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-Oh,
tesoro- sospirò la signora Danvers –un’altra volta?-
Quasi
disteso sul sedile accanto a lei, Ethan non rispose. Guardava la scuola
allontanarsi man mano che l’automobile acquistava velocità, e a dirla tutta era
felice di essere stato sospeso per l’ennesima volta.
Quello
che poteva dire a sua discolpa era di essersi trovato dalla parte della
ragione, come sempre accadeva. Il preside aveva suo malgrado dovuto convenire
su quello, ma i genitori degli altri ragazzi coinvolti nella rissa avevano
insistito affinché Ethan Danvers fosse, se non espulso dalla scuola, quantomeno
sospeso.
-Avevo
ragione, mamma- ripeté come ogni volta –lo stavano massacrando, quel
piccoletto. Erano in tre, e tutti più grandi. Che vigliacchi-
Ethan
aveva assistito alla scena da una delle finestre del secondo piano: dei
bell’imbusti ormai troppo cresciuti per perdersi ancora in stupidi scherzi ai
novellini avevano circondato un ragazzino del primo anno in un angolo appartato
del cortile. Erano iniziati gli spintoni, Ethan vedeva le loro bocche ghignanti
muoversi ma non udiva una parola. Era subito corso fuori, in soccorso del
bambinetto che stava pressato contro il muro quasi a voler diventare della
misura di un mattone per poter confondersi con la parete.
-Hei voi!
Perché non cercate qualcuno della vostra taglia per battervi?-
-E tu,
nanerottolo, saresti della nostra taglia?-
Aveva
chiesto uno, facendo seguire alla domanda una secca risata. Era alto,
probabilmente ripetente da un paio di generazioni, indossava un berretto da
baseball anche se a scuola non era permesso. Al naso aveva un orecchino
d’argento e dall’angolo destro della bocca sbucava il mozzicone di una
sigaretta.
A suo
confronto Ethan era davvero un nanerottolo di quattordici anni, con i capelli
scuri e arruffati e due occhi che la gente descriveva come “di un banalissimo
color marrone”. In quel momento, però, si sentiva forte: era arrivato a
difendere un debole dai soprusi di quegli attaccabrighe, e quello lo faceva
sentire una sorta di eroe.
A Ethan
era sempre piaciuto aiutare gli altri, dare una mano ad una persona in
difficoltà in ogni circostanza. Sua madre diceva che aveva un grande cuore.
-Siete
dei codardi- aveva detto, guardando i tre ragazzi con disprezzo –siete tre
contro uno, e per di più l’uno è un bambino. Fate davvero pena-
Lì
erano iniziate le botte, e presto una calca di studenti si era radunata
tutt’intorno richiamando a sua volta l’attenzione degli insegnanti e del
personale scolastico. Infine gli adulti erano riusciti a dividerli.
Ethan
aveva il labbro inferiore spaccato e rosso di sangue, ma si era comunque fatto
valere: era più piccolo di quei tre fusti e di conseguenza più agile, inoltre
era evidente che i tre ragazzi non avevano mai trovato qualcuno che li
ostacolasse, perché non erano stati capaci di difendersi davvero se non con
patetici tentativi.
I
genitori di tutti e cinque, compresi quelli del ragazzino preso di mira, erano
stati convocati, e dopo un tira e molla a dir poco feroce il preside aveva
decretato l’espulsione di Ethan per una durata di dieci giorni.
La
signora Danvers emise un sospiro: si erano trasferiti in quella tranquilla
cittadina da solo un mese e già suo figlio aveva problemi ad ambientarsi nella
nuova scuola.
Era
stato quello il motivo delle innumerevoli espulsioni di Ethan dalle diverse
scuole in cui era stato iscritto: si schierava sempre in prima linea quando
qualcuno subiva un torto, e spesso la sua impulsività lo portava a risolvere la
questione con le mani invece che con le parole.
-Tesoro,
so che probabilmente avevi tutte le ragioni di questo mondo per fare quello che
hai fatto, ma ho provato a spiegartelo molte volte: picchiare qualcuno non è il
modo giusto per risolvere i problemi-
-Quelli
però ci avrebbero picchiati entrambi se non avessi iniziato io- ribatté lui con
il broncio –hanno solo avuto quello che meritavano-
Ellen
Danvers fece per replicare, ma infine scosse la testa. Sapeva che era inutile
discutere con il figlio su questioni come la giustizia e a chi spettasse
decidere la pena da infliggere.
******
“Tell the monster that eats children, that you taste bad
And you're sure you'd be the worst that he's ever had
If he eats you, don't you fret, just cut him open with an axe
Don't regret it, he deserved it, he's a cad
Tell the harpies that land on your bed post
That at the count of five you'll roast them alive
Tell the devil its time you gave him his due
He should go back to hell, he should shake in his shoes
Cause the mightiest, scariest, creature is you”
(Voltaire – Goodnight Demonslayer)
Sin da quando era bambino, Ellen aveva sempre insegnato a
suo figlio a vedere il lato positivo di ogni situazione.
“Se non
riesci a vedere la luce non potrai mai sconfiggere il buio” gli diceva ogni volta che Ethan esitava nell’incertezza
di essere capace a fronteggiare un qualsiasi evento.
Come tutti i bambini Ethan aveva paura dei mostri, delle
creature che, nelle favole, rapivano i bambini, delle figure dai denti aguzzi
che ghignavano dalle pagine dei libri illustrati. Ogni sera Ethan voleva che la
luce della sua camera rimanesse accesa, e voleva che la mamma guardasse bene
dentro l’armadio e sotto il letto per assicurarsi che nessun orco sbucasse dagli
angoli bui della stanza non appena lei se ne fosse andata.
-Non c’è nessuno, tesoro, vedi?-
Lo rassicurava accennando ai vestiti appesi dell’armadio.
A volte tirava fuori un vecchio pelouche da sotto il letto e lo sollevava
sorridendo.
-E’ questo l’unico mostro che c’è sotto il letto-
-Sei sicura?-
Lui sbirciava da sotto le coperte, guardando il
giocattolo come a chiedergli se effettivamente fosse stato solo per tutto quel
tempo.
-Sicurissima-
-E allora l’Uomo Nero?-
-Oh, Ethan!- esclamava Ellen, e non riusciva a trattenere
una risata –L’Uomo Nero è attirato dalla paura e dalla cattiveria dei bambini.
Tu sei forse un bambino cattivo?-
Lui scuoteva la testa, e non mancava di aggiungere –Però…
potrebbe sempre venire se sa che ho paura di lui-
-Proprio per questo non devi temerlo, tesoro. L’Uomo Nero
si compiace del terrore degli altri. Tu devi essere più forte di lui, devi
dimostrargli che la tua paura di lui può essere annullata dalla speranza e
dalla bontà del tuo cuore. Fin quando avrai fiducia nel bene l’Uomo Nero non
potrà mai farti del male-
Ethan era fiero delle parole che la sua mamma gli
rivolgeva. E decideva di essere forte, per dimostrarle che la paura non lo
avrebbe mai fermato neanche davanti il più duro degli ostacoli.
-Se mai verrà, allora dovrà affrontarmi- diceva, gli
occhi scuri che splendevano di determinazione –e sconfiggerò lui e la sua
paura. Ci credi mamma?-
-Certo che ci credo. Sei un bambino coraggioso, tu. Nulla
dovrà mai spaventarti e convincerti ad abbandonare i tuoi sogni. Me lo prometti
questo, Ethan? Nella tua vita dovrai essere forte, qualunque cosa accada-
Lui annuiva con decisione, e allora permetteva alla mamma
persino di chiudere la luce nella cameretta. Le ombre che la luce pallida della
luna protiettava sulla pareti non riuscivano ad intimorirlo, e i rami spogli
d’inverno, tanto simili a lunghe falangi nodose, gli ricordavano le dita di una
vecchia fata buona che vegliava sui sogni dei bambini.
Mwahaha! … entrare in scena con una risata
alla Pitch Black è forse troppo scontato? Oh, bè, pazienza!
Ok, inizio col dire che avevo una voglia
matta di dare vita a questo progetto che mi frullava in testa da un pò (anche
perchè recentemente ho visto il film de Le 5 Leggende, e ahimè mi sono
definitivamente consumata!) quindi, bè, tra un impegno e l’altro ha infine
visto la luce questo primo capitolo.
Premetto che prevedo purtroppo
aggiornamenti saltuari e probabilmente ad ogni morte di Papa (per carità, Papa
Ciccio mi sta tanto simpatico!) ma spero che comunque qualcuno vorrà seguire la
storia e che l’attesa possa valere la pena ;)
Inoltre prevedo un’adeguata presenza di
Pitch, sempre perchè voglio adottarlo e chiuderlo in una gabbietta insieme al
mio canarino (*tu non hai un canarino!* ndPitch *e non ne sei felice? C’è più
spazio per te!* ndAutrice) – ok, stop, sto degenerando!
PS: Diamoci sotto con i vaticini da
visionaria, prevedo che in ogni capitolo in cui sarà presente Pitch ci sarà una
canzone del mio caro sopracitato Voltaire. Pensa, Pitch, la colonna sonora! Ti
tratterei bene, miscredente! u_u
Bene, credo sia tutto per il momento.
Naturalmente ringrazio chi vorrà seguirmi nell’impresa ;)
“La fantasia non è altro
che un aspetto della memoria svincolato dall'ordine del tempo e dello spazio”
(S. T. Coleridge)
Ethan
passeggiava nel parco, lo sguardo basso e le mani in tasca. Era strano, a
pensarci bene, di come il rapporto con la scuola cambiava a seconda delle
circostanze: quando era costretto ad andarci malediceva l’istituto, invece
adesso che era autorizzato a non metterci piede sentiva che avrebbe volentieri
assistito alle lezioni pur di vincere la noia di quei giorni. Non per vantarsi,
ma lui era sempre stato tra i primi della classe. Non che ci volesse molto, in
realtà, data la poca dedizione dei compagni allo studio, ma comunque era un
traguardo personale che lo faceva sentire fiero del suo lavoro. Ethan non lo
avrebbe mai ammesso in maniera diretta, ma gli piaceva studiare: gli piaceva
conoscere nuove cose, ciò che era successo nel corso della storia, i cambiamenti
che avevano fatto diventare il mondo quello che era, e i grandi del passato che
avevano contribuito con le gesta o le parole a inneggiare o denunciare le mille
sfaccettature della società passata.
Per la
noia, aveva persino iniziato a leggere i brani nel libro di letteratura. Quasi
ogni giorno apriva una pagina a caso e leggeva l’estratto corrispondente,
qualunque esso fosse. Alcuni testi erano facili, altri di una pesantezza
devastante. Non c’erano molti brani di fantasia, aveva notato: sempre tematiche
sociali o vite turbolente di personaggi diventati celebri, ma nessuna favola,
nessun testo che parlasse di sirene o centauri, e quello un po’ gli era
dispiaciuto.
Aveva
pensato di chiedere all’insegante perché venisse data così poca importanza all’immaginazione,
ma probabilmente lei avrebbe risposto che le favole non erano più adatte ad un
ragazzo della sua età, che avrebbe dovuto iniziare a fari strada nella vita e
certo non poteva permettersi di credere in robe sciocche come le fate.
Ma
Ethan credeva davvero nelle fate? Ebbene, potrà sembrare bizzarro che un
moderno ragazzo quattordicenne credesse in luminosi esserini protagonisti delle
fiabe della buonanotte, ma in realtà era proprio così: Ethan credeva nelle fate
e, cosa ancora più straordinaria, ogni tanto riusciva persino a vederle. E com’era possibile questo? Ormai i ragazzi
hanno smesso di credere nella loro esistenza, e crescendo hanno perso man mano
la capacità di mantenere un contatto con le creature fatate. Ma c’è ancora
qualche eccezione, e Ethan era una di queste: la fantasia era il suo dono,
qualcosa che sembra scontato ma che in realtà oggi poche persone possiedono
davvero.
La sua
immaginazione sfrenata, le fantasie e le favole con le quali sua madre aveva
sempre accompagnato i suoi sogni avevano fatto sì che, con il passare del
tempo, Ethan non perdesse la capacità di sognare e credere in creature
misteriose e ormai dimenticate.
Inoltre,
c’era Babbo Natale. Prima di tutto, però, è necessario specificare che nessuno
sapeva di quel dono di Ethan. L’unica volta che aveva provato a dirlo alla sua
mamma era stato quando aveva cinque anni, e aveva indicato il giardino fuori
casa dicendo che le fate dell’autunno stavano raccogliendo le foglie cadute
dagli alberi. Quella era la verità, ma Ellen naturalmente non l’aveva presa sul
serio: si era limitata a sorridere della fervida immaginazione del figlioletto.
Dunque,
quando aveva visto Babbo Natale solo un anno dopo, non ne aveva fatto parola
con nessuno. C’è da dire, a suo favore, che aveva davvero visto Babbo Natale, e
quella sua convinzione non era quindi quella che molti bambini – tra i quali
probabilmente anche voi – affermano almeno una volta nella vita. Chi, anche
solo per scherzo, non ha mai detto di aver visto Santa Claus portare i doni fin
sotto il proprio albero di Natale?
L’unica
differenza è che, mentre noi l’abbiamo inventato, a Ethan era successo per
davvero.
Aveva
sei anni all’epoca, e la sera della Vigilia aveva atteso che tutti andassero a
letto per poi sgusciare fuori dalla sua cameretta e appostarsi nel salotto,
seduto sul pavimento vicino l’albero addobbato. In realtà, Ethan non aveva
neanche pensato di poter vedere Babbo Natale, né tantomeno aveva pensato di
tendergli un agguato per accertarsi della sua esistenza o meno. Solo gli
piaceva stare lì, seduto ad ammirare i colori vivaci delle decorazioni
natalizie, e gustare la piccola soddisfazione di essere ancora alzato quando
invece la mamma dormiva.
Stava
quindi seduto sul morbido tappeto di moquette a sgranocchiare un biscotto alla
cannella quando, tutto d’un tratto, aveva sentito un fruscio nella stanza. Era
stato un rumore minimo, al quale la maggior parte della gente non avrebbe
neanche fatto caso. Ethan, però, era un bambino, e per di più era tutto solo in
una stanza rischiarata solo dalle lucine intermittenti dell’albero. Sulle
prime, si pentì persino di non essere andato a letto quando la mamma lo aveva
accompagnato a dormire.
Migliaia
di immagini erano affiorate nella mente del bambino, ed erano tutte immagini a
dir poco spiacevoli: mostri dalle bocche irte di zanne, creature striscianti
con lunghi tentacoli e molto altro. Poi il bambino aveva scosso la testa:
quella era la sera di Natale, nulla di malvagio poteva arrivare a fargli del
male.
Dunque
aveva preso coraggio: si era alzato e, in silenzio, aveva appena sporto la
testa oltre i rami dell’albero: potete immaginare la sua sorpresa nel vedere
nel proprio salotto un uomo alto e impostato avvolto in un caldo mantello
rosso, con una folta massa di capelli candidi che gli ricadeva sulle spalle,
sistemare con cura alcuni pacchi sotto l’albero.
L’uomo
aveva alzato gli occhi e, in quel momento, non si sarebbe potuto decidere chi,
tra lui e Ethan, fosse più sorpreso dalla presenza dell’altro.
Il
bambino aveva cercato di dire qualcosa, ma il tutto si era tramutato in una
serie di saltelli ed esclamazioni euforiche.
-Lo
sapevo lo sapevo lo sapevo!- aveva allungato una mano e sfiorato la giacca di
Santa Claus –Lo sapevo che esistevi davvero!-
L’uomo
aveva sorriso e strizzato l’occhio; aveva incredibili occhi azzurri, antichi e
benevoli, che avevano visto molti e molti bambini, e i figli di quei bambini, e
continuava a seguirne le generazioni sempre con lo stesso stupore fanciullesco
tipico degli anni più belli dell’infanzia.
Aveva
tirato fuori un pacchetto avvolto in una vivace carta rossa e verde e l’aveva
consegnato al bambino –Sei Ethan, giusto? Credo che questo sia per te-
La sua
voce aveva un forte accento di lingua straniera che, solo un paio di anni dopo,
Ethan aveva identificato come russo.
Il
piccolo aveva accolto il dono al massimo della felicità –Grazie!-
Nord
era rimasto a guardarlo a lungo e con sollievo: la vivacità, la fede che leggeva in quello sguardo erano
per lui come la garanzia del buon andamento del suo lavoro. Era chiaro che quel
bambino credeva, e credeva davvero in
lui, e quello lo consolava. Purtroppo, con il passare dei secoli era cresciuto
il numero dei bambini che non si curava più delle favole tramandate nel corso
della storia. Nessun bambino cercava più di parlare con gli animali, o
sbirciava nei buchi del terreno per cercare di scoprire i sotterranei villaggi
delle fate; nessun bambino parlava più con i suoi amici immaginari, e nessun
bambino ammirava più gli eroi dei libri per i loro atti di coraggio.
In quel
momento, tutte quelle preoccupazioni erano state messe da parte, e lo spirito
del vecchio Guardiano era stato in parte rinfrancato dall’ammirazione sincera che
traspariva dagli occhi di quel bimbo.
Gli
aveva poggiato una mano sul capo come in segno di benedizione, e Ethan
ricordava ancora le parole che gli aveva rivolto prima di sparire in una nuvola
d’oro.
-Conserva
questa tua fede, Ethan Danvers, e nulla per te sarà mai impossibile-
Ecco, iniziamo a conoscere un po’ meglio il nostro protagonista
e le sue “stranezze”. Posso dire che Ethan è il frutto di una considerazione
che sento fare sempre più spesso: al giorno d’oggi i bambini non si
meravigliano di nulla.
Pensate che, tanto per fare un esempio, una volta ho detto al
mio cuginetto –Ma lo sai che io ho visto Babbo Natale?- e mancava poco che lui
mi chiedesse –Ma che ca*** ti fumi?- (nota, il
bambino ha 6 anni, molto precocemente scettico quindi. Che tesoro, vero?).
Insomma, i bambini tanto “ingenui” e disposti a credere nelle
care Leggende e nelle creature fantastiche stanno scomparendo, un po’ come i
panda (ho sempre da fare l’esempio cretino, vogliate perdonarmi se ogni tanto
sparo qualche cretinata di troppo). Dite che a Pitch questo piacerebbe?
Tutto questo per dire che ho voluto provare a creare un animo
puro che si ritrova ad avere a che fare con la modernità e il suo scetticismo,
che sembra di per sé anche abbastanza filosofico detto in questi termini.
Il nostro viaggio nella storia è appena iniziato. Scusate per il
capitolo un po’ troppo corto, forse, ma dato che è per la maggior parte narrato
senza quasi dialoghi non volevo appesantire troppo la narrazione.
Ringrazio chi ha già letto il primo capitolo e chi è arrivato
fin qui ;) e un ringraziamento particolare va a Gamora96 e _Dracarys_ per le recensioni e il parere positivo *-*
spero di non deludere le aspettative.
Perfetto, è giunta l’ora di dileguarmi, saludos
y besos!
Avevamo
lasciato Ethan al parco, a cercare un modo per passare il tempo. Gli sarebbe
piaciutoessere lì con qualche amico,
quantomeno avrebbe avuto qualcuno con cui parlare o giocare a calcio, o ancora
andare sulle giostre che si trovavano alla sua destra. Certo, avrebbe potuto
andare lo stesso alle giostre, ma si sa, tutto è più divertente se c’è un amico
al tuo fianco, e inoltre Ethan si sarebbe sentito alquanto fuori luogo in mezzo
ai bimbetti che affollavano il parco giochi. Quindi si limitava a camminare con
le mani in tasca, proprio come lo avevamo lasciato.
Si
stava chiedendo cosa fare quando, poco distante, gli giunse alle orecchie un rumore
insolito. Seguì il suono che loguidò
davanti un grande albero, ai piedi del quale stava rannicchiata una bambina in
lacrime: erano i suoi singhiozzi che Ethan aveva udito. Subito il ragazzo si
chinò, anche se non sapeva bene cosa fare.
-Hei,
piccola- cercò di richiamare la sua attenzione –cosa c’è che non va?-
Lei
scostò appena le mani dal viso rosso e bagnato per guardarlo. Poteva avere
all’incirca otto anni, portava i capelli castani tagliati a caschetto e i suoi
occhi scuri erano ancora lucidi. Indossava un vestito a scacchi bianchi e rosa
e accanto a lei era poggiato un berretto dello stesso colore. Tirò su col naso
e si strinse le ginocchia al petto.
-Ti sei
persa?-
Chiese ancora
Ethan, visto che la prima volta non aveva ricevuto risposta. La bambina fece
cenno di sì con la testa e si guardò intorno, probabilmente alla ricerca dei
genitori. Prese il cappello e lo mostrò al ragazzo.
-Era
volato via- gli spiegò –io l’ho rincorso. Mamma me lo ha regalato solo ieri,
non volevo perderlo. Quando sono riuscita a prenderlo non ho più trovato la
mamma-
Terminò
la frase con un nuovosinghiozzo.
-Oh,
coraggio- Ethan si alzò e le porse la mano –la ritroviamo, la tua mamma. Non
può essere lontana-
Lei lo
guardò incerta, come se stesse decidendo se fidarsi o meno. Quel ragazzo non
sembrava scherzare, aveva tutta l’aria di volerla aiutare sul serio, non come
tutti quelli a cui aveva chiesto aiuto fino ad allora. Quando aveva capito di
essersi allontanata troppo dalla madre, dapprima non si era persa d’animo: era
ritornata alla panchina dove prima avevano deciso di sedersi e poi aveva girato
in quei dintorni, chiedendo alle persone che incontrava se avevano visto una
signora che poteva essere la madre.
Un
gruppo di ragazzi l’aveva cacciata in malo modo. Non avevano neanche terminato
le superiori, a giudicare dal loro aspetto, e probabilmente quel giorno avevano
marinato la scuola; erano tutti riuniti attorno a due moto, e quasi tutti avevano
una sigaretta tra le labbra ed erano ricoperti da vistosi tatuaggi. Due ragazze
avevano i capelli colorati di viola e verde.
Alla
richiesta di aiutarla tutti si erano guardati e avevano scrollato le spalle,
sostenendo che se si era persa non era certo problema loro. A quel punto la
bambina aveva perso le speranze; aveva girato ancora un po’ a vuoto tra i viali
alberati, e alla fine si era fermata lì e si era sentita invisibile agli occhi
della gente che le passeggiava davanti senza curarsi del perché una bambina
tutta sola stesse piangendo ai piedi di un albero.
A
differenza degli altri lui sembrava avere buone intenzioni, ragion per cui
accettò la mano che le aveva offerto e si era tirò su spazzolandosi via la
terra dalla gonna.
-A
proposito, io sono Ethan. E voi, signorina?-
Lei
sorrise davanti a tanto spirito cavalleresco, e si asciugò gli occhi dalle
lacrime –Octavia. Octavia Angela Blake-
-Onorato
di fare la vostra conoscenza-
Si
incamminarono lungo la strada principale che serpeggiava tra gli alberi del
parco, guardando bene a destra e sinistra, e guardandosi di tanto in tanto alle
spalle. Octavia aveva fatto un ritratto molto accurato della sua mamma.
-Ha i
capelli come i miei- aveva detto –però più lunghi. E legati in una coda. E ha
gli occhi verdi, e oggi indossava un vestito rosso perché io le ho detto che mi
sarebbe piaciuto che lo indossasse. E sopra il vestito ha un giubbotto nero, di
pelle, come quelli che hanno i motociclisti ogni tanto. Però la mamma non ha la
moto. Dice che non si fida di questi mezzi instabili, soprattutto se deve
viaggiare con me-
E altri
dettagli fino ai più minuziosi, come ad esempio la forma degli orecchini e i
bracciali che indossava quel giorno. Tutte cose superflue, a dire il vero, ma
Ethan la ascoltò attentamente e ogni tanto la interrompeva facendole persino
delle domande ancora più dettagliate; se non altro, sarebbe servito a farla
parlare e distrarla dalla considerazione che, fino a quel momento, la loro
ricerca aveva prodotto scarsi risultati.
Dopo un
po’ Octavia tacque e camminarono in silenzio mano nella mano, osservando con
attenzione i più remoti angoli del parco. La bambina guardava Ethan di
sottecchi, e fu felice che si fosse offerto di aiutarla.
-Tu non
ci vai a scuola?-
Chiese ad
un tratto. Il ragazzo non rispose subito, e le sembrò che stesse riflettendo su
cosa dire.
-Sì, ci
vado. Ma, hum, ecco… mi hanno dato alcuni giorni di
vacanza-
-Perché?-
-Perché
il preside ha deciso che me li meritavo proprio-
La
bambina lo guardò senza capire –Perché?-
-Perché…
ho litigato con alcuni ragazzi-
-E
perché?-
A Ethan
scappò un sorriso: alla sua età anche lui era solito chiedere sempre il perché
di ogni cosa, anche la più insignificante, e ricordava che sua madre, a volte,
inventava le ragioni più assurde per spiegargli il motivo di una sua curiosità.
-Perché
stavano dando fastidio ad un altro ragazzo. E io sono intervenuto a difenderlo-
Octavia
gli lanciò una strana occhiata –Li hai picchiati?-
Lui
rimase interdetto. Si passò una mano tra i capelli, imbarazzato –Bè, ecco… un
po’-
Octavia
commentò con un “oh” appena percettibile, e lui notò che si era rabbuiata come
se il fatto che lui avesse picchiato qualcuno le avesse causato un enorme
dispiacere. Sospirò e cercò un modo per rendere il tutto più accettabile.
-Vedi-
iniziò a spiegare –se io non li avessi picchiati, loro avrebbero picchiato
l’altro ragazzo. E io queste cose non le sopporto. Non sopporto i codardi che
fanno i gradassi con i più deboli, e quelli erano codardi. Se fossero state
brave persone non avrei mai fatto a botte con loro-
Come
spiegazione era un po’ ridicola, doveva ammettere, ma sperò che la bambina
capisse ugualmente. Octavia rimase pensierosa per un po’, riflettendo su quelle
parole.
-Ma
allora, se avevi ragione perché ti hanno cacciato dalla scuola?-
-Questo
non me lo spiego. So solo che i genitori di quei ragazzi erano più numerosi e
infine hanno avuto la meglio. È sempre così: il numero fa la ragione o il torto
di una persona, e non importa se la decisione è corretta o meno-
-Ma non
è giusto-
-Già.
Comunque sia ormai è fatta, ci sono abituato. E poi tra due giorni ci tornerò
lo stesso, a scuola-
Octavia
stava per replicare quando una voce di donna richiamò la loro attenzione: stava
chiamando il suo nome. La bambina si voltò in tempo per vedere una donna
correre verso di loro, agitando un braccio nella loro direzione. La borsa le
stava per scivolare dal braccio e, se prima aveva i capelli legati, la coda
doveva essersi disfatta perché una gran massa di capelli color cioccolato la
seguiva come un lucido mantello agitato dal vento.
-Mamma!-
La
bambina le corse incontro e si gettò tra le sue braccia. Spiegò poi tutta la
storia di come il cappello le era volato via ad un improvviso soffio di vento –
che, come andremo a scoprire, non fu tanto improvviso – e di come lei si fosse
allontanata per riprenderlo. Inoltre, promise che non sarebbe più scappata via
in quel modo.
Poi
Octavia indicò Ethan con entusiasmo, e raccontò di come si era così gentilmente
offerto di aiutarla. La donna gli sorrise e gli scompigliò i capelli scuri.
-Ti
ringrazio, davvero tanto-
Lui si
strinse nelle spalle con una buona dose di modestia –Ma si figuri-
Octavia
lo guardava pensierosa, forse anche un po’ triste –Quindi quando torni a scuola
non potrai più venire qui-
Ethan
stava per scuotere la testa, ma poi un’idea lo bloccò a metà del gesto. Si
chinò e indicò alla bambina un locale dall’altro lato della strada –Lo vedi
quel bar? Lì lavora mia madre. Chiedi di Ellen, quando ci andrai. E vedi quella
strada che svolta nella salita? Casa mia è il secondo cancello sulla sinistra. Vieni
a trovarmi ogni volta che ti va-
E fu
quando terminò di parlare che si rese conto di averlo detto non solo per pura
cortesia; quella bambina lo aveva conquistato sin dal primo momento il cui
l’aveva vista, e anche a lui sarebbe dispiaciuto perdere i contatti con quella
nuova, piccola amica.
Octavia
annuì, al colmo della felicità –Posso andare, vero mamma?-
La
donna annuì, un sorriso in risposta alla figlioletta –Ma certo-
******
Avevamo
detto che il vento che aveva fatto volare via il berretto di Octavia non era
stato casuale, e forse qualcuno avrà già capito chi sia stato il vero
responsabile.
Infatti,
se ritorniamo indietro per esaminare la scena, possiamo ben vedere una
familiare figura avvicinarsi alla bambina e alla madre e, veloce come il
pensiero, portare via con una raffica di vento freddo il berretto rosa.
Dapprima,
Jack Frost era stato perplesso riguardo l’ordine ricevuto da Santa Claus, ma
ben presto aveva capito perfettamente che era necessario ai due ragazzi
incontrarsi. Si era anche dispiaciuto di come Octavia si fosse disperata quando
aveva capito di essersi persa, ma Jack aveva fiducia nelle direttive di Nord,
inoltre sapeva che sarebbe stata in buone mani. Una volta portato a termine il
suo compito si era mosso tra i rami degli alberi e dall’alto della loro chioma
aveva osservato la scena dell’incontro tra i due.
Ethan
gli aveva ricordato molto sé stesso, e dal modo gentile con in quale aveva
trattato con la bimba in lacrime aveva subito capito che Nord non si era
affatto sbagliato sul suo conto: quel ragazzo aveva un grande cuore e un animo
altruista, nonostante a volte si lasciasse guidare dalla sua impulsività.
E Jack
era certo che, nonostante fossero ormai passati molti anni dalla volta in cui
lui e Nord si erano incontrati, il ragazzo non avesse perso la sua fede. Con il
tempo, aveva imparato a conoscere l’animo di ciascun bambino e ragazzo, e negli
occhi di quel ragazzino aveva subito visto una luce ormai rara, una scintilla
che, per loro Leggende, era un dono prezioso. Inoltre avrebbe potuto giurare
che, se solo si fosse mostrato ai due ragazzi, entrambi avrebbero esclamato
all’unisono “Jack Frost!” – era certo che entrambi credessero ancora
nell’immenso potere della fantasia, e quella era una certezza che non aveva
bisogno di prove concrete.
Seduto
su un ramo, Jack sorrise. Dopotutto c’era ancora speranza.
Bene, andiamo avanti e facciamo la conoscenza di un nuovo
personaggio che, vi dirò, avrà la sua buona parte di lavoro da fare.
E poi guardate: c’è Jack *-* adorabile cosino ghiaccioloso! (?) sappiate che lui e Pitch si fanno la
guerra nel mio cuoricino, ancora non so decidere chi dei due preferisco
<_<
Comunque! Ringrazio Olzawerper aver
inserito la storia tra le Preferite e Seguite,
Gamora96 per averla inserita tra le Storie da ricordare e AngelsOnMyHearth
e _Dracarys_ per
averla inserita tra le Seguite,
inoltre un grazie mille per le splendide recensioni *-* e grazie anche a chi mi
segue restando nell’ombra ;)
Quel
mattino, prima di varcare la porta d’ingresso della scuola, Ethan sospirò. Solo
il giorno prima si trovava al parco, immerso nella pace di quella vacanza
improvvisata, e adesso quasi rimpiangeva che la durata della sua sospensione
fosse scaduta. Sapeva che, molto probabilmente, gli energumeni con i quali
aveva avuto a che fare si sarebbero presto fatti avanti di nuovo: tipi come
quelli non demordevano con facilità, e l’orgoglio quasi animalesco che
caratterizzava quel genere di persone era facile da ferire, ma assai duro da placare
una volta provocato. Pazienza, voleva dire che li avrebbe picchiati di nuovo, e
poi sarebbe stato sospeso di nuovo, e poi sua madre gli avrebbe di nuovo fatto
quel bel discorso sulla giustizia che ormai conosceva a memoria. In fondo, la
sua vita era assai prevedibile.
Quasi
non prestò attenzione alle lezioni. Dal suo banco vicino la finestra osservava
il giardino della scuola tingersi dei colori dell’autunno. L’erba dei vialetti
ingialliva e si piegava sotto le sferzate del vento freddo, e le chiome
verdeggianti degli alberi assumevano quella sfumatura rosso-oro che ad Ethan
era sempre piaciuta. Gli piaceva l’autunno, il preludio dell’inverno, il
momento in cui la vita rallentava il suo ritmo prima di morire per rinascere
più bella che mai una volta tornata la primavera.
Alcune
foglie morte avevano iniziato un girotondo sotto alcuni alberi quasi del tutto
spogli. Credete che le foglie cadano dagli alberi una volta morte, per cause
del tutto naturali? Ethan non la vedeva a quel modo: sui rami di quegli
scheletri legnosi poteva, infatti, distinguere con chiarezza alcuni puntini
luminosi che si aggrappavano agli steli delle foglie o ci saltavano sopra, e le
utilizzavano per scendere da quell’altezza. Erano fate, piccole fate che, a
quanto pare, si divertivano a giocare con ciò che la natura riteneva ormai
inutile.
Era
strano pensare che in quella stanza, oltre a lui, nessuno potesse vedere quelle
creature. Per gli altri ragazzi non c’era nulla di strano o fantastico nelle
foglie che cadevano in autunno. Ethan si era chiesto tante volte perché lui
potesse vedere gli esseri fatati e gli altri ragazzi invece non vedevano nulla
al di fuori dell’ordinario. Aveva forse qualcosa che non andava? Erano
allucinazioni dovute alle troppe favole o ai suoi sogni ad occhi aperti, o
c’era qualcosa di più? Una cosa era certa: per il mondo le fate, o i folletti,
o gli unicorni e tutte le altre creature non esistevano, erano semplici frutti
del folklore popolare, erano simpatici disegni su carta per far divertire i più
piccoli.
Eppure Ethan
era sicuro di vederli, proprio come voi vedreste le vostra mano se solo
provaste ad avvicinarla al viso. Dunque cosa significava quello? Aveva sentito
e letto di molte persone ritenute “pazze” perché sostenevano di essere venute
in contatto con strani esseri del regno fatato. Lui era forse pazzo? Se era
così, allora si era fatto un’idea del tutto sbagliata sulla pazzia. Credeva che
fosse una cosa orribile, una malattia inguaribile in cui i sogni più angosciosi
prendevano il posto della vita reale. Se essere pazzo significava invece poter
vedere strani esserini luccicanti saltellare sulle foglie… bè, quella era tutta
un’altra storia.
Si
chiese come funzionasse la gerarchia delle fate: quelle che stava vedendo in
quel momento erano fate dell’autunno, e poi sarebbero arrivate le fate
dell’inverno e così via per tutte le stagioni? Ma le fate potevano morire?
Aveva letto libri alquanto contraddittori sull’argomento: alcuni volumi
dicevano che le fate erano immortali, mentre altri puntualizzavano che bastava
un nulla per farle svanire. Certo, sarebbe stato interessante chiedere
direttamente a loro, ma Ethan non osava immaginare cosa sarebbe successo se
qualcuno l’avesse visto parlare all’apparenza solo con un ramo spoglio. E poi
cosa ne sapeva, lui, di come si avvicinavano le fate? Potevano non essere tutte
socievoli, e aveva letto che alcune erano talmente schizzinose da lanciarti
addosso maledizioni che duravano per tutta la vita.
Ethan
si accorse che i suoi compagni lo guardavano con una sorta di timore che mai
aveva notato prima. Di tanto in tanto sorprendeva qualcuno voltato nella sua
direzione, che subito distoglieva lo sguardo non appena veniva colto in
flagrante.
“Ma che
diamine si aspettano?” si chiedeva contrariato. Tutte quelle attenzioni gli
davano ai nervi “Non mi metto mica a picchiarli senza un motivo!”.
Era
stupido, pensava, il modo in cui certa gente reagiva alle notizie. I suoi
precedenti erano ormai noti nonostante avesse tentato di tenerli nascosti,
quindi in pratica una buona parte dei ragazzi dell’istituto sapeva ormai che
era stato cacciato dalle altre scuole a causa delle risse nelle quali era stato
coinvolto. E ovviamente nessuno andava a chiedergli se, in quelle risse, lui
avesse avuto ragione o torto o se le avesse scatenate per una giusta causa o
solo per il gusto di imbrattarsi i vestiti di sangue.
Alcuni
insegnanti, invece, lo guardavano con severità, e il personale scolastico lo
squadrava con diffidenza. A volte Ethan si chiedeva il perché la gente fosse
tanto superficiale, perché credesse solo alle prime impressioni invece di
cercare di capire di più rispetto ad una persona o una situazione.
Il
mondo degli adulti gli sembrava così finto e ipocrita, e a dirla tutta lui non
aveva l’intenzione di diventare un adulto come quelli che conosceva. Quando era
piccolo l’idea di crescere lo spaventava addirittura: vedeva troppe cose in tv,
vedeva di uomini che litigavano e si uccidevano l’uno con l’altro, vedeva di
coppie felici che finivano per autodistruggersi e vedeva fratelli combattere
contro fratelli. Quando era bambino quel mondo lo spaventava. Non voleva
diventare un adulto pronto a sacrificare i propri prìncipi in favore degli
scopi personali, e non voleva perdere la felicità che caratterizzava
l’infanzia. Era questo che pensava da piccolo: pensava che, man mano che si cresceva,
i sentimenti che facevano di un animo un buon animo andassero perduti, e che al
loro posto si radicassero violenza e falsità. Questo perché gli adulti non
avevano più fantasia e non erano capaci di seguire i propri sogni, aveva sempre
pensato. Lui non voleva perdere quel dono e diventare un adulto grigio e triste
come i tanti adulti grigi e tristi che già popolavano il mondo.
Quindi,
alle occhiate di indifferenza o indignazione che lo seguivano rispondeva sempre
con un mezzo sorriso, o non rispondeva affatto. Anche quel sorriso, tuttavia,
turbava la gente. La maggior parte dei ragazzi dell’istituto iniziava a
ritenerlo un criminale, un piccolo delinquente disadattato e sociopatico, il
che a dirla tutta non era molto lusinghiero. Ma ad Ethan andava bene anche
così: ormai era abituato a stare solo.
La
campanella suonò in quel momento annunciando l’inizio della ricreazione. L’aula
si svuotò in fretta e i suoi compagni lo lasciarono lì seduto a guardare fuori
dalla finestra, senza neanche provare ad avvicinarsi e chiedergli se volesse
fare un giro con loro.
Solo
quando Ethan vide una figura uscire da uno dei portoni che davano sul giardino
scattò in piedi: non si era sbagliato, era lo scricciolo, il ragazzino che
aveva “salvato” dai bulli pochi giorni prima. Il ragazzo lo vide andare a
sedersi sul muretto che recintava il campo da calcio; era solo anche lui. Aveva
i capelli biondi e mossi in una cascata di onde d’oro, e dietro un paio di
occhiali dalla montatura rettangolare i suoi occhi erano di un color
grigio-verde, un colore che Ethan aveva visto raramente ma del quale era sempre
stato invidioso: quanto avrebbe voluto avere gli occhi di quel colore invece
che del suo banale color nocciola!
Il
ragazzo uscì dalla classe ormai vuota e si diresse al piano di sotto, le mani
in tasca e la testa ben alta. Una volta fuori si diresse nel punto in cui aveva
visto il ragazzo biondo dalla finestra, e si issò sul muretto a sua volta con
un agile salto. A vederlo, l’altro aveva sussultato e si era ritratto come se
temesse – sorpresa sorpresa – di venire aggredito.
Adesso lo guardava di sottecchi, intimidito. Una spruzzata di lentiggini gli
colorava le guance e il naso all’insù.
Ethan
sorrise, incrociando le gambe sul muro –Tu sei Samuel, vero?-
Il
ragazzino si guardò intorno; probabilmente sperava ancora che non parlasse con
lui.
Ad
Ethan scappò una risata –Hei, è con te che parlo. Che hai, guarda che non ti
mordo mica-
Lui
storse per un attimo le labbra, indeciso –Sì, sono Samuel. Sam. Senti, mi dispiace…-
-Nah, lascia perdere- lo interruppe Ethan –non sono qui per
avere delle scuse. Sarebbe presuntuoso da parte mia, quindi non perdere tempo
con il galateo-
Samuel
sembrò confuso –Oh… bè, d’accordo. È solo che mi sentivo in colpa, ecco, per
quello che è successo. Se non fosse stato per me non ti avrebbero espulso-
-Se non
fosse stato per te- precisò lui –sarebbe stato per qualcun altro. Acqua
passata, davvero-
Sam
annuì, ma era come se non credesse alle sue orecchie. Era molto riservato, notò
Ethan, il suo esatto opposto: lui non ci metteva più di tanto a rompere il
ghiaccio con qualcuno.
-Perché
quelli volevano picchiarti?-
Chiese
ancora, alimentato dalla curiosità. Nel corso degli anni aveva imparato che
c’erano un’infinità di motivi perché i bulli picchiassero gli altri ragazzi:
poteva essere semplice razzismo nei confronti dei molti figli di immigrati
stabiliti nel paese, poteva essere gelosia verso il più bravo della classe o
altre mille possibilità.
Il
ragazzino incassò la testa tra le spalle e scrollò il capo, a disagio –Nulla di
che. Non… non mi crederesti-
-Andiamo,
a me puoi dirlo!-
Samuel
scosse ancora la testa. Si guardò di nuovo attorno, la marea di studenti che
aveva invaso il cortile era cresciuta rapidamente e un vociare sempre più
intenso aveva riempito l’aria. Solo attorno a loro si era formato uno spazio
vuoto, e nessuno sembrava notarli.
Due
ragazze, sotto un albero, chiacchieravano e commentavano qualcosa sul cellulare
di una delle due; avevano le teste accostate l’una all’altra, e Sam vide un
puntino luminoso sfrecciare un po’ attorno a loro e ricavare una treccia dalle
ciocche di capelli di entrambe. Gli scappò un sorriso: non appena avessero
provato ad allontanarsi di certo si sarebbero scambiate una bella testata.
-L’hai
visto anche tu?-
Ethan
aveva seguito la direzione del suo sguardo e aveva osservato la scena a sua
volta. Senza un perché il cuore aveva iniziato a battergli forte nel petto: non
c’era ragione perché Samuel avesse dovuto fissare proprio quelle ragazze in
mezzo alle decine di studenti in giardino; a meno che non avesse visto quello
che aveva visto lui, ossia una fata burlona giocare un tiro mancino a due
fanciulle ignare. Ethan aveva letto centinaia di storie simili.
-Che
cosa?-
Sam era
passato sulla difensiva, ma lui non aveva certo intenzione di lasciar cadere
l’argomento. Aveva forse trovato qualcuno che poteva vedere ciò che sfuggiva
alla maggior parte dei loro coetanei, e non poteva certo negare l’evidenza.
-La
fata, scemo-
-La
fata?-
-Samuel-
Ethan calcò il tono –ci tengo a mettere in chiaro una cosa: non sono uno
stupido e men che mai un pazzo, per cui non guardarmi con quella faccia. E ora
rispondimi: l’hai vista quella fata?-
Il
povero Sam sembrava disperato. Non poteva sfuggire allo sguardo indagatore
dell’altro ragazzo, e per natura non era mai stato bravo a mentire. Per cui,
con un sospiro, annuì con un cenno appena percettibile.
Il viso
di Ethan si illuminò –Ma è fantastico!-
-No che
non è fantastico!- fu la replica indispettita –La gente ti prende per pazzo
quando dici di vedere certe cose. Ecco perché volevano picchiarmi, se proprio
lo vuoi sapere: avevo solo informato quei ragazzi che un folletto aveva
allagato i bagni. E quello è stato il risultato-
-Ma tu
non devi certo dire a tutto il mondo che vedi le creature fatate!-
-Perché,
tu non l’hai mai detto a nessuno?-
-A mia
madre, un paio di volte. Ma ero piccolo e credeva che scherzassi. È il mio
segreto. Il nostro segreto, a questo punto-
Samuel
agitò una mano come per dire di aspettare, quasi avesse inteso in quel momento
ciò che Ethan gli aveva detto –Insomma, li vedi anche tu? Cioè… hai visto anche
tu una fata o quello che è fare una treccia ai capelli di quelle ragazze?-
-Proprio
come vedo te adesso-
-E… è
normale? Insomma, non voglio dire normale, è… cos’è?-
-Non lo
so. Ma di certo è qualcosa di particolare, anche se ancora non so cosa
significa-
-E tu-
Samuel prese coraggio –li hai sempre visti? Folletti, unicorni… sono reali, o
abbiamo qualcosa che non va?-
-Li ho
sempre visti, da quanto ricordo. Credo che… non so come spiegarlo. Tu hai
sempre creduto nelle favole?-
-Bambini
che volano e principesse rinchiuse in torri diroccate? Da bambino credevo che
fossero reali. Ho pensato, sì, insomma, perché non potrebbero esistere in una
dimensione parallela, che a volte viene a coincidere con la nostra? Quindi
potrebbero anche essere reali-
-Dunque
secondo te è per questo che riusciamo a vederli? Perché ci crediamo?-
-Crediamo
che siano reali. E forse, grazie a questa convinzione in un modo o nell’altro
trovano il modo di manifestarsi. Almeno credo-
-Unicorni-
ripeté Ethan –prima hai detto unicorni. Hai mai visto un unicorno?-
-Bè,
una volta. Perché, tu no?-
Lui
scosse la testa, deluso. Poi si illuminò –Però ho visto Santa Claus-
-Andiamo!-
Samuel fece una risata nervosa –Questo non è vero-
Ethan
si imbronciò –Sì che è vero!-
-Va
bene va bene, calmati!- Sam sollevò le mani in segno di resa –Hai visto Babbo
Natale. Ok, perfetto. E com’era?-
-Come i
disegni sulle carte da regalo. Robusto, mantello rosso… aveva anche l’accento
russo-
-Caspita.
E la slitta? L’hai vista la slitta?-
Ethan
fu costretto a scuotere la testa. Stava per rispondere quando il suono
assordante della campanella lo interruppe. Gli sarebbe piaciuto rimanere a
parlare ancora con Samuel, era certo che avevano ancora molte cose in comune e
che, forse, insieme avrebbero potuto trovare una spiegazione a quella loro
particolarità.
Neanche
Sam sembrava molto entusiasta di tornare a lezione –Ti va se domani ci
vedessimo qui?-
Un
sorriso incurvò le labbra di Ethan, e fece cenno di sì con la testa. Sembrava
che la fortuna si fosse per una volta ricordata di lui.
******
“A darknessfalls
over the land
Enslaves with a wave of itshand
And I try to see
The light through the disease
I tried to get up on myfeet
Been so long, shackled down on
myknees
For somewheredeep
inside, I know
That fate favors the bold
So tonight, I’mriding a blackunicorn
Down the side of an eruptingvolcano
And I drink, drink, drink
From a chalicefilled
With the laughter of small children”
(Voltaire – Riding a Black Unicorn)
Dunque esistevano
ancora anime pure in quell’epoca.
Nel buio,
Pitch sorrise.
“Che
sorpresa…”.
Doveva trovarsi
in un luogo sotterraneo, un cunicolo sotto la città, o una cripta. Sì, era una cripta. Nascosto come i
vampiri nei vecchi cimiteri, evanescente come le ombre che nella notte vagavano
tra le lapidi. Era di nuovo così che si era ridotto. Un’ombra indesiderata,
destinata a essere dimenticata fino a svanire. Che fine crudele sarebbe stata,
quella. Che fine indegna. Era stanco di quei luoghi stretti e umidi. Era stanco
di nascondersi come un criminale braccato, ed era stanco dei secoli di speranza
che era stato costretto a vivere.
Speranza. Quanto gli
suonava sgradita, quella parola, quanto gli era odiosa. La speranza era solita
vincere sempre, quella era la dura legge. Ma la legge, la legge poteva essere
infranta, così come la speranza, soppiantata dal terrore e dalle tenebre.
L’umanità
stava svanendo lentamente, e questo poteva andare a suo vantaggio. I bimbi, i
dolci bimbi che le Leggende avevano il dovere di proteggere stavano diventando
sempre più ingrati, nient’altro che piccoli teppistelli scettici armati
soltanto di arroganza e disprezzo. Anche quello poteva essere un punto in suo
favore.
Pitch
Black sapeva che la speranza era molto più fragile da spezzare, e c’era
qualcosa che, in quel momento, poteva essere il sigillo al suo trionfo.
“Sì,
proprio tu. La cara, vecchia paura” –
la paura, la violenza, a quanto pare stavano per diventare i nuovi cardini di
quella civiltà ormai andata a male, e cosa, meglio della paura, poteva essere
un buon espediente per fondare un nuovo impero?
Chi ha
paura diventa spesso molto accondiscendente, e chi ha paura spesso accetta le
tue condizioni nella spesso vana speranza di venire risparmiato dall’orrore
tutt’intorno a sé. E chi ha paura spesso non ha la forza di combatterla.
Sarebbe
stato semplice, quindi, portare i bambini dalla propria parte con metodi molto
persuasivi seppur poco leali, e a quel punto la sua rinascita sarebbe diventata
realtà. I bambini, senza più la fede nelle fatine luccicanti o nei coniglietti
pasquali, non avrebbero avuto nulla a cui aggrapparsi per contrastarlo, e senza
più i bambini il fantastico mondo delle Leggende sarebbe definitivamente
sprofondato nell’abisso senza fondo della dimenticanza.
Tuttavia…
L’Uomo
Nero passeggiava avanti e indietro nell’oscurità come un animale in gabbia,
inquieto nonostante quei gloriosi propositi tanto vicini alla realizzazione del
suo piano.
Tuttavia
esistevano ancora delle eccezioni. Preziosi ragazzini che, nonostante tutto, si
tenevano ancorati al mondo della fantasia e non erano intenzionati a perdere
quell’immaginazione a Pitch tanto sgradita.
Il vero
problema erano loro, loro erano gli unici ostacoli da eliminare. Quello tuttavia
sarebbe stato semplice: cosa c’era che i suoi Incubi non potessero fare?
Ragazzi, sono commossa, sto aggiornando più in fretta del
previsto *^*9
Dunque eccoci qui con un capitoletto un po’ più lungo, ed ecco
finalmente Pitch che da bravo cattivo sta nella sua fogna (?) a progettare
piani criminali. Che carino, no?
Credo di non dover dire nulla per il momento, se non che pure io
voglio vedere un unicorno! *canta la
canzone degli unicorni di Agnes in Cattivissimo Me*
Ma comunque… ringrazio come al solito chi ha inserito la fic tra le Preferite,
Seguite o Storie da ricordare, e come sempre grazie per le belle recensioni
*-*
Erano
passati tre mesi dal primo incontro tra Ethan e Sam, e quell’amicizia
improvvisa sembrava aver fatto bene ad entrambi: adesso Ethan non era più
costretto a girare senza meta per i corridoi della scuola completamente solo, e
Samuel aveva trovato qualcuno che aveva visto oltre la sua facciata da timido
impacciato e con cui aveva potuto legare per davvero senza doversi curare di
nascondere le sue incertezze.
Sam
sapeva essere divertente, quando voleva, e non appena prendeva un minimo di
confidenza tentava persino di fare delle battute al solo scopo di risollevare
il morale generale. E quello gli riusciva sempre. Avevano preso l’abitudine di
vedersi ogni tanto dopo la scuola a casa di uno o dell’altro, e Ethan aiutava
spesso e volentieri l’amico a fare i compiti per il giorno seguente. Sam era
bravo nelle materie scientifiche, mentre aveva la tendenza a combinare guai con
la grammatica e la letteratura.
-Non
capisco perché- diceva contrariato –dovremmo studiare la vita di questi tizi
morti da anni, e quello che scrivevano. Sono perlopiù robe barbose e inutili. A
cosa ci serviranno in futuro?-
A
questo Ethan non sapeva rispondere. Certo, lui era molto più propenso alla
lettura, ma non avrebbe saputo dire perché alcune delle storie che studiavano
fossero diventate tanto importanti nel mondo, e perché era considerata
“ignoranza” il non sapere di cosa parlava un determinato classico. La vera
ignoranza, secondo Ethan, non era il non sapere a quale corrente letteraria
appartenesse quel poeta o dove si trovasse quell’altro stato. La vera ignoranza
per lui era sinonimo di mancanza di educazione e princìpi, e quelli non
potevano darteli i libri, non del tutto almeno. Per lui ignorante era un uomo
che non rispettava il suo prossimo, e quella era ignoranza di vita, a suo
parere molto più grave dell’ignoranza scolastica. Comunque sia, Ethan cercava
di spiegare all’amico che spesso le storie narrate dai grandi della letteratura
e i loro personaggi erano passati alla storia proprio perché denunciavano,
apertamente o meno, la negatività della società dei tempi passati.
-Prendi
quel tipo- diceva –Manzoni. Per la prima volta lui ha fatto degli umili i veri
protagonisti della vicenda e nel suo romanzo ci sono aperte critiche alla
corruzione. O Molière, che nelle sue opere creava un personaggio principale che
rappresentava un vizio o un difetto della società-
Ma non
sempre riusciva a convincere Sam del tutto.
Quando
erano soli parlavano anche delle loro fantasie, naturalmente. Entrambi amavano
i racconti di belle dame e valorosi principi, storie in cui si fondevano magia
e mistero, antiche leggende di popoli lontani arrivate fino a loro dopo secoli
di tramandamento orale. Ethan conosceva una varietà infinita di quelle favole
perché le ricordava da quando le aveva lette per la prima volta, nonostante
fossero passati anni. Le storie celtiche erano quelle che più lo intrigavano, e
così spesso raccontava la storia dei figli di re Lir,
o ancora del mitico capo del FiannaFionnMacCumhaill. Non era
difficile credere che, seppur in epoche remote, quelle avventure fossero
accadute davvero; la cosa difficile era capacitarsi di come, una volta
terminato un racconto, molto spesso la gente commentava con un distratto: “Sì,
carino”, e continuava a trattarle come fantasie che non stavano né in cielo né
in terra.
Spesso
a Ethan e Sam piaceva immaginare come sarebbe stato vivere all’epoca narrata in
quei racconti, a come sarebbe stato poter vedere davvero i draghi solcare in
volo i cieli o poter vivere in un clan dell’Irlanda in armonia con i sidhe, gli antichi spiriti della natura. Era
un’epoca triste e sterile, quella in cui vivevano.
Insieme
avevano fatto delle ricerche nella biblioteca della scuola per quel che
riguardava quello che era diventato il loro segreto, ma neanche in quel modo
erano venuti a capo di qualcosa. Ethan ricordava di aver letto qualcosa sulla
Seconda Vista, ovvero la capacità che hanno alcuni umani di vedere le creature
fatate, ma non sapeva se si trattava con esattezza del loro dono. Era assai
raro che un umano possedesse la Seconda Vista, e spesso si rivelava una
catastrofe più che una benedizione: alla maggior parte degli spiriti non
piaceva che gli umani ficcassero il naso nei loro affari, e nella maggior parte
delle storie l’umano di turno veniva privato delle vista o finiva con
l’impazzire.Quello turbava Sam non
poco.
-Non mi
va l’idea che qualcuno possa strapparmi gli occhi-
Diceva,
e si sistemava gli occhiali sul naso con un veloce gesto dell’indice. Era un
gesto che faceva spesso, quando era nervoso perlopiù, e a Ethan iniziava a
piacere.
Sam,
tra l’altro, aveva sviluppato una vera e propria curiosità morbosa verso
l’incontro di Ethan con Babbo Natale: sin dal giorno in cui ne era venuto a
conoscenza, ogni qualvolta ne avesse l’occasione gli porgeva domande sui
dettagli più minuziosi, e lui doveva andare a ripescare quei ricordi per poter
dare una risposta ben precisa così come Sam pretendeva.
Si
poteva capire che Samuel provava una sorta di dispiacere – perché non era
invidia, le persone benevole come Samuel non sono capaci di invidiare qualcuno
– nel non aver avuto neanche una volta l’occasione di poter vedere Babbo Natale
a sua volta. Confessò che, un paio di volte, da bambino, aveva tentato di
restare sveglio per tendere un agguato al fantomatico vecchietto, ma alla fine
si era sempre addormentato, e così l’anno successivo e quello ancora dopo. Ala
fine, suo malgrado, aveva rinunciato.
In
compenso, Samuel era un asso nella ricerca delle uova nascose in occasione
della Pasqua: non accadeva mai, o molto, molto di rado, che un uovo potesse
sfuggire alla sua vista, e ogni anno il suo bottino era sempre più consistente.
Era stano, si trovava a pensare, che il Coniglio di Pasqua non arrivasse a
fargli personalmente i complimenti.
Stavano
commentando per l’appunto quel pensiero mentre si cambiavano dopo la lezione di
educazione fisica quando due ragazzi arrivarono a interromperli: erano due
degli energumeni che avevano già provato a picchiare Sam quel famoso giorno
dell’espulsione; Samuel e Ethan li avevano visti spesso, nei corridoi, darsi il
gomito e indicarli a loro passaggio. Fino ad allora non si erano fatti avanti,
ma per esperienza personale Ethan sapeva che non avrebbero rinunciato alla
rivincita.
-Guarda
chi c’è: i fidanzatini!-
Commentò
uno con un ghigno sbieco mentre l’altro già sghignazzava senza ritegno.
Sam si
era voltato a sistemare le sue cose nello zaino, ma aveva lo sguardo basso e un
vivo colorito sulle guance. Al contrario, Ethan si era fermato e ora li fissava
con aria di sfida, la testa ben alta.
-Allora?-
continuò quello –Ho ragione? Hei, biondino, siete fidanzati?-
-Avete
stretto amicizia in fretta, vedo. Avete già scopato o aspettate di compiere
diciotto anni?-
E
mentre uno rideva l’altro muoveva la lingua in gesti più che eloquenti.
Parlavano soprattutto con Samuel, che avevano individuato come il più debole
dei due, e questa era una prova ulteriore della loro vigliaccheria.
Ethan
fece una palla con i suoi vestiti e la cacciò con rabbia nello zaino,
trattenendosi a stento dallo scagliarsi contro i due provocatori. Non poteva
rischiare un’altra espulsione.
-Sparite
di corsa. Odio dover picchiare i falliti-
Naturalmente
non l’avrebbe fatto, ma forse la minaccia e il ricordo dei nasi rotti li
avrebbero persuasi a sparire dalla circolazione. Infatti, i due esitarono
appena prima di ritornare alla carica.
-Hei,
amico…-
-Io non
sono tuo amico, vedi di tenerlo a mente-
-Stavamo
solo facendo conversazione. Anche se forse hai ragione, non dovremmo
trattenerci qui con voi. Se solo mio padre sapesse che ho rivolto la parola a
un gay…-
A quel
punto Ethan scattò come un fulmine, i pugni stretti e pronti a colpire, e
avrebbe di certo centrato il bersaglio per la seconda volta se non fosse stato
per Sam, che lo afferrò per un braccio appena in tempo.
-Ethan,
lasciali perdere. Non ne vale la pena-
-Lasciami!
Questa volta gli faccio ingoiare i denti uno per uno!-
I
ragazzi si erano allontanati, e uno gli fece la linguaccia. A quel punto
dovettero sentirsi soddisfatti della loro opera, perché uscirono dalla stanza
ancora facendo il verso ai due amici.
Sam
sospirò; stringeva ancora il braccio di Ethan con più forza del necessario
–Vuoi rischiare altri guai?-
Lui se
lo scrollò di dosso, scuro in viso –Li odio-
-Ethan…-
Samuel
non voleva ammetterlo, ma quando era arrabbiato Ethan lo spaventava. Aveva
visto come lo aveva difeso ferocemente la prima volta, e gli aveva confidato di
aver frequentato un corso di difesa personale solo pochi anni prima. Quando
picchiava sapeva dove colpire, e quello lo faceva risultare di gran lunga
pericoloso nonostante fosse ancora un ragazzino. Se solo avesse voluto avrebbe
potuto fare del male sul serio.
Sam non
sapeva mai cosa dire in quelle circostanze, e non sapeva come comportarsi.
-E se
solo ti rivolgono la parola quando io non ci sono- continuò Ethan –non hai che
da dirmelo-
-Ethan,
non ci hanno insultati-
-Con
“gay” intendevano il senso dispregiativo del termine. Quindi tecnicamente sì,
ci hanno insultati-
-Ma non
puoi dare credito alle loro parole! Insomma, quelli provocherebbero persino Dio
per motivi alquanto discutibili-
-Questa
è vendetta- replicò Ethan, gettandosi lo zaino sulle spalle –la vendetta dei
perdenti, la più insulsa. Non mi sta bene essere visto come un emarginato
sociale solo perché quelli lì mettono in giro false voci. Se vogliono la guerra
l’avranno: devono solo chiederlo-
-Non
fare sciocchezze- lo avvertì Sam –quelli aspettano solo una buona occasione per
farti espellere. Se cerchi lo scontro farai il loro gioco-
-Non mi
farò certo avanti per primo. Neanche io tengo ad un’espulsione-
Ethan
aprì la porta ed esaminò la palestra ormai deserta. Samuel gli teneva ancora la
mano sulla spalla come se non volesse lasciarlo andare via, e lui si voltò a
guardarlo.
-Me lo
prometti, Ethan?-
Suo
malgrado si ritrovò a sorridere. Sam sembrava ancora un bambino, quando si
imbronciava e lottava con tutte le sue forze per evitare anche la più minima
violenza. Samuel era troppo buono, Ethan lo pensava spesso, era di una bontà
del tutto spontanea che veniva direttamente dal cuore. Era buono anche con chi
non l’avrebbe meritato, ed era buono in un modo in cui lui non sarebbe mai
stato.
E a
quel tono, a quelle richieste Ethan non sapeva mai dire di no, per cui
sorrideva sempre con aria di resa. Così fece anche quella volta.
-Sì, te
lo prometto-
******
Ethan
era appena tornato a casa dopo aver fatto un salto al locale dove sua madre
lavorava. Ellen non sarebbe tornata presto quella sera: aveva accettato
l’invito delle nuove colleghe ad uscire. Il ragazzo era contento che avesse
trovato così presto delle persone con cui poter legare e svagarsi; quantomeno, a
nessuno dei due era riuscito poi tanto difficile ambientarsi, nonostante i
problemi iniziali.
Ethan
aveva dunque appena aperto una lattina di coca cola con tutta l’intenzione di
accendere la tv e trovare qualcosa di decente con cui ammazzare il tempo in
attesa dell’ora di cena. Aprì la porta del salotto e cercò a tentoni
l’interruttore; un attimo dopo la luce inondò la stanza.
-Salve,
Ethan-
Il
ragazzo si sentì soffocare e subito dopo iniziò a tossire a causa di una
maledetta goccia andatagli di traverso. Era stata solo una frazione di secondo,
ma aveva ben riconosciuto la figura comodamente stravaccata sul suo divano,
nonostante fossero passati ormai molti anni.
Santa
Claus era seduto nel suo salotto. Santa
Claus era seduto nel suo salotto. Non poteva essere vero!
Mentre
cercava di riprendere fiato qualcuno arrivò a picchiettargli le spalle.
-Oh
cielo, tesoro, stai bene?-
Lui
annuì e sollevò lo sguardo, incrociando due luminosi occhi color viola acceso. Tutto
d’un tratto si rese conto che la figura davanti a lui era sollevata da terra di
qualche centimetro e agitava delle ali iridescenti, e che tutto il suo corpo
era ricoperto da una sorta di piumaggio color verde-azzurro.
A quel
punto arretrò appena e finì con l’urtare e far cadere una pila di libri da un
tavolino. Si trattenne dall’imprecare e chiuse per un attimo gli occhi.
“Calma,
calma. È tutto normale: Babbo Natale è seduto sul tuo divano e una fata ti sta
svolazzando davanti. Nulla di allarmante. No?”.
Posò la
lattina piena su una mensola dato che le mani avevano iniziato a tremargli. Si
era già reso abbastanza ridicolo, e non ci teneva a dover ripulire in caso di
caduta accidentale del liquido zuccheroso.
Tornò a
guardare in direzione del divano, e notò che la stanza era molto più affollata
di quanto avesse presupposto: accanto a Santa Claus stava nientemeno che Sandman, che agitò con vivacità una mano paffuta nella sua
direzione; appoggiato alla libreria stava come una sorta di bodyguard il
Coniglio di Pasqua, che si rigirava tra le zampe un souvenir raffigurante il
Big Ben; e infine, appollaiato sul suo bastone, Jack Frost lo scrutava con un
mezzo sorriso dipinto sul viso candido.
Quello
era un quadro alquanto singolare e persino Ethan, malgrado tutta la sua buona
fede nelle favole e nelle Leggende, stentava a credere a ciò che stava vedendo.
Aprì la
bocca per dire qualcosa, ma si rese conto di non sapere cosa. Tutto quello che
riuscì ad articolare fu uno strano suono che, non era difficile capirlo, era
una richiesta di spiegazioni.
-Che
c’è? Non ti piacciono visite?-
Nord si
alzò con le braccia spalancate, un sorriso a trentadue denti stampato in viso.
Ethan
emise di nuovo quel verso, questa volta più flebile, poi si costrinse a cercare
qualcosa di più sensato con cui controbattere.
-Hem, no. Cioè, sì, mi piacciono le visit-…-
-Perfetto!
Vedete che abbiamo fatto bene a fare visita?-
Tutti
gli altri occupanti della sala borbottarono qualcosa annuendo con aria di resa,
mentre il ragazzo rimase sorpreso dall’entusiasmo mostrato da quell’omone
grande e grosso. Era allegro e festoso come un bambino alla vigilia di Natale.
-Posso…-
azzardò Ethan, cercando di darsi un contegno –posso sapere il motivo della
visita?-
-Motivo
di visita?- per un attimo Nord lo guardò perplesso, poi si diede una manata
sulla fronte –Oh, motivo di visita! Certo, domanda legittima-
Jack
saltò giù dal bastone atterrando senza il minimo rumore –Siamo qui per metterti
in guardia: crediamo che tu possa essere in pericolo. E con te altri ragazzi,
credo che tu ne conosca alcuni-
-Pericolo?-
il ragazzo li guardò confuso –Che genere di pericolo?-
-Pitch
Black- la Fata del Dentino si tormentava le mani in grembo –l’Uomo Nero. Crediamo
che possa fare ritorno, che possa tentare di riportare il periodo dei Secoli
Bui sfruttando la fragilità e la corruzione di quest’epoca. E, date le
circostanze, potrebbe riuscire a farla franca-
-L’Uomo
Nero?-
Ethan
scosse la testa: non riusciva a trovare un senso a tutto quello. Stava forse
sognando?
Un
brivido freddo gli era corso lungo la schiena al nome di Pitch Black. Ricordava
il timore di lui che aveva da bambino, e ricordava di come sua madre
ispezionasse ogni anfratto buio della sua cameretta per convincerlo che l’Uomo
Nero non si stesse nascondendo nell’oscurità in attesa di tormentarlo con i
suoi incubi. Era possibile che i suoi timori stessero per diventare realtà? E
lui, in caso tutto quello fosse stato reale, cosa mai avrebbe potuto fare?
Vide
Babbo Natale annuire.
–Uomo Nero- confermò –Uomo Nero vuole
sfruttare paura e scetticismo di bambini per combattere tutti noi. Pitch vuole
guerra a vuole al contempo agire nell’ombra per quanto possibile, come sempre
ha fatto-
-Cioè
non si schiera in prima persona? Ma è un codardo!-
Dal suo
posto sul divano Sandy gli mostrò i pollici in su; sulla sua testa la sua
sabbia dorata aveva disegnato un grande punto esclamativo.
-E’ una
questione di numero- specificò il Coniglio di Pasqua –noi siamo in cinque, lui
uno solo. Potrà avere anche i suoi Incubi al seguito, e potrà aver anche
affinato la sua dote di suscitare la paura più terribile nell’animo umano. Ma
parte in svantaggio, e questo lo sa bene. Per questo vuole ritardare lo scontro
frontale, per quanto sia inevitabile-
-Un
attimo, ferma- Ethan sollevò una mano come a chiedere una tregua. Quella
situazione era quasi paradossale –ok, l’Uomo Nero vuole riportare il suo
dominio di terrore e bisogna dargli una lezione. Ma io cosa c’entro in tutto
questo?-
Che la
notizia delle sue risse fosse arrivata persino al Polo Nord? E se anche fosse
stato, certo i Guardiani non erano lì per chiedergli di far desistere l’Uomo
Nero dai suoi intenti a suon di calci.
Nord
fece un passo avanti –Tu hai conservato la tua fede, come ti avevo chiesto al
nostro primo incontro. Tu sei per noi una speranza, e al contempo un pericolo
per Black. Quanti più bambini continuano a credere in noi, tanto più il suo
potere ne risente. Non sono rimasti molti ragazzi come te, e proprio per questo
Pitch potrebbe tentare di nuocervi in modo diretto. Questa volta non rinuncerà
facilmente alla sua battaglia-
-Insomma
l’Uomo Nero vuole farmi fuori? State dicendo questo? Oh che fantastica
notizia!-
Tutto
quello era impossibile! Pitch Black gli stava dando la caccia in quel momento?
Quanto tempo sarebbe passato prima che lo trovasse? E a quel punto lui cosa
avrebbe potuto fare?
Ethan aveva
troppe domande che gli premevano in testa tutte in una volta, e la cosa più
brutta era forse che non era certo di volere una risposta.
-Non
devi avere paura, Ethan- cercò di rincuorarlo Dentolina
–siamo qui per aiutarti-
-No,
non ho paura- affermò lui con decisione. Come poteva ormai avere paura
dell’Uomo Nero? I suoi timori li aveva vinti da bambino –non ho paura-
L’aveva
ripetuto guardando i Guardiani una a uno. Dei sorrisi di approvazione erano
stati silenziose quanto incoraggianti risposte, ma c’era qualcos’altro che
improvvisamente aveva messo Ethan sul chi vive.
-Ma
allora anche Samuel è in pericolo?-
Le
Leggende si scambiarono un’occhiata, infine Jack annuì.
-Samuel
Jefferson e Octavia Blake sono a rischio almeno quanto te. Ci saranno altri ragazzi
come voi, ma finora siamo riusciti a rintracciare solo voi tre per mettervi in
guardia. Era importante che vi incontraste di persona, e vi abbiamo aiutato
anche in questo. Adesso collaborare sarà più facile-
Non gli
sembrava affatto facile, ma Ethan tenne quel commento per sé. Era meglio
ragionarci sopra, magari insieme ai suoi nuovi amici. In quel momento era
stanco dopo una lunga giornata, e decidere il da farsi in quelle condizioni
sarebbe senza dubbio risultato impossibile. Così si limitò ad annuire.
Nord
gli si avvicinò e gli porse qualcosa: sul palmo largo della sua mano brillava
un fischietto d’argento.
-Per
qualunque emergenza suona questo. Vi raggiungeremo il prima possibile-
Lui se
lo rigirò tra le dita, ancora riflettendo sulla possibile guerra degli incubi
che avrebbe potuto scatenarsi. Sollevò lo sguardo per ringraziare i Guardiani
dell’aiuto che gli avevano offerto, ma la stanza era deserta.
Le cose iniziano a essere più chiare, e la “ciurma” si è
presentata al completo xD
Ah! Quanto mi diverto a scrivere con l’accento rrussso di Nord! Spero di non esagerare x’)
Bè, adesso che i Guardiani sono arrivati… manca solo LUI *-* al
prossimo capitolo con Pitchino mio bello
tesoro-di-zia-Rory ^O^ sono in vena di cattiverie… il
mio piccolo e malvagio cuoricino non avrà alcuna pietà! >: )
Come al solito vi ringrazio per seguirmi e per le splendide
recensioni, siete dei grandi *-*
Ethan
ancora non riusciva a credere all’incontro con le Leggende che aveva avuto solo
la sera prima. Una guerra contro l’Uomo Nero? Se qualcuno gliel’avesse
raccontato non ci avrebbe creduto. L’ombra che da bambino aveva tanto temuto
stava per diventare una minaccia reale, e quel che era peggio lui non sapeva
come combatterla.
Quella
notizia lo aveva messo in agitazione, e non vedeva l’ora di incontrare Sam per
condividere con lui ciò che aveva appreso: doveva pur metterlo in guardia, e
dovevano decidere come agire.
Un
rumore di passi veloci sulla ghiaia lo distrasse: Samuel stava correndo verso
di lui, le guance arrossate e il respiro condensato in nuvolette di vapore.
-Devo
dirti una cosa!-
Entrambi
parlarono nello stesso istante, e la loro sorpresa fu evidente. Sam saltellava
sul posto, ma quello era dovuto all’impazienza più che al freddo, così Ethan
gli concesse la parola per primo.
-Il
Coniglio di Pasqua!- la sua voce era per metà soffocata dall’emozione –Nella
mia camera!-
-Cosa?-
-Ma sì,
il Coniglio di Pasqua!-
E gli
raccontò di come la sera prima aveva appena spento la luce quando Mason, il suo
collie, aveva iniziato ad agitarsi e ringhiare sommessamente. I suoi genitori
erano fuori a cena, e dapprima Sam aveva pensato che qualcuno fosse entrato in
casa. Aveva sempre temuto qualcosa del genere – ma questo non lo confessò – e
l’unica cosa che fece dapprima fu solo rintanarsi sotto le coperte.
“Fifone,
fifone che sono!”, pensava, e intanto cercava di raccogliere il coraggio
necessario quantomeno a scoprire il viso e ispezionare la stanza. A dirla tutta
Sam detestava il suo essere così timoroso, ma quello era un tratto del suo
carattere che mai era riuscito a vincere. Quella timidezza e la paura di non
essere all’altezza della situazione lo avevano sempre accompagnato, e non di
rado erano state la causa di molti sogni e occasioni persi.
“Andiamo”
cercava di convincersi “non ha senso stare qui sotto. Ecco, adesso esco. E poi…
e poi che faccio, diamine?”.
Alla
fine, dopo aver preso un gran sospiro, aveva appena scostato le coperte dal
viso. Per quel che riusciva a vedere la stanza era deserta. Mason stava vicino
alla porta, immobile e in ascolto, e annusava un punto sul pavimento come se
non riuscisse a spiegarsi cosa stesse succedendo.
Sam si
era fatto coraggio e si era messo a sedere, guardandosi intorno con cautela.
Quanto detestava le ombre sulle pareti! Avevano sempre le forme più strane,
sembravano lunghi spettri o visi aguzzi, e poi c’era quella strana ombra a
forma di coniglio…
“Coniglio?”
e in quello stesso istante Samuel aveva avvertito una presenza alle sue spalle.
Aveva sospirato di nuovo, e non appena si era voltato aveva lanciato un grido
tanto forte che Mason aveva iniziato ad abbaiare con furia, scagliandosi su
quel qualcosa che stava alle spalle del suo padroncino.
-Hei, hei, toglimi questo coso di dosso!-
Ma Sam
aveva prima dovuto rialzarsi dato che era scivolato già dal letto dopo essersi
ingarbugliato tra le coperte. Aveva tentato di allontanare l’animale dalla
figura che si era trovata incastrata in un angolo della stanza.
-Hei,
buono bello! Su, da bravo!-
Solo
dopo molta insistenza Mason aveva deciso che l’aggressione dell’individuo
poteva terminare. Solo allora Sam aveva potuto sollevare lo sguardo, e decise
sull’istante che quello non poteva essere che un sogno: come spiegare
altrimenti la presenza di un coniglio alto quasi due metri in camera sua? Bè,
forse non erano proprio due metri, ma in quel momento Sam si era sentito così
piccolo e insignificante che tutta la stanza sembrava essere diventata la casa
di un gigante.
Subito
dopo il coniglio gli aveva sorriso, come se la situazione non fosse già di per
sé inquietante.
-Salve.
Perdona l’intrusione, non era previsto tutto quel trambusto. Accidenti, urli
forte. Fai pratica, dì la verità-
Lui era
riuscito a scuotere la testa, poi aveva cercato a tentoni gli occhiali sul
comodino e li aveva messi con una certa frenesia, ansioso com’era di dare
credito o meno all’idea strampalata che gli era appena venuta in mente. E aveva
lanciato un altro urlo, questa volta di esultanza.
-Woah, non ci credo! Sei… sei davvero…!-
-Il
Coniglio di Pasqua in carne, ossa, e coda pelosa. E smettila un po’ di
agitarti, sembri un budino-
Sam
aveva subito smesso di saltellare, ma non riusciva a trattenere la contentezza.
Il
coniglio gli aveva detto una strana cosa, continuò a raccontare, ovvero che
Pitch Black, ossia l’Uomo Nero, aveva tutta l’intenzione di scatenare una
guerra e imporre una sorta di tirannia la cui vera essenza era il terrore e la
sofferenza. E, cosa ancora più allarmante, che proprio lui, Samuel Thomas
Jefferson, poteva avere un ruolo cruciale nella battaglia che si preparava.
E
infine, ma non di certo di minor importanza, il coniglio gli aveva fatto i
complimenti: nessuno riusciva a trovare le sue uova come lui, per quanto
fossero nascoste bene. Quella era una dote da non sottovalutare. Dopodiché era
sparito attraverso una galleria che aveva creato sul pavimento, e Mason aveva
continuato ad abbaiare in direzione di quel punto per una buona mezz’ora, ma quello
non era importante.
-Anche
io ho visto il Coniglio di Pasqua!-
Disse
Ethan, al colmo dello stupore. Dunque le Leggende avevano avvertito anche Sam
e, chissà, avevano fatto visita anche ad Octavia. Doveva parlare anche con lei
al più presto.
-Accidenti!-
-E ho
rivisto Babbo Natale!-
-Dici
sul serio?-
-E Jack
Frost!-
-Maddai!-
-E Sandman!-
-Ma
stai scherzando?-
-Certo
che no, erano tutti nel mio salotto!-
A quel
punto Sam gli lanciò un’occhiata che poteva voler simulare un’estrema sorpresa
ma anche significare “Ti rendi conto di quello che stai dicendo?”-
Ethan
alzò gli occhi a cielo –Dai, Sam, non guardarmi come se fossi matto!-
-Ok,
scusa, solo… a me ha dato un fischietto-
E gli
mostrò l’oggetto dopo averlo tirato fuori dalla tasca; Ethan fece lo stesso, e
entrambi si guardarono senza dire una parola. Ethan aveva pensato di abituarsi
all’idea con il passare del tempo, invece ogni minuto che trascorreva quella
situazione gli sembrava sempre più paradossale. In più, l’idea di potersi
trovare presto faccia a faccia con l’Uomo Nero non lo faceva certo saltare di
gioia. Il ragazzo sospirò. Nulla gli veniva in aiuto per sbrogliare l’attuale
situazione, e la discussione con Sam non produsse risultati concreti. Potevano
solo attendere l’apparizione di quel famigerato Pitch Black e sperare di capire
come combatterlo. Conoscere il tuo avversario è il primo passo verso la
vittoria, quella frase era rimasta sempre impressa nel cuore di Ethan. La
diceva spesso sua madre, ogni tanto gliela ripeteva ancora.
-Dovrò
andare da Octavia- ragionò –e chiedere se anche a lei è arrivato qualche
Guardiano in visita-
Ethan
si sentiva responsabile nei riguardi di Octavia, Tavie, come aveva preso
l’abitudine di chiamarla. Era ancora una bambina, e in quel momento giurò che
avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla. E anche Sam. Avrebbe difeso
entrambi, con qualsiasi mezzo.
Forse
era quello il motivo per cui i Guardiani si erano rivolti a lui: tra di loro
lui era il più grande, stava a lui il compito di proteggere gli amici.
L’occasione
di parlare con la bambina gli si presentò quel pomeriggio, quando dopo la
scuola entrò nel locale in cui Ellen lavorava. Octavia era lì, e le loro madri
chiacchieravano davanti al bancone.
La
bimba gli corse incontro con un gran sorriso, rischiando di fargli perdere
l’equilibrio a causa dello slancio con il quale gli si era gettata addosso. Lui
sorrise e le scompigliò i capelli.
Decise
di cogliere l’occasione approfittando del fatto che gli adulti stavano
discutendo e nessuno badava a loro. Prese un fazzoletto e pulì il mento della
bambina, macchiato di quello che sembrava cioccolato, poi si chinò per arrivare
alla sua altezza.
-Tavie,
posso chiederti una cosa?-
Lei
annuì prontamente. Ethan tentennò, indeciso su cosa dire: avrebbe dovuto
raccontarle tutto, o solo porre una domanda indiretta?
-Ecco,
mi chiedevo… tu le vedi le fate?-
Octavia
lo guardò sorpresa –Perché chiedi questa cosa?-
-Perché…-
Ethan si morse il labbro, stranamente imbarazzato –perché io le vedo. Questo è
un segreto, e volevo condividerlo con te-
Lo
disse perché lei potesse capire che aveva la sua fiducia. Octavia lo studiò per
alcuni istanti, poi si guardò intorno come per controllare che non ci fosse
nessuno nei paraggi. E poi annuì con un cenno sommesso. Ethan ebbe un tuffo al
cuore.
-Ho
visto la Fata del Dentino- gli confidò con un mezzo sorriso –era bella. Tu
l’hai vista?-
Lui
annuì cercando di mostrarsi calmo –Sì, l’ho vista anche io. E dimmi, quand’è
che l’hai vista?-
-Ieri-
Dunque
dopo, o forse prima di essere stati da lui, i Guardiani si erano divisi i
compiti e avevano avvertito anche Sam e Octavia. Lei non sembrava spaventata, e
il ragazzo si augurò che avesse ricevuto la notizia di una possibile guerra
contro Black con il maggior tatto possibile.
-Mi ha
dato un fischietto- continuò Octavia –ha detto che se dovesse succedere
qualcosa di brutto lei verrà e mi aiuterà-
Ethan
sorrise. Era chiaro il motivo per cui Dentolina era
stata incaricata di dare la notizia alla bimba. Una presenza femminile avrebbe di
certo aiutato molto di più.
-Anche
a te ha dato un fischietto?-
-Sì, e
ne ha dato uno anche a Sam-
Meglio
non dilungare spiegandole che a lui il fischietto l’aveva dato Santa Claus, e
che a lui era toccato fare la figura dell’imbranato davanti l’intero gruppo
delle Leggende.
-Ha
detto che un uomo cattivo ci sta cercando- Octavia lo guardava come in cerca di
rassicurazione –è vero, Ethan?-
-E’
vero- che senso avrebbe avuto mentire? –hei, però non
dobbiamo avere paura, adesso, fin quando resteremo uniti nessuno potrà
fermarci. Sei d’accordo?-
La
bambina annuì, ma non sembrava granché persuasa. Ethan vedeva che in tutti i
modi Octavia si sforzava di sembrare allegra, una bimba spensierata come era
giusto che fosse, e non poté fare a meno di ammirarla. Era forte, quella
bambina, più di quanto dava a vedere.
******
“I'm
the fearthatkeepsyouawake I'm the shadows on the wall I'm the monsterstheybecome I'm the nightmare in yourskull I'm a dagger in your back
An extra turn upon the rack I'm the quivering of yourheart
A stabbingpain, a sudden start
(…)
Itgets so lonelybeingevil WhatI'd do to see a smile Even for a littlewhile
And no onelovesyouwhenyou'reevil I'mlyingthoughmyteeth!
Your tears are all the
company I need”
(Voltaire – Whenyou’reEvil)
Octavia
aveva riso fino a quel momento, quando la mamma l’aveva messa a letto. L’aveva
abbracciata e le aveva dato il bacio della buonanotte, così come faceva ogni
sera. Le sembrava che la mamma fosse davvero felice, quando riceveva il bacio
della buonanotte, perché le sorrideva sempre. Era bella, la mamma, quando
sorrideva, ma a Octavia sembrava di vedere una stanchezza sempre più grande nei
suoi occhi. Però, quando le chiedeva cosa avesse, la mamma sorrideva e le
diceva che andava tutto bene.
Forse
lavorava troppo, era il pensiero della bambina. La vedeva di rado, ultimamente,
e sempre più spesso stava a casa dei nonni perché, con il lavoro, la mamma era
sempre fuori casa. Non era sempre stato così, ricordava Octavia. C’era stato un
periodo in cui la mamma era felice, e uscivano spesso la sera, e andavano a
vedere i negozi e le vetrine illuminate nel periodo di Natale e dipingevano
insieme le uova di Pasqua. Ma quello era stato molto tempo prima, quando lei
era ancora troppo piccola per capire cosa stesse succedendo, per capire il
perché lei e la mamma adesso vivessero da sole e perché la mamma doveva
lavorare tanto di più.
Adesso
che era sola nel suo lettino e che la mamma era andata via, il sorriso
abbandonò in fretta il viso della bambina. Octavia capiva che c’era qualcosa
che non andava, ma non avrebbe saputo dire cosa, e non avrebbe saputo cosa fare
per sistemare la situazione.
Era a
quell’ora, nel buio e nella solitudine, che Octavia sentiva il viso bagnato, e
che concedeva alle lacrime di scivolare via perché non riusciva più a
trattenerle dopo intere giornate di preoccupazione che non si stancava mai di
nascondere. La mamma voleva che lei fosse felice, e le diceva sempre di
sorridere. Se solo avesse pianto davanti alla mamma lei avrebbe creduto che non
fosse felice, e allora sarebbe stata triste anche lei.
Fu
quando si sollevò appena per cercare un fazzoletto sul comodino che notò un
movimento sul muro. Era un’ombra, ma era un’ombra strana. Sembrava più scura
delle altre, e più densa, e si muoveva come se fosse viva. Octavia si asciugò
alla meno peggio il viso con le mani e intanto continuava a scrutare la parete.
Qualcosa si sollevò, come una persona che si alza in piedi, e da quel fitto
buio uscì uno strano uomo vestito di nero, la pelle cinerea e uno strano
sorriso sul viso affilato. L’unico tocco di colore erano i suoi occhi: erano
dorati, e splendevano di una strana luce.
-Ciao,
piccola-
Fece
per accarezzarla, ma lei si scostò. Non sembrava intimorita, solo curiosa della
novità di quello strano uomo uscito dall’ombra sul muro. Sapeva che alcuni
maghi riuscivano a fare quella cosa, ovvero apparire dal nulla o nascondersi
nei posti più impensabili. I maghi, o i fantasmi.
-Sei un
fantasma?-
Chiese
dunque Octavia, osservandolo con attenzione. Non sembrava trasparente. Non
poteva essere un fantasma, in fondo.
L’uomo
fece una breve risata –Sono qualcosa del genere. Sono uno spirito-
-Gli
spiriti sono maligni. Tu sei uno spirito maligno?-
-Oh ma
certo che no!- lo disse con tono scandalizzato –Certo, tutto dipende dalle
circostanze. Sono cattivo con chi se lo merita… ma so anche essere buono, sai
piccola? Sono buono con chi è buono con me-
-Questo
mi sembra giusto-
-Ah, ma
tu piangi- le sue lunghe dita afferrarono un tovagliolo ricamato da sopra un
mobile e glielo porsero –sei così giovane, hai forse già motivo di piangere?-
Octavia
accettò il fazzoletto dopo un attimo di incertezza. Aveva abbassato lo sguardo
–Sono triste-
-Perché
sei triste?-
-Non lo
so se posso dirtelo- la bambina si soffiò il naso –non so chi sei-
-Sono qualcuno
che può ascoltarti, se lo vuoi-
L’uomo
sedette sul bordo del letto in un gesto di estrema confidenza. Aveva utilizzato
un tono gentile, e quasi mai i grandi utilizzavano un tono gentile, e non
volevano mai ascoltare i problemi dei bambini perché, dicevano, i bambini non
avevano problemi: erano sempre così allegri e pieni di vita, cosa mai avrebbe
potuto turbarli?
Octavia
stava riflettendo. Mai con nessuno aveva potuto parlare delle sue paure, e
quando ci provava tutti tagliavano corto con un “vedrai che tutto si
risolverà”. Ma non specificavano mai quando tutto si sarebbe risolto. Poteva
essere domani, o tra due anni. E nel frattempo tutto rimaneva com’era, e
nessuno l’ascoltava.
-Io…
penso che anche la mia mamma sia triste- disse alla fine in un sussurro –e
penso che sia anche stanca. Prima non era così. Prima restava a casa con me, e
aveva sempre il tempo per giocare o leggere le favole. Poi papà se n’è andato.
Non mi piaceva papà negli ultimi tempi. Gridava sempre, e faceva sempre il nome
di un’altra signora che non era la mamma. Poi è andato via, e io e mamma siamo
rimaste sole. E da allora la mamma lavora di più, e non può più leggere le
favole con me perché è stanca. E triste. Io lo vedo che è triste, ma quando è
con me prova a essere felice. E io faccio lo stesso-
L’uomo
l’aveva ascoltata, e ora sembrava pensare. Lei lo guardava, ancora chiedendosi
come avesse fatto a trovarsi nella sua stanza. Però fino ad allora era stato
buono sul serio, perché lei si era fidata di lui e gli aveva raccontato la sua
storia.
Non
bisogna pensare che Octavia fosse una sprovveduta e che avesse sottovalutato
l’ammonimento dei Guardiani. Una bimba come lei che si trova ad affrontare il
mondo e le avversità della vita sempre con il sorriso e la disponibilità ad
aiutare gli altri e si ritrova da sola quando anche lei avrebbe bisogno di un
sostegno prova a sopravvivere come può. E quando un bambino solo trova qualcuno
con cui parlare e disposto ad ascoltarlo sul serio allora è come se avesse
trovato un tesoro prezioso. Si sa come sono i bambini: non pensano mai al male,
e pensano che tutti siano amici di tutti e che tutti siano loro amici. Dunque
Octavia non aveva pensato che quell’uomo potesse essere l’uomo dal quale i
Guardiani volevano proteggerla, e non aveva pensato che potesse essere cattivo
o che potesse volere il suo male.
Dal
canto suo, Pitch Black aveva elaborato una propria strategia che voleva attuare
al più presto. Aveva deciso che gli ostacoli più grandi, fino a quel momento,
erano i due ragazzi. A loro avrebbe pensato in seguito. Della bambina, invece,
non aveva alcun timore. I bambini, si sa, sono più persuadibili, e basta
mostrarsi gentili con loro per ottenerne la fiducia, così come stava avvenendo
in quel momento. Se in seguito si fosse mostrata un problema avrebbe preso gli
adeguati provvedimenti. Intanto, gli bastava che quel piccolo intralcio venisse
reso inoffensivo.
-Anche
tu sei triste?-
Gli
chiese la bimba. Lo guardava con attenzione, gli occhioni scuri scrutavano con
attenzione i suoi.
-No,
non sono triste-
-Secondo
me non è vero-
-Credi
che io sia triste?-
-Lo
vedo-
Pitch
si fece attento, e la scrutò con maggiore attenzione. Cosa voleva significare
quello?
-Dai
tuoi occhi-
Specificò
la bambina come se non si capacitasse di come lui facesse a non capirlo da
solo. Era vero, aveva visto un’infinita tristezza in quell’oro, e qualcosa di
più. Frustrazione, e una rabbia molto antica. Se la tristezza fosse causa della
rabbia o viceversa non avrebbe saputo dirlo, ma Octavia era certa di quel che
aveva visto. Era brava a capire le persone, le diceva la mamma.
L’uomo
si era alzato con uno scatto improvviso, e adesso camminava avanti e indietro
nella cameretta con le mani giunte dietro la schiena.
-Sono
stato solo così a lungo…- la sua voce era stata un sussurro malinconico
–nessuno vuole ascoltarmi o avermi accanto a sé. Mi hanno sempre scacciato, e
ho vissuto così tanto tempo nell’ombra da diventare un tutt’uno con essa. È
così brutto essere soli. Lo capisci?-
Naturalmente
sapeva che la bambina lo capiva benissimo. Per quella parte non aveva dovuto
recitare poi tanto. Aveva vissuto secoli e secoli nell’oscurità, in un limbo
perenne tra la vita e la morte, adesso temuto e rivestito di gloria, e l’attimo
dopo di nuovo in ginocchio nelle catene dell’indifferenza. La sua frustrazione
era stata solo in parte simulata.
Infatti
Octavia annuì, e nei suoi occhi c’era traccia di una compassione autentica.
-Nessuno
merita di essere solo-
E lo
guardava mentre lui annuiva per darle ragione. Era strano quell’uomo, pensava
Octavia, ma era pur vero che non bisognava giudicare qualcuno solo
dall’aspetto. Erano soli entrambi, ognuno in modo diverso e per motivi
differenti. Due persone sole, comunque, potevano pur sempre tentare di farsi
forza a vicenda.
Allora
Octavia non poteva sapere quanto la sua fiducia sarebbe stata malriposta, ma
pensava solo a ciò che aveva appena detto. In fondo nessuno, anche il più
cattivo degli uomini, poteva essere lasciato solo. E cercò di rimediare alla
situazione come quasi tutti i bambini avrebbero potuto fare.
-Ti va
di essere mio amico?-
Nella
penombra della stanza, l’uomo sorrise. Era un sorriso di vittoria, ma quello
Octavia non poteva capirlo.
-Sì… sì, mi va di essere tuo amico-
******
Ethan
si svegliò di soprassalto e scattò a sedere sul letto. Sentiva che qualcosa non
andava, aveva una strana sensazione sconosciuta fino a quel momento. Si sentiva
esposto ad un pericolo non identificato, un’atmosfera opprimente aleggiava
nella stanza. Avvertiva una presenza tutt’intorno che sembrava provenire da una
e nessuna parte, e per la prima volta dopo molto tempo imprecò contro la scarsa
illuminazione notturna.
Quella
cosa sembrava provenire dalle sue spalle, come se dietro di lui si fosse
concentrato un potente campo di energia negativa al quale nulla poteva sfuggire,
che sarebbe stato capace di inghiottire fino all’ultimo residuo di vita.
Il
ragazzo si voltò con un gesto deciso: alle sue spalle una figura in abito nero troneggiava
su di lui, lo guardava con un malcelato odio dall’alto della sua statura. A
Ethan non ci fu bisogno di riflettere più di tanto per comprendere la
situazione.
L’Uomo
Nero sogghignò –Sapevi che sarei venuto?-
Lui si
alzò senza rispondere. Lo guardava con aria di sfida, e Pitch non seppe
stabilire se quello fosse un punto a suo favore o meno. Da un lato gli piaceva
avere un avversario alla sua altezza; dall’altra aveva sempre provato un odio
ingiustificato verso quel ragazzino, verso quella fede ferrea che gli leggeva
nello sguardo e verso le favole con cui sua madre lo aiutava a fronteggiare le
avversità della vita.
-Credo
di averlo sempre saputo. Solo non sapevo quando-
-Già-
Pitch sorrise e fece qualche passo nella stanza –ricordi come mi temevi da
bambino? Avevi una paura folle di me. Ma queste…-
Si
fermò davanti la libreria e passò un lungo dito sulle costole dei libri, sulle
copertine colorate e le scritte a caratteri fantasiosi che riportavano i titoli
di quelle storie. Quanto li aveva odiati. Con quelli non c’era stato più posto
per lui. Con quelli Ethan aveva combattuto contro lui e la sua paura, fingendo
di essere sempre l’impavido cavaliere valoroso che avrebbe sconfitto il male
del mondo.
-Queste
ti hanno aiutato. Sono solo favole, ragazzo. Sono racconti nati dalla mente
malata di fantasia di altre persone come te-
-Però
ti fanno rabbia-
Aggiunse
Ethan, seguendolo con lo sguardo mentre l’Uomo Nero si aggirava per la stanza. Pitch
Black aveva stretto i pugni, colpito nel segno. Aveva incassato il colpo in
silenzio, ma un’ombra di disgusto era ben visibile sul suo viso.
-Sai
della guerra che si sta preparando?-
Non
c’era certo bisogno di chiederglielo –So della guerra. Cosa vuoi da me?-
Un
sorriso sbieco incurvò le labbra dell’Uomo Nero –Vai dunque dritto al punto.
Ebbene, sono qui per proporti un’alleanza-
-Un’alleanza…
con te? Devi essere matto-
-Non
rifiutare a priori le mie promesse, ragazzino. Sai anche tu che è una guerra
persa, e lo sanno anche i tuoi Guardiani. Sono talmente disperati da arrivare a
chiedere ai ragazzi di continuare a credere in loro, arrivano a elemosinare la
vostra fede senza garantirvi una protezione concreta. Stanno diventando sempre
più deboli, ogni bambino che abbandona presto il sentiero delle favole è un
duro colpo per loro. Ma è un vantaggio per me. Tu non sei un perdente, ragazzo,
devo dire di ammirarti per questo. Vuoi dunque continuare a lottare per la
causa della giustizia perduta, o vedere il sorgere di una nuova era di gloria e
terrore? Non sempre il male nasce per fare del male. La gente chiama male ciò
che va contro la vostra cosiddetta civiltà. Ormai il vostro ordine è
sovvertito, la gente uccide credendo di fare del bene, e causa dolore allo
scopo di riportare la pace. Credi che questa realtà sia ciò per cui combattere?
Io intendo portare un nuovo equilibrio: nessuna regola, nessuna disuguaglianza.
Creerò un nuovo impero in cui tutto rispetterà un preciso ordine, e la paura
sarà l’unica legge. Gli uomini sono tutti uguali di fronte la paura. Tremano,
piangono e cedono alla realtà. Nessuna illusione, nel mio mondo. Nessuna
promessa di pace per un mondo che ha dimenticato come mantenere la pace. Solo
la dura, crudele realtà-
Ethan
lo guardava sconvolto. Per Pitch Black quello era gloria? A lui sembrava più
uno scenario da Apocalisse. Non avrebbe voluto vivere in un mondo del genere
neanche per un solo istante. I sogni erano l’unica cosa che potevano dare
all’uomo una parvenza di libertà. Se nessuno fosse più stato disposto a lottare
per i propri sogni, cosa ne sarebbe stato della libertà?
-Prima
lo credevo soltanto, adesso ho la certezza che tu sia un folle. Ne ho avuto la
prova per ben due volte: la prima è il tuo piano. La seconda è il fatto che tu
mi abbia chiesto di aiutarti a realizzare questo piano. Credi di sapere tutto
di noi umani, vero? Bene, se così fosse stato allora non mi avresti mai
proposto nulla del genere-
Adesso
sì che l’Uomo Nero lo guardava con astio, gli occhi d’oro erano due fiamme
nell’oscurità della stanza.
-Ti ho
offerto la possibilità di essere vincitore. Se non accetterai questa
possibilità e preferirai cadere insieme ai tuoi idoli allora il folle sarai tu-
-Io non
cadrò- ribatté il ragazzo con decisione –e neanche i Guardiani cederanno. Fin
quando ci saremo noi, fin quando anche uno solo di noi continuerà a credere in
loro, loro ci saranno sempre, e ti combatteranno fino alla fine. Fino alla tua fine-
-Tu sei
solo un ragazzino sfrontato ed arrogante. Come puoi pensare di poter
contrastare la paura? Sai una cosa, io ti ho sempre detestato per quella luce
che sembri portare dentro di te. Gli altri ragazzini, oh sì, quelli mi creano
non poco fastidio. Ma tu, Ethan, tu mi fai impazzire. Tu mi hai sempre
combattuto senza saperlo, quando la notte scacciavi i mei incubi con la forza
di quella tua luce. Non posso quasi guardarti. Mi brucia. Mi ha bruciato sin da
quando eri nient’altro che un moccioso sbavante in culla-
A Ethan
scappò un sorriso –Dunque è una lotta contro di me? Non ho paura, non di te-
Pitch
rise forte, e malgrado quello che aveva appena detto Ethan si sentì
rabbrividire a quel suono agghiacciante che parve risuonare nel silenzio della
casa e venire amplificato in un’eco infinita dalle pareti di quella stanza.
-Tu non
sai ancora cos’è la paura, ragazzo. Ma se intendi essermi nemico, allora lo
scoprirai presto-
In un
lampo gli si avvicinò, Ethan si sentì appena sfiorare il petto all’altezza del
cuore e si sentì mancare il respiro mentre un improvviso terrore lo invase; fu
come precipitare in un oscuro baratro senza fondo in cui nessuno può sentire le
tue urla, e dove sai già che nessuno verrà mai a salvarti. Il ragazzo si
ritrovò in ginocchio, una mano stretta al petto, e attorno a lui vorticava un
denso fumo nero man mano che l’Uomo Nero procedeva con la sua uscita di scena.
Hem, buongiorno, deliri fangirlanti, sorry. Però
comprendiamolo, su: non ha tutti i torti! (sempre perché la mia è una mente
bacata, e sempre perché mi ritrovo a fare crossover con robe che non c’entrano
una mazza l’una con l’altra, direi di mettere in coppia Pitch e Ultron degli Avengers. Allora
sì che saremmo a posto!).
Comunque, ve l’avevo preannunciato: il mio piccolo e malvagio
cuoricino non ha avuto pietà. Né per Octavia (è tanto divertente prendere in
giro i bambini, datemene atto. Dite che sono cattiva come Pitch?), né per
Ethan, sempre per la mia filosofia: “che bello, sei il mio nuovo protagonista!
Sappi che soffrirai immensamente e se hai amici/parenti/innamorati vedrò di
farli fuori in qualche modo”.
Spero di aver dato una buona interpretazione di Octavia per
quanto riguarda la difficile situazione familiare, ho cercato di renderla una
via di mezzo: non volevo che avesse capito proprio tutto altrimenti sarebbe
stata un geniaccio, e neanche che non avesse capito nulla, altrimenti sarebbe
stata una totale deficiente. Quindi, bè, ho tentato di farle spiegare la storia
della sua famiglia in modo non troppo dettagliato.
Poooi, applauso ai
lettori/recensori: come alcuni di voi avevano supposto Pitch avrebbe di gran
lunga preferito un’alleanza, ma visto che non è stato possibile è sempre meglio
ricorrere alla soppressione/tortura degli oppositori. Cosa che sa vagamente di
nazismo. Di certo Pitch e il signore con i baffetti sarebbero andati d’accordo…
o forse è più probabile che fosse Hitler a tormentare Black e lui a dover
fuggire dalle sue manie di onnipotenza. Ok, mi sembra di vedere le vostre facce
da “smettila di denigrare le personalità storiche”, quindi credo sia meglio
dare un taglio ai mie filmetti mentali idioti xD
Ultima cosa, come vi avevo detto Pitch=Voltaire anche qui,
almeno diamogli il beneficio di avere la colonna sonora.
Grazie come sempre per seguirmi, fatevi sentire popolo!
La luce
del sole già inondava la stanza quando Ethan aprì gli occhi la mattina
seguente. Il solo sollevarsi a sedere gli parve uno sforzo enorme, e anche
riordinare le idee si mostrava un’impresa non da poco. Poi, tutto d’un tratto,
gli ritornò alla mente l’odiosa voce di Pitch Black, la sua proposta di
aiutarlo a riportare in vita i Secoli Bui e il secco rifiuto che era seguito da
parte sua. Dopo ricordava qualcosa come una lotta sfiancante e un terrore del
tutto ingiustificato, e buio, un buio come mai ne aveva visto, tanto fitto da
sembrare denso e carico di angosce e paure nascoste. Era riuscito a trascinarsi
sul letto e gli era sembrato di aver dormito cent’anni da allora. Eppure era
ancora stanco.
Black. La scorsa notte l’Uomo
Nero gli aveva fatto qualcosa, e lui ancora non riusciva a capire cosa fosse
successo.
Si
sporse dal letto e aprì un cassetto del comodino, lì dove sapeva di aver riposto
il fischietto che Nord gli aveva dato. L’argento brillò tra le sue dita non
appena fu illuminato dal sole. Doveva chiamare i Guardiani. Gli avevano detto
di usare quello in caso di necessità, e quella era senza dubbio una necessità. Stava
dunque per portarsi l’oggetto alle labbra quando la voce di sua madre, fuori
dalla porta, lo convinse a rimandare il tutto. Fece appena in tempo a chiudere
il cassetto quando Ellen si affacciò alla porta e gli diede il buongiorno.
Lei
sorrideva. Sembrava tutto così normale. Ethan stentava a credere che solo poche
ore prima avesse avuto un confronto con l’Uomo Nero.
-E’
tardi-
Riuscì
a dire, rendendosi conto solo dopo aver parlato di quanto suonasse patetica e
superficiale quella constatazione.
-Non sono
riuscita a svegliarti, stamattina- il sorriso di complicità di Ellen era del
tutto fuori luogo con la realtà che Ethan conosceva bene –sei rimasto di nuovo
a leggere fino a tardi, vero?-
Lui
annuì non molto convinto, ma quella avrebbe potuto essere una buona scusa. Non
aveva neanche sentito la madre chiamarlo, e tutt’ora gli sembrava di vivere in
una specie di sogno. Doveva scoprire cosa gli stava succedendo.
La
donna lo guardava impensierita, il capo inclinato a sinistra, alcune ciocche
corvine sparse sulla spalla.
-Sei
pallido, Ethan. Sicuro di stare bene?-
Il
ragazzo fu tentato di annuire di nuovo, ma alla fine scosse la testa. Non
avrebbe potuto spiegare altrimenti quell’improvvisa debolezza, e quella non era
certo la prima volta che simulava un’influenza.
Ellen
gli poggiò il dorso della mano sulla fronte –Non sembra febbre. Resta qui, ti
porto qualcosa di caldo-
Non
appena uscì dalla stanza Ethan si precipitò ad aprire un’anta dell’armadio,
alla quale era fissato uno specchio. Sollevò la maglietta del pigiama e si
osservò con attenzione il petto: non aveva alcun segno, neanche un minimo
rossore che potesse effettivamente indicare il tocco dell’Uomo Nero.
Sospirò
e si lasciò di nuovo cadere sul letto. Avrebbe voluto che Sam fosse lì. Insieme
avrebbero potuto indagare sul mistero, e poi Sam avrebbe buttato giù una
battuta e sarebbe riuscito a farlo ridere. Avrebbero dovuto incontrarsi a
scuola e invece per vederlo avrebbe dovuto aspettare il pomeriggio, e il
pomeriggio gli sembrava così lontano. Ethan si preparò ad una snervante attesa.
Quella mattina il tempo sembrava non passare mai, le lancette sugli orologi
sembravano immobili e Ethan avrebbe potuto giurare che delle facce maligne sui
quadranti gli rivolgessero beffarde linguacce visibili soltanto a lui.
A metà
mattina era già stufo di aspettare, così decise di prendere un libro e ammazzare
il tempo leggendo; il tempo volava sempre quando leggeva. Allungò dunque una
mano verso una delle mensole e prese un volume a caso: ormai conosceva quelle
storie quasi a memoria, eppure non se ne stancava mai. A volte passava
pomeriggi interi a risistemare i libri: adesso in ordine alfabetico, adesso in
base alla gradazione di colore o ancora li suddivideva per genere, ma visto che
la maggior parte raccontavano tutti di mondi fantastici il compito era alquanto
arduo.
Il
libro che aveva scelto era color verde bosco, e sulla copertina c’era
l’immagine di un principe che teneva per le redini un magnifico cavallo bianco
e tendeva una mano verso una fanciulla affacciata all’alta finestra di un
castello. Era una raccolta di favole e leggende provenienti da varie parti del
mondo, con illustrazioni professionali ad accompagnare la narrazione. Non c’è
bisogno di specificare che fosse uno dei suoi preferiti.
Per
qualche minuto a sfogliò le pagine con pigrizia, a osservare quei disegni che
aveva sempre trovato affascinanti. Rimase a guardare il viso sorridente di Freya, la dea dell’Amore nella mitologia nordica, con una
strana sensazione. Aggrottò le sopracciglia scorrendo le righe e le pagine, e
un senso di ansia opprimente gli premette nel petto. Sentiva quelle storie
lontane, avvertiva il brivido che erano sempre riuscite a dargli come qualcosa
di distaccato e ormai monotono.
Ethan
chiuse il libro con uno scatto secco, il respiro tutto d’un tratto pesante. Un
brivido freddo gli corse lungo la schiena e per la prima volta dopo molti anni
si sentì cadere nella morsa fredda della paura.
“Sai una cosa, io ti ho sempre detestato
per quella luce che sembri portare dentro di te” –
quelle erano state le parole che Pitch Black gli aveva rivolto solo la notte precedente
– “Tu mi hai sempre combattuto senza
saperlo, quando la notte scacciavi i mei incubi con la forza di quella tua
luce. Non posso quasi guardarti. Mi brucia. Mi ha bruciato sin da quando eri
nient’altro che un moccioso sbavante in culla”.
La sua
luce, la sua fantasia. Era quella che Black aveva sempre odiato e, chissà,
forse persino temuto. Era quella che l’Uomo Nero voleva cancellare, era quella
il suo ostacolo verso la realizzazione del piano per distruggere i Guardiani.
E ora… che fosse riuscito a
danneggiarla in qualche modo? Che fosse riuscito a indebolirla o, peggio,
estinguerla del tutto?
“No, ti
prego, no”.
Ethan
si alzò e si avvicinò alla finestra. Il cielo era grigio, grosse nuvole color
metallo stavano immobili in cielo. Tutto era quasi del tutto spoglio, e tutto
d’un tratto quella stagione non aveva più nulla di incantevole: era morte, era
tutto deserto e inospitale, e un freddo impietoso si abbatteva sulla città.
Mancava
poco all’uscita di scuola. Ethan aveva deciso di chiamare i Guardiani non
appena Sam fosse andato da lui: di certo sarebbe stato più facile persuadere
Ellen che stesse davvero parlando con qualcuno; non osava immaginare come
avrebbe reagito sua madre se, entrata nella sua stanza, lo avesse visto parlare
in apparenza da solo.
Quel
pomeriggio sembrò arrivare dopo un’infinità di tempo sterile, e il suono del
campanello di casa fu quasi una benedizione. Mai Ethan era stato felice di
vedere Sam come in quel momento.
-Ti ho
aspettato, oggi- gli disse il ragazzino quando furono soli in camera –mi hai
fatto stare in pensiero, credevo ti avessero sospeso di nuovo. Che è successo?-
Ethan
non sapeva da dove cominciare, né come fare per non allarmare troppo l’amico. Samuel
sapeva essere critico, in quelle situazioni, una notizia data senza il maggior
tatto possibile poteva scatenare una preoccupazione morbosa.
-Pitch
Black-
Disse
infine, non sapendo come raggirare il problema principale.
Sam
sgranò gli occhi –Pitch Black…? Lo hai visto?-
Lui
annuì, e riferì dell’incontro avuto con l’Uomo Nero. Come aveva previsto Sam
iniziò ad agitarsi; si mordeva nervosamente un angolo del pollice, come sempre
faceva quando qualcosa lo impensieriva, e al contempo lanciava occhiate furtive
al petto di Ethan quasi potesse vedere le ombre di Black agitarglisi dentro.
-Dobbiamo
avvertire i Guardiani-
Suggerì
poi, estraendo il fischietto dalla tasca. Ci soffiò dentro, ma nessun suono
uscì dal piccolo strumento. I ragazzi si guardarono perplessi, poi Ethan provò
a sua volta con gli stessi identici risultati.
-Forse
non fun-…-
Sam
venne interrotto da un’improvvisa raffica di vento che spalancò la finestra:
Jack Frost atterrò con una capriola sul letto, portando con sé un turbine di
fiocchi di neve. Nonostante la teatrale entrata in scena non sembrava affatto
divertito o spensierato.
-Avete
chiamato?-
Entrambi
annuirono, e Ethan dovette di nuovo spiegare della proposta ricevuta da Black e
delle conseguenze al suo rifiuto.
-Ti ha
proposto un’alleanza?- Jack era sorpreso quanto loro, o almeno questo era
quello che gli amici dedussero dai suoi occhi di ghiaccio spalancati dall’incredulità
–Ethan?-
Lui strizzò
gli occhi come a voler migliorare in qualche modo la propria visuale. Concentrarsi
sul giovane Guardiano sembrava essergli di una difficoltà estrema. I suoi
contorni sembravano sfocati, come una foto riuscita male.
Ethan si
ritrasse e chiuse gli occhi, sperando che quello fosse nient’altro che un
problema temporaneo. Doveva essere un
problema temporaneo. Era di certo dovuto alla stanchezza, pensò, tutta la
stanchezza che aveva addosso gli aveva semplicemente causato un momentaneo calo
delle facoltà visive. Tutto qui. Tutto normale, niente di cui allarmarsi. Rincuorato,
riaprì gli occhi e si voltò a guardare Sam: era tutto normale. Ma quando tornò
a concentrarsi su Jack il problema si ripresentò, reale e terribile. Era come
guardare un fantasma. Un’ombra destinata
a svanire.
Jack era
allerta, il suo viso tradiva una preoccupazione crescente.
-Ethan?-
-Io…-
il ragazzo guardò la Leggenda, poi Sam. Si sentiva in trappola. Si sentì
scivolare di nuovo nell’abisso senza fondo della paura –io… non riesco più a
vederti chiaramente-
Detto in
quel modo sembrava addirittura più allarmante. Ethan chinò lo sguardo come se
si vergognasse e sentì gli occhi riempirsi di lacrime, cosa che non presagiva
nulla di buono. Non piangeva da anni, ormai. Non aveva più versato una lacrima
da quando era un bambinetto delle scuole elementari, e di certo non avrebbe
dato a Pitch Black l’onore di avere le sue lacrime come sigillo alla sua
vittoria. Era certo che Pitch volesse quello, almeno in parte. Voleva il suo
dolore, e voleva umiliarlo privandolo della cosa che gli era più cara al mondo:
la sua immaginazione, la capacità di vedere oltre la triste realtà della vita,
la capacità di poter lottare contro di lui attraverso i suoi sogni.
Sarebbe
stata dura, ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Per cui Ethan strinse
i pugni e ricacciò indietro le lacrime, deciso a non lasciarsi abbattere così
presto. Non sapeva come ma era certo che, in un modo o nell’altro, Pitch lo
stesse osservando persino in quel momento. Non avrebbe visto la sua
disperazione, né quanto la sua oscurità lo aveva provato. Sollevò il capo e
guardò Jack, e non gli importava di quanto fosse sbiadita la sua figura: lo
vedeva ancora, e credeva ancora in lui. Fin quando la sua fede fosse rimasta
salda nulla avrebbe potuto costringerlo alla resa.
-Stiamo
cercando il nascondiglio di Black-li
informò il Guardiano –lo troveremo, e anche presto. E allora combatteremo la
sua guerra-
-E
vinceremo- aggiunse Sam, con uno spirito battagliero che mai prima di allora
aveva mostrato –perché combatteremo anche noi, vero Ethan?-
Lui annuì
anche se sembrava per la prima volta spaventato all’idea di una lotta. Jack gli
si avvicinò.
-Lo
troveremo- ripeté, e nel suo sguardo non avrebbe potuto esservi traccia di
determinazione più profonda –lo troveremo prima che possa farvi ancora del
male. È una promessa-
E detto
questo allungò un braccio per tentare di consolarlo. La sua mano affondò appena
nella spalla del ragazzo.
******
Era stato
strano ritornare a scuola e fare come se tutto fosse perfettamente normale. Ormai
erano passati tre giorni dalla visita di Jack Frost in camera di Ethan, e
benché ogni tanto lui e Nord si facessero trovare in camera del ragazzo non
riuscivano a consolarlo come avrebbero voluto. Dal canto suo, Ethan si sentiva
abbattuto come mai prima di allora: era stato una delusione, si ritrovava a
pensare, una delusione per i Guardiani e per sé stesso. Non riusciva a credere
di essersi lasciato colpire così facilmente, non poteva credere di aver davvero
dato all’Uomo Nero l’occasione di metterlo fuori gioco in modo tanto semplice. Le
Leggende contavano su di lui, e lui li aveva delusi ancora prima che la vera
battaglia avesse luogo.
Per quanto
riguardava Black, non c’era traccia di lui e le loro ricerche erano ad un punto
morto. Sembrava che, almeno per il momento, fosse deciso a non avanzare oltre o
che, probabilmente, stesse architettando chissà quale altro tiro mancino
diretto ai ragazzi.
Ethan
pensava tutto quello mentre camminava con Sam nei corridoi affollati della
scuola. Non faceva caso alla marea di studenti che a volte li spintonavano nel
tentativo di passare loro davanti. Tutti gli sembravano visi anonimi, e tutte
le voci gli sembravano uguali, e le loro parole non avevano senso.
Sam faceva
scivolare una mano sulla sua, e quello gli bastava per rinfrancarsi. Era un
gesto che faceva spesso, e con il quale sembrava volergli infondere speranza. Tutti
li guardavano camminare fianco a fianco, si voltavano a guardarli e guardavano
le loro mani unite, le dita intrecciate, ma a nessuno dei due importava di ciò
che tutta quella gente poteva pensare. Samuel sapeva bene quanto avere qualcuno
accanto fosse importante, soprattutto nei momenti difficili, quando credi di
non farcela e quando tutto il mondo sembra contro di te. Nonostante fosse il
più piccolo dei due, nel momento in cui prendeva per mano Ethan si sentiva
forte, pronto ad affrontare mille sfide. Ethan sapeva dargli quella sicurezza
che aveva sempre cercato, e sapeva dargli una forza che mai avrebbe creduto di
poter possedere. Doveva essere forte, in quel momento, doveva esserlo per sé stesso
e soprattutto per Ethan, perché sentiva che lui ne aveva bisogno.
Stavano
dunque camminando lungo un corridoio secondario e poco frequentato quando
vennero interrotti da uno strano canticchiare: su una rampa di scale che
portava al piano superiore stava rannicchiata una ragazza. Era alta e magra, e
aveva capelli neri raccolti in una trasandata coda di cavallo mezza sfatta. I suoi
occhi erano così scuri che era impossibile distinguere la pupilla dall’iride e
guardavano in un punto lontano, come se scrutassero una dimensione sconosciuta
al resto del mondo.
Ethan si
era fermato nel sentire la sua strana canzone.
-L’hai
sentita?-
-Ethan,
andiamo via- Sam lo strattonò -non è saggio farsi vedere con lei-
-Perché?
Chi è lei?-
-Nicole-
rispose lui, quasi fosse una cosa ovvia –la chiamano Nicole la Pazza. È abbastanza
inquietante, dicono. Canta sempre strane canzoni e dice cose strane. Parla di
streghe e demoni, e dicono che il suo banco sia disseminato di disegni di
crocifissi e vampiri. Dicono che, se solo fosse nata ai tempi dell’Inquisizione,
l’avrebbero condannata per stregoneria-
-E tu
credi a queste cose?-
Ethan ancora
guardava la figura sulle scale. Era vestita di nero dalla testa ai piedi: dava
l’impressione di un grosso corvo appollaiato sugli scalini di un cimitero. Muoveva
la testa a ritmo di quella melodia che lo aveva convinto a fermarsi.
-Hei,
dove vai?!-
Sam lo rincorse
mentre lui si avvicinò alla ragazza –Che cosa hai detto?-
Lei sollevò
lo sguardo su di loro e li osservò in silenzio. Sam aveva preso a mordicchiarsi
il pollice, e tirava Ethan per la giacca per fargli capire di filare via di
corsa.
-La
canzone- specificò Ethan –cosa diceva quella canzone?-
Nicole rivolse
ai due ragazzi un sorriso vago e ridacchiò –Gli
incubi son tornati-
Ethan guardò
l’amico: Samuel era impallidito. Sembrava avere tutta l’intenzione di voltarsi
e scappare via.
-Gli
incubi?-
-I
Secoli Bui- riprese la ragazza –lui vuole riportarli in vita. Vuole distruggerci
perché abbiamo distrutto l’ordine. Chi toglie la vita non merita la vita, e chi
non merita la vita merita le sofferenze che infligge al suo prossimo. Vuole essere
lui a comandare la distribuzione di quelle sofferenze. Vuole essere il padrone
della paura di questo tempo-
I ragazzi
si guardarono. Persino Ethan doveva convenire sul fatto che quella tipa fosse
spaventosa: parlava con loro ma non li guardava: fissava un punto imprecisato
poco sopra le loro spalle.
-Stai
parlando di Pitch Black?-
-Dobbiamo
stare attenti agli incubi- li avvertì lei ignorando la domanda. I suoi occhi
neri si spostarono su Ethan –dobbiamo stare attenti. Tu ce li hai nel cuore,
vero?-
Il ragazzo
sussultò: come faceva a sapere? Chinò lo sguardo come se lo avessero accusato
di qualcosa, come se gli avessero appena diagnosticato un male inguaribile e
mortale.
-Ethan-
Sam gli stringeva forte il braccio –possiamo andare adesso, vero?-
Nicole spostò
lo sguardo su di lui, riprendendo a canticchiare. Samuel deglutì rumorosamente,
guardando implorante l’amico. Ethan scosse la testa: come faceva quella ragazza
a sapere quello che era successo? Doveva scoprirlo.
Si avvicinò
a lei e sedette sui gradini –Tu sei come noi?- le chiese –Vedi le creature
fatate?-
Nicole si
ritrasse e iniziò a tormentarsi le mani. Aveva dita sottili dalle unghie
mangiate fino all’osso, che si muovevano nervose attorcigliandosi le une alle
altre. Si passò le mai tra i capelli con l’unico risultato di scompigliarli
ancora di più.
-Non
dire queste cose. Perché mi dici queste cose? La gente non mi crede quando
parlo delle fate. Vuoi prendermi in giro anche tu?-
-No,
non voglio prenderti in giro- la rassicurò Ethan. Non c’erano dubbi: anche lei
poteva vedere le creature magiche, e di conseguenza anche le Leggende –ti ho
appena detto che le vedo anche io. E anche lui-
Sam lo
guardò sconvolto, ma lui non ci fece caso. Nicole passò lo sguardo dall’uno all’altro
per un po’, come per rassicurarsi che non iniziassero a inveire contro di lei
come facevano i ragazzi di solito. Dovette capire che non avevano intenzioni
ostili, perché fece cenno di sì.
-Ho visto
lui. l’altra notte. Ha cercato di
farmi assalire dai suoi incubi. Ma alla fine l’ho scacciato-
-Chi è
lui?-
-Lui è lui. Il condottiero del terrore, il re
delle tenebre. Anche tu lo hai incontrato, e lui ti ha ferito. Lo sento: ci
sono le sue tenebre nel tuo cuore-
Di nuovo
Ethan si sentì percorrere da un brivido freddo. Era vero, Nicole sembrava del
tutto fuori di testa, e quel suo sguardo lontano ed enigmatico sembrava poter
spiare i più reconditi meandri del cuore umano. Ma c’era della verità in quello
che diceva.
-Lui è
Pitch Black, dunque- riprovò –l’Uomo Nero-
Nicol gli
fece cenno di tacere –Non è bene pronunciare il suo nome. I suoi sicari sono ovunque,
e il suo udito e la sua vista ti seguono come la tua ombra. Saprà che hai
parlato di lui-
-Ok, va
bene- era meglio assecondarla, dopotutto –hai detto che lo hai scacciato. Come hai
fatto?-
C’era
forse un modo per combatterlo? C’era forse un qualche potere che poteva
permettere loro di contrastare almeno in parte l’oscurità che li minacciava?
-Non lo
so- Nicole scosse la testa –l’ho toccato-
-Toccato?
Lo hai solo toccato?-
Lei fece
di nuovo segno di sì –Non l’ho fatto neanche apposta. Lui stava allungando una
mano verso di me, e io volevo solo allontanarlo. Ma poi lui ha urlato ed è
scomparso. Sembrava parecchio arrabbiato. Ma io no volevo fargli del male. Però
non ne sono pentita-
Il morale
di Ethan si era un po’ risollevato: avrebbe dovuto approfondire quell’argomento,
e magari così avrebbero potuto capire se c’era modo di nuocere al nemico.
Nicole si
alzò e si gettò uno zaino nero sulle spalle. La campanella suonò in quel
momento.
-Credo
che ci rivedremo. E ricordate: non fidatevi delle ombre-
Poi voltò
loro le spalle e prese a salire le scale. Non appena fu sparita Sam scosse la
testa.
-Non ha
senso. C’è un motivo se la chiamano la Pazza, non credi?-
-Non
può aver inventato tutto. e ha detto che Pitch è andato a cercare anche lei, ci
dev’essere stato un motivo. Credo che il nostro gruppo si sia allargato-
-Cioè,
dovremmo fare squadra con… quella lì? Mi fa paura, è fuori di testa!-
-Sam-
lo ammonì l’amico –ricorda che più siamo più possibilità abbiamo di vincere. Dopotutto,
lei è meno pericolosa di Pitch-
Buonasera! Eccoci qui con un nuovo, adorabile (??) personaggio,
tutti contro il povero Pitchino (o Pitchione, come la cara _Dracarys_ mi ha insegnato).
Nicole mi ricorda una versione emo di
Luna Lovegood di Harry
Potter – ma questi saranno un po’ problemi miei xD
e posso confessare che è vagamente ispirata ad una persona che conosco (direte:
ma che cavolo di gente frequenti? – Rispondo: adesso capite perché sono tanto
instabile?). Era impossibile non farne un personaggio, lo sapevo che prima o
poi mi sarebbe uscita una pazza sciroccata. Però shh,
la persona in questione non lo sa!
Sono contenta di essere riuscita ad aggiornare perché adesso non
sarò a casa fino a lunedì, quindi avrete un paio di giorni per disintossicarvi
dai miei trip mentali ;)
E poooi… e poi mi sembra di aver
finito. Grazie come sempre a chi mi segue e ai recensori che spesso mi
strappano anche più di un sorriso *O*
La vita
reale non era come nelle favole. Nelle favole gli antagonisti venivano sempre
sconfitti, uccisi dagli eroi, e gli eroi potevano infine decretare la loro
vittoria e avere il loro “e vissero per sempre felici e contenti”. Nella vita
quello non accadeva più. Nessuno era più un eroe, nessuno era disposto a
lottare per la propria felicità. Nessuno credeva più nella forza dei propri
sogni o nella magia, e la magia stava scomparendo per mano di chi l’aveva
creata.
Ethan
aveva sempre avuto paura di quella prospettiva, del mondo tetro e grigio degli
adulti, pieno di angosce e rivalità che ancora non si spiegava. Non concepiva
come, con il passare degli anni, la cattiveria prendesse il posto
dell’altruismo, e di come l’amore si mutasse in odio a causa di una parola di
troppo. Non capiva come i sogni potessero sparire dalla vita degli adulti, come
loro potessero permettere alla realtà di uccidere i propri desideri. Nei sogni
lui trovava il rifugio che sempre gli mancava nella vita reale, e nei suoi
personaggi di fantasia trovava gli amici che non aveva mai avuto nella realtà.
Che tutto fosse una finzione non gli importava. Il mondo era più accettabile,
nella sua immaginazione. Nelle storie che leggeva tutto era amore e
fratellanza, e tutti aiutavano il prossimo e si univano per fronteggiare il
male. E il male veniva sempre sconfitto.
Nella
realtà nessuno più impersonava l’eroe, e tutti avevano riposto le spade
permettendo alla crudeltà di prendere il governo sul mondo intero. Per la prima
volta, in quella situazione, Ethan non si sentiva più un eroe. I tempi in cui
si fingeva cavaliere, in cui lui era il valoroso paladino della luce sembravano
lontani e irrecuperabili. Era quello che la gente chiamava “crescere”? Era per
quello che i bambini volevano diventare grandi in fretta, per poi rimpiangere
l’infanzia e ritrovarsi ancora più tristi di prima?
Eppure,
per lui era diverso. Avvertiva la presenza di Black in ogni momento, sentiva i
suoi occhi d’oro che lo scrutavano e gli pareva persino di vedere il suo ghigno
di vittoria in ogni angolo buio che incrociava. Lui stava perdendo il contatto
con il mondo della fantasia pur continuando con tutte le sue forse a credere
nei mille universi fatati di cui era venuto a conoscenza, continuava a vedere
creature fantastiche dai contorni sfocati che sembravano guardarlo
supplichevoli e seguirlo con lo sguardo per rivolgergli tutte un’unica
preghiera: “non ci abbandonare anche tu”.
Mai si
era sentito più inutile di allora. Mai aveva pensato che per lui potesse
arrivare la fine, in modo così lento e doloroso da spezzargli il cuore ad ogni
mancata fata che Sam e Octavia vedevano con chiarezza, mentre a lui toccava concentrarsi
e strizzare gli occhi solo per riconoscerne il fioco bagliore.
La sera
si ritrovava nel letto a pezzi, e vani erano i tentativi dei Guardiani di
sollevargli il morale. Ethan non voleva mai guardarli troppo a lungo. Odiava
vederli svanire giorno dopo giorno nonostante tutta la forza che metteva nel
non cedere, e odiava ancora di più la preoccupazione malcelata negli occhi
delle Leggende quando lo guardavano. Ethan detestava essere commiserato,
detestava lasciar trasparire la sua debolezza e detestava l’apprensione che
quest’ultima suscitava negli altri.
Samuel gli lanciava furtive occhiate
preoccupate, e ormai lo teneva sempre per mano come a volergli infondere la
propria speranza e riuscire in qualche modo a vincere le ombre di Pitch, e
negli ultimi giorni l’aveva sommerso di pessime freddure inventate sul momento
con il solo scopo di strappargli anche solo un sorriso. Quei suoi sforzi,
quella continua vivacità che Sam ostentava in modo plateale, quel suo modo di
cercare sempre la mano dell’amico e stringerla come se non ci fosse un domani
erano per Ethan le cure migliori che potesse mai ricevere. Sam non gli faceva
mai notare come di giorno in giorno il suo mutismo aumentava, o come fosse
diventato pallido e stanco negli ultimi tempi. Sam gli faceva capire che a lui
piaceva anche in quel modo, che gli piacevano persino le sue risposte a volte
brusche e le sue sfuriate per un nonnulla andato storto.
Ethan
detestava perdere il controllo quando si arrabbiava, e negli ultimi tempi era
sempre di un umore nero e bastava niente per farlo infuriare, e ancora di più
detestava che Sam fosse sempre lì a proporsi come bersaglio dei suoi sfoghi.
Ethan detestava trattarlo male, anche se entrambi sapevano che la sua rabbia
non era diretta all’amico e anche se Sam non era capace di portare il minimo
rancore.
La
scorsa notte Sam lo aveva invitato a dormire a casa sua. Avevano fatto tardi,
stesi ognuno nel proprio letto, a parlare di come quella faccenda stesse
sfuggendo loro di mano. Quanto tempo ancora sarebbe passato prima che Pitch
sferrasse un nuovo attacco? Quando avrebbero trovato il suo nascondiglio per
poter studiare una strategia di attacco? Avevano formulato mille ipotesi, ma
era difficile stabilire cosa li aspettava.
Infine
erano andati a letto, ma Ethan era rimasto sveglio ancora a lungo. Si sentiva
di nuovo un bambino, al calare della notte, quando ogni luce andava via. Si
trovava di nuovo a scrutare gli angoli bui della stanza e ogni rumore lo faceva
sussultare. Da bambino, nei suoi sogni, Ethan sfoderava una spada di luce e sconfiggeva
quelle ombre. Adesso quella spada aveva perso quasi del tutto il suo potere, e
sapeva che non l’avrebbe difeso neanche dall’incubo più insulso che potesse
esistere.
La
notte era il suo vero punto debole. Ogni volta che chiudeva gli occhi un tunnel
senza fondo di oscurità sembrava volerlo risucchiare al suo interno e
trascinarlo nell’ombra per l’eternità. Ogni volta, nei suoi sogni, i principi
venivano uccisi dalle streghe e le fanciulle erano costrette a sposare uomini
di tenebra che le avrebbero torturate fino alla morte. Nei suoi sogni i
cavalieri si perdevano nei meandri oscuri delle torri diroccate e non
riuscivano a salvare le loro dame. Nei suoi sogni le fate venivano sterminate
da nugoli oscuri di nebbia compatta. Nei suoi sogni il lieto fine non esisteva
più, e tutto diventava buio e tristezza.
Poi si
era sentito scuotere per le spalle, e il viso di Sam gli era comparso
illuminato dall’argento della luna. Lo aveva sentito lamentarsi e lo aveva
svegliato.
-Torna
a letto, Sam- era riuscito a dirgli –sto bene-
-No che
non stai bene-
Aveva
indicato con un cenno il suo letto e non c’era stato bisogno di aggiungere
altro. Ethan era troppo stanco per combattere contro la testardaggine di Sam, e
questo lo sapevano entrambi. Così si erano strizzati entrambi nel lettino di
Samuel, ed erano rimasti lì fino alla mattina dopo. Ethan si era svegliato con
la testa appoggiata sulla spalla dell’amico, abbastanza sorpreso nel constatare
che non ricordava una sola ombra nei suoi sogni per la prima volta dopo quasi
due settimane. Al contempo, aveva visto il sorriso di Sam e aveva seguito il
suo sguardo diretto alla finestra: tutto era ammantato di bianco, dalla strada
ai tetti degli edifici, dalle statue ai rami spogli degli alberi.
-Oggi
sarà chiuso per neve- aveva supposto il ragazzino –sarà un regalo di Jack?-
Dopo
tanto tempo, un sorriso aveva illuminato il viso di Ethan –Credo sia possibile.
Sam?-
Lui si
era voltato e Ethan si era ritrovato a guardarlo davvero per la prima volta. Le
ciocche ribelli del colore del grano, e quegli occhi di smeraldo. La luce del
sole accentuava le lentiggini che aveva sparse in viso. Quasi non aveva
riconosciuto il ragazzino timido e impacciato che aveva salvato da quei bulli
solo pochi mesi prima. Sam sembrava cresciuto anche lui, improvvisamente, o
forse era sempre stato in quel modo e lui non lo aveva mai notato?
-Cosa?-
-Grazie-
Un
sorriso riservato in risposta –Siamo amici, no? E gli amici si aiutano, sempre
e comunque-
Gli
aveva poggiato una mano sul cuore e aveva fatto per toglierla subito dopo, ma
Ethan l’aveva trattenuto. Erano rimasti entrambi a guardarsi per un lungo
istante, quasi a chiedersi cosa fare a quel punto, o semplicemente il motivo di
quell’improvviso rossore che vedevano uno sulle guance dell’altro.
-Ce la
faremo-
Aveva
detto infine Ethan, usando un tono tanto sicuro da convincere persino sé
stesso. Si era sentito di nuovo sicuro di sé, lì vicino a Samuel, ed era certo
che avrebbe potuto sconfiggere qualsiasi ostacolo si fosse posto sulla loro
strada. Avrebbe sguainato la spada, e ritrovato l’antico splendore che aveva
sempre accompagnato il suo animo. Sarebbe andato tutto bene.
-Insieme?-
-Insieme-
******
Fuori
dalla finestra, quella notte Jack Frost aveva osservato ciò che accadeva nella
camera. Aveva atteso a aveva sorriso alla vista dei due ragazzi stretti l’uno
all’altro, in un unico groviglio di braccia e coperte. E aveva pensato che loro
due avrebbero potuto farcela. Vedeva nei loro gesti, nei loro sguardi, un qualcosa
di antico quanto potente, la forza che da tempo immemore smuoveva gli animi più
terribili e univa due persone all’apparenza tanto diverse.
Era un
sentimento ancora acerbo e sconosciuto ad entrambi, ma tanto fragile e prezioso
da essere custodito nel cuore in attesa del momento giusto. Di una cosa Jack
era certo: quei due ragazzi stavano per oltrepassare il confine dell’amicizia
più profonda, un confine tanto lieve da essere quasi impercettibile, e quello
verso cui si stavano dirigendo era rimasto l’unico sentimento puro capace di
contrastare la malvagia indifferenza degli animi.
L’amore
rende invincibili, mette le ali, e quante altre frasi aveva sentito nella sua
vita da Leggenda, in ogni angolo del mondo. Poeti, musicisti, attori e gente
comune cantava dell’amore, in toni elevati o in linguaggio quotidiano, ridendo
e piangendo, da solo o davanti a un vasto pubblico. Quello insieme all’odio
muoveva il mondo, e solo quei due sentimenti erano rimasti a fronteggiarsi in
una lotta che perdurava da tempo immemore. Solo uno poteva vincere sull’altro,
così come la luce sull’oscurità e il bene sul male.
I
bambini, i ragazzi, erano ancora colmi d’amore, speranza e sogni, e Pitch era
l’odio il cui unico obiettivo era quello di distruggere tutto ciò che andava
contro la sua legge della morte, tutto ciò che per lui era fatale e dotato di
vita e luce. I bambini erano il suo ostacolo perché possedevano l’unica arma in
grado di sconfiggerlo, e con la loro fede nei protettori dei sentimenti
positivi che erano il cardine della loro innocenza erano gli unici in grado di
contrastare il suo potere.
Tuttavia,
fin quando i bambini avessero continuato a tenere stretti i loro sogni, fin
quando la luce della speranza nei loro cuori fosse rimasta accesa, allora non
tutto era perduto. Per i Guardiani Ethan era quasi stato una sorpresa, un
giovane animo sopravvissuto alla sterilità crudele di quell’epoca, capace di
sognare ancora grazie alle parole stampate su un pezzo di carta che per molti
non avevano più alcun significato. E adesso che la loro più promettente risorsa
era minacciata così da vicino dalle ombre di Pitch, le Leggende sapevano che la
lotta personale tra Ethan e Black era appena iniziata: mai nessuno, come quel
ragazzo, si era dimostrato degno di poter tenere testa all’Uomo Nero e alle sue
schiere di ombre, e la forza che ancora Ethan portava dentro di sé poteva
trasformarsi in un’arma letale che aveva il potere di distruggere per sempre il
dominio dell’avversario.
E poi,
Ethan aveva Sam. Entrambi si erano promessi di rimanere uniti e combattere
quella battaglia, e Jack era certo che nessuno dei due sarebbe venuto meno a
quella promessa. Era stato bello vederli così uniti, così vicini, quella notte.
Era stato bello vedere Ethan stringersi all’amico come a cercare conforto, e
ancora più bello era stato il gesto impacciato, eppure tanto spontaneo, di Samuel
nell’accoglierlo tra le braccia e accarezzargli i capelli fin quando il sonno
non era tornato per entrambi.
Guardandoli
Jack aveva sorriso, e quel sorriso era stato illuminato dalla luce della luna.
******
Octavia
sospirò e davanti al suo viso si condensò una nuvoletta di vapore. Le piaceva
quel gioco: ogni volta immaginava di essere un drago e che presto avrebbe
trovato un degno cavaliere in grado di essere il suo compagno, e di poter
vivere grandi avventure insieme.
Infilò
la mano guantata tra le dita di Ethan e sollevò lo sguardo su di lui.
-Vuoi
essere il mio cavaliere?-
Lui la
guardò, e non poté fare a meno di sorridere. Era sempre così allegra e piena di
vita, e con una sola parola riusciva a risollevargli lo spirito. Quanto
all’essere cavaliere, ricordava che quello era sempre stato il suo gioco
preferito. Quante volte aveva visitato una grotta nella speranza di trovarvi
dentro un drago a guardia di un tesoro, e quante volte aveva scrutato a lungo
le acque dei fiumi e del mare alla ricerca del luccichio di scaglie brillanti;
quante volte aveva guardato il cielo e aveva immaginato una grande ombra
proiettarsi sul terreno, e ancora quante volte aveva sognato di poter cavalcare
sul dorso di quelle creature leggendarie. Adesso gli sembrava di non pensare
più a un drago da secoli. Nonostante quello annuì, ricacciando indietro
l’inquietudine. Era sera, lui e Octavia stavano tornando a casa dopo una
passeggiata nel parco; a volte gli piaceva ritornare nel luogo in cui si erano
incontrati, lì dove la loro amicizia aveva avuto inizio.
La
bambina aveva raccolto un ramo da terra e ora lo agitava in aria come fosse una
spada, e gli stava raccontando quello che aveva fatto negli ultimi giorni. Lui
aveva dovuto studiare molto in quel periodo, per rimettersi al passo con le
lezioni perse durante i giorni in cui era stato sospeso.
-E poi-
stava dicendo Octavia –ho trovato un nuovo amico-
-Davvero?-
Ethan la guardò mentre annuiva, felice, gli occhi scuri che brillavano –E’ un
tuo compagno di scuola?-
Lei
rise e scosse la testa –Non viene e scuola. Non credo che vada a scuola, ormai.
È un uomo-
Ethan
si accigliò –Un uomo?-
-Sì.
Uno spirito, così mi ha detto-
E gli
raccontò dello strano uomo dagli occhi d’oro apparso in camera sua, che l’aveva
ascoltata quando nessun’altro voleva farlo, e che le aveva promesso di essere
suo amico.
Il
ragazzo si fermò bruscamente, un senso di ansia gli opprimeva il petto e
sentiva il cuore battere forte contro le costole. Guardava la bambina come se
quella rivelazione l’avesse profondamente scosso, contagiandola ben presto con
il suo timore.
-Ethan…?
Che succede?-
Lui si
chinò e le poggiò le mani sulle spalle. Octavia si meravigliò nel constatare
che tremava, nel comprendere che aveva paura. Non credeva che uno come Ethan
potesse avere paura. Era il suo eroe, era il suo cavaliere forte e valoroso, il
guerriero invincibile della luce. Nulla poteva spaventarlo, o anche solo
impensierirlo. Come mai tutto d’un tratto era tanto intimorito?
-Tavie,
devi promettermi una cosa- e le strinse le spalle ancora di più –non devi più
parlare con lui. Se mai lo rivedrai un’altra volta devi stargli lontano-
-Perché?
È mio amico…-
Ethan
sospirò –Finge solo di essere tuo amico. Vuole farti del male, vuole fare del
male a tutti noi. A te, a Sam, e chissà quanti altri. Ha tentato di aggredire
una ragazza: si chiama Nicole, è della mia scuola. Ha cercato di fare del male
anche a lei-
Octavia
lo guardava senza parole, gli occhi sbarrati dalla sorpresa –Perché dici queste
cose?-
-Lui è
l’Uomo Nero. Pitch Black, l’uomo dal quale i Guardiani vogliono proteggerci.
Ascolta- le prese una mano per portarsela al cuore –La senti?-
Confidava
nella grande empatia della bambina. Lei si concentrò, e subito dopo ebbe un
sussulto: sentiva come qualcosa che strisciava nel petto del ragazzo, come una
serpe che diffondeva il suo veleno con lentezza in modo da allungare l’agonia
della propria vittima. Non le ci volle molto per capire di cosa si trattava:
era paura, terrore che spazzava via
le fantasie, che rendeva i sogni null’altro che sbiaditi progetti
irrealizzabili.
Dalla
sua espressione Ethan capì che la bambina aveva ben compreso la situazione.
-E’
stato lui- le spiegò –mi ha fatto questo perché vuole impedirmi di continuare a
credere nei Guardiani. Verrà a tentare di combattere te e Sam, prima o poi, e
allora non gli importerà dell’amicizia. Non puoi fidarti di lui-
Octavia
stava pe rispondere quando un’improvvisa sferzata di vento la interruppe. Le
luci dei lampioni sul vialetto si spensero una dopo l’altra, lasciando la
strada deserta nell’oscurità. E in quell’oscurità risuonò una voce.
-Suvvia,
Ethan, come parli male di me-
Radi
raggi di luna che filtravano dalle nuvole illuminarono un’informe massa oscura
che si agitava come fosse viva. Pitch emerse da quelle ombre, andando loro
incontro con le braccia aperte, quasi fossero vecchi amici che avrebbe voluto
abbracciare.
Ethan
si rialzò, frapponendosi tra l’Uomo Nero e Octavia. Il suo sguardo dava a Pitch
Black molto da pensare: erano giorni e giorni che le sue ombre si facevano
largo nell’animo di quel ragazzo, eppure non aveva perso la forza testarda che
lo aveva da sempre caratterizzato. Sosteneva il suo sguardo con fermezza, in un
chiaro segnale di sfida.
Dietro
di lui, la bambina si aggrappava al suo fianco, negli occhi un timore sempre
più evidente che fece sorridere l’Uomo Nero.
-Ciao,
Octavia-
-Tu hai
fatto del male a Ethan. Mi ha detto che sei cattivo-
-Ah,
sì? Bè, vedi, a Ethan io non sto molto simpatico. È una cosa reciproca, a dir
la verità. Ma non devi preoccuparti: ti ho detto che sono buono con chi è buono
con me, se continuerai a fare la brava non ti farò nulla-
Ethan
circondò con un braccio le spalle della bimba -Tavie, non credergli. È un
bugiardo. Un bugiardo e un folle-
Lei lo
guardò, poi spostò lo sguardo sull’Uomo Nero. Non riusciva a capire come
potesse essere possibile che quell’uomo fosse cattivo. Le aveva detto di essere
suo amico, aveva lasciato che lei gli parlasse dei suoi problemi. Ma Ethan adesso
diceva che era cattivo e che gli aveva fatto del male, e lei si fidava di
Ethan.
Pitch
si fece avanti, le ombre dietro di lui iniziarono a strisciare sull’asfalto e
sugli edifici avvicinandosi ai due ragazzi.
-Non
mettere a dura prova la mia pazienza, ragazzina- la ammonì –vuoi forse dire che
non mi credi?-
Si
sorprese ancora di più quando la vide scuotere la testa. Si stringeva con
ostinazione a quel piccolo piantagrane di Ethan.
-No,
non ti credo. L’ho sentito, quello che hai messo nel cuore di Ethan. È la tua
paura, è vero quello che ha detto-
Black
serrò i pugni: a quel punto era inutile continuare quella farsa –Già, è tutto
vero-
-Avevi
detto di essere mio amico!-
-Ti ho mentito!-
Pitch
aveva un sorriso folle stampato in viso, l’ammettere il suo tiro mancino
sembrava avergli dato un immenso piacere. La delusione che si dipinse subito
dopo sul visino di Octavia non fu altro se non la testimonianza di una nuova
cattiva azione andata a segno. Un misto di amarezza e euforia si dibatteva
nell’animo oscuro dell’Uomo Nero: da un lato c’era l’ormai logorato
compiacimento per le sue cattive azioni, dall’altro era come se si fosse
tradito da sé. Non gli importava della tristezza dei bambini, anzi, era fiero
dei danni che arrecava. Quella volta, anche se solo per un attimo, invece si
sentì colpito dalla sua stessa malvagità: Octavia era simile a lui, più di
quanto fosse stato possibile, capiva come ci si sentiva ad essere soli, l’aveva
capito con un solo sguardo nella notte in cui era andato a trovarla sperando in
un’alleanza. Pitch poteva solo immaginare come doveva essere venire traditi da
qualcuno di cui ci si fida, ma non poteva in alcun modo immedesimarsi nella
bambina che lo guardava delusa attraverso un velo di lacrime agli occhi. Allora
rise, una risata secca e forzata, gettando la testa all’indietro, mentre
incitava le sue ombre ad avanzare senza pietà. In fondo, cosa gli importava di
una bimbetta irritante, che preferiva cavalieri e principesse a lui, Signore
degli Incubi?
Sollevò
il capo, innalzandosi come una gigantesca ombra sulla parete di un palazzo,
guardando i due ragazzini dall’alto in basso. Poteva eliminarne due in un colpo
solo, e per di più uno di loro era il suo rivale numero uno.
Ethan
sosteneva il suo sguardo, e lo fissava con odio. Non sopportava l’idea che
qualcuno trattasse male Octavia, non poteva tollerare il pensiero che qualcuno
si fosse preso gioco dei sentimenti di una bimba che desiderava solo trovare un
amico disposto a tenerle compagnia e ascoltare le sue favole. Prima di poter
capire cosa stesse facendo, si ritrovò a correre in direzione di Pitch, con la
familiare scarica di adrenalina ad infiammargli tutti i muscoli, i pugni
serrati, pronto alla lotta. Riuscì a colpirlo una sola volta prima che l’Uomo
Nero si scansasse, interdetto da quella reazione combattiva del tutto fuori
luogo. La stessa rabbia che alimentava il ragazzo si fece largo nel rivale: in
un attimo Pitch gli fu addosso, lo spinse contro una parete e serrò una mano
attorno al suo collo.
-Sai,
prima mi piaceva giocare con te- i suoi occhi erano fiamme inquete nella notte
–ma adesso ti stai rivelando un intralcio troppo complicato da gestire. Credo
che sia meglio risolvere almeno uno dei miei problemi-
Lui
avrebbe voluto ribattere, ma la pressione alla gola gli impediva persino di
respirare. Scosse la testa nel tentativo di liberarsi, ma Pitch non badava più
a lui: scrutava Octavia da sopra la spalla, un sorriso malevolo gli incurvava
le labbra sottili.
-Adesso,
piccola, ti faccio vedere come muoiono gli eroi-
Ethan
sentì la bambina gridare il suo nome, e la risata di trionfo di Black sembrò
risuonare per l’intera città. Poi, con uno sforzo che gli parve enorme, sollevò
una mano.
“L’ho toccato” – aveva
detto Nicole, le era bastato toccarlo per allontanare l’Uomo Nero da lei. Senza
pensarci due volte, il ragazzo afferrò saldamente il polso di Pitch, deciso a
spezzare la sua presa.
Il
suono di quella risata sguaiata si trasformò in un grido di dolore, e gli occhi
di Black saettarono sulla mano del ragazzo: serrate attorno al suo polso, le
sue dita parevano bruciarlo, sottili linee incandescenti si allungavano sul suo
braccio e man mano che procedevano parevano cancellarlo, farlo sparire senza
possibilità di ritorno.
Pitch
strattonò e lasciò andare il ragazzo, riuscendo a liberarsi dopo una lotta forsennata.
Sollevò la mano: solo i contorni brillavano come metallo fuso, mentre quasi
metà braccio era quasi del tutto trasparente, come la consistenza evanescente
di un fantasma. Uno spettro, destinato
a svanire.
Ethan
si rialzò mentre ancora si massaggiava il collo; fece un passo avanti, le ombre
sull’asfalto arretrarono quasi fossero intimorite da ciò che era appena
successo al loro capo. Come se temessero che quel ragazzo potesse fare svanire
anche loro con un solo tocco.
Pitch
arretrò, una furia vendicativa ferita decisa a non demordere, i suoi occhi
promettevano vendetta. Guardò la bambina, poi ancora il ragazzo di fronte a
lui, iniziando a confondersi con l’oscurità della notte. Prima di svanire del
tutto, puntò un dito contro Ethan.
-Questa
me la paghi, Ethan Danvers. Hai la mia parola-
Mwahaha, I’m
back! Vi sono mancata? *balle di fieno
che rotolano sullo sfondo* ok, passiamo oltre xD
Che bello, non vedevo l’ora di finire questo capitolo *^* bè,
devo ammettere che qui la Pitch/Ethan fa davvero Voldemort/Potter, sarà una mia
impressione? Forse la prossima volta è meglio che scriva un crossover, magari
con Pitch e Voldy che si ritrovano al cafè dei cattivi (ma esiste? O.o
bah!) e che parlano come due vecchie zitelle dei marmocchi che li hanno
sconfitti… hum… se mi ispiro magari la scrivo per
davvero xD
Però, vedete? Anche io
sono capace di scrivere roba tenera*i suoi
personaggi la guardano male perché prima scrive roba tenera dove tutte le
coppie sono puccette-carinose-I-Love-You e poi di solito uccide uno dei due* … oh, andiamo ragazzi, sapete che vi voglio
bene! Hei! *i suoi personaggi continuano
a guardarla male e poi vanno via a piangere la morte del compagno* – heeem, dunque,
stavo dicendo? Sì, ecco, ogni tanto metto da parte la mia vena sanguinaria e
riesco a buttare giù qualche romaticheria, Ethan e
Sam mi ispirano coccolosità. Cercherò di tenerli vivi
entrambi xD
Coraggio, forse abbiamo trovato il modo di toglierci di torno
Black anche stavolta, mi spiace ma il destino crudele vuole questo.
Passando alle cose serie, rinnovo i ringraziamenti ai seguenti
fedeli (adepti? Come volete essere chiamati?) della storia: Olzawer e VhaioletRedper averla inserita tra le Preferite, AngelsOnMyHeart, Inveterate Dreamer,
Olzawere _Dracarys_ per averla inserita tra le Seguite e Gamora96 per averla inserita tra le Seguite e Ricordate ;)
Come sempre mi inchino davanti la vostra puntualità e la
tolleranza verso i miei scleri xD
E anche per stavolta è tutto, vi do appuntamento al prossimo
capitolo :D
Avanti
e indietro come una belva braccata, era da un tempo indefinito che Pitch Black
camminava senza sosta nello spazio angusto che era quella sua dimora, come
un’anima senza requie vaga nella notte nelle stanze ormai abbandonate di un
castello fatiscente, in cerca di una vendetta irrealizzabile.
Lo odiava. Adesso
ne era più che certo: aveva ancora davanti agli occhi lo sguardo carico di
sfida di Ethan, e se all’inizio non se ne era preoccupato poi tanto adesso
invece il bisogno di sbarazzarsi di quel ragazzino petulante era diventata la
sua massima priorità. Aveva sempre saputo che lui sarebbe stato il suo ostacolo
più grande, ma aveva pensato di poterlo tenere a bada con le sue ombre, e
lasciare loro il compito di sbarazzarsene quando lo avrebbero ritenuto
opportuno. Ora il desiderio di metterlo a tacere era impellente, tuttavia il porre
fine alla sua esistenza in maniera tanto brusca non garbava affatto all’Uomo
Nero. Se c’era una cosa che sapeva bene era che la tortura era peggiore della
morte, che la lenta agonia di un avversario donava più soddisfazione dello
sbarazzarsene in fretta. Inoltre, aveva capito che a Ethan sarebbe importato
ben poco di un nuovo scontro tra loro due, e ancora meno gli sarebbe importato
di tutte le minacce dirette alla sua persona che Pitch avrebbe potuto mettere
in atto; se c’era una cosa a cui Ethan teneva davvero, erano i suoi amici.
Pitch ricordava bene di come il ragazzo si fosse infuriato quando era venuto a
sapere del suo tradimento verso Octavia, e sapeva che la rabbia iniziale
avrebbe lasciato il suo posto ad una tristezza ben più feroce. Dunque, se
voleva colpirlo davvero, non era direttamente a lui che doveva mirare.
L’Uomo
Nero si fermò, sollevando il braccio che Ethan gli aveva toccato durante il
loro ultimo incontro: aveva smesso di bruciare, ma attraverso la consistenza
semitrasparente adesso erano visibili i mattoni grezzi e graffiati del suo
rifugio, era come nebbia evanescente alla quale sarebbe bastato un minimo cenno
per dissolversi.
Pitch
strinse il pugno, determinato più che mai. Tra le mura diroccate si levò una
risata di trionfo, e sulle pareti iniziò ad innalzarsi una sfrenata danza di
ombre.
******
Ethan
sbuffò infastidito: era già la seconda volta che il telefono squillava
insistentemente, e lui non aveva poi una gran voglia di alzarsi per rispondere.
Gettò un’occhiata all’orologio: erano le otto di sera e in casa non c’era
nessuno oltre lui, nessuno a cui rifilare l’indegno incarico. Cos’era meglio
fare? Ignorare lo squillare incessante e tornare a concentrarsi sui libri, o
rispondere e mandare al diavolo la ragazza delle televendite? Era matematico:
ogni qualvolta interrompesse qualcosa di importante per rispondere al telefono,
quasi sempre era l’esasperante signorina pronta ad offrirgli il più grande
affare della sua vita. Infine Ethan dovette cedere: non riusciva a concentrarsi
con quel chiasso in sottofondo.
La voce
che gli rispose, però, non era affatto quella di un’impiegata, bensì quella
della signora Jefferson.
-Ethan?
Mio figlio è lì con te?-
-Cosa…?
No, Sam non è qui-
Aveva
intuito una malcelata preoccupazione nel tono della donna. Una strana fitta gli
serrò lo stomaco, mentre dall’altro capo del telefono gli giungeva un silenzio
non certo rincuorante.
-Non vi
siete visti oggi?-
-No, mi
aveva detto che aveva l’allenamento per il calcio-
Cosa
voleva dire tutto quello? Quasi gli pareva di vedere il viso contratto dalla
preoccupazione della madre di Sam, di vederla mordersi il labbro inferiore e
sistemarsi gli occhiali con quel gesto rapido dell’indice che Sam doveva aver
ereditato da lei. Il suo respiro gli giungeva rapido e irregolare, e gli parve
persino di udire un singhiozzo sommesso.
-Aveva
l’allenamento- gli giunse la risposta stentata –ma avrebbe dovuto tornare alle
sette. È passata un’ora, e ancora qui non è arrivato nessuno. Pensavo… io e mio
marito abbiamo pensato che potesse essere venuto da te-
Ethan
si appoggiò al muro, senza avere la forza per replicare. Si accorse di ansimare
come dopo una lunga corsa, un peso insostenibile gli si era fatto largo in
petto.
Non poteva essere vero.
Non
sapeva cosa dire, né cosa fare. Un nome gli era subito balzato alla mente, ma
aveva fatto di tutto per mettere a tacere quell’improvviso timore. Non poteva
certo farne parola con Lilian Jefferson. Non poteva certo dirle che sospettava
che l’Uomo Nero avesse fatto qualcosa a suo figlio.
-Desmond
vuole chiamare la polizia- la voce della signora Jefferson chiamò in causa il
marito –se non è da te o da qualche altro compagno, né da mia sorella… non
sappiamo dove altro cercare-
-Avete
chiesto al campo di calcio?-
Il
ragazzo si accostò alla finestra e scrutò nell’oscurità, quasi sperasse di
vedere Sam dirigersi verso casa sua. Invece la strada era deserta. Nessuno che
tornasse dal lavoro, nessun bambino in bici che si affrettava per tornare a
casa. Solo il freddo della notte, la strada innevata, e le tenebre. Il regno di
Pitch Black, la notte, in cui il suo potere giungeva al culmine. Il solo
pensare che Sam fosse disperso chissà dove là fuori lo faceva star male.
-Abbiamo
girato più volte l’intera città. Abbiamo chiesto a tutti quelli che conosciamo,
ma nessuno lo ha visto. L’allenatore ha detto che è uscito insieme ai suoi
compagni, come al solito. Non c’erano state risse né incomprensioni, nessuna
ragione per la quale qualcuno avrebbe potuto tentare di regolare i conti una
volta soli. Prima di tornare a casa c’è sempre una parte di tragitto che deve
fare da solo, ma non c’erano mai stati problemi fino ad ora-
Ethan
chiuse gli occhi. Gli girava la testa. Aveva ancora bene in mente la promessa
dell’Uomo Nero: “Questa me la pagherai
cara”. Possibile che quella fosse solo una coincidenza? Che la scomparsa di
Samuel fosse indipendente da Pitch Black? Gli riusciva difficile crederlo.
Si fece
promettere dalla donna di tenerlo informato, poi riattaccò. Iniziò a girare per
la casa senza una meta, con l’impressione di dover fare qualcosa senza sapere
cosa.
Cercava
di convincersi che Pitch non c’entrasse con tutto quello. Poco prima aveva
nevicato: forse Sam era semplicemente entrato in qualche bar in attesa che la
tormenta terminasse. Sì, doveva essere così. Sarebbe tornato a casa fra poco,
sano e salvo, al sicuro da Black. Nonostante per tutto il resto della serata
Ethan avesse continuato a ripetersi quella versione dei fatti, non era riuscito
a convincersi del tutto. E infine, quando era andato a letto, dormire gli era
sembrata un’impresa che mai sarebbe riuscito a compiere.
******
Samuel
non aveva avuto neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo. Stava
attraversando la piazza deserta per tornare a casa quando un improvviso rumore
lo aveva convinto a fermarsi: era come un fruscio prolungato, come se decine di
serpenti stessero strisciando tutti nella stessa direzione. E serpenti gli era
sembrato di vedere subito dopo, lunghe ombre dense e sinuose che si riversavano
sulla strada dai tetti degli edifici, veloci e implacabili, tutte con un unico
obiettivo che, era più che chiaro, era lui.
Era
risaputo, Sam detestava i serpenti, lo avevano sempre disgustato sin da
bambino, li trovava crudeli, inquietanti, con i loro corpi ruvidi di scaglie e
gli occhietti neri che scintillavano malevoli, e quelle lunghe lingue biforcute
che sibilavano in un perenne avvertimento di attacco.
Di
certo, per donargli quell’accoglienza chiunque lo stesse aspettando voleva da
subito mettere le cose in chiaro: da quel momento si giocava sul serio. E Sam
sapeva bene chi stava per incontrare: Ethan e i Guardiani lo avevano messo in
guardia: Pitch Black non si sarebbe fermato fin quando loro non fossero stati
resi inoffensivi, uno per uno. Li avrebbe cacciati ovunque, braccandoli
nell’ombra, e aggrediti con le forme che ai loro occhi erano più odiose. Sam
aveva sempre saputo che quell’incontro sarebbe giunto, aveva spesso pensato al
momento in cui l’Uomo Nero si sarebbe rivelato anche a lui, ma non riusciva mai
ad andare oltre in quel pensiero: il suo non era uno spirito combattivo, men
che mai aveva un animo intrepido propenso alla lotta o comunque forte
abbastanza da reggere la tensione di quella situazione. Non sapeva immaginarsi
fronteggiare l’Uomo Nero così come aveva fatto Ethan, e non avrebbe saputo
allontanarlo come era riuscita a fare Nicole per il semplice fatto che il solo
pensiero di toccarlo lo terrorizzava. Non sapeva immaginare qualcuno di meno
adatto a lui a cui affidare il compito di proteggere la terra.
Era arretrato
mentre le ombre si accavallavano e si innalzavano tra fischi e sibili; il suo
unico pensiero, per quanto poco cavalleresco, era quello di darsela a gambe,
allontanarsi il più possibile da quell’oscurità tanto viva da far spavento.
Aveva iniziato a correre, e una voce l’aveva richiamato proprio mentre, come
un’onda anomala, dietro di lui si levava un cupo muro di ombra fitta pronta a
travolgerlo. Qualcosa, subito dopo, ne aveva per un attimo spezzato la compattezza:
un boomerang gli aveva dato l’occasione di guadagnare pochi seppur
preziosissimi metri.
Sam
aveva sollevato lo sguardo: sui tetti delle case il Coniglio di Pasqua saltava
come fosse la sua ombra, incitandolo a non fermarsi. Con un balzo, la Leggenda
gli era atterrata dietro, frapponendosi tra lui e le ombre di Pitch. Poi il
ragazzino non avrebbe più saputo spiegare cosa fosse accaduto, se non che, in
un modo o nell’altro, quel mare nero di oscurità gli era precipitato addosso e
l’aveva trascinato con sé.
Adesso era
seduto su un pavimento di pietra grezza e fredda, in una stanza scura e umida.
Tutto era immobile, e proprio quella calma era ciò che di più inquietante
potesse mai esistere. Era tutto troppo tranquillo, un silenzio irreale regnava
su quel luogo, come se tutti i rumori del mondo fossero stati cancellati per
sempre, come se non potesse esistere più musica o il suono di una risata. Sam
aveva timore persino di chiedere se mai ci fosse qualcuno, lì. Aveva paura
della forza con la quale la sua voce avrebbe spezzato quella quiete surreale, e
aveva ancora più paura di non ricevere una risposta.
Si
alzò, il rumore dei suoi passi risuonò tra le pareti graffiate perdendosi in
un’eco infinita. Poté allontanarsi solo di pochi metri dal muro: tutto d’un
tratto si levarono dal pavimento una serie di lunghi busti d’ombra che
sembrarono formare le sbarre di una cella di prigione. L’oscurità tremava e
crepitava a tratti quasi fosse viva, e l’atmosfera del luogo si fece ancora più
pesante. Samuel si ritrovò con le spalle al muro, tanto si era spaventato dalla
velocità con la quale la sua prigione era stata delineata. Si sistemò gli
occhiali e cercò di scrutare la sala sporgendosi appena dalla sua postazione.
-Così
tu sei il quarto ragazzo-
Qualcosa
saettò nella sua direzione: subito dopo gli si presentò per la prima volta il
ghigno compiaciuto dell’Uomo Nero. Sam aveva visto molte versioni di lui nei
vari libri di fiabe: in alcune illustrazioni era nient’altro che un’ombra
indistinta, in altre era un uomo imponente dal sorriso malevolo o ancora un bel
ragazzo dagli occhi scarlatti; nessuna di quelle figure somigliava anche solo
lontanamente allo spirito che aveva davanti. I suoi occhi d’oro splendevano
nell’oscurità come le più preziose delle gemme, e sul suo viso c’era qualcosa
che attenuava la cattiveria dando alla sua intera figura una parvenza di un
fascino arcano e senza tempo. Una malinconia velata nel suo sguardo era in
netto contrasto con la rabbia che sembrava formare un’aura di odio tutt’intorno
a lui.
Per un
attimo Sam dimenticò che avrebbe dovuto dire qualcosa. Riuscì a staccare gli
occhi dal viso affilato a pochi centimetri da lui, confuso per una ragione che
non riusciva a spiegarsi. Di certo, qualsiasi fosse stata la sua idea dell’Uomo
Nero, Pitch, con le sue emozioni contrastanti, sempre in bilico tra rancore e
nostalgia, lo aveva colto alla sprovvista.
-Che
cosa vuoi?-
Sì,
avrebbe anche potuto trovare qualcosa di più originale da dire. Pitch Black
sorrise di nuovo, quella volta senza la benché minima traccia di rimpianto.
-Bè,
immagino che ti terrò qui fin quando i tuoi amici non arriveranno a cercarti.
Mi farà bene un po’ di compagnia-
-Oh-
Sam non poté fare a meno di sentirsi sollevato –quindi è una trappola per
attirare gli altri? Sai, avrei potuto pensarci. Non è poi così geniale, come
piano. Anzi, mi sembra piuttosto scon-...-
-Preferisci
forse che ti uccida e faccia trovare il tuo cadavere da qualche parte?-
Black
lo aveva afferrato per il colletto del giubbotto e lo aveva strattonato per
tirarlo vicino a sé. La soglia della sua pazienza era quasi nulla, e questo non
era di grande consolazione. Samuel deglutì rumorosamente e si affrettò a
scuotere la testa. L’altro lo lasciò andare e prese a massaggiarsi le tempie
come se già non ne potesse più di avere a che fare con lui.
-Certo,
sempre ammesso che ti trovino… se non saranno qui entro tre giorni immagino che
mi toccherà procurarti del cibo. Oh, ma di che mi preoccupo? Ti lascerò morire
di fame. D’altronde non sono mai stato bravo a prendermi cura degli animali-
-Hei!-
L’Uomo
Nero non badò alla sua protesta. Prese a camminare nella sala, le dita che
tamburellavano sul marmo freddo delle pareti, lasciando scie di ombre scure che
si dissolvevano sulla pietra come inchiostro nell’acqua.
Sam lo
osservava, facendo al contempo lavorare la mente: doveva pure esserci un modo
per uscire da lì, o trovare una maniera di avvertire qualcuno della sua
posizione. Un’idea gli risollevò lo spirito: fece scivolare lentamente una mano
nella tasca del giubbotto, aspettandosi di sentire l’ormai familiare forma
rotonda sotto le dita. Il fischietto,
quello che i Guardiani gli avevano consegnato per avvertirli in caso di
pericolo. Quello sarebbe stata la sua salvezza: gli bastava riuscire a fischiare
una volta sola. Poi si bloccò. Avere le Leggende lì era quello che Pitch
voleva. Non aspettava altro se non poter giungere alla resa dei conti, certo di
uscirne vincitore. Non poteva rischiare di velocizzare i piani dell’Uomo Nero,
avrebbe significato condannare i Guardiani. Ma, in un modo o nell’altro, prima
o poi lo avrebbero trovato lo stesso, no? Loro stessi cercavano il nascondiglio
di Pitch Black da mesi. Samuel esitò, combattuto. Non era proprio il tipo da
prendere certe decisioni. Infine, tutti i suoi piani sfumarono: per quanto
tastasse non trovava in alcun modo l’oggetto della sua ricerca. Gli si strinse
il cuore: doveva essergli caduto durante la fuga dagli Incubi. Era del tutto
isolato. Se prima c’era stata anche una remota speranza di poter comunicare con
i Guardiani, adesso si trovava completamente solo, per di più in compagnia di
uno spirito vendicativo braccato dalla sua stessa smania di potere, e
senz’altro instabile mentalmente.
Non
poteva proprio andare meglio.
Doveva
trovare un modo per uscire da quella trappola, o anche solo scoprire le
intenzioni dell’Uomo Nero. Se non altro, avrebbe saputo cosa aspettava Ethan e
gli altri, e se solo ci fosse stato modo di avvertire gli amici avrebbe saputo
cosa dire per metterli in guardia.Ma
doveva fare tutto da solo. Nella sua vita, quella era forse la prima volta che
si trovava a dover prendere il controllo della situazione. Samuel non era nato
per essere un leader, si immaginava più che altro come l’aiutante impacciato
dell’eroe nelle favole, non era certo il cavaliere valoroso dal quale
dipendevano le sorti dell’umanità.
-E poi,
cos’hai intenzione di fare?-
Pitch
era rimasto in silenzio per molto tempo, rimuginando su chissà cosa. A quelle
parole sollevò appena lo sguardo su di lui.
-Voglio
distruggerli- la sua voce era un sibilo di minaccia, graffiante e impaziente
–uno per uno. E anche voi, voi, dannati
ragazzini, che vi siete frapposti tra me e il mio trionfo. Vi distruggerò uno
per uno. E il primo sarà Ethan-
Sam
sentì un’improvvisa scarica di rabbia, del tutto fuori luogo e in contrasto con
il timore che fino a pochi istanti fa lo aveva gelato. L’odio di quell’uomo nei
confronti di Ethan lo spaventava, era un sentimento viscerale, che non avrebbe
ammesso una nuova sconfitta e non avrebbe lasciato spazio per la pietà. Eppure,
oltre alla paura riusciva a suscitare nell’animo del ragazzino una collera che
non aveva mai creduto di poter provare.
-Non
riuscirai a sconfiggere Ethan-
Pitch
sollevò il capo: sembrava sorpreso dalla sicurezza con la quale gli aveva
rivolto quelle parole. Sul suo viso si dipinse una smorfia che presto fece
largo ad un sorriso sbieco.
-Staremo
a vedere. Ti lascerò a guardare, se vuoi, come il tuo eroe svanirà per mano
mia. E poi, che cosa farai? Non sei un animo che aspira alla vendetta-
Sam fu
costretto ad abbassare lo sguardo, colpito nel segno. Era vero, Sam non aveva
mai pensato alla vendetta, mai nella sua vita aveva pensato di castigare un
torto subìto, o rispondere alla violenza con altra violenza. Ora, che Pitch
aveva minacciato Ethan, però, sentiva che per difenderlo avrebbe potuto fare di
tutto.
-Non essere
così sicuro della mia clemenza. Per difendere ciò che più è gli è prezioso
l’uomo è disposto a commettere le più audaci follie-
E
quello, cosa voleva significare? Doveva averlo letto in qualche libro, doveva
essere una di quelle frasi retoriche di qualche astruso filosofo arcaico. Però,
doveva ammettere che suonava abbastanza bene.
Tutta
la soddisfazione di Samuel svanì al suono della risata dell’Uomo Nero –Follie,
tu? Non mi fare ridere, Samuel. L’unica cosa che ti riesce bene è nasconderti
sotto le coperte al minimo rumore sospetto-
Pitch lo guardava con uno strano sorriso, si
massaggiava il mento e pareva riflettere su qualcosa. Si avvicinò di nuovo al
ragazzino, scrutandolo con maggiore attenzione. L’espressione saccente che
aveva messo su non piaceva a Sam neanche un po’.
-Ah, ma
forse se ti dimostrassi intrepido Ethan potrebbe degnarti di una seconda
occhiata, non è così? Già… uno come
lui meriterebbe un degno compagno al proprio fianco. Non penserai mica che
possa ancora accettarti così, debole e serafico come sei. Quanto tempo ci vorrà
prima che si stanchi di te?-
-Non
puoi parlare di queste cose- tentò di difendersi il ragazzino –tu non sai ni-…-
-Oh,
fidati, piccolo, io conosco molte più cose di quanto credi. Anch’io sono capace
di leggere l’animo umano, per quanto a volte questo possa essere noioso. E
credimi, tu e Ethan avete degli animi troppo diversi tra loro. Incompatibili, direbbe qualcuno. Lui è
così forte, dallo spirito battagliero… e poi ci sei tu, la dolce quanto superflua spalla destra. Dici che saresti
pronto a combattere per lui, e io ti credo. Ma lo faresti davvero solo nei tuoi
sogni. Nella realtà non saresti in grado di affrontare il pericolo. Ti
ritroveresti a scappare, volteresti le spalle ai tuoi amici con il solo scopo
di metterti in salvo. Sei consapevole di non essere all’altezza di Ethan.
Persino quella bambinetta irritante è più forte di te. E in caso di un
conflitto, hai pensato a quello che succederebbe? Tu saresti solo di peso.
Metteresti in pericolo Ethan più di quanto già non sarebbe, perché si
ritroverebbe costretto a dover badare a te, e metterebbe la tua sicurezza prima
della sua. Se solo gli dovesse succedere qualcosa in questa battaglia, sappi
che sarà solo colpa tua-
-No, non è vero!-
Sam si
allontanò con uno scatto dalle sbarre della sua cella improvvisata, abbassando
al contempo lo sguardo come in un’amissione silenziosa delle sue colpe. Per quanto
fosse duro ammetterlo nelle parole di Pitch c’era un fondo di verità: lui non
era mai stato un guerriero, non era mai stato capace di affrontare situazioni
che potevano comportare anche il minimo rischio. A scuola incassava le
provocazioni senza neanche provare a difendersi, e girava alla larga quando
avvertiva l’avvicinarsi di una rissa. Non era certo coraggioso, né capace di
far fronte alle difficoltà grazie allo spirito pratico. Dopotutto, l’Uomo Nero
aveva ragione: nel loro gruppo lui era forse il più debole, quello che avrebbe
finito col mettere in pericolo tutti gli altri.
Tutto quello
era troppo. Le parole spietate di Black, la consapevolezza di trovarsi lontano
da casa, in un luogo sconosciuto, e incapace di poter avvertire qualcuno della
sua posizione, tutto quello lo investì come una tempesta implacabile di
sconforto. Sam non avrebbe voluto cedere lì, davanti al nemico, ma non poté
fare a meno di lasciarsi scivolare contro il muro per finire seduto sul
pavimento freddo, le ginocchia strette al petto. Nonostante lottasse per
ricacciarle indietro, alla fine lasciò che le lacrime gli scivolassero libere
sul viso.
Buongiorno, sono di nuovo qui :D ecco, cominciate a capire cosa
intendo quando dico che torturo le mie creature e distruggo i sogni delle
coppie? Anzi, non avete letto niente, di solito faccio moooolto
di peggio >: )
Avete visto Le 5 Leggende sabato
sera? *^* e dire che io ero fuori con le amiche e smaniavo per tornare a casa
in tempo xD ovviamente dopo mi è calata la
depressione causa Pitch-tesoro-morbidolce-di-zia-Rory. Per me quel poverino è un trauma. Solo perché è
piccolo e nero T__T prima o poi troverò un modo per rapirlo e tenerlo con me *si
apposta sul letto con un retino da pesca*
Sorvolando, coraggio, armiamoci di pale e forconi (?) e partiamo
alla ricerca di Sam (in fondo averlo come animaletto da compagnia deve pure
essere carino, voi che dite? Mi ricorda tanto un criceto).
È tutto? Credo di sì, smetto di inveire contro i vostri poveri
neuroni, che si sprecano tanto a seguire le mie pippe mentali xD
La voce
di Nicole si levò sopra gli schiamazzi degli studenti in corridoio. La ragazza
agitava una mano per farsi notare, e nel frattempo avanzava tra la folla senza
neanche il bisogno di sgomitare il più del dovuto: tutti si scostavano al suo
passaggio, e sembravano sorpresi di vedere quella tipa dirigersi verso il
ragazzino dai problemi comportamentali ormai noti. Di certo insieme formavano
una bella squadra: Nicole la Pazza e Ethan il Sociopatico. Quella
considerazione era stampata a chiare lettere sul viso della maggior parte dei
presenti che seguivano Nicole con lo sguardo, sulle labbra che si arricciavano
appena al suo passaggio e nelle spalle incassate dei molti che si ritraevano
per fare in modo di non essere neanche sfiorati da quella tipa fin troppo
stramba.
Lei
sembrò non fare caso a tutto quello e giunse davanti a Ethan con quel suo
strano andamento ondeggiante, quasi danzasse a ritmo di una melodia che solo
lei era in grado di sentire. Gli rivolse un sorriso, e quando inclinò appena la
testa da un lato una ciocca disordinata di capelli color inchiostro le scivolò
sul viso.
-Ciao-
-Ciao,
Nicole-
Era
stata una risposta frettolosa, quasi data controvoglia. Quello non era certo
nelle intenzioni di Ethan, ma quel giorno non era proprio il momento adatto per
parlargli. Aveva dormito poco e male durante gli ultimi tre giorni, aspettando
con asia una qualsiasi notizia da Lilian Jefferson, qualcosa che potesse far
sperare in una pronto ritorno di Sam. Nessuna consolazione era arrivata in
conforto a lui né ai genitori dell’amico: Samuel pareva volatilizzato, le
ricerche risultavano infruttuose, e non solo quelle della polizia. I Guardiani
avevano setacciato la città da cima a fondo, e non erano riusciti a trovare
traccia di Sam o di Black.
Si
erano riuniti una notte in camera di Ethan a studiare il da farsi, purtroppo
erano davvero poche le informazioni che erano riusciti a raccogliere, e
nonostante molte idee fossero state proposte alla fine, per un motivo o per un
altro, ogni nuovo piano veniva scartato. Durante quell’incontro, Ethan aveva
quasi sempre fissato il pavimento, o le mura della camera. Le figure davanti a
lui si facevano sempre più sfocate. Sapeva che era solo questione di tempo:
quanto ancora ne sarebbe passato prima che la sua abilità svanisse del tutto? E
allora come avrebbe fatto ad aiutare le Leggende, o Sam? Era tutto così complicato
e incerto, e quella situazione precaria lo infastidiva. Inoltre, non vedeva
l’ora di poter finalmente scovare Pitch Black per dargli la lezione che
meritava. Gli importava poco del fatto che avesse attaccato lui perché lo aveva
giudicato il più forte del gruppo, ma non poteva certo tollerare il fatto che
adesso la sua follia avesse coinvolto Samuel, e che presto si sarebbe scatenata
su Octavia e Nicole, e chissà quante altre persone. Per cui, in un modo o
nell’altro, dovevano trovare una soluzione per contrastarlo, e dovevano farlo
in fretta.
-E’ più
forte-
Il
Coniglio di Pasqua faceva sfoggio di diverse bruciature. Lui c’era, quando gli
Incubi avevano attaccato Sam. Aveva tentato di fermarli, e tutti i suoi sforzi
erano risultati inutili. C’era stato un tempo in cui un’orda di ombre si
sarebbe dissolta alla sua sola presenza; in questa partita invece era il loro
gruppo ad essere in svantaggio, erano loro a rischiare di svanire senza alcuna
possibilità di ritorno. Di sicuro Pitch adorava quella situazione. Quello era
ciò che lui aveva sopportato per infiniti anni, secoli di indifferenza, con la
sola certezza che la gente non credeva più nella sua esistenza o, se ci
credeva, semplicemente scrollava le spalle. Adesso doveva essere fiero del
fatto di far provare ai nemici il vuoto che era stata la sua vita fino a quel
momento, in cui un solo istante di gloria era in grado di dare l’illusione di
emergere da un immenso abisso di noncuranza.
Come
potevano, in quelle condizione, sperare di sventare i piani dell’Uomo Nero?
Ethan
non aveva saputo essere loro d’aiuto, ed aveva terminato l’incontro con il
morale a terra. Non sapeva nulla di più, non aveva neanche la più minima idea di
cosa stesse architettando Pitch in quel momento. Non sapeva chi avrebbe
attaccato, e come. Non sapeva dove si nascondeva, e dove teneva Sam. Non sapeva
nulla che potesse essere utile, e quello lo demoralizzava più di ogni altra
cosa.
Non
c’era da meravigliarsi, dunque, se in quei giorni il suo morale non fosse dei
migliori.
Nicole si
guardò intorno come alla ricerca di qualcuno –Dov’è il tuo amico carino?-
-Sam
dici?-
Nonostante
le preoccupazioni a Ethan scappò un sorriso: chissà cosa avrebbe detto nel
sapere che Nicole lo credeva “carino”. A quello seguì un sospiro e una
riflessione: in fondo, non era giusto che Nicole sapesse? Anche lei faceva
parte del gruppo, e le sue parole si erano rese utili già una volta. Così le
fece un cenno e si appartarono in un angolo del corridoio, dove Ethan le
raccontò gli ultimi avvenimenti, i problemi che tutt’ora persistevano e le
poche speranze che nutrivano le Leggende per il futuro. In un certo senso gli
sembrava strano trovarsi a confidare i suoi segreti a qualcuno come Nicole.
Certo, lui non era proprio tipo da pregiudizi, ma c’era qualcosa in quella
ragazza che lo metteva in soggezione; forse erano tutte le storie che sentiva
raccontare sul suo conto, o forse il suo sguardo vago, o ancora quel suo
canticchiare seguendo il ritmo con la testa anche in quel momento, mentre lui
parlava. Di certo, quella non era una ragazza come tutte le altre, e forse era
proprio per quello che aveva conservato il suo Dono. Ethan le vedeva, le
ragazze moderne, soffocate da chili di trucco in viso, troppo finte per
risultare belle, troppo vuote di carattere o banali. Nessuna di loro, ne era
sicuro, era in grado di vedere le fate, e se solo gliene avesse parlato loro
gli avrebbero riso in faccia chiamandolo “bambinetto”, come se loro fossero già
adulte da molto tempo. Ethan non si spiegava la fretta che avevano certi ragazzi
di crescere, l’impellente bisogno di abbandonare al più presto il mondo dei
giochi per poi rimpiangerlo giorno dopo giorno. Non capiva perché la fantasia
non potesse convivere con la realtà, e perché i sogni e gli amici immaginari
dovevano essere nascosti o aboliti una volta raggiunta una certa età. Non
capiva il desiderio di scalare in tutta fretta la montagna dell’infanzia per
poi decidere di lanciarsi giù dalla cima e precipitare sempre più nell’età
adulta, fino a schiantarsi una volta troppo grandi o stanchi.
-E poi-
concluse infine –non sappiamo dove si trova il nascondiglio di Black-
-Oh, ma
io lo so dov’è-
Ethan
si fece attento –Lo sai?-
Com’era
possibile? Doveva averla guardata con un’aria a dir poco sconvolta, perché lei
si ritrasse e si strinse nelle spalle come se volesse proteggersi da
un’improvvisa minaccia.
-Perché
mi guardi in quel modo? Non ti dico bugie-
-No,
scusa, è solo… davvero sai dov’è?-
Quella
volta lei tentennò. Faceva uno strano gioco con le dita, intrecciandole tra di
loro e stendendole di nuovo, per poi ricominciare sempre più veloce. Mosse per
un paio di volte il capo da destra a sinistra, guardando in alto come a cercare
il modo di concentrarsi.
-Bè,
credo di saperlo-
Disse
infine. Dopo tanti giorni di sconforto, per Ethan quelle parole furono una
nuova promessa di speranza. Si impose comunque la calma: non poteva certo
esultare e saltare dalla gioia nel bel mezzo della scuola.
-Puoi
dirmelo?-
-Sai
cosa è successo a Travis Mitchell?-
Come
risposta non era poi un granché, e per di più sembrava del tutto fuori luogo.
L’entusiasmo di Ethan si freddò: sperò che l’idea di confidarsi con Nicole
fosse davvero buona come aveva pensato.
-No,
non lo so. Non so neanche chi sia questo Travis Mitchell, a dirla tutta-
Nicole
sorrise –Si vede che non segui i pettegolezzi. Travis è un mio compagno di
classe. Adesso ascolta: io credo che Pitch Black si trovi a Southampton Yard,
nel vecchio cimitero di periferia-
Ethan
si passò una mano tra i capelli, confuso –E questo cosa c’entra con Travis?-
-Se mi
ascolti te lo spiego. È da un po’ di tempo che nel vecchio cimitero succedono
cose strane. La gente dice di veder passare delle ombre, e i lampioni della via
si fulminano ogni notte. Oh, no, non serve cambiarli: il giorno dopo sono di
nuovo fuori uso. Così si è diffusa la voce che il cimitero sia stregato. Cosa
c’è di più banale di una storia come questa? Allora è iniziata una specie di
scommessa, soprattutto tra i ragazzi: si sfidano a rimanere una notte intera
nel cimitero: chi resiste senza scappare è il vincitore. Bè, ancora un
vincitore non c’è. Oh no, perché tutti scappano via, e dicono di avere visioni
catastrofiche, immense onde e figure fatte di nebbia nera, e i loro peggiori
incubi sembrano prendere vita tra le lapidi. Nessuno ce l’ha fatta fino ad ora.
No, nessuno-
-Sì, ma
Travis…-
-Travis
è stato l’ultimo a stare nel cimitero. È andato l’altro ieri notte, i suoi
amici lo hanno lasciato stravaccato su una lapide con una bottiglia di birra
come compagnia. Travis è uno tosto, è uno di quelli che se si trova davanti un
fantasma lo scaccia lasciandolo dissipare dal phon per capelli. Comunque sia,
Travis se la rideva di brutto per questa faccenda, perché, andiamo, com’è
possibile lasciarsi spaventare da alcuni mucchietti di marmo? – queste sono
state le sue parole la sera in cui è entrato nel cimitero. E la mattina dopo lo
hanno trovato accanto a quella lapide, ma si teneva la testa tra le mani e
piangeva come un mocciosetto. Diceva coste strane a
proposito di ombre striscianti, e di un uomo che lo ha tormentato fino
all’alba, uno spirito nero come la notte senza luna, e crudele. Però, in
effetti non ha abbandonato il cimitero, quindi adesso non sanno se ritenerlo
vincitore o meno-
Di
quello a Ethan importava ben poco. C’era anche da dire che Travis, sveglio per
tutta la notte e con una buona dose di alcool in circolo, non era un testimone
molto affidabile. Ma se quello che aveva detto era vero, allora forse la
presenza misteriosa che infestava il cimitero di Southampton Yard era davvero
Pitch Black. E se la presenza era davvero Pitch Black, allora lui e i Guardiani
potevano ritornare in gara: avevano persino un vantaggio, loro sapevano dove
infine Pitch si era insediato, ma lui non sapeva che loro lo avevano scoperto.
Dunque, se trovavano il cimitero trovavano Pitch, e se trovavano Pitch
probabilmente avrebbero trovato anche Sam.
-Ma è
grandioso! Però bisogna esserne davvero certi. Non mi fido molto di un tipo
mezzo ubriaco, per di più morto di sonno-
-Possiamo
andare a parlargli. Io lo conosco-
Lui
avrebbe voluto andare subito, ma non avrebbe avuto il tempo necessario a
condurre un interrogatorio sufficientemente attendibile e completo. Avrebbe
avuto bisogno di tempo per sbrigare alcuni preparativi.
******
Quel
pomeriggio erano entrambi davanti la porta di casa Mitchell. Ethan era nervoso,
non vedeva l’ora di venire a capo di quel mistero, e l’occasione di scoprire
dove si trovasse Sam gli aveva messo addosso una sorta di frenesia impossibile
da dissimulare. Adesso batteva nervosamente con il piede un gradino d’entrata
dell’abitazione, impaziente che qualcuno venisse ad aprire in seguito alla
scampanellata. Accanto a lui Nicole canticchiava una filastrocca che parlava di
corvi bianchi e una città al di là del mare.
Dopo un
tempo che gli parve infinito la signora Mitchell li fece accomodare dentro,
dando loro il via libera per salire al piano superiore e andare a trovare il
figlio. Sulla porta della camera di Travis era appeso un cartello nero sul
quale era stato maldestramente dipinto un teschio, sotto il quale spiccava una
scritta rosso sangue per nulla amichevole: GET
OUT!
Che tipo
caloroso doveva essere, venne da pensare a Ethan mentre Nicole bussava alla
porta. Per metà ovattato dallo spesso strato di legno giunse una sorta di
grugnito in risposta.
-Chi
diamine è?-
Nicole
si accostò alla porta –Sono io, Nicole. Nicole Harris, della tua classe-
-Sì, lo
so chi sei-
-E
allora? Fammi entrare-
Un
sospiro esasperato accolse quella richiesta. Per alcuni istanti non successe
nulla, poi dall’interno giunse un tramestio e poco dopo la porta si aprì. La
faccia contrariata di Travis non lasciava margine di dubbio su quanto quella
visita fosse poco gradita. Nicole aveva ragione: era un ragazzo alto,
impostato, i capelli corti erano tagliati a spazzola e pettinati ritti sulla
testa, imbevuti di gel. Dal suo aspetto si sarebbe detto che nulla avrebbe
potuto anche solo turbarlo in minima parte. I suoi occhi verdi – a Ethan
ricordarono molto gli occhi di Sam, e una strana fitta di nostalgia gli aveva
stretto lo stomaco – si posarono poi sul ragazzino. Un sopracciglio scattò
verso l’alto.
-E lui
chi sarebbe?-
Aveva
un piercing alla lingua, e ogni volta che parlava il metallo sbatteva sui denti
tintinnando. Nicole sgusciò dentro e si trascinò Ethan dietro. La stanza del
ragazzo non era certo in condizioni di accogliere ospiti: il pavimento sembrava
un campo di battaglia, disseminato di vestiti appallottolati e riviste
accartocciate. Il letto era per metà sfatto, segno che Travis ci stava
stravaccato sopra quando erano arrivati loro. Alle pareti erano attaccati
svariati poster di cantanti metal sconosciuti o ragazze mezze svestite.
-E’ un
mio amico-
Fu la
risposta di Nicole. Forse era stata solo una sua impressione, ma a Ethan parve
di scorgere una punta di orgoglio nella voce della ragazza. Chissà, lui era
forse stata la prima persona che le si era avvicinata senza l’intenzione di
schernirla, senza giudicare i suoi modi di fare strampalati e senza dirle
quanto le sue canzoncine fossero idiote e inquietanti. Si ritrovò a sorridere,
provando un sincero moto di affetto verso quella strana ragazza.
Travis,
al contrario, non parve affatto cogliere alcuna sfumatura nella voce di Nicole.
Si limitava a guardarli con le braccia incrociate, in viso stampata
un’espressione di noia mortale.
-Questo
lo vedo. Altrimenti non te lo saresti portato dietro. Bè, che volete?-
-Credo
che potresti darci delle informazioni- ribatté Nicole. A quel punto iniziava la
messa in scena –lui vuole provare la sfida del cimitero-
Travis
sgranò gli occhi e per la prima volta parve guardare davvero il ragazzino che
aveva davanti. Subito dopo cominciò a sghignazzare –Tu? Ma fammi il piacere! Davvero pensi di poterci riuscire,
nanerottolo?-
-Non mi
pare ci sia una regola che impedisca ai nanerottoli di provare, sbaglio?-
La
risata di scherno di Travis venne smorzata: di certo non si aspettava una
risposta del genere. Il nanerottolo in fondo sapeva il fatto suo.
Nicole
continuò –Ethan è coraggioso. Però tu potresti istruirlo di più su cosa c’è da
aspettarsi lì dentro-
-Scordatelo-
Travis si ritrasse –poco ci manca che mi arrivi la stampa in casa da un momento
all’altro. Non ho nulla da dirvi-
-Andiamo,
Travie. Lo sai che mi sono sempre piaciuti i racconti
del mistero. Non sei stato tu a raccontarmene alcuni dei più terrificanti? Sarà
come allora, solo che stavolta i fatti saranno reali-
Lui
rimase a squadrare i due amici come riflettendo su quelle parole,
giocherellando con il gingillo che aveva sulla lingua. Poi sospirò: in fondo il
peggio era accaduto, e aveva ripetuto quella storia così tante volte che ormai
una in più non gli faceva differenza.
Dapprima,
raccontò, era stato tutto normale. Aveva scavalcato il vecchio cancello
arrugginito e si era fatto passare la birra attraverso le sbarre. Poi si era
accomodato su una tomba, dato che l’alternativa era sedersi sull’erba
ghiacciata e incolta. E i suoi amici lo avevano lasciato lì. Era passato molto
tempo, o forse poco, mentre il livello del liquido nella bottiglia andava
diminuendo e lui se la rideva di brutto alle spalle di quei fifoni che si
lasciavano suggestionare dai racconti dei vecchi sulle presenze arcane di quel
luogo. Agli anziani piaceva raccontare quelle storie, lo sapeva, tramandavano
le leggende che derivano dal folklore popolare dei loro paesini, e il più delle
volte in quei racconti non c’era nulla di vero. Per cui, qual era il motivo per
preoccuparsi?
La
notte era calata in fretta, e gli unici rumori erano quelli delle automobili in
lontananza, e il rado verso di un uccello notturno. Travis stava già per
cantare vittoria quando le ombre iniziarono ad apparire. All’inizio aveva
creduto che fosse solo un gioco di luci, quando le nuvole coprivano la luna e
poi le passavano oltre. Chi era così stupido da lasciarsi spaventare da una
cosa simile? Poi, fuori dai cancelli, uno dopo l’altro i lampioni del viale si
spensero; la luce arancione tremolava fino ad estinguersi, facendo piombare
l’intera via nell’oscurità totale, lasciando solo la fredda luce stentata della
luna come unica fonte di illuminazione. Dentro il cimitero, invece, i lumini
posti sotto le croci storte delle lapidi si accesero come tanti piccoli occhi
del colore del fuoco. Va bene: niente più luce artificiale. E allora?
Dopo
ancora le ombre della notte parvero addensarsi, congiungersi tutte in unico
spiazzo e innalzarsi in una colonna dalla quale prese forma la sagoma di un
uomo. Una risata macabra riempì l’aria mentre il nuovo arrivato avanzava con un
sorriso verso il giovane temerario che si era addentrato nel cimitero.
-Dunque
sei tu che sei venuto a giocare con me questa notte-
Travis
aveva sbuffato, credendo che quello fosse in qualche modo un trucco ideato dai
suoi amici per spaventarlo e fargli perdere così la scommessa; ma aveva anche
avvertito un brivido che non provava più da tempo. Quel freddo che penetra
nelle ossa e ti ghiaccia sul posto l’aveva quasi dimenticato. Subito dopo, i
suoi incubi avevano preso vita.
Nessuno
sapeva cosa avrebbe potuto spaventare Travis Mitchell, ma ognuno di noi
conserva il ricordo di qualcosa che, anche a distanza di anni, è capace di
farci tremare ancora nonostante lo scampato pericolo.
Nessuno
l’avrebbe mai detto, ma Travis aveva paura dei cani, quelli di taglia grande,
perché da bambino era stato aggredito dal pitbull dei vicini ed era stata
necessaria una corsa disperata all’ospedale. Travis aveva paura delle armi e
degli spari, perché a quindici anni si era ritrovato coinvolto in una rissa e
qualcuno, sparando, lo aveva colpito a una spalla, alla quale ancora oggi
portava la cicatrice. C’erano infinite, piccole cose all’apparenza
insignificanti che potevano suscitare una reazione disperata anche nel più
coraggioso degli uomini. Per tutta la notte era stato un continuo risuonare di
spari nell’oscurità, e una corsa tra le cappelle diroccate e le croci spezzate
per sfuggire a grandi cani neri dagli occhi d’oro che riempivano l’aria di
ringhi e ululati, e non erano mai stanchi per quanto corressero veloce.
Tutto
quello era sembrato dover continuare in eterno, e solo alle prime luci
dell’alba tutto era scomparso e l’uomo lo aveva lasciato in pace, svanendo come
un’ombra man mano che il sole avanzava il suo cammino in cielo.
Di
tutto quello, Travis non avrebbe saputo dire quanto fosse vero e quanto era
dovuto alla stanchezza o all’immaginazione esasperata. Ma una cosa era certa:
quella notte, dopo tanti anni, aveva riscoperto cos’era la paura.
Terminato
il racconto, Ethan e Nicole si guardarono. Ormai ne erano certi: non poteva
trattarsi d’altro se non di Pitch Black. Un dubbio, sorto a quelle parole,
aveva smosso la curiosità del ragazzino.
-Ma
quindi- si rivolse a Travis –tu non credi nei fantasmi, o nelle creature
fatate?-
Lui
sbuffò con evidente sdegno –Hei, ma per chi mi hai preso?! Ti sembro persona
che possa credere nelle creature fatate?-
Quella
risposta, purtroppo, confermava il pensiero di Ethan: quello non era più un
attacco rivolto solo ai ragazzi che, come loro, erano in grado di contrastare
il suo potere con la forza della fede nelle favole. La guerra di Black era
iniziata, e il suo obiettivo era adesso intera. Era evidente che non attaccava
più la gente prescelta allo scopo di diminuire ancora il potere dei Guardiani,
adesso attaccava solo per il piacere di dimostrare di essere in grado nuovamente
di causare panico e dolore.
Era tutto quello che gli serviva sapere.
Quando si congedarono Travis lo guardò con una punta di incertezza.
-Quindi,
vuoi ancora andare a Southampton Yard?-
Non
avevano scelta. Ethan annuì con decisione, e sul viso di Travis passò per un
breve istante un lampo di ammirazione.
Salve a tutti, eccomi tornata anche se con un po’ di ritardo
rispetto alla tabella di marcia.
Però adesso almeno sappiamo dove trovare quella canaglietta sabbiosa (?) di Pitch, che ovviamente si è
trovato un posticino taaanto confortevole. Non so, il
cimitero mi è sembrato un luogo appropriato dove rintanarlo, sempre meglio di
quella specie di tombino dove si era infilato nel film – che sembrava tanto il
rifugio delle tartarughe ninja.
*spazio della cosa cretina* Sapete che qualche giorno
fa l’Etna ha eruttato, no? Ecco, nel balcone del mio salotto la mattina dopo
c’era tanta di quella cenere nera che ho pensato che Pitch fosse passato a
campeggiare fuori da casa mia, magari per punirmi di tutte le volte che gli ho
detto “adorabile pallina di fuliggine”. Magari si era pure nascosto nel vaso
dei gerani e io non ci ho fatto caso. Anche se credo che, se solo Pitch
arrivasse a tentare di spaventarmi, lo accoglierei sprimacciandogli la faccia a
ritmo di “Macchesseicariiinocarinocarinooo!” – poi
bè, credo che chiederebbe la pensione, e allora avrò definitivamente liberato
il mondo dall’Uomo Nero u.u oh yeah!
xD
Ah però! Sono arrivata al capitolo 10 senza accorgermene, quanto
sono attenta xD allora colgo l’occasione per
ringraziare chi mi ha seguito fin qui e chi si è fatto avanti man mano che la
storia procedeva, sappiate che vi troverò e vi sprimaccerò *--* in particolare
grazie a Enivelsa
e Kamelyeper aver inserito la storia tra le Seguite, e Eirinyaper averla inserita tra le Seguite
e Ricordate, nonché per la bella
recensione :D
E anche per questa volta ho detto tutto, non mi resta che
dileguarmi e darvi appuntamento al prossimo capitolo ;)
Ethan
avrebbe subito voluto precipitarsi a Southampton Yard: nella sua immaginazione
lui avrebbe trovato il nascondiglio di Pitch Black, gli avrebbe mollato un paio
di sberle per regolare i conti e poi sarebbe ritornato a casa con Sam. Nella
realtà, invece, le Leggende misero ben presto a tacere le sue proposte belliche.
Si trovavano sul retro del bar in cui lavorava Ellen, seduti attorno ad un
tavolo a studiare un piano di attacco. Nicole era con lui, e anche Octavia si
era aggiunta al gruppo; la bambina era stata davvero felice di sapere dove
potevano ritrovare Samuel e – ma questo l’aveva tenuto per sé – non vedeva
l’ora di vedere Ethan in azione: era certa che, adesso che sapeva quale era il
suo obiettivo, nulla l’avrebbe fermato. Neanche l’Uomo Nero.
-Lui
non può aspettarsi il nostro arrivo-
Ethan,
infervorato com’era, non si curava neanche di tenere basso il tono della voce. Gesticolava
in modo fin troppo plateale, e si curava di dare una dettagliata spiegazione di
come avrebbe spaccato tutte le ossa di Black se solo a Sam fosse successo
qualcosa. Era scattato in piedi, le mani serrate attorno al bordo del tavolo. Per
fortuna a quell’ora la strada e il locale erano deserti.
Guardò
i compagni impaziente, certo di avere la piena approvazione del gruppo. I
Guardiani si scambiarono un’occhiata perplessa; si stupivano ancora di quanta
energia quel ragazzino potesse avere dentro di sé, nonostante la loro
situazione fosse ancora disastrosa malgrado la nuova scoperta. L’entusiasmo di
Ethan si smorzò: perché la risposta tardava ad arrivare?
Nord si
schiarì la voce, guardando impacciato gli altri –Ecco forse…-
-Cosa?-
-Non è
prudente addentrarsi nel territorio di…-
-Sì che
lo è!-
-Potrebbe
essere rischioso-
Ethan
stava per replicare, ma le parole gli morirono in gola. Guardò l’anziano
spirito di fronte a sé e poi tutti gli altri. Sul viso gli si era dipinta
un’espressione di vivo disappunto.
-No- scosse con decisione la
testa –no, scordatevelo-
-Ethan,
cerca di capire: non possiamo mettervi tutti in pericolo-
-E
quindi intendete piantarci qui? Va bene, sono d’accordo che Nicole e Octavia
restino al sicuro, ma io…-
Non
seppe più come continuare. Nord si era alzato e lo scrutava dall’alto in basso,
e sotto quello sguardo perentorio Ethan si sentì di nuovo come il bambino che
era quando aveva incontrato Santa Claus la prima volta: piccolo e del tutto
insignificante di fronte all’antica luce di quello sguardo senza tempo.
Nonostante la figura della Leggenda fosse sbiadita ai suoi occhi, non gli
sfuggiva di certo l’ammonimento di quelle iridi celesti: era inutile discutere.
Il
ragazzo strinse i pugni: erano arrivati fin lì insieme, se adesso che era
giunta la resa dei conti l’unico suggerimento dei Guardiani era di rinchiudersi
in casa, allora avevano fatto male i loro conti. Guardò le Leggende con aria
supplichevole, non riuscendo più a nascondere la preoccupazione.
-Io
vengo. Devo trovare Sam. Per favore- il suo sguardo passò in rassegna gli
spiriti di fronte a lui in cerca di sostegno –devo trovare Sam…-
Un
lungo silenzio seguì quell’affermazione disperata. Un gioco muto di sguardi
corse tra Nord e i compagni: tutti sapevano che il convincere Ethan a non
partecipare attivamente alla lotta contro Black sarebbe stata un’impresa
titanica, un’impresa che con molta probabilità nessuno di loro sarebbe riuscito
a concludere neanche con la più ferrea fermezza. Quel tentativo stava andando a
vuoto proprio come avevano previsto.
Infine il
Guardiano annuì.
Solo
mezz’ora dopo il gruppo si trovava di fronte ai cancelli socchiusi del cimitero
di Southampton Yard. L’aria era fredda e immobile, e ma mano che si
avvicinavano alla loro destinazione il cielo era diventato sempre più cupo.
Grosse nuvole nere stavano immobili sopra di loro, sembravano quasi circondare
l’intero perimetro del camposanto. Una fitta nebbia grigia era sospesa
nell’aria; tutto il paesaggio sembrava sfocato e risultava ancora più tetro di
quanto fosse in realtà.
Per un
po’ rimasero tutti a guardarsi intorno, indecisi su cosa fare. Ethan teneva
Octavia per mano, la bambina teneva le dita strette alla sue e cercava di
scrutare oltre i cancelli arrugginiti. Nicole si guardava intorno, sillabando i
nomi sbiaditi sulle cappelle e le lapidi più vicine. Aveva un sorriso triste
dipinto in viso.
-Sapete,
qui ci sta la mia mamma-
I
ragazzi la guardarono sorpresi, ma lo sguardo di lei vagava sul paesaggio in
lontananza.
-Non ho
pensato di portarle dei fiori. Alla mamma piacevano i fiori. Prima papà e io venivamo
a trovarla spesso, e ripulivamo il suo posto ogni volta. Poi lui ha smesso, e
non mi ci ha più portata. Forse pensava che mi faceva male venire qui. O forse faceva
male a lui. Non sono mai riuscita a deciderlo-
Tra
tutti, era Octavia ad essere rimasta più impensierita da quella confessione. Aveva
per un attimo provato ad immaginare come sarebbe stata la vita senza la sua
mamma, e le si era presentata alla vista la prospettiva di una vita buia e
triste. Un tempo le sarebbe piaciuto vivere con il padre, ma questo era stato
molto tempo fa. Adesso il suo papà non le piaceva più, e l’idea di dover
abitare con lui senza la madre le faceva paura.
-Davvero
non hai più la mamma?-
Nicole
abbozzò un sorriso e si chinò per arrivare alla sua altezza –Ce l’ho ancora la
mamma. Solo che non è più umana: adesso è un angelo, l’angelo più bello del
cielo, credo. A volte la vedo, sai? Viene a sedersi sul mio letto, la notte, e
io posso parlarle di tutto quello che voglio. Lei mi ascolta sempre, e a volte
in sogno mi dà consigli. So che è con me, anche se io non posso vederla sempre-
Mentre
parlava Ethan la guardava, sempre più sorpreso da ciò che quella ragazza si
stava rivelando. A vederla così, con quel suo aspetto trasandato e i vestiti
scuri e fuori moda, con quel suo sguardo trasognato, non c’era da farsi
meraviglia che la gente la vedesse come una persona strana, in qualche modo
diversa da tutti. Ma sarebbe bastata una seconda occhiata, sarebbe bastato
rivolgerle la parola per capire che, dietro quella sua stravaganza, c’era
qualcosa di più che semplice noncuranza della propria immagine. Perché la gente
non era in grado di mettere da parte i pregiudizi e cercare di capire da sé
come davvero erano le persone?
Alcune
raffiche di vento scatenarono loro contro una danza di foglie morte e
spazzarono in parte via la nebbia. Presero ad incamminarsi tra le croci e le
cappelle diroccate, senza una vera meta.
Tutto
era muto, fatta eccezione per le canzoncine di Nicole.
-… e così, nelle notti, al fianco io giaccio
del mio amore – mio amore – mia vita e mia sposa, nel suo sepolcro lì in riva
al mare, nella sua tomba in riva al risonante mare-
Che
certo non aiutavano ad alleggerire l’atmosfera del luogo.
-Ma
cos’è?-
Lei li
guardò sorpresa –Annabel Lee. Edgar Allan Poe. Conoscete Edgar
Allan Poe, vero?-
-Sì,
ma…-
-Preferite
I Sepolcri, di Foscolo? … oh,
eccola!-
E
indicò qualcosa in lontananza, lasciando da parte le proposte di recitazione.
Il suo dito puntava a una cappella poco distante.
-Travis
ha detto che alcune delle ombre quella notte sono uscite da lì. Conviene dare
un’occhiata-
L’edificio
aveva accesso attraverso alcuni scalini. Non c’era tempo per discutere, così
Ethan dovette accettare che le Leggende fossero i primi ad addentrarsi nella
piccola camera buia; loro avrebbero aspettato lì il segnale di via libera. Dopo
che i Guardiani furono spariti in quell’antro buio un tempo infinito parve
trascorrere nell’immobilità silenziosa del cimitero. I ragazzi cercavano di
scrutare l’interno del sepolcro, impazienti di ricevere un segno. L’unica cosa
viva, lì dentro, sembrava il buio, tutti e tre avrebbero potuto giurare di
vedere figure evanescenti danzare all’interno della cappella abbandonata, e
l’aria parve riempirsi di sussurri incomprensibili.
Ethan
guardava quell’oscurità senza quasi curarsi delle ombre che avevano preso vita
in essa. Sam era lì, se lo sentiva. Non poteva aspettare un secondo di più. Si
alzò dalla croce sulla quale aveva preso posto e fece un passo nella struttura
fatiscente.
-Io
vado- si rivolse alle ragazze dietro di lui –voi restate qui. Non allontanatevi
per alcun motivo. Il tempo di spaccare la faccia a Black e sarò di ritorno-
Nessuna
delle due ebbe il tempo di protestare: un attimo dopo il ragazzo era sparito
nel buio.
L’interno
della cappella era scuro come la notte senza luna. Ethan dovette avanzare con
cautela, poggiando una mano sul muro polveroso e umido. Quasi subito batté su
qualcosa di duro e freddo e rischiò di inciampare: era arrivato ad un cancello
semiaperto che conduceva ad una scala in discesa. Imprecò sottovoce,
puntellandosi contro il muro e iniziando la discesa. Ogni scalino sembrava
sporgere nel vuoto e tutto era freddo e scivoloso. Dopo quella che gli sembrò
un’eternità, infine il ragazzo arrivò ad un nuovo corridoio alla fine del quale
proveniva una scarsa luce. Attorno a lui sembravano sfrecciare ombre
sussurranti, residui di incubi lontani. Ethan strinse i pugni: se Pitch sperava
di spaventarlo in quel modo aveva sbagliato di grosso.
Si
avvicinò passo dopo passo a quella luce sfocata fin quando non sbucò in una
sala di medie dimensioni nella quale sembrava essersi scatenato l’inferno: infinite
ombre volteggiavano vorticosamente nell’aria, per di più attorno ai Guardiani,
spinti in un angolo della stanza. L’odiosa risata di Black si levava
vittoriosa, disperdendosi in un’eco infinita tra le pareti di roccia. L’uomo
Nero gli dava le spalle, in quel momento si ergeva come un’ombra gigantesca
sugli occupanti della cripta.
Tutto
quello, lo sguardo di Ethan lo colse in un secondo: subito dopo venne catturato
da qualcosa di ben più importante. Il suo intuito non si sbagliava: Sam era
davvero lì, di fronte a Pitch, le spalle contro il muro. Un sollievo infinito
colse il ragazzo il tempo strettamente necessario a risollevargli lo spirito.
Subito dopo fece il suo ingresso in sala in una corsa che non si curava degli
Incubi sibilanti intorno a lui, con un unico, chiaro obiettivo.
-Sam!-
Tutti
gli occhi si puntarono su di lui; si fermò a pochi passi dall’Uomo Nero, pronto
per la resa dei conti. Agli occhi dello spirito non doveva certo sembrare un
granché di avversario: era solo un ragazzino dai vestiti impolverati e i
capelli scomposti, i pugni stretti come pronto alla lotta, il respiro corto
dovuto alla corsa. Eppure c’era qualcosa, in quel suo sguardo scuro, che
continuava a brillare, combattendo le ombre fuori e dentro di sé. E questo,
senza dubbio, era qualcosa che l’Uomo Nero continuava a detestare.
Se
dunque con la sua entrata in scena non avesse fatto molta impressione su Black,
in compenso Samuel lo aveva trovato di gran lunga il più bello di tutti gli
eroi. Non aveva creduto di poterlo rivedere, e le maligne insinuazioni di Pitch
sul fatto che di certo Ethan non si sarebbe preso la briga di andare a cercarlo
avevano in qualche modo spento le sue speranze. Ma adesso, adesso che lui era
lì d’un tratto tutto gli sembrava possibile.
Ethan
fece per corrergli incontro, ma Black gli sbarrò la strada.
-Hei, hei, non così in fretta, ragazzino. La partita non è ancora
finita-
-Fatti
da parte, Pitch-
-Oh no,
Ethan, sei tu che devi farti da parte! Non ti sei guardato intorno? È finita. È
finita per le tue Leggende, è finita per i sogni di speranza, ed è finita per te. Come pensi di poter combattere tutto
questo? Che potere puoi mai avere per fermare me?-
-Io…-
Il
ragazzino abbassò lo sguardo sui propri pugni. In effetti le prospettive di
vittoria erano al quanto scarse. Erano soli, lui e Sam, e i Guardiani, presi
com’erano dalla lotta contro gli Incubi che li assediavano, non avrebbero
potuto difenderli in alcun modo. Come potevano, loro due, pensare di poter
sconfiggere l’esercito di ombre dell’Uomo Nero?
Poi
ricordò il motivo per il quale si trovavano in quella situazione. Loro non
erano due ragazzini comuni, come i tanti piccoli adulti che popolavano le città
del mondo. Loro avevano un potere celato nel cuore, il dono più prezioso che un
bambino potesse custodire man mano che l’età adulta si avvicinava inesorabile.
Con quello, avrebbero potuto farcela. Ethan si ritrovò a stringere i pugni con
tanta forza da farsi male. Sollevò lo sguardò su Black e l’Uomo Nero si sentì
quasi graffiare dalla luce di quegli occhi da ribelle.
-Io credo-
Mai la
sua voce era suonata tanto forte e sicura di quel che diceva. Pitch si
ritrasse, guardandolo furente. Era ora di terminare i giochi con quel piccolo
impertinente. Non tollerava più il suo sguardo, né il suono della sua voce, né
la sua presenza. Era giunto il momento di liberarsene una volta per tutte.
Con un
gesto rabbioso Pitch Black diresse un fascio di quelle ombre verso quello che
era diventato il suo avversario peggiore, l’ossessione che rischiava di
annientare i suoi sogni di rinascita.
Ma
l’attacco non raggiunse mai il suo bersaglio. Sam si ritrovò a barcollare e
subito dopo in ginocchio, una mano stretta al petto. Un gelo di morte sembrava
volergli penetrare fin dentro le ossa, e per un attimo si sentì soffocare da
una sensazione di panico del tutto ingiustificata. Poi sentì Ethan scuoterlo
per le spalle e il suo viso teso dalla preoccupazione gli si affacciò alla
vista.
Gli si
era parato davanti inaspettatamente, facendogli da scudo contro il colpo dell’Uomo
Nero.
-Sam,
che cosa…? Perché…?-
In
qualche modo gli venne spontaneo sorridere –Te l’ho promesso, ricordi? Avremmo
combattuto questa guerra insieme. Sai io… io non sono mai stato come te. Non
sono né forte né coraggioso, non sono mai stato all’altezza delle difficoltà
che ho incontrato. Ma questa volta… credo di aver trovato una ragione per
cambiare. Non è sempre possibile scappare dai guai, né puoi sempre contare su
qualcuno che ti difenda. I tuoi problemi puoi affrontarli solo tu, perché è
dopo i problemi che c’è il lieto fine. E per fare questo devi essere forte. Io…
è così che voglio essere. Ora ho capito. Non nasci forte o debole, ma lo
diventi in base a come ti comporti davanti ai problemi della vita. Io fuggivo
sempre, e mi lasciavo sconfiggere. Ma adesso voglio vincere, questa e altre
battaglie. Lo faremo insieme, vero Ethan? Io non ti lascerò solo-
Ethan
ascoltava e lo fissava con uno stupore sempre maggiore, e qualcos’altro, a
scaldagli il cuore. Orgoglio di lui, o qualcosa di del tutto diverso. Sam era
cresciuto molto in quei mesi, ma solo allora gli parve di ritrovarsi davanti il
vero Samuel che era nato da quando si erano conosciuti.
Strinse
la mano che l’amico aveva ancora stretta al cuore e rimasero entrambi ad
ascoltare quei battiti regolari quasi fossero rimasti per sempre fermi in
quella frazione di tempo che si moltiplicava all’infinito.
Black fremeva
di rabbia. Non riusciva a tollerare quella vista, quei due ragazzi così vicini
e le loro mani unite, e quei loro sguardi persi l’uno in quello dell’altro.
Cos’era qual sentimento che leggeva nei
loro occhi…? Tutt’intorno a loro sembrava formarsi un alone
luminoso sempre più splendente, e quella luce lo bruciava ma mano che
rischiarava la sala sotterranea. Le ombre si ritraevano fischiando, vorticando
sulle pareti in cerca di riparo. Non potevano fermarlo. Non potevano davvero riuscire a fermarlo.
Ma quando
si avvicinò per tentare di separarli entrambi si alzarono, Sam afferrò il
braccio che Pitch aveva proteso verso di loro e di nuovo l’orrore del
fallimento arrivò a spezzare l’anima stracciata dell’Uomo Nero. Era chiaro che
non lo temevano, che non si sarebbero fermati. A contatto con la mano del
ragazzino la sua figura cominciava a bruciare, così com’era successo quando Ethan
l’aveva toccato per la prima volta. Inutile tentare di fargli mollare la presa.
In pochi secondi Black fu un ginocchio, una smorfia di dolore impressa sul viso
di cenere. Sollevò lo sguardo e incontrò gli occhi che aveva così ferocemente
odiato per tutto quel tempo: tuttavia non c’era vittoria, nello sguardo di
Ethan, né compiacimento. Tutto ciò che l’Uomo Nero riusciva a leggervi era solo
una profonda pietà.
Quando infine
il ragazzo allungò una mano e poggiò il palmo all’altezza del cuore, lì dove
per la prima volta Pitch l’aveva colpito, si levò un inferno di vento freddo e un
turbine di ombre impazzite insieme ad un ultimo grido di quello che era stato
il Signore dell’Oscurità.
Tutto si
placò dopo un tempo indefinibile e null’altro rimaneva di Pitch Black se non
lievi tracce di cenere nera sparse sul pavimento di roccia.
I ragazzi
ispezionarono la sala con cautela, ancora troppo stupiti per credere che tutto
fosse finito.
-Ce l’abbiamo
fatta…?- Sam scrutava ogni angolo quasi si aspettasse di vedere l’Uomo Nero
sbucare di nuovo dall’ombra –Hei, ce l’abbiamo fatta davvero!-
-Ottimo
lavoro di squadra-
La voce
gioviale di Nord proveniva dalle loro spalle. Quando Ethan si voltò non poté
fare a meno di tirare un sospiro di sollievo: di nuovo le Leggende avevano
acquisito, ai suoi occhi, quell’alone di splendore immortale con cui li aveva
sempre visti. Era finita, dunque, e tutto era andato per il meglio. Aveva conservato
la sua fede e ritrovato il suo pieno potere. E ancora…
Si voltò
di nuovo e un attimo dopo stringeva Sam tra le braccia, colto dal sollievo di
saperlo finalmente fuori pericolo.
-Sei
stato un vero cavaliere. Non ce l’avrei mai fatta senza di te-
Lui si
era irrigidito, nell’imbarazzo più totale. Avrebbe potuto scommettere di avere
le guance in fiamme, e un fastidioso nodo in gola minacciava di incrinargli la voce
alla minima parola che avesse osato pronunciare. Tuttavia ricambiò la stretta,
e poteva giurare che non esisteva epilogo migliore di quel momento.
-Te l’avevo
detto che non ti avrei lasciato solo-
A pochi
passi da loro, i Guardiani osservavano la scena con un sorriso, lieti del fatto
che tutto si fosse infine risolto, e certi che un’altra storia sarebbe presto
cominciata per quei due ragazzi. Nord strizzò l’occhio rivolto a Jack, sollevando
al contempo le mani come in segno di resa.
-In
fondo avevi ragione su loro due-
-Andiamo,
Nord- un sorriso spigliato in risposta –io ho sempre ragione-
Bè… in realtà mi sarebbe piaciuto aggiornare prima del nuovo
anno, purtroppo nel periodo prefestivo non ero proprio dell’umore adatto per
scrivere – sì: sono un Grinch, odio le feste xD o meglio, odio la confusione che le feste portano,
quindi credetemi quando dico che, paradossalmente, verso Natale ho i marònparticolarmente girati. Comunque! Spero
che voi abbiate passato delle belle vacanze e che Nord via abbia portato tanti
regali :D
Per quanto riguarda l’aggiornamento, credevo che la storia
sarebbe stata un po’ più lunga, e invece il prossimo sarà già l’ultimo capitolo <_< mi ci stavo
affezionando… d’altronde Pitch è “esploso”, abbiamo ritrovato Sam, i Guardiani
sono tornati vispi e luccicanti… credo che tutto sia andato a buon fine, no? Vi
avevo promesso che non avrei ucciso nessuno *Black
la guarda male* – hem, quasi nessuno, a parte il cattivone della situazione che in qualche
modo doveva pur scomparire di scena, non ti lamentare sai! Sono stata mooolto clemente, chiedilo ai miei OC originali u_u
Ok, lo ammetto, mi è dispiaciuto fare del male al povero Pitchino, spero non me ne voglia. Si sarà già appostato
sotto il mio letto? Probabile. Vorrà dire che ricorrerò al sistema dello sprimaccia-guancina-fino-all’esaurimento *^* a noi due,
Black >: )
Chiudendo i siparietti idioti, mi pare che non ci sia null’altro
da dire.
P.S: Ricordate di venerare Edgar Allan Poe, o Nicole ci rimane
male.
Saluti e buon anno (anche se schifosamente in ritardo),
Erano
passate ormai quasi due settimane da quando la battaglia contro Pitch era
terminata, e si poteva dire che la vita avesse ripreso il suo normale corso
portando ad ognuno dei ragazzi un piccolo dono. Dopo molto tempo, Nicole trovò
il coraggio di chiedere al padre di riprendere le loro visite domenicali alla
tomba della madre; lui era quasi sembrato sollevato da quella richiesta: forse,
proprio come aveva supposto la ragazza, da molti anni l’uomo era stato come
bloccato dal dolore che la vista della lapide della moglie gli suscitava. Ma
come gli aveva detto la figlia – che aveva infine potuto citare Foscolo – il
ricordo delle persone care scomparse rimaneva vivo proprio grazie a quei marmi.
Le cose
sembrarono andare meglio anche per Octavia. Come aveva detto agli amici la sua
mamma aveva cambiato lavoro e adesso stava già molto meglio. E, cosa più
importante, forse lei aveva anche trovato un nuovo papà; sì, perché la signora
Blake aveva conosciuto grazie al suo nuovo impiego un vero gentiluomo con il
quale spesso e volentieri andava a prendere il caffè durante la pausa. Roger,
così si chiamava, le aveva persino invitate a cena, e si era innamorato di
Octavia a prima vista. Ancora Octavia non capiva a fondo quello che stava
succedendo tra quell’uomo nuovo e la sua mamma, ma capiva che lui iniziava a
volere bene ad entrambe, e inoltre sembrava molto più simpatico del suo primo
papà.
Per il
resto, la polizia aveva piantonato casa Jefferson per ancora diversi giorni, ma
era riuscita ad ottenere solo vaghe informazioni su uno psicopatico nascosto in
una cappella nel vecchio cimitero di Southampton Yard. Purtroppo, ogni ricerca
del rapitore era risultata vana.
E Ethan
e Sam? La vita continuava apparentemente monotona tra la scuola e lo studio.
Quello che era cambiato, in loro, era qualcosa di più profondo, custodito
nell’animo come il più prezioso dei tesori.
-E’
finita, dunque-
Disse
un pomeriggio Sam, una nota di insolita nostalgia nella voce. Erano seduti al
parco, su una panchina in disparte dal resto della gente che affollava i
giardini. Tutto sembrava così normale che quasi nessuno dei due poteva pensare
di aver vissuto un’avventura tanto incredibile. Eppure entrambi ne erano certi:
non si era trattato di un sogno.
Ethan
lo scrutò con la coda dell’occhio –Ti dispiace?-
-Bè… è
stato tutto così assurdo. Però, del resto è stata come una rivelazione. Prima
credevamo nella magia più che altro prendendola come un dogma, adesso invece
sappiamo che è reale. Tutto sarà come è sempre stato, probabilmente vivremo una
vita come quella di tutte le altre persone, ma sapremo che ciò che verrà
tramandato, le vecchie favole e leggende, sono davvero reali. È come sapere
qualcosa di sconosciuto al resto dell’umanità, non credi? Qualcosa che ti rende
indipendente dalle convenzioni e dal pensiero comune. Ti fa sentire libero-
Lui si
ritrovò a sorridere: gli piaceva quando Sam si metteva a filosofare in quel
modo. Gli piacevano quelle sue considerazioni sulla libertà e quel suo modo di
esprimerle come se fossero semplici nozioni fondamentali di vita. In realtà gli
piaceva tutto di Samuel, indipendentemente dal suo modo di pensare.
Sospirò
e si allungò sulla panchina, rimanendo per un po’ a far vagare lo sguardo tra l’azzurro
delcielo e i rami spogli degli alberi.
-E’
quasi una storia perfetta- convenne poi. Con lo sguardo cercò gli occhi verdi del
ragazzo accanto a lui –ma non pensi che manchi ancora qualcosa?-
Sam si
sentì arrossire e lo guardò in attesa. La sua mano era scivolata su quella dell’amico,
come tante volte era successo prima di allora. Ma quella volta sembrò esserci
molto di più, in quel contatto.
-Un
lieto fine?-
Azzardò
allora, capendo subito dal sorriso di Ethan che quella era proprio la risposta
corretta. In quel momento non c’era nulla di sbagliato: erano lì, mano nella
mano, e non c’era nulla di più bello dello sguardo che intercorreva tra di loro
come una muta promessa. Che importava se non c’era alcuna principessa delle
favole?
-Certo
che sarà una storia un po’ strana-
-Perché
strana?-
-Insomma…-
Sam si passò imbarazzato una mano tra i capelli, e per un attimo ritornò il
ragazzino impacciato di una volta –non esiste una storia in cui due cavalieri…-
-Si
innamorano?-
I loro
sguardi si incrociarono di nuovo, in parte consapevoli di ciò che sarebbe
potuto accadere andando avanti. Sarebbe stata dura. La loro lotta, la loro vera
lotta, sarebbe iniziata solo allora. Ma forse non era sempre stato così? Forse nel
tempo non erano state tramandati canti e leggende in cui l’innamorato doveva
affrontare le imprese più ardue per ottenere infine l’amore della donna? E cosa
importava, in fondo, se l’amore da conquistare non era quello di una donna? Il cavaliere
non sarebbe corso alla torre per implorare la fanciulla di sciogliere i bei
capelli d’oro, né avrebbe ballato con lei per tutta la notte o l’avrebbe
risvegliata con un bacio d’amore. Almeno per quella volta, il cavaliere avrebbe
percorso il sentiero oscuro, quello lastricato dall’incertezza della riuscita dell’impresa,
ma l’avrebbe percorso con il cuore acceso di determinazione. E poi, al di là
del bosco oscuro, il suo principe lo avrebbe aspettato per abbandonare il
castello e fuggire insieme. Sarebbe stata una bella storia. Una storia nuova,
una storia del tutto diversa dalle storie d’amore con cui i bambini crescono di
solito. Una storia che, forse, avrebbe potuto cambiare del tutto le loro vite.
Ethan gli
sfiorò il viso, il tocco leggero e insicuro, spaventato da quello che stava nascendo
nel suo cuore eppure tanto curioso di scoprirlo insieme.
-Potremmo
sempre scriverla noi, questa storia. Cosa ne dici?-
Un sorriso
scacciò l’incertezza dal viso di Samuel –Dico che è una magnifica idea-
E lì le
loro labbra si sfiorarono per la prima volta.
Olaaaaaaaà! *passa stappando lo champagne* su i
calici, brindiamo!
Salve bella gente :D Non ci credo… ho finito, ho finito! Ho… finito? Gh, da un lato mi dispiace T^T ma d’altronde nulla è eterno, a
parte forse le nostre beneamate Leggenducole.
Vi avevo promesso il lieto fine, vi avevo promesso che nessuno
sarebbe morto, ho rispettato i patti… sono stata brava dai ;) considerando che
di solito… nelle mie storie… crepano tutti <_< o quasi, di solito
qualcuno resta in vita per poter piangere i morti xD
Devo dire che, a conti fatti, sono molto felice di questa fanfiction: mi sono divertita a scriverla, ho adorato i
personaggi – tanto le Leggende e Pitch quanto i miei cari OC – e spero
vivamente di non aver sfociato nell’OOC o aver reso il tutto “noioso”. In tal
caso mandate Pitch a spaventarmi. Oh, sì, mandatemelo mandatemelo!
xD*sfrega le
mani*
Sono contenta che sia stata apprezzata e vi ringrazio
immensamente delle meravigliose recensioni e di averla inserita in tanti tra
Preferite/Seguite/Ricordate. Non pensavo che potesse coinvolgere tanto, grazie
davvero *^*
Adesso, chissà che non arrivi a infestare di nuovo questa
sezione con qualche nuova ispirazione. Ho già una mezza idea, ma devo prima
elaborarla per bene e vedere se potrebbe uscire fuori qualcosa di decente, e
vorrei iniziare a scrivere qualche capitolo così da poter rendere l’aggiornamento
più stabile. Per il momento quindi non prometto nulla, ma non si sa mai ;)
Detto questo *inchino
profondo* ancora immensi ringraziamenti per avermi seguita fin qui.
E non temete… presto o tardi… ritornerò! *svanisce in una nuvola di fumo*