Hooked In The Past

di TheSims1991
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Guy From The Past ***
Capitolo 2: *** Easy, Tiger ***
Capitolo 3: *** 'That' man ***
Capitolo 4: *** Something's Missing ***
Capitolo 5: *** Souls ***
Capitolo 6: *** Walk the Plank ***



Capitolo 1
*** A Guy From The Past ***


I personaggi citati in questa fanfiction non sono di mia proprietà ma appartengono ai rispettivi proprietari.
Questa storia è scritta e pubblicata senza scopo di lucro.

A Guy from the Past

Il cielo mescolava i suoi colori scuri alle tonalità chiare e rosee del sole nascente. A poco a poco l’orizzonte si colorò di rosso mentre poco più su si intravedevano sfumature cerulee. Pian piano prima l’oro, poi l’azzurro ricoprirono la totalità del cielo, mentre le nuvole mutavano dal rosa all’arancio, verso un bianco luminoso. La luce si rifletteva sulle onde calme e tranquille del mare aperto mentre, sulla riva, qualcuno osservava la natura farsi spettacolo.

Erano anni che Damien non si soffermava ad osservare l’alba: ce n’erano state davvero poche negli anni che aveva vissuto. Tutto ciò che ricordava, quando ripensava a tutto ciò che aveva passato, l’alba e la luce erano l’ultima cosa di cui si ricordava. Ciò che vedeva era oscurità, intrighi e inganni. Era giunto da poco in quella cittadina dove tutto per lui era nuovo e così… strano. Non era abituato a vedere certe diavolerie di cui a stento comprendeva l’utilità.

Il sole sembrava fermo già da qualche istante. Damien diede un ultimo sguardo all’orizzonte. Era lì per trovare una persona ben precisa ma sapeva fin da allora che non sarebbe stato un incontro felice. L’ultima volta che si erano visti, Damien era stato costretto a causa sua a lasciare la sua “famiglia” per quello che era. Da lì tutto aveva preso una piega sbagliata, ma Damien era diventato temuto e rispettato e nessuno aveva più osato allontanarlo. Era potente, capace e l’unico ad aver rinunciato alla loro amicizia era stato quello che lui considerava più di un fratello. A quel pensiero, il giovane strinse il pugno e chiuse gli occhi, quasi a riprendere la calma. Avrebbe voluto colpire in faccia quel bastardo, ma in tutti gli anni passati non era mai riuscito ad odiarlo del tutto. Si sentiva ferito e per questo, ogni volta, si arrabbiava con se stesso.

In lontananza, uno strano rumore riportò il ragazzo al presente. Damien si voltò ed una strana “carrozza senza cavalli” passò a gran velocità. Sorrise al pensiero che qualcuno avesse trovato il modo di viaggiare senza il tanfo costante dei bisogni dei cavalli. Fece qualche passo verso l’interno della cittadina, dove un segnale indicava “Second Avenue”. Osservò i palazzi ai lati della strada, con grandi scritte che per lui erano quasi incomprensibili. Arrivò di fronte ad una torre sormontata da un grande orologio: il sole era stato fermo per ben più di qualche istante. L’orologio segnava le otto e quindici. Svoltò a destra, per quella che sembrava essere la strada principale della piccola cittadina e proseguì per un paio di minuti. Si fermò di fronte a quella che pareva una progredita versione di taverna e sorrise. Si appoggiò ad una di quelle strane carrozze che aveva visto sfrecciare poco fa e attese. Sapeva che la persona che cercava era lì dentro e che presto sarebbe uscita.

Damien si guardò ancora intorno, esplorando quel che aveva davanti di quel mondo così diverso dal suo. Le persone che aveva visto nella sua “passeggiata mattutina” erano sembrate molto tranquille e sembravano passarsela piuttosto bene. Forse era per quello che il suo amico non era più tornato nella Foresta Incantata. Magari gli avrebbe chiesto il perché non appena lo avesse… La porta della tavola calda si aprì e rimase così per qualche istante. Eccolo uscire, sorridente. Non appena richiusa la porta dietro di sé, il suo sguardo incrociò quello di Damien e la sua espressione cambiò all’istante. Il sorriso si trasformò in un misto di stupore e rabbia, i suoi occhi quasi sbarrati per la sorpresa. La ragazza, dietro di lui, non impiegò più di qualche secondo a capire che qualcosa non andava e anche lei si voltò a guardare il giovane. Damien sostenne lo sguardo dell’uomo e sorrise, salutando con due dita sulla fronte.

«È un bel po’ che non ci si vede, capitano»

L’espressione sul viso di Killian rimase la stessa per qualche lunghissimo minuto, mentre Damien lo fissava dall’altro lato della strada. Emma fissò il ragazzo.

«Killian? Chi diavolo è?» Domandò, scuotendogli il braccio. Killian non rispose. Con una leggera spinta Damien si allontanò da quell’aggeggio senza cavalli e, mani in tasca, abbassò lo sguardo, con lo stesso sorriso sulle labbra.

«Già, Killian. Perché non spieghi alla tua bella ragazza chi sono?»

«La sua “bella ragazza” è anche lo sceriffo della città, quindi che ne dici se ti porto a fare un giro in cent…» Killian, a sguardo basso, le aveva afferrato un braccio.

«Lascia che me ne occupi io, per favore.» Disse a voce bassa. Damien osservò i due scambiarsi un altro paio di battute e quanto protettiva fosse la ragazza nei confronti del pirata. Lei lo squadrò ancora una volta, poi tornò nel locale. Killian alzò lo sguardo e scese i gradini della tavola calda, avvicinandosi lentamente al ragazzo.

«Cosa sei venuto a fare qui?» Chiese.

«È così che si salutano i vecchi amici?» Damien sorrise, sarcastico. Hook lo spinse indietro fino a farlo sbattere contro l’auto e gli pose un braccio al collo.

«Killian!» Emma, che probabilmente era rimasta ad osservare la scena da dietro le finestre del diner, era ferma sulla porta.

«Dimmi. Cosa. Vuoi.» Scandì il capitano.

«Faresti meglio… a calmarti, Jones», rispose lui a mezzo fiato. «Sai bene che mi basterebbe un gesto della mano a scaraventarti via.» Sussurrò. Killian mollò la presa.

«Ci tenevo solo a dirti che ora sono qui. Starò al porto… Spero non ti dispiaccia se mi appoggerò sulla nostra, pardon, la tua nave.» continuò Damien a voce bassa. Si mise a posto il cappotto, mentre Emma raggiungeva il pirata. Damien le sorrise e si allontanò, tornando verso il porto.

«Chi diavolo è?» Domandò Emma, senza distogliere il suo sguardo da lui. Killian era completamente distratto.

«Sei solo un idiota, Damien!» La voce del ragazzo era allegra e impertinente mentre la sua lama colpiva quella dell’amico.

«Sarei io l’idiota, Jones? Non sei tu che ti sei fatto “scappare la donzella?”» Il ragazzo non esitò a rispondere all’attacco di Killian.

«Dicevi che era sarebbe stata un bell’incontro, e mi hai rifilato miss Belinor!» Il ragazzo tentò un affondo ma Damien si spostò in tempo per schivare il colpo.

«Cos’hai contro miss Belinor? È bella, intelligente, non è un buon partito?» Replicò Damien, con un sorriso ironico, mentre attaccava nuovamente.

«Sì, bella, intelligente e attempata! Avrà il doppio dei miei anni!» Killian notò che l’amico si stava parecchio divertendo a sentirlo e inflisse più forza nei suoi colpi. Damien schivò gli attacchi e riuscì a puntare la sua lama alla gola dell’amico. I due si fermarono per qualche istante.

«E anche quest’oggi ti ho battuto, Jones. Direi che possiamo cessare allenamento. E su miss Belinor dovresti ripensarci, una donna come lei potrebbe darti diversi consigli su come prendere... la vita!» Concluse Damien, riponendo la sua spada. Killian si ricompose e sostenne lo sguardo compiaciuto del compagno.

«Una donna come lei è meglio che trovi qualcuno di più maturo.» Killian sorrise. «E per la spada, è stata solo fortuna, James. Sai bene che il migliore con la spada tra di noi sono io!» Damien scoppiò in una fragorosa risata e mise una mano sulla spalla dell’amico.

«È vero. Il migliore dei due sei tu. Non so cosa avrei fatto senza di te.» Lo sguardo era diventato di colpo cupo. Il giovane gli sorrise. Non aveva mai visto Damien come in quel periodo. Erano passati poco più di tre mesi da quando, in un tragico incidente, aveva perso la giovane moglie e il figlio di sei anni. Era stato lui ad insistere per portarli a teatro, nonostante il brutto tempo. Un fulmine aveva colpito il luogo e le travi in legno avevano rapidamente preso fuoco. In pochi istanti, la struttura aveva iniziato a cedere e la folla impaurita aveva cercato di raggiungere le uscite: tra gli spintoni di chi, in preda al panico, non si curava dei vicini, avevano fatto sì che Aline lasciasse la mano di Damien. Il soldato aveva cercato di tornare indietro, di riprenderla ma era stato trascinato via dalla folla. Dopo pochi istanti il tetto del teatro aveva ceduto, sotterrando chi era rimasto, sfortunatamente, all’interno. Avevano scavato per giorni e solo dopo quasi una settimana Damien aveva ritrovato i corpi di Aline e del loro piccolo, sepolti tra le macerie.

«Lo avresti fatto anche tu per me, ne sono certo.» La voce di Killian destò Damien da quei pensieri, da quei ricordi dolorosi. Il giovane fece un sorriso malinconico ed annuì.

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Capitolo 2
*** Easy, Tiger ***


I personaggi citati in questa fanfiction non sono di mia proprietà ma appartengono ai rispettivi proprietari.
Questa storia è scritta e pubblicata senza scopo di lucro.

Easy, Tiger.

I pensieri di Killian erano tutti rivolti a quel ragazzo. Aveva in mente il viso di Damien e continuava a rivedere la scena della sera precedente.

È così che si salutano i vecchi amici?

La voce di Damien rimbombava nella sua mente. Tutto il passato era stato catapultato, di colpo, davanti ai suoi occhi. Tutto ciò che aveva cercato di dimenticare, le cose a cui, ormai, non pensava più, erano tornare, tutte insieme.

Era notte fonda. Aveva lasciato Emma a casa sua, dopo averla rassicurata e averle promesso che si sarebbe occupato di quel ragazzo. Non aveva voluto darle spiegazioni, non più di quanto fosse necessario, e lei aveva capito.

«Sappi che quando sarai pronto, io sarò qui» Gli aveva detto la ragazza. L’aveva salutata con un bacio e si era incamminato. La Jolly Roger era davanti a lui. Si fermò a guardarla. Damien gli aveva chiaramente detto dove sarebbe andato. Il vento increspava leggermente le onde della baia e al tempo stesso sembrava increspare i suoi pensieri. Killian assaporò l’odore di sale, quell’odore che aveva sentito tante volte in mare aperto. Quel profumo tanto familiare lo spinse indietro, con la memoria, a quando solcare i mari con la sua nave era tutto per lui, prima di incontrare il suo coccodrillo. Si soffermò a pensare alla sua vita, quella attuale, quella con Emma. Come stava, ora?

«Killian. Stai bene?» La voce del suo amico era calma. Il capitano annuì. Damien si avvicinò a lui e gli pose una mano sulla spalla.

«Mi dispiace tanto per Liam.» Killian annuì ancora. Restarono per un po’ in silenzio. Il suo sguardo era cupo e quasi assente. Aveva parlato con rabbia e dolore ai suoi, aveva deciso di cambiare la sua vita, di colpo, e di cambiare quella di chi era con lui. Damien non aveva avuto dubbi. Sarebbe rimasto a fianco del suo amico fino alla fine. D’un tratto il capitano non batté un pugno sul tavolo lì accanto, facendo sussultare mappe e calamai.

«È morto per una stupida missione, è morto a causa di gente a cui di noi non importa. Quel ragazzino sull’isola ci aveva avvisato. Non dovevamo…» La voce, piena di rabbia e risentimento, si spezzò. Il dolore era immenso e sembrava insormontabile. Il senso di colpa per non aver ascoltato le parole di quel ragazzo, sull’Isola, si faceva strada nei meandri della sua mente.

«Ehi.» Rispose Damien, poggiando le mani sulle spalle dell’amico. «Liam è morto perché qualcuno voleva servirsi della magia per vincere questa dannata guerra, non perché l’hai portato qui. Tu non hai colpe, è chiaro?» Killian sollevò la testa, scrollandosi dalla presa dell’amico.

«Damien, io avrei…»

«No, Killian. Tu non avresti potuto fare niente. Sai quanto era testardo Liam, non avresti potuto neanche lasciarlo su quell’isola, sarebbe tornato a nuoto.» Killian sorrise all’idea. Suo fratello l’avrebbe fatto per davvero. Restarono un po’ lì, in silenzio. Damien sapeva sempre stargli accanto, capire ciò che gli passava per la testa.
«Dovresti prendere un po’ d’aria. Saliamo.» Killian annuì. Damien andò su per le scale che conducevano di sopra. Con un sorriso si rivolse al comandante.


«C’è davvero un’arietta piacevole stasera, non credi?» Damien era appoggiato sul bordo della Jolly Roger e guardava Killian dall’alto. «Non starai esitando a salire sulla tua stessa nave, capitano

«Vieni giù, Damien, e dimmi perché diavolo sei a Storybrooke.» Hook era alquanto nervoso per la situazione e anche perché qualcuno era salito sulla nave senza il suo esplicito permesso. L’altro, dalla nave, sorrise.

«Agli ordini, capitano… o quasi.» Rispose, prendendosi gioco di lui. Si incamminò verso il pontile e raggiunse il pirata. I due si scrutarono a lungo prima di prendere la parola. Gli occhi scuri di Damien erano fissi su quelli del pirata. Sapevano, un tempo, comprendersi così. L’intesa della loro amicizia era sempre stata sufficiente a entrambi per capire l’altro. Killian avvertì che non era più quella, la loro situazione.

«Cosa vuoi?» Domandò, sempre più irritato dalla presenza di Damien.

«Abbiamo proprio dimenticato le buone maniere, amico mio.» Rispose.

«Io e te abbiamo smesso di essere amici da lungo tempo ormai.» La voce di Hook era ferma e bassa, lui immobile.

«Non è per colpa mia, Jones. Non sono io quello che ha voltato le spalle all’altro.» Killian sembrò colpito da quell’affermazione. «Considerando il perché mi hai fatto camminare lungo l’asse, vederti con Miss Swan mi ha fatto pensare molto.»

«Tienila fuori da questa storia! È una questione che riguarda solo noi» Urlò il capitano. L’altro si lasciò andare ad una fragorosa risata.

«Non ha mai riguardato solo noi e lo sai. Devo ricordarti quando hai deciso che non potevo più stare al tuo fianco? Quando il tuo cieco dolore ha fatto sì che te la prendessi con me?» Damien si stava scaldando. Fece qualche passo verso il capitano: le parole di Killian avevano toccato un nervo scoperto. Il capitano sorrise a sua volta.

«È per questo che sei qui? Ti sei sentito rifiutato e abbandonato? Povero, povero Damien!»

«Piano, tigre. Ti consiglio di non esagerare.» Hook tacque. Solo una persona, prima di allora, lo aveva chiamato così. Tra i due tornò il silenzio. Killian sapeva di cosa era capace Damien e provocarlo non gli avrebbe dato nessun vantaggio.

«Dimmi perché sei qui, Damien» Il tono era tornato basso e secco. Il capitano scrutava l’altro, non sapendo bene cosa aspettarsi da lui. Il volto di Damien era quello di prima, disteso e impassibile. Non riuscivano a comprendersi. L’uno osservava l’altro ma ogni piccola reazione del viso, ogni piccolo movimento di quei corpi era imperscrutabile.

«Qualcuno ha richiesto i miei servigi qui, capitano. Conosci le mie potenzialità.» Damien fece qualche passo in tondo. «Prima di eseguire, avevo pensato di passare a salutarti. Sai com’è, ne abbiamo passate tante insieme.» Hook non riusciva a capire se il suo vecchio amico fosse serio o ironico. Era a conoscenza delle potenzialità di Damien, e ciò non presagiva nulla di buono.

«Parla chiaro.» Rispose, secco.

«Ho smesso di prendere ordini da te nel momento esatto in cui mi hai fatto saltare l’asse e finire nell’oceano.» Damien proferì quelle parole con estrema durezza. «Ho saputo che Barbanera ha cambiato sistema, di recente. Chiude i condannati in bauli di legno… Altrimenti si salvano.»

«Lavori per lui?» Domandò il capitano. Damien non riuscì a trattenersi dal ridere sonoramente.

«Barbanera non è altro che un pirata da quattro soldi e lo sappiamo entrambi. I miei talenti sono ben più raffinati.» Rispose il giovane, sfregandosi due dita con il pollice destro. «Comunque… Non sono affari che ti riguardano, mio capitano

«Fa del male a qualcuno e te la vedrai con me» sussurrò Killian. Damien sorrise.

«Con te? Jones, non mi fai alcuna paura. Vedo che tu sei cambiato, ma fidati. Sono cambiato molto anche io dall’ultima volta in cui ci siamo visti.» Lo sguardo del ragazzo era semicoperto dai capelli scuri. Erano corti rispetto a come li ricordava Killian. Quando erano nelle truppe di sua maestà portavano entrambi i capelli lunghi. «Non intralciare i miei piani, Jones.»

«Se i tuoi piani prevedono far del male alle persone di Storybrooke, sarà imprevedibile, James.» Anche Killian l’aveva chiamato come facevano un tempo, per cognome. La sfida era iniziata. Damien sorrise, ancora.
«Non cambi mai, Jones. Anche da... pirata ti fai prendere dai sentimentalismi, dagli affetti. Non hai ancora capito che sei destinato a perderli? Miss Swan» Killian scattò in avanti.

«Non. Permetterti. Di. Nominarla.» Erano a pochi metri l’uno dall’altro.

«Non le farò niente, almeno per ora. Mi chiedevo solo come avessi fatto tu a passare sul piccolissimo dettaglio dei suoi…»

«Sono passato al di sopra di quel dettaglio molto tempo fa, Damien, quando ho capito che poteva essermi utile.» Lo interruppe il capitano. Lo sguardo dell’inglese divenne cupo e rabbioso.

«Immagino poco dopo esserti liberato di me.» Killian sostenne quello sguardo senza battere ciglio.

«È meglio che tu te ne vada, James.» Disse il capitano, dirigendosi verso la nave. «Non c’è posto per te qui a Storybrooke.» Damien rimase fermo, in silenzio, mentre Killian scompariva nella cabina.

«Lo vedremo, capitano. Lo vedremo.»

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Capitolo 3
*** 'That' man ***


I personaggi citati in questa fanfiction non sono di mia proprietà ma appartengono ai rispettivi proprietari.
Questa storia è scritta e pubblicata senza scopo di lucro.

That man

«Ordino la colazione anche per te?» Killian sorrise ed annuì, mentre Emma andava al bancone a chiedere due caffè e una cioccolata con cannella. Henry scrutò il pirata per qualche istante. Da qualche giorno era più silenzioso, senza le sue battute di spirito sempre presenti. Aveva sentito lui e sua madre discutere di questo nuovo tizio in città e sapeva che Killian era molto preoccupato.

«Sai» Disse, attirando l’attenzione di Hook. «Quando August è arrivato in città sembrava un tipo losco sia a me che alla mamma. Pensavamo che non saremmo mai riusciti a capire cosa ci facesse a Storybrooke. Emma invece ci è riuscita.» Il ragazzino sorrise. Hook ricambiò il sorriso e in quel momento Emma tornò a sedersi accanto a lui.

«Di cosa parlavate senza di me?» Domandò, afferrando la mano al pirata e intrecciandola alla sua.

«Niente, mamma.» Rispose Henry. «Piuttosto dove sono la mamma e Robin? Avevano detto che ci avrebbero raggiunto qui.»

Mentre parlavano Granny portò al loro tavolo ciò che avevano chiesto, e una grande fetta di torta al cioccolato.

«So che qualcuno ne va matto.» Disse con lo sguardo rivolto al ragazzino. «Offre la casa!» Henry ringraziò e sorridente ne assaggiò un gran pezzo, tra gli sguardi allegri di Emma e Killian. Erano passati quattro giorni da quando Damien era arrivato a Storybrooke e aveva detto al capitano che aveva del lavoro da fare. I fantasmi del passato di Killian lo avevano tormentato ogni notte, e ogni notte aveva rivisto i momenti passati con quel tipo, i belli e i brutti. Si sentiva in colpa per ciò che era successo, per come erano andate le cose.

Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dall’arrivo di Robin e Regina che si scusarono per il ritardo. Dalle loro espressioni era più che comprensibile che quello era stato un piacevole contrattempo. Killian ed Emma si scambiarono uno sguardo complice e sorrisero, mentre Regina cercava di guardare altrove, sebbene un piccolo sorriso le si disegnò sul viso.

«Signorino, non sarà troppa quella torta?», disse con fare autorevole il sindaco. Henry sorrise, stringendosi nelle spalle e continuò a mangiare. Emma scambiò quattro chiacchiere con Regina, mentre Robin, ancora in piedi, mise una mano sulla spalla di Hook.

«Come stai?» Domandò. Hook lo fissò per una frazione di secondo di troppo.

«Bene, bene.» Robin alzò le sopracciglia e Killian sospirò. «Non ho fatto altro che pensare a Damien, a cosa ci faccia qui.» Emma e Regina furono attirate dalla discussione e si misero in ascolto.

«Conosco bene quel ragazzo, è così per colpa mia.» Emma gli prese la mano.

«Killian…» Lui la guardò fisso negli occhi. Erano pieni di senso di colpa, quasi stessero chiedendo perdono a lei di aver fatto del male in passato.

«L’ho abbandonato nel momento in cui aveva bisogno di me. Se è così è per colpa mia.» Ripeté il capitano.

«Non è colpa tua, Killian» Disse Henry, posando la forchetta sul piatto ormai sporco di cioccolata. «Ognuno fa le sue scelte, lui avrà fatto le sue. Non sei responsabile di qualsiasi cosa abbia fatto. E qualunque cosa sia, l’affronteremo come sempre, insieme.» Killian lo guardò meravigliato e gli sorrise. Regina gli volse uno sguardo ammirato, così come Emma, e Robin gli sorrise.

«Vi meravigliate?» Disse lui, osservandoli uno ad uno. «Sono pur sempre l’autore!» Henry aveva reso l’atmosfera più leggera e la colazione continuò tra risate e chiacchiere leggere, come non succedeva da tempo. L’ombra di Damien non scomparve, ma Hook riuscì a godersi un po’ di tranquillità con le persone che amava.

 

«È così… dolce!» Gli disse. «L’uomo che ti ha buttato in mare ora se ne sta sereno e tranquillo con le persone che… ama, mentre tu sei qui, dopo secoli, senza nessuno!» Damien non sollevò neanche il viso.

«Dovrei invidiare Jones?» Domandò, secco.

«Non so se dovresti invidiarlo, ma di certo se la passa meglio di te, non credi?» Rispose l’uomo.

«Ho imparato tempo fa che i sentimenti non portano a niente di buono. Se pensi che Jones se la passi meglio per questo motivo, direi che ti sbagli di grosso.» Damien guardava fuori dalla finestra: alberi, tantissimi alberi. Erano al limitare della foresta di Storybrooke, in un luogo dove nessuno si sarebbe mai sognato di cercarli. L’uomo, dietro di lui, trafficava con i suoi arnesi.

Anche Damien aveva ripensato all’incontro col suo vecchio amico. Per quanto fosse stato in grado di trasmettere la sua sfacciataggine, rivedere l’amico aveva avuto anche un altro effetto. Quella ferita mai del tutto richiusa aveva ripreso a poco a poco a sanguinare, tutto il dolore gli era tornato in mente.

“Fanculo. Avevo detto che non ci avrei più rimuginato.” Disse tra sé, sbattendo i pugni sulla soglia di legno della finestra.

«Problemi?» L’uomo dietro di sé non si era voltato. Era impassibile, come sempre. Damien non l’aveva mai visto scaldarsi, solo compiacersi dei suoi traguardi.

«Come se t’interessasse.» Non erano amici, non lo sarebbero mai stati. Quell’uomo aveva solo preteso, pardon, richiesto a Damien di aiutarlo nella sua impresa. Se questa non fosse andata secondo i piani, avrebbe perso molto. E anche Damien. Il ragazzo pensò a questa rosea prospettiva e fece un bel respiro.

«Cosa dobbiamo fare?» Domandò. Anche se non poteva vederlo in viso, sapeva che quell’uomo aveva un sinistro ghigno disegnato sul volto. Agitò in aria le dita e di colpo, da un fumo violaceo, spuntò un foglio che l’uomo consegnò a Damien.

«Iniziamo da… lei.» Disse, con voce bassa e roca.

 

Era quasi metà mattina. Damien era fermo davanti alla porta del The Rabbit Hole, sebbene a quell’ora del mattino fosse tutto chiuso. Sapeva che la persona che cercava sarebbe passata di là, prima o poi. Aspettava pazientemente, lasciando che il vento di Storybrooke gli scompigliasse un po’ i capelli scuri. Le ciocche più lunghe si muovevano sulla fronte, dando ombra agli occhi di un azzurro pieno e corposo, che si muovevano lenti alla ricerca di quella ragazza. Il naso, piccolo e dritto, assaporava gli odori di quel mondo così strano ed interessante al tempo stesso.

Non ci volle molto. Damien scorse la ragazza poco lontano. Infilò una mano nella tasca della giacca e afferrò lo strano braccialetto che quell’uomo gli aveva dato. Iniziò a camminare in direzione opposta a quella della ragazza e, di proposito, la urtò. Il bracciale gli scivolò dalla mano, ma Damien non se ne curò.

«Scusami, accidenti… Ero sovrappensiero e non ti ho visto arrivare.» Disse impacciatamente. La ragazza rispose con accennando un sorriso.

«Ti è caduto…» Di colpo si fermò. Damien raccolse il braccialetto e ricambiò il sorriso, infilandolo al polso e stringendolo.

«Quello è…» Balbettò la ragazza. Damien sorrise ancora, fingendosi imbarazzato.

«Sai cos’è?» Disse.

«È un frammento di uovo di drago.» Lily concluse. Di colpo pose una mano sul petto, nel punto esatto in cui la sua maglietta nascondeva il suo ciondolo.

«Speravo di trovare qualche indizio di mio padre, qui a Storybrooke.» Disse il ragazzo, con lo sguardo triste. Lily ebbe un sussulto.

«Tuo padre era… un drago?» Il ragazzo annuì.

«Ho chiesto a mia madre, molto tempo fa… Ma neanche lei sa chi fosse… Sai…»

«Cose da draghi» Lo interruppe Lily, pronunciando la frase in modo estremamente lento. Lui si fece scappare una leggera risata ed annuì. «Hai… hai trovato nulla?» Domandò lei. Damien scosse la testa.

«Niente di concreto. Un’anziana signora, nel nostro mondo, mi aveva consigliato un incantesimo che mi avrebbe portato da lui. Ha sempre detto che sarebbe stato estremamente complicato ma voglio provarci ugualmente. Se è qui a Storybrooke lo troverò.» Lily era sempre più confusa. Anche lei era disperatamente alla ricerca del padre e a quanto pareva, quel ragazzo poteva darle qualche risposta. Afferrò il ciondolo e lo mostrò a Damien. Il ragazzo si finse sorpreso.

«Forse puoi aiutarmi.» Disse lei. Damien sgranò gli occhi.

«Tu sei…?» Domandò. La ragazza non lo lasciò finire e annuì. La meraviglia sul volto di Damien si trasformò in uno stupendo sorriso.

«È così… raro. Pensavo di essere l’unico, o quasi.» Lily sorrise di rimando.

«So bene che cosa si prova. È… bello.» Disse lei.

«Anche tu cerchi tuo padre?» Domandò Damien. La ragazza annuì.

«Puoi insegnarmi come fare?» Chiese, ansiosa.

«Posso fare di più, possiamo farlo insieme. Purtroppo c’è solo una scaglia di drago, ma credo che potrebbe funzionare ugualmente.» Lily non riusciva a crederci. Finalmente avrebbe avuto notizie di suo padre, avrebbe saputo chi era.

I due si recarono in mezzo alla foresta. Damien aveva già preparato un cerchio di pietre e un fuoco ardeva esilmente.

«Iniziamo. Ci stai?» Disse lui, tendendo la mano verso la giovane. Lei esitò per un istante, poi la strinse forte.

«Ci sto.» Disse la giovane. Damien le sorrise. Afferrò dalla tasca una scaglia nera e un ago.

«Prendi la tua collana e dammi la mano.» Disse alla giovane. Lily si sfilò il pendente e pose il pezzetto di uovo nel palmo della mano. Damien si avvicinò e con l’ago punse l’indice della ragazza.

«Condividete lo stesso sangue, potremo cercarlo così.» La rassicurò sorridendo. Divise in due la scaglia di drago e ne posò metà sul ciondolo di Lily. Lui fece lo stesso con il braccialetto. Piegò l’indice che andò a piegarsi esattamente sulla scaglia e a macchiare il frammento. Con un cenno del capo incitò Lily a fare lo stesso. Improvvisamente il rossore del sangue si diffuse in tutto quel pezzo di guscio, facendolo illuminare di una luce strana.

Lily guardò verso il ragazzo, speranzosa. Damien annuì, sorridendole. La scaglia di drago si fuse ai due oggetti, dando loro una sfumatura nerastra.

«Ci siamo quasi.» Disse lui. Lily si sentiva eccitata e intimorita al tempo stesso. Da lì a poco avrebbe potuto sapere chi… Dopo pochi secondi, cadde a terra come svenuta. Damien sollevò una mano e la sospinse indietro. Lily si fermò come a mezz’aria. Mentre la mano del giovane scendeva lentamente verso il basso, anche il corpo faceva lo stesso, adagiandosi sul terreno. Il ciondolo restò così illuminato per qualche altro secondo, fino a che Damien non lo prese tra le sue mani.

«Mi dispiace.» Disse. Agitò la mano e di colpo, in una nuvola le cui sfumature ricordavano la profondità del mare, scomparve tutto: prima il focolare, poi Lily.

Damien mise via il ciondolo della ragazza e si incamminò verso il limitare della foresta. Era stato estremamente facile. Aveva giocato con il desiderio più grande della ragazza: era un’arma che funzionava sempre.

 

«L’abbiamo trovata qui, così. Sembra che non riesca a svegliarsi.» David aveva chiamato Emma, che esaminò la ragazza. Da lontanò si sentì urlare il nome della giovane e, con uno sguardo, chiese a Regina di tenere Malefica a distanza.

«Non è il caso che tu la veda, aspetta» Disse, cercando di fermarla.

«Mia figlia, mia figlia!» Gridava l’altra, con le lacrime che le sgorgavano lungo il viso.

«È viva!» Urlò Emma, sentendo il respiro della ragazza. «Adesso calmatevi, dobbiamo capire cosa le è accaduto.» Scese il silenzio. La Salvatrice osservò l’amica distesa su una panchina del porto.

«Non c’è niente di strano…» Sussurrò a David, che annuì. Un ambulanza dello Storybrooke General arrivò dopo pochi istanti. Emma scambiò due parole con i paramedici e corse da Malefica.

«È viva, ma non riesco a capire cosa succeda. La porteranno in ospedale e faranno dei controlli. Puoi andare con loro se…» Emma non aveva finito di parlare che Malefica annuì e corse verso l’ambulanza.

«Che cosa è successo?» Sussurrò Regina. Emma scosse il capo.

«Non ne ho idea.» Disse. «Aspettiamo di sapere cosa ci diranno i medici.» C’era qualcosa di strano, ma Emma pensò ad uno dei suoi soliti, prevenuti presentimenti. L’ambulanza partì. La ragazza si guardò ancora intorno in cerca di indizi ma sembrava non esserci niente.

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Capitolo 4
*** Something's Missing ***


I personaggi citati in questa fanfiction non sono di mia proprietà ma appartengono ai rispettivi proprietari.
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Something's Missing

«I parametri sono normali.» Disse Whale. «Non c’è niente di strano, anzi, è tutto nella norma, tranne il fatto che non si sveglia.» Malefica aveva gli occhi colmi di lacrime e non riusciva a proferire parola. Regina era accanto a lei, tentava di tranquillizzarla.

«Da che cosa può dipendere?» Domandò il sindaco. Il dottor Whale si strinse nelle spalle.

«Dovremo fare altri esami per determinarlo, ma ad ora non c’è assolutamente niente.» Attese qualche istante, fece un cenno col capo e poi si allontanò. Regina portò Malefica fino ad una delle sedie della sala d’attesa e l’aiutò a sedersi.

«L’ho… L’ho appena ritrovata…» Disse, con la voce rotta dal pianto.

«Non la perderai.» Le rispose Regina. Erano state amiche, avevano combattuto l’una al fianco dell’altra e l’una contro l’altra, eppure in momenti come quello tutto passava in secondo piano. Dall’ingresso del reparto arrivò Emma, con due bibite calde. Le porse alle altre due e domandò notizie di Lily. Regina ripeté brevemente quel poco che Whale aveva potuto dir loro. Rimasero in silenzio per qualche istante, poi la giovane posò una mano sulla spalla di Malefica.

«Ti prometto che risolverò tutto. Non permetterò che le succeda nulla.» Malefica la guardò, con gli occhi che le si riempivano ancora di lacrime e strinse forte la mano di Emma sulla sua spalla. Sapeva che la ragazza teneva a sua figlia. Lily le aveva raccontato come si erano conosciute e sapeva che Emma non l’avrebbe lasciata. Lo sceriffo ricambiò il sorriso. Diresse il suo sguardo a Regina e la donna si alzò.

«Se non c’è nessuna ragione medica…» disse la Swan. Regina annuì. Aveva già compreso dove la ragazza voleva arrivare.

«Non sono riuscita a scoprire molto, ma posso assicurarti che c’è traccia di magia su di lei.» Le due restarono qualche istante in silenzio.

«Teniamolo per noi.» Disse Emma. «Non è il caso di scatenare il panico nella città, per adesso.» Regina annuì.

«Proverò a capire che cosa le succede. Magari dopo aver portato Malefica a riposare.» Emma assentì e andò a cercare Whale.

«Ho bisogno di vedere Lily.» Gli disse.

«La paziente sta riposando, Emma.» Rispose, voltandosi per andare via. Emma lo afferrò per un braccio.

«Non penso sarà un problema, dato che è nello stesso stato da quando l’abbiamo trovata. Lily di certo non se la prenderà e se vuoi che ti aiuti a capire se c’è qualche altra ragione che possa averla ridotta così, io devo. Vedere. Lily. Ora.» Aveva detto tutto d’un fiato, a voce bassa per non farsi sentire da tutti. Whale si divincolò dalla presa e accompagnò la ragazza dall’amica.

«Cinque minuti, poi devi andartene.» Emma annuì ed entrò. Il bip continuo delle macchine avrebbe dovuto dare tranquillità a chi era preoccupato, ma non faceva altro che aumentare quello stato di ansia e irrequietezza. Lily era distesa nel letto. Sembrava che stesse solo dormendo ma la realtà era ben diversa. Si guardò intorno, alla ricerca di qualche dettaglio che poteva esserle sfuggito ma non notò nulla. Gli abiti erano stati conservati in uno degli armadietti della stanza e non mostravano nessuna stranezza. Richiuse la piccola anta e si avvicinò al letto. Osservò fuori dalla stanza, attraverso i vetri. Non c’era nessuno. Aprì i palmi e li pose all’altezza del petto dell’amica.

“Su, Lily… Dimmi qualcosa…” Disse tra sé Emma. Cercò di canalizzare la sua magia, di fare in modo che fluisse nel corpo di Lily e che le portasse qualcosa di suo, anche un piccolissimo indizio da cui cominciare sarebbe andato bene.

 

«Cosa ne farai di questo pezzo di antiquariato, ora?» Domandò Damien, posando il ciondolo di Lily sul tavolo di legno. Quell’uomo non rispose. Damien attese qualche istante, poi si sedette accanto alla finestra, allungando i piedi sul tavolo. Sapeva bene che cos’era quel pezzo di guscio, adesso. La sua natura era completamente cambiata e a lui era legata la cosa più forte che potesse esistere. Damien lo sapeva, perché aveva subito lo stesso destino. Sentì l’uomo ridere a voce sommessa, poco distante.

«Ogni volta che ci pensi, io lo sento, sai?» Quell’uomo continuava a dargli le spalle. Trafficava con erbe ed estratti di assurde parti di assurdi animali. Era abile ed estremamente versato in quell’arte oscura, un’arte che ben pochi si azzardavano a praticare. Nel tempo anche Damien aveva imparato qualcosa. Era strano: nella sua vita non aveva mai avuto bisogno di imparare. Era sempre stato considerato come speciale e il suo dono come innato. Il destino era davvero beffardo, se aveva voluto propinargli proprio quella particolare arte da apprendere.

Fin da bambino era stato considerato un piccolo prodigio, all’interno della sua famiglia. Sua madre gli aveva sempre raccontato che fin da piccolo aveva uno spiccato senso pratico, diceva lei, e un modo tutto suo di afferrare e appropriarsi delle cose. A volte lo prendeva in giro dicendo di aver dato vita ad un abile ladruncolo dagli occhi dolci.

Damien sorrise a quel pensiero e la sua mente si lasciò andare a poco a poco.

«Patetico…» Mormorò l’uomo, facendo scivolare una mano lunga e affusolata sul tavolo e afferrando la collana di Lily. Damien tornò con la mente in quel luogo e osservò il suo carceriere, pardon, collaboratore, che versava alcune gocce di una sostanza nel piccolo paiolo che aveva davanti.

«Te ne manca una.» Disse, a voce bassa. L’uomo si irrigidì. «Le ho contate, ti manca una goccia di essenza di rosmarino. Te ne servono tredici e tu ne hai messe solo dodici.» L’uomo era ancora lì, fermo con la boccetta tra l’indice e il pollice della mano sinistra. Una presa salda, quasi nervosa, uno sguardo truce, le narici dilatate dall’ira nascente. Di colpo si ricompose. Si voltò e con un sinistro sorriso porse l’ampolla a Damien.

«Sai che una sola goccia può ucciderci, entrambi. Perché non lo fai tu?» Damien lo squadrò per alcuni lunghi istanti. Il sorriso malevolo di quell’uomo non cambiò. Il giovane si alzò, afferrò la fiala e lasciò cadere un’altra goccia di quel liquido color smeraldo. I due si osservarono, quasi fosse una sfida, e quando non successe nulla, l’uomo congedò con un gesto Damien, che tornò a sedersi.

«Procedi.» Disse lui. Damien tese la mano e una fumata viola portò un nuovo foglio nella sua mano. Damien alzò lo sguardo.

«Seriamente?» Domandò. Una nuvola di fumo viola sbuffò dal calderone. L’uomo immerse il ciondolo di Lily per pochi secondi, poi lo appese davanti a sé, ad un piccolissimo gancio affiancato a molti altri, dai quali pendevano molti oggetti. Disinvolto e soddisfatto si voltò.

«Sei ancora qui?» Disse a Damien. Il giovane si sollevò.

«Seriamente.» Disse tra sé. Agitò una mano e il suo caratteristico fumo blu oceano lo avvolse, facendolo sparire.

 

Erano passate diverse ore da quando avevano fatto colazione tutti insieme e la giornata era trascorsa tranquillamente, come una di quelle alle quali Regina non era più abituata. Era tornata a casa con Robin e avevano avuto un po’ di tempo da soli, mentre Henry si era proposto di badare a Roland. Lei e Robin avevano davvero bisogno di stare per conto loro per un po’: i soliti problemi della città ricadevano su di lei e, di conseguenza su Robin.

Avevano passato una splendida giornata insieme, un ottimo pranzo insieme ai due ragazzi e si erano rilassati. Ora, dopo una lunga passeggiata, attraversavano il viale del cimitero di Storybrooke, come Regina faceva ogni mercoledì sera, portando fiori sulla tomba di suo padre. Entrò nel mausoleo e posò un piccolo mazzo di frangipani, dall’esotico profumo di agrumi. Erano passati oltre trent’anni da quando l’aveva perso, eppure il dolore che gli aveva causato si era a mala pena affievolito. Robin la strinse a sé e lei sorrise. Sfiorò ancora il marmo freddo, poi si incamminò verso la porta, stringendo la mano del suo compagno. Scesero i pochi gradini d’ingresso e s’incamminarono. Pochi passi dopo Regina si fermò. Qualcosa nell’aria non andava. Robin la osservò, mentre lei lanciava il suo sguardo a destra e a manca.

«C’è qualcosa di strano.» Disse lei. Robin cercò di notare ogni stranezza attorno a loro. Di colpo allungò il braccio.

«Lì, Regina. C’è stato un bagliore.» I due corsero nella direzione che Robin aveva indicato e si ritrovarono a pochi metri da quella che era diventata la tomba di Crudelia. La terra era visibilmente smessa ma lì attorno non c’era nessuno. Robin si guardò intorno mentre Regina osservava quel luogo. Sentiva la magia che fino a pochi istanti prima era lì presente, ma non riusciva a capire. Afferrò il cellulare e compose il numero di Emma.

«C’è qualcosa che non va. Sono al cimitero. Qualcuno ha saccheggiato la tomba di Crudelia. Ok. Ti aspetto.»

 

«C’è un accenno di impronta lì.» Disse Robin, indicando un punto poco lontano dal limitare della fossa. Emma annuì. Si avvicinò a Regina e osservò la scena. Avevano riesumato il corpo della donna, al quale sembrava non mancare nulla. Emma si piegò ad osservarla. Era in uno stato pessimo, dopo quasi due anni dalla morte.

«L’anello.» Disse. Regina, sovrappensiero, le domandò di ripetere.

«Hanno preso l’anello. C’è della terra sul palmo, in un unico punto, probabilmente l’indice del ladro era coperto di terriccio e deve averlo sfiorato.» Regina si avvicinò.

«Che cosa si fa con il gioiello di una donna morta?» Domandò, ironica.
Emma posizionò le mani su Crudelia e cercò di fare ciò che aveva fatto con Lily. Regina la osservava, quasi compiaciuta di quello che la Swan aveva imparato.

«Niente?» Domandò. Emma scosse la testa.

«No, niente. è una sensazione strana, l’ho avvertita anche con Lily.» Fissò l’amica negli occhi. «è come se mancasse qualcosa.»

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Capitolo 5
*** Souls ***


Chiedo scusa per la lunghissima attesa nel postare questo quinto capitolo, spero che vi piaccia e che vi faccia capire cosa sta succedendo (gli indizi ci sono)!
Grazie a tutti/e quelli/e che continuano a leggere!


I personaggi citati in questa fanfiction non sono di mia proprietà ma appartengono ai rispettivi proprietari.
Questa storia è scritta e pubblicata senza scopo di lucro.

Souls

La lampada che dava luce alla scrivania di Emma si spense di colpo. La ragazza si guardò in giro, sorpresa e all’erta, temendo che qualcuno potesse essere entrato. Dopo pochi istanti, la luce lampeggiò per qualche istante prima di fissarsi, nuovamente accesa.

“Accidenti, devo ricordarmi di cambiarla…” si disse. Guardò l’orologio. Era passata oltre un’ora da quando sarebbe dovuta uscire di lì e raggiungere Killian ed Henry.

“Accidenti…” Riammucchiò i fogli che aveva sulla scrivania senza badare troppo all’ordine. Li posò sul lato destro del tavolo e recuperò il cellulare. Sul display comparve l’avviso di batteria scarica.

“Dannazione!” Emma premette il pulsante sul bordo superiore e lo infilò in tasca. Dopo poco la lampada sulla scrivania lampeggiò di nuovo. La ragazza si voltò e vide un foglietto di piccole dimensioni proprio sotto alla lampada. Non ricordava di averlo lasciato lì, ed erano passati solo pochi istanti. Alzò gli occhi e osservò il resto della stanza, fissando gli angoli bui dell’ufficio, attendendo qualche istante che la sua vista si abituasse a quell’oscurità. Non notò nulla. Nessuna strana presenza in quel piccolo ufficio. Non che la cosa la preoccupasse: sapeva come difendersi, con le mani e con la magia. Prese la sua giacca rossa e, uscendo, allungò la mano a prendere quel bigliettino. Tirò fuori il cellulare e compose rapidamente il numero di Killian.

«Ho perso la cognizione del tempo, sto arrivando. Dove siete?» Il cellulare gracchiò per qualche secondo poi non si sentì più nulla. Guardò il display del suo smartphone e vide che si era completamente spento. Mormorò qualcosa tra i denti e si diresse verso il suo maggiolino. Per un attimo le sembrò di vedere qualcuno. Si guardò intorno e, ancora una volta, non vide nessuno. Si disse che aveva lavorato troppo quella sera e si infilò in macchina. Mise in moto e partì ma dopo pochi metri i suoi fari illuminarono qualcosa. No, non qualcosa, qualcuno. Emma, occhi spaventati e viso in preda al terrore e alla sorpresa, inchiodò e sterzò, andando quasi a sbattere contro uno degli alberi sul ciglio della strada. Scese immediatamente dall’auto e si guardò indietro. Era sicura di averla vista, questa volta. Era davvero lei. Fece qualche passo, accese la torcia e la diresse verso gli alberi, cercando di capire se ci fosse qualcuno lì attorno. Sussultò al sentire il clacson del pick-up di David ma si sentì rincuorata.

«Tutto bene?» Domandò Killian, scendendo dall’auto all'istante. Emma lo abbracciò e annuì. David intanto aveva spento il motore e si era avvicinato.

«Stai bene? È successo qualcosa?» Chiese. Emma annuì anche a lui e riprese fiato. Si voltò verso l’auto e vide che lo sportello era ancora aperto.

«Mi è sembrato di vedere… qualcuno di fronte all’auto, ho sterzato per evitarla e sono scesa a vedere…» Killian non le aveva lasciato la mano. Nell’altra Emma stringeva ancora quel piccolo biglietto bianco che aveva trovato al dipartimento. Era così tesa da averlo praticamente accartocciato. Killian prese dolcemente la sua mano e glielo sfilò. La mano di Emma si rilassò immediatamente. Guardò Killian aprire il foglietto e si sporse leggermente per osservarlo.

«Era sulla scrivania dell’ufficio.» gli disse Emma. C’era uno strano disegno. Uno strano rettangolo con gli spigoli allungati. Al suo interno due linee oblique convergevano verso il basso, nel centro, e dal lato opposto una sorta di campana. Killian e David guardarono Emma.

«Non ricordo di averlo mai visto lì. Potrebbe non essere niente. Sto diventando paranoica con questa storia di Lily.» Killian la strinse a sé. Decisero di vedersi da Granny mentre David andava a recuperare Mary Margaret e il piccolo Neal a casa. Mentre Emma guidava, silenziosa, Killian la osservava.

«Ho visto Crudelia.» Disse la Swan di colpo. «E non era un’allucinazione o qualcosa di simile. Era lei, davanti ai fari della mia auto. È per questo che ho sbandato.» Non aveva dato tempo a Killian perché rispondesse. Sapeva che, probabilmente, lui avrebbe dato la colpa alla stanchezza. Aveva dormito pochissimo negli scorsi giorni: voleva aiutare l’amica ma non c’era ancora riuscita.

«Sei sicura che fosse lei?» Emma annuì. Killian rimase in silenzio, pensieroso.

 

«Come mai così pensieroso, Jones?» Damien aveva raggiunto Killian sulla prua.

«Sono ancora il tuo capitano, Damien», rispose lui senza neanche voltarsi a guardare.

«Oh, siamo di cattivo umore stamattina. È successo qualcosa con Milah?» Killian diede le spalle alla balaustra di legno della Jolly Roger e guardò l’amico.

«Mi chiedo se non dovrei abbandonare il mare e darle la vita che merita.» Damien rimase un po’ spiazzato dalla risposta. Si appoggiò anche lui al parapetto e attese che l’amico continuasse.

«È partita con me perché voleva l’avventura, ma credo senta la mancanza di una famiglia. Forse dovrei…»

«Forse dovresti semplicemente parlarne con lei, Jones. Non mi sembra il tipo che manda a dire le cose.» Damien sorrise. Conosceva bene Milah. L’aveva osservata, all’inizio. Si diceva portasse male avere a bordo delle donne, ma lei era stata una boccata d’aria fresca. Era una donna estremamente bella con un’anima vivace e desiderosa di conoscenza, di vita. Il suo viso si colorava di entusiasmo con estrema facilità: le bastavano i colori straordinari di un tramonto per renderla felice. Aveva imparato ad amare Killian non solo perché era l’emblema dell’avventura, ma perché aveva capito la sua anima.

Killian gli sorrise e gli diede una pacca sulla spalla, richiamando Damien dai suoi pensieri.

«Milah ti ama» Disse. «Non importa dove siete. Quel che importa è che voi due siete insieme.» Killian strinse la mano sulla spalla dell’amico. Sapeva quanto doveva essere difficile per lui pronunciare quelle parole.

«Ti ringrazio. È bello sapere di poter contare sulla sincerità di qualcuno.» Killian si diresse sotto coperta mentre Damien rimase lì sul ponte. Sincerità. Era esattamente quello che mancava tra loro. Il segreto che Damien aveva scelto di non rivelare a Killian pesava come un grosso macigno. Sapeva che probabilmente l’amico avrebbe capito la sua situazione ma non era il caso di sbandierare ciò che era ai quattro venti. Aveva iniziato a navigare per sentirsi una persona normale, e voleva rimanere tale. Non usava il suo dono da anni. L’ultima volta l’aveva fatto di nascosto, cercando di salvare Liam dal destino che il Rubus Noctis gli aveva riservato. Aveva quasi canalizzato la magia oscura del veleno dentro di sé. Sapeva qual era il prezzo da pagare e l’avrebbe fatto per il suo amico, ma l’incantesimo che aveva tentato era talmente potente che l’aveva steso pochi istanti dopo. Se avesse resistito, Liam sarebbe sopravvissuto. Da allora aveva promesso che non avrebbe più usato la magia.

 

«Sbaglio o è il caso di dire promesse da marinaio?» L’oscuro ghigno sul volto dell’uomo si trasformò in una sonora risata.

«Che cosa vuoi ancora?» Domandò Damien, spazientito.

«Ti ho procurato gli oggetti che mi avevi chiesto, a cosa ti servo ancora?» L’uomo smise di ridere e si schiarì la voce.

«Credi che sia già finita? Credi che rubare uno stupido ciondolo da una ragazzina e un anello dal corpo di un morto abbia esaurito il tuo compito?» Damien non rispose. Sapeva che non era così. L’uomo sorrise ancora.

«È stato bello poter usare Crudelia per spaventare un po’ la Salvatrice, vero? Hai fatto davvero un buon lavoro.» Damien sbatté i pugni contro il tavolo dove l’uomo era seduto.

«Dimmi. Che. Cosa. Vuoi.» L’uomo tornò serio e scuro in volto. Puntò l’indice contro Damien e a poco a poco avvicinò le altre dita, quasi a stringerle. Damien si sentì mancare il fiato. Nel profondo, un dolore straziante gli attanagliò tutto il corpo, impedendogli di muovere. Sentiva la testa leggera e un acuto dolore irradiarsi dall’addome a tutto il corpo, quasi venisse diviso in due da artigli feroci che penetravano dalla testa ai piedi, cercando di ghermire ogni singola parte di lui, fin giù nel profondo dell’anima stessa.

«Con te. Io. Non ho ancora. Finito.» Scandì l’uomo.

Un calore intenso e devastante sembrò invadere completamente Damien e avvolgere ogni membra del suo corpo. Si sentiva bruciare, ardere senza mai consumare, in un fuoco che aumentava la sua forza istante dopo istante. Avrebbe voluto sfogarsi urlando e, per un attimo, pregò che quell’uomo lo uccidesse.

L’istante dopo, nulla. Tutto era passato, come se niente fosse successo. Il dolore era praticamente svanito e per una frazione infinitesima di secondo Damien dubitò di averlo provato. Il giovane si lasciò cadere su una sedia sgangherata e restò in silenzio. L’uomo agitò in aria la mano e una cassetta rettangolare finemente decorata apparve davanti a lui.

«Siamo appena a metà dell’opera, mio caro.» Il ghigno tornò a spadroneggiare sul suo viso, mentre l’uomo apriva la scatola. Una luce verdastra illuminò il suo viso e con estrema cautela estrasse una fiala con un liquido trasparente.

«È ora di incontrare la corte. Usa le tue doti speciali

 

«Lui cosa?» Regina era sorpresa.

«Non so quale sia la definizione precisa, ma sembra che possieda la magia fin dalla nascita. Non ha dovuto mai “studiare” la magia, ce l’ha e basta.»

«E quando pensavi di dircelo?» Domandò Regina, indispettita dai segreti del pirata. «Potrebbe diventare un problema serio» Emma afferrò la mano di Hook, impedendogli di rispondere a Regina: non sarebbe finita bene.

«Non sappiamo se è stato lui a far comparire Crudelia. Se vuole vendicarsi di Killian non avrebbe tentato di spaventarmi, se è così determinato come sembra.» Killian spostò la sedia e uscì dal locale in fretta. Emma lo seguì.

«Dove stai andando?» Domandò la ragazza.

«A risolvere questa maledetta situazione! Non so cosa vuole, ma lo costringerò a dirmelo.» Rispose Hook, senza fermarsi. Emma lo raggiunse e gli pose le mani sulle spalle.

«Calmati. Fare in questo modo non ti ha mai portato nulla di buono. Non sappiamo ancora se Damien c’entri qualcosa in questa storia.» Killian fece un respiro e guardò Emma negli occhi. Era stanco di tutta quella situazione, stanco di non sapere e di non riuscire a proteggere le persone a cui teneva. Emma intrecciò le sue dita a quelle del capitano e gli diede un bacio sulle labbra. I due tornarono nel locale di Granny e raggiunsero gli altri al tavolo. Regina stava parlando del braccialetto che aveva usato per Zelena e che avrebbe provato a potenziarlo per contenere anche i poteri di un “puro”.

«Che ci sia lui o meno dietro questa storia, è utile essere pronti, per una volta.» Disse, osservando il biglietto che Emma aveva trovato sulla scrivania del distretto.

«Pensavo fosse uno scarabocchio, ma con tutto ciò che succede…» Disse Emma. Regina annuì, rigirandosi quel foglietto tra le mani. Cercava di guardare il simbolo in diversi modi, ma niente, non l’aveva mai visto.

«Da dove viene?» Belle era seduta al tavolo dietro di loro e aveva notato il disegno. «Scusate, non volevo origliare.» Disse, avvicinandosi al tavolo. Emma spiegò come l’aveva trovato e Regina le consegnò il bigliettino.

«Lo guardate nel modo sbagliato.» Disse la ragazza. Ruotò il simbolo di mezzo giro, e la punta si trovò verso l’alto.

«Ecco» Disse. «Nell’antichità si diceva che un simbolo simile fosse impresso sulla chiave di volta della porta dell’Ade, il Regno dell’Oltretomba.» Afferrò un tovagliolino di carta ed una penna e iniziò a disegnare un rettangolo aperto alla base.

«Questa è la pi greca, iniziale di πόρτα, pòrta. Questa invece,» Disse, disegnando le due diagonali e la linea centrale. «È un’alfa, sta per άδης, Ades, mondo sotterraneo. Mentre quest’ultimo segmento che unisce la pi indica la fine della vita, la chiusura.»

«Sai qualcosa di questo, invece?» Emma indicò il simbolo a forma di fiore al centro del rettangolo. Belle scosse la testa.

«È la prima volta che vedo il simbolo disegnato in questo modo. Domattina posso provare a guardare tra i libri della biblioteca.»

«Ed io ti darò una mano.» Adam le cinse i fianchi con le mani e Belle sorrise, poggiando la nuca al suo petto. Erano mesi che i due si frequentavano e finalmente Belle poteva essere felice. Da quando Gold era tornato l’Oscuro e le aveva nuovamente spezzato il cuore, Belle aveva smesso di sorridere. Solo Adam era stato capace di restituirle quella stupenda luce che da sempre aveva avuto negli occhi. L’aveva conquistata a poco a poco, andando in biblioteca praticamente tutti i giorni, leggendo ogni genere di libro gli capitasse a tiro, aspettando pazientemente che il suo cuore ricucisse le ferite che l’Oscuro aveva provocato.

«Grazie Belle» Rispose Emma, felice di vederla così serena. I due si allontanarono e uscirono dal locale. Gli altri decisero di pazientare fino all’indomani, e intanto di cenare con le famose lasagne di Granny.

«Ai problemi penseremo domani, ok?» Disse Emma nell’orecchio a Killian.

 

«Già, domani.» Disse l’uomo a Damien. «Sai com’è devo rendere conto ai miei… amici, nell’aldilà.»

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Capitolo 6
*** Walk the Plank ***


I personaggi citati in questa fanfiction non sono di mia proprietà ma appartengono ai rispettivi proprietari.
Questa storia è scritta e pubblicata senza scopo di lucro.

Walk the Plank

«Come sta?» La voce di Killian era preoccupata. Il suo volto era scuro e ansioso. Non poteva perdere Emma. Non voleva perderla. Aveva trascorso dei secoli a cercare solo vendetta ed era arrivato a conoscere l’amore quando non aveva più speranze. Gli occhi di Killian si rivolsero a Regina. La donna aveva il palmi delle mani aperti a pochi centimetri dal corpo esanime Emma. Il viso era concentrato a capire cosa stesse succedendo e come mai la sua amica non pareva uscire da quella sorta di sonno incantato. Avevano già provato tutti i rimedi “classici”, compreso il bacio del vero amore, ma nulla l’aveva riportata indietro. Killian strinse i pugni e chiuse con forza gli occhi quasi a trattenere tutta la rabbia che aveva dentro. Se Regina non riusciva a capirci qualcosa, di sicuro ce l’avrebbe fatta l’essere più potente di tutti. Aprì gli occhi e scese le scale fin nella cucina di David e Mary Margaret. Lì, seduto al tavolo, di spalle, c’era Mr. Gold. Killian si avvicinò con rabbia e gli pose una mano sulla spalla.

Il corpo di Gold si spostò lentamente verso destra, fino a cadere dalla sedia. I suoi occhi erano sbarrati e completamente bianchi. Dopo pochi istanti si chinò su di lui e pose l’uncino sotto le narici di Gold: non respirava. Killian si rialzò e lo fissò per alcuni istanti. L’uomo che avrebbe voluto vedere morto da oltre tre secoli era a terra davanti a lui. Nel momento in cui aveva più bisogno dell’Oscuro, proprio quando gli avrebbe concesso qualsiasi cosa avrebbe domandato in cambio, quello se n’era andato. Sul pavimento, il pugnale. L’anima nera di Gold era ancora legata a quell’oggetto mostruoso? Forse avrebbe potuto invocare l’Oscuro in ogni angolo dell’universo, con la nuova forza contenuta in quell’oggetto. Lo afferrò e lo rigirò tra le mani. Nessun nome. Quello che aveva in mano non era più il pugnale dell’Oscuro, non era più di un comune coltello da burro. In preda alla rabbia e alla disperazione, Killian scagliò via la lama urlando ma non sentì nessun tonfo. Quando si girò, alla sua destra, contro la parete, c’era Damien, due dita alzate all’altezza del naso, il pugnale fermo a mezz’aria e uno strano ghigno disegnato sul viso. Killian non esitò neanche un attimo e riafferrò il pugnale, spingendolo con forza contro quello che una volta considerava il suo migliore amico, ma si trovò con la lama infilzata al muro. Lo sentì ridere dietro di sé, si voltò e gli andò contro una seconda volta. Damien lo schivò e continuò a ridere.

«Restituiscimela.» Disse Killian, con un tono grave e fermo. Il pugno stretto tanto da imbianchire le nocche, la testa bassa. Si voltò lentamente, cercando gli occhi di Damien. L’altro sostenne lo sguardo del capitano senza battere ciglio.

«Mi dispiace, Killian. Io non posso farci niente. E neanche Regina potrà, non importa quanto ci provi.» Rispose, la voce sommessa, quasi empatica. Ci fu un attimo di silenzio in quella stanza.

«Dopotutto, ti avevo avvisato» Il ghigno era tornato sul viso di Damien. Lo sguardo era compiaciuto e divertito nel vedere Killian in quella situazione.

«Sapevi come sarebbe andata a finire se non ti fossi fermato, se non l’avessi tenuta lontana da quello che stava accadendo. Ora l’hai persa. E con lui, l’hai persa per sempre.» Killian scattò in avanti, urlando tutta la rabbia e il dolore che si sentiva dentro: un urlo disumano, qualcosa che anche alle sue stesse orecchie suonò estraneo e lontano. Era il suono dell’angoscia che proveniva dal più profondo dell’anima, la consapevolezza che ciò che stava dicendo Damien era la semplice verità. Il suo grido si propagò ovunque, a squarciare la notte: non avrebbe mai, mai più potuto rivedere Emma.

Con un rapidissimo scatto Killian si mise a sedere. I capelli grondavano di sudore. Le gocce scendevano lungo il collo e il petto, che respirava affannosamente, con movimenti rapidi e irregolari. Gli occhi sgranati si guardarono intorno, riconoscendo a stento l’ambiente della stiva. Prese un paio di respiri più lunghi e distese i muscoli, lasciandosi cadere di nuovo nel suo letto. La luce della luna attraversava le grate della finestra lì sopra, illuminando la fronte ancora umida. Era stato un incubo. Un orribile, devastante incubo. Si rimise a sedere sul bordo del letto, con la testa nelle mani, i gomiti sulle ginocchia. Il respiro non si era ancora del tutto calmato. Aveva provato quel dolore, aveva sentito ogni cosa di quel che aveva sognato. Era stato tutto così vivido, fino ad un istante prima e lo sembrava ancora adesso.

«Non era un sogno, Killian.» Il pirata sobbalzò a sentire quella voce. Si alzò di scatto afferrando la spada accanto al suo letto e si voltò. La lama era a pochi centimetri dal volto di Damien. L’istinto gli diceva di colpirlo, proprio come aveva tentato di fare poco prima nella sua mente, ma prima doveva capire di cosa stesse parlando. Rimasero in silenzio a guardarsi per qualche istante. Damien alzò le sopracciglia e guardò la punta della spada. Killian non si fece intimidire, lo spinse contro il legno della parete e avvicinò il filo della lama alla gola.

«Che cos’era, allora?» Domandò a voce bassissima, scandendo le parole una ad una. Damien non si scomodò. Sapeva che avrebbe potuto evitare con un battito di ciglia qualsiasi attacco del pirata.

«Era un avvertimento. Pensavi che non avrei saputo che hai confessato il mio piccolo sporco segreto a tutta l’allegra brigata?» Damien lo stava provocando. Da quando era arrivato a Storybrooke era sempre stato un passo avanti a tutti, Killian lo sapeva bene e la cosa lo preoccupava.

«Non sono qui per te, non sono qui per nessuno di voi... o quasi... Se voi lasciate in pace me, io lascio in pace voi. È abbastanza chiaro per te, Jones?» Il tono era estremamente fermo, calmo, fin troppo forse. Damien spostò con due dita – le stesse che aveva usato nel sogno di Killian per fermare il pugnale – la lama della spada e fece qualche passo verso il centro della cabina.

«Perché?» Disse Killian. La voce forte risuonò come una frustata nell’aria. Damien si fermò.

«Perché cosa?» Chiese Damien.

«Perché sei qui? Perché Emma?» La voce di Killian si incrinò quando le scene che aveva visto poco prima riaffiorarono nella sua mente come dei prepotenti flash.

«La magia. Non Emma. La magia è il punto.»

 

«Sembra che tu abbia trovato la famiglia che non hai mai avuto con me…» Tremotino scese le poche scalette del ponte della Jolly Roger. Milah afferrò il sacchetto dalle mani del prigioniero e prese il piccolo fagiolo magico al suo interno. Lo mostrò all’Oscuro e prima che questo potesse afferrarlo lo lanciò al capitano.

«Avete chiesto di vederlo. Ora l’avete visto.» Disse lui, stringendo il piccolo oggetto magico nella mano. Damien osservava la scena dall’altra parte della nave.

«Abbiamo un accordo?» Domandò Milah, con fare deciso, verso quello che un tempo era suo marito. «Possiamo andare ognuno per la propria strada?» La sua voce era secca e infastidita dalla presenza di colui che era diventato la causa di ogni vergogna nella sua vita.

«Intendi se posso perdonarti?» Domandò l’Oscuro. «Se posso andare avanti?» L’uomo iniziò a camminare lungo il ponte. «Forse… Forse… Vedo che sei davvero innamorata.» Milah fece un cenno con la testa.

«Grazie» Disse. Era sollevata, le sue spalle si rilassarono mentre una mano scendeva lungo il fianco. Damien era pronto ad intervenire ma rilassò la mano, mantenendo alta la guardia.

«Solo una domanda!» Tremotino la interruppe. Milah si voltò ancora verso di lui.

«Cosa vuoi sapere?» Domandò.

«Come hai potuto lasciare Bae?» Il dito accusatorio puntato contro la donna. Le corde della nave iniziarono a scattare tutto intorno. Milah era visibilmente spaventata da ciò che stava succedendo.

«Sai com’è stato tornare a casa quella sera e dire sapendo che avrei detto a nostro figlio che sua madre era morta?» Continuò.

«Ho sbagliato a mentirti. Sono stata una codarda. Lo so.» Rispose la donna cercando di tenere a bada la rabbia del Signore Oscuro.

«L’hai lasciato!» Urlò lui, con il dito puntato ancora una volta contro di lei. «Abbandonato!» La voce era sempre più forte.

«Non passa giorno senza che io mi senta dispiaciuta per quello che…» La donna provò a replicare, ma Tremotino la sopraffece.

«NON È ABBASTANZA!» Urlò. «L’hai lasciato andare.» La voce si era fatta bassa, estremamente untuosa.

«Ho lasciato che la mia infelicità offuscasse il mio giudizio» Replicò Milah, con il dolore negli occhi.

«Perché eri così infelice?» Domandò lui. Con uno sguardo di disprezzo la donna rispose immediatamente.

«Perché io non ti ho mai amato.» Passarono pochi istanti. Lo sguardo dell’Oscuro divenne vuoto. La rabbia raggrinzò il suo volto e, nello stesso momento, quello di Milah diventò l’immagine della paura. Sapeva cosa stava per succedere. Con un gesto repentino, il Signore Oscuro trapassò il petto della donna e ne afferrò il cuore.

«No!» Urlò Killian. Dall’altro lato della nave, Damien tese la mano davanti a lui: gli occhi sbarrati, la paura scavava fin dentro l’anima. Milah ansimava davanti ai suoi occhi, mentre i suoi poteri non funzionavano. Non avevano effetto su quel demonio. Una mano alzata immobilizzò il pirata che stava correndo in suo aiuto e Damien si sentì bloccato anche lui. Tentò con tutte le sue forze di liberarsi ma non ci riuscì. In un attimo il cuore di Milah divenne polvere e la donna si accasciò tra le braccia di Killian.

«Ti amo» Gli disse, prima di chiudere gli occhi per sempre. Il capitano accarezzò il viso della donna che amava. Damien si sentì mancare il respiro. In un attimo il suo mondo stava crollando.

«Avrete anche dei poteri, demone, ma rimanete sempre un codardo!» Urlò Killian, allontanandosi dal corpo della sua amata.

«Vorrei avere ciò per cui sono venuto.» Sul viso di Tremotino un sinistro sorriso.

«Dovrete uccidermi prima!» Urlò Killian, con il fagiolo ancora stretto nel palmo della mano. Damien scattò in avanti ma dopo un passo sentì di nuovo le gambe pesanti, come se qualcosa lo tenesse impigliato al pavimento della nave. Non riusciva a muovere un muscolo, neppure a parlare. La voce dell’Oscuro era nella sua testa: sapeva chi era, lo aveva sentito non appena aveva messo piede sulla Jolly Roger.

“Neanche un puro può fermare l’Oscurità!” Nessuno l’aveva sentito. L’eco forte di quella voce continuava a ridondare nella sua mente, sempre più forte. La risata sinistra del Signore Oscuro era come un forte martello che colpiva ogni angolo della sua testa. Damien si sentì cedere le ginocchia.

«Temo non sia il vostro momento, figliolo!» Con un secco colpo di spada, Tremotino tranciò di netto il polso del capitano, che cadde in ginocchio mentre l’Oscuro raccoglieva il suo trofeo.

«Vi voglio vivo, perché voglio vedervi soffrire come ho fatto io» Disse con voce melliflua. Killian afferrò uno dei ganci delle cime e lo affondò con forza nel petto di Tremotino.

«Per uccidermi servirà molto più di questo, caro!» Disse quello, ridendo.

«Anche i demoni possono essere uccisi!» Rispose Killian, la voce rotta dal dolore. «Troverò il modo!»

«Spero possiate vivere a lungo!» Rispose l’Oscuro, svanendo davanti ai suoi occhi.
Killian afferrò quel gancio e guardò Milah ancora una volta. Non appena l’Oscuro scomparve, anche Damien fu liberato da quella morsa. Corse in avanti, le gambe, ancora deboli, incespicavano. Si mise in ginocchio, tentando di raccogliere quel che rimaneva del cuore di Milah. Le lacrime scendevano lungo il viso. Pose le mani su quel mucchio di cenere e chiuse gli occhi. I suoi poteri erano potenti, l’aveva sempre saputo. Una luce avvolse la polvere. Un bagliore rosato sembrò scaturire dalle mani di Damien e dirigersi verso Milah.

“Ti prego, ti prego, ti prego” Continuava a ripetere Damien nella sua testa. Voleva ricostituire il cuore della persona che amava, ma nonostante gli sforzi, non ci riuscì.
Killian lo guardò: era incredulo davanti a quella scena. Conosceva Damien da tutta una vita e mai, mai aveva sospettato che il suo migliore amico possedesse la magia. Il giovane si diresse verso Milah, e pose le mani sul suo viso. Cercò ancora una volta di fare qualcosa, senza alcun risultato.

«Fermo!» Urlò Killian. Aveva lasciato cadere il gancio ed ora nella sua mano impugnava una spada, puntata contro il suo migliore amico. Damien lo guardò, colto all'improvviso da quell’urlo. La rabbia colorava il volto di Killian che lo guardava con disprezzo.

«Fermo.» Ripeté. Damien lo osservò. Conosceva bene Killian, ma era sicuro di non conoscere l’uomo che era davanti a lui in quel momento. Con un cenno del capo Killian comandò ai suoi uomini di prenderlo. Quelli afferrarono Damien per le braccia e lo sollevarono. Ordinò a mezza voce di portarlo sottocoperta, di tramortirlo e di legarlo. Damien non reagì. Insieme a Milah, quel giorno sapeva di aver perso anche il suo migliore amico.

 

«Devo farti i miei complimenti. Non ti credevo così… accurato.» L’uomo era davvero compiaciuto. Damien non rispose. «Hai stile.» Il sorriso sul volto dell’uomo si allargò. Istintivamente lo fece anche quello di Damien.

«Che dire… Conosco bene il capitano, so come far… vediamo… credo che breccia nel suo cuore sia la giusta espressione.» L’uomo scoppiò in una fragorosa risata. Era divertito da Damien, da quello che in poche settimane era diventato. Dopo quello spiacevole “incontro” con i poteri di quell’uomo, Damien aveva deciso di tenere a mente, giorno dopo giorno, perché aveva stretto con lui un accordo ad un prezzo così alto. Voleva che Killian provasse tutto ciò con cui lui aveva dovuto convivere, voleva che provasse l’abbandono che mai aveva sperimentato, il dolore immenso di perdere l’unica persona per la quale avrebbe dato la vita. Era determinato a far sentire il capitano proprio come si era sentito lui e si era deciso a collaborare con quel misterioso uomo che aveva conosciuto tempo addietro. Erano quasi a metà dell’opera. Avevano raccolto due dei quattro elementi che servivano per il rituale. Il ciondolo della ragazza-drago e l’anello di Crudelia erano al sicuro nella cassetta di quell’uomo, protetti da potenti incantesimi che neanche il più esperto mago avrebbe potuto sciogliere. La magia che padroneggiava quell’uomo era estremamente potente e rara, alcuni dicevano che fosse anche la più forte mai esistita.

«Cambio di programma.» Annunciò l’uomo. Damien lo guardò. «Lasceremo che la componente più importante del nostro incantesimo si goda la sua vita e il suo caro figlioletto. Ora prenderemo l’Oscurità!» Damien sorrise. Sapeva che sarebbe stato difficile ma avrebbe conseguito comunque il terzo ingrediente. Nelle ultime settimane aveva seguito Regina come fosse la sua ombra. Conosceva tutti i suoi spostamenti, i suoi orari, le sue abitudini. Sapeva che per prenderla avrebbe dovuto allontanarla da Robin, sempre al suo fianco, ma lì sarebbe entrato in gioco il piccolo Roland. Damien sorrise all’idea.

A pensarci, la situazione più complicata era stata quella di Lily. Non che avere a che fare con l’Oscuro fosse roba semplice, ma Damien sapeva come usare le sue carte, questa volta: si era informato sugli abitanti di Storybrooke, conosceva le debolezze di ognuno di loro. Aveva capito che per affrontare uno come Gold non si doveva pensare a lui come l’Oscuro, ma attaccarlo sull’uomo che era, nonostante ciò che sembrava. La situazione si era complicata da quando aveva raccolto in sé il potere di tutti i Signori Oscuri, ma neanche tutta quella magia poteva uguagliare quella che Damien stava imparando a praticare. La magia che quell’uomo gli aveva permesso di imparare aveva a che fare con la vita e con la morte, non lasciava scampo quando veniva usata. Era firmare un contratto al quale non si poteva scappare in nessun modo. Il vincolo che si formava, volontariamente o meno, era ben più forte di quelli che stipulava Mr. Gold e da questi non si aveva nessuno scampo.

 

La luna era alta nel cielo. La sua luce penetrava attraverso gli alberi e illuminava a sprazzi il terreno umido della foresta, al limitare della città. Il vento soffiava piano, muovendo le fronde. L’aria fresca della sera era quasi piacevole, ma Damien era concentrato su ben altro. Attese che la luna, nel suo ultimo quarto, fosse nel punto più alto del cielo e poi cominciò.

Agitò la mano e nel palmo apparve una scintilla, che si tramutò in una fiamma vivace. Fece roteare il polso e la fiamma si estese a formare un cerchio sul terreno del bosco, tutto intorno a lui. Richiuse il pugno e la scintilla scomparve. Segnò il cerchio con polvere di assenzio e coriandolo, erbe che gli antichi usavano per evocare i morti e assalire la mente dei nemici. Allargò le braccia e le fiamme di colpo si fecero più forti e calde, quasi prendessero energia dalla natura lì attorno. Di colpo Damien richiuse i pugni e le fiamme scomparvero. Raccolse la cenere delle erbe che aveva bruciato e si diresse verso il banco dei pegni di Gold.

La campanella della porta suonò con il suo classico tintinnio. Gold uscì dal suo retrobottega.

«Siamo chiu…» All’interno del negozio non c’era nessuno. Mr. Gold si guardò intorno, cercando ogni traccia visibile e non all’interno della sua attività. Non sentì nulla. Uscì dal bancone e si sospinse verso la porta, per controllare che nessuno fosse entrato. Richiuse il chiavistello e si guardò ancora attorno. Non percepiva nessuno. Si diresse, allora, di nuovo verso il retro del negozio. Di colpo una polvere biancastra lo invase. Si accasciò a terra, con gli occhi chiusi e le mani sul pavimento. Un forte dolore lo attanagliava all’altezza del petto.

«Papà? Papà!» Davanti a lui suo figlio Neal gli tendeva una mano. «Stai bene papà?» Domandò. Mr. Gold indietreggiò a metà tra lo spavento e la sorpresa.

«B… Bae… Tu sei…» Non riuscì a balbettare altro.

«Cosa? Papà stai bene?» La mano di Neal era ancora tesa.

«No, non sta bene, aiuta tuo padre Baelfire!» Era la voce di Milah che intanto si precipitò accanto al marito per aiutarlo ad alzarsi.

«Che cosa è successo?» Domandò la donna. Gold ritrasse il braccio e si allontanò da entrambi. Ci fu un attimo di silenzio, mentre l’uomo cercava di capire cosa stesse succedendo.

«Ci abbandoni di nuovo. Te ne vai.» Riprese Milah.

«Ci abbandoni per la magia. È sempre la magia il tuo problema!» Neal urlava, spazientito. Muoveva le braccia ad imitare i gesti di suo padre, impressi nella memoria di lui fin da quando era bambino.

«Mi hai rovinato la vita! È per te che ho perso Emma e mio figlio!» Continuava.

«Mi hai privato dell’amore due volte, sei stato egoista, hai approfittato del tuo potere solo per vendicarti di chi non ti amava!» Il volto di Milah era pieno di ribrezzo.

«L’hai uccisa, mi hai ucciso!» La voce di Neal si accavallava a quella della madre. Una dopo l’altra, tutte le vittime dell’Oscuro giunsero davanti ai suoi occhi e le loro urla riempirono la sua mente. Tremotino era accerchiato, il suono assordante delle voci di secoli di vittime, le loro urla, il loro dolore lo pervadeva, non riusciva a sottrarsi. Iniziò a sbattere qui e là nel negozio, per evitare lo strazio che provava, ma niente sembrava calmarlo. Non riusciva a parlare con nessuna delle persone che erano lì. Sentiva tutto ciò che pensavano e provavano, tutto insieme, ognuno di loro era nella sua testa.

Dopo pochi istanti che sembrarono eterni tutto finì. Mr. Gold era dietro il suo bancone. Stava lavorando nel retro quando qualcosa lo aveva portato nel negozio. Si guardò un po’ intorno: qualunque cosa fosse, gli era sfuggita, così tornò nel retrobottega.

Di fronte al suo negozio, illuminato dalla luce della luna, Damien sorrideva. Aveva ciò per cui era venuto. Aveva usato la magia per deviare il corso dei pensieri dell’Oscuro e direzionarlo verso le persone a lui più care, che l’avevano abbandonato o erano morte per colpa sua. Unire le vittime di tutti i suoi omicidi e il loro strazio era stata la ciliegina sulla torta e aveva funzionato alla perfezione. Certo, in condizioni normali non sarebbe stato così facile e l’Oscuro, senza l’effetto sorpresa, gli avrebbe tenuto testa, ma questa volta era stato addirittura troppo facile. Il dolore di Gold aveva indebolito per pochi attimi l’Oscuro e con lui il suo pugnale. Damien aveva oltrepassato gli incantesimi di protezione e l’aveva afferrato. Il fuoco era scaturito ancora dal palmo della sua mano e aveva investito quello straordinario artefatto. Apparentemente intatto, l’aveva rimesso al suo posto ed era uscito rapidamente dal negozio. Nella sua mano Damien teneva stretta una polvere scura: l’effetto della magia del suo nuovo mentore aveva effetto perfino sull’Oscuro, se si sapeva come usarla. Una volta avuto quello che cercava, aveva annullato la magia usata su Gold e sfruttato le proprietà dell’incantesimo per offuscargli la memoria, in modo che neanche lui potesse sospettare alcunché. Sarebbe rimasta solo una sensazione di deja-vu.

Comparve nella sua classica nuvola bluastra nel cottage in cui si nascondeva e versò quella polvere in un’ampolla al centro del tavolo. Quell’uomo lo guardò compiaciuto. Il suo solito ghigno malvagio tornò ad illuminargli il volto.

«Com’è stato sottomettere l’Oscuro?» Domandò, eccitato. Damien si limitò a sorridere. Si ripulì le mani dal residuo di polvere nera che il fuoco aveva creato a contatto con il pugnale.

«Non ho mai visto nessuno con dei residui di anima sulle mani» Disse l’uomo, ridendo improvvisamente. Damien accennò ad una risata.

«Come mai Gold non è… svenuto?» Domandò. L’uomo si mise comodo.

«Tremotino è arrivato dove nessuno aveva mai neanche pensato di arrivare. Ha conseguito il potere di tutti gli Oscuri Signori che siano mai esistiti.» Prese tra le dita un po’ di quella sostanza nerastra e la strofinò tra i polpastrelli. «Anche un solo granello di questa polvere sarebbe sufficiente per il nostro scopo: ognuno di loro è intriso dell’anima dell’Oscuro. Prima erano divise, ora, grazie a lui, sono un tutt’uno.» Gli occhi si diressero a Damien. «Il vecchio Tremotino ci ha semplificato il lavoro!» Una risata forte e fragorosa invase la stanza. Damien non stava più nella pelle.

«Abbiamo le anime di Lily, di Crudelia e ora quella dell’Oscuro. Cosa manca?» Domandò. L’impazienza era visibile nei suoi occhi. Una fiamma impetuosa sembrava bruciare dentro di lui. La smania di conseguire la sua vendetta era forte e non voleva più aspettare.

«Tempo al tempo. La prossima cosa che ci serve è un’anima redenta, un’anima che abbia sperimentato il perdono e che sia cambiata.» L’uomo sorrise, mentre lo sguardo di Damien si fece cupo.

 

«Non osi neppure chiedermi di perdonarti?» La voce di Killian era piena di rabbia e risentimento. Damien era ancora sottocoperta, legato e sorvegliato a vista. Sapeva benissimo che gli sarebbe bastato schioccare le dita per andare via di lì, ma non voleva.

«Mi hai mentito per anni. E hai lasciato che lei morisse!» Il capitano gli sferrò un pugno dritto in faccia, prima di colpirlo con il retro dell’uncino che era andato a sostituire la sua mano mancante.

«Hai lasciato che quel demone la prendesse, che stritolasse il suo cuore!» Continuava a colpire Damien inesorabilmente. Il ragazzo non si difese. In cuor suo sperava che la reazione di Killian, sebbene spropositata, avrebbe aiutato l’amico a reagire.

«Milah. È. Morta. Per. Colpa. Tua!» Ad ogni parola era seguito un colpo. Damien aveva diverse ferite sul viso, lo zigomo destro era tumefatto e il sopracciglio sinistro era diviso da uno squarcio da cui usciva sangue vivo. Killian si allontanò di poco da lui e lo fisso per qualche istante. Damien era ancora lì, lo sguardo basso e le braccia tese verso l’alto. I polsi erano arrossati e graffiati dalle continue trazioni dei ferri che lo trattenevano. Non replicò a nessuna delle parole di Killian. Aveva visto morire la persona che amava e perso il suo migliore amico, tutto a pochi attimi di distanza. Inevitabile fu il ricordo di Aline e del suo bambino. Tutte le persone che amava e che aveva amato si erano allontanate da lui. Era come se una maledizione incombesse sulla sua anima: il prezzo della sua magia era perdere tutti quelli che amava.

Il capitano fece un cenno ai suoi e due uomini liberarono Damien dalle catene, prima di serrargli di nuovo i polsi con altre manette di ferro. Lo condussero sul ponte, spintonandolo e strattonandolo. Damien perse l’equilibrio e finì con la faccia a terra, sporcando il legno con il suo sangue. Altri uomini avevano già allestito l’asse che sporgeva di diversi metri dal bordo della nave.

«Secondo il codice dei pirati, Damien James, tu hai tradito il tuo capitano e tutto l’equipaggio della Jolly Roger.» La voce di Killian era ferma ma piena di rabbia. «Per questo, come capitano di questa nave, ti condanno al supplizio dell’annegamento. Possa il mare avere pietà di te.» Ci fu un attimo di silenzio. Con un altro cenno, Killian ordinò ai suoi di spingere il ragazzo lungo l’asse. Mentre lo sollevarono, uno degli anelli che Damien portava scivolò sul ponte. Con la punta delle spade pronta a colpirlo, l’equipaggio della Jolly Roger osservava il vecchio compagno trascinarsi lungo l’asse. Damien si voltò ancora una volta e vide lo sguardo di disprezzo di Killian. Avrebbe potuto salvarsi, ma non aveva senso vivere per continuare a perdere coloro che amava. Strisciò i piedi lungo il bordo dell’asse di legno e in quel preciso istante uno degli uomini lo colpì con la punta della spada, spingendolo in avanti. Damien sentì un dolore all’altezza delle costole, poi l’aria sferzargli il viso e l’acqua gelida aprirsi e poi richiudersi sopra di lui. Il sale bruciò sulle ferite ancora aperte e d’istinto il giovane aprì la bocca per urlare. La voce gli rimase nel fondo della gola, mentre l’acqua salata penetrava in bocca e scendeva fin nei polmoni, bruciando tremendamente. Dopo pochi istanti, Damien si sentì la testa leggera e il dolore iniziò ad affievolirsi. A poco a poco si lasciò andare.

Killian non si era mosso. I suoi uomini avevano ritirato l’asse e spiegato le vele. Si diresse verso il centro del ponte e raccolse l’anello di Damien. Lo infilò ad una delle catene d’argento che aveva al collo e lo strofinò tra le mani per pulirlo dal sangue. Avrebbe ricordato per sempre quello che la persona a cui avrebbe affidato la sua stessa vita aveva fatto. Quell’anello gli avrebbe ricordato che non si sarebbe mai potuto fidare di nessuno. Era da solo. Ora e per sempre, fino a che non avrebbe compiuto la sua vendetta contro il coccodrillo.

Si infilò la mano in tasca e afferrò il fagiolo magico. Sapeva qual era la destinazione da raggiungere.

 

«Presto avremo tutti gli ingredienti. Saremo in grado di controllare il più grande potere dell’universo, figliolo.» L’uomo era eccitato, elettrizzato. La sua euforia era quasi palpabile. Damien lo osservò mentre disponeva in quella cassetta incantata l’ampolla con la polvere del pugnale, accanto all’anello di Crudelia e al ciondolo di Lily. Un bagliore passò dall’uno all’altro oggetto in modo rapido e quasi impercettibile. L’uomo sorrise.

«Le anime si riconoscono. Sanno perché sono qui.» Disse, compiaciuto.

«Vediamo se ho capito bene…» Riprese Damien. «Un’anima fin dal principio mutata, un’anima che la morte ha voluto esiliata, un’anima scura la cui luce è eclissata…»

«E un’anima redenta la cui sorte è cambiata.» Concluse l’uomo, sorridendo. Richiuse la cassetta di legno e la sigillò con i suoi incantesimi.

«Quindi ci siamo quasi.» Disse Damien. «Il piano dell’Uomo ombra è quasi completo.» L’altro sorrise.

«Non chiamarmi così. Chiamami… Dottor Facilier

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