It's a costly game of cat and mouse

di athazagorafobia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Awakening ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologue
SMALL PROLOGUE



Manca poco più di un mese prima che Emma faccia le valigie e prenda il volo. Direzione Londra, nessuna fermata, solo ripensamenti.
Sono proprio questi i giorni in cui lei passa le giornate accasciata nel letto, con l'aria condizionata a palla e vestita solo di una maglietta di tre taglie in più, cercando di distrarsi guardando anime a casaccio o dormendo.
Nessuno se ne accorge che non riesce neanche a vivere, nessuno c'è mai in quella piccola casa , che sebbene sia così piccola, è sempre così grande per una persona sola. 
Lei non è sola, ma la madre è troppo occupata a fare commissioni in giro per guardarla un'attimo negli occhi, e la mattina le lascia un bigliettino attaccato al frigorifero per dirle di fare la lavastoviglie e pulire casa, e il padre lavora troppo anche solo per vedere che ha diciasette anni e del mondo sta già incominciando a conoscere qualcosa.

- Lo sai che stai scappando?- il cellulare è sempre acceso e aperto in quell'ultimo messaggio ricevuto, e ogni qualvolta sembra stia per spegnersi, Emma alza il braccio e clicca per ridare luce allo schermo, ogni 2 min e 30 sec, è questo il timer pre-programmato del suo cellulare.
Potrebbe cambiarlo, dovrebbe farlo, sono le 3 e 17 di notte, 46 sec, ora 47 , e sono ben due ore che va avanti così. Ma in un certo senso le piace , dà ritmo al tempo che passa.
"Alcuni partono e alcuni rimangono, ma alla fine partono anche quelli e qui non resta nessuno.
La più grande paura che ho mai avuto è che alla fine sarei stata l'ultima a rimanere, quella troppo aggrappata alle cose per lasciarle andare e quindi me ne sono andata sempre per prima, prima che me ne potessi legare , prima di affezionarmi."  
Questo vorrebbe rispondergli, ma gliene manca il coraggio, dovrebbe ammettere di avere paura, dovrebbe dargli ragione.
Allora fa finta di avere sonno e dorme, così almeno per un attimo, potrà dimenticarsi di essere una codarda.

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Capitolo 2
*** Awakening ***


Awakening

Quando ti svegli lo sai già che tutto quello che hai vissuto fino a quel momento era solo un sogno, che non hai corso tutta la notte fuggendo da qualcuno di cui non ti ricordi neanche il viso, che non ti sei nascosto in un sepolcro e non hai neanche saltato sopra un telo del mercato. Tutto finito, tutto mai accaduto.
Eppure Emma sudava ancora. “È il caldo, stupida.”
Quando non si hanno certezze, quando la realtà non dà tutte le spiegazioni che si vorrebbero ricevere, allora interviene internet. Un dio nato da mani umane. Un dio che controlla ormai mille e più anime.
Basta una piccola ricerca – significato dei sogni – e poi credi di saper tutto. A quel punto sei tu che controlli la realtà. Quanto è falso e quanto è facile rifugiarsi in queste piccole sicurezze. Lo sai già da te che non è vero, ma ti fa sentire meglio non credi?
Ti fa sentire talmente bene, che per un attimo non ci pensi neanche al casino che ti circonda, che esci da quello schifo di vita in cui sei incastrato e ti senti forte.
Ma poi ti accorgi che stai mentendo, che ti stai illudendo, allora fai quello che hai avuto paura di far prima, guardi il cellulare.
Nessun altro messaggio è arrivato e lei che ci sperava anche, che lui fosse rimasto sveglio ad aspettare che lei gli rispondesse e poi incazzandosi per l’assenza di risposta le scrivesse qualcos’altro. Niente.
La verità è che loro non sono due amanti, quella tra di loro è la gara a chi scappa di più e a chi è disposto a correre così tanto da raggiungere l’altro.
Ma non basta quello, la persona che rincorre vuole anche essere rincorsa. Non basta amare, bisogna anche essere amati.
Ma lei non lo ama, e lui non ama lei; loro sono solo un fuggi fuggi.
Si conoscono da quando avevano entrambi cinque anni, una bambina dagli occhi grandi e limpidi e un bambino dai capelli color limone, i loro giochi erano una ventata d’aria fresca per i loro poveri genitori che mentre si rilassavano in spiaggia venivano travolti dalle loro feroci rincorse, o lui le tirava i capelli o lei gli schizzava acqua in faccia. Per loro era facile odiarsi.
Le cose erano cambiate con l’avvento delle superiori ; Emma era diventata una ragazza per niente delicata, con un po’ di ciccia sempre nei posti sbagliati e timida di primo impatto, ma solo con le persone con cui decideva di esserlo; Matteo, invece, uno spilungone con i capelli sempre spettinati e una spruzzata di lentiggini sopra una bocca sempre sorridente. Durante quei primi anni di liceo dove c’era uno si poteva star sicuri di trovare l’altro due passi più indietro, oppure trovarlo dalla parte opposta dell’edificio.
Un rapporto di odio e amore se così si può dire.
Ora alla fine della terza liceo, le cose erano rimaste immutate, ma più che altro sembrava una routine : una settimana stavano appiccicati come fidanzati e l’altra non si rivolgevano neanche la parola. Sembrava quasi lo facessero apposta, per compensare ; per rendere il loro rapporto come quello che avevano con gli altri amici, dove l’amore si disponeva in maniera equa, da loro quello veniva raggruppato in determinati giorni.
Non potevano fare altrimenti.
Lei non poteva farlo.
Se lo vedeva doveva per forza abbracciarlo e stringerlo a sé, doveva per forza scompigliargli i capelli, salirgli sulle spalle e raccontargli tutta la giornata, tutta la vita.
Ma non poteva certo farlo tutti i giorni, senza che lui fraintendesse naturalmente, e decidesse di trattarla come una estranea, cosa che faceva ogni qualvolta qualcuno gli si avvicinava troppo, identica cosa faceva lei del resto. Aveva paura, nel momento in cui le si sarebbe avvicinato troppo, che sarebbe stato lui a scappare , come il gioco del gatto e del topo, che quando il gatto raggiunge il topo, i ruoli si scambiano.
Era la settimana del silenzio quella e sapeva benissimo per cui lui aveva infranto quella sacrissima e muta legge sancita tra di loro: aveva saputo che sarebbe partita.
Chissà se adesso avrebbero raggruppato l’affetto di un anno intero (il tempo in cui lei sarebbe stata via) in quel piccolo mese.
L’unica cosa che lui non sapeva, è che non stava scappando da lui; non sarebbe stato necessario, non erano abbastanza legati perché questo accadesse. Stava scappando da tutto il resto. Da quel silenzio che quando è troppo prende la tua vita e la fa propria.
Da quel insignificante mondo che la stava inghiottendo e incorporando a tutti gli altri.
Ma per quanto incrociasse le dita non aveva potuto ignorare quella frase trovata su una pagina di facebook : “c’è chi crede di essere felice andando a vivere da qualche altra parte, ma impara che non è così che funziona. Ovunque tu vada, porti te stesso con te”
Beh almeno non sarebbe stato così, non sarebbe andata a vivere da un’altra parte. Per un attimo Emma quella frase l’aveva fottuta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1


Iniziò a sciogliere i lunghi capelli scuri da una cipolla che la sera prima aveva improvvisato, naturalmente erano tutti intrecciati, ma avevano quell’effetto ondulato che lei amava tanto, qualcosa di casuale, non ovvio.
Riguardò il cellulare, ma le uniche cose che vide furono le continue pubblicità che ti mandano via mail e un messaggio di sua madre che le diceva che non sarebbe tornata a pranzo, “lavoro”, ma lo sapevano entrambe che era solo una scusa.
Quelle persone, “i suoi genitori” come potevano essere ritenuti tali?
Come potevano “i suoi amici”, essere ritenuti tali?
E lei, come poteva essere ritenuta una persona, se per gli altri non esisteva?
Un fantasma di qualcuno che non è mai nato, il fantasma di una persona che gli altri non conoscono.
Come puoi esistere se gli altri non lo sanno? In base a cosa sei sicuro di esistere?
Il dolore.
Emma non conosceva nient’altro che il dolore e Matteo.
Matteo era l’unico che la facesse sentire viva, perché semplicemente non la faceva sentire; nei momenti in cui lei era con lui non riusciva a pensare, non rifletteva , non le sembrava neanche di vivere, perché il suo vivere non era vivere, e con lui viveva davvero.
Ci teneva lei a Matteo, ma era un po’ come la volpe e l’uva, quando non sei sicuro di raggiungere la meta, fai finta di non volerci arrivare, per non soffrire s’intende, per non morirci dietro.
Ne conosceva di casi simili, di persone che smettono di vivere per altri. E lui era l’unica speranza in cui lei riponeva. Non voleva se ne andasse anche lui.
- sto di merda – rinunciò al suo orgoglio e gli scrisse. Tre parole in croce.
Lo vide diventare online e aspettò cinque minuti, sapendo che lui non le avrebbe risposto subito, perché sarebbe stato un po’ come ammettere che avesse aspettato anche lui che lei gli scrivesse. Oppure erano le fisime mentali che si faceva lei e a lui non fregava una minchia di risponderle.
Bip.
- io non so se ce la faccio – non ce la faccio a fare cosa?
- io non ce la faccio di sicuro senza di te – al volo, non importava più in quel singolo momento chi fosse il più forte tra i due. Per lei perlomeno .
- non ce la fai di sicuro se ti prendi tutto il mondo sulle spalle, facendo finta di essere Atlante, che poi anche lui un po’ di fatica ne faceva- sarcastico lui, ma la fece sorridere e incazzare.
- quindi? Dai dimmi la soluzione che io non la capisco. Mr sapientone, so tutto io, sorprendimi-
Silenzio.
Ed Emma sbuffò. “ Parli tanto poi che fai, tagli corto e te ne vai?” lui non capiva un’emerita mazza. E buttò il cellulare in aria.
Che si rompesse pure! Per cosa avrebbe dovuto utilizzarlo del resto? Per parlare con il muro?
Ma lo riacchiappò al volo.
Era il suo migliore amico del resto.
 
E poi via di nuovo col silenzio.
Troppo silenzio. Il loro rapporto non si era compensato. Un mese di no alla fine. L’ultimo mese in Italia senza il suo migliore amico. Perché lui doveva sempre comportarsi così ? Perché alla fine la faceva sempre soffrire?
Non te ne accorgi che stai per partire. Che il tempo passa, e che tu sei lì ,solo, che lo guardi andare avanti senza di te.
Forse avrebbe dovuto scrivergli prima dell’ultima settimana e non far finta di niente, che il niente alla fine non si riempe. Rimane lì immobile, e tu pensi che qualcosa possa cambiare da sola anche se non fai niente. Non succede niente se non si fa niente.
“ mi manchi”
Se ne era accorta da sola che loro due non erano solo amici. Doveva farlo? Doveva dirgli che per lei lui era più che indispensabile? Quel mese senza di lui era stato inferno. E non solo perché era estate e i 40° sembravano aver fatto vacanza in quelle piccole colline campagnole.
 
- Tu non ti rendi conto di cosa mi hai fatto. Io ti odio. E ti amo. E ti odio. E non so più quale tra questi due sentimenti è più forte dell’altro. Perché tutto ciò che ti riguarda, mi fa sentire confusa. Non so più neanche cosa provo. Tutto ciò che è te, per me è strano. Non è il mio terreno e sono insicura. Divento timida e arrossisco.
E poi tu a volte mi ignori totalmente ed io m’incazzo e decido di non parlarti più per il resto della vita; ma basta che un giorno a caso tu mi sorrida e io non riesco ad odiarti. Io amo il tuo sorriso, il tuo naso grosso e il tuo stile mezzo trasandato. E ti assicuro che se conoscessi un altro vestito come te mi vergognerei a morte e farei finta di non conoscerlo. Invece di te non mi vergogno per niente. Ti starei appiccicata tutta la vita per dimostrare agli altri che tu sei mio e non ti scambierei per nessun altro. Perché adesso ogni volta che guardo un ragazzo penso a te, e a quanto poco ti somigli.
E lo so che non ci crederai mai ma ho smesso di mangiare per paura di non poterti piacere, e di dormire per essere sicura di non morire nel sonno e non poterti più vedere.
E forse adesso penserai che sono una pazza e psicopatica e hai ragione. –
Matteo non mosse un muscolo del viso e Emma si era aperta troppo per restare lì a fissarlo immobile dopo aver sorriso aspramente . Fece per tendersi verso di lui e baciarlo. Aveva bisogno di baciarlo in quel momento, ma non lo fece alla fine. Si era aperta troppo per avvicinasi anche. E lui non reagiva e lei aveva paura. Per una volta aveva paura. Non ci sarebbero stati ne se ne ma, nessuna incomprensione questa volta. C’erano lui e lei. E basta.
E lei era lì, ma lui sembrava non esserci.
E forse quel foro che lei aveva aperto faceva entrare troppo freddo per stare lì fuori.
E lui non si mosse neanche a quel punto. Nemmeno quando lei iniziò a raccogliere silenziosamente le sue cose, da quel pavimento troppo rosso e troppo sporco, nemmeno quando freddamente lei si asciugò la piccola lacrima che le era scorsa sulla sua gota destra.
Non si mosse proprio infondo.
Ma non gli sarebbe costato niente, prenderle il braccio prima che lei iniziasse a correre, o proprio quando correva rincorrerla. Dopotutto le sue gambe erano molto più lunghe.
Oppure ancora prima, baciarla.
 
Si svegliò di colpo. Tutta sudata e rossa in viso.
Certo che di sogni strani ne faceva sempre..

 
                                                                                                                                                                                      
 
 
 

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