How to ruin the life of a former vigilante

di fedsurvives
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHAPTER ONE - C'è un cadavere nel mio giardino! ***
Capitolo 2: *** CHAPTER TWO - Anche un taxi è un gran posto per un omicidio. ***



Capitolo 1
*** CHAPTER ONE - C'è un cadavere nel mio giardino! ***


< Presente. 14 Settembre. >

Un rumore di tacchi, acuto e ritmico, si ode all’interno del freddo e scarsamente illuminato corridoio. La donna, biondissima e con i capelli raccolti accuratamente in una disordinata coda di cavallo, si aggira leggermente intontita tra quelle mura, sentendosi quasi esasperata di fronte a quella situazione che, oramai, è diventata fin troppo ordinaria. Gli occhiali spiccano di fronte alle iridi vispe ed attente, che studiano ogni singolo dettaglio presente. La porta, di fronte ad ella, è di un bianco pallido, con una anonima maniglia totalmente nera. Una guardia, vestita di tutto punto con la solita divisa scura, la apre, dando modo a lei di entrare all’interno della stanza. Vetri, divisi per sezioni, si presentano di fronte a lei, simmetrici ed estremamente uguali. Delle sedie, che appaiono quasi senza vita, sono appostate in prossimità di un piccolo tavolino, che va a completare quella vetrata trasparente dalla quale si vede, al di là, la medesima situazione.
Felicity Smoak, ben poco sicura, si avvia verso una tra quelle sedute, nel salone completamente privo di anime vive. Per lei, così loquace e sempre determinata a far capire chiaramente la sua opinione su qualsivoglia argomento, è difficile avere a che fare con un silenzio quasi tombale, quello che era presente in quell’istante. Le prigioni non erano davvero il suo posto preferito: di certo si immaginava una situazione leggermente diversa per incontrare la persona che, di lì a poco, avrebbe conversato con lei. Un tavolino di un bel bar del centro, magari, con un cappuccino fumante ed una piccola brioche fragrante. Ciò che, invece, aveva di fronte a lei era soltanto una superficie biancastra, colmata soltanto da un telefono di un colore tendente all’ocra sbiadito. La mano delicata e minuta della donna prova ad avvicinarsi a tale oggetto, venendo però sorpresa da un rumore che, nella totale assenza di voci o suoni, pare arrivare più come un frastuono assordante: la porta, quella situata dal lato opposto della vetrata, si apre, lasciando entrare una figura visibilmente stanca e con quella oscurità in volto di chi sta passando le reali pene dell’inferno.
La bionda alza lo sguardo, vedendo finalmente la figura di Oliver Queen giungere di fronte a lei con quella sobria tenuta arancione, caratteristica di tutti i carcerati, recante un codice di riconoscimento stampato e bene in vista su di essa. Per un istante, si sente quasi mancare. Dovrebbe essere abituata a tutto ciò, o almeno a quello che era solito succedere fino a pochi anni prima, ma la situazione è ora totalmente diversa. Prende di corsa la cornetta di quella specie di telefono, cosa che fa anche il ragazzo al di là del vetro, osservandola con uno sguardo quasi vacuo, perso.
«Oliver, io..»
«Non saresti dovuta venire, Felicity.» Il tono, secco e conciso, e la voce quasi roca e pesante dell’ormai ex vigilante, echeggia per tutta la stanza, ancora completamente vuota se si escludono i due presenti e le guardie, appostate appena fuori dalla porta. Il ragazzo pare ancora avere sembianze di una persona civile: i capelli corti, la barba come sempre incolta, ma il tutto rappresenta il solito ordine. Ciò che è differente arriva dai suoi occhi, quelle iridi chiare che appaiono già sconfitte in partenza, come se sapessero di essere nel posto in cui avrebbero terminato la loro esistenza.
«Oh, sul serio? E che cosa avrei dovuto fare, lasciarti qui?» L’espressione solitamente dolce ed ironica della Smoak è ora dura e determinata, pronta a rispondere per le rime al suo ragazzo, quello che conosce e che la completa e che, di certo, non lascerà qui, senza aiuto.
Oliver non replica, si limita a sospirare ed a voltare lo sguardo altrove. Nonostante la situazione, nonostante la sua voglia impellente di cacciarla via al solo scopo di proteggerla e di non lasciarla entrare in questioni pericolose, dentro di sé ha l’istinto di distruggere il vetro e raggiungerla soltanto per poterla stringere tra le sue braccia. Ma non può. Sa molto bene quanto l’accusa a suo carico sia pesante ed estremamente complicata da poter spiegare.

< Passato. 05 Settembre. Ore 21.30 >

Un’ombra scura, dalla forma visibilmente umana, si aggira per il viale in penombra. Non c’è anima viva in giro, tutti sono nelle loro case a passare una bella serata in compagnia di un film o un programma televisivo, oppure intenti ad intrattenere parenti o amici in una cenetta organizzata. Tenta di mantenersi nell’ombra, sta attento a non farsi scorgere da occhio nudo o da qualsiasi luce pericolosa che potrebbe fregarlo. Non è vestito da ladro, anzi. Porta dei pantaloni scuri, una giacca a quadrettini ed una camicia azzurro chiaro, che vestono una persona dall’espressione alquanto determinata ed incattivita. Si avvicina di soppiatto ad una delle case, nascondendosi tra i cespugli più folti. Sente dei passi, vicini, e resta immobile, fermo, non creando alcun tipo di rumore.
Si avvede della figura del bel tenebroso per eccellenza, Oliver Queen, che rientra nella sua abitazione. Lo squadra con pura energia maligna, di chi non ha niente di buono in serbo per lui. E spera, spera vivamente che i suoi sensi, quelli che conosce da sempre, non lo aiutino a scorgerlo. Si augura che la tranquillità di questo vicinato possa aver spento per qualche tempo quell’arguzia che gli consentiva di essere ciò che era prima. Ed è così, perché il ragazzo rientra in casa, senza accorgersi della presenza di quell’ombra, che si muove ancora, silenziosa come la notte, ed appoggia su di un fascio d’erba un corpo, anch’esso scuro ed ombroso per via della poca luce presente.
Osserva per l’ultima volta la scena prima di allontanarsi ancora, prima lentamente, poi acquisendo sempre più velocità, finché non ritorna alla sua automobile. Ora è salvo. Ora può tranquillamente andarsene. Il suo lavoro lo ha fatto.
«Oliver Queen.. ora sei finito.»

< Passato. 05 Settembre. Ore 21.46 >

«Sono certa che sceglierà Rose. Deve scegliere Rose!» Una puntata di The Bachelor sta andando in onda sulla televisione, mentre Oliver e Felicity sono accomodati su un divano color panna, comodo e soffice, accoccolati l’uno con l’altro in una versione molto dolce di una coppia ormai consolidata. Sono da poco passate le 21.30 e l’uomo di casa è appena rientrato. La camicia scura ed i jeans sono perfettamente in ordine, esattamente come quando è uscito dalla sua abitazione. Sta ancora affrontando questa nuova realtà, fatta di una completa e totale tranquillità, senza nessuno che lo insegua o voglia fare del male a lui o alle sue persone care. Qui, in questo posto, ci sono solo lui e Felicity, oltre ad un sacco di vicini molto gentili con cui scambiare quattro chiacchiere una volta ogni tanto. Nel viale c’è una penombra quasi piacevole, con le fioche luci provenienti dalle finestre dei salotti delle villette.
«Cosa?! Sceglie Emily?!» Squillante e sorpresa, la voce di Felicity arriva quasi come un campanello d’allarme alle orecchie di Oliver, che però non si scompone più di tanto, a differenza della biondina che, invece, è scattata in piedi, con gli occhi quasi fuori dalle orbite per la scelta a suo dire sconsiderata di quell’uomo che sta osservando dalla televisione. Il riflesso delle immagini del programma televisivo arrivano sino alle lenti dei suoi occhiali fini ed eleganti. Ma i suoi occhi, attenti ed osservatori come sempre, scorgono qualcosa che non quadra, qualcosa che è certamente fuori dall’ordinario. Non capisce subito che cosa sia, non comprende immediatamente il fatto. Finchè non si avvede di un’ombra strana, un’immagine che non dovrebbe essere presente nella sua finestra. Una figura scura, posta nel suo giardino, dove certamente non si dovrebbe trovare. Sembra capire pian piano che cosa possa essere e si blocca, quasi spaventata.
«Oliver.»
«Dai, Felicity. Non è la fine del mondo!»
«Oliver. Che cos’è?»
La mano della bionda indica un punto indefinito fuori dalla finestra. Queen non capisce immediatamente che cosa la sua ragazza intenda, ma gli basta tornare in piedi per rientrare in un baratro che credeva ormai ben lontano da lui. In un solo istante riprende tutti quei sensi che sembravano assopiti, come andati in letargo. Ritrova quella sensazione che era perenne a Starling City, quelle caratteristiche che facevano di lui il pericoloso giustiziere che era diventato. Un corpo, scomposto e scuro, si trovava fuori dalla sua abitazione, e non ci vuole poi molto a comprendere che sia un cadavere.
«Chiama il 911.» La voce, bassa e fredda di Oliver, fa sprofondare anche la Smoak nuovamente in quel mondo fatto di completa oscurità, di verità nascoste e di notti passare con la più pura preoccupazione che qualcosa potesse succedere a qualcuno. Perché ora? Perché qui? Questo doveva essere un luogo di tranquillità, un posto dove poter costruire una vita che in nessun caso era stata clemente con Oliver. Un luogo dove poter ricominciare da capo, senza le preoccupazioni di criminali incalliti e della guerra costante con la polizia.
Forse non è destino. Forse il fato ha deciso che Oliver Queen deve ancora espiare le proprie colpe. Ed ha scelto la maniera più crudele per battere cassa.
«Pronto?Mi chiamo Felicity Smoak.. e c’è un cadavere nel mio giardino!»

< Presente. 14 Settembre. >

«Hanno prove contro di me. Non possiamo fare nulla.»
La tonalità dell’ormai ex vigilante sembra leggermente più tranquilla, ma soltanto in apparenza. Deve farlo per poter assicurare alla sua donna che sta bene. Dopotutto la prigione non è il posto peggiore dove ha passato una parte della sua vita. Ci sono stati luoghi molto più oscuri e brutti di questo ed in fondo, forse, in parte merita anche di stare qui. Ma questi pensieri non sono certamente condivisi dalla sua dolce metà, che ha lo sguardo pieno di convinzione nel voler fare in modo che quel ragazzo di cui si è innamorata uscirà di lì, in qualunque modo.
«Tu non hai ucciso quell’uomo. E se dovrò perdere un’intera stagione di The Bachelor per provarlo, allora così sia!» Gli occhi vispi della Smoak si chiudono appena, la fronte si aggrotta, mentre si rende conto di aver appena detto una delle sue solite stupidaggini fuori luogo. Ormai Oliver si era abituato a quella parte di lei, non ci fa più nemmeno caso, anzi, ama anche quelle battute per niente consone alla situazione. Ma ora evita di sorridere, non ci riesce proprio. L’oscurità sta evidentemente prendendo il sopravvento, perché è a conoscenza di quanto le sue scelte di vita lo abbiano portato fino a questo punto. In fondo, non può incolpare nessuno se non se stesso.
«E se l’avessi fatto?» La bionda si blocca, con uno sguardo attonito a dir poco. L’espressione dell’ex Arrow è seria, determinata. Ma non troppo convincente per lei, che si rilassa immediatamente dopo, sbloccandosi ed emettendo un verso scocciato, con una smorfia quasi insolente.
«Smettila.» Lo sa. Sa che non è stato lui. Lo conosce fin troppo bene. Crede fermamente nella sua innocenza ed è pronta a provarlo, anche se dovesse lottare con le unghie e con i denti.
«Non chiamare nessuno. Meno sanno e meglio è.» Anche questo era davvero da Oliver, ma la voce questa volta chiara e concisa di Queen aveva, in parte, ragione. Si erano allontanati per provare a vedere che cosa significasse vivere una vita normale e chiamare per aiuto Thea, Laurel e Diggle non sarebbe stato così tanto consono a quel programma che avevano in mente da mesi. No. Non l’avrebbe fatto. Non avrebbe chiamato nessuno. O, almeno, non loro.
«Ho chiamato un avvocato. Un buon avvocato.» Afferma la Smoak, perfettamente consapevole della riluttanza del suo ragazzo, ma determinata a non dargliela vinta, a non farlo arrendere, non ancora. Le sopracciglia di Oliver si inarcano, colme di sorpresa, ma anche di quella strana voglia di lasciar perdere una lotta che è ormai persa in partenza. La polizia ha scoperto tutto su di lui, il suo passato, le varie accuse a suo carico a Starling City, perché sì, il Capitano Lance non ha perso tempo ad inviare tutte le informazioni del caso, facendolo anche con estremo piacere, almeno nell’immaginazione del ragazzo. Un sospiro, quasi di arrendevolezza, echeggia nella stanza anonima dedicata a quell’incontro, arrivando gracchiante anche all’apparecchio telefonico che la Smoak stava tenendo appoggiato all’orecchio.
«Si chiama Annalise Keating. Sarà qui domani.»

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Capitolo 2
*** CHAPTER TWO - Anche un taxi è un gran posto per un omicidio. ***


Grazie a tutti coloro che seguono e hanno recensito il primo capitolo!
Come avete visto, Oliver è in prigione, accusato di un omicidio che non ha commesso, e Felicity ha assunto Annalise Keating come avvocato, che, per chi segue How to get away with murder, non ha davvero bisogno di presentazioni. Ora vediao come avverrà l'ingresso di Annalise nella storia e soprattutto come reagirà Felicity al suo arrivo. Ed inoltre.. chi porterà con se l'avvocato dei suoi cinque super aiutanti? 
Buona lettura!

< Passato. 13 Settembre. >
 
Il trillo del telefono echeggia in uno studio arredato finemente, con buonissimo gusto. Un luogo lussureggiante, stracolmo di documenti, libri ed arredamento classico, ma decisamente in linea con l’atmosfera suggestiva che vige all’interno della stanza. Una donna, con capelli perfettamente ordinati in un taglio altrettanto classico, di colore, passeggia nervosamente verso quel dannato apparecchio, come al solito poco propensa a rispondere non sapendo chi ci sia dall’altra parte della cornetta. Annalise Keating deve sempre essere in controllo di tutto e nulla deve sfuggire al suo occhio indagatore.
«Keating.» Dice, con voce dura e diretta, attendendo che chiunque abbia osato chiamarla si presenti al più presto.
«Salve. Parlo con Annalise Keating?»
«Sono io.»
«Oh, grandioso! Sono Felicity Smoak e ho assoluto bisogno del suo aiuto. Ho sentito che lei è il miglior avvocato in circolazione e credo che possa davvero aiutare in questo caso, perché…»
«Stop!» Questa volta, il tono di voce della donna di colore è ben più accentuato, sonoro e dal volume quasi altisonante, che addirittura rimbomba sulle pareti del suo studio. Dall’altro lato del telefono, invece, si genera il silenzio più oscuro, un silenzio quasi interdetto di fronte a tanta prepotenza. «Chiunque lei sia, le consiglio di trovarsi un altro avvocato. Non sono disponibile nella sua zona, perché sì, ho visto il suo prefisso. Quindi, arrivederci.»
«Aspetti, la prego! Non è per me, ma per Oliver Queen e…»
«Senta, le ho già spiegato che…» Annalise si blocca per qualche istante, pensando a cosa non quadri in tutto ciò. Un dettaglio che ha ben compreso, ma che forse non ha ascoltato totalmente. «..scusi, può ripetere?»
«Ripetere.. cosa?»
«Ha detto Oliver Queen?»
«Sì, Oliver Queen. È stato arrestato per omicidio, ma è innocente, glielo posso assicurare. Lei deve assolutamente..»
«.. mi faccia trovare la prima parte della parcella domani sul mio conto. Le invierò le coordinate bancarie in giornata. Una volta che avrà fatto il versamento, partirò immediatamente. Arrivederci.»
«Aspetti, ma..» Click!
L’avvocato non attende oltre, odia le persone che parlano troppo. Ma sta sorridendo. Un sorriso determinato, un sorriso che attendeva un caso del genere da tempo. Un sorriso che ha individuato molto bene quanto potrà essere il guadagno in tutta questa storia. Oliver Queen è una delle persone più ricche del paese, che lei sappia. E potrà chiedere un compenso adeguato a ciò che l’aspetta.
«Walsh!» Ad un tratto, l’esclamazione che richiama uno dei suoi aiutanti arriva sino alla sala ubicata nelle vicinanze, da cui esce un ragazzo ben vestito, magrolino e con la barba abbastanza curata, capelli corvini e occhi da falco. La sua espressione è quasi indifferente rispetto a quella inaspettata chiamata.
«Eccomi.» Risponde, con tono incolore, osservando il suo “capo”, in attesa di ricevere le solite istruzioni.
«Partiamo tra due giorni. Preparati. Sarai l’unico a venire con me. E no, non è un premio.»
 
 
< Presente. 15 Settembre. >
 
La macchina, luccicante ed illuminata dal tiepido sole di fine estate, percorre la strada di quel viale che pare uscito da un classico telefilm americano. Villette ben sistemati, dai colori di una tonalità pastello, giardini con alberelli qui e là, macchine eleganti sui viali e una atmosfera di pura tranquillità. La donna di colore, seduta nel retro dell’anonimo Taxi giallognolo che ha preso, osserva il tutto con fare quasi disgustato ed impertinente. Annalise non è mai stata abituata a visioni così celestiali: tutta la sua vita è stata un vero e proprio inferno, in ogni senso, e non ha mai creduto al cliché dell’esistenza perfetta, della famiglia perfetta o della casa perfetta. Nulla di tutto ciò rappresenta la realtà, nella sua mente. Le sfumature della vita esistono da sempre e ad ognuno vengono consegnate quelle più chiare o quelle più scure, in maniera totalmente casuale.
«Gran posto per un omicidio, eh?» La voce ironica di Connor Walsh arriva alle orecchie dell’avvocato, con come unico sottofondo il rumore delle ruote dell’auto che premono sull’asfalto. Il ragazzo, stracolmo di impertinenza e sarcasmo, non si lascerebbe mai sfuggire qualche ghiotta occasione per una battuta pensata e ad effetto. Annalise lo conosce abbastanza bene ormai, tanto da capire quanto abbia bisogno di riempire i silenzi che si formano quando lei entra in una stanza, perché non riuscirebbe ad affrontarli. La donna si volta, alzando di poco le sopracciglia, scrutando quel ragazzo tanto abile quanto, alle volte, poco affine a lei.
«Anche un taxi è un gran posto per un omicidio se non la smetti di blaterare.» Replica, con fare autoritario e la solita parlantina da boss. Non ammette repliche, di nessun genere. Ciò che vuole sia fatto, deve essere fatto come vuole che sia fatto, senza se e senza ma, senza scusante alcuna.
Fortunatamente per Connor, la macchina si arresta pochi metri più tardi, di fronte ad una casa molto bella a vedersi, classica e non molto differente rispetto a tutte le altre presenti nel quartiere. Annalise scende dall’auto, osservando attorno a sé come a volersi impadronire all’istante di quei luoghi, scrutando ogni singolo particolare che possa aiutarla a comprendere di più di ciò che è accaduto. L’unica cosa fuori posto è una ragazza, bionda e con fare fin troppo rumoroso per lei. E già ha capito che si tratta della donna con cui ha parlato al telefono. Si avvicina velocemente e prova a proferire parola, ma viene subito interrotta dalla voce autoritaria della Keating.
«Entriamo, signorina Smoak. Non vorrà esporre ai quattro venti la situazione del suo capo.» La bionda la osserva, sorpresa e quasi interdetta di fronte a quella frase. Ma non c’è possibilità di replica, dato che la donna di colore le passa oltre, attraversando il vialetto ed andando verso la porta di casa. La Smoak si trova, dunque, a dover seguire quella perfetta sconosciuta nella sua casa, mentre accanto le si para la figura del ragazzetto sceso dallo stesso taxi. Connor fa spallucce, oramai ben abituato ai modi poco ortodossi dell’avvocato.
Una volta dentro l’abitazione, Felicity chiude la porta dietro di sé, indirizzandosi successivamente verso il salotto, una stanza che però sembra non riconoscere. Le appare chiarissimo come Annalise Keating abbia praticamente preso possesso del suo soggiorno, senza disturbarsi nel chiederne il permesso, cominciando ad analizzare le carte che erano appoggiate sul tavolino di vetro trasparente.
«Ho avuto a che fare con casi del genere. Anche se il suo capo è colpevole, vincerò.» Sentenzia la donna di colore, senza nemmeno rivolgere lo sguardo alla ragazza bionda, che si avvicina, questa volta ben più decisa a rispondere.
«Oliver non è colpevole.» Dice, con una sicurezza un po’ colma di finzione. Annalise si blocca, cominciando a volgere lo sguardo verso la Smoak, trasformando la sua espressione seria e dura in un largo ed ambizioso sorriso, quasi divertito dalle parole della ragazza. Ne ha viste tante, di biondine come lei. Saccenti, presuntuose e semplicemente insopportabili. Ma lei le può zittire in due secondi, le annulla con il solo sguardo.
«Oliver? Ora capisco con chi va a letto quindi.» Commenta, in maniera alquanto semplicistica, tornando successivamente alle carte. Il ragazzo, invece, sembra parecchio interessato ad una foto dei due, ritratti su uno sfondo marino.
«Bel bocconcino questo Oliver.» Dice, forse usando un tono molto più alto rispetto a quanto aveva preventivato. Ma in fondo non si vergogna affatto, Queen è un ragazzo affascinante e bellissimo e ciò che piace agli occhi, va anche esposto con la parola.
«Beh, signor Walsh.. visto che è parecchio interessato, direi che può andare lei in carcere, per capire la sua posizione verso questo processo.» Sempre con le iridi fisse sulle pagine che sta accuratamente studiando, l’avvocato assume ancora il ruolo di boss, senza possibilità di reclamare. Connor, tuttavia, sorride. In fondo è ciò che sperava.
 
 
Più tardi, lo stesso giorno, il Sig. Walsh, come adora chiamarlo Annalise, si ritrova nella medesima stanza in cui, il giorno prima, Felicity Smoak aveva avuto una conversazione con Oliver Queen. E quest’ultimo, vestito con la stessa tuta arancione, è seduto di fronte a lui, con aria quasi di sufficienza.
«Mi piace il nome Oliver. Il mio ragazzo si chiama così.» Afferma, divertito, Connor, scrutando l’ex Vigilante con notevole interesse. Sì, è fidanzato, ma è sempre stato un tipo alquanto libertino. E quell’Oliver Queen era tutto ciò che si potesse desiderare da un uomo. Il fidanzato della Smoak, ovviamente, non è dello stesso avviso e si limita ad inarcare le sopracciglia, trovando quella frase essenzialmente fuori luogo. Se questo ragazzetto era l’aiutante di Annalise Keating, non poteva essere così certo di uscire di prigione senza alcun capo d’accusa.
«Non credo che sarà una simile dichiarazione a far cadere le accuse.» Replica, con tono incolore, Queen, reputando oramai ben chiara nella sua mente la situazione. L’avvocato scelto da Felicity non era affidabile e non avrebbe nemmeno avuto voglia di conoscerlo. Conoscerla, a dire il vero, perché Annalise, fino a prova contraria, era un nome da donna.
«Già. Forse dovrei parlare del tuo fisico da macho, che ne dici?» Continua, imperterrito, l’aiutante della Keating, sempre più divertito da quella situazione. Gli è chiarissimo quanto Oliver Queen non abbia, ovviamente, i suoi medesimi gusti sessuali, ma in fondo non si può essere accusati di molestie in carcere, no?
«Forse dovresti dire al tuo capo di farsi vedere qui.» L’ex Arrow è ormai abbastanza innervosito da quella presenza disturbatrice, tanto da voler immediatamente congedarsi da questo incontro. Ma sa bene che cosa sia venuto a fare questo ragazzino impertinente: deve prendere informazioni su di lui, vedere come si pone ad estranei. Lo ha capito dagli sguardi, che non indicano unicamente l’interesse fisico dimostrato da Connor. Ma tutto ciò non serve a dargli fiducia. Ormai non si fida di nessuno.
«Lo farò, Ollie. Ma prima devi rispondere a qualche domanda.» Oliver sospira, estremamente esausto di quella assurda situazione. Ma resta lì, esattamente dove é. E si prepara a rispondere. Chissà, forse questa sarebbe stata la sua unica possibilità prima di pensare all’evasione.

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