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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Burst your own bubble *** Capitolo 2: *** Shocking overdose of mental sticky notes *** Capitolo 3: *** Re-evaluate your expectations *** Capitolo 4: *** Can it get any worse than this? *** Capitolo 5: *** I won’t mind my own damn business! *** Capitolo 6: *** Please don’t get the wrong idea ***
Certe volte, per HaizakiShougo il mondo sembrava come avvolto in una bolla.
Ciotola di riso in una mano
e bacchette in quell’altra, seguiva pigramente con gli
occhi uno di quegli ennesimi, vocianti litigi che si sprecavano sempre più
spesso, spostando prima lo sguardo da una parte, poi dall’altra, ma senza
realmente ascoltare ciò che quelle parole pregne da una parte di biasimo e
dall’altra di rimpianto cercavano disordinatamente di esprimere.
Era così normale,
ormai, sentirli darsi contro in quella maniera. Le loro discussioni stavano
iniziando a ripresentarsi giorno dopo pomeriggio dopo sera dopo notte dopo
mattina, ed era stato a proprie spese che aveva imparato che la cosa migliore
che poteva fare in quei momenti era starsene per conto suo, al difuori di
quella bolla di grida che risuonava ovattatamente
vicina, ma allo stesso tempo sufficientemente lontana da lui da farlo sentire
completamente indifferente. D’altronde, che poteva fare? Si sarebbe solo infilato
in un ginepraio di inutile spreco di energie, si
sarebbe sentito dire le solite cose (cosa ne sai, non fai niente dalla mattina
alla sera, pensa i fatti tuoi, e così via) e non avrebbe risolto assolutamente
nulla.
Non era un po’ quello che
faceva di continuo? Chiudere persone, questioni, difficoltà in metaforiche
bolle e soffiarle lontano, aspettando che esplodessero lontano da lui? Era
sempre stato il suo modo di risolvere i problemi, ben conscio che la pazienza e
la forza di volontà di fare davvero qualcosa per cambiare non ce l’aveva mai avuta.
Non si face-
- È il tuo lavoro! Il tuo
lavoro, cazzo, perché non riesci a stare attenta neanche in qualcosa che fai da
anni?!Cosa pensi di fare,
adesso, eh?! Ma come cazzo hai fatto poi a non
accorgertene prima! -
Oh, wow, quello sì che era
un urlo niente male. Persino i suoi pensieri furono interrotti dalla voceinfuriata dell’uomo alla sua
destra, la quale si sovrappose a tutto il resto con tale veemenza da far
tremare pericolosamente le mura sottili di quella bolla.
Che aveva da sbraitare
tanto, poi, questa volta? Non che avesse davvero seguito la conversazione,
quindi tutte quelle accuse fecero sorgere una serie di domande. “Non se ne era
accorta”, quella svampita di sua madre non si era accorta di qualcosa… le
avevano rubato il portafogli?
Voltò lo sguardo verso di
lei, impassibile. Teneva il viso nascosto tra le mani, e si domandò se stesse
piangendo. In più, si ricordò anche che lei di soldi non ne teneva mai in tasca
— tutto quello che riceveva erano regali costosi
e gioielli più grandi di una noce. Difficile essere così disperati per un
portafoglio vuoto.
Si strinse nelle spalle,
cercando di ignorare tutte quelle domande. Dove era rimasto? Ah, sì — non
si faceva neanche un po’ schifo, immerso in questo totale e infantile
menefreghismo?
- È che non pensavo… ! Lo sai che ci faccio attenzione, per questo pensavo non
potesse essere possibile! Mi dispiace, lo giuro, mi dispiace che tutto questo
ti stia facendo arrabbiare così… -
Nah,
in realtà di schifo non se ne faceva. Perché aggiungere peso inutile alla
propria misera condizione ficcandoci pure del senso di colpa? Era la
rappresentazione più lampante della feccia della società, il fanalino di coda
dell’ultima ruota del carro, e quell’immagine di ragazzaccio
gli calzava come un guanto. Era da anni che si comportava in quel modo, e per
anni ancora era del tutto intenzionato a non
dar retta alla propria coscienza. Troppa fatica, e
soprattutto troppa poca voglia di mettersi a tu per tu col senso di colpa.
- Cosa
pensi che ci faccia, io, col tuo dispiacere? Non lo metto in tavola la
sera, il tuo cazzo di dispiacere! Finirà come con Shougo,
ce l’avrò IO la responsabilità di crescerlo e di
pagare le sue cazzate, tu tornerai a farti i fatti i tuoi! E chi è, intanto,
che si spacca la schiena? Chi fa due lavori contemporaneamente?! IO! -
Responsabilità,
ecco, l’aveva detto di nuovo. A suo fratello Shinya quella parola piaceva
veramente tanto, non faceva che metterla in ogni frase che pronunciava. Sei un
irresponsabile, ma chi me lo fare di tenerti sotto la mia responsabilità,
se non ti responsabilizzi adesso diventerai un
adulto di merda… tutti esempi della maggior parte delle discussioni che aveva
con lui. E dire che non era neanche tanto più grande — correvano giusto quattro
anni di differenza tra i due, eppure era da quando aveva memoria che si
atteggiava come l’Adulto con la A maiuscola.
… un po’ ne aveva tutto il
diritto. Era il suo perfetto opposto: odiava starsene con le mani in mano e, non appena aveva compreso appieno quale fosse l’aria
che tirava in quella casa, aveva lasciato gli studi per mettersi a lavorare.
Era il pilastro portante di quella famiglia, e forse, forse, aveva pure
il diritto di incazzarsi quando lui batteva la fiacca e non lasciava fruttare i
soldi che spendeva per la sua educazione, o quando la
loro madre non metteva di tasca propria praticamente nulla.
- Perché mi urli contro in
questo modo? Perché tratti così la tua mamma? Lo sai che se non sono stata
presente come avrei voluto era solo perché dovevo
stare dietro al mio lavoro! Perché mi fai sentire in colpa in questo modo?! -
- Perché del tuo ‘lavoro’
qua non è arrivato nessun frutto! Le collane, gli orologi, le pellicce, te li
sei tutti tenuti per ammaliare i tuoi clienti! Quando mai hai venduto qualcosa
per farci arrivare da mangiare?! -
- Li
venderò adesso, va bene? Non trattarmi come se avessi fatto qualcosa di
terribile! Mi stai facendo male! Mi ferisci! -
Ecco, appunto. Immersa
nelle sue lacrime di coccodrillo, quella donna se ne stava esattamente al lato
opposto rispetto al suo figlio maggiore. Sempre con la testa
tra le nuvole, incapace di prendere le cose seriamente e con l’età mentale di
un’adolescente, o forse pure meno.
“Sei uguale a lei”, ecco
un’altra delle cose che Shinya gli diceva sempre. E di che si sorprendeva? Il
sangue non è acqua - anche se riconosceva persino lui che, anche se era normale
essere così simili, non era comunque giustificabile,
né tantomeno giusto. Oh, andiamo - stava facendo davvero di questi pensieri,
proprio un attimo dopo aver appurato che non gliene fregava nulla di risultare detestabile e immaturo? Era colpa del contesto in cui viveva, mica poteva farci nulla!
- Ti sto trattando male
perché tu non sei una madre! Metti al mondo la tua prole, ci giochi per dieci
minuti e poi te ne freghi, tornando a far moine ai tuoi clienti! Ecco cos’è che
mi fa incazzare, il fatto che sfornerai un altro figlio che non ti degnerai
nemmeno per un attimo di trattare come tale! -
- Aspetta,
cosa?! -
Per
poco non si strozzò col riso, mentre le urla cessarono e le due parti in
gioco si voltarono, quasi sorprese, verso di lui. Erano passati secoli
dall’ultima volta che Shougo aveva messo bocca in una
discussione, facendone un avvenimento più unico che raro.
E altrettanto unico e raro
era anche per lui, che spontaneamente aveva deciso di tendere una mano verso
quella bolla per capire, sconcertato, cosa stesse succedendo. Aveva sentito
bene, o era drogato il riso? E soprattutto, come aveva fatto a rendersi conto
solo in quel momento che era quello il motivo di un litigio tanto acceso?
Protagonista di
quell’improvviso silenzio, spostò la propria attenzione verso la madre ancora
scossa dagli spasmi del pianto.
- … ma’, ma che, sei… -
- Sì, Shougo,
è incinta, ora tornatene nel tuo oblio e non immischiarti. - eccolo lì, il
solito tentativo di cacciarlo da certe situazioni. Si girò stizzito verso il
fratello, le sopracciglia aggrottate e una mano che andò a sbattere minacciosa
sul tavolino.
- Oh ma che cazzo vuoi? -
sbottò, arcigno - Non è che potete dirmi ‘ste cose e
pretendere che me ne dimentichi, cazzo, è una cosa importante! -
Non l’avesse mai detto: la
manata che tirò Shinya al tavolo fu persino più violenta, mentre cupamente si
tendeva verso di lui.
- È importante per me
che pago, te non saresti nemmeno capace di assumerti
la metà delle… -
- … delle fottute responsabilità
di cui parli tutti i cazzo di giorni, lo so, per
forza! Ma se non mi ci fai neanche interessare, a ‘ste responsabilità di merda,
perché continui a lamentarti, allora?! Ti credi bravo
solo te, eh?! -
Si sentì afferrare per il
colletto, e strattonato con una veemenza tale che per poco
non si ritrovò riverso sulla cena. A discapito di quel gesto, però, non fece a
meno di ghignare: certo, Shinya era responsabile e maturo quanto vuoi —
ma era da lui che aveva imparato a risolvere i problemi con le nocche.
Chiuse gli occhi quando
vide il pugno già in dirittura d’arrivo, ma fortunatamente quel piagnisteo che avevano accanto si decise a fare qualcosa. Una mano spiaccicata
sul viso di Shougo e l’altra aggrappata al polso del
primogenito, e la sua voce rotta dai singhiozzi si fece
strada alla svelta nelle loro orecchie.
- Adesso basta! Non c’è
bisogno di aggiungere altri problemi, basta così! - urlò la donna, cercando di
impregnare la voce di quell’autorità che non aveva mai avuto. Fortunatamente,
però, bastò perché Shinya lasciasse la presa; e nell’esatto momento in cui lo
fece uno schiaffo si impresse sonoro sulla sua
guancia.
- Datti una calmata, hai
capito?!Shougo è tuo
fratello e merita di sapere tanto quanto te, merita di
dire la sua tanto quanto te! -
Sogghignò, il minore, ma
neanche il tempo di lasciar andare un commento velenoso che la stessa sorte si
abbatté su di lui.
- E tu— tu devi
portare rispetto per chi lavora! Shinya non ha mai chiesto niente in cambio, il
minimo che puoi fare è parlargli come si deve! -
Si imbronciò
come un bambino, portandosi la mano sulla guancia dolorante. Ugh… e si metteva pure a fare la voce della ragione? Ma che passava nella testa di quella tizia?
Vide con la coda
dell’occhio il fratello più o meno nella stessa
situazione, il palmo offeso spiaccicato sul viso e la fronte corrugata. Il
sangue non è acqua, appunto, e nonostante le differenze rimanevano comunque
entrambi degli stupidi permalosi.
- Beh, ora che si è
inserito nella discussione, quale grande idea ha in mente? - lo
sentì borbottare, il tono di voce finalmente un po’ più tranquillo - Non che le
cose cambino più di tanto. Avremo un’aggiunta in famiglia e
io probabilmente dovrò trovarmi pure un terzo lavoro. -
- Quanto cazzo la fai
drammatica, mamma t’ha tirato su per cinque anni
facendo quel che ha sempre fatto, pensi davvero che un moccioso possa mandarci
in rovina? -
- Ah, ma guada che sei tu
quello che mi preoccupa di più. -
Le pareti della bolla
oscillarono pericolosamente.
- Che vuol dire. -
- Certo, crescere un
ragazzino costa. Ma stai iniziando a costare più te,
con i tuoi vizi e le tue stronzate, che altro. -
Altro tremore.
- … è un modo carino per
dirmi che sono un peso, o cosa? -
- Beh, fino ad ora non è che tu ti sia reso tanto utile in questa casa. E poi
sarà solo peggio. -
Boom. Insieme a quelle
parole, era quasi sicuro di aver sentito anche il rumore della bolla che
scoppiava, piovendo in tante piccole gocce di rimorso dritte sulla sua faccia
sconvolta.
La sua presenza sarebbe
stata un peso. Era la prima volta che lo realizzava: per gli altri lo
era, chiaro (d’altronde, chi non lo odiava?), ma non pensava di esserlo
addirittura nella propria famiglia. Cazzo, si vedevano
un’ora e mezza al giorno e a volte nemmeno si dicevano buongiorno o buonasera,
e nonostante tutto avrebbe comunque rappresentato un peso!?
In effetti, però, non
lavorava, e non si poteva dire neppure che fosse un gran
investimento per il futuro… Dio, perché tutte quelle realizzazioni arrivavano
tutte insieme? Si massaggiò una tempia con le dita, poggiando sul tavolo tutto
quello che aveva in mano.
Non sapeva neppure come
prenderla. Non erano un nucleo familiare unito, non erano il modello perfetto
del più puro legame parentale, ma per qualche motivo la consapevolezza di
essere ancora meno d’aiuto di quanto lo fosse quella scellerata sfornafigli della madre lo mise più a disagio di quanto
avrebbe pensato.
- Ma ti impegni
ad essere così stronzo o ti viene naturale? -
- Shougo,
Shinya voleva dire che… -
- L’ho capito,
sì, quello che voleva dire. Vado a fare la doccia, non rompete. -
E forse, l’unico motivo per cui l’aveva presa così male era perché sapeva che
Shinya aveva semplicemente detto la verità.
Era anche per quello che
preferiva che quelle bolle non scoppiassero mai, che rimanessero lontane da lui
senza tangerlo minimamente — perché quello che succedeva là dentro, le
cose che venivano dette, erano tutte verità che non
aveva voglia di sentirsi sbattere nel muso.
Non gli faceva onore, lo
sapeva bene. Continuare a vivere ignorando le proprie lacune era esattamente
ciò che l’aveva reso ciò che era in quel periodo della sua vita; ma era
infinitamente più facile nascondersi dietro mille scuse (sono ancora giovane, è
colpa della mia famiglia, è colpa delle persone che mi
circondano…) piuttosto che darsi una mossa e cercare di smentire almeno in
parte le etichette che gli avevano appioppato addosso per anni.
Che palle.
Nemmeno l’acqua che iniziò
a scorrergli sulla pelle aiutò a schiarirgli le idee. Anzi - l’unica cosa che
gli fu lampante era che aveva di nuovo un posto in
meno in cui sentirsi vagamente a suo agio.
Che palle.
Prima la squadra di basket
delle medie che l’aveva cacciato senza preavviso; poi quella delle superiori,
piena di teste di cazzo. Per non parlare di tutti i negozi, locali e sale
giochi in cui era stato costretto ad alzare i pugni per colpa di deficienti e
da cui era stato prontamente bandito!
E ora ci si metteva pure la
sua famiglia a mettere in chiaro che là dentro non era una presenza gradita?!
Che palle, che palle, che palle!
La volontà di sfracellarsi
la mano contro il muro era forte, ma preferì evitare che lo considerassero un peso
anche per aver incrinato le piastrelle del bagno. Allora cosa doveva fare?
Andare a vivere per strada? O era troppo irresponsabileper vivere da solo, e in quanto preoccupazione sarebbe stato
un peso anche maggiore?
Che poi, chi l’aveva deciso
che non era una persona responsabile?! Poteva benissimo badare a se stesso, cazzo, avrebbe
potuto dimostrarglielo quando voleva!
Quasi saltò fuori dalla
doccia, afferrando il proprio telefono cellulare alla ricerca di qualche sito
di annunci di lavoro part-time. Non era più una
questione di responsabilizzarsi,
di crescere, o di maturare: per quanto non si rendesse contro star facendo un
incredibile passo avanti rispetto al solito ShougoHaizaki che era sempre stato, in quel momento tutto quello
che voleva era dimostrare che non era un perdente, un peso buono a nulla
come stavano cercando di dipingerlo. Si sarebbero ricreduti, fanculo, e in quel
momento sarebbero dovuti scivolare ai suoi piedi per
chiedergli scusa in ginocchio.
Avrebbe trovato qualcosa da
fare e tutte le sue stronzate se le sarebbe
pagato da solo, a costo di spaccarsi la schiena, a costo di dover trascurare lo
sport, le donne e pure gli studi.
… anche se non si poteva
certo dire che di quelli gliene fosse mai fregato veramente.
Hello there!
Dopo
un lungo ponderare ho finalmente deciso di postare questo primo capitolo,
gettandomi a capofitto nel tentativo di scrittura di una nuova longfic.
Chi mi segue da un po’ di tempo (ergo: nessuno) sa che il mio rapporto con le
long è davvero, davvero, DAVVERO complicato, e sa anche come io abbia una certa
abilità nel, ehm, perdere ispirazione o direttamente
al primo capitolo o proprio quando si entra nel vivo della storia. Stavolta,
però, voglio provare ad approcciarmi in modo diverso a quest’avventura, da una
parte pianificando meglio il lavoro, dall’altra però cercando di non
auto-assillarmi troppo.
Non
so se sia davvero una buona mossa quella di cacciare fuori una long che non
solo vede come protagonista qualcuno come Haizaki,
non esattamente uno dei personaggi più popolari del fandom,
ma che si prefissa anche di andare a parare nell’HaiKise
(o HaiKi?), coppia che probabilmente shippo io insieme ad altre cinque
persone. Ma alla fine mi permetto gentilmente di ignorare la cosa, e di provare
comunque a seguire la mia strada (anche perché l’alternativa
era un’ImaHana per la cui stesura non ho ancora la
forza psicologica necessaria) nonché avere anche l’ambizione di proseguire
laddove Fujimaki non abbia voluto approfondire,
perché ormai mi sa che prendere i suoi antagonisti e cercare in un modo o nell’altro
di farli ‘crescere’ sta diventando la mia vocazione.
Ma chi se ne importa
di queste cose? Le info importanti (???) sono qua di seguito:
• L’Haizaki che
voglio raffigurare, in questa storia ambientata un annetto
dopo le vicende della serie, è un ragazzo normale (seppur con un pessimo
carattere). Farò del mio meglio per renderlo da una parte IC, ma dall’altra nemmeno troppo statico, in quanto tentare di
svilupparlo è il mio pretenzioso obiettivo.
•
È canon che la famiglia di Haizaki
consista in madre e fratello maggiore, il cui nome mi è venuto in mente
provvisoriamente in via di stesura delle prime bozze, e poi è rimasto. Forgive me mother for being a weeaboo.
•
Il titolo generale viene da una canzone che in un modo o nell’altro mi ricorda
molto il pg di Haizaki, e visto che
voglio farmi del male asseconderò la mia incapacità di trovare titoli dando un
titolo ad ogni capitolo.
•
Non so selezionare i generi, gli avvertimenti e quant’altro, quindi il tutto
potrebbe cambiare.
Detto
questo, spero che questo primo capitolo vi abbia in qualche
modo incuriositi – e se sì, ma pure se no, ogni recensione è seeeempre ben accetta ~!
Alla prossima!
Capitolo 2 *** Shocking overdose of mental sticky notes ***
» 2. Shocking overdose of mentalsticky notes
- Ah, lascia pure qua, da
qui in poi lo gestisco io! Finisci pure di scaricare il resto! -
Un rapido cenno d’assenso
con la testa, il cappellino dell’uniforme che si alzava brevemente e un braccio
che si sfregava sulla fronte imperlata di sudore e fatica, e senza fiatare
oltre Haizaki tornò verso il furgoncino parcheggiato
fuori dall’edificio.
Alla fine, non era stato
difficile tanto trovare un lavoro part-time, quanto più convincere i suoi (e
soprattutto quel rompicoglioni di suo fratello) che l’unico motivo per cui voleva lavorare era per pagarsi da solo i
propri sfizi, e non per chissà quale oscuro, nascosto motivo.
- Shougo,
ti ci metti pure coi debiti di droga? - gli aveva
subito domandato quell’idiota, arcigno. Lui aveva messo parecchio a ribattere a
quell’affermazione che non stava né in cielo né in terra, sbattendo le palpebre
più volte e tirandosi pure un pizzicotto per essere sicuro di non starsi
sognando tutto quanto.
- … ma
sei cretino? - era stata la sua risposta, con il boccone della cena ancora
mezzo masticato in bocca. Pure del drogato, ora, doveva sentirsi dare? - Non…
ma ti pare che mi drogo?! -
- Allora sono debiti di
gioco, scommetto. -
Non poteva credere che solo
perché era l’unico a lavorare, allora pensava di potersi permettere di sparare
certe stronzate con così tanta noncuranza. La tentazione di far partire la
rissa pure per quella serata fu decisamente forte, ma
il tono cinguettante della madre aveva subito smorzato i toni severi di quella
discussione nascente.
- Oh, andiamo! Il mio
piccolo Shougo vuole solo dimostrarci che sa essere
un ometto con la testa sulla spalle! - non solo doveva
fare la sua scenata euforica da istrionica un po’ bipolare in buona, ma aveva
anche sentito il bisogno di tentare di strappargli un pezzo di
guancia tra pollice e indice. Ma le mani in tasca, per esempio, no?! - Ah, ma se è perché sei preoccupato per la mamma, allora
ti dico subito di stare tranquillo. Posso comunque
continuare a lavorare, anche in questi mesi. -
- Ma’, non me ne frega
niente se puoi continuare a lavorare in questi mesi. Ho solo voglia di non
dipendere da Shinya ed evitare che mi rinfacci qualsiasi cosa. -
Pausa.
- Ma tu non dovresti, tipo,
stare a riposo? Non è pericoloso o roba del genere?
Il… bambino non sente? -
- Oh, no, se il dottore mi
conferma che è tutto a posto posso continuare tranquillamente, con le giuste
precauzioni! - aveva riso, divertita - E poi ho già fatto così sia Shinya che con te, e credo proprio che nessuno di voi due abbia mai
sentito nulla! -
Anche solo ripensare a
quelle parole lo fece trasalire di un vago senso di disgusto, mentre tornava
agli scatoloni del furgoncino e uno a uno li scaricava dentro allo studio. Fortunatamente, quel tira e molla era durato
davvero poco, e tra una cosa e un’altra era stato ben libero di accettare una
proposta di lavoro come assistente garzone di una compagnia che si occupava di
affittare attrezzature e scenografie — in parole povere, insomma, il suo
ruolo non era tanto diverso da quello di un mulo da soma. Con una stazza come
la sua l’avevano preso subito e, anche se la paga non
era troppo alta in proporzione alle ossa che si spaccava, arrivava alla fine
troppo stanco per pensare anche solo lontanamente a lamentare coi suoi datori
per uno stipendio così misero.
Sospirò, constatando
che finalmente il furgoncino era vuoto, e aspettando un cenno del suo superiore
prima di mettersi a sedere e rilassare i muscoli affaticati.
Alla fine, sebbene in
quella routine ci si fosse infilato solo da poco più di una settimana, stava
iniziando sempre di più a sentirla come propria. Era una
cazzo di tortura ogni volta, e trattenersi dal rispondere male ai propri
superiori ogni tanto era davvero difficile, viste le sue normali e discutibili
abitudini — ma il richiamo dei soldi era più forte; e inoltre, stava
imparando a tollerare quei ritmi, soprattutto considerando che i clienti erano
sempre quelli, i compiti tutti uguali e i momenti di pausa, con la giusta
organizzazione, neanche così sporadici. Tipo in quel momento, in cui quella
staticità improvvisa gli divenne quasi… noiosa.
- Oi, capo - vociò dando
sfoggio a tutta la poca cortesia che aveva imparato ad avere nei suoi
confronti, stringendosi nelle spalle - Ma dobbiamo rimanere qui per tutto il
tempo? -
Il suddetto capo, altresì
conosciuto al resto del mondo come il signor Ishihara,
era un tipo burbero e di poche parole. Era lampante come il sole estivo che
fare il corriere non era mai stata la sua vocazione, e
Haizaki ammise che più volte, seduto accanto a lui
nei tragitti che li scarrozzavano a una parte all’altra della città, si era
domandato come fosse arrivato a quel punto. Chissà se anche lui aveva
cominciato con un lavoretto part-time, per poi ritrovarsi a salire di grado
sempre di più fino ad essere troppo vecchio per
licenziarsi e cambiare carriera? Ogni volta che ci pensava, si faceva
immancabilmente l’appunto mentale di non lasciarsi prendere la mano, e di non
permettere che la propria vita finisse chiusa in quel furgone alla larga da
tutte le proprie (inesistenti) aspirazioni.
L’uomo si prese tutto il
tempo di cui aveva bisogno per accendersi la sua sigaretta, appoggiato contro
la portiera chiusa del veicolo. Ecco, erano quelli i momenti in cui Shougoavrebbe semplicemente voluto
andare lì e dargli una sonora scrollata, perché i suoi tempi rallentati erano
al di fuori di ogni umana sopportazione.
Calmo, doveva rimanere calmo.
- … sì, il tempo di tornare
alla sede che tanto dovremmo ritornare indietro comunque. Perché? -
Alla
buon’ora. Si strinse nelle spalle, mettendosi le mani
nelle tasche dell’uniforme.
- Se li aiuto a montare e
smontare cambia qualcosa? -
- In termini di paga, no. -
Ecco, doveva aspettarselo. Aggrottò un po’ le sopracciglia, quasi infastidito
che il suo miracoloso piano per portarsi in tasca qualcosa in più fosse andato
così facilmente in mille pezzi
- … però prima iniziano, prima finiscono, prima ce ne torniamo tutti a
casa. -
Eh, meglio di nulla. Non
aggiunse altro mentre si infilava di nuovo nella
porticina sul retro, tornando negli studi ancora in fermento per montare tutto
il prima possibile. “Che se ne fanno di tutta questa roba?”, gli venne
spontaneo chiedersi, mentre facendo leva più sul suo istinto mai sopito al
flirt che sul suo altruismo si approcciava a una ragazza in difficoltà. E dire
che quello era uno studio di fotografia, nemmeno il set di un film o roba del
genere! Era così per tutti i professionisti del settore, o erano solo questi
qua ad essere così inutilmente puntigliosi e pieni di
sé?
- Non che me ne intenda più
di tanto, ma com’è che vi servono tutte queste cose? - non resistette a
domandare, serrando le palpebre sugli occhi velati di un certo dubbio e
permeando la voce di quella che quasi sembrava un tono di provocazione.
L’interlocutrice parve non farci caso, forse fuorviata dall’incapacità di
vedere per bene la sua espressione – e, prendendo atto di questo
vantaggio, Shougo si sistemò per bene la visiera del
cappello cosicché almeno il suo viso non lasciasse trasparire la sua incapacità
di sostenere adeguatamente determinate situazioni sociali.
- Ahah,
posso capire lo stupore! Tu sei quello nuovo, no? - ridacchiò, e il ragazzo si imbronciò un poco per quell’appellativo così riduttivo - È che siamo affiliati anche a
un’agenzia di modeling, e certe volte ci vengono
richiesti set un po’ più elaborati per evitare di far spostare i modelli e le
modelle in altre città o persino in altre regioni. Così è molto più comodo! -
- Ah.
- grugnì semplicemente, fissandola segretamente con sguardo disinteressato. Non
che le avesse mai chiesto i dettagli: fosse stato per lui, avrebbe potuto ben
fermarsi alla spiegazione base senza aggiungere tutti quei fronzoli. A malapena
sapeva cosa fosse una dannata agenzia di modeling,
tra l’altro!
E soprattutto, perché
quella continuava a parlare?
- Non per vantarci, ma i
nostri obiettivi hanno inquadrato alcuni tra i volti più in voga al momento.
Non so se ti intendi di moda, uh… - dette una palese occhiata al cartellino appeso
alla sua divisa, sforzandosi di essere discreta ma fallendo miseramente - … Haisaki-kun, ma sono sicura che se dovessi vederli
li riconosceresti anche tu! -
- È Haizaki,
e non-… -
- Ah! Eccolo lì, uno dei
nostri protetti! Lo conosci per forza, ne sono convinta! -
Fece roteare gli occhi
verso il cielo, Shougo, di nuovo costringendosi
mentalmente a contare fino a dieci prima di rispondere male a quella tipa tanto
carina ma pure tanto fastidiosamente petulante. Alla
fine quanto gli sarebbe costato voltarsi, constatare
che non aveva idea di chi cazzo avesse di fronte, mentire e poi tornare a
lavorare? Si voltò con svogliatezza, adocchiando la figura in piedi vicino alla
porta intenta a cinguettare chissà quale ruffianeria.
- Buonasera, buonasera!
Grazie a tutti per il duro lavoro! - aveva infatti
appena esclamato, poggiando per terra una cassa di chissà cosa: non era quella,
adesso, a catturare la sua attenzione, mentre con le palpebre sgranate sugli
occhi sconvolti metteva a fuoco quell’apparizione così improvvisa da sembrare
irreale. Andiamo, non poteva davvero trattarsi di lui, no? Certo, questo era il
suo campo, ma quante probabilità c’erano di incontrarlo proprio lì?!
- Ryouta…
? - aveva gracchiato senza pensaci, la voce che gli
moriva drammaticamente in gola. Noncurante del suo disagio, la ragazza di prima
gli pose amichevole una mano sulla spalla.
- Oh, allora anche tu sai
chi è! - esclamò, perforandogli i timpani nel tentativo di sussurrargli, ma in
realtà dimenticandosi di abbassare il tono di voce e trapanandogli direttamente
nelle orecchie - Non solo è proprio bello, ma è anche tanto gentile! A volte
arriva in anticipo solo per portare qualcosa di fresco a tutto lo staff! -
- Grandioso. - sibilò, la
voglia di falsare un qualsiasi altro tipo di emozione che non fosse il vuoto
assoluto che morì nel modo più tragico e immediato, spengendosi come un
fiammifero davanti ad uno tsunami. Si sistemò nervosamente la visiera del
cappellino davanti agli occhi, nascondendoli così tanto che a malapena riuscì a
vedere il proprio tragitto.
- Devo usare la toilette. -
borbottò, avviandosi di nuovo verso l’uscita sul retro. La ragazza sbatté,
perplessa, le palpebre.
- … ma
è dall’altra parte… -
- Ne
troverò un’altra strada facendo, con permesso… -
Si precipitò così
celermente via da quella scomoda situazione che persino per l’occhio più
distratto sarebbe stato difficile non trovarlo sospetto. In quel momento, però,
gliene importava poco e nulla: si chiuse frettolosamente la porta alle spalle,
incontrando l’espressione incredibilmente ravvivata da un’ombra di sorpresa del
suo superiore.
- … già fatto? -
- Capo, ho bisogno di una
sigaretta. - boccheggiò, con la schiena ancora premuta su quell’uscita come per
impedire l’uscita di chissà quale abominio. L’uomo
sollevò un sopracciglio, evidentemente non troppo sicuro su cosa soffermarsi
— se sulla richiesta, o sulla sua espressione stravolta.
- Ti mancano un po’ d’anni
per arrivare all’età legale per fumare, ragazzino. - borbottò, ma nel mentre gli stava comunque passando pacchetto e accendino
- … me ne devi due, poi. -
- Eh?!
- alzò risentito lo sguardo verso di lui mentre parava la fiammella dal vento,
aggrottando le sopracciglia - Perché due?! -
- Regola personale, o
quello o mi intasco la paga di oggi. - fece spallucce,
riprendendosi ciò che era suo - E vado a cercare un bar che ho sete, tieni
d’occhio il furgone. -
Se ne stette in silenzio, Haizaki, costretto a guardarlo allontanarsi mentre si
scostava dalla porta e il fumo aspirato si disperdeva dalle labbra socchiuse in
una scia informe di nuvole grigiastre. Se non altro, visto che Ishihara non aveva fatto domande sul suo affanno, il
brutto, improvviso e fulmineo incontro di poco fa stava iniziando ad occupare un peso sempre meno significante nella sua
testa. Era lui, d’altronde, lo stupido che non aveva messo in conto una cosa
del genere; sapeva che l’idiota faceva il modello, e le probabilità che frequentasse proprio quel medesimo studio c’erano eccome
(per quanto infime).
Sarebbe stato meglio se
avesse seguito la filosofia del suo capo, rimanendosene là fuori ad aspettare
finché non sarebbe arrivato il momento di staccare, e scrollando la cenere dal
cilindretto di tabacco tenuto tra le dita si fece
l’appunto mentale di non essere mai più altruista (se di altruismo si poteva
parlare, visto che voleva solo tornare a casa un po’ prima) in vita sua. Tirò
indietro la testa per appoggiarla al muro dietro di sé, godendosi quell’attimo
di calma provvidenzialmente ritrovata, e quasi non si accorse dello
scricchiolare leggero della porta che proprio accanto a sé si aprì con un
cigolio.
- Ah! Trovato! -
Naturalmente,
non poteva fare in tempo a formulare un pensiero di calma che il destino si
armava di tutto punto per dargli contro. Sobbalzò, quella voce ahimè
tragicamente familiare che lo fece trasalire al punto che per poco la sigaretta
non gli finì in gola, mentre la visiera del
cappellino veniva di nuovo tirata in basso con una veemenza tale che per poco
non gli rimase in mano.
E quello l’aveva
raggiunto lì, esattamente, per quale motivo?!Lo guardò di sottecchi, solo per vedere un KiseRyouta sorridente, allegro e
del tutto ignaro. Davvero un cappellino poteva fare così tanta differenza?
Nuovo appunto mentale nel bloc-notes immaginario che stava iniziando a riempire
le sue pagine un po’ troppo rapidamente di cose
sorprendentemente futili: mai più sottovalutare il potere del paio di occhiali
che separavano Superman da Clark Kent, se questi erano i risultati con un
accessorio d’abbigliamento tanto insignificante.
- Uh… ce
l’hai con me? - bofonchiò, tentando di falsificare il più possibile la
propria voce. Ryouta rise, divertito, chiudendo la
porta e mettendoglisi davanti.
- Mi scusi, è che prima è
scappato in modo così palese che non ho potuto fare a meno di notarla, eheh! - ah, pure del “lei”, ora, gli stava dando? Trattenne
a fatica un sogghigno, consapevole che se solo l’altro avesse saputo chi aveva
davanti avrebbe preferito inghiottire un rospo piuttosto che riservargli una
simile cortesia - È uno nuovo, vero? Tenga. -
E, insieme a queste parole,
gli porse anche una delle bottiglie di succo che aveva portato prima. Cosa stava cercando di fare, di ingraziarselo? Sollevò
entrambe le mani e le pose, aperte, in avanti, tentando di troncare sul nascere
quel tentativo di conversazione.
- Sono nel pieno del mio
orario di lavoro, non posso accettare. - si rese conto un po’ troppo tardi di
quanto poco fosse convincente quell’argomentazione, vista la sigaretta ancora
serrata tra le sue labbra. Persino quello svampito si accorse di quanto fosse
debole, ridacchiandogli dritto in faccia.
- Andiamo, non faccia storie!
Non c’è nessuno a controllare, e se dovessero esserci problemi
mi prendo tutta la responsabilità! - ma quanto
insisteva? E soprattutto, che motivo c’era di essere così tanto melodrammatico?
Con le palpebre a mezz’asta, sospirò di un’impercettibile seccatura.
- Seriamente, non importa.
-
In quel momento, Shougo si domandò se Ryouta
avesse mai ricevuto un rifiuto in vita sua, perché sebbene il suo viso fosse
ancora sorridente, negli occhi non poteva non vedere un’ombra opaca oscurare la
loro insopportabile e gioiosa brillantezza. Che si stesse davvero offendendo
perché non aveva intenzione di accettare la sua gentilezza imposta?
… o c’era qualche altra
ragione, dietro? Per un motivo che non riuscì ad
individuare, Haizaki si sentì improvvisamente sotto pressione,
una tesa gocciolina di sudore che gli scivolò dalla tempia lungo tutto il
contorno del viso.
“Sta’
a vedere che ‘sto svampito si sta rendendo conto della persona con cui sta
parlando?” fu il primo pensiero che gli fulminò in capo, mentre il suo intero
linguaggio corporeo comunicava disagio. Incrociò le braccia sul petto, incurvò
la schiena, fece sprofondare la testa tra le spalle… come altro poteva fargli
capire che non aveva voglia di parlare?
In quella posizione fece
fatica a vedere i movimenti di Kise, che nel
frattempo si era messo, sospirando, le mani sui fianchi.
- Andiamo, signor fattorino, non c’è bisogno di essere così timidi! -
si sentì rimproverare, e dovette stringere le dita sulle proprie maniche per
non farlo attorno al suo collo – Sappia però che con lei non mi arrendo!
Signor… -
Cercò di sottrarsi alla sua
presa quando lo vide allungare la mano alla sua uniforme, nel tentativo di
tirare su il cartellino attaccato al suo petto e di leggerne il nome; ma quando
reagì fu troppo tardi. Non poteva
scappare da nessuna parte, in quel vicolo, complici le spalle incollate al muro
e le troppo strette e troppo poche vie di fuga. Volse lo sguardo altrove quando
intravide Kise sobbalzare all’indietro, liberandosi
da quella mezza cecità e tirando su il cappello ormai diventato inutile.
- Allora avevo ragione… sei
davvero tu, Shougo. –
Salve!
Finalmente posto anche questo secondo capitolo nella mia personale versione
dell’odissea di HaizakiShougo,
colui che decise di guadagnarsi il pane per puro e
semplice spirito di contraddizione.
Proprio perché sto
cercando di non stressarmi coi ritmi, scrivere questa
storia si sta rivelando infinitamente divertente (così come pure cercare i
titoli per i singoli capitoli, cosa che mi riesce estremamente più facile dei
disperati tentativi di trovare quello per la ff in
generale).
Non so, penso che
molti possano essere in disaccordo con la mia interpretazione di Haizaki, ma non riesco a vederlo troppo diverso da come lo
raffiguro – anche se credo che l’avvertimento OOC magari ce lo caccerò comunque. O forse no? Ho sempre difficoltà a
mettere gli avvertimenti, in questo caso perché non credo di star stravolgendo nessuno senza motivo
specifico. Insomma, vedrò.
In ogni caso! Devo
dire di aver ricevuto più attenzione di quel che immaginavo, e vi ringrazio qui
dal profondo per le letture e i seguiti. Al solito, se avete qualche commento da
fare, accetto più che volentieri qualsiasi opinione!
Alla prossima!
Cristo, che diavolo aveva
da fissarlo a quella maniera?
Assottigliò le palpebre
sullo sguardo di freddo metallo, disturbato dall’espressione sconvolta dello
scemo che si trovava davanti. Ebbene, l’aveva scoperto! Che disdetta! Che
tragedia!
Fece schioccare, scocciato,
la lingua sul palato, lasciando cadere il mozzicone della sigaretta a terra e
schiacciandolo rabbiosamente con il piede.
- Vuoi un applauso? -
commentò, secco, imponendosi ostile su di lui. Persino minacciarlo lo faceva
incazzare: generalmente non era raro che ad attaccare briga con lui fosse gente
che per qualche motivo sottovalutava la sua altezza e il suo fisico, ma con Kise era praticamente alla pari. Lo fissò dritto negli occhi, adesso perfettamente allineati
ai propri, non temendo di invadere i limiti del suo spazio vitale.
- Adesso che hai vinto
quest’allegra scommessa con te stesso, ti dispiace levarti dal cazzo? -
proseguì, soffiando tra i denti stretti.
- Perché? La mia presenza
ti disturba? Sto forse interrompendo qualcosa? - oh, se si vedeva quanto poco
riusciva ad intimorirlo. Ryouta
era insopportabile e pure un cretino, e forse proprio per questo di timore, nei
suoi confronti, proprio pareva non averne. Che palle, pensò; la
tentazione di alzare le mani era più forte di quanto lo fosse mai stato nei
precedenti giorni, ma sapeva che anche solo tenere un tono di voce del genere
con lui poteva equivalere ad un pesante rischio per la
sua nascente e affatto lusinghiera carriera di facchino tuttofare.
- Sì, mi stai disturbando
durante il mio orario di lavoro. -
- Ah? - sul suo viso si
dipinse un sogghigno leggero, a metà tra l’incredulo e il beffardo. Cosa avrebbero detto tutte le sue amate fan, vedendolo con
un’espressione tanto stridente con quella del KiseRyouta che conoscevano loro? Almeno lui era coerente con il
proprio essere feccia; quello, invece,
non era neanche la metà del bravo ragazzo che ostentava di essere.
- Sentirti associato alla
parola lavoro
mi sembra un po’ paradossale. Non è una coincidenza un po’ strana che tu sia proprioqui? -
- Oi, credi seriamente che
io ce l’abbia con te per qualche motivo? – lo
interruppe, prima di qualsiasi altro giro di parole, saltando alle più ovvie
conclusioni. Beh, in realtà non avrebbe avuto torto: di motivi per cui poteva
avercela con lui ce n’erano, e nemmeno pochi. Ma nessuno di quelli era la causa per cui si trovava lì, e
non poteva credere che la sua mente avesse concepito anche solo lontanamente
un’ipotesi del genere.
- Non pensi di star
sopravvalutando la considerazione che ho di te? Non sei così importante, Ryouta. E fidati che preferirei anche io
che questa coincidenza non esistesse. -
Il modello lo squadrò
dall’alto in basso, una mano in tasca e l’altra ancora stretta intorno alla
bibita fresca che, piuttosto palesemente, non sembrava più tanto intenzionato a
consegnargli. La tensione, o meglio il nervosismo, per Shougo
stava iniziando a diventare insopportabile.
Non solo doveva spaccarsi
la schiena, doveva pure farsi giudicare a quel modo da
quella mezzasega?
Certo, poteva capire che
fosse strano coniugare il suo nome e l’idea di un onesto impiego; e forse forse poteva anche capire
che qualcuno dubitasse delle sue rare ‘buone’ intenzioni. Ma
non accettava quelle occhiate di disprezzo, e soprattutto quell’atteggiamento
di velata ma papabile superiorità che gli stava adesso rivolgendo. I soldi
erano una necessità di chiunque, ma non è che
tutti erano così fortunati da poterne guadagnare facendo l’imbecille davanti a
una telecamera!
Era
per questo che, tanto, finiva per demotivarsi subito nonappena cercava di fare qualcosa che non fosse niente di
strettamente deviante. C’erano sempre teste di cazzo del genere a dubitare che per
una volta si stesse comportando da persona normale, e per quanto fosse consapevole
che quello stigmate se lo fosse impresso da solo, allo stesso tempo stava solo
cercando di essere preso sul serio.
Ma
non poteva cadere nella tentazione delle solite abitudini, non anche quella
volta. Le mani sprofondarono nelle tasche per impedirgli qualsiasi gesto
inopportuno, e inspirando ed espirando profondamente cercò di mettere insieme
quella poca calma che gli era rimasta.
- Chiedi a chi ti pare, là
dentro, oppure se preferisci anche al mio superiore, che tra cinque minuti
torna. - borbottò - Ti sembrerà strano, ma te lo confermeranno tutti. Sono un
cazzo di onesto cittadino, ora, contento? -
- Hm.
- no, evidentemente non era contento. Perché non gli aveva ancora strappato la
testa dal collo? Gusto, perché altrimenti si sarebbe visto strappare il
contratto davanti agli occhi - E com’è che ad un
tratto hai deciso di fare “l’onesto”? -
- Per i soldi, Ryouta. Il mondo gira intorno ai soldi. -
- E a cosa ti servono, così all’improvviso? -
- Cristo,
ma cosa sei, mia madre?! - no, nemmeno sua madre gli faceva tutte quelle
domande, figurarsi. Rise, incredulo, passandosi una mano sul viso - Se lo
chiedessi io a te mi risponderesti? No, certo che no,
cazzo! Non ho sinceramente voglia di stare a discuterne qui e ora, voglio solo
fare il mio dovere. Possiamo, per favore, tenere qualsiasi questione da parte e
ignorarci? Tu non rompi le palle a me e io non le
rompo a te. -
Sapeva che, nonostante
tutto, Kise ancora non era convinto, ma lo ringraziò interiormente per non aver cercato di calcare
oltre la mano. Piuttosto, lo vide lanciargli l’ennesima occhiata ambigua,
mentre arrendendosi si stringeva nelle spalle.
- Non c’è quasi bisogno che
lo dica: non mi fido di te, Shougo. - gli disse
freddamente, avviandosi di nuovo verso la porta - Ti
terrò d’occhio. -
- Allora magari facciamo un
test oculistico veloce veloce,
eh? - ringhiò, alzando il dito medio - Quanti sono questi?
-
Nessuna risposta, grazie al
cielo: Ryouta roteò gli occhi al cielo,
e l’attimo dopo era già sparito dentro l’edificio. Finalmente.
- E vaffanculo… - si lasciò
finalmente sfuggire, massaggiandosi le tempie. Almeno, sperava, avere a che
fare con lui sarebbe dovuta essere solo un’occasione sporadica.
- Ce l’hai
con me? -
Sobbalzò, Shougo, voltandosi di scatto. il
signor Ishihara si era come rimaterializzato
davanti ai suoi occhi, lo sguardo disinteressato e la schiena contro la porterà
del furgone.
- No, no, certo che no! -
si affrettò a replicare, agitando le mani. Da quanto diavolo era lì, quanto
aveva visto?! E soprattutto, perché non si era accorto
del suo ritorno? Aveva già avuto a che fare con persone del genere, dalla
presenza così sottile da essere quasi impalpabile, e non poteva dire che avesse
una particolare simpatia per questa spaventosa caratteristica.
L’uomo sollevò le
sopracciglia sullo sguardo annoiato, come intuendo una parte dei pensieri di Haizaki. Scrollò le spalle, noncurante.
- Non sono affari miei, ma
se hai litigato con quello vedi di chiarire le cose
alla svelta. - borbottò - È il cocco dello studio, ti prenderanno in antipatia
se si venisse a sapere. -
- Ma figurati se c’ho litigato, è stato lui a venire da me… - mugugnò, quasi
remissivo. Per una volta che era quasi nel giusto, cazzo! - … era un mio
compagno delle medie, un cretino. -
- E come mai l’ostilità? -
- Perché gli ho fregato la
ragazza. - pausa. - … e perché per colpa sua sono stato cacciato dalla squadra.
-
Omise sapientemente tutte
le vicende legate a quella WinterCup
che li vide schierati uno contro all’altro, a come
l’avesse volontariamente infortunato e come, dopo la partita, l’avesse
aspettato con l’intenzione di mettergli le mani addosso — ma non erano
cose che, in quel momento, valeva la pena raccontare. L’aveva detto, non gli
interessava minimamente di Ryouta in quel momento
della sua esistenza! Voleva solo lavorare in pace!
Ishiharagli tirò una lunga e pensosa occhiata, come valutando se
lasciarsi persuadere o meno da quelle parole. Ecco, ci mancava anche che un
simile confronto lo facesse pure licenziare! Il più giovane lo vide sospirare,
per poi accendersi l’ennesima sigaretta.
- Haizaki.
- lo richiamò, semplicemente, senza neppure guardarlo
in faccia - Mi garantisci che non sei qua per menare le mani? -
- Andiamo, potrei farlo
quando mi pare e senza dover indossare una salopette arancione e spaccarmi la
schiena a smontare scatoloni! - gracchiò, annoiato - Voglio solo lavorare senza
rotture, chissenefrega di quello là?! -
Altro sospiro, altra
scrollata di spalle. Era come se quell’uomo avesse giusto giusto
due o tre movimenti di base, e che li alternasse a seconda
della necessità, rendendo però del tutto impossibile leggere con
precisione cosa stesse per dire. Per Shougo, ormai,
stargli attorno era come stare perennemente in bilico
sul filo del rasoio.
- Sicuramente mi fido più
di te, che ormai ti conosco, che di quello lì. -
concluse l’altro, tranquillo. Haizaki si sentì come
liberare da un macigno, e una soddisfazione di fondo
gli incurvò le labbra nel più stupido dei sorrisi. “Mi fido di te” — non
era neanche sicuro che qualcuno gli avesse mai davvero rivolto quelle parole; e
finalmente, dopo tanta gente che gli dava contro a prescindere, qualcuno che
gli dava un po’ di credito era come una boccata d’aria fresca.
- Oi, non farmene pentire,
eh. -
- Ah- c-certo che no, capo!
-
- Sono a casa… -
Alla fine, quella giornata
si era conclusa senza troppi fastidiosi intoppi. Kise, grazie al cielo, non era più venuto a scassare
le balle, e dopo aver deciso di rimanere ad aspettare fuori per tutto il tempo,
quando era rientrato a recuperare gli allestimenti non aveva incontrato nessuno
a cui quello stronzetto avrebbe potuto aver raccontato
perché fosse di così cattivo umore. Ennesimo appunto mentale: preferibilmente,
decise, da lì in poi in quello studio ci sarebbe entrato solo se strettamente
necessario e per il minor tempo possibile.
Si chiuse la porta alle
spalle con un sospiro, non aspettandosi che qualcuno rispondesse davvero a quel
saluto. Fuori casa la macchina di Shinya non c’era, e
visto l’orario era più che probabile che quella casa fosse completamente vuota.
Fu
per questo che, una volta messo piede nella sala principale,
per poco non si prese un accidente quando vide una donna riversa sul tavolo. Cazzo, sembrava quasi morta!
- Ma’? - si
inginocchiò accanto a lei, leggermente preoccupato, avvicinando una mano
al suo viso. Ovviamente, respirava ancora: quella era solo crollata come una
deficiente, tra l’altro proprio mentre finiva di truccarsi. Dunque
avrebbe lavorato pure quella sera? Shougo appoggiò il
mento ad una mano, scrutandola in silenzio senza ancora
svegliarla.
Non gliel’aveva mai detto,
fermamente convinto che farsi i cazzi propri in certi casi fosse la cosa
migliore — ma non aveva dubbi che, in fondo, tutto questo bisogno di
truccarsi così tanto ogni volta non ne aveva. Sua madre era davvero una bella
donna, dai tratti eternamente giovanili e un fisico innegabilmente attraente, e
poteva ben capire perché dopo tanti anni di servizio,
ancora, la sua agenda fosse sempre così piena. Inarcò le sopracciglia, facendo
sporgere il labbro superiore nella manifestazione più ovvia e inconscia di
un’abitudine che aveva ‘rubato’ a qualcuno diverso tempo fa: per lui era
normale parlare di sua madre in quei termini, ormai abituato a considerare come
niente di così scandaloso il lavoro che si era scelta;
a volte, però, non poteva fare a meno di fermarsi a riflettere che per il resto
del mondo quella era solo una donnaccia debosciata.
Come avrebbe reagito, però,
se si fosse trovato davanti agli occhi qualcuno intento ad apostrofarla così?
Ne pensava di tutti i colori su di lei, soprattutto soffermandosi sul suo umore
instabile e sulla sua lancinante incapacità di prendersi
responsabilità, ma a differenza di quanto palesava Shinya lui, sua madre, non
l’aveva mai odiata davvero. La considerazione che aveva nei suoi confronti non
era delle più alte, certo, e forse non la considerava neanche esattamente una genitrice;
complici quei relativamente pochi anni di differenza che correvano tra di loro
e la sua età mentale da eterna diciassettenne, forse la sentiva
quasi più affine ad una specie di sorella maggiore, risparmiandogli così anche
una marea di seghe mentali sul come non avesse mai avuto dei “genitori presenti
e amorevoli” e cazzate simili. Era sempre stato molto più facile, per lui,
accettare le sue lacune e comportarsi di conseguenza, mantenendo
contemporaneamente intatto quel legame un po’ insolito che probabilmente
l’avrebbe portato a saltare al collo di chiunque avrebbe provato a dire
qualcosa su di lei (o almeno, al di fuori di quella famiglia).
A tal proposito, un moto di
sottile inquietudine gli sorse nel mezzo del petto, e una smorfia spontanea si
dipinse sul suo viso. Fino a quel momento non gliel’aveva ancora chiesto, ma
come avevano reagito i suoi clienti alla notizia? Perché-… doveva per
forza dirglielo, no?
Controllò l’ora sullo
schermo del cellulare, appurando l’orario e concludendo
che, forse, era il caso di riportarla in questa dimensione della realtà.
Allungò una mano verso di lei, scrollandola appena, e quelle palpebre truccate
solo per metà si aprirono poco dopo.
La donna si guardò intorno
spaesata, sussultando appena prima di mettere correttamente a fuoco la figura
del ragazzo accanto a sé.
- Shougo…
sei già a casa? - mugugnò, portandosi le mani agli occhi per stropicciarseli ed
emettere un urletto stridulo un attimo dopo.
- Oh no, il trucco per
stasera! - si lagnò, lamentosa, alzandosi di scatto e correndo chissà dove.
Ecco, anche per questo Shougo faceva fin troppo
fatica a starle dietro: non capiva mai cosa le passasse per la testa, quali
sarebbero state le sue reazioni e cosa figurasse in cima alla lista delle sue
priorità.
Sospirò, seccato,
aspettando di vederla concludere tutte quelle
accortezze a lui incomprensibili, e lanciando uno sguardo sul tavolo pieno di
trucchi sparsi in giro adocchiò una busta che tirò su senza troppe domande. Al
suo interno, quasi con disappunto, tutto ciò che trovò furono
un paio di foglietti neri con macchie più chiare del tutto incomprensibili. Che
era quella merda?
- Che è ‘sta roba? -
domandò senza grazia, non appena la madre tornò a sedere al tavolo per
sistemarsi il trucco. Ella sorrise brevemente, gli
occhi fissi sullo specchietto portatile mentre si impiastricciava gli occhi di
colori che Haizaki non credeva potessero davvero
stare bene in faccia a una persona.
- È il tuo fratellino, Shougo. Sono andata a fare la prima ecografia, oggi, non te
l’avevo detto? Mi hanno confermato che sono di otto settimane. - replicò, con
gentile naturalezza. L’altro si pentì di ogni pensiero avuto nell’arco degli
ultimi dieci secondi, tornando con le pupille incollate a quelle foto identiche
ma per lui completamente incomprensibili. Quella— macchietta grigia ed informe dentro quella macchia nera era suo fratello? Come
si faceva a capire?
La donna parve accorgersi
del suo dubbio, ridacchiando divertita e prendendogliele di mano.
- Vedi? Qua c’è la
testolina. - cinguettò, iniziando ad indicare forme
che Shougo si sforzava, davvero, a cercare di
comprendere, ma era tutto talmente arduo che si domandò se per caso la donna
non si stesse inventando tutto - Mentre qua c’è l’abbozzo delle gambe e delle
braccia, e… -
- Ed è tutto lì? Nella-…
tua pancia? -
Ella
rise, e Haizaki si sentì avvampare. Non è che lo
stava prendendo per il culo per una domanda simile,
vero?! C’era qualcosa di sbagliato ad essere curiosi,
una volta nella vita?
La vide appiattirsi la
maglietta sul ventre, ma contrariandosi per l’ennesima volta in quella serata Shougo non vide praticamente
nulla. Nessun palese rigonfiamento, niente che potesse lasciargli presupporre
che là dentro potesse davvero esserci qualcosa. Di
nuovo, la donna gli rise praticamente in faccia.
- Forse
in effetti non si nota, ma io sto già iniziando a faticare a chiudere il
bottone dei miei pantaloni attillati preferiti! - commentò, con
quell’indiscutibile ingenuità che caratterizzava ogni sua frase -… però è un
bravo bimbo. Per adesso sta crescendo bene, e non mi ha fatto svegliare con la
bocca piena di vomito neanche una volta! -
- Non c’è bisogno di essere
così espliciti, mamma, cazzo! - si lamentò immediatamente Haizaki,
provocando in lei l’ennesima risata. Almeno uno dei due era contento, ma che
schifo…
Cercò di tenere lontano
ogni pensiero su nausee mattutine (si chiamavano
così?) e quant’altro, recuperando il motivo iniziale per cui aveva cercato di
iniziare quella conversazione. Riprese in mano quelle immagini indecifrabili,
dunque, scrutando oltre a esse la donna che con noncuranza era tornata a
truccarsi.
- … ma’. -
- Sì? Dimmi. -
- I tuoi clienti,
uhm… lo sanno? Come l’hanno presa? -
Non seppe neanche perché
era così teso mentre poneva quella domanda, scivolando così tanto fuori dal
proprio usuale personaggio da non riconoscersi. Che poi, perché si preoccupava
tanto? Quell’altra non aveva smesso di sorridere come una scema neppure per un
secondo!
- Oh, i regolari li ho avvisati praticamente tutti, ormai! - esclamò infatti, per nulla turbata - … anche se alcuni preferiscono
aspettare che io entri nel periodo più stabile prima di rivederci. Non mi
aspettavo niente di diverso, d’altronde molti li conosco già da quando
aspettavo te, Shougo… - sorrise, quasi nostalgica - …
mi hanno fatto tutti i complimenti, comunque. E molti si sono offerti di
aiutarmi, per qualsiasi necessità io possa avere. -
Fu in quel momento che, al
moto di preoccupazione che gli aveva annodato lo stomaco fino a quel momento,
si sovrappose preponderantemente un’intensa
sensazione di rabbia. Certo, sapeva bene quale fosse il loro atteggiamento
nei confronti di sua madre, tutti presi a coccolarla e viziarla come fosse una
bambola; ma quando si trattava di assumersi vere responsabilità?
- Scommetto che nessuno si
è offerto di provare il test del DNA o queste stronzate qua. - borbottò,
volgendo lo sguardo altrove. Ciò che raggiunse le sue orecchie non fu più una
risata, ma un palese sospiro.
- E perché dovrebbero? - si
sentì rispondere, con una voce gentile ma impregnata di rassegnazione - … sono
tutti uomini ricchi, sposati, e alcuni con figli più grandi persino di Shinya.
Che interesse ci sarebbe, per loro, riconoscere un figlio al di fuori dal loro santissimo
matrimonio? -
- Ok, ma non è giusto. -
- Volente o nolente sono in
quest’ambiente da vent’anni, Shougo, e anche prima
credo di non aver mai incontrato un uomo ‘giusto’. -
quella frase carica di fredda e spietata lucidità lo riscosse, non aspettandosi
di sentirla uscire da una bocca che di solito sparava solo frivolezze. Era raro
sentirla parlare in quel modo — e proprio in quei momenti, Shougo capiva che sua madre non era l’oca superficiale che
tante volte ostentava di essere, forse solo per appagare quei compagni
che erano rimasti infatuati di lei per così tanto tempo ma che avevano sempre
preferito considerarla solo come un eccitante, segreto
divertimento.
Doveva aver fatto una
faccia davvero idiota, perché poco dopo si sentì tirare fastidiosamente una
guancia. Aggrottò le sopracciglia, ma prima di ogni protesta fu di nuovo lei a
prendere la parola.
- Però almeno Shinya
sembrerebbe starsi impegnando a dimostrarmi il contrario, anche se ultimamente
è sempre terribilmente nervoso - stavolta, la sua voce era tornata allegra e
tranquilla - … e anche tu sei sulla buona strada, me lo sento. -
Fermi tutti, l’aveva appena
definito un uomo giusto? Haizaki sgranò gli
occhi, ogni risposta sfottente che gli scivolò via dalla bocca senza nemmeno
una possibilità di essere sfruttata. Prima il capo che aveva deciso di fidarsi
di lui, poi sua madre che gli diceva una cosa del genere? iniziò a domandarsi
se per caso non stesse vivendo una delle tipiche giornate di HaizakiShougo, ma che quella
mattina si fosse svegliato nel corpo di qualcun altro.
Un altro buffetto, stavolta
all’altra guancia, lo riportò coi piedi per terra. La
donna si era alzata, sistemandosi i vestiti addosso e recuperando i propri
trucchi e quasi tutte le ecografie sparse in giro per il tavolo.
- Adesso devo andare, se
hai fame ti ho lasciato la cena da scaldare nel frigo.
Vedi di lasciare qualcosa per tuo fratello, che stasera torna tardi! - gli sorrise, serena - E non stare tutta la sera al pc, che
domani hai scuola. -
- In diciassett’anni me le fai ora queste raccomandazioni,
ma’? - borbottò, ma senza davvero protestare. Udì vagamente il suo saluto
divertito e la porta che si chiudeva, e solo allora si rese conto che sulla
tavola era rimasta un’ultima copia dell’ecografia.
Stava quasi per alzarsi e
rincorrerla per restituirgliela, quando l’attenzione gli cadde su una scritta
veloce lasciata sul retro dell’immagine stampata.
“ x Shougo”
Sbatté le palpebre, colto
un po’ di sorpresa. Aveva fatto una copia specifica solo per lui? Quasi
sicuramente ne aveva fatta una per Shinya, pure, e magari anche per tutti i
suoi clienti più fidati, ma per un motivo o per l’altro quella singola
accortezza lo fece sentire parte di qualcosa di speciale — senza contare
il sottile pentimento che, per qualche motivo, provava
per non essere stato lì nel momento in cui quelle immagini venivano catturate
per la prima volta. Che poi, perché così all’improvviso gli importava così
tanto di quel fagiolo?
… anche se, magari, alla
visita successiva avrebbe potuto pure pensare di accompagnarla.
Salve! Dovrei
smetterla di sproloquiare dopo i capitoli, argh.
Questo è uno dei miei capitoli preferiti fino ad ora, principalmente per questa
misteriosa sensazione d’affetto che ho sviluppato nei confronti della madre di Haizaki. Fino ad ora è stata un po’ una svampita squilibrata
con la testa tra le nuvole, ma la verità è che non ho mai avuto l’intenzione di
dipingere un personaggio del tutto monodimensionale – e nella seconda
metà di questo capitolo ho cercato di evidenziarlo al massimo.
In generale, non è
l’unico pg che appare in questo capitolo di cui ho mostrato “l’altra faccia
della medaglia”. Kise, ad esempio – ricordo
vividamente una dichiarazione di Fujimaki e di come,
secondo la sua concezione, il nostro biondino adorato non fosse un personaggio buono per natura, ma un soggetto
sprezzante e disinteressato, intenzionato a comportarsi ‘da bravo’
solo davanti alle persone che gli interessano. Cercherò di ricalcare il più
possibile questa visuale, non incattivendolo eccessivamente ma di sicuro
neppure rendendolo immediatamente disposto al perdono!
Btw,
alla fine ho deciso di non mettere l’avvertimento OOC, ma forse dovrei mettere
quello di ‘tematiche delicate’. Nella testa di Shougo, la condizone della sua
famiglia è affrontata con leggerezza ma solo perché ormai ne è pienamente
abituato, ma è chiaro che il tutto sia definitivamente fuori dalle righe.
Ancora, vi ringrazio
per le letture e i seguiti che mi sono arrivati; al solito, qualsiasi commento
è sempre più che ben accetto!
… e da qui in poi
spero di pubblicare regolarmente, perché questo era l’ultimo capitolo che avevo
pronto già scritto già da prima di pubblicare la storia. Se non altro i successivi
sono in via di stesura!
Capitolo 4 *** Can it get any worse than this? ***
» 4. Can it getanyworsethanthis?
Alla fine, era stato solo qualche
giorno dopo quella tacita e segreta decisione che Shougo aveva trovato il coraggio di chiedere espressamente
a sua madre se, la prossima volta, sarebbe potuto venire a vedere quella radiografia
o ecografia o qualsiasi nome avesse quella cosa che serviva per ottenere
quelle fotografie incomprensibili in bianco e nero, dirigendosi addosso una
serie di battutine divertite da parte della donna e di sguardi incuriositi da
parte di un fratello che, una volta tanto, aveva ben pensato di starsene in
silenzio, tenendosi per sé qualsiasi eventuale, stupido commento potesse essere
sbucato in quella testa di legno.
Non che sarebbe così
strano, se si fosse stupito di tutto quell’interesse: lui per primo si
capacitava a fatica di quella curiosità così stupidamente infantile, di quel
bisogno di conoscere il funzionamento di certe cose. Non era riuscito a prendersela
a male come era successo con Shinya, che dopo la
sfuriata di quella sera si era limitato a commentare solo raramente il fattaccio,
come lo chiamava a volte, con fredda impersonalità; ma d’altra parte neanche
vedeva perché impuntarsi così tanto e reagire in modo così negativo: ormai il
danno era fatto, perché continuare ad arrovellarsi su qualcosa che comunque non
aveva rimedio? O meglio, uno ce n’era — l’argomento aleggiava
continuamente senza mai essere affrontato, ma in un paese come il Giappone,
dove quella soluzione era proibita se non per motivi urgenti, per una famiglia
instabile come la loro era troppo rischioso cercare di
perseguire una strada del genere. E poi, figurarsi se quella avrebbe
acconsentito! Sapevano tutti che una proposta così rischiosa sarebbe sfociata
nell’ennesima, violenta lite che tutto le avrebbe fatto meno che bene,
soprattutto contando che forse, in fondo, si sarebbe opposto anche lui.
Sapeva ormai che il suo
giudizio in quella casa valeva come un pezzo di carta igienica usata,
soprattutto agli occhi dell’autodichiaratocapofamiglia, maShougonon
voleva sinceramente che succedesse qualcosa di male a quel coso strano che
vedeva su quel rettangolino di carta ogni volta che ci
posava l’occhio. E questo succedeva ben più spesso del previsto, visto che quella foto risiedeva ora al sicuro nel suo
portafoglio: era da tanto che non si attaccava così tanto a qualcosa, a livello
materiale o spirituale, che non riguardasse una vendetta o qualche discutibile
bisogno di far male a qualcuno per il puro gusto di sentirsi superiore. Era
come sorta in lui una specie di infantile curiosità
che non sentiva da tanto, un bisogno insistente ma non morboso di capire.
Che fosse anche, in parte, perché in effetti era una
delle poche esperienze in assoluto che non avrebbe mai potuto (e voluto,
onestamente) copiare? Che persino quella rinnovata bramosia di sapere fosse
semplicemente un desiderio egoistico, che si sarebbe estinto non appena si
sarebbe stancato di continuare a star dietro a quella ridicola storia? Forse
era quello di Shinya l’atteggiamento giusto, forse avrebbe davvero indignarsene
più che conservare quello stupido, celato entusiasmo, ma ogni volta si rendeva
conto di quanto per lui fosse pressoché impossibile riuscirci seriamente. Una
volta tanto che non era indisponente nei confronti di una certa cosa, diamine,
perché doveva necessariamente perdere d’interesse? Stavolta il bloc-notes
mentale servì solo per tirarsi una serie di metaforici sganassoni sulla fronte,
mentre si chiudeva alle spalle il portellone del furgoncino per immettersi
ufficialmente in un’altra giornata del suo lavoro part-time.
Fortunatamente, in quella
manciata di giorni non si era più trovato davanti nessun incontro sgradevole
quando era tornato lì per lavoro: il signor Ishihara,
una volta tanto, era uscito dalla sua personale bolla per fare qualche
domanda qua e là, informandosi sui giorni in cui era più probabile cheRyouta sarebbe sbucato dal
nulla, magari ancora convinto di essere il centro unico di chissà quale
complotto nei suoi confronti. Purtroppo, quel pomeriggio non era tra i più
fortunati — ma se non altro Shougo aveva presto
imparato a seguire l’esempio del proprio capo nel farsi i fatti propri,
limitandosi a scaricare quel che doveva scaricare e
caricare di nuovo sul furgone quello che aveva da caricare, cosicché, se anche Kise fosse stato diviso da lui da una singola porta
scricchiolante, in nessun modo i due avrebbero avuto occasione di rendersi
conto della presenza l’uno dell’altro. Per colpa di quel confronto di cui
avrebbe fatto più che volentieri a meno la sua volontà già precaria stava
iniziando a vacillare, ma se le cose fossero rimaste stabili così come con
ottimistica testardaggine cercava di convincersi, allora non avrebbe avuto più
nulla di cui lamentarsi.
Seguì il proprio superiore
senza dire una parola, come fermissimamente deciso a
perpetrare in quel voto di assoluto silenzio (e menefreghismo), un
grosso scatolone in mano e la visiera del cappellino immancabilmente calata sul
viso per rendersi il più anonimo possibile mentre attraversava quei corridoi
che ormai conosceva a memoria. Stava finalmente iniziando a prendere
familiarità un po’ con tutti i luoghi che frequentava per via di quell’impiego,
e naturalmente lo studio di fotografia non ne era esente: per quanto ne avesse
vista per bene solo una sezione, ormai poteva comunque dire di conoscerla non
come casa sua ma quasi, riconoscendo a colpo d’occhio tutte quelle facce che
ormai sapeva essere le presenze immancabili. C’era la
bella tipa timida che ogni tanto lo salutava con gli occhi da sopra le lenti
degli occhiali, l’addetto alle luci che aveva la stessa vitalità di un’anguilla
morta, un paio di truccatori e di addetti ai costumi e…
- Haisaki?
-
Raggelò, stringendo così
forte le dita sullo scatolone che fu piuttosto sicuro che le proprie impronte
digitali rimasero chiaramente visibili sul cartone
ondulato. Purtroppo, ormai anche quella voce fastidiosa gli era orribilmente
familiare: aveva scoperto solo di recente che quella tipa, nonostante i soli
due neuroni che si inseguivano disperatamente nella
sua testa, da quelle parti era un po’ un pezzo grosso, anche se ignorava quale
fosse la sua posizione. Non truccava, non vestiva, non assisteva e non
fotografava; era lì per ciarlare e basta?
Alzò gli occhi a lei, Shougo, incontrando un viso stranamente severo e
corrucciato. Era la prima volta che la vedeva in quello stato, che era
successo? E soprattutto, Haisaki? Ancora?
Quante volte l’aveva corretta?!
Scandì, probabilmente
credendosi minacciosa, piantandosi le mani chiuse a pugno sui fianchi. L’altro
inarcò un sopracciglio, cercando di farsi meno domande possibili.
Indicò con un cenno del
capo l’uomo davanti a lui — chiaramente più anziano, chiaramente
vestito come lui e chiaramente occupato nella stessa mansione, e
probabilmente facentesi vedere da quelle parti da anni. Era un ometto anonimo e
un po’ invisibile, ok, ma pure lei ce ne stava
mettendo del suo a risultare sempre più stupida.
La seguì con lo sguardo nel
suo sussultare, come effettivamente notando l’uomo solo in quel momento,
vedendola zompettare su quei tacchi vertiginosi fino
ad avanzare davanti al signor Ishihara.
- Mi spiace dover arrivare
a questo - esclamò, come colpita dalla peggior offesa e portandosi,
drammaticamente, una mano sul petto - … ma il suo impiegato qui non è il
benvenuto. -
E in quel momento, a Shougo avrebbero potuto fare di tutto.
Avrebbero potuto prenderlo
a bastonate, pestargli i piedi, tirargli un calcio in mezzo alle gambe —
niente l’avrebbe risvegliato da quell’improvviso e immediato stato semicatatonico in cui quelle parole l’avevano buttato, come
trattandosi di un’antica e segreta formula misteriosa per annullare
completamente la voglia di vivere di chiunque ci si trovasse davanti.
“Non è il benvenuto”
— non era la prima volta che glielo dicevano; nel corso della sua breve
vita era stato coinvolto più di solo qualche volta in incidenti del
tutto indipendenti dalla sua volontà che l’avevano costretto ad allontanarsi da
luoghi che frequentava abitualmente, ma quella volta furono parole che
arrivarono come un fulmine a ciel sereno. Ripercorse con la mente tutti i
momenti in cui aveva messo piede tra quelle mura, cercando di ricordare se
avesse combinato qualcosa che avrebbe potuto meritarsi un qualsiasi tipo di
marchio a fuoco sulla coscienza, ma niente gli
riaffiorò alla memoria. Che cosa aveva fatto?
- Anzi, vorrei che
svuotasse le tasche qui, davanti a tutti. E che ci faccia vedere il contenuto
del suo portafoglio. -
Ancora sotto l’incantesimo
di quella strega stridula posò lo scatolone a terra, avvicinandosi
meccanicamente a lei e rovesciando il contenuto delle proprie tasche sul
pavimento: l’unica cosa che ne scivolò fu un pacchetto
di sigarette mezzo consumato e qualche scontrino, e neppure l’esame del portafoglio
fu troppo soddisfacente. Quattro banconote di bassa taglia tutte spiegazzate e una manciata di monetine non potevano incriminarlo di
niente, no?
- … posso sapere cosa ho
fatto? - biascicò, sempre più immerso in quella dimensione così surreale. Aveva
praticamente sempre avuto la coscienza sporca, non lo
negava, quindi si trovava perfettamente incapace di replicare ad un’accusa
infondata per l’unica volta che non aveva davvero fatto nulla. Anche se, ora
che ci pensava, una singola macchia c’era effettivamente stata da quando
frequentava anche quelle zone. Ma non poteva essere
stato davvero quello il motivo di un simile attacco, no? Non poteva
essere stata la litigata con quell’imbecille, giusto?
Strizzò gli occhi quando
sentì quella vocetta tartassargli i timpani, e un dito minacciosamente unghiato
punzecchiarlo odiosamente nel mezzo del petto.
- Non ti azzardare a
rispondermi così e a fare finta di nulla, sai? Non ti
azzardare neppure, non farai che peggiorare la tua situazione, ladro! -
LADRO?!
- Mi scusi. - la mano del
signor Ishihara lo scostò da una parte, impedendogli
di ribattere prima di compiere l’irreparabile - Ma è scomparso qualcosa? Posso
capire che i sospetti ricadano sul nuovo arrivato, ma… -
Occhieggiò la tizia
esitare, incrociando le braccia e raddrizzandosi sulla schiena. Bene, ora
voleva proprio sapere che cosa doveva aver rubato in un fottuto studio di
fotografia che, quando arrivava lì, era privo di qualsiasi attrezzatura.
Nemmeno una lampadina sarebbe stato in grado di
nascondersi nella salopette!
- … niente. -
- Mi scusi? -
- Non è stato rubato niente. - continuò quella, e Shougo poté sentire chiaramente cascargli le braccia e non
solo. Riprese la parola, scavalcando l’altro uomo e tornando faccia
a faccia con la patetica donna.
- Si può sapere allora su
che diavolo di base mi state accusando di aver rubato
qualcosa?! - ringhiò, sentendosi lentamente risvegliare dall’ipnosi profonda
che l’aveva asfissiantemente avvolto fino a quel momento, palesando
completamente l’indole aggressiva che si era ripromesso di tenere quanto più
possibile nascosta almeno davanti a coloro che avevano
tutto il potere di cacciarlo da lì da un momento all’altro - Se non c’è il
furto come fa ad esserci il ladro?! -
- Haizaki,
per favore, ci penso io a chiarire. - il signor Ishihara
tentò di intervenire, ma fu subito coperto dalla risposta dell’isterica lì
davanti.
- Per quel che ne sappiamo potrebbe essere stato rubato qualcosa e non ce ne
siamo ancora accorti! -gracchiò, sempre più fuori di sé dalla rabbia, le rughe
d’espressione che scavalcavano gli otto strati di make-up e iniziavano a far
venire dubbi su quale fosse la sua reale età anagrafica - E poi, abbiamo fonti
certe che ci hanno assicurato che il tuo curriculum non è esattamente
pulito. -
“Fonti certe”.
Shougo
non aveva mai provato una sensazione simile. Per lui, la rabbia era sempre stato un processo lento, un crescendo progressivo che prima
o poi sfociava nei suoi soliti atti irragionevolmente violenti; dovendo fare un
paragone stupido era un po’ come un marshmallow
lasciato troppo fuoco, lì per lì reso solo un po’ amaro dalle bruciature, poi
diventando ingestibile e fastidioso quando iniziava a colare e appiccicarsi
dappertutto.
In quel momento, però,
l’astio che provava era tutto diverso. Si sentiva più simile ad
un vulcano, che dal niente si era svegliato e aveva deciso che tutto quello che
lo circondava gli aveva rotto così tanto il cazzo che non vedeva l’ora di
affogarlo sotto la propria ira.
C’era solo una persona che avrebbe potuto rappresentare una fonte certa, un
unico stronzo che avrebbe potuto lasciar trapelare queste cose; e se i propri
pugni dolorosamente stretti erano come lava, si promise che ce
lo avrebbe sommerso dai piedi fino alla punta di quei capelli
fintissimi. Non c’era più ragione nelle sue azioni, neppure la certezza che
qualsiasi incidente sarebbe stato pressoché fatale bastava a
dissuaderlo: sentì vagamente il signor Ishihara
richiamarlo, alle sue spalle, ma senza fare nulla per fermarlo; e senza
aggiungere altro fece dietrofront da quel dannato covo di matti.
Il suo obiettivo non era
rimanersene fuori e aspettare che sbollisse — chi se ne fregava, ormai,
di farla sbollire? Quella pazza avrebbe fatto il lavaggio il
cervello al suo capo, che per evitare casini l’avrebbe licenziato anche se
quello studio non rappresentava la loro unica clientela. Tanto valeva
avvantaggiarsi, e dimenticare ogni timore di sporcarsi le mani.
Dal vicolo in cui erano
soliti appostarsi non ci mise molto, scuro in viso, a raggiungere la facciata
principale dell’edificio. Li aveva sentiti spesso vantarsi di quanto fossero
professionisti e di come pochi altri riuscissero ad
eguagliare la qualità dei loro scatti, come se il loro lavoro fosse una specie
di dono del Signore caduto per rischiarare la sorte dell’umana stirpe, ma come
tutte le altre volte che aveva vagamente occhieggiato il marciapiede davanti
allo studio neanche stavolta ci trovò una calca di persone ansiose di farsi
inquadrare dai loro preziosissimi obiettivi.
A dire
la verità, l’intera zona era sempre un po’ deserta. Proprio come lui non
aveva mai sentito il desiderio di lasciarsi immortalare in un book fotografico
e quelle menate là, evidentemente anche il resto della gente era della medesima
opinione, relegando automaticamente quel genere di sfizi come qualcosa per
occasioni estremamente speciali o, tuttalpiù, uno
sfizio dispendioso dedicato solo alla fetta più facoltosa e annoiata della
popolazione. Ma non era ciò che in quel momento lo stuzzicava, mentre una
smorfia crudele gli increspava brevemente le labbra: l’importante era la
conseguenza basilare di tutto questo; ovvero che di testimoni, lì intorno, praticamente non ce n’erano. D’altronde sarebbe stato un
problema se qualcuno avesse provato ad accorrere, no? Rimase in disparte,
attento a non dare nell’occhio ma pronto a svelarsi non appena sarebbe arrivato
il momento, le dita che nelle tasche fremevano per fare quello che, a regola,
riuscivano a fare meglio. E quando a poca distanza adocchiò quel deficiente
tutto solo, col cellulare in una mano e un sorrisino stupido stampato sulla
faccia, la sua mente si svuotò di ogni altro pensiero se non quello di
avventarsi su di lui, trascinarlo in un vicolo e preferibilmente gonfiarlo di
botte.
Lo colse di sorpresa
afferrandolo per la maglietta mentre era distratto, strattonandolo con una
veemenza tale che fu piuttosto sicuro di sentire la
stoffa tendersi fin quasi al punto di strapparsi. Godette del
verso lamentoso che uscì dalle sue labbra mentre come un sacco di patate lo
sbatteva con la schiena contro al muro, irremovibile davanti a quegli occhi
dapprima confusi, e poi infinitamente, quasi spaventosamente risentiti.
- Lasciami immediatamente,
o chiamo la polizia. - gli sibilò Ryouta,
ancorando le proprie mani al suo polso. Shougo lasciò
a malapena che quelle parole turbassero le sue orecchie, mentre alzava
minacciosamente il pugno.
In quel momento non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello che, di
fatto, tutto quello che stava facendo giocava solo a favore dell’idea di lui
che stava iniziando a diffondersi anche da quelle parti. Se tanto lo faceva
incazzare, se odiava essere considerato solo un teppista buono solo a
scatenare risse senza motivo, perché in quel momento se la stava prendendo in
quel modo con la presunta causa di quelle voci? Erano tutte domande che si sarebbe dovuto porre prima di abbattere le nocche chiuse
contro di lui, prima di sentire quel dolore lancinante partirgli dalla mano e
ripercuotersi lungo tutto il braccio.
- Cazzo—!! - agonizzò, dal profondo della sua gola. Quello stronzo
era riuscito a spostare sufficientemente il viso all’ultimo momento, e
l’obiettivo della rabbia di Haizaki era diventato il
muro di mattoni alle sue spalle. Non che bastasse questo a scoraggiarlo:
raccogliendosi in un attimo di dolore tornò presto a puntare, furioso, gli
occhi contro i suoi, stizziti sì ma quasi… indifferenti.
- Certo che hai proprio un
bel coraggio, tu. - gli ringhiò addosso, stringendo
così forte la presa sulla sua maglietta da farsi sbiancare le nocche, che
esauste iniziarono a tremare. Lo vide tendersi un pochino, spaziare con lo
sguardo verso il pugno ancora premuto contro il muro, ma gli
bastò uno scossone per riportare la sua stupida attenzione verso di sé.
- È questo il gioco a cui vuoi giocare? Quello del perfetto pezzo di merda? - lo incalzò ancora, leggendo nei suoi occhi solo uno sguardo
quasi interrogativo - Ti senti tanto meglio di me, ora che m’hai messo in
cattiva luce? Ti diverte così tanto l’idea di farmi perdere il lavoro, eh? -
Lo vide sgranare
stupidamente le palpebre, come colpito da quelle parole.
- Io non sto cercando di
fare proprio niente, e ora lasciami. -
- Ah sì? E chi l’ha messa
in giro la voce che non sono affidabile, Cristo? - replicò, immediatamente.
L’altro si strinse nelle spalle, ma stavolta sembrò quasi, quasi,
colpevole.
- Non ho
messo in giro voci. - mugugnò, guardando basso, ma subito dopo tornando a
fissarlo negli occhi - Mi hanno chiesto perché
evitassi continuamente, che dovevo fare, inventarmi una stronzata? Dire che non
ti avevo notato? Io ho solo detto la verità, se
qualcuno ha frainteso la responsabilità non è mia! -
Ma si
ascoltava mentre parlava?
Gliene avrebbe volute vomitare addosso di tutti i colori; avrebbe voluto
dirgli a chiare lettere quanto trovasse stupido quel ragionamento e quanto le responsabilità
(stava sinceramente iniziando ad odiare quella parola) gliele avrebbe infilate
in anfratti remoti e oscuri, ma era ormai palese che non era mai stato bravo a
tessere discorsi.
Tirò di nuovo su il pugno
dolorante, stavolta quanto mai intenzionato a colpirlo sul serio — ma non
appena tentò di pendere slancio, una mano si pose con fermezza sul suo
avambraccio.
- Basta, Haizaki. Ora lascialo. -
Sussultò appena quando la
voce del signor Ishihara raggiunse le sue orecchie,
voltandosi quasi spaventato verso di lui. Di tutti i testimoni che aveva
evitato, naturalmente l’unico che sotto sotto preferiva
non vedesse nulla era stato anche il solo a vedere quello spettacolo consumarsi
sotto il suo sguardo.
Kise
approfittò di quell’attimo di stupore per liberarsi finalmente dalla sua presa,
spingendo via Shougo e allontanandosi di qualche
passo. Non disse niente, ma bastava la sua espressione a comunicare tutto il
risentimento e la rabbia per un’aggressione, a suo parere, del tutto
immotivata.
… e in fondo, in effetti,
lo era. Shougo sapeva che Ryouta
non era la causa diretta di quell’impilarsi di problemi, per quanto la sua
influenza fosse comunque innegabile; solo allora si rese conto di quanto le sue
azioni avessero peggiorato le cose, e di come si fosse praticamente
scavato la fossa da solo.
- Capo, io… - non seppe
nemmeno come proseguire, mentre l’uomo gli lasciava il braccio e a malapena lo
degnava d’attenzione. Si diresse verso Kise, serio,
levandosi il cappello e abbozzando un inchino col capo.
- Sono affranto che un mio
dipendente le abbia causato qualsiasi tipo di disagio, in
quanto suo responsabile le chiedo infinitamente perdono. - fece, prima
di rimettersi dritto con la schiena e sospirare, risistemandosi in testa il
berretto dell’uniforme e scrollando le spalle. Sembrò dimenticare ogni
formalità mentre tornava a guardarlo negli occhi, se possibile ancora più serio
di prima.
- … anche se, ragazzo, sai
quanto stravedono per te là dentro, e quanto tengono in considerazione tutto
quello che dici. Magari non è stata colpa tua e non volevi succedesse, ma ‘sta
testa calda qua dietro vuole solo lavorare in pace. Adesso avresti tutto il
diritto di dire quello che vuoi, per carità…. ma penso
che non sia stato carino metterlo così in cattiva luce in primo luogo. Proviamo
a chiudere un occhio, hm? D’ora in poi ci faccio più attenzione pure io. -
Con gli occhi completamente
sgranati, Shougo non sapeva per cosa essere più
sorpreso. Per il fatto cheIshihara
fosse in grado di parlare per più di dieci secondi di fila, forse, o per la sua
sorprendente e del tutto inaspettata capacità di argomentare così bene una
posizione sfavorevole per farla diventare a proprio favore?
… o forse anche solo per il fatto che stava prendendo le sue difese?
L’altro gli
si avvicinò con al solita, rinnovata flemma, appoggiandogli pesantemente una
mano sulla spalla. Tacque, lungamente, abbassando la mano e sfilandogli di
tasca l’altro pacchetto di sigarette,
quello appena acquistato e nemmeno ancora sbustato
che nascondeva per emergenza.
- Ma
ehi… -
- È il minimo. Dopo quei
due, non voglio più parlare con nessuno per una settimana. - borbottò,
accendendosi una sigaretta. I suoi movimenti erano sempre lenti, mortalmente
lenti, ma c’era una nota sottile d’irritazione che a Shougo
era tutta nuova.
- Non so chi è più cretino;
lei che ascolta solo se stessa, lui che non guarda più in là del proprio naso,
o tu che te ne esci a pugni serrati a fare a botte mentre cerco di pararti le
chiappe. - continuò, in quello che sembrava una specie di nervoso, mugugnante
monologo, minaccioso abbastanza da rassomigliare il borbottio dei tuoni di un
temporale in lontananza, ma comunque sufficientemente remoto per non
rappresentare davvero un rischio immediato - Ho
sistemato le cose, là dentro, abbiamo ribaltato persino il magazzino per
assicurarci che non mancasse nulla, e se tutto va bene il biondino non ci
metterà più bocca. Ma fatti beccare un’altra volta a fare a cazzotti e ti
licenzio, eh. -
Non pensava che un tono di
voce così torpido potesse anche incutergli così tanto timore, ma il ragazzo non
riuscì a trattenere il brivido sfacciato che corse lungo la schiena. Niente
più sgarri, l’aveva capito — e anche se
continuava a credere che non fosse colpa sua, persino lui comprendeva che non
era il caso di insistere ancora.
Sospirò, passandosi una
mano dietro la testa. Il vulcano si era finalmente placato e alla furia
dell’eruzione si stava, lentamente, sostituendo la calma che ne conseguiva; ma
a che prezzo? Nonostante le cose si fossero concluse
in suo favore aveva comunque ricevuto il suo primo ammonimento, e anche se il
signor Ishihara aveva parlato con chi di dovere per
sistemare la situazione, era ovvio che là dentro avrebbero comunque continuato
a guardarlo a lungo con una punta di sospetto. Che palle.
- … mi dispiace. -
borbottò, concludendo che forse quella era l’unica
cosa intelligente da poter dire. Non guardò nemmeno il proprio capo negli
occhi, anche se ne sentì lo sguardo addosso.
- Te l’ho detto,
l’importante è che non succeda di nuovo. - lo sentì
replicare, e nella sua voce era fortunatamente tornata la solita, piatta
indifferenza. Annuì, quasi distrattamente, affondando la mano nelle tasche e
recuperando il portafoglio.
Era a malapena passata
l’ora di pranzo, e già quella era riuscita ad avere tutti i presupposti per una
giornata di merda. Non che non fosse abituato a menare le mani, a mettersi nei
casini e quant’altro — ma più ingiustamente gli succedeva, meno aveva
voglia di perseverare nel suo dovere. Ma mollare
proprio adesso sarebbe stata una doppia sconfitta, no? Sarebbe stato come
provare a tutti che allora, davvero, l’unica cosa che
era bravo a fare era essere un incompetente buono a nulla, e l’implicita
scommessa che aveva fatto con se stesso e con chiunque dubitasse del contrario
si sarebbe disintegrata dopo troppo poco tempo per essere anche solo
lontanamente valida.
… anche se, in tutta
sincerità, non era sicuro che fosse unicamente
quell’immaturo e ostinato orgoglio a farlo perseverare. Scorse tra le dita tra
i comparti del portafoglio pieni di cartacce risalenti al paleolitico,
fiducioso, ma quando l’unica cosa che sarebbe dovuta
trovarsi lì non gli saltò all’occhio per poco non gli cascò tutto di mano.
Ishihara
notò quasi subito la sua espressione sconvolta e demotivata, accostandoglisi
con una preoccupazione sottile furbamente celata sotto la solita maschera.
- … oi, tutto bene? - gli
fece, ma quasi Shougo non lo
sentì. Quanto diavolo poteva essere deficiente?! Di
sicuro non era niente di grave, ma in quel momento provava solo il desiderio di
scavare una fossa e nasconderci dentro la testa per tutta l’eternità.
- … ho perso l’ecografia. -
Buonasera!
Per me “l’incubo del
quarto capitolo” è qualcosa che si ripresenta ogni volta che cerco di scrivere
una long, e ammetto che averlo superato mi fa tirare un sospiro
di sollievo. La storia sta per scivolare verso uno dei primi punti di
svolta, e mi sento un tripudio di fiducia e di buoni propositi.
Questo doveva essere
un capitolo transitorio, ma alla fine ho scritto più di quanto credessi. Sarà
che da quando ho smesso di usare word se non per i ritocchi finali, scrivendo
piuttosto su un programma che non mi conta le parole, la mia vita è
notevolmente migliorata… (?)
Spero davvero
tantissimo di riuscire a mantenere un buon ritmo, anche se causa Romics già questa settimana dovrò rallentare <\3 ma in
ogni caso, ancora mille grazie a chiunque stia seguendo questa mia storiella ~
Capitolo 5 *** I won’t mind my own damn business! ***
» 5. I won’tmindmyowndamn
business!
L’aveva cercata ovunque.
Era persino rimasto più tempo del previsto, sotto la guardia del signor Ishihara che si occupava di controllare per lui gli
spostamenti della pazza sclerotica (che, altrimenti, vedendolo chinato a terra
a perlustrare ogni angolo avrebbe di nuovo iniziato ad
urlargli addosso) — ma l’ecografia era sparita, volatilizzatasi nel
nulla, come se non fosse nemmeno mai esistita.
Era rimasto col broncio
fino alla sera, persino quando il capo, probabilmente
intuendo quanto avesse le palle girate in quel momento, si era offerto
di dargli uno strappo fino a casa una volta terminato il turno. Seduto in
silenzio nel posto del passeggero, Shougo guardava
distrattamente le strade iniziare a tingersi delle sfumature del tramonto e le
macchine iniziare ad ingorgare le strade, piene di
persone che dopo essersi spaccate la schiena o essersi fatte il culo quadrato
su una seggiola da ufficio se ne tornavano a casa con il pane che si erano
guadagnati. E dire che pure lui se l’era guadagnato, il pane, per oggi; e dire
che pure lui s’era spaccato la schiena, seppur quel
giorno in particolare avesse rischiato di spaccarla anche a qualcun altro…
però, nonostante questo, non riusciva a non sentirsi un completo fallimento.
Una, una
cosa doveva fare bene. Un singolo foglietto doveva stare attento a non
perdere, quando era più volte stato capace di tenere
nella tasca posteriore dei pantaloni lo stesso scontrino per dieci mesi di
fila; ma naturalmente, era stato capace anche di fallire in un compito così
banalmente semplice. Non importava quanto si ripetesse che non fosse la fine
del mondo, o che sua madre ci avrebbe riso su e gli avrebbe detto di aspettare
la prossima volta: se possibile, anzi, tutto ciò lo faceva arrabbiare ancora di
più, perché riconosceva pure lui di starsi infervorando per una cosa tanto
idiota. Cazzo, neanche col signor Ishihara era stato
troppo chiaro a riguardo, temendo che magari lo prendesse per il culo!
Quella giornata gli stava
dando sempre più presupposti per incazzarsi come una iena. Prima la tizia che
gli sbraitava contro, poi Ryouta, infine la dannata
radiografia… forse era meglio se, una volta tornato a casa, si fosse limitato a
chiudersi nello sgabuzzino che era camera sua e avesse evitato qualsiasi altro
contatto fino al mattino dopo.
- Grazie per lo strappo, eh. - borbottò, quando il furgoncino si fermò davanti al
complesso d’appartamenti tutt’altro che lusinghiero dove viveva con la sua
famiglia. L’altro uomo non disse nulla, o forse si limitò ad augurargli buona
serata con il suo tono ad infrasuoni che non arrivò
neanche a sfiorargli i timpani; Shougo si chiuse il
portellone alle spalle, e con le mani affondate nelle tasche della divisa si
avviò silenziosamente verso l’appartamento. Chissà se avrebbe potuto
permettersi di fare una doccia senza che, chissà, gli si sgretolasse il
pavimento sotto i piedi, o gli cadesse il cesso dell’inquilino del piano di sopra sulla testa? Il fatto che tutte queste sfighe gratuite sarebbero state più che plausibili non fece
che accigliarlo ancora di più, e schioccando la lingua sul palato recuperò le
chiavi di casa nel momento in cui mise piede sul corridoio del suo piano.
Non gli
servì neppure avvicinarsi, che subito sentì una certa commozione di voci
alterate provenire da dietro quella lastra spesa meno di mezzo centimetro che
si spacciava per ‘porta’. Fece roteare gli occhi, arricciando il naso: non
aveva fatto caso alla sua macchina fuori, ma a quanto pare Shinya era già
tornato — e, per giunta, solo per mettere zizzania. Ma non si stufava mai
di litigare, quello? Certo, era l’ultimo che poteva
parlare, testa calda e guerrafondaio qual era, ma persino lui arrivato ad un certo punto preferiva evitare discussioni e starsene
per conto proprio.
Indietreggiò di un passo,
aggrottando le sopracciglia. Non era la prima volta che si trovava in una
situazione del genere, in cui quelle urla lo sconfortavano al punto da
dissuaderlo dal tornarsene finalmente a casa propria. L’aveva già detto,
no? Il suo contributo a quelle discussioni era sempre praticamente
nullo, Shinya non lo reputava responsabile abbastanza da poter infilarsi
in determinate questioni, di conseguenza fare dietrofront e fregarsene era
diventata, per lui, la prassi.
Ma
quella sera non sembrava aver voglia di dar retta alle consuetudini. Si
mordicchiò l’interno della bocca, e si riguadagnò quel passo che si era perso
poco prima: le voci erano confuse, agitate, ma con un
po’ di attenzione riuscì comunque a capire cosa si stavano dicendo.
- Non me ne
può fregare niente se non vuoi, l’hai capito?! Io non lo campo un altro
moccioso, o fai come ti dico io o fai come ti dico io!
-
Shougo
sentì la madre cercare di replicare, ma la sua voce era così rotta dalle
lacrime che neppure capì cosa stesse dicendo. Un qualcosa gli
si attorcigliò in mezzo alla gola, così repentinamente da farlo faticare a
respirare.
- È perché so cosa sei! Sei un’incapace, una deviata, una maledetta
egoista! - Shinya, intanto, non sembrava neppure sul punto di smettere. Come
cazzo riusciva a prendersela così tanto con lei, a non lasciarle tregua nemmeno
nello stato in cui si trovava?
- Tirati su o ti ci porto
di peso, non me ne frega niente. -
- No-… no, Shinya, per
favore… -
- Ho detto di tirarti
su, cazzo, muoviti!-
Haizaki
non fu sicuro di quale fosse stata la goccia che aveva fatto traboccare il
vaso, se quell’urlo, se la voce della donna che continuava a ripetere “No, no,
no” come in una disperata cantilena, o se fosse colpa del rumore che seguì
subito dopo, come se quello stesse davvero cercando di trascinarla via. Non poteva
ancora sapere quale fosse il preciso problema, perché fosse scoppiato quel
litigio e chi fosse nella ragione o nel torto, ma
cazzo, non se ne sarebbe di nuovo stato con le mani in mano. Anche se fosse
stato suo fratello maggiore ad avere ragione, in quel momento si stava
prendendo un po’ troppe libertà.
Si susseguì tutto con una
velocità tale che quasi gli sembrò di star vivendo
quella manciata di secondi in terza persona, come spettatore. La chiave si infilò al primo colpo nella toppa della porta che si aprì
senza sforzo, e fu senza nemmeno chiuderla che Shougo
corse verso i due. Li vide esattamente come aveva immaginato — lei a
terra, con le guance rigate di lacrime, e lui che cerava di tirarla su per un
braccio — ma non si fermò a contemplare la scena: si avventò
immediatamente contro Shinya, cercando di tirarlo via.
- Stai esagerando,
porca puttana, smettila! -
- E tu da dove cazzo esci?! Fatti gli affari tuoi, fanculo! -
Non si aspettava che
avrebbe reagito nell’istante in cui aveva appoggiato le mani sulle sue spalle;
non si aspettava che pur essendo immerso così tanto nello sbraitare come uno
psicopatico avrebbe comunque avuto i riflessi abbastanza pronti da rigirarsi
come una biscia verso di lui e caricargli in faccia il
pugno più forte che avesse ricevuto negli ultimi cinque o sei anni.
Fu piuttosto sicuro che il
cervello gli si spense per una manciata di secondi
mentre, per colpa del contraccolpo, andava a sbattere pesantemente sul muro
dietro di loro e contro di esso si accasciava a terra, la mano che d’istinto
aveva lasciato la presa per difendere inutilmente la parte già colpita. Non
aveva idea di cosa fosse successo in quel lasso di tempo
in cui tutte le sue percezioni erano andate completamente in blackout, ma a
quanto pare quando riprese conoscenza al 100% la lite era già sfumata.
Aprì gli occhi, o meglio,
aprì l’occhio su cui non si era abbattuta
l’inspiegabile furia di Shinya, soffiando per il dolore acuto che sentiva
diramarsi in tutta la parte destra del viso. Stava cercando di ammazzarmi?, pensò, facendo
vagare lo sguardo: suo fratello non sembrava essere rimasto lì, ma la donna era
ancora a terra, seduta sulle proprie ginocchia e col capo chino, mentre con una
mano cercava di coprire i singhiozzi che ancora la scuotevano.
… che razza di scena
patetica. Era chiaro come il sole quanto, tra i due, non corresse buon sangue,
quanto rancore scorresse nelle vene di Shinya e quanto ogni pretesto fosse
buono per urlarle addosso, ma davvero si sentiva fiero di se stesso quando
riusciva a ridurla in quello stato? Davvero non provava neanche una punta di
rimorso nell’arrivare a litigi così estremi?
Staccò le spalle dal muro, avvicinandolesi in silenzio. Cos’avrebbe dovuto fare?
Consolarla, fare finta di niente, andare alla ricerca di quell’altro? Confuso
da tutte quelle opportunità allungò una mano verso di lei, sfiorandole una
spalla, ma non si aspettava certo di vederla sussultare e voltarsi spaventata
in sua direzione. Alzò le mani, sgranando gli occhi.
- Tranquilla, ma’, sono io.
- la rassicurò senza nemmeno pensarci, accostandosi a lei. Quella reazione da
dove diavolo arrivava? Aggrottò le sopracciglia, inquieto:
magari non le aveva messo le mani addosso, ma sicuramente doveva essere
sembrato del tutto intenzionato a farlo. Che cazzo gli passava per la testa? La
scarsa pazienza era qualcosa che era plausibile venisse
ereditata di figlio maschio in figlio maschio, in quella genia, ma a quel punto
nessuno dei due ci era mai arrivato — o almeno, per quanto a volte fosse
proprio una deficiente, mai nemmeno una volta Shougo
aveva pensato di picchiare sua madre!
La quale, per altro, non
aveva smesso per un attimo di essere scossa dai singhiozzi. Non poteva vederne
il viso, coperto dalle lunghe ciocche di capelli che quasi la proteggevano da
qualsiasi sguardo, ma bastò il suono sommesso di quel
pianto a farlo sentire fortemente a disagio. Ancora, cosa diavolo
avrebbe dovuto fare, quale sarebbe stata la giusta reazione? Sollevò una mano,
un po’ titubante, provando a sfregarla sulla schiena della donna.
… e quella situazione
rimase statica per quelle che a lui parvero ore. Non sapendo cosa dire, era
rimasto così fino a che non era stata l’altra a riprendere la parola, facendosi
uscire a fatica la voce impastata dal pianto.
- … perché fa così? -
- Eh? - naturalmente, colto
totalmente di sorpresa in mezzo a quel silenzio, Shougo
mancò completamente di recepire quella frase. Bravo
cretino, pensò, malmenandosi mentalmente; quello era proprio l’ultimo
momento in cui doveva non prestare attenzione!
- Non capisco… perché la sta prendendo così male?
Perché mi deve trattare così? - purtroppo o per fortuna neanche sua madre
sembrava troppo recettiva nei confronti del mondo che la circondava,
trasformando quella che ormai si poteva ben catalogare come domanda retorica in desolato monologo
- Lo so che non sono mai stata una buona madre, lo so… ma davvero fino ad ora
tutto quello che ha provato nei miei confronti è stato
odio? Io non capisco,Shougo…
-
E, in tutta onestà, neanche luicapiva. L’aveva
detto e l’aveva ripetuto, un buon carattere era l’ultima cosa che scorreva nel
sangue degli Haizaki, ma quell’escalation di isteria era l’ultima cosa che si aspettava da parte sua.
Non era lui quello perennemente responsabile,
l’unico portatore della fiamma della morale in una casa di
sciagurati? Possibile che fosse così stressato dal lavoro, dalla frenesia della
sua routine, che alla fine era totalmente esploso?
- … è diventato un po' testa di cazzo, magari gli
passa. -
L'aveva pensata un tantino diversa
da così, ma il succo era comunque quello. Lei, d'altronde, evitò nuovamente di
soppesare quell'affermazione, passandosi invano le mani sul viso nel tentativo
irrazionale di restituirsi una parvenza di dignità.
- E se fosse lui ad avere ragione? - guaì, con un
filo di voce. Le mani erano lentamente scivolate verso il basso, premendosi sul
ventre in un moto inconsciamente protettivo, e al ragazzo quel gesto non passò
inosservato. Si corresse: il nodo che sentiva prima alla gola, a confronto, non
era niente rispetto a quel che sentiva adesso, appesantito da un presentimento
a dir poco insopportabile
- In effetti, perché avete discusso così forte?
– si dovette sforzare per tirare fuori quella domanda, quasi temendo di
star andando a gettare manciate di sale su una ferita che vedeva come
palesemente scoperta. Era tutto così strano, per lui — tutti quei
sentimenti di preoccupazione, di incertezza e pure di
rabbia non gli erano mai appartenuti con quell'intensità, e ogni passo che
faceva per assecondarli era come avanzare in un bosco buio del quale non vedeva
l'uscita. Era davvero sempre stato così difficile avere a che fare col resto
degli esseri umani? Per quante emozioni, fino a quel momento, aveva provato
solo un surrogato, un’imitazione? E soprattutto, doveva servire una situazione
così all’estremo per fargliene rendere conto?
Ma non
era oggettivamente il momento di soffermarsi sulle proprie seghe mentali.
Finalmente l’altra si era voltata verso di lui, insistendo per cercare il suo
sguardo: ora più che mai, doveva sforzarsi di ostentare sicurezza.
- … racconto tutto-tutto? -
- Racconti quel che ti senti di raccontare,
ma’. Tranquilla che il revolver alla tempia non te lo punto. -
Si sentì segretamente fiero di riuscire a
strapparle un sorriso, tacendo nel lasciarle il tempo di radunare le idee e
finalmente prendere parola.
- In realtà era tranquillo quando è tornato a casa.
Non pensavo neppure ci fosse il tempo di litigare, contando che tra poco
attacca con l'altro lavoro… - non era per niente facile seguire le sue parole.
Si sistemava i capelli, gesticolava, si passava le
dita sul vestito per dipanarne le pieghe… forse non se ne rendeva conto, ma che
stesse provando di sviare l’attenzione dal suo discorso? Fu la prima idea che gli balenò in testa, e Shougo fece
appello a tutta la sua poca costanza per non perdersi neanche una
parola.
- … e? -
- E quindi ne ho approfittato anche per parlargli
di una cosa un po' spiacevole. Magari in mezzo alla fretta ci si sarebbe
soffermato meno… -
- Alt. Quanto spiacevole. -
- U-un po’… -
- Ok, ma un po' quanto. -
Finalmente smise di gesticolare, facendo riposare
le dita sulle gambe. Allora stava cercando davvero di deviare la sua
attenzione? Cosa diavolo aveva combinato, stavolta? Haizaki
sollevò il sopracciglio sinistro, per il quale aveva ancora un minimo di
sensibilità, ma non commentò.
- … in realtà piuttosto grave, perché non me la
spiego. Ti ricordi che ho promesso di vendere alcune delle mie cose, no? Avevo…
preparato una pelliccia che non avevo mai indossato, completamente nuova, e col
ricavato avrei tolto dalle spalle di Shinya un bel po' di peso. - sospirò - …
ma è sparita. Ho completamente rovesciato l’armadio, guardato ovunque… e non è
uscita da nessuna parte. Quando gli ho detto che non la stavo più trovando si è
fatto tutto scuro in viso, ma non ha detto niente, quindi pensavo che andasse
bene così. Il… il peggio è arrivato dopo. -
Se mentre ricostruiva quel
breve racconto sembrava essersi calmata, fu a quel
punto che si irrigidì di nuovo, stringendosi nelle proprie braccia come alla
ricerca di una qualsiasi protezione. Non sembrava una donna di trentacinque
anni e poco più, sembrava più che altro una ragazzina indifesa, nel disperato
tentativo di negare a se stessa qualcosa di tanto spiacevole e impensabile da non
voler neppure riconoscerne l’esistenza.
- Ha detto che sarebbe
entrato a lavoro più tardi perché aveva un appuntamento importante a cui dovevo venire anche io. - mormorò, abbassando di nuovo
la testa. La mano di Shougo era rimasta poggiata
sulla sua schiena, e non mancò di sentirla tornare a fremere sotto di essa.
Deglutì, sentendo la
tensione tornare di nuovo tagliente e insostenibile: purtroppo, stava già
iniziando ad intuire dove quel discorso stesse per
andare a parare.
- Che poi, dopotutto è
positivo che ci sia la possibilità di ricorrere a certe procedure in modo
sicuro, no? Anche se sono tutte cliniche private e costose che lo fanno di
nascosto… - proseguì, stringendosi ancora di più su se stessa: le dita,
ancorate alle proprie braccia, tremavano disperate, tentando di appigliarsi
sulla stoffa di un vestito che sembrava essere diventato il suo unico scudo - …
ma non volevo sentirlo parlare di come avesse trovato qualcuno disposto a stare
dietro al mio caso, di come sarebbe stata un’operazione brevissima, di come finanziare uno sbagliogli sarebbe costato mille volte in più che pagare sotto banco un dottore
per un ab… -
Fu in quel momento che la
sua voce, sempre più barcollante, si ruppe di nuovo, spezzata da un singulto
incontenibile. Non poteva vederla con chiarezza, visto che
i capelli le coprivano il viso, ma non gli ci volle molto a Shougo
a capire che sua madre avesse ricominciato a piangere.
E poteva in qualche modo
biasimarla? Non importava che aggiungesse altro a quella storia: da una parte
poteva essere plausibile che Shinya mettesse le mani avanti, ma non aveva
nessun diritto di imporle in quel modo una simile decisione. Aveva
potere su tante cose, là dentro; l’aveva sempre visto anche dal difuori delle bolle
in cui soleva chiudere i loro abituali litigi, ma non era sul corpo di sua
madre che poteva permettersi di mettere bocca. Persino lui arrivava ad un concetto tanto elementare!
- Razza di stronzo… -
soffiò tra i denti stretti, coperto da quel pianto sommesso che si era intanto
sovrapposto nuovamente a qualsiasi altro rumore. Tanto il nodo alla gola quanto
il dolore all’occhio colpito prima stavano svanendo,
lasciando tutto lo spazio rimasto ad una rabbia rampante che non vedeva l’ora
di sfogare su quel deficiente. Magari se gli avesse fatto sbattere la testa
abbastanza forte sarebbe tornato coi piedi per terra!
Tanto, se aveva un permesso per entrare più tardi a lavoro, magari era ancora
nei dintorni.
Fece per alzarsi, ma una
mano tremolante interruppe il suo impeto. Guardò verso il basso, verso quelle
dita esili aggrappate ai propri pantaloni, e per qualche motivo sentì una punta
di senso di colpa condannarlo di nuovo a scivolare
silenziosamente sul pavimento: qualsiasi cosa si meritasse suo fratello, adesso
non era lui la priorità. Se se ne fosse andato senza
calmare la donna al suo fianco, alla fine, se ne sarebbe pentito e basta.
- … che c’è? -
- Io non voglio che tu te
la prenda con lui per quello che ti ho raccontato. - sussurrò lei, lasciando la
presa. Si passò le mani sugli occhi, tirando su col naso - … ha tutto il
diritto di odiarmi, di trovarmi una persona degenere. Ha tutto il diritto anche
di… credermi un’irresponsabile, perché chiaramente se non
riesco a tenere di conto ad una pelliccia, allora pure un bambino per me
dovrebbe essere fuori discussione.
… ma
è vero che ora voglio fare di meglio, ok? Quando ho avuto lui, e poco dopo ho
avuto te, ero tanto più giovane e tanto più stupida. -
sorrise, passandosi una mano tra i capelli, mentre l’altra tornava a riposare
gentile sul basso ventre - … ma posso, almeno, provare a riscattarmi senza
farci rimettere chi di colpe non ne ha? -
Per ovvi motivi, Shougo non aveva idea di quale fosse stata, in passato,
l’attitudine di sua madre nei confronti delle proprie gravidanze. Non sapeva se
quelle promesse fossero già uscite dalla sua bocca, o se valesse davvero la
pena di fidarsi quando, in tutta sincerità, non conosceva nei dettagli il suo
impegno al mantenimento di quella casa e di quella famiglia, avendo sempre solo
ascoltato la versione dei fatti data da Shinya senza che questi permettesse a
sua madre di ribattere in alcun modo.
E se, fino a quel momento,
la visione che aveva avuto di lei fosse stata dettata da parametri totalmente
sballati? Se davvero, in fondo, lei avesse sempre cercato di riscattarsi
per la sua innegabile assenza durante gli anni più giovani della loro
esistenza, ma il ‘padrone di casa’
l’avesse sempre e solo giudicata secondo i propri standard?
- Ma’, posso chiederti una
cosa? - avanzò, quasi senza pensarci. Sentiva bisogno di chiarimenti, ma non
aveva una vera e propria domanda da formularle, motivo per
cui si maledisse interiormente quando quella si limitò ad annuire col
capo senza lasciargli neanche un secondo per pensare. Si morse l’interno della
bocca, facendo mente locale.
- … è vero quando Shinya
dice che non fai niente per mandare avanti la famiglia, o è solo un drammatico
cazzone? -
In tutta risposta l’altra,
finalmente, rise sommessamente, evitando ancora di ammonirlo per quelle parole.
- È vero che fino ad ora ho
fatto troppo affidamento su di lui, soprattutto per quel che riguarda te; ed è
vero anche che spendo molti soldi per mantenermi. - replicò con sincerità, dopo
un breve attimo di pausa - Ma sai, l’affitto non si
paga da solo, e le bollette nemmeno. Faccio quello che posso. -
Quand’è che le cose
avrebbero smesso di ribaltarglisi in modo tanto rocambolesco davanti agli
occhi?
Shougo
sgranò sorpreso le palpebre, rendendosi definitivamente conto che tutto ciò che
aveva creduto fino a quel momento — la completa inutilità di sua madre,
la fondamentale e unica importanza di Shinya per tutti gli aspetti di
quella casa — erano, in effetti, distorsioni
dettate dal suo perpetuo e caratteristico disinteresse. A maggior ragione,
adesso, quell’idiota di suo fratello doveva rendersi conto di aver superato
linee che non doveva nemmeno permettersi di sfiorare.
- Vado a vedere se
quell’imbecille è ancora qui intorno. - dichiarò, alzandosi nuovamente in
piedi. Sentiva l’occhio dolere al solo pensiero di una nuova rissa, rendendosi
conto quasi solo in quel momento che la palpebra si stava gonfiando al punto da
sbarrargli la visuale, ma mai nella vita HaizakiShougo si era lasciato fermare da un paio di lividi.
Occhieggiò sua madre fare
altrettanto, sistemandosi il vestito sulle gambe mentre si liberava da quella
posizione rassegnata e sottomessa. Le era passata? Probabilmente no, ma era
chiaro che stesse infinitamente meglio rispetto a prima, e che non avesse
intenzione di lasciarsi abbattere oltre.
Era forte, quella donna. E
si pentiva amaramente di starlo notando solo adesso.
- E
io devo prepararmi, che anche stasera si lavora. - commentò, guardando verso di
lui - … prometti che almeno proverai a non alzare le mani? -
- Io ci provo pure, ma non
garantisco né per me né per lui. -
Non sapeva se fosse fortuna
o sfortuna, la sua, mentre individuava la sagoma del fratello maggiore
appoggiata contro lo scooter che usava per le consegne del suo secondo lavoro.
Era rimasto a fissarlo in silenzio mentre l’oscura penombra gli conferiva la
giusta protezione, contando e ricontando molte, troppe volte fino a
dieci prima di trovare il coraggio di avvicinarglisi. La
cosa non gli faceva onore, soprattutto considerando quel che aveva appena
giurato — ma più stava là fuori, più il tempo passava, più il dolore
della botta tornava a farsi sentire implacabile sulla sua faccia.
Deglutì, decidendo
finalmente di uscire allo scoperto: non badò troppo alla sua fretta di
nascondere in tasca il cellulare su cui stava tenendo così fissi gli occhi da
accorgersi a malapena del suo arrivo, affrontandolo sfacciatamente e a muso
duro così come era tanto bravo a fare.
- Mi fa piacere che una
volta tanto non abbia dato la colpa a me per qualcosa
che in casa sparisce, ma cazzo, se deve essere questo lo step successivo tanto vale che ci spari direttamente un
colpo in testa e festa finta. - ringhiò, Shougo, le
dita già dolorosamente strette in una coppia di pugni pronti a colpire. Era più
che giustificato a tenersi pronto: l’occhiataccia di Shinya fu tutto meno che rassicurante, mentre lento incombeva su di
lui con aria minacciosa.
- E a te da quando in qua
frega qualcosa? - replicò quello, aggrottando le sopracciglia - Ci mancava
altro che ci mettessi il naso pure tu. Levati dai piedi ora, o l’occhio
nero sarà l’ultimo dei tuoi problemi. -
Altra deglutizione a vuoto.
Sapeva quanto quell’idiota fosse capace di essere
inutilmente prolisso, ma c’era una lezione che aveva imparato molto presto: le
sue minacce non erano mai del tutto infondate. La tensione nell’aria
stava diventando sempre più insopportabile, e in tutta onestà il più giovane
non aveva la più pallida idea di come uscire incolume da quella situazione. Che
poi, cosa pensava di risolvere? Perché gettarsi nella gola del lupo proprio
dopo averlo visto inseguire e quasi sbranare un’altra preda? In quel breve lasso di tempo iniziò a pentirsi e maledirsi per ogni
singola scelta di vita, quasi dimenticandosi di dover elaborare una risposta.
Se non altro, non aveva
distolto lo sguardo nemmeno per un secondo, rifiutandosi di regalargli anche
questo vantaggio.
- Ti lamenti di continuo
che non mi interesso di niente, e ora mi dici di
fregarmene? Ma vaffanculo! - non
fu un’esclamazione eccessivamente elaborata, ma fu senz’altro liberatoria.
Shinya non pareva aspettarsela, ma il suo stupore durò un momento — il
tempo necessario a slanciare la mano e stringerla attorno al colletto della
t-shirt del fratello.
- Cosa
pensi che possa portare il tuo interesse? A cosa pensi che serva, adesso?! - sibilò, e Shougo sentì ogni
lettera venirgli pressoché sputata sul viso - Non
credere che col tuo lavoretto da tre soldi tu possa portare un cambiamento, la responsabilità
di tutto continuerà ad essere sulle mie spalle. -
Dio, quella parola.
Quella fottutissima,
insopportabile parola. Non aveva intenzione di urlare o di ribellarsi troppo,
di far affacciare la gente alle finestre e di dare spettacolo, ma se così
doveva essere non si sarebbe trattenuto. Non attese
neanche di sentirlo finire, spalancando la bocca e riempiendosi i polmoni
d’aria.
- Ma cacciatele nel culo le responsabilità! - sbraitò, divincolandosi dalla sua
presa - Parli, parli, ti senti tanto più importante di
me, di lei, e fai il martire manco ‘sto bambino dovessi partorirlo tu!
Ma ti dai una calmata?! -
- Non è qualcosa che puoi
capire, fatti gli affari tuoi. -
- E allora se sei tanto bravo fammi capire, cazzo! - le parole scivolavano dalla sua
bocca una dopo l’altra, ormai senza controllo. Erano i momenti più pericolosi,
quelli in cui cose che forse non avrebbe dovuto dire
sarebbero state dette comunque; ma ora come ora non aveva intenzione di
prestare così tanta attenzione ai formalismi - Non mi farò gli affari miei
finché non smetterà di sentirti così dannatamente indispensabile! -
E questo era esattamente ciò che avrebbe dovuto evitare. Si morse la
lingua nel momento esattamente successivo, ma ormai era troppo tardi: era
fortemente, profondamente convinto che Shinya stesse sopravvalutando
eccessivamente il suo ruolo in quella famiglia, ma questo non voleva dire che
fosse comunque necessario. Vide distintamente il sogghigno beffardo
stamparsi sulla sua faccia, mentre si chinava, minaccioso, verso di lui.
- Ma
allora mi sembra che sia tu, qui, quello tanto bravo. - commentò,
sbuffando divertito. Era raro, terribilmente raro che Shougo si sentisse così prepotentemente con le spalle al
muro, ma sebbene Shinya gli stesse solamente parlando era come se ogni parola
fosse una lama.
- Vai, prova ad occuparti tu di mamma e di nostro fratello, vogliamo
scommettere che te ne tornerai strisciando a chiedere scusa? -
- Dovrai passare sul mio
cadavere, prima di vedermi strisciare… - soffiò Shougo,
ma nella realtà avrebbe voluto prendere tutti gli appunti mentali con su scritto pensa prima di parlare, idiota e
cacciarseli in gola. Aveva fatto una sonora cazzata, ma era troppo stupidamente
orgoglioso per tirarsi indietro proprio adesso.
Non aggiunse altro prima di
troncare bruscamente quella discussione, voltandogli le spalle e ritornando
verso casa: lo sentì vagamente borbottare qualcosa
dietro di sé, schioccando la lingua con fare scocciato, ma se non altro riuscì
a non dargli corda.
Anche volendo, era troppo
occupato a pensare alle conseguenze di quella scommessa per mettersi di nuovo a
litigare.
Buonasera!
Penso si sia messo DI TUTTO tra me e la stesura di questo capitolo: prima Romics, poi l’uni, poi i test a
sorpresa, poi i preparativi per Lucca… it ain’t easy being Rea ;__;
Comunque, in un modo
o nell’altro adesso il periodo è più stabile, e spero di non cedere alla
tentazione di pubblicare un capitolo al mese. Tengo
troppo a quest storia per lasciarla morire!
Purtroppo in mezzo a
tutto questo le mie mani hanno fatto in tempo ad arrugginirsi, quindi tante
cose, soprattutto nella parte centrale, non sono uscite come volevo. Spero vi
piaccia lo stesso… !
In ogni caso, al solito grazie per le letture e le recensioni, siete tutti
gentilissimi e spero di potervi intrattenere ancora per molto m(_ _)m alla prossima!
Capitolo 6 *** Please don’t get the wrong idea ***
» 6. Pleasedon’tget the wrong idea
- Pronto… ? -
Era stato una specie di
riflesso incondizionato dettato dal dormiveglia quello di allungare la mano
verso il telefono squillante e avvicinarselo all’orecchio, scorrendo pigramente
il dito sullo schermo luminoso.
Che diavolo di ore erano? Non era sicuro di aver già sentito la sveglia che
prontamente ignorava mattina dopo mattina, ma era decisamente
troppo pigro per aprire gli occhi e controllare. Tch…
era persino troppo pigro per insultare il misterioso
interlocutore, figurarsi se avrebbe avuto lo sbatti di girarsi
dall’altra parte e guardare l’orario!
- Ehi, Haizaki.
Sono Ishihara. -
Il sangue gli si gelò nelle vene, mentre di scatto sollevava la
schiena e spalancava gli occhi — o almeno, ne spalancava uno solo,
l’altro ancora decisamente turbato dal pugno che Shinya gli aveva riservato la
sera prima. Il sonno svanì così rapidamente che gli sarebbe sembrato d’essere
l’uomo più riposato del mondo, se solo l’ansia che quella voce gli aveva
indotto non fosse stata così asfissiantemente pressante.
- D-dica. - balbettò,
stilando una lista mentale di tutti i motivi per cui poteva averlo chiamato la
mattina così presto in un giorno in cui, per altro, non avrebbe dovuto
lavorare: sarebbe potuta essere una chiamata innocente, magari per uno
spostamento orario o per un promemoria, ma tutto ciò
che Shougo sentiva era la puzza affumicata della
propria immane coda di paglia che bruciava come un caminetto in pieno inverno. Cosa aveva fatto, stavolta? Gli aveva forse fatto
qualche sgarroche adesso non
ricordava; aveva preso in prestito qualcosa senza più restituirlo? O
forse dopo una nottata di riposo aveva cambiato idea riguardo agli avvenimenti
del pomeriggio precedente? Iniziò a tormentare con la mano libera la coperta
spiegazzata, maledicendo la solita flemma che rendeva l’attesa ancor più
insopportabile.
- Sei impegnato oggi? Dico,
da… tra un’ora e mezzo in poi. L’altro ragazzo che faceva il part time si è
licenziato ieri sera e per oggi non ho altri a cui
chiedere. Ovvio che te la pagherei come giornata full time. -
Incredulo si stropicciò gli
occhi per comprendere se stesse ancora sognando o meno,
maledicendosi l’attimo immediatamente successivo per il dolore acuto che gli
perforò l’orbita destra. Imbecille.
… d’altronde, bastò quello
stimolo a convincerlo che era più sveglio che mai, e che quella proposta aveva
davvero raggiunto le sue orecchie: un rush di esaltazione improvvisa lo riempì di un entusiasmo inspiegabile e quasi fuori luogo,
che riversò interamente nella cornetta che teneva attaccata all’orecchio.
- Nessun impegno, capo, mi
vesto e arrivo! -
- … e la scuola? -
Attimo di gelo. Si morse
l’interno della bocca, spiaccicando la mano verso la sveglia che stava
puntualmente per iniziare a ricordargli che sì, effettivamente c’erano altri
impegni a cui avrebbe dovuto rendere di conto; impegni
che purtroppo non si era scelto per conto proprio, ma che se avesse saltato
avrebbero plausibilmente avuto conseguenze catastrofiche (prima tra tutte, pure
l’altro occhio nero e una serie di fratture varie sparse per il corpo). Ma era anche vero che di questi impegni, così come di queste
previsioni, gliene importava relativamente: sentiva di non potersi lasciar
sfuggire un’occasione del genere, e ogni dubbio svanì temporaneamente come neve
al sole.
- … oggi non ce l’ho. -
- Hm.
- non parve particolarmente convinto, ma neppure provò a domandare oltre. Si
limitò a congedarsi rapidamente, ricordandogli l’orario, e nell’esatto momento
in cui Shougo poggiò il cellulare si liberò dal
bozzolo di coperte per correre verso il bagno.
La carezza che l’acqua
gelida rivolse al suo viso ancora intorpidito dal sonno non fu certo delle più
gentili — alzò lo sguardo verso lo specchio, quasi vergognandosi che la
sua stessa immagine riflessa lo stesse guardando mentre in mezzo alla frenesia
di quei momenti si dimenticava persino di far scaldare il getto d’acqua,
controllando le effettive condizioni del proprio volto.
Se la sera prima ricordava
solo un gonfiore un po’ preoccupante, dopo averci dormito su non solo a partire dall’occhio si era espansa una tonalità violacea
non esattamente sana, ma la palpebra tumefatta faticava pure ad aprirsi
correttamente, lasciandolo con l’occhio a mezz’asta come un perfetto imbecille.
Ungrazie, Shinya, e fanculo risuonò nella sua
testa, mentre tentava con approssimata cautela di spalancare le palpebre con le
dita: faceva un male allucinante, ma se non altro l’occhio sotto sembrava
ancora vigile e funzionale: “Se ancora vedi, senti e riesci a muoverti non c’è
bisogno di allarmarti e nemmeno di far perdere tempo ad un dottore”, questo era
finito per insegnargli suo fratello maggiore al termine di ogni (purtroppo
frequente) litigio, e — naturalmente — una dritta del genere era
arrivata ad incollarsi indelebilmente sopra ogni altra nota destinata a se
stesso. Era un motto spartano a dire poco, ma vista la frequenza delle loro
risse era anche una specie di filosofia a cui non era
mai riuscito a sottrarsi in ogni ambito della propria vita: finché riusciva a
reggersi sulle proprie gambe, Shougo non si sarebbe
mai fatto “aiutare” da qualcun altro in quelle questioni che mettevano di mezzo
il proprio orgoglio. Le rare volte in cui era successo si erano create in lui
scalfitture più profonde e fastidiose di quanto mai avrebbe
creduto, motivo per cui anche stavolta era più che mai determinato a
dimostrargli con insistente arroganza di poter essere in grado di muoversi da
solo, senza il bisogno del suo aiuto, senza che le sue sfide lo mettessero a
disagio.
Era
per quello che era stato così entusiasta di accettare il lavoro
di Ishihara, per quanto sapesse bene di che razza di
rottura si trattasse. Se non c’era nessun altro a fare il part-time poteva solo
significare che quel posto era libero, e se quel posto era libero
avrebbe potuto tentare di calcare la mano per farsi assumere secondo un
contratto che ricordasse anche solo lontanamente un impiego serio: avrebbe
fatto vedere a quell’idiota che non avrebbe avuto bisogno delle sue lamentele
per aiutare a trascinare avanti quella catapecchia, e che in un modo o
nell’altro persino HaizakiShougo
era capace di organizzarsi per giungere a un qualsivoglia obiettivo. Se l’era
dimostrato nei giorni passati, compiendo come unico errore quello di scendere
quasi alle mani con quel maledetto biondino, ma per il resto attenendosi ai
suoi doveri e alla sua scaletta senza lasciare che nessuno lo distraesse,
nemmeno la scuola… !
Un sobbalzo lieve lo
scosse, facendolo sudare freddo. Già, la scuola: se da una parte era
vero che la sua routine ben poco emozionante se non per qualche picco di adrenalina
disperso qua e là tra un’uscita serata e l’altra rappresentava uno scarso
ostacolo per la sua carriera, dall’altra l’obbligo scolastico era quella
stupida costante che ancora lo ancorava non solo all’incapacità di fare davvero
quel che voleva, ma più in generale lo ancorava a Shinya stesso. Quante
volte gli aveva sbattuto in faccia la propria responsabilità nel
dovergli pagare le spese scolastiche e tutto quanto? Se avesse mollato tutto
senza dire nulla, se quello si fosse reso conto che i soldi che spendeva per la sua istruzione era più o meno come se se ne
andassero nel tritarifiuti, quante mazzate gli avrebbe dedicato?
Schioccò la lingua sul
palato, aggrottando le sopracciglia e recuperando la propria uniforme da lavoro.
Ci avrebbe pensato a tempo debito, adesso tanto la scuola
quanto Shinya figuravano all’ultimo posto delle cose su cui avrebbe
voluto ragionare.
- Che poi, perché dovrebbe
arrabbiarsi? - soffiò tra sé e sé, irritato - … non sarebbe altro che una spesa
in meno, per lui. -
- Buongiorno e scusa ancora
per il breve preavvis-… santo
cielo, Haizaki, che diavolo è successo? -
Doveva ammettere che la
prima parte del discorso era arrivata con un po’ di difficoltà alle sue
orecchie, ma quell’esclamazione di sorpresa fu forse una delle cose che gli sentì dire più chiaramente da quando lo conosceva. In un
breve attimo di confusione si guardò intorno,
perplesso, come a cercare la causa di quel clamore, solo per rendersi conto che
in effetti lui non aveva ancora fatto conoscenza con i risultati più evidenti
di una delle attività che molto prima di qualche tempo a quella parte occupava
praticamente tutte le sue serate: tornare a casa col viso tumefatto e
conseguentemente andarci pure a scuola, beccandosi occhiatacce di professori e
compagni, ormai per lui era la routine — tanto che quello sguardo
palesemente preoccupato lo confondeva, se non addirittura metteva vagamente a
disagio.
- Niente, sono andato a
sbattere contro una porta, stanotte… - borbottò, calandosi sugli occhi il
cappello della divisa. Perché aveva sentito il bisogno di mentire, poi? Per una
volta tanto non ce ne sarebbe stato neanche bisogno: non che si fosse menato
con qualcuno di cui nemmeno ricordava la faccia e per motivi totalmente futili…
o meglio, il motivo di quel maledetto cazzotto ancora
non l’aveva capito, ma era comunque di suo fratello che stava parlando!
Tirò un’occhiata vaga
all’espressione tutt’altro che convinta che l’altro gli rivolse, distogliendo
immediatamente lo sguardo. Già si stava pentendo di aver celato la verità:
perché gli risultava così difficile raccontare
stronzate davanti a lui?
- … una porta. - lo sentì inquisire semplicemente, con quel suo tono
palesemente poco convinto.
- … una porta molto solida,
che le devo dire. - borbottò in imbronciata risposta, cacciandosi le mani in
tasca e incurvandosi un po’ in avanti. Voglia di approfondire il discorso, di
certo, non ne aveva — ma la cosa non parve fermare l’altro uomo, che dopo
un lungo sospiro gli fece un cenno con la mano.
- Fattelo almeno sistemare,
che se ti vedono con quel livido si prendono uno spavento. - mugugnò col solito
tono vago e solo leggermente comprensibile, dapprima aspettandosi che Shougo lo raggiungesse, per poi subito dopo afferrarlo per
il braccio e costringerlo a sedere sull’unica sedia di quel minuscolo ufficio:
era chiaramente più esile, più basso e molto meno forte di lui, ma preso alla
sprovvista Haizaki non poté che obbedire in silenzio,
guardandolo da quella nuova prospettiva con una punta di curiosità mista a
sorpresa. Lo vide indaffararsi per recuperare chissà
cosa in una cassettiera, per poi spostarsi in quella immediatamente accanto e
tornare, infine, a quella di prima, estraendone una cassetta del pronto
soccorso con un sorriso infantilmente vittorioso che non durò più di una frazione
di secondo. Gli venne spontaneo ritrarsi col capo quando lo vide avvicinarsi
con le dita impregnate di qualcosa di estraneo, ma la mano che si piazzò sulla
sua testa con la stessa delicatezza con cui un rapace stringe un topolino prima
di spappolarlo su una roccia gli imperò in modo tanto implicito quanto
mortalmente chiaro di non muoversi.
- Ahia-… - si concesse
comunque di lamentarsi, mentre il dito di prima spalmava una pomata gelida su
tutta l’area del livido. Se non altro, Ishihara mollò
presto la presa, lasciando per qualche secondo Shougo
del tutto incustodito: lo sguardo monoculare del ragazzo vagò per qualche
secondo, posandosi distrattamente sulla cassetta traboccante di qualsiasi mezzo
di basilare e prima medicazione. Com’è che un’attività come quella del signor Ishihara poteva vantare un’attrezzatura simile, mentre in
casa sua non aveva praticamente mai visto nulla del
genere? Dubitava fortemente, d’altronde, che in quel contesto
la gente fosse prona a scendere alle mani come unico mezzo di confronto
reciproco!
- … dovrebbe servire a me,
quella. - borbottò di soprappensiero, aggrottando le sopracciglia.
- Eh? -
- Dico,
una cosa del genere dovrei tenerla in casa io. A cosa serve tenere tutta ‘sta
roba in questo buco? -
L’uomo lo
guardò con una punta di perplessità, tornando verso di lui con un paio di
occhiali da sole in mano. Glieli inforcò con calma, prima di rispondergli,
sistemandogli bene sul viso cosicché l’alone violaceo che gli decorava la
faccia non fosse, almeno a colpo d’occhio, più di tanto visibile — e solo
allora si decise ad aprir bocca.
- Direttive aziendali, uno.
- Shougo tentò di sistemarsi autonomamente gli
occhiali, ma un lieve colpo sulla mano dato col tubetto di crema lo dissuase da
quell’obiettivo - Due, qui può capitare di andare a sbattere contro porte vere.
-
Lo
sentì porre l’accento con tutta la sua (poca) forza vocale su quell’ultima
parola, e una specie di fastidioso senso di colpa si fece strada in lui. Era
così facile sgamare le sue bugie? Fingersi persona responsabile
lo stava rammollendo così tanto?
Si imbronciò,
sentendo Ishihara sospirare.
- Non è che io voglia
ficcare a tutti i costi il naso nei tuoi affari. - gli
fece, scuotendo il capo - Ma se c’è qualcuno, in casa o anche fuori, che tende
a metterti le mani addosso… -
- Che, si sta davvero
preoccupando per me? - gli venne spontaneo interromperlo in quel modo, con un
tono beffardo ma anche divertito che permeò immediatamente la sua voce. Che
razza di idee si stava facendo venire in testa? Per
lui era normale scivolare pure troppo frequentemente in risse anche violente,
se suo fratello di tanto in tanto alzava i pugni contro di lui
poteva solo essere normale, no?
… perché un po’ tutti i
fratelli maschi tendevano a litigare in quella maniera, vero?
Un dubbio che non aveva mai
soppesato si instillò nella sua mente, mentre il
sogghigno di poco fa svaniva nel nulla. Era davvero normale avere così
spesso interazioni di quel tipo? Senza contare che, di fatto, le volte in cui
era stato lui il primo ad attaccare Shinya erano notevolmente inferiori
rispetto a quelle in cui i suoi pugni erano stati unicamente per difendersi
dalle manifestazioni di irritazione del più grande.
Era come aveva sempre vissuto, perché diavolo il suo datore di lavoro si
permetteva di mescolare in quel modo le carte in tavola? Si morse l’interno
della bocca, sempre più accigliato.
- È stata solo una
discussione un po’ violenta, una cosa tra fratelli, che vuole che sia? -
replicò, ma non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi. Doveva muoversi a cambiare
discorso, prima che quella situazione inaspettata lo schiacciasse più del
previsto.
- È che abbiamo una situazione
un po’ tesa a casa, e… - “e” cosa? Non stava arrivando da nessuna parte in quel
modo!
Si tormentò le dita di una
mano, quasi nevroticamente, annaspando con difficoltà alla ricerca di una scusa
(o di qualsiasi altra cosa, davvero) per continuare quel discorso. A cos’altro
poteva collegarsi? Eppure sapeva che c’era qualcosa di
importante di cui doveva discutere, proprio relativo a questo!
- Ah-… a proposito! –
esclamò all’improvviso, sollevando finalmente la testa - … io, uh, ho bisogno di questo lavoro. -
- … prego? - Ishihara alzò un sopracciglio, non troppo sicuro di cosa Haizaki stesse cercando di dirgli. Quest’ultimo, con una
certa esagitazione, si alzò in piedi, solo per accennare un impacciato inchino
col busto.
- Se l’altro si è
licenziato adesso c’è un posto libero, no? Ho bisogno
di occuparlo io. Voglio lavorare a tempo pieno. -
Non era
certo la più formale delle richieste, ma l’assenza di ‘no’ secchi e immediati o
di qualsiasi altra cosa fu, per lui, un vago segnale positivo. L’unica cosa che
sentì fu il lungo, ennesimo sospiro che uscì dalla bocca di Ishihara,
che l’attimo successivo gli mise le mani sulle spalle per invitarlo a tirarsi su.
- Haizaki,
ascolta. - se poco fa non era preoccupato,
quell’incipit bastò a cacciarlo di nuovo nell’abisso dell’incertezza. Deglutì a
vuoto, sperando almeno che gli insulti da parte sua non
sarebbero stati troppo pesanti, e temendo persino il peggiore scenario
in cui anche il suo occhio buono sarebbe diventato viola rimase in attesa.
- … tralasciando
l’incidente di ieri, non avrei motivi per non assumerti a tempo pieno. - pausa
- … se tu non fossi uno studente delle superiori. Già oggi ti sto sottraendo ai
tuoi obblighi, non sarei a posto con la coscienza se la cosa dovesse ripetersi
ancora e ancora. -
Già oggi?! Com’era possibile che non si fosse bevuto nemmeno quella scusa?!
Shougo
aprì la bocca per protestare, richiudendola poi subito dopo. Non sapeva davvero
come replicare a quel discorso: Ishihara non gli
aveva lasciato possibilità di risposta, e lui se ne era rimasto come uno scemo
corrucciato a fissarlo, sconfitto.
Era una sensazione così… fastidiosa.
Era ovvio provare fastidio per l’incapacità di poter ottenere qualcosa di
voluto, ma il fatto di conoscere un solo modo per strapparglielo via non era
certo d’aiuto. Strinse a pugno le mani, nascondendole entrambe nelle tasche
della divisa.
Non poteva ricorrere a
quello, cazzo. Non con lui.
- Ho davvero bisogno
di lavorare, capo. - si sforzò di dire, tentando di
articolare un’argomentazione un po’ più convincente - Tanto a scuola non mi ci
impegno comunque, tanto vale che almeno io usi tutto ‘sto tempo per fare
qualcosa di utile, no?! -
Ancora, era stato tutto
fuorché formale e gentile — anzi, nemmeno si rese conto di aver alzato la
voce, risultando più aggressivo di quanto avrebbe
voluto. Ishihara, tuttavia, non si scompose
minimamente: Shougo fu quasi spaventato, no, terrorizzato
dalla ferrea serietà dello sguardo che gli rivolse, ma che dopo qualche
lungo, istante di silenzio lasciò posto al solito, rassegnato sospiro.
- Allora dovresti provare a
prendere la scuola più seriamente, e non trovare un passatempo alternativo.
Finirai per pentirtene, Haizaki. - gli disse
semplicemente, tirandogli un colpetto leggero sulla spalla - … facciamo che ci
penso, hm. E ora andiamo. -
Il ragazzo sollevò una
mano, poggiandola sul punto colpito da quel contatto quasi amichevole. Per un
attimo aveva davvero temuto che sarebbe tutto finto
come finiva ognuna delle sue discussioni, e l’esito così pacifico di quel
confronto lo lasciò in uno stupito, quasi idiotico silenzio, mentre senza
proferir parola lo seguì fuori dall’ufficio fino al magazzino.
- È strano. - gli
scappò di dire, mentre obbediente caricava i soliti scatoloni sul furgoncino. Ishihara, poco lontano da lui, gli
tirò un’occhiata interrogativa.
- Voglio dire, per me tutto
questo è strano. - proseguì, in quella specie di improvvisato
monologo - Praticamente tutti quelli che hanno mai cercato di infilarmi
qualcosa in testa hanno sempre accompagnato il loro punto di vista con sonore
mazzate, e non solo a casa. -
- Se mi autorizzi a farlo
posso cominciare anche io, eh, non è un problema -
ribatté prontamente quell’altro, scrollando le spalle. Haizaki
si pietrificò sul posto, con sommo divertimento di Ishihara
che si concesse persino uno sbuffo beffardo.
- Sarà che penso che tu sia
un ragazzo intelligente, e che tu possa capire qualcosa pure senza lividi. - un
sorriso leggero gli piegò le labbra, ma Shougo neppure fece in tempo a vederlo con chiarezza prima
che quello si defilasse poco lontano - … te l’ho detto, mi fido di te, e spero
di non dovermene pentire. -
“E
io dovrei continuare a fidarmi di lui?! E ch cazzo…”
Non poteva credere che la
sigaretta che teneva tra le dita, pur essendo stata sua dal principio, gliene
fosse costate altre tre. Se possibile, Ishihara era un ladro anche peggiore di quanto lo fosse
lui: di appunti mentali non ne teneva, anzi, scriveva tutto sul suo taccuino
con una precisione quasi maniacale, motivo per cui Haizakisapeva che non sarebbe mai potuto sfuggire a
quel debito. Era come una specie di strozzino mascherato da ometto di mezz’età
dall’aspetto troppo mite per non nascondere qualcosa, che dopo averlo depennato
dei suoi averi l’avrebbe pure costretto a pagare
per riaverli indietro.
Sospirò, una nuvola di fumo
che si gonfiò alla svelta fuori dalle sue labbra, mentre la schiena si
appoggiava contro la ruvida parete alle sue spalle. Promemoria: mai, mai
più scordarsi a casa le sigarette, specie se Ishihara
l’avesse davvero preso a lavorare a tempo pieno. Non che la giornata fino a
quel momento fosse andata male, ma lo stress di lavorare per così tanto tempo
di fila era qualcosa che mai aveva provato sulla propria pelle. Non era
abituato a faticare così tanto, lui, aveva sempre scelto la strada meno
difficile e soprattutto meno nobile! Più volte la convinzione che il mondo del
lavoro onesto fosse un concetto che con lui non poteva andare d’accordo, specie
quando il suo sistema ormai abituato alla consuetudinaria “mezza giornata” si
era ritrovato davanti tutta un’altra metà da affrontare, ma in un modo o
nell’altro la chiusura di quel turno era finalmente alle porte.
Anche se, se possibile,
quell’ultimo luogo era il più stressante di tutti. Aveva avuto occasione di
espandere ancora di più gli orizzonti delle proprie conoscenze e visitare altri
ambienti affiliati a quel furgoncino pieno di oggetti di scenografia, ma
infilarsi in quei nuovi ambiti non era stato neanche solo lontanamente gravoso
sulla propria anima quanto lo fosse tornare ogni volta nei pressi del
maledettissimo studio di fotografia.
Che poi, perché diavolo finivano lì quasi tutti i giorni? Era definitivamente sicuro
che non fosse normale che richiedessero sempre, categoricamente i loro servizi,
ma d’altro canto non poteva neppure lamentarsene eccessivamente. Per quante vibrazioni negative quel posto gli regalasse, poteva
solo obbedire agli ordini, e stare il più lontano possibile dalla gentaglia che
frequentava quel medesimo perimetro di spazio.
Seduto su un paio di
scatoloni vuoti direttamente fuori dal solito inimitabile ingresso secondario, Shougo cercò di sgomberare la mente da quei pensieri. Alla
fine, nonostante le pessime vicissitudini dell’ultima volta, almeno quel giorno
sembrava essere andato tutto bene: la responsabile o qualsiasi posizione
ella ricoprisse si era limitata a squadrarlo
spocchiosamente dall’alto in basso, chiaramente insospettita da quegli occhiali
da sole, ma il resto dello staff non aveva fatto una piega — segno che,
forse, non tutti erano poi così tanto marci nel cervello quanto lo era lei.
Sospirò, il mozzicone di sigaretta che andò gettato per terra e subito dopo
calpestato dalle suole delle sue scarpe: bastava solo che non si facesse vedere
quell’ultima piaga, pensò, sfilandosi gli occhiali e agganciandoli al colletto
della t-shirt, e questa sarebbe stata la perfetta giornata di consolazione dopo
i cataclismatici avvenimenti della serata precedente.
Ma,
naturalmente, HaizakiShougo
non poteva neanche lontanamente permettersi di fare una scommessa del genere
col destino: il tempo di finire di formulare quel pensiero, e la scricchiolante
porta alla sua sinistra si aprì lentamente, lasciando uscire, naturalmente, la
persona che al momento occupava trionfante il secondo posto nella lista delle
persone che non avrebbe voluto più incontrare da lì ai successivi venticinque
anni.
Ryouta
era lì che lo guardava con uno sguardo fastidiosamente severo, ma per qualche
motivo non disgustato o supponente come le ultime volte: si affettò a calarsi
la visiera del cappello a coprirsi almeno l’occhio tumefatto, prima di alzare
il capo e preferibilmente di cacciarlo, ma il dannato biondino reagì prima di
lui.
- Toh. -
“Toh” cosa?! Infastidito da quel modo di porsi a lui sollevò
finalmente la testa, ma quel tempismo gli fu crudelmente fatale: qualcosa gli si avvicinò rapidamente, troppo rapidamente al viso, e
laddove avrebbe dovuto vedere Ryouta sentì solo dolore.
- Cazzo! - il suo grido si
librò nell’aria mentre l’oggetto duro e freddo che aveva colpito il suo occhio
rotolava, altrettanto sconfitto, a terra. Non sapeva cosa fosse peggio, in quel vortice di acuto malessere; se la coltre di
lacrime che aveva istintivamente coperto l’occhio sano, impedendogli tanto di
vedere correttamente persino la bottiglia che sbatteva, mesta, contro la
propria scarpa, quanto di alzare la testa verso quel cazzone, oppure il
suddetto cazzone che nel mentre cercava — invano — di nascondere il
proprio divertimento.
- Scusa. -biascicò con
tono tutt’altro che pentito tra uno sbuffo e l’altro, e pure senza guardarlo Haizaki poteva figurarsi perfettamente la sua
espressione da stronzetto.
- Scusa un cazzo! - sbraitò
quindi dal fondo dei propri polmoni, voltando gli occhi a lui - Ma quanto puoi
essere coglione per mirare alla faccia?! Fanculo! -
Fu allora che vide (o
almeno, presunse di aver visto) Kise
sbiancare completamente, mentre alzava tremante una mano per indicare verso di
lui.
- Oddio, sono stato io? -
Certo che sei stato tu,
cretino, avrebbe voluto replicare, ma fortunatamente si tappò la bocca
appena in tempo per realizzare che il terrore di Ryouta fosse dovuto all’alone nero che gli circondava, coincidentalmente, l’occhio colpito. Ghignò, divertito
dalla sua reazione.
-
Oh no, è sicuramente colpa tua, mi hai sicuramente sfigurato tu! -
esclamò con scherno, afferrando la bottiglietta - Cos’avresti
fatto se avessi detto di sì? Idiota… -
Era proprio vero che
continuava a non pensare alle conseguenze, hm? Più quel dannato biondino
respirava accanto a lui, più si rendeva conto di quanto la sua esistenza si
basasse su un principio di puro egocentrismo. Stizzito, non disse neanche
‘grazie’ prima di svitare, borbottando, il tappo, nemmeno chiedendosi
cos’avesse fatto per meritarsi una cosa del genere. Un
gesto di carità improvvisa, forse, per far sì che quello si mettesse l’animo in
pace dopo l’exploit di ieri? Meglio se non ci pensava.
- … fai poco lo spaccone
che sei tu, qua, quello con una guancia rigata dalle lacrime. -
- Che cazzo hai detto?! - Haizaki alzò di nuovo la
testa, furente. Lo vide indietreggiare, e fu ad un passo dall’alzarsi in piedi
e grattugiargli il viso contro il muro.
- Ho detto che almeno
potresti dirmi grazie! Non ti chiedi perché sono qui
adesso? - no, non è quel che aveva detto, cazzo, ma misteriosamente la voglia
di litigare gli passò del tutto. Ok, in fondo doveva
ammettere che un po’ di curiosità c’era: che senso avrebbe avuto, per lui,
farsi vedere già il giorno dopo aver rischiato il pestaggio?
… non che potesse palesare
il proprio interesse, comunque: ancora seduto a terra si limitò ad un’occhiata di sottecchi, sbattendo le palpebre con aria
indifferente.
- Stai cercando di pulirti
la coscienza? -
- No! - pausa - … forse! È
che in tutti i nostri passati confronti ti sei sempre comportato un po’ da
stronzo, quindi non pensavo davvero di star andando ad
interferire in… qualcosa di così serio. -
Interferire in qualcosa di
serio? Shougo alzò un sopracciglio, talmente confuso
da non sapere cosa dire. Ryouta guardò altrove, prima
di porgergli un rettangolino di carta che l’altro riconobbe solo dopo qualche
secondo di paradossale, anzi, direttamente irreale silenzio.
… che cazzo ci faceva
l’ecografia in mano sua?! Gliela strappò
immediatamente dalle dita, sconvolto quanto sollevato, al punto che a malapena
sentì lo sproloquio di quell’altro riprendere, indisturbato, a riempire l’aria
di quel vicoletto.
- È tua, no? Dietro c’è
scritto che è per te. È palese che io ti abbia giudicato male. Certo… visti i precedenti non potevo pensare che tu fossi davvero qui
armato di buone intenzioni, ma poi ho visto quella e ho capito tutto. Non mi
aspettavo tu fossi in grado di assumerti così grandi responsabilità, Shougo… a prescindere da ciò che altri potrebbero pensare,
io trovo che sia davvero, davvero ammirevole. All’inizio
ero quasi preoccupato, ma… forse, tutto sommato,
finirai pure per fare un buon lavoro. -
Silenzio.
Dalla prospettiva di Shougo, quel monologo non aveva il minimo senso. Di cosa
diavolo stava parlando? Perché fare quei discorsi per una situazione che non
meritava certo un’orazione così solenne?
L’illuminazione lo colse
all’improvviso, e trattenersi dal ridergli in faccia fu davvero difficile. Oh,
no, non poteva starlo pensando sul serio.
- Fammi capire. - cercò di
rispondergli, soffocando a fatica le risa - La tua conclusione è che io abbia
ingravidato una, che questa sia l’ecografia di quel salto della quaglia venuto
male, e che io stia lavorando qui per fare il padre di famiglia? È questo a cui sei arrivato? Correggimi se sbaglio. -
Kise,
disorientato, sgranò le palpebre, cadendo rovinosamente dalle nuvole.
- … perché, non è così? -
L’altro poté quasi sentire
il fragore di quel castello per aria che andava rovinosamente distruggendosi, e
quell’espressione da deficiente fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rise,
rise nel modo più sfacciato e odioso possibile,
esilarato dall’idea che quello si fosse fatto un viaggio mentale così
intricato. Lui, HaizakiShougo,
feccia della feccia, che cercava di fare il padre?!
Da dove diavolo gli era uscita?!
Nel
mentre, il biondino faticava a non avvampare per
l’imbarazzo.
- Cosa c’è di così
divertente?! - lo sentì
gracchiare, coprendo a malapena il clamore delle sue risate - Cos’altro avrei
dovuto pensare?! C’era scritto il tuo nome dietro e… e poi quel nome in bella grafia lì all’angolo, “Cindy”, non è la tua
ragazza? -
Dio, probabilmente sarebbe
morto a forza di ridere. L’avrebbero trovato lì, ancora scosso dalle
convulsioni, se avesse continuato così.
- No, scemo, è il
soprannome di mia madre! - boccheggiò, tenendosi la pancia. Quella svampita di
sua madre non era mai stata molto contenta del proprio, a detta
sua, banale e tristissimo nome, motivo per cui “SaekoHaizaki” era diventato, per clienti e amici, “Cindy”,
diminutivo di “Cinderella”, per via del kanji di ‘cenere’ nel cognome. Naturalmente l’aveva sempre
trovata una cosa ridicola, ma che era comunque rimasta tra tutti i dettagli che
avrebbe potuto sì criticarle, ma ai quali non aveva né la forza, né il tempo,
né soprattutto la voglia di dedicarsi.
… ma
da lì a scambiarlo per il nome della fidanzata, comunque, ce ne correva. Si
asciugò le lacrime che copiose gli avevano allagato la faccia, mentre Ryouta sembrava ancora più confuso che mai.
- Quindi
quello è tuo fratello? - gli sentì dire, sempre più
confuso. Aveva ancora dubbi? Cosa glielo chiedeva a fare?
- Che, te lo devo mettere
per iscritto? Certo che è mio fratello! Se porto qualche soldo a casa è per ‘sta caccola, mica per un figlio mio, ma
ti pare?! -
E in quel momento, sentì
che il karma aveva colpito, facendogli rivelare un po’ più di quello che
avrebbe preferito ammettere davanti a quella dannata piaga.
Naturalmente,
Kise non poté che prendere la palla al balzo: socchiuse
gli occhi, pensoso, portandosi le mani sui fianchi.
- Quindi
stai comunque lavorando per aiutare qualcuno, no? -
- N-non è quello che ho
detto. -
- Sì che è quello che hai detto! - lo incalzò,
senza nemmeno farlo finire di parlare. Un sorrisino odiosamente vittorioso gli
piegava le labbra in una faccia che implorava calci e pugni, con una tale
veemenza che trattenersi fu davvero difficile - Ho sbagliato un po’ la storia,
ma il succo è sempre quello! Sei preoccupato per la tua famiglia e quindi ti stai
rimboccando le maniche, non è ammirevole anche questo? -
- Ma
scusa, com’è che stai cercando di convincermi che io sia una persona
ammirevole? - lo interruppe, scocciato dalla piega che stava prendendo quella
conversazione - Fino a ieri ti andava bene trattarmi a pesci in faccia, e ora
all’improvviso sono diventato l’angelo del focolare da rispettare e lodare? Ma
un po’ di coerenza in quella cazzo di testa no, Ryouta? -
Sbottando in quel modo, lo lasciò nuovamente senza parole. Lo sbirciò con la coda dell’occhio
mentre lasciava cadere le braccia parallele al corpo, come arreso, prima di corrucciare le
sopracciglia e incupirsi.
- L’hai detto tu che ora
sei un ‘onesto’ lavoratore, e sai benissimo quanta
fatica faccia a crederci. - era sparita ogni traccia di qualsiasi altro
sentimento, nella sua voce, se non una fredda severità. Oh, dopo tutti quegli
inutili fronzoli eccolo il veroRyouta, quasi
gli era mancato! Sospirò, annoiato, lasciando sprofondare il viso nel palmo
della mano, mentre quello continuava - Sto solo
cercando un qualsiasi punto di contatto per potermi fidare di quello che dici.
-
- Ma
quanto pensi che me ne possa fregare della tua fiducia? - ringhiò, minaccioso,
ma decidendo che non valesse nemmeno la pena di alzarsi - Mi ci pulisco il culo con la considerazione che hai nei miei
confronti, buona o cattiva che sia. Io ignoro te e tu ignori me, perché non può
essere così facile?! -
- Perché non capisco cosa
tu stia cercando di ottenere, con questa attitudine.
Perché vuoi per forza farti detestare, mantenere dei rapporti così astiosi pure
dopo anni? Cosa pensi di guadagnarci, con questa
facciata? -
- Porca miseria, Ryouta, ma sei sordo? - stava davvero iniziando a stufarsi.
Si alzò in piedi, profondamente irritato, ringraziando che Ishihara
non fosse lì a testimoniare la strage che avrebbe volentieri compiuto se quello
si fosse azzardato a rompergli ancora le palle - Voglio solo che mi lasci in
pace, non c’entra nessuna cazzo di ‘facciata’… -
“… se non quella del
palazzo contro cui ti spaccherò il muso”, avrebbe
voluto aggiungere, ma quello che Ryouta gli rivolse
non fu uno sguardo teso, o un’espressione di rabbia.
No, quel bastardo si limitò
ad un singolo, sfacciato sorriso di sfida, per niente
intimorito dalla sua vicinanza. Quella reazione, del tutto inaspettata, gli
impedì persino di reagire come avrebbe voluto.
- Credo non esistano parole
per descrivere quanto sei infantile e testardo, lo sai? - disse semplicemente,
prima di indietreggiare e dirigersi di nuovo verso la porta. Shougo sbuffò, mettendosi le mani in tasca. Quel
paradossale siparietto stava durando già abbastanza, e se davvero voleva
troncare la conversazione di certo non gliel’avrebbe
impedito.
- Farò finta di non aver
sentito. -
- Che paura! - aveva dieci
secondi di tempo per sparire dalla sua vista, o
l’avrebbe picchiato così forte che nemmeno sua madre l’avrebbe più riconosciuto
- Va bene, va bene, ti lascio da solo col tuo voler essere per forza cattivo,
buon divertimento, Shougocchi! -
E grazie al cielo dopo
quell’uscita sparì davvero, perché era già più pronto che mai a cazzottarlo.
Grugnì, nel silenzio e nella solitudine di quella stradina, abbandonandosi
sulla stessa scatola di prima.
Tralasciando lo “Shougocchi”, che già da solo aveva tutti i
presupposti per fruttare tante di quelle bastonate da battere il record
mondiale — per il resto, cosa diavolo si era messo in testa?
Non era mai stata tra le
sue priorità l’idea di chiarire, in qualche modo, le vicende del passato con
quella testa ossigenata. Era chiaro che tra di loro non potevano esserci basi
per una pacifica convivenza, né tanto meno argomenti su cui non litigare:
persino lui si rendeva conto che tentare di rianimare qualcosa di già morto era solo una perdita di tempo!
Non era lui a mettere su
una facciata; non era lui ad essere testardo: era Ryouta che, forse infastidito dall’idea che ci fosse
qualcuno a non accettare le sue attenzioni, si era per forza messo in testa che
doveva esserci dell’altro. Cos’avrebbe fatto, si chiedeva? Avrebbe continuato a
tormentarlo ancora, nella vana speranza di tirare fuori “il buono” che c’era in
lui? Perché sembrava davvero questo che voleva fare, probabilmente del tutto
incapace di convincersi senza prove tangibili e concrete che le persone
potevano cambiare, o comunque avere attitudini diverse nei confronti di cose diverse pur magicamente rimanendo lo stesso individuo.
Tenendo ancora tra le mani
la bibita energetica che gli aveva portato quello, arrivò persino a domandarsi
se per caso non fosse geloso o chissà cosa dell’attitudine tutto
sommato positiva che portava verso tutto quel che riguardava il suo
lavoro, meno che con lui. E in quel caso, chi era veramente l’infantile? Ma
soprattutto, come si permetteva di infilargli in testa tutti quei pensieri e
quelle elucubrazioni, dopo una predica che non aveva né capo né coda, partita
da una conversazione mai cercata e i quali motivi gli
sembravano più offuscati che mai?!
Si domandò quanto ancora
sarebbe durata quella linea ininterrotta di sfiga,
iniziando a meditare l’ipotesi di farsi monaco e liberarsi dal male della vita,
quando un rumore scricchiolante attirò immediatamente la sua attenzione.
- Ryouta,
giuro su me stesso che se non te ne vai ti disintegro.
-
- Allora è proprio vero che
tra di voi non scorre buon sangue, hm? -
A
meno che il dannato non avesse cambiato sesso nel giro
di quei pochi minuti, dubitava fortemente che quella voce appartenesse a lui.
Deglutì, alzando gli occhi: era l’ultima cosa che poteva immaginarsi, ma in
piedi a breve distanza da lui la stessa tipa timida con gli occhiali che spesso
lo salutava con un riservato sorriso lo guardava adesso con la sua solita,
caratteristica espressione gentile, mentre dalla bocca di Shougo
non uscì niente se non una specie di breve, impercettibile sibilare strozzato.
… perché cazzo non aveva
subito rimesso gli occhiali da sole, prima?!
Buonasera!
Dio, non posso
crederci di averci messo più di un mese a tirare fuori questo capitolo ;___; e dire che avevo promesso che avrei cercato di fare
più veloce… sob.
Comunque, in un modo
o nell’altro eccomi qui! Il capitolo è un po’ più lungo del solito, e anche
denso di… cose che nella mia testa avevano un certo spessore, ma che a
rileggere mi sembrano un po’ molto ‘normali’. Sigh.
Ad ogni modo, nuovo
personaggio in arrivo! L’avevo già citata, rapidamente, un paio di capitoli fa,
ricordate?
… probabilmente no,
che sono tipo passati tre mesi da quell’aggiornamento.
In ogni caso, grazie
già da ora a chi si ostinerà a seguire ancora questa storia ;__;
e perdonate una persona come me, del tutto incapace di aggiornare in modo
costante *sigh