La storia del salice piangente e del non-ti-scordar-di-me

di Lady Hamamelis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il salice ridente ***
Capitolo 2: *** La bambina dagli occhi azzurri ***
Capitolo 3: *** La guerra ***
Capitolo 4: *** Il cavaliere ***
Capitolo 5: *** La corteccia del salice ***
Capitolo 6: *** Convalescenza ***
Capitolo 7: *** La promessa ***
Capitolo 8: *** Non ti scordar di me ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Il salice ridente ***


Nel tempo delle dame e dei cavalieri, l’argine del grande e freddo fiume blu era la sede di molte piante benestanti, tra cui il salice ridente. Quest’ultimo era una novità nelle terre dell'Occidente e infatti si notava subito la presenza di questa pianta asiatica.
Era chiamato “ridente” poiché, essendo cresciuto in una terra straniera senza l’esempio dei suoi simili, i suoi lunghi e sottili rami crescevano verso l’alto, a dispetto delle tradizioni dei salici a lui ignote.
Il salice ridente era un albero con un tronco modesto ma una chioma così verde, rigogliosa e protesa verso l’alto che pareva volesse sfidare il cielo provando a toccarlo. Quando giungeva primavera era il primo fra tutti a fiorire e gli uccellini o gli scoiattoli facevano sempre le feste più appariscenti e divertenti fra i suoi rami.
Il salice sapeva bene di essere uno degli alberi più belli nel vicinato ma non si dava mai arie, poiché riteneva che i raggi caldi e le carezze del vento fossero le cose per le quali valesse essere contenti. Per questo fu chiamato ridente: aveva tutto per sorridere alla vita e ne era contento.
“Come vorrei poter gioire facilmente come te”, gli dicevano spesso gli altri alberi, “..io soffro così tanto l’umidità! Dev’essere una caratteristica straniera essere contenti!”, e tutti ammiravano il suo spirito tenace oltre alla sua bellezza.
In realtà in cuor suo il salice si sentiva molto solo. Non era una consolazione il fatto di essere l’albero più famoso e lodato del vicinato; gli mancava qualcuno simile a lui con il quale poter condividere la propria diversità. Tuttavia affrontava la solitudine coraggiosamente e con un sorriso sempre pronto di fronte ai regali offerti dall’amata natura.

Era arrivato l’autunno e, mentre gli alberi ad alto fusto come lui perdevano le foglie, il sottobosco dava i suoi frutti più succosi: sui cespugli ancora verdi si potevano trovare ribes, more, lamponi e anche qualche fragolina per tutto l’autunno. Il salice non capiva perché quei rovi lavorassero duramente per dare i loro frutti in un momento di riposo; non potevano certo aiutare gli scoiattoli, che proprio in autunno si rinchiudevano nelle loro tane piene di ghiande, e sicuramente nemmeno gli uccellini che erano migrati in posti più caldi, dove avrebbero trovato frutti ben più succosi dei loro! Era contro natura! Nonostante questo, le more e gli altri frutti di bosco non ascoltavano i consigli degli altri loro amici verdi, e continuavano imperterrite a caricare i loro rami di frutti zuccherosi.
Intanto il salice aveva cambiato aspetto: la sua chioma era un insieme di tinte calde e tutte le foglie sembravano voler rimanere appese sui rami fino all’arrivo dell’inverno. In questo modo, inconsapevolmente, rimaneva ancora l’albero più maestoso.

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P.S.= il salice descritto è una specie originaria della Cina, il Salix babylonica, conosciuto per il suo portamento verso il basso e per questo chiamato "piangente". Ho precisato questo fatto perchè esistono delle specie di salice originari dell'Europa e con simile portamento, così da chiarire subito la diverstà del salice ridente rispetto alle altre piante del bosco europeo :)

Spero vi sia piaciuto il primo capitolo, vi aspetto al piì presto nel secondo! Buona lettura ;) 
-Lady Hamamelis

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Capitolo 2
*** La bambina dagli occhi azzurri ***


In uno di quei giorni autunnali, dopo alcune gocce della prima pioggia fresca e la comparsa delle nuvole sulla terra, il sole fece capolino tra le nubi. Il salice si scosse dal suo torpore e ricominciò a sorridere, ringraziando il sole di quegli ultimi raggi caldi colorando le foglie con i colori caldi dell’estate passata. Nel godersi quella bella luce, non si accorse subito che tra le altre piante c’era fermento. La betulla cominciò ad argentare le foglie al sole, l’olmo si raddrizzò imponente, l’abete affilò i suoi aghi. Tutti si stavano abbellendo.
Chiese al castagno suo vicino se conoscesse la causa di quel trambusto: sì, la felce dabbasso gli aveva detto che c’era un ospite colorato tra loro che non avevano mai visto e che si aggirava fra i cespugli; che cosa facesse o come si chiamasse però, nessuno lo sapeva.
Proprio allora si sentì una vibrazione tra le foglie di tutte le piante: era una melodia diversa dal canto degli usignoli, meno acuta e con molti suoni; era il canto di una bambina.
Il salice provò a scorgere tra gli alberi più alti da dove provenisse quel canto così dolce. Tutto il bosco era in silenzio, persino le acque del fiume diventarono meno rumorose per ascoltare meglio il canto della bimba.
Poi finalmente la vide e si stupì che fosse così piccolina. Portava un cestino più grande di lei che faceva dondolare al suo fianco, pieno di palline rosse e nere. Subito non capì cosa fossero, poi comprese che si trattava dei frutti di bosco. Come avrebbe voluto poter dare qualcosa anche lui alla piccola bambina! Invece adesso aveva solo foglie gialle e rosse.
Ma quando quella arrivò a raccogliere le fragoline poco sotto di lui e lo vide, rimase a bocca aperta dallo stupore.
“Che bell’albero!”, esclamò affascinata, guardando all’insù con i suoi occhioni azzurri, “non ne ho mai visto uno così prima”, e si mise ai piedi del salice a contare i suoi frutti e canticchiare. Il salice si sentì così onorato per quella considerazione che avrebbe fatto dei fiori dall'emozione. Era davvero contento che tra tutti i begli alberi del bosco avesse scelto proprio lui sotto il quale sedersi. 

Dopo un po’ la bimba si alzò, guardò il salice e disse: “Come ti sentirai solo caro albero, sei l’unico diverso qui. Vorrei fossi nel giardino del convento così giocherei sempre con te”.
La piccola bambina era un’orfanella abbandonata davanti al convento di suore vicino al bosco, e lì era sempre cresciuta senza molti divertimenti e affetto. Il suo unico svago era di andare a raccogliere i frutti del bosco nelle varie stagioni e mangiarne poi la marmellata una volta portati alla cuoca del convento. Si accontentava di poco, ma le mancava sempre un babbo e una mamma. 

Da quel giorno si vide molto spesso quella graziosa bimba nel il bosco, alle volte col cestino, altre senza. In ogni caso si concedeva sempre un momento con il salice ridente, tanto che aveva messo un altalena appesa a uno dei suoi rami più resistenti, cosicché potessero stare in compagnia l’uno dell’altra in modo ancora più piacevole.
Le altre piante erano gelose del trattamento di favore che la bambina riservava per il salice e presto le loro lamentele arrivarono anche alla sua chioma. “Non m’importa di quello che pensate”, rispondeva il salice orgoglioso, “voi avete le vostre famiglie con cui stare, io sono l’unico della mia specie in questo bosco e sono sempre stato solare e gentile con voi, lasciatemi almeno l’affetto di questa bambina”. E si zittirono. 

Gli anni passarono e la bambina venne sempre nel bosco a giocare con il salice e a raccogliere frutti o fiori. L’inverno era l’unico periodo nel quale non la si vedeva, ed era meglio così visto che tutto il bosco dormiva profondamente, compreso il salice.
Piano piano le stagioni passarono e la bimba smise di giocare con l’altalena, ma non rinunciò mai la visita al suo vecchio amico. Ora si portava dietro libri da leggere, oppure cestini da intrecciare ai piedi del salice. Era diventata una graziosa fanciulla dai capelli dorati e gli occhi azzurri, alla quale piaceva la poesia e i romanzi cavallereschi -sebbene le fosse proibito leggere quel genere di cose dalle suore. Ben presto cominciò a fantasticare sul suo futuro. Desiderava incontrare un cavaliere, coraggioso e intelligente, che la portasse via da quel luogo così noioso e andare in giro per il mondo a vivere nuove avventure. Credeva che fuggendo dalla sua realtà sempre uguale potesse trovare la felicità, non accettando di entrare a far parte nell’ordine delle care suore che l’avevano accolta.

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Capitolo 3
*** La guerra ***


A un certo punto la fanciulla dagli occhi azzurri non si vide più per un bel po’ tra i sentieri del bosco. Tuttavia le piante erano preoccupate per ben altro: erano giunte voci dai piccoli passerotti, che all’inizio del bosco, dove confinava con il primo paese di uomini, molti alberi venivano abbattuti e poi bruciati, per fabbricare oggetti appuntiti di pietra lucida o costruire delle scatole aperte che galleggiavano sull’acqua.
Tali parole misero paura e rabbia nei cuori verdi. Tutti si armarono delle poche difese di cui potevano usufruire e il bosco si fece cupo e pericoloso per l’uomo: i rovi in particolare, fecero crescere spine appuntite e si arrampicarono addirittura sugli altri alberi.
“Non dovreste preoccuparvi più di tanto! Il limite del bosco è lontano migliaia di alberi da qui e noi siamo sempre stati pacifici verso le creature del mondo” provò a far ragionare la grande quercia. Ma i rovi gettavano angosce sulle povere anime spaventate degli alberi dicendo che se gli uomini fossero arrivati fin lì, li avrebbero certamente gettati tutti alle fiamme. Così la paura prevalse sul buon senso e tutta la comunità acconsentì che i rovi si infittissero affinché potessero proteggerli.
Tutto questo fece rattristare il povero salice ridente, che pensava con dispiacere solo alle numerose insidie che tendevano i suoi vicini alla sua amica. “Ah, non rivedrò mai più la mia cara  piccola amica!” e si ritrasse in sé stesso, senza partecipare ai progetti sinistri del bosco. 

Verso la primavera le voci di orrori e pericoli si erano diradate, fin quasi a scomparire, così gli alberi imponenti si erano tranquillizzati e pian piano tutto il bosco. Fino a quel momento non avevano visto nemmeno un uomo arrischiarsi di avventurarsi nei loro sentieri, perciò intimidirono i rovi a ritornare al loro posto e si prepararono per dare i primi teneri boccioli della stagione.
Queste erano le intenzioni degli alberi, ma non sapevano che la guerra degli uomini non era ancora finita. 

Una notte buia e fredda, il salice fu svegliato da urla e terribili suoni di spade. Rimase immobile e muto, spaventato da quelle grida soffocate di sofferenza che lo pietrificavano. Dopo lo shock iniziale cercò di capire da dove potessero provenire quei rumori agghiaccianti, ma la notte senza luna faceva appena vedere le sue stesse foglie. Non fu per molto però che mancò la vista: fiamme alte si alzarono dal centro del fiume e la loro luce mostrava ciò che finora aveva nascosto il buio.
Il fuoco si ergeva spaventoso e spietato sulle navi, facendo scorgere i visi bestiali e pieni di  dolore degli uomini, e sembrava divorasse quel che incontrava velocemente come era apparso. Il fiume si spaventò altrettanto per tutto quel calore e sangue che si rovesciavano su di lui, perciò provò a spegnere quel nemico distruttore con onde più forti, ma in questo modo non fece che peggiorare la situazione che cominciava a essere insostenibile per gli uomini.
Il bosco si era ormai svegliato e assistette a quello spettacolo surreale nel più completo terrore, senza riuscire a muovere una foglia.

C’erano solo tre navi che non stavano andando a fuoco, ed erano quelle che l’avevano appiccato sulle altre. Non erano molto diverse rispetto alle loro nemiche, se non che si potevano distinguere delle grandi bandiere in cima all’albero maestro con un drago a due teste che sputava fiamme, e forse sembravano leggermente più piccole. Sicuramente però, gli uomini che le guidavano erano stati più astuti e spietati. Le navi attaccate invece erano imponenti e proprio ciò fu il loro svantaggio. Infatti erano più difficili da governare sul fiume e il fuoco divampava più in fretta. La loro bandiera aveva due punte, e sembrava che fosse raffigurato un fiore.
Dopo un tentativo di contrattacco da parte delle navi in svantaggio, nonostante le gravi perdite che stesse provocando il fuoco, si arresero, occupandosi solo della difesa e riparazione.
Purtroppo in una battaglia se ci sono i vincitori, ci devono anche essere gli sconfitti: gli uomini dei draghi non ebbero pietà e spazzarono dal fiume ogni possibile nemico. 

“Di quali atrocità è capace il mondo!” pensarono sconvolti il salice e gli altri alberi.
Dopo questi avvenimenti, che durarono per più della metà della notte, i poveri alberi non riuscirono a prendere sonno e dovettero sopportare la distruzione della battaglia che l’alba iniziava a far scorgere. 

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Capitolo 4
*** Il cavaliere ***


Il sole era sorto come ogni mattina, bello e splendente per illuminare un altro giorno il mondo, ma sicuramente non si aspettava di trovare tutta quella disgrazia sul grande fiume blu del nord.
Chiese subito al fiume cosa fosse successo. Questo gli raccontò la battaglia avvenuta di notte e la sua tragica fine. “Adesso non potranno più chiamarmi fiume blu”, sospirò piangendo, “ è stato versato troppo sangue nelle mie acque pure”. Il sole provò a consolarlo dicendo che col tempo sarebbe ritornato come prima, e lo pregò di trasportare tutte le miserie della guerra al mare, per liberare gli uomini imprigionati nei loro corpi. Il fiume acconsentì, chiamò il vento che lo aiutasse a incresparsi e iniziò a fare una forte corrente verso il sud. Per contribuire al lavoro del fiume, il sole si nascose dietro le nuvole trasportate dal vento. Queste erano sempre state sensibili, e vedendo quello spettacolo così tetro si misero subito a piangere abbondantemente.
Pian piano i resti della notte burrascosa cominciarono a fluire via dalla vista degli alberi al margine del fiume. Il vento forte scosse energicamente le foglie di tutti gli alberi, e la pioggia purificò la terra da quello strato di fuliggine che si era formato a causa del fuoco.
Gli alberi sembrarono rincuorati da quelle premure della natura, sebbene non riuscirono a cancellare altrettanto presto la terribile esperienza che avevano vissuto. 

Il povero salice sempre ridente cercò di sollevare il morale a tutti, e con i suoi rami giocosi riuscì almeno un po’ nel suo intento. Proprio mentre stava intrattenendo il bosco, sentì vicino a lui un rumore metallico e un sospiro soffocato. Si voltò verso il fiume ma non vide nulla.
Il rumore si ripeté, questa volta più forte e vicino. Allora il salice si chinò e poté vedere un uomo  ricoperto di fango e qualcosa di lucente, aggrappato alla terra scivolosa, proprio sotto di lui. Non ci pensò due volte: protese due suoi rami vigorosi verso il cavaliere in difficoltà, che molto prontamente afferrò con forza. Il buon salice lo tirò su dall’acqua, appena in tempo che quello perdé i sensi. Lo trascinò verso la base del suo fusto, dove l’inizio delle radici formavano una conca, adagiandolo in essa. Vide che sul pezzo luccicante che l’uomo portava sulla spalla c’era il simbolo del fiore, che riconobbe come quello della battaglia di ieri.
Gli altri che avevano assistito a quella scena si preoccuparono subito delle conseguenze che avrebbe potuto provocare quell’atto di bontà del salice.
“Non dovevi salvarlo, ora ci taglierà tutti!”, protestarono gli abeti impauriti. “Perché non l’hai lasciato al fiume? Lo avrebbe certamente riportato a casa sua”, contestò la velenosa fusaggine.
Il salice, invece di ascoltare i rimproveri, si preoccupava per le numerose ferite che aveva il cavaliere. “Se solo sapessi come poter alleviare le sue sofferenze!”, pensò, credendosi impotente. Il vento continuava a soffiare forte, e l’uomo appena salvato stava tremando dal freddo ai suoi piedi. Così decise di chinare tutti i suoi lunghi rami, creando un riparo per il giovane guerriero. Questo gesto così inaspettato fece commuovere il bosco, e nessuno disse più nulla contro il cavaliere, anzi si offrirono tutti in favore del salice per un aiuto.
Passò un dì e una notte. Il cavaliere si era svegliato un paio di volte ma ricadeva sempre in un sonno agitato, preso da brividi ed incubi. 

 

La mattina dopo, la sua piccola amica decise di tornare a fare scorta dei doni del bosco, così, mentre era per la strada verso il sambuco, vide da lontano il suo caro salice con tutti i rami pendenti verso il terreno, e si spaventò. Andò subito verso di lui con il timore che stesse male e preoccupata toccò i leggermente i suoi rami; le foglie si scossero e intravide qualcosa di diverso dietro ad esse. Scansando del tutto i rami vide un uomo pieno di fango e sangue disteso accanto al salice.
Dopo il primo spavento, si inginocchiò vicino al cavaliere e gli diede dell’acqua. L’uomo si svegliò di soprassalto ma vedendo una figura femminile si tranquillizzò immediatamente.
Il cavaliere chiese subito aiuto. La voce roca inquietò la fanciulla, ma non quanto lo stemma che notò sulla sua spalla. L’uomo comprese le sue riserve e la supplicò ancora, ma lei non aveva avuto intenzione di andarsene, era solo spaventata dal nemico che aveva riconosciuto. “Ditemi solo il vostro nome” gli chiese con gentilezza. Il cavaliere rispose che era chiamato Blumer il giovane. La ragazza impallidì, ma si alzò per andare a prendere il necessario per le cure e chiedere aiuto.
“È il principe nemico!” pensò sconvolta, “e io devo salvarlo!”.

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Capitolo 5
*** La corteccia del salice ***


Il cavaliere venne portato al convento, dove le suore lo curarono con premura e riguardo. Tuttavia, sebbene le ferite guarirono abbastanza rapidamente, continuava ad avere incubi e allucinazioni a causa della febbre alta.
“Chissà a quanti orrori ha dovuto assistere”, esclamavano le suore per giustificare tale stato,“Povero ragazzo!”.
La fanciulla andava ogni giorno a trovare il malato e tutte le sere si sedeva al suo capezzale a leggergli le storie con cui era cresciuta, sperando che ascoltandole potessero distrarlo dai suoi incubi. Si sentiva responsabile della sua sorte, avendolo trovato lei per prima ed essendosi posta il compito di salvarlo. Gli dava tre volte al giorno una tisana antipiretica, preparata personalmente dall’erborista del villaggio, eppure sembrava non migliorare la sua condizione.
Poi una mattina le suore che assistevano il cavaliere dissero che non sarebbe sopravvissuto ad un’altra notte. A questa notizia il buon cuore della fanciulla mancò per un attimo e subito andò a rifugiarsi in un posto dove poteva piangere. 

Accanto al fusto del salice, ritornato ridente come un tempo, la giovane piangeva amaramente per la possibile perdita del cavaliere. Si era affezionata a lui, e non poteva sopportare che non fosse riuscita a salvarlo.
Il salice ridente era preoccupato per lo stato della sua amica. Non credeva che potesse far piovere dai suoi grandi occhi, e questo lo spaventava e addolorava perché sapeva che le gocce salate che assorbiva provenivano dal dolore. Ascoltò tra il pianto le sue preghiere, e comprese che il cavaliere da lui salvato stava morendo. Allora gli venne un’idea che avrebbe potuto cambiare tutto: con uno sforzo che gli costò molta sofferenza, fece cadere dai suoi giovani rami dei pezzi di corteccia ai piedi della fanciulla.
Ovviamente lei si stupì molto di queste perdite improvvise di corteccia. Le raccolse e guardò l’albero interrogativamente. Poi intuì quale potesse essere il loro scopo e sorridendo corse di nuovo al convento.
Senza perdere tempo mise a bollire l’acqua, sminuzzò grossolanamente la corteccia del caro salice e la mise in un recipiente di terracotta; quindi versò l’acqua bollente sulla corteccia. Dopo poco filtrò con un panno il tutto in una tazza, e si precipitò dal cavaliere per fargli bere l’infuso.
Gli diede in più due tazze di un’altra tisana e anche se non riprese del tutto conoscenza durante la giornata, sembrò per lo meno più tranquillo e senza incubi.
La fanciulla rimase al suo fianco tutta la notte a pregare, temendo il peggio. 

Quando l’alba si levò, il viso del giovane era più colorito e fresco. Infatti aveva dormito un sonno profondo ma tranquillo e la suora che lo visitò rimase sorpresa dall’improvvisa guarigione.
“È un segno del Signore!” proclamò facendosi il segno della croce. La fanciulla sorrise benevolmente, sapendo che il merito era anche del suo generoso amico albero. 

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N.B.= il rimedio per la febbre cerebrale/mal di testa usato dalla fanciulla è "valido" solo per la favola, non è consigliabile provarlo nella realtà.
Preciso questa cosa perchè è vero che nel passato era usata come antinfiammatorio, poichè la pianta del salice contiente la salicina, in particolare nella corteccia dei giovani fusti; questo composto è il principio attivo da cui si sintetizza l'acido acetilsalicilico, la nostra moderna aspirina. Purtroppo però, se consumato nel suo stato "naturale" -cioè non trasformato in acido acetilsalicilico o altri derivati-, ha molti effetti collaterali, tra i quali può provocare ulcere allo stomaco. 
Detto questo, ipotizziamo che il giovane cavaliere abbia una forte tempra fisica e sia riuscito a guarire grazie al generoso salice ^^" 

-Lady Hamamelis

 

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Capitolo 6
*** Convalescenza ***


ATTENZIONE
per chi avesse già letto il capitolo precedente prima del 4/03/16 consiglio di rileggerlo a causa di piccole modifiche necessarie alla storia.
Scusate l'inconveniente ^^"
-Lady Hamamelis

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Nel primo pomeriggio il cavaliere si svegliò, trovando al suo fianco la cara giovane che l’aveva soccorso. Ringraziò sommessamente sia lei che le suore che lo avevano assistito e chiese subito quanto tempo ci avrebbe messo a rimettersi completamente. Risposero che probabilmente ci sarebbero voluti molti giorni, se non settimane, dato che il peggio era passato solo da poco e miracolosamente. In questo modo cominciò l’inaspettata convalescenza nel convento del giovane principe nemico. 

I primi giorni il principe non era ancora in grado di alzarsi, così era sempre assistito dalla fanciulla: gli portava i pasti, lo aiutava a cambiarsi e rinnovava le cure sulle ferite ancora non rimarginate. Tutto proseguì così finché lui si sentì abbastanza in forze per riuscire a parlare e richiedere anche la sua compagnia come amica.
La ragazza si sentì intimorita da ciò, poiché non aveva mai avuto amici all’infuori del salice e non sapeva bene cosa fare. Insicura del nuovo ruolo da assumere, rimaneva al fianco del principe ad ascoltare la sua storia, le sue imprese e la terribile battaglia di quella notte.
Scoprì che c’erano state molte altre battaglie in cui combatté il principe e si vergognò di esser vissuta fuori dal mondo fino a quel momento. Non sapeva nulla di quello che succedeva attorno a lei, essendo stata sempre isolata nel convento e protetta dal disinteressamento delle suore per quei “fattacci di guerre e immeritevole fama”. Adesso apprendeva altre storie che poteva solo immaginare e che per un attimo riusciva a vivere con i racconti dettagliati e appassionati del principe.

La primavera aveva fatto ritornare sui rami fioriti del bosco rondini e usignoli, che riempivano le loro fronde con deliziose melodie. Piccole margheritine erano spuntate sui prati, i denti di leone e la veronica facevano le gare a occupare gli spazi toccati dal sole, i narcisi si riflettevano sull’acqua luccicante.
Oltre al saltellare degli scoiattoli e ai voli degli uccelli c’era già un accenno alla danza dei pollini: piccole palline bianche erano sospese in aria dal venticello fresco, rilasciati dai fiori maturi per raggiungerne altri. Tutte queste componenti rendevano il bosco un posto pieno di gioia e vitalità, ottimo per fare delle belle passeggiate tra i suoi sentieri ombreggiati.
Il salice ridente era contentissimo nel vedere i suoi due amici venirlo a trovare ed esplorare i meravigliosi doni della natura. Aveva sui sottili rami dei fiorellini gialli, riuniti a formare un infiorescenza pendula e setosa. Perciò la sua chioma era di un verde-argentato con sfumature gialle, ed era uno spettacolo unico. 

La fanciulla e il principe avevano preso l’abitudine di passeggiare nel bosco fino al salice, là dove si erano trovati la prima volta. Entrambi nutrivano una profonda gratitudine per il vecchio albero: l’uno per essere stato salvato, l’altra per averle fatto trovare il principe.
Era piacevole respirare l’aria primaverile, e spesso lui raccoglieva le margherite per fare delle coroncine e donarle all’amica.
Lei adorava sedersi ai piedi dell’albero con i fiori appena colti ed ascoltare il principe raccontarle favole su fate e draghi, con il regolare respiro del fiume come sottofondo. Poi un giorno le chiese di raccontargli la sua di storia.
Quella richiesta la spiazzò, facendola rattristare poiché lei non aveva alcuna storia appassionante da raccontare. La sua vita era sempre stata nelle mura del convento e tra gli alberi del bosco, senza alcuna avventura o fatto interessante. A ciò il principe rispose comprensivo, constatando che era stata fortunata a non aver vissuto tutte le tragedie che ogni giorno capitano alla maggior parte delle persone. Poi si scusò per averla rattristata: “Perdonatemi, volevo solo riascoltarvi raccontare una storia come quando ero malato. Mi avete salvato la vita con quelle storie, ed è per questo che ho cercato di ricambiarvi il favore con le mie”, spiegò mortificato.
Quelle parole stupirono la fanciulla e andarono a colpire piacevolmente il suo sensibile spirito.
“Non importa, avete ragione”, rispose rinfrancata, “qualcosa di bello è successo anche a me: ho salvato un principe”.
Da quel momento, quella particolare parte della giornata era diventata fondamentale per la sua felicità, e ignara aveva cominciato a coltivare nell’animo un sentimento nuovo per il giovane. Purtroppo però ne comprese la profondità troppo tardi. 

 
 

 

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Capitolo 7
*** La promessa ***


Erano passate settimane, proprio come avevano detto le suore, quando il principe guarì da tutti i suoi mali. Poteva andarsene da un momento all’altro, ma non aveva ancora parlato della sua imminente partenza. La giovane ragazza temeva questo pensiero, sperando in cuor suo che sarebbe rimasto, o almeno che l’avrebbe portata con sé. 

Un giorno andarono in paese e il principe inviò una lettera. Allora la fanciulla capì che il momento  che temeva era vicino e inaspettatamente sentì un forte dolore al petto che la paralizzò. Il giovane subito si prestò in suo aiuto e la sorresse per la strada del ritorno. Per tutto il viaggio rimase silenziosa e triste, cominciando a capire quanto volesse bene al principe.
Una volta giunti alle porte del convento si fece coraggio domandandogli se sarebbe partito da lì a breve. Il principe si oscurò, rispondendo che avrebbe preferito rimanere lì per sempre, ma aveva delle responsabilità verso il suo regno e suo padre: quella lettera era la prima notizia della sua sopravvivenza che dava al re, suo padre.
Lei non ribatté nulla e si avviò verso il bosco da sola. Si rese conto che non sarebbe mai riuscita a confessare i suoi sentimenti. Lei che era una povera orfana, non poteva nemmeno sognare la vita di una principessa!
Da quel giorno si allontanò e si chiuse in sé stessa, pensando che avrebbe sofferto meno la mancanza del principe se si fosse abituata prima.

Qualche giorno dopo arrivò una lettera di risposta. Il principe dichiarò che una scorta sarebbe venuta a prenderlo per accompagnarlo di nuovo a corte nel suo regno. La guerra non era ancora finita, perciò gli venne consigliato di rimanere tra le mura protettrici del convento.
Le suore si mostrarono un po’ timorose dell’arrivo dei soldati nemici, ma se era per la sicurezza del giovane avrebbero chiuso un occhio. Anche la fanciulla si mostrò timorosa ma per ben altre ragioni. Come in tutti i suoi attimi di sofferenza, andò subito dal vecchio albero per cercare di consolarsi, ma trovò che sotto i suoi rami c’era già il principe. 

“Mia cara amica, non posso lasciarvi senza un ringraziamento”, disse tristemente il principe, “voi che avete fatto così tanto per me, ditemi, posso fare qualcosa io per voi?”.
A queste parole la fanciulla strabuzzò gli occhi dalla sorpresa e una lieve speranza attraversò il  suo cuore. Provò a formulare il migliore dei modi per confessare ciò che provava, ma dopo lunghi ripensamenti decise di dire soltanto se poteva andare con lui perché gli si era affezionata e non poteva più vivere nella noia del convento senza.
Il principe sorrise con gioia alla sua risposta e le promise che, una volta finita la guerra, sarebbe tornato e l’avrebbe portata con sé nel suo regno.
Questa notizia la riempì di una felicità immensa, riuscendo finalmente a godersi le giornate che passavano senza più troppe sofferenze, insieme al suo caro principe. 

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Capitolo 8
*** Non ti scordar di me ***


Dopo che il principe partì, la vita della giovane ritornò abitudinaria come prima, ma il suo animo era completamente cambiato: si immaginava la sua vita in un altro regno, tra altre persone che non fossero suore, in un castello bellissimo con tanti libri e avventure; ma sopratutto una vita dove avrebbe sempre fatto passeggiate e parlato di tutto ciò con il principe. Viveva sognando il giorno in cui sarebbe tornato e ne soffriva la sua mancanza.
Per compensare ciò, rimaneva intere giornate sotto quei rami familiari del salice, guardando i giorni passare e aspettando.. finché i giorni divennero settimane e le settimane mesi. 

Il salice era preoccupato per il comportamento così apatico della sua piccola amica.
Se continuava così rischiava di diventare un’erbaccia! Gli esseri umani si muovono, devono cercare cibo e acqua, non possono stare a guardare il cielo e le stagioni passare come le piante perché hanno il tempo che grava loro sulle spalle più che a tutti gli altri esseri.
Tuttavia, essendo un albero e non un uomo, non poteva comunicare questi suoi pensieri all’amica, e l’unica cosa che era in grado di fare era scuotere i suoi rami con disapprovazione.

Intanto la guerra continuava a imperversare su entrambi i regni dei combattenti e un terribile giorno arrivò persino al convento delle pacifiche suore.
Il re del loro regno aveva scoperto che avevano dato rifugio, e oltretutto curato, il principe nemico.  A causa del ritorno del principe, il re aveva perso numerose battaglie e per questo motivo ritenne queste azioni degli atti di tradimento, ordinando che il convento venisse chiuso.
Le povere suore dovettero andarsene via con i loro pochi averi, lasciando alle spalle una casa che non avrebbero più visto solo per aver salvato una vita.
La fanciulla si rifiutò di andare con le suore poiché doveva aspettare il principe. Come avrebbe potuto sapere dove sarebbero andate? Era impossibile, per lei, lasciare quel posto. Così chiese rifugio alla vecchietta del paese, offrendosi di aiutarla per le faccende domestiche. Sebbene fosse in paese non era lontana dal bosco e in questo modo avrebbe potuto raggiungere facilmente il salice, che sarebbe stato il loro punto d’incontro. 

I giorni continuavano a passare, così anche le settimane finché passò un anno. Era di nuovo primavera e finalmente arrivò la notizia tanto aspettata: la guerra era finita! Finalmente potevano vivere tutti in pace!
Nella gioia di questa novità tutti i paesi diedero una grande festa in nome della pace e molti soldati ritornarono alle proprie case quel giorno stesso. Si festeggiò per tutta la notte e la mattina dopo arrivò un giovane a casa della vecchia.
Subito la fanciulla si precipitò ad accoglierlo ma ben presto rimase delusa nel constatare che non era il principe: era il nipote della vecchietta, un semplice conciatore di pelli.
Questo si mise allegramente a parlare dei combattimenti ai quali aveva partecipato, delle persone che aveva incontrato e della nuova pace stipulata tra i due re. Erano giunti all’accordo che i due regni si sarebbero uniti con il matrimonio dei figli, e in questo modo non ci sarebbe stato alcun motivo per fare altre guerre. Perciò il principe nemico avrebbe sposato la figlia del loro re.
Dopo aver compreso che cosa la pace avesse comportato, la povera fanciulla scappò con un’enorme sofferenza da quella casa, rifugiandosi nel bosco. 

Il salice ridente osservava sotto i suoi rami la piccola amica che conosceva da quando era un bambina piangere di dolore. Il principe le aveva promesso che sarebbe tornato e invece l’aveva dimenticata, gli disse la giovane in un sussurro soffocato dalle lacrime.
Se solo le avesse potuto parlare! Se solo avesse potuto dirle che il cuore dei giovani è così mutevole, che vivendo avrebbe potuto dimenticare e amare tante altre persone!
“Perché fa così male? Perché non posso dimenticare anche io? Ti prego, mio unico amico, dai anche a me un rimedio per guarire questo mio dolore!” supplicò la ragazza al suo vecchio albero preferito, ricordando la cura miracolosa che aveva salvato il principe. Ma il povero salice poteva forse curare un male della testa, ma non sapeva aggiustare un cuore spezzato. 

“Ah! Che vuoto terribile che ho nel cuore ora, quando fino a poco fa era colmo di così tanta speranza. E la mia unica colpa è stata solo di amare! Vorrei essere una pianta come te per non soffrire più!” e a quelle parole la sua voce si spense, e con il volto ancora bagnato che premeva contro il tronco del salice, perdette i sensi.
Il suo cuore giovane era stato a lungo messo alla prova, e dopo tutte quell’apatia e speranza in un futuro che non sarebbe mai arrivato non resse il dolore improvviso che gli era stato inferto. 

Quando il salice comprese che la sua cara amica non era più, capì cosa aveva inteso poco prima che si spegnesse la sua piccola vita. Sentì tutto il peso del dolore che gli fece perdere le forze: tutti i rami scesero a coprire la povera amica nell'intento di un ultimo abbraccio e le sue foglie si allungarono a causa dell’improvvisa perdita di acqua, prendendo la forma di lacrime.
Gli altri alberi non riuscivano a capire che cosa stesse succedendo, e si spaventarono molto nel vedere quella scena.
“Che cosa sta facendo? Perché è tutto così aggobbito?” chiedevano tra di loro. La vecchia quercia sospirò: “Sta piangendo”.
Tutti si guardarono perplessi a quella risposta. “Come, piangendo? Solo il cielo può piangere! E perché piange? Non c’è nulla che possiamo fare?” provarono a chiedere di nuovo.
“No, l’amore è la fonte di ogni dolore. E il dolore è un peso che si porta da soli”. 

Così nel bosco vicino al fiume, da quel giorno il salice ridente diventò il ‘salice piangente’.

“Non sono riuscito a salvarti, ma voglio esprimere il tuo ultimo desiderio, sebbene non possa garantire che non soffrirai più”, pensò il salice.
Le sue lacrime scendevano sulla fanciulla e cominciarono a far avvenire una metamorfosi al suo corpo senza vita: le gambe si attaccarono al suolo, le braccia si strinsero al busto diventando verde acceso, mentre le mani si allungarono in foglioline; infine il capo divenne un fiorellino a cinque petali, di un colore azzurro come il cielo, come gli occhi della bimba che era andata a raccogliere i frutti di bosco in quella giornata d’autunno.
Ed ecco che nulla era cambiato, la sua giovane amica era ancora sotto i suoi rami penduli che sorrideva e lo ringraziava per esserle stata a fianco ogni giorno; e adesso lo sarebbero stati per sempre. 

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Nel sentiero lungo il grande e freddo fiume blu, stavano passeggiando nella tiepida giornata di primavera un cavaliere e una dama. 
Il cavaliere aveva intenzione di chiedere la mano della dama prima di andare in guerra, proprio sotto quel salice piangente così bello, dove crescevano dei fiorellini azzurri particolari, adatti al viso della sua amata. 
Il bosco aveva un’atmosfera perfetta per una dichiarazione: dopo lo sfoltimento degli alberi più ingombranti e vecchi, si poteva vedere il vecchio convento e il fiume, mentre i pollini che stavano già svolazzando nel vento avevano più spazio per volteggiare, senza dare fastidio. 
La dama propose di sedersi sotto il bel salice, e il cavaliere si tolse il mantello, distendendolo sul prato. 
Si sedettero entrambi all’ombra dei rami inclinati del salice e si godettero l’aria primaverile. 
Dopo alcune risate, il cavaliere si decise a dichiararsi, ma prima doveva porgerle un dono. 
Non avendo portato con sé nulla, decise di raccogliere i fiori che infestavano i prati. 
Si alzò per cercare i fiori azzurri che sapeva piacevano tanto alla sua dama. 
“Come sono freschi e allegri questi fiorellini!” disse la dama raggiante. “Peccato che siano così delicati che si rovinano subito”. 
Un po’ scoraggiato, il cavaliere cercò di raccoglierne altri, ma nelle vicinanze non ce n’erano più molti. Girò il salice e ne trovò molti proprio lì sotto, persino vicino al margine del fiume. 
Pensando di fare cosa gradita alla dama corteggiata, cominciò a raccoglierne uno dopo l’altro, andando sempre più verso il margine.
All’improvviso mise male il piede su una radice del salice e scivolò nel fiume. 
La forte corrente del fiume non gli permise di aggrapparsi alla riva e iniziò a trascinarlo via. 
Spaventata, la dama si precipitò verso il cavaliere, provando ad aiutarlo, ma non c’era nulla da fare, la corrente era troppo forte. 
Il cavaliere stringeva in mano ancora quel mazzolino di fiorellini azzurri mentre veniva portato via e, quando capì che per lui non ci sarebbe stata speranza, li gettò sulla riva ai piedi dell’amata, urlando: “NON TI SCORDAR DI ME!”. 

La sera stessa, la servitrice della dama entrò in camera della sua signora e vedendo dei fiorellini gettati sul suo letto esclamò: “Bellini questi fiorellini azzurri! Li metto subito a bagno o si sciuperanno. Come si chiamano?”
La dama, seduta davanti allo specchio si stava sciogliendo la lunga treccia, pensando alla gioiosa serata che aveva avuto; guardò i fiorellini tra le mani della servitrice e ricordò le ultime parole di quel giovane che era sparito così presto dalla sua vita. 
“Non-ti-scordar-di-me” ripeté con aria assente. 
La servitrice alzò le spalle, chiedendosi che razza di nome fosse quello per un fiorellino così carino, ed uscì dalla stanza per poi ritornarci con un piccolo vaso contenenti i fiori. 
Li poggiò sotto il davanzale, dove la dama si perse tra i ricordi della giornata. 
“Non-ti-scordar-di-me”, sembrava le sussurrassero quei fiorellini apparentemente innocui. 

“Oh povera me”, pensò il fiorellino, “ora dovrò portarmi dietro questo nome, propio io che sono stata dimenticata da tutti!”. 

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