Ulver er Hylende - Wolves are howling.

di DianYronwood
(/viewuser.php?uid=656902)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Tutti rammentano delle grandi gesta di Odino contro gli Jotun, Padre Tutto che vinceva i Giganti del Ghiaccio nelle loro lande desolate, arse dal freddo e dal gelo di un inverno perenne.

Si, a Odino quella vittoria costò cara, dovette pagarne il prezzo.

Perse amici e soldati, oltre all'occhio; ma non tutti morirono, no, a molti spettò la pazzia e la mutilazione.

Come mio padre, egli perse, oltre alla lucidità, una gamba, un orecchio e una mano.

Quando tornò ad Asgard venne lodato da Odino, e le sue gesta eroiche vennero ammirate da tutti, insomma, aveva salvato la vita di Padre Tutto senza pensare a se stesso, a sua moglie che pativa la fame in un buco che loro chiamavano casa.

Gli vennero promesse molte cose, ori, ricchezze, una casa decente e un futuro raggiante nella Guardia Reale al loro primogenito, che nacque, ma nacque femmina, nacqui io.

Tutto quello che gli era stato promesso non arrivò mai, la sua fama andò diminuendo e così anche la sua fortuna, mia madre si ammalò gravemente e morì, gemendo nel letto di paglia marcia sotto i miei occhi, quella fu l'ultima volta in cui piansi.
Insieme a quella donna morì anche la forza di vivere dell'eroe caduto nel dimenticatoio e io dovetti crescere e diventare uomo, dovetti combattere per ottenere quello che mi era stato promesso, volevo entrare nella Guardia Reale, a qualunque costo. E ci riuscì.

Mi allenai da quel momento, senza nessuna sosta, senza nessuna pietà verso me stessa, tentando di perdere ogni paura, di infurbirmi, di sviluppare i sensi e riuscì ad imparare perfino una debole forma di magia.

Con il tempo divenni forte, e a mio malgrado anche dannatamente bella, i capelli corvini mi distinguevano tra tutti ad Asgard, e gli occhi sembravano racchiudere tutti gli inverni di Jötunheimr, il mio fisico era snello, dalle curve non troppo accentuate e piacevoli allo sguardo.
Ero una ragazza parecchio alta, dalla pelle alabastrina, perfetta, senza alcuna imperfezione, che mi faceva sembrare di porcellana, il viso angelico, anche se io, di angelico, non avevo proprio nulla.

Ben presto molti impararono a temermi, il volto angelico divenne pietra fredda, gli occhi erano lame che trafiggevano con un sol sguardo, capaci di uccidere chiunque, il mio divenne un animo freddo e illeggibile, che non conosceva alcuna pietà.

Entrai come da mio sogno nella Guardia Reale e non smisi di stupire tutti con la mia bravura, senza mai crogiolarmi nella poca gloria che mano a mano mi veniva quasi donata, divenni nota e in poco venni posta a capo della Guardia.

Il mio impegno era gravoso e mio padre, oramai del tutto pazzo, mi pesava sulle spalle, insieme alla casa, tutto era difficile per me, ma ero troppo orgogliosa per chiedere aiuto.

Pochi mesi dopo divenne noto anche il mio amore verso la cultura, il mio modo di pensare era brillante e riuscivo a intrattenere discorsi con i maestri che facevano invidia anche al grande Thor, che un giorno venne battuto da me in un torneo d'allenamento.

Io sono Astrid la Valorosa.
E questa è la mia storia.

Si intrecciò parecchio con quella di Loki, dio del caos e dell'inganno; mi accorsi subito della sua presenza, ma lui ci mise parecchio ad accorgersi della mia.

Sono più che certa che lui mi vide effettivamente quando la lama della mia spada puntava alla gola di un Thor impolverato, ansimante e sudato, gettato a terra con gli occhi colmi di stupore.

Vidi chiaramente gli occhi di Loki accendersi, sentendo un fuoco di gioia esplodergli nel petto, mentre colui che sempre l'aveva umiliato, veniva adesso umiliato da una donna, da me; mi sentii i suoi occhi addosso, che mi divoravano, che mi spogliavano e cercavano di leggere ogni crepa del mio animo in apparenza così forte e autoritario. Non ne trovò, per una volta non riuscì a giocare con la mente di qualcuno, si accorse ben presto che la mia era una volontà ferrea, che non si sarebbe mai piegata a nessuno, e tutto ciò, invece di scoraggiarlo, lo incitò a tentare e ritentare. Non aveva mai perso nessuna sfida, aveva sempre letto tutti senza difficoltà, ma io ero impenetrabile, una barriera che non lasciava trasparire alcuna emozione, come lui, che mai diede a vedere la rabbia di non riuscire a prevedere le mie mosse.

Da quell'istante potevo sentire i suoi occhi che mi osservavano ininterrottamente, mi seguivano durante ogni mio turno, dall'alto delle sale alle finestre dei corridoi. Tutto ciò mi riempiva d'orgoglio, quando li sentivo farsi più pesanti mi sfuggiva un sorrisetto compiaciuto, ma non arrossii mai, mai gli diedi questa soddisfazione.

Spesso capitava che ci incrociassimo nei corridoi, io presa con le mie ronde e lui che probabilmente si recava a farsi mettere i piedi in testa dal Padre Tutto e dal fratello. Non ci scambiammo mai un sguardo, io guardavo fisso avanti a me e lui continuava a camminare con il suo passo lungo e strafottente, sentivo una fiamma crescermi nel petto e riuscivo a percepire quasi la sua, ma della mia non ce n'era prova evidente, solo io la conoscevo.

Portavo sempre i capelli acconciati come le Fanciulle con lo Scudo di Midgard, con piccole treccioline ai lati della testa che mi portavano i capelli indietro, lasciandoli ricadere dolcemente sulle spalle e lungo la schiena; un dì decisi di cambiare, le feci solamente da un lato, spostando i capelli da una parte e lasciando il collo d'alabastro scoperto per metà. Montai fedelmente la guardia, come facevo sempre, ma quel giorno riuscii a sentire le fredde dita di Loki appoggiarsi sulla pelle e accarezzarla lievemente, mi vennero i brividi, che mi corsero lungo la mia schiena come una scarica elettrica, mi voltai a guardare e mi accorsi che non vi era nessuno, aveva usato la magia, non si sarebbe mai lasciato vedere da qualcuno fare quei gesti.

Tutti questi suoi comportamenti andarono avanti per molto, io ne ero estremamente orgogliosa, me ne compiacevo, mi abituai ad avere il collo scoperto da una parte, poiché tutti i giorni continuai a sistemarmeli a quel modo, mi abituai anche alle carezze di Loki sulla mia pelle, per nulla fastidiose o invadenti, semplicemente fredde... e piacevoli.

Qualche settimana più avanti mi venne concessa un'oretta per rilassarmi dopo una giornata di lavoro estenuante, la passai di buon cuore nei giardini e nelle foreste all'interno del palazzo, talmente grande da poterne ospitare una, anche se piccola, abbastanza fitta. Mi sedetti nell'erba morbida, godendomi il calore del sole, mi sciolsi le trecce, non so perché lo feci ma appena finii un vento li spostò, rivelando ancora una volta la mia pelle, capii subito che c'era lo zampino di un certo dio di mia conoscenza, difatti non sentii più le sue dita sul collo, ma delle labbra esperte, che mi lasciarono un dolce bacio per poi cingermi tra le braccia, affondò la testa nei miei capelli sciolti e ne inspirò l'odore a pieni polmoni, subito si invaghì del mio profumo, un selvatico aroma di iris blu. Risi, si, risi, dopo molto tempo mi sfuggì una risata dal suono dolce e ricco, sottile come un filo d'erba. Sentì un sorriso crearsi un valico sul suo volto, lo sentii contro la mia stessa pelle, ma appena se ne accorse svanì come era arrivato.

Il mio sentimento nei confronti di Loki prese forma, iniziai a rendermi conto di quanto fosse importante per me, di quello che sarei stata capace di fare per lui. Una volta messe le carte in tavola capii che lo amavo, nonostante non ci fossimo mai parlati realmente, nonostante tra noi ci fossero solo delle carezze nascoste, piccoli momenti d'intimità ignoti a tutti, dove il dio usava la magia solo per toccarla.
Non capii mai cosa lui provasse per me, fu una sensazione straziante credere di essere una pedina del suo piano di potere mentre il mio cuore mi ripeteva che lui ci teneva a me, che io per lui ero importante nonostante non lo desse a vedere. Soffrii molto per colpa sua, forse se ne rese conto, forse no.

Il ricordo più bello che ho di Loki è quasi assurdo.

Era una giornata come tutte le altre, io montavo la guardia come mio solito, ero in piedi, con la lancia stretta in mano e lo sguardo austero avanti a me. Loki mi si avvicinò a passi sicuri, lo vedevo camminare dritto contro di me e mi si fermò proprio davanti, fissandomi con le iridi verdi, mi abbracciò con uno scatto, mi strinse con forza, lasciando che i miei capelli gli si infilassero tra le dita. Non mossi lo sguardo, continuai a fissare avanti a me, ma una lacrima mi cadde dall'occhio destro, come se il ghiaccio dei miei occhi si stesse sciogliendo.
Quella mattina mio padre non si era svegliato.

E lui lo sapeva.

Mi aveva fatto capire che c'era, per me c'era.

Mi aveva fatto credere di essere così importante da sopportare lo sguardo e il vociare di tutta Asgard su quell'abbraccio di semplice supporto, per lui. Per me era di più.

Io mi sentivo protetta.

Mi sentivo voluta.

Continuò a tenermi stretta per lunghi istanti, teneva la mia testa tra le mani, adagiandola contro il suo petto.

La mia lacrima si fece strada lentamente sul volto pietrificato, un piccolo cristallo ghiacciato che scorre lungo la pelle di una statua, austera e rigida, irremovibile dalla sua guardia, e si estinse sulla giacca del mio protettore.

Fece scorrere la fredda mano lungo il mio braccio, prese la mia tra le sue dita, mi lasciò un dolce bacio sul dorso e la strinse tra i suoi palmi prima di scostarsi.

Non smise di tenermi per mano, ma quando alzai lo sguardo e i nostri occhi si incontrarono finimmo in stallo, lui vide i miei occhi persi e io le sue iridi disarmanti, dopo questi interminabili istanti mi lasciò la mano e mi fece cenno di seguirlo.

Fece qualche passo avanti, ma si fermò non sentendomi raggiungerlo, si voltò e mi guardò incitandomi a eseguire quello che avevo pensato fosse un invito o una richiesta, ma che in realtà era un ordine.

Mi affrettai a seguire Loki e mi portò davanti a una porta di legno, di ottima fattura, intarsiata d'argento, la aprì e mi lasciò entrare nella stanza, chiudendosi le porte alle spalle.

La stanza era bellissima, semplice, ma bellissima.

I muri erano di un color crema chiaro, dipinti con cervi, lupi e foreste in inverno, c'erano scaffali ricolmi di vecchi libri e candele consumate dalla fiamma.

C'era un letto al centro, a baldacchino, con delle lenzuola color turchese.

Mancava una parete, la stanza si affacciava su un giardino riservato a me, con un manto erboso morbido come un materasso di piume, cosparso di fiori color del cielo, al centro c'era una fontana dove scorreva dell'acqua limpida e fresca, lasciando che un piacevole scrosciare di acqua invadesse l'atmosfera insieme al canto degli uccelli e al frusciare dolce delle foglie degli alberi.

"Pensavo che saresti potuta rimanere a vivere qui, ora che tuo padre è morto." Lo disse freddamente, Loki, con le mani dietro la schiena.

La stanza sembrava pronta da settimane, come se volesse pormi questa domanda da tanto tempo, ma non ne avesse mai avuto il coraggio, come se stesse aspettando il momento perfetto per farlo ma lo avesse trovato solo ora, come se avesse paura di un rifiuto.

Non proferii parola, mi limitai ad abbozzare un gesto di assenso con la testa per accettare la sua richiesta.

Non sentendomi dare risposta, Loki si girò e se ne andò, quasi deluso. Meccanicamente io voltai la testa, lasciando che il mio profilo apparisse da dietro le spalle e le ciocche dei folti capelli corvini.

"Aspetta." Gli dissi, senza ragione, solo per impedirgli di lasciarmi.

Egli si voltò immediatamente come se si aspettasse che io lo fermassi, come se sperasse che io lo fermassi...

"Vuoi ringraziarmi, per caso, ragazza?" Disse con freddezza, quasi rimprovero.
"Non proprio... Loki... io..." Ero restia a parlare, non era da me, ma per lui, per quello che aveva fatto per me, si, ci avrei almeno provato.
"Ebbene?" Proprio così, mi stava rimproverando, presi la mia decisione e freddai ancora una volta il mio animo.
"Niente, Loki." Ripetei di nuovo il suo nome, sottolineandolo. Mi girai verso di lui per vedere il suo volto impenetrabile nascondere la rabbia che gli stava montando inesorabile e implacabile nel petto.

"Quando vuoi, mio principe, ora che vivo qui, puoi venirmi a fare visita. Almeno così non dovrai nasconderti come un codardo per baciarmi." Quella che gli lanciai era una sfida bella e buona, e lui l'accettò subito.
Fece qualche passo verso di me, misurando lo spazio che prima ci divideva, fino a quando non mi fu davanti e non mi squadrò dall'alto con le sue iridi elettriche di giada purissima, senza mai perdere il suo ghigno onnipresente, con le mani dietro la schiena.

Lo ammetto, in quel momento mi sentì una fiamma esplodermi dentro, sul volto non persi l'autorevolezza, ma stavo sudando,  e lui se ne accorse, sia dannato sempre, lui, che riusciva a leggermi come si legge un tomo in biblioteca; distolsi lo sguardo dal suo e voltai appena il viso verso destra.

Loki mi prese il mento tra il pollice e l'indice, costringendomi ad incontrare di nuovo i suoi occhi irresistibilmente attraenti.
"Per farti sentire come la puttana che sei, eh?" Mi disse, sghignazzando sornione godendosi la mia reazione: la mia mano volò inarrestabile contro la sua pelle chiara e perfetta, lo schiaffo che gli serbai rimbombò per tutta la stanza, lasciando una chiazza rossa sulla sua guancia.

Non seppi perché lo feci, non che non se lo meritasse, ma lo feci e basta, per istinto, guidata dalla mia rabbia.

Subito lui mi strinse la vita con le braccia e mi sollevò da terra.
"Impudente sgualdrina, adesso ti mostro cosa significa sfidare Loki da Asgard!" Mi dimenai, mi dimenai come una belva, una serpe tra le braccia di colui che le avrebbe tolto la libertà.
Agitai le braccia e le mani strette a pugno, le battei contro la sua schiena e lui mi sollevò di più, appoggiandomi sulla sua spalla come si fa solitamente con i sacchi di patate e si diresse ridendo verso il letto.

"Sei selvatica, bambina mia, ed è risaputo che le donne come te sono quelle che riservano le migliori sorprese a letto!"

"Come un pugnale nella schiena!" Ringhiai io a denti stretti.

"Come tu desideri, piccola, ma prima mi prenderò quello che voglio." Rise ancora e mi scaraventò sulle coperte color turchese.

Si tose la giacca e rimase con la camicia scura, e io ne approfittai per voltarmi e sgusciare sul letto lontano da quell'uomo.
In un istante, quello che sembrava un essere posato e costante un momento e che nell'altro era l'esatto contrario, e per un istante ne ebbe paura, una paura che la travolse come un'onda d'acqua ghiacciata, che la immobilizzò e le fece mancare il respiro.
Per la prima volta nella sua vita aveva fatto un passo indietro ed era caduta, aveva ceduto terreno a qualcuno, ma aveva riposto la sua fiducia, tutta la sua fiducia in lui, trovando qualcuno a cui sapere di potermi affidare, che mi proteggesse.

L'onda amara della delusione si fece spazio nel mio animo, e di nuovo la freddezza e la diffidenza presero il sopravvento, la paura divenne determinazione, ma prima che fossi in grado di ribellarmi con tutte le mie forze, lui mi prese per le caviglie, mi tirò a se e mi si sdraiò sopra. Con le sue mani prese le mie e chiuse le mie cosce tra le ginocchia.

Leccò il lobo del mio orecchio, e poi passò a lasciare una scia di baci umidi lungo la mia spina dorsale, la sua mano fredda e umida andò a prendere la mia spalla per tirarla a se con fare possessivo, mi contorsi sotto la sua presa con fare sofferente, come se avesse stretto le mani su uno spiacevole livido.

"Non ti devi fidare di me, Astrid." Mi sussurrò all'orecchio, con voce dolce, apprensiva. "Ti stavi lasciando andare. Non devi. Non ora." Disse ancora, preoccupato. "Non fidarti di nessuno. Ti stanno cercando."

Contrassi la fronte senza più opporre resistenza, avevo capito perché aveva fatto tutto questo, perché se non mi avesse bloccata, non l'avrei ascoltato, era dannatamente serio e mi ha passato tutta la sua preoccupazione. Un attimo.

Era preoccupato per me?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Mi voltai verso di lui, ero ancora sdraiata sotto di lui a pancia in giù, spossata dal suo cambio d'umore, preoccupata dalle sue affermazioni.

'Gli devo credere?' È il Dio dell'inganno, non avrei dovuto farlo, ma mi fidai, girai lo sguardo per guardarlo e vidi la fronte corrucciata da vera, vera preoccupazione.

Lentamente, senza fare in modo che erroneamente capisse che cercassi di scappare, mi girai e lui si alzò sulle ginocchia per non gravarmi con il suo peso, ma non si spostò, rimase leggermente chinato su di me, per non spaventarmi. Portai le mani sul suo petto e cercai di spingerlo via, ma fece resistenza, poca, quanto bastava per non farsi allontanare.

"Cos'è questa storia?" Chiesi preoccupata.

"E per proteggermi" lo canzonai "non c'è bisogno che tu stia sdraiato su di me."

Detto ciò ridacchiò, ma non accennò a spostarsi, allora io rotolai tra le sue braccia fuori dalle sue grinfie.

Mi sedetti sul letto e con pochi tocchi delle mani sistemai farsetto di cuoio e canzoni di pelle che sempre portavo quando montavo la guardia.

"Questa storia è la tua storia." Mi rispose con voce mielosa, gettandosi sul letto a pancia in su. "Sei in pericolo e più prendi coscienza di te stessa e diventi forte più sarà facile per Loro trovarti."

"Loro chi?" Chiesi confusa e scocciata.

"Ti ho già detto troppo." Ripeté risoluto, in un balzo fu in piedi e si rimise la giacca di principesca fattura. "Se ti accadesse qualcosa, Herrandottir, non saprei come fare."

In un primo momento una fiamma esplose mi nel petto e il cuore prese a correre al suono della sua preoccupazione, poi quell'Herrandottir mi rimbombava nella testa, riportandomi seria mentre lui sfuggiva dalle mie domande.

'Figlia di Herran?' Perché mi aveva chiamato così? Mio padre non si chiamava Herran, ma Böjdr; e poi, chi era questo Herran? Mi pareva che fosse un epiteto di qualche Dio, Semi-dio o Gigante, ma non ricordavo chi fosse. Mi sarei informata a dovere.

Oramai era sera, e uscire era sconveniente oltre che inutile, dunque, con tranquillità, mi misi un abito leggero, che cadeva naturalmente lungo i fianchi fino ai piedi, dai colori chiari e pacati, che si congiungevano sulle spalle e venivano fermati da due spille dorate a forma di foglia, un vestito che quasi sembrava fatto apposta per me.

Con il passo lungo uscii dalla stanza a capelli sciolti, senza armi o vestiti maschili. Quasi irriconoscibile.

Mi diressi lungo la biblioteca, seguendo le luci soffuse delle torce appese alle pareti. Ero ossessionata da Herran. Chi mai poteva essere? E la faccenda che più mi ricordavo di me più ero in pericolo?

Una cosa era chiara: 'Loro' mi stavano cercando, e, a quanto mi diceva Loki, questi 'Loro' erano pericolosi, molto.

Il mio passo scandiva i battiti del cuore e una sensazione d'ansia andò a stringermi il cuore e a togliermi il fiato.

Iniziai quasi a correre, presi la gonna tra le dita e la alzai.

Qualcuno mi stava seguendo.

Un passo pesante, veloce, calibrato.

Mi voltai indietro a guardare chi fosse, ma non vidi nulla, tornai alla mia 'camminata' che più assomigliava ad una fuga, e scappai verso la biblioteca.

In effetti era lì che volevo dirigermi, volevo trovare una buona lettura serale che mi impartisse qualche lezione e magari mi risolvesse l'enigma di Herran, il misterioso Herran.

Quasi mi schiantai contro i portoni della biblioteca e cercai di aprirli in tutta fretta, ma una mano grande e un braccio possente le richiusero vicino alla mia testa, mi girai pronta a difendermi, ma tirai un sospiro di sollievo.

Trassi un sospiro di sollievo quando vidi Thor e tutti suoi muscoli troneggiare sulla mia figura, piccola e sbiadita a suo confronto. Mi sentivo come un insettino debole incastrato nella robusta ragnatela del ragno predatore, con il fiato in gola dalla paura, le grida trattenute insieme alle lacrime accompagnate all'ultimo respiro di vita.

Solo allora mi accorsi di quanto fossi affannata, il petto che si alzava e si abbassava a un ritmo quasi sovrumano, il cuore che correva e scalciava in preda alla furia di quella fuga ingiustificata davanti un ignoto pericolo che si era ritrovato ad essere Thor.

"Astrid?" Mi chiese.

Come? Non mi riconosceva? Forse perché non mi era mai aggirata vestita, ma soprattutto pettinata a quel modo.

"Thor." Affermai invece io, lo sguardo fisso sulla sua giubba, praticamente appiccicata al mio volto. Probabilmente lui fissava le radici dei capelli.

"Astrid!" Era come se mi fossi presentata quando dissi suo nome, e così esclamò lui… ebbro del mio nome? Come era possibile?

"Già, proprio io." Ironizzai, ma poi aggiunsi. "Perché mi hai fermato?"

"Non ti avevo riconosciuta ammise con questo abito… Questi capelli…" Intrecciò una ciocca di questi ultimi tra le dita. "Non sembri tu". Aggiunse.

Io rimasi con la voce strozzati in gola in quel momento si allontanò di poco quanto bastava per guardarmi in viso, senza una via di scampo che potessi usare per svignarmela lungo i corridoi poco illuminati della fortezza.

Mi bastò il suo primo respiro per percepire l'odore aspro e pungente dell'idromele.

'E' ubriaco, ma ancora forte vigile.' Pensai.

Perfetto, un ubriaco, non abbastanza ubriaco per essere sopraffatto in un corpo a corpo, forse avrà sensi offuscati ma non abbastanza. In effetti, per me sarebbe stato abbastanza ubriaco quando con un buon colpo le orecchie sarei riuscita a farlo crollare.

Non addosso a me, possibilmente.

Voi direte: "L'hai già battuto in un corpo a corpo, puoi farlo di nuovo."

Sì, l'ho fatto, ma avevo una spada. Riuscirei a vincerlo a suon di pugni? Penso proprio di no.

"Pensavo fossi un'estranea nella fortezza. Non mi spiego, però, la tua presenza. Cosa ci fai nei corridoi reali?"

'È vero!' Realizzai. Sebbene di giorno il corridoio della biblioteca fosse abbastanza utilizzato da soldati, intellettuali, nobili, e servitù d'ogni genere, era pur sempre nel piano degli alloggi di Frigga, di Odino, di Loki, Thor, degli dei maggiori, e tra questi, c'era anche la mia stanza, a quanto pareva.

Nonostante tutto non conoscevo bene quel piano, non avevo mai avuto le ronde da quelle parti, ma in futuro ci avrei fatto attenzione.

"Adesso vivo qui. Loki mi ha lasciato una stanza deliziosa." Gli spiegai con calma e lui ridacchiò. "Loki, Loki, Loki... Che mascalzone."

A quel punto pensai che avesse preso troppi minuti del mio tempo, e abbassai lentamente la maniglia ferrosa e fredda dietro di me, pronta ad andarmene.

"Sai, quando mi hai puntato una spada alla gola mentre ero sotto di te non riesco a togliermi dalla testa l'immagine di esserci io, sopra di te."

In un primo momento sbiancai, sentii la pressione finirmi sotto i piedi e il sangue gelarsi nelle vene. Con un impeto di paura aprii la porta e la richiusi in un attimo.

Avvampai con la schiena contro la porta chiusa.

Ridacchiando, mi avvicinai alla candela appoggiata sul tavolo legnoso, la presi, la incastrai sopra un candelabro d'ottone. Accesi altre tre candele e le infilai al loro posto, presi il candelabro e iniziai a sfilare silenziosamente attraverso i corridoi e gli scaffali pieni di tomi unici nel loro genere.

Mi fermai solo al centro dell'immensa stanza, decorata con un arazzo nei colori sgargianti di Yggdrasil, l'albero sui cui rami vi erano tutti nove regni, tre figure delle Norne ai suoi piedi. Mi sentì sminuita da quell'impotenza, a disagio sotto il potere e la sola immagine dell'universo, sognai nella mia mente di poter viaggiare, volare, cavalcare su quei magnifici rami, nodosi, enormi e forti quanto basta per reggere regni interi, e di poter parlare alle Norne per conoscere il futuro, poter toccare con mano il loro immenso potere per cui Odino decise di impiccarsi per giorni a quell'albero così magnifico.

A quel punto mi concentrai sulla ragione per cui ero lì: Herran. Se era un epiteto, era nella lingua antica, perciò era ovvio che non l'avessi riconosciuto subito.

Mi fiondai lungo un corridoio buio alla ricerca di un vocabolario, sfogliai le pagine fino la voce che cercavo.

- Herran: capo delle schiere. -

Trovai solo questo, misi il libro a posto e pensai.

'Il capo delle schiere. Quali schiere?' Riflettei, sedendomi su una panca di legno, feci mente locale sulle schiere e quella che continuamente mi tornava in mente era quella di soldati del Valhalla. Mi alzai e cercai i testi sull'immenso salone che ospitava valorosi guerrieri Midgardiani, rimasi sconfortata dalla quantità di materiale, scaffali su scaffali ricchi di libri grandi e piccoli, cercai quelli attinenti ai comandanti, agli dei che vi risiedevano, ai guerrieri più nobili e coraggiosi.

Mi ritrovai con una pila di libri in braccio, ma il mio sguardo venne immancabilmente attirato da un libretto quasi nascosto, tutto impolverato, nell'angolo in basso.

Titubante appoggiai gli altri libri a terra, come se avessero perso di importanza, e illuminai con la fioca luce delle candele l'ammasso di polvere e vecchie pagine che era l'oggetto della mia attenzione, lo sfilai dalla fila di libri con cautela e lo guardai con cura in tutti i suoi particolari.

Rilegatura era in cuoio scuro, rovinata, sporca, crepata e screpolata.

Sul dorso era scritto con una pittura chiara e leggermente dorata "L'ultima Valchiria."

Lo fissai, incredula come se avessi trovato ciò che cercavo da tempo immemore.

Il mio istinto mi aveva guidata fino a lì.

Lo aprii con deliberata lentezza e trovai solo pagine vuote, con un ringhio di frustrazione lo sfogliai con rabbia. La mia occasione per conoscere il mio passato dimenticato e rinnegato senza il mio consenso, com'era possibile che la fortuna mi stava voltando le spalle proprio in un momento così delicato, avevo bisogno di tutto l'aiuto possibile, e di certo un libro senza pagine scritte non mi era d'aiuto! Quasi iniziai a piangere dall'esasperazione. Tutto quello che conoscevo era una menzogna, probabilmente, non sapevo più chi ero e il fatto di non conoscermi mi stava risucchiando in un vortice di dolore. Mi bloccai appena vidi cosa vi era nel mezzo delle pagine ingiallite.

Si aprì davanti i miei occhi uno spazio rettangolare intagliato tra le pagine, dentro vi era una testa di lupo in argento, con gli occhi vuoti, ma era strana, come se fosse da poggiare su qualcosa, come se fosse una maschera.

Mi chiesi cosa avrebbe dovuto coprire, un così bell'oggetto, delicatamente lo presi in mano e lo osservai con cura sulle mie dita, lo girai il rigirai tra le dita, presa dalla sua forma.

Era di fattura dannatamente perfetta, inciso con trecce celtiche e rune, una forgiatura precisa e lineare di un argento puro e raro.

Un oggetto prezioso che faceva pressione in una parte dimenticata del mio animo, che sentivo incrinarsi e gridare in silenzio alla sua vista.

Perché?

Una lacrima discese lungo la guancia e altri due la seguirono in fretta.

Perché?

Non avevo la minima idea del perché stessi piangendo.

Non ero triste.
Non ero felice.
Non ero niente.

I miei sentimenti scesero a zero e il mio animo sembrò come morto.

Sparito.
Scomparso.
Scappato.


Lo sguardo mi cadde sulla pietra di luna dalla forma alquanto strana che portavo sempre e da sempre al collo.

Forse che i due gioielli fossero complementari?

Le parole di Loki mi rimbombavano nella mente, sì, era possibile che i due gioielli fossero due parti uno.

Ma quella storia era ben strana.

Cosa cercavo?
Cosa centravo?

Beh, cercavo la verità, quella vera, non quella che pensavo di conoscere.

Una miriade di domande s'abbatterono su di me.

Chi era Herran?
Perché Loki pensava che fossi sua figlia?
E la Valchiria di cui parla di quel libro?
Perché era completamente vuoto?

Herran era il capo di un'armata, forse quella di Midgardiani del Valhalla e io sarei sua figlia.

Mi sedetti a terra, tra gli scaffali, a riflettere su tutto ciò che in un attimo mi era caduto addosso.

Se ero la figlia di Herran, non ero quella Valchiria, le Valchirie erano figlie D'Odino, e io non potevo essere figlia di due uomini.

Con questa discendenza si spiegava la mia predisposizione alla guerra, al combattimento e alla strategia.

Ma mio padre?

Non potevo essermi inventata tutto!

Ero certa di ciò che avevo passato quando sono dovuta crescere da sola.

Guardai ancora la testa di lupo nella mia mano, persa e al contempo presa da quel monile.

Tutt'un tratto notai cosa c'era sotto il gioiello, appoggiata alle pagine, nel buchetto nascosto intagliato nel libro, vi era la busta di una lettera, dalla carta ruvida colore crema chiaro.

La tirai fuori e la rigirai tra le mani.

- Astrid. -

Una grafia chiara e coincisa citava il mio nome sul retro della lettera.

Un forte stato d'ansia mi pervase e il respiro riprese ad accelerare, non trovai la forza di aprirla e la riposi accanto a me, a terra.

L'ultima pagina del libro era scritta con una frase grande, nera e marcata:

"Ricordati chi sei, perché se perdi te stessa, il coraggio presto verrà a mancare, quindi sii forte in questa notte, e ricordati chi sei..."

Un rumore mi destò dalla ricerca, c'era qualcuno.

'Non devi fidarti di nessuno.' Risentii la voce di Loki e velocemente infilai prima la busta e poi il gioiello di metallo nello spazio intagliato nel libro e lo chiusi appena in tempo prima di vedermi apparire l'ultima persona che sarebbe dovuta essere lì.
  NdA: Eccomi con il secondo capitolo di questa storia, spero che prenda e che piaccia, ricordatevi di recensire! Il vestito di Astrid a cui pensavo è questo, senza cintura:
Image and video hosting by TinyPic

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Sigurd stava lì, a fissarmi dall'alto in basso, con i suoi occhi azzurri e aguzzi, traboccanti malvagità, e quell'orribile pupilla grigia che mi faceva venire i brividi ogni volta che incontravo il suo sguardo.
 
La parte sinistra del volto, rispettivamente quella dell'occhio cieco, era stata mutilata da un incidente di caccia, o almeno così diceva lui, e assicurava che il Lupo che gli aveva tagliato a metà il volto era morto, e in quella parte di storia mi fissava sempre truce, e io rabbrividivo da capo a piedi.
 
"Cosa ci fai qui?" Mi chiese con la sua voce gutturale, rabbiosa e baritona, mista allo sguardo che ormai rivolgeva solo a me.
 
"Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?" Mi alzai e scossi la polvere dall'abito, restituendogli indietro uno sguardo di rimprovero.
 
"Astrid, non sono più tuo sottoposto." Fece un passo avanti e nelle iridi chiare scorsi un lampo di dolcezza quando il suo volto venne alla luce delle candele, la pelle sfigurata scomparse nell'ombra proiettata dalla fiamma sul candelabro e rivelò la sua bellezza, coperta dalla sua espressione rabbiosa, vennero portati in risalto gli zigomi alti e la mascella possente, i capelli biondi chiusi in trecce e anelli di metalli di nemici sconfitti mandarono lampi dorati come la sua barba tenuta corta, ma sempre virile.
 
Poggiò le dita della fredda mano sul mio volto, aspettandosi forse una mia risposta, ma io mi scostai facendo un passo indietro, come ogni volta in cui lui tentava di dimostrarmi dell'affetto.
 
"Ma non ancora mio marito, Sigurd." Apostrofai, con uno scatto in avanti lui mise una mano dietro la mia schiena, prese il mento tra le dita dell'altra e avvicinò le sue labbra alle mie.
 
"Hai detto bene, non ancora." Sussurrò a fior di labbra e un brivido mi corse lungo la schiena, un brivido di terrore, non di piacere.
 
'Io? Sposarmi?' Pensai. 'Mai. Non apparterrò mai a nessuno.'
"Odino ha troppa considerazione di me per lasciare che ti sposi." Lo attaccai a denti stretti, egli fece un ringhio sommesso e io mi svincolai cercando di superarlo, questo estrasse il pugnale, mi voltai prima che me lo piantasse nella schiena e scaraventai il mio sguardo impaurito e sorpreso nei suoi occhi. Senza nemmeno che me ne rendessi conto lui si bloccò e si riversò a terra mugugnando e chiedendo, implorando, supplicando perdono.
 
Non lo vedevo, ma i miei occhi erano un pozzo d'ametista puro e luminoso, sembravano pure avere una luce propria, che penetrarono nella mente di Sigurd e la corrosero fino a che non cedette.
 
Sconfortata e spaventata da me stessa, mi strinsi il libro della 'Decima Valchiria' al petto e sgattaiolai via da lì in un silenzio tombale.
 
Camminai velocemente verso le porte della mia stanza, nascondendomi tra le ombre delle torce semi-spente, che brillavano come unica fonte di luce nella notte, che si stava sempre di più facendo profonda.
 
In quell'istante ogni mio desiderio convergeva nell'entrare nella mia camera, serrare la porta e rannicchiarmi sotto le coperte in cerca di riposo.
 
Aprì in fretta la porta e mi infilai dentro, dove le braci dentro un piatto di bronzeo metallo battuto, rialzato da quattro gambe eleganti e snelle, rilasciavano un rilassante torpore accompagnato da piccoli scoppiettii del legno mangiato dal fuoco.
 
Mi lasciai alle spalle le scarpe e camminai a passi piccoli e leggeri verso il letto, sul bordo del quale mi sedetti a fissare il libro che in quel momento incarnava il mistero di cui a mano a mano mi rendevo conto di fare parte, passai le mani sulla fodera rovinata in cerca di qualche dettaglio che mi era sfuggito o qualche strano aggeggio nascosto, ma nulla, l'unica cosa che lo rendeva strano era la sua totale mancanza del contenuto, o meglio, un contenuto lo aveva, ma non era di certo quello che ci si aspetta da un libro.
 
Ormai la palpebra mi cadeva sull'occhio, il fiatone se ne era andato e con un po' di impegno sarei riuscita a rilassarmi e addormentarmi, dunque appoggiai il libro e il suo strano contenuto nascosto sul comodino di legno, mi infilai una leggera vestaglia da notte che arrivava fino alle ginocchia e mi infilai sotto le coperte ancora fredde.
 
In un attimo presi sonno e in altrettanto tempo iniziai a sognare, all'inizio tutto era confuso e scuro, ombre che deformavano quella che sembrava una foresta alquanto inquietante ricoperta di neve scura, con un sentiero tracciato da orme di lupo insanguinate, e, senza sapere perché, io stavo correndo seguendo quelle ombre, e mi sembrò di correre all'infinito prima di capire che c'era qualcosa di strano nei miei passi, erano veloci, proiettati in avanti e vedevo tutto da una prospettiva più bassa, come se fossi un... lupo.
 
No, c'era qualcosa che non andava. Io non ero un lupo, non avevo zampe o zanne o cose simili, nulla.
 
In quegli istanti di confusione tutto finì sottosopra, in momenti ero il lupo, in altri lo vedevo dall'alto, come se avessi le ali o fossi un uccello, o un corvo...
 
Le immagini presto si sostituirono e un branco coperto di sangue stava ululando alla luna un istante e in quello dopo combatteva contro un nemico invisibile e cadeva colpo dopo colpo. Mi misi a gridare, presa dalla disperazione e da un dolore straziante che si allargava a macchia d'olio nel mio petto, straziante e insopportabile, continuai a gridare finché non sentii la gola ribellarsi e fare uscire solo dei mugolii rochi e straziati, per poi lasciarmi andare in un pianto straziato, mosso da frequenti singhiozzi e strozzato dalle sue stesse lacrime.
 
L'unica cosa chiara in quell'ostante fu una mano gelida che si appoggiava sul mio braccio da dietro e un'altra che mi accarezzava i capelli con aria rassicurante, lentamente mi rilassai e sospirai a lungo, presa da quel contatto inaspettato.
 
Sapevo benissimo chi era, quel tocco freddo e preciso, delicato al tempo stesso, apparteneva solo a una persona, di cui però non mi capacitavo la presenza accanto a me nella mia stanza.
 
Avevo serrato la porta, come aveva fatto ad entrare? Sicuramente con una delle sue magie.
 
Mi lasciai cullare tra le sue braccia e mi rannicchiai con le gambe contro il petto, dondolando avanti e indietro in un fiume di lacrime. Solitamente odiavo essere debole, beh, non solitamente, sempre, non riuscivo nemmeno a sopportare l'idea che qualcuno mi vedesse in difficoltà e mi aiutasse, che avesse pietà o compassione.
 
Continuai a versare lacrime incessantemente, lasciandomi andare a un'inspiegabile dolore che si propagava e sentivo rompermi tutte le ossa e divorare la mia pelle.
 
Non avevo mai provato una sofferenza simile, ne per la morte di mio padre e nemmeno per quella di mia madre, era una cosa tanto forte e profonda che pareva un veleno che mi divorava dall'interno.
 
La notte passò in preda ai singhiozzi strozzati che non riuscivo a controllare, cercando di soffocare qualsiasi rumore, e Loki rimaneva lì, paziente, a rassicurarmi dolcemente con delle carezze sul mio capo.
Quando fu quasi mattina, io ormai ero esausta e stavo sonnecchiando leggermente, Loki si alzò in silenzio per non svegliarmi e mi guardò con un misto di dolcezza e compassione, alzò una coperta turchese sulle mie spalle, chiuse le tende che davano sul giardino con innata tranquillità, ravvivò il fuoco per non lasciarmi al freddo e si fermò a fissare il libro che era rimasto sul comodino dove la sera prima lo avevo lasciato.
 
Un lampo di preoccupazione illuminò il suo sguardo e spalancò gli occhi, sapeva che lo avevo trovato io, si stava preoccupando che io volessi continuare a indagare e capissi tutto prima del momento in cui io sarei potuta essere protetta.
 
Un soffio di un fresco e profumato venticello smosse le tende e i raggi caldi del sole entrarono nella stanza, si riflessero contro lo specchio e scaldarono la pelle candida delle mie braccia, che uscivano dalla protezione dalla coperte.
 
Lentamente allungai gli arti verso l'alto, accompagnando il mio risveglio con un lungo sbadiglio, rotolai al bordo del letto e mi misi a sedere.
 
Ravvivai i capelli con una mano e con l'altra mi massaggiai gli occhi, sbadigliai di nuovo e feci dondolare i piedi nel vuoto prima di scendere dal letto e trotterellare verso l'armadio nella vestaglia color panna.
 
Aprii i cassetti e infilai i pantaloni di pelle scura, che ormai avevano preso la forma delle mie gambe e le fasciavano alla perfezione, la camicia candida e profumata, fresca di bucato, e la giacca di cuoio morbido di mio padre.
 
Passai le dita sopra la pietra di luna al mio collo e mi rabbuiai pensando alla lettera.
 
- Astrid -
 
Citava così, chiaro e coinciso, come la grafia sicura e pulita che definiva il tratto del mio nome.
 
Guardai il mio riflesso nello specchio davanti a me, iniziai a intrecciare i miei capelli e il mio occhio scappò sul comodino.
 
C'era qualcosa di strano, davvero strano.
 
Dopo parecchi minuti mi resi conto che il libro era scomparso, non vi era più nulla, nessuna traccia, sparito.
 
Mi girai in fretta e furia e corsi al comodino.
 
Setacciai piena di puro furore tutta la stanza da cima a fondo, ringhiando rabbiosa parole insensate, misi sottosopra ogni cosa. Spostai, ribaltai, girai.
 
Nulla.
 
"Loki."
 
Il suo nome si formò sulle mie labbra con tutta la rabbia possibile immaginabile. Una forza che nemmeno io pensavo di poter provare s'impadronì di me, ero certa che appena l'avessi trovato, l'avrei strangolato.
 
Era lui il colpevole.
 
Lui e la sua voglia di preoccuparsi per me e di proteggermi.
 
E gliel'avrei fatta pagare cara.

NdA: Questo terzo capitolo è più corto dei successivi, ma spero che sia comunque di vostro gradimento.
Lasciate una recensione, non fa mai male ;)

DianY

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il tiro mancino che Loki mi aveva tirato mi aveva reso così furiosa che stavo quasi per rovesciare la mia stanza, gettare tutto, rompere qualsiasi cosa mi trovassi davanti.

 

"Loki!" Urlai poi, digrignando i denti e ringhiando di rabbia, abbattei i pugni contro il legno massiccio della porta, avevo voglia di accasciarmici contro, lasciarmi andare alla delusione del suo inganno.

 

Avevo paura che mi si sarebbe ritorto contro, in un certo senso lo sapevo, cosa mi sarei mai aspettata dal Dio dell'inganno?

 

Ero una stupida ad essermi fidata così ciecamente di lui, mi aveva avvicinata in modo quasi assurdo, era palese che ci fosse qualcosa sotto, e ora che aveva trovato quello che cercava cosa ne avrebbe fatto di me?

 

"Io lo ammazzo!" gridai a squarciagola, soffocando un singhiozzo e mordendomi le labbra.

 

Io gli avevo mostrato la mia debolezza e lui se ne era approfittato.

 

Questo bastò per riaccendere la mia furia omicida, scattai fuori, bruciando di rabbia, sbattei porte, portoni, spaventai serve e spintonai soldati, rovesciai candelabri e infine mi abbattei contro il portone massiccio delle stanze di Loki.

 

Lo chiamai urlando a gran voce e il suo nome rimbombò ovunque.

 

"Oh, eccola." esordì Loki rilassato, seduto su un divanetto a leggere un interessante e raro libro sulle rune e le più particolari leggende legate a queste.

 

Sembrava che mi stesse aspettando, che le sue macchinazioni procedessero alla perfezione secondo il suo piano.

 

"Tesoro" disse poi, chiudendo il libro ed alzandosi in piedi.

 

"Se non fossi stordita dalla tua stessa rabbia, ti accorgeresti che la porta si apre tirando, e non spingendo come stai facendo tu."

 

Tirai la porta con violenza e la sbattei con forza facendo tremare i muri. La sua calma non fece altro che gettare legna nel fuoco della mia rabbia.

 

"Loki!" gli gridai contro un'altra volta.

 

"Tu!" lo indicai accusatoria con l'indice. "Maledetto ladro bugiardo! Tu mi hai usato per avere quel dannato libro!"

 

"No, Astrid, non l'ho fatto, l'ho fatto per te."

 

"Per me? Tu non hai idea di come io stia! Su quel libro c'è la verità su di me! Ed è bianco! Lo capisci?! Bianco!"

 

"Non è di certo lì che troverai la tua verità, Astrid! Deve smetterla di cercare! Mi hai capito?" Questa volta alzò la voce e fece un passo in avanti, mentre io indietreggiai lontano da lui.

 

"Tu non capisci in cosa ti stai cacciando." Mi disse a denti stretti. "Se vuoi vivere devi fare come dico io, lo sto facendo per te."

 

Adesso guardavo il pavimento, di freddo marmo grigio, dalle venature più chiare e più scure, con gli occhi spenti del furore.

 

Chi credevo di essere ora si rivelava davvero come una maschera, una copertura per qualcosa di grande e pericoloso, e lui lo sapeva, ma non me lo voleva dire.

 

Secondo lui era per il mio bene, ma io non potevo vivere una vita che non era la mia, mi sentivo come davanti a un enorme muro, sentivo di conoscere cosa c'era al di la delle pietre, ma di non riuscire a ricordarlo senza vederlo, avevo bisogno di una fune e Loki era l'unico ad averla, e se non me l'avesse data, me la sarei presa.

 

Da sola.

 

"Non hai il diritto di nascondermi la mia stessa natura." I miei occhi viola sembravano in fiamme, erano duri e ardenti di rabbia, ma questa rabbia non era esplosiva come quella provata precedentemente, ma logorante e folle, che portava a fare le azioni più scellerate, guidate dall'ira e dall'orgoglio, invece che dalla ragione.

 

Lo minacciai con lo sguardo e un insano senso di belva iniziò a graffiarmi il petto per uscire, sentii il mio ciondolo di luna bruciarmi al collo e gli occhi mi si inondarono di sangue.

 

Nel suo viso vidi un'ombra di terrore, sapeva di aver risvegliato qualcosa, qualcosa di molto pericoloso, e ora ne aveva paura.

 

"Se tu non mi aiuterai, Loki, troverò il modo di scoprire da sola ciò che mi nascondi."

 

Non era una minaccia, era un avvertimento.

 

Lui rimase a bocca aperta, per un momento era scoraggiato, poi si riprese.

 

"Ricordati che lo faccio per te, Astrid."

 

"Perché mi ami, forse?"

 

'Sì' voleva rispondere, ma non fece in tempo a negare freddamente che io continuai ad attaccarlo.

 

"Perché mi ami e temi per la mia vita? O perché è la mia vita a servirti?"

 

Questa frase fu la goccia e spense definitivamente la pazienza del Dio.

 

In breve tempo me l'avrebbe fatta pagare, ne ero certa.

 

Mi raggiunse con passi adirati e fece per colpirmi.

 

Tenni il mento alto e gli occhi duri.

 

Lo sfidai a farmi del male e lui non ce la fece.

 

Si girò verso il balcone e io me ne andai sbattendo la porta alle mie spalle.

 

'E ora?' Fu la prima cosa ne pensai, mi sentii persa, il freddo corrermi lungo tutte le braccia e mi strinsi forte.

 

'Ora devo fare il mio lavoro.' Andai nella mia stanza e in silenzio indossai la cotta di maglia, misi la cintura e ci appesi la spada, presi la lancia appoggiata alla parete e la guardai senza pensare a nulla.

 

Era venuto il momento di proteggere me stessa.

 

Tenevo in mano un comando di Padre Tutto, tanto importante che l'unico a doverlo leggere doveva essere suo figlio Thor.

 

Era un compito semplice, dopo tutto, l’ideale dopo una notte così movimentata, mi sarei fatta una passeggiata nel castello, limitandomi a consegnare una lettera scritta e sigillata da Odino stesso, per poi andarmene e iniziare i camminamenti di guardia nel palazzo reale e lungo le mura.

 

Semplice e coinciso. Facile da ricordare.

 

Se solo non avessi udito una voce particolarmente fastidiosa al mio orecchio, una che non avrei più voluto sentire per parecchio tempo.

 

Non era possibile che Loki mi tormentasse la vita in questo modo, lo trovavo ovunque andassi, come se mi seguisse o mi volesse tenere sott’occhio.

 

Tutto ciò era molto sospettoso ai miei occhi, iniziavo a pensare che la cosa fosse davvero seria.

 

E feci bene a rendermene conto.

 

Ad ogni modo avevo un compito da svolgere, stavo quasi per bussare e spalancare la porta, quando le voci divennero frasi.

 

Appoggiai cauta l’orecchio alla porta per sentire meglio e mi resi conto che Loki e Thor stavano litigando.

 

Urlavano e si attaccavano, ma ciò che fu più chiaro era quello che Thor continuava a ripetere.

 

“Devi smetterla, Loki. Tutto quello che dici non ha senso, solo perché mi ha atterrato non vuol dire che sia cospirando contro di me!”

 

Sembrava deciso, ma i suoi occhi tradivano l’imbarazzo nel ricordarsi ciò che era avvenuto davanti alla biblioteca, se ne vergognava. Forse il Dio, oltre all’arroganza, aveva anche un cuore buono, quasi ingenuo.

 

Anzi, soprattutto ingenuo.

 

“Fratello perché continui a difenderla? E’ una dannata strega manipolatrice, nessuno dovrebbe fidarsi di lei!” Gli rispondeva Loki, tagliente ed infuriato.

 

“Non parlare di lei in questo modo davanti a me.” Lo ammonì il dio del Tuono.

 

“Avanti, Thor, lo sa tutto il palazzo che hai una devastante cotta per lei.”

 

“Questo non centra, stai mentendo, come tuo solito d’altronde.”

 

“Non parlarmi in questo modo o te ne pentirai. Quella donna è solo una puttana dal bel faccino che sa far ruotare una lancia. Sai quante volte mi ha scaldato il letto? Mentre tu non sei riuscito a scopartela nemmeno una volta. La prossima volta prova a lanciarle una moneta d’argento, magari ti cadrà miracolosamente tra le braccia e-“

 

Era davvero troppo, non sopportai oltre un insulto del genere alla mia persona, spalancai la porta sotto lo stupore di Thor.

 

Loki era li, in piedi, nella sua casacca verde e dorata, per nulla stupito del mio arrivo, anzi, sembrava soddisfatto di avermi finalmente vista entrare.

 

Mi stava aspettando.

 

Era stata tutta una recita, una macchinazione, ma ero troppo infuriata per rendermene conto.

 

In realtà lo sapevo, e forse fu quello che mi fece arrabbiare ancora di più.

 

“Maledetto figlio di puttana, io ti ammazzo!” Gli gridai, fiondandomi addosso a lui e puntandogli alla gola la punta affilatissima della mia lancia, dimenticandomi della missiva per suo fratello.

 

“Ehi, state calmi, tutti e due.” Ci riprese poi Thor, appoggiando una mano sull’asta di frassino dell’arma per convincermi ad abbassarla. “Astrid..” Disse con un filo di voce mentre io sbranavo con gli occhi suo fratello.

 

“Me la pagherai, puoi giurarci.”

 

Prima di sparire da quella stanza, lasciai la missiva sulla scrivania di Thor, poi uscii a passo di marcia, lasciandomi dietro una scia rabbiosa, gli occhio violetti che infiammavano di furia.

 

Dei suoni familiari mi avvisarono che era orario del pranzo, e la mia pancia iniziò a ruggire di fame, i miei piedi, come automi, mi portarono nell’antro caldo che erano le cucine.

 

Passare di li’ mi metteva sempre di buon umore, vedere quelle donne abbondanti correre da un lato all’altro del locale in pietra, con sorrisi ciclopici sempre appuntati sulle loro bocche riportava in un altro mondo, lasciando tutta la frustrazione fuori da quelle porte.

 

“Allora, bella Astrid! Ti sei allenata questa mattina?” Le chiee una ragazza bionda, dagli occhi rotondi e dolci.

 

“No, purtroppo, ho avuto da fare, ma oggi pomeriggio sarò nel cortile interno a tirare con l’arco.”

 

“Per rifare le chiappe a Thor, eh? Nel tiro con l’arco non ti batte nessuno, sei una cacciatrice nata.”

 

“ Grazie mille, sei sempre troppo gentile con me.” La guardai con un sorriso sincero, mentre mi salutava e mi appoggiavo al tavolo ligneo, aspettando un piatto di pane e formaggio che non esitò ad arrivare.

 

Famelica mi ci fiondai subito, con una fetta di uno in mano e una dell'altro nell'altra, determinata a finire il mio pasto prima che gli altri arrivassero.

 

In una mattina avevo già sforzato troppo la mia già misera pazienza, ci mancava solo la presenza di Sigurd, le sue frecciatine e le occhiate inquietanti.

 

Pochi minuti e rimanevano solo delle briciole nel piatto, mi alzai e lo portai nella vasca di acqua, salutando poi le cuoche e avviandomi verso il cortile interno per iniziare a sistemare le mie attrezzature per il tiro con l'arco.

 

Proprio mentre mi avviavo verso il corridoio, tutti i miei compagni d'armi si stavano dirigendo a mangiare, feci un cenno di saluto a qualcuno di questi, dandogli poca attenzione.

 

" Astrid, vai nel cortile a tirare con l'arco?" Mi chiese uno.

 

"Sì" Lo liquidai in fretta, mentre mugugnavano qualcosa a riguardo.

 

Avevo guadagnato come minimo una ventina di minuti di tranquillità con la mia arma, appesa alle travi orizzontalmente, un legno rigido dal colore caldo con scene di caccia intagliate con poca manualità ma tanta dedizione.

 

Presi lì accanto una sacca di pelle che conteneva cuspidi di frecce di ricambio, una piccola lama poco affilata e le corde di ricambio per l'arco, le appesi alla cintura, afferrai l'arco e mi sedetti su una panca di pietra nel cortile.

 

Con cura ingrassai il legno, lo incastrai tra le gambe e con una minima spinta lo piegai fino ad essere in grado di infilare la corda.

 

La tensione era perfetta per me.

 

Appoggiai l'arma sulla spalla e andai a riprendere la faretra da coscia, riempiendola di dardi, godendomi il silenzio e la pace della solitudine.

 

Avevo il tempo necessario per curare la mia tecnica e migliorarla, non curando tanto la mira, quanto la tensione, l’incurvatura e la posizione: cose che per gli altri sembravano futili, ma ero io a centrare sempre il bersaglio senza prendere la mira, era come se i dardi vedessero con i miei occhi e rispondessero obbedienti ai comandi delle mie dita.

 

Il tiro perfetto giungeva quando la posizione viene semplice quanto camminare e non era più necessario nemmeno pensare a cosa fare, poiché il corpo prende questo come la naturalità del respirare.

 

Mi misi in piedi, ergendomi e gonfiando il petto, con concentrazione alzai l’arco mentre ne tendevo la corda, con la freccia già incoccata.

 

Mi concentrai sulla precisione dei movimenti, che mano a mano corressi nei minimi dettagli.

 

Con il braccio dolorante lasciai la corda con un sospiro, seguendo la freccia nella sua corsa.

 

Pericolosamente vicina al bersaglio.

Ne incoccai un’altra e la vidi avvicinarsi di più al mio obbiettivo.

 

La terza decisi che sarebbe andata a segno.

 

Detto fatto: centro perfetto.

 

Avevo a malapena finito di cercare un altro dardo che delle voci arrivarono dal corridoio e si espansero sul porticato.

 

Avevo calcolato male il tempo che mi separava dalla massa informe che era appena arrivata, avevo tergiversato eccessivamente.

 

“Dai ragazzi!” seguì un ruggito e un gruppo di pugni alzati. Avevamo il pomeriggio libero ed era stata indetta una gara di tiro con l’arco, per questo erano tutti euforici.

 

Andarono tutti a prendere le armi, e io, sconfortata, liberai la corda e non controllai nemmeno dove la freccia si era impiantata, volai a riprendere i dardi scagliati per metterli nella faretra e mi sedetti sulla panca, aspettando gli altri.

 

Vicino a me si sedette il ragazzo che mi aveva parlato dopo pranzo, era giovane, con i capelli corti e ricci, scuri rispetto a quelli degli altri, il volto pulito, senza cicatrici o rughe, appreziosito da due occhi verdi, così luminosi da sembrare di smeraldo.

 

“Tu sei Astrid, giusto?”

 

Alzai lo sguardo e lo fissai con gli occhi violetti.

 

“Sono io, perché lo vuoi sapere?”

 

“Ho molta stima di te.”

 

“Come?!” Sbottai incredula.

 

“E non sono l’unico, molti qui ne hanno.”

 

Mi guardai intorno e per la prima volta vidi che non era disprezzo quello che c’era nei loro occhi, ma invidia.

 

Avevo sbagliato tutto e me ne rendevo conto solo in quell’istante.

 

“Tutti cercano di superarti, perché Odino ha occhi solo per te, tu sei in grado di rompere i cardini, superare i limiti come nessuno ha mai fatto.” Non avevo parole per rispondere. “E sai come sono fatti gli stupidi invidiosi: tendono a mettere i bastoni fra le ruote.” Sorrise ridacchiando. “Oggi battili di nuovo, se lo meritano.”

 

“Lo faccio tutti i giorni.” Sorrisi soddisfatta e sorniona, a quello sapevo decisamente come rispondere.

 

I primi iniziarono a farsi avanti e a tirare, cercando di avvicinarsi il più possibile alle ombre dei miei vecchi colpi.

 

Mi alzai in piedi e mi feci avanti, lentamente mi misi in coda e altri si misero alle mie spalle, tre colpi a testa, i cinque migliori ne avrebbero avuti altri tre, le regole erano semplici e coincise.

 

In generale tutti presero il cerchio di paglia, in un modo o nell’altro, ma la selezione era quasi finita. I soliti cinque si fecero avanti tra le grida di incoraggiamento e scherno.

 

Mi feci avanti anche io e richiesi il tifo anche per me, alzando le braccia, e un ululato si alzò insieme al mio nome, risposi ululando a mia volta e scoccai la freccia in fretta, centrando in pieno il bersaglio.

 

Alzai il pugno e mi godetti il boato. Seguì un altro dardo che si piantò a pochi centimetri dall’altro, e infine aspettai qualche istante prima di scoccare l’ultimo colpo, decisa a trapassare la prima freccia, se solo chi avevo vicino non mi avesse spostato l’estremità dell’arco con l’intento di farmi sbagliare.

 

Sfruttai quella spianta e colpii la mano dell’amico di quel bastardo di Sigurd, colpevole di quell’|errore|, gliela piantai nel muro dietro di lui e le sue grida di dolore ruppero l’aria di sfida.

 

Esplose una rissa attorno a me, tra chi mi difendeva e chi mi accusava, finii a menare pugni contro chiunque mi stesse urlando ‘Cagna traditrice!’, arrivando anche ad estrarre la spada per ingaggiare un duello.

 

“Astrid!” Una voce tuonò nel disordine che si era creato. “Smettila di massacrarli di botte e seguimi. Sei convocata nella sala del trono.”


“Non credevo ci volesse così tanto tempo per arrivare dal cortile fino alla sala del trono.” Questa fu la prima cosa che Odino disse quando mi vide.

 

Seguivo in silenzio la guardia che mi aveva accompagnata, ignorando il motivo per cui ero stata chiamata, ero tranquilla e sollevata perché significava ad ogni modo una cosa: missione.

 

Uscire da quel palazzo e farmi valere, sfogarmi e magari passare anche la notte fuori.

 

“Ha piantato la mano di un uomo nel muro con una freccia, tirarla fuori dalla mischia è stata un’impresa.” Tutti ridacchiarono insieme a lei, ma quando Odino schiarì la voce tutti riportarono il silenzio nella stanza.

 

“Ho mandato Thor a sedare una rivolta, ma si è presentato un nuovo problema.” Aspettò un momento, saggiando le parole da usare e sapendo che le persone di cui si fidava ciecamente, ad Asgard, erano finite. “ Fenrir si è risvegliato e si dimena come non ha mai fatto. Ho bisogno di qualcuno di valoroso e diligente, ma soprattutto fedele, che vada a controllare le sue catene e si assicuri che non sia in procinto di liberarsi.”

 

“Tyr potrebbe…”

 

“No, Loki!” Tuonò infuriato, la sua pazienza era al limite del possibile e sembrava che Loki tergiversasse su quel punto da molto tempo, tentando di convincere Padre Tutto a farsi accompagnare da Tyr.

 

“Vado io.” Dissi rilassata e decisa, sapevo il mito di Fenrir, lo sapevano tutti, e non ne ero affatto intimidita, anzi, mi incuriosiva, da tempo sognavo di vedere quella creatura con i miei stessi occhi.

 

“Non se ne parla neanche.”

“Taci Loki, non sei tu a decidere.”

Odino sapeva bene che quando iniziavano i battibecchi tra me e qualcuno che non sopportavo difficilmente finivano pacificamente, e ci mise un attimo a fermarci con un sonoro battere sul pavimento. Anche lui mi aveva sentito mentre infuriavo per i corridoi gridando che avrei ammazzato Loki in un modo o nell’altro.

“Astrid, sei sotto la potestà di chi?” Mi chiese dunque.

“Nessuno, Padre Tutto, sono nubile e mio padre ha recentemente lasciato questo mondo.”

“Allora sei libera di scegliere.” Mi disse allora Odino, anche se forse si stava rivolgendo a Loki.
“Non può andare da Fenrir come se nulla fosse, è pericoloso, è pur sempre un Lupo! Odino tu lo sai, non puoi mandarla là da sola come se fosse una guardia qualunque!”

 

Una sfumatura di dubbio e preoccupazione attraversò per un piccolissimo istante l’occhio sano del Dio.

 

“Se vuoi comandarla a bacchetta sposala!”

“Voglio sposarla allora! Lasciamela sposare! Ti chiedo la benedizione per questo!”

“Concessa.” Lo liquidò in fretta, non ebbi nemmeno il tempo per realizzarlo che ero fidanzata e la cosa non mi andava affatto bene per il semplice motivo che non avevo intenzione di rinunciare a essere libera solo perchè mi sono offerta per un compito assegnato da Odino.

 

“Scordatevelo! Io vado!” Ruggì feroce.

 

“Tu vai!” Mi rispose Odino. “Ma tu l’accompagni.”

“Per gli dei no!” Dicemmo all’unisono presi dalla rabbia. Odino aveva trovato un compromesso che facesse dannare entrambi.

 

“E ora via! Siete congedati per tutta la giornata!” Ci cacciò con un tono solenne e da non discutere per nessun motivo.



 

NdA: Dopo mesi di assenza ho ripreso in mano questa storia, il capitolo è diverse pagine più lungo del solito, ma è un modo per scusarmi dell’assenza! Donate una recensione mi raccomando!

PS: Elena ti amo <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2832120