I'm gonna drink the red from your pretty pink face

di Lulumiao
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm gonna drink the red from your pretty pink face ***
Capitolo 2: *** This burning desire is turning me to sin ***
Capitolo 3: *** Tell me and I'll be around ***
Capitolo 4: *** Yellow eyes, the spotlights of the city nights ***



Capitolo 1
*** I'm gonna drink the red from your pretty pink face ***


Buonasera a tutti :) Ho scritto questa storia, forse ispirata dall’imminente Halloween. La fan fiction, come chiaramente specificato da generi e avvertimenti che ho inserito e dal rating, potrebbe non essere adatta a tutti. Vi prego di chiudere la pagina se pensate di rimanere sconvolti o di non gradire certi temi.
È la prima volta che scrivo una storia horror, per di più venata di erotismo, spero di essere riuscita nell’intento di trasmettere qualcosa ai lettori. Stavolta più che mai ho bisogno di recensioni per capire dove ho sbagliato.
Buona lettura!                           
 
 
 
 
 
 
 
                                I'm gonna drink the red from your pretty pink face
 
 


26 maggio 1897

«Che tempo da cani!» borbottò il signor Mario Mario nell'udire l'ennesimo tuono proveniente da fuori, sprofondato nella sua poltrona preferita, sollevando per un attimo gli occhi dal libro che stava leggendo.
Che tempo angosciante, pensò sua moglie, Peach Mario, seduta davanti a lui sul divano, sorseggiando una tazza di tè.
I lampi provenienti da fuori illuminavano ad intermittenza il piccolo studio in cui marito e moglie erano soliti trascorrere le serate. I muri erano quasi interamente ricoperti da librerie piene di tomi che il signor Mario aveva letto e riletto più volte. Un camino spento occupava parte di una parete, mentre una scrivania trovava posto vicino alla finestra.
Peach bevve l'ultimo sorso di tè e posò la tazzina su un tavolino davanti a lei. La routine serale in casa Mario era sempre la stessa fin dalle nozze dei due coniugi, celebrate cinque anni prima: Mario e Peach, dopo cena, trascorrevano qualche ora nello studio, leggendo, senza quasi scambiarsi una parola; verso le dieci Peach chiudeva il libro che stava leggendo, beveva un tè e andava a letto; il marito la seguiva dopo circa mezz'ora. Tra i due non correvano cattivi rapporti, anzi, andavano d'accordo, ma non erano mai stati innamorati: il loro era stato un matrimonio combinato dalle rispettive famiglie e i fidanzati si erano conosciuti appena una settimana prima delle nozze. Inoltre, la mancanza di un interesse reciproco che andasse oltre un tiepido affetto platonico li aveva lasciati senza prole.
Mario era dedito esclusivamente alla sua fortunata attività di commerciante di funghi in scatola e ai libri (perlopiù saggi) del suo studio e non dedicava molto tempo alla consorte. Usciva di casa alle otto in punto e tornava nel tardo pomeriggio, garantendosi una condizione economica decisamente benestante.
Peach, invece, trascorreva tutto il giorno a casa, come era consueto per una donna dei suoi tempi, e usciva solamente di domenica per andare a messa con il marito. Le sue attività principali erano leggere e cucire graziosi centrini decorati con le iniziali di Mario, nonostante questa attività non si adattasse bene a una donna della borghesia medio-alta, essendo il cucito un'occupazione abbastanza umile. Scriveva molto spesso al padre e al suo tutore d'infanzia, tale Mastro Toad. A parte Mario, gli unici individui che vedeva ogni giorno erano il maggiordomo e la cameriera, due toad di mezza età. 
«Vado a letto» annunciò Peach col tono gentile che era solita usare con tutti. 
«Buonanotte, cara» disse distrattamente suo marito, senza alzare gli occhi dal libro. 
Peach si alzò e uscì nel corridoio. Salì le scale ed entrò in camera, seguita dalla cameriera che l'aiutò a togliere il corsetto del vestito e a mettere la candida camicia da notte. 
Rimasta sola, si mise a letto, chiuse gli occhi e si addormentò subito. 

Fu svegliata da un forte bussare alla porta. 
«Avanti!» biascicò, insonnolita. La luna era alta nel cielo e il temporale non accennava a diminuire.
La porta si aprì ed entrò la cameriera.
«Che ore sono?» chiese Peach.
«Sono le ventitré, signora. Scusate il disturbo, ma volevo avvisarvi che vostro marito ha ricevuto un telegramma urgente in cui gli viene chiesto di recarsi immediatamente a casa dei suoi genitori perché sua madre ha avuto un grave malore. È uscito poco fa e mi ha chiesto di avvisarvi».
«Che cos’ha la signora Mario?» chiese Peach, allarmata. Non nutriva grande simpatia per la suocera, ma le dispiaceva di saperla malata.
«Nel telegramma non è specificato, mi dispiace. Spero che il signore non prenda freddo, con questo temporale» disse la toad, preoccupata.
«Lo spero anch'io».
«Vi lascio riposare. Buonanotte».
«Buonanotte. Fammi sapere se giungono notizie».
«Senz'altro» la rassicurò la domestica, uscendo e chiudendo la porta. 
L'oscurità si impadronì nuovamente della stanza, illuminata, durante quella breve conversazione, dalla fioca luce della candela della toad. 
Peach, inquieta, si sdraiò di nuovo e cercò di riprendere sonno. Stavolta ci mise più tempo ad addormentarsi, tormentata dalla preoccupazione per la salute della suocera e per la sicurezza di Mario, uscito con quella pioggia così fitta. Ma, alla fine, la stanchezza ebbe la meglio.

Per la seconda volta fu svegliata, ma stavolta a destarla fu un forte rumore di pioggia. Peach aprì gli occhi e si accorse che la finestra era aperta. Si chiese come fosse possibile, dato che quando si era coricata la finestra era chiusa e che era impossibile che la cameriera o il maggiordomo fossero entrati per aprirla. 
Guardò l'orologio, al chiarore della luna: era mezzanotte in punto. 
Si alzò e chiuse la finestra, notando il pavimento non molto bagnato, segno che la finestra era aperta da poco. Probabilmente è stata chiusa male e il vento l'ha aperta, pensò.
Si coricò di nuovo e riprese sonno.

Evidentemente la povera ragazza era destinata a non dormire, quella notte, perché si svegliò una terza volta. O meglio, si ritrovò in uno stato di dormiveglia.
Sentiva il rumore della pioggia, il calore delle coperte e, dopo un po’, si accorse di una bizzarra sensazione sulla schiena, quasi un solletico, una carezza. 
Si girò su un fianco e il fastidio sparì. 
Pochi secondi dopo, però, ricomparve. Peach voleva reagire, ma scoprì che le palpebre e le membra erano molto pesanti.
Non era particolarmente allarmata, stranamente. La carezza era leggera come una piuma e quasi piacevole. Ciò che la toccava sembrava essere la punta delle dita di una mano. La giovane continuava a sentirsi pesante. La presunta mano salì fino a sfiorarle i lunghi capelli biondi, lasciati sempre sciolti di notte, e cominciò ad accarezzare anche quelli con delicatezza. Era un tocco molto delicato e gentile, che lentamente si spostò sulla pelle nuda del collo e Peach sentì distintamente delle unghie, anch’esse molto leggere. Il tutto continuava ad essere molto piacevole e rilassante per Peach, che cominciò a credere di trovarsi in un bel sogno. 
All'improvviso, però, uno sbuffo di aria fredda si sostituì alle unghie sul collo di Peach. 
A quel punto la ragazza si destò completamente, improvvisamente allarmata. 
Si voltò di scatto e vide una figura avvolta nella più completa oscurità sdraiata accanto a lei.
Il buio le impediva di vedere bene, ma non si spaventò perché pensò che fosse il marito, tornato a casa e stranamente affettuoso. 
«Sei tornato, caro? Come sta tua madre?» chiese la ragazza.
Mario non le rispose.
Piano piano gli occhi di Peach si adattarono all'oscurità e un sentimento di orrore iniziò a crescerle nel petto. 
La figura antropomorfa che le era sdraiata accanto non era Mario.
Non era neanche la cameriera o il maggiordomo.
Era una donna.
Mentre la paura di Peach aumentava, un lampo illuminò la stanza e il viso dell'intrusa. 
Un viso tondo, spettrale, su cui aleggiavano labbra rosse e occhi grandi che la guardavano fissa. Aveva un paio di orecchini a forma di fiore e il naso piccolo. Il tutto era incorniciato da una chioma scura.
Peach rimase pietrificata dal terrore e non oppose resistenza quando la nuova arrivata le avvicinò lentamente una mano al volto. La mano, la stessa che le aveva toccato la schiena e il collo, venne a contatto con la sua guancia. Era una mano molto fredda. 
Nel panico del momento, Peach avvertì nuovamente la sensazione di torpore che la aveva colta prima, e nuovamente si sentì molto pesante. Non le era mai successo di sentirsi così e quello non era decisamente il momento giusto per sentirsi deboli. 
Come in uno stato di trance, con gli occhi che si erano abituati al buio, Peach vide il viso della sconosciuta avvicinarsi con infinita lentezza al suo collo. Incapace di muoversi, sentì sempre di più che le forze la abbandonavano. 
Le labbra dell’ignota ragazza toccarono il suo collo e vi deposero un languido bacio.
In quel momento Peach avvertì una nuova sensazione che andava mischiandosi alla paura, qualcosa di intenso e caldo che la prendeva da dentro e rendeva ancora più assurda la situazione. Si sentì sempre più abbandonata tra le braccia dell’altra, che ora aveva dischiuso le labbra. 
Denti appuntiti le sfiorarono la pelle, al tempo stesso terrificanti e dolci come una coccola. 
Con la poca presenza mentale che le era rimasta, Peach si accorse che lentamente quell'essere capace di ipnotizzarla la stava facendo sdraiare, sempre con i denti ad un centimetro dalla sua carne.
Quando la testa poggiò sul cuscino, la bionda sentì un dolore lancinante dove un attimo prima la bocca dell'altra stava indugiando.
L'intrusa l'aveva morsa e i denti erano penetrati in profondità nella carne. 
Un gemito di dolore sfuggì dalle labbra di Peach. Un dolore così forte da paralizzarla ancora di più, da allontanare la razionalità.
Ma dopo qualche secondo si sentì come se insieme ai denti del mostro fosse penetrata anche una forte anestesia. Ben presto il piacere strano e fuori luogo percepito fin dalle carezze sulla schiena e che fino a quel momento era stato moderato crebbe sempre di più ed esplose fino a condurla in uno stato di estasi assoluta. 
Ormai ogni resistenza era inutile, era come caduta in catalessi. Il benessere che provava a poco a poco eclissò completamente l'orrore, ormai Peach si sentiva fluttuare in un universo di voluttà il cui centro risiedeva nel morso della donna sovrumana.
Ben presto Peach si trovò a desiderare che non finisse, perché mai nella sua vita aveva provato un godimento fisico e mentale così intenso. La forza muscolare era ormai un lontano ricordo ed era stata rimpiazzata da una nuova energia che fluiva direttamente dal morso al resto del corpo. Era totalmente persa, in balìa di colei che in quel momento le stava donando un piacere così intenso, travolgente, indescrivibile. Si sentiva un tutt’uno con l’altra, uno stesso essere, era legata a lei da un qualcosa di profondo e irrazionale.
La poca lucidità di Peach si spense completamente in favore degli impulsi più animali nel momento in cui il piacere raggiunse la vetta più alta. Subito dopo ridiscese, udendo l’eco dei gemiti che forse lei stessa aveva prodotto.
Pochi secondi dopo, la ragione tornò a farsi strada nella mente della ragazza ed ella riuscì ad aprire gli occhi. La donna dagli orecchini a fiore le teneva una mano su una guancia e l'altra intorno alla vita, fissandola intensamente con un’espressione indecifrabile.
Ancora molto confusa, Peach cercò di ricostruire l'accaduto, ma il suo cervello si rifiutava di collaborare. Davanti a lei, la dama della notte non faceva più così paura. Nonostante il buio, Peach vide che aveva grandi occhi azzurri, indossava un vestito nero e aveva le labbra e il mento sporchi di rosso.
Ma questa consapevolezza durò un attimo: Peach perse conoscenza.

Peach si svegliò per la quarta volta, ma stavolta fuori dalla finestra non c'erano più tuoni e fulmini e il cielo cominciava a schiarirsi nell'aurora. 
Ricordò indistintamente momenti della notte appena trascorsa, senza riuscire a collegarli logicamente.
Ricordava una donna che indubbiamente le aveva succhiato il sangue dal collo facendole raggiungere la punta di un appagamento senza precedenti. Per qualche ignoto motivo si sentiva legata a questa presenza notturna, che l'aveva fatta sentire così bene e l’aveva così spaventata allo stesso tempo.
Si sentiva strana, debole. Provò a sedersi sul letto, ma le mancavano le forze. Si aggrappò alla colonna del baldacchino e con grande fatica riuscì a tirarsi su.
Si guardò intorno e vide il suo volto riflesso nella specchiera accanto al letto; ciò che vide la lasciò sbigottita.
Il suo viso era di un pallore spettrale. La parte sinistra del collo era segnata da due profondi solchi rossi puntiformi circondati da un alone di sangue ormai secco. Anche la camicia da notte, la sera prima candida, era ora sporca di sangue. Guardando il letto, vide che anche le lenzuola erano macchiate. 
Cercò di dare un senso a tutto, nonostante apparentemente fosse impossibile interpretare logicamente quei vaghi ricordi e le strane manifestazioni sul suo corpo.
All'improvviso, dopo molte elucubrazioni, si ricordò di una storia letta in un vecchio libro di leggende del popolo yoshi, che narrava di una misteriosa creatura succhiasangue capace di trasformarsi in pipistrello chiamata "vampiro". 
Di colpo il sole sorse e un raggio la colpì in pieno volto, causandole un bruciore fortissimo. Lanciò un gridolino coprendosi il viso e, richiudendo la bocca, si morse un labbro, da cui subito sgorgò altro sangue.
Se lo tamponò, rifugiandosi sotto alle coperte per proteggersi dal sole. Tastandosi la bocca, sempre più allarmata, sentì che i canini superiori erano appuntiti e affilati come lame.
Era sempre più angustiata, ma c'era un'altra cosa fuori posto: nonostante il turbamento, il suo cuore era muto come la morte. 
Non aveva il batticuore, come le succedeva sempre quando era agitata. Al posto del battito a cui era abituata c'era solo un silenzio tombale, come se il cuore si fosse stancato e si fosse spento. 
Ad un tratto collegò tutto: l'oscura presenza, il morso sul collo, il sangue, il cuore muto, il pallore, i denti appuntiti, l'intolleranza al sole, la leggenda del vampiro.
Mano a mano che la consapevolezza si faceva strada in lei, una maschera di terrore prese il posto dell'espressione tormentata, lasciandole la bocca aperta in un'inquietante esposizione di denti aguzzi. 
Si lasciò ricadere sul letto, debole. Non aveva la minima idea su che cosa fare, era ancora incapace di elaborare l'accaduto. Presto avrebbe dovuto incontrare il personale di servizio e Mario e sarebbe stato difficile nascondere quegli avvenimenti incredibili (raccontarli era fuori discussione, l'avrebbero presa per pazza).
Come avrebbe nascosto tutto quel sangue? Poteva sciacquarsi il viso nella bacinella d'acqua che aveva nella stanza, ma come avrebbe fatto con la camicia da notte e le coperte? Come se non bastasse, continuava a sentirsi molto debole e priva di vigore. 
All'improvviso, qualcuno bussò alla porta. Peach balzò a sedere cercando di ripararsi dal sole e la porta si aprì senza che lei desse il permesso. Era Mario, che entrò e la guardò sorpreso.
«Sei già sveglia, mia cara? È presto. La domestica ti ha detto che sono andato da mia madre, giusto? Ora sembra stare bene, ha avuto uno svenimento dovuto ad un abbassamento di pressione, secondo il medico, ma si è ripresa. Sono appena tornato. Ha piovuto per tutta la... Per l'amor del cielo, cos'hai sul viso?». 
Appena suo marito era entrato, Peach era riuscita a sistemarsi in modo da coprire la ferita sul collo, ma non aveva potuto nascondere il sangue sulle labbra causato dal morso che si era inflitta da sola e quello sui tessuti. 
«Non è niente, mi sono morsa mentre dormivo ed è uscito molto sangue. Stavo per alzarmi per cambiarmi» rispose, con la voce tremante, sempre cercando di ripararsi dal sole sempre più alto nel cielo.
Mario rimase per un secondo sulla porta, bagnato e infreddolito. «Come è possibile che un morso abbia provocato un tale disastro?» chiese, non essendo un uomo dotato di grande fantasia e non riuscendo ad immaginare un morso causato da denti umani in grado di provocare un dissanguamento del genere.
«Ho fatto un brutto sogno e nella paura devo aver stretto i denti» mentì lei. Avrebbe tanto voluto che fosse così.
«Allora vado a chiamare la cameriera, cambierà le lenzuola. Poi mi farò un bagno. Tu sistemati e disinfetta il labbro» disse Mario, uscendo.
Peach, dopo un secondo, con grande sforzo si alzò, corse alla finestra e chiuse le persiane, alleviando immediatamente il bruciore alla cute. Poi uscì e si recò al guardaroba per prendere velocemente una camicia da notte pulita e una sciarpa per coprire il morso. Aveva deciso che sarebbe restata a letto tutto il giorno, aveva fatto uno fatica immane anche solo per mettersi in piedi.
Quando si fu sistemata, tornò in camera reggendosi alle pareti e trovò la toad che cambiava lenzuola e coperte.
«Cerca di fare velocemente, devo sdraiarmi» la esortò Peach.
«Non vi sentite bene, signora? Cos'è questo disastro?» chiese la domestica, buttando i panni sporchi in un angolo.
Peach ripeté la medesima scusa di poco prima.
«Dev'essere stato un sogno molto intenso» commentò la toad, finendo di sistemare il letto. «Vi vedo molto pallida, mettetevi sotto alle coperte. Volete che vi porti la colazione?».
«No, ti ringrazio. Voglio solo dormire. E non aprire le persiane per nessun motivo, voglio stare al buio» rispose Peach, infilandosi nel letto. Non aveva fame, voleva solo chiudere gli occhi. Così fece, mettendosi comoda. Le palpebre erano pesanti e stava diventando difficile tenerle aperte.


Il sonno tornò subito, regalandole sogni intrisi di rosso e lussuria.
 
 
Che dite, potrei farne una long, secondo voi?
Il titolo è una citazione dalla canzone “I’m just your problem” del cartone “Adventure Time”. Tutta la ff è chiaramente ispirata a Dracula di Bram Stoker.
Buon Halloween! Un abbraccio a tutti e… un morso a tutte ;)

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Capitolo 2
*** This burning desire is turning me to sin ***


Ho deciso di scrivere una long :)
Questo capitolo è più corto dell’altro, serve per descrivere i pensieri di Peach. Il prossimo probabilmente sarà più interessante.
Buona lettura e fatemi sapere cosa ne pensate!
 
 
 
This burning desire is turning me to sin
 
Peach si svegliò. 
Indolenzita, guardò l'orologio: erano le tre del pomeriggio. A quell'ora Mario era fuori al lavoro e il personale di servizio faceva un pisolino. 
La ragazza si sentiva un po' meglio, ma ancora avvertiva un malessere generalizzato. Sfiorò il lato sinistro del collo, dove sentì le due profonde ferite lasciate da quella paurosa apparizione. 
Non era stato solo un sogno, purtroppo.
Nonostante le persiane chiuse, qualche raggio di sole filtrava comunque nella camera, dandole un leggero fastidio al viso.
Doveva ancora analizzare per bene l'accaduto, cercando di superare la barriera dell'incredulità che la sua mente ancora non accennava ad abbattere. 
Dunque, tutto lasciava credere che fosse stata morsa da una vampira; aveva l'intenzione di cercare quel libro di leggende yoshi, ma ne ricordava bene il contenuto anche senza averlo davanti, tanto ne era stata colpita. Per quanto assurdo potesse sembrare, quegli esseri notturni di cui aveva letto esistevano davvero e una di loro aveva avuto l'idea di farle visita per trasformarla. 
Toccò di nuovo il morso, ricordando le sensazioni provate con un misto di imbarazzo e vergogna. Nessuno, neanche suo marito, l'aveva mai fatta sentire così, come sul punto di sciogliersi. Ciò che la toccava di più riguardo al lato sessuale della faccenda era l'aver provato piacere grazie ad una donna. 
Sovrannaturale, ma sempre una donna.
Il periodo storico non era il più favorevole all'accettazione dell'omosessualità e la povera fanciulla era condizionata dalla mentalità chiusa dell'epoca. Gli omosessuali erano guardati con grande disprezzo, come i koopa o i goomba.
Fin da piccola, a Peach era stato insegnato che una volta cresciuta avrebbe sposato un uomo benestante che l'avrebbe protetta e a cui avrebbe donato numerosi figli, diventando l'angelo del focolare, un bel soprammobile sorridente ed educato da tenere in mostra quando c'erano ospiti e da usare di notte per soddisfare le voglie del marito finché questi non avesse trovato un'amante più giovane e carina di lei, ormai sfatta dai parti e dalla noia mortale della sua vita.
Le cose erano andate meglio di così, in realtà: fino al giorno prima il destino era stato molto buono con lei, concedendole una bellezza angelica durevole e un marito di successo non autoritario che non la obbligava a fare nulla e donandole la libertà di non dover attingere a quella vocazione materna che in fondo non sentiva.
La sua vita era questa, a casa tutto il giorno a leggere e a ricamare (attività che comunque gradiva e che di solito non erano permesse a tutte le donne: le povere non leggevano e le ricche non cucivano, e a volte neanche leggevano) e a messa la domenica... Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi invischiata in relazioni saffiche vampiresche.
E che dire della trasformazione? La mutezza del suo cuore era come una lapide messa a commemorazione della sua precedente condizione di comune mortale. Sentiva crescere in sé un estraniamento per il giorno, sentiva di desiderare la notte e avvertiva il richiamo di qualcosa di nuovo, di un'altra dimensione. 
Tutto ciò era assurdo, sbagliato, impossibile da accettare. 
Eppure... non aveva desiderato che quel meraviglioso morso durasse in eterno? Non aveva sentito una spinta irrefrenabile verso quella sensuale strega che l'aveva avviluppata e legata a sé? Non aveva improvvisamente sete?
Quest'ultimo pensiero la colpì profondamente. 
Se davvero era una vampira, allora il suo più grande impulso avrebbe dovuto essere quello di nutrirsi di sangue. E in effetti, la sete che sentiva era diversa da quella provata fino al giorno prima, assomigliava di più ad un desiderio di riempimento. 
La disperazione si fece ancora più pressante nella poverina: doveva forse bere il sangue di qualcuno ogni notte, trasformando a sua volta in vampiro l'ignara vittima? Doveva diventare un mostro demonizzato da tutti? Avrebbe perso per sempre la sua vita? Quanto tempo ci avrebbero messo i suoi conviventi a notare il cambiamento?
Si sentiva persa e le lacrime che fino a quel momento erano rimaste in disparte per lasciare posto al rimuginio iniziarono a scendere copiose lungo le guance bianche come la neve di Peach.
Che ne sarebbe stato della sua anima? Non sarebbe mai stata ammessa al Mondodisu, ormai era dannata per sempre. Era condannata ad una vita d'inferno, perversa, lontana dal rassicurante nido che si era creata...
Qualcuno bussò alla porta.
Peach cercò di ricomporsi asciugandosi le lacrime con il lenzuolo. «Avanti!».
Entrò la cameriera. "Come state, signora? Vi sentite meglio? Vi ho portato una tazza di tè" disse premurosa, poggiando sul comodino un vassoio con tè e biscotti. 
«Ti ringrazio, Beatrice, ma non ho appetito» disse Peach, irrequieta.
«Ma dovete mangiare, o non guarirete mai. Volete che chiami il medico?».
Al pensiero che qualcuno potesse vedere il morso la giovane inorridì. «No, non serve, non preoccuparti. Mi sento già molto meglio» dichiarò, senza mentire. 
«Va bene, allora vi lascio riposare. Avete bisogno di qualcosa?».
«Nulla, grazie. Puoi andare».
«D'accordo. Buon riposo».
La toad Beatrice uscì e si chiuse la porta alle spalle, lasciando Peach di nuovo sola con i suoi pensieri.
 
Con grande fatica, Peach riuscì a bere il tè e a mangiare un biscotto, non riuscendo tuttavia a placare quella che ormai riconosceva come una via di mezzo tra la fame e la sete.
Alle otto scese a cena, cercando di rendersi presentabile con un semplice vestito senza corsetto. Mario era appena tornato ed era molto preoccupato. «Hai un colorito spettrale, mia cara. Mangia, ti sentirai meglio. Il brodo rinforza» disse, accennando alla minestra.
Peach cercò di ingoiare il cibo che ormai la disgustava, in silenzio. Dopo aver ingoiato l’ultimo cucchiaio di minestra come se fosse veleno se ne tornò al piano di sopra il prima possibile, stanca. 
Durante la cena aveva mantenuto il suo solito contegno, ma appena entrata in camera scoppiò a piangere. Lo sconvolgimento era inevitabile, dopotutto.
Mentre singhiozzava riversa con il viso sul cuscino udì un picchiettio leggero provenire dalla finestra. Si voltò e nel buio distinse chiaramente la sagoma di un gatto.
Pensò che fosse arrivato sul davanzale dal tetto, ma ora gli sarebbe stato difficile risalire e se si fosse buttato si sarebbe fatto male. La ragazza decise di aprirgli, le faceva pena la povera bestiola.
Quando Peach aprì la finestra il micio balzò dentro immediatamente. Era un gatto tigrato, scuro, con gli occhi azzurri. Iniziò a strusciarsi contro le gambe di Peach facendo le fusa. La ragazza era intenerita, i gatti le erano sempre piaciuti. Si chinò per accarezzarlo e vide che era una femmina. «Oh, quanto sei graziosa…» mormorò, grattandole il mento.
Dopo un po' di dolce ronf ronf la gatta saltò sul letto.
«Non sul letto, micia!» la rimproverò Peach. «Ho già abbastanza problemi, mancano solo i peli di gatto sulle coperte».
Si avvicinò per scacciarla, ma all'improvviso dal nulla una nebbia indistinta iniziò ad avvolgere il felino in spire, lasciando Peach interdetta per un attimo.
Una nube verdastra circondava la gatta, nascondendola alla vista della fanciulla, che non fece in tempo a meravigliarsi dell'ennesima stranezza nel giro di meno di ventiquattro ore che la nebbia si diradò, rivelando al posto della gatta una ragazza, la stessa che si era resa coprotagonista della notte precedente.
Peach balzò dallo sbigottimento. L'altra la fissò, seduta a gambe incrociate sul letto. Indossava un vestito nero e gli stessi orecchini a forma di fiore che Peach aveva visto la sera prima. La cosa che più colpiva era lo sguardo: un dardo penetrante. 
«Capisco che tu sia spaventata, mia cara, ma ormai non ha più senso esserlo» disse la nuova arrivata in tono inespressivo, guardando negli occhi Peach come un falco fissa la sua preda. «Ormai questa vita non ti appartiene più».
Peach rimase dov'era. Sentiva le ginocchia deboli. «...Chi siete? Uscite subito, potrebbe entrare qualcuno» farfugliò.
«Ora ti spiegherò ogni cosa. Chiudi a chiave la porta» ordinò, mettendosi più comoda.
Peach cercò di riacquisire padronanza di sé. «Io... io non chiuderò nessuna porta. Andatevene immediatamente o inizierò a urlare!».
«Non essere così scontrosa, biondina mia» la esortò la vampira, alzandosi e avvicinandosi.
«...Non vi avvicinate!» gridò Peach, indietreggiando. Purtroppo il muro mise fine alla sua fuga e la ragazza vide l'altra avvicinarsi sempre di più. «Stai calma, non urlare. Non voglio farti male» disse la vampira, ormai proprio davanti a Peach. Prima che quest'ultima potesse fare qualsiasi cosa, fu baciata delicatamente sulle labbra. 
Per un attimo Peach rimase impietrita.
Poi sentì nascerle dentro quella sensazione piacevole e calda della notte precedente, sebbene molto meno intensa. 
Fu un bacio molto casto che durò cinque secondi, trascorsi i quali la fanciulla della notte si staccò.
«Mi chiamo Daisy. Stasera mi sembri molto agitata, tornerò domani, ma fa’ in modo di esserti calmata, così sarai nelle condizioni di ascoltarmi». 
Peach, ancora una volta, era rimasta immobile.
La mano di Daisy le accarezzò il volto, indugiando con il pollice sulle labbra.
«La morte ti dona molto, bambolina, e da vicino sei ancora più bella. Non pensavo che potessi diventare più incantevole di quanto già non fossi» disse Daisy, accennando un sorriso che, ad una successiva rielaborazione mentale, Peach avrebbe definito molto dolce.
Senza dire altro, Daisy si avvicinò alla finestra e la aprì. La nebbia di poco prima la avvolse di nuovo, ma stavolta dalle particelle vaporose uscì un pipistrello che, dopo un paio di giri della stanza a mo' di saluto, volò via nella notte.
Nel frattempo Peach si era ripresa dal torpore. 
Si portò una mano alle labbra e corse alla finestra, guardando fuori, ma della creatura non v'era più traccia.
 
Ho deciso di intitolare ogni capitolo con un verso di una canzone in inglese attinente al contenuto del capitolo. Non sarà molto originale, ma alcuni brani mi ispirano molto. In questo caso il titolo proviene da “Hellfire”, canzone de “Il gobbo di Notre Dame” della Disney. Penso che molte canzoni che daranno i titoli alla storia proverranno da cartoni animati XD Sono un’eterna bambina.
Il Mondodisu è una specie di paradiso che troviamo in Super Paper Mario, il cui capo è Granbì.
Grazie per aver letto!

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Capitolo 3
*** Tell me and I'll be around ***


Terzo capitolo :) Scusate l'attesa D: Buon anno, comunque :) Il titolo è un verso di "Call me" di Petula Clark.
Buona lettura!
 
Tell me and I'll be around


«Che cosa stai facendo, cara?» chiese Mario, entrando in camera e vedendo la moglie affacciata alla finestra. «Così prenderai freddo».
Peach impiegò qualche secondo a registrare le parole di suo marito, ancora scossa dall'accaduto. «...Volevo rinfrescarmi» rispose, chiudendo in fretta la finestra. Cercò di dissimulare il suo stato d'animo. «Perché sei già salito? Non hai voglia di leggere, stasera?» chiese, vedendolo in camicia da notte.
«No, stanotte per assistere mia madre non ho dormito e ora voglio riposare» rispose Mario, infilandosi nel letto. «Ti senti meglio?».
«Sì, un po'» rispose Peach, infilandosi a sua volta nel letto. Tremava, ma sperò che Mario non se ne accorgesse.
«Sei sicura di non voler vedere un medico?».
«No, stai tranquillo, adesso sto meglio» ribadì la ragazza. Si avvolse meglio la sciarpa attorno al collo per coprire bene il morso e si sistemò le coperte.
«Buonanotte».
«Buonanotte». Peach spense il lume. Si chiese cosa sarebbe successo se Mario fosse entrato un minuto prima, trovando ancora Daisy. Decise che non voleva pensarci. 
Era troppo scossa per dormire e si mise a riflettere su quanto era accaduto. Ebbene, si era fatta sedurre di nuovo dalla vampira. Potendola osservare meglio, era stata colpita nuovamente e più intensamente dal fascino della donna. C'era qualcosa di forte che la spingeva ad avvicinarsi a lei, in parte slegato dalla sensazione avvolgente che anche quella sera aveva provato non appena Daisy l'aveva toccata. Infatti il bacio aveva portato piacere, mentre ciò che aveva avvertito guardando la vampira era un coinvolgimento più completo, fisico e mentale.
Decise che aveva bisogno di risposte.

Il giorno dopo si alzò di buon'ora e, dopo essersi vestita, si recò nello studio di Mario, che era già uscito, saltando la colazione. Si sentiva più in forze, nonostante la spiacevole sete che cresceva ogni ora di più. Era decisa a scoprire qualcosa in più riguardo al vampirismo, non poteva aspettare il ritorno di Daisy, desiderato e temuto allo stesso tempo.
Trovò il libro di leggende yoshi e, accomodandosi sul divano, lo aprì sul capitolo dei vampiri. 

Imparò molte cose, quel giorno. 
Le origini dei vampiri erano sconosciute. I primi casi documentati risalivano a secoli prima nell'isola Yoshi. Queste creature della notte, avvistate da pochi, erano di diverse specie: yoshi, esseri umani, tipi timidi, koopa... Sembrava che nessuno fosse immune al morso dei vampiri, abili nel nascondersi e, a detta di alcuni, capaci di trasformarsi in diversi animali, perlopiù notturni. I vampiri si nutrivano di sangue, che succhiavano alle loro vittime con violenza. Nessuno era immune, le uniche cose che potevano fermarli erano la luce solare, capace di bruciar loro la pelle, e l'aglio, a cui secondo il libro erano allergici ed ipersensibili perfino all'odore (ma a Peach non sembrava di aver aver avuto reazioni allergiche entrando in sala da pranzo). Si diceva che abitassero nei cimiteri e che dormissero nelle bare. Per riconoscerli si poteva fare affidamento sulla carnagione estremamente pallida, sui canini appuntiti e sul morso lasciato dal vampiro che lo aveva trasformato. Non c'erano altre caratteristiche che potessero smascherare un vampiro, e le tre appena esposte potevano essere facilmente nascoste con del trucco, la bocca chiusa e una sciarpa attorno al collo (punto che di solito veniva morso). 

Peach continuò la ricerca sfogliando altri volumi simili, senza trovare tuttavia informazioni aggiuntive. 
Ormai erano le sei di sera, era buio. Era nello studio da tutto il giorno in cerca di risposte, ma non sembrava che quella stanza potesse serbargliene altre.
Tuttavia, presto comprese quanto si sbagliava.
«Scommetto che questi libri sono pieni di fesserie su noi vampiri».
Peach rimase pietrificata, riconoscendo la voce. Se fosse stata ancora viva probabilmente avrebbe fatto un respiro profondo prima di voltarsi, ma non potendolo fare, si voltò e basta.
Daisy era lì, in piedi accanto alla finestra aperta, a braccia conserte. 
Anche se era la terza volta che la vedeva, Peach non si era ancora abituata a ricevere con disinvoltura l'ondata di attrazione per la bella ragazza.
«Mi farai parlare, stasera?» chiese Daisy, immobile. 
«...Parlate piano. Potrebbe sentirvi qualcuno». Peach aveva paura, ma sapeva che Daisy era l'unica che potesse darle risposte certe, ammesso e non concesso che non la volesse prendere in giro. Chiuse la porta a chiave, senza mai staccare gli occhi dall'altra. 
«Ditemi che cosa volete da me. Voglio sapere che cosa mi è successo e che cosa sono adesso. E soprattutto come farò a nutrirmi» disse Peach, irritata.
«È una storia lunga, forse è meglio se ci sediamo» propose Daisy.
«No, restate dove siete. Non voglio scherzi» disse Peach, inamovibile.
«...Va bene. Ma diamoci del tu, cara».
«Non intendo prendere confidenza con voi. Voglio solo delle risposte».
«Le avrai. E spero anche di toglierti quell'espressione arrabbiata dal tuo bel faccino pallido» disse Daisy, ammiccando.
Peach sentì un rossore colorarle le guance, ma lo ignorò. «Dunque? Che cosa mi avete fatto?».
«Ti ho resa un vampiro» rispose la mora, come se fosse cosa da poco.
«Questo lo avevo inteso, grazie. Ma cosa succederà ora? E perché lo avete fatto?».
«L'ho fatto perché è nella mia natura farlo. Noi vampiri abbiamo bisogno di almeno una dose di sangue al mese e stavolta è toccato a te. Di solito una vittima viene divisa tra tutti i membri del gruppo per trasformare meno persone possibile, ma per questa volta… ho deciso di agire da sola. Ora, mi dispiace dirlo, comincerai anche tu a succhiare il sangue di qualcuno».
Peach era senza parole. «...Che ne sarà della mia vita? Non c'è un modo per tornare come prima?».
«Non c'è, biondina. Siamo tutti condannati a questa esistenza».
Peach si lasciò cadere sul divano, sentendo la testa che le girava. Daisy si avvicinò, apprensiva. «Lo so che è brutto, ma devi accettarlo. Spesso mi trovo a fare questo discorso ad altre vittime. Fidati, non è piacevole neanche per me». Si sedette vicino a Peach, che non aveva neanche la forza di respingerla. «Presto dovrai trovare del sangue da bere. Ti aiuterò io, tranquilla. E ti farò conoscere altri vampiri. Ormai siamo noi la tua famiglia». Le accarezzò delicatamente i capelli e Peach scoppiò in lacrime, rannicchiandosi su se stessa e nascondendo il viso tra le mani. 
Daisy pensò che forse era meglio lasciarla sfogare per un po' e così fece. Si prese del tempo per osservare le pareti, i mobili, il tappeto. Tutto, dal soffitto al pavimento, sembrava sottolineare la ricchezza del marito di Peach. Ogni volta che mordeva qualcuno le dispiaceva strappare il malcapitato (o la malcapitata) dalla sua casa, ma pensava anche che probabilmente la vita di Peach non era mai stata particolarmente felice. Era una ragazza troppo carina per stare con quel nano di Mario, pensò Daisy. 
«Perché avete scelto proprio me?» chiese Peach tra i singhiozzi. Gli occhi azzurri erano evidenziati e ingranditi dalle lacrime. 
Che pena che provava Daisy. «Perché sei bellissima» rispose. «So che non ti fidi di me, ma io voglio aiutarti. Qualcuno dovevo pur scegliere e ho scelto te, ma ciò non significa che non mi dispiaccia. Quando sono stata trasformata anche io mi sentivo come te». Riprese ad accarezzarla. «Ormai è successo, perciò tanto vale adeguarsi. Ti aiuterò nel tuo cammino». 
Peach era completamente in subbuglio. Daisy era colei che le aveva rovinato la vita, ma in quel momento era anche l'unica su cui potesse appoggiarsi, l'unica che potesse capirla e che potesse ascoltarla. C'era passata anche lei ed era il suo unico contatto con i suoi nuovi simili. Poteva solo fidarsi di lei e sperare di riporre la propria fiducia nelle mani giuste. E non poteva trascurare il fascino che Daisy esercitava su di lei, soprattutto ora che la vampira aveva cominciato a massaggiarle le spalle. «Che state facendo? Non toccatemi» ordinò Peach, ma il suo tono di voce era tutt'altro che convincente. 
«Ti sto massaggiando per farti rilassare. Noi vampiri abbiamo delle capacità calmanti, imparerai ad usarle anche tu».
«...Potrebbe entrare qualcuno» disse Peach, ma doveva ammettere che la ragazza era abile.
«La cameriera è uscita per fare la spesa e il maggiordomo si è addormentato sul divano, l'ho visto prima di entrare qui. Ma se preferisci possiamo spostarci in camera da letto» propose Daisy, sfacciata.
«Farò finta di non aver sentito».
Rimasero così per qualche minuto, in un silenzio che Peach percepiva come molto imbarazzante e pesante. Si stava facendo massaggiare dalla donna che le aveva rovinato la vita e le piaceva anche, roba da matti.
«Potete smettere, mi sono calmata» disse, ed effettivamente era così. Si sentiva più lucida, forse proprio grazie ai poteri vampireschi. 
«Stai meglio? Se la mia presenza ti dà delle sensazioni particolari è normale, noi vampiri oltre a un effetto camomilla siamo anche capaci di attrarre gli altri. Un po' è indipendente da noi, un po' lo facciamo apposta. Imparerai a controllare anche quello». Interruppe il massaggio e continuò: «Forse su quei libri hai letto che noi vampiri siamo allergici all'aglio e che dormiamo nelle tombe, ma sono panzane. Ti porterò dagli altri, quando vorrai. Hai altre domande?».
«Vorrei sapere quando potrò placare la mia sete» dichiarò Peach, con la gola secca. Sapeva che era un pensiero orribile, ma il desiderio di dissetarsi con del sangue umano era molto forte.
«Quando ti sentirai pronta per mordere qualcuno, ovvio. E penso che accadrà quando proprio non ce la farai più. Hai ancora qualche giorno prima di sentire una sete bruciante». 
Peach era profondamente turbata. «Non voglio farlo...».
«Devi. So come ti senti e mi sento in colpa per averti condannata a questo, ma ho dovuto farlo per forza».
Silenzio.
«...Voglio rimanere da sola» disse Peach, tenendosi le mani.
«Va bene, capisco il tuo bisogno di riflettere. Tornerò a trovarti, non ti lascerò sola. Se hai bisogno di qualcosa dimmelo quando ci rivedremo, senza problemi».
Daisy si alzò, si trasformò in un gatto (sotto lo sguardo nuovamente sbigottito di Peach), balzò sul davanzale, disegnò un cuore sul vetro con la zampina e saltò via.

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Capitolo 4
*** Yellow eyes, the spotlights of the city nights ***


Yellow eyes, the spotlights of the city nights

Finalmente il quarto capitolo! Il titolo è un verso di "Tiger" degli ABBA. Vi avverto che in questo capitolo (e in capitoli futuri) c'è UN PERSONAGGIO TRANSESSUALE, perciò se siete transfobici/volete insultare gratuitamente andate da qualche altra parte. 
Buona letturaaa :)

Non ce la faccio più, pensò Peach, ormai quasi disidratata. Aveva bisogno di sangue, non poteva attendere oltre.
«Vi sentite bene?» chiese la cameriera a Peach, notando il pallore mortale della ragazza seduta sul divano.
«Sì, sto bene» rispose inespressivamente la giovane.
La toad però non era affatto convinta della buona salute della sua padrona. «Ne siete sicura?».
«Sicurissima». Devo vedere Daisy, solo lei può aiutarmi, pensò.
Pur dubbiosa, la toad lasciò cadere la discussione. «Vado a fare delle compere. Serve qualcosa?».
Una flebo. «No, nulla, Beatrice, grazie. Va' pure». 
La cameriera scosse leggermente la testa alla testardaggine di Peach. Non vogliono mai apparire deboli, queste signorine moderne, pensò, prendendo il cappotto e avviandosi alla porta.
Sentendo la porta di casa chiudersi Peach si rannicchiò sul divano come un topo in trappola. Doveva assolutamente bere, o sarebbe morta... Non che già non lo fosse. Ora che aveva un disperato bisogno di Daisy quella stupida non c'era, accidenti a lei. 
Ma, come si suol dire, parli del diavolo e spuntano le corna.
«Yuhuuu, biondinaaa» cinguettò Daisy piombando sul davanzale della finestra aperta.
Peach sobbalzò gridando. Era proprio lei, con tanto di orecchini petalosi. 
«Non mi aspettavo quest'accoglienza» commentò, scendendo dal davanzale e sedendosi con disinvoltura accanto a Peach. «Come stai?».
«Secondo te?» sbottò, ritenendo ormai privo di senso dare del voi a Daisy.
Daisy la fissò attentamente. "Be', non hai una bella cera. Mi sembri proprio al limite della sete. Ora non potrai fare a meno di venire con me" disse entusiasta, prendendole una mano tra le sue.
A quel contatto Peach rabbrividì visibilmente. Non riusciva ad essere immune a quell'ondata di calore che la avvolgeva ogni volta che Daisy la toccava. Quest'ultima era perfettamente consapevole dei suoi poteri e se ne stava bellamente approfittando. 
«Non toccarmi, non voglio che tu mi faccia quest'effetto» protestò Peach, ritraendo la mano.
«Non lo faccio apposta, te l'ho detto. Noi vampiri attraiamo anche indipendentemente dalla nostra volontà. Se davvero volessi sedurti con i miei poteri proveresti le sensazioni di quando ti ho morso».
Le guance di Peach si colorarono di rosso. «...Capisco. Evita di toccarmi, comunque» disse, ricordando fin troppo bene l'estasi di quella notte. Una parte di lei avrebbe voluto rivivere quei momenti altre mille volte, ma sentiva che era sbagliato. Sentirsi così grazie a una donna era peccato, e ciò che alimentava ancora di più il senso di colpa era che suo marito non l'aveva mai fatta sentire così bene, neanche lontanamente, neanche per un secondo.
«...Va bene. In ogni caso i miei poteri avranno sempre meno effetto su di te, ora li subisci pesantemente perché sei una vampira da poco e sei ancora legata alla tua natura umana. Presto ti rafforzerai» le spiegò Daisy, con una punta di freddezza. «Allora, sei pronta per la tua prima vittima?» chiese poi, raddrizzandosi entusiasta.
Peach trasalì. Era giunto il momento di seguire la sua nuova natura. «...Chi è?» chiese con voce tremante.
«È un uomo che abbiamo catturato in una città qui vicino».
«...Abbiamo?».
«Io e gli altri vampiri. Ora ti porterò da loro. Noi ci nutriamo sempre in gruppo una volta al mese dalla stessa persona, in modo da vampirizzare meno gente possibile».
Peach ci mise qualche secondo ad elaborare tutto. Dopodiché una domanda sorse spontanea. «E allora perché sei venuta da sola a mordermi?».
«Perché ho avuto un problema e non ho potuto bere per due mesi. Mi sono nutrita appena ho potuto. Gli altri avevano mangiato da poco, quindi sono andata da sola».
Peach non fece in tempo a chiedersi che problema avesse avuto Daisy che subito l'altra esclamò: «Andiamo, dai», alzandosi.
«Andiamo dove, di preciso?» chiese Peach, ansiosa.
«Al nostro castello. È lì che viviamo. Sta' tranquilla, sarai trattata come una principessa» la rassicurò.
«Ma quando mio marito e la servitù torneranno non mi troveranno...».
"Devi dimenticarli, piccola. Ora fai parte di un altro mondo" disse Daisy, con una vena di dispiacere.
«...Vuoi dire che non li rivedrò mai più?». La voce di Peach tremava.
«Penso di no. Su, non mi sembravi molto felice, qui. Tuo marito non ti ha mai dato nulla».
«Cosa sai di quello che provo per Mario?» disse Peach, irritata. «Tu non sai niente di me. Mi hai solo usata per i tuoi scopi egoistici!». 
«Bere è una necessità, non è egoismo» precisò Daisy, risentita. «Devi sapere che quando scegliamo la prossima vittima ci assicuriamo che sia una persona infelice. So che tu lo sei, Peach, non mentire! Ti abbiamo spiata per tanto tempo e abbiamo capito che la tua vita è vuota come la zucca di un toad, non è difficile capirlo. Non ti ho mai vista fare un sorriso sincero, ma in compenso so che passi parte del tuo tempo a piangere... È difficile dover condannare qualcuno a bere sangue per sempre e si scelgono sempre gli infelici, e tu eri chiaramente tra questi!» finì la mora, ormai urlando. 
Dagli occhi sgranati di Peach scesero due lacrime che, rigandole il volto, ne risaltavano il pallore sepolcrale. «E così oltre ad avermi resa un mostro mi spii? Sei una bestia». Scoppiò a piangere. Sentiva che la sua privacy era stata violata e non lo accettava. Non voleva che qualcuno la vedesse piangere, soprattutto a sua insaputa. 
Daisy sospirò spazientita e si ributtò sul divano. Era arrabbiata, ma le dispiaceva che Peach fosse così disperata. Era comprensibile, dopo tutto. La lasciò sfogarsi, avrebbe voluto abbracciarla, ma le era stato proibito di toccarla e aveva deciso che se voleva farsela amica (o anche qualcosa di più) non doveva essere troppo prepotente. 
Anche dopo essersi calmata, Peach non sembrava avere intenzione di rivolgerle la parola. Fu Daisy a rompere il silenzio: «Senti, penso che tra poco qualcuno tornerà, quindi se vuoi venire via con me è meglio che tu lo faccia ora, altrimenti dovrai aspettare ancora».
Nonostante fosse infuriata, Peach non poteva attendere oltre di sfamarsi. Lentamente alzò il viso distrutto, trovando l'altra intenta a fissarla con un'espressione indecifrabile.
«Va bene, andiamo».

Radunati in fretta e furia vestiti e qualche oggetto, Peach era pronta per partire. 
«È troppo pericoloso uscire dalla porta, potremmo incontrare qualcuno. Meglio uscire dalla finestra e passare per i vicoli» disse Daisy, arrampicandosi sul davanzale.
«Quanto è lontano questo castello?» chiese Peach, con la voce roca per il pianto.
«Non molto, quando saremo uscite dalla città potremo procedere più spedite. Per lasciare il centro abitato prenderemo una carrozza. Copriti bene con il cappuccio».
Peach si calò bene il cappuccio della cappa sulla testa e seguì l'altra fuori dalla finestra (si trovavano al piano terra). Una volta nella stradina sul retro della casa, Daisy le fece segno di fare silenzio e di seguirla. Peach non era abituata a correre tra i vicoletti puzzolenti della città, si sentiva a disagio: fino a poco tempo prima l'evento più avventuroso della sua vita era stato sciogliere qualche nodo particolarmente odioso con il pettine.
Giunte su una strada più frequentata si diressero verso una carrozza e Daisy concordò con il vetturino destinazione e prezzo, mentre Peach cercava di nascondersi il più possibile con la cappa. Salirono a bordo e abbassarono le tendine, in modo che Peach potesse togliersi il cappuccio. In quel momento probabilmente a casa erano tutti allarmati dalla sua scomparsa, pensò. Si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi, debole e spossata.  «Scusa per prima» mormorò, con gli occhi chiusi. Daisy si voltò a guardarla, incredula. Si stava davvero scusando?
«È vero, la mia vita non era felice. Ma penso che non lo sarà neanche ora. Era proprio necessario spiarmi?».
«Sì, per capire che tipo di persona sei. Mi dispiace per quello che ho fatto, davvero, ma era inevitabile. Se avessi scelto qualcun altro non sarebbe stato giusto per lui o per lei» rispose Daisy con gli occhi bassi.
«Capisco. Mi dispiace di averti detto che sei una bestia. Credo di cominciare a capire le tue ragioni, ma sono ancora molto sconvolta».
«È comprensibile. Vedrai che ti abituerai».
Rimasero in silenzio per un po', finché la carrozza non si fermò. Peach fu lieta di allontanarsi da Daisy e dai suoi vapori ammalianti, scendendo dalla carrozza. Si trovavano in un prato, poco fuori la città. Peach non era mai stata così lontana dalla sua casa, per lei era tutto così nuovo da farle quasi dubitare che fosse vero. Il vetturino fu pagato e fece dietrofront, allontanandosi alla luce della luna ormai alta nel cielo.
«Guarda laggiù, farfallina» disse Daisy, indicando un punto lontano.
Peach alzò gli occhi e vide una foresta in lontananza.
«È lì che dobbiamo andare. Ora mi trasformerò in una pantera e mi salirai in groppa».
«Preferirei andare a piedi, grazie» ribatté Peach.
«Ci metteresti una vita ad arrivare, non saresti lì prima di domani mattina, sempre che tu riesca ad evitare le belve feroci. Stanno tutti aspettando te per mangiare. Inoltre se il sole dovesse sorprenderti dovresti procedere coperta e non sarebbe comodo».
A quanto pare non c'era altra scelta. «E va bene, trasformati e andiamo».
Daisy fu avvolta in una nuvola di fumo da cui uscì un bellissimo ed imponente esemplare di pantera. La pelliccia nera luccicava sotto i raggi lunari, rendendola quasi una creatura eterea. Gli occhi gialli brillavano, due fari nell'oscurità. Il felino si abbassò per permettere a Peach di salire. La ragazza si accomodò un po' impacciata, non capita tutti i giorni di cavalcare una pantera. Il pelo era stupendo anche al tatto. Daisy si rialzò e cominciò a camminare lentamente, permettendo a Peach di assestarsi. Piano piano Daisy aumentò la velocità, finendo col correre velocemente tra le fronde. Peach si teneva forte al pelo dell'animale, cercando di evitare i rami troppo bassi una volta entrate nella foresta. Daisy balzava agilmente tra le fronde, evitando le radici sporgenti. Tutto intorno a loro c'erano rumori di ali sbattute, di cespugli scossi e di ruscelli agitati. Dopo cinque minuti di corsa Peach iniziò a vedere il castello in lontananza. Era un'imponente struttura medievale, con tanto di ponte levatoio e merlature. Il ponte era abbassato sopra al fiumiciattolo sottostante e Daisy con un ultimo balzo vi si trovò sopra. Peach scese e Daisy tornò vampira, scrollandosi la polvere dall'abito. 
«Ti sei divertita?» chiese vivacemente, sistemandosi i capelli.
«Un mondo...» rispose Peach ironica, con un po' di nausea.
«Finalmente siete arrivate! Sono così felice di conoscervi, signorina!» gridò una strutzi rosa comparsa improvvisamente al portone. Aveva un grosso fiocco rosso in testa e due canini che le spuntavano dalla bocca. Inspiegabilmente contentissima, corse a stringere la mano a Peach. «Siete bellissima! Daisy ha scelto proprio bene... Non vedo l'ora di diventare amiche!» gridò, saltellando qua e là. 
«...Buonasera a voi» salutò Peach, un po' stranita.
«Bentornata, Daisy! Io mi chiamo Maria Sole!» si presentò la sconosciuta, sempre sbracciandosi.
«Ciao, Mary» salutò Daisy, sorridendo.
«Io sono Peach Mario, piacere di conoscervi» disse, incerta.
«Seguitemi, prego!», e saltellò verso l'interno. 
«...Chi è questa matta?» sussurrò Peach a Daisy, avviandosi dietro alla strutzi.
«Non è matta, è solo molto solare, come dice anche il nome che si è scelta» precisò Daisy.
«In che senso si è scelta il nome?» chiese Peach, con un'espressione interrogativa.
«Vedi, una volta Maria Sole era uno strutzi maschio, poi ha deciso di cambiare sesso con la magia. Non ha un passato felice. L'incantesimo per diventare femmina le è costato tutti i suoi risparmi e per riguadagnare qualcosa in fretta si è trovata costretta a fare il mestiere più antico del mondo. È finita in un brutto giro e non le è più stato possibile smettere. È veramente contenta di essere una vampira perché ora non fa più parte di quel mondo squallido».
Peach era sbalordita. Fino a qualche giorno prima non sapeva neanche che si potesse essere lesbiche, figurarsi transessuali. 
«E perché ha cambiato sesso? È assurdo» commentò Peach.
«Perché lei si sentiva femmina. L'incantesimo è stato eseguito alla perfezione, non la distingueresti mai da una strutzi nata femmina».
«Mi sembra ridicolo». Dove sono capitata... pensò la bionda, disperata.
«Col tempo imparerai ad accettarla e capirai che non è meno donna di me e di te. Anche se non avrà mai i tuoi cerbiattosi occhi azzurri...» disse Daisy, ammirando il profilo di Peach alla luce delle torce. 
«...Smettila» la ammonì l'altra, arrossendo di nuovo.
«Eccoci, Peach!» trillò Maria Sole, qualche metro più avanti, arrivata ad una porta alta e pesante. 
«Sei pronta?» chiese Daisy, guardando negli occhi Peach.
«...Non lo so, ho paura» confessò lei, nervosa. «Non so cosa aspettarmi... Non voglio stare qui... Voglio tornare a casa...». Le si inumidirono gli occhi. La sete ormai era bruciante e le offuscava la mente. 
Daisy si avvicinò, preoccupata. «Ehi, calmati. Vedrai che poco alla volta ti verrà tutto naturale. Dovrai bere una piccola quantità di sangue, ti mostreremo come fare. Non ti abbandonerò, Peach, te lo assicuro. Tutto quello che posso fare per aiutarti lo farò». 
Maria Sole si fermò, capendo che era un brutto momento. 
«Volete che vi lasci un po' da sole?» chiese la strutzi. 
Peach si asciugò le lacrime con le mani, triste. Pensò che prima o poi sarebbe dovuta entrare lì e che prima si arriva e prima si va via. 
«No, sono pronta» dichiarò Peach, determinata.
«Sei sicura?».
«Sicurissima. Aprite pure».
Maria Sole aprì la pesante porta e tutte e tre entrarono nella sala dei banchetti.

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