i polmoni.
«Sto bene, solo—Kami, sei davvero rozzo.» la voce le trema prima di sfumare in una risata sciocca, di quelle che la fanno piangere dal ridere e dolere lo stomaco. Non sa cosa sia quella morsa che le prende ogni viscera del proprio corpo, costringendola a rannicchiarsi pur di non avvertire dolore. Sa bene che c’è stata qualcuna dopo di lei, non è così scema da credere che sia rimasto illibato perché ancora invischiato nel loro ricordo, ha solo peccato di presunzione nel credere che le avrebbe rifilato qualche bugia per farla sentire meglio.
Shiba si sente invece sopraffare dal vuoto di quei due anni trascorsi senza di lui e se non fosse per la strana calma che li circonda, probabilmente lo sommergerebbe con quelle solite domande che riducono i loro discorsi a campi di battaglia.
Mitsui beve un sorso poi si apre in un leggero sorriso «Me lo diceva sempre anche Akane.»
«La tua schiava sessuale?»
«Una con cui sono stato» Shiba avverte lo stomaco contorcersi «E’ durata qualche mese, poi è dovuta partire. Era più grande di me.» le confida qualche dettaglio che non le da modo di crearsi un’immagine di questa donna che ha conquistato il suo cuore.
«Più grande?»
«Avrà avuto sì e no trent’anni.»
«Cosa?!» questa volta i polmoni li sputa davvero, seguiti a ruota dagli occhi ormai scivolati dalle orbite o dalla mascella precipitata al suolo «Ma è una vecchia!»
«Cosa--» scoppia a ridere di fronte alla sua faccia contratta dall’incredulità.
«Che cosa ridi?! Sono seria!»
«Non credi di star esagerando?»
«Potrebbe essere tua madre!»
«Seh, mia nonna.»
Sventola le mani «Oh, hai capito che intendo!» Shiba tossicchia «E come l’hai conosciuta?»
«Mah, non ricordo bene. Credo me l’abbia presentata Tetsuo o stava con uno degli altri, non ne ho idea. Mi è piaciuta per un po’. Era… Matura.»
«Matura…»
Si gratta la nuca «Mi capiva al volo, non so spiegarlo. Era come se ci fosse già passata e sapesse sempre cosa dire per farmi calmare. E poi a letto era una bomba.»
Sì, dell’anteguerra…
«E tu?»
«Io che?»
«Avrai avuto qualcuno anche tu.»
Shiba può contarli sulla punta di una sola mano i ragazzi che ha avuto dopo di lui, sempre se ragazzi si possono chiamare.
Sono storie durate qualche mese ed eclissatesi nel giro di messaggi mai più inviati, chiamate sempre meno frequenti e deliziosi «E’ meglio se non ci vediamo più» annunciati davanti una tazza di the fumante.
«Qualcuno… Pochi. Forse un paio.»
Il ragazzo ghigna «Mi prendi per il culo?»
«E perché dovrei?»
«Vuoi farmi credere che una come te non ha avuto altri ragazzi?»
«Una come me?» Shiba storce il naso «Non ho avuto tempo per i ragazzi. Sai, gli allenamenti e--»
«Vi allenavate anche al corso di cucina? Cos’è, dovevi allenarti a far girare il mestolo?»
«A quanto pare la mia capacità di sapermi tenere un ragazzo è pari a quella di saper cucinare una frittata.»
Mitsui pare rendersi conto della piega che ha preso la discussione, perché l’ironia viene rimpiazzata da una serietà che raramente adopera «Ti sono piaciuti, almeno?»
«Alcuni sì, altri no.» ma la verità è che dopo di lui nessuno è riuscito a entrarle nel cuore, barricandocisi senza più intenzione di volersene andare e quando qualcuno ci ha provato, Shiba ha avuto la prontezza di sbatterli fuori, troppo stanca di soffrire.
Butta giù un altro sorso, si stringe nella giacca della divisa della squadra «Non dovresti essere a consolare tuo fratello?»
Lo guarda di sottecchi «Quando perde, sparisce.»
Mitsui arcua un sopracciglio «Sparisce?»
«Ma sì, puff!, non rientra, a malapena chiama per dirmi dov’è e il giorno dopo torna tutto come prima. Chi lo capisce è bravo…» il ragazzo la guarda allucinato e senza ritegno, le scoppia a ridere in faccia «Beh, lo trovi divertente?»
«No, no—Cioè, a dir la verità sì.»
«Beh, a me non piace» si impunta «La casa è enorme per due persone, figurati per una…»
«Già…»
Shiba pensa che il silenzio con Mitsui-Redento non è così diverso dal silenzio con il Mitsui-Capelli a Scodella o Mitsui-Teppista.
Non sa che discorso intavolare eppure si accorge che non c’è bisogno di riempierlo con frasi vuote o di circostanza o qualsiasi altro rumore. Si sta bene, si sta bene come non lo si stava da un sacco di tempo.
«Cosa credi che faccia, quando sparisce?»
Shiba lo guarda ad occhi larghi. Non sa il perché di quella domanda e neppure perché gliel’abbia posta «Non ne ho idea.»
«Non glielo hai mai chiesto?» scuote la nuca «Beh, dovresti...» Shiba non fiata, ancora confusa per tutto quel discorso senza senso; senso che va eclissandosi completamente quando il ragazzo scoppia a ridere senza un motivo. Shiba è convinta che gli sia andato in pappa il cervello, dopo lo svenimento «Le cose non sono davvero cambiate.»
«Mh?» ha la gola secca, le parole sono perite sulle labbra serrate.
«Nonostante tutto, finiamo sempre col parlare di tuo fratello. E basta.»
«Come sempre? Ma non è vero! Quand’è che ne abbiamo parlato?!» si acciglia, perde quel briciolo di tranquillità che è riuscita a strapparsi in sua presenza. E tutti i discorsi fatti sul loro futuro come stelle sportive? E tutti i discorsi fatti sulla scuola, le università che non frequenteranno e i genitori?
Dove li ha dimenticati, quel cretino?
«Beh, sempre» Shiba grugnisce «E’ così, no? Alla fine spunta il suo nome e ci ritroviamo a parlarne come se non avessimo null’altro da dirci.» Shiba si cruccia; stava dando ad Akira del discorso inutile, come il classico Oggi c’è proprio un bel tempo, non trovi?
«Beh, allora troviamo qualcosa da dirci!» esclama, presa da un impeto di stupidità che non sa da dove sia saltato fuori.
«Che?!»
«Ma sì… Che ne so… Cos’hai fatto di bello oggi?»
La mascella di Mitsui per poco non si stacca. E’ perplesso, la guarda come se fosse sotto allucinogeni e di tanto in tanto lancia un’occhiata alla propria birra, giusto per accertarsi che tra i due è lui quello che ubriaco.
Ciononostante risponde, non senza un pizzico di scetticismo «Ahm, ho—ho giocato la partita. Sai, quella per cui ora stiamo festeggiando.» solleva la bottiglia.
Shiba arcua un sopracciglio; ancora non si è rincoglionita «Mh, ora dovresti chiedermi cos’ho fatto io.»
«E… Perché?»
«Come perché?! È per fare conversazione! Così non parliamo di mio fratello!»
«Ah, già… Beh, cos’hai fatto tu?»
«Mi sono allenata.» piccola bugia, ma non può certo far male.
Il silenzio cala tra loro. No, decisamente non sanno tenere in piedi una conversazione. Gli mancano le basi, forse. Shiba si rende conto che parlare di Akira viene loro naturale proprio perché semplice; non vengono tirati in ballo argomenti troppo personali e non rischiano di riportare a galla vecchi dissapori.
Comincia a chiedersi se davvero Mitsui non abbia ragione, perché ricorda a malapena se sua madre faccia l’impiegata o la maestra, se suo padre sia dirigente di un’azienda o un bancario, se mai lui queste cose gliele abbia effettivamente raccontate e se lei gliele abbia effettivamente chieste.
«Mi ha fatto piacere che tu sia venuta alla partita.» glielo confessa con placidità, ha un leggero sorriso ad addolcirgli i lineamenti.
«Sono arrivata alla fine.»
«È già qualcosa.»
Shiba respira profondamente «So che te la sei cavata.»
Mitsui la guarda sorpreso, poi il suo ego si gonfia a dismisura «Guarda che non me la sono solo cavata, sono stato un portento!» e senza che lei abbia chiesto nulla, Hisashi le racconta dei canestri che ha segnato, di come abbia smarcato suo fratello, di come Taoka abbia deciso di sostituire il suo avversario perché consapevole della sua bravura.
Lo lascia vantarsi come ai vecchi tempi.
Per un istante le sembra di vedere il ragazzo delle medie con i capelli ridicoli e l’orgoglio mai sgonfio. Non accenna al suo svenimento e nemmeno lui lo tira fuori.
Shiba sa che Mitsui sa, ma preferisce tacere.
E’ così bello vederlo animato dall’antica passione che l’aveva fatta cadere per lui.
E’ così bello risentirsi per un attimo una ragazzina innamorata.
La porta finestra si apre e i due si voltano, incrociando la figurina esile di Ume «Senpai, torniamo a casa?» ha le guance rosse per il troppo caldo e cerca di sedare i piagnistei di una Fujiko brilla terrorizzata per la partita di domani.
Guarda l’orologio «Sarà meglio andare.»
«Senpai Mitsui, viene anche lei? Anche gli altri stanno andando.»
«Aha, ok.» butta giù l’ultimo sorso e la segue dentro.

 
«Magari domani vengo a vederti.»
Shiba osserva la sua ombra, slanciata sotto la luce dei lampioni «Non sei obbligato.» getta un'occhiata alla banda di casinisti più avanti di qualche metro.
«Ma sì, se ho tempo…» sghignazza «Magari alla Itou cade una clavetta in testa.»
«Ma che stronzo!»
Il suo profumo la inebria o forse è la birra, non ne ha idea. Sa solo che per un istante è tentata di lasciarsi andare e poggiare la testa sulla sua spalla, con la speranza che non l’allontani.
Se non lo fa è solo perché Mitsui tiene una certa distanza.
«Ascolta, per la rivista…»
«Eh?» scuote la nuca «Lascia perdere, non è importante.»
«No, è che… Lo so che sono un mucchio di stronzate, ma non voglio che tu possa pensare sul serio una cosa come quella.» la guarda fisso, Shibahime sente l’aria mancarle in gola.
È quell’elettricità di cui le ha sempre parlato suo padre, quella che c’è prima dello scocco di un bacio o dell’arrivo della pioggia…

«Una cosa… Cosa?»
«Che ti considero un secondo posto.»

… Quando ci si riscopre innamorati.


 


[1]: Adare: villaggio nella contea di Limick, Irlanda. Il Lena’s è un pub realmente esistente della zona.

[2] Otōsan: papà in giapponese

[3]: Mourne Mountains: montagne irlandesi nella contea di Down.

[4]: Mháthair: mamma in irlandese, si legge

[5]: Jodogaham beach: spiaggia appena fuori Miyako, nella prefettura Iwate. Letteralmente significa “terra dalla sabbia pura”

[6]: Asahi: birra giapponese.
 


Buona sera ♥
Capitolo piuttosto traumatico, cioè traumatico per me perché è stato una faticaccia scriverlo.
Il POV di Shiba è stato di un difficile, ma di un difficile che a un certo mi sono detta: scrivi di getto e bom e non ho idea di come sia venuto fuori. Nel complesso non mi dispiace ma ammetto che forse avrei potuto analizzare meglio determinate situazioni.
So che è un po’ cortino e in realtà doveva esserci un’altra parte, ma ho preferito lasciarla per il prossimo che, alleluja alleluja!, sarà il giro di boa per questi due testoni XD No, parlando di tempo non ho idea di quando sarà anche perché sto abbozzando un’altra storia sempre su Slam Dunk (che non vedrà mai la luce se prima non finisco questa, me lo sono ripromessa) e quindi mi divido tra le due. Ad ogni modo è già abbozzato, stanchezza, lavoro e sonno a parte non penso farò passare ere geologiche.
Ah, ovviamente Forrest Gump mi è stato di ispirazione per la stesura, perché lo amo, è un capolavoro e volevo avere qualcosa di suo in questa storia quindi se notate certe somiglianze, sappiate che è tutto voluto.
Ringrazio infinitamente chi continua a leggere Mo Chuisle anche se in silenzio, con la speranza che la storia non vi dispiaccia e ovviamente riverso tutto il mio amore cosmico su Ice_DP e ReginaMills89 che sono state così carine da commentare il capitolo precedente. A volte vi considero le mie fan numero uno, ci siete sempre e mi siete di stimolo per andare avanti anche quando vorrei solo vegetare sul letto con la speranza che sia già weekend. Siete deliziose, dico sul serio ♥
Ringrazio anche chi ha aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite. Come al solito, chi avesse voglia e tempo per dirmi cosa ne pensa è sempre il benvenuto, sia che si tratti di pareri negativi o positivi.

Alla prossima!
HeavenIsInYourEyes.


P.S. Una cosa che mi dimentico sempre di scrivere: chiedo venia per il tipo di carattere con cui la storia è scritta; l'html mi odia e mi scombina tutto quando pubblico, non ho idea del perchè.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3049148