Titolo: Beware the snowy
mountain
Fandom: Frozen
Personaggi: Hans/Anna
Prompt ©Kuma
Cla:
Gothic novel!AU, Anna vive con la sorella in un antico castello che si affaccia
sul fiordo e nel paese girano un sacco di storie. Hans
è curioso; ©Livia Duras: "True
love is like ghosts, which everyone talks about but few have seen." ~Author Unknown
Generi: Romantico, Suspense
Avvertimenti: Probabile OOC.
Note: Suppongo che vedere Crimson Peak abbia vagamente influito
sulla stesura di questa one-shot, ma non preoccupatevi: non c’è nulla di
horror.
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Beware the snowy mountain
Con un ansito e un gemito dolorante, Hans riemerse
dall’incoscienza.
L’ultima cosa che si ricordava, dopo essere
scivolato giù per quel maledetto lungo declivio, era l’accecante chiarore della
neve e il gelo che si era insinuato tra i suoi vestiti, ghiacciandogli le ossa;
poi, il buio più completo. Mentre avanzava tra alberi e sentieri non battuti aveva
più volte dubitato la propria intelligenza, che gli aveva fatto pensare che
potesse essere saggio avventurarsi su per la montagna nel cuore dell’inverno e
senza una cavalcatura adeguata – cavalcatura che lo aveva abbandonato non
appena aveva messo uno zoccolo in fallo e aveva perduto il contatto col terreno,
disarcionandolo bruscamente. Purtroppo, Hans era una creatura profondamente
curiosa; e non avendo nulla di meglio da fare, dato che gli affari di famiglia
giacevano tra le mani ben più esperte dei suoi dodici fratelli, aveva pensato
che risolvere l’enigma del castello abbarbicato sulla montagna che sovrastava
il fiordo sarebbe stato un ottimo modo per impiegare il suo tempo.
Purtroppo i piani non avevano seguito il loro
corso, e se fosse stato appena più sfortunato Hans sarebbe probabilmente morto di
freddo e sepolto tra la neve, per non essere mai più ritrovato. Quella sarebbe
dovuta essere la sua sorte: e allora per quale motivo aveva riaperto gli occhi
per ritrovarsi in una calda camera da letto, sepolto da coltri tiepidi e pesanti,
con abiti asciutti e il confortante scoppiettare di un fuoco nel caminetto poco
distante?
Hans batté piano le palpebre su occhi affaticati,
finché le forme confuse e sfuocate degli oggetti che lo circondavano non
assunsero dei contorni più nitidi, e lui poté tornare a vedere. Come avrebbe
dovuto immaginare, non riconosceva il luogo: era evidente che non erano stati i
suoi fratelli a trovarlo – anche perché in ogni caso dubitava che essi
sapessero dove era andato, o perlomeno si fossero dimostrati interessati a
scoprirlo. E non doveva essere neppure in qualche taverna del paese, poiché le
suppellettili e l’eleganza di quell’ambiente estraneo non apparteneva a nessun
edificio ch’egli riconosceva.
Cercando di obbligare il proprio corpo a
rispondergli, Hans si sforzò di mettersi perlomeno a sedere; ma una mano,
piccola e delicata, decisamente femminile, apparve ai lati del suo campo
visivo, poggiandosi su una sua spalla e invitandolo a non muoversi.
«No, restate giù», lo esortò gentilmente una voce
soffice. «Avete la febbre, dovete riposare.»
«Chi–» Tentò Hans, prima che un colpo di tosse gli
squassasse la gola, facendolo lacrimare. «Chi siete? Dove… Dove mi trovo?»
La ragazza sospirò, affrettandosi a porgergli un
bicchiere di acqua fresca. «Mi chiamo Anna, e credo di avervi salvato la vita»,
replicò con un sorriso nel tono che lui non riuscì a vedere. «Ah, e siete nel
mio castello.»
Finalmente Hans si fu ripreso abbastanza da
volgere la sua attenzione interamente alla sua salvatrice, e lo fece allargando
impercettibilmente gli occhi dalla piacevole sorpresa. Seduta sul bordo del
letto poco distante da lui, infatti, la ragazza – Anna, provvide la sua mente –
la ragazza lo osservava con il capo chino appena di lato, lunghi capelli rossi
raccolti in due trecce che le ricadevano sulle spalle e sul pesante scialle
verde scuro che gliele avvolgeva in un abbraccio protettivo. I suoi occhi,
altresì verdi, danzavano allegramente seguendo il tremolio delle fiamme del
focolare, e le sue gote chiare erano ricoperte di piccole lentiggini che Hans
stranamente si ritrovò a voler sfiorare.
Fu con enorme sgomento che Hans riconobbe di
trovarla molto bella, e d’un tratto non ebbe più tanta premura di andarsene e
tornare a casa sua.
Dopo un silenzio ammirato che parve infinito, Hans
si sgranchì la gola. «In tal caso, suppongo di dovervi la vita», mormorò,
accennando un lieve inchino prima di tornare a sistemarsi contro i comodi
cuscini del giaciglio. «Il mio nome è Hans, Hans Westergaard.»
«Lieta di conoscervi, Hans Westergaard», lo salutò
lei con un sorrisetto divertito.
Per qualche oscuro motivo, egli si ritrovò ad
arrossire come un bambino imbarazzato. «Ah, solo… solo Hans andrà bene.»
Anna accettò la correzione con un regale cenno del
capo. «Allora, ditemi, Hans. Che cosa vi ha portato nel cuore della montagna,
in pieno inverno, e così scarsamente attrezzato?»
«Dicono che il vostro castello sia infestato dai
fantasmi.»
La giovane aggrottò la fronte, prima di esibirsi
in un sorriso imbarazzato. «Ah, ho paura di dover smentire quelle voci: nulla
di tanto eccitante accade tra queste mura», fu la sua pacata risposta.
Il panno ormai asciutto che gli rinfrescava la
fronte venne scambiato con uno più umido, e Hans socchiuse placidamente gli
occhi, godendosi beato quelle cure amorevoli. «Nessuno vi ha mai visto al
villaggio, tuttavia. La gente crede quasi che siate voi gli spiriti.»
Lei si irrigidì appena, prima di sbuffare e
scacciare con un gesto della mano quel ridicolo commento. «Hn, che
sciocchezza», borbottò, tamponandogli gentilmente le tempie. «Abbiamo dei
domestici che si occupano dei nostri affari in paese; con la montagna sempre
innevata, di certo converrete con me che non sia un tragitto semplice da far
compiere in continuazione a due ragazze sole.»
Hans annuì distrattamente, il profumo proveniente
dal polso sottile della ragazza al momento unico protagonista dei suoi
pensieri. Dio, che cosa gli stava succedendo? Non aveva motivo di comportarsi
come un cucciolo innamorato dopo appena pochi minuti che la conosceva!
«Inoltre mia sorella non ama lasciare il
castello», aggiunse Anna a mezza voce, come un ripensamento. I suoi occhi si
persero per un istante in un punto indefinito del pavimento, assumendo una
sfumatura cupa che suo malgrado lo fece rabbrividire. «E io non amo lasciare
mia sorella. Come vedete, la realtà dei fatti è molto banale.»
D’istinto, Hans tirò fuori una mano da sotto le
coperte e l’avvicinò a quella che Anna teneva posata sul materasso per
mantenersi in equilibrio; la ricoprì con la sua e la strinse gentilmente,
apprezzandone il calore, e subito gli occhi di smeraldo della ragazza
saettarono, confusi e imbarazzati, su di lui.
«Non c’è nulla di banale nell’affetto e nella
lealtà che nutrite per vostra sorella», sussurrò con amorevole convinzione,
sperando che le sue parole venissero prese in seria considerazione e non
accantonate come le farneticazioni causate dalla febbre.
«Siete… siete molto gentile», rispose lei con un
sorriso appena accennato, ricambiando la stretta. Poi, dando retta a un
impulso, si chinò rapidamente su di lui e gli posò le labbra fresche sulla
fronte bollente, regalandogli un ringraziamento silenzioso e un augurio di
pronta guarigione in un unico gesto. «Ora è bene che riposiate, dovete essere
stanco.»
Sbattendo rapidamente le palpebre per poi
sorridere come un bambino a cui è stato appena regalato un pony, Hans annuì; e,
senza lasciare la presa sulla mano di Anna, scivolò in un sonno sereno e
ristoratore.
La ragazza gli rimase accanto, instancabile –
accarezzando gentilmente i suoi folti capelli d’un rosso cupo che circondavano
un viso dai tratti duri, mascolini, e terribilmente sensuali; e sospirò
sognante, reprimendo un brivido quando la temperatura all’interno della camera
da letto si abbassò bruscamente malgrado il fuoco ancora acceso. Anna aggrottò
la fronte, lanciando un’occhiata alla porta chiusa, e un’espressione colpevole
e addolorata si fece largo sul suo volto.
Fuori dalla stanza, celata dall’ombra, una figura
di fanciulla origliava silenziosamente ciò che accadeva tra i due giovani. La
sua pelle diafana, quasi perlacea, pareva addirittura più chiara del lungo e
sottile abito bianco che si apriva sul pavimento a mo’ di strascico, creando
una pozza di seta ai suoi piedi; lunghi capelli di un biondo argenteo le
ricadevano, sciolti, su spalle nude, e occhi tanto azzurri da parer di vetro
riflettevano la luce della luna che proveniva dall’alta finestra alla fine del
corridoio.
Se si stringevano le palpebre e si aguzzava lo
sguardo, si sarebbe potuto vedere il muro attraverso di lei.
Quando infine il silenzio tornò a regnare
all’interno della camera, la figura svanì lentamente con una scia di gelo –
lasciando dietro di sé minuscoli cristalli di ghiaccio ove si era poggiata, su
parete e pavimento.
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One-shot: 1319 parole.
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[Note finali] Sì, Elsa è un fantasma.