Marziani

di polymerase3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


1

 

VOCE MASCHILE (con tono allegro e incalzante): Usate l’uomo. La macchina interplanetaria  più economica ed affidabile.

VOCE FEMMINILE (stizzosa): Ed io cosa sono?! Non sarai mica maschilista, vero?

VOCE MASCHILE (imbarazzata): Ehm…mi correggo. Usate l’uomo e la donna. Le macchine più economiche dell’universo!

 

 

Usate l’uomo.

Quanto possono essere stupidi i tele-Giornali?

Sulle pareti di metacrilato risuonano altri -pochi- tenui borbottii.

Capisco che sono già le 12:00, l’ora di trasmissione dei Giornali Telepatici e che, quindi, ho ancora altri quindici minuti di lavoro.

Un lieve formicolio all’altezza della nuca preannuncia l’arrivo di una nuova notizia. Parte una marcetta assordante, una di quelle che implode nei timpani, manco fossero casse di un amplificatore. Ancora pubblicità. Non c’è niente di meglio di un tele-Spot poco prima di staccare dal lavoro.

Dopo un lieve pizzicore della retina, l’iride s’illumina; dai miei occhi chiari parte un fascio di luce conica che si estende davanti il mio banco da lavoro. Le pareti di metacrilato trasmettono altre ombre, una quarantina di coni luminosi da cui nasce un’immagine. Lo spot sta per cominciare.

Visualizzo un marchingegno sottilissimo e finemente elaborato, l’ultima innovazione in fatto di telefoni oculari. 

Certo, dopo un po’ ci si fa l’abitudine, eppure non si è mai abbastanza rilassati per poter sopportare i fonogiornalisti ogni tre ore, piazzati in bella mostra davanti il tuo occhio destro.

Ci sarà forse un pazzoide che deciderà di annientare la quiete del suo secondo occhio con chiamate e messaggi?

 

VOCE MASCHILE (ESORTANTE): AFFRETTATEVI! RESTANO SOLO 225 MODELLI!

 

La domanda, amico mio, è pleonastica. 

 

2

 

Il lavoro continua, inesorabile, cinque minuti dopo la pausa pranzo.

Alla tredicesima ora si stagna in un ruscelletto secco e arido, dove l’acqua bagna a malapena la melma sabbiosa del fondo.

L’Aula Cromosomica s’impasta in un’arietta densa, grumosa e corrosiva, conseguenza diretta del problema di ventilazione che va avanti da ormai tre sol.

Quando Marte fu visitato dai primi umani -parliamo dei tempi in cui, per mancanza di mezzi, bisognava ancora impacchettarsi per bene se si voleva camminare su suolo marziano- trovarono un’atmosfera decisamente rarefatta.

Il problema si risolse, se la memoria non m’inganna, solo a partire dal ventitreesimo secolo, qualche annetto prima della colonizzazione ufficiale.

L’inseminazione di vegetali geneticamente modificati, capaci di una fotosintesi artificiale estremamente rapida, migliorò di molto il problema, donando a Marte un quantitativo d’ossigeno necessario alla crescita e proliferazione di esseri ed organismi viventi.

Al giorno d’oggi, più di duemila esemplari di piante OGM popolano Marte, senza mai alterare il processo di fotosintesi accelerata che, fino ad ora, non ha mai incontrato problemi di alcun tipo.

Eppure, specie nei luoghi chiusi, capita ancora di percepire un’eccessiva porosità dell’aria: quel caratteristico odore aspro e pungente del ferro tipico di alcuni luoghi del pianeta rosso.

Ogni marziano che si rispetti, di conseguenza, non perde mai l’abitudine di portare con se una bomboletta di mascherine spray quando naviga in luoghi chiusi e assai affollati.

La fotosintesi accelerata può anche funzionare, ma quanto è accelerato il ricambio d’aria? Una delle tante cose che non mi spiego.

Prendo la bomboletta e mi spruzzo sul viso una mascherina-spray. Di sicuro non sono state brevettate per chi lavora nelle Aule Cromosomiche; l’ossigeno tascabile comincia a prudere intorno la bocca, mentre ho la continua impressione che la mascherina declini sempre più verso il mento.

Oggi siamo tanti, il ricambio d’aria è minimo e il lavoro da fare è eccessivo.

Sarà che è ormai raro trovare un terrestre fra i superstiti che accetti di ricominciare la propria vita su Marte,  ma è da un po’ che il numero delle richieste di nascita continua, sol dopo sol, ad aumentare. A volte penso, perché la gente ha così tanta voglia di fare figli? Marte è davvero il pianeta perfetto che tutti desideriamo?

Sono poche le cose che non sopporto di Marte; ad eccezione dell’aria qualche volta irrespirabile e dell’ossido ferrico che sporca vestiti e scarpe, sono ormai abituato a tutto il resto. Eppure, tante sono le cose che ancora non capisco.

Abbasso lo sguardo sul mio foglio di gomma:

xx, xy, xx, xy, xy xey …

Un maschio emofiliaco?

Ci sarà sicuramente un errore.

Meglio ricominciare.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

 

3

 

Ventidudesima ora, un altro sol che declina.

Phobos sembra terribilmente vicina alla finestra in metacrilato rinforzato.

-Hai intenzione di rimanere sveglio fino alla ventiquattresima?-

E’ da quando sono tornato a casa che Mikhail mi sta addosso, borbottando a intervalli regolari qualcosa sulle mie occhiaie, sulla stanchezza e l’apatia che ne deriva.

-Perché sprecare gli altri trentanove minuti?- qualche volta provo anche ad essere sarcastico,

-Trentanove minuti e trentacinquemiladuecentoquarantaquattro secondi- precisa lui

Ma non mi riesce quasi mai, almeno non con Mikhail.

Sorrido. Lui mi guarda ancora, preoccupato.

Torno dal lavoro ed è sempre lì, la mamma-polpo apprensiva che mi squadra dall’alto dei suoi tentacoli.

-Smettila di fare la mamma!-

-Scusami, paparino.

Ho creato io Mikhail, diciassette anni fa, quando la Factae viveva il suo periodo di massimo sperimentalismo.

Tutto ciò che il gamete x ha codificato in lui, scontrandosi con la fresca y estratta da una cavità palleale anonima, appartiene a me. Poco prima del crossing-over, io ero il 50% di Mikhail.

Era da poco nata la moda di incrociare due assetti genetici differenti, creando così uomini che, in seguito al posizionamento degli alleli per via artificiale, potessero assumere alcune caratteristiche tipiche di altre specie animali, creando genomi ibridi ed autonomi.

Mikhail è il frutto di uno dei primi esperimenti del genere.

Non ho scelto io la sua natura octopode; da tempo la Factae mi stava facendo lavorare su cavità palleali importate dalla Terra e, quando mi fu affidato il compito di creare una nuova specie, è stata la prima cosa a cui ho pensato.

Non so che fine abbiano fatto gli altri esperimenti dei miei colleghi, ma è superfluo dire che provai subito un forte affetto -anche se lui si diletta a definirlo istinto materno- verso l’uomo polpo.

Decisi di portarlo a casa, con il consenso del mio datore, a patto di crearne uno simile per uso aziendale.

Ben presto, mi accorsi di aver commesso un piccolo errore in Mikhail, di cui non feci parola con nessuno, nemmeno con la mia azienda.

Il fattore accelerato della crescita -a quei tempi ancora in via di sperimentazione- aveva dominato su altre zone non indicate, durante il processo di duplicazione del nuovo DNA.

Oltre a crescere più velocemente del solito, Mikhail aveva sviluppato un cervello superiore alla norma consentita, che l’ha reso il polpo che tutt’oggi è.

Sebbene sia un pochino orgoglioso, so bene che, nel profondo della sua materia invertebrata, è assai fiero dei geni umani che lo compongono.

Borbotta di nuovo, un gorgoglio gutturale che ho imparato a classificare come lingua dei polpi, mentre i suoi otto tentacoli si muovono rapidi lungo il piano della cucina. Fa solo finta di riordinare, sta semplicemente sfogando la sua rabbia. Evito quindi di rimproverarlo, cercando di non pensare alle ventose che dovrò ripulire dalle superfici in metallo.

Quando vuole, sa essere molto permaloso.

-Mikhail, tu credi nella terraformazione?-

Si ferma. Lo fa quando vuole intraprendere una lunga conversazione. Almeno servirà a calmarlo un pochino.

Lascia cadere i tentacoli lungo i fianchi, respira profondamente e comincia a parlare.

-Sai come la penso. Non saremmo arrivati su Marte, se ci fosse bastato il pianeta Terra.

-La Terra è un altro discorso, ormai non serve più.

Mikhail gorgoglia, questa volta è irritato. -Bella cosa da dire al pianeta che ti ha visto nascere.

La cavità palleale che ha generato Mikhail doveva essere una conservatrice radicale.

-Se sono stato mandato qui, insieme a molti altri, ci sarà pure un motivo.

-Ovvio che c’è. L’incontinenza.

-Non sviamo il discorso, adesso. Stavamo parlando di altro.

-Nient’affatto Stanislaus, stiamo parlando proprio di questo. La vera ragione per cui ve ne siete andati è che la Terra non vi bastava. Ora che siete su Marte, invece, volete farlo diventare un pianeta del tutto simile a quello da cui siete venuti, noncuranti del fatto che, così facendo, farebbe l’inevitabile fine di quello precedente. Sterile. Reso improduttivo dalle vostre stesse mani.

-Dagli errori si può sempre…

-L’uomo non sbaglia una volta e basta. Questo lo sai meglio di me. Non siete abbastanza contenti di quello che avete già fatto?

Quando ho parlato dell’orgoglio che Mikhail prova per i suoi geni umani, non intendevo assolutamente dire che cerca di nascondere o sminuire la sua metà cefalopode.

-L’abbiamo reso vivibile, ma a cosa servono le piante OGM, l’ozono e la cupola d’incremento gravitazionale se si può fare di più?-

Mikhail mi guarda. I suoi occhi da polpo luccicano, un barlume profondo e impercettibile, che non riesco a classificare.

-Stanislaus, tu proprio non capisci.

 

4

 

In realtà ha ragione. E’ il mio risentimento a confermarlo.

Stupido cefalopode, avrò per caso esagerato con i geni saputelli?

Il giornale telepatico m’informa del Perigeo con la terra, tra poco meno di quattro sol.

Madre Terra, il pianeta che mi ha visto nascere, il pianeta che sto vedendo morire.

Anche se l’antica Gea non si mostra più nel suo antico splendore, alcune comunità isolate continuano ancora a viverci, terrestri incalliti che andrebbero tanto d’accordo con Mikhail.

Sopravvivono, biasimando il più delle volte noi marziani, poveri illusi con la convinzione di poter ricominciare una nuova vita, la convinzione di essere diversi.

Dal punto di vista scientifico, so di essere umano al 100%.

Eppure non so dirvi quanto mi senta umano, non lo capisco.

“Avete deciso di abbandonare la Terra, ma non riuscirete a modificare la vera natura di Marte” ha detto Mikhail.

Penso a quanto io sia stato in grado di modificare la sua natura e, per la prima volta, mi chiedo se provi qualche sorta di rancore nei miei confronti.

Non possiamo fare come i terrestri, statici, chiusi nelle loro comunità, deprecando i Grandi Magazzini che forniscono a Marte tutto ciò che non è ancora in grado di autoprodurre.

Noi dobbiamo crescere, dobbiamo evolverci. E, con noi, anche Marte deve farlo.

L’innovazione ha bisogno anche di crescita, a questo ci pensa il mio lavoro.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


5

 

Mikhail e io stiamo attraversando un periodo di tensione; prima il padre ed il polpo che gioca a fare la mamma, poi la coppietta in piena crisi matrimoniale. Addio equilibrio di convivenza.

Quando ritorno è di poche parole; non parla né si siede a tavola con me. Qualche volta si limita a passarmi il sale, senza però specificare che preferirebbe se lo chiamassi cloruro di sodio.

A dire il vero, mi mancano un po’ le sue considerazioni pungenti, perché non si avvia più il meccanismo del sarcasmo.

Quando finisco di mangiare prende il piatto in vinile e lo porta al lavello automatico, senza fiatare.

Forse è in grado di leggermi nel pensiero, perché sembra aver capito il mio bisogno di istigarlo ed è da due giorni che copre i suoi tentacoli con sacchetti di gommapiuma, per non lasciare aloni.

Orgoglioso, arguto Mikhail.

Abbiamo sempre più lavoro da fare, sempre più richieste di nascita guidata.

Sono reduce da una giornata in cui ho dovuto lavorare su quattro fecondazioni assistite, tre maschi e una femmina.

Il protocollo richiedeva esplicitamente tre maschi alti e robusti, due biondi e con gli occhi azzurri, l’altro che rispecchiasse la fisionomia terrestre catalogata come “mediterranea”. La femmina doveva essere magra e slanciata, poco più bassa di un metro e settanta centimetri. Un lavoraccio.

Il sol seguente, ora sesta, rompo lo sciopero del silenzio con Mikhail per pura necessità.

-Stasera non tornerò per cena.

Il polpo fluttua nel bel mezzo della sua stanza circolare; ha sospeso la gravità nella sua camera per rilassarsi. -Come mai?- risponde, dopo un minuto d’incerto silenzio.

-Ho una festa.

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