Maternità/Paternità di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Minako (al settimo giorno) ***
Capitolo 2: *** Ami e Rei (prima della nascita) ***
Capitolo 3: *** Ami (a due mesi) ***
Capitolo 4: *** Yuichiro e Rei (alla nascita di Iria) ***
Capitolo 5: *** Usagi e Mamoru babysitter con Adam (cinque mesi) ***
Capitolo 6: *** Yuichiro e Iria (con Rei, ai cinque mesi di Iria) ***
Capitolo 7: *** Iria VS Adam (lei cinque mesi, lui otto) ***
Capitolo 8: *** Adam, Ami e Alexander (agli otto mesi di Adam). ***
Capitolo 9: *** Alexander e Gen (con Adam) ***
Capitolo 10: *** Minako (durante la gravidanza, settimo mese) ***
Capitolo 11: *** Makoto e Gen (nelle ultime settimane di gravidanza) ***
Capitolo 12: *** Mamoru con Chibiusa (due mesi) ***
Capitolo 13: *** Usagi e Mamoru (al sesto mese di Chibiusa) ***
Capitolo 14: *** Adam, sei anni, con la sua famiglia ***
Capitolo 15: *** SPOILER, Akiko e Shin (quattro anni) ***
Capitolo 16: *** 16 - Iria e Adam giocano (lei 6 mesi, lui 9) ***
Capitolo 17: *** Adam di notte (3/4 mesi) ***
Capitolo 18: *** 18 - GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi) ***
Capitolo 19: *** Profetessa (Iria, 7 mesi) ***
Capitolo 20: *** 20 - Nato per essere padre (Iria, 2 mesi) ***
Capitolo 21: *** Rei e l'istinto materno (sette mesi) ***
Capitolo 22: *** Halloween (Adam, 1 mese - Rei incinta di otto mesi) ***
Capitolo 23: *** San Valentino (Iria, due mesi, e Rei madre stressata) ***
Capitolo 1 *** Minako (al settimo giorno) ***
Maternità 1
Maternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
1
- Minako (al settimo giorno)
Era una sensazione strana.
Dopo sette giorni a volte le sembrava ancora di prendersi cura
di un
giocattolo prezioso, rarissimo, inquietante nella sua meraviglia.
Aveva visto il suo volto nella pancia, lo aveva sentito
muoversi dentro
di lei. Lo aveva visto uscire dal proprio corpo. Al primo contatto con
lui si era sentita immensa, completa. Aveva dato un nome al suo
bambino, ma ogni tanto lo guardava e aveva voglia di chiedergli, 'Sono
io la tua mamma?'
Sei davvero
mio,
è di me che hai bisogno?
Si sentiva troppo piccola per tutto ciò che
meritava
l'essere magnifico che teneva tra le braccia. Lui prendeva da lei senza
preoccupazioni, come in quel momento, con le sue minuscole labbra che
si chiudevano
forte attorno al suo capezzolo, succhiando per nutrirsi.
Lei gli teneva la mano chiusa nel pugno, con
delicatezza, e
quando sentiva le sue dita muoversi si allarmava e gioiva.
Hai bisogno di
qualcos'altro? Saprò dartelo?
Non posso
credere che tu
sia qui.
Sentì che lui smetteva di succhiare e lo
staccò
dal seno, spostandolo con entrambe le mani. Aveva imparato a
maneggiarlo e a rivestirsi; in qualcosa stava diventando brava.
Mentre si ricomponeva e puliva il latte dal seno, lui non fece
quasi
nulla. Nella penombra la guardò, si guardò
attorno. Inerme, aspettava che la vita gli capitasse, o che lei
decidesse cosa ne sarebbe stato di tutte le sue giornate.
«Che responsabilità...»
Sorrise. Quando gli parlava si sentiva meglio, le sembrava di
comunicare con lui. Il suo piccolo la guardava quando sentiva il suono
della sua voce.
«Facciamo una cosa?»
Allungò un braccio di lato e accese una piccola
lampada. La
luce tenue illuminò la parete accanto a loro.
«Non ti dà fastidio?»
mormorò. Hermes la guardò ancora e lei
studiò di nuovo il suo viso. Cambiava ogni giorno. Quella
mattina c'era qualcosa di nuovo: le labbra sembravano meno paffute.
In aria disegnò la loro forma con un dito, per
fissarla
meglio nella mente.
Oh. Ora le vedeva meglio, le riconosceva. Quella bocca non era
sua.
«Hai capito?» Avvicinò
la
fronte a quella di lui, ammirando i suoi occhi grigi. «Non
è vero che somigli in tutto a mamma.»
Le pupille del suo bambino erano larghe. La stava ascoltando.
«A me non sembra nemmeno che queste siano le mie
sopracciglia.» Quelle di lui erano chiare, ma lei non le
aveva così grandi. «Sono bellissime. Quando
sarai grande ti staranno molto bene.»
Tutti dicevano che Hermes aveva i suoi occhi. Il colore era
ancora
indefinito, ma il taglio - sembrava - era il suo. Lei non lo
riconosceva: era difficile vedersi in un'altra persona. Ma da Usagi a
Makoto, tutti i suoi amici dicevano che suo figlio aveva la sua faccia.
Il legame era straordinario, perché quando lei
guardava il
suo bambino vedeva solo... un'altra persona. Una persona nuova,
diversa, unica, capace di reazioni che la sorprendevano,
benché avesse imparato a rispondervi nella maniera giusta.
Il modo in cui lui piangeva era tenero e angustiante. Non era
un pianto
disperato e acuto - 'completamente diverso da Arimi', aveva detto Shun
- ma una specie di miagolio sofferente che chiedeva attenzione.
Hermes la stava ancora guardando, sereno nelle sue certezze.
Minako lo portò al petto. «Io so solo che
tu hai
un odore buonissimo. E che ti voglio bene da morire.»
Proverò
a non
sbagliare, lo prometto.
Anche se, con ogni giorno che passava, le sembrava che
comparisse una
nuova cosa che non sapeva fare, un nuovo problema da affrontare.
«Ehi.»
Sollevò gli occhi. Shun era entrato nella stanza,
camminando
piano.
«Un'altra poppata?»
Minako annuì. Cominciò a massaggiare la
schiena
del loro bambino, per spingerlo a buttare fuori l'aria.
Shun si sedette nella poltrona davanti a lei.
Sbadigliò, una
mano davanti alla bocca.
«Va' a dormire» gli disse lei. Non era
necessario
che stessero alzati in due.
Lui meditò sul proprio sonno per qualche secondo,
le
palpebre gonfie. Le agitò. «No. Quante volte si
è svegliato questa notte?»
«Due.»
«Questa è la terza.»
Non fu proprio una domanda, e il tono fu gentile, ma
suonò
come un'accusa, a lei o ad Hermes. Minako lo strinse più
forte a sé, solo un pochino.
«Sei stanca.»
Oh, sì. Una parte di lei voleva gettarsi tra le
braccia di
Shun per dormire in eterno e chiedergli di sistemare tutto. Ma un'altra
parte di lei - quella che era diventata madre - sapeva che non poteva
farlo. Aveva delle responsabilità ora.
«Oggi possiamo provare con quel tiralatte»
suggerì Shun. «O col latte in
polvere.»
«Non preoccuparti.»
«Hermes-chan si preoccupa. Vede che la sua mamma
è
stanca.»
Minako immaginò quelle parole in bocca al loro
bambino e suo
malgrado sorrise.
Shun allungò le braccia, chiedendole di
passarglielo.
La invase un senso di inquietudine così sciocco e
strano che
seppe di doverlo combattere subito, perché non mettesse
radici in lei. Diede suo figlio al padre. Guardandoli insieme si
sentì subito più calma, priva di forze, come se
avesse appena smesso di sostenere da sola un'enorme peso.
Hermes non lo era, ma... «Non mi sentivo
così.»
«Hm?»
«Durante la gravidanza.» L'aveva vissuta
come se
fosse una divertente gita, una fase della sua esistenza completamente
priva di preoccupazioni.
Shun stava massaggiando la schiena al loro bambino, un po'
più forte di lei, con maestria. Nelle sue braccia Hermes le
sembrò al sicuro, quasi più che con lei. Shun
sapeva come crescere un neonato.
«Così come?» le chiese lui.
«In ansia.» Finché non era nato
suo figlio aveva creduto di saper fare la
mamma, solo perché da
qualche mese faceva da madre a una bambina già grande, che
camminava, mangiava da sola e si sceglieva persino i vestitini da
indossare per l'asilo.
«Be', io non ero incinta.»
La frase di Shun la fece ridere.
«Ma sono stato in ansia anche io, qualche settimana
dopo aver
preso Arimi. È successo quando mi sono reso conto che
sarebbe rimasta per sempre
con me.»
Che cosa lo aveva fatto preoccupare?
«È solo...» Shun
spostò
Hermes, per guardarlo in faccia. «È la sensazione
di avere potere assoluto su un'altra persona. Così che se
sbagli, la colpa sarà solo tua e sai che non potresti mai
perdonarti un errore.»
Shun appoggiò il loro bambino sulle ginocchia.
«Ma lui ha due persone, no? Non sbaglieremo in due,
Minako.» Le prese la mano. «Comunque, tu te la
caveresti da sola e io me la sono cavata da solo. Fai questi pensieri
cupi solo perché sei stanca.»
Non abbastanza da sentire che era il momento per lei di
dormire.
«Prova a mettere la testa sul materasso.
Crollerai.»
«È mattina. Ormai posso restare
sveglia.»
«Da che mondo è mondo, se uno
può,
dorme almeno fino alle otto.»
Già. Quella mattina erano appena le sei e un quarto.
Guardò di nuovo Hermes, che Shun aveva riappoggiato
contro
una spalla.
Lui si avvicinò, fino a permetterle di posare la
guancia
contro la nuca del loro bambino.
«Ti sembra che te lo stia rubando?»
sorrise Shun.
Minako strofinò il viso contro la massa di sottili
capelli
biondi. «No. Mi sembra di rubare me stessa a lui.»
«È così
pretenzioso?» Shun
cercò gli occhi di Hermes. «Sei così
pretenzioso? No, non è vero? Mamma è anche di
papà, e di Arimi-chan...»
Oh. È vero, aveva promesso alla piccola che
l'avrebbe portata lei a
scuola quel
giorno. Stavano cercando di farle capire che la sua vita non era
cambiata, che lei era ancora importante.
Si sentiva uno straccio. E non sapeva se voleva uscire di casa
senza
Hermes. Naturalmente poteva portarlo con sé, ma se lo faceva
doveva prepararlo, magari fargli un bagnetto, vestirlo bene...
Emise un lamento e nascose la faccia contro la spalla libera
di Shun.
Lui le baciò la testa. «Dormi. Dopo
sarà tutto come nuovo.»
«Veramente?» Non ci credeva.
«Veramente. Tutte le volte che mi hai dato fiducia,
non ho
sempre avuto ragione?»
... in effetti...
«Quindi, anche questa volta, lascia fare a me. Ho
poteri
sovrannaturali, non ricordi?»
Sì, lo avevano scoperto.
Lui scosse la testa. «Non quelli. Sono un
super-papà. Se ti addormenti per ventiquattro ore di fila al
tuo risveglio trovi lui splendente e sfamato e Arimi che ti fa un
balletto nuovo di felicità. Poi sarò
distrutto e te li mollerò entrambi, ma nel
frattempo...»
Minako rise e tentò un passo verso la porta.
Shun diede un bacio alla guancia di Hermes. «Qui va
tutto
bene. Vedi? Si sta addormentando.»
Li smentì l'emissione di un suono importante dal
corpo del
loro piccolo.
Il ruttino era andato.
«Ora
si addormenta» sorrise Shun. «Notte.»
Lei si allontanò di un paio di metri. «Se
piange
troppo svegliami.»
«Va bene.»
«Porto io Arimi all'asilo.»
«Lo so. Ma ora mettiti a letto e sogna cuscini di
piuma d'oca
e morbidi materassi.»
Il sorriso che le suscitò lui fu come una carezza
verso
il
sonno. Camminò, allontanandosi.
Si fermò fuori dalla stanza.
Shun prese una manina di Hermes e la agitò piano.
Ciao ciao.
Minako si decise ad andare.
Perché non era rimasta capace di giocare come Shun?
Perché non era più serena e meno stanca?
Sbadigliò, prendendo così tanta aria che
dovette
piegarsi in due per immagazzinarne abbastanza.
Tornata nella loro camera, si abbandonò sul letto a
due
piazze scompostamente, in orizzontale.
Del cuscino non le importò.
Di bello in quel letto c'era... l'odore, la sicurezza.
La calma.
Hermes sta
bene, Arimi
anche.
Dormi dormi,
come se
fossi tu una bambina.
Non lo era, ma... non era l'unica mamma in quella casa.
Sorrise, pensando a come riferire la battuta a Shun e...
si addormentò.
FINE
NdA: questa cosa ho dovuto scriverla perché dovevo
scriverla
:D Come ho sentito dire a una mia lettrice su Facebook, ero piena di
'feels' materni che dovevo mettere su file e quindi eccovi questa
storia.
Ho deciso di farne una raccolta perché potrei
tornare di
umore simile in futuro e magari scrivo qualcosa sull'argomento anche
per qualcun altro. Quindi, ecco la raccolta sfogo per questi casi :D
Ehm, spero che vi sia piaciuta.
Elle
P.S. Ho aperto un gruppo Facebook dedicato alle mie storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Ami e Rei (prima della nascita) ***
Maternità 3
Maternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
3 -
Ami e Rei (prima della nascita)
«Grazie per essere venute a casa mia,
ragazze.»
«Andiamo!» Rei si sporse sul tavolo per
guardare
Ami negli
occhi. «Non potevamo farti salire le scale del tempio nelle
tue
condizioni.»
«Esatto» le fece eco Makoto, tornando
dalla cucina
con una
carraffa di tè freddo. Usagi mandò avanti il suo
bicchiere e Rei la guardò male. Incurante, Usagi le fece una
piccola
linguaccia e, appena ebbe il bicchiere riempito, lo passò ad
Ami.
«Grazie.» Ami si reclinò sulla
sedia,
spostando sulla schiena il peso della grossa pancia rotonda.
Rei strinse inconsciamente il proprio ventre. A trentasette
settimane
di gravidanza Ami era radiosa, ma anche enorme.
Con le sue diciotto settimane appena compiute, Rei la guardava e vedeva
il suo prossimo futuro in tutta la sua temibile realtà.
Appena ebbe il tè nel bicchiere, lo
mandò
giù in un colpo solo.
Accorgendosi della sua attenzione, Ami sollevò un
sopracciglio.
«Sì» dichiarò.
«Forse diventerai anche
tu una mongolfiera.»
«Ma tu non lo sei!» la
rassicurò Usagi,
mentre Rei
deglutiva. La pacatezza di Ami diminuiva alla velocità con
cui
aumentava la circonferenza del suo punto vita.
Rei provò a sorridere. «Ormai sono le
ultime
settimane, no?»
«Scherzi?» fu lapidaria Ami.
«Potrebbe
mancare quasi
un mese se lui tarda. Alla prima gravidanza è normale andare
oltre il termine.»
Rei non seppe cosa dire.
Ami inspirò un'enorme boccata d'aria.
«Perdonami.
Con
questo caldo, e con questo peso addosso...» Si
massaggiò
la pancia. «Scusa» ripeté, rivolgendosi
al suo
bambino. «È solo che... Ecco. Devo andare di nuovo
in
bagno.»
Usagi e Makoto le furono subito accanto. «Ti
aiutiamo ad
alzarti. Appoggiati.»
Sollevarla delicatamente fu una piccola operazione di scarico
merci. In
piedi, Ami emise un profondo sospiro. «Torno
subito.»
Deambulando lentamente, si diresse verso la toilette di casa.
Makoto si abbassò verso il centro del tavolo,
chiamandole
tutte a
raccolta. «Ami è depressa»
bisbigliò.
«Forse dovremmo anticipare la festa
pre-bebè.»
«Noo» si lamentò Usagi.
«Minako non riesce a
venire domani! Ha detto che è libera solo la prossima
settimana.»
«Ma dobbiamo
fare qualcosa.»
«Ami ha solo bisogno di più
compagnia»
disse Rei. «Stavo già per proporvelo, o meglio,
stavo per dirlo a Usagi.» Guardò lei.
«Makoto ha la
sua pasticceria a cui badare, ma io e te dobbiamo solo prepararci per
gli esami. Abbiamo del tempo libero. Ora che Ami è tornata
da
Izu, non
è bene che stia da sola. Potrebbe partorire da un momento
all'altro.»
Usagi annuì. «Però penso che
Alexader
non
dovrebbe più lavorare così tanto.»
«Gliene ho parlato» sussurrò
Makoto,
chiudendo
ancora di più con la testa il cerchio che avevano formato.
«Ha detto che ha in mente qualcosa, ma preferisce dirlo ad
Ami
solo quando riuscirà a concretizzarla.»
«Che cosa vuole fare?»
Makoto scrollò le spalle.
Rei scosse la testa. «Non è importante.
Ami non ha
solo un marito, ha anche delle amiche. Le staremo vicine.»
Usagi le accarezzò una spalla. «Certo! E
staremo
vicine anche a te, Rei!»
«Io ora sto benissimo.»
«Lo so. Ma molto presto...»
Rei le coprì la bocca. «Non
dirlo!» Era
venuta a
patti con l'incredibile rivoluzione che stava per sconvolgere la sua
vita, ma
l'idea di cambiare fisicamente era una cosa che stava ancora
accettando, settimana per settimana.
Usagi annuì. «Allora io posso essere qui
lunedì mattina. Lunedì pomeriggio puoi venire
tu?»
«Certo. Mi distrarrà dalle pagine di
Diritto
Contrattuale.»
Alle loro spalle udirono un sorriso.
«Lunedì
pomeriggio viene a farmi compagnia Shoko-san.»
Rei, Usagi e Makoto saltarono in piedi.
Ami scostò tranquilla una sedia. «Mi fa
piacere se
state con me, ma non trascurate lo studio a causa mia.»
Rei la sostenne nel sedersi di nuovo.
«Priorità,
Ami.
Adesso per noi è importante starti accanto.»
Ami guardò il soffitto. «Ma sono noiosa
in questi
giorni; Non
è divertente stare con me. E poi... sto bene. Anche se
entrassi in travaglio, ci vorrebbero ore perché succeda
qualcosa. Avrò tutto il tempo di chiamare Alexander, voi,
mia
madre, i genitori di lui in America e persino Minako, prima di
andare all'ospedale.»
Sorridendo, Usagi tirò fuori una salvietta umida
dalla borsetta e
bagnò
la fronte di Ami. «Ecco, così stai più
fresca.»
«Non c'è l'aria condizionata?»
domandò Makoto.
«Mi sono dimenticata di accenderla. Fino a poco fa
si stava
bene.» Ami osservò mesta la finestra.
In quei giorni l'afa
cominciava a farsi sentire già alle dieci di mattina.
Nonostante
stesse per iniziare settembre, il caldo non se n'era ancora andato.
Makoto si era diretta a prendere il telecomando
dell'impianto
di condizionamento.
Rei guardò l'abbronzatura delicata di Ami.
«A Izu
hai
preso un bel colore.» Si picchiettò il braccio.
«Grazie a te, anche noi ci siamo goduti dei bei
weekend.»
Ami tornò con la mente a quei giorni.
«Sarei
rimasta là per il bel tempo che c'era, ma non
volevo
più stare lontana da Alex. Per lui era faticoso
affrontare
il traffico del fine settimana per venire a Izu.»
«Ma no» intervenne Makoto. «Due
settimane
lì
con te sono state poche anche per lui. Prolungare lo svago e il mare
gli ha
fatto bene.» Si guardò intorno. «A
proposito, perché stamattina non c'è?
È
sabato.»
«Non lo so» sbadigliò Ami.
«Stanno lavorando a
qualcosa di particolare. Ha detto che cercherà di tornare
prima
di cena.»
Usagi la guardava preoccupata. «Hai sonno?»
«Mi sono svegliata alle sei. Con questa luce mi alzo
a
quell'ora tutti i giorni, senza sveglia.»
Usagi fece una smorfia sofferente.
«Inoltre, devo sempre fare pipì. Non mi
ricordo
l'ultima volta che ho dormito per otto ore consecutive.»
Osservando la reazione costernata di Rei, Ami le prese la
mano.
«Non
preoccuparti. Queste settimane non sono semplici, ma la sensazione
che ne ricavi è unica.» Sgranò gli
occhi e si
sollevò.
«Eccolo! Guarda, senti!» Posò la mano di
lei sulla
pancia e senza chiedere ebbe anche quelle di Makoto e Usagi.
«Dove?!» Usagi era entusiasta.
«Dove sto tenendo la mano di Rei» rispose
Ami.
Sorrise quando sentirono entrambe un colpetto da sotto la pelle.
Non era la prima volta che Rei sentiva i movimenti del figlio
di Ami,
ma più passava il tempo, più si inteneriva.
Ormoni. «È il piede?»
«Sì. È forte, vero?»
«Tanto.» Meravigliata, ritrasse il palmo,
lasciando
che Usagi prendesse
il suo posto.
C'era una persona dentro il corpo di Ami, così
come
dentro di lei.
Ami non aveva smesso di guardarla. «Da un giorno
all'altro
dovresti sentire la bambina anche tu.»
«Ti è venuta qualche altra idea per il
nome?» le domandò Makoto.
«Ancora
no.» Era una scelta difficile. Non aveva ancora
sentito muovere sua
figlia, ma aveva una percezione di lei intensa, molto particolare:
sentiva l'essenza della persona che la sua piccola sarebbe diventata,
la
forza di lei e
il fatto stesso che, un giorno, sarebbe diventata una donna con un
potere di
preveggenza simile al suo. Più forte, temeva.
Voleva che la sua bambina fosse una creatura che non si
sarebbe fatta
intimorire dalla
propria natura. Voleva crescerla decisa e meravigliosa.
Non
aveva ancora un nome adatto a simili aspirazioni: non le sembrava che
ce ne fosse uno all'altezza. Aveva cominciato a guardare liste di nomi
in lingue diverse, spulciando significati, in cerca di qualcosa che la
attirasse. Yuichiro non era d'aiuto:
suggeriva nomi belli, ma troppo dolci. In fondo, a Rei non dispiaceva:
quella loro figlia avrebbe avuto bisogno di dolcezza per diventare una
persona sicura che si sarebbe sempre sentita amata. Non avrebbe avuto
un padre come il suo a farla sentire ripetutamente un peso nella sua
vita.
Ami le stava sorridendo. «Quando sentirai che si
muove,
potrai
dedurre la sua personalità. Magari sarà
più chiaro come chiamarla.»
Forse.
Notò Makoto, che dietro di loro era
rimasta in
silenzio e
che
solo in quel momento si stava avvicinando di nuovo alla pancia di Ami.
Con Usagi non dissero nulla. Quell'argomento era una sorta di
tabù, perché se di Usagi potevano dire che un
giorno - nel giro di
qualche anno - sarebbe arrivata Chibiusa, per Makoto c'era solo
la certezza che non avrebbe potuto avere figli con Gen. A prescindere,
probabilmente non ne avrebbe avuti per molto tempo.
Anche per questo a suo tempo Rei si era sentita male: era
stata lei a
dire a Makoto che cose simili non contavano, che si stava benissimo
anche senza figli. Lei e Yuichiro le avrebbero fatto da esempio,
poiché sicuramente non ne avrebbero avuti prima dei
trent'anni. Senza
volerlo, assolutamente senza programmarlo, si era smentita da sola.
«Eccolo qui!» Makoto scoppiò in
un
sorriso sentendo
sulla mano, attraverso il vestito di Ami, un piccolo colpo.
«Sarà un calciatore!»
Ami annuì felice. «Magari. Di certo gli
insegneremo
a nuotare.»
Commossa, Makoto si sedette. «Sono sicura che vi
somiglierà tanto, Ami. Avrà gli occhi di
Alex, il tuo sorriso e
i capelli di... Hm, facciamo un mix di tutti e due.»
«Anche a me piace immaginare queste cose!»
Usagi
saltellò sul divano vicino. «Per me
avrà i capelli
di Ami e una faccina che non si riconoscerà per niente
all'inizio, perché lui sarà bellissimo e
paffutello!» Arrossì
nell'accorgersi della sua gaffe. «Non lo dicevo
perché sei
grossa,
Ami!» Scattò a coprirsi la bocca con le mani.
Sorridendo, Ami sospirò. «Mako-chan, mi
aiuti ad
alzare le gambe su quella sedia?»
«Certo! Vuoi che ti faccia un massaggio ai
piedi?»
«Oh... grazie.»
Rei si sistemò accanto a loro, posizionando le mani
sulle
spalle
di Ami. Iniziò a muovere con delicatezza i pollici sui
muscoli
di lei. «Possiamo fare qualunque cosa per te.»
«Certo!» Usagi s riprese. Corse
alla sua
borsa e
tirò fuori un ventaglio. «Guerriere Sailor alla
riscossa!
Ti tratteremo come un pascià!» Iniziò a
fare vento
ad Ami, che scoppiò a ridere.
«Non preoccuparti. Si sta già diffondendo
l'aria fresca
del
condizionatore. Piuttosto, anche se fa caldo, possiamo comunque uscire
da qualche parte tutte insieme.»
Makoto era perplessa. «Sicura di volerti
muovere?»
«Sì. Magari più tardi, ma devo muovermi.
Stare ferma non fa bene né a me né ad
Adam.»
Rei si decise a essere schietta. «Ami, ma... tu come
ti stai
sentendo in questi giorni?» Voleva saperlo da amica e per
curiosità personale.
«Mi sento come mi vedete, ragazze. Sono un
pallone.» Zittì in anticipo la
loro protesta. «Mi sento piena fino a scoppiare; non
so come farò
ad arrivare fino alla fine. Temevamo che potessi soffrire di qualche
problema di salute, ma all'ultimo check-up la ginecologa ha confermato
che
sembro così grande perché Adam ha già
un buon peso
per lo stadio in cui si trova, e anche se non sono bassa, io ho un
tronco abbastanza minuto. Coincidenze, Rei, vedi? Magari la tua che
sarà una bambina sarà più facile da
portare.»
Tipo una borsa?,
pensò Rei, condividendo un sorriso segreto con Ami.
«A parte questo» continuò Ami,
«ho sempre
fame. Ho sempre voglia di andare in bagno. Voglio sempre dormire... Ma
quest'ultima cosa non è così male: in questo
stato mi sembra di
poter ascoltare i bisogni del mio corpo quando voglio e come voglio. Se
ho sonno,
semplicemente... dormo.»
In passato Ami non si era mai permessa di essere tanto pigra.
Ora invece era serena. «Mi è passata la
voglia di
cibi
specifici, per fortuna. Adesso mi va bene di tutto; mi è
persino venuta
voglia di provare cose nuove. E poi... be', anche se sono diventata il
doppio di me stessa, forse Alexander non lo pensa.»
«Certo che no.» Makoto non capì
la
ragione del commento.
Ami
guardò lei e le altre negli occhi prima di socchiuderli e
mordersi le
labbra. «Non vorrei che mi giudicaste troppo
sfacciata...»
«Ma figurati!» Usagi era già
curiosa.
Rei non se ne stupì. «Per
Usagi non
esiste una cosa del genere.»
Ami
aveva ancora dei dubbi. «È solo che... mi sono
sempre vergognata a
parlare di cose 'fisiche', però...» Si
accarezzò la pancia. «Da quando
c'è lui mi sembra che il mio corpo non sia più
una cosa tanto privata. E provo
sensazioni che... Vorrei parlarne.»
Usagi le prese entrambe le mani. «Sì, per
favore!»
Makoto era meravigliata. «Stiamo parlando di... sesso?»
Avvampando, Ami franò a terra con gli occhi.
«Oh, Ami, non ti vergognare! Tra donne possiamo
dirci
tutto.»
«Sì, sì!» le fece
eco Usagi.
«Vuoi che cominci io?»
Ami occhieggiò Rei in cerca di aiuto e Rei non si
tirò indietro.
«Ma se non sai neanche di cosa vuole
parlarci.»
«Ma
è facile! Di sesso in gravidanza, no?» Usagi si
sistemò compìta sulla
sedia. «Voi due dovete insegnarmi, sono curiosa! Faccio io le
domande!»
Rei non ebbe neppure il tempo di mandare avanti una protesta,
Usagi si era
già lanciata. «È vero che le sensazioni
diventano più
forti?»
Ami iniziò a giocare con le dita. «Ho
letto che
è diverso da persona a persona...»
Rei
capì il dilemma di lei: Ami voleva parlare dell'argomento,
ma essere la
prima ad affrontarlo, e con riferimento alla propria relazione, andava
oltre i suoi limiti.
Rei
capì di doversi sacrificare. «Sì. E no.
O almeno per me è così per ora.
Fino a qualche settimana fa non era cambiato niente, anche se c'erano
giorni in cui ero così scocciata che l'idea del sesso non mi
passava
nemmeno per l'anticamera del cervello. Ma da un mesetto a questa
parte...»
«Ah!» sobbalzò Usagi.
«Sei
diventata una maniaca?»
Rei
represse il rossore alle guance e sorrise con Usagi della battuta.
«A
giorni alterni. Il mio corpo segue la mia testa, o viceversa. Nei
giorni in cui non penso ad altro, le sensazioni sono davvero molto
più forti.»
C'era una cosa che voleva chiedere a quell'enciclopedia vivente che era
Ami. «Io sono solo agli inizi. È chiaro che
c'entrano gli ormoni, però
mi sembra di sentirmi già fisicamente diversa.»
Ami fu finalmente a
suo agio col discorso. «Il muscolo uterino comincia a
prendere
più massa.
L'aumentata vaso-congestione può amplificare le
sensazioni.»
Usagi stava aggrottando la fronte. «Cioè?
Siete
troppo tecniche.»
Sorridendo, Makoto sospirò condiscendente.
«Vogliono dire che, come durante certi periodi del mese, sono
più strette.»
Costernata, Ami si coprì gli occhi con le mani.
Rei
dovette deglutire il proprio ritegno per trattenerlo in sé.
«Non è solo
questo! È diverso quello che provo in tutto il corpo. Sembra
che
abbia più terminazioni nervose.»
Ami sollevò giusto un dito. «Se non stai
parlando del
seno, quelli probabilmente sono solo ormoni.»
«Uhi!»
Usagi era affascinata. «Mi sembra che descriviate come mi
sentivo
quando avevo quelle strane crisi pro-concepimento-Chibiusa. Mamo-chan
mi toccava e io mi sentivo un fuoco.»
Guardò sconsolata il cielo. «Come mi mancano quei
momenti.»
Makoto si divertì. «Ma se hai detto che
non potevi
controllarti.»
«Era questo il bello! Non lo apprezzavo abbastanza
mentre stava
succedendo. Cioè, lo apprezzavo, e molto vocalmente,
ma...»
Ridendo, Makoto le indicò di fermarsi. Ci
ripensò
dopo un momento. «Be', anche io sono vocale. A
volte.»
Rei ed Ami si scambiarono un'occhiata attonita.
Makoto non aveva intenzione di fermarsi. «Ci sono
posizioni
che sono davvero il meglio.»
Usagi stava scrutando Ami con occhi furbi. «Andiamo,
so che
vuoi liberarti e parlarne. A te non è mai
successo?»
«... sì.» Fu un mormorio.
«Coraggio, un passetto in più:
quando?»
Persino Rei non resistette dallo sporgersi verso Ami.
Lei
tremava, guardandole tutte come se fossero i suoi carcerieri.
«Quando...» Sprofondò nell'imbarazzo.
«Quando... con la bocca lui... su di
me...»
Usagi spalancò gli occhi. «Sì!
Ti
capisco, è normale! Esprimersi a voce aiuta
perché lui non ti
può sempre vedere in faccia.»
L'analisi tecnica spinse Ami ad aprire un occhio.
Usagi si batté piano il petto. «La vostra
Sensei-Usagi ha molta esperienza.»
«Ma smettila» sbottò Rei.
«Comunque questi discorsi mi sembrano troppo
dettagliati.»
«La
tua è solo finta vergogna! Da tutte le chiacchierate che
abbiamo
fatto quando
siamo da sole, so che a te piace da morire stare sopra, sotto, a
carponi, di lato...»
Rei le tirò una coda. «Ehi!»
Makoto non credette alle sue orecchie.
«Perché
questi cose non le dici mai a me, Rei?»
«Tu
non insisti abbastanza!» spiegò Usagi.
«Con Rei la tecnica è svelarsi
per prime! Poi lei si scatena a parlare di sesso peggio che in uno di
quei romanzi rosa che una volta ci hai prestato!»
Ami lanciò a Rei un'occhiata sghemba.
Rossa in volto, Rei mise le mani sui fianchi. «Io
sono una
persona passionale!»
«Io ti apprezzo per questo!» Usagi la
abbatté al suolo con
una pacca sulla
spalla. «Ami! Ma tu cosa volevi sapere? Non ci saranno
segreti tra noi
- e Minako, che naturalmente dovrà venire a sapere
tutto!»
Rei rimase seduta a terra, una mano sulla fronte. Anche Minako
sapeva
di lei?
Ami
cercò di rimettersi dritta. «Non è
che...
volessi sapere qualcosa. Volevo
parlare di...» Inspirando, si decise. «Be', con
questa pancia
mi sento sempre più
ridicola. Fino a che era piccola mi sentivo quasi più bella,
ma
ora... Eppure mi
piace davvero tanto avere relazioni di quel tipo in questi giorni.
È come se
lì avessi solo vasi sanguigni che... pulsano.»
Divenne porpora in viso.
«Però mi chiedevo se... Voi avete mai sentito che
lui non ha molta...
voglia?»
Makoto sollevò le sopracciglia.
Ami si incurvò nelle
spalle. «Ho dei dubbi perché non so distinguere
bene.
Alex fa molto piano -
chiaramente perché c'è il bambino - ma
prima non era così. Non so se
viene da me perché lo vuole, o perché sa che lo
voglio io. In questi
giorni farebbe tutto quello che desidero, anche sforzandosi.»
Makoto
era perplessa. Fu schietta. «Non succede praticamente mai,
ma quando
Gen non vuole - perché è troppo stanco - noi non
lo facciamo. Per un uomo è ovviamente
più difficile
costringersi.»
«Lo so. Dico che... Alexander lavora molto di
immaginazione.
Se vuole convincere la sua testa a fare qualcosa, ci riesce.»
Stiamo parlando
di 'testa'? meditò Rei.
Comprese il
problema. «Credi che non pensi a te durante quei
momenti?»
Ami sospirò. «Per via della pancia, non
riesco
più a guardarlo in faccia. Non possiamo stare uno
di fronte all'altra, perciò faccio fatica a
capire.»
«Ma
è assurdo!» Usagi disse quello che tutte stavano
pensando. «Non serve
il contatto di occhi per comprendersi, no? Lui non ti accarezza? Non ti
bacia sulle spalle, sul collo? Non dice il tuo nome?»
«Sì, ma...»
«Sono tutte tue idee, Ami-chan! Scommetto che ti
osservi allo
specchio e pensi che sei inguardabile!»
Rei si sorprese: quando Usagi voleva essere spietata...
Usagi
afferrò Ami per le spalle. «Sei rotonda, ma
è perché hai un regalo per
lui là dentro! Non posso credere che Alexander non la veda
in questo
modo. Inoltre...» Si allontanò, seria.
«Gli
uomini hanno una mente selettiva,
soprattutto quando fanno sesso. Vedono quello che vogliono vedere! Lui
non si sta immaginando te qualche mese fa o chissà quale
altra cosa che
ti è venuta in mente!» Infervorata, la
squadrò. «Starà pensando a
quella quarta di seno che ti è cresciuta sul
petto!»
Ami spalancò la bocca, mortificata.
«Seriamente, Ami-chan! A parte la pancia,
è la
prima cosa che noto quando ti vedo! Come stai facendo coi
reggiseni?»
«Prendo quelli pre-maman...»
«Nonono.
Sono tutti bianchi e di cotone! Comodi, certo, ma devi prenderne
almeno uno carino. Te lo regalo io! Devi bearti al massimo delle tue
qualità temporanee!»
Colpita, Ami iniziò a ridere.
Rei non
resistette e la abbracciò. «Ha ragione lei.
Comunque, in questi giorni
sei davvero carina, Ami. Hai la pelle più bella che abbia
mai visto.»
«È vero.» Makoto la
sfiorò su
un braccio. «Sei così morbida...»
Ami si rannicchiò su se stessa, contenta.
«Grazie.
Mi ha fatto bene parlarne con voi.»
Usagi era fiera di se stessa. «Si capisce. E appena
ti va di uscire, andiamo a
prenderti
quel regalo!»
Ami
provò ad alzarsi. «Mi è venuta voglia
di muovermi. Adesso.» Si appoggiò
a Makoto per tirarsi su. «Prima che arrivi il caldo di
mezzogiorno, coraggio. Se
ci coglie fuori, possiamo sempre mangiare in qualche
ristorante.»
Usagi fece brillare un sorriso. «Ti abbiamo fatto
venire
energia!»
«Sì.»
Ami si picchiettò la pancia. «Ne approfitto
finché ancora posso
camminare bene.» Scuotendo la testa, strinse il pugno.
«Ma presto
sarò di nuovo agile e
scattante! Girerò per la città da sola con
Adam!»
«Yay!» Usagi le fece battere il cinque.
«Così, si parla! Ragazze, andiamo!»
Mentre
Ami andava in camera sua a prepararsi, Usagi puntò Rei con
un dito. «Visto come funzionano bene i miei
discorsi?»
«Brava.»
«Se ti sentirai insicura, dovrai venire da me anche
tu.»
«Penserà Yuichiro a farmi sentire
sicura.» O lei lo avrebbe strozzato con le proprie mani.
«Buh» rifletté Usagi e
abbassò la voce. «Com'è che Alexander
lascia che Ami si faccia venire certe idee?»
«Sta per diventare un papà anche
lui» le
ricordò Makoto. «Avrà tante cose per la
testa.»
«Inoltre»
disse Rei. «Ho l'impressione che Ami avrà bisogno
di sentire discorsi
come questi tutti i giorni, fino alla fine.» Lei ne sapeva
qualcosa.
«Ormoni. Ti fanno venire strane insicurezze.»
Usagi si indignò. «Ma non avevi detto che
tu non
avevi problemi?»
«Usagi, io sono ancora nel pieno delle mie
facoltà. E se ho qualcosa da dire,
lascia che almeno ne parli a Yu, prima.»
«Ma poi ne parlerai anche con me, vero?»
Rei non riusciva a resistere di fronte a quegli occhi da
coniglietto.
«Certo.»
«Non posso saperti infelice.»
«Non sono infelice.»
«Non sei nemmeno un pochino depressa?»
«No» decretò Rei.
«Guarda che se mi nascondi qualcosa, lo
scopro.»
Rei la spinse via con un dito sulla fronte. «Tu non
hai idea
dei limiti personali, vero? Anzi, ce l'hai quando si tratta di
te.»
«Eh?»
«Makoto. Tutte le volte che non ci ha parlato dei
suoi mille
pensieri?»
«Hai ragione.»
«Ma quelle erano cose diverse!»
protestò
Usagi.
«Erano
cose importanti. Mi sa che attuerò questa tattica:
niente discorsi sul
sesso finché tu non parli di tutto. Crollerai in pochi
giorni.»
Ami era tornata in salotto e rise. «Parliamo mentre
camminiamo.»
«Ecco la borsa» Makoto gliela
passò.
Usagi danzò verso la porta. «Io sono un
osso
duro.»
Rei rise. «La vedremo.»
Sorridendo, uscirono tutte e quattro di casa.
FINE
NdA: Oh. Questa storiella mi piace. Se vi ha fatto venire
qualche pensiero, mi piacerebbe un mucchio sentirlo :)
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Ami (a due mesi) ***
Maternità 2
Maternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
2 -
Ami (a due mesi)
«Oggi vorrei fare un esperimento. Mi serve la tua
collaborazione.»
Sistemato nel seggiolino, immerso nella sua tutina gialla,
Adam la
guardò. Se qualcuno gli rivolgeva la parola, lui si
zittiva e ascoltava grave, gli occhi grigio scuro bene
aperti.
Ami gli fece vedere cosa teneva in mano. «Questa
è
una macchina fotografica. Guarda quanto è grande
l'obiettivo. Esce fuori, visto?» Lo avvicinò a lui
e Adam allungò le piccole mani per toccarlo.
«Ce lo hanno regalato per te» gli
sussurrò. «Può fotografare con grande
precisione soggetti in rapido movimento, incapaci di stare fermi. Cosa
ne pensi?»
Adam stava accarezzando l'oggetto misterioso, in un'accurata
esplorazione tattile.
Ami gli pettinò i capelli azzurri, sistemando di
lato una
ciocca che gli cadeva sulla fronte. «Vorrei fotografare i
tuoi primi sorrisi. Mi aiuti?»
Lui perse interesse nella macchina fotografica, emettendo un
grosso
sospiro che gonfiò per intero il suo piccolo petto.
«No!» si intenerì lei. Non lo
aveva mai
visto con un'espressione così mesta! «Cosa
c'è?»
Il suo bambino si era già distratto. Ora guardava
le
profondità della stanza.
«Vuoi che giochi coi pupazzi davanti a te invece di
parlare
tanto? Lo faccio presto, ma prima...» Agitò
rapidamente le dita sotto i calzini bianchi di lui, causandogli una
smorfia a metà tra sorriso e indignazione.
C'era qualcosa che non andava.
«Okay.» Lo prese in braccio.
«Sei di
cattivo umore?» Lo tenne stretto al petto mentre guardava
l'ora e ricordava. «Ah. È passato un po' di tempo
dall'ultima pappa.» Era possibile che ci fosse un problema di
pipì. Tastò il pannolino.
Sì, il peso era decisamente aumentato.
«Tutto a posto, ora sistemiamo.»
Camminò verso la stanza di lui, dirigendosi verso
il
fasciatoio.
Quando appoggiò Adam sul ripiano morbido,
lui
allargò di riflesso braccia e gambe, spingendola a dargli un
bacio sulla fronte. «Non preoccuparti, non cadi.»
Attenta a tenere le mani nelle vicinanze di Adam,
inquadrò
rapidamente cosa le serviva per cambiarlo. Salviettine, pannolino
nuovo, la crema... No, quella non c'era.
«Dove l'ha messa papà...?»
rimuginò. Aprì il primo cassetto sotto il
fasciatoio e trovò il tubetto immerso nella pila di
tutine.
«È un disordinato!»
accusò.
Comincio a ridere, affondando la faccia nello stomaco del suo bambino.
«Tu
ci rendi disordinati!»
Sollevò gli occhi per guardare Adam e vide che lui
accennava
a sollevare gli angoli della bocca, troppo incerto per continuare.
«Capito, basta.»
Sbottonò la parte inferiore della tuta gialla di
lui e gli
liberò le gambe, sollevando il tessuto fino ad avere libero
accesso a tutta la parte inferiore del suo corpo.
Ora
sarò
rapida. Nella stanza faceva freschino, appena finito
doveva alzare il termostato.
Sollevò le linguette laterali del pannolino,
tenendo
già pronto quello pulito. Sollevò le gambe di
Adam
bene in alto, usando il pannolino che indossava per pulirlo di
eventuali residui, che risultarono assenti.
«Bene» mugugnò. Quasi in
contemporanea
si liberò del pannolino usato e sistemò sotto di
lui quello nuovo, appena in tempo perché non- In aria
partì un fiotto.
«Ah!» Lo coprì appena in tempo.
Immobile, sorrise. «Lo fai apposta.»
Lui allargò le braccia sopra la testa, con tutta la
calma di
un neonato.
Cambiami.
Immaginando il comando, Ami si divertì.
«Eseguo.
Ma volevo pulirti meglio. Dici che riesco a...?» Prese una
salvietta umida e con attenzione la infilò dentro il
pannolino ancora aperto, pulendo a memoria il suo bambino.
«Sembra sia tutto a posto. Ora un po' di
crema.»
Coprendosi un dito d'unguento, ripeté l'operazione.
Nelle sopracciglia distese di Adam - uguali alle sue - scorse
una nuova
calma.
«Non ti piace sentirti bagnato, hm?»
Terminò di cambiarlo e chiuse la tutina gialla.
«Ora siamo a posto.»
Riportò Adam in salotto, dove aveva preparato la
luce giusta
per le foto che voleva fargli.
«In realtà...» Lo
risistemò sul
seggiolino.
«Ne vorrei solo una, ma dev'essere bella. Potremmo
usarla come
cartolina di auguri per l'anno nuovo. Manco poco, siamo
già a dicembre.»
Adam si stava mangiucchiando le dita. Sbadigliò.
Oh, no.
«Hai sonno?» Abbassò la voce.
«Dovrei lasciarti dormire.»
In risposta le palpebre di Adam iniziarono a calare.
Sospirando, Ami prese i ganci sul seggiolino e li
incastrò
con attenzione. Appoggiò seggiolino e bambino al suolo, su
un lato del divano, in un angolo in ombra.
Notando il movimento, Ale-chan - sdraiato sui
cuscini
- mosse
la coda folta e le lanciò un'occhiata annoiata, felina.
«So che non ti piace quando piange» gli
disse Ami.
«Ma ora si sta preparando a dormire. Non ti
disturberà.»
Sentì crescere nel petto uno sbadiglio e lo
liberò.
Gatto e bambino l'avevano contagiata.
Eppure erano solo le sei di sera e lei aveva pensato di
leggere un
po'
prima di-
Delle chiavi girarono nella porta d'ingresso.
Ami si prese del tempo per stiracchiarsi. Poi si mosse
lentamente, ma
non fece in tempo ad arrivare in corridoio: Alexander era
già entrato in salotto. Da quando era nato Adam, lui aveva
sempre fretta quando tornava a casa.
«Dov'è?» esordì.
In silenzio, lei gli indicò il punto dietro il
divano.
Lui la baciò velocemente sulla guancia prima di
fare il giro
del mobile.
«Ah, eccolo.»
Ami li raggiunse e sgranò gli occhi. Corse ad
afferrare la
macchina fotografica.
«Ride!» esclamò Alexander.
«Shh» gli disse lei, afferrando con
delicatezza il
manico sopra il seggiolino. Sollevò Adam, spostandolo di
nuovo sotto la luce. «Come hai fatto?»
sussurrò ad Alexander.
«Ho parlato» sorrise lui, poi entrambi
guardarono
increduli la bocca del loro bambino che si deformava in un perfetto
sorriso sdentato.
Ami provò uno scatto. «Di' di nuovo
qualcosa!»
Raggiante Alexander si rivolse ad Adam, solleticandolo piano
sulla
pancia. «Sei felice di rivedermi?»
Con le palpebre aperte a fatica, Adam rispose contento al
sorriso di
suo padre.
Ami scattò una decina di fotografie in mezzo
secondo.
Incredula, appoggiò di lato la fotocamera. «Look at that...»
Alexander stava baciando Adam sulla guancia. «Anche
tu mi sei
mancato.»
Lei si inginocchiò vicino a loro. «Quindi
sorride
a chi gli manca, non a chi lo cura tutto il giorno.»
Trovò un bacio sulla fronte del suo piccolo mentre lui
sbadigliava.
«Questa è l'ingratitudine di noi
Foster.» Alexander tirò su il seggiolino e lo
riportò nell'angolo in penombra accanto al divano.
«Diamo
per scontato chi ci sta vicino.» Ridendo piano, si
chinò verso di lei per un saluto più adeguato.
Ami chiuse gli occhi per immergersi nel loro bacio da grandi.
Staccandosi, sbadigliò in faccia ad Alexander.
«Ehi. Mi aspettavi per dormire?»
«No. Volevo leggere quello studio...»
Alexander picchiettò il divano vicino ad Adam.
«Domani ci sto io con lui. Puoi fare un salto in biblioteca
se vuoi.»
Senza dubbio, pensò lei.
Sentì lo stomaco gorgogliare. «Mi sta
venendo
fame.» Allattare era quasi peggio che essere incinta: non era
mai stata tanto affamata come nell'ultimo anno della sua vita.
Alexander si era diretto in corridoio. «Sei
fortunata.»
«Perché?»
«Ho comprato qualcosa di pronto da
mangiare.»
Volle inginocchiarsi ai suoi piedi. «In quel
ristorante?»
«Ah-ha.»
Quasi le vennero le lacrime agli occhi. In quei giorni amava
mangiare,
ma come sempre non aveva il tempo - o la voglia - di cucinare i piatti
elaborati che il suo stomaco le esigeva.
«Oh, love. Sei commossa?»
«Di questi tempi mi bastano degli involtini di
riso.»
Lui rise a basso volume e felice Ami gli prese di mano il
sacchetto col
cibo. «Per fortuna adesso non ingrasso.» Almeno
quello.
«Non eri grassa. Avevi lui
dentro.»
Ma sembrava ce ne fossero stati due di Adam dentro il suo
corpo.
Alexander cercò i suoi occhi. «Stavi
tremendamente bene.»
Insomma. «Lo dici solo perché ti
piacciono i seni
grossi
che mi sono venuti da allora.»
Alexander recuperò lo stoviglie. «Not answering that.»
Divertita, lei scoperchiò i vassoi in alluminio che
contenevano la loro cena. Il profumo le sconvolse il cervello.
«Hm. Più tardi potrei vedere un po'
di questa
lussuria?»
Lei tenne gli occhi bassi e scrollò le
spalle.
«Più tardi dormo. O leggo.»
«That
hurts.»
Ami sorrise. «O potrei ricompensarti per questo buon
cibo. Se
è davvero buono.»
«Il migliore. Provalo.»
Ami si godette il primo boccone e il silenzio della
casa, pacifico solo perché sapeva che Adam era
lì con loro e dormiva tranquillo.
Osservò Alexander, la sua presenza, il modo in cui
lui le
sorrise quieto di rimando.
«Magari riposiamo insieme prima che si
svegli» gli
disse.
«Certo.»
«Parliamo.» Le mancava qualcuno che non le
rispondesse con gorgheggi infantili.
«You
did miss
me.»
«A
lot.»
Lui le prese la mano sopra il tavolo, portandola alla bocca.
Le
baciò il palmo. «Appena finito, facciamo tutto
quello che vuoi.»
Forse lei voleva solo parlare, o dormire, o essere
abbracciata. Forse
aveva voglia di fare l'amore e addormentarsi, stremata di una
stanchezza buona.
Alexander sbadigliò a bocca aperta. Quella notte
lui si era
svegliato due volte per Adam.
Forse dormiremo,
pensò lei.
Sbadigliò nella propria testa, serena.
Ma
sarà un
buon sonno, per tutti e tre.
FINE
NdA: per questa storia e l'idea ringraziate il giorno di
pioggia. Spero che la storia vi sia piaciuta :)
Piccola traduzione di alcuni dialoghi in inglese.
Ami
"Look at that" - "Ma guarda un po'..."
Alexander
"Not answering that" - "A questo non rispondo"
"That hurts" - "Questo fa male."
Ami e Alexander
"You did miss me" - "Ti sono mancato."
"A lot" - "Tanto."
Elle
P.S. Ho aperto un gruppo Facebook dedicato alle mie storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Yuichiro e Rei (alla nascita di Iria) ***
Maternità 6
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
6
-
Yuichiro e Rei (alla nascita di Iria)
Si era aspettato di vedere qualcuno di
speciale e unico, dolcemente imperfetto. Una faccina rossa, il
naso schiacciato, gli occhietti gonfi,
la pelle
raggrinzita.
Aveva visto dei neonati - sua nipote, il figlio di Ami e
Alexander. Li
aveva trovati curiosi e buffi nel loro aspetto di piccoli guerrieri che
avevano combattuto la battaglia per la nascita. Gli erano parsi carini
come ranocchi indeboliti, per nulla simili ai bambini che si vedevano
nelle pubblicità. Si era detto che sua figlia
avrebbe avuto
quell’aspetto nei
suoi primi giorni.
Oh, dai geni di Rei sarebbe dovuta venire fuori una creatura
meravigliosa e delicata nei tratti, ma lui aveva contribuito per
metà a quel nuovo essere e… lui non era nulla di
che.
Qualunque cosa facesse, o creasse, aveva sempre un piccolo
difetto, un
errore. La perfezione non era cosa da Yuichiro Kumada.
Rei era eccellenza, lui la sufficienza con mezzo voto in
più
per l’impegno. Se c’era una cosa che era in grado
di fare, tuttavia, era rovinare il risultato perfetto di lei.
Aveva affrontato la questione in modo diretto con Rei, per sua
figlia.
«Se somigliasse di più a me?»
Lei aveva faticato ad accettare l’idea di diventare
madre, da
principio. Si sarebbe trovata molto meglio con una bambina bellissima,
che avesse soddisfatto tutte le sue aspettative.
Rei non aveva capito la ragione della sua domanda.
«Se
somiglia a te, somiglia a te.»
Lui si era toccato la faccia. «Non ho un bel
naso…»
«È un naso
normale.»
Ma stava meglio sulla faccia di un uomo.
«Se Iria-chan non fosse perfetta sin dal
principio…»
«Cosa stai cercando di
dire?»
Con Rei era impossibile girare intorno a una
questione. «Non dovrai essere delusa.»
«Non ho intenzione di esserlo.»
«Anche se non sarà carina come la
vorresti?»
«Mi hai preso davvero per una persona
superficiale. Con mia figlia, Yu?»
No. «Ho solo
paura che… tu possa guardarla come fai con me, a volte.
Roteando gli occhi al cielo, sospirando
rassegnata.»
«Quello è per il tuo
atteggiamento. Infatti lo sto facendo adesso.»
Come al solito
lui aveva affrontato male la questione. «Mi basta che non
pensi mai che lei avrebbe potuto essere più
bella.»
Rei non gli rispose, rimase a riflettere.
«Quindi… credi che sia quello che penso di
te?»
No. Sì. «Io non sono…
bello.» Non gli sarebbe sembrato strano se, ogni tanto, Rei
lo
avesse guardato pensando che avrebbe potuto avere molto di
più. Sarebbe stata solo la verità, ma non era
quello il punto.
«Sei stupido.»
Yuichiro si grattò
la nuca. «Non volevo parlare di me.»
«In
realtà lo stai facendo, anche se ci hai messo di mezzo il
nome di Iria.»
Interdetto, lui tardò a ribattere.
Rei era piccata. «Non ho lamentele sul tuo aspetto.
Quindi
non ne avrò per nostra figlia, fine del discorso.»
Quel giorno lei l’aveva lasciato solo e lui aveva
impiegato
tutta una sera per farsi perdonare.
Si era tranquillizzato per le aspettative di Rei, ma il fatto
rimaneva:
una bambina sua e di lei difficilmente avrebbe preso tutto dalla madre.
Forse giusto nel carattere, e questo Yuichiro aspettava con
trepidazione di
scoprirlo.
Settimane dopo, davanti alla culla nella stanza
dell’ospedale, era senza parole.
Iria aveva quattro ore di vita ed era… una
bambolina.
La pelle era già morbida e liscia, il
naso un
po’ schiacciato, ma piccolissimo e delicato. Lei aveva lievi
occhiaie di stanchezza per la prova appena superata, ma si
notavano solo le sue lunghe e folte ciglia. La bocca era la cosa
più carina, ben fatta e paffuta, rossiccia, con fossette sui
lati.
Iria era nata perfetta, più bella di qualunque
bambina lui avesse mai visto su una rivista.
Non gli somigliava e, incredibilmente, non sembrava aver preso
neppure da Rei. Lui non vedeva nessuno di preciso nei
tratti minuscoli del suo volto, solo lei stessa.
Facendo attenzione a togliere il flash, le scattò
un’altra fotografia.
Mise da parte l’apparecchio e appoggiò il
mento
sul bordo della sua culla.
Che stupido, davvero.
O forse no.
Forse lei era la prima cosa perfetta a cui avesse mai dato
vita. Un
insegnamento.
«Quindi sono capace anche io, hm?»
Parlò molto piano, per non svegliarla. «O
forse sbaglierò ancora, ma tu… Tu
non hai nessun errore, anche se sei nata da me. Non lo
penserò mai, per tutta la nostra vita. Te lo
prometto.»
«Non farle discorsi strani.»
Yuichiro si tirò indietro, sorridendo.
«Sei
sveglia?» Andò a prendere la mano di Rei.
Lei era devastata dalla stanchezza, ma lucida.
«Che le stavi dicendo?»
«Cose.»
Divertita, lei si tirò indietro sul letto,
sedendosi.
«Non muoverti tanto.»
«Sto bene.
Portamela.»
Lui fece scorrere le rotelle della culla verso di loro.
Inesperto,
impiegò un attimo a capire come prendere sua figlia.
«Ehm…»
«Non si rompe, tienile
la testa come ti hanno detto.»
«Va
bene.» Facendo molta attenzione, riuscì a prendere
Iria tra le mani.
Sentendosi sollevata, lei allargò le
braccia per riequilibrarsi. Emise un vagito di spavento.
Yuichiro la appoggiò subito tra le braccia di sua
madre.
«Shh» mormorò lei.
«Poverina,
lo so. È un bruto.»
«Ehm…»
«Tutti gli uomini lo
sono. Non lo fanno apposta.»
Yuichiro non disse niente mentre vedeva Rei che sistemava la
bambina la
braccia,
trovandole la posizione più comoda. Lei era cambiata: in
quei pochi gesti stava infondendo una tenerezza sconosciuta.
Rei accarezzò la tempia di Iria. In risposta lei
aprì gli occhi, per guardarla.
«Tuo padre non è così male,
però. Ho scelto bene, sai? Hai la sua
bocca.»
«Cosa?» Yuichiro si
allungò per vedere.. «No.»
«Sì. L’ho guardata su di te
abbastanza a lungo
da
riconoscerla.»
Lui provò a controllare meglio, ma non
notò nessuna somiglianza. Rei stava solo cercando di essere
gentile.
Si ritrasse.
Lei lo guardava. «Perché te ne stai
lì,
lontano?»
«Ecco…» Gli avevano
detto che una nuova madre aveva bisogno dei suoi spazi, di tempo.
«Abbracciaci.»
Lo fece subito quando vide Rei
piangere.
«Shh, no.
Perché?»
«Non lo so. Sono felice ma ho
paura.»
«Di cosa?»
Lei scosse la testa contro
l’incavo del suo collo. Sospirò e lui non le
offrì più parole, solo la propria vicinanza.
Iria si fece sentire con un pianto.
«È triste per te» disse a Rei.
Lei tirò su col naso. «Ha
fame.» Si
tirò indietro. «Ora vedo se ho capito come
attaccarla al seno.»
Yuichiro andò a prendere la sua sedia,
per sistemarsi vicino a loro.
«Se stai male, sono qui.»
Rei gli offrì
un sorriso stanco. «Non so che cos’ho. È
tutto nuovo, devo… abituarmi.»
Iria smise di gridare quando Rei se la appoggiò
contro il
petto. Lei trafficò per spostare di più il camice.
«Ti aiuto.»
Rei annuì e, dopo poco, la
loro bambina stava provando a fare la sua prima poppata.
Yuichiro trovò un ginocchio di Rei sopra le
coperte. Lo
strinse.
Lei prese un respiro. «Rimarrai sempre con me,
vero?»
«Sì» rispose lui,
sorpreso.
«Allora non avrò paura di niente.
Andrà
tutto bene, se sei qui.»
Tanta fiducia lo rese umile, immenso.
Cercò il volto chinato di Rei, per capire se lei
era ancora
in ansia. Ma il suo sorriso si era disteso.
Era bella, perfetta come la loro bambina.
«Stai per dire
qualcosa.»
«Hm…»
«Dopo,
va bene? Ora siamo impegnate.»
Distratto dalla gioia nelle parole di lei, Yuichiro
osservò.
E osservò ancora, la loro felicità, la
sua
famiglia, fino a che le palpebre non gli caddero sugli occhi.
Stremato,
riposò accanto a loro.
FINE
NdA: L'avevo in mente da un po'. Doveva finire con Yuichiro
che realizzava quanto troveva bella sua figlia, ma Rei mi ha imposto di
andare avanti :)
Spero che vi sia piaciuta.
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Usagi e Mamoru babysitter con Adam (cinque mesi) ***
Maternità 13
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi
appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e
della Toei Animation.
Usagi e Mamoru babysitter con Adam
Tornando a casa dal lavoro quella sera Mamoru ebbe una sorpresa.
Usagi spuntò nel corridoio con un salto, finendogli addosso. Gli
stampò un bacio sulla bocca. «Abbiamo un ospite!»
Lui provò a guardare oltre le sue spalle. «Chi è?»
«Non parla» lo informò Usagi.
Mamoru spremette le meningi. «È un animale?»
Lei scoppiò a ridere. «No! Ma si esprime a versi.»
Dubbioso, Mamoru la seguì in salotto. Squadrò rapidamente la stanza,
senza vedere anima viva. «È in bagno?»
Sua moglie ridacchiò e fece il giro del divano. «È proprio qui!»
Non sapendo cosa aspettarsi Mamoru si sporse oltre lo schienale.
Appena vide dei piedini che sporgevano da un seggiolino, capì. «Ah,
ciao.»
Adam Foster piegò la testa all’indietro, per scoprire chi aveva
parlato. Usagi lo prese in braccio, stringendolo contro il petto. «Ami
ce l’ha prestato!»
Mamoru fu sul punto di chiedere quanto sarebbe durato quel prestito,
ma si tranquillizzò subito: Adam aveva appena cinque mesi ed era
improbabile che i suoi genitori volessero lasciarlo con altri per tutta
la notte.
Usagi massaggiò il bambino sulla schiena, mentre Adam provava a girare
la testa sulla sua spalla. «Vengono a riprenderlo stasera, verso le
undici. Non è un amore?»
«Sì.» Mamoru si avvicinò per vederlo meglio, lievemente preoccupato.
L’ultima volta che Usagi si era presa cura di un bambino aveva avuto
bisogno del suo indispensabile aiuto. Certo, da allora erano passati
molti anni, ma…
Arrivò alle spalle di lei e riuscì a guardare il figlio di Ami e
Alexander faccia a faccia. Non riuscì a trattenere un sorriso: Adam era
davvero carino, con enormi occhi blu e guance paffute. «Ciao. Vuoi
venire in braccio a me?»
Estatica, Usagi glielo passò subito. Mamoru lo ricevette con cautela:
come aveva già notato, Adam ormai riusciva a tenere la testa dritta da
solo, ma a lui sembrava ancora molto fragile. Notando che stava scomodo
sospeso per aria, lo appoggiò su una spalla. «Come mai te lo hanno
lasciato?»
«Oggi raccontavo ad Ami del ristorante dove siamo andati insieme
l’altra volta. Ricordi? Volevo che lo provasse anche lei, ma mi ha detto
che con Adam le uscite serali in coppia sono una cosa a cui lei e
Alexander devono rinunciare per un altro po’.» Usagi fece il giro, per
guardare Adam in viso. «Questo patatino occupa tutto il loro tempo.
Vero, piccolino? Lo amano alla follia, ma credo che un po’ di tempo da
soli faccia bene a tutti e due. Così ho detto ad Ami che per stasera
potevamo prenderci cura noi di Adam.»
«Non hai insistito troppo, vero?»
«Perché dici così?»
«Magari non era pronta a lasciare suo figlio con estranei.»
«Ma quali estranei, io sono la sua zietta Usagi! Comunque... sì, Ami
era un po’ titubante. Ma quando me l’ha lasciato sembrava quasi che non
credesse di poter avere una serata completamente libera. Naturalmente,
siccome è lei, mi ha scritto un foglio di raccomandazioni lungo due
facciate.»
Mamoru sorrise, poi sentì una strana sensazione sulla spalla. «Cosa
sta facendo?»
«Oh, ciuccia la tua camicia! Per forza, guarda l’ora! Ha fame!»
Erano le otto di sera. «Non gli hai dato il suo biberon?»
«Prima devo dargli l’omogeneizzato che ha preparato la sua mamma.»
Mamoru seguì Usagi in cucina. «Usako, di solito i bambini mangiano
molto presto. Penso che tu abbia scombinato i suoi orari.»
«Be’ ma non ha pianto. Quindi non stava morendo di fame, no?»
«Ho sentito dire ad Ami che lo ha abituato a mangiare e dormire ad
orari precisi.»
Usagi raccolse un foglio dal tavolo, rimuginando. «Questo non c’era
scritto nelle istruzioni. Vediamo… ‘Dare l’omogeneizzato per cena’.
Vedi, non dice niente sull’ora.» Lesse più avanti e fece una smorfia.
«Massimo alle sette. Ihhh!»
Mamoru staccò il bambino dalla spalla, facendo attenzione a non tirare
troppo sulla bocca che ancora masticava la sua camicia. Appena poté
vederlo in faccia, notò l’espressione contrariata di Adam. «Povero, ti
stanno affamando.»
«Ma non ha pianto!»
«Niente scuse, Usako. Tira fuori quell’omogeneizzato.»
Lei trafficò velocemente in cucina. «Eccolo, è già pronto. Oh, mi
dispiace, Adamino!»
Mamoru rise piano. «Adamino?»
«Adam-chan suona strano. Mi mangio la emme quando lo dico.»
In effetti.
Mamoru si sistemò sulla sedia, facendo sedere il bambino sull’incavo
del braccio. Usagi aveva già pronto un cucchiaio di plastica per lui.
«Guarda cos’ho qui! Di’ ‘ahh!’»
Mamoru sospirò. «Manca il bavaglino.»
Usagi scattò in piedi. «Hai ragione, corro a prenderlo!»
Lui rimase da solo in cucina con Adam. Giocò coi suoi piedi,
piegandosi per vedere che effetto gli faceva la carezza. Adam sollevò la
testa verso di lui, offrendogli un sorriso contenuto, molto più maturo
dei suoi pochi mesi.
«Sei molto tranquillo» gli sussurrò Mamoru. «Come i tuoi genitori.»
«Uh.»
«Sì, proprio così. Sono calmi come te. Da poco è arrivata un’altra
bambina nel nostro gruppo, sai? Sarà tua amica quando crescerà, ma temo
che ti farà soffrire coi suoi pianti.»
«Ah-uhh.» Adam sollevò le braccia, per esplorare il suo viso. Mamoru
lo lasciò toccare, godendosi il momento.
«Eccomi!» Usagi era tornata di corsa. «Oh, siete già ridiventati
amici! Sapevo che non ti sarebbe dispiaciuto avere Adam qui. Ti
piacciono i bambini!»
Mamoru lo confermò con un cenno della testa. Usagi annodò il bavaglino
al collo di Adam. «Non riesco a credere di non avertelo mai chiesto, ma
perché ne sai tanto sui neonati? Volevo domandartelo tutte le volte che
ti ho visto insieme a lui, ma poi vedendo come gli sorridevi, mi
scioglievo e me lo dimenticavo.»
Mamoru si divertì. «Per la casa famiglia, no?»
Usagi fermò il cucchiaino pieno di cibo a mezz’aria. «Ospitavano anche
neonati?»
Mamoru annuì. «Per poco tempo.»
Adam si sporse in avanti, afferrando il cucchiaio con la mano e
rovesciandosi addosso il contenuto.
Usagi lo pulì rapidamente con un fazzoletto, mortificata. «Per fortuna
che ha un cambio.» Nutrì velocemente il piccolo, per evitare altri
disastri. Mamoru rimase a guardare la purea di verdure che spariva nella
sua piccola bocca.
«Ti occupavi dei bambini piccoli?»
«Solo negli ultimi tempi. Lo chiedevo io. Vedevo quanto fossero tutti
troppo occupati coi ragazzini più grandi, quindi se c’era da fare
qualcosa mi offrivo.» Accarezzò un braccio di Adam, beandosi della
morbidezza dell’arto minuto. «Davano i neonati a noi come soluzione di
emergenza. I bambini molto piccoli venivano adottati presto, perché c'è
molto richiesta per loro. Quelli un po’ più grandi - da uno a due anni -
a volte rimanevano per un paio di mesi. Cercavo di non affezionarmi,
anche se era difficile.»
Usagi lo ascoltava in silenzio.
«Era ancora più complicato coi bambini che potevano già parlare.
Siccome ero il più grande, mi chiamavano fratellone.» Per un momento,
gli si chiuse la gola. «Ne ho salutati almeno… quindici, venti. Ero
contento che avessero trovato una famiglia, ma verso la fine mi sentivo
come se continuassero a venirmi portate via le uniche persone a cui mi
affezionavo.» Guardò Adam, contemplandolo. «Non so perché mi
affezionassi di più ai bambini. Forse perché non mi chiedevano niente.»
«… sul tuo passato?»
«No, su… tutto. Non pretendevano da me nulla che non volessi dargli. E
quando giocavo con loro, tornavo piccolo anche io. A volte mi sembrava
di ricordare cose che avevo fatto quando ero stato bambino come loro.»
Smise di parlare e notò che Usagi si era fatta silenziosa mentre
nutriva Adam. Lui si agitò tra le sue braccia, sollevando le gambe.
«Ahh-uh.»
«Vuole altro cibo» disse piano Mamoru.
Usagi si risvegliò. «Oh… l’omogeneizzato è finito. Passo al biberon.»
Mamoru controllò la situazione del bavaglino, poi usò la parte pulita
del tessuto in spugna per pulire la faccia di Adam. Si avvicinò al
lavello per lavarlo con dell’acqua. Durante l’operazione gettò
un’occhiata a Usagi. Lei era mesta.
«Usako… sono cose che non ti ho raccontato finora proprio per non
vedere quella faccia.»
Lei tirò su col naso. «È una storia così triste!»
«Ma io sono felice adesso.»
«Mi fai venire voglia di avere Chibiusa subito!»
«Ehm... Sarò molto contento quando arriverà, ma adesso sto lavorando
troppo per potermi dedicare a lei. Abbiamo già poco tempo per noi, no?»
Usagi lo raggiunse, appoggiandosi alla sua spalla per abbracciarlo. «È
vero, ma lei ti farebbe ancora più felice. Tu ti meriti tutto l’amore di
questo mondo, Mamo-chan.»
Intenerito, Mamoru si voltò per abbracciarla.
«Ahi!»
«Che c’è?»
Usagi staccò una manina di Adam dal suo braccio. «Mi ha pizzicato!»
«Ahh!» protestò Adam. Il suo non era un pianto, bensì un vocalizzo di
rabbia.
Mamoru rise. «Non gli stai dando il suo biberon!»
Usagi strofinò il naso contro il bambino. «Sei vendicativo.
Carinissimo, ma cattivello! Questo l’hai preso dal tuo papà!»
Mamoru non ne era sicuro. «Ami è molto decisa quando vuole qualcosa.»
Usagi si impegnò nella preparazione del latte in polvere. «Sì, ma
Ami-chan è molto gentile di natura.»
«È una facciata» disse Mamoru. «Cioè, è gentile, ma ora che la vedo in
questa famiglia che si è costruita, mi sembra più…»
«Autoritaria?»
«Sì. Autoritaria e arrendevole.» Avrebbe dovuto essere un controsenso,
ma non era così.
Usagi capiva cosa lui stava cercando di dire. «Ami comanda Alexander a
bacchetta quando si tratta di Adam. Ma quando Alexander si decide a dire
qualcosa, lei gli dà subito ragione. Gli si affida.»
Era una buona cosa per Ami. Mamoru girò suo figlio tra le mani,
sollevandolo in aria per avere i suoi piedini all'altezza della bocca.
Li mordicchiò piano, cercando di guadagnarsi un sorriso. «Non ero sicuro
che fosse una buona idea per loro avere un bambino così presto, ma si
stanno gestendo bene.»
«Già» concordò Usagi. «Adesso vedremo come se la caveranno Rei e
Yuichiro. Iria sembra molto più peperina di Adam. Oh, cosa fai?»
Aveva notato come lui stava tenendo il piccolo. «Cerco di farlo
ridere, ma è un duro!»
Usagi corse verso di loro. «Anche io, anche io! Me lo mangio di baci!»
Adam scelse quel momento per urlare.
Mamoru lo riportò rapidamente contro il petto. «I nostri giochi non
gli vanno a genio.»
«Buh! Prima me lo ha fatto qualche sorriso!»
«Col suo latte abbiamo qualche speranza.»
Usagi tornò di corsa a prepararlo.
Mamoru accarezzò Adam sullo stomaco. «È questo che vuoi? Latte, il
latte?»
Adam sollevò gli angoli della bocca.
«Ah! Ci vuole la parola giusta per farti sorridere!»
Usagi era sorpresa. «Dici che capisce già?»
«Certo. Latte, mamma, papà. Nanna, pappa, bagno… Concetti chiave come
questi sono comprensibili anche da bambini così piccoli, se ripetuti
tante volte davanti a loro.»
Adam produsse un grande sbadiglio.
«Vedi? Vorrebbe già andare a dormire.»
Usagi saltellò sul posto. «Non mettermi fretta! Latte in arrivo!»
Mamoru condivise col piccolo le sue impressioni. «La zia Usagi non ha
molta esperienza. La prossima volta chiederò che ti lascino con noi un
pomeriggio, quando ci sarò anche io fin dall’inizio. Sarai trattato come
si deve.»
Usagi non se la prese. «Allora lo vuoi di nuovo?»
«Certo.»
«Magari con Iria!»
Mamoru sospirò. «La vicinanza a tutti questi bambini ti sta facendo
male, Usako.»
«Tirano fuori il mio istinto materno! Vorrei circondarmi di neonati!»
«Questo bambino è un’eccezione. Invita Iria a casa nostra, tra qualche
mese, e ti passerà la voglia di avere un neonato accanto giorno e
notte.»
«Dici che sono così terribili?»
«Quando vogliono qualcosa e gli adulti non capiscono cos’è, sì.»
Adam iniziò a tremare, stringendo forte il tessuto della sua camicia.
«UaaaaaaaaaAHHHHHHHHHH!»
Ecco, pensò Mamoru. Peggio della sirena di un’ambulanza.
Usagi quasi fece cadere di mano il biberon. «Arrivo, è pronto!» Lo
infilò in bocca al piccolo, appena prima che partisse un altro urlo.
Nel silenzio della poppata, lui e Usagi si scambiarono uno sguardo.
Mamoru parlò a bassa voce. «Questo è niente.»
Usagi tirò fuori la lingua. «Non mi scoraggerai! Zia Usagi è pronta ad
andare in soccorso di mamme stressate!»
Mamoru fece spallucce. Finché non si stressava lei…
Tenendo in braccio Adam, calibrò il biberon in modo che non gli
uscisse di bocca, poi si alzò e uscì dalla cucina.
«Non vuoi cenare?» gli domandò Usagi.
«Prima lo faccio dormire.»
Una volta in salotto udì un sussurro, in lontananza - qualcosa che
suonava come ‘bravissimo papà’.
Sorridendo, si sistemò sul divano, sollevando i piedi sul tavolino.
Per ora era un bravo babysitter e... gli andava bene così.
Appoggiò un baciò sulla testa di Adam Foster e accese la tv, per
guardare il telegiornale.
Usagi e Mamoru babysitter con Adam -
FINE
NdA: Quando l'ispirazione chiama, Elle si fa trovare (e parla in terza
persona :D).
Fatemi sapere che ne pensate di questo pezzo!
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon,
Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Yuichiro e Iria (con Rei, ai cinque mesi di Iria) ***
Maternità 9
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon
non mi
appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko
Takeuchi e
della Toei Animation.
9
- Yuichiro e
Iria (con Rei, ai cinque mesi di Iria)
«La tieni sempre in braccio.»
Per Yuichiro era impossibile non farlo. Appoggiata alla sua
spalla Iria era comoda e felice, le gambine paffute ben sistemate
nell’incavo del suo gomito, la schiena forte e sempre
più dritta nonostante i cinque mesi di età. Lei
adorava esplorare il mondo dall’alto e ogni tanto lui doveva
fermarla perché non si buttasse in avanti, intenta
com’era a cercare di toccare qualunque cosa catturasse il suo
interesse. «Le piace stare quassù.»
«Certo che le piace» sospirò
Rei, infilando una camicia. «Ma io non posso tenerla tutto il
tempo in quel modo. Inizia a pesare.»
«Anche con quella fascia che te la stringe al
petto?»
«Yu.» Rei si fece seria.
«Dobbiamo insegnarle a essere autonoma.»
Ma era così piccola.
«Anche il nonno inizia a lamentarsi. Iria piange
appena lui la mette giù.»
«Il passeggino non la calma?» Col maestro
si trattava praticamente della stessa altezza.
«Iria vuole il calore del petto.» Rei
indicò con un cenno del mento il modo in cui lui la teneva
stretta.
«Chissà come mai.»
Sì - ammise Yuichiro - era colpevole. Ma Iria si
sentiva al sicuro
quando la prendeva in braccio. La stretta delle sue piccole mani
che
si aggrappavano ai vestiti era rassicurante per entrambi.
Sentendosi osservata, lei girò la testa e sorrise
d’istinto nel rivederlo. Prima ancora che Yuichiro si fosse
sciolto
come neve al sole, dalla gola le uscì uno di quei
piccoli suoni
allegri, da neonata.
«Ehi!» Premette la fronte contro la
sua, chinandosi per baciarle
la guancia rosa, dal sapore gustoso. «Ti piace stare in
braccio,
vero? È una bella giornata, ti porto fuori!»
«Coprile il collo.»
«Ma fa caldo.»
«Tira vento. Non ho detto di usare una sciarpa,
fa’ solo in modo che
non prenda aria alla gola.»
Rei si preoccupava troppo. Iria aveva ereditato da lui la
costituzione
resistente e l’amore per le basse temperature. «Va
bene» le disse comunque, «creerò un
foulard con qualcosa.
Oppure» si illuminò, «posso
comprarlo!»
Rei alzò gli occhi al cielo. «Con me non
avevi questa mania di
spendere.»
Non era vero. «Ti ho comprato un sacco di cose
quando eri incinta.»
«Solo perché c’era
già lei di mezzo.» Rei scrollò le
spalle, ma Yuichiro
intuì la serietà dello scherzo.
Le andò vicino, con Iria in braccio.
«Guardala. Ha i tuoi occhi.» Non
il colore, ma il taglio era identico, aggraziato e incredibilmente
dolce
in un viso così diverso da quello di lei, piccolo e
infantile. Lui non
aveva mai visto una bambina più bella, o con un sorriso
più grande
quando la si faceva felice.
Rei abbandonò il suo finto disappunto con una
smorfia intenerita. Si
sporse in avanti, per dare un bacio delicato a Iria. «Torno
più tardi,
okay? Non dimenticarmi anche se stai tanto con
papà.»
«Sei la sua preferita.»
«Che bugia.»
Yuichiro fece fare un saltello a Iria, sistemandola sul
braccio. «Lei
è come me. Ti adoriamo da lontano, e quando ti abbiamo
vicino
l’emozione
è tanta che non sappiamo cosa fare.»
Rei stava scuotendo la testa, divertita.
«Non hai ancora capito com'è lei,
hm?»
Come sempre, per lui fu magico vedere il nuovo incontro di
sguardi tra
Iria e Rei. Con un passo indietro lei tornò dalla loro
bambina, per
sussurrare qualcosa al suo orecchio. Iria si gettò
tra le
sue braccia.
«Sì» disse Rei sorridendo, poi
con un ultimo bacio alla tempia di Iria
e una carezza ai capelli castano scuro, la riportò
in
equilibrio su
di lui. «A più tardi, a tutti e due.»
A lui offrì una carezza del braccio, ma Yuichiro
la trattenne per la
mano. «Ha il tuo spirito.»
«Lo dici pensando a quando urla.»
No, lo diceva perché era sicuro che Rei fosse
stata uguale da piccola,
avventurosa e desiderosa di qualcuno che le donasse tutta
l’attenzione
di cui aveva bisogno.
Comunque, l'ironia di Rei aveva un significato. Era il modo
in cui lei aveva
imparato
a comunicare bisogni che sentiva di non poter esprimere a voce.
«Oggi giocherò con Iria tutto il giorno,
così quando torni sarà stanca
e potremo stare da soli io e te.»
Rei tirò su la cerniera della gonna.
«Yu... non sono gelosa.»
Al posto suo lui lo sarebbe stato, se non si fosse sentito
tanto libero
di esprimere quello che provava. Lui e Iria si comprendevano talmente
bene
che di tanto in tanto Rei era esitante a entrare nel loro cerchio. Lei
non sapeva se era la madre che cercava di essere, e quella che Iria
poteva
adorare. Inoltre, il cambiamento nelle loro vite - il fatto che non
fossero più in assoluto le persone più importanti
l’uno nella vita dell’altra -
l’aveva un po’ destabilizzata.
A volte, quando pensava di non essere vista, Rei abbracciava
Iria con
un’intensità che lui riconosceva, quella che
sembrava chiedere, ‘Amami
disperatamente, come ti amo io.’
Era un sentimento che poteva esistere tra lei e la loro
bambina, tra
lui e Iria, tra loro due, come e più di prima. Rei provava
talmente tante cose tutte insieme da non sapere ancora come gestirle.
«Perché questo silenzio?» Lei
aveva terminato di allacciare la
cintura.
Yuichiro sorrise. «Non sei gelosa, sono io che
sento la tua mancanza.
Troppe lezioni all’università.»
«Istruirmi mi aiuterà a
mantenerti.»
Sorrisero insieme, poi Rei fece un passo verso la porta, il
respiro
che si bloccava per un sentimento che lei stava cercando di frenare.
«Più tardi sarò felice di passare la
serata con te. Anche se stessimo
tutto il tempo a guardare lei.»
«Ho altre idee.»
Il rossore di Rei fu inaspettato. «La amo, Yu. Ti
amo.»
Lui fece per raggiungerla, ma Rei uscì in
corridoio. «Niente baci, o non esco più
di casa. Ci
vediamo!»
La sua felicità fu così grande che
valse quanto mille contatti fisici.
Rimasto solo, Yuichiro guardò Iria con un sospiro.
Lei era rimasta
tranquilla e silenziosa durante la loro conversazione.
«Mi piace quando la tua mamma fa così,
sai? Ma le fa male non essere
certa di poter fare tutto quello che vuole con noi due. Colpa del suo
papà,
che era cattivo. Per questo» prese un polso di sua figlia,
«farò di
tutto perché tu sia sicura che ti amiamo tanto, anche quando
piangi.»
Agitò la mano di lei, con Iria che guardava incuriosita il
movimento. «E
ti prenderò in braccio più a lungo che posso,
promesso. Nessuno mi fermerà. Sei
d’accordo?»
Iria rise. «Yah!»
Per Yuichiro fu un sì.
FINE
NdA: spero di aver reso bene quello che volevo trasmettere.
Ho sempre pensato che per Rei la transizione a madre non
sarebbe stata
facilissima, per il carattere di lei che ho descritto in tutta la mia
saga. Naturalmente in questa storia ho dato solo brevi anticipazioni di
questo, ho ancora tanto da dire.
Questa fanfic è nata pensando a Iria e Yuichiro
insieme, perciò è
stato bello poterli ‘vedere’ così.
Sarei felice di sentire cosa pensate di questa one-shot :)
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato
alle mie
storie: Sailor
Moon,
Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Iria VS Adam (lei cinque mesi, lui otto) ***
Maternità 10
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
10 -
Iria VS Adam (lei cinque mesi, lui otto)
Il giocattolo era rosso. Stava per terra, vicino. Era bello,
brillante.
Lei voleva prenderlo!
Provò a gattonare. Non riusciva a muoversi bene da
sola e
urlò.
Sentì una carezza sul pannolino. Mamma. La mamma
era vicina.
Era brava e capì subito dove lei voleva essere messa.
«Hai visto? Tra non molto inizierà a
spostarsi da
sola.»
«Da un giorno all'altro, vedrai. Con quella gonna
sarà
così carina mentre si muove. Dove l'hai presa?»
«È stato Yu. Non fa che comprarle cose.
L'altro
giorno sono dovuta
tornare indietro a cambiare una magliettina perché lui ne
aveva presa una uguale.»
Le mamme ridevano.
Iria arrivò al giocattolo con la mano, toccandolo.
Ah, era
duro! E liscio, non era facile prenderli quando erano così.
Ma le piacevano tanto, avevano un buon odore.
«Le interessa il camion dei pompieri.»
«Già. La madre di Yu le ha regalato
qualche
giocattolo
vecchio stile... Sai, bambole, orsetti, sonagli... Sono molto belli e
adatti alla sua età, ma non le interessano. Lei
vuole cose di plastica.»
«I colori accesi attirano i bambini. Anche Adam
è
così, per questo gli ho preso quel camion.»
Il giocattolo non si lasciava abbracciare, pensò
Iria. Era
grosso e scivolava dalle mani. Ma lei ce l'avrebbe fatta!
Provò a mettere le dita sulle parti grigie e
rotonde. Oh, si
spostavano? Era quasi riuscita a sollevare tutto il giocattolo quando
lo sentì cadere per terra. Qualcuno lo aveva spinto via.
Iria alzò gli occhi. Bambino azzurro.
«Adam.» La mamma di bambino azzurro lo
accarezzava sulla
testa. «Lascia
giocare Iria-chan. Vuole solo guardare il tuo camion. Scusa, Rei,
ancora non ha imparato a condividere.»
«Figurati. Iria non può vedere qualcuno
che tocca
qualcosa
che crede suo. L'altra volta, per esempio...»
Bambino azzurro non ascoltava più la sua mamma,
guardava
fisso lei, sfidandola.
Lui era il suo nemico. Piangeva quando lo faceva lei, solo per
avere
l'attenzione dei grandi. Ma loro dovevano pensare a lei, lo facevano
sempre - tranne quando c'era lui.
La volta che Iria lo aveva visto in braccio a papà
non aveva
creduto ai suoi occhi. Solo lei poteva stare lì in alto!
Aveva pianto tantissimo.
E ora bambino azzurro non la lasciava
giocare. Perché
era così cattivo?
Iria si buttò sul giocattolo. Era suo, lo aveva
visto prima
lei!
Bambino azzurro la toccò su un braccio. Poi... poi
la coprì con tutto il corpo!
Pesava!
Così il petto le faceva male!
Iria urlò.
«Adam!»
Bambino azzurro venne tirato via, ma Iria pianse
più forte.
Era stato bruttissimo!
«Shh, va tutto bene.»
Si abbracciò al petto della mamma, che l'aveva
presa.
Perché era successa una cosa così
brutta?
«Adam, no!»
Iria si voltò. La mamma di bambino azzurro aveva
usato una voce
cattiva con lui.
«Non si fa!»
Iria nascose la faccia contro la sua mamma. Basta, voleva
andare
via.
«Non mi sembra pentito.»
Perché la mamma era allegra?
«Non ha capito. Però non può
fare
così
con gli altri bambini.»
Iria si sentì sollevare. La mamma si era messa in
piedi.
«Si stanno annoiando. Usciamo, su. Li mettiamo nel
passeggino,
così almeno hanno qualcosa da guardare e si
distraggono.»
«Hai ragione.»
Stavano andando via. La mamma aveva messo sulla spalla la
sacca, quella che prendeva sempre quando uscivano. Che bello, tornavano
a casa!
«Rei, puoi guardare Adam un attimo? Per uscire devo
prima-»
«Certo, vai.»
Quando si inginocchiarono di nuovo sul tappeto, Iria
urlò. Lei non voleva più vedere bambino azzurro!
«Ehi, calma. Adam non l'ha fatto apposta, vero? Hai
preso il
suo giocattolo.»
Iria scalciò. Voleva tornare a casa!
«Basta, su.» Una mano la
accarezzò sulla schiena. «Non puoi fare
così, Adam è tuo amico. Non gli
piace sentirti piangere.»
I baci sulla guancia erano belli. Iria ne ricevette un altro e
si sentì meno triste.
Si voltò verso la mamma, ma lei non la
stava
guardando. Faceva qualcosa con la
mano.
Perché giocava con bambino azzurro?!
Iria gridò.
«Okay, okay!» Tornarono in
piedi e Iria si lasciò cullare. Gli abbracci di mamma erano
solo per lei.
«È stanca?»
«Sì, stanotte non ha riposato bene.
Durante la
passeggiata si addormenterà.»
«Povera Iria-chan.»
La mamma di bambino azzurro la accarezzò sulla
fronte. Era buona, come tutti i grandi.
«Sei distrutta anche tu, vero, Rei?»
Iria sentì che il petto della mamma si sollevava e
lei
faceva quel suono... Iria aprì la bocca nello stesso modo.
«Oh. Sta sbadigliando come te!»
La sua mamma rise. «Andiamo, prima che mi addormenti
qui. Mi
era venuta la tentazione...»
La mamma di bambino azzurro si mosse verso un passeggino. Era
blu, bello. Stavano per uscire...
«Lasciami Iria uno di questi giorni. Un pomeriggio,
anche solo
per darti il tempo di dormire.»
«Sei troppo gentile, Ami. Ma in casa
possono
aiutarmi in tanti...»
«Non è la stessa cosa, no? Se sei
lì e
la senti piangere, non riesci a riposare.»
«... già.»
«Tu mi hai tenuto Adam. Voglio ricambiare.»
«Ma tuo figlio è un angelo. È
così facile curarlo, non fa mai i capricci.»
Le voci delle mamme erano come canzoni...
«Adam sa con chi farli. Ma è vero, con
gli estranei
è tranquillo.»
«Iria non è una bambina
semplice. »
«Ha il suo carattere. Io la trovo molto dolce. Vuole
solo attenzione.»
«Se hai voglia di una sfida...»
La risatina della mamma di bambino azzurro la fece
addormentare.
«Non preoccuparti, lasciamela quando vuoi. Vorrei
che lei e Adam interagissero il più possibile.
Farà bene a entrambi.»
«Hm... Va bene, uno di questi giorni
sfrutterò la tua offerta. Ora usciamo. È una
bella giornata.»
«Vieni, Adam. Andiamo nel passeggino.»
«Ehh!»
Uscivano, che bello! Col passeggino lui si muoveva da solo,
senza stare in braccio a nessuno. Ormai era grande!
Oh, veniva anche la mamma dai capelli neri?
Con quella bambina.
... perché?
Non aveva mai sentito nessuno urlare come lei.
«Mi osservi?» disse la mamma dai capelli
neri, sorridendo.
Era una brava adulta, ma quella bambina... Quando
veniva a
trovarli non poteva lasciarla a casa?
Era fastidiosa.
La mamma sorrideva. «Ha uno sguardo molto intenso,
vero? Sembra che voglia dirti mille cose.»
«Wa-wa-waaa...» Non svegliarla, o si mette a
piangere.
Invece di comprenderlo, le mamme si misero a ridere.
Rassegnato, Adam si lasciò allacciare nel
passeggino.
Le cose che doveva sopportare...
«Non fare quel faccino. Stiamo per andare in strada,
su!»
Oh, sì! Strada! Case, macchine, persone...Tanti
colori e forme!
La mamma lo baciò sulla fronte. «Sei un
bravo bambino.»
Sì, lui era sempre bravissimo!
Il passeggino si mosse, per portarlo verso nuove cose da
esplorare.
Adam saltellò per la felicità.
FINE
NdA: Hehehehe. Ispirazione fulminante, ho dovuto seguirla.
Come forse avrete notato, per questo episodio ho preso
spunto dal discorso che Ami faceva ad Alexander nel capitolo 7 di
questa raccolta. Iria è un personaggio a cui avevo
già dato voce in uno spoiler pubblicato solo nel gruppo
Facebook. E' stato troppo divertente usare di nuovo il suo punto di
vista :) Invece, questa è la prima volta che do vita ai
pensieri di Adam.
Ho riso tanto nello scrivere questo pezzo, spero che per voi
sia stato altrettanto bello leggerlo :)
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Adam, Ami e Alexander (agli otto mesi di Adam). ***
Maternità 6
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
7
-
Adam, Ami e Alexander (agli otto mesi di Adam)
Non era semplice imporre qualcosa a suo figlio. Lui aveva gli
occhi
grandi di sua madre, lo stesso sguardo da cerbiatto indifeso che
chiedeva, ‘Perché mi fai questo?’
Ma Alexander era determinato. Non avrebbe permesso ad Adam di
commettere gli errori di Ami: negarsi i piaceri della vita, ritardando
l’inevitabile, non era cosa da creature intelligenti come
loro.
«Apri la bocca, su. Ah-ham.»
Le piccole labbra di lui rimasero sigillate. Seduto sul
seggiolino Adam
lo fissava imperturbato da sotto la frangia azzurra, deciso a non
gustare il contenuto del cucchiaino in plastica. Aveva cambiato
atteggiamento da qualche giorno: ogni volta che arrivava
l’ora di cena nutrirlo era una battaglia.
Alexander gli sventolò il cibo sotto il naso.
«Non
senti che buon odore?»
Più avvicinava il cucchiaio, più Adam si
ritraeva. A otto mesi non piangeva né si lamentava quando
non voleva fare qualcosa: imponeva la sua volontà col
silenzio.
«Allora lo mangio io.» Alexander fece
volare il
cucchiaio verso la propria bocca, deviando all’ultimo minuto
verso il piatto di minestra. Raccolse il cucchiaio più
grande che vi aveva posato dentro e mangiò da quello.
Il cibo era davvero buono. «Io ho fame»
sorrise a
suo figlio, sperando di ispirargli pietà. «Se tu
adesso mangi, poi io e la mamma ceniamo tranquilli.»
«Da quando le suppliche funzionano?» Ami
arrivò sul tavolo con due scodelle fumanti.
«Lasciamo che faccia il testardo. Finché non
piange…» Scrollò le spalle e
passò ad Alexander una porzione di katsudon.
«Intanto mangiamo.»
Alexander abbandonò a malincuore la minestra,
rivolgendo un
ultimo sguardo a suo figlio. «Non cresci se non
mangi.»
Lui si era appoggiato in avanti sul seggiolone, per studiare i
disegni
della tovaglia.
«Ba-ba-ba…»
Era un bambino curioso, troppo sveglio per la sua
età.
Lui ed Ami avevano iniziato coi primi due bocconi della loro
cena
quando Adam si espresse in una protesta vocale.
«Ora lo vuoi, eh?»
Ami spostò dalla propria parte la minestra.
«Faccio io.» Si mosse con la sedia vicino al loro
bambino. «Allora? Adesso lo mangi questo cibo
buonissimo?»
Adam tornò incerto, scrutando con attenzione il
viso di sua
madre.
La voce di lei era musicale. «Certo che lo mangi!
Così mamma è felice, papà è
felice… e tu hai il pancino pieno!»
Ami fece volare in un cerchio tortuoso il cucchiaio di
plastica fino ad
Adam, ma lui si scostò di nuovo, questa volta con un sorriso.
«Si è fatto furbo»
commentò Alexander.
Ma Ami non era
preoccupata. «Se faccio le smorfie giuste, non mi
resiste.» Come un pesce iniziò a boccheggiare.
Pop. «E poi ah-ham!»
Schioccò di nuovo
le labbra e Adam si sciolse in una risatina, la testolina sempre
più incassata nelle spalle.
«Ah-ham?» gli domandò Ami.
Suo figlio sospirò. Poi rivolse a sua madre
un’espressione mai vista, un sopracciglio alzato sopra gli
occhi blu e un minuscolo sorriso sghembo.
«Cos’è quello?» si
divertì Alexander.
Ami era entusiasta. «Hai visto? Chi ti
ricorda?»
Non perse tempo e infilò il cucchiaino di plastica dentro la
bocca del loro bambino, che finalmente accettò il cibo.
Alexander non aveva capito lo scambio. «Si
è
arreso? Così?»
«Quella è la sua espressione da
‘Va
bene, ti accontento ma ho vinto io.’»
Alexander rise.
Ami raccolse altra minestra. «Non l’ha
ereditata da
me.»
«Io non ho quella faccia.»
«Non ti vedi quando la fai. Per te vuol dire
più… ‘Sapevo che non mi potevi
resistere, sono troppo affascinante’.»
Alexander non smise più di ridere.
«Quando?»
«Tutte le volte che mi convinci
di un tuo piano.» Ami picchiettò il cucchiaino sul
bordo del piatto di minestra, rivolta al loro bambino. «E tu
stai imparando, non è vero? Mi fai vedere quel faccino
quando ti faccio fare qualcosa.» Nutrì di nuovo
Adam. «Nel momento in cui cede, tiene a farmi sapere che
l’ha deciso lui, perché è stato
magnanimo.»
Erano tutte cose nuove, pensò Alexander, apprese in
pochissimi giorni. Adam non
finiva
mai di cambiare e bastava che lui stesse lontano qualche
ora in più la sera, per un progetto impegnativo, e si
perdeva tanti
progressi.
Malinconico, prese un polso di suo figlio, accarezzandolo.
«Sono fiero di te.»
Adam lo ignorò, la sua attenzione fissa sulla
minestra.
Ami tradusse. «Adesso ha deciso di mangiare,
perciò
mangia.»
Sì, il suo bambino era sempre concentrato
all’inverosimile, come la madre.
Era una sfida. «Imparerò a
convincerlo.»
Ami aveva qualche dubbio. «Voi vi intendete meglio
quando
giocate. Ora lui sta diventando più testardo, ma fatico a
vedere te che diventi più rigoroso. Ti distrai.»
Non era così. «Seguo le sue inclinazioni.
È brillante, perciò quando gli viene
un’idea lo incoraggio. Giusto?»
Adam lo guardò.
«Da-da-da-da…» La minestra
cominciò a colargli dalla bocca.
Ami la raccolse. «La sua prossima idea
sarà quella
di non mangiare mai. Ha sempre qualcos’altro a cui
pensare.»
«Per quello ci siamo noi. Lui è
già
sulla strada, ‘Prima viene lo studio’.»
Ami offrì ad Adam con un’altra
cucchiaiata piena.
«Domani potrai fare un corso intensivo. La mattina vado in
biblioteca.»
«Okay.»
«Nel
pomeriggio le ragazze mi hanno invitato ad uscire.»
«Va bene. Non preoccuparti.»
Ami era pensierosa.
«Trova un tuo metodo per convincerlo a mangiare. Ora che fa i
capricci è importante che si abitui a essere gestito da
più persone. Altrimenti soffrirà
all’asilo nido.»
Lei stava cambiando idea sul farglielo frequentare? Da qualche
giorno faceva quel tipo di annotazioni.
«Sai che non deve andarci sempre» le
ricordò.
Ami emise un sospiro. «Socializzare gli
farà
bene. Vedremo. Se sarà felice di frequentare l'asilo, nessun
problema.
Altrimenti studierò qui.»
Lei si stava
sacrificando prima del tempo. «Vedrai che si
troverà bene con gli altri bambini. Iria gli piace,
no?»
Ami fece silenzio. «L’altro giorno le
è
salito addosso.»
«Eh?»
Adam si stava
mangiando le dita, mugugnando.
«Iria-chan ha allungato la mano verso un suo
giocattolo e
Adam è andato a schiacciarla.»
Ah.
Ami rifletteva, mesta. «All'asilo, al primo diverbio
su un
gioco,
sarà rissa.»
Alexander scoppiò a ridere.
«Non è divertente!»
Ma se rideva anche lei! «Deve imparare i suoi
limiti, no? Al
nido sarà uno dei più piccoli, quindi i bambini
più grandi gli insegneranno cos’è il
rispetto.»
L’idea innervosì Ami.
«Andiamo, la maestre impediranno spargimenti di
sangue.
Inoltre lui si farà valere.»
Adam stava stringendo una manica di sua madre.
Lei si voltò. «Scusa. Ora la mamma ti
dà di nuovo da mangiare.»
Lui fu
felice di aver riavuto la sua attenzione. «Ma-ma.»
In due rimasero a bocca aperta.
«Ma ha detto…?»
«Mamma.» Ad Ami vennero gli occhi lucidi.
«Hai parlato.» Baciò forte Adam.
«Ma-ma-ma-ma-ma…»
Lei rise e non se la prese. «Forse non era una
parola.»
Alexander non ci credette. «Ti stava guardando
quando
l’ha detto.» Con fierezza gli
accarezzò i capelli.
Ami era ancora commossa. «Presto dirà
più cose. Anche
‘papà’.»
Ci sarebbe voluto più tempo. «Io lo
confondo. Uso
sia ‘Papa’ che ‘Daddy’
riferendomi a me stesso.» Non sapeva decidersi; quando erano
soli tendeva a parlare ad Adam in inglese.
Ami approvava. «Sarà bilingue in
futuro.»
Già, sospirò Alexander.
Ami tornò a offrire la minestra ad Adam.
«Sei
deluso che non abbia detto prima 'papà'?»
«No.» Gli era solo venuto in mente che
avrebbe
dovuto aspettare tanto per sentirsi chiamare in quel modo.
Ami lo guardava con tenerezza. «Sei
deluso.» La sua
non era più una domanda.
«Non perché sei venuta prima tu, love.
È normale.» Ami passava più tempo con
lui. «Vorrei solo... non dover aspettare.»
«Sono cose che succedono da un momento
all’altro.» Ami guardò il loro bambino
con una nuova consapevolezza. «E se facesse qualcosa di nuovo
mentre si trova all’asilo? I suoi primi passi,
magari.»
Alexander sentì la sofferenza di lei.
«Ehi… Appena finisci di studiare, potrai andare a
prenderlo quando vuoi. Se vuoi stare un giorno con lui, lo tieni a
casa.
O lo mandi al nido solo per mezza giornata.»
«Hai ragione.»
Ami non era ancora contenta. Non lo sarebbe stata
finché non
avesse trovato un equilibrio tra la sua vecchia vita e quella nuova.
«Sto facendo la sciocca.»
«No.
Anche a me
non piace separarmi da lui.»
«È solo che è così
piccolo…»
Paziente, Alexander fece il giro del tavolo e si sedette.
«Ami. Vuoi davvero sostenere i prossimi esami?»
Forse lei si sentiva costretta dal fatto che avessero
pagato la retta di quell’anno.
«Lo
voglio» chiarì lei.
«Allora non sentirti
in colpa, non hai due cervelli. È giusto che tu abbia un
po’ di tempo per te.» Cercò di
farla voltare verso di lui. «Al nido Adam starà
benissimo. Gli faranno provare giochi che a noi non verrebbero in
mente.»
«… è vero.»
«Comunque, puoi cambiare idea domani stesso. Si fa
quello
che vuoi
tu.»
D’improvviso, Ami sorrise. «Non
è la
prima volta che me lo dici.»
«Hm?»
Gli indicò Adam col mento. «Anche quando
abbiamo
deciso di avere lui me l’hai detto.»
Già.
Ami raddrizzò le spalle e riprese in mano il
cucchiaino di
plastica. Raccolse una delle ultime cucchiaiate di minestra e Alexander
pensò che fosse tutto a posto. Fu sul punto di alzarsi, ma
Ami si voltò per baciarlo.
Il loro bambino iniziò a protestare.
Alexander si staccò. «Non ho capito se
non gli
piace che ci baciamo o vuole da mangiare.»
«Spero sia la seconda.»
Sentirglielo dire lo fece sentire bene.
Ma lei non aveva finito. «Dopo voglio baciarti
ancora.
Tanto.»
Felice, lui faticò a tornare al proprio
posto.
«Allora mangio in fretta. Poi, ragazzo»
picchiettò la schiena di Adam, «a letto presto
stasera.»
Ami era divertita. «Non dirglielo, o non ti
darà
retta.»
Adam gridò e picchiò il piatto di
minestra,
rovesciandosela addosso.
«No!» Balzarono in piedi nello stesso
momento.
Ami afferrò il bambino e Alexander andò
in
cucina a
prendere uno
strofinaccio.
Mentre puliva il seggiolone, lui sentì dalla stanza
il
lamento
di lei.
«Puzza di cibo! Dobbiamo fargli un
bagno.»
Alexander digrignò i denti. «Portamelo,
lo faccio
io.»
Ami riapparve in salotto con Adam. «Vuoi che lavi io
i
piatti?»
Non era quello il punto. «Sono
più efficiente col bagnetto. Adam sarà pulito e
rivestito in cinque minuti.»
Quasi indignata, Ami non gli passò il
bambino. «Ma è il suo momento preferito.
Piangerà.»
Non era vero, lei aveva il cuore troppo tenero.
Ami scuoteva la testa. «Riempio la vasca. Useremo
tutti e tre
l’acqua calda.»
Cosa?
«Ci vorrà
un’ora!»
Ami lo rimproverò con gli occhi. «Stai
esagerando.»
Sì, ma loro non facevano l’amore
da una settimana, tra lei che era stanca e lui che era distrutto. E
dopo il modo in cui l’aveva sentita parlare…
Ami aveva intuito i suoi pensieri. «Adam si
addormenta
facilmente dopo un bel bagno, no? Se ci coordiniamo bene, io
l’avrò fatto dormire e avrò finito quel
che resta
della mia cena per quando tu avrai terminato di rilassarti nell'acqua.
Poi sarò pronta.»
Pronta?
«Per quello che abbiamo entrambi in mente»
sorrise Ami,
mordendosi un labbro. «Magari anche dentro la vasca, se ti
va. Ora lava le pentole.»
Sedato, Alexander si dedicò con gioia
all’uso del
detersivo.
E anche quella fu una bella serata per la loro famiglia.
FINE
NdA: Avere una nipotina di due anni e mezzo in casa mi ispira
in questo modo :)
Spero abbiate gradito!
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Alexander e Gen (con Adam) ***
Maternità 10
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
Alexander
e Gen (con Adam)
Gen era contento. Una serata tra uomini ogni tanto era
necessaria.
Passare del tempo con Makoto era grandioso, ma ora
più
che mai lei aveva in mente solo l'organizzazione del loro matrimonio.
Lui contribuiva volentieri con un'opinione, quando richiesta, ma
discorsi su decorazioni, tovaglie, fiori e pizzi gli stavano uscendo
dalle orecchie. Makoto aveva detto di voler passare
quella
domenica sera tra ragazze. Gen aveva nascosto a stento
il sollievo: avrebbe potuto guardare la gara del motomondiale
in pace.
Aveva progettato di andare in un locale, per non stare tra i piedi di
Makoto e le sue amiche, ma Alexander gli aveva proposto di gustarsi la
corsa a casa sua.
Perfetto. Birra, amici e sport in tv. Quanto ne
aveva bisogno.
Suonò il campanello di casa Foster. Era un
peccato che Yuichiro non fosse venuto, ma si era fatto
convincere a tenere la bambina per quella sera, quindi non poteva
muoversi di casa.
La porta si aprì. «Ciao!»
Gen sollevò nella mano il sacchetto con le due
bottiglie che
aveva comprato. «Per la serata.»
Alexander gli fece spazio. «Entra.»
Per fortuna, pensò Gen, Alexander era
stato
più
fortunato con suo figlio Adam. Con un ragazzino di meno di un anno in
casa sarebbe stato difficile concentrarsi sulla gara.
Entrando in
salotto, si fermò di colpo.
Adam Foster era seduto sul tappeto del salotto, circondato dai
suoi giochi.
Gen cercò di essere diplomatico. «Come
mai lui è qui?»
Alexander era tranquillo. «Ami è andata
da Makoto, no?»
E non si era portata dietro il bambino?
«Adam non farà storie. Tra
poco va a dormire.» Alexander sparì in cucina.
Lasciato solo, Gen appoggiò le bottiglie sul
tavolino più vicino. Il bambino girava la testa nella sua
direzione, seguendo silenziosamente ogni suo movimento.
«Ciao» lo salutò Gen.
Adam mise in bocca un pupazzo, masticandolo.
Gen riteneva di essere simpatico ai ragazzini, ma li preferiva
quando erano in compagnie delle loro madri. I pianti spacca-orecchie
erano sempre in agguato.
Alexander tornò indietro con due bicchieri. La tv
era già sintonizzata sulla gara, le moto schierate in
pista assieme a giornalisti, addetti ai lavori e ragazze che reggevano
ombrelli. Il Gran Premio del Mugello, tappa italiana del motomondiale,
stava per iniziare.
Gen si vide passare un apribottiglie. Gli venne un
dubbio. «Tu puoi bere?»
«Hm?»
Gen indicò Adam.
Alexander sorrise. «Un bicchiere non mi
farà niente. Anzi, vuoi vedere una cosa? Apri e
versa la birra.»
Incuriosito, Gen lo fece mentre Alexander si inginocchiava sul
tappeto, vicino a suo figlio. Gli passò il bicchiere pieno.
Alexander lo mise sotto il naso del bambino.
Sul punto di protestare, Gen si zittì: Adam Foster
si era sporto in avanti, attaccando la bocca al bordo in vetro.
«Questo vuole già bere.»
Alexander rideva. «È uno spasso,
vero?» Allontanò l'alcol dalla portata di suo
figlio e lo prese in braccio. «Lo fa col vino, con le bibite
gassate... con tutto quanto. È curioso.»
Strofinò la faccia contro il naso del piccolo, che
subì con una smorfia perplessa.
Gen si divertì. «Se continui, inizia a
piangere.»
«Nahh!» Alexander lo sistemò
con fare esperto sulle ginocchia, sostenendogli la schiena con l'incavo
del braccio. «Lui fa i versi. Piange solo quando ha fame, ma
ormai ha i suoi orari. Ah, e naturalmente piange quando gli fa male
qualcosa. Un paio di settimane fa per esempio non ha smesso per un'ora.
Pensavamo
fossero coliche, ma massaggiarlo sulla pancia non funzionava. Era un
problema digestivo, ma ne abbiamo avuto la certezza solo quando l'ha
fatta nel pannolino, perché la consistenza era completamente
diversa dal solito. Voglio dire...» Cercò le
parole per descrivere.
Gen fece una smorfia. «Non ho bisogno di
saperlo.»
Alexander rise. «Giusto!»
Prese il telecomando e alzò il volume.
«Guardiamoci la gara.» Direzionò
l'attenzione al televisore, mentre con l'altra mano prendeva un mazzo
di
chiavi giocattolo e la muoveva davanti ad Adam.
Gen continuò a sentirsi in un asilo nido, ma fece
finta di niente. Finché il ragazzino non piangeva...
«Ho chiesto a Yuichiro di venire» riprese
Alexander. «Ma muoversi con Iria è
complicato.»
Già. Quell'esserino era un monito divino per
chiunque volesse avere figli. Pensaci prima due volte.
La voce di Iria Kumada era come un'unghia che scivolava dolorosamente
su una lavagna.
Alexander si alzò. «Devo scaldare il
latte.» Appoggiò suo figlio sul divano, tra due
grossi cuscini. «Attento a che non cada.»
Ecco, era stato ridotto a babysitter.
Gen offrì un cin-cin al bambino. «Te la
cavi da solo, giusto?»
Adam distolse l'attenzione dalle sue chiavi giocattolo e lo
fissò. Il suo piccolo sguardo - una copia di quello di Ami
Mizuno - si fece penetrante. Sorridendo tra sé, Gen mantenne
il contatto visivo. Caparbio, Adam Foster non smise di guardarlo per
altri cinque
secondi buoni. «Uah!» protestò infine. Come hai osato?
Gen gettò la testa all'indietro in una risata.
Alexander lo udì dalla cucina. «Che
c'è?!»
«È un grande!»
Gen mise una mano sulla testa del bambino, scompigliandogli i
capelli
azzurri. «Goldie» lo soprannominò. Degno
figlio di Golden Boy.
Adam si era sporto in avanti, a gattoni.
Avanzò verso di lui, muovendosi senza cura lungo il bordo
del divano. Gen allungò una gamba per fargli da barriera col
vuoto. «Sono le nove. Non è ora di
dormire?»
Adam aveva raggiunto il braciolo. Faticava a scavalcarlo.
«Coraggio. Un uomo affronta le
difficoltà.»
Alexander tornò di nuovo indietro, un biberon in
mano. «Hai visto che non dà
fastidio?»
Gen percepì il suo tono fiero.
«Sì. Ora lo metti a dormire?»
«Aspettiamo l'inizio della gara. Partono tra un paio
di minuti.»
Gen bevve un sorso di birra. «E Chiba?»
«Al lavoro.»
Di domenica sera. Brutta la vita in politica.
«Volevi che fosse qui?»
Uno in più non faceva mai male, specie se era un
fan delle corse in moto. Ma a parte quello... «A te e a
Yuichiro ho spiegato cos'è successo con Makoto. Non sono
ancora riuscito a parlare con Chiba. Lui è suo amico. La
conosce da tanto.»
«Hm.» Alexander comprese il suo
dilemma. Portò alla bocca qualcosa da bere e si
ritrovò la tettarella del biberon sulle labbra.
Scoppiarono a ridere.
«Che complessi hai?!»
«L'ho confuso per birra!»
«AhH-ah!» Il bambino batteva le mani sul
braciolo del divano,
entusiasta.
Gen abbassò lo sguardo. «Allora ride!
Bravo Goldie!»
«'Goldie'?»
«È figlio tuo, no?»
«He's
no Goldie. È un nome da cane.»
Alexander lo riportò vicino a sé, massaggiandogli
le spalle. «Lui è... un super-eroe!» Gli
sollevò un braccio, facendolo roteare in aria.
Gen ebbe una nuova comprensione della loro relazione.
«È il tuo giocattolo.»
«È questo il bello. Li curi, ma puoi
fargli fare tutto quello che vuoi finché sono
piccoli.»
Un giorno il piccolo Foster si sarebbe vendicato.
«Per ora è tranquillo, ma gli piace già
la birra. A diciotto anni organizzerà party selvaggi che ti
distruggerano la casa.»
Alexander aprì la bocca per rispondere, poi
guardò pensieroso suo figlio.
Gen lanciò un'occhiata al televisore.
«Ehi! La bandiera rossa!»
Tesi, lui e Alexander guardarono in trepidante
attesa.
«Peccato che non hai visto le altre.»
«Eh?»
«Ho seguito le gare della 125 e 250. Quegli italiani
lì, Biaggi, Capirossi, e quello nuovo, Rossi... quando
arriveranno in 500 sarà una grande sfida!»
Okay, ma la 500 stava iniziando! «Lasciami vedere
cosa fa Okada!»
Semafori rossi... Partenza!
Le moto scattarono in avanti, facendo saltare Gen sul divano.
«È andato in testa!»
«Noo! Ma Doohan che fa?!»
Gen sfoderò il pugno. «Perde! Grande
Okada!»
Nel salotto risuonò un pianto infantile.
Ridendo, Alexander prese in braccio
Adam. «Noo, va tutto bene! Era solo la
partenza, nessuno è arrabbiato!» Fece saltellare
il bambino. «Guarda zio Gen! Non fa paura, no?»
«Yeeh» offrì Gen senza
entusiasmo, mimando un saluto con la mano, cercando di tornare a
guardare la gara. Ora era diventato pure zio.
Anche se aveva ancora le lacrime agli occhi, Adam si stava
già calmando. Suo padre gli afferrò la mano nel
pugno. «Tifiamo insieme Doohan, okay?»
«Perderà. Forza Honda.»
Alexander continuava a parlare a suo figlio. «Gli
faremo mangiare la polvere.»
Sorridendo, Gen non disse più nulla.
Finché Adam non si addormentò,
guardarono tutti e tre insieme la gara.
FINE
NdA: Non sto rileggendo perché tra poco mi arriva
in casa un uragano di due anni e mezzo. Godetevi la lettura e ditemi
che ne pensate :)
P.S. - A proposito, durante quella gara Okada si
ritirò e Doohan recuperò finendo primo ;P
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Minako (durante la gravidanza, settimo mese) ***
Maternità 4
Maternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
4 -
Minako (durante la gravidanza, settimo mese)
Minako osservò la linea del proprio corpo allo
specchio.
Sollevò le braccia e si girò di lato, valutando
la
rotondità voluminosa del proprio ventre.
Niente da fare, era sempre più bella - e vanitosa -
anche
incinta di sette mesi. Si sentiva da dio: non aveva nessuno fastidio,
non le mancavano le energie, mangiava come le pareva e l'aumento di
peso si concentrava solo al livello della pancia. Era stata graziata
dalla fortuna.
Udì una risatina infantile che proveniva dal
salotto.
«Mi-chan! È finito il tuo
cartone?»
gridò.
«Sìì!!»
Lo aveva intuito dal suono dei suoi salti sul tappeto.
«Arrivo!»
Arimi - tre anni e mezzo - le venne incontro rimbalzando per
il
corridoio, tutta guance rosa e codine nere.
«Voliamo!»
La storia di fatine la esaltava tutte le sere. Conoscendo la
sua
passione, Minako si era ingegnata per farle una sorpresa. «Ho
un
regalo per te, sai?»
Nel vederla Arimi spalancò la bocca.
«Adesso la
tua pancia è più enorme!»
«Furbetta!» La acchiappò prima
che
potesse scappare.
La tormentò col solletico, beandosi delle sue risatine.
«Certo che la mia pancia è grande, dentro
c'è un
bebé! Ohi.» Un calcio la colpì
dall'interno del
ventre. Si piegò sulle ginocchia, lasciando andare Arimi.
«Ecco che si
muove.»
La bambina era ignara, stava toccando il tessuto del suo
abito.
«Che bello!»
«Grazie.» Aveva comprato l'abito premaman
bianco e
blu solo
quel pomeriggio, assieme a un'altra decina di modelli - uno
più
carino dell'altro. Pur di
consolarsi non si era risparmiata. «Per te ho un abito ancora
più fantastico, vedrai.» Si massaggiò
la schiena.
«Ti ricordi che ti ho promesso
di renderti una fata?»
Arimi sgranò gli occhioni. Annuì con
reverenza.
«Hai rimesso a posto la tua poltroncina in
salotto?» La
spinse ad andare in quella direzione per controllare.
«Dobbiamo
liberare il campo, poi cominciamo.»
«Il 'campo'?»
«Lo spazio, dobbiamo fare spazio! Prima che arrivi
il tuo
papà!»
«Okay!»
Anche il loro prossimo erede era entusiasta, non smetteva di
muoversi
e calciarla al fianco. «Ahi-ahi.»
«Stai male?» Arimi tornò
indietro.
«Non preoccuparti. Senti qua.»
Provò a
metterle la
mano dove colpiva il bambino, ma lui smise di colpire in quel momento.
«Che dispettoso!»
«L'ho sentito!» gridò Arimi e
anche se
era
improbabile, Minako si intenerì nel vederla appoggiare
l'orecchio al suo stomaco.
«Si trasforma in femmina!»
Ridere fu naturale. Stavano cercando di spiegare ad Arimi che
doveva rassegnarsi ad avere un fratello. «È un
maschietto,
Mi-chan. Tu sarai una fata e lui un maghetto che ti aiuterà.
Su,
è l'ora del tuo costume.»
«Lo voglio, lo voglio!»
«Ci vuole la cerimonia giusta.»
Aiutò
Arimi a
rimettere a posto la poltroncina su cui si sistemava per vedere i
cartoni animati. Il salotto - valutò - era
scenograficamente sgombro. Per abbellire l'atmosfera decise di
abbassare l'intensità delle luci. «È
tempo di
magie!» annunciò, posizionandosi al centro della
stanza.
«Signorina Arimi, io ti chiamo! Mettiti qui al
centro!»
A bocca aperta la bambina seguì le sue istruzioni.
Minako allargò le braccia. «Questa
settimana hai
compiuto il tuo dovere? Sei stata buona con Agatha?»
Arimi annuì in silenzio.
«Il tuo papà dice che hai imparato a
mettere le
scarpe.»
«È vero!»
«È una cosa magica, da bambine grandi! Ti
sei
meritata un premio! Solleva in alto le braccia!»
Arimi si allungò come un elastico.
«Ora chiudi gli occhi!»
Appena lei strinse forte le palpebre, Minako
le applicò una rapida magia: il vestitino
che aveva
disegnato nel tempo libero ricadde sul suo piccolo corpo di bambina in
tante onde.
«Fatto!»
Arimi aprì gli occhi. Impazzì di gioia.
«Sono una fata!»
Vederla correre in giro per il salotto fu il vero regalo per
Minako.
«Guardati allo specchio!»
Arimi non si fece pregare. «Ho le ali!»
«Complimenti!»
«Voglio volare!»
Meglio di no. In teoria avrebbe potuto accontentarla,
ma far galleggiare in aria una bambina di
quell'età
non era una buona idea, a meno di non volere poi mille tipi di
incidenti diversi in sua assenza.
«Vola con la fantasia, Mi-chan. Stai molto bene!»
Arimi si osservò allo specchio con occhio critico.
Minako
non ne
capì la ragione finché non la vide correre verso
la sua
stanza. Arimi tornò indietro, sventolando una delle sue
bambole in una mano.
«Sono più bella io ora!»
Minako ridacchiò. La vanità era una
caratteristica di famiglia. «Su, è ora di
cenare!»
«Noo, io voglio giocare!»
«Non hai fame? Mangiamo, su.»
Testarda, Arimi scosse la testa e
scappò. Minako la
seguì finché non fu certa che fosse al
sicuro nella
sua
stanzetta. Non discusse oltre: aveva sbagliato a trasformare Arimi
prima
di
cena, era ovvio che l'avesse distratta. D'altronde c'era ancora
da riscaldare il cibo.
Mentre si dirigeva in cucina, le venne l'acquolina in bocca.
Quella
mattina aveva ordinato piatti divini nel
suo ristorante di fiducia e aveva passato la giornata a fantasticare
sul loro gusto. Nel pomeriggio un pezzo di torta - o due - a stento
l'avevano saziata.
Mise le portate a scaldare nel forno e nel microonde.
Aspettò
davanti allo specchio dell'ingresso, accarezzandosi la pancia.
«Come chiamarti, Yama-chan? Oggi sentivo il nome
Rafael.
Rafi.»
Il suo piccolo non ne fu impressionato, rimase immobile.
«Lo so, ci vuole qualcosa di più alto. Un
nome da
principe.» Vagliò per l'ennesima volta una lista
infinita
di nomi di cui aveva già consultato il significato,
provandone
di nuovo il suono sulla lingua. Niente, nessuno le sembrava giusto.
Sapeva solo che il suo bambino doveva nascere felice,
perciò era giunto il momento di dare un taglio agli
impegni
ufficiali. Quel giorno - durante il dibattito pubblico - essere presa
di mira le aveva fatto salire la rabbia dal centro dello
stomaco fino al cervello. Non potersi sfogare a dovere non l'aveva
aiutata.
Sentì girare la serratura e trovò un
motivo per
sorridere. «Arimi! Guarda chi è
arrivato!»
Shun entrò in casa. Nel vederla si sorprese.
«Ehi.»
Minako cercò di dargli un bacio, ma Arimi
arrivò
per prima. «Papà!»
Osservarli insieme era una gioia. La piccola si arrampicava,
cercava
baci, abbracci, rideva. La sua felicità di bambina era
così
bella
che a Minako venne da piangere. Si diresse verso la cucina.
«Minako?»
Quei cavoli di ormoni! «Ho deciso di tornare a casa
prima.» Controllò il singhiozzo nella voce.
«Agatha è già andata
via?»
«Sì, le ho detto di non venire domani. Ha
bisogno
di riposare, la stiamo sfruttando.»
Shun smise di seguirla, rimanendo in corridoio. «Che
cos'è questo costume?» Il commento era rivolto ad
Arimi.
«Me lo ha regalato Mi- La mamma.»
Minako si commosse di nuovo. Era Shun a spingere
Arimi a
chiamarla in quel modo; per parte sua Minako la considerava
già come una figlia, ma si sentiva ancora strana a farsi
chiamare mamma. 'Mina' le era sembrato tanto
tenero, già sufficiente. Tuttavia, con la nascita del nuovo
piccolo, era
giusto che Arimi non percepisse una differenza tra loro due.
«Ho immaginato quel vestito per Arimi mentre tornavo
a
casa!» disse ad alta voce.
Udì Shun. «Su, tra poco ceniamo. Va' a
rimettere a posto i tuoi giocattoli.»
«No, io voglio giocare!»
Dai passetti veloci di Arimi, Minako seppe che si era ripetuta
la fuga
di prima.
Le era venuta voglia di dolce, perciò ricevette
Shun con un
barattolo di gelato in mano.
Fermò la risata di lui sul nascere.
«Non
puoi dire a una donna incinta che mangia troppo.»
Shun si strinse le spalle, innocente. «Non una sola
parola
è uscita dalla mia bocca.»
«Bene.» Provò a fare la
sostenuta, ma
appena
sentì le labbra di lui sulla fronte, tutta la tensione della
giornata si accumulò nella sua gola, minacciando di farla
scoppiare. Nascose le lacrime nel petto di lui.
«No, shh.»
«Hai visto?» singhiozzò.
«Sì. Che bastardo.»
Esatto! Quel politico americano era una delle persone
più
infide
che avesse mai incontrato. «È stato più
convincente lui!»
«Non è vero. E poi volevo applaudirti
quando ti
sei
trasformata.»
«Non avrei dovuto farlo.» Lo scopo di
quelle loro
apparizioni pubbliche era proprio quello di mostrarsi come
un'autorità amichevole, che non avrebbe imposto nulla. Lei
che
spaventava la gente comune era una sconfitta.
Shun la prese piano per le spalle. «Ehi. Guarda che
ti ha
offeso.
Hai fatto bene a fargli sentire il tuo giudizio divino.»
Le sfuggì una risata. Il dibattito per il divieto
di
reintroduzione delle armi da fuoco in territorio statunitense era
importante - nel giro di tre settimane ci sarebbe stata una votazione
che poteva influenzare anche l'opinione pubblica di altri paesi. Era
evidente al mondo intero che una presa di posizione contraria a quella
che volevano loro - il circolo del protettorato di Serenity - sarebbe
stata una sorta di sfida, ma Usagi aveva promesso. "Siamo qui per
proteggere, non per imporre."
Usagi veniva contraddetta da azioni che aveva commesso in
prima
persona, pur
senza farlo apposta. Far sparire tutte le armi da fuoco dalla faccia
del pianeta - ad eccezione di quelle in dotazione agli eserciti - era
stata una delle molte mosse che l'avevano resa immediatamente temibile
e divina agli occhi delle persone.
Minako si era offerta di partecipare al posto suo nel
più
importante dibattito televisivo che si sarebbe tenuto sulla questione
in suolo
americano.
Negli Stati Uniti la politica era spettacolarizzata, intensa e
spietata
e forse solo in Giappone la popolarità di Minako era alta
quanto
negli Stati Uniti. Lei aveva pensato che potesse essere un fattore
utile.
Si era ripromessa di presenziare e dire solo poche parole finali - per
ricordare a tutti che avrebbero rispettato le loro scelte democratiche,
ma che al contempo era importante tenere a mente i fatti: quanto era
calato il loro tasso di criminalità, per cominciare.
Era stata tirata in ballo prima che venisse il suo turno.
Il deputato Matheson l'aveva indicata come l'origine di tutti
i mali -
lei e le Serenity del mondo, che scendevano sulla Terra dall'alto della
loro superiorità facendo sparire tutte le armi dal
sacro
suolo americano
"Con quale diritto! Come possiamo fidarci? Che
esperienza hanno queste persone per parlare, o anche solo per essere
qui? Ecco chi ci hanno mandato oggi, un'attricetta che crede che la
fama sia un endorsement
politico!"
Minako era scattata in piedi, avvampando di potere davanti
agli occhi
di tutti. Su di lei erano calati abiti nuovi, principeschi, e le
persone vicine si erano ritratte. Il deputato era sbiancato.
"Vi hanno mandato Venere,
signore. Ora che lo ricorda,
può
continuare a parlare.»
Si era zittita a forza durante il resto del discorso. Era
cascata in
una sorta di trappola - quell'uomo aveva voluto provocarla apposta, per
far pensare a tutti che di fatto lei e le altre stessero imponendo il
loro punto di vista con la forza. In quel modo lui legava la propria
posizione a una
sorta di lotta per la libertà, contrapposta alla 'dittatura
di
Serenity'. Ci era mancato poco che lo dicesse a chiare lettere. Minako
non gli aveva
dato il piacere di confermare le sue assurdità: aveva
incassato
il resto delle accuse in silenzio, dimostrando di saper sopportare
argomentazioni ragionate che non fossero offensive. Almeno, lui non era
più scaduto nella maleducazione.
Il discorso finale che aveva fatto lei era stato accorato e
semplice, ma non
riusciva a valutarlo in maniera oggettiva. Era ancora troppo
arrabbiata e non voleva più pensare a quella storia.
Shun le accarezzò i capelli. «Avevi
preparato
quell'abito?»
«No. Mi sono trasformata senza pensare. Sono stata
fortunata
che non
sia saltato fuori il costume Sailor.»
Ridendo, Shun le accarezzò il ventre.
«Con questa
pancia...
Come sta lui oggi?»
«Era immobile mentre stavo seduta su quella sedia,
fumando di
rabbia.
Credo che sia arrivato il momento di fermarmi, Shun.»
«Se è questo che vuoi. Ma-» Li
interruppe il suono
del
microonde, che segnalava il termine della cottura. Shun spense
l'apparecchio e la
portò alle sedie più vicine. «Mina,
credimi.
Oggi non
hai sbagliato. Quel tizio sembrava una specie di bullo che se la
prendeva con una povera donna incinta.»
Ma non era quella l'immagine che lei aveva voluto dare.
«Così
è come mi vedi tu.»
«Io volevo spaccargli la faccia, ma, oggettivamente,
tu avevi
un
atteggiamento sereno e pacifico finché lui non ha cominciato
ad
attaccarti. Poi, da vera lady, gli hai ricordato di abbassare il tono e
sei stata in silenzio rispettando la sacralità del
dibattito.»
Davvero era andata così? «Hanno
già
tirato fuori
dei sondaggi, vero?»
Shun annuì. «Il dibattito ha influito
poco. Le
persone la
pensano
ancora come prima. Quell'uomo era disperato, per questo ti ha
attaccato.»
Minako sospirò. «A volte mi chiedo se la
gente
capisca che
abbiamo ragione, oppure abbiano solo paura di quello che faremmo se non
ci dessero ragione.»
Lui le massaggiò le spalle. «Lo
scopriremo presto,
con
tutto quello che si sta decidendo quest'anno. Per ora non
pensiamoci.»
Lei iniziò a mugolare. «Le tue mani sono
divine.
Premi di
più lì...»
«Ma guarda che frasi interessanti.»
«Se mi massaggi ancora ne sentirai altre. Ne avevo
proprio
bisogno.»
Gli offrì la schiena. Il modo in cui le dita di lui andarono
a
snodarle i nervi la fece sciogliere da capo a piedi.
«Hmm...»
Shun sorrideva. «Portare Yama-chan pesa,
eh?»
«Dobbiamo trovargli un nome.»
«Ovvio. Sarà Shun II.»
Minako lo colpì su un ginocchio.
«Basta che non lo chiami Cupido» rise Shun.
«Eh?»
«Oggi al laboratorio mi dicevano che era il figlio
della dea
dell'amore Venere.»
Ah, sì? «Quel nome no, ma... Magari
potrei
cominciare a
guardare tra nomi antichi. Un nome divino sarebbe adatto a lui, non
trovi?»
«Megalomane. Arimi!» Shun alzò
la voce.
«Cosa stai facendo?»
«Gioco con le bambole!»
Controllare la bambina era una necessità periodica.
Suonò il timer del forno.
Shun non credette alle sue orecchie. «Quanta roba
stai
preparando?»
«Tutta quella che mi serve. Io sono una
meravigliosissima
donna incinta che deve nutrire il suo primogenito.»
Shun si era già alzato a controllare le due
portate.
«Roba leggera.»
«Non criticare il mio cibo. Piuttosto,
servilo.»
«Schiavo!» aggiunse lui, e Minako rise.
«Hai capito la tua posizione.» Si
sollevò dalla
sedia prima che Shun potesse raggiungerla. «Dunque, servo,
cosa
pensi dei nuovi abiti della tua padrona?»
«Sono adeguati, mia signora.»
«Non calarti troppo nella parte.»
«Torno allo stato di pari?»
«Basta che mi fai dei complimenti.»
Lui si divertì. «Mi piace come sei
diventata
pretenziosa.»
Non la capiva! «Sto da ore davanti a te con questo
vestito e
non hai fatto un solo commento su quanto è carino!»
«Prima dovevo consolarti. Se mi concentravo su come
l'abito
cadeva su questa deliziosa pancia...» La strinse tra le
braccia e
giocò a fingere di darle un bacio sulla bocca, solo per
imprimerglienene uno sulla guancia, sul mento... Si
inginocchiò.
«Figlio, sapessi quanto sono stato intelligente. Non
potevo sceglierti geni materni migliori. Quando sarai
grande, anche
tu sarai un dio di bellezza.»
Minako rise.
Shun continuò la sua conversazione col bambino.
«Farai strage tra donne e mi dovrai ringraziare. Ho fatto
tutto solo per te.»
«Nel suo esclusivo interesse»
sottolineò
Minako.
«Certo. Già che ci sei, piccolo, nascondi
per bene
lì dentro le tue molto future sorelle. Io ne ho
già una
cui fuori dietro cui impazzire tra qualche anno.»
«Le insegnerò a truccarsi»
dichiarò Minako. «A vestirsi bene, a
valorizzarsi...»
«L'ultima cosa soprattutto, se significa che le
farai capire
che vale quanto mille uomini.»
«Che fate?!» Arimi era sbucata alle loro
spalle.
«Anche io parlo al bimbo, anche io! Bimboo!»
Minako cercò di non far tremare la pancia dalle
risate
mentre
Arimi ci appoggiava sopra la faccia. Shun accarezzava la piccola testa
di lei.
«Esci presto, bimbo! Non esce mai!»
Per le sue lamentele fu travolta da un abbraccio congiunto.
«Sei troppo tenera!» Minako la inondò di
baci.
Arimi si divincolò dal suo abbraccio.
«No,
no! Io ho fame!»
«Ah, hai sentito l'odore dello sformato. Mi-chan, ne
mangeremo
a volontà! Io e te non ingrassiamo, cresciamo!»
«E io?» indagò Shun.
«Con tutto questo cibo tu diventerai un pallone di
ciccia. Ma ti
vorrò bene
lo stesso.»
Lui rise. «Certo che sì. Farò
di te la
mia moglie trofeo, non lo sai? Sto per diventare ricco.»
Minako si illuminò. «Ci siete
quasi?»
«Sì, si passa ai collaudi finali.
Presto diventerò papà anche di
un'invenzione.»
Il teletrasporto! «Sei un genio, tutti quanti lo
siete!»
Rise e si gettò tra le sue braccia. Avevano lavorato tanto a
quel progetto!
«Sarò con
piacere la vostra moglie-trofeo!»
«Ehi, io non condivido.»
Lei si portò una mano alla fronte. «La
mia
bellezza
è troppa per essere sopportata da un unico uomo.»
«Arimi, queste cose non ascoltarle.»
«Io ho fame!»
«La voce della ragione» sorrise
Shun. Sospinse Minako
verso il tavolo, facendola accomodare su una sedia. «Signore
dee,
mettetevi a vostro agio.» Sistemò anche Arimi al
suo posto. «Questa sera sarò il vostro
maître.»
Minako lo seguì con gli occhi mentre andava a
prendere il cibo.
Aveva
una
persona meravigliosa che la amava e la consolava, una bambina
bellissima che le riempiva le giornate, un altro piccolo in arrivo...
Cominciò a singhiozzare di felicità.
Ridendo Shun tornò vicino a lei,
scostandole la
frangia.
«Ehi, shh. Sei davvero troppo incinta.»
«Non è colpa mia!»
«Lo so, è mia. Una di quelle
soddisfazioni...»
Minako uccise le lacrime con le risate.
Seduta all'altro capo del tavolo, Arimi era in apprensione.
«Piangi, mamma?»
«Di gioia!» esclamò lei, prima
di struggersi di
commozione anche per l'appellativo usato da Arimi.
«È
tempo di felicità!»
Smettendo di fare la sciocca, si concesse una serata di
tranquillità con la sua famiglia.
FINE
NdA: Sto sorridendo a trentadue denti, perché
questa storia non voleva proprio saperne di uscirne fuori dalla mia
penna virtuale, ma appena ho superato l'ostacolo della spiegazione su
cosa aveva scocciato Minako, il resto della fanfic mi è
uscito dalle mani senza colpo ferire. Ringrazio Elisa 'Ecate', che mi
ha sostenuta durante la stesura coi suoi consigli :)
Come al solito, questo è solo uno spaccato del futuro di
Minako, ma avevo davvero bisogno di scriverne.
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Makoto e Gen (nelle ultime settimane di gravidanza) ***
Maternità 8
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
8 -
Makoto e Gen (nelle ultime settimane di gravidanza)
Nota:
devo avvertire. Questa piccola storia contiene spoiler molto grossi e
importanti. Se non volete avere sorprese, sarebbe meglio che la
leggeste solo se avete già letto gli spoiler che ho postato
nel gruppo Facebook 'Lo spoilerone di Elle'.
In quel primo weekend di Giugno il caldo era disceso su Tokyo come la
bocca dell’inferno. Lui e Makoto non avevano fatto in tempo a
installare l’aria
condizionata
nel loro appartamento. A maggio avevano discusso se
risparmiare prendendo un impianto portatile, ma era parso a entrambi
inutile,
considerando che la casa era predisposta per un impianto fisso. Era
uno dei motivi per cui l’avevano scelta.
Quella mattina Gen
aveva proposto a Makoto di comprare subito un condizionatore con un
paio di split, per farlo installare l’indomani. Lei si era
impuntata.
«Non sappiamo per quanto rimarremo a vivere qui.
È
una spesa inutile.»
Lui non aveva capito come lei potesse preoccuparsi del denaro.
«Vuoi morire di caldo proprio in queste ultime
settimane?» Nelle sue condizioni?
«Il meteo non ha
detto se questa afa continuerà. Sai quanto dovremo spendere
dopo? Pannolini, accessori, vestiti…»
Non navigavano nell’oro, ma avevano abbastanza da
permettersi
delle basiche comodità. «Mako… Pensa a
stasera. Stai già facendo fatica a trovare una posizione per
dormire.»
«Grazie di avermelo ricordato!»
Di tanto in tanto lei era intrattabile. «Lo dico per
te.»
«Magari durerà solo un paio di
giorni e intanto noi avremo speso una fortuna. Non posso pensare che
rimanere fresca mi costi centomila yen a notte! Non si può
buttare così il denaro, è... irrispettoso. Non
parliamone più!»
Gen aveva smesso di discutere. In quei giorni sapeva quali
battaglie
affrontare con lei. Quando Makoto era infastidita da qualcosa, non
c’era buon senso che tenesse. Tutto quello che lei voleva era
avere ragione, perché… sì. Non le era
mai piaciuto litigare e e ora che si portava addosso dieci chili di
peso in più, la minima discussione la irritava.
La mattina
dopo si sarebbe arresa all’evidenza e avrebbero comprato il
loro condizionatore, ne era convinto. Forse sarebbe servito per poco
tempo, ma a lui non
importava: Makoto era incinta e non doveva subire l’afa
dell’estate, così come i loro due bambini, sia
dentro la pancia che fuori, appena fossero nati. Dalla
comodità di tutti e tre lui avrebbe a sua volta tratto
giovamento.
Davanti al ventilatore, chiuse gli occhi. Il venticello
generato dalle
pale in movimento era fantastico. Si allontanò e
direzionò il soffio dell’aria verso il letto. A
tre metri di distanza, anche se il ventilatore fosse rimasto acceso
tutta la notte, non avrebbero preso il raffreddore.
Makoto entrò in camera, nuda con
l’eccezione di un
paio di mutandine. Tutto quello che vedeva lei - Gen lo sapeva - era la
protuberanza tesa della pancia. Lui trovava molto più
interessante la maniera incredibile in cui si erano gonfiati i suoi
seni. Ne aveva visti di simili solo in certi video, e non per merito di
madre natura.
Makoto si coprì il petto con l’indumento
che
portava in mano. «Non guardarmi.»
Lei era di cattivo umore. No, era triste. «Cosa
c’è?»
«Non mi sta il
pigiama.»
Gen guardò il pezzo di stoffa bianco tra le sue
braccia.
Makoto lo allargò di fronte al corpo.
«Era il
più fresco che avevo! Non mi entra più!»
«Mi dispiace. Domani ne compriamo uno
nuo-…» Non concluse. Makoto era vicina alle
lacrime.
«Ehi…»
«Non so neanche se mi
stanno gli altri! L’estate è arrivata troppo
presto, fa troppo caldo!»
Non era il quel modo che lui avrebbe voluto avere ragione.
Avvicinandosi, provò a stringerla.
Makoto si scostò. «E mi sto
comportando da strega!»
«Non è ve-»
«Non
mentire!»
Dire la cosa giusta stava diventando un percorso a ostacoli.
«Sarei infastidito anche io se avessi tanto peso addosso
da…» Si rese conto del suo errore.
Makoto abbassò lo sguardo sul proprio stomaco,
abbattuta.
«È enorme. E mancano ancora tante settimane. Non
possono uscire prima.»
Gen la prese per un braccio. Delicatamente, la
portò davanti
all’aria generata dal ventilatore. «Così
si sta meglio, no? Andiamo, si risolve tutto.»
Lei
cominciò a perdere energia. «Mi
ammalerò.»
«No, mi alzerò a
spegnerlo dopo che ti sarai addormentata. Il meteo dice che tra poco
arriva un po’ di aria fresca.» Era una
speranza.
Makoto teneva la testa china. Si accarezzò lo
stomaco. «Mi dispiace, non ce l’ho con voi. Vi
voglio bene.»
La singola lacrima che le bagnò la guancia gli
causò dolore al petto.
«Cosa c’è che non va?»
«… tutto.» Lei ce
l’aveva con
se stessa. «Non sappiamo se rimarremo a vivere qui. Non
voglio spendere tanto in vestiti che poi non userò
più. Vorrei avere il tempo di cucirmi qualcosa,
ma…»
Certo, lei aveva ancora troppi impegni. Era
restìa a metterli da parte, ma quello era un discorso da
rimandare al
giorno seguente: era troppo complicato.
«Sediamoci.»
Makoto non protestò. Si
sistemarono sul bordo del letto.
«Dobbiamo risolvere una cosa alla volta. Per i
vestiti… Comprali. Non stai spendendo solo per degli abiti,
ma
per stare bene e rilassarti. Lo stai facendo per te stessa e per loro,
quindi è una cosa importante.»
Con le labbra unite,
strette per l’infelicità, Makoto
considerò il suo ragionamento.
«Per la casa… mi dispiace, è
anche
colpa mia. Domani ci mettiamo davanti al tavolo e prendiamo una
decisione insieme. Non importa se non sarà perfetta o se
spenderemo di più.»
«Magari dovremo solo
restare qui.»
«Ne parliamo domani. Oggi pensiamo al
problema immediato: il pigiama. Vuoi che ti presti una delle mie
magliette?»
Makoto sospirò. «Speriamo
che mi stia.»
«Certo, ne ho alcune
larghe.»
Lei fece una smorfia.
«Non lo intendevo in quel modo.»
Andò a toccarle la pancia e detestò il modo in
cui lei si
irrigidì.
Perché Makoto era diventata tanto suscettibile su
quel
punto? In precedenza non le era importato. «Se i bambini sono
grandi, vuol dire che sono sani e forti, no?»
«Lo so. Anche io voglio che crescano bene.»
Lei si
stava ancora coprendo. «Sei cambiata, ma non in
peggio.»
«La pancia non è il vero
problema, è tutto il mio torso che… Con queste
mammelle sembro una mucca!»
Lui cercò di non ridere. «Ma
no.»
«Sono sgraziata e
brutta!»
«Non è vero.»
«Ho letto in una rivista che poi il seno
non torna più come prima. Più si allatta e peggio
è. E io dovrò farlo per due!»
Ora stava esagerando. «Makoto… tu non sei
una
donna normale.»
A quello lei non rispose.
«Hai il tuo potere che ti guarisce e fa tante cose
sul tuo
corpo. Comunque, anche se non rimettesse a posto le cose… Io
non ti trovo brutta. Anzi, da una settimana a questa parte sei cambiata
in un modo che trovo molto interessante.»
Lei se la prese per
il suo tono allusivo. «Non ho un seno solo per te.»
Certo, no.
Makoto si abbatté di nuovo. «Comunque,
non
saranno
belle da sgonfie. Tutta questa carne ballonzolerà!»
«Non importa.»
Lei non lo ascoltò,
appoggiò la testa sul suo petto. Iniziò a
singhiozzare.
Gen si sentì incompetente. «Torneranno
come prima,
vedrai.» Era quello che lei voleva sentirsi dire, inoltre...
«Avrai
un aspetto fantastico in ogni momento.» Lo pensava davvero e
la
circondò con le braccia.
Lei pianse ancora un po’,
poi si scostò piano. Tirò su col naso.
«Devo smetterla. Per
loro.»
Non era necessario essere forte. «Non sono ancora
qui. Non ti
sentono.»
«Per fortuna.» Makoto
rilasciò un lungo sospiro, ma dal suo volto era sparita la
malinconia. «Io… forse
avevo bisogno di piangere. Mi sento meglio.»
… era
quella la soluzione? «Allora puoi piangere tute le volte che
vuoi.»
La fece sorridere, una vittoria che lo fece sentire un gigante.
Sentì la mano di lei sulla guancia, poi sui capelli.
«Vai a prendermi una tua maglietta. La
provo.»
Sdraiata su un fianco, sul cuscino per il corpo che aveva
preso, Makoto
provò a rasserenarsi. Era più facile con la
brezza del ventilatore sulle gambe, una maglietta di cotone intrisa
dell’odore di Gen e la sensazione quotidiana, a
quell’ora, dei loro piccoli che si muovevano nella pancia.
Fece una smorfia. Uno dei bambini stava premendo contro un suo
rene. Si
massaggiò la parte bassa della schiena, tenendo la mano dove
l’altro suo piccolo stava calciando. Sentiva il suo
piede. Voleva prenderlo in mano e stringerlo forte, portandolo alle
labbra per baciarlo. Se solo li avesse avuti tra le braccia,
forse sarebbe stata
più tranquilla.
Era nervosa e preoccupata per tante cose.
L’idea di non avere ancora scelto la casa in cui i loro figli
sarebbero
cresciuti, le difficoltà che aveva nel gestire il suo
tempo…
Come Sailor Jupiter aveva tanti doveri ora, verso tante
persone. Aveva
diritto di prendersi del tempo per sé, ma si sentiva in
colpa a preoccuparsi solo della sua piccola vita, mentre al mondo tante
persone soffrivano e attendevano solo il suo aiuto. Inoltre,
anche se non avesse avuto tutte quelle
responsabilità, forse avrebbe sentito lo stesso che le cose
non erano completamente a posto.
Sarebbe stata una buona madre? Sapeva
cucinare, era affettuosa, di solito calma, ma… Due bambini.
Sarebbe stato difficile crescerne uno, ma due?
Non voleva prendere qualcuno che la aiutasse, era compito suo
fare la
madre. Lo aveva desiderato così tanto. Voleva essere
lì per ogni sorriso, per ogni pianto, per ogni minimo
malessere.
Come poteva qualcun altro sapere di cosa avessero bisogno i
suoi bambini? Era
lei che
li sentiva muoversi dentro di sé, era lei che già
conosceva il loro carattere. Con il pianto avrebbero cercato la loro
mamma, non una persona estranea.
Sotto la mano sentì la forma di una testolina,
mentre uno
dei piccoli - impossibilmente - trovava ancora lo spazio per girarsi.
Si riempì di un amore così assoluto da
farle
spavento e si abbracciò lo stomaco, rannicchiandosi anche se
era
fastidioso.
Si lasciò accarezzare dall’aria fresca,
chiuse gli
occhi. Mentre massaggiava i suoi figli da sopra la pancia, si
beò di
essere ancora un tutt’uno con loro. Nel silenzio,
provò a percepire il loro battito.
Uscendo dal bagno, Gen non tornò in camera.
Afferrò il cordless e prese la strada del balcone. Una
volta fuori, chiuse la porta dietro di sé e
verificò che il telefono avesse segnale.
Compose il numero
di casa Kumada-Hino.
«Pronto?»
Bene, aveva beccato proprio Hino.
«Ciao, sono Gen.»
«Ah. Ciao.»
Sì, una comunicazione tra loro due era insolita.
«Ti chiamo per Makoto.»
«Sta bene? I
gemelli sono a posto?»
«Sì. Non è un problema di
salute.»
«Okay» si
tranquillizzò lei. Si incuriosì. «Cosa,
allora?»
«Mi chiedevo se avevi un pigiama estivo che ti
avanzava. Di
quando eri incinta, ma solo se è di buona
qualità.»
«Che?»
Gen
alzò gli occhi al cielo notturno. A cosa si era ridotto?
«Makoto oggi ha scoperto che il suo pigiama preferito non le
sta più. Le ho prestato una mia maglietta, ma con quella
suderà con tutto questo caldo.»
«Ma
certo, poverina! Possibile che tu non abbia ancora installato
l’aria
condizionata?»
Gen strinse i denti. «Stiamo
discutendo se metterla. Domani riuscirò a convincere
Makoto.»
«È lei che non la
vuole?»
«Non vuole spendere soldi.»
«La solita.
Non si può pensare a risparmiare su queste cose!»
Gen non poteva essere più d’accordo.
«Il
problema è solo per stanotte. Domani cercheremo qualcosa di
nuovo.»
«Non tu. Domani mi libero e la porto fuori
con le altre. Qui stanno tutte impazzendo tra il caldo, quelle pance
e… tutto il resto. Abbiamo bisogno di comportarci da persone
normali. Lo shopping ci aiuterà.»
In effetti, tra donne si sarebbero intese meglio. E Makoto
aveva bisogno
delle sue amiche, non solo come compagne nel loro nuovo destino di
responsabilità verso il pianeta. «Glielo dico
io?»
«No, le farò una sorpresa
domattina. Comunque non dovrà comprare un pigiama: ne ho uno
perfetto per lei.»
«Io intendevo un
prestito…»
«Non vedo a cosa debba
servirmi un pigiama extra-large che non metterò mai
più. Sei fortunato, sai? È un regalo di Yuichiro,
ma lui lo ha preso della taglia sbagliata. A sei mesi ci cadevo dentro,
poi è finita l’estate e non ne ho avuto
più bisogno. È praticamente
nuovo.»
«Se è un regalo, Yuichiro non
vorrà che tu lo dia via.»
«Mi ha fatto mille regali in quei mesi e stavo
già
cercando qualcuno a cui dare questo pigiama. Non era facile
scegliere chi favorire tra tutte le ragazze. Mi hai risolto un
problema.»
Era felice di esserle stato d’aiuto, ma…
«È di cotone leggero e
fine?»
Udì la risata di Hino. «Sentirti
parlare così mi fa morire dal ridere. Sì,
è perfetto per questo caldo. Ora lo senti anche
tu.»
Lei chiuse la chiamata e Gen si scostò di lato sul
balcone.
Doveva farle spazio.
Rei Hino non si fece attendere: col teletrasporto
apparì, in
pieno costume Sailor, a un metro da lui.
«È così che giri per
casa?»
«A quest’ora ero in pigiama anche
io, non mi sembrava la mise adatta per questo incontro.»
Gli mise in mano un indumento di stoffa bianca.
Gen non
poté credere alla sua fortuna: il tessuto era uguale a
quello dell’adorato pigiama di Makoto, di cui lei decantava
le lodi da anni. «Grazie.»
«Continui a sorprendermi, sai? Ti sei proprio
ammansito.»
«Makoto era triste. Volevo fare
qualcosa per lei.»
Hino si incupì. «Stalle vicino,
sarà
nervosa in queste settimane. Poi cambierà tutto. Non
sarà facile, soprattutto per voi che ne avrete
due.»
Sì, il mondo intero continuava a
ricordarglielo, ma lui era ottimista.
Hino sorrise furba. «Ci
scambieremo favori di babysitteraggio col tempo, così avrete
modo di respirare.»
«Grazie» ripeté lui.
«Non vedo l’ora di
vederti con le occhiaie, prostrato da due neonati
urlanti.»
Lei era sadica.
«Resisterò.»
«Certo. Se vedo Makoto più stanca di te,
ti farò
camminare sui carboni ardenti.»
Gen strinse gli occhi. «Carboni ardenti
veri?»
«Ne sarei capace. Il potere non mi
manca.»
Stava lì il punto. «Ormai
neanche a me. Un giorno…»
«Chissà tra quanto. Per allora
sarò
molto contenta di raccogliere la tua sfida. Marte non teme
rivali.»
«Neanche Ganimede.»
«Sei giusto più piccolo di un milione di
chilometri rispetto a me. Ci vede, Gen.»
Hino
sparì, togliendogli il gusto dell’ultimo parola.
Makoto sentì rientrare Gen nella stanza. Lui aveva
fatto una
doccia molto lunga: sicuramente moriva di caldo.
«Ho una sorpresa per te.»
Prima che fosse riuscita a voltarsi, sentì le mani
di lui
sui fianchi, che le sollevavano la maglietta. Quella sera lei
non aveva energie per fare sesso, ma
forse l'avrebbe fatta stare bene sentirsi amata.
Gen la stava tirando a sedere, spogliandola con delicatezza,
come fosse
fragile o malata.
Non era così che lui iniziava un approccio.
«Dormire nuda non è una buona
soluzione, sai?» Si coprì il seno, cercando di
sorreggerlo per intero con le mani.
Gen scuoteva la testa. «Alza le braccia, metti
questo.»
Ritrosa, Makoto sollevò le mani in aria. Gen non
abbassò neppure per un istante gli occhi sul suo corpo, si
limitò a far scivolare su di lei un indumento leggero.
Quando lo ebbe indosso, Makoto si osservò,
incredula. Un pigiama. Era... delizioso, perfetto.
«Dove lo hai preso?»
«L’ho
chiesto a Hino. Ha detto che è un regalo.»
Oh. Rei era stata gentilissima, ma lui…
Gen era felice
come un
ragazzino. Spense la luce sul soffitto. «Visto? Con questo
pigiama e col ventilatore… quasi non sembra che faccia
caldo, vero?»
Makoto si commosse così tanto che
non riuscì a piangere. Gen era il suo eroe.
Sentì un nuovo calcio al ventre e le
uscì una
piccola smorfia.
Gen guardò il suo stomaco. «Sono di nuovo
agitati?»
«È l’ora.»
Mentre camminava i bambini si sentivano cullati, ma appena si sdraiava
un
momento… La sera era il loro momento di gioco.
Gen afferrò il cuscino lungo da dietro le sue
spalle e lo
sistemò tra loro. «Sdraiati qui.»
Per quanto era stanca, Makoto obbedì senza
protestare.
«Il pigiama è un regalo
meraviglioso.»
«Te lo meritavi. Ora vediamo se
riesco a fare qualcosa anche per...» Lui aveva posato una
mano sul
suo stomaco e si interruppe sentendo un colpo contro il palmo.
«Ah, eccolo. Chi è dei
due?»
«Indovina.»
Sorridendo, Gen si sdraiò su un fianco, mettendosi
col volto
all’altezza del suo petto. «Meglio che non lo
sappia, così non saprò chi punire per farti tanto
male. Vostra madre ha bisogno di dormire, sapete?»
Nella sua
pancia non vi furono più movimenti.
«Li hai zittiti.»
«È il giusto tono di voce. Ci vuole
disciplina.»
In risposta il pigiama fluttuò su un punto teso
della sua
pancia.
«Ah, un ribelle. Lì dentro si
annoiano.»
Makoto sorrise e abbassò le palpebre
sugli occhi.
«Quando uscirete» continuò Gen,
«vi porterò in giro tutto il giorno,
così la sera sarete stanchi. È bello anche
dormire, sapete? Lì lo fate a volontà, lo so.
Magari, appena sarete fuori, continuate così per un
po’. Dovrete avere pazienza. Tra voi due vi capite con un
tocco, con noi sarà un po’ più
difficile…»
Makoto passò una mano tra i suoi capelli,
immergendo
le dita
in lui e nella sua voce. Si lasciò cullare nel sonno.
Nel silenzio della loro camera, Gen combatté per
tenere gli
occhi aperti.
Doveva spegnere il ventilatore.
Mosse la testa nella mano di Makoto, abbracciando
piano la sua
pancia.
C’era un buon odore, di lei e di
qualcos’altro che
doveva ancora arrivare, ma che era già presente tra loro.
Udì il ticchettio lontano delle lancette
dell’orologio. Makoto respirava piano, addormentata.
Contro la mano sentì un movimento. Non un calcio,
ma una
passata leggera di piede, l’orma così piccola da
stare tre volte nella sua mano.
… era felice di essere vivo. Era felice
che lo fossero tutti.
Dormì.
FINE
NdA: Non preoccupatevi, dopo un po' Gen si è
svegliato e ha spento il ventilatore :P
Una cosina sola: non ho ancora deciso il sesso di questi
bambini. Due maschi, un maschio e una femmina... Può essere
tuto. Non ho nemmeno escluso che siano due femmine, anche se mi sembra
sempre più improbabile. Nel caso, tornerei a correggere al
femminile quanto scritto qui :D
Per il resto... be', ho inserito tante piccole chicche in
questa storia, vorrei sapere da voi se sono state colte :)
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Mamoru con Chibiusa (due mesi) ***
Maternità 9
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi
appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e
della Toei Animation.
11 - Mamoru con
Chibiusa (due mesi)
A volte, quando Mamoru si svegliava all’alba, assisteva a un raro
momento di quiete assoluta. Ascoltava il respiro soffice di Usagi, poi
si alzava e si spostava per la casa, godendosi il silenzio.
Quando tornava indietro, si avvicinava alla culla e affinava l’udito: a
poche settimane di vita Chibiusa espirava pochissima aria, velocemente.
Lui si tratteneva dal toccarla. Da sveglia lei non era sempre di buon
umore: si ricordava di volere la sua mamma e piangeva, piccoli vagiti
delicati che lo lasciavano incredulo. Da grande lei sarebbe stata capace
di tali urla…
La notò sbattere le ciglia, un esserino che scopriva di nuovo il mondo
nel ritrovarlo intorno a sé.
«Ehi» mormorò.
In risposta lei emise un suono breve, di conferma.
Ehi.
Mamoru le accarezzò la testa. Molto piano, la prese in braccio.
«Buongiorno» bisbigliò. «Andiamo di là.»
Attaccata al suo petto Chibiusa tentò una risposta, che lui interpretò
come una domanda.
«Non dobbiamo svegliare la tua mamma.»
La portò con successo in salotto, sistemandosi vicino alla finestra. Si
intravedevano i primi raggi del sole oltre le tende.
Muovendosi sicura nelle sue mani, Chibiusa cercò di spostarsi verso la
luce. «Uh.»
Lui rimase a sentire la morbidezza dei suoi capelli fini sui
polpastrelli.
«Ci sarà tanto sole oggi.»
Chibiusa tornò a guardarlo, attratta dalla sua voce.
Mamoru non parlò più: rimase a osservare il viso di lei. I tratti di
Usagi si erano riprodotti in miniatura su un’altra persona.
Ma il carattere era di lui: con nessun altro aveva sentito tanta
affinità immediata. A Chibiusa era piaciuto sin dal primo momento in cui
l’aveva percepito. Nella pancia lei si era calmata ascoltando le sue
parole. Al vederlo per la prima volta aveva spalancato gli occhi,
incantata.
Oh. Eccoti.
Mamoru provava le stesse cose. Erano padre e figlia, persone che si
somigliavano e che esistevano per volersi bene.
Infilò il mignolo nel piccolo pugno di lei. Sentendo la stretta, fece
dondolare le loro mani unite.
«Ti aiuterò ogni volta che avrai bisogno.»
«Uh.»
«Ti capirò.» Come lei capiva lui, pur piccola com’era.
Chibiusa abbozzò un sorriso. Stava imparando.
D’un tratto, la sua espressione virò sull’incertezza, poi sulla
disperazione.
Mamoru comprese. «Shh, okay. Non preoccuparti.»
Chibiusa stava già piagnucolando quando la appoggiò sul fasciatoio.
Appena sentì la freschezza della salvietta umida sulla pelle, lei iniziò
a calmarsi, sollevata. Mamoru terminò di pulirla, aggiungendo un po’ di
talco. Per Chibiusa fu la felicità completa.
«Basta poco» sorrise lui.
La riportò in camera. Era un piacere poterla presentare tranquilla alla
sua mamma.
Usagi era molto paziente con lei. Tuttavia, svegliarsi coi suoi pianti
le metteva fretta e a volte la oberava. Usagi rinunciava volentieri al
sonno per la loro bambina, ma ogni tanto lui la vedeva sospirare per la
troppa stanchezza, e soffriva per lei.
Avevano molti impegni in quel periodo. La loro vita in famiglia era la
gioia più pura e semplice che fosse loro concessa. Lui voleva prolungare
ogni momento di serenità.
Si risdraiò sul letto, Chibiusa in braccio, a pochi centimetri da
Usagi.
Non c’erano Re e Regine su quel letto. Solo una madre, un padre, e
quanto di più caro avevano al mondo.
Chibiusa emise un vagito incerto, muovendo le braccia. La fame
cominciava a farsi sentire.
Lui le coprì la pancia con una mano, massaggiando.
Usagi aveva aperto gli occhi. «Oh.»
«Ciao.»
Lei creò un sorriso con le labbra, sporgendosi ad abbracciare la loro
piccola. «L’hai calmata. Sei un angelo, Mamo-chan.»
«Non si è svegliata piangendo.»
«Ma ha fame. Non è vero?» domandò a Chibiusa. L’aveva già avvicinata al
petto, abbassando il pigiama per porgerle il seno. Le diede il latte che
bramava e sbadigliò. «Che bello.»
«Cosa?» sorrise Mamoru.
«Svegliarmi così bene. In pace.»
«Usa-chan sta crescendo. Piano piano piangerà sempre meno.»
Un sorriso, a bassa voce. «Ha solo due mesi.»
«Due mesi in meno di pianti.»
Usagi sbadigliò ancora. Cercò un suo braccio con la mano libera.
«Mamo?»
«Hm?»
«Puoi preparare anche una colazione meravigliosa?»
Mamoru si divertì. «Dobbiamo riconsiderare l’idea dei servitori.»
Usagi si stiracchiò. «Non voglio gente per casa.»
Nemmeno lui. Ma in futuro non gli sarebbe dispiaciuto non doversi più
occupare dei pasti. Dopotutto, il suo mondo esigeva molto da lui e
Usagi. Piccole comodità sarebbero state d’aiuto.
«Mamo-chan?»
Lui era già sulla porta.
«Ti amo tantissimo.»
Mamoru rise. «Quando ti preparo la colazione?»
«In quei momenti di più.»
Scuotendo la testa, felice, lui si diresse in cucina.
FINE
NdA: viva le ispirazioni fulminanti e le idee semplici, che mi
permettono di scrivere anche quando mi sento bloccata :)
Spero vi sia piaciuta!
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon,
Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Usagi e Mamoru (al sesto mese di Chibiusa) ***
Maternità 5
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
5 -
Usagi e Mamoru (al sesto mese di Chibiusa)
Quel Natale era diverso dagli altri.
Gli orizzonti di Usagi negli
ultimi sei mesi si erano ampliati: aveva girato il mondo ed era
cambiata
profondamente come persona. Laddove prima aveva considerato il
venticinque
dicembre solo come un momento speciale da passare con Mamoru, ora aveva
visto
con i suoi occhi un’atmosfera diversa, in paesi dove quel
giorno era una festa
da celebrare in famiglia. Non c’era sentimento che lei
condividesse di più in quel
momento.
«Non agitarti tanto!»
Maneggiò i piedini della
sua Usa-chan, infilandone uno nella
tutina rossa.
«Vuoi che la mamma ti vesta
con la magia? Lo vuoi?»
La risatina infantile di Usa-chan fu
argento vivo per le
sue orecchie.
Afferrò i pugnetti della
sua bambina e li baciò in coppia. «No!
Poi la nonna dice che non ti fai vestire perché io lo faccio
sempre con la
magia! E poi voglio metterti questo costumino da Babba Natale con le
mie mani. Così
ti faccio il solletico al pancino, ti abbraccio tutta, ti strapazzo di
baci...»
Usa-chan rilasciò un
gridolino acuto.
«Shh! Okay, okay, non vuoi
più stare sdraiata?» Usagi la sollevò
fino ad appoggiarla sul materasso, seduta. Si meravigliò
ancora una volta di
quel piccolo miracolo di sei mesi, la sua piccola che teneva la schiena
dritta,
muovendo la testa da sola per guardarsi intorno.
«Ti piace, hm?»
Usa-chan le mostrò un
sorrisino gigante e sdentato.
«Non tentarmi!» Usagi dovette trattenersi
con tutte le sue forze
per non travolgerla d’amore. «Sai cosa devo fare
oggi!»
Non volle perdere
altro tempo e si fece comparire nella mano due nastrini rossi e un
piccolo
pettine. «Questo è un momento storico, riservato a
noi Usagi.» Per distrarla, diede
a Usa-chan il peluche di un cavalluccio bianco. Iniziò a
pettinarle i capelli
rosa da un lato. «C’era
una volta un piccolo coniglietto umano» intonò.
«Era nata da
una regina coniglio e da un…» Tentò di
trovare un corrispettivo animale per
Mamoru. «E da un lupacchiotto sovrano. Insieme i due genitori
animali furono
felicissimi quando arrivò la loro piccolina. Lei era un
coniglietto vorace come
la mamma e intelligente come il papà. I due genitori
sognavano il giorno in cui
avrebbero potuto parlarle di nuovo, ma nel frattempo era
così bello vederla
crescere. Poi arrivò il Natale e fu il momento della
coniglizzazione ufficiale!»
Rise della sorpresa con cui Usa-chan la guardò.
«Non preoccuparti, non ti farà
male. Ma se ti tiro troppo i capelli, grida, eh?»
Tranquilla, Usa-chan tornò
a studiare la forma del suo
pupazzo.
«Ora annodo il nastrino
qui… Finalmente hai abbastanza capelli
per farlo.» Erano pochi e fini, ma sufficienti a creare un
mini-chignon.
A
odango ultimato, Usagi resistette e non guardò.
«Prima faccio l’altro.» Voleva
godersi l’effetto finale.
Mentre lavorava sull’altro
lato della testa di Usa-chan, cominciò
a canticchiare. «We
wish you a
merry Christmas, we wish you a merry Christmas, we wish you a merry
Christmas…»
Le si bloccò il fiato mentre legava il secondo
nastrino. «And a happy
new year!»
Si tirò indietro e
gridò di gioia. «Ahh! Sei bellissima, sei
tu!»
Usa-chan sobbalzò.
«Scusa, scusa…
ma sei Chibiusa!» Ridacchiò: aveva fatto la
rima!
Si affrettò a sistemare i
bottoni sulla schiena di Usa-chan.
«Come sono scomodi… ma non vedo
l’ora di
portarti da papà e devi essere pronta!
Vuoi fargli una bella sorpresa?» Prese in braccio la sua
bambina. «Una sorpresa
di Natale! Andiamo a fargliela!»
«Mamo-chan…»
Mamoru si svegliò nel
torpore del mattino, la guancia
appoggiata sul cuscino.
«Mamoru, svegliati. Buon
Natale. Guarda chi ti ho portato.»
La voce di Usagi era leggera e dolce.
Sulla schiena lui
sentì un peso morbido, con arti minuscoli che si muovevano
impazienti.
Si voltò piano, con un
sorriso sulla bocca. «Chi è
arrivata?»
La loro piccola Usagi
appoggiò le mani paffute sul suo
petto, sghignazzando felice. Solo lei riusciva a farlo in quel modo.
«Ciao! Sei contenta?
Ma…» Smise di parlare quando vide
meglio sua figlia. Lei aveva due codine rosa in testa.
«Ehi!» Scattò a sedere,
portandola incredulo con sé. «Cos'hai
qui?»
Usagi era estatica quanto lui.
«Gliele ho fatte io, sono
venute benissimo! Era tempo. I primi odango della sua vita!»
«Macché
odango!» Mamoru baciò la fronte della sua bambina.
«Questi
sono chignon. È l’unico nome adatto per
un’acconciatura da principessa.»
Usagi sollevò un
sopracciglio. «Quindi ora anche i miei si
chiamano così?»
«No. I tuoi rimangono
sempre degli odango.»
Usagi lo colpì sulla
spalla, poi lo abbracciò. «Buon
Natale.»
Lui strofinò il naso
contro la sua guancia. «Ehi, hai messo su
un profumo?»
«Uh? Sarà eau
de Usagi.
Non c’è niente di più ricercato sul
pianeta, sai?»
La modestia di lei diminuiva al crescere della sua
regalità.
Usagi scoppiò a ridere.
«Scherzavo, è un profumo che ho
comprato. Speravo che mangiassi di baci anche me stamattina.»
Si alzò,
incrociando le braccia. «Ma vedo che le attenzioni sono per
una sola Usagi…»
«Hm.» Mamoru
sistemò Usa-chan sulla spalla, uscendo dal
letto. «Allora per chi avrò preso quel regalo che
ho nascosto in salotto?» Si
deliziò della sorpresa di lei ma fu lesto e le
impedì di correre via. «Buon
Natale, Usako. E guarda che sei tu quella che non mi ha ancora baciato
a dovere
stamattina.»
Usagi rimediò in un
baleno. «Preparati. Abbiamo una festa a
cui andare!»
Mamoru se lo ricordava, ma quello era
già un ottimo Natale per lui.
Mentre Usagi spariva dalla stanza, osservò la sua
bambina.
«Ma ti ha vestito da
Babbo Natale?» Sapeva che Usagi e Minako si erano organizzate
per dei costumi,
ma lui aveva una miglioria da apportare. «Ecco»
dichiarò. Fu così bravo da creare
istantaneamente una bella
gonnellina rossa per sua figlia.
«Al primo colpo, visto? Non
si batte l’abilità di noi Chiba.»
Si sciolse quando Usa-chan lo
abbracciò più forte, per
sostenersi.
«Buon Natale anche a te.
Andiamo a vedere se il regalo è
piaciuto alla tua mamma.»
Uscì dalla stanza con
sua figlia, per il loro primo
Natale a tre.
FINE
NdA: Buon Natale a tutti voi! Ci tenevo a farvi questo piccolo
regalo.
Spero che abbiate gradito e tanti auguri a tutti!
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Adam, sei anni, con la sua famiglia ***
Maternità 13
Note: Traduco in anticipo un termine che uso nella storia. 'Li'l champ'
significa 'piccolo campione' ed è il modo in cui Alexander chiama ogni
tanto suo figlio Adam.
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi
appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e
della Toei Animation.
Adam, sei anni,
con la sua famiglia
(SPOILER ENORME
per chi non ha letto le info date nel gruppo Facebook 'Lo spoilerone
di Elle')
Adam Foster, sei anni, aveva una domanda per i suoi genitori.
«Cosa vuol dire fidanzarsi?»
Suo padre fermò la forchetta col riso appena fuori dalla bocca. Stavano
cenando.
«Ah... due persone si fidanzano quando si vogliono bene.»
Ma lui voleva bene a tanta gente. «Allora si possono avere tanti
fidanzati?»
Sua madre rise piano. «No, solo una fidanzata o un fidanzato, Adam.
Dev'essere la persona a cui vuoi più bene di tutte.»
Lui ci rifletté su. «Allora no.»
Sporgendosi, suo padre tagliò in pezzettini più piccoli la carne nel
suo piatto. «No, cosa?»
«Iria vuole che ci fidanziamo.»
Vide il sorriso di entrambi i suoi genitori. Ma non era divertente! «Mi
sta sempre appiccicata, come Miri.» Indicò sua sorella dall'altro lato
del tavolo.
«Miri è tua sorella, vuole solo giocare con te.»
Con la bocca piena di cibo, Miri annuì vigorosamente.
«Ma Iria non è mia sorella!»
«Per questo può fidanzarsi con te.»
«Io non voglio!»
Suo padre alzò una mano. Significava che doveva lasciarlo finire di
parlare. Adam fece silenzio.
«Volevo dire che quando si vuole molto bene a qualcuno, gli si
può chiedere di fidanzarsi se non si fa parte della stessa famiglia. E
l'altra persona può rispondere di no, se non è d'accordo.»
Allora andava bene. «A me piace giocare con Iria, perché lei è brava a
nascondino e a correre. Ma non voglio fidanzarmi con lei. Non le voglio
così bene.»
«Diglielo con gentilezza.»
Sua madre e suo padre ripresero a mangiare. Adam aveva un'altra domanda
per loro.
«Cosa succede dopo che ci si fidanza?» Voleva capire.
Fu sua madre a rispondergli. «Lo si fa sapere agli altri, così tutti
sanno che quelle due persone sono speciali l'uno per l'altra. Poi, dopo
un po' di tempo, ci si sposa.»
Adam si arrabbiò. «Non posso sposarmi con Iria!» Lei come aveva potuto
pensarlo?
Suo padre tornò a ridere. «Non devi, ma... perché non puoi?»
«Perché il matrimonio è una cosa importante!»
I suoi genitori lo ascoltarono con attenzione.
Adam aveva imparato tutto dalle favole che raccontavano a lui e a Miri.
«Col matrimonio le principesse diventano regine, giusto? Allora io
sposerò Chibiusa-chan, che è una principessa. Così quando lei diventerà
regina io sarò re!»
La risata di suo padre riempì il salotto.
Adam si offese. «Non posso diventare re se non sposo una principessa!»
Il suo papà provò a smettere di ridere, battendosi il petto e tossendo.
«Ma... tu vuoi bene a Chibiusa più di tutti, Adam?»
«No, ma lei è carina come zia Usagi. E fa tutto quello dico io.» Anche
più di Miri, che a volte si ribellava.
Perché suo padre continuava a ridere?
Anche mamma era divertita, e scuoteva la testa. Avvicinò la sedia alla
sua, per scostargli la frangia dalla fronte. «Tesoro, è bello voler
essere importanti. Ma non è necessario diventare re o regine per essere
felici da grandi. Guarda me e il tuo papà.»
Con un grosso sospiro, suo padre tornò normale con la faccia. Annuì.
«Ci basta stare bene insieme con voi, avere una casa nostra e dei bei
lavori.»
Ad Adam fare il re sembrava un bel lavoro. «Okay» disse comunque,
perché era quello che loro volevano sentire.
Miri aveva la faccia piena di riso. «Anche io voglio diventare una
regina!»
La mamma sospirò. «Dobbiamo raccontare loro favole diverse.»
«Non so, c'è qualcosa di affascinante nel modo in cui vogliono fare gli
arrampicatori sociali.»
Mamma aveva messo il broncio, ma non stava guardando lui.
«Cosa vuole dire 'arrampicatori'?» domandò Adam.
«Persone che passano sopra tutto e tutti per ottenere quello che
vogliono.» Suo padre gli scompigliò i capelli. «Stavo scherzando, li'l
champ, bisogna essere gentili con gli altri. Non è necessario sfruttarli
per arrivare a diventare importanti e ammirati. E' quello che vuoi tu,
giusto?»
«Sì!»
«Ti dirò io come fare, col tempo. Adesso non devi preoccuparti di
queste cose, pensa solo a giocare coi tuoi amici e ad andare bene a
scuola.»
Adam ci pensò su.
Miri appoggiò la forchetta nel piatto di plastica. «Io ho tanti amici!»
«Yes, sweetie. Però non hai mangiato abbastanza. Un altro boccone, su.
Ahh--»
Miri spalancò la bocca per papà, accettando la forchetta piena di cibo.
Era ancora una bambina piccola.
«Anche tu devi finire di mangiare la tua carne» gli ricordò la mamma.
«Poi voglio il dolce.»
«Il dolce!» gridò Miri. «La torta al cioccolato!»
«Sì, la torta. Dopo. Prima
finite di mangiare.»
Adam masticò veloce. Voleva il dolce. Anzi, un giorno voleva mangiare
la torta al cioccolato prima dell'altro cibo. Voleva decidere lui tutto
quanto.
Sua madre era rimasta a guardarlo, mangiando distrattamente.
«Di cosa ti stai preoccupando, love?»
«Di come rifiuterà Iria-chan.»
«Non possiamo mettergli parole in bocca. Sono bambini, hanno diritto a
essere sinceri.»
Adam deglutì quello che stava mangiando. «A me non piace mentire!»
«Oh, non voglio che menti, tesoro. Ma è bello essere gentili quando si
dicono verità... dure.»
Adam non capì.
«Iria ti vuole bene e ci resterà male quando le dirai che non vuoi
fidanzarti con lei.»
Adam si intristì. La mamma non era contenta con lui. «Allora devo dirle
di sì?»
Adam cercò anche gli occhi di suo padre, che stava sollevando le
sopracciglia, rivolto alla mamma.
«No» disse lei. «Ehm... per un po' Iria non vorrà giocare con te, ma
non preoccuparti. Poi capirà che voi due siete grandi amici e che va
bene così.»
Adam si tranquillizzò. «Io ho già detto a delle bambine che non le
amo.»
«Come?»
«Quando?»
«A scuola. Tante mi vogliono bene, perché sono il più bello della
classe!»
Suo padre rilasciò una nuova enorme risata.
Adam si sentì preso in giro. «E' la verità! Lo dicono tutti!» Anche le
maestre! Dicevano che i suoi occhi erano unici!
«Ma sì, certo!» Papà respiro forte per calmarsi. «Sei very handsome,
li'l champ. Ma è meglio lasciarlo dire agli altri e non dirselo da
soli.»
«Perché no, se è la verità?»
Suo padre rifletté. «Non fa una piega.»
«Alex.» Mamma lo stava avvertendo.
Miri saltellò sulla sedia. «Anche io sono bellissima!»
Papà si piegò in due, affondando con la testa sotto il tavolo.
«God» sospirò la mamma.
Papà saltò su, afferrando Miri tra le braccia. «Ma certo, sweetie. You
are the prettiest!» Tornò a guardare lui e la mamma, e fece quella
faccia di quando si sentiva in colpa. «Cosa c'è, love?»
«Sai da chi hanno preso» rispose lei.
«La bellezza? Non essere modesta.»
«L'arroganza.»
«Io la chiamo consapevolezza.»
«Cos'è arroganza?» domandò Adam.
Sua madre gli spiegò. «Arroganza è vantarsi delle proprie qualità,
anche quando sono vere. E' meglio essere umili»
«Perché?»
«Perché gli altri vedono comunque che hai qualcosa in più, ma non si
sentono male pensando che loro abbiano qualcosa meno di te. Comunque,
Adam, tutti sono speciali e belli a modo loro.»
«Hm.» Però lui era lo stesso il più bello della sua classe. Forse della
sua scuola.
Papà era tornato a sedere con Miri. «Sai qual è la cosa più
soddisfacente, Adam? Dire alle persone che apprezzi cos'hanno di
speciale. Per esempio io penso che Miri sia gentile, e molto
intelligente con tutte le parole che sta imparando.»
Sua sorella stampò un bacio sulla guancia di suo padre. «Papà è
stupendo e mi vuole tanto bene!» Si beccò un abbraccio.
«Ecco! Ora tu, piccolo.»
Adam guardò sua madre. «Mamma non sbaglia mai, mi spiega tutto ed è
dolce.» Le causò un sorriso. «Tu, papà... tu inventi sempre giochi nuovi
e sai un sacco di cose.» Era forte e alto e Adam voleva diventare come
lui da grande. Ma suo padre dava troppa attenzione a Miri e a volte Adam
voleva che fossero solo loro due, senza sorelle di mezzo.
Si concentrò su di lei - Miri, in realtà Mireille, un nome difficile.
Cercò di pensare cose buone su sua sorella. «Miri è brava a giocare.» Si
ricordò di quando aveva fatto la cattiva mentre lui la attaccava come
supereroe. Avevano corso per tutta la casa.
Miri non si rifiutava mai di rifare quel gioco e lui si divertiva tanto
con lei. «E' davvero simpatica. E affettuosa»
Sua madre si abbassò a dargli un bacio sulla fronte. «Noi vi adoriamo
tutti e due. Oggi il dolce arriva prima.»
Lui e Miri gridarono per la gioia.
Mentre mangiavano tutti insieme la torta al cioccolato, Adam si fermò a
pensare.
Hmm. Fidanzarsi, voler bene a qualcuno più di tutti... Ma quella
persona non doveva essere della propria famiglia.
«E se non volessi mai fidanzarmi?» domandò a suo padre.
«Non è obbligatorio fidanzarsi. Lo farai solo se lo vorrai.»
Okay. «Devo allenarmi a dire no.»
Quello che diceva divertiva il suo papà.
«Di solito è il ragazzo che chiede alla ragazza se lei vuole fidanzarsi
con lui.»
Oh. Iria non seguiva mai le regole.
Meglio così, in futuro gli sarebbe bastato non fare mai quella domanda
a nessuna ragazza.
Papà lo osservava intensamente.
Adam volle chiedere. «Dico cose strane?»
«No. Fai domande interessanti, importanti. Io e tua madre diamo così
tante cose per scontate che non ci facciamo più le domande che ti fai
tu.»
Hm. Lui avrebbe preferito essere come loro, che sapevano tutto. Ma gli
piacevano i complimenti e papà gli aveva appena detto una cosa buona.
Sorrise.
Suo padre era contento di lui. «Domani usciamo solo io e te? Miri
rimane con la mamma.»
Adam quasi saltò sul tavolo. «Sì!»
Suo padre si alzò e gli porse le braccia. Adam si lasciò prendere,
stringendosi al suo collo.
«Hai finito la torta?»
Adam annuì. Non gli importò rendersi conto che stava facendo come Miri,
comportandosi da bambino piccolo. La mamma gli sorrideva. «Andate a
lavarvi i denti.»
Miri si agitò sulla sua sedia, scendendo per essere presa in braccio.
«Anche io, non lasciatemi a terra!»
«Ci pensa la mamma, sweetie.» E papà non le badò più, perché fu la
mamma a mettersi Miri sulle ginocchia, distraendola con la torta
rimasta.
Di solito mamma era di lui e papà era di Miri, ma Adam poteva
condividere. Così passava un po' di tempo da solo con suo padre.
Lui lo lasciò scendere sul pavimento del bagno, prendendo gli
spazzolini mentre Adam si sistemava davanti al lavandino e apriva il
rubinetto.
«Non mi fai più andare sulle tue spalle.»
«Quando?»
Adam mostrò la posizione, fingendo che ci fossero delle gambe attorno al
suo collo. «Con Miri lo fai ancora.»
«Perché tu stai diventando pesante.»
Oh. Non voleva diventare pesante.
«Significa che stai crescendo.» Suo padre mise una mano sopra la sua
testa, senza toccarlo. «Adesso sei così. L'anno scorso eri così.» Fece
scendere la mano. Poi tornò a far salire il braccio, sempre più su.
«Diventerai più grande ogni anno che passa.»
Adam era felice. «Alto come te!»
«Certo.»
«Più alto di zio Gen!»
«Uh, forse. Se mangi tuttele verdure senza lamentarti.»
Bastava dirglielo prima. Non vedeva l'ora di diventare grande! Anche
se... «Poi non passeremo più tempo insieme.»
«Perché dici questo?»
«Non stai quasi mai col nonno.» Che era il papà del suo papà, glielo
avevano detto.
Suo padre fece una faccia... seria. Un po' triste.
«Il nonno è occupato. Ma io avrò sempre tempo per te.»
Adam sorrise. «Domani andiamo al parco. Giochiamo a baseball?»
«Tutto quello che vuoi. Ora laviamoci i denti. Apri la bocca così...»
Allargarono al massimo le labbra, insieme, le loro bocche uguali mentre
appoggiavano gli spazzolini sopra i denti sporchi di cioccolata. «Via!»
Premettero i pulsanti degli spazzolini elettrici. Fu un gioco lavarli
insieme, copiando quello che faceva il suo papà.
Adam voleva imparare tante altre cose da lui. Non vedeva l'ora che
arrivasse domani.
Adam, sei anni, con la sua famiglia -
FINE
NdA: Ieri ho passato più di 24 ore con la mia nipotina, e questo è il
risultato. Lei ha quasi quattro anni, che sarebbe l'età di Miri/Mireille
in questa storia. Ad un certo punto mi è parso di aver dato a Miri un
vocabolario troppo ridotto, ma la verità era che la piccola stava
mangiando ed è una bambina che ascolta molto. Quando parla però non la
ferma più nessuno :P
Con questa storiella ho voluto iniziare a concretizzare il carattere di
Adam quando ormai è più grandino. Dicevo nei vari spoiler che lo
immaginavo un pochettino arrogante, molto sicuro di sé. Volevo anche
lasciar intendere che Mireille, la seconda figlia di Ami e Alexander, è
quella che somiglia più a suo padre e per questo i due se la intendono
in maniera speciale, perché lei è molto affettuosa e aperta, mentre Adam
è sempre stato un pochino più riservato e simile ad Ami. Adam percepisce
questa cosa, perciò è un po' geloso.
Spero che la storia vi sia piaciuta, fatemi sapere :)
Elle
Traduzione di termini/frasi inglesi, utilizzate:
- Li'l champ = sarebbe 'little champion', piccolo campione.
Un'espressione abbastanza comune negli USA per i maschietti.
- Sweetie = Tesoro/amore
- You are the prettiest = Sei la più carina
- Very handsome = molto affascinante/bello
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon,
Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** SPOILER, Akiko e Shin (quattro anni) ***
Maternità 15
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
15 - SPOILER, Akiko e Shin (quattro anni)
A volte Gen si preoccupava per suo figlio. Shin era un bambino dalla natura mite e conciliante, che rifuggiva il confronto con la sorella. Akiko gli aveva appena strappato di mano un pennarello. Come già accaduto altre volte, Shin non aveva protestato, scegliendo piuttosto di usare un colore diverso per il proprio disegno.
Gen si inginocchiò accanto a loro, intervenendo. «Akiko, no.» Porse la mano verso la sua bambina di quattro anni e mezzo, chiendendole il maltolto.
Lei strinse nel pugno il pennarello, rifiutandosi di lasciarlo andare senza proteste. «Perché? Lui non lo usa!»
«Non è un buon motivo per toglierglielo senza chiedere. Ridaglielo e se lo vuoi...»
Sbuffando, Akiko ridiede il pennarello a Shin, solo per velocizzare il processo. «Me lo dai, per favore?» Si apprestò a riprenderlo prima ancora di ascoltare la risposta.
«Akiko!»
Davanti al rimprovero di suo padre lei tremò con le labbra. «Non ha detto no!»
Gen si rivolse a suo figlio. «Shin.» Si sedette, per far capire a entrambi i suoi bambini che sarebbe rimasto con loro finché la questione non fosse stata risolta. «Ti serve questo pennarello giallo? Lo avevi preso per disegnare il sole?»
Shin sgranò gli occhi scuri, concentrandosi sulle sue parole come se si fosse accorto solo in quel momento che era con loro nella stanza. «Sì» rispose, rigirando il pennarello giallo tra le piccole mani. «Ma disegno il sole dopo Aki-chan.»
Raggiante, Akiko si riprese il proprio premio. «Grazie!»
Gen sospirò, incurvandosi nelle spalle: suo figlio era pacifico per natura. Provò l'impulso di spiegargli che doveva dimostrare più carattere, ma vedendo che i suoi bambini erano tornati a disegnare, rimase a osservarli.
Akiko stava attaccando il foglio con slancio, disegnando lunghe righe orizzontali. Si trattava di un qualche tipo di campo di grano? Intuì di essersi sbagliato quando sua figlia afferrò il pennarello rosso e iniziò a disegnare delle nuvole in cielo. I colori per Akiko erano un concetto relativo: utilizzava quelli che più le aggradavano sul momento.
A differenza sua, Shin stava ancora riflettendo su cosa disegnare. Era una concentrazione notevole per un bambino di quattro anni.
Gen lo vide prendere in mano il pennarello rosa, disegnando un cerchio in mezzo al foglio. Sotto al cerchio seguì la figura di un triangolo allungato verso il basso. Shin vi aggiunse quattro lineette, che fecero capire a Gen che si trattava di un corpo umano stilizzato.
«Chi disegni?»
«La mamma.» Shin afferrò il pennarello marrone e colorò i capelli di Makoto, dando vita ad una rudimentale coda. Col verde riempì la parte bassa del triangolo.
«È la gonna?» domandò Gen.
«Sì.» Shin era soddisfatto. Quando si trattò di scegliere un nuovo colore, si mostrò in dubbio. «Di che colore sono i fulmini?»
Gen trattenne una risata. «Bianchi.»
Suo figlio allungò una mano verso l'astuccio dei pennarelli, poi mise su un broncio. «Non c'è il bianco!»
Gen decise di aiutarlo. «L'interno di un fulmine è bianco, ma per i contorni puoi usare l'azzurro.» Prevedendo la difficoltà nel disegnare tale soggetto, avvicinò lui stesso il pennarello al foglio.
Shin si arrabbiò. «Faccio io!» Prese il pennarello e tracciò delle linee arzigogolate che presto si incrociarono tra loro senza alcun ordine. Tremò di rabbia. «Noo! Devo rifarlo!»
Gen gli impedì di appallottolare il foglio. «Non preoccuparti, i fulmini sono così: confusi. Sono difficili da disegnare. Guarda: si fa così... e così...»
Shin osservò il suo operato con impazienza: se c'era una cosa per cui mostrava decisione era il suo lato artistico. Pretendeva da se stesso di riuscire al primo colpo e quando non era contento del risultato buttava tutto per ricominciare daccapo.
Vedendo il fulmine che stava prendendo vita nel foglio, un sorriso si espanse nel suo piccolo volto. «Che bello!»
Akiko si sporse verso di loro. «Cosa? Anch'io, anch'io!» Fece per prendere il pennarello di mano a suo padre, ma Gen lo ritrasse in tempo.
«Per favooore!» si lamentò lei.
«No. Sto insegnando a tuo fratello.»
«Per favooore!»
Assicurandosi che il pennarello azzurro finisse in mano a Shin, Gen sollevò sua figlia tra le braccia, facendola salire in aria. «Non posso dire sempre di sì, topolina!»
Akiko si espresse con una risatina di gioia, godendosi la giravolta.
Gen tornò serio, stringendola tra le braccia. «'Per favore' è per chiedere, ma a volte la risposta è no.»
Indispettita, Akiko si agitò tra le sue braccia. «Perché non ho pennarelli tutti per me?»
«Certo che li hai. In quell'astuccio ci sono due set completi. Due pennarelli per ogni colore.»
«Non funzionano!»
Gen premette un dito sul suo minuscolo naso. «Chi si è dimenticato di rimettere il tappo?»
Akiko si incurvò nelle spalle, rilasciando una risatina deliziosa. Gen non resistette e le stampò un bacio sulla guancia, lasciandola tornare a terra.
Lei corse a osservare il disegno di suo fratello. «Quanti fulmini!»
Gen abbassò lo sguardo e rimase impressionato: nel tentativo di copiare meglio la forma che gli aveva mostrato, Shin aveva riempito il foglio di fulmini di diverse dimensioni.
«È una tempesta» commentò Gen.
Akiko saltò in piedi. «Facciamo boom!» Saltò con tutta la sua forza sul pavimento, più volte, producendo solo piccoli tonfi col suo peso piuma.
Shin la guardava affascinato. «Sì, boom!» Con incredibile ingegno andò ad afferrare dei libri e li sbatté l'uno contro l'altro, creando molto più rumore di sua sorella.
Akiko gridò e si apprestò subito a copiarlo.
«Bambini!»
A tuonare era stata la voce di Gen ed entrambi i suoi figli si immobilizzarono.
«I libri si rompono se fate così. Andiamo in giardino a fare rumore.»
Entusiasti, i suoi piccoli si aggrapparono alle sue braccia, facendosi sollevare come scimmiette.
Arrampicata sulla sua spalla, Akiko se ne venne fuori con una nuova idea mentre attraversavano la casa. «Perché io non ho il mio compleanno?»
Gen si domandò quale altra novità stesse per ascoltare. «Certo che hai un compleanno.»
«No! Miri ha un compleanno tutto suo, Chibiusa ha un compleanno tutto suo, Hermes ha un compleanno tutto suo...»
Gen comprese il concetto. «Perché tu non ha un compleanno da sola?»
«Sì! Non è giusto! Non voglio che il mio compleanno sia anche di Shin!»
Gen provò a spiegarle in maniera semplice. «Il compleanno è il giorno in cui si è nati. Tu e Shin avete lo stesso compleanno perché siete nati lo stesso giorno. Eravate nella pancia di mamma insieme.»
«Ma io voglio un compleanno tutto mio!»
A Gen venne in mente una soluzione. «Volete che facciamo due feste separate per ciascuno?»
«Sì!» L'esultanza di Akiko fu contagiosa. «Io voglio il party delle principesse!»
«Ma certo.» Gen si girò verso suo figlio, facendo scendere a terra Akiko. Ormai erano arrivati in giardino e la sua piccola corse veloce verso l'altalena. Aveva imparato a spingersi avanti e indietro da sola, perciò Gen sapeva che non avrebbe chiesto aiuto. «E tu, Shin?» si rivolse a lui, sistemandolo meglio nell'incavo del braccio. «Vuoi che per il tuo compleanno i tuoi invitati si travestano da cavalieri?»
Shin aveva una mano vicino alla bocca. Bofonchiò. «Posso fare la principessa anche io?»
Per qualche secondo Gen non disse niente. «... Perché?»
Suo figlio nascose la faccia contro la sua spalla. «Non voglio fare una festa tutta mia.»
Gen cercò di non rilasciare un sospiro di sollievo troppo grande. «Vuoi festeggiare con Akiko?»
Più che vedere, percepì il movimento della testa del suo bambino - un assenso.
Gli strofinò la schiena, consolandolo. «Ascolta... Akiko a volte vuole fare le cose da sola. Ma tu puoi avere una festa più grande e bella. Così lei vorrà venire alla tua.»
Shin tornò dritto, illuminandosi.
Provando a sospendere qualunque giudizio, Gen sentì il bisogno di chiedere delucidazioni. «Vuoi vestirti lo stesso da principessa?»
«Hmm., no. Le gonne lunghe sono scomode.»
Lasciando perdere altre domande, Gen gli arruffò i capelli e lo mandò a correre sul prato. «Su, raggiungi tua sorella.»
Si sedette sui gradini della veranda, osservando il modo in cui i suoi bambini giocavano. Akiko si era arrampicata fino alla cima della struttura in ferro che lui aveva fatto piantare sul loro prato solo da due settimane. Era ostica per dei bambini così piccoli, ma Akiko era indomita e si era stufata presto della sfida offerta da un semplice scivolo. Non aveva timore di affrontare le altezze, né di spingersi oltre i propri limiti. Dal basso suo fratello la guardava con ammirazione, tentando a sua volta la scalata, solo per imitare il suo coraggio.
I suoi figli lo costringevano ad affrontare i suoi pregiudizi: nel suo mondo ideale Shin avrebbe avuto il carattere di Akiko e lei sarebbe stata mite e tranquilla come il fratello. Ma alla fine, in cosa ciò avrebbe reso le loro vite più semplici? Era lui che si sarebbe sentito meno destabilizzato se fossero stati più convenzionali. Per loro non cambiava nulla: conoscevano solo il proprio modo di essere e si esprimevano con naturalezza secondo la propria indole.
Gen non aveva intenzione di incarnare la parte di mondo che non li capiva, spingendoli a comportarsi in una maniera più adatta al loro genere sessuale.
Erano preconcetti che i suoi figli ancora non avevano e non sarebbe stato lui, come padre, a rafforzarli nelle loro menti. Con la storia delle principesse Shin gli aveva fatto salire un brivido lungo la schiena, ma era importante essere preparati. Non sapeva cosa poteva riservargli il futuro, né con Shin né con Akiko. Voleva essere pronto ad accettare qualunque loro scelta.
Probabilmente la questione si esauriva col concetto che il suo amico Alexander continuava a ripetergli: lui aveva avuto idee troppo definite su cosa significasse essere maschio e femmina. Le deviazioni dallo standard lo confondevano.
Sulla struttura Akiko stava tendendo una mano verso il basso, per aiutare Shin a salire al suo stesso livello. Gen fu sul punto di alzarsi per impedire una manovra che sembrava pericolosa, ma con l'agilità di tutti i bambini i suoi figli si destreggiarono da soli, salendo insieme sulla cima della torre. Lo salutarono in coppia con una mano alta, i loro sorrisi da fratelli identici nella loro gioia.
Erano bambini unici, speciali qualunque cosa facessero. Su di loro lui non avrebbe pensato nulla di diverso in futuro, mai.
Sui volti di Akiko e Shin si dipinse una gioia immensa. «Mamma!»
Gen sentì lo schiocco di dita prima di girarsi.
«Tsk! Mi hanno rovinato la sorpresa!»
Con l'abilità di un genitore lui controllò la discesa sicura dei propri figli con la coda dell'occhio mentre si voltava a baciare Makoto. Sulle gambe entrambi vennero investiti da due piccoli uragani.
«Mamma, sai cos'ho fatto oggi?»
«Mamma, mamma, sai che farò una festa di compleanno tutta mia!»
Abituati a non avere un momento solo per loro appena rientravano a casa, Gen e Makoto si allontanarono e lei si dedicò ai suoi figli. «Raccontatemi tutto!»
Akiko ballava attorno alle gambe di sua madre. «Papà mi farà una festa di compleanno con le principesse!»
Shin non volle essere da meno. «Io farò la festa dei guerrieri Sailor!»
Gen si strozzò con la saliva.
«Cosa?» Makoto scoppiò a ridere.
Shin adorava la propria idea. «Voglio essere forte come te, mamma! Ti ho disegnato coi fulmini!»
A quel punto Gen capì che il problema non erano i suoi pregiudizi, ma la mancanza di alternative che stava presentando a suo figlio. «Non vuoi essere forte come papà?»
Shin lo guardò con fare interrogativo. «Tu non hai un costume.»
Makoto si abbassò ad abbracciare il suo bambino. «Hai capito, Gen, caro? Non hai un costume.»
«E mamma è più forte!»
Eh, no! «Vostro padre vi deve ancora far vedere quanto è potente! Prima della vostra festa vi presenterò il mio costume e... vi mostrerò il mio grande potere!»
«Ohhh!»
La meraviglia dei suoi figli lo rincuorò.
Makoto accarezzò le teste di entrambi. «Ma certo, tesoro, anche vostro padre è fortissimo. Dài, andate a prendermi i vostri disegni. Fatemeli vedere.»
Si liberò in un colpo solo dei loro terremoti, almeno per qualche secondo. «Il tuo costume, eh?»
Gen la strinse per la vita. «Me ne inventerò uno.»
«Sono ansiosa di vederlo.»
«Bleahhh!» Akiko era tornata prima del previsto e si stava lamentando delle loro smancerie. «Che schifo, basta baciarvi!!»
Gen la acchiappò prima che potesse scappare. «Ogni volta che lo dici tempesto di baci te!» Non lasciò andare Akiko finché le sue risatine non gli riempirono le orecchie. Per non fare differenze afferrò anche Shin e lo sottopose allo stesso trattamento, ma per suo figlio non fu una tortura. Era un bambino affettuoso, che gradiva le dimostrazioni fisiche di affetto.
Gen lo tenne in braccio per un momento mentre di lato Akiko confabulava con sua madre, spiegandole i dettagli del proprio disegno.
«Quale pensi che sia il potere speciale di papà?» gli domandò.
«Hmm... non lo so!»
«Te lo farò vedere tra qualche giorno. Sarai sorpreso.»
«Hmm... Sei più forte di zio Mamoru?»
Era meglio non mentire eccessivamente. «No. Ma sono il più forte dopo zio Mamoru.»
Shin trasalì. «Arimi dice che il suo papà è il più forte di tutti!»
Gen non ne dubitava. «Zio Shun racconta tante storie.»
«Tu lo batti?»
«Sì!» esagerò Gen.
Shin era affascinato. «Voglio vedervi combattere!»
Akiko scattò con la testa verso di loro. «Chi combatte? Chi?»
«Papà e zio Shun!»
Akiko spalancò la bocca. «Anche gli altri zii? E le zie?»
Makoto stava ridendo. «Hai organizzato un torneo?»
«Be', magari, per gioco...»
I suoi figli esultarono. «Sìììì!»
La loro sete di sangue lo rese orgoglioso. «Su, adesso andate a lavarvi le mani! O niente merenda!»
«Yeahhh!»
Appena i bambini scapparono in bagno, lui e Makoto furono di nuovo soli.
Lei scuoteva divertita la testa. «Non devo lasciarti con loro. Guarda di cosa finite a parlare.»
Lui si finse offeso. «Tu li istruisci su origami e ricette di cucina.»
«Be', ma Shin è bravissimo. È davvero dotato. Purtroppo Akiko...»
Notando il sospiro desolato di sua moglie, Gen si ricordò che anche le aspettative di lei erano state sovvertite dal carattere dei loro gemelli.
«Dài. Anche tu non eri femminile in una maniera convenzionale...»
Makoto sospirò. «Akiko mi batte. Sai? Credo che lei abbia preso il lato più aggressivo e determinato di entrambi, mentre Shin ha la mia creatività per le piccole cose e la tua capacità di disegnare.»
Gen se n'era accorto. «È preciso quando disegna. Potrebbe diventare un grande architetto.»
«O un guerriero Sailor.»
Senza farsi scrupoli, Gen inseguì Makoto per metà salotto, solleticando il suo stomaco fino a riempire la stanza della sua risa.
FINE
NdA: Akiko e Shin... spero che vi siano piaciuti :) Questi sono i caratteri che avevo in mente da tempo per i due figli di Makoto e Gen. Volevo che fossero poco convenzionali, per mettere alla prova il padre.
Akiko si chiama così in onore del padre di Gen, Akito Masashi. Il -ko finale è un suffisso femminile classico nella lingua giapponese. Associato ad 'Aki' suona come qualcosa tipo 'bambina di luce'.
Sul nome di Shin... l'ho scelto solo stasera. 'Shin' significa 'vero', 'onesto' e nella lingua giapponese, a quanto ho capito, è un nome elegante e gentile, di una persona tipicamente sensibile e riservata. Penso che sia stata Makoto a sceglierlo, per il tipo di figlio che sognava di avere. Sogno avverato :P Shin è definito in maniera splendida dal proprio nome. Penso che Gen avrà fatto resistenza agli inizi su un nome maschile come questo, ma Makoto ha fatto in modo di convincerlo. Sarà divertente raccontare come.
Intanto, fatemi sapere che ne pensate di questi bambini e di questa famiglia :).
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** 16 - Iria e Adam giocano (lei 6 mesi, lui 9) ***
Maternità 15
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
16
- IRIA E ADAM GIOCANO (lei 6 mesi, lui 9)
«Sorridi, piccola!»
No! Non c'era niente da ridere!
«Andiamo! Sorridi per la mamma!»
Aveva fame, perché non le davano da mangiare?
Soprattutto,
perché l'avevano messa accanto a bambino azzurro?
Lui continuava a spostarsi lontano, ma la sua mamma lo
rimetteva a
posto accanto a lei.
«Su, Adam, anche tu! Sorridi! Sei vicino a
Iria-chan!»
Le mamme avevano in mano quelle strane scatole nere che
accecavano.
Quando ne usava una papà, Iria poteva fare quello che voleva
mentre lui la seguiva dappertutto con la scatola davanti alla faccia.
«State usando la strategia sbagliata.»
Il papà di bambino azzurro si mise davanti alle
mamme,
venendo vicino ad Iria. Le mise davanti un dito... rosso? Hmm,
profumava di buono!
«Cos'è?» chiese la sua mamma.
«Marmellata. Posso dargliela?»
«Dal tuo dito?»
«Mi sono lavato le mani.»
Il papà di bambino azzurro le strofinò
la
buonissima salsa rosa sulla bocca. Col suo bambino fu più
cattivo: gli mise il dito davanti al naso, poi... strofinò
la salsa sulla guancia di Iria.
«Li stai sporcando tutti» sorrise la mamma
di bambino azzurro.
«Adesso vedrai cosa fa Adam.»
Papà di bambino azzurro si allontanò
mentre Iria
muoveva la bocca per mangiare tutta la salsina che le era finita sulle
labbra.
Ad un certo punto la colpì una sensazione schifosa:
bambino
azzurro aveva attaccato la bocca alla sua faccia!
Quasi urlò, ma la salsa rossa sulla sua bocca era
troppo buona per mettersi a piangere. Se non si sbrigava a mangiarla
tutta, bambino azzurro avrebbe preso anche quella.
Le mamma stavano gridando in silenzio, facendo 'clic clic' con
le
scatole nere.
«Che teneri!»
«Sono sporchi, ma sono bellissimi!»
«Sporchi?» Papà
tornò da
dov'era andato e fece
una faccia strana. «Che sta facendo vostro figlio a mia
figlia?»
«La mangia» rise papà di
bambino azzurro.
«E lei non protesta» commentò
papà. Si
inginocchiò. «Iria-chan, basta un po' di
marmellata per
corromperti?»
Ne voglio ancora, pensò Iria.
Non sopportò più la bocca di bambino
azzurro
sulla sua faccia e si gettò di lato, verso papà.
Alla sua mamma non piacque. «Yu, perché
non
sei
rimasto di là? Quando ti vede, Iria vuole sempre starti in
braccio.»
«Che problema c'è? Prendo in braccio
anche Adam,
così li metto vicini.»
«Con te di mezzo la foto non è
altrettanto
bella.»
Il suo papà rise, ma Iria non ci trovò
nulla di
divertente quando bambino azzurro fu messo davanti a lei, nell'altro
braccio di papà.
«AHHHHHHHHH!»
«Si è ricordata di odiare
Adam.»
Ridendo,
papà di bambino azzurro riprese il suo bambino,
mettendolo dove doveva stare: lontanissimo dalle braccia del
papà di Iria-chan, che era suo e solo suo!
La sua mamma non teneva più la scatola nera davanti
agli
occhi. «Usagi ha detto che non fanno così quando
stanno con
lei.»
«Mamoru è bravo a
intrattenerli.»
«Bene, daremo a loro le macchine fotografiche.
Queste pesti
crescono
troppo in fretta, tra una settimana avranno già un aspetto
diverso.»
«Ma quale peste!»
Iria sentì che tutta la sua faccia si strofinava contro
quella di papà e fu felicissima: lui aveva un odore
così buono e i suoi baci erano bellissimi!
«So che non era previsto» stava dicendo la
mamma di
bambino azzurro. «Ma sono molto contenta che Adam abbia
un'amica con cui crescere.»
«Ehhhh!» La mamma rise in quel
modo strano di
quando non era molto
felice. «Non era per niente previsto, ma in tutto questo la
presenza di
Adam mi tranquillizza. Iria avrà qualcuno con cui giocare.
Poi verrà anche Chibiusa e forse così non mi
chiderà mai di avere fratelli. Per
questo decennio io ho già dato.»
Mamma e papà di bambino azzurro risero ad alta voce.
Nelle braccia del proprio papà, bambino azzurro la
guardava
male, con una luce negli occhi.
Ce l'aveva con lei?
Voleva litigare?
Iria era pronta!
Papà la baciò un'ultima volta sulla
guancia, poi la posò a terra, sul tappeto. «Torna
a giocare ora. Con
Adam, okay? Lui
ti vorrà bene se non piangi sempre.»
Iria non capiva nulla di quello che dicevano i
grandi, ma un
paio di
suoni venivano ripetuti sempre quando c'era bambino azzurro.
A-am, a-am.
Era il suo nome? Che brutto!
Bambino azzurro fu messo anche lui sul tappeto, ma la
ignorò,
gattonando lontano. Era un bambino noiosissimo, ma se lui se ne andava
Iria non
aveva nulla da fare lì per terra, tutta da sola.
Sollevò le mani in aria per chiedere al suo
papà
di tornare in braccio, ma l'unica cosa che ottenne fu una carezza sulla
spalla. Anche a bambino azzurro impedirono di scappare, riportandolo
davanti a lei.
I grandi non badavano più a loro, parlavano e
parlavano.
Iria si sporse in avanti, cercando di muoversi da sola. Non
sapeva come
fare, provava e riprovava ma rimaneva sempre ferma!
Bambino azzurro la osservava ridacchiando, sentendosi
superiore.
Ma un giorno! si ripromise Iria.
«Ba-ba!» le disse bambino azzurro,
muovendo il braccio.
Iria strinse gli occhi. «Uah!»
Tra loro finirono due pupazzi.
Ohh, erano nuovi!
Non aveva tempo di preoccuparsi di bambino azzurro se c'era un
nuovo
pupazzo!
«Ecco, stanno giocando felici!»
«Non sono sicuro che stiano giocando
insieme...»
«Non importa, prima o poi si abitueranno l'uno
all'altra.
Basterà continuare a farli incontrare.»
Iria si sentì osservata e alzò lo sguardo verso
le mamme e i papà. Percepiva che avevano un piano per lei e
bambino azzurro, ma dovevano rassegnarsi.
Vide che bambino azzurro li guardava nello stesso modo.
Bene, almeno su qualcosa erano d'accordo!
Tornarono a badare ai loro giocattoli.
FINE
NdA: Storiellina che ho concepito l'altro giorno sul gruppo
Facebook. Mi fa troppo piacere far interagire Adam e Iria. Non vedo
l'ora di poterlo fare anche in Zenit :)
Cosa avete pensato di loro? E dei quattro genitori?
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Adam di notte (3/4 mesi) ***
Maternità 17
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
17
- ADAM DI NOTTE (3/4 mesi)
Le notti erano spaventose. Quando Adam si svegliava era tutto
tutto buio
e non vedeva nulla. Si muoveva, ma non c'era nessuno con lui, era solo.
Qualcosa sotto era bagnato, gli dava fastidio. Era orribile
essere
bagnati - era freddo! Ed era orribile che il mondo fosse
così
nero. Perché non poteva esserci sempre la luce quando si
svegliava?
Ora era costretto a piangere ed era brutto anche quello.
Poi era spaventosissimo poi quando non arrivava nessuno e
doveva piangere più forte!
«Shhhh.»
Si avvicinò una voce cupa e sopra di lui
diventò ancora più buio - una forma grossa che
allungava le mani.
«It's all right, I'm here.»
Adam singhiozzò mentre veniva preso in braccio.
Papà andava bene, ma lui avrebbe voluto la mamma.
Papà lo mosse su e giù, su e
giù, ma non era quello che lui voleva!
«Okay, non piangere, sono qui. Hai fatto la
pipì? Your nappy's is all
wet. Guarda com'è pesante. I'm changing you, okay? Shh, shh,
it's all right.»
Papà si spostò con lui, poi... magia: la
luce!
«Ti piace la lampada, hm?»
Papà lo sdraiò sopra qualcosa e Adam
cercò di
non farsi male agli occhi guardando la luce. Era tanta, ma era bella.
«Ligh is beautiful, right?»
Sì, ma era ancora bagnato, perché lo
faceva piangere?
Le mani di papà si mossero sopra il suo corpo e
Adam
riconobbe dei suoni: la tutina che si apriva. Smise di piangere,
perché stava per sentirsi meglio.
Con una mano papà gli sollevò le gambe
in alto, poi fece
quella strana cosa che facevano lui e la mamma che lo faceva
stare
bene. Si mise a cambiare tante cose là sotto, dove lui non
vedeva, ma finalmente il bagnato sparì. Adam
aspettò con
curiosità un'altra sensazione di bagnato - piacevole - con
papà che passava qualcosa sotto di lui.
«Così sei tutto pulito. Non fare
pipì ora, okay? Non addosso a me.»
Adam rimase in silenzio, cercando di capire cosa provava.
Papà lo spruzzò di polvere bianca, che sapeva di
buono,
poi chiuse i vestiti sulla parte inferiore del suo corpo, lasciandolo
di nuovo al caldo. Lo sollevò tra le braccia, tenendolo
forte.
«All good, now? Non è che magari ti va di
tornare a dormire?»
Ora Adam sapeva perché gli mancava la mamma.
Papà non
aveva l'odore giusto sul petto e lui, lui... lui aveva male alla
pancia! Voleva ciucciare!
Pianse.
«Vana speranza. Okay, okay, I'm taking you to
mom.»
Mom! Voleva dire mamma, giusto?
Adam non pianse troppo forte mentre papà si muoveva
per la
casa con lui. Entrarono in una stanza dove c'era un'altra luce e... la
mamma!
«Era quasi l'ora della poppata.»
Adam provò a girarsi verso di lei, ma non era
abbastnza forte. Papà si piegò in avanti e lo
diede in braccio alla mamma.
«Ciao,little love. Hai fame?»
Fame! Fame significava latte!
Mamma lo sdraiò all'indietro, tra le sue braccia,
vicino al petto. «Adesso ti do da mangiare.»
Sì, adesso, subito!
Col suo peso papà mosse il letto, sedendosi vicino
a loro. «Oggi ha resistito fino alle due.»
«Già, un'ora in più.»
La mamma mise la parte di sé a punta, che usciva il
latte, nella sua bocca e Adam mangiò con tutta la sua forza.
«Ahu!»
«Cosa?»
«Ha succhiato forte. Dormire un'ora in
più gli ha fatto venire tanta fame.»
«Forse era meglio se si svegliava prima. Mi ha
interrotto la fase REM.»
«Perché hai dormito tardi.»
«Il libro era interessante.»
«Non so come fai a restare sveglio la sera. Io
crollo.»
«Questo baby ti succhia l'anima. Hm, 'lil
prince?»
Lascia stare il mio piede.
«Guarda, muove la gamba. Non vuole che lo
tocchi.»
«Non gli piace nemmeno quando lo bacio troppo.
È
triste, io vorrei spupazzarlo per tutto il tempo, ma non
gradisce.»
La mamma si mise a ridere. Adam chiuse gli occhi. Era un bel
suono.
«Ha già il suo carattere, vero?»
«Oh, sì. È...
altero. È difficile farlo ridere.»
«È solo concentrato.»
«Certo. I love him, comunque sia. Devo impegnarmi
per farlo
divertire, ma quando lo vedo ridere... he has the cutest smile, con
quelle guanciotte piene.»
«La bocca è la tua.»
«Ma no, ha la tua faccia.»
«I miei occhi, le mie sopracciglia...»
«La tua serietà.»
«Come se tu non fossi terribile quando sei
serio.»
«Io non sono mai serio qui a casa.»
«Invece sì. Proprio con lui, sai? Quando
ti sembra che pianga
per niente, ti arrabbi e fai un'espressione... per lui è
spaventosa.»
«Sto facendo pratica per farmi rispettare. Alla fine
gli do
quello che vuole, solo che è difficile capirlo. Tu hai
più pazienza di me, love.»
«Non è solo questo... Anche tu hai
pazienza, ma penso
che ti aspettassi un bambino diverso. Più dolce e
affettuoso.»
Adam si stava addormentando. I suoni che uscivano dalla bocca
di
mamma e papà lo calmavano. Non gli dava più
nemmeno
fastidio la mano di papà che giocava col suo piede.
«Io e lui dobbiamo solo capirci un po' meglio. Non
è
il pupazzino che mi aspettavo, ma è tanto tenero quando
vuole... Oggi hai
visto come rideva quando sono tornato a casa?»
«Ti vuole bene.»
«And I love him. Non cambierei niente di lui, love.
He's perfect.»
«Perché non dormi? Gli faccio fare io il
ruttino.»
«Ma è così che
leghiamo.»
«Per una volta...»
«Dici?»
«Sì, dormi, my love.»
Dormire... era bellissimo dormire con la pancia piena. Mamma
lo spostò sull'altra punta, ma Adam non aveva più
voglia di mangiare. Era pronto a lasciarsi andare tra le braccia della
mamma...
Lei si mise in piedi, tirandolo su e cambiando qualcosa dentro
il suo corpo. Ora aveva un peso dentro! Piagnucolò.
«Lo so, lo so.»
Oh, no, i pat pat sulla schiena. Perché non lo
lasciavano mai in pace dopo mangiato?
Mamma camminò per la casa, cominciando a cantare.
La sua voce era bella, ma quel peso...
«Rghh!»
Oh, se n'era andato.
Mamma iniziò a correre per prendere qualcosa, poi
gli pulì tutto il viso. Sorrise. «Hai
fatto troppo in fretta, ho il pigiama tutto sporco.»
Ora la mamma aveva il suo odore! Rise anche lui.
Mamma mise il naso contro il suo nasino. Era tanto bello.
«Perché non ridi sempre così
anche con papà, hm? He loves you so much. È
perché non ti dà il latte? Vuoi più
bene a chi ti dà il latte?»
Il suo respiro gli faceva il solletico!
La mamma gli accarezzò la testa e tutto il corpo.
«Forse presto ti daremo il latte in bottiglia,
sweetie. Non ce la faccio più a svegliarmi così.
Non mi vorrai meno bene, vero?»
Adam si accoccolò contro la mamma. Il suo odore era
il più buono, gli faceva venire voglia di dormire.
La mamma gli baciò la testa. Lo portò
nella sua stanza, camminando piano, poi lo mise giù sul
lettino.
Una volta Adam piangeva, ma ora sapeva che la mamma rimaneva
con lui a tenergli la mano, cantando e accarezzandolo, fino a che...
Zzz.
17
- ADAM DI NOTTE (3/4 mesi) - FINE
NdA: Una chicca dall'infanzia di Adam. Avevo bisogno di un po'
di zuccherò. È stato troppo? :P
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato
alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** 18 - GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi) ***
Maternità 18
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i
personaggi di
Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di
proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
18
- GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi)
Quel sabato, in teoria, Gen non avrebbe potuto passare la
giornata con Makoto: si era
prenotato per un lavoro di ristrutturazione, per dare una mano alla
ditta per cui erano andati a lavorare i vecchi dipendenti di suo padre.
Ogni
tanto sostituiva qualcuno di loro, quando c'era di mezzo una malattia o
un impegno.
Gli piaceva racimolare qualche extra, per non continuare a tirare fuori
soldi dalla quota del rimborso
assicurativo che sua madre gli aveva destinato.
I piani per il lavoro erano saltati quel giorno stesso: la
moglie di Sato si era
ammalata e così, invece di andare in gita in famiglia, Sato
aveva la
giornata libera.
Gen gli aveva ceduto volentieri il posto. Con due bambini e un
solo
stipendio, Sato aveva sempre bisogno di qualche entrata in
più.
Invece di chiamare Makoto, per avvertirla, Gen
pensò di
andare da lei senza dire nulla, per farle una sorpresa. Makoto gli
aveva detto
che avrebbe passato la giornata in casa, a rassettare e stirare, magari
guardando qualche film romantico. Lui non avrebbe scombinato troppo i
suoi piani. L'avrebbe aiutata a pulire e avrebbe guardato volentieri
quello che andava a lei: dopotutto, non era quello che faceva un buon
futuro marito? Suonò al citofono di casa sua.
«Sì?»
«Mako, sono io.»
«Gen?»
«Già.» Non udì
più risposta.. «Non mi apri?»
«Oh, certo! Sali, sali!»
Divertito, lui percorse gli scalini due a due, arrivando
rapidamente a destinazione. Quando Makoto tirò a
sé la porta, lo
salutò con un sorriso nervoso. «Non ti
aspettavo.»
Gen si chinò a baciarla, entrando. «Che
c'è? Ti ho beccato con l'amante?»
«Ghu.»
Il gorgoglio era uscito da un esserino alto meno di
un metro che si teneva in piedi contro il divano. Adam Foster lo
scrutava da sotto la frangia azzurro scuro.
Makoto serrò la porta, cercando di non ridacchiare
per il senso di colpa. «Ho un paio di ospiti in
casa.»
Gen si tranquillizzò subito.
«C'è Ami?» Guardò in
direzione del bagno.
«Uhm, no. Iria è là sul letto
che dorme.»
Cavolo. Makoto si era messa a fare da babysitter a entrambi i
figli dei suoi amici. «E così hai realizzato il
tuo sogno.»
Ridacchiando, lei si diresse dal piccolo Adam, prendendolo in
braccio. «Mi sto divertendo un sacco. Avevo offerto ad Ami di
tenere il bambino quando voleva nel weekend. Me lo ha portato oggi,
perciò ho provato a chiedere a Rei se per caso volesse un
pomeriggio libero da Iria...»
«Te l'avranno lasciata in un baleno.»
«Non essere cattivo! Vieni a guardarla, su. Hai
visto com'è tenera mentre dorme?»
Ai piedi del letto, Gen offrì a Makoto il sorriso
di rito, quello che lei si aspettava di vedergli in faccia.
Makoto mise su il broncio. «Come fai a non trovarla
bellissima?»
Lui tenne bassa la voce. «Certo che è una
bella bambina. A spaventarmi sono i suoi pianti.»
«I bambini piangono. Non sempre poi, guarda Adam.
È tranquillissimo.»
Il piccolo Foster osservava la figura dormiente della giovane
Iria Kumada con un luccicchio di sfida negli occhi.
«Non dovremmo parlare più
piano?»
«Iria-chan ha il sonno pesante, nessun problema.
Comunque, che ci fai qui?»
«Oggi alla fine non lavoro, Sato si è
liberato.»
Makoto lanciò un'occhiata al piccolo Foster, che la
osservò pensieroso di rimando.
«Se vuoi rimanere sei il benvenuto, ma l'ultima
volta, con Iria...»
Gen ricordava bene cos'era successo: la figlia di Rei e
Yuichiro aveva pianto a squarciagola per mezz'ora di fila. Non c'era
stato verso di calmarla, pareva che la stessero torturando. Era un
miracolo che i vicini non avessero chiamato i servizi sociali.
«Era la prima volta che stava da te. Magari oggi
farà meno storie.» Pur rischiando
l'incolumità delle sue orecchie, voleva essere ottimista.
Makoto apprezzò la sua buona disposizione.
«Sicuramente andrà così. Ehi, non ti ho
nemmeno salutato come si
deve.» Si avvicinò per baciarlo sapientemente
sulla bocca. Quando si
staccò, una minuscola mano rimase aggrappata alla felpa di
lui.
«Oh, ti vuole. Lo prendi in braccio?»
«Massì.» Ricevette il bambino
contro il petto. Col figlio di Golden Boy non si trovava male, era un
piccolo che non faceva storie e soprattutto non piangeva quasi mai. Lo
sistemò nell'incavo
del gomito, guardandolo nei profondi occhi blu. «Tu sei un
piccolo adulto in miniatura.»
Il bambino gli batté lo sterno col palmo.
«En!»
«Sì, io sono Gen. Tu sei Adam?»
Goldie esplose in un sorriso, guardando da lui a
Makoto.
Che bravo, conosce il mio
nome!
Gen cercò di non ridere troppo forte.
A Makoto brillarono gli occhi. «Gli piaci.»
«È un bambino sveglio.» E
soprattutto calmo. «Se avessi un figlio, vorrei che fosse
come lui.»
Il sorriso di Makoto morì per un attimo al
ricordo dei
figli biologici che non avrebbero potuto avere insieme.
«Un giorno sarai un bravo papà per
qualunque
bambino.» Lo aveva affermato con un pizzico di tristezza.
Lui non voleva più vedere quell'espressione sulla
sua faccia. «Ti è passata, vero? Ora hai capito
che non mi dispiacerà adottare.»
Lei annuì più volte.
Per lui era importante farla stare meglio. «Mi basta
solo che passino un po' di anni.»
Makoto si intenerì. «Anche io non sono
ancora
pronta a diventare mamma. Sfogo i miei istinti materni con questi
nipotini onorari.»
«Che cosa stavi facendo fare ad Adam?
Esercizio di camminata per la casa?»
«In realtà me l'hanno lasciato solo venti
minuti fa. Quando hai suonato, credevo che Ami e Alex fossero tornati
indietro perché avevano dimenticato qualcosa.
Volevo mettermi a cucinare con lui.»
«Cucinare?»
«Sì, sul tavolo basso. Lo avrei fatto
divertire con l'impasto, come col pongo.»
Era un'idea.
«Mi stavo
disperando perché mi manca la farina. Ti
rendi conto? Ne compro talmente tanta per il negozio che la dimentico
per casa mia.»
«Vuoi che vada a prenderla io?»
Makoto si illuminò. «Lo faresti? In
realtà mi mancano un po' di cose, dovrei farti una
lista.» Scalpitando, lei girò
per la stanza in cerca di un foglio e quando lo trovò
faticò a recuperare una penna. «Perché
da qualche tempo non trovo mai niente?» Era in
difficoltà e mentre scriveva cercava di darsi una mossa.
Probabilmente quel giorno avrebbe dovuto fare la spesa, ma si era
lasciata conquistare dall'idea di gestire Adam e Iria insieme.
Gen sapeva che si sarebbe pentito dell'offerta, ma non poteva
vederla così nervosa. «Vuoi andare tu al
supermercato? Rimango qui io.»
Makoto si lasciò sfuggire un enorme sospiro di
sollievo. «Davvero? Vado e torno subito.» Si
diresse come un fulmine verso l'ingresso.
«Prendi quello che ti serve, non correre.
Cioè, non correre, ma cerca di tornare prima
che...»
«Prima che Iria-chan si svegli»
terminò per lui Makoto. Si immobilizzò.
«Se si sveglia, cosa fai?»
Gen puntava su un'arma segreta. «La distraggo con
questo ometto qui. Insieme sono due terremoti, no?»
Makoto rise. «Infatti.» Aveva
già indossato la borsa. «Ah, se piange troppo,
controllale il pannolino.»
Chiuse la porta dietro di sé, non lasciandogli modo
di rispondere alla minaccia.
Nel silenzio della casa, Goldie girò la testa verso
di lui, in cerca di risposte.
Gen però aveva a sua volta una domanda.
«Adesso che si fa?»
Il figlio di Alexander si guardò intorno e si
gettò d'improvviso in avanti, incurante dell'altezza. Gen
afferrò il suo peso con la mano
libera, comprendendo le sue intenzioni. «Vuoi
scendere? Vai.» Lo depositò sulla moquette,
rimanendo a osservare cosa faceva. Aveva sentito che il piccolo Adam,
che si avvicinava all'anno di età, aveva iniziato a
camminare da due settimane. A quanto pareva, per quante volte cadesse,
si stava esercitando con determinazione a procedere sulle sue sole
gambe, lontano da qualunque supporto. Lo vide deambulare a braccia
aperte verso uno zainetto colorato depositato accanto al divano.
«È roba tua?»
Adam la indicò col dito. «Muu!»
Mu?
Gen si chinò per aprirgli la cerniera, per
agevolarlo in qualunque cosa volesse prendere.
Il bambino tirò fuori un orsetto di peluche. Senza
degnarlo di un'occhiata, lo gettò a terra. Poi
afferrò da dentro lo zaino, con entrambe le mani, una specie
di pianola per bambini, strattonando con così tanta forza da
ricadere sul sedere. Non si lamentò: lo aveva protetto il
pannolino e aveva il suo trofeo. «Muu!»
Gen capì cosa intendeva dire solo quando Adam
sollevò la mano per premere un tasto col disegno di una
mucca. La scena avvenne come al rallentatore, con lui che si sporgeva
per bloccarlo.
«MUUU!»
Il suono elettronico, squillante, riempì l'intero
appartamento.
«Ueehhh....»
Oh, no, no.
«UehhheeeeeeeeeAAAAAAAHHHHH!»
Maledizione.
Si voltò verso l'esserino che agitava mani e gambe
sul letto.
«Ehi, calma....»
Nell'udire la sua voce, Iria Kumada lo individuò e
gridò più forte.
Gen sollevò Adam da terra, in fretta.
«Guarda chi ho qui.»
Glielo appoggiò sul letto, accanto, sperando che la
vicinanza sortisse qualche effetto. Quello che successe fu che, quando
Iria vide il suo amico, si voltò di lato con tutto
il corpo, con incredibile energia, per sfuggirgli, rotolando verso il
bordo del materasso.
«Merd-!» Gen saltò in avanti,
afferrandola all'ultimo momento con la mano. Per un istante Iria
dondolò con metà corpo per aria.
Lui riuscì a tirarla a sé.
«Non ti suicidare!»
«UAHHHHHHHHHH!»
Lo spavento l'aveva traumatizzata. Non sapendo che fare di
lei, per un momento la lasciò sdraiata, ma vedendo che la
piccola cercava di tirarsi su, la aiutò con una mano dietro
la schiena. Toh, era cambiata dall'ultima volta che l'aveva
vista: era più stabile - meno neonata e
più bambina. Il suo amico Adam si avvicinò per
consolarla.
«Ecco, fa' qualcosa.»
Ma il giovane Foster diede alla sua compagna piangente una
spintarella sul petto, che la zittì di colpo.
«Ehi, sii gentil-»
Prima che fosse riuscito a finire, Adam aveva spinto Iria
all'indietro con entrambe le mani, mandandola a gambe all'aria.
«UAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!»
Gen afferrò Adam e lo esiliò sul
pavimento. «Eccheccavolo!» Si torturò da
solo prendendo Iria tra le braccia, con le sue urla a pochi centimetri
dalle orecchie.
«Su, dài. Non è successo
nulla!»
Dondolò come un deficiente.
«UAHHHHHHHHHHHHHHH!»
Per l'esperienza accumulata la volta precedente, si sedette
per terra e mise Iria seduta davanti a lui, maneggandola con la
delicatezza di un pacco bomba.
«È stato cattivo, lo so!»
«UAHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!»
Recuperò uno dei giochini di Adam - il peluche.
«Ecco, tieni questo. Glielo rubiamo.»
Iria passò dal pianto al singhiozzo.
«Bello, hm?»
Cercò un fazzoletto da passarle sulla faccia
bagnata mentre lei rigirava tra le mani l'orso.
Adam osservava la scena indignato. «Uah!»
Zitto, tu. Per
evitare una seconda catastrofe, non sgridò Goldie. Si sporse
a prendere la sua pianola e la mise tra i due contendenti, per evitare
che Adam raggiungesse la sua nemica.
«Sotto sotto sei dispettoso. Come tuo
padre.»
Adam crollò a terra sul pannolino e si
dedicò a digitare sulla pianola.
«MUUU!»
«BEEHH!»
«MIAO!»
Gen cercò disperatamente i tasti del volume, ma
quando si accorse che Iria aveva smesso di piangere,
affascinata, abbassò il suono di una singola tacca.
Intravide il prossimo problema nel momento in cui lei mollò
l'orso di peluche, per dirigersi gattonando verso la pianola.
Adam vi si gettò sopra con tutto il corpo, per
impedirle l'accesso. «NAHH!» Nell'aria si
diffusero i versi di tre animali contemporaneamente.
Il viso della piccola Kumada si deformò in una
smorfia disperata.
Gen dovette imprimere forza per tirare via dal giocattolo il
suo proprietario. «Non sai condividere, hm? Facciamo
così.» Con una mano premette quella di Adam su un
tasto nuovo, quello che emetteva il verso del cavallo.
«IH-HIIII!»
«Ih-hiii!»
Sentendolo ripetere il verso, i bambini voltarono entrambi la
testa nella sua direzione.
Gen non si era mai sentito più cretino in vita
sua.
Afferrò una mano di Iria e la posò sulla
figura di un maiale.
«OINK-OINK!»
Deglutì la propria dignità e
imitò il suono. «Oink oink.»
Il piccolo Foster applaudì i suoi sforzi, battendo
scordinatamente le mani. Gen sperò che la sua performance
fosse stata sufficiente. «Visto come si fa? Uno alla
volta.»
Tenendo i polsi di entrambi, usò prima la mano di
Adam per far partire di nuovo il verso della pecora e poi permise a
Iria di liberare il miagolio del gatto. Sul faccino della piccola
Kumada spuntò un primo sorriso.
«Okay. Riuscite a gestirvi da soli ora?»
Quando li lasciò andare, si buttarono entrambi
sulla pianola.
«No!» Con estrema pazienza, annoiandosi a
morte, stette a coordinarli mentre pigiavano a turno sui tasti. Ancora
non aveva asciugato la faccia di Iria.
«Se mi alzo, scatenate l'inferno?»
Adam non lo ascoltava più. Dopo aver premuto per
l'ennesima volta il verso del gatto, provò infruttuosamente
a imitare il suono. «Mii! Mii-!»
Gen comprese. «Tu hai un gatto, vero? Lo hai sentito
fare miao?»
Adam ripeté il vocalizzo, sentendosi
intelligentissimo.
La piccola Kumada si era appropriata della pianola,
schiacciando in libertà tutti i tasti.
Fidandosi del maggiore autocontrollo del figlio di Ami e
Alexander, Gen lo sollevò da terra. «Lasciala
giocare un attimo, io e te dobbiamo cercare dei fazzoletti.»
Adam però si sporgeva verso il pavimento, col
braccio allungato. «Ahhhh....»
Gen non ci stette. «No.» Gli
parlò da uomo a uomo. «Prima hai fatto male a
buttare Iria giù. Capito? Non si buttano giù le
bambine.» Aveva reso la voce dura mentre lo diceva e Adam
non rispose, fissandolo con un misto di senso di colpa e risentimento.
A Gen non importava che non capisse quello che diceva, era convinto che
il succo del messaggio stesse passando.
Riuscì ad avere qualche secondo di pace mentre
rovistava nei cassetti di Makoto. Trovò i fazzoletti, ma
prima di tornare da Iria depositò Adam accanto al proprio
zaino. Lo svuotò del contenuto davanti a lui, per distrarlo.
«Ecco a te.»
Il piccolo Foster ispezionò con attenzione i vari
giochi.
Da due metri di distanza, Iria si era accorta della profusione
di nuovi giocattoli. Mise da parte la pianola e gattonò in
avanti, decisa, verso il suo obiettivo. Gen fermò anche lei.
«Aspetta.»
Le passò il fazzoletto su tutta la faccia, con Iria
che si agitava per allontanarsi.
«Un po' di pazienza.»
Sentì che la bambina spingeva via la sua mano per
abbattersi sui giocattoli, senza alcun rispetto, e capì che
era il momento di un po' di disciplina anche per lei.
«No.» La afferrò con un braccio
e si sedette a gambe incrociate sul pavimento, mentre Iria
già ricominciava a piangere. «No»
ripeté, manovrandola per averla davanti.
«Si gioca bene o non si gioca, è chiaro?»
Il tono perentorio aveva incatenato gli occhi viola della
piccola Kumada ai suoi. Le tremavano le labbra. Gen la mise a terra,
tenendola sul petto con una mano. «Puoi giocare senza avere
per te tutte le cose.» Afferrò un mazzo di chiavi
di plastica colorate e gliele mise in mano. «Ecco,
prova.»
Iria girò le chiavi tra le piccole dita, poi le
reputò troppo noiose per attirare la sua attenzione. Le
buttò via.
Gen pescò un altro dei giochi che Adam stava
ignorando, selezionando questa volta delle ciambelle che andavano
infilate su un palo, per comporre una piramide. «Questo ti
piace, no?»
Iria vi si intrattenne solo per dieci secondi, poi
buttò via una delle ciambelle, lontano.
Gen comprese. «Sei pretenziosa!»
Ridendo la girò tra le mani, per guardarla di nuovo
in faccia, e nella sua espressione scocciata, nel suo modo di essere,
vide in toto Rei Hino. «Io so a chi somigli, sai?»
Iria sembrò cogliere un pizzico dello scherzo,
sollevando un angolo della bocca. Quando non piangeva e non urlava era
davvero carina.
«Somigli alla mamma!» terminò
lui e strofinò il naso contro la sua pancia, senza riuscire
a fermarsi.
«Alla mamma!» continuò a
ripetere Gen mentre la tormentava, causandole un cumulo di risa.
Distratto dal silenzio, guardò oltre le spalle di
Iria.
Adam Foster li fissava da seduto, con in mano una macchinina,
convinto di trovarsi davanti due idioti.
Gen si schiarì la voce. «Ora capisco
perché non andate d'accordo.» Liberò
Iria nelle vicinanze dell'amico assieme a cui sarebbe cresciuta.
«Il tuo papà e la sua mamma non si sono mai
piaciuti troppo, non sono compatibili. Ma loro si sono conosciuti da
adulti, voi siete praticamente nati insieme. Fate vincere le
metà migliori di voi, okay? Tu la mamma»
indicò Adam. «E tu il papà»
disse ad Iria, che lo ignorò bellamente andando a
strappare l'automobilina di mano ad Adam.
Il figlio di Alexander non gridò, non ne aveva
bisogno. Con la sua maggior forza trattenne la macchinina e
allontanò le dita della sua rivale con una manata.
Iria ricominciò a piagnucolare. Gen
sollevò gli occhi al cielo, rassegnandosi
all'inevitabilità del suo intervento.
Mettendosi in mezzo ai due bambini, direzionò i
loro giochi, evitando altri spargimenti di sangue.
Venti minuti dopo, Makoto tornava trafelata a casa. Si
precipitò all'interno dell'appartamento con le chiavi.
«Com'è andata, tutto bene?!»
Gen era sdraiato a terra, come morto, con Iria sopra di lui
che gli tirava le labbra.
Makoto scoppiò a ridere. «Cosa ti sta
facendo?»
«Mi uccide» bofonchiò lui a
occhi chiusi.
Adam girava attorno al tavolo con un aereoplanino in
mano, tentando di non cadere mentre camminava. Makoto andò a
salvare Iria da Gen - o viceversa.
«Si è svegliata? Ha pianto
tanto?» Udì un lamento dalla bambina proprio
mentre la prendeva in braccio.
«Ha pianto poco. L'ho distratta.»
«Davvero?» Ma Iria-chan stava cambiando
idea proprio in quel momento.
«No, tesoro, non essere triste! Guarda cos'ho qui
per te!» Makoto andò al frigorifero e le fece
vedere uno yogurt per bambini. La figlia di Rei smise subito di
lamentarsi.
«Hai visto? Lo so che ti piace! È
buonissimo, vero? Adesso cerchiamo un cucchiaino...»
Adam aveva visto cosa teneva in mano. «Ah!
Ah!» Ne voleva a sua volta e per il cibo retrocesse a
vocalizzi adatti a un bambino della sua età.
Gen si mise seduto. «Perché non mi hai
detto di questo trucco?»
«Mi è venuto in mente adesso. Puoi
prendere Adam in braccio? Li nutriamo insieme, così non
piangono.»
Lui non poté far altro che osservare la
felicità con cui Makoto si apprestava a far mangiare i
bambini. Per Adam gli passò un bavaglino, perché
a quanto pare il piccolo Foster già pretendeva di mangiare
da solo.
«Mako?»
«Hm?» Lei si era sistemata accanto al
tavolo con Iria in braccio, imboccandola estatica.
«Ho tenuto questi due per un quarto d'ora e volevo
spararmi.»
Makoto non gli credette neppure per un istante. «Ti
stavi facendo fare di tutto da Iria! Ti aveva sottomesso.»
«Sì, ma... avere a che fare con un
bambino è come dover imparare una nuova lingua. Alla fine
non è così divertente.»
«Mi stupirei se ti piacesse fare il babysitter, ma
di che ti preoccupi? Sarà una cosa che succederà
al massimo una volta al mese e non devi venire ad aiutarmi.»
«Lo dicevo perché... Magari ti veniva in
mente di adottare tra due o tre anni.»
Lei diventò seria mentre dava da mangiare alla
figlia della sua amica, che accoglieva vorace ogni boccata.
«Non credo, è troppo presto. Non avremo tempo per
un bambino. Inoltre, quando diventeremo genitori, dovremo volerlo
entrambi. Aspetteremo fino a che non sarai pronto. Anche se secondo me
non ci metterai tutto il tempo che credi.»
Gen sapeva che sarebbe finita così.
«Perché?»
«Perché stavi ridendo mentre Iria ti
stropicciava la faccia. E da fuori la porta ti ho sentito fare dei
versi, per farla ridere.»
Gen si dedicò a pulire la bocca di Adam, senza
ingannare Makoto.
Lei iniziò a parlare ad Iria. «Cosa ti ha
fatto lo zio Gen? Ha giocato con te? Ti ha coccolato? Ti vuole un mondo
di bene, lo sai?» Strofinò la faccia contro quella
di Iria, riempiendola di baci.
L'immagine intenerì talmente tanto Gen che per un
momento pensò che, forse, non gli sarebbe dispiaciuto se...
Ma per fortuna, per loro, mancava tanto tempo.
18
- GEN BABYSITTER (per Adam, 1 anno, e Iria, 8 mesi) -
FINE
NdA: DEVO sapere cosa pensate di Gen in queste vesti :P
Ditemelo! :D
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato
alle mie
storie: Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Profetessa (Iria, 7 mesi) ***
Maternità 19
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi
appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e
della Toei Animation.
19 - Profetessa
(Iria, 7 mesi)
La faccia della sua mamma era tanto morbida. La tastò con le manine.
La sua mamma era morbida e tanto tanto bella, soprattutto quando apriva
gli occhi.
Iria vocalizzò il suo interesse, per svegliarla il più presto
possibile. Si stava annoiando sdraiata sul letto, voleva giocare.
Le palpebre della sua mamma si aprirono con uno scatto.
«Tu dormi troppo poco.» Sbadigliò - uno sbadiglio enorme, lunghissimo.
Iria avrebbe voluto capire cosa diceva. Le infilò una mano nella bocca
aperta, per acchiappare le parole.
La sua mamma tremò dalle risate. «No. Adesso infilerai quelle
ditina in bocca, prendendoti chissà quali germi. Ecco, appunto. Dammi la
mano, la pulisco.»
La mamma continuava a strofinarle addosso delle salviettine bianche.
Era ossessionata, chissà perché le piacevano tanto.
«Uh.» Iria ne afferrò una, sperimentando ancora una volta che non
facevano rumore come la carta normale. Le piaceva la carta,
stropicciarla era divertente.
La mamma la afferrò e la portò contro il petto, per spupazzarla. A Iria
non dispiacevano le coccole, soprattutto quando stava vicino a un
profumo buono come quello della mamma.
Sentì un altro sbadiglio contro i capelli.
«Perché non dormi di più, tesoro mio? Sei una bambina che dorme
pochissimo durante il giorno. Prendi esempio dal tuo amico Adam. Lui si
fa di quei sonnellini il pomeriggio...»
Iria cominciò a spingere contro il suo petto. Gli abbracci andavano
bene solo per poco, lei voleva avere mani e piedi liberi, per giocare.
La mamma la girò, regalandole la sua libertà.
Iria emise un gridolino di gioia. C'era papà a fianco a loro sul letto!
Se n'era dimenticata!
La mamma sussurrò al suo orecchio. «Perché non hai svegliato prima lui
oggi?»
Lei cercò di divincolarsi, per andare dal suo papà.
«No no, adesso lo lasciamo dormire. Così stanotte sarà riposato per
quando ti metterà a letto. E io andrò a dormire alle nove.»
Iria non capiva tutti quei discorsi, sapeva solo che voleva il suo
papà. «AhhH...»
Si ritrovò sollevata tra le braccia della mamma, con lei che si alzava.
«No, non urlare. Non si urla, si ride. Guarda come ti faccio il
solletico...»
Iria si dimenò per le risate mentre sua mamma saltava via, portandola
fuori dalla stanza.
Si ritrovò in corridoio. Erano rimasti a dormire nella casa del nonno
minuscolo, quello da cui la portavano quando avevano troppo da fare.
Iria non era felice quando mamma e papà andavano via e la lasciavano lì
- anche se il nonno minuscolo era divertentissimo, così come le zie dai
capelli strani. La sua preferita era zia Palla!
Comunque le mancavano sempre mamma e papà ed era felice quando
passavano la giornata tutti insieme.
In quel momento la casa era silenziosa, come se non ci fosse nessuno.
Mamma sussurrava. «Mi sa che gli altri sono andati al santuario... che
pace.»
Mamma smise di camminare. Iria agitò le gambe e la mamma le raccolse
col braccio, sollevandole le ginocchia per farla sedere meglio nella sua
presa.
«Sai che sono cresciuta qui? Quando ci torno non vorrei mai andare
via... poi torniamo a casa nostra e non vorrei mai andare via da lì.»
Iria piegò il collo, per cercare di guardare in faccia la sua mamma.
Perché rideva?
La mamma posò un bacio sulla sua fronte. «Tu sei come me. Per fortuna
non sei sola come lo sono stata io. Ti insegnerò giorno dopo giorno a
gestire la tua energia... tutte le tue capacità.»
Ad Iria sembrava che stesse facendo un discorso importante. Rimase a
guardarla fissa negli occhi.
«Hai uno sguardo da piccola adulta quando mi guardi così. Magari un
giorno potrò chiederti chi sei. Perché ci hai scelto. Perché sei nata
ora.»
Iria sollevò le braccia, afferrando una ciocca dei lunghissimi capelli
della sua mamma.
«Avrei aspettato almeno altri dieci anni, sai? Se avessi potuto
scegliere. Ma se penso che tra dieci anni poteva nascere una bambina che
non sei tu... va bene così. Anche se a volte è ancora strano essere la
tua mamma.»
Iria si stava stufando di stare ferma. Troppe parole, non andavano bene
finché non le capiva!
La sua mamma ridacchiò e riprese a camminare. «Okay. Ti porto dai tuoi
giocattoli.»
Giocattoli!
La mamma danzò mentre entravano nella sua cameretta al tempio. La
depositò su un tappetino colorato.
Seduta, Iria batté le manine a terra, esaltata. Finalmente si giocava!
Mamma rovesciò la cesta di giocattoli per terra, causandole un
gridolino di gioia.
Iria corse subito a prendere il suo gioco preferito, un animaletto con
le orecchie. Coniglio, giusto? Lo morse, masticando.
Mamma sospirò e si sdraiò sdraiata accanto a lei, per osservarla.
«Almeno è appena lavato.»
Iria liberò la bocca, protestando. «Ua-ua uè-u wa wa wa!» Dovevano
giocare insieme, funzionava così! Papà era più bravo a divertirsi coi
giochi.
Mamma sorrise, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
«Parlerai tra poco, me lo sento. Cosa dirai per prima? Mamma? Papà?»
Latte. Aveva fame, voleva il latte. O la frutta, o le cose salate.
Bastava mangiare!
Masticò forte il suo coniglietto, sperando che la mamma capisse prima
che lei si mettesse a urlare. Avrebbe voluto non piangere, ma se non le
davano quello che voleva, cos'altro poteva fare?
«Hai fame, hm?»
Sì, fame. «Gnnnn....»
Mamma rise di nuovo - rideva troppo di lei. «Okay, andiamo a farti
qualcosa da mangiare.»
Mamma si alzò in ginocchio mentre qualcosa frusciava alle loro spalle.
Si immobilizzò. «Ehi» sussurrò, con un tono di voce diverso da quello
che usava con lei.
Iria aveva trovato un punto del coniglietto che sapeva di buono e non
si voltò.
«Ci porti un omogeneizzato?»
«Hm-mh.»
Le era parso di udire un mormorio del suo papà, ma quando si voltò il
corridoio era vuoto.
Il suo pancino gorgogliò.
La mamma glielo massaggiò. «Adesso arriva il cibo.»
Cibo, cibo, cibo.
Guardò la mamma dritto negli occhi viola, chiedendosi perché non si
desse una mossa.
La distrasse il suo sguardo intenso - una cosa che riusciva solo alla
mamma.
Voglio comunicare con te.
Sapeva che era quello che le stava chiedendo con gli occhi e
guardandola di rimando Iria le disse la stessa cosa.
Un giorno ti dirò tante cose.
Cose come... Il destino. Il passato. Il pericolo, quello enorme. Quando
ci pensava diventava triste, aveva paura e voleva solo essere
abbracciata forte.
Mamma la strinse al petto. «Shh, shh. Sono divinazioni. Non ti
succederà niente.»
Iria si aggrappò alla sua felpa.
«Non permetteremo che ti succeda nulla. Sei la nostra bambina. Ti amano
tutti. Ti vuole bene anche l'essere più potente di questo universo. E
anche se io non lo sono, morirei per te, Iria-chan. Tranquilla, hm?
Andrà tutto bene.»
Iria si sentì al sicuro.
Non le importò più della fame, della paura. Nemmeno del papà.
Alla sua mamma voleva bene in un modo speciale. Loro erano... uguali.
Profetesse, fu la parola che spuntò nella sua mente.
Ma è lei ad aver ereditato la divinazione da te. E sarai tu a
doverla guidare.
Sbatté le palpebre.
«Guardate cos'ho portato.»
La voce del suo papà la fece tornare bambina. Si girò verso di lui,
alzando le braccia per raggiungerlo.
Tutto il resto fu dimenticato.
19 -
Profetessa (Iria, 7 mesi) - FINE
NdA: Ho voluto scrivere di Iria, per mostrarvi un goccio della
consapevolezza che questa piccola si porta dietro, senza ancora capirne
il significato.
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon,
Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** 20 - Nato per essere padre (Iria, 2 mesi) ***
Maternità 20
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi
appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e
della Toei Animation.
20 - Nato per
essere padre (Iria, 2 mesi)
Lui, Yuichiro Kumada, non era mai stato più felice nella sua vita. Si
approcciò alla culla da cui sentiva provenire i primi gorgoglii,
allungando le mani per agguantare il suo tesoro. «Eccola!» mormorò.
Sollevò per le ascelle la bambina più bella e dolce del mondo, usando le
mani per sostenerle la testa; era così piccola da stargli in un palmo.
Avvicinò sua figlia alla faccia, premendole la bocca su entrambe le
guance, sonoramente. I baci suscitarono in Iria una smorfia confusa, poi
una specie di sorriso. A due mesi stava imparando a mostrarsi felice.
«Presto sorriderai tutto il tempo.» La appoggiò sulla spalla, non
resistendo e baciandole i capelli.
Esisteva un odore più buono di quello di un neonato?
La cullò, dondolando. Non voleva ancora portarla da Rei, anche se si
era svegliata per la fame. Non erano mai abbastanza i momenti che
passava solo con lei.
«Ah... uuh...»
Incavò il mento per poter guardare il suo faccino. Colse la macchia
d'umido sul pigiama, dove la piccola aveva tentato di succhiare.
Era cattivo, le negava il suo latte.
«È solo per lasciare dormire la mamma ancora un po'.» Rei riposava da
quattro ore; ogni minuto in più di sonno era prezioso. Yuichiro stava
sperimentando la tecnica dell'autoconsolazione: voleva che Iria
imparasse che esistevano altre cose belle nella vita oltre al seno di
sua madre, così si poteva concentrare su quelle senza tirare giù la casa
in attesa della poppata. «Ad esempio è bello stare un po' col papà,
giusto?» Giocò a far scontrare i loro nasi, con Iria che apriva e
chiudeva gli occhi per la sorpresa.
Afferrò una copertina pesante e gliela avvolse per bene attorno alla
schiena e alla testa, facendo attenzione a coprirle le piante dei piedi.
Il mondo esterno non si poteva affrontare senza precauzioni.
Aprì la porta del balcone, per farle vedere la bellezza di quella
mattina. «Guarda, è tutto bianco.» Strinse Iria contro il petto, per
tenerla calda. «L'ultima neve di questo inverno. Sai, la neve... be', è
molto fredda e non bisogna toccarla senza guanti. Ci si può giocare in
tanti modi... facendo pupazzi di neve o lanciando palle. Il gelo che
senti stimola la circolazione.»
«Tu sei pazzo.»
Si strinse nelle spalle udendo la voce minacciosa di Rei.
«Chiudi quella porta e accelera la tua di circolazione! Vuoi farle
venire una polmonite?»
Tornò dentro, offrendo Iria alla sua mamma. Rei se la riprese tra i
brividi, premendo le guance contro le sue. «Guarda com'è fredda. Stava
per piangere.»
Veramente Iria era serafica; ora si stava agitando solo perché
percepiva nelle vicinanze l'odore del latte. «Sarà come me» dichiarò
Yuichiro, chiudendo l'anta scorrevole. «Amerà le basse temperature.»
«Ha! Aspetta almeno due anni prima di fare altri esperimenti,
altrimenti andrai a vivere in pianta stabile sul balcone.»
Lui si mangiò una risata.
Rei portò Iria sul letto, sedendosi e denudando un seno. Iria vi si
attaccò come una sanguisuga tenuta a stecchetto da settimane.
Normalmente lui trovava paragoni più poetici per la sua bambina, ma
quando Iria mangiava lo faceva con la voracità di uno spirito che
succhiava l'anima. Rei sospirò, sistemandosela meglio tra le braccia,
rassegnandosi a farle da biberon umano. Amava Iria, ma non amava
particolarmente quel momento di condivisione fisico. Le piaceva solo a
sprazzi e quasi per niente quando Iria faceva i capricci e voleva stare
tutto il tempo attaccata.
Lui tornò a sdraiarsi con loro, sistemandosi di traverso per poter
accarezzare la testa di sua figlia. Era così morbida... Le carezze le
causavano piccoli gorgoglii di risposta.
«Vorrei che avessi delle tette anche tu» sentenziò Rei. «Scommetto che
saresti felicissimo di farti mangiare vivo.»
Indubbiamente. «Ma stanno meglio su di te.»
Rei mugolò d'infelicità. «Lo pensavo anche io prima di
quest'esperienza.»
Yuichiro la guardò dal basso verso l'alto, sdraiato. «Sai che possiamo
passare al latte in polvere.»
«No. No» ribadì lei, come se le avesse proposto una sconfitta. «Il
latte materno è migliore. Si sta scoprendo che aiuta con lo sviluppo del
cervello, col sistema immunitario e... con chissà quante altre cose.
Voglio che lei viva per mille anni in piena salute.»
Yuichiro evitò di ribattere, per non causarle altro stress.
Rei scivolò lungo il letto, sistemando meglio la nuca contro la testata
soffice alle sue spalle. «Non voglio essere una madre che non sa
sacrificarsi.»
A lui pareva che lei stesse sacrificando molto - sonno, tempo e metà
della sua identità nel tentativo di adeguarsi ad aspettative sul ruolo
materno che si erano rafforzate di prepotenza appena era nata Iria.
Aveva trascorso mesi a rassicurarla sul fatto che non doveva cambiare
in un modo che la rendeva infelice. Ora non stava insistendo solo per
non metterla ulteriormente in difficoltà, ma prima o poi doveva dire
qualcosa. «... Ogni tanto ti sembra di poter comunicare con Iria.»
Rei voltò la testa, per guardarlo.
«Come se lei sentisse quello che provi.»
Senza ribattere Rei abbassò lo sguardo verso la loro bambina, che
poppava a occhi chiusi.
«Penso che tu debba fare ciò che ti fa sentire meglio... Non esiste
bambina che cresca meglio di quella che ha accanto persone felici.»
Non si sorprese di non sentirla rispondere: Rei era troppo stanca per
dargli ragione o anche solo per riflettere sulle sue parole. Ci avrebbe
pensato nel pomeriggio, quando Iria le avrebbe concesso almeno cinque
ore di sonno.
Il suo viso si addolcì. «Ci sei tu ad essere felice per tutti e due.»
Sorridendo, Yuichiro si rigirò su se stesso e la raggiunse. «Perché sei
con me.» Posò un bacio sulla sua guancia.
Rei scosse piano la testa. «Perché c'è lei.»
Lui non lo negò. «Se non fosse nostra - mia e tua - sarei felice la
metà.»
«Dici? Secondo me tu sei proprio nato per essere padre.»
Poteva darsi, lo aveva pensato anche lui in quei mesi.
«È lei che muori dalla voglia di riabbracciare quando ci vedi insieme.»
«Se stritolo te in un abbraccio poi ti faccio male al seno.»
Rei sussultò in una risatina. «Poi schizzo latte dappertutto, come una
mucca!»
«No, come una mamma.» Posò la fronte sulla sua tempia, per offrirle
tutta la consolazione di cui era capace. «Certo che muoio dalla voglia
di riabbracciare anche te. Ogni volta che stringi Iria ti amo di più.
Ogni volta che ti vedo stanca ti amo di più. E ti amerei nello stesso
identico modo anche se ti sacrificassi di meno - proprio come
Iria-chan.»
«L'amore di una madre dev'essere anche sacrificio» la sentì mormorare.
«Ma non dev'essere principalmente sacrificio. Dev'essere amore e basta,
quello che ti senti di dare.»
«Magari non è abbastanza...»
«No... no. Il tuo amore sarà sempre abbastanza.»
Rei lasciò andare via il senso di colpa con un lungo respiro. «Come
madre varrei la metà senza di te.»
«Io non lo penso.»
«Perché sei il solito modesto. Se Iria sarà buona ed equilibrata, sarà
soprattutto merito tuo.»
«Okay.»
«Cosa?»
«Sono il papà dell'anno.»
Le suscitò una risata leggera. «Sei uno spasso quando decidi di
mostrare un po' d'orgoglio.»
«Il papà dell'anno poteva scegliere solo la donna migliore del mondo
per fare da madre alla sua bambina.» Fece silenzio, ricordando. «Lo sai,
vero? Non avrei avuto figli con qualcuna che non fossi tu. Mai. È una
parte di me che potevo condividere solo con te. Non avrebbe senso essere
padre senza di te.»
Rei si voltò, colpita. «Che scemo.» Non poteva abbracciarlo perché
aveva le mani impegnate con Iria, ma gli donò per intero le sue labbra,
con impeto, commossa.
Si staccò rasserenata, con gli occhi privi di ombre. «Sei scemo perché
dici le cose più carine e al contempo più tristi che esitano. Ma ti
autorizzo a dirmele di tanto in tanto. Mi piacciono.»
Yuichiro era contento. «A me piace dirtele.»
«Ogni tanto hai paura di ciò che verrà, hm?»
Per forza, dopo l'ultima previsione di lei. «Ci penso soprattutto
quando sono più felice.» Doveva scacciare con forza la paura di perdere
tutto quanto troppo presto.
Rei aveva occhi solo per lui e per un momento non prestò attenzione ad
Iria, che si era staccata. Quando sentì un piagnucolio che minacciava di
diventare un urlo la girò tra le braccia. «Fortuna che abbiamo lei.
Nonostante le mie lamentele-»
«Non sono lamentele.»
«Sono felice che sia nata. Che sia qui. Da sola starei cercando di non
farti cadere nel panico. Lei invece distrae.»
«Be', se non ci fosse Iria-chan... sì, starei tutto il tempo a letto,
abbracciandoti forte. E facendo altre cose.»
Rei lo trovò comico. «Stiamo tutto il tempo a letto lo stesso. Solo che
coi capelli arruffati e le occhiaie, in pigiama, con me che sono
desiderabile come una settantenne...»
«Non è vero.»
«Be', allora con la libido di una settantenne.»
«Per me non è un problema. Tanto con la tecnica giusta ti faccio
cambiare idea.»
Per la prima volta lei rise forte. «Ah, ora la tua sarebbe una
tecnica?»
Lui annuì convinto. «La tecnica della tenerezza. Ti accarezzo, ti
massaggio... ti faccio sentire così bene che alla fine mi lasci fare
quello che voglio.»
Rei non lo prese come uno scherzo, si preoccupò. «Ti andrebbe bene
così? Prima o poi ritornerò come prima, ma chissà quanto tempo ci
vorrà...»
«Tu mi vai bene in qualunque forma, con qualunque aspetto, di qualunque
umore...»
«Bugiardo, quando ero incinta ho dovuto costringerti come all'inizio
del nostro rapporto.»
«Non perché non ti trovavo eccitante, perché pensavo a lei.» La
indicò, rabbrividendo al ricordo di quanto si era dovuto trattenere.
«Lo so, lo so... per assurdo adesso tu hai tanta voglia e io ne ho
poca...»
«Se smetti di allattare probabilmente torni prima, be', come prima.»
Rei finse di indignarsi. «Me lo stai chiedendo per accontentare le tue
voglie? Egoista!»
Finse di esserlo per lei, sollevando le spalle. Se poteva darle una
scusa per porre fine a una cosa che non voleva più fare...
Rei accarezzò la testa di Iria, amandola anche con quel singolo gesto.
«Ci penso.»
«Crescerà benissimo lo stesso. Il latte conta, ma i geni... i geni non
si cambiano e quelli dal lato materno sono perfetti.»
«Esagerato.» Ma le aveva suscitato un attimo di delizia.
«Conterà anche come la cresciamo. E col papà migliore del mondo...»
«Adesso non ti allargare. Volevi congelarla.»
«Col papà che si impegnerà di più al mondo, e una madre
bravissima, andrà tutto bene. Sarà tutto meraviglioso, Rei.»
Rei si sistemò nel suo abbraccio e gli credette.
20 - Nato per
essere padre (Iria, 2 mesi) - FINE
NdA:
Melassa a gogò! L'ho pubblicata sul gruppo di FB (link sotto) il giorno
della festa del papà, per festeggiare anche con le mie fanfic.
Finalmente nella storia principale di questa coppia Iria sta per entrare
di prepotenza nelle loro vite. Manca poco :)
Nota importante: a causa dell'attuale situazione in Italia e nel mondo
mi sto ritrovando in una situazione finanziaria poco felice. Ma si fa di
necessità virtù e mi è venuta un'idea: scrivere fanfic su
commissione. È legale anche se il tema è Sailor Moon, mi sono
informata. Si tratta di un lavoro artigianale realizzato in un unica
copia - al pari di una fanart come se ne vendono tante in Italia. Ci
sarebbero problemi se scrivessi delle fanfic e le vendessi al mondo
intero, ma siccome non è questo il caso... :)
Se volete saperne di più visitate la mia pagina
Patreon.
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon,
Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Rei e l'istinto materno (sette mesi) ***
Maternità 20
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi
appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e
della Toei Animation.
21 - Rei e
l'istinto materno (sette mesi)
Adam Foster era venuto alla luce da venti ore. Andando a trovarlo in
ospedale per la seconda volta, Rei scoprì che non era cambiato rispetto
al giorno prima: aveva ancora un naso enorme, il volto arrossato, gli
occhi gonfi e la pelle raggrinzita.
Ami lo teneva sulle ginocchia unite, parlandogli mentre giocava con le
sue mani minuscole, incapaci di stare ferme.
«Ti piace così?» mormorava. «Hai freddo? No, vero, è ancora estate. Fa
meno caldo adesso, si sta proprio benissimo. O forse stavi meglio dentro
la mia pancia? Ma stavi crescendo, avevi bisogno di uscire.» Posò un
bacio soffice sulla sua fronte, rimirandolo come se tutto in lui fosse
un miracolo.
Senza sapere perché, Rei toccò il proprio addome rigonfio. «Stai
meglio.»
Ami si voltò, accorgendosi della sua presenza. «Ciao!»
«Ciao. Hai riposato.»
«Sì. Adam è stato buono, gli ho appena dato da mangiare.»
Rei si avvicinò al letto. «Ho portato un tutina per lui.»
«Capita a proposito.» Ami allungò le mani. «Ha macchiato le altre, Alex
è andato a prenderne una nuova.»
«Lo abbiamo incontrato all'ingresso. Yu si è fermato a parlare con
lui.»
Annuendo Ami tornò a prestare attenzione al suo bambino, spostandosi
sul materasso come se stesse maneggiando un vaso di cristallo. «Okay»
mormorò rivolta a lui. «Ora ti appoggio sopra il letto e togliamo questa
tutina sporca, hm?»
Era madre da meno di un giorno, ma sembrava che lo fosse da tutta la
vita.
Rei si avvicinò con cautela, per imparare. Ami stava svestendo suo
figlio partendo dal basso. Gli sollevò la tuta fino all'inguine,
scoprendo due gambe arcuate simili a quelle di un ranocchio. Al posto
dell'ombelico il bambino aveva... Rei scostò lo sguardo per un secondo.
Ami notò il suo disagio. «È il moncone del cordone ombelicale. Cadrà
tra qualche giorno.»
«Sembra una ferita. Non gli farà male?»
«No, basta non toccarla troppo.»
Rei smise di commentare, lasciandola al suo lavoro. Adam aveva
aggrottato la fronte nel ritrovarsi nudo, coperto solo dal pannolino. Il
suo viso era deformato in un piccolo grugno che gli conferiva un aspetto
perennemente arrabbiato.
Rei tolse la nuova tuta dalla busta, passandola ad Ami. Lei adorò la
scritta che campeggiava sul petto. «The best boy.» Si illuminò e parlò
ad Adam come se lui potesse capirla. «È giusto, sei il best boy.
Il più intelligente! Stai già provando a capire cosa si prova a venire
vestiti, hm? Vediamo se questa tutina va bene o è troppo stretta.»
Troppo stretta? «L'ho presa di taglia zero.»
Ami distolse per un istante l'attenzione da suo figlio. «Non
preoccuparti, è lui che è grande. Per questo è uscito un po' prima. Ma
per fortuna sta bene, era solo ansioso di vedere il mondo.»
Rei si stupì nel rendersi conto che Ami era letteralmente...
innamorata. Aveva le guance rosate e le brillavano gli occhi. Il suo
universo roteava intorno all'esserino di tre chili e mezzo che si
agitava senza scopo sopra le lenzuola.
Cercò di sorridere quando la nuova madre le mostrò con fierezza bambino
e tuta.
«Grazie. È il regalo più utile.»
«Di niente.»
Restarono per un momento in silenzio, Ami di nuovo persa nella
contemplazione di suo figlio. Quando accennò a spostarsi all'indietro
sul letto, Rei la aiutò a sistemare i cuscini dietro la schiena. «Riesci
già a camminare?»
«Sì, da ieri. Poi se vuoi ti racconto tutto.»
Non era sicura di voler sapere.
Ami si divertì. La capì senza bisogno di parole. «Non è stato così
terribile. E ne è valsa la pena.»
Per lei senza dubbio, era evidente.
Ami accarezzò una guancia di suo figlio, facendogli aprire la bocca. Di
secondo in secondo lui dava vita a una smorfia nuova, come se stesse
testando il funzionamento dei muscoli facciali.
Ami amava ogni sua espressione. «Ha un faccino un po' strano, vero?»
Rei non glielo avrebbe confermato nemmeno sotto tortura.
Ma la sua amica non la stava guardando. «Stamattina è venuta Eve-san.
Ha detto che da piccolo Alexander era identico - tutto corrucciato,
proprio come Adam.»
Ah, allora c'era una spiegazione. Sapeva che i neonati cambiavano dopo
i primi giorni, ma non si era aspettata che da due persone avvenenti
come Ami e Alexander saltasse fuori qualcosa di così... poco carino, per
essere gentili. Quindi era genetico dal lato paterno.
Ami aveva interpretato i suoi pensieri, ma non se l'era presa. «Sai,
anche se rimanesse così... io lo troverei sempre bello. Hai visto come
cerca di toccare tutto con le mani? È perfetto, è proprio come lo avevo
immaginato.»
A Rei venne un groppo alla gola. «Sei una mamma splendida, Ami.»
«Lo sarai anche tu.»
Prima che potesse rispondere venne interrotta dall'arrivo di Alexander
e Yuichiro. Il nuovo padre la salutò velocemente e fece il giro del
letto, indaffarandosi a mostrare ad Ami i nuovi acquisti.
Yuichiro guardava da lontano, come se non volesse intromettersi. «Ehi,
quant'è cambiato!»
Alexander gli fece segno di avvicinarsi, estasiato. «È sempre meno un
piccolo Alien.»
«Dài» protestò Ami.
Alexander si era inginocchiato, tenendo a coppa la testa di suo figlio.
«Piano piano tornerà ad avere il faccino che abbiamo visto quand'era
nella pancia. E se somiglia veramente a me, diventerà il bambino più
bello che sia mai esistito nella specie umana.»
Yuichiro scoppiò a ridere e Alexander si bloccò dal prendere in braccio
suo figlio, per non toglierlo ad Ami. Ci fu un istante in cui
comunicarono con uno sguardo, poi lei gli cedette Adam volontariamente,
in apprensione all'idea di allontanarsi da lui. Alexander rimase nei
paraggi, mostrando con fierezza il suo tesoro. «Vedi? Questo è il mio
naso.»
Yuichiro si era avvicinato a guardare.
«Dovrebbe avere gli occhi di Ami, solo che ancora non si vede bene.
Però ci somiglia già come carattere, osserva tutto.»
«È veramente bello.»
Yuichiro era sincero nel complimento. Guardava il bambino dei loro
amici come se fosse una creatura rara che non vedeva l'ora di conoscere
da vicino. I suoi occhi brillavano appena un po' meno di quelli dei
nuovi genitori, solo perché Adam non era suo.
Rei non disse più niente e dieci minuti dopo lei e Yu lasciarono
l'ospedale, per lasciare ad Ami e Alexander un minimo di tranquillità
prima dell'arrivo degli altri.
L'ingombro della sua pancia non era mai stato tanto pesante in quei
sette mesi.
Cercò di non pensarci e continuò a camminare. Yu la teneva per mano
senza guardarla, perso nei suoi sogni a occhi aperti. Giunsero nello
spiazzo d'ingresso dell'ospedale, deviando verso un vialetto alberato.
Rei non resistette più e lo tirò piano, imponendogli di fermarsi.
Girandosi, lui la guardò in faccia. Non si sorprese di vederla con gli
occhi bagnati. Si allungò di tre passi e si sedette sulla panchina più
vicina. Allungò le braccia nella sua direzione. Rei lo strinse e poté
singhiozzare piano, senza drammi, con la faccia tra i suoi capelli.
Lasciò uscire il dolore, lentamente, e questo le permise di dargli un
nome. «È...» Si passò una mano sul naso. Yuichiro recuperò un
fazzoletto, porgendoglielo. Le uscì un ultimo sospiro di pena. «È un
galletto spelacchiato.»
Lui cercò di non ridere troppo forte, tenendole il viso tra le mani.
«Lo è» insistette lei.
«Sì» le concesse lui. «Per ora sì.»
«Ami lo ama da morire.»
Lui pensò di capire dove volesse arrivare, ma la lasciò finire.
«Se Iria sarà uguale, non so se riuscirò a essere come lei.»
«Non devi.»
«Ma è bello che Ami lo ami così tanto... E anche se io voglio bene a
Iria, ho l'istinto materno di un blocco di ghiaccio. Non dovrebbero già
piacermi i neonati?»
«Be'... non per forza.»
«A te piacciono.»
«Io immaginavo la nostra.»
Appunto. «Se Iria sarà come il figlio di Ami... forse non vorrò
abbracciarla tanto, Yu.»
«Andrà bene lo stesso.»
«Non sentirà che non la amo abbastanza?»
«A quell'età secondo me stanno ancora cercando di capire cosa sia la
fame.» Vedendo che lei soffriva ancora, la consolò premendo la bocca
contro la sua guancia. «La abbraccerò tanto io, finché non diventerà per
forza più carina. È figlia tua.» Si mangiò un sorriso. «Non ero io
quello che si preoccupava che non venisse fuori troppo bella, per via
dei miei geni?»
Non era quello il punto. «Tutte le foto di bambini di tre o quattro
mesi che ho visto mi fanno già più tenerezza. Sono belli così, quando
sono... paffuti. Non pensavo che alla nascita sembrassero così poco
umani.»
«Dei piccoli Alien» ripeté Yuichiro.
Nonostante tutto Rei rise piano.
«Hai visto quant'è vanitoso Alexander? Eppure ama lo stesso il suo
bambino. Tu sarai uguale e se non sentirai la stessa cosa... andrà bene
comunque. Stai già facendo tanto ogni giorno per Iria.»
Non sentiva più di sacrificarsi. Non così tanto. «Sto aspettando che da
un giorno all'altro si risvegli in me l'istinto materno.» Sperava tanto
di averlo, perché al momento vagava in alto mare. Aveva imparato ad
accettare e ad amare la presenza di Iria, ma le capitava ancora di
guardarsi allo specchio e di non riconoscersi nel suo nuovo aspetto - di
non vedersi né immaginarsi come una madre, né ora né nel prossimo
futuro.
Perlomeno non stava ingrassando tanto.
Yuichiro attirò la sua attenzione prendendole entrambe le mani. «Ho io
l'istinto materno. Non vedo l'ora di darle il latte, di cambiarle il
pannolino, di coccolarla... Invece tu non vedi l'ora di giocarci, vero?
Quando Iria riuscirà a capirti e a risponderti. Possiamo chiamarlo
istinto paterno. Da che mondo e mondo i bambini crescono benissimo con
questa combinazione nei genitori.»
Non suonava così astruso come ragionamento. Sospirò. «Speriamo.»
«È una certezza.» Yuichiro si batté una mano sul petto. «Farò andare
tutto bene.»
La cosa bella era che lei si fidava.
Le aveva fatto bene sfogarsi. «Questo è il pianto numero...?»
«Duecentonovantaquattro.»
Gli schioccò un dito sul naso per il numero gigante che si era
inventato. «Fortuna che non tieni il conto.»
«Ma li sto memorizzando tutti.»
Lei si era allontanata verso il centro del vialetto, ma Yuichiro la
riprese tra le braccia. «Mi piace come ti senti bene dopo. Ora non ti
sembra più una sconfitta farmi sapere come ti senti.»
No, non più. E forse, quando avesse sfornato la bambina e fosse tornata
se stessa, sarebbe diventata una persona più centrata ed equilibrata,
che non aveva più bisogno di frignare ogni due per tre. Ma per il
momento, adorava essere consolata e non sentirsi giudicata.
Inspirò aria, sentendo che era carica di umidità. «Sta per piovere.»
Gli ultimi temporali estivi. «Corriamo.»
Yuichiro posò una mano sulla sua pancia. «Non troppo, stai attenta.»
Rei roteò gli occhi al cielo. «Se non mi muovo divento una balena.» E
non avrebbe preso la cosa bene come Ami.
Iria doveva proprio farle il favore di toccare al massimo i tre chili o
lei si sarebbe rifiutata di partorirla.
«Non diventerai una balena.»
Su quel punto i complimenti non le interessavano, contava solo il
responso della bilancia. «Vedremo.»
«Basta che mangi quello che ti senti.»
Non si limitava certo con le cose nutrienti. «Basta che tu smetti di
portarmi torte.»
«Ma ti aiutano quando sei di cattivo umore...»
«Sarò ancora più di cattivo umore se prendo troppo peso. A quel punto
mi porterai altre torte, ingrasserò ancora di più e il circolo vizioso
non avrà fine!»
Yuichiro ormai rideva senza ritegno.
Rei voleva accopparlo. «Guarda che poi ti darò tutta la colpa!»
«È la mia parte in tutto questo. Sono qui per essere incolpato.»
«Me la prendevo io la colpa se tu ti prendevi la pancia.»
«Sai che lo avrei fatto.»
Non era nemmeno uno scherzo. Riflettendoci su, lo rese tale lei mentre
camminavano di buona lena. «Non sarei venuta a letto con te se fossi
stato incinto.»
Una smorfia gli deformò la faccia.
«Mi avresti fatto senso.»
Lui impiegò un attimo a decidere di sorridere. «Superficiale.»
«Non ho mai negato di esserlo. È chiaro che tu non puoi permetterti lo
stesso difetto.»
«Il mio problema non eri tu...»
Sì sì. Era stata la bambina. Per un periodo si era fatto desiderare
come se ce l'avesse d'oro. «Meglio che te lo ricordi nei prossimi due
mesi.»
«Ma ieri non avevi voglia.»
«Perché Iria si muoveva troppo.»
Questa volta la smorfia di lui fu più genuina. «Cerchiamo di non
parlare più di lei mentre parliamo di...»
Schizzinoso che non era altro. «Stabilisco qui e ora che dovrai essere
pronto a comando. Il tuo ruolo sarà quello di schiavo sessuale!»
Yuichiro le tappò la bocca. «Shh!»
Lei lo attirò a sé per le orecchie. «Capito?»
«Anche se non me lo ordini...»
Ora diceva così. «Non ci saranno scuse. Anche se diventerò disgustosa.»
Lui intuì la serietà dietro lo scherzo. «Non lo sarai mai.»
«Te lo farò ripetere. A partire da ora.»
«Ora?»
«Ah-ah. Muoviamoci, ho pianto e ora sono arrapata. Tra due ore ti
odierò con tutto il mio cuore e per le otto sarò crollata dal sonno.
Impara a cogliere le tue occasioni.»
Felice, lui ingranò la marcia con le gambe. «Allora corriamo.»
Finalmente.
21 - Rei e
l'istinto materno (sette mesi) - FINE
NdA: tre giorni fa sono diventata zia per la seconda volta, di
una bambina. Era inevitabile che fossi ispirata per un'altra storia di
questa raccolta. Ho scelto Rei perché volevo spoilerarvi un pochino
(come al solito) su come si era ripresa dopo i capitoli che sto
scrivendo in questo periodo in Di fiamme e quiete. La strada sarà lunga
e non priva di difficoltà, ma piano piano si appianerà, sia per lei che
per Yuichiro.
Elle
P.S. Per chi non lo conosce, ecco il gruppo facebook dedicato alle mie
storie: Sailor
Moon,
Verso l'alba e oltre...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Halloween (Adam, 1 mese - Rei incinta di otto mesi) ***
Maternità 22
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon
non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di
Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
22
- Halloween (Adam, 1 mese - Rei incinta di otto mesi)
Un anno fa, ad Halloween, Rei indossava un costume da
diavolessa rosso fuoco e aderente, con stivali al ginocchio e una
gonnellina corta vaporosa. Nello scegliere il costume per il party con
le sue amiche aveva potuto scatenarsi con la fantasia - qualunque
modello le era calzato alla perfezione.
Passati dodici mesi, stava valutando se buttarsi addosso un
lenzuolo e fare il fantasma, come Ami l'anno prima. Non le entrava
più niente e dubitava di poter trasformare un abito premaman
in un costume di Halloween credibile. Ne aveva parlato ad Ami, che
ormai le chiedeva di rivolgersi a lei se aveva qualche problema.
Perciò ora era a casa sua, a guardarla mentre vestita il suo
bambino di un mese per uscire a fare compere insieme.
Da esserino informe quale era stato alla nascita, il piccolo
Adam Foster si stava trasformando piano piano in un pupazzino
straordinario, con radi capelli azzurri e grandi occhi blu. Ami gli
stava infilando una tutina, muovendo con molta attenzione le sue
piccole membra dentro l'indumento.
«Oh, non ti ho fatto vedere il costume che ho fatto
per lui!» Ami lasciò il bambino sul letto e si
diresse all'armadio.
Per un istante Rei rimase sola col piccolo, sfiorandogli la
manina con le nocche mentre lo vedeva agitarsi senza scopo - un
bambolotto col meccanismo inceppato che non sapeva da che parte
guardare.
«Eccolo!» Ami tornò da loro con
un lenzuolino candido che non sembrava affatto un costume. Era solo
della stoffa di pizzo con un disco mancante sulla cima, per infilare la
testa. Rei cercò di astenersi dal dire che le
sembrava piuttosto misero come travestimento - non che un bambino di un
mese ne avesse già bisogno - poi notò che Ami
aveva recuperato anche un cerchietto in fil di ferro, ai cui lati erano
stati applicati i disegni di due ondine verticali.
Rei si addolcì. «Ma è il tuo
costume dell'anno scorso.»
«Adattato alla sua taglia.» Ami lo fece
indossare a suo figlio, che non poté far altro che subire
inerme il trattamento.
A vestizione terminata, il piccolo Adam arricciò le
labbra e aggrottò la fronte minuscola, come se non potesse
sopportare di apparire tanto tenero.
Purtroppo per lui, lo era proprio.
«Anche se è scocciato, ti somiglia tanto,
Ami. Solo che tu mentre indossavi questo costume eri una specie di
vedova inconsolabile.»
«Be', pensavo che avrei avuto la conferma di aver
perso Alex. Quante cose sono cambiate nell'ultimo anno, hm?»
Si chinò a sfiorare con un bacio la fronte del suo bambino.
Massaggiandosi il pancione di otto mesi che le imponeva di
sedere reclinata all'indietro, Rei non poté che concordare.
Il citofono dell'appartamento suonò. Visto che
sapeva chi era, Rei sarebbe anche andata ad aprire
personalmente - per non disturbare la padrona di casa - ma si muoveva
con la velocità e la grazia di un elefante. Le era
già capitato di far cadere a terra suppellettili nel suo
cammino.
Si preparò mentalmente all'uragano che stava per
affrontare.
Usagi non la deluse e apparve dentro casa nel giro di mezzo
minuto. «REII!!» Le fu addosso, abbracciandola e
tempestandola di bacetti sul viso. Più o meno da due mesi
Rei aveva smesso di tentare scrollarsela di dosso, tanto non serviva a
nulla.
«Anche oggi sei profumata e bellissima, Rei-chan!
Come questo cosino qui!»
La voce di Usagi crebbe di un'ottava nell'inquadrare il neonato che si
dimenava sul letto. «Ohh, che cosa ha addosso questo
piccolino?! È un fantasmino? È tenerissimo, lo
amo, voglio che mi infesti la casa!»
Ami ridacchiava mentre le raggiungeva. Era ancora lievemente
rotonda dopo la gravidanza. Aveva conservato circa cinque chili di peso
in più, distribuiti su tutto il corpo - in particolare sul
seno gonfio. Stava benissimo e anche se per ora Rei non era ingrassata
come lei nell'ultimo trimestre, sperava di avere la sua stessa fortuna
a parto archiviato.
Usagi stava stringendo al petto il piccolo Foster.
«Riesci a crederci, Rei? Tra un mesetto avremo un'altra
bambolotta come lui!»
«La fai facile tu. Fai la zia, te li godi quando
è il momento di giocarci. È Ami a svegliarsi nel
cuore della notte per sfamarlo, è lei che cambia i
pannolini, è il suo seno ad essere diventato una latteria
vivente aperta ventiquattrore su ventiquattro....» Smise di
parlare quando vide come la stavano guardando le sue amiche.
Usagi passò il bambino ad Ami e si sedette al suo
fianco, di nuovo appoggiando la bocca sulla sua guancia.
Rei non finse più che non le piacessero quelle
smancerie. La faceva sentire bene il contatto, l'affetto. Ne sentiva un
tremendo bisogno in quel periodo.
Usagi le massaggiava una spalla. «Prometto che,
se servirà, verrò a dormire a casa tua e
mi occuperò io della bambina quando sarai stanca. Non
è una promessa a vuoto: se starai per impazzire e Yuichiro
non ti darà tutto l'aiuto che ti serve, potrai contare su di
me.»
«La solita esagerata.»
«Non sto mentendo. Oggi sei di cattivo umore
perché la pancia continua a crescere, vero?»
«Già. E perché non
c'è un maledetto costume di Halloween che riesca a infilare
oltre l'ombelico! Possibile che nessuno pensi che a una madre incinta
non servono solo colori pastello e vestiti larghi?»
«Perché non lo hai detto subito? Ci penso
io!»
Rei stava per chiedergli da quando era diventata sarta, poi la
vide infilare la mano nella borsa, tirandone fuori una penna spessa e
rosa.
La penna lunare! Che stupida, se n'era dimenticata.
Usagi la sbandierava in aria. «Potremo inventarci il
tuo costume già ora, ma perché non
usciamo comunque? Andiamo per negozi, magari ne vediamo uno bello da
modificare. Così Ami esce e fa fare una passeggiata al
piccolo.»
Concordando, Rei chiese una mano per riuscire a tornare in
piedi.
Usagi la tirò a sé tenendola per le
braccia.
«Farà bene anche a te, così ti
mantieni in forma. Una forma non troppo rotonda - hihihi!»
Voleva morire? «Non lo dimenticherò
quando sarà il tuo turno. Visto quanto mangi diventerai una
balena al nono mese. Anzi, una mongolfiera. No, un
trasatlantico.»
«Uhh, che suscettibile!»
«Già ti vedo a piangere ogni cinque
secondi per lo sconforto...»
«Per la felicità, vorrai dire. Chibiusa
sarà un maialino rosa adorabile!»
Per il paragone che le era uscito, scoppiarono a ridere in tre.
Usagi volteggiò nella stanza, suscitando altra
invida in Rei.
«Ti troverò un costume meraviglioso,
Rei-chan! Sarà persino sexy, come piace a te.»
«Voglio anche delle scarpe.»
«Ma certo.»
«Col tacco alto, non mi frega se le
toglierò dopo cinque minuti. Anche solo per mezza serata
vorrei sentirmi un pochino come.... come ero prima.»
Colse lo sguardo impietosito e comprensivo di Ami.
«Finirà tra poche settimane. Dopo non
sarà tutto come prima, ma riavrai il tuo corpo. E lo
sentirai di nuovo tuo, vedrai.»
C'era solo da sperarlo.
Usagi era un concentrato di energia. «Sarai una
Sailor mamma, Rei. E conquisterai il mondo!»
Rei fu scossa da un brivido. «Sailor mamma, mai!
Sailor Mars!»
«Sailor mamma!»
«Sailor Mars!»
Ami sussurrò al suo bambino mentre lo spogliava del
costumino di Halloween. «Non cambiano mai.»
22 -
Halloween (Adam, 1
mese - Rei incinta di otto mesi) - FINE
NdA: Le storielle di questa raccolta spuntano sempre
così nella mia testa, dal nulla. L'ispirazione in questo
caso è venuta dopo che ho letto la scenetta di Halloween
contenuta nella raccolta dedicata ad Ami e Alexander 'Per istinto e
pensiero' (qui il capitolo).
Mi è saltato in mente il contrasto tra la
situazione di Ami e Rei in quel periodo e poi un anno dopo. Per Rei,
quando lo ha ricordato, il confronto è stato devastante,
povera. Posso dirvi che un anno dopo ancora, quando Iria
sarà ormai sfornata, tornerà a poter indossare i
costumini aderenti da diavolessa - con sua gran felicità :)
Parlando d'altro, cosa sto elaborando in questo periodo?
Preparatevi al capitolo 4 completo di 'Secondo intermezzo' - finalmente
risolverò il dissidio tra Gen e Alexander!
Elle
- Per ricevere le notifiche di tutti gli aggiornamenti, iscrivetevi al
canale Telegram, Elle's
stories.
- Seguitemi sul gruppo FB Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre per leggere i pezzi dei vari capitoli in anteprima.
-
La cronologia della saga: parte 1, parte 2, parte
3
-
Il mio canale Youtube, in cui parlo molto
anche di Sailor Moon
-
la pagina Facebook generale di Sailor Moon, Oltre
Sailor Moon, da me gestita
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** San Valentino (Iria, due mesi, e Rei madre stressata) ***
Maternità 22
Maternità/Paternità
Autore: ellephedre
Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon
non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di
Naoko Takeuchi e della Toei Animation.
23
- San Valentino (Iria, due mesi, e Rei madre stressata)
Rei aprì gli occhi, con la mente intorpidita, al
suono di un vagito. A volte sembrava un miagolio, a volte una
nenìa arrabbiata. Stava imparando a distinguere i diversi
pianti di sua figlia. Nel cuore della notte, a qualunque ora fosse,
Iria aveva fame. Ma non era notte: in un qualche modo si era fatto
giorno, tra due o tre risvegli che Rei non era stata a contare. I
gemiti di sua figlia avevano una nuova tonalità quella
mattina: nei suoi lamenti c'era una nota di paura. Rotolò su
un fianco, allungando il braccio per toccare la culla aperta su un lato
che avevano attaccato alla fiancata del letto. La sua mano
toccò minuscole membra calde che si dimenavano con
forza sorprendente.
«Eccomi» mormorò, senza neppure
aprire gli occhi. Il sole non colpiva direttamente la loro camera, ma
anche un lieve chiarore era doloroso per i suoi bulbi oculari, provati
dalla mancanza di sonno. Si tirò su, arrancando, e a tastoni
trovò il corpicino offeso dalla sua bambina, che reclamava
attenzione.
Le offrì qualche mormorio di rassicurazione mentre
sbadigliava a se la sistemava sopra un braccio, tirandosi su la maglia
del pigiama. Il freddo del primo mattino le ricordò,
confusamente, che un tempo non era stato familiare per lei scoprire i
seni come se fosse normale sparare le tette al vento, senza alcuna
remora. La vergogna andava a farsi benedire,
rimuginò, quando con quel semplice gesto si poneva finiva ad
un ululante vagonata di proteste infantili.
La boccuccia di sua figlia si attaccò al suo
capezzolo, ponendo fine ai pianti.
Rei la cullò tra le braccia, sbadigliando con le
palpebre ancora ostinatamente serrate. Voleva tornare a dormire.
Forse, se si fosse ben sistemata contro i cuscini del letto...
Iria cominciò ad annaspare per la posizione sbagliata della
testolina.
Svegliandosi del tutto, Rei adagiò più
correttamente sua figlia contro l'incavo del gomito e usò le
dita dell'altra mano per porgerle correttamente il capezzolo. La sua
piccola bocca affamata si attaccò con voracità.
A parte la traccia di una lacrima, Iria era rosea e appariva
ben riposata. Quando avrebbe imparato a concedere quel lusso anche a
sua madre?
Senza forza, Rei vagò con lo sguardo per la stanza,
registrando l'assenza di Yuichiro al suo fianco accanto al letto.
Era andato in bagno? Era uscito?
Controllò l'ora - sette del mattino - e si chiese
se suo marito avesse colto l'occasione per tornare a correre. Non lo
faceva da una vita - più precisamente, da quando era nata
Iria. Al pensiero che si fosse concesso quello svago, Rei voleva
strozzarlo.
Non era giusto. Anche se standole accanto probabilmente lui
non avrebbe potuto fare nulla di più utile che passarle la
bambina, non era giusto lo stesso.
Perché doveva essere lei quella intrappolata?
Perché Iria voleva stare in braccio solo a lei, e sembrava
che volesse trascorrere la vita con la bocca attaccata al suo seno? Per
Rei era una specie di prigione di cui non vedeva la fine.
Avrebbe dovuto essere grata di avere una bambina sana che
cresceva a vista d'occhio, ma da circa due mesi le sembrava di non
avere più una vita propria. Era diventata un'estensione di
Iria - la sua latteria personale e la sua fonte di coccole preferita,
l'unica che accettava quando voleva andare a dormire.
Aprì gli occhi di una fessura minuscola, per
osservare il visino dell'essere che la teneva incatenata.
Supponeva di non essere già impazzita solo
perché non aveva mai visto ciglia più lunghe in
un essere umano. Non aveva mai toccato capelli più morbidi,
o una pelle altrettanto serica. Non aveva neppure mai visto occhi
così grandi, pozze di dolcezzza. Inoltre nessuno, nessuno
mai, aveva avuto bisogno di lei come se in sua assenza il mondo
cessasse di essere un luogo buono e sicuro.
A due mesi Iria la stringeva con tutte le sue forze con le
manine. E se da una parte sembrava dire 'mia!', reclamando una
proprietà del suo corpo che la disturbava, dall'altra Rei
ricambiava il sentimento, stringendola di rimando, beandosi
occasionalmente, in una maniera che sorprendeva lei stessa, della
comunione che avevano trovato in coppia. Si appartenevano, in un modo
in cui non appartenevano a nessun altro.
In realtà non le sarebbe spiaciuto includere in
quel circolo Yuichiro. Così, tanto per affidare Iria anche a
lui, sapendo che la bimba non avrebbe iniziato a strillare dopo un
quarto d'ora. Supponeva fosse un po' colpa sua - Yu aveva
tentato di dirglielo. Non riusciva a resistere quando Iria piangeva e
si allungava verso di lei, quasi buttandosi nel vuoto dalle braccia di
suo padre. Si sentiva in colpa nel non accontentarla e, forse,
così rafforzava in lei l'idea che solo nella sua stretta
potesse trovare conforto e sicurezza.
Ma una bambina poteva capire davvero quei concetti? Aveva solo
due mesi, non meritava che le dessero ciò di cui sentiva il
bisogno?
Dondolò avanti e indietro, piano, a occhi chiusi,
sperando con tutte le sue forze che il movimento cullasse sua figlia.
Ma i piedini di Iria premevano contro il suo bicipite, come se stesse
pedalando. Lei era bella sveglia.
Rei si destò con la sensazione di una spazzola che
le scorreva tra i capelli. Si era addormentata. In mezzo secondo
controllò che Iria fosse ancora viva tra le sue braccia
mentra si voltava e si rendeva conto che Yuichiro aveva preso a
spazzolarle la chioma. Registrò il pigiama che lui ancora
indossava e i resti delle occhiaie sul suo volto. «Allora
non eri uscito» decretò.
«Ero in bagno» rispose lui tranquillo,
senza alzare la voce, per non agitare la bambina. «Stavo per
uscire e venire a prendere Iria, poi ho sentito che ha smesso di
piangere.»
Rei non replicò, confusa e stranamente cullata dai
denti della spazzola che le scorrevano tra le ciocche. Non capiva il
motivo del gesto. «Ho un aspetto così
orribile?»
«Hm? No. Volevo fare qualcosa per te.»
Le venne da piangere. Lacrimò nella sua testa per
non sembrare troppo patetica o bisognosa, anche se le sarebbe piaciuto
da morire essere stretta e protetta da ogni avversità - come
lei stava facendo con la bambina. Yuichiro la abbracciava spesso, senza
risparmiarsi. Ma per quanto amore e sostegno le desse, a volte Rei
sentiva di essere adagiata in un pantano di depressione da cui non
poteva uscire. Al massimo guadava verso un punto poco profondo, dove le
sembrava quasi di tornare ad essere una persona normale.
Con la spazzola Yuichiro districò un nodo,
solleticandole la schiena piacevolmente mentre proseguiva nella sua
opera.
«Saranno come paglia» dichiarò
lei. «Non ci ho messo il balsamo ieri.»
«Sono morbidi lo stesso. Belli come al
solito.»
Rilasciando in un unico sospiro un'ondata di stress che non
aveva saputo di conservare nel petto, Rei girò la testa e la
adagiò nell'incavo del collo di lui. Minacciò di
non resistere ad un pianto sconsolato quando sentì lo
schiocco di un bacio sulla fronte.
«Oggi usciamo» dichiarò
Yuichiro.
«Hm? Dove? Perché?» Non sapeva
lui quanto era complicato?
«Ci portiamo dietro Iria.»
Era scontato. «Non ho voglia di allattare in
pubblico.» Sapeva che Ami ne era capace, ma lei non aveva la
sua stessa bassa soglia del pudore.
«Andiamo in un posto isolato»
ribatté lui.
«Sono stanca...»
«Più tardi, quando sarai riposata. Dopo
il pisolino di metà mattina.»
«Perché...?» Forse Yu aveva
voglia di girare da qualche parte, ma poteva andare da solo se gli
andava.
«È San Valentino, Rei.»
Rei si tirò su. Non ebbe il tempo di reagire con
una replica, perché Iria stava per piangere di nuovo: aveva
esaurito il latte dalla tetta che aveva svuotato.
Spostandola, Rei strinse gli occhi stanchi, per provare a
svegliarsi. «Ma non siamo il 12?»
«È già arrivato il 14. Ho
pensato di andare in un posto di montagna, dove non c'è
nessuno.»
Dannazione, lei non aveva avuto modo di fare piani...
«Sarà uno stress....»
Lui scosse la testa. «Preparo io tutte le cose di
Iria. E le tue. Se serve, andremo solamente a dormire in questa piccola
baita. Sarà un po' di aria nuova per tutti. Così
questa piccolina» le accarezzò la testa,
«vedrà per la prima volta un luogo diverso dalla
città.»
Yuichiro aveva voglia di far fare tante cose ad Iria. Voleva
farle scoprire il mondo, se la immaginava già cresciuta.
Rei lo invidiava.
Aveva delle repliche sulla punta della lingua - sentiva di
dimenticare qualcosa, come se ci fosse qualche variabile che non
stavano prendendo in considerazione pensando di spostarsi di casa, da
dove uscivano a stento per fare la spesa. Ma con la spazzola Yuichiro
tornò a pettinarle i capelli e, dopo un attimo, Rei
dimenticò ogni obiezione. Voleva rimanere così,
con qualcuno che si prendeva cura di lei per tutta la vita.
Iria stava battendo il suo petto con le manine. Non aveva
più fame, teneva il suo capezzolo in bocca come un mero
ciuccio, succhiando senza voglia.
Rei la allontanò, per asciugarsi col pigiama e poi
pulirle le gocce di latte dal viso. Si sorprese quando colse l'ombra di
una curva nelle labbra di sua figlia - poi il flash di un
sorriso sdentato, pieno e consapevole, rivolto nella sua direzione.
"Ho mangiato! Grazie!"
«Guarda» commentò, per
condividere il momento.
Yuichiro spuntò da dietro la sua testa.
«Oh, che bellina!» Mollò la spazzola e
afferrò Iria tra le grandi mani, come sapeva fare solo lui,
sostenandola sotto le braccia e dietro tutta la testa. «Sei
felice, hm? Sei felice?» Giocò ad avvicinarsi e ad
allontanarsi dal volto di Iria, che lo osservava meravigliata ed
estasiata. Le decantò dolcissime banalità,
lodandola per essere tanto bella e una così brava bambina.
Tra le risatine sue e della piccola la ammonì per non
dormire di più, confermandole che a prescindere le voleva
tanto bene.
Cambiò tono di voce quando si rivolse a Rei.
«Hai visto che occhi meravigliosi?»
Già, erano stupendi; nemmeno nelle riviste lei ne
aveva visti di tanto dolci ed espressivi.
«Ti somiglia un sacco, Rei.»
Davvero? «Ma ha la tua bocca. E le tue
sopracciglia.»
«Ha il tuo naso. Per fortuna.»
«Ha le tue mani. I piedi, non riesco ancora a
capire.» Li esplorò e mentre maneggiavano la loro
bambina, si rese conto che ci stavano giocando come se fosse una
bambola.
Quei momenti erano belli. Avrebbe voluto che l'intera
esperienza materna si limitasse alla contemplazione di una neonata che
non chiedeva e non pretendeva cose da lei, bensì imparava
piano piano ad essere una persona separata.
Yuichiro portò la piccola contro il petto,
appoggiandole il mento sopra la spalla. «Vediamo se oggi
riesce a distrarsi un po'.»
«Da cosa?»
«Da te. Stando qui dentro, finisce col pensare che
al mondo ci sia solo tu. E vuole assorbirti.»
Rei non se ne venne fuori con una risposta.
«Questo pomeriggio, quando piange, lasciamela un
pochino. Le faccio vedere cose. E le insegno che al mondo
può stare bene anche se c'è solo il
papà.»
Lei volle piangere di gioia.
Yuichiro sapeva quale emozione le aveva provocato.
«Vuoi che riprenda a pettinarti?»
Perché no? Fece per riprendere in braccio la
bambina.
Lui gliela allontanò dalle mani.
«Può stare ferma qui, sul letto, ad
osservarci.»
«Ma piange» protestò Rei,
mentre lui adagiava Iria sul piumino soffice.
«Perché non è abituata. Ma sta
bene anche lì, non succede niente.»
Supponeva di sì, però...
Yuichiro quasi la tirò via, a più di un
metro di distanza, mentre riprendeva a pettinarla. Rei all'inizio non
si rilassò, mentre guardava con apprensione sua figlia che
si guardava attorno e sembrava che da un momento all'altro stesse per
iniziare a disperarsi. Ad un certo punto emise un paio di
lamenti, ma Yuichiro la interruppe sovrastrandola con un canto.
Sgranando gli occhi, Rei ascoltò inebetita mentre
suo marito si esibiva nell'ultimo successo pop del momento - una
canzone trasmessa almeno venti volte al giorno in tv, durante una
pubblicità.
Distratta, ci mise un attimo a notare che sua figlia aveva
avuto la sua stessa reazione. Fissava attonita lo strano uomo che,
dietro sua madre, emetteva versi stonati.
A Rei uscì una risata - la prima leggera
che ricordasse di aver fatto da un po' di tempo a quella
parte.
Vide che un angolo della bocca di Iria la imitava in risposta,
come se si rendesse conto lei stessa che c'era qualcosa da ridere.
La sua bambina pensava. Osservava. Reagiva. Cresceva,
e presto non l'avrebbe più intrappolata.
Si sporse verso di lei, contro le proteste di Yuichiro, per
prenderla e farla ballare tra le braccia.
Nonostante tutto, ti amo da impazzire.
Portò la sua guancia alla bocca, inspirando il suo
profumo fino ad inebriarsene.
23
- San Valentino (Iria, due
mesi, e Rei madre stressata) - FINE
NdA: Uh! Aveva avuto in mente di scrivere un episodio relativo
al compleanno di Rei - un paio di mesi dopo questa occasione, ma ho
pensato che mancasse il contesto dato da questa celebrazione
precedente, che in realtà volevo già raccontarvi
due mesi fa :P
E così sono tornata indietro ed è venuto
fuori questo pezzo. Due mesi dopo Rei sarà più
serena, non preoccupatevi. Riuscirà persino ad uscire fuori
a cena senza sua figlia, lasciandola ad Ami (e approfittando di un
riposino di 4 o 5 ore che la bimba si fa di solito a quell'ora).
Dopo aver passato sei giorni a curare le mie nipotine - di cui
una di dieci mesi - mi sono fatta qualche osso e ho voluto scrivere un
altro episodio di questa raccolta :)
Che ve n'è parso?
Elle
- Per ricevere le notifiche di tutti gli aggiornamenti,
iscrivetevi al
canale Telegram, Elle's
stories.
- Seguitemi sul gruppo FB Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre per leggere i pezzi dei vari
capitoli in anteprima.
-
La cronologia della saga: parte 1, parte 2, parte
3
-
Il mio canale Youtube, in cui parlo molto
anche di Sailor Moon
-
la pagina Facebook generale di Sailor Moon, Oltre
Sailor Moon, da me gestita
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2726538
|