Sex, Drug, Rock 'N' Roll. A groupie's story.

di 48crash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hard day's night. ***
Capitolo 2: *** Curlie. ***
Capitolo 3: *** Bitch. ***
Capitolo 4: *** Beat it. ***
Capitolo 5: *** Can't let you go. ***
Capitolo 6: *** Give me some love, today. ***
Capitolo 7: *** Nothing really matters, anyone can see. ***
Capitolo 8: *** You see me cryin'. ***
Capitolo 9: *** Life on the road. ***
Capitolo 10: *** Fear. ***
Capitolo 11: *** Become a Freedom Fighter. ***
Capitolo 12: *** Never let me go. ***
Capitolo 13: *** Coffee. ***
Capitolo 14: *** Stay. ***
Capitolo 15: *** Run, baby, run. ***



Capitolo 1
*** Hard day's night. ***


8 agosto 1974
Sono sveglia, ormai. E l'unica cosa che percepisco, oltre al lenzuolo appoggiato addosso che scanso con un movimento rapido, è un caldo tremendo. Non ho ancora sollevato le palpebre e sono già sudata fino alle ossa. E sì che non ho addosso niente se non un paio di mutande.
Apro gli occhi e vedo il soffitto bianco dell'appartamento dei ragazzi. Nella periferia di Boston, chissà se i miei immaginano anche solo lontanamente che sono qui.
Giro leggermente la testa e vedo una massa indistinta di capelli scuri, ricci e arruffati, sul cuscino. So che da qualche parte ci sarà anche un viso, quello di Joe.
Provo a sollevarmi leggermente, ma una fitta alla testa mi costringe a sdraiarmi nuovamente. Ogni tanto i postumi della sbornia (e probabilmente anche l'effetto di tutto quello che prendo la sera durante le feste e i concerti) mi impediscono di alzarmi. È dura andare avanti, certe volte. Lo faccio solo perché mi piace, e perché è la mia scelta. Comunque, non potrei tornare a casa, a questo punto.
Dall'altro capo del letto c'è sdraiata un'altra ragazza. L'ho vista di sfuggita mentre cercavo di alzarmi. Probabilmente Larissa, ma chi lo sa. Siamo sempre un po' troppi in questi letti, e Steven dice sempre agli altri che dovrebbero darsi una regolata, ma loro non lo fanno mai. Ovviamente parla anche per se stesso, e non si dà mai una regolata nemmeno lui.
Mi volto per vedere se sul comodino c'è qualcosa che io possa bere o mangiare per rinvigorirmi un po', ma niente. C'è soltanto una sveglia che segna le otto e venti.
Imploro tutti i miei muscoli di rispondere, ma non c'è risultato.
Oh, dovrei smettere di drogarmi. O almeno prendere un po' meno cocaina di quella che mi offrono.
Lo so, me lo ripeto ogni volta che ho una mattinata simile, ma cosa ci posso fare? Sto con loro perché, mi spiace, nemmeno io so darmi una regolata.
 





Nuova storia! Che ne pensate di questo "assaggio"?
Questa ff sarà un po' particolare, anche perchè io non la definirei una fanfiction vera e propria, visto che parlerà soprattutto della vita che conduce la protagonista facendo la groupie. Sarò abbastanza cruda, non mi risparmierò di descrivere anche i momenti peggiori della vita di una groupie. Per me è una sfida, e spero che vi piaccia.
Il titolo di questo primo capitolo è preso dal titolo dell'album degli intramontabili Beatles, adattissimo secondo me al contenuto del capitolo, e messo qui anche come omaggio ai 4 ragazzi di Liverpool.
Lasciatemi un commento e ditemi cosa ne pensate ;)
Lucy :***

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Capitolo 2
*** Curlie. ***


8 agosto 1974, 09:30.
<< Ma i tuoi lo sanno che sei qui? >>
A questa domanda, quasi mi strozzo col caffè che stavo bevendo, rischiando di cadere dalla sedia sulla quale stavo con le ginocchia al petto. Lo fisso con odio.
<< La finisci di farmi sempre la stessa domanda idiota, Tommy? >>gli chiedo.
<< La finisci di chiamarmi Tommy, Gabi? >>
Sbuffo, o meglio, ruggisco. Odio quel nome. Odio il mio nome. Gabrielle Julia Stein. Orribile.
L'ho sempre odiato, non ne posso fare a meno. Quando sono scappata di casa, quattro mesi fa, e mi sono presentata qui, mi sono presentata come Jay. A loro andava bene, anche se Steven continua tuttora a chiamarmi Jackie, perchè dice che somiglio a una ragazzina che conosceva e che aveva questo nome. Mi va bene anche quello, non c'è problema. L'importante è non chiamarmi col mio vero nome, Gabrielle. Cosa che Tom fa da quando per sbaglio hanno visto la mia carta d'indentità poco dopo il mio arrivo qui.
Se ci penso, allora ero completamente diversa, e forse quel nome mi stava anche bene, un po' da santa. Avevo compiuto sedici anni da tre giorni, non avevo la patente, ero vergine e non avevo mai bevuto alcool nè assunto droghe. Sono cambiata un sacco in questi mesi.
<< Dai, scema, lo sai che scherzo >>dice ridendo e passandomi lo zucchero.
<< Beh, allora vaffanculo, mi fai spaventare ogni volta! I miei non lo devono sapere dove sono, assolutamente >>ribadisco.
Lo so che scherza, certo. Però nulla mi impedisce di odiarlo quando fa così. Lo sa che sono scappata di casa, gli ho detto tutto una notte in cui mi hanno fatto ubriacare. Ricordo solo il freddo che faceva, e il bene che mi ha fatto bere del rum. Poi però più nulla, se non il cielo così blu da far paura e i suoi capelli biondi.
Ad ogni modo, io e lui andiamo molto d'accordo. Se non fa il cretino rispolverando i miei genitori, certo. Gli altri sanno qualcosa di questa storia, ma non ne parlano, sanno che non voglio.
<< Dai, Curlie >>ride lui alzandosi e scompigliandomi i capelli prima di uscire dalla cucina.
Sbuffo di nuovo levando la sua mano dai miei capelli, stavolta ridendo però. Curlie. Se l'è inventato lui, giocando sui miei capelli mossi tendenti al riccio. Odio pure quelli, non hanno neanche un colore definito. Però questo soprannome lo adoro.




Chiedo perdono se i capitoli sono eccessivamente corti, è che questa è una fanfiction che scrivo di getto, ed è composta da flash, anche se andando avanti le scene saranno un po' più lunghe. Adesso si tratta solo di presentare la protagonista, Gabrielle, di fare un po' capire il suo carattere e il suo rapporto con la band e le altre groupies. Spero di riuscirci!
Comunque, per chi non lo sapesse, "Tommy" sarebbe Tom Hamilton, al quale chiedo perdono per avergli appioppato questo soprannome. (Spero non leggano mai questa ff, potrebbero uccidermi!) Gli altri appariranno man mano che si va avanti.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Lucy :**

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Capitolo 3
*** Bitch. ***


2 settembre 1974, 23:30
<< Dai, Curlie, dimmelo >>. Tom mi guarda in viso, mentre mi sbottona i jeans nel bagno dell'università. Hanno appena finito di suonare, nel seminterrato.
<< Cosa ti dovrei dire? Che non sei neanche capace di una sveltina senza distrarti? >>
<< Lo sai cosa >>ribatte lui torvo. << Lo so che ci stai pensando ancora >>.
<< Ma finiscila! Non penso mica a cazzate simili >>. Volto il viso dall'altra parte e sento che ce l'ha fatta. I pantaloni e gli slip sono andati, e lui è dentro. Adesso non mi importa più di niente.
Lo sento mentre si muove ritmicamente, ma non riesco a provare niente. Neanche un minimo di piacere. Spero che sia perché sono troppo fatta, e non per quello che è successo prima.
Eppure, se riesco ancora a ragionare, non posso essere troppo fatta. Ha ragione Steven, cazzo: non si è mai troppo fatti per queste cose.
Allora ha ragione anche Tom: ci sto pensando ancora.
Lui intanto non se ne preoccupa più, figuriamoci: lui sì che è fatto del tutto. E poi, come tutti gli uomini, basta avere quello che vuole.
E non nego che anche io lo sto usando. In effetti sono qui, a fare sesso con lui anche se stasera non sono dell'umore adatto, solo per un motivo. Non ci devo pensare. Non devo pensare al fatto che stasera, una ragazzina che avrà avuto la mia età e che era qui all'università con il suo ragazzo più grande che probabilmente frequentava proprio qui, mi ha dato della puttana perchè ero con loro.
Normalmente non ci avrei fatto caso. Ma vederla lì, così pulita, così tranquilla, col suo bel ragazzo universitario, mentre mi sputava addosso parole così velenose, mi ha fatto male.
<< Vaffanculo >>le ho detto. Poi me ne sono andata di là con i ragazzi e ho preso tutto quello che mi davano, chiedendone anche di più. Senza però riuscire a perdere la lucidità.
Mi aggrappo alla schiena di Tom, voglio sentirlo ancora di più. Voglio una sensazione così forte da farmi scordare il resto.
Vaffanculo, stronza. Glielo ripeterei altre mille volte.
Lei non sa chi sono io, che vita faccio io. Non è consapevole della scelta che ho fatto. Che è stata una scelta estrema, e che ha necessitato un coraggio che lei forse non avrà mai in tutta la sua vita. È soltanto una bambina cresciuta nella bambagia, che non capirà mai niente di questo mondo, e che non amerà mai nessuno come io amo e venero questi ragazzi. Li ho seguiti perchè erano i miei dei. E questo lei non lo può capire.
 
 
3 settembre 1974, 06:45
Un suono, come lo squillare di una sveglia, si fa strada lentamente nella mia mente annebbiata. Prima è ovattato, poi comincio a sentirlo sempre di più.
Cosa diavolo è?
Sollevo la testa e cerco di mettermi seduta e una fitta mi trapassa il cranio da parte a parte, quasi impedendomi di aprire gli occhi, seguita da un conato di vomito.
Mi riabbasso accasciandomi sul pavimento freddo.
Mi rendo conto che sto tremando, cosa del tutto naturale visto che sono accasciata sul pavimento gelido del bagno dell'appartamento dei ragazzi e ho addosso solo una maglietta troppo larga. Il fatto che ho bevuto e preso dosi inimaginabili di roba ieri sera non mi aiuta.
Guardo meglio la maglia che indosso. Come pensavo, è di Steven. Fantastico, ho fatto sesso con almeno due uomini diversi in una sera. E quando dico due, so già che ce ne sarà un terzo.
I conati non cessano, così mi trascino verso il gabinetto e vomito anche l'anima.
Mentre sono piegata in due e tossisco, Joe entra in bagno e mi vede.
<< Cazzo! >>urla precipitandosi verso di me per sorreggermi.
<< Joe, vattene >>gli dico secca. << Vai a spegnere quell'allarme, o qualsiasi cosa sia >>.
Non voglio che mi veda in queste condizioni, anche se è già successo. Non sopporto di condividere i miei problemi con gli altri, e quindi cerco sempre di impedire che qualcuno mi veda quando sono così conciata.
<< Non è un allarme, è la sveglia di Steven >>risponde lui con dolcezza, spostandomi i capelli dal collo sudato a cui si erano appiccicati. << Abbiamo le prove, stamattina >>.
<< Bene, allora vai. Non sia mai che te le perdi per me, così mr. Tyler ci incula entrambi >>sputo tra un colpo di tosse e l'altro.
<< Non fare la scema, non me ne vado >>.
<< Ah, già: prima ti devo liberare il bagno >>commento sarcastica. Vomito ancora quel poco che c'è nel mio stomaco, e poi, rassegnata, mi lascio pulire gli angoli della bocca con un pezzo di carteigienica, mentre appoggio la schiena contro al muro. Adesso il fresco mi fa quasi piacere.
<< Lasciami pure nella vasca se ti serve il cesso, io da qui non mi muovo >>dico senza aprire gli occhi.
<< Non ti lascio proprio da nessuna parte, Jay >>.
Joe si piega e mi solleva di peso. Io vorrei dirgli qualcosa ma non posso, non riesco nemmeno ad articolare una frase. Ma quanto cazzo ho bevuto ieri notte?
Esce dal bagno con me in braccio, come se non pesassi niente, e si dirige verso camera sua. Una volta entrato, sposta col piede qualcosa e si avvicina al letto, dove mi depone.
Mi copre con le lenzuola candide e si piega per darmi un bacio sulla fronte. << Non prendere più tutta quella robaccia, Jay >>sussurra.
<< Tu ne prendi anche più di me! >>protesto con la voce impastata.
<< Ho un sacco di anni in più di te, e poi mi so regolare >>dice accarezzandomi una spalla.
<< Smetto di drogarmi, promesso >>biascico senza sollevare le palpebre.
<< Brava. Ora fatti una bella dormita. Per quando saremo tornati, ti sarai ripresa >>.
Si alza dal letto dove si era inginocchiato al mio fianco e se ne va chiudendo piano la porta alle sue spalle, dolcemente. Poi sento i suoi passi mentre si allontana dalla stanza.
Sento il brusio dei ragazzi e delle ragazze che si sono scopati ieri sera di là. Sento Joey che urla a Steven di spegnere quella sveglia che ci sta trapanando i timpani. Sento Steven che gli grida che dovrebbero ringraziarlo invece, perchè se lui non ci fosse sarebbero tutti fottuti.
E sento Joe che gli dice di fare piano. Perchè in camera sua c'è una ragazza sfinita, che vive solo per dare piacere a loro cinque scalmanati. E lui non la vuole disturbare, per oggi.




Visto che avevo voglia di scrivere, ho fatto anche il terzo capitolo. Questo è un po' più lungo, e forse anche più profondo.
Sicuramente, anche più crudo. Non voglio risparmiare niente.
Fatemi sapere se trovate qualche imprecisione o qualcosa che non va.
Un bacio
Lucy :***

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Capitolo 4
*** Beat it. ***


9 settembre 1974, 18:15
<< Ti giuro che ti scriverò una canzone prima o poi >>. Steven ride forte, con la testa appoggiata al mio petto. Guardiamo il soffitto, senza vederci nulla, soltanto qualcosa di sfocato che non sappiamo definire.
<< E cosa ci dovresti scrivere, in questa canzone? >>gli chiedo sarcastica.
<< Che sei la groupie più giovane qui, ma che ti droghi, bevi e fai sesso più di me e gli altri messi assieme. E ti riprendi subito >>.
<< La verità è che è così che dovrebbe essere, sei tu che non ci stai più con i ritmi. Stai cominciando ad invecchiare, Tyler >>.
<< Che cazzate. Dimmi un po' se sono troppo vecchio anche per questo >>.
Si volta e mi bacia. Molto diretto, come sempre. Mi piace questo suo modo di essere. Quando mi vuole, mi prende, e così fa con le altre. È un creativo, uno strano, una persona assolutamente originale. Mi piace il suo modo di fare, prende quello che vuole, come è giusto che sia: ci vado d'accordo perchè sono anche io così. Poi, mentre è completamente fatto, tira fuori qualche perla di saggezza che poi si rivela stranamente vera. Ci sorprende sempre tutti, o almeno chi non è troppo fatto per capire ciò che sta dicendo o ricordarselo fino al mattino dopo.
Mentre lui è ancora sopra di me, Tom entra nella stanza.
<< Direi che non è il momento, ragazzi >>dice con disapprovazione. << Abbiamo il concerto, e dovremmo provare ancora un po' prima. Senza contare che Joe non vuole che la si tocchi, in questi giorni >>.
<< Ma guarda che sta bene >>precisa Steven. << Me l'ha chiesto lei, se la volevo portare a letto >>.
Tom mi scruta esterrefatto.
<< Gliel'ho chiesto io, lo ammetto >>dico sfilandomi da sotto il corpo di Steven. Mentre mi copro il seno con il lenzuolo, allungo una mano verso il comodino e mi afferro una sigaretta e l'accendino, me la infilo tra le labbra e l'accendo. << Mi ero stancata, sono in casa da tre giorni e nè Joe nè gli altri avevano intenzione di toccarmi, mi sento come una malata! In queste condizioni, lui è l'unico che ci sta sempre, e che trasgredisce alla regola >>.
Lui ridacchia e si prende una sigaretta. << Ben detto, bellezza. Te l'ho detto che ti dedicherò una canzone! >>
Poi si alza e si infila una paio di boxer prima di seguire Tom di là.
Io rimango da sola nella camera disfatta a fissare il soffitto.
Già, il concerto. Chissà se Joe mi lascerà uscire, stasera. Da quando mi ha soccorsa in bagno, è costantemente preoccupato per me: se è in casa, mi sta sempre vicino,  non vuole che io beva o fumi, nè che esca di casa. E stare qui è insopportabile. Se non ci sono loro cinque, c'è sempre qualche altra groupie intorno, magari le più giovani, Larissa e Kathie, che hanno a malapena diciasette anni e non hanno una casa loro. Ma loro due, anche se abitano qui, escono spesso, e  io, che ne ho il divieto, resto qui. E penso, cosa che eviterei volentieri. Ma purtroppo Joe si preoccupa anche di far sparire tutto il fumo, prima di andarsene.
Alla fine, mi alzo e mi rivesto. Lo supplicherò, se necessario, ma io ci voglio andare.
Apro la porta e mi fiondo nel salottino incasinato, dove i miei cinque eroi stanno provando.
Le note di Pandora's Box invadono la stanza, le sento anche prima di arrivarci. Mi lascio trascinare da questa canzone che ormai so a memoria e mi accoccolo sul divano letto richiuso male dove trovo Larissa e Kathie che si godono lo spettacolo giusto a pochi centimetri di distanza da Steven che si dimena con il microfono in mano.
Kathie batte il tempo con un piede sul pavimento e scuote il corpo a tempo, seguendo con lo sguardo i movimenti di Joey, infilato dietro la batteria. Questa canzone l'ha scritta lui, e lei dice che era al suo fianco quando l'ha fatto. Io, in cuor mio, anche se so che Steven scherza quando dice della canzone che mi dedicherà, spero di essere la spalla di qualcuno di loro quando scriverà qualche pezzo importante in futuro.
Larissa è più riservata invece: li guarda tamburellando le dita sul sedile del divano con sguardo assente. I capelli biondi e leggermente mossi, lunghissimi, le corniciano il viso pallido. I suoi occhi viola sono persi chissà dove, pare che non le interessi nulla. So che li adora quanto noi e le altre che bazzicano l'appartamento, ma è sempre un po' distante. E non so sempre dire se è per via della droga o meno.
Adesso sono passati a  Women of the World, e io sono sempre più presa. So esattamente cosa faranno e quando, prevedo ogni loro mossa. Ogni volta che le bacchette sfiorano la batteria, ogni volta che le dita di Joe si muovono creando spasmi che si perdono sulle corde della chitarra. Ogni parola che Steven pronuncia, mi sento come se la conoscessi da sempre e la stessi sentendo per la prima volta. Mi sento come se la stesse dicendo proprio a me, come se fossimo soli nella stanza.
Adoro questa canzone. Adoro questi cinque uomini.
Sento un movimento e mi volto. Vedo Larissa che si alza e procede a passo spedito verso il cucinino. Apre il frigorifero e ne tira fuori una bottiglia di vodka.
Sorrido. Anche lei li prevede. Sa già che appena Steven finirà di urlare e gli altri di suonare moriranno di sete.
 
9 settembre 1974, 22:30
Brad si guarda intorno un po' nervoso. Ha appena finito di accordare le chitarre con Joe, e il seminterrato si sta riempiendo di gente.
Chiede qualcosa a Joe, poi si gira verso di me con aria interrogativa, guardandomi dal lato opposto del palco. << Jay, sai dov'è Steven? >>
<< Credo sia di là con qualche ragazzina >>gli rispondo sorbendo un sorso del mio cocktail con Kathie.  Lo so che lui potrebbe dirmi che sono una ragazzina anche io, ma non lo farà. Mi conosce, e sa che anche se ho a malapena 16 anni, non sono più una ragazzina.
<< Accidenti >>dice scuotendo la testa. << Ma perché non mette a tacere gli ormoni per una cazzo di sera?! >>
Io scrollo le spalle, e lui si alza per andare a chiamarlo. Joe invece appoggia la sua chitarra al palco e viene verso di noi con passo leggero. Si siede al mio fianco sul bordo del palco.
<< Vuoi? >>gli chiedo mettendogli il bicchiere sotto il naso.
<< No, grazie. E non dovresti berne neanche tu >>.
<< Dai, Joe >>lo imploro. << Sto bene ora! >>
<< Mi hai promesso che non avresti bevuto stasera >>.
<< Solo questo, Joe...e poi sto facendo a metà con Kathie! >>protesto.
<< Ma sì, dai >>fa Kathie, << è solo un cocktail. Poi mi preoccuperò io stessa che non beva più niente >>.
<< Va bene >>concede lui. << Mi raccomando, Kat, mi fido di te. Non la voglio più vedere nello stato pietoso dell'altro giorno >>.
Io rabbrividisco, ripensando a cosa deve aver visto.
<< Agli ordini! >>esclama lei portandosi la mano alla fronte nel saluto dei soldati. Adoro questa ragazza: così briosa, sembra che nella vita non ci siano problemi, o almeno che lei non ne abbia mai avuti, guardandola.
<< Allora vado. Pare che il nostro cantante si sia svegliato >>.
Joe si alza e raggiunge Brad e Steven che stanno entrando. Io li guardo mentre salgono sul palco, raggiunti immediatamente da Joey e Tom, che probabilmente ci stavano provando con qualche ragazza in giro per i corridoi. Steven si piazza al microfono e, stringendolo con entrambe le mani, abbassa lo sguardo su di noi e ci fa l'occhiolino. Kathie ricambia, mentre io gli sorrido radiosa.
<< Guarda quanta gente >>mi sussurra lei prima che comincino.
<< Già >>commento guardandomi intorno. La capisco, è felice perché gli Aerosmith stanno finalmente ricevendo il successo che meritano. Ed è solo l'inizio per loro.
Poi, qualcosa cattura la mia attenzione. È solo un lampo tra la folla, una maglietta bianca, un golfino e un paio di jeans, una vampa di capelli mossi color senape, una figura slanciata.Una ragazza come tante.
Eppure io so che è lei. La ragazza che mi ha fatto star male per giorni. Quella che mi ha dato della puttana.
Appoggio il bicchiere sul palco accanto a Kathie e mi alzo. Lei protesta, mi chiede dove sto andando, ma non le rispondo. Qualcosa mi guida, non so definire bene cosa. Non ho mai provato una sensazione simile nemmeno sotto l'effetto di droghe.
<< Devo fare una cosa, aspettami >>dico a Kathie mentre mi allontano.
Aumento sempre di più l'andatura, man mano che mi avvicino a lei. Temo di poterla perdere e di non poterle dire quello che devo. Poi la raggiungo.
Mi avvicino a lei da dietro e le afferro la spalla. La volto, e lei si ritrova faccia a faccia con me, sorpresa e irritata.
<< Ah, sei ancora tu. La puttana. Ero convinta che ti avrei rivista qui, anche se non ne ero sicura dopo che ho visto come ti hanno portata fuori l'altra sera >>mi dice velenosa.
La guardo con odio crescente, mentre le sue amichette intorno mi fissano.
<< Caspita. Brava >>commenta con tono ironico. << Puttana e pure drogata. Complimenti >>.
Le sue amiche ridono. Sempre più forte.
La guardo di nuovo negli occhi beffardi e so che non ci sono più parole. Tutto quello che dovevo dirle è andato a farsi fottere, non è più recuperabile. So già che non capirebbe cosa provo. E che non comprende quanto io la odi.
Tenendole ferma la spalla, tiro il braccio destro indietro e le sferro un pugno in pieno viso. Non si dimenticherà di questa puttana.
 
<< Non rifarlo mai più, è chiaro? >>mi dice Steven concitato. Mi tiene una mano sulla spalla, quasi temesse che sto per allontanarmi di nuovo, e con l'altra mi tampona l'occhio pesto con un fazzoletto inumidito con del disinfettante trovato nell'infermeria dell'università.
<< E' chiaro >>rispondo.
<< Lo so che ti ha dato della puttana, l'ho sentita anche io >>interviene Kathie. << Ma credimi, non ne vale la pena >>. Afferra il fazzoletto dalle mani di Steven. << Dai qui, vai a cantare >>.
Lui scuote la testa e continua, sostenendo che comunque non potrebbero fare niente, visto che Tom è uscito ad accompagnare la ragazza che ho picchiato e le sue amiche sconvolte.
Kathie sbuffa prima di continuare il discorso. << Non te la devi prendere, Jay. Ti succederà ancora così tante volte. A me lo hanno detto così tante volte che ormai non ne tengo più il conto, ti ci devi abituare >>.
Mi giro verso di lei. Sì, è veramente incredibile. Dopo che mi sono alzata, è stato tutto così rapido. Come in un vortice, ho agito secondo istinto. Non mi sono accorta di Kathie che si alzava per seguirmi, di Steven che saltava giù dal palco lasciando gli altri a suonare l'intro di Dream On da soli, di Joe che quasi fracassava la chitarra per correre a separarci. Lei è stata la prima ad agire, quasi leggendomi nel pensiero. E pensare che ha sopportato e sopporta lo stesso che sto subendo io ora.
<< Come va? >>chiede Joe avvicinandosi.
<< Come deve andare? >>fa spazientito Steven. << E' più testarda di un mulo, niente mi impedisce di credere che non lo rifarà la prossima volta. E questa ha preso una bella botta >>.
Joe si inginocchia sul palco, proprio dietro di me. Da dietro, mi afferra le spalle e mi stringe, sbilanciandomi. << Dai, Jay. Andrà tutto bene, non ci fare caso. Lei non sa nemmeno chi sei. Pensa alla scelta che hai fatto, venendo qui a Boston. Non sapevi forse che sarebbe andata così? >>
Guardo fisso nel vuoto, con l'odore del disinfettante nelle narici e la ferita che brucia.
Ha ragione lui, io lo sapevo.

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Capitolo 5
*** Can't let you go. ***


19 settembre 1974, 16:20
Sono sdraiata sul divano e passo in rassegna i canali in TV bevendo vino di infima qualità. Nell'angolo del locale che fa da cucina, a pochi metri da me, Kathie e Larissa stanno consolando Summer, un'altra groupie. Se ne andrà lontano, parte domani, contro il suo volere.
E io sto qui. Prima ho provato a consolarla anche io, ma non ci riesco. Mi viene automatico pensare a cosa farei io se mi trovassero. Perché è per questo che deve andarsene, l'hanno scoperta.
<< Io...io non voglio tornare a casa. Mi faranno fare suora probabilmente, cosa ne so. Sono incazzatissimi, pensavano che andassi al college >>. Continua a spiegare Summer, come un disco rotto.
Già, loro le mandavano i soldi per il college, e lei li usava per dividersi la spesa dell'affitto di una appartamento vicino al nostro con altre quattro groupies. Sono venuti a trovarla qualche giorno fa senza avvisarla, credendo di farle una bella sorpresa, e l'hanno trovata a letto con Steven. Non ho capito bene come hanno trovato l'appartamento, fatto sta che è successo un casino. Appena l'hanno vista sono impazziti: suo padre, che fa il pastore in una chiesetta di Hudson, credeva che fosse ancora vergine, molto probabilmente, mentre sua madre, casalinga impegnata in ogni possibile raccolta di soldi e viveri per beneficenza, non pensava che fumasse, né che si drogasse. E allora, apriti cielo!, hanno perso il senno. Suo padre quasi ammazzava Steven, che giusto per peggiorare la situazione era fatto.
E io non riesco nemmeno ad alzarmi per aiutarla. Non riesco proprio a pensare a cosa farebbero i miei al loro posto. Chissà che fine farei, se mi trovassero. Non riesco nemmeno a pensare la mia vita senza i ragazzi. Non credo avrebbe più senso. Una volta che hai sentito il sapore della libertà e provato la dissoluzione, non puoi più farne a meno.
<< Ma stai tranquilla, un modo lo troviamo... >>la rassicura Kathie per l'ennesima volta.
Mi accorgo che Larissa la fissa come a dire “Ma cosa stai dicendo?”, mentre Summer tiene ancora la testa stretta tra le mani, e Kathie le risponde con un gesto come a dire di lasciar correre.
<< Dai, Kat...Lo so che non è vero. Io dovrò...lasciare tutto quello per cui ho lottato... >>
<< Non sei obbligata a farlo! >>esclamo io alzandomi e andando verso di loro.
Tutte e tre alzano lo sguardo e mi fissano a bocca aperta.
<< Tu sei maggiorenne, no? >>proseguo. << Bene, allora ribellati! >>
<< Ma con che soldi mi mantengo, Jay? >>mi chiede lei, con gli occhi gonfi.
<< Ma che domande sono, è questo il problema? Vieni qui con noi! I ragazzi saranno felici di condividere il letto con te >>.
<< Jay, ti rendi conto di quello che dici? >>interviene improvvisamente Larissa. << Non ci stiamo qui, e poi non puoi invitarla così, non è tuo l'appartamento >>.
<< Senti, i ragazzi sono a provare >>le dico. << Non c'è tempo né modo per rintracciarli ora. Ora, è più importante trovare una soluzione >>.
Kathie mi squadra per un attimo, poi si alza. Mi dà una pacca sulla spalla. << Tu sì che sei forte, Jay. Hai carattere. Ho capito anche io perché Steven continua a tenerti qui anche se sei così giovane, e perché Joe ci tiene così tanto a te. Sei grande, e io sono d'accordo con te! >>
Summer e Larissa ci guardano entrambe, senza essere comletamente certe di capire fino in fondo quello che stiamo dicendo.
<< Ma tu lo credi possibile? Pensi che ce la faremo? >>chiede Summer speranzosa guardandomi con i grandi occhi nocciola.
<< E perché no? >>. Sorrido. Non so cosa faremo, esattamente. Ma non potevo sopportare di vederla in quello stato, di vederla andare via.
Io dovevo trovare una soluzione. Lo sentivo dentro, come una sorta di impulso elettrico, come la sera in cui ho picchiato quella ragazza all'università. Lei deve restare qui, mentre i ragazzi stanno scrivendo i pezzi per il prossimo album. Lei deve vederlo finito, come tutti noi. Non so quando uscirà, ma fino ad allora tutte noi dobbiamo restare qui: i ragazzi hanno bisogno di noi, ma soprattutto noi abbiamo bisogno di seguire il loro lavoro. È quello per cui siamo nate.
Guardo sul tavolino davanti al divano. Le bozze delle canzoni sono ancora lì, sparse alla rinfusa. Steven e Tom hanno buttato giù qualche verso di una canzone nuova. Ieri sera ho sentito che ne intonavano qualche frase, e mi è piaciuta. Steven era abbastanza brillo, ma questo non intaccava la sua voce, limpidissima. << I pulled into town in a police car, your daddy said I took it just a little to far, you're telling me things but your girlfriend lied, you can't catch me 'cause the rabbit gone died... >> canticchiava dolcemente. Io e Kathie eravamo nello stesso letto, gli altri dormivano o erano fuori a far altro. Lei dormiva beatamente, quindi io sono la prima e l'unica ad aver sentito questa canzone, per ora. Ed è una sensazione fantastica.
<< Dai, Summer, vai a casa a tirare su le tue cose, i tuoi non ti possono portare via con la forza >>sta dicendo Kathie, che è tornata a sedersi al tavolo, accarezzando la spalla di Summer.
Summer annuisce e sorride. Trangugia l'ultimo sorso di birra che c'era nella bottiglia e si alza. Prende il cappotto, se lo infila e si avvia verso la porta. Io e Kathie l'accompagnamo, mentre Larissa sistema la cucina.
Sulla porta, Summer si allunga verso di me e mi dà un bacio leggero, a fior di labbra. Sento l'aroma di birra e di marijuana. << Non saprò mai come ringraziarti, Jay. Un giorno mi dovrai spiegare come sei scappata di casa >>. Sorride, e io a mia volta, poi chiude la porta e se ne va.

19 settembre 1974, 23:00
Guardo fuori sulla città di Boston, aspirando avidamente dalla mia sigaretta. Mi piace guardarla di notte, questa città addormentata. Le luci la illuminano, come milioni di stelle sparse sulla strada lastricata di sogni della metropoli. Non ci sono parole per descriverla.
Quando stavo nel New Jersey, non mi immaginavo neanche che esistessero posti così, la campagna circondava tutto, e la mia casa aveva solo un piano, non potevo vedere tutto dall'alto come ora. Lì c'era solo la mia piccola vita, gli amici, la famiglia, la gente che conoscevo da sempre. E da quando sono qui tutto è cambiato, anche la visuale.
Tom, accanto a me, sorbisce in silenzio la sua nicotina. << Ti ha scosso, eh? Parlo di Summer >>
Annuisco impercettibilmente, sapendo che lui lo noterà.
<< Steven è contento del fatto che gliel'abbia proposto tu di venire qui. Lo avrebbe fatto lui, se non fosse stato troppo occupato a provare e a non farsi ritrovare da suo padre >>.
Sorrido nel buio, guardando le macchine che passano. Mi immagino i genitori puritani di Summer, che dormono in qualche hotel, domani verranno a prenderla nella casa dove l'avevano trovata e lei non ci sarà. Chissà che faccia faranno. Probabilmente la stessa che hanno fatto i miei quando hanno trovato il mio letto vuoto, quel mattino di fine marzo.
Tom fa l'ultimo tiro poi getta la sigaretta nel portacenere appoggiato al davanzale. Ne prende un'altra e se l'accende. << Oggi, quando eri sotto la doccia ti hanno cercato >>dice.
<< Me? >>chiedo trasalendo. Poi ci penso su un attimo. Questo è Tom Hamilton, quello che mi sfotte sempre perché nessuno sa che sono qui! Starà scherzando.
<< Era una ragazza, diceva di chiamarsi Lilian, o Lilith >>continua lui.
Oh, Lily. La mia migliore amica, quando stavo nel Jersey. L'unica che sa dove sono.
<< Diceva che i tuoi ti cercano ancora, e che sono disperati >>prosegue.
Già, lo so che a loro manco. Ma non posso tornare di certo.
<< Non sanno più cosa fare, Jay. Dice così, Lilith >>.
Sospiro e guardo il fumo delle sigarette che sale formando volte nel buio della notte.
<< Che devo dirti? >>rispondo quasi seccata. << Non importa cosa fanno adesso. Non potevo restarci, era troppo per me. Gli mancavo già quando c'ero >>.


Questo capitolo l'ho scritto un po' di getto. Spero non ci siano errori, se ne trovate fatemelo notare.
Continuerò a citare la canzoni degli Aerosmith, che ascolto mentre scrivo, specificando che lo faccio solo per dimostrare il mio amore nei loro confronti, e scusandomi per eventuali stravolgimenti della loro personalità. La canzone che ho citato in questo capitolo è
Sweet Emotion.
Il titolo del capitolo, invece, l'ho preso da una frase della canzone
D'yer Mak'er dei Led Zeppelin, che ringrazio per il "supporto" che mi offrono mentre scrivo.
Poi. Grazie mille a Despina che contiuna a recensire. Ne approfitto per farle una po' di pubblicità, andate a leggervi anche la sua ff sulle groupies: ha appena cominciato, ma credo proprio che verrà fuori bene.
Che altro vi devo dire? Commentate!
Un bacio
Lucy :***


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Capitolo 6
*** Give me some love, today. ***


20 settembre 1974, 12:40
E' quasi ora di pranzo, questo significa che presto cinque famelici che hanno provato i pezzi nuovi e per questo saranno stanchissimi saliranno le scale e irromperanno nell'appartamento chiedendo cibo. Io e Kat siamo andate a fare la spesa, mentre Larissa e Summer sistemavano casa, dove c'era un disordine pazzesco dopo ieri sera. Io mi sono scolata tre bottiglie di rum con Tom e mi sono addormentata sul divano. Quando Joe, Steven e Brad, che erano fuori per locali, sono rientarati, a quanto pare erano ubriachi fradici anche loro, e si erano portati a casa, oltre a Kathie e Larissa che erano uscite con loro, altre tre ragazze che non sapevano dove mettere. Così hanno svegliato Joey, che dormiva su un letto di là con Summer e Hannah, visto che io e Tom non davamo segno di vita, e si sono messi a sorteggiare per decidere a chi toccassero i letti. Così stamattina c'era roba da tutte le parti, perché qualcuno ha dormito per terra e qualcuno è addirittura finito nella vasca da bagno. E Kat mi ha raccontato tutto mentre eravamo in giro per il centro.
Mi spiace essermi persa l'ultima scena, loro ubriachi che si spartiscono i letti. Dev'essere stata davvero comica.
Scendiamo dall'autobus e cominciamo a camminare, subissate dalle borse. Siccome ogni mattina siamo uno più fatto dell'altra, ci dimentichiamo continuamente di comprare quello che ci serve, così ci riduciamo sempre a prendere tutto in una volta, all'ultimo.
<< Io voto per far spostare la fermata più vicino a casa >>esclama Kathie.
Io rido, lo dice ogni volta.
<< Sì, cazzo! Sono disposta a pagarli oro per questo >>approvo.
Mentre camminiamo, il sole, nonostante siamo già a metà settembre e il tempo non sia sempre tanto bello, batte sulle nostre teste, facendoci stancare sempre di più. Io, sotto la giacca sto sudando.
Alla fine, arriviamo davanti a casa. Siamo al sesto piano, e non c'è nemmeno un ascensore. E noi ogni volta minacciamo di dare forfait.
Kathie si fruga in tasca e ne tira fuori un mazzo di chiavi ben nutrito. Reggendo le borse in una posizione instabile appoggiata allo stipite del portone, trova finalmente quella giusta e la infila nella serratura. La gira e si pressa contro la porta per permettermi di entrare.
Mentre mi infilo nella porta, mi accorgo che c'è qualcosa che non quadra qui intorno, anche se non mi è dato capire cosa. Mi fermo un attimo a guardare in giro.
<< E allora? Entri o no? >>mi intima spazientita Kat spingendomi da dietro.
Io mi lascio spingere e comincio a salire le scale, con addosso la stessa sensazione di inquietudine.
Al quinto piano, la signora Jones esce sul pianerottolo al nostro passaggio. Ci squadra con aria critica. So che non ha mai approvato quello che facciamo su al sesto piano, né quello che facciamo fuori da questo condominio, però oggi il suo sguardo è diverso. La fisso come a chiederle cosa diavolo vuole, non c'è niente che mi dia fastidio come gli sguardi inquisitori della gente.
<< Siete dei pazzi, lì sopra >>dice lei. << Non so cosa facciate, ma gli ultimi che sono entrati stamattina erano veramente pazzi. E pensare che non erano neanche più così  giovani >>. Scuote la testa e rientra in casa sbattendo la porta.
Io e Kathie ci guardiamo negli occhi preoccupate.
<< Ha detto...? >>
Non le rispondo nemmeno e corro su, perdendo anche qualcosa per le scale.
Sì, ha detto “non più così giovani”, questo significa che di certo non erano i ragazzi. E poi, ha detto che sono arrivati stamattina.
Kathie corre dietro di me, e mi raggiunge, ma sono io la prima a raggiungere la porta. La guardo e mi accorgo che è stata forzata. Da dentro non giunge nessun rumore, se non un debole gemito prolungato che si sente solo stando attenti. Sembra quasi un singhiozzo soffocato.
Getto le borse a terra e mi precipito dentro, seguita da Kathie. Non vedo nessuno, e non ho il coraggio di parlare. È tutto in disordine, peggio di quando mi sono alzata stamattina.
Tendo l'orecchio per sentire da dove proviene il gemito, ma non riesco a cogliere esattamente la direzione. Poi Kat, che ha piantato le borse per terra sulla soglia della porta, mi tocca la spalla. Quando mi volto, mi indica qualcosa di seppellito tra il divano e la finestra, che a prima vista mi era sembrato un mucchio di stracci. Vedo che quel mucchio trema leggermente, e dalla coperta che lo avvolge esce una cascata di capelli biondi.
<< Larissa! >>grida Kathie precipitandosi verso quella cosa indistinta e piegandosi accanto ad essa.
Larissa solleva la testa che teneva appoggiata sulle ginocchia e fissa me e Kat con sguardo assente. Le lacrime le impregnano il viso e i capelli le circondano la testa come un'aureola scomposta.
<< Lar, cosa diavolo...? >>
Larissa non risponde, nemmeno ci vede. Ci indica l'appartamento con un dito ossuto e tremolante. Summer non c'è.
Kathie allunga una mano e le scosta i capelli dal volto, dove si erano appiccicati alle lacrime. << Sta' tranquilla, Lar. Dicci cos'è successo >>.
Io mi guardo intorno, persa. Non ho la forza né il coraggio di chiedere che fine abbia fatto Summer, né cosa sia successo qui. Non posso assolutamente parlare, peggiorerei soltanto la situazione, non sapendo fingere il controllo che non ho come sa fare Kathie.
Larissa intanto continua a sighiozzare, con la testa sprofondata nella spalla di Kat. Poi alza gli occhi e glieli punta in faccia. << Sono arrivati stamattina, Kat. L'hanno...l'hanno portata via >>.
Noto solo ora la sfumatura leggermente violacea sotto il suo zigomo, che prima non riuscivo a vedere per via della penombra.
<< Chi ha chiuso le tapparelle? >>balbetto.
Che idiota, non ha importanza. Ma riesco a chiedere solo questo.
Lei però decide comunque di rispondermi, forse perché è la cosa che fa meno male. << Loro >> sussurra tra un singhiozzo e l'altro. << Hanno detto che siamo dei peccatori e che è colpa nostra se Summer è quello che è... Solo colpa nostra >>.
Kathie la guarda, ammutolita. Non sa più nemmeno lei cosa dire.
Io scuoto la testa, incredula. Come possono essere entrati qui con la forza, aver picchiato Larissa, e aver portato via la loro stessa figlia con la forza? Non riesco nemmeno a pensarci.
E poi, come hanno scoperto che Summer era qui?
<< Loro...i ragazzi...lo sanno? >>mormoro.
Larissa scuote la testa. << Io ho provato a fermarli >>si scusa. << Non...non mi hanno ascoltata. Summer urlava come una matta >>.
Già, le urla. Non dimenticherà mai questo giorno. Si sentirà in colpa per sempre, lo so per certo. Anche se non è colpa sua.
Mi inginocchio anche io accanto a loro, e l'abbraccio. << Stai tranquilla, Lar. Passerà tutto >>dico con tutta la sicurezza che mi è concessa e che non so nemmeno dove ho pescato.
Non è vero, non passerà. Io lo so bene. Mi sentirò anche io in colpa per l'idea che ho avuto.
E quando gli altri arriveranno sarà anche peggio.
E Summer, dove sarà adesso?

20 settembre 1974, 17:30
Sento l'ansia stringermi alla bocca dello stomaco, di nuovo. Qualcosa a cui sono abituata.
Cerco di aprire gli occhi, di ribellarmi all'incubo, ma non ci riesco: le palpebre sono come incollate assieme. Un'altra cosa a cui sono abituata.
Sento il sudore colarmi lungo la spina dorsale e le tempie, e sento il singhiozzare sommesso di qualcuno in lontananza, un suono ovattato.
Mi costringo allora ad aprire gli occhi, ma non vedo altro che una sfocatura. Sbatto le palpebre, pesantissime, un paio di volte, e comincio ad identificare qualcosa.
Sono a casa adesso, in camera di Steven più precisamente. Anche se non riesco a ragionare chiaramente per via di tutto l'alcool che ho bevuto.
Dopo aver saputo la notizia, ho abbracciato Larissa. Poi, senza dire niente, sono corsa fuori. Sono letteralmente scappata. Non ce la facevo ad aspettare i ragazzi, e a guardare le loro facce mentre gli annunciavo quello che era successo qui per colpa mia. Non ce la facevo ad affrontare la realtà, ancora una volta.
Così sono fuggita, come ho già fatto in passato. Solo che stavolta non sono andata lontano. Mi sono infilata al Blue Moon, a un isolato di distanza. Ci vado spesso con i ragazzi, e il barista mi conosce. Mi ha dato tutto l'alcool che chiedevo, tanto Brad ha il conto aperto lì, e Alan sa che passerà a pagare, prima o poi. Avevo bisogno di annebbiarmi completamente, e nessun bisogno era così forte in quel momento. Il desiderio di dimenticare era così potente da piegarmi in due e impedirmi di respirare. Avevo paura che tornassero, e che prendessero me stavolta.
Sono arrivata almeno a quattro bottiglie di Jack, poi non ricordo. Devo essere crollata sul bancone, poi non so chi mi abbia portato a casa.
Ho finalmente recuperato la vista, quindi mi guardo intorno. Una fitta mi perfora il cranio da parte a parte, ma era compresa negli effetti collaterali. Già sperimentata, con una pastiglia se ne va. È di un altro tipo il dolore che non si riesce mai a scacciare.
Ad un certo punto, urto qualcosa con un piede. Guardo in quella direzione, e vedo un uomo seduto sul bordo del letto, che piange con la testa fra le mani. Steven.
Mi alzo seduta, incurante della fitta che si acuisce, e striscio verso di lui.
<< Steve... >>mormoro toccandogli la spalla.
Lui alza gli occhi e mi fissa. Odio vedere i suoi occhi velati da qualche preoccupazione, dovrebbe essere sempre felice.
<< Oddio >>dice riabbassando la testa e appoggiando la fronte contro un palmo. << Mi spiace che tu mi veda piangere come una ragazzina, Jay. Dopo lo shock che devi aver provato oggi poi. Scusami tanto, non volevo. È che...avevo paura che volessi andartene anche tu. Non sopporterei di rovinare così tante ragazze in un colpo solo >>.
Scuoto la testa e sorrido. Il mio è un sorriso triste, ma voglio fargli capire che resterò. Finché potrò, ci sarò. Sarò la sua spalla, un'amica, un'amante. Sarò quello che vuole, se mi vorrà.
Mi sporgo e lo abbraccio. Lui ricambia subito, e anche se non lo vedo sento che sorride.
<< Forse sei la più forte qui dentro, Jay. E per questo che ci piaci >>.
Restiamo così abbracciati come padre e figlia per un po'.
Poi, gira la testa e mi bacia. Infila una mano sotto la maglietta e mi accarezza la schiena lentamente. Sappiamo entrambi di cosa abbiamo bisogno.
Gli salgo a cavalcioni e allungo una mano per tirare giù la cerniera dei sui jeans. Noi non siamo padre e figlia, né mai lo saremo. E non c'è niente come il sesso per alleviare la ferita provocata da un abbandono.




Questo capitolo, che ho scritto, come al solito, di notte, è stato un po' come un taglio vivo. Incisivo e veloce, almeno nello scriverlo. Se nel leggerlo funziona, me lo direte voi.
Premetto che la vicenda narrata è un evento di pura fantasia. E continuo a scusarmi con Steven&co. per l'uso improprio che sto facendo di loro.
Spero che vi piaccia, e che lasciate un commento.
Un bacio
Lucy :***

 

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Capitolo 7
*** Nothing really matters, anyone can see. ***


21 settembre 1974, 01:10
Non riesco a dormire, credo che il mix d'alcool, sesso e senso di colpa mi abbiano rovinato il sonno. Mi guardo intorno e mi rigiro nel letto, alla ricerca di qualcosa da fare per perdere tempo.
Nemmeno Steven è a letto. Dopo che abbiamo fatto sesso fino alle dieci di sera, è crollato addormentato senza neanche cenare, ma un'ora fa si è svegliato ed è andato alla finestra con qualche foglio e una penna. Lo sento mentre scribacchia senza sosta, e mi domando cos'abbia da scrivere all'una di notte.
<< Sei sveglia, Jackie? >>mi domanda con voce carezzevole. Questa voce, anche in un momento così, mi fa impazzire.
<< Sì >>mormoro senza schiodare gli occhi dal soffitto.
<< Vuoi qualcosa da mangiare? >>
<< No, grazie >>. Non gli chiedo cosa sta combinando, perché probabilmente non mi risponderebbe. Misterioso, come sempre. Lui dice che non mi capiranno mai fino in fondo, ma io sono profondamente convinta che nemmeno noi capiremo mai lui.
<< Fra poco torno a letto >>mi dice.
Bene. Sto molto meglio sapendo che fra poco tornerà qui con me. Anche l'averlo visto piangere, oggi, mi ha rincuorato.
Come promesso, dopo qualche istante lì alla finestra, si alza dallo sgabello dov'era arrampicato e si infila nel letto al mio fianco. Prende una sigaretta dal comodino, se la infila tra le labbra e l'accende.
<< Ne vuoi una anche tu? >>mi chiede porgendomi il pacchetto.
Ne sfilo una e la metto in bocca. Poi mi avvicino a lui per premere le loro punte assieme e accenderla.
<< Mi dispiace sul serio per quello che è successo >>mi ripete ancora una volta accarezzandomi il seno. << Ho capito che ti ha ricordato qualcosa che non volevi >>.
Sospiro sputando fuori il fumo, che sale verso il soffitto. << Non importa, adesso. Forse doveva andare così e basta >>.
<< La prendi con filosofia, per avere a malapena sedici anni >>.
<< Me l'hanno sempre detto >>.
Aspiro un altro po' di fumo, distendendomi mollemente tra i cuscini e rovesciando la testa all'indietro. Lo so, sono sempre stata così. Cerco di vedere il lato positivo della situazione, o meglio, cerco di vedere le cose in modo da pensare che quello che succede, anche se brutto, potrebbe risultare necessario, alla fine. Forse, sono anche un po' cinica, ma so non cambierò mai.
Steven canticchia qualche frase di Mama Kin. Io osservo la luce della luna che gioca creando ombre sulle sua labbra enormi.
<<
It ain't easy, livin' like ya wanna, and it's so hard to find piece of mind. Yes it is >>.
Canto anche io. Questa frase sembra fottutamente perfetta in questo momento. È così difficile vivere come vorresti, quando tutto sembra contro di te. Io la interpreto così.
Questa canzone so che l'adora, infatti mentre stavano incidendo l'album si è tatuato la scritta "Ma' Kin" sul braccio sinistro.
Appoggio la testa al suo petto e chiudo gli occhi. Lui si arrotola le dita nei miei capelli e sospira, rigettando il fumo nell'aria.
Non mi chiedo che fine farà Summer. Tanto, anche se me lo chiedessi, non servirebbe. Non c'è più niente da fare, ormai.
E lui, tra un po' non ci penserà più. C'è sempre gente che viene e gente che va, qui dentro: una più una meno, non fa differenza.
<< Lo sapevo dall'inizio che se ne sarebbe andata, che prima o poi qualcosa sarebbe andato storto >> dice in un soffio, facendomi sobbalzare. << Non che non mi dispiaccia, ma quel piano prima o poi sarebbe andato a puttane >>.
Annuisco. Non posso che concordare, anche se la cosa mi turba.
Io, in verità, sono preoccupata anche per Larissa. Io posso resistere al dolore, lei non credo.
<< E Larissa. Non so cosa farà. Soffrirà di sicuro molto >>dice lui, quasi leggendomi nel pensiero.
È così incredibile che non posso non restare stupita ogni volta. Lo ammiro oltre ogni limite, credo che abbia dei poteri magici. In tutti i sensi.
<< Hai detto bene, Steven >>sospiro.

21 settembre 1974, 07:30
<< Steven! Ehi, finiscila di poltrire, dobbiamo andare! >>
Brad urla da almeno 5 minuti, tanto che pare che sia lui il vocalist della band ormai. Gli altri credo siano già tutti di là, a giudicare dal casino che fanno. Io sono ancora sdraiata sul letto, con i vestiti sparsi attorno, e fingo di dormire mentre Steven raccatta qualcosa da infilarsi addosso ed esce chiudendo piano la porta. Non ce la faccio proprio ad alzarmi, ho i muscoli a pezzi dopo stanotte. Dovrei dire a Steven di smetterla di credere che io sia instancabile, in verità sono mezza morta. Ma anche lui non sembrava stare molto meglio, ad ogni modo la storia di Summer ci ha dato un bel colpo, e credo lui abbia paura che qualcun altro arrivi a portare via un'altra di noi da un momento all'altro.
<< Coraggio, Tyler, il mondo non si ferma per una groupie >>gli dice Brad mentre Steven si siede con gli altri.
So già che Kathie lo starà guardando in cagnesco. Però sappiamo tutti che ha ragione. No, Brad, il mondo non si ferma per una groupie.



 E siamo già al settimo capitolo. Mi pare incredibile di essere andata avanti così tanto.
Dirò che non mi è piaciuto molto come ho buttato giù questo capitolo, mi pare un po' ridondante.
Il titolo del capitolo è preso dalla canzone 
Bohemian Rhapsody dei Queen, che adoro oltre ogni limite, e per quanto riguarda invece la canzone che Steven canta, si tratta, come ho scritto, di Mama Kin.
Grazie a chi mi sta seguendo, spero che il capitolo vi piaccia anche se io lo sto odiando abbastanza.
Un bacio,
Lucy :**

 

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Capitolo 8
*** You see me cryin'. ***


29 settembre 1974, 22:40
Qui sotto c'è un casino assurdo. Il brusio è assordante e le luci sono accecanti, inoltre fa un caldo pazzesco. L'odore di alcool e fumo di sigarette pervade tutto il locale, accompagnato da quello, penetrante, della marijuana. Mi guardo attorno quasi stordita: nonostante ami quest'atmosfera, non so se ci farò mai del tutto l'abitudine.
Da quando poi Summer se n'è andata, pare che manchi qualcosa. Certo, non avevo mai avuto un rapporto tanto profondo con lei, così semplice, così superficiale, in fondo, ma da qualche parte sento la sua mancanza. E mi sento in colpa per quello che è successo.
<< Dai, siamo pronti >>dichiara Joey da dietro la batteria che hanno appena montato.
<< No, un minuto >>lo corregge Steven. << Dobbiamo parlare di un paio di cose >>.
Lo guardo, seduta sul bordo del palco. In questi giorni è sempre più strano, non capisco cosa gli passi per la testa. Anzi, lo capisco ancora meno del solito. Senza contare che non provano mai in casa negli ultimi giorni, e io e le altre non riusciamo a capire perché; poi si alza di notte a scribacchiare non si sa che cosa, dal giorno in cui Summer se n'è andata.
<< Ok, andiamo >>annuncia Joe prendendo posto in prima fila sul palco, accanto a Steven che afferra il suo microfono a cui ha attaccato, come suo solito, una sciarpa scura che quasi tocca terra.
I ragazzi attaccano con Spaced. La sento sotto la pelle questa canzone: psichedelica, profonda quanto basta. Era una delle mie preferite, mi ci riconoscevo senza bisogno di un perché. Questo vinile lo ascoltavo in continuazione nel Jersey. Me lo sono anche portato via, insieme a tutti gli altri. Sapevo che portarmi via i due vinili degli Aerosmith era inutile, visto che sarei andata a sentirli dal vivo quasi ogni notte, ma non potevo separarmene, semplicemente.
<< Spaced in time, child of nine, doin' twenty years on the way. Fire and steel, earth unreal, find another planet to stay... >>
Già, qui è tutto un altro pianeta. Tutto diverso, ma mi piace di più. Laggiù la vita mi stava stretta.

Le canzoni vanno avanti una dopo l'altra, con noi ragazze che cantiamo con loro, urlando una parola dopo l'altra, e quelli del pubblico che li seguono, chi più chi meno, agitandosi e seguendo la musica. La scaletta, che Steven, come ad ogni concerto, ha organizzato in maniera estremamente puntigliosa (l'unica cosa sulla quale è assolutamente intransigente e preciso), pare terminata, quando vedo Joe alzare gli occhi e guardare Steven con uno sguardo a metà tra il complice e il frustrato. Steven gli fa ok con la mano e si gira verso il pubblico, brandendo pericolosamente il microfono e aggrappandovisi con tutta la sua forza, quasi dovesse cadere per terra se lo mollasse.
<< Prima di cantare questa canzone, vorrei dire qualcosa per presentarvela >>annuncia. << È soltanto una prima versione, e intendo migliorarla, perché credo possa venirne fuori qualcosa di buono. È una canzone che ho scritto in una notte, dopo che una delle mie groupies, una ragazza che probabilmente conoscevate, Summer, per vari motivi, se n'è andata. Questa sera la dedicherò anche a lei, ma la persona per cui l'ho veramente scritta, la ragazza a cui mi sono ispirato, è un'altra. È una bella ragazza, anche se non lo sa. È forte, la persona più forte che io conosca forse. È complicata, nessuno la capisce veramente, nemmeno io che sono altrettanto complicato. Forse non la capiremo mai, per quanto vicini possiamo starle. Vorrei che con questa canzone capisse che certe cose non le scegliamo noi, arrivano e basta, e non c'è modo di fermarle né di governarle, e non bisogna pensarci troppo. Mentre Summer la conoscevate, molto probabilmente, questa ragazza speciale non la conoscete. Io, ho avuto la possibilità di vederla, soltanto per un pomeriggio. Spero di riuscire a incontrarla ancora una volta, prima o poi. E poi, spero che la canzone vi piaccia, un giorno sarà complicata quanto lei. E tu, ragazza, se sei qui, spero che te la goda, Gabrielle >>.
Lancia un rapido sguardo nella mia direzione, e ammicca.
<< Ehi, Jay, la conosci tu questa ragazza? >>dice Hannah piegandosi verso di me.
<< N...no >>dico sforzandomi immensamente per riuscire a spiccicare parola.
<< Ma chi è, questa Gabrielle? >>continua a chiedere alle altre ragazze, mentre io non riesco a proferire parola. Anche il pubblico, qui intorno, si fa la stessa domanda. Nessuno conosce Gabrielle. Kat lo sa, ne sono quasi certa, ma so che non dirà niente.
Io non sposto lo sguardo da Steven che canta, ci mette tutta la sua anima. Alla fine, mi strappa un sorriso. E, mentre urla <<
You see me crying please say you'll stick around, and I got to be your lover honey let me take you to town, and I'll show you everything that I know, and I'll never ever let you down >>, anche una lacrima.

Mi sento come se fossi importante, per lui. O come se lo fossi stata in quel momento. Questa canzone legge nella mia anima ferita, e probabilmente mi dice qualcosa anche della sua. Lui sa di non essere facile da capire, ma sa anche che qualcosa, io l'ho capito. In quel momento, in cui l'ho visto singhiozzare come un bambino nonostante sia un uomo adulto sulla via del successo, siamo stati perfettamente sintonizzati, io c'ero, lui c'era. Anche quando abbiamo fatto l'amore, quel pomeriggio, è stato diverso dalle altre volte: mi ha distrutto dentro, mi ha riparato nel profondo. Lui ha fatto l'amore con Gabrielle, quella ragazza che sapeva che il New Jersey non era il suo posto, che scappava di casa, che si sentiva stretta nei panni della brava ragazza che vive in un paese sperduto e che sognava di incontrare proprio lui, un giorno, non con Jay, la ragazza che vedono tutti ai concerti degli Aerosmith, ai party che seguono, nei letti sempre troppo affollati. E io ho fatto l'amore con Steven Tyler, ma con Steven Victor Tallarico, il ragazzino ribelle che beveva vodka prima di andare a scuola, si ribellava al sistema e che non si è mai adattato veramente.

Vedo un paio di ragazzi vicini al palco che ironizzano sul fatto che la loro amica, accanto a loro, si chiama proprio Gabrielle. << Sei tu, eh? >>le dicono ridendo.
Io non scendo dall'angolo del palco dove sono con le altre groupies. Non dirò loro che sono io, la Gabrielle della canzone.
Non lo dirò a nessuno. Questa canzone è solo per me, e per lui, l'unico che mi ha vista. Per un pomeriggio solo, ma è stato sufficiente. E nessuno lo deve sapere, mi rovinerebbe il momento.



Rieccomi, con un capitolo soffertissimo questa volta. Nella stesura ho scritto, messo, tolto e rimesso assieme tutto un sacco di volte, perchè volevo che rendesse al massimo, anche se non sono pienamente convinta di esserci riuscita. Sul titolo poi, ho avuto un sacco di dubbi, ma alla fine ho dato al capitolo lo stesso titolo della canzone che Steven dedica a Gabrielle, che poi sarebbe la colonna portante dell'intero capitolo.
Devo fare, su questa canzone alcune precisazioni. Io non so esattamente a chi sia dedicata, visto che non è mai stato detto nè da Steven Tyler nè dagli altri, perciò questo evento è frutto della mia fantasia, visto che questa canzone mi piaceva e la volevo inserire a tutto i costi nella storia. Anche se, che io sappia è stata rappresentata durante un live una sola volta, nel 2009, dirante l'Aerosmtih/ZZ Top Tour. Comunque, ho cercato di rendere il tutto il più realistico possibile, visto che la canzone è stata poi pubblicata nell'album Toys in the Attic del 1975, e conteneva parti molto complicate (delle quali Steven fa alcune anticipazioni nella descrizione del brano), che hanno fatto quasi impazzire gli altri componenti della band, e da qui lo sguardo irritato di Joe Perry.
Va bene, direi stop alle precisazioni, o mi verrano fuori più linghe del capitolo stesso.
Grazie a chi mi segue, a chi recensisce, e, soprattutto agli Aerosmith, verso i quali proverò sempre qualche senso di colpa.
Lucy :***

 

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Capitolo 9
*** Life on the road. ***


10 ottobre 1974, 15:45
Siamo ripartiti. Mentre a settembre siamo rimasti tutti fermi a Boston per un paio di settimane, ora abbiamo ripreso il tour in giro per gli States, e penso che riusciremo a fermarci solo per la fine dell'anno.
Ci stiamo divertendo, e la storia di Summer sembra solo un miraggio lontano nel tempo. Tutto va a gonfie vele, nonostante l'aspra critica che è stata riservata ai primi due album degli Aerosmith, il pubblico li ama (hanno già una specie di fanclub che li segue in giro durante il tour, senza contare noi groupies), e siamo tutti convinti che il terzo disco andrà alla grande.
<< Col cazzo! Io te l'ho detto che non la voglio più fare! >> Joe scende dal pullman su cui viaggiamo con la sua chitarra in spalla, e si siede per terra di fronte a me appoggiando la schiena a una delle grandi ruote posteriori e guardandomi. Io continuo a fumarmi la mia canna con la schiena appoggiata al muro e la sciarpa fino al mento.
<< E allora fai quello che vuoi! Tanto un altro chitarrista lo troviamo subito, e magari non si porta dietro una sgualdrina come quella! >>
Come non detto. Va tutto bene, ma Steven e Joe non fanno che litigare. E l'argomento più gettonato, ultimamente, è Sweet Emotion, la canzone che Steven ha scritto parlando di Elyssa, la ragazza di Joe, e infilandoci tutto l'odio che prova per lei. Joe, dal canto suo, la suona perché piace a tutti, ma ogni volta ci dobbiamo prodigare per convincerlo. Senza contare che a me Elyssa neanche piace.
Steven, dal canto suo, è geniale come al solito, ma è troppo fatto per stare in piedi la maggior parte del tempo. E questo non migliora molto le cose tra lui e Joe.
<< Che palle, mollo la band >>sbuffa Joe.
Sorrido. Dice così ogni volta.
<< Non ridere, Jay. Lo faccio stavolta >>.
Sbuffo fuori il fumo, che vola nell'aria grigiastra di New York. << Non dire cazzate, sai che non lo farai >>.
Fa una pausa e si accende una sigaretta. << Già. Nemmeno stavolta >>ammette alla fine.
<< Dai che alla fine non puoi dirgli di no, a quello là >>dico sorridendo. Li ho seguiti perché non riuscivo a dire di no alla mia stessa proposta.
Alza gli occhi al cielo. Lo sa. Per questo motivo lo hanno tirato fuori da dietro la batteria per metterlo a fare il frontman, nessuno sa incantare la gente come lo fa lui.
Nel frattempo, Steven scende incazzato dall'altro lato del bus, e se ne va senza dire una parola. Sarà ancora ubriaco da ieri sera, infatti barcolla.
Lo guardiamo allontanarsi con espressioni ironiche. Poco importa, ora di sera si riprenderà di certo.
All'improvviso, sento un odore piacevole nell'aria. Un aroma di cibo, fragrante. Scatto in piedi, attratta dalla prospettiva di mangiare, visto che non faccio un pasto decente da un paio di giorni, e vedo arrivare Joey a braccetto con Liza, la ragazza che ha rimorchiato qui e che in questi giorni lo segue ovunque, che brandisce un pacchetto fumante.
Gli corro incontro e glielo strappo dalle mani, portandolo sul bus quasi volando. La sola idea di mettere qualcosa sotto i denti mi fa quasi piangere dalla voglia.
Joey, Liza e Joe mi seguono immediatamente, e Kathie, che dormicchiava sul pavimento del veicolo, si avvicina a me, che sto sventrando il pacchetto accanto a lei. Larissa non ha voluto venire, è rimasta a Boston a governare l'appartamento di Beacon Street. La storia di Summer l'ha sconvolta sul serio.
<< Cibo? >>esclama Kat entusiasta rovistando in un sacchetto.
<< Uh-uhm. Sì >>faccio io infilandomi in bocca una manciata di patatine fritte.
Gli altri si avvicinano e prendono anche loro qualcosa, mettendosi a discutere della band per la quale apriranno stasera.
Mi guardo attorno sorridendo come un'ebete, pensando all'ironia della scena. Sono qui, sempre in viaggio, sempre fatta, senza nemmeno sapere se domani mangerò o no; eppure sono felice.
Chissà cosa ne avrebbe pensato di me ora la me stessa di un paio di anni fa. Sicuramente non avrei mai immaginato, allora, che sarebbe venuto fuori qualcosa che avrei amato così tanto da decidere di abbandonare tutto. Né che, pur di stare con cinque persone che non conoscevo fino a qualche mese fa, avrei accettato di vivere senza nessuna sicurezza, senza nemmeno sapere se fra un mese sarò ancora viva, o morta di fame o di overdose. Né, tantomeno, che tutto questo mi sarebbe piaciuto così tanto.
<< Sapete dove trovare una cabina telefonica? >>chiede Kat ad un tratto, accartocciando un sacchetto.
Gli altri la guardano un po' interdetti.
<< Penso ce ne sia una all'incrocio con la 10a >>dice Joey. << Ma non ci giurerei. Che ci devi fare? Non chiamerai mica i tuoi... >>continua con un tono vagamente allarmato. Kathie e Larissa sono originarie di New York, e in teoria ora dovrebbero essere nel Kentucky a fare non ho capito bene cosa. Una volta Kat ha cercato di spiegarmelo, ma ero così ubriaca che ho riso tutto il tempo, e lei, visto che lo era altrettanto, ha riso anche più di me. Alla fine, ho capito che hanno detto che volevano andare a fare le groupies, e il loro genitori non erano d'accordo (quelli di Larissa su tutta la linea, quelli di Kathie a quanto pare solo sul fatto che andasse a farlo per un gruppo semisconosciuto che forse non avrebbe mai fatto successo, piuttosto che per un gruppo già ben consolidato, visto che erano abbastanza libertini e le avevano sempre lasciato fare ciò che voleva), così si sono inventate qualcosa tipo che andavano a curare una nonna, o a stare da un'amica, o non so cosa. Tra le ipotesi c'è persino quella secondo cui Kat si è sposata per riuscire a scappare con la scusa di andare a vivere dal marito.
<< Ma dai! Pensi che voglia far vedere ai miei che la loro “bambina” è tornata a New York?! E soprattutto, lo direbbero subito ai genitori di Larissa che io sono qui, e lei dov'è? Chiamo Larissa, scemo >>risponde lei.
<< Aaah >>fa lui. << Mi stavo già spaventando. Abbiamo già avuto a che fare con i genitori che ci volevano uccidere, e poi mi è venuta la vaga idea che tu ti sia pentita di essere venuta
qui >>.
<< Ma figuriamoci, non vi mollerei mai. E secondo te cosa dovrei fare? Far vedere a mia madre in che stato sono tornata dove non dovrei assolutament essere? O far vedere Steven? >>
Tutti scoppiano a ridere. In effetti immaginare di presentare Steven ad una qualsiasi coppia di genitori come si deve è abbastanza comico.
<< Beh, io vado a vedere se c'è qualcosa. Non mi piace che Lar stia là da sola >>. Kathie si alza e scende dall'autobus, quasi scontrandosi con Brad, che stava tornando da uno dei suoi giri.
Lui sale e si unisce a noi e mangia ciò che è avanzato, poi ci ritiriamo entrambi sul fondo dell'autobus e ci sdraiamo per terra avvolgendoci in una coperta per riuscire a dormire un po'.

Vengo svegliata da una mano che mi scuote leggermente la spalla.
Socchiudo gli occhi, mi volto e scosto la mano dalla mia spalla, borbottando e alzandomi a sedere. Mi trovo di fronte il viso di Kat, abbastanza stanca e visibilmente preoccupata, che mi allunga una bottiglia di whiskey. Ne prendo un sorso e le chiedo cosa sia successo, poi, vedendo il buio fuori dal bus, anche che ore sono.
<< Sono già le sette e mezza >>mi risponde lei. << Ho dovuto stare in giro un po', per trovare la cabina telefonica. Poi ho visto mia cugina per strada, e ho dovuto scappare per non essere beccata >>.
<< Quindi sei riuscita a sentire Lar? E sei preoccupata per lei >>.
Inarca leggermente un sopracciglio. Beccata.
<< Perché? >>le chiedo.
<< Dice che non esce molto di casa, ma che se la fa con un tipo. Uno sposato >>.
Sgrano gli occhi e quasi non le sputo in faccia il resto del whiskey. << Ma...Larissa?? Stiamo parlando della stessa persona? >>
Lei annuisce. << Ah-ah. Non me lo sarei mai aspettato da lei. La storia di Summer l'ha fatta uscire di testa >>.
Mi gratto il collo e prendo un altro sorso. Almeno non ha pensato di suicidarsi.
<< E chissà chi è questo tipo... >>buttò lì.
Brad, che stava ancora dormendo accanto a me, si volta, interrompendoci. È sveglio.
<< Che ore sono? >>chiede.
<< Sette e mezza. Vai a prepararti >>suggerisce Kat alzandosi con lui. << Io e te parliamo dopo >> aggiunge facendomi l'occhiolino. Alla fine è sempre la stessa Kathie di sempre.





...E alla fine anche io sono la stessa idiota di sempre. Assenze lunghissime, e quando torno sempre i soliti capitoli corti e striminziti. Ma che ci posso fare, con questa storia non riesco a farli più lunghi! Sono dei flash.
Ad goni modo, per questo capitolo, le precisazioni saranno lampo anche loro. Mi sono cimentata nel descrivere (dopo il mio lunghissimo blocco) la vita "on the road" di una band ancora agli inizi, e ho cercato di scandagliare un po' i personaggi di Kathie e Larissa. Quello che ho detto sui litigi di Steven e Joe, e sulla canzone
Sweet Emotion, è tutto vero.
Spero vi sia piaciuto ;) Un grazie a tutti quei (pochi) coraggiosi che hanno letto e commentato finora :)
Lucy :**

 

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Capitolo 10
*** Fear. ***


22 ottobre 1974, 18:20
Un'altra strada, un'altra città. Un'altra campagna tutta uguale che si perde dietro i finestrini lerci del nostro pullman. Siamo in New Jersey, bella. Il mio New Jersey.
Le portiere si aprono sulla stradina grigia dell'ennesima cittadina anonima del Jersey, e i ragazzi scendono, barcollanti per le piste che si sono fatti durante il viaggio, per sgranchirsi le gambe. Io resto dentro, raggomitolata in fondo al bus, terrorizzata. Siamo vicini. Troppo vicini.
Ieri sera eravamo già nel Jersey, a qualche chilometro di distanza, in un posto dove mi sentivo ancora sicura. Abbiamo fatto sold out in un locale in zona, e credevo che tutto il fottuto Jersey fosse venuto a vedere gli Aerosmith. Ma di certo non mi aspettavo di vedere quello che ho visto: nelle prime file, Lily, la mia migliore amica del liceo, con mia sorella Amy. Erano troppo lontane da casa, mia madre non avrebbe mai lasciato Amanda venire fin lì per un concerto, nonostante abbia tre anni più di me, non se non avesse avuto uno scopo preciso. E la faccia di Lily diceva tutto su quello scopo. Era chiaro che l'avevano obbligata ad accompagnare mia sorella in un posto dove io avrei potuto essere. Non dico con questo che Lily mi abbia tradita, solo che l'abbiano in qualche modo costretta a dichiarare dove sospettava che io fossi. E lei sperava di non incontrarmi.
Quando ho visto Lily, il mio primo impulso è stato quello di correre fuori da dietro le quinte e volare ad abbracciarla. Era l'unica cosa buona che ci fosse, nel mio paese. Per fortuna non l'ho fatto. Mi era parso strano vederla, sola, così lontano da casa, ma nulla mi pareva troppo assurdo per poter parlare di nuovo con la mia amica. L'unica cosa che mi sconvolgeva era il suo viso sbattuto, con quell'espressione come di terrore dipinta negli occhi. Come se temesse di vedere qualcuno che non voleva vedere, o temesse per qualcuno. Un minuto dopo ho visto mia sorella al suo fianco. E allora ho capito che temeva per me.
Alla vista di Amanda, l'alcool e un milione di ricordi mi sono scoppiati in testa, costringendomi a sedermi sul pavimento freddo con la testa fra le mani. Non appena mi sono sentita meglio sono scappata in un angolo remoto del camerino di Steven. Ho passato lì tutto il concerto, perdendomelo, e mi sono sorbita anche l'incontro sessuale di Steven con un'altra groupie del nostro gruppo, ma di lì non mi sarei mossa nemmeno per tutto l'oro del mondo. Alla fine, mentre stavano sbaraccando, è stato Joe a trovarmi lì. Sì, proprio lui. Quanto avrei desiderato che fosse Kathie.
Joe aveva lasciato la sua Elyssa di là da qualche parte, e aveva smesso di fare sesso o di farsi qualche pista con qualcun altro da qualsiasi altra parte, e stava aiutando gli altri a sbaraccare. Quando mi ha visto, terrorizzata, rincantucciata dietro i costumi di scena di Steven, si è precipitato al mio fianco, e quando ha visto che non mi muovevo nemmeno con le suppliche ha insistito per sapere come mai fossi nascosta lì. Lui temeva per le allucinazioni troppo forti, ma a quello sono abituata. Raccontandogli di mia sorella e Lily mi sono risparmiata l'ennesima predica su alcool e droga. Anche perché, ora come ora, ho un immenso bisogno di entrambe.
E ora sono qui, rannicchiata in posizione fetale sul fondo del bus, ubriaca marcia ma ancora in grado di ragionare. Se loro due erano lì ieri, oggi, che siamo così maledettamente vicini alla mia città d'origine, arriveranno nei backstage. E io non voglio che loro mi portino a casa.
Fottutissimo New Jersey! Lo odiavo allora e lo odio ora, e non ci voglio mai più rimettere piede. Gli Aerosmith cominciano a ricevere recensioni positive, fanno concerti da tutto pieno, aprono per i Black Sabbath. E io, in questo maledetto posto, non posso nemmeno mettere piede a quei concerti. Di notte resterò qui sola, sul bus, ma non credo che riuscirò a dormire. Da quando siamo entrati in New Jersey i miei sogni si riempiono di terrore, anche prima che le vedessi.
Guardo fuori dal finestrino e rabbrividisco. Amanda potrebbe essere lì. Mio fratello Jackson potrebbe essere lì. Mia madre e mio padre potrebbero essere qui fuori. Ovunque.
<< Jay, vuoi un po' di...? >>
<< AAAAAAAHHH! >> L'urlo che lancio fa quasi cadere Joe fuori dall'autobus, rischiando di rovesciare tutto quello che aveva in mano. Quando mi rendo conto che era lui, mi alzo e mi precipito a vedere come sta.
<< Non preoccuparti, Jay, non è niente... Volevo piuttosto vedere come stai tu, e offrirti da mangiare...ho preso una pizza... >>mi spiega gesticolando col cartone del Pizza Hut.
<< Ah. Oddio, scusami, è che ho i nervi a fior di pelle in questi giorni...Grazie! >>mi affretto a dirgli mentre afferro il cartone e lo apro sedendomi su uno dei sedili. Devo aver passato un bel po' lì a rimuginare, visto che lui ha avuto il tempo di andare a prendere una pizza, e i ragazzi chissà dove sono. << Ne vuoi un po' anche tu? >>gli chiedo sollevandone un pezzo. In effetti stavo morendo di fame.
Joe viene a sedersi di fronte a me, allungando le braccia sul tavolino traballante che ci separa. << Grazie, ho già mangiato >>risponde scuotendo la testa. << E tu hai bisogno di forze >>.
<< Non finirò mai di ringraziarti, Joe. Sai che ti amo, vero? >>gli dico riempiendomi la bocca.
<< Sì, ma non puoi vivere così. Non puoi passare i tuoi giorni chiusa qui. Sei distrutta, Jay. Non è meglio se scendi a vedere le prove e ti fai una doccia? Nessuno che conosci entrerà lì dentro >>mi dice lui cercando di convincermi a lasciare il pullman.
Scuoto la testa. << Joe, non posso. Se hanno capito dove suonavate ieri sera, allora non è impossibile che siano in zona oggi, e che mi vedano, o che mi stiano già tenendo sotto controllo, o che siano addirittura già dentro la sala prove! Magari hanno già visto in che stato gira Steven >>.
Joe fa una mezza risata alla battuta su Steven. << Jay, i tuoi genitori non sono la CIA >>cerca di farmi ragionare.
<< No, sono solo peggio >>ribatto sarcastica roteando gli occhi. << E poi tu non dovresti essere qui, che ne è di Elyssa? >>chiedo cercando di cambiare discorso.
Stavolta è lui a scuotere la testa. << È tornata a Boston, non poteva seguirci in eterno. Voleva solo stare un po' con me oltre il poco tempo in cui siamo stati assieme a settembre. Adesso aspetterà il nostro ritorno a fine dicembre >>.
<< È tanto tempo >>commento.
<< Mi aspetterà. Lo fa sempre >>replica lui.
Lei sa che la amo, sembra sul punto di dire.
Già, lo sappiamo tutti. E non nego che tutti, chi più chi meno, ne siamo gelosi. Anche se lo stavamo cercando, nessuno di noi nella vita ha trovato quello che Joe ha trovato in Elyssa, o almeno così pare. Io no di certo. E a Steven Joe manca tantissimo, e l'attenzione che lui dedica ad Elyssa, oltre che avere il sapore dell'abbandono, è per lui un irrimediabile ferita nell'orgoglio.
<< Ehy, Jay >>aggiunge Joe allungando una mano a scompigliarmi i capelli. << Non ti deprimere così, che hai? >>chiede osservando con aria scherzosa il mio sguardo ombroso.
Ah, si notava.
<< No, niente >>rispondo sorridendo per dissimulare.
<< Ancora preoccupata per la storia dei tuoi? >>
<< Sì >>mento. Non posso dirgli che in verità sono preoccupata anche per Steven. Potrei solo farlo infuriare. Non capisce quanto lui ci soffra, oppure non lo vuole vedere. Sono entrambi troppo orgogliosi e testardi per venirsi incontro. A volte la realtà è vicina, ma difficile da vedere per chi ci è troppo dentro. Loro non riescono a mettere a fuoco la loro, di realtà, come io probabilmente non riesco a mettere a fuoco la mia, e Larissa, che quando Kathie riesce a contattarla le dice che ama quell'uomo sposato con cui ha una storia e che vuole scappare con lui, non riesce a mettere a fuoco la sua. Ma la realtà va afferrata con le proprie mani, non te la può mettere in mano qualcun altro.



































Oddio, non mi pare vero. Sono riuscita, dopo mesi (che sembrano anni) di pausa, ad arrivare sana e salva alla stesura del decimo capitolo!
Non credevo che mi sarei rimessa a scriverla ora, sotto maturità, però sono fatta così, devo aspettare l'ispirazione, e oggi, tra una pagina della tesina e l'altra,  l'ispirazione è arrivata! Così ho buttato giù tutto, ed ecco qui. Non è stato un parto particolarmente difficile. E non so nemmeno io molto bene cos'ho scritto. Credo, tra l'altro, di aver fatto un sacco di imprecisioni.
In ogni caso, è vero che gli Aerosmith passarono gran parte del 1974 in tour per gli States, e, anche se non so esattamente quando, credo che siano passati dal New Jersey. Che abbiano aperto per  band all'epoca già rinominate, tra cui i Black Sabbath, è un dato di fatto. Che le recensioni dopo un po' siano migliorate pure. Che Joe stesse con Elyssa e Steven ne fosse geloso anche. Jay invece è una mia creatura, e mi sta particolarmente a cuore.
Non finirò mai di ripetere che gli Aerosmith, anche se mi piacerebbe, non mi appartengono, e questa cosa la faccio a tempo perso. Mi scuso per eventuali errori biografici e non.
Grazie di aver letto.
Lucy

 

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Capitolo 11
*** Become a Freedom Fighter. ***


24 ottobre 1974, 18:20
È sera. Un'altra volta da quando siamo nel Jersey. Il vecchio Jersey da cui sono scappata perché volevo essere padrona della mia vita e delle mie emozioni, perché la vita qui mi stava stretta. Siamo nel tour bus, e stiamo per entrare in una palestra per un concerto. Stasera dovrò presenziare anche io, anche se ho così paura da sentirne l'odore. Quel fetore pesante, come d'ammoniaca, quel freddo nelle ossa, il sudore sulla schiena. Kathie è accanto a me, c'è rimasta tutto il pomeriggio. Mi ha truccato in modo da rendermi più difficilmente riconoscibile. Steven voleva prestarmi un abito di scena, e questo è stata l'unica cosa che nel giro di giorni mi abbia strappato un sorriso, anche per via dell'espressione di Joe e di Joey in reazione a questa proposta. << Certo che non se l'aspetteranno, Steven...ma non passerà di certo inosservata! >>ha fatto Joe leggermente sconvolto. Steven ha scrollato le spalle, e tutti si sono messi a ridere. Ecco, quando non litigano sono fantastici.
Joe mi stringe una spalla circondandomi con il braccio sinistro. << Tranquilla, Jay, ci sono io >>mi dice con un sorriso. E meno male mi sorregge lui altrimenti credo che mi schianterei per terra. Per il terrore mi si è chiuso lo stomaco, non mangio da due giorni e credo che non riuscirò a toccare cibo fino a quando non usciremo da questo dannatissimo Jersey e ne saremo sufficientemente lontani. In compenso ho in corpo una quantità esorbitante di alcool e soprattutto di droghe. Non so più nemmeno io dove ho trovato metà della roba. Tanto vale, anche Steven l'ammaliatore di folle è sempre fatto.
Delle sagome indistinte si agitano sul fondo della mia retina, cercano disperatamente di uscire. Non ci capisco granché. Vedo sfocato, sento quell'odore tornare a galla e vorrei vomitare. Sento Joe al mio fianco, ed è l'unico motivo per cui non scappo. << Al mio tre fuori di qui e ci lanciamo dentro. Pronta, Kat? Jay, ci pensiamo noi a te >>. Ma cosa diavolo sta dicendo lo sa solo lui. Io di qui non voglio muovermi. Lo so che alla fine lo farò ma al momento vorrei dimenticarmene. Anche la voce di Joe, anche il suo sorriso, mi arrivano un po' confusi e lontani. Sento la mano fredda di Kathie stringere la mia. Anche io ho la sciarpa fino al collo e i vestiti di Brad addosso, col freddo che fa. << A lato del palco c'è una sorta di tenda: puoi restare lì con me e passare i costumi ai ragazzi >>mi sussurra Kat, che ha fatto un sopralluogo all'interno quando ero incosciente da qualche parte. << Andrà tutto bene, non ti vedrà nessuno >>mi ripete per quella che mi sembra la milionesima volta. Non so se crederci.
"Ti prego, fa' che vada tutto bene" mi dico, supplicando mentalmente chissà quale divinità.
<< Jay, è ora, coraggio >>fa Joe al mio orecchio. Non capisco se è anche lui sotto cocaina o no. Mi solleva quasi di peso e mi trascina velocemente all'interno della zona retro della palestra, dove ci sono gli spogliatoi. Passando saluta la Blue Army, la compagnia di operai e sbandati che ci seguono per sopportare le loro vite squallide, i nostri compagni di viaggio. Dietro di noi, Kat chiude fulmineamente la porta, prima che qualche fan scatenato decida di seguirci negli spogliatoi. Sorreggendomi per la vita e scortato da Kathie, Joe riesce in qualche modo a buttarmi nel camerino riservato a lui, Steven e Tom. Tom è seduto a un tavolo sgangherato dove ha sistemato scavando uno spazio tra gli abiti di scena (perlopiù di Steven) un posacenere e delle cartine e sta fumando marijuana.
Joe mi mette a sedere in un angolo. << Io mi cambio, tu non provare nemmeno a guardare quello spinello >>mi minaccia prima di scambiarsi uno sguardo d'intesa con Kathie, che annuisce competente. Io mi domando come faccia a mantenere questo contegno e questa serietà con tutto quello che si cala. Forse è vero che non si droga tanto quanto me in questi giorni. E io dovrei dar retta a Joe. Ma l'idea malsana che balugina tra le sagome indistinte di ottenebrarmi ulteriormente la mente con uno spinello non mi dispiace affatto. Anche se, a come sto ora, non credo che mi farebbe molto.

24 ottobre 1974, 22:30
È giunta l'ora. I ragazzi sono pronti e stanno per entrare in scena. Io, Kathie e qualche altra groupie stiamo al lato del palco improvvisato, tra tendoni stinti dall'odore polveroso. Io mi reggo a malapena in piedi ma mi sforzo di risollevarmi un po' quando Steven mi passa a fianco, tanto per dimostrargli che sto bene. Lui stasera è forse un po' meno fatto ma ha intuito: mi sorride a mo' di incoraggiamento, ma i suoi occhi preoccupati non mentono, come il mio viso smunto e dimagrito cerchiato dalle occhiaie, le mie pupille dilatate e il respiro affannoso.
Non appena anche lui è entrato in scena accanto al suo Joe mi sento quasi meglio. Posso stare a terra quanto voglio, sono gli Aerosmith la mia medicina. Questo può suonare sentimentale, ma loro sono sempre stati la mia salvezza. E mi basta sentire la chitarra di Joe affiancata alla voce di Steven per sentirmi meglio. Perché loro due litigano sempre, ma quando sono su un palco sono l'unica cosa chiara e delineata in un mondo confuso. Sono ancora due ragazzini che staranno sempre insieme. Sono due uomini che si amano e amano la musica nonostante tutto, e sono le uniche persone che possono inculcarmi in qualche modo che i legami esistono, e che si possono far funzionare. Comunque vadano le cose.
Eppure io continuo a sudare. Inesorabilmente e sempre più copiosamente. La mia temperatura interna si alza e si abbassa come un termometro impazzito, le ombre attorno a me aumentano e comincio a tremare. Mi accascio sul pavimento a metà di Same Old Song and Dance, e resto lì, piegata su me stessa, scossa da tremiti sempre più violenti. Mi viene da vomitare. Kathie si gira e si inginocchia al mio fianco, mi chiede cos'ho ma la sento lontana. Scuoto la testa, va tutto bene. Lei non si fida della mia risposta, sento la sua mano calda sulla spalla.
All'improvviso mi prende il terrore dell'overdose. Qualcuno nel giro ci ha lasciato le penne. Non li conoscevo di persona, ma a Boston uno che si rifornisce dal nostro stesso spacciatore mi ha detto che conosceva uno che c'è rimasto secco. Poi una della mia età. E io non voglio morire.
<< Non voglio morire, non voglio morire >>biascico scuotendo la testa.
<< Che? >>domanda Kathie sempre più preoccupata.
Io la vedo sfocata e tremolante. Rispondo che voglio vomitare.
<< Dov'è il bagno? >>faccio strascicando le ultime sillabe. Lei me lo indica e si offre di accompagnarmi. Sa che ho paura di essere ritrovata, una paura fottuta, ma io me la ricordo solo adesso. In verità ora ho solo paura di morire, di morire qui, in una fottutissima palestra del New Jersey. È sempre stata la mia paura più grande: non temevo la morte in sé, temevo di morire qui. E ora pare che le previsioni si stiano avverando. << Ci vado da sola >>le dico. Non voglio che mi veda in questo stato. Poi mi alzo e scaccio la sua mano rapidamente, e mi allontano aggrappandomi alle pareti.

Il bagno è un buco freddo e grigio. Non so nemmeno se sono in quello delle donne o degli uomini. E non me ne frega niente. Mi sono trascinata fino a questo cubicolo e non ne uscirò per ficcarmi in quello vicino. Non importa.
Spalanco una porta quasi cadendoci contro, tanto dentro non ci sarà nessuno: sono sul retro del palco e tutti sono al concerto. Non mi reggo più in piedi e mi butto sul pavimento, aggrappandomi al cesso sbeccato. Non è troppo sporco, ma comunque non penso che me ne fregherebbe molto se lo fosse. Tremo con violenza e sento il sudore bagnarmi i capelli, e vorrei vomitare. Mi affaccio al fondo del cesso grigio e guardo l'acqua muoversi leggermente percossa dal flusso dello sciacquone che non si ferma mai del tutto. Ecco perché è pulito, è semi-rotto. Un classico. Ma nella mia testa quell'acqua smossa ha già preso altre mille forme. È diventata un cerchio, concentrico. L'hula-hop che usavo da bambina, in giardino con mia sorella Amanda. Brillava. Una spirale che mi avvolge, tutt'intorno. Una prigione. Una gabbia colorata, le sbarre di plastica sono i pezzi dell'hula-hop. Mi rannicchio sul pavimento tra il water e la parete, terrorizzata. Domani conto di aver dimenticato tutto questo. Odio i brutti trip. E tremo. E voglio vomitare.
Mi aggrappo di nuovo alla tazza del cesso, mi ficco due dita in gola. Tutto ciò che esce, a parte i singulti simili ai rantolii del pianto, è saliva vischiosa. Poi, dopo qualche minuti di sofferenza, una scossa violenta e vibrante mi percuote irradiando dal basso ventre. Come quando sto vicino a Tom che suona il basso e ne sento le vibrazioni, ma in negativo. Come le sue dita che percorrono quelle quattro corde fondono tutta la realtà in un costante sfarfallio d'eccitazione, la scossa che proviene dall'interno del mio corpo serve solo a portare a galla nuovi mostri, e a spingere verso la mia bocca un'ondata di liquido caldo. Mi sento inconsistente mentre tutti i miei tessuti si toccano e si comprimono come non dovrebbero per espellere quanto di vitale c'era in me. Ora non ho senso. Penso che morirò qui per davvero. Ma è così l'overdose?
Mi scuoto e mi strattono ancora per quelli che mi paiono giorni, anche se in lontananza sento i rumori del concerto e so grazie a questo che non è passato così tanto tempo. Temo che presto o tardi qualcuno verrà a cercarmi, e mi troverà così. Ancora peggio se entra qualcuno della palestra per pulire.

Ma sì, lasciatemi qui, non fate caso a me. Tanto morirò comunque” mi viene da urlare ad un avventore non precisato.
Un avventore che chiaramente non arriva.
...O forse no.
All'improvviso, nell'antibagno, la porta sbatte. Qualcuno è entrato.
<< Kathie... >>imploro, morente, mentre mi accascio per terra, con la testa contro al muro.
<< No, non sono Kathie >>ribatte categorica una voce autoritaria. << Chiunque sia Kathie >>. Una voce che riconosco.
Mi sollevo di scatto, infliggendomi un dolore che mi trapassa la testa come un dardo da parte a parte costringendomi a ritornare sul pavimento. Mi rannicchio. Se ora volessi tornare sul bus non riuscirei nemmeno a scappare, così ridotta. Allora tanto vale che aspetti qui.
Mi asciugo la bocca con la manica enorme della maglia di Brad, tanto per non essere completamente sfigurata, ma non riesco nemmeno ad aprire gli occhi del tutto.
<< Sei venuta per portarmi da loro... >>sussurro mentre i passi si avvicinano.
<< No, Gabrielle >>risponde la voce, con un'inflessione più dolce. Contemporaneamente la sua proprietaria si inginocchia al mio fianco e mi risolleva leggermente.
Al tocco delle sue mani per poco non scoppio a piangere succube dell'ondata di nostalgia che mi investe all'improvviso. Tutti quei pomeriggi ad ascoltare vinili in camera mia, quelle noiose mattinate in chiesa. Le corse nei prati, i vestiti scambiati. Le risate, i racconti degli innamoramenti e dei baci rubati ai ragazzi dietro la scuola, mentre io non amavo altro che gli Aerosmith, e dei ragazzi me ne infischiavo. Questa è Lily, la mia migliore amica nella mia vecchia vita. Ed è tornata da me. Non so come ma è qui.
<< Lils...come sei entrata? >>
<< Ho corrotto uno dei roadies dopo aver convinto tua sorella che non eri qui e averle detto che andavo in bagno e la raggiungevo. Mi aspetta fuori ora. Io ero sicura di averti visto >>.
Non lo vedo, ma immagino il suo sorriso benevolo.
<< Non sei dalla loro parte, allora >>constato. Anche se in fondo non avevo dubbi.
<< Ma secondo te, Gabi? Non sono mai stata dalla loro parte, anche se non ti capivo. Tu mi hai fatto sapere dov'eri, ma è da mesi che non ti sento. Ero preoccupata. Ma ho continuato a coprirti. Era la tua scelta, e io la rispetto. Anche ora. Solo che fa male vederti così. Fa un male che non puoi immaginare. E ora che sei partita non puoi tornare indietro. E se loro ti beccano invece lo dovrai fare. Dovrai restare per sempre nel Jersey che odiavi, che odiavamo. Io, te e Edward. Te lo ricordi Edward, vero? Eravamo amici noi tre. Me se tu sei così conciata ti metteranno in comunità, o ti chiuderanno chissà dove. E non sarai più libera, capisci? Perché tu malgrado tutto eri libera, più libera di noi. E non avevamo vincoli in quel paesino del cavolo. Ma a te stava stretto comunque, e te ne sei andata. Avevi ragione. Era ciò che volevi. Mi sei mancata. Mi manchi anche ora. E se tornerai indietro, se non giochi bene le tue carte, perderai tutto quello che ti sei guadagnata. E sarai in trappola. Per questo devi trovare la forza di alzarti, ora. Di nasconderti e restare all'erta finché quell'autobus su cui sei arrivata non abbandona questo postaccio >>. Mi stringe forte il braccio.
<< Ti prego, Gabi. Alzati e cerca di stare in piedi, fatti forza, combatti. Combatti che tu hai sempre lottato e sai come si fa. Non allontanarti dagli altri e stai nascosta. Cercherò di convincere tua sorella che non sei con questo gruppo, e forse cambieremo pista. Per un po' non ci sentiremo per depistarli. Ma tu alzati e cerca di affrontarli >>mi supplica oramai.
E io annuisco. Annuisco e basta.















Author's Corner:
Dopo mesi di pausa (credevate di esservi liberate di me, eh?) oggi in treno mi è tornata improvvisamente l'ispirazione! E così ho scritto questo capitolo in fretta, e l'ho finito ora guardando i Gremlins (che sconsiglio vivamente a chi non l'avesse ancora visto), per poi pubblicarlo senza nemmeno rileggerlo, prima di ripensarci.
Ormai Jay è tornata nel Jersey, e la sua vecchia vita sembra sempre più vicina. Fortunatamente ha vicino qualcuno che la ama e l'aiuta. E se sarò ispirata andrò avanti a narrare le sue peripezie.
Ringrazio chi ha letto finora e chi ha aspettato un aggiornamento, soprattutto. Se qualcuno si fosse chiesto dove fossi finita io con i prodotti della mia fantasia, beh, eccomi qui.
Parentesi: il titolo, in linea col discorso di Lily quando soccorre Jay nel bagno, è ripreso dall'ultimo formidabile album degli Aerosmith, ovviamente dalla canzone
Freedom Fighter, che oltretutto è cantata da Joe al posto di Steven, quindi un po' insolita e molto apprezzabile.
E adesso smetto di tediarvi con questa tiritera, spero che sia rimasto qualcuno!
Alla prossima (sperando di farcela in meno di sei mesi),
Lucy.

 

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Capitolo 12
*** Never let me go. ***


25 ottobre 1974, 13:06
Mi sveglio rannicchiata sul fondo del bus. Mi trovo accanto una bottiglia di succo e ne bevo un sorso, accompagnandola ad un tiro dalla canna che mi ritrovo in tasca assieme all'accendino. C'è un biglietto vicino al punto in cui avevo poggiato la testa, ci riconosco la scrittura di Kathie.

Io e le altre siamo in studio con i ragazzi a sentire le prove. Ti ho lasciato qualche waffle se ti va, il succo, e della pasta fredda. Immagino che non starai molto bene perciò ti ho lasciato le aspirine in borsa e uno spinello in tasca, così te lo fumi appena sveglia e superi i postumi, ma non prendere altro. Bevi solo acqua. Se ti va raggiungici in studio, quando arrivi lascia le chiavi a Randy. Per ora riposa. Baci, Kat”.
Sorrido. La solita premurosa allegra Kathie, probabilmente con qualche influenza di Joe. E io che in questi giorni non ho cercato nemmeno un po' di confortarla su Larissa. Larissa che non ci sta più telefonando ormai. Chissà dov'è finita.
Non ho molto tempo per pensarci perché non appena mi alzo sento le tempie martellarmi ritmicamente, come se mi ci stessero scaricando contro una raffica di proiettili dall'interno. Mi piego subito a frugare nella borsa e recupero un paio di aspirine che prendo bevendoci dietro il succo, poi mi risiedo a terra aspettando che facciano effetto mentre cerco di fare mente locale riguardo a ciò che è successo tra ieri sera e adesso.
Rannicchiata in posizione fetale stringo tra le dita piccole e sottili la medaglietta dorata che porto al collo. Ce l'ho da quando avevo sette anni, quando mia nonna me l'ha regalata. Da allora sono solita a torturarlo con le unghie quando mi concentro su qualcosa, mi aiuta a isolare ciò che mi interessa dal resto.
Chiudendo gli occhi, pian piano sento distaccarsi dalla confusione di fondo che oscura tutta la mia mente alcune immagini. Lentamente, si fanno più dettagliate e si espandono man mano che le metto a fuoco. La droga. Kathie che mi trucca. La stretta di Joe sopra la mia spalla. La maglietta di Brad. La maglietta lercia di Brad, poveretto. Il concerto. Joe e Steven. Poi i dolori. La paura. Il bagno grigio. Lily.
Su di Lily i miei ricordi subiscono un brusco arresto, ma dopo qualche secondo di buio riesco a far fronte al muro che il mio cervello mi para davanti. I ricordi sfocati cominciano pian piano ad allargare il loro raggio d'azione, e inizio a vedere com'è andata poi. Lily mi ha sollevata da quel pavimento in qualche modo, e Kathie è venuta a vedere cos'è successo, trovandoci lì. Immagino che Lily le abbia spiegato chi è e come mai fosse lì a soccorrermi piuttosto che al concerto. Probabilmente le ha parlato di Amanda e del discorso che mi ha fatto. Ma di questo non sono sicura. Ho parecchi buchi nella memoria nell'ultimo lasso di tempo. Dal momento in cui Kathie mi risolleva aiutata da Lily per portarmi nel tour bus insieme a qualche roadie salta direttamente a qualche minuto dopo, credo, quando Kathie mi ha spogliato per mettermi dei vestiti puliti. Poi salta di nuovo, piombando direttamente a qualche, credo, ora più tardi, quando i ragazzi sono venuti a chiamarci per il party post-concerto. Poi mi vedo su un materasso della palestra, con Joey qualche metro più in là che fa sesso con un'altra del giro, Rita, la ragazza italo-americana che si è unita a noi poco fuori Minneapolis. Poi le braccia di qualcuno, Joe, che mi trascinano via. Joe, sudato dopo il concerto, caldo e forte. Non ci mette nulla a sollevare me, che sono sempre stata muscolosa ma piuttosto piccola. E ora più magra che mai. Mi pare una spiegazione plausibile. Sento ancora le braccia forti di Joe stratte attorno al mio corpo semi-incosciente. Mi ha già sollevata altre volte. Non molte a dire il vero, reggo bene quello che prendo in verità; ma le volte in cui sono stata veramente giù non ha esitato a farlo. Così mi concentro su quella sensazione, su quello che potrebbe essere accaduto dopo che Joe mi ha portato via. Non dormo molto quando sono così malridotta, o dormo molto male, perciò c'è ancora un periodo di tempo in cui non so cos'ho combinato.
Strizzo le palpebre cercando di ricordare. Ma la nebbia causata dagli acidi e da tutto il resto è fitta e difficile da diradare. Eppure qualcosa mi sembra di riuscire a scorgerlo. Joe che mi sdraia sul fondo dell'autobus, prima che rientrino gli altri. È mezzo spogliato, chissà chi si sarà fatto. Solleva la coperta e si stende al mio fianco. Io ho paura, mi aggrappo a lui. Lui mi culla e mi accarezza i capelli. E anche se lo vedo sfocato sento il suono penetrante della sua voce. Se fossi Elyssa non lo lascerei nemmeno per un secondo. Nella mia testa è tutto buio, riesco a ricordare solo quel suono. E poi le parole che gli ho detto, riecheggiano nella mia mente, come propagandosi per corridoi disabitati, ancora e ancora. << Non mi lasciare, non mi lasciare. Non mi lasciare sola >>.








Author's Corner:
E qui mi lascio andare a questa sorta di romanticismo malato! Il che non è proprio da me. Ma più che altro supplivo all'esigenza di Jay di qualcuno che la rassicurasse. E ad ogni modo questa sua fase "fuori controllo" la faccio finire subito. E non vi subisso più con capitoli enormemente illeggibili.
Detto questo, vi abbandono.
Gli Aerosmith appartengono a se stessi (purtroppo!) e non a me, così come la canzone che dà il titolo al capitolo,
Never Let Me Go, che appartiene a Florence Welch e alla sua cricca (che adoro!).
Alla prossima, spero molto presto (visto come ho aggiornato in fretta, calcolando che avevo pronto questo già da una settimana, ho buone ragioni di sperare che sia davvero presto, anche se spero di produrre un capitolo più presentabile di questo, che non ha nè capo nè coda).
Un bacio,
Lucy

 

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Capitolo 13
*** Coffee. ***


03 novembre 1974, 16:40
Siamo finalmente fuori dal Jersey. Sono quasi le cinque e i ragazzi sono in un bar. Non siamo così lontani dal Jersey così io ho deciso di restare sul tour bus ancora per un po', ma almeno sono piuttosto lucida. Dopo un paio di giorni dalla fatidica notte in cui ho creduto di morire in quel bagno orribile, ho ricordato le cose che mi aveva detto Lily. Erano cose importanti, eppure io le avevo dimenticate quasi subito, non so nemmeno quanto la sia stata a sentire. Ora credo di ricordare quasi tutto del suo discorso, ma non posso esserne sicura. Con Kathie non ne ho parlato, anche se Lily potrebbe aver ripetuto parte di quelle cose a lei, visto il mio stato in quel momento. Erano cose importanti e questo lo sapevo bene anche se non ricordavo esattamente il contenuto di quella sorta di predica, e così ho fatto un paio di giorni in cui non ho preso nulla e bevuto nulla, e l'unica cosa che sono andata avanti a farmi era la marijuana. E alla fine mi sono ricordata, credo quasi tutto. E ho deciso di darmi una regolata. Ho mangiato un po' di più, bevuto un po' di meno, ho accompagnato Kathie in lavanderia a lavare i vestiti della band. Tanto nessuno avrebbe sospettato di trovarmi una lavanderia. Ho pensato che aveva ragione lei, devastarmi e morire di overdose in un cesso non servirà certo a tenermi lontana dalla tragedia, semmai ad avvicinarmici. E poi, io glielo devo. Se ci penso, chi mi ha protetto in tutti questi mesi? Chi ha mantenuto il mio segreto? Chi si sta sopportando mia sorella mentre vanno alla ricerca di fantasmi? Devo quantomeno sopravvivere e fare quello che volevo fare, per correttezza.
Mi sollevo dal fondo del bus e sbircio dal finestrino sporco dentro al bar dove stanno con ogni probabilità facendo colazione. Vedo le uova col bacon nel piatto di Brad. Ucciderei per un buon caffè, in questo momento. La cosa buona del mio orribile paesino era il bar della minuscola stazione dove non si fermava mai un treno: lì c'era il caffè migliore del Jersey, ne sono sicura. E forse era anche l'unica cosa buona del Jersey. Dio, quanto ne vorrei uno.
<< Jay? >>
Una voce, accanto a me, emerge da quello che mi pareva un mucchio di stracci.
Mi volto ad esaminare la fonte di quella voce, nel buio quasi totale. È Rita. Non è a fare colazione con i ragazzi, probabilmente si è stancata troppo ieri sera ed è tornata a dormire. Oppure le hanno detto di farmi da balia. È anche vero che non aspira tutta la coca che aspirano gli altri, e quindi non regge i loro ritmi frenetici.
<< Ciao, Rita >>faccio con un sorriso. << Non sei a far colazione? >>
<< Troppo presto >>risponde ricandendo sul mucchio di stracci da cui era uscita. << Non mi va. Però se vuoi ti accompagno da loro, che ne dici? >>
Scuoto la testa. Non fa niente. Non ho fame nemmeno io, vorrei solo quel caffè. Ma non mi fido molto ad uscire, anche se ormai siamo lontani da casa mia. In fondo alla mia testa penso ancora che potrebbero rintracciarmi, se mi hanno quasi beccata una volta. Si ricordano dei vinili degli Aerosmith se si sono messi a pedinare proprio questo gruppo. Allora qualcuno a casa mi stava a sentire quando parlavo, o vaneggiavo. E quindi se sanno che avrei voluto seguire gli Aerosmith, o comunque una band on the road, magari di me hanno capito anche altro. Magari anche quanto mi piace il caffè.








Author's Corner:
Oddio, non so come salutare chiunque ci sia dall'altra parte del computer, dato che questo è il capitolo che ho promesso nelle recensioni almeno un anno fa. Però almeno un paio di cose mi sento in dovere di dirle.
Dunque. Non sono sicura di questo capitolo. Non l'ho nemmeno riletto come si deve e sono certa che sarà zeppo di errori. Se non li cancello io entro tot. tempo, fatemeli notare. Solo che mi sentivo in dovere di continuare. Ci metterò un po' a riprendere il ritmo, e per questo motivo il capitolo
insulsamente corto, ma voglio farlo. Voglio riprenderlo, questo ritmo. Perché l'ho promesso a qualcuno ma anche per me stessa. Ultimamente mi sono concentrata molto sullo studio e sulla scrittura di cose più o meno presentabili, che però non posso pubblicare qui perché sono senza capo né coda, o perché vorrei pubblicarle su carta o su supporto digitale, ma insomma da autrice seria, prima o poi. Ho una lettrice fissa, che ringrazio molto per l'appoggio e per la sopportazione, soprattutto, ma mi sono resa conto di dover scrivere delle cose diverse, del tutto diverse da quelle che ho nei miei porgetti, meno serie sotto un certo punto di vista, e sotto l'occhio vigile di più persone che mi possano dare un parere, e che magari siano più imparziali, non conoscendomi. Detto questo, la finisco di tediarvi con queste precisazioni più lunghe dello stesso capitolo, e vi saluto. Grazie per avermi letto!
A presto!
Lucy


P.S. Scusate il font nuovo, un'altra fottuta volta (anche se non credo vi ricordarete più nemmeno come sono stati scritti i capitoli precedenti, perché io stessa stentavo a ricordarlo), solo che ho qualche problema con l'impaginazione del sito al momento. Spero non vi abbia infastidito troppo.

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Capitolo 14
*** Stay. ***


09 novembre 1974, 20:30
Nella stanza attigua alla nostra pare esserci l'anarchia. Un boato per me ormai rassicurante inghiotte tutti i suoni emessi, fondendoli in un continuo, abituale, mugghio. Siamo in una specie di bar, nel Michigan, e il pubblico sta aspettando noi. O almeno, i ragazzi. Io sono nel camerino, senza i pantaloni. Credo che li aspetterò qui. Sorrido.

Tom, di fronte a me, si sta infilando di nuovo i suoi lucidi pantaloni rossi. Mi guarda sottecchi e sorride a sua volta.
Ultimamente, dopo quello che è successo nel Jersey, mi capita spesso di pensare a come sarebbe la vita da ragazza normale. Il liceo, gli amici, magari il cinema. L'erba fumata di nascosto, i baci strappati di nascosto a qualche coetaneo imbranato. Io invece ho avuto tutto, subito, d'un colpo. La droga, l'alcool, il sesso. Il brivido del rock 'n' roll che ti striscia sotto la pelle, anche mentre dormi, ogni volta che vuoi, senza chiedere il permesso a nessuno. Però mi domando, dato che ci sono andata così vicino, come sarebbe stato tornare a casa. Sicuramente mi sarebbe stato più stretto ancora di quando vivevo là e non avevo mai visto altro. A volte invece mi domando come sarà quando sarò più vecchia, quando avrò mollato questa vita, perché di certo non durerà per sempre. Mi sposerò? Avrò dei figli? E cosa racconterò a questi fantomatici figli dei miei anni di gioventù, cosa potrei mai impedirgli di fare quando io stessa ho fatto di tutto? Su questo punto però mi tranquillizzo, probabilmente andando avanti così prenderò qualche infezione che mi impedisca di averne, e così limitiamo i danni. Riguardo al marito, invece, o a qualsiasi tipo di relazione io possa avere in futuro, mi assale l'ansia. So che nessuno potrà mai essere come questi ragazzi. Ed è per questo che da una settimana non vado più nemmeno a letto con Steven. Lui è troppo sopra le righe. Certo, nel sesso non ci sono paragoni con nient'altro che io abbia mai provato, ha un vero talento, o forse ha fatto più pratica degli altri, ma tant'è. Non riesco ad fare sesso con lui e godere, pensando che un giorno potrei avere un marito che non ha un millesimo delle sue capacità. E questa è solo una parte di quello che penso, quella che scatena tutto il resto. Perché chiunque io possa conoscere in futuro non sarà un millesimo di quello che Steven è. Il talento musicale, il genio, la ribellione, l'ironia. Niente. Così vado con Tom. Ci sto quasi sempre, anche senza spogliarmi, solo a parlare, a farsi, e a fare i cretini. Mi rassicura in lui, più che in tutti gli altri, questa spinta a prendere sempre in giro, più o meno sottilmente, il suo interlocutore, come fa con me quando mi chiama Gabi. Mi rassicura il fatto che sia così alto, e accanto a lui mi sento protetta, ora che sono ancora così fragile. Non che lui non sia speciale. Assolutamente. Solo che lo vedo più vicino alla realtà. Quando faccio un tiro da uno spinello, mi avvicino a lui come se volessi baciarlo, e gli soffio il fumo in bocca. Una sorta di bacio casto volto allo sballo. A letto se la cava bene, è passionale ma delicato, mi tratta come se fossimo due normali persone con una relazione. E poi, ogni tanto, anche se per scherzare, mi chiama col mio vero nome. È la cosa più vicina ad una relazione normale che io riesca ad immaginarmi, ed è quello a cui spero che somigli un possibile partner fisso, se mai arriverò viva a quella parte della mia vita e vorrò farlo.
<< Tutto ok, Jay? >>mi chiede Tom mentre ricontrolla di avere tutto il necessario per entrare in scena.

<< No, hai dimenticato qui le mutande, Tommy >>rispondo guardandolo da sotto i capelli che mi spiovono in faccia.
Lui mi fissa per un attimo, con aria interrogativa.
<< Scherzavo, Tommy >>.
Ridiamo entrambi.
<< Jay, mi piacerebbe che tu rimanessi >>mi dice quando smette.
<< Qui ad aspettarti per il dopo concerto? Lo farò di sicuro, te l'ho detto >>gli rispondo. Non capisco dove voglia andare a parare.
<< No, intendo con noi. Con la band. Con me. Guarda che mi sono accorta che stai prendendo le distanze >>mi dice, improvvisamente serio.
Lo guardo con un groppo in gola, incapace di rispondere. Se n'è accorto. Sono davvero una stupida io a credere che nessuno faccia caso a certe cose. Fumo, non fumo, droga, sesso sfrenato, comporre di notte, gente che scrive canzoni del genere certe sfumature le nota. Io ero con Steven quella notte che si è messo a piangere. Ero con lui e da una settimana non voglio più nemmeno restarci sola nella stessa stanza: mi sento davvero una persona orribile.
<< Mi...dispiace, Tom >>balbetto, le lacrime che strabordano dagli occhi arrossati dal fumo e dallo scoramento, le mutande fradice appallottolate in mano.
Lui inghiotte un respiro a vuoto, sconcertato dalla piega che hanno preso le cose. << Cazzo >>dice facendo un rapido passo verso di me e stringendomi. << Oddio, non volevo farti piangere. Stai tranquilla >>mormora passandomi una mano sulla schiena. << Non voglio farti parlare di cose che non vuoi nominare >>.
Mi stacca un attimo da lui e mi guarda negli occhi. Devo essere orribile. E pensare che mia madre mi voleva come le ragazze per bene, e invece sono qui, struccata e svestita, in un camerino pieno di fumo, con le occhiaie che arrivano a terra.
Per un attimo sorridiamo entrambi.
<< Stai tranquilla >>fa accarezzandomi una tempia. << Ci vediamo dopo. Se non vuoi pensarci ho qualcosa nelle tasche delle giacche di riserva >>.

Esce dal camerino ammiccandomi. Mi stringo nelle spalle.
E l'attimo dopo, rivestita, sto correndo.





Author's Corner:
Come promettevo da tempo, nuovo capitolo. Perdonatemi ancora la discontinuità e la brevità dei capitoli. Spero di dare alla storia la svolta che desideravo entro breve. Grazie a tutti.
A presto,
Lucy

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Capitolo 15
*** Run, baby, run. ***


9 novembre 1974, 21:00

Corro come la stronza che mi sento di essere e mi ritrovo di fianco al palco. Non è grande, ma è tutto quello che ho. È tutto quello che abbiamo. E tutto quello che siamo. Io sono un'idiota mezza svestita, sudata e sgangherata, stanca e non del tutto fatta, che vuole divertirsi. Non so perché mi sia lasciata trascinare così tanto da questa storia, sono diventata come quelle casalinghe frigide che si lasciano andare tirando giù una scatola di Xanax con il vino bianco prima di mezzogiorno.

Ma adesso me ne frego. E quando Steven attacca a cantare canto con lui.

 

Il primo ad accorgersi della mia presenza è Joe. È proprio dal mio lato del palco, verso destra se guardato da davanti, il lato dove sta di solito. Non so se ho fatto apposta o meno a mettermi da questo lato, ma ora è come se fosse stato tutto programmato per essere così. Perfetto.

Joe si volta un attimo per dire ad un roadie di spostargli un cavo affinché non inciampi e mi vede. Per un attimo è sorpreso e ritarda di qualche secondo il riff, ma poi sorride, e si rimette a suonare. Scuote la testa. È felice.

Subito dopo, anche Tom guarda nella mia direzione chiedendosi perché Joe stesse sorridendo al nulla, e sorride a sua volta. Mi fa il saluto della marina. Tra il pubblico si staranno chiedendo (quelli che non sono del tutto andati o troppo presi dalla musica) cosa diavolo ci sia di così bello qua dietro, ed è una domanda che mi farei anche io.

 

Canto tutta la sera. Dream On, Mama Kin, Same Old Song and Dance, Train Kept A-Rollin'... La musica scorre così rapida che nemmeno me ne rendo conto, e d'un tratto il concerto è finito e i ragazzi vengono dietro le quinte. Da sotto il palco un boato avviluppa tutto quello che abbiamo intorno, impedendoci di sentire l'uno cosa dice l'altro. Il pubblico è sovraeccitato, chiede di più, chiede tutto il repertorio.

Tom si avvicina e mi bacia sulle labbra. << Sono contento che tu sia venuta qui, Gabriella >>mi dice con un sorriso, piegato su di me.

<< Ehi, Hamilton, piantala di fare il cascamorto! >>urla qualcuno.

Scoppiamo entrambi a ridere, poi io alzo gli occhi e li fisso nei suoi. << Mi sono rotta di stare nei camerini. Sono qui per supportarvi, il resto può fottersi >>.

<< Così parlano le groupies degli Aerosmith! >>grida Steven, dandomi una pacca mentre passa. Si asciuga il sudore e beve la birra che gli stanno porgendo. << Dai, andiamo fuori e diamo a questi pazzi quello che vogliono >>aggiunge poi accennando con la testa in direzione del palco.

 

Quando il concerto termina definitivamente corro per farmi trovare giù, nel camerino di Steven. Se non ci sarà nessun'altra ad aspettarlo potrei avere una buona sveltina, o continuare la serata con lui. Se anche ci fosse qualche altra ragazza, potremmo condividercelo, non mi importa. Voglio festeggiare alla grande.

Steven entra poco dopo, ancora accaldato e a petto nudo. Mi getto su di lui e lo bacio.

Lui ride. << Jay, sei tornata, eh... >>

Gli slaccio i pantaloni e mi volto di schiena, calando i pantaloni. Quello che succede dopo è fin troppo scontato, e al contempo sempre sorprendente. Porto un braccio dietro la testa mentre vengo aggrappata ad un tavolino, gli afferro i capelli e tiro, incapace di controllarmi. Steven è davvero un grande. Ma non nel senso che intendono le folle. Non solo.









Author's corner:
Sinceramente. Ve lo dico sinceramente. Ho notato, in questi mesi, che alcune persone hanno continuato a recensire questa fanfiction, ma non posso garantire a nessuna di loro, pur ringraziandole nella maniera più profonda possibile, la continuazione di questa storia. Sono ispirata a fasi alterne, raramente, riguardo a questa storia, e, sebbene avessi già un finale in mente quando ho iniziato a scriverla, anni fa, non ho la forza di volontà né l'ispirazione, né vedo più molto senso nello scrivere ciò che starebbe tra questo punto e un punto di fine. Perciò, per il momento, io la considererei finita qui. Un finale aperto, infinite possibilità.
Non nego di avere in germe l'idea di scrivere, in futuro, una storia originale sulle groupies, figure che mi affascinano da sempre. E vorrei scrivere una storia originale perché, ora come ora, non mi sento più una da fanfiction. Originariamente le scrivevo in parallelo con altre cose, più "serie", diciamo, con un futuro che è quello che vorrei avere, come "palestra" di scrittura per migliorare me stessa; ma ora non è più così. Non me la sento più di scrivere fanfiction perché non sono più una da fanfiction, e vorrei scrivere solo cose che siano
mie e basta, senza contare che non sono più la ragazza che ha iniziato questa storia.
Quindi, per il momento, io la concludo qui. Chi lo sa, magari in futuro me la sentirò, con le dovute modifiche, di continuare questa storia e portarla al finale che avevo progettato per lei anni fa. Ma per ora questo (aperto, inconcludente e decisamente inaspettato da parte mia) è il finale che lascio.
Ringrazio ancora tutti per aver letto, recensito, e amato la mia storia. Mi scuso ancora per le precisazioni più lunghe dei capitoli stessi, e per non aver soddisfatto le vostre aspettative. In ogni caso, se vorrete farmi avere vostre impressioni a riguardo, sarò ben lieta di riceverle.
Grazie ancora.
Spero di ritrovarvi nei commenti agli altri miei scritti.

Lucy

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