The Ice man.

di ALE_87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Con il freddo nel cuore. ***
Capitolo 2: *** My name is Odango. ***
Capitolo 3: *** Modi di essere. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. Emozioni sbagliate. ***



Capitolo 1
*** Con il freddo nel cuore. ***


The Ice Man.

Capitolo 1. Con il freddo nel cuore

Dicono che le persone orgogliose non esprimano mai realmente i loro sentimenti. Che non sentano le emozioni. Che vivano in maniera totalmente programmata. Che non abbiano pentimenti. Né ripensamenti.

Dicono che le persone con un grande dolore si comportino in questo modo. Per riuscire ad avere un po’ di pace nella loro vita. Per cercare di non arrendersi ad essa.

Io non credo accada in questa maniera. Ogni vita è diversa da un’altra.

Dal canto mio, posso dire con consapevolezza che la mia esistenza è circondata da freddezza e indifferenza.  Non a causa di stupide convenzioni sociali o psicologiche.

Io sono davvero fatto così.

A dir la verità, sono nato e cresciuto in questo modo. Non è stata una mia scelta. O almeno voglio credere che sia così. Non mi sono mai sentito amato da nessuno. I miei genitori non so nemmeno che faccia abbiano avuto. All’epoca della mia infanzia, mi dissero che erano morti.

“La tua famiglia siamo noi!”

La suora dell’orfanotrofio dove sono cresciuto me lo ripeteva sempre. Lei credo mi volesse bene. Forse, era l’unica a provare un sentimento per me. Eppure, non l’ho mai considerata una persona importante. Anzi la disprezzavo al pari dei miei genitori.

Con gli altri ospiti della struttura le cose non erano migliori. Non c’era un bambino con cui volessi giocare o piangere nei momenti di tristezza. Non mi interessavano, loro.

In realtà, non mi interessava nessuno. L’unica cosa a cui pensavo era sopravvivere. Sopravvivere ad una vita che non mi aveva mai regalato l’allegria tipica di un bambino. Era qualcosa che non conoscevo, la felicità.

Vidi solo un barlume di speranza non appena fui adottato.

“Da oggi ti chiamerai Chiba. Mamoru Chiba.”, mi disse quell’uomo che sarebbe diventato subito dopo mio padre. Era una persona distinta, fredda un tantino. Il perché lo capii dopo. A causa della sua professione, doveva essere molto razionale. Era un medico d’altronde.

Sua moglie, ossia la mia nuova madre, era tutt’altro che razionale. Era un tantino troppo irrazionale. O meglio, molto frizzante.

“Che bel bambino è mio figlio! Ti farò diventare un figo da grande!”

Mi prendeva, abbracciava e baciava ripetutamente. Tutta questa affettuosità era esagerata per i miei gusti.

Anche mio padre sembrava disgustato da una moglie così. Lei davvero non sapeva cosa fosse la vergogna.

Avevo solo 9 anni quando misi piede nella nuova casa. Quella abitazione, così lussuosa, sarebbe diventata la mia casa.

Di questo ero loro grato. Non avevo mai visto così tanta magnificenza. Ero abituato sin dalla nascita all’ambiente povero di un orfanotrofio. Ora avrei dormito finalmente in un vero letto.

In quei momenti, pensai davvero che il tempo mi avrebbe permesso di trovare un po’ di amore.

Non fu così. Questi genitori, che mi stavano accudendo e crescendo, io non li amavo. Li ringraziavo per avermi salvato, ma non provavo quell’affetto tipico di un figlio.

Non riuscivo proprio a staccarmi dal mio essere indifferente.

“E’ glaciale.”

Glaciale. Questa parola la sentivo pronunciare ogni volta che qualcuno incrociava i suoi occhi con i miei.

I miei parenti ogni volta che venivano a trovarmi, i miei compagni di classe e i miei professori a scuola.. le ragazze che rifiutavo.

“Non mi interessi”, rispondevo seccamente ad ogni dichiarazione. Non mi stupii di essere denominato “The Ice man”.

Anzi, mi faceva quasi piacere che nessuno osava avvicinarsi a me, ma si limitasse ad insultarmi con le parole.

Solo uno stupido ragazzino, quel Motoki, mi stava appiccicato. Dice che gli ricordavo il suo defunto fratello.

Mi dava davvero fastidio, ma non potevo farci nulla. Ignorare era la mia filosofia. Lo era stata e lo era diventata lentamente. Lo è tuttora. Da sempre.

Sono un uomo freddo. Glaciale. Razionale. Vado dritto al punto. Orgoglioso. Senza mezze misure. Senza amore. Non provo tenerezza quando vedo un bambino sorridere. Non provo cordoglio quando muore una persona. Niente mi fa paura. Non ho mai versato una lacrima.

Sarà per questo che sono diventato un dottore.

“The Ice doctor”. Anche in ospedale mi chiamarono così.

Non che mi importasse. Non avevo bisogno mica delle lodi dei colleghi o del personale sanitario. Nientemeno quelle dei pazienti.

In generale, non mi servono le persone. Sono un tipo solitario, io.

Molti dicono che con il mio comportamento voglio coprire il dolore che provo nei confronti della vita. Non credo sia così.

Io sono davvero fatto così.

Nessuno potrà cambiare il mio modo di essere. Nessuno davvero.

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Capitolo 2
*** My name is Odango. ***


Capitolo 2. My name is Odango

 

Sono in ritardo. Sono maledettamente in ritardo.

No, Usagi. Tu sei sempre in ritardo.

Ogni mattina è la stessa storia.

Devi andare a lavorare, Usagi. Ti devi alzare presto. Anzi, no. Ti devi alzare.

Perché non ti corichi prima la sera?

Ah, giusto. Non ti viene mai sonno prima delle due.

Questo non va bene, Usagi. Non fa bene alla tua pelle. Non fa bene al tuo cuore.

Il cuore… è vero, la colpa è tutta sua.

Quel tuo collega.

Lui non riesce a farti dormire.

Eppure lo vedi tutti i giorni. A lavoro, ovviamente.

Lui è lì, sempre circondato da ragazze. Anzi, loro entrano apposta ad ordinare caffè e cornetto solo per guardarlo.

Ha un bel sorriso, lui. Un buon carattere. Ed è un ottimo collega.

Già, lavoriamo insieme.

Un barista. Mi piace un barista come me. Può funzionare?

Dicono che è meglio non innamorarsi tra colleghi.

Voglio andare controcorrente?

Forse.

Beh, dovrei appurare se anche lui provi qualche sentimento nei miei confronti.

Pensandoci bene… come potrei piacergli?

Sono un disastro!

Ritardataria e pasticciona… il mio caffè, poi, è orribile.

Non so quante volte, Motoki, mi ha sgridata.

Già, lui è il boss. Moto-boss.

“Usa, impara da Seiya a fare il caffè!”, mi ripete sempre.

A queste parole, ormai sono abituata.

Seiya. Lui mi aiuta. Mi dice come migliorare.

Ma io non riesco ad ascoltarlo. Non posso.

Passo il tempo a scrutarlo. Mi piace.

Non so ancora perché .

Mi piace perché mi fa battere il cuore?

Possibile.

Mi piace perché è carino? Perché il codino nero che cade sulle sue spalle è carino?

Probabile.

Non so il motivo, ancora.

Però, mi piace. E questo è certo.

Dovrei smetterla. Di perdermi sempre nei miei pensieri.

E devo correre.

Sbam! La porta di casa è chiusa.

Devo correre. Correre e correre. Sono in ritardo.

E ho sonno. Gli occhi mi si chiudono mentre corro.

Sono sudata, ma devo continuare a correre. Motoki mi ucciderà se arrivo anche oggi in ritardo.

Fa freddo. Sento il vento che taglia il mio viso.

Le mani sono congelate.

Non riesco nemmeno a vedere bene. C’è anche un fastidioso filo di nebbia .

Uffa, la solita fortuna. Ma non posso demordere. Devo correre.

Oh, no. Il semaforo. E’ rosso.

Non posso. Non devo aspettare. Devo attraversare.

Vado  e… skretch!

Una frenata.

Ahi! Sento dolore.

Sono a terra. In ginocchio.

Sono caduta.

Ho gli occhi chiusi, ma sento una luce su di me. Sono i fari di un’auto?

Sono viva?

Sento una portiera che si apre e chiude velocemente.

 “Ehi, tu! Vuoi stare più attenta? Non vedi che è rosso?”

Una voce.

Sì, sono viva.

Sento dei passi. Qualcuno si sta avvicinando a me.

Apro gli occhi.

“Stai bene?”

Un uomo è inginocchiato davanti a me.

Non riesco a vederlo bene.

“Sentiamo il tuo polso…”

Mi ha preso la mano. Sembra stia contando.

“Sembra tutto ok, ma devo portarti per precauzione in ospedale per un controllo più approfondito.”

Lo ascolto. Non ho ancora realizzato. Non so ancora cosa è successo.

Ma quelle parole. Sono così fredde.

Deve essere una persona molto razionale.

“Riesci a vedermi?”, mi chiede.

Strabuzzo un po’ gli occhi. Vedo la foschia della strada isolata a quell’ora del mattino.

Vedo l’asfalto e le mie gambe. Vedo anche le scarpe di quell’uomo.

“Si”, gli rispondo ancora un po’ confusa.

Silenzio. Uno strano silenzio mi avvolge.

Una mano. La sua. Mi sta aiutando ad alzarmi.

Ecco, sono in piedi.

“La ringrazio, ma non c’è bisogno…”

Non riesco a finire la frase. Ho visto il suo viso.

E’ freddo. Quasi scocciato. Forse, mi sta disprezzando.

“Dobbiamo andare!”, mi ripete.

Ho paura. Perché?

Sento il cuore battere. Batte forte. Batte talmente forte che sembra uscirmi dal petto.

Perché?

Non mi fido?

“Sono un medico. Andiamo.”, mi ripete un po’ più dolcemente.

I suoi occhi. Sembrano belli. Anzi, no. Lo sono senz’altro.

Il suo viso. Sembra pulito. Sembra perfetto.

I suoi capelli sono neri, arruffati.

Quest’uomo è molto bello. Così sicuro di sé.

Intravedo un’aura di mistero intorno a lui.

Lo fisso. Lo sto fissando. Sono stordita.

Il cuore mi batte. Non smette. Batte forte.

La sua bocca. Sembra disegnata da un’artista.

“Cosa hai da guardare?”

Il suo sguardo sprezzante.

“Mi scusi.” Arrosisco.

Il mio cuore non si ferma. Batte fortissimo. Soprattutto ora che ha preso la mia mano per condurmi in macchina.

Perché batti? Stupido cuore.

Lui ti intriga?

Sì, mi sento affascinata da questo tipo.

“Andiamo, Odango!”, mi dice aprendomi la portiera.

“Odango?”

Lo guardo perplessa. Di cosa sta parlando?

“Sei stupida, Odango?”, mi ripete.

Odango. Odango. Odango. Non capisco.

“Sei tu, Odango. I tuoi codini…”, mi spiega, indicando i miei capelli con le dita.

I miei codini?

Lo guardo. Sono seduta affianco a lui. In macchina.

Ho capito bene? Mi sta insultando?

Non so, ma in tre secondi ha perso tutto il suo fascino.

“Odango chi, scusa?”

Sono leggermente adirata.

Lui sorride. Arrogantemente.

“Odango tu, stupida ragazzina. Mi stai facendo perdere tempo. E credimi, il mio tempo è prezioso.”

Si avvicina a me e mi allaccia la cintura. Ha messo in moto.

Sono paralizzata. Sono scioccata. Come si permette?

Ritiro tutto. Questo tipo non è affatto affascinante…  è un cafone.

Deve essere un isolato. Un emarginato.

Il cuore mi batte. Ah, sento rabbia verso di lui.

Sento ira. E rancore.

Quello sguardo glaciale verso di me.

Sono un peso? Mi hai quasi investito, stupido idiota!

Ah, sto per esplodere! Sento che la collera sta prendendo il soppravvento su di me.

“Sarai pure un medico e avrai anche una bella faccia. Ma sei uno zotico. Un emarginato e un cafone.”

Eccoti ben servito. Ti ho ripagato con la stessa moneta. Con il tuo stesso modo. Con il tuo stesso sguardo glaciale.

Mi guardi. Sei sbalordito, vero?

Non te lo aspettavi, vero?

Fai l’impassibile per non ammettere la tua sconfitta?

Ah, che soddisfazione.

“Se pensi di avermi impressionato, ti sbagli. Se pensi di esserti vendicata, ti sbagli. Le tue parole mi scivolano addosso. Ora scendi, stupida ragazzina.”, mi dice accostando.

Mi sta scaricando.

“Stai fin troppo bene. Sparisci ora.”

Cosa? Sparisci?

Questo tipo sta sfidando la mia pazienza. Devo ignorarlo, però.

Devo essere SUPERIORE.

“Ti accontento…”

Scendo. Come un fulmine.

Lui riparte velocemente, lasciandomi sul ciglio della strada.

“Stupido idiota…”

Esistono davvero persone così?

Mi chiedo chi sia.

Chi è, quel baka glaciale?

Sono arrabbiata. E in ritardo.

Riprendo a correre. Stavolta Motoki mi maledirà davvero.

Ma gli spiegherò tutto.

Che stavolta non l’ho fatto apposta. Che stavolta non è affatto colpa mia.

Ma di uno stupido idiota con una bella faccia.

Di un baka arrogante che spero di non vedere mai più.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Modi di essere. ***


Capitolo 3. Modi di essere.

Pioggia. Tanta pioggia a Tokyo.

Acqua. Tanta acqua invade i tombini, riempiendoli.

Vento. Quello sì, si è calmato.

Sole. Qualcosa che non vedrò almeno per qualche giorno.

Traffico. Qualcosa che urta i miei nervi.

H. un segnale inequivocabile: ospedale.

Parcheggio. Per fortuna che ho il posto assegnato.

Cartellino. Praticamente il mio migliore amico.

Orario. 7.15. 15 minuti. Ho ritardato di 15 minuti. Ovviamente, è per questo che sta diluviando ora.

Io non arrivo mai tardi. Sono sempre in orario. Odio non esserlo. Odio vedere adesso i miei colleghi meravigliati e quasi divertiti del mio “ritardo”. E dire che lavoro con loro solo da un mese.

“La puntualità, dott. Chiba! La puntualità!”

Ridono. Grazie. Non è mica colpa mia se stamani qualcosa si è messo in mezzo. Sì, qualcosa.

Quella stupida Odango. Mi ha fatto incominciare male la giornata.

Anzi, no. Adesso è rovinata totalmente.

Quella strana ragazzina. Neanche l’ho sfiorata che già arrossiva.

Ah, le donne. Come sono stupide.

Cafone e zotico. Io sarei cosi? E dire che volevo pure aiutarla.

Mah, le donne. Che genere complicato.

“Buongiorno, Mamoru”.

Una voce alle mie spalle. Eccone una. E’ Setsuna. La mia collega più giovane.

Una ragazza intelligente e matura.

Una bellezza travolgente. Tutto il personale sanitario maschile è innamorato di lei.

Però lei sta sempre vicina a me.

Cosa che mi dà fastidio e mi scoccia altamente. Essere la preda di Setsuna è peggio che scavarsi la fossa da solo.

“Buongiorno a te”, le rispondo cordialmente e con un sorriso. Falso, ovviamente.

Questo è d’obbligo se non voglio che mi fulmini prima con lo sguardo e poi con altro. È risaputa la sua famosa indole vendicativa. Ricordo ancora il piede del povero dott. Tomoe quando qualche giorno fa lei scoprì che era sposato.

Un gran bastardo, lui. Una poco di buono, lei.

“Stamani sei in ritardo”, mi dice incuriosita.

“Eh si..”, tergiverso. Non ho voglia di dare troppe spiegazioni.

Lei mi guarda con occhio accigliato. Mi quasi spaventa questa donna, a dir la verità.

“Uhm, sarà..”, borbotta in maniera sprezzante, avvicinandosi sensualmente verso di me.

“Sei ancora in tempo..”, mi sussurra in maniera non proprio appropriata in un orecchio.

Rabbrividisco. In tempo per cosa? Sono due giorni che non mi dà tregua!

Odio questo tipo di donna. Cioè, odio le donne in generale, ma queste per me sono le peggiori.

“Ah ah, ora vado!”, le rispondo, lasciandola un po’ stupita un e un po’ eccitata, a giudicare dal suo viso.

Forse dopo la storia di Tomoe lei non si arrenderà facilmente. Forse lei non mi lascerà mai in pace visto che ormai mi vede come il suo prossimo obiettivo.

Forse.. non è il caso di pensarci ora. Anche perché la cosa più di tanto non mi preoccupa. Anzi non mi interessa nemmeno.

Dovrei pensare solo ai miei pazienti, adesso.

Dovrei iniziare le visite! Ho bisogno della lista, però, prima.

Entro in ambulatorio e chiedo all’infermiera di prendermela. Appena trenta secondi ed ecco che questa è tra le mie mani.

“Prenda anche un caffè, dottore!”, mi dice gentilmente l’infermiera di turno con me.

Meno male che è una donna non più tanto giovane.  Non fa caso al mio fascino.

Bevo il primo sorso e.. coff coff!

Cosa leggo? Chi è il primo nome? Motoki Furuhata?

Che ci fa Motoki in lista? Come fa a sapere che oggi ero io di turno?

Ma fondamentalmente come diamine è venuto a conoscenza del mio rientro in Giappone?

O forse si tratta di una coincidenza?

“Dottore, si sente bene?”, mi chiede l’infermiera guardandomi in modo strano.

“Sì..”

Non posso risponderle altro. Sono ancora scioccato.

“Faccia entrare il primo paziente”, continuo seccamente.

Questo idiota. Sono sei anni che non lo vedo. Deve essere cambiato o forse è rimasto lo stesso baka fastidioso di sempre.

“Mamoru-san! Mamoruuuuuu!”

Sì, confermo. Lo stesso idiota. No, anche peggio visto come mi sta attaccato al collo.

“E staccati..”, gli dico, schifato. Avere la sua faccia vicino alla mia mi fa ribrezzo.

“Mamoruuu! E’ da una vita che non ci vediamo! Quando ho scoperto che tu eri l’ortopedico che mi avrebbe visitato oggi, non stavo più nella pelle!”, mi confida eccitato come un bambino quando un adulto gli regala le caramelle.

“Finalmente sei tornato!”, continua mentre mi inizia a guardare con gli occhi a cuoricino.

Non so se mi fa più paura o ripugno. D’altronde è sempre stato così, fin da giovane.

Sì, sono tornato.. finalmente? No, per sfortuna!”.

Lui è l’ultima persona che avrei voluto incontrare oggi, ma quando una giornata inizia male..

“Il solito Iceberg, noto”.

Mi fissa. In modo serio. Cosa gli prende ora?

Motoki mi stava squadrando, dopo l’iniziale entusiasmo.

“Vedo che non sei cambiato nemmeno un po’, amico!”

Amico? Aspetta, noi non siamo assolutamente amici! E poi cosa sarebbe tutto questo disprezzo improvviso?

“Speravo che col tempo ti saresti addolcito! E invece..”

Ha quasi le lacrime agli occhi. Certo che è proprio un tipo strano. Non lo capisco.

“Impossibile!”, rispondo fermamente.

“Uno perfetto come me non cambierà mai…”

Silenzio.

Ecco, ti ho spento. I win.

“Ahahah!”

Improvvisamente ride. Vuoi davvero irritarmi? Anche tu oggi?

“Non sei perfetto, amico. Hai numerose mancanze.”

Accidenti! Da quando è diventato così sicuro di sé. Devo fermarlo. Non posso farmi umiliare da uno come lui.

“Allora..”

Prima incomincio, prima finisco.

“Non devi visitarmi.”, mi stoppa, deciso.

“Mia sorella ti ha visto qualche giorno fa qui in ospedale.. così ho approfittato per vedere se effettivamente si trattasse di te.”

Da cosa deriva tutta questa sua sicurezza improvvisa?

“E infatti.. sei tu!”, mi dice caparbio.

“Io lavoro al Crown, quel locale proprio qui di fronte. Sai, ho fatto soldi in questi anni-”

Con quanta spavalderia mi stai parlando? A me poi? Ma cosa mi importa? Non mi interessa nulla di te e di tutto quel che ti riguarda.

“Vienimi a trovare lì.. vedrai non ti farò pentire di essere tornato.”

Sono basito. Scioccato. Quasi, frustrato.

“Cosa significa?”, gli chiedo interrogativo. Cosa vorrà dire questo idiota?

Significa che ti voglio bene amico e che per il tuo bene Tu cambierai..”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. Emozioni sbagliate. ***


Capitolo 4. Emozioni sbagliate.

Sono bagnata fradicia. Non ha smesso di piovere nemmeno per un secondo.

Ed io ovviamente sono in ritardo. Ulteriormente di più a causa di quel medico idiota. Anche correre sta diventando inutile.

Mi fermo un attimo, sono sfinita. Non ho più fiato.

Guardo l’orologio. Sono le 7.30. Motoki mi ammazzerà davvero questa volta. Anzi mi licenzierà sicuro ed io dovrò andare a vivere sotto i ponti.

Forse dovrei chiedere i danni a quel baka. Dopotutto è un dottore e sicuramente i soldi non gli mancano.

Sospiro. Alzo gli occhi al cielo. E’ inutile fare questi pensieri. Tanto rimuginare non mi farà arrivare prima a lavoro.

Tanto quell’idiota non lo rivedrò più. Per fortuna.

Tanto tra poco sarò morta. Sfortunatamente.

Devo pensare ad un piano B. Dove andrò ora che verrò licenziata?

Aish, sono io una vera idiota! Perché sono così? Perché non me ne va dritta una?

Cammino, preoccupata. No, forse amareggiata. Oppure rassegnata?

Mi fermo. Assolutamente! Non voglio assolutamente perdere il posto! Devo riuscire ad evitarlo in qualche modo.

Idea. Forse se corrompessi Motoki riuscirei a passarla liscia?

Forse se usassi la “sua ragazza” riuscirei a sopravvivere?

Forse Seiya metterà una buona parola per me ed io eviterò di essere cacciata?

Impossibile. Tutte e tre le opzioni.

Magari fosse così. Magari Motoki fosse influenzabile. E’ così preciso sul lavoro. Così testardo.

“Uff!”

Non c’è speranza. Solo un miracolo potrebbe salvarmi.

Ah, che triste il mio destino. Mi sembra di essere la protagonista sventurata di un dorama.

Ma non posso farci niente. Purtroppo.

Ricomincio a camminare. Furiosamente.

Dovrei essere vicina al bar. Al mio amato maid café.

Ho fatto così fatica ad ottenere questo lavoro. Un abile barista come me. Così versatile. Così competente a preparare caffè e cappuccini. Così brava a servire ai tavoli. Ah, quanti anni spesi a studiare il mondo della ristorazione.

Di nuovo sospiro.

Dovrei pensare al lato positivo della questione. Sono molto preparata. Non sarà poi la fine del mondo essere licenziata.

O almeno credo. Forse no. C’è sempre la crisi economica di mezzo.

Uff, in che razza di situazioni mi vado ad infilare.

E uff, questa pioggia mi sta facendo impazzire. Non riesco a capire se sono vicina al locale perché anche la nebbia non accenna a diminuire.

Non è proprio la mia giornata. Nemmeno il tempo è dalla mia parte.

“Usagi!”

Il rumore dell’acqua che scorre sulla terra sembra simile al mio nome.

 “Usagi!”

Di nuovo. Qualcuno mi sta chiamando davvero. Questa voce.. di chi è?

La sento distante, ma riesco a percepirne il calore.

“Usagi!”

E’ una voce insistente, ma allo stesso tempo è come se mi avvolgesse.

“Usagi!”

Vedo una sagoma nera. Si sta avvicinando.

Un codino svolazzante viene verso di me, con un grande ombrello in mano.

“Seiya…”

Seiya è davanti a me. Affascinante come sempre. Ancor di più con addosso la divisa da butler. Il suo volto sembra luminoso anche in questa giornata uggiosa. I suoi occhi neri risplendono. E il suo sorriso è sempre spiazzante. Lo sto guardando ammirata. O forse, imbambolata.

“Sei fradicia! Potevi portarti un ombrello! Finirai per ammalarti in questo modo.”

Che figo, mi sta sgridando. Ah, Seiya che si preoccupa per me riempie il mio cuore di gioia.

“Se non fossi uscito per buttare l’immondizia non ti avrei vista nuotare tra tutta questa acqua!”

Ah. Ah. Ah. Fai lo spiritoso. Ti diverte prendermi in giro, a giudicare dalla tua risatina.

Mi piace, però.

 “Guarda, stavolta non è colpa mia. Se tu sapessi..”

Non faccio in tempo a finire la frase che mi mette una mano dietro la schiena e mi avvicina a lui. Sotto l’ombrello, ovviamente.

Sento il viso paonazzo. Un po’ per l’emozione. Un po’ per la vergogna.

“Va bene, me lo dici non appena entriamo nel bar.”, mi ribadisce facendomi l’occhiolino.

Che significa? Non riesco a capire, ma sono talmente felice che mi tenga vicino a lui che niente mi importa più.

Né di maledire la pioggia. Né di quel baka idiota. Né di Motoki che probabilmente mi licenzierà.

Silenziosamente. Ci avviciniamo silenziosamente davanti la porta del nostro locale.

Un momento. Un brivido percorre la mia schiena. Non si tratta della mano di Seiya, che sento calda, morbida al tocco e che vorrei non si staccasse più da me.

Non posso non pensare al mio capo che mi ucciderà non appena varcherò la soglia. Cosa posso fare?

Mi fermo un attimo. Sono leggermente terrorizzata.

“Che ti prende, Usagi?”

Seiya mi guarda con fare interrogativo. Anzi mi scruta proprio, con fare accigliato.

E toglie pure la sua mano da me. Sfortunatamente.

Forse penserà che sia pazza. O addirittura lo sta pensando proprio ora.

“Ehm..”

Riesco a borbottare solo questo. Caspita come sei fifona, Usagi!

“Sei sicura di stare bene?”

Bene? No, non sto affatto bene. Mi sento girare la testa, a causa della preoccupazione.

“Beh, ecco. Il fatto è che…”

Di nuovo non riesco a concludere la frase. Il viso di Seiya si avvicina al mio. Riesco a vedere alla perfezione la forma dei suoi occhi, il loro colore. Sento il calore della sua fronte appoggiata alla mia.

Vorrei morire in questo momento. Tutte queste emozioni in così poco tempo.

“Non hai la febbre.”, mi dice con un gran sorriso. Poi si ritrae da me.

È così premuroso. Così sexy.

Mi piace un casino.

Io credo di essere rossa. A giudicare dal fuoco che sento avvampare sul mio volto.

“Me-meno male.”

Riesco a balbettare solo questo, mentre, ancora in uno stato di shock, Seiya mi trascina all’interno del bar.

Maledetto! Mi ha abbindolato e non mi sono resa conto di essere entrata.

Farsi trascinare dalle emozioni è sbagliato.

Ma dove è andato? È sgattaiolato via in un baleno.

Mi guardo attorno. Motoki sembra non esserci. Apparentemente. Anche il locale sembra vuoto. Di clienti sembra non ce ne siano.

 “Ehilà, buongiorno Usagi!”

Una ragazza mi sta salutando. Sbuca da sotto il bancone. Probabilmente stava cercando qualcosa, visto che quando sono entrata non ho notato la sua presenza.

È Makoto, un’amica stretta del proprietario. O forse è più di un’amica. O è la fidanzata del capo. Ancora riesco a capirlo. So solo che litigano di continuo, ma che non riescono a fare a meno l’uno dell’altro.

“B-buongiorno, Mako-san!”

Mi sorride dolcemente. È così gentile, Makoto. Così bella. Quei lineamenti garbati le danno una gran classe. I lunghi capelli marroni raccolti in una coda perfettamente perfetta, gli occhi verdi abbelliti con un tocco di mascara e la divisa in perfetto stile maid le donano un’eleganza che poche ragazze, a mio avviso, hanno.

“Sei in ritardo oggi, Usagi…”, mi dice.

Sembra arrabbiata. Mi sta rivolgendo uno sguardo sprezzante. O così pare.

“Ehm, mi spiace. Posso spiegare…”

Non so cosa dire. Anzi lo so, in realtà. Un cretino mi ha investito e ha causato il mio ritardo.

“Non è la prima volta che arrivi tardi.”

Cattiva. Questa era cattiva, Mako-san. È vero, ma stavolta è diverso.

Devo potermi difendere.

“Hai ragione, ma vedi la verità è che..”

Mi fermo. Mi sta scrutando e sembra ridere sotto i baffi. Non è molto seria.

“Ahahahah!”

Ride per davvero. Perché sta lasciando il bancone e mi sta venendo incontro?

“Usagi sei uno spasso!”, mi dice.

Uno spasso? Mi sento più un fenomeno da baraccone adesso. Ti stai prendendo gioco di me, Mako!

“Non preoccuparti! Ti è andata bene perché oggi Motoki non viene!”

Mentre pronuncia quelle parole, mi tira una pacca sulla schiena. Anche molto forte. Anche facendomi leggermente male.

“Davvero?”

Non posso ancora crederci. Lui non c’è. Sento i fuochi d’artificio sbucare fuori la mia testa.

“Non farai mica la spia, Mako?”

La guardo con sospetto. Non si può mai sapere. È meglio mettere le cose in chiaro.

“Certo che no, Usagi. Ti difenderò sempre contro quel cretino di Motoki!”

Ride fragorosamente. È una donna crudele contro il ragazzo che le piace, ma a me sta bene così.

“E tu?”, dico rivolgendomi a Seiya, che nel frattempo era sbucato dal magazzino con una confezione di acqua minerale, ma che aveva sentito tutto il discorso.

“Io? Sono una tomba!”, mi risponde in maniera così naturale che mi fa sciogliere come un ghiacciolo al sole.

Ah, mi sento più leggera. Che fortuna che il capo non ci sia oggi!

“Ma dove è andato?”, chiedo incuriosita a Makoto.

“Pare che sia passato in ospedale ad incontrare un medico che altri non è che un suo vecchio amico rientrato a Tokyo da poco.”

Un sorriso nasce involontariamente sulle mie labbra. Mako mi guarda divertita perché sul mio viso traspare la felicità.

Tiro un sospiro di sollievo.

Grazie.

Grazie Seiya.

Grazie Mako.

Grazie Dio.

Grazie soprattutto a te amico-dottore. Oggi mi hai salvato la vita.

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