Ah! Ça ira!

di Jenny Ramone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ma vie dans un livre ***
Capitolo 2: *** Les Révolutionnaires ***
Capitolo 3: *** Véronique ***
Capitolo 4: *** Aux armes Citoyens! ***
Capitolo 5: *** La Prise de la Bastille ***
Capitolo 6: *** Une lettre ***
Capitolo 7: *** Déclaration de les droits de l'homme et du citoyen ***
Capitolo 8: *** L'Ami du peuple ***
Capitolo 9: *** Parisiennes ***
Capitolo 10: *** Dans l'obscurité ***
Capitolo 11: *** Amitié ***
Capitolo 12: *** Rencontre ***
Capitolo 13: *** Amour et prédictions ***
Capitolo 14: *** Fraternité ***
Capitolo 15: *** Innocence ***



Capitolo 1
*** Ma vie dans un livre ***


DISCLAIMER:

Tutti i personaggi qui descritti sono frutto della mia immaginazione, mi appartengono, e, a parte i personaggi storici,  non si basano su persone reali.
 Perdo tempo ed energie a scrivere quindi mi farebbe piacere che il mio lavoro non venisse plagiato e nel caso avviso che procederò con i dovuti mezzi a segnalare.
 Detto questo, buona lettura!


"Pleure Louis, à l'heure de ta mort,
D'avoir désolé la Patrie,
Tous les Français pourront long-temps encor
Pleurer les crimes de ta vie"

 "Parodie sur la Complainte de Louis Capet", 1793.

 

"Il mio nome è Irène Fournier.
 Fino a qualche anno fa ero una venditrice di giornali a Parigi.
 Si, Cittadino, venditrice di giornali.
 E io i giornali li so anche leggere, al contrario delle mie amiche e della maggior parte delle donne del popolo.
 E leggevo sempre che il popolo era scontento, che non c’era più cibo e, mentre noi morivamo di fame, il Re conduceva una vita nel lusso, a Versailles.
 Ogni giorno le notizie erano peggiori del precedente ma io non riuscivo a trovare il coraggio di raccontare la verità alle mie amiche, non riuscivo a rendere consapevoli le persone che amavo della nostra tragica situazione.
 Ad un certo momento però decidemmo che qualunque cosa sarebbe successa, se ci fosse stato modo per migliorare le nostre vite, noi avremmo combattuto, insieme.
 Non potevamo immaginare che avemmo visto cambiare radicalmente il mondo a cui eravamo abituate.
 Siediti Cittadino e ascolta.
 Ascolta la triste storia che sto per narrarti
".

Londra, 1799

“Miss Irène, grazie per essere venuta.
 Prego, sedetevi.
 Sono davvero felice che abbiate accettato di raccontare la vostra storia e di aiutarmi a scrivere questo saggio sulle donne.
 Mi sento onorato a poter discutere con voi di questo delicato argomento,insomma, una donna che si occupa di giornalismo non si vede tutti i giorni.
  A quanto mi hanno anticipato i miei colleghi, questo argomento vi riguarda da vicino.
 Non mi hanno detto di più, confido che i miei dubbi verranno chiariti direttamente da voi”-esordì il giornalista, dopo avermi baciato la mano e avermi invitata a sedermi, indicandomi una poltrona con un gesto elegante.
 L’Inghilterra era così diversa dalla Francia…mi sentivo fuori luogo e straniera, nonostante ormai mi fossi trasferita da parecchio tempo, erano tutti troppo raffinati e galanti rispetto a com’ero abituata, gli altri giornalisti mi davano del voi quando io, in seguito alla Rivoluzione,ero abituata a dare del tu.
 Mi sentivo a disagio ma avevo accettato di raccontare questa storia perché mi sembrava un buon modo per allontanare una volta per tutte i fantasmi del mio passato e per fornire agli inglesi, da sempre nemici del mio Paese, un modo per comprendere cosa era stata davvero la Rivoluzione, senza limitarsi a compiangere le teste coronate che erano cadute ma concentrandosi soprattutto sulla gente comune e i motivi che avevano spinto il popolo a reagire dopo anni di soprusi.
 Perché sui libri vengono ricordati i generali e i monarchi ma non si parla spesso del fatto che dietro quest’immagine gloriosa ci sono delle vite, delle persone comuni, nel loro piccolo ancora più eroiche.
 Sorrisi al mio collega e, dopo averlo ringraziato, iniziai a narrare la mia storia.
 
Parigi, maggio 1789

“Giornali, giornali! Comprate i giornali!
 Il re ha deciso di convocare gli Stati Generali, leggete la notizia sul giornale di Parigi!”-urlavo in strada, camminando avanti e indietro e porgendo i fogli di carta ai passanti.
 Questo era il mio lavoro ormai da anni e avrei dovuto considerarmi fortunata ad averne uno.
 Un’occupazione umile ma era già qualcosa: essendo una donna non potevo certo aspirare a molto di più no?
 Erano stati convocati gli Stati Generali, non accadeva da un secolo… io avevo chiare idee di quello che avrei voluto per il mio Paese, per le persone che amavo e per me stessa: libertà, uguaglianza, pari diritti, democrazia.
 Possibile che dovessimo andare a fare la fila alle cinque del mattino per un pezzo di pane nero da dare ai nostri figli mentre la Regina a Versailles viziava i suoi con qualunque cosa desiderassero?
 Impossibile.
 La Monarchia Assoluta ormai non si adattava più all’epoca in cui vivevamo, le cose stavano finalmente cambiando”.
“Democrazia? Diritti?
 Mi permetta Miss… volevo dire, Cittadina Fournier, non vorrei essere troppo brusco: com’è possibile che una semplice ragazza del popolo conosca questi termini?
 E’ già poco credibile che sappia scrivere,vuole dirmi cosa mi sta nascondendo?”-domandò il mio interlocutore, interessato, mentre versava una tazza di the ad entrambi.
 Guardai fuori dalla finestra  il cupo cielo londinese, poi, improvvisamente, mi voltai verso di lui,facendolo sobbalzare.
“Caro collega: tanto per cominciare dammi del tu, so che non è educazione e non è in uso qui in Inghilterra però mi trovo più a mio agio, se a te non dispiace.
 In secondo luogo: la vuoi sentire la mia storia?
 Ti interessa davvero scrivere un saggio per portare alla luce la condizione delle donne durante la Rivoluzione e attualmente?
 Se ti interessa, ascolta quello che ho da dire e non farmi domande fuori luogo.
 Perché so scrivere? Perché parlo in un modo più ricercato e ho una certa cultura  rispetto alle pescivendole?
 Come mai l’ho tenuta per me e ho vissuto per anni come le altre ragazze del popolo?
 Perché sono seduta a questo tavolo e sono una giornalista?
 Te lo spiegherò proseguendo la mia storia, dai tempo al tempo.
 Lo scoprirai, non ti preoccupare.
 Però devi lasciarmi parlare, tutte le tue curiosità verranno soddisfatte”-conclusi.
 L’uomo sospirò:”Va bene, Cittadina, scusami.
 Non ti interromperò più, continua pure, abbiamo tanti giorni a disposizione per finire il lavoro”.
Continuai:” Come dicevo, avevo idee piuttosto astratte però non me ne intendevo molto di politica materialmente.
 Avevo capito tuttavia che c’era qualcosa che non andava: perché il Re avrebbe dovuto prendere una decisione simile?
 Possibile che volesse davvero aiutarci?
 Non ne ero convinta, se le sue intenzioni fossero state quelle le avrebbe messe in pratica prima di mandare la Francia in rovina.
 Non volevo credere che il nostro re ci avesse dimenticati, eravamo il suo popolo no?
 Ci avrebbe dovuti amare, sicuramente avrebbe trovato un modo per risollevare l’economia francese.
“Irène, Irène!”-il flusso dei miei pensieri venne interrotto da una voce familiare: una ragazza bionda, con indosso un vestito tutto rattoppato e uno scialle mi corse incontro.
 Edith, una delle mie amiche,si fermò di fronte a me, con il fiatone.
“Mon Dieu, Edith, che succede? Non dovresti essere al lavoro? Anzi,anche io sto lavorando, ti dispiace se ci vediamo dopo?”-sussurrai  tra i denti mentre porgevo  un giornale ad un anziano signore e gli rivolgevo  un sorriso di circostanza.
 Lei però non aveva alcuna intenzione di demordere e mi afferrò per un braccio:”Ho bisogno di parlarti adesso, stanno succedendo strane cose nella famiglia per cui lavoro!”.
Controvoglia la seguii: sarei tornata per strada più tardi.
 Edith non diceva una parola e continuava a camminare, voltandosi ogni tanto per controllare che io la stessi seguendo.
 Davanti a me vedevo passare scenari diversi: palazzi nobiliari, la Cattedrale di Notre Dame, piazze piene di povera gente, carrozze da cui scendevano ricche signore, sollevando i bordi dei loro abiti in modo che gli ultimi capolavori dei sarti più famosi di Parigi non si rovinassero con la polvere e la melma del selciato.
 Voltai  la testa, disgustata.
 Oltrepassammo la Senna: dove stavamo andando?
 Finalmente Edith si fermò e io guardai la costruzione che si ergeva davanti a noi: la Conciergerie, una delle prigioni di Parigi.
 Un luogo che mi aveva sempre inquietata, con quell’aspetto imponente comunicava qualcosa di molto sinistro, quasi quanti la Bastiglia.
 Proseguimmo ancora per un tratto e ci ritrovammo in un vicolo dietro la prigione: qui ci sedemmo su dei massi appoggiati a terra e chiesi  spiegazioni alla mia amica.
“Edith ma che succede? Perché mi ha fatto smettere di lavorare e mi hai portata proprio qui, uno dei posti più pericolosi per fare rivelazioni? Insomma, sei pazza? Potrebbero scoprirci, ci sono guardie ovunque!”-sussurrai, spaventata.
“Irène tu che sai sempre tutto… volevo sapere cosa dicono i giornali, dovevo chiedertelo di persona.
 Stamattina me ne stavo seduta alla finestra della stanza da cucito di casa Dupont quando ho sentito un gran trambusto il cortile: mi sono affacciata e ho notato degli uomini che sono entrati a parlare con il padrone.
 Poco dopo li ho sentiti discutere e hanno detto qualcosa come “Il re ha convocato gli Stati Generali, andiamo!”.
Cosa è accaduto?
 E’ grave vero?”mi chiese, mettendosi le mani davanti agli occhi, terrorizzata come una bambina.
“E da quando ti interessi di politica?
 Edith cara, sarebbe meglio che ne stessimo alla larga entrambe… è triste ma una donna non dovrebbe nemmeno immaginare di dedicarsi a queste questioni.
 Rassegnati, siamo condannate alla miseria, non cambierà mai la nostra situazione”-dissi scuotendo la testa e mi alzai, incamminandomi sulla strada del ritorno.
“Fermati!
 Perché dici così?
 E tutti i tuoi ideali,la tua voglia di aiutare le donne a far sentire la loro voce… dove sono finiti?
 Dovresti impegnarti di più, so che ne saresti capace.
  Perfavore, leggimi che succede e spiegamelo.
 Sembra che mi vuoi tenere nascosto qualcosa… Irène, ci conosciamo da tanti anni, perché non vuoi aiutarmi?”.
A quel  punto mi arresi e le spiegai quello che c’era scritto sul giornale.
“Quindi in futuro il re non ci chiederà più di pagare tutte queste tasse?
 La vita della semplice popolazione come noi migliorerà mi stai dicendo?
 Bene, magari riuscirò anche a trovare un lavoro migliore e farò meno fatica a comprare le medicine per curare mia sorella.
 Magari si stanno aprendo delle possibilità, il nostro re non ci ha dimenticati, vedi?”-gridò, guardandomi con gli occhi pieni di gioia.
 Povera Edith, com’era ingenua… io non ero così sicura che tutto sarebbe andato bene.
 Decisi comunque di riporre ancora un po’ di fiducia nel futuro, all’epoca avevo vent’anni e avevo bisogno di credere in un domani più luminoso.
 Ritornai con Edith in centro: la mia amica si avviò a casa, tutta contenta; non vedeva l’ora di annunciare quello che le avevo raccontato alla sorella Julie.
 Io ormai avevo sprecato la mattinata: contai i soldi che avevo guadagnato e mi rassegnai a rientrare.
 Nel pomeriggio cercai di racimolare ancora qualcosa lavando i panni per una signora di buona famiglia per cui a volte lavoravo.
 La sera, tornata a Montmartre, passai dalla mia vicina di casa, una ricamatrice che si occupava del mio bambino di un anno mentre io ero fuori a lavorare: “Ciao René, tesoro mio.
 Hai fatto il bravo oggi?”-sorrisi, cullandolo mentre camminavo per la stanza.
 Avrei voluto pagare la mia vicina per tutto quello che faceva per me ma lei si rifiutava categoricamente, diceva che le faceva piacere occuparsi di René, suo figlio era morto poco dopo la nascita e lo rivedeva nel mio.
“Sai Irène, è passata Marion a cercarti.
 Ha detto che verrà a casa tua domani sera, visto che oggi pomeriggio non c’eri”-mi aveva detto.
 Marion aveva un paio di anni in più di me:era la mia più cara amica e spesso lasciava Belleville per venire a trovarmi, nonostante il tragitto fosse piuttosto lungo.
 Ti parlerò delle mie amiche in seguito, Cittadino.
 Adesso lasciami fare un quadro generale della mia vita, prima di addentrarmi nel vivo dei miei ricordi e rivivere le vicende che mi coinvolsero all’epoca; alcune molto dolorose.
 Entrai nella soffitta dove vivevo:per prima cosa ricordo che misi il bambino nella culla e in quel momento sentì due braccia cingermi la vita; mi voltai e vidi Jean, il mio fidanzato, che era appena tornato dal lavoro.
“Buonasera…-sorrisi, baciandolo.
 E' un uomo come non ce ne sono molti.
 Mi ama davvero con tutto se stesso, è gentile, mi sostiene sempre in tutte le decisioni che prendo, mi consola: era considerato il ragazzo più bello di Montmartre, le mie amiche mi invidiavano e così le altre donne del quartiere.
 Alto, i capelli mori ricci, gli occhi castani, fisico slanciato e un sorriso meraviglioso sulle labbra: sono fortunata, sono davvero fortunata ad averlo accanto.
“Com’è andata la giornata?-mi chiese, mentre si lavava il viso.
 Gli raccontai dell’incontro con Edith, degli Stati Generali, del  fatto che ero passata al Cafè Procope, un caffè dove si riunivano filosofi, uomini politici e importanti personalità: forse mi avrebbero presa come cameriera alla sera.
“Sono fiero di te Irène.
 Domani mi racconterai degli Stati Generali, vorrei capirci di più.
 Adesso però vado a dormire, sono molto stanco.
 Buonanotte René"-sussurrò al bambino, accarezzandolo, poi si rivolse a me e raccomandò di non fare tardi…
Io annuì ma tanto sapevo che si sarebbe addormentato appena toccato il letto: lavorava come uno schiavo tutto il giorno e non stavamo quasi mai insieme, tutto per poter sopravvivere.
 Aprii la finestra e guardai il cielo dai tetti di Parigi: forse non volevo ammetterlo neppure io, forse non avevo nemmeno il coraggio di ammetterlo però mi sarebbe piaciuto poter cambiare totalmente la mia esistenza
Ancora non immaginavo cosa mi avrebbe riservato di lì a poco il destino, non avevo idea che la mia vita sarebbe stata così in bilico tra il futuro e il passato.

ANGOLO AUTRICE: Bonsoir! :)
 Ecco finalmente la storia.
 Se vi sembra di averla già inserita nei preferiti o letta, non vi preoccupate: non è plagio, semplicemente avevo pubblicato una storia con il titolo di "Revolutionary Girls", era solo un prologo: adesso l'ho cancellata per inserire questa versione ma non è la versione definitiva e potrebbe subite dei cambiamenti.
 Tanto per cominciare delle informazioni “tecniche”: cercherò di essere il più precisa possibile con gli eventi storici di cui narrerò, in base alle mie conoscenze.
 Più avanti avremo delle caratteristiche proprie dell’epoca di cui stiamo parlando, per esempio i mesi rivoluzionari o le canzoni che erano in voga( “ça ira”, il titolo della storia, è appunto il ritornello di una delle canzoni rivoluzionarie più importanti ma anche questo lo vedremo a suo tempo).
 Il Cafè Procope esiste davvero ma ne parlerò meglio quando entreremo nel vivo della vicenda.
 Il racconto sarà narrato in prima persona da Irène, che sta raccontando le vicende a un giornalista: non è detto che non interverranno anche gli altri personaggi a dare il loro parere, inoltre si passerà dal passato al presente ogni tanto, per non rendere troppo pesante la narrazione.
 Come ho già detto, prima che qualcuno arrivi a dire è irreale perché una ragazza del popolo non sapeva certo scrivere e non parlava così: Irène è anche molto misteriosa, è tutto studiato e calcolato perché coincida con il personaggio, io fossi in voi starei attenta all’ultima frase del capitolo.
 Cosa o chi si nasconderà in quel passato?
 Come ha intenzione di agire la protagonista per cambiare la propria vita e in che modo gli eventi la toccheranno?
 Lo scoprirete presto se vorrete seguire la storia.
 Fatemi sapere cosa ne pensate di questo primo capitolo,
 Grazie e a presto! :)
 Jenny

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Capitolo 2
*** Les Révolutionnaires ***



"Cittadino, parte di quello che ti racconterò a partire da questo momento non è stato vissuto in prima persona da me quindi mi limiterò a riportare i fatti così come mi sono stati narrati, anche se vorrei che ti venissero raccontati da chi li ha vissuti.
 Marion arrivò a casa a pomeriggio inoltrato, quasi verso sera: era una lavandaia.
Entrata nello stanzone che chiamava casa, trovò i suoi due figli che giocavano con dei soldatini di piombo, che suo marito Etienne aveva assemblato rubando gli scarti di metallo nella fonderia in cui lavorava.
Disse loro che sarebbe venuta a casa mia e gli chiese di riferirlo ad Etienne quando sarebbe tornato dal lavoro, poi uscì, ignorando le proteste dei piccoli che, temendo l’ira del loro padre, cercavano di trattenerla.
Attraversò Belleville e si diresse verso Montmartre, camminando velocemente, senza voltarsi indietro.
Ormai era buio.
Mi raccontò di aver sentito una mano appoggiarsi sulla sua spalla e di essersi voltata in un lampo il coltello in quella direzione.
“Oh oh Marion sono io! Calmati!”-le aveva gridato  una voce nel buio mentre un’altra le faceva eco:" Lasciala Marion! Ma sei impazzita? Lasciala subito!”.
Lei aveva spinto la vittima verso la luce che usciva da una casa e l’aveva guardata in viso: era Amèlie,una venditrice ambulante nostra amica, che era stata chiamata a raccolta assieme a Thérèse, la più grande e la più saggia di noi: prima di essere costretta a cercare lavoro presso un fioraio era stata un’infermiera di guerra, aveva visto decine di veterani feriti e scenari terribili per cui, nonostante la sua indole pacifica, non era certo stata spaventata da un possibile aggressore.
Amèlie aveva spiegato che erano state invitate a casa mia; Marion non ci aveva pensato ma in quel momento mi disse di aver capito in un attimo che le volevo al mio fianco per risolvere qualche “questione sociale o pseudopolitica”, per citare le sue parole.
 *********
“Veramente Marion stava per accoltellare Amélie? E poi che è successo cittadina?
Sono arrivate sane e salve da te? Questa vicenda si fa sempre più interessante!”-intervenne il giornalista, elettrizzato.
Io sospirai, rassegnata.
Perchè si agitava tanto? Avevo appena iniziato il mio racconto!
“Aspettavi li fatto di sangue? Beh mi dispiace dirtelo ma dovrai attendere ancora un po’ prima di vedere la ghigliottina in azione.
Arrivarono a casa mia.
Jean era seduto al tavolo con gli occhi fuori dalle orbite, che cercava di razionalizzare quello che gli avevo appena raccontato mentre Edith, che era arrivata in anticipo rispetto alle altre perché abitava più vicino,si stava prendendo cura di Renè.
“Bonsoir a tout le monde! Oh Edith, tu sei già qui! A cosa dobbiamo questo incontro?”-domandò Thèrése.“Irène, cosa hai combinato a questo povero ragazzo? Jean, che ti ha fatto? Dimmelo che ti vendicherò!”-Marion gli battè una mano sulla spalla, amichevolmente.
“E’ impazzita.
Adesso vi racconta lei, cerca di farla tornare in sé, Marion, ti prego.
E’ pericoloso quello che ha intenzione di fare!”-aggiunse, indicandomi.
“Si… Jean, perché non vai all’osteria a calmarti un attimo i nervi? Noi donne dobbiamo parlare, sciò!”-Amelie trascinò il mio fidanzato fuori dalla porta, cacciandolo letteralmente di casa.
“Irène cara… allora, cosa vuoi proporci? Sono tutta orecchie!”-continuò prendendo una sedia e piazzandosi davanti a me, con sguardo interessato.
Stavo per risponderle quando lo sguardo mi cadde sulla guancia di Thérèse: aveva un livido blu sotto un occhio.
A quel punto sbottai letteralmente:”E’ stato Adrien? Bastardo, perché gli lasci fare le prove per quando lo prenderanno nell’esercito su di te? Dovrebbe togliersi dalla testa quell’idea, è un ubriacone e comunque non ha soldi per diventare un ufficiale!  Digli pure che se lo becco per strada gli faccio fare una brutta fine”-gridai, battendo un pugno sul tavolo.
“E’ sempre mio marito e lo amo Irène.
Smettila!
Se dovesse entrare nell’esercito potrebbe tornarci utile!”.
Preferii non risponderle, avevo i miei buoni motivi per temere Adrien e tutto ciò che fosse legato all’ambito militare e giuridico.
“Vi ho fatte venire qui per proporvi una cosa.
Vi sarete rese conto da sole com’è la situazione in Francia ultimamente, credo…”.
“Disastrosa.
Tra poco ci mangeremo tra noi.
Non mangiate me però, non sono buona, sono troppo magra.
Mangiamo Thérèse che è più in carne!”-intervenne Edith.
“Edith! Riusciamo a essere serie per un attimo? Guarda che dobbiamo fare in fretta, Marion  deve tornare a Belleville il prima possibile e Jean deve tornare a casa prima di bersi tutti i nostri stipendi e somigliare a Adrien!-le redarguì.
“Stavo pensando, data la situazione della Francia e dello specifico delle donne, io vorrei fare qualcosa per aiutarle.
Amiche mie, noi non possiamo stare a guardare mentre altre donne vengono trattate come Thérèse o peggio ancora e mentre i nostri diritti vengo sempre ignorati.
Io vi propongo di combattere perché questo non accada più.
Di unirci e formare un gruppo per aiutare le donne che hanno bisogno: mariti, fidanzati che picchiano, che lasciano andare la propria donna a prostituirsi, che la trattano come una schiava o la maltrattano, stupratori… dobbiamo aiutare le donne a uscire da questi soprusi.
Non possiamo fare molto ma dobbiamo provarci assolutamente.
Dobbiamo ribellarci a tutto questo!”-conclusi.
“Siete d’accordo? Chi è con me?”.
“Io ma lo sapevi già che ti avrei sostenuta, ti sosterrei anche se dovessi fare un progetto per salvare i topi di fogna!”-Marion sorrise.
“Io ci sono! Da dove iniziamo?”-Edith era entusiasta e lo stesso si poteva dire di Amèlie”sarebbe veramente positivo se riuscissimo a cambiare in qualche modo le nostre condizioni di vita, faremmo dei grandi passi avanti.
Potrebbe costarci caro ma non importa, qualcuno deve pur rischiare la vita per il bene comune, e in ogni caso in qualche modo si deve morire”-concordarono, con una vena di fatalismo.
Thérèse aveva ancora dubbi in proposito, come sempre.
“Irène, l’idea è buona.
Però non so se me la sento di partecipare…. Potrebbe essere davvero pericoloso!
Io non voglio finire in prigione! Poi scusami, con che soldi credi che aiuteremo queste ragazze? Il denaro basta appena per noi.
Infine… come possiamo aiutarle se non sappiamo nemmeno leggere che ne so, una ricetta del medico?”-domandò.
Io però avevo pensato anche a quello, sono sempre stata più organizzata rispetto a loro.
“Vi insegnerò io.
Sarà dura perché ormai siete adulte e non è facile come insegnarlo ad un bambino però farò del mio meglio.
Non posso permettere che le mie amiche non sappiano leggere e scrivere”.
Thérèse tacque poi dopo alcuni minuti di silenzio proclamò:”Conta su di me.
Vi aiuterò.
Hai ragione, è ora che la situazione cambi e se qualcuno non prende le redini della cosa non andremo mai da nessuna parte”.
Io ero contentissima, finalmente avevo trovato il modo di mettere a frutto le mie capacità, per giunta agendo con alcune tra le persone che amavo di più al mondo.
Poco dopo Jean tornò a casa,leggermente ubriaco: era raro che bevesse tanto da essere completamente fuori di sè, per cui si limitò direttamente  a collassare sul materasso che ci faceva da letto.
 Amélie, Thérèse e Edith se ne andarono a casa, dandoci appuntamento per il pomeriggio del giorno dopo in modo da definire il nostro progetto mentre Marion si fermò a dormire da me perché non me la sentivo di lasciarla andare fino a Belleville a notte fonda.
Prima di andare a letto aprimmo una bottiglia per festeggiare le decisione che avevamo preso e parlammo ancora un po’, a bassa voce.
“Credi che ce la faremo?”-domandò lei, mentre tracannava l’ultima sorsata di vino.
“Certo che ce la faremo.
Noi donne siamo forti, niente può abbatterci.
Buonanotte Marion”-conclusi.
“Buonanotte Irène”.
Tanti avvenimenti avrebbero sconvolto le nostre vite di li a due mesi.
La Rivoluzione era alle porte".

ANGOLO AUTRICE:
 Bonsoir! :)  Credo che possiate capire che tra esami all’Università e impegni vari il tempo è poco quindi potrà esserci il periodo che aggiorno tutte le sere e quello che non aggiorno anche per settimane o mesi ma non preoccupatevi, non abbandono le mie storie.
 Jenny

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Capitolo 3
*** Véronique ***


“Cittadina Irène! Ho riordinato i miei appunto su ciò che mi hai raccontato fin’ora e devo dire che a parer mio verrà un gran bel lavoro, sempre che gli editori non si rifiutino di diffonderlo… ma non credo, dopo tutto qui siamo in Inghilterra!”-esordì il mio collega, trionfante.
Scossi la testa: dopotutto quel giornalista cominciava ad essermi simpatico, l’unico che non si fidava era Jean ma non potevo biasimarlo dopo tutto quello che aveva passato, viveva nel vero Terrore.
“Cittadino, sono lieta che tu possa trovare interessante quello che io racconto, davvero.
Adesso siediti pure, se non hai nulla in contrario, io sarei pronta a continuare la storia.
Prevedo che le prossime parti ti potranno piacere di più”-soggiunsi, sorridendo.
“Dove eravamo rimasti? Ah si, quando abbiamo deciso di aiutare le donne.
Qualche giorno dopo io e le mie amiche ci eravamo trovate a pomeriggio inoltrato,dopo il lavoro,per fare il punto della situazione: stavamo camminando nei pressi di Notre Dame, in una stradina secondaria per dire la verità, quando avevamo scorto una porta di legno marcio che dava accesso ad una stanza buia.
Controllammo che non ci fosse nessuno nei paraggi ed entrammo: andai per prima, camminando con cautela e agitando il coltello di Marion per qualsiasi evenienza, le mie amiche mi seguivano, silenziose.
Ci trovammo al centro di una grande stanza, quasi completamente buia, se si eccettuava una finestrella che si apriva su un cortile sul retro, abbandonato.
Amèlie scostò la persiana e aprì la finestra coperta di polvere: un debole raggio di sole, che stava tramontando,illuminò la stanza e noi potemmo osservare meglio l’ambiente che ci circondava.
Al centro della stanza si trovava un malandato tavolo di legno, graffiato e un po’ mangiato dai tarli, attorniato da quattro sedie.
Una credenza con all’interno qualche piatto rotto si trovava accanto al tavolo mentre un divanetto sfondato era posizionato all’angolo della stanza, il cui muro era imbiancato di semplice calce.
Stupite, proseguimmo la visita: entrammo in un’altra stanzetta, più piccola della precedente, dove trovammo un letto ancora in buone condizioni e una cassapanca: ci trovavamo in una casa abbandonata da molto tempo, sicuramente.
Come avevano fatto  a lasciarla così?
Probabilmente i proprietari se ne erano andati all’improvviso oppure erano morti.
Oggi non sognerei nemmeno di fare quello che ho fatto e anche se lo facessi verrei arrestata, ma all’epoca la situazione era così drammatica, la popolazione così disperata, che a nessuno sarebbe venuto in mente di venire a ricercarmi per aver occupato quell’abitazione.
Guardai le mie amiche: avevano capito che cosa avevo in mente.
“Questo tavolo è ancora riutilizzabile? Una spolverata, un po’ di vernice…. Sarebbe perfetto per te! Se devi compilare dei registri con le ragazze che aiuteremo,puoi scrivere su questo tavolo.
Oppure noi potremmo esercitarci a imparare!”-disse Edith, sempre positiva.
Thèrese e Marion confabulvano, dicendo che avrebbero ridipinto i muri utilizzando i materiali di scarto che potevano trovare in casa oppure avrebbero chiesto ai loro mariti di darci una mano.
Avremmo stabilito lì il nostro quariter generale.
Sai Cittadino, mi viene da ridere a ripensarci.
Il risultato finale…. Ahah sembrava di entrare al Comitato di Salute Pubblica.
Quelle due stanze diventarono un rifugio di patriote e disperate.
Ma andiamo con ordine.
Uscimmo dalla casa, sempre prudentemente.
Mentre stavamo tornando indietro decidemmo di passare dal negozio dove lavorava Thérèse, che doveva incassare il magro stipendio della giornata.
Stavamo per salutarci quando ci parve di sentire qualcuno che si lamentava, un lamento che proveniva dall’atrio di un palazzo semi in rovina.
Incuriosite, ci avvicinammo.
Una giovane ragazza stava seduta su un mucchio di stracci e vecchie coperte, cercando di calmare una bimba.
“Sophie, stai tranquilla.
Vedrai che tutto si sistemerà.
Su su, gioca con la tua bambola.
Dov’è andato tuo fratello?”-domandò la giovane, guardandosi intorno:”Gérard, vieni qui, non andare in giro da solo! Non farmi gridare che non ci riesco!”-tossì premendosi il petto.
Osservammo un attimo la scena,impietrite.
Ad un tratto la bambina parlò, nascondendosi sospettosa tra le braccia della ragazza più grande:”Mammina, chi sono quelle?”-domandò, indicandoci.
Lei alzò lo sguardo e indietreggiò intimorita, stringendo la piccola a sé.
“Cosa volete?”-domandò con una voce aggressiva.
Cercai di essere il più calma e diplomatica possibile.
“Vogliamo aiutarti.
Calma, stai calma-aggiunsi, sedendomi accanto a lei, circondata dalle altre.
La guardai meglio: lunghi capelli che una volta dovevano essere stati biondi ma ormai erano sporchi e annodati le incorniciavano il viso pallido, gli occhi azzurri erano arrossati per le lacrime che aveva versato, era molto magra, chissà da quanti giorni non mangiava.
“Come ti chiami? Chi è questa bambina? Cosa ci fai qui?”-domandai gentilmente.
La ragazza mi osservò con diffidenza:”Non mi fido di voi”-sibilò”andatevene!”.
“Perfavore, credici.
Vogliamo aiutare le donne in difficoltà e aiuteremo te”-aggiunse Amèlie,persuasiva.
La ragazza sospirò.
“Sophie, vai a chiamare tuo fratello, non voglio che giochi più con quei bambini.
Tornate qui poi”-disse alla bimba, dopo averle dato un bacio sui capelli.
“Posso fidarmi?”
Al nostro cenno di assenso iniziò a raccontare:”Mi chiamo Véronique, ho diciotto anni.
La bambina… possiamo dire che è mia figlia.
Noi… ci stiamo nascondendo dal mio fidanzato.
Fino all’anno scorso era un ragazzo normale… poi ha perso il lavoro e abbiamo dovuto trasferirci qui, in cerca di un futuro migliore.
Veniamo dalla Normandia, abbiamo sofferto tanto!
Non avevamo soldi e eravamo quattro bocche da sfamare…pensavamo che qui saremmo stati meglio.
I bambini sono figli della mia vicina di casa.
E’ morta quando Sophie aveva pochi mesi e Gérard tre anni,adesso hanno cinque e otto anni.
Prima di morire mi ha implorata di allevare i suoi bambini come se fossero miei, me lo ha fatto promettere.
Io stessa ero ancora una bambina, avevo appena tredici anni ma già lavoravo come un adulto perché i miei genitori erano morti e non avevo nessuno che si occupasse di me: ero una ragazzina sveglia e forse un po’ incosciente per cui accettai questa responsabilità e mi presi cura di loro, inizialmente come se fossero stati due fratellini minori.
Non saprei dirvi come ho fatto.
Alcune conoscenti venivano a darmi una mano per Sophie ma dopo qualche anni mi ritrovai da sola, finchè non conobbi il mio fidanzato e non mettemmo su una vera famiglia.
Non c’è molto altro da dire, ho mantenuto la mia promessa e li ho cresciuti come se fossero i miei figli, insieme al mio fidanzato.
Abbiamo vissuto felici fino appunto a quando abbiamo perso il lavoro, prima io poi lui, a poche settimane di distanza.
Ci siamo trovati a chiedere le elemosina, su una strada.
Lui è diventato violento, mi picchia e mi insulta, beve.
Due sere fa ha raggiunto il limite, ha tentato di aggredire Gérard: a quel punto ho preso i miei figli, perché è questo che li considero, e siamo scappati, vagando senza meta per Parigi.
Ho paura che lui possa ritrovarmi e fare del male a tutti noi.
Non ho un soldo e non ho un lavoro… aiutatemi…”-scoppiò a piangere e singhiozzare forte, stringendo la mia mano.
Eravamo ammutolite dall'orrore della sua narrazione.
Thérèse le si avvicinò e la aiutò ad alzarsi:”Vieni con noi, non dovrai più avere paura.
Fidati”.
In quel momento i due bambini ci raggiunsero.
“Mamma, chi sono queste? Mica spie di papà?
hanno un’aria molto sospetta”-sussurrò Gérard puntandoci contro un bastone di legno a mo di fucile”quando diventerò grande lavorerò nelle prigioni e arresterò le persone come voi!”-gridò.
Véronique scosse la testa:”Gèrard! Smettila! Comportati educatamente! Scusatelo…”-spiegò ai bambini chi eravamo e aggiunse che sarebbero venuti con noi.
 *******
Mi fermai un attimo a bere un sorso di the e a rispondere ad eventuali domande del mio collega.
“Cittadina, hai compiuto davvero un bel gesto.
Cosa ne è stato di lei e dei bambini?
Come ha reagito Jean quando si è visto arrivare a casa tutta questa gente? Perché immagino che siate andate a casa tua… vero?”-domandò.
“Jean… certo, siamo andati a casa mia.
Dovresti chiederglielo adesso cosa ha pensato in quel momento… sono sicura che ti risponderà che ha avuto la conferma della mia pazzia”-risi.
“Come ti dicevo,ci avviammo verso Montmartre.
Per la strada preparai psicologicamente Véronique all’idea che probabilmente avrebbe dovuto avere a che fare con degli uomini, i nostri mariti e fidanzati: lei era terrorizzata, dopo quello che era successo era sotto choc.
Al nostro arrivo Jean se ne stava seduto per terra, a fumare, e giocava con nostro figlio mentre discorreva con Etienne, come ti ho già detto, il marito di Marion nonché migliore amico di Jean da quando erano bambini.
Siamo tutti molto legati, siamo davvero una famiglia, come fratelli.
Ci siamo sempre aiutati.
“Oh ma guarda guarda cosa ha portato il gatto… tu sei?”-domandò Jean alla nuova arrivata”oddio, questa ha pure dei figli, non ci posso credere.
Irène, loro devono andarsene entro qualche giorno.
Non abbiamo spazio e soprattutto, non abbiamo soldi”-mi anticipò.
“Ormai mi leggi nella mente.
Véronique, lui è il mio compagno, Jean.
Non ti preoccupare, abbaia ma non morde.
Starai qui con noi qualche giorno poi vedremo il da farsi”-aggiusi, battendo una pacca su una spalla al mio fidanzato.
La ragazza strinse la mano di Jean e lo ringraziò calorosamente, scusandosi per il disturbo che stava arrecando e promettendo che se ne sarebbe andata presto.
Il marito di Marion a quel punto parlò:”Beh… io sono Etienne,piacere.
Tu sei la prima delle ragazze che mia moglie e le sue amiche aiuteranno…vedrai che tutto andrà bene, stai tranquilla.
Di noi ti puoi fidare…che facciamo, Jean? Lo diciamo al militare mancato?”-domandò.
“Non ho ancora detto nullla ad Adrien.
Etienne, stasera gliene parlo e gli spiego il nostro progetto: lo convincerò a smetterla di bere e tornare l’uomo che conoscevo anni fa, vedrai.
So che può farcela.
Ci aiuterà”-proclamò Thérèse.
Contammo il denaro che avevamo raccolto fino a quel momento,arrangiandoci con vari mestieri: non era molto ma sarebbe bastato per aiutare Véronique.
Poi avremmo dovuto trovare un’altra soluzione.
I miei amici se ne andarono, tranne Thérèse che si offrì di prendersi cura dei nuovi arrivati: medicò la nostra nuova amica, le disinfettò i tagli che le ricoprivano le mani e le braccia, cercò di tranquillizzarla.
Io nel frattempo preparai la cena e misi davanti a lei e ai bambini tre piatti di zuppa con del pane e una fetta di lardo, mentre Jean le si sedette accanto, pronto a chiarire le condizioni di ospitalità in casa nostra.
“Ascolta Véronique…. Mi dispiace se sono stato un po’ brusco prima, ti chiedo scusa-iniziò.
Tanto per cominciare voglio che tu sappia che sei al sicuro qui d’accordo? Non ti toccherò nemmeno con un dito, non sono quel tipo di uomo, puoi stare tranquilla.
Forse ti chiederai perché ho accettato che tu stia qui con noi per qualche giorno.
Semplicemente perché amo Irène con tutto il cuore e ho deciso di sostenerla in questo suo progetto, nonostante sia rischioso e di questi tempi non sia certo l’idea migliore che potesse avere: io starò dalla vostra parte e anche Etienne, il ragazzo che hai visto prima.
Non abbiamo doppi fini, combatteremo per la libertà e per l’uguaglianza.
Devi fidarti di noi”-concluse.
Io spiegai che avevamo risparmiato del denaro e avevamo trovato un posto dove poter stabilire la nostra “sede” ma che quella casa andava aggiustata per renderla agibile.
Forse non te lo ho ancora detto Cittadino ma oltre a lavorare nella fonderia, insieme ad Etienne, il mio fidanzato arrotondava imbiancando muri, aggiustando mobili rotti, facendo piccoli lavori e riparazioni,per questo in casa avevamo molto del materiale utile ad aggiustarla: non avemmo dovuto spendere denaro per sistemarla e avremmo agito di notte, in modo da non essere scoperti.
I bambini si erano già ambientati: Gérard osservava attentamente gli attrezzi da lavoro di Jean, domandandogli a cosa servisse ognuno mentre Sophie aveva trovato una bambola vivente: mio figlio.
“Che carino! Come si chiama?
Posso toccarlo? E’ tuo figlio? Non avevo mai visto un bambino così piccolo!”-disse elettrizzata.
Io le sorrisi e la aiutai a prenderlo in braccio, controllando che non lo lasciasse cadere.
Bussò alla porta la mia vicina di casa, porgendomi una lettera che si era dimenticata di consegnarmi quel pomeriggio: ringraziai e infilai lo scritto in un cassetto, senza badarci molto.
Al momento ero più concentrata sul fatto che avevo compiuto un bel gesto e il mio progetto aveva iniziato a prendere forma, presto si sarebbero aggiunte altre donne e chissà, forse saremmo anche riuscite a far sentire la nostra voce.
Stavo sottovalutando la lettera.
Mi sbagliavo.

ANGOLO AUTRICE: Ciao a tutti.
Che dire… non ci sono parole.
Scusatemi se ho interrotto la storia ma davvero non me la sentivo di continuarla con quello che è successo a Parigi.
La Francia ha un significato particolare per me, sono sempre stata legata fin da piccola a questo Paese meraviglioso che ho imparato ad amare.
Detto questo, ho preferito lasciare trascorrere questi giorni senza scrivere nulla perché proprio non avevo testa e anche perché mi sembrava irrispettoso dato che la storia si svolge proprio a Parigi ma adesso ho deciso di continuarla: si cade, si raccolgono le idee ma poi ci si rialza.
In questo capitolo abbiamo incontrato un nuovo personaggio, Véronique, con i suoi bambini.
Vi è piaciuto?
Per quanto riguarda gli uomini, Jean e Etienne: questo racconto,come tutte le mie originali, ha per protagoniste le donne e quindi sarà molto dal punto di vista femminile però non preoccupatevi perché ci sarà spazio anche per mariti e fidanzati nel corso della storia, prenderanno piede soprattutto in alcuni momenti e i fatti in cui saranno coinvolti potrebbero influenzare non poco l’andamento della vicenda e il destino di Irène e co.
Deve ancora arrivare anche Adrien, siete pronti a conoscerlo?
Le nostre rivoluzionarie hanno ufficialmente dato il via la loro progetto: chissà dove le porterà?.
Per finire, Irène avrà fatto la scelta giusta a sottovalutare la lettera? Chi la starà cercando?
Che ci nasconda qualcosa?
Il 14 luglio si avvicina inesorabile, ci saranno delle sorprese forse.
IMPORTANTE:
Sto pensando di cambiare il rating della storia da arancione a rosso perché ho pensato di inserire scene un po’ forti proseguendo il racconto quindi sappiate che è per questo motivo, se un giorno doveste trovarla rossa.
Comunque non è ancora deciso e non è detto al 100% che lo farò, è solo un’eventualità.
Grazie e alla prossima! :)
Vive la République & Vive la France!
Jenny

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Capitolo 4
*** Aux armes Citoyens! ***


“Buonasera Cittadina Irène.
Eh eh…oggi è arrivato il grande momento vero? Il 14 luglio, la Rivoluzione inizia!
Non vedevo l’ora di sentire raccontare la vostra azione sul campo, Cittadina”,
Sbuffai, infastidita.
“E va bene, sei contento? Cittadino… come ti chiami che non me lo hai mai detto?”-chiesi, incuriosita.
“William”.
“Cittadino William.
Devo partire da quella mattina.
Anzi  no, dai giorni precedenti.
Prima di iniziare però vorrei chiederti un favore…ci sono delle cose… tra quelle che ti sto per raccontare… che sono strettamente personali.
Io…io se vuoi te le racconto… però ti chiedo perfavore di non inserirle nella storia, te ne prego.
Almeno non nella loro interezza.
Farebbero soffrire troppe persone e soprattutto… farebbero soffrire la persona che amo di più al mondo e credimi, ha già sofferto abbastanza durante quegli anni.
Non se lo merita”.
Il giornalista mi guardò.
“Jean? A proposito, mi stavo chiedendo se  avresti qualcosa in contrario se venisse lui stesso a raccontare parte della storia?
Mi piacerebbe conoscerlo.
Però va bene Cittadina.
Raccontami quello che ti senti, per cominciare”.
Si, Jean… lui… accetterebbe sicuramente.
Però non so se è una buona idea.
Vedi lui… non è più quello di una volta purtroppo.
Non è più com’era durante questi eventi.
Se vorrai parlargli dovrò farti alcune raccomandazioni prima di iniziare, se non sai come prenderlo potrebbe reagire male.
Ti parlerò anche di quello che gli è accaduto ma in seguito.

Adesso arriviamo alla Presa della Bastiglia: come ultima cosa, ti chiedo di non mostrarti così esaltato per questo evento, noi abbiamo solo fatto il nostro dovere e non è stata una passeggiata,ti chiedo solo un po’ di rispetto.
William annuì e a quel punto iniziai a raccontare:” Fino al 20 giugno 1789 la nostra vita era andata avanti senza grandi stravolgimenti.
Il nostro progetto per aiutare le donne stava funzionando alla perfezione: avevamo aggiustato la casa abbandonata e la voce di quello che facevamo si era sparsa per la città, tra le donne del popolo.
Per ricevere il nostro aiuto avevamo posto una sola condizione: nessuno al di fuori delle donne che aiutavamo doveva venire a conoscenza della nostra attività, che doveva assolutamente rimanere segreta altrimenti avremmo rischiato grosso.
Scusami Cittadino ti vedo confuso, mi sono espressa male.
La voce si era diffusa tra gli strati più bassi della popolazione ma potremmo dire che tutte le donne sapevano e nessuna ne parlava se non con una sua pari.
Lo so cosa stai pensando, che ci hanno tradite.
Mi dispiace deluderti ma nessuna di loro ci ha mai tradito o ha mai spifferato della nostra esistenza.
Oddio scusami, ti sto mandando in confusione?
Le mie amiche mi hanno sempre detto che ero una versione femminile di Marat, una arringatrice di folla che una volta che inizia a parlare comincia un’orazione infinta.
Ti prometto che adesso cercherò di non farlo più.
Il 20 giugno come ti dicevo ci era giunta una notizia molto importante: il Re aveva fatto chiudere la sala dove si riuniva l’Assemblea Nazionale ma il Terzo Stato non si era arreso.
Si erano riuniti in una sala dove si giocava alla pallacorda e avevano giurato che l’Assemblea non si sarebbe sciolta prima di aver dato una costituzione alla Francia.
Quando Amèlie corse alla nostra sede a darmi questa notizia, non ci potevo credere.
Una costituzione!
Corsi da Edith, che si trovava nell’altra stanza ad ascoltare il racconto di una delle nostre protette e a fornirle del denaro, la abbracciai e le dissi:”Oh Edith, avevi ragione, l’Assemblea Nazionale darà una Costituzione alla Francia e presto le nostre vita miglioreranno! Ancora non posso crederci!”-gridai mentre lei mi guardava stupita e annuiva:”Irène, io ho sempre ragione.
Siete voi che non vi fidate!”-mi disse.
Non vi furono altri avvenimenti degni di nota fino al 12 luglio, quando Camille Desmoulins, un giornalista rivoluzionario che stavo cominciando ad ammirare moltissimo, proclamò un discorso di fronte alla folla nei giardini del Palays-Royal.
In quel momento tra il pubblico si trovava Thérèse, che stava vendendo dei fiori come sempre.
Incuriosita, si era avvicinata e aveva udito Desmoulins dire che Necker era stato licenziato, mentre la folla emetteva un moto di rabbia.
Camille aveva continuato dicendo che le truppe dei tedeschi e degli svizzeri sarebbero scese nella notte da Campo di Marte per venire e a tagliare la gola ai Cittadini:non rimaneva che una possibilità per salvare la Francia:correre alle armi!
Questo in sintesi fu quello che ci riferì Thérèse quando ci raggiunse quella sera a casa di Marion: Thérèse come avrai già capito era la più riflessiva di noi,era paziente, tranquilla e sempre disponibile per qualunque cosa avessimo bisogno, si prendeva cura di noi e ci dava consigli se necessario, forse questo comportamento era dovuto anche al fatto di essere la più grande, aveva venticinque anni.
Se io ero quella che guidava il gruppo, la leader che tutti temevano e quella più agguerrita, Edith era solitamente quella più timida e moderata però sarebbe stata capace di cattiveria e perfidia se necessario, poi ti racconterò la sua storia più in dettaglio.
Marion era la mia migliore amica, vivace,orgogliosa,aveva un grande coraggio e una gran voglia di cambiare vita, per sé e per le persone che amava avrebbe combattuto ad ogni costo mentre Amèlie era un po’ più simile a Edith, non prendeva mai decisioni che la esponessero troppo però al contempo era meno timorosa rispetto a Edith, era pettegola, lunatica e sempre pronta a insultare chi non la pensava come lei, per questo sarebbe diventata una feroce guerriera durante gli scontri con i monarchici.
Non mi fraintendere Cittadino.
Volevo un bene dell’anima alle mie amiche, tutte quante.
Sto solo dicendo che Amélie era quella più diversa da me ma nonostante a volte risultasse difficile sopportarla e l’istinto dicesse di strozzarla con le mie mani, le volevo bene come alle altre.
Il 13 luglio la popolazione diede fuoco a quaranta degli ingressi di Parigi e iniziò a protestare per l’aumento del prezzo del pane: la battaglia si stava preparando.
Stando a ciò che mi riferirono le mie amiche, le notizie si susseguivano a grande ritmo nel nostro “rifugio” quella sera: Marion si dava da fare senza sosta a coordinare tutte mentre io ero al Cafè Procope: una ventina di donne avevano già partecipato alle proteste per il grano e erano venute a riferirmi le ultime novità ma, non avendomi trovata, si erano fermate a parlare con lei e con Edith.
“Cittadina Marion, qui le cose si mettono male! Siamo convinte, vogliamo andare alla Bastiglia! Domani mattina tireremo giù quell’odioso simbolo di oppressione, quel simbolo dell’Ancien Regime!”-si erano lamentate.
A quel punto una vecchia aveva rincarato la dose:”Si sono presi il mio unico figlio! Io sono vecchia, Cittadina Edith, però prima di morire vorrei vedere la Francia cambiare, vorrei vedere che voi giovani possiate vivere in pace, senza essere schiacciati dal peso della servitù monarchica, in questo modo potrei morire pensando che mio figlio ha dato la vita perché altri giovani come lui potessero finalmente vivere in un Paese giusto”.
La decisione era presa, ormai era praticamente ufficiale:il popolo sarebbe insorto e avremmo distrutto la Bastiglia.
Come ti dicevo, avevo ottenuto un posto da cameriera al Cafè Procope, il più antico di Parigi.
Vi si riunivano Marat, Danton, Robespierre… era solito frequentarlo perfino Voltaire tempo prima.
Io ero solo una cameriera ma approfittavo di ogni parola che sentivo pronunciare nei discorsi dei rivoluzionari per farne tesoro, a loro insaputa, e preparare la mia personale rivoluzione.
La sera del 13 luglio stavo finendo di pulire il locale e stavo per chiudere quando avevo sentito qualcuno bussare violentemente contro il vetro dell’ingresso.
Spaventata, ero andata a controllare: era Etienne.
“Irène, ci sono grandi notizie! Venite, adesso ci siamo tutti!”-urlò, facendo segno alle mie amiche e a Jean di seguirlo.
Gli feci segno di abbassare la voce, mi guardai intorno e li feci entrare poi andammo a sistemarci sul retro in modo che nessuno potesse sospettare ciò che si stava preparando nel Cafè.
“Lo sai che vogliono tirare giù la Bastiglia? Abbiamo pensato che ti potesse interessare questo fatto.
Noi siamo pronti, siamo ai tuoi ordini Irène.
Qual è il piano?”-domandò Etienne, tutto contento.
“Questa volta siamo andati troppo oltre, dobbiamo ribellarci, ha ragione Etienne.
Dobbiamo andare tutti insieme alla Bastiglia, ci servono delle armi!”-aggiunse Jean, trionfante,battendo un pugno sul tavolo.
Presi un foglio di carta che era stato lasciato da qualche distratto avventore, afferrai l’inchiostro e mi stavo per mettere a scrivere un piano di battaglia quando la porta si spalancò.
Nella penombra distinsi una figura con indosso abiti che ricordavano quelli di un militare: iniziai a tremare e in un attimo afferrai la pistola di Jean.
“Chi va là?”-domandai.
L’uomo alzò le mani e si mise a ridere istericamente.
“Ehi… Irène, non ti fa bene agitarti così! Sono io, abbassa la pistola!”.
Adrien?
Thérèse si precipitò contro di lui:”Adrien, ci hai fatto spaventare! Adesso stai zitto, vieni, entra.
Che è successo? Perché sei vestito così?!”.
Adrien non sembrava nemmeno lui, pareva che fosse cambiato da un momento all’altro.
Afferrò Thérèse e le fece fare una giravolta.”Hanno formato una milizia cittadina che hanno chiamato “Guardia Nazionale” e…. mi hanno preso!”-annunciò, saltando sul tavolo.
Non avevamo ancora capito se questa “Guardia Nazionale” stesse dalla nostra parte o fosse solo un’altra denominazione di potenziali guardie del re per cui gli chiedemmo chiarimenti.
“Staremo dalla vostra parte,almeno credo…non importa, io sto dalla parte della ribellioni, anche a costo di tradire la Guardia Nazionale.
Ecco, tenete, questi sono un paio di fucili che ho portato per esercitarvi ad usarli ma poi li devo riprendere, mi sa che se domani vorrete armarvi dovrete andare fino a Les Invalides!”-scherzò.
Io e le mie amiche ci mettemmo a discutere su come avremmo condotto la giornata seguente, se fossero state vere le voci che giravano.
“Avete presente Place de la Bastille ragazze? Ecco, questa è la fortezza-disegnai sul foglio.
Ora, mettiamo caso che ci sia tanta gente… dobbiamo stare unite.
Marion, tu ti metterai esattamente qui, alla mia destra, Thèrese alla mia sinistra.
Amèlie e Edith, voi starete dietro perché siete quelle meno esperte di scontri.
Se Véronique vorrà raggiungerci, si posizionerà tra voi perché altrimenti al primo proiettile va al Creatore.
Infine Jean e Etienne si metteranno davanti a noi, ad aprirci la strada se necessario.
Calma, niente scenate, vero Amèlie?
Sangue freddo e coraggio.
Siete pronte alla battaglia?”-domandai, entusiasta.
“Si!”-risposero in coro tutte insieme.
“E se rischieremo di morire? Cosa ne sarà di noi?”-domandò Edith.
“Metti che ci sparano addosso? Dobbiamo rispondere al fuoco? Io non so sparare, non ho mai provato! Però l’idea mi piace non poco, andiamo Adrien, portaci in un posto dove ci puoi insegnare, tra poche ore sarà l’alba e inizieranno i combattimenti!”-aggiunse Amèlie, che al massimo sarebbe stata in grado di spaccare un padella in testa a qualcuno.
“Aux armes Citoyens!”-conclusi io.
Chiusi il Cafè e uscimmo in strada, dirigendoci prima verso Montmartre per salutare mio figlio e passare a raccontare ciò che stava accadendo a Julie, la sorella di Edith.
Quella avrebbe potuto essere la nostra ultima notte e dovevamo poter dire addio ai nostri affetti.
Jean mi prese per  mano e mi baciò appassionatamente:” Se domani moriremo,sappi che ti amo più della mia stessa vita e che staremo di nuovo insieme, per sempre, dovunque finiremo.
Non ti lascerò mai, anche a costo di finire all’Inferno”-mi sussurrò nell’orecchio.
La battaglia stava per avere inizio.

ANGOLO AUTRICE: Bonjour!
Lo so che questo capitolo è lunghissimo e che mi sono soffermata molto suoi dettagli storici ma era necessario per il racconto.
Aspettate trepidanti la Presa della Bastiglia, so anche questo però già il capitolo è lungo, l’ho dovuto dividere in due.
Le nostre rivoluzionarie si stanno preparando alla battaglia e anche Adrien sembra che abbia trovato il modo di realizzare il suo sogno di militare: aiuterà molto le nostre protagoniste, non lasciatevi ingannare da questa sua apparizione un po’ frettolosa.
Giuro che al prossimo capitolo ci sarà davvero la Presa della Bastiglia, prendete questa parte come un intermezzo.
Uff, ho troppe idee ma non ho tempo per scrivere quindi non so quanto sarò puntuale negli aggiornamenti ma continuate a seguirmi eh? Ahah.
Presto faremo pian piano più luce nella vita di Irène scopriremo cosa è accaduto a Jean e il contenuto della lettera, tutto per gradi.
Ora devo scappare, grazie e alla prossima! :)
Jenny

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Capitolo 5
*** La Prise de la Bastille ***


“E’ una rivolta?”
“Non, Sire, è una Rivoluzione


Dialogo tra Louis XVI e il duca di Liancourt alla notizia della Presa della Bastiglia.

“Stavo fumando la pipa fuori dal portone della sede del giornale.
Faceva un freddo pungente, quando si sarebbe deciso ad arrivare quel ragazzo?
Ero nervosa, molto nervosa.
Quella sera avrei dovuto raccontargli della Presa della Bastiglia e non mi sentivo pronta a rivangare quei ricordi, la pipa mi tremava tra le mani, la mia presenza nel buio era segnalata solo dal leggero fumo che aspiravo.
Aspettai.
Mezz’ora.
Un’ora.
Finalmente vidi una sagoma all’orizzonte.
“Sei in ritardo!”-sussurrai, visibilmente alterata afferrando un braccio a William, che, per lo spavento fece cadere i fogli che aveva in mano.
“Sei tu, Irène?
Mi sono spaventato, non farlo mai più!”.
Ignorai le sue parole, avevo fretta e non avevo voglia di litigare:
”Stavo per congelare!
Allora, andiamo?
Vuoi del tabacco ?”-domandai.
“Uhm…si grazie.
Non pensavo che fumassi…”.
“Davvero? Beh, scusa se a quest’ora sfodero le mie pessime abitudini da ragazza di strada ma sono stanca e non trovo altro modo per rilassarmi e meditare sulla mia vita”-scherzai.
Salimmo nello studio di William e ripresi a parlare da dove avevo interrotto l’ultima volta.
 “Eccoti finalmente accontentato, collega.
Quella notte come ti ho detto ci avviammo verso Montmartre mentre Marion e Etienne si avviavano a Belleville per prendere i bambini e portarli a casa di Edith.
Io e Jean passammo a casa nostra, prendemmo Renè, avvisammo Véronique, che ci seguì subito, con Sophie e Gérard, decisa a collaborare.
 Ringraziammo la nostra vicina, per tutto: era molto preoccupata ma cercava di non lasciarlo intendere.
Nonostante dovesse essere l’alba di un giorno glorioso, c’era qualcosa di disturbante e preoccupante nell’aria.
Quando raggiungemmo la casa della mia amica, ci venne ad aprire Julie, sua sorella.
Era una ragazza pallida e fragile, già vedova,suo marito era morto in un incidente mentre lavorava e lei era ammalata di tisi per cui non poteva lavorare a parte qualche rara volta in cui si metteva a cucire se stava meglio del solito;non avrebbe voluto però era costretta a dipendere dalla sorella minore dato che tutti gli uomini della famiglia erano morti: Edith e Julie avevano anche un fratello, Pierre, che però era stato fatto prigioniero in battaglia anni prima e non se ne era saputo più niente mentre Antoine, il grande amore di Edith, in guerra ci era morto proprio come il ragazzo di cui aveva parlato la vecchia signora di cui ti raccontavo l’altra volta, ricordi?
Un motivo in più per odiare la monarchia: la vendetta.
Julie fu felice di vederci.
“Irène, cara! Come stai? Ma ci siete tutti e anche i bambini! A cosa devo questa visita?”.
Le raccontammo cosa si diceva in giro per Parigi.
“Volete buttare giù la Bastiglia? Sarà pericoloso, non andate, vi prego!
Edith, anche tu, non cercare di fare l’eroina!
Se ti dovesse succedere qualcosa, io cosa farei, sola al mondo?
Non mi perdonerei mai di averti lasciata rischiare la vita!”.
Edith stessa la tranquillizzò.
“Julie stai calma.
Starò attenta, te lo prometto.
Però devo andare, capisci? La situazione in Francia deve cambiare e noi dobbiamo partecipare al cambiamento”.
Intervenni:”Non ti preoccupare Julie, controllerò io tua sorella,non correrà pericoli, non temere”.
La ragazza mi guardò e sospirò, rassegnata:” Va bene ma a questo punto vorrei poter partecipare anche io”.
“Parteciperai.
La Rivoluzione ha bisogno anche di aiuto nelle retrovie, potresti ricamare immagini della Bastiglia oppure coccarde con il rosso e il blu, i colori di Parigi: Adrien dice che sono d’obbligo in questo periodo e sicuramente da domani troverai molti acquirenti se le metti in vendita a basso prezzo”.
Adrien affermò, convinto.
In quel momento entrarono Etienne e Marion : Etienne teneva in braccio il più piccolo dei bimbi,Philippe, ancora mezzo addormentato mentre la mia amica portava per mano Jacques,che si sfregava gli occhi incredulo, stringendo tra le manine il suo soldatino di piombo.
“Noi siamo pronti.
Cosa stiamo aspettando? Andiamo prima che la folla sia così numerosa da impedirci il passaggio!
Oggi combatteremo per il popolo, non c’è niente di più sacro del popolo e della Francia e se devo morire, sono contento di morire per loro!”-proclamò Etienne, tra l’acclamazione generale.
La sua dichiarazione fu seguita da un momento molto drammatico...
Etienne e Marion salutarono i loro figli.
Il ragazzo guardò i bambini, commosso:”Io e la mamma andiamo a combattere gli uomini cattivi ma torneremo presto, vedrete.
Però…qualunque cosa succeda…Jacques, prenditi cura di tuo fratello, promettetemi che vi vorrete bene e resterete uniti”-concluse, mentre il piccolo annuiva.
“Vinceremo e festeggeremo, ve lo prometto.
Voi però dovete stare qui con Julie, non fatela disperare.
Giocate con Sophie e Gérard.
Bambini?
Ricordatevi sempre una cosa: voi siete figli di due patrioti, dovete esserne orgogliosi.
Vi voglio bene”-aggiunse Marion,baciandoli entrambi.
Nel frattempo Gérard assillava Adrien: “Cittadino Adrien, io voglio venire con voi! Sono coraggioso sai? Da grande voglio essere un soldato come te oppure lavorare nelle prigioni, come la Bastiglia!”.
Adrien lo guardò, divertito:”Lo so, soldato.
Però devi stare qui, a sorvegliare che non arrivino pericolosi monarchici.
Anche così puoi aiutarci”.
Véronique annuì con un cenno del capo:”Ha ragione.
Se arrivano i monarchici tu li prendi prigionieri”.
Devi proteggere tua sorella.
Tu piccola Sophie, stai con Julie che ti insegna a cucire le coccarde”.
Sophie saltellò, esultante:”Si! Maman, stai attenta, aspetto il tuo ritorno!
Devi finire di raccontarmi la storia dell’altra sera!”.
Véronique sorrise debolmente e mandò dei baci ai bambini, mentre usciva insieme a noi.
 ******
“Cittadina, io non so cosa dire… mi sembra un’atmosfera così triste… insomma, dire addio ai vostri figli, pensare che non li avreste rivisti.
La tua vicenda è molto interessante però così tragica… mi dispiace che tu abbia dovuto passare tutto questo”.
Osservai Willian con uno sguardo indulgente:” Non ho nemmeno iniziato a raccontare i momenti davvero terribili William, credimi.
Se sei turbato già adesso, tra un po’, con quello che ti devo ancora narrare, non so come farai…ti conviene fermarmi perché dopo sarà davvero dura se sei particolarmente sensibile o ti impressioni facilmente”.
Il giornalista fece segno di "no" con la testa, mi sistemai i capelli che mi ingombravano gli occhi e continuai:” Ci avviammo alla Bastiglia ma per strada ci unimmo alla maggior parte della folla e ci fermammo a portare via molti fucili a “Les Invalides” ”.
Mentre camminavamo a passo deciso, un canto si diffuse tra la folla e iniziammo tutti ad intonarlo a gran voce:

"D'un pas ferme et triomphant
R'li r'lan r'lan tan plan !
Tire lire en plan
Le Bourgeois tambour battant,
Marche à la Bastille
Et partout l'ardeur brille...
 
(Le Bourgeois et le marchand
Marchent à la Bastille)"


Arrivati tutti insieme davanti alla prigione, venimmo bloccati da un’altra grande parte del popolo parigino, tra cui riconoscemmo molte delle donne che avevamo aiutato, pronte a unirsi a noi.
Noi popolani cantavamo, urlavamo e chiedevamo strepitanti le chiavi della fortezza ma Launay, il governatore della Bastiglia,non voleva sentire ragioni per cui cercammo di negoziare pacificamente: niente da fare, tentò di corrompere i rappresentanti del popolo invitandoli a pranzo per proporre loro un accordo e evitare l’assalto alla prigione mentre fuori ci stavamo spazientendo, quell'estate faceva un caldo intenso che contribuiva a sfiancarci e, tra l’afa opprimente e la terribile puzza di sudore e corpi non lavati che emanava una folla così numerosa, l’aria era diventata più insopportabile del lezzo che emanavano normalmente le strade Parigi per cui sembrava di soffocare.
 Eravamo stanchi di attendere e, in tarda mattinata, alcuni insorti tagliarono le catene del ponte levatoio per cui riuscimmo ad entrare nel cortile della Bastiglia.

"Les citoyens de tous rangs,
R'li r'lan r'lan tan plan !
Tire lire en plan
Suivant les drapeaux flottants
Vont d'un air intrépide
Rien ne les intimide..."

Schierai i miei compagni secondo lo schema che avevamo deciso.
Baciai Jean e mi rivolsi verso il resto del gruppo:” Buona fortuna!”-augurai loro.

"De tous côtés on entend
R'li r'lan r'lan tan plan !
Tire lire en plan
Le bruit de l'airain tonnant
Contre la capitale
O Bastille fatale !
 (Le bruit de l'airain sonnant)
Tu vas dans quelques instant
R'li r'lan r'lan tan plan !
Tire lire en plan
Tu vas dans quelques instants
Céder aux bras triomphant
De nos braves assiégeants
"

Un attimo dopo scoppiò il caos più totale: i soldati avevano iniziato a sparare.
Persi quasi subito di vista i miei amici,nella confusione e la polvere.
Fu mentre ricaricavo il fucile che lo notai.
Se avessi visto il diavolo in persona mi sarei spaventata di meno, credimi.
Mi ricorderò sempre quel momento.
In un lampo, come in un sogno o, per meglio dire, in un incubo, vidi un uomo.
Aspetto ben tenuto,lunghi capelli biondi e lisci, pettinati con cura e legati, occhi azzurro ghiaccio capaci di investigare un’anima, di rimanere impressi nella mente anche a vederli una sola volta: un brivido mi percorse la schiena.
L’uomo mi fissò per un istante e ne ebbi la certezza: Armand.
Armand Delacroix era stato il mio primo amore, quando avevo quindici anni.
Ero stata ospitata per un periodo nella villa dei Delacroix, una famiglia appartenente all'alta borghesia, fra le più ricche e in vista della Provenza: il capo famiglia, Monsieur Delacroix, era un importante proprietario terriero e uomo d'affari e viveva nel lusso, dividendo la propria attività tra terre in Francia e piantagioni di cotone nelle Americhe. A prima vista poteva sembrare una persona raffinata e galante ma in realtà era un uomo insensibile, rozzo, viscido, solo interessato a trarre il maggior guadagno possibile dalle proprie attività e profondamente ignorante. Mio padre lavorava per la famiglia da molti anni e si erano accordati perché andassi a vivere con loro il tempo necessario a ricevere un’istruzione e imparare le buone maniere.
Mi ci vedi a imparare le buone maniere, Cittadino?
Iniziai fin da subito ad avere comportamenti considerati sconvenienti per una famiglia bigotta e ben vista come quella.
Per ora te la faccio breve: mi innamorai di Armand, il figlio minore.
Per me fu una cotta passeggera, da ragazzini ma per lui evidentemente non avvenne lo stesso…
La nostra relazione non era finita per niente bene ma te ne parlerò più diffusamente in seguito perché quest’uomo avrà un ruolo fondamentale.
Non mi sarei mai aspettata di vederlo tornare da me, a cercarmi fino a Parigi.
Infatti lì per lì pensai che si trattasse solamente di un’orribile visione dovuta alla stanchezza e alla paura del momento; continuai a combattere e non ci diedi molto peso.
Qualche ora dopo, lo scontro si era concluso e i morti giacevano sul terreno.
Ormai ero convinta e rassegnata: le mie amiche e i nostri uomini erano morti.
Il senso di colpa mi stava invadendo mentre gran parte dei parigini festeggiava questa vittoria del popolo.
Avevano catturato il governatore della Bastiglia e lo avevano ucciso: dopo averlo decapitato, sfilavano con la sua testa infilzata su una picca.
Camminavo tra i cadaveri, totalmente annientata, nel tentativo di ritrovare quelli dei miei cari.
Ad un certo punto udii una voce lieve, lamentosa: “Irène…”.
Mi voltai in quella direzione e il mio cuore sobbalzò di gioia: era Edith.
Stava nascosta dietro ad un cannone.
“Ma chére! Stai bene? Sei ferita?-domandai, preoccupata.
“No no, solo qualche graffio superficiale.
Oh Irène,gliel’abbiamo fatta vedere noi!
Ho sparato, ne ho uccisi alcuni, sai?
Mi sono fatta valere.
Però ho anche avuto paura, ho temuto di non vederti più”-singhiozzò, afferrandomi la mano.
Anche io lo avevo temuto.
Ero felice che almeno una delle mie amiche si fosse salvata.
Ci dirigemmo verso casa di Edith, zoppicando.
Entrammo nella piccola stanza e rimanemmo sorprese: Etienne e Jean stavano seduti su un vecchio divano, stravolti, cercando di medicarsi qualche ferita, fortunatamente niente di molto grave mentre Véronique cercava di calmare i bambini: era riuscita a scappare appena dopo la fine dello scontro,aiutata dai due uomini.
Corsi dal mio compagno e da Renè:” Pensavo fossi morto!”.
Jean scosse la testa:” Non ti libererai così facilmente di me”.
“Come avete fatto a salvarvi?”-domandai mentre prendevo in braccio mio figlio, felice di poterlo rivedere.
Dissero che avevano sparato finchè avevano avuto colpi poi si erano rifugiati ai lati della strada, dove avevano recuperato Véronique: ci avevano cercate invano per cui erano tornati da Julie, pregando che noi li avessimo preceduti, sane e salve.
Mi rivolsi ad Etienne:”Marion?”-domandai preoccupata, quasi urlando.
Lui abbassò il capo:” Non ne ho idea… l’ho persa di vista.
Era accanto a me.
Se è morta io non posso continuare a vivere con il rimorso di non averla salvata!”-iniziò a singhiozzare come un bambino.
Dopo circa un’oretta qualcuno bussò alla porta con violenza, come per sfondarla:”Julie, apri questa maledetta porta prima che io mi dissangui!
Forza, animo!”.
Amélie ci squadrò.
“State bene? Io sono ferita.
La mia povera spalla…ahi che dolore!
Thérèse e Marion?”-domandò.
Volsi lo sguardo verso il vuoto:” Non lo sappiamo… mi dispiace Amèlie! Adesso vediamo la tua spalla:non sembra grave, Véronique, vieni a darmi una mano per medicarla!”.
“Sono contenta che tu ce l’abbia fatta e sono fiera di te”-sorrisi ad Amélie, ancora sofferente.
“Ti ringrazio Irène.
Ho fatto tutto quello che mi hai detto e non mi sono tirata indietro”-aggiunse, orgogliosa.
Rimanemmo ancora un  po’ a parlare di quello che era successo quel giorno mentre cercavamo di capacitarci del fatto che Adrien,Thérèse e Marion non erano con noi.
Udimmo un gran trambusto e recuperammo la fiducia: Adrien, con la divisa sporca di sangue e polvere,si presentò alla porta, accompagnato da  sua moglie, visibilemte preoccupata per il destino di tutte noi.
Il soldato si accertò che stessimo bene e disse che doveva tornare dai suoi compagni prima che si insospettissero mentre Thérèse cominciava a domandarci se avevamo bisogno di aiuto.
“Ho sparato appena siamo entrati nella fortezza, credo di aver colpito qualcuno ma poi devo essere svenuta.
Quando mi sono svegliata non c’eravate più.
Amélie è ferita? Fammi vedere cosa posso fare”.
Dopo che l’infermiera medicò Amélie, decidemmo che ormai era inutile aspettare un miracolo: Marion non sarebbe tornata.
Ci mettemmo per terra,cercando di dormire: io non riuscivo a chiudere occhio.
Piangevo in silenzio, non riuscivo ad accettare il fatto che non avrei più rivisto Marion.
Mi sentivo colpevole di aver coinvolto la mia migliore amica in quel progetto suicida.
Era ormai notte fonda quando, sfinita, mi addormentai.
Sognai campi di lavanda,ciacale che frinivano nel calore estivo, udii risa e parole d’amore sussurrate alle mie orecchie, vidi una chioma di capelli biondi che si confondeva con il violetto della lavanda e mi solleticava il viso mentre il suo possessore mi baciava.
Bussarono alla porta.
Mi svegliai di soprassalto, terrorizzata”.

ANGOLO AUTRICE: Bonjour!
 Allora… capitolo lunghissimo.
 Finalmente la Bastiglia è stata tirata giù e la Rivoluzione Francese è ufficialmente cominciata!
 Scusate se mi sono dilungata con gli addii ai famigliari ma l’ho fatto per rendere più drammatica la situazione.
 Le cose non sono andate proprio come avrebbero dovuto, Irène ha seriamente temuto la strage.
 No vabbè ora stiamo seri.
 Armand.
 Chi è costui? Cosa vuole ancora da Irène? Cosa sarà mai successo per venire fino a Parigi a cercarla?
 Cosa ne sarà della nostra protagonista? Dobbiamo preoccuparci? Ci sarà un legame con la famosa lettera?
 Chi ha bussato alla porta?
 Vi lascio con queste domande e vi avviso che gli aggiornamenti potrebbero davvero diventare lentissimi perché adesso devo studiare per gli esami quindi potrei non farmi sentire per lunghi periodi ma non vi preoccupate perché appena ho un momento libero mi fiondo al pc( se posso la sera cercherò comunque di mantenere aggiornamenti di pochi giorni) ma non vi preoccupate perché non mi dimentico della storia.
 Mi auguro che questo capitolo tanto atteso e misterioso, che ci porterà nel vivo della vicenda e da cui partiranno molti dei problemi dei personaggi vi possa piacere!
 La canzone che ho utilizzato si intitola "La prise de la Bastile", 1789/1790 circa.
Alla prossima e grazie! :)
 Jenny

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Capitolo 6
*** Une lettre ***


“Cittadina, mi hai lasciato sulla spine! Proprio sul più bello hai deciso di interrompere il racconto!
Io volevo sapere com’era andata a finire con il tuo primo amore, chi era alla porta...”-si lamentò William.
Lo squadrai con gli occhi fuori dalle orbite e scoppiai in una risata:“Il mio primo amore? E quando mai sarebbe stato il mio primo amore? Smettila di dire così, quell’uomo era il diavolo altro che amore.
Quando saprai quello che ci ha fatto passare…
Adesso riprendiamo dalla notte del 14 luglio.
Dopo essere sobbalzata e essermi svegliata mi precipitai alla porta prima ancora che gli altri potessero reagire e la aprii di colpo: con mia grande sorpresa e felicità non trovai Armand bensì Marion, appoggiata allo stipite della porta,con il vestito strappato, sporco e macchiato di sangue, i capelli sciolti sulle spalle,il viso stravolto: sembrava uno spettro.
Ci osservò un attimo, si trascinò verso di me:” Irène… io…sono riuscita a raggiungerti…sono scappata…la mia gamba…”-disse sconnessamente, prima di cadere a peso morto per terra perché la gamba non la reggeva più.
Thérèse le corse in soccorso: “Piccola…vieni con me, da brava su… cosa ti è successo Marion? Non piangere, adesso sei al sicuro.
Ci racconterai dopo cosa è capitato”.
Etienne trasportò sua moglie nel letto, accarezzandole i capelli e baciandola, incredulo di poterla di nuovo avere con sé mentre noi  osservavamo la scena ancora scioccati, senza riuscire a proferire parola.
Putain!”-imprecò Thérèse mentre cercava di constatare il danno” ha un proiettile nel polpaccio! Sembra che non sia entrato in profondità perfortuna, non deve essere difficile toglierlo ma farà male e non ci ho mai provato.
Ci vorrà un po’ prima che riprenda a camminare.”-ci spiegò.
Non avevamo i soldi per chiamare un vero medico:Thérèse stessa si fece coraggio, si armò di un coltello sterilizzato sul fuoco e estrasse il proiettile, con una minuziosa attenzione mentre Marion stringeva la mia mano per il dolore.
Ormai era l’alba e ci dovemmo separare: Marion rimase con Julie perché non poteva muoversi mentre gli altri riprendevano o almeno cercavano di riprendere le proprie attività per tirare avanti; gli uomini si presentarono alla fornace nonostante il clima teso del giorno prima mentre io andai a fare la fila per il pane prima di ritirare i giornali da vendere: lavorai solo un’ora perché con i fatti della Bastiglia c’era ancora molta confusione in giro.
Tornai a casa prima del previsto e stavo spolverando un po’ la mansarda quando  aprii un cassetto dove tenevo dei fogli: dovevo prendere degli appunti per la consegna dei giornali del giorno dopo.
Casualmente mentre lo richiudevo lo sguardo mi cadde sulla lettera che mi era stata consegnata dalla mia vicina e di cui avevo dimenticato l’esistenza: la lessi.
Mi sentii mancare.
Caddi a terra, accasciandomi contro il tavolo.

Cara Irène,
pensavi davvero che mi saresti sfuggita ancora per molto?
Eppure non ti credevo così sprovveduta.
In fondo ammettilo, lo sapevi che sarei venuto a cercarti: i fantasmi del passato non si cancellano così facilmente e poi… sei andata via senza nemmeno salutarmi, non è un comportamento educato, sei d’accordo?
Ti ho cercata per cinque anni, devi pagare per quello che hai fatto: la mia vendetta non aspetterà ancora molto ora che ti ho trovata.
Io ti guardo Irène, ti osservo sempre.
Sono più vicino di quanto tu possa immaginare,so molte cose di te,
mi farò vivo io quando lo riterrò opportuno: tieniti pronta.
Sono tornato: il gioco è solo all’inizio.
Ti amo ancora nonostante tutto.
Tuo,
Armand
“.

Non ti so dire cosa provai.
Perchè non l'avevo letta prima?
Mi resi conto che non avevo visto un fantasma alla Bastiglia.
Mi passarono davanti tutti quei cinque anni in un attimo.
In un impeto di rabbia afferrai un porta inchiostro vuoto e lo scagliai contro il muro, urlando improperi che adesso non ti tradurrò perché voglio mantenere un contegno.
Maudit, maudit, maudit!”-singhiozzai mentre battevo furiosamente pugni contro il muro, piangendo calde lacrime e urlando come una forsennata.
Aprii un altro cassetto che tenevo chiuso a chiave, dove conservavo tutto ciò che mi teneva legata al mio passato, tirai fuori tutte le lettere d’amore di Armand che mi scriveva in Provenza, in cui mi dava appuntamenti segreti nei campi di lavanda di nascosto dai suoi genitori quando ancora non sapevano nulla della nostra relazione.
Una collana di perle che non mi ero mai risolta a vendere perché era appartenuta alla madre di Armand, Madame Delacroix, che al contrario del figlio era una persona veramente gentile e mi era sempre stata affezionata, continuando a mantenere contatti con me anche dopo che mi ero trasferita a Parigi.
Però William, questa parte te la spiegherò con il tempo, adesso te la accenno solo.
Trovai anche un libro, dei fiori di lavanda secchi che profumavano ancora...ecco quello che mi rimaneva di quel periodo.
Richiusi il cassetto, attenta a mettere tutto ben a posto e non lasciare tracce che potessero insospettire Jean e mi sedetti sul letto, cercando di pensare al da farsi.
Dopo un’attenta valutazione decisi che non avrei permesso a quell’uomo di entrare nuovamente nella mia vita e distruggerla insieme a quella delle persone che amavo.
Lo avrei ignorato.
Avrei continuato a vivere normalmente, nonostante mi trovassi in grave pericolo,cercando di evitarlo ovviamente.
Non amavo Armand e sarebbe venuta l’occasione di farglielo capire una volta per tutte.
Se lui stava meditando vendetta, io ero decisa a non abbassare la guardia e a preparargli  un’accoglienza molto peggiore di quella che lui stava pianificando per me in caso se ne fosse presentata l’occasione: la partita era ufficialmente aperta.

ANGOLO AUTRICE:
Bonsoir Citoyens! :)
Tanto per cominciare Marion è salva e quindi stappiamo lo champagne, per questa volta ce l’hanno fatta tutte le nostre rivoluzionarie: aspettiamo il suo racconto.
Allora, questo capitolo è incentrato sulla famosa lettera: Armand sembra davvero infuriato, avrà delle buone motivazioni?
( Sicuramente no perché Irène ha sempre ragione ahah).
Questa lettera di minacce potrebbe essere solo la prima… cosa sarà successo cinque anni prima?
Sono aperte le scommesse!
Riuscirà Irène a risolvere questo nuovo problema o la presenza di quest’uomo le complicherà la vita ancora per molto?
Come andrà a finire?
La storia con Armand metterà in pericolo la relazione tra Jean e Irène o il vero amore si dimostrerà più forte di tutto il resto?
La Rivoluzione è appena iniziata quindi mettetevi comodi perché sarà una storia molto lunga.
Al prossimo capitolo, grazie come sempre! :)
Jenny

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Capitolo 7
*** Déclaration de les droits de l'homme et du citoyen ***


“Armand ti ha cercata ancora? Gliel’hai fatta pagare vero Irène?”-Wiliam non riusciva a trattenere la curiosità e mi guardava come se aspettasse una rivelazione divina.
Assunsi un’aria misteriosa:” Mah, tu cosa dici?-domandai.
Armand ha avuto quello che gli spettava, devi solo avere pazienza.
Però adesso torniamo alla nostra storia, non divaghiamo.
Marion si riprese in qualche giorno, per fortuna non era così grave però ci eravamo spaventate, ci eravamo davvero spaventate tutte quante.
Solo nel momento in cui era entrata in casa tutta sanguinante ci eravamo davvero rese conto di quanto fosse pericoloso quello che avevamo deciso di fare, una di noi stava per lasciarci.
Una sera mentre eravamo nella nostra sede,durante uno dei rari momenti in cui non avevamo nessuno che richiedesse il nostro aiuto, ci raccontò quello che le era successo alla Bastiglia.
Non ne aveva più voluto parlare e credevamo non l’avrebbe fatto.
Ci disse che era stata ferita da un proiettile sparato dall’interno della fortezza e che un gruppo di soldati aveva approfittato della confusione per prenderla prigioniera dopo lo scontro e interrogarla, cercando di capire se facesse parte di coloro che avevano organizzato l’attacco: lei aveva continuato a sostenere che fosse stato il popolo stesso a decidere di buttare giù la Bastiglia, come in realtà era successo, ma loro non volevano crederle.
Alla fine era riuscita a convincerli che si era trovata tra la folla quasi per caso e si era lasciata trascinare dagli eventi, si era finta una povera ingenua e ignorante, molto più di quanto lo fosse in realtà, e loro avevano deciso di lasciarla libera perché non avrebbero potuto ricavare nessuna informazione utile: era stata la sua salvezza.
Aggiunse che a lei non importava quell’esperienza: “Sono contenta di aver combattuto per la libertà,sono pronta a correre altri rischi se serve,accanto a voi, nulla può fermarmi!”-proclamò.
I mesi passarono: andammo avanti con la nostra vita di sempre, ogni giorno più povere, a parte Edith e Julie che con la vendita delle coccarde guadagnavano un po’ di più del solito.
Ogni giorno eravamo  più motivate finchè accadde un fatto che fu davvero provvidenziale.
Quando ormai non avevano più denaro, non so dirti se fu un segno del Cielo o fu quello che in seguito avremmo chiamato Essere Supremo.
Ti ricordi la signora per cui a volte lavavo?
Era una anziana vedova, suo marito era stato un appartenente alla borghesia più ricca però era morto giovane e lei non si era più risposata anche se più di uno aveva chiesto la sua mano.
Era sola al mondo: non aveva che me e un paio di cameriere.
Io nonostante fossi solo una lavandaia ero la più fidata e spesso quando riportavo i panni mi chiedeva di tenerle compagnia.
Ormai erano anni che lavoravo per lei quindi si era affezionata, diceva che le cameriere nonostante trascorressero più tempo con lei fossero solo delle pettegole.
Un giorno mi fece chiamare e mi disse che aveva preso un’importante decisione: mi consegnò un pacchetto contenente delle monete d’oro e mi disse che essendo ormai vecchia e conoscendo la situazione difficile in cui vivevo, sapendo che avevo un bambino piccolo e che un mio grande desiderio sarebbe stato sposarmi con Jean però non avevamo denaro, aveva pensato di consegnarmi in anticipo la mia eredità.
Rimasi davvero con un palmo di naso.
A me un’eredità?
Denaro? A una semplice lavandaia? Non ci potevo credere.
La ringraziai, le dissi che non la meritavo, che non la volevo ma lei fu irremovibile.
Nascosi il denaro nella tasca del grembiule e tornai a casa cantando a squarciagola, felice come non mai.
Decisi che avrei diviso il denaro in modo equo: non potevo sopportare l’idea di diventare ricca tutto d’un colpo e lasciare le mie amiche nella miseria più nera, tanto più che sarebbe stato pericoloso se fosse successo perché la mia improvvisa ricchezza avrebbe destato dei sospetti tra gli abitanti di Montmartre e, sai,  il popolo parla per dar aria ai denti.
 Per cui le chiamai tutte a casa mia e dividemmo il denaro in parti uguali, riservandone una parte per aiutare le donne.
Non volevo essere egoista e utilizzarlo tutto per il mio matrimonio: ero fidanzata con Jean da cinque anni, un anno in più o un anno in meno non avrebbero fatto la differenza, ormai avevo perso la fiducia nel fatto che sarebbe mai diventato mio marito.
Pensai che evidentemente non era destino che ci sposassimo.
Il denaro della ricca signora però in breve tempo finì, almeno quello che avevo dato alle mie amiche, io ero più previdente e ne avevo conservato un po’ che utilizzavo con grande attenzione.
“ Cittadina ma insomma… tornare a casa con tutto quel denaro e non voler nemmeno utilizzarlo per te e per quello che avevi bisogno… com’è possibile che tu sia ancora qui e che Jean non ti abbia fatto pentire della tua decisione?”.
“ Beh… diciamo che a Jean non ho detto tutta la verità.
Gli ho mostrato solo la mia metà del denaro che comunque restava una bella somma, senza soffermarmi sul fatto che una parte era stata spesa e un’altra divisa.
Dettagli William, dettagli.
A lui venne quasi un infarto quando vide il denaro rimasto, figurati se avesse contato l’intera somma.
Comunque ti starai chiedendo che fine avesse fatta Armand, vero?”.
William annuì:” Stavo per domandartelo però mi hai detto di non chiederti nulla e non mi osavo…”.
“Fai bene.
Armand continuò a scrivermi lettere intimidatorie, lasciandole sotto la porta della mia vicina di casa, senza mai farsi vedere in volto, il vigliacco.
Non le lasciava a casa mia perché aveva paura che potessero essere intercettate da un suo potenziale “successore” che se la sarebbe presa.
Armand Delacroix si è sempre distinto per perfidia ma mai per coraggio.
Un essere viscido, un uomo  non uomo, un po’ come Robespierre.
In ogni lettera chiedeva la stessa cosa: potermi vedere per parlarmi a quattr’occhi”.
Io non gli rispondevo oppure gli rispondevo con brutte parole, dicendogli di lasciarmi in pace.
Fu allora che commisi il primo errore, il primo di una lunga serie che non mi sarei perdonata.
In una delle lettere di risposta lo minacciai: “ Se non mi lasci stare te la dovrai vedere”…-scusami Willian, non dovrei commuovermi però non sono ricordi belli da rievocare” Te la dovrai vedere con il mio uomo”.
Glielo scrissi.
Da allora cominciò l’Inferno.
Credevo che lo avrei spaventato ma il mio piano sortì solo in parte l’effetto desiderato, in parte mi si rivoltò contro.
Per un periodo non mi scrisse più ma sarebbe tornato, peggio di prima.
Ad agosto venne proclamata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino.
Mi ricordo ancora quel giorno: era il 26 Agosto 1789.
Ero riuscita a procurarmene una copia e l’avevo letta ai miei amici, seduti attorno al tavolo di casa mia, trepidanti.
Eravamo tutti emozionati per quello che era contenuto in quella dichiarazione.
 “I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo… Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino " :
Volevo andare oltre i primi due articoli ma dopo che ebbi letto queste parole:
Art. 1 – "Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti.
 Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune" .

Art. 2 – "Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali ed imprescrittibili dell’uomo.
Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione".

Mi dovetti fermare perché successe un fatto inaspettato.
Jean si alzò in piedi, tirò fuori dalla tasca una scatolina e si inginocchiò davanti a me, con una solennità di cui non lo credevo capace.
Sgranai gli occhi: all’interno della scatola era contenuto questo anello, guarda"-sorrisi, mostrando la mano sinistra con all'anulare un sottile anello d’oro.
Non volevo immaginare quanta fatica, quanto lavoro e quanti sacrifici dovesse essere costato a Jean quell’anello.
Adesso capivo perché da un po’ di tempo tornava a casa più tardi del solito: rimaneva alla fonderia oltre il proprio turno; il padrone che ormai lo conosceva da anni, essendo stato con Étienne il suo primo operaio dato che la fonderia era stata aperta quando loro erano solo dei ragazzi che inizialmente facevano i garzoni, probabilmente aveva accettato che Jean prolungasse il turno in modo da poterlo pagare di più così che potesse pian piano mettere via il denaro per compararmi quell’anello e poi sicuramente aveva arrotondato con vari lavori da carpenteria, spesso lo faceva..
Con la voce rotta per l’emozione mi disse:

“Irène, quello che hai appena letto mi ha aperto gli occhi e ho realizzato che da questo momento sono davvero un cittadino libero e ho il diritto di vivere la mia vita senza più oppressione e catene.
So bene di essere molto povero, di non avere una grande cultura come quella che hai tu, so che tu meriteresti il più bello dei palazzi e io non posso offrirti altro che una misera mansarda, che meriteresti un bell’anello di brillanti ma io non mi sono potuto permettere che questo con grande fatica.
Però io ti amo Irène.
Mi sono innamorato di te il giorno in cui ti ho visto tutta sola in quel Cafè.
Eri una ragazzina disperata, persa in una grande città, però ho capito da subito che eri una persona unica.
Oggi che finalmente forse potrò offrirti una vita felice, ho deciso di chiedertelo, Cittadina Irène Fournier, mi faresti l’onore di diventare mia moglie?”.


Non riuscivo a credere alle mie orecchie: ci fu un attimo di stupore generale.
Subito mi ripresi e urlai:” Si, lo voglio! Lo voglio e non mi importa se mio padre non me lo permetterà, non mi interessa se non abbiamo soldi, questa volta ci sposiamo! Ti amo Jean”-dissi abbracciandolo e baciandolo mentre tutti applaudivano e Amèlie commentava incantata, parlando con Edih:” Che scena romantica!
Ne voglio anche io uno così.
Possibile che sono tanto sfortunata in amore? I miei uomini sono sempre stati degli approfittatori”.
Si sarebbero posti dei problemi con la mia famiglia, quello lo sapevamo entrambi, però questa volta eravamo determinati.
Dopo un po’ di tempo mi chiese di continuare a leggere.
Arrivai agli articoli sette e nove e li lessi con maggiore emozione rispetto agli altri:Art. 7 – "Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla Legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che sollecitano, emanano, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della Legge, deve obbedire immediatamente: opponendo resistenza si rende colpevole".
Art. 9 – "Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.
Ero talmente contenta per queste parole!
Le consideravo la mia ancora di salvezza “Ogni Cittadino è presunto innocente finchè non è stato dichiarato colpevole”.
Dimenticai Armand.
Dimenticai la paura, i ricordi dolorosi: mi sentii libera come non mi succedeva da anni.
Art. 11 – "La libera manifestazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge”.
Anche questo era un articolo che mi interessava personalmente: la libertà di pensiero fino ad allora era qualcosa di inimmaginabile ma i giornali stavano sempre più acquistando importanza e adesso sarebbero stati tutelati: finalmente i giornalisti non avrebbero più avuto bisogno di nascondersi e forse un giorno io stessa avrei potuto diffondere le mie idee scrivendo, già allora quello era il più grande desiderio.
Io e Jean che ci saremmo sposati il prima possibile: non persi tempo e scrissi a mio padre.
“Irène perché non ci sposiamo subito? Sposiamoci domani, con solo i nostri amici, senza aspettare la risposta di tuo padre, lo sai che mi odia!”-mi aveva implorato Jean.
Io però non gli avevo dato ascolto: era vero che non vedevo mio padre da anni, che non avevo un bel rapporto ne con lui ne con i miei fratelli però rimaneva sempre mio padre e mi avrebbe fatto piacere chiarire le cose una volte per tutte con lui, senza contare che avevo bisogno di denaro e riscuotere la mia dote mi sembrava un’utile scusa per cui decisi di scrivergli per invitarlo al matrimonio.
Dopo numerose lettere si degnò di rispondere e si presentò a casa mia il giorno prima della cerimonia, deciso ad affrontare Jean.
Prima però parlò con me, facendo una sfuriata.
Vedi William, mio padre non era ricco, anzi.
Dopo la morte di mia madre aveva trovato però lavoro presso la famiglia Delacroix come cocchiere e con gli anni era stato trattato con un occhio di riguardo dal padrone, tanto che, quando mio padre era stato mandato a lavorare da una parente dei Delacroix in Bretagna, Monsieur aveva permesso che io rimanessi a vivere con loro nella villa in Provenza per poter “ fare qualcosa di più di questa bella ragazzina, per farne una signora e non una servetta”, aveva detto: si sarebbe notato più tardi quali erano i suoi piani.
Lui era stato ben felice di potersi liberare di me: mio fratello più grande era stato mandato in collegio e rimanevano mio fratello minore e mia sorella a cui badare per cui una persona in meno in famiglia sarebbe stata gradita.
Il giorno prima del mio matrimonio mio padre entrò nella soffitta come una furia e mi affrontò.
“Ora basta Irène, questa tua ribellione è durata anche troppo: deciditi a tornare in te!
Cosa fai qui a Parigi?
Vivi come una miserabile, tu che avresti potuto aspirare a una scalata sociale nonostante provenissi da una famiglia povera.
Perché sei voluta tornare nella miseria?
Non puoi sposare questo ragazzo, piccola stupida!
Tu devi sposare un uomo ricco per aiutare la famiglia, hai capito?
Non hai un minimo di giudizio, non ci pensi ai tuoi fratelli? Certo, c'è Maxime... Ma posso forse fare affidamento su Maxime? Quell'uomo é uno spiantato, non lo vedo quasi mai e non mi aiuta economicamente perché spende tutto il suo denaro in donne e vino!
Céline e Alain devo mantenerli io finchè non lavoreranno sai?
Sto invecchiando e non riesco più a lavorare ai ritmi di una volta!
Tu adesso vieni con me, torni in Provenza e vai ad implorare in ginocchio Armand che ti sposi!
Madame Delacroix sarebbe felice di sapere che quel viziato irresponsabile di suo figlio ha sposato una ragazza che conosce da tempo e poi tra voi c’era già stato qualcosa…
Senza contare che anche con tutte le raccomandazioni di questo mondo nessun altro ti sposerebbe dato che non sei più… dato che hai già un figlio”-concluse imbarazzato.
Jean aveva assistito a tutta quella scena senza dire una parola, meditando con attenzione le frasi da dire a mio padre infine mi pregò di uscire e lasciarli soli, raccolse tutta la pazienza di cui era capace e provò a ragionare.
Io spiai tutta la scena dal buco della serratura.
Per l’occasione, il mio rivoluzionario fidanzato si rivolse addirittura a mio padre con “Monsieur” al posto di “Cittadino”: voleva dare l’impressione migliore che poteva.
Monsieur, ascoltatemi vi prego.
Io amo vostra figlia e in questi cinque anni non le ho mai mancato di rispetto, l’ho amata e ho cercato di farle avere tutto ciò di cui potesse avere bisogno, nei limiti delle mie possibilità.
Sono povero è vero però lavoro duramente e sono un uomo onesto, credetemi.
Abbiamo avuto un bambino prima del matrimonio e che anche questo è un punto che voi non condividete per la vostra profonda religiosità, io non discuto che siate nel giusto, però vi chiedo di rifletterci.
Fatelo per Irène, vi prego.
Rimane vostra figlia, con tutti i difetti che può avere e merita di essere felice.
Io vi prometto che se mi concederete la sua mano farò qualunque cosa per lei, anche a costo di spezzarmi la schiena ogni giorno non le farò mancare nulla e la tratterò con ogni riguardo, avete la mia parola”.
L’espressione del viso di mio padre non era molto convinta… squadrò Jean da capo a piedi come se avesse davanti un disgustoso insetto.
Alla fine stava per dire qualcosa quando il suo sguardo si posò sulla coccarda che il mio fidanzato portava sulla giacca:lo afferrò per il bavero e sibilò con odio:" Tu, sei uno di quei ribelli che vogliono rovinare la Francia? Ragazzo, non mi convincevi prima e tanto meno mi convinci adesso…dovrei darti in sposa mia figlia?
Per farle rischiare la vita con un criminale come te? Preferisco morire!”.
Jean le aveva provate tutte: si stava per arrendere.
“Monsieur, cosa volete da noi? Si può sapere? Se continuate a trattare Irène come se fosse una povera incapace vuol dire che in realtà non ci tenete davvero a lei, perché continuare a preoccuparvene? Se è così disonorevole per voi averla come figlia, lasciate che viva come più le piace, lasciatela andare!”.
Potevo vedere lo sguardo concentrato di mio padre, frammisto a odio.
Fissò Jean per un istante che mi parve un’eternità e poi emise il verdetto finale” Va bene.
Sposala.
Dopotutto hai ragione, non dovrei preoccuparmi di lei perché tanto ha sempre fatto quello che ha voluto e non c’è modo di fermarla… conoscendola si sarà buttata a capo fitto in questi scontri che ci sono stati a Parigi.
Sposatevi però pongo due condizioni, una per te e una per lei: prima cosa, se non vorrà più stare con te, se vorrà lasciarti, non deve nemmeno pensare lontanamente che io la accoglierò, è stata una sua decisione e ne pagherà le conseguenze, si arrangerà.
E seconda cosa per te: se al contrario sarai tu a farla soffrire, se verrò a sapere che le fai del male, che la maltratti… te la dovrai vedere con me e ti assicuro che non sarà piacevole.
Ti farò pentire di essere venuto al mondo,ti spezzerò le ossa una per una, posso assicurartelo, ribelle.
Ci siamo capiti?”-concluse con uno sguardo truce.
Jean esultò:” Grazie Monsieur, grazie davvero!
Non deluderò ne voi ne Irène, ve lo prometto!
“E adesso sparisci dalla mia vista prima che cambi idea”.
Mi affrettai a correre in cortile fingendomi occupata a stendere il bucato mentre Jean usciva di casa, con la luce negli occhi.
 “Alla fine vi siete sposati, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino ha avuto il suo ruolo, sicuramente.
Sono davvero felice che ce l’abbiate fatta.
Però come avete fatto con i soldi?
E siamo sicuri che tuo padre non abbia rovinato la cerimonia?
O Armand?”.
Sapevo che William sarebbe voluto arrivare a quel punto.
“Per i soldi alla fine mio padre mi consegnò un po’ di denaro che aveva tenuto da parte come dote.
Non era molto però ci poteva sempre tornare utile per cui lo ringraziai.
Restava il problema che mi sarei dovuta sposare vestita da stracciona, con la mia solita gonna rattoppata già cento volte, perché non avevo certo il denaro per permettermi un abito da sposa, figurarsi.
La sera prima delle nozze feci in modo di avere il turno di chiusura al Cafè Procope: le mie amiche avevano insistito per vedermi, meglio per me, potevo sfogarmi con qualcuno del fatto che non avevo un vestito da sposa.
Quando ci trovammo sedute nel retro a bere caffè, ci fu un attimo di silenzio tombale.
Con uno sguardo solenne Marion e Edith mi porsero un baule di legno…
All’interno c’era un abito da sposa!
Lungo fino ai piedi, con alcune perline di vetro sul davanti e una coccarda tricolore appuntata sul petto.
“Abbiamo messo insieme i soldi e comprato la stoffa:l’ho cucito tutto io con le mie mani!
Ti piace?”-mi domandò Edith.
“Credi che ti andrà bene? Le perline sono state un’idea mia!”-aggiuse Véronique.
Mi veniva da piangere.
Mi resi conto di quanto fossi fortunata, non solo in amore ma anche in amicizia.
Avevo le amiche migliori che potessero esistere.
“E’… è meraviglioso, non so proprio come ringraziarvi! Vi voglio bene!”-dissi abbracciandole.
Il giorno dopo ci sposammo: Amèlie mi sistemò i capelli, arricciandoli con un matterello di ferro passato sulla stufa, accesa per l’occasione nonostante il caldo torrido di agosto, Thérèse mi portò un mazzo di fiori, mio padre mi accompagnò all’altare, con ancora un pò di disapprovazione nello sguardo.
Jean e Etienne, che ovviamente faceva da testimone con Marion, avevano implorato il padrone della fonderia di dargli un giorno di riposo per il matrimonio e lui aveva concesso loro anche questo favore, permettendo a Jean addirittura di stare a casa il giorno dopo il matrimonio, in via del tutto eccezionale.
“Perché vi conosco da tanti anni e so che posso fidarmi… recuperererete nelle prossime settimane.
Però ovviamente niente paga per quei due giorni!”.
Dissero che gli altri operai, rosi dall’invidia, li avevano minacciati.
Festeggiammo tutto il giorno, la sera mio padre si ritirò in una stanza d’albergo, sarebbe tornato in Provenza il giorno dopo, e noi lasciammo Renè a Edith.
Mentre sbottonavo la camicia di Jean, quella notte, lui mi fermò: sembrò che un lampo di preoccupazione gli oscurasse il volto, per essersi fermato mentre stavamo per fare  l’amore doveva davvero essere qualcosa di serio.
Infatti…
“Irène aspetta… aspetta.
Prima voglio raccontarti una cosa strana che mi è successa ieri sera quando sono andato a festeggiare con Etienne e Adrien, mi ha inquietato parecchio".
Mi raccontò che all’uscita del Café era stato seguito per un tratto da una carrozza: lui pensando che si trattasse di qualche nobile da poter insultare si era avvicinato barcollando per il vino.
Disse che una voce da uomo lo aveva chiamato:” Jean Dubois?”.
Appena lui aveva annuito, chiedendo cosa desiderasse, l’uomo aveva riso con una voce roca e aveva fatto segno al cocchiere di ripartire, scomparendo in una nuvola di polvere.
L’unica cosa che Jean aveva potuto intravedere di lui, dato che il viso era completamente immerso nel buio, era il riflesso di dei capelli biondi, illuminati dalla luce della luna.
Gli dissi di stare tranquillo, anche se io non lo ero per niente dopo quella apparizione.
Continuai a spogliarlo e baciarlo con foga: mi fece una promessa.
Adesso non posso perché non abbiamo denaro ma tra un po’ cercherò di farti il regalo di nozze, augurandomi che sarà esattamente come desideravi da tanto tempo”-mi sussurrò.
Sorrisi e lo guardai negli occhi.
Mi persi in quello sguardo profondo e dimenticai tutto il resto.
Mi abbandonai tra le sue forti braccia: niente e nessuno al mondo avrebbe potuto rovinarci quei momenti.

ANGOLO AUTRICE: Eccomi qui! :)
Irène e Jean finalmente hanno potuto convolare a nozze, che dolce è Jean?
Davvero un uomo da sposare ahah.
Il padre di Irène…. Insopportabile però alla fine ha accettato.
Le rivoluzionarie si dimostrano sempre di più delle vere amiche.
Gli articoli che ho inserito sono tratti dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 1789: tutti gli avvenimenti storici che cito sono avvenuti davvero e sono trattati con la massima precisione possibile,ovviamente inserendo i personaggi come funziona meglio per la storia.
E'  inquietante quell'essere che ha voluto ottenere informazioni su Jean: non trovate?
Cosa starà architettando?
Infine Jean ha promesso un regalo ad Irène… le piacerà sicuro.
Che dire, alla prossima e grazie!
Jenny
PS: ci sono degli indizi che aiutano a farsi qualche idea sul alcuni punti della storia e della vita di Irène sparsi per tutto il racconto… Fossi in voi ci starei attenta.

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Capitolo 8
*** L'Ami du peuple ***


“Dove eravamo rimasti? Ah si, al matrimonio.
Scusami se sono un po’ fuori di me però ultimamente sono più le notti che non chiudo occhio che quelle che dormo…e ho lavorato in redazione tutto il giorno, l’incendio di quella fabbrica in periferia ha causato molti danni e con tutti i morti che ci sono stati perfino il governo è stato smosso!”-incominciai, sbadigliando.
“Si, anche io ci ho lavorato Cittadina.
Insomma, si sa che i bambini e le donne sono sfruttati però nessuno ne parla mai, sembra che per il popolo inglese sia accettabile questo comportamento… tanto finchè non è un problema loro i cari Lords si tengono ben alla larga.
Magari con quello che è successo saranno costretti ad aprire gli occhi e migliorare le condizioni dei lavoratori, finalmente.
Dai Irène, non ti sei ancora abituata al the inglese che non dormi? Mi sa che dovrai tornare in Francia se non riesci a convivere con il the”-scherzò William.
Lo guardai rattristata.
“Non è per il the, William.
Jean è stato male di nuovo… va a periodi… ci sono settimane più tranquille e settimane come questa.
Ormai sono abituata, lui stesso mi dice di non preoccuparmi però non ci riesco, così lo veglio per intere nottate senza chiudere occhio.
Capirai cosa vuol dire amare una persona al punto di sacrificarsi in tutto per lei, occuparsi di lei e starle vicino anche quando arriva a farsi schifo da sola,sostenerla davvero nella buona e nella cattiva sorte.
E’ ancora lontano il momento in cui ti parlerò di Jean”.
William annuì.
“Dopo il matrimonio Jean tornò al lavoro ma presto il padrone della fonderia si vide costretto a diminuire i salari per cui noi ci trovammo ad arrancare sempre di più.
Nel frattempo a settembre Jean Paul Marat stava per fondare il suo giornale, “L’Ami du Peuple” .
Quell’uomo mi piaceva parecchio.
Mi piaceva il suo impegno sincero per il sanculotti, la sua capacità di istigare le masse, di organizzarle e la sua voglia di conferire più potere al popolo, umiliato e maltrattato e di riuscire a distruggere il potere monarchico.
All’epoca queste caratteristiche stavano emergendo e non erano ancora così evidenti come sarebbero diventate di lì a qualche anno ma io avevo già compreso che mi sarei schierata a suo favore.
Presto ne parlai con Jean: decise che Marat valeva la pena di essere seguito e da quel momento ogni parola dell’Amico del Popolo per noi divenne legge.
                                                                                                                **********
Un pomeriggio stavo servendo ai tavoli del Cafè Procope quando mi si era avvicinato un uomo sulla cinquantina, i capelli neri avvolti in una specie di asciugamano che puzzava terribilmente di aceto, una vecchia giacca verde e uno sguardo beffardo: Jean Paul Marat in persona.
“Cittadina!”
Sconcertata, lo avevo osservato con aria ebete.
Lui aveva continuato:
” Si, tu.
Seguimi”.
Eravamo saliti nel sottotetto del Cafè e mi aveva apostrofato:” Cittadina Irène, vero?
Mi sono informato su di te, sembri una ragazza sveglia e mi hanno detto che hai anche una certa cultura rispetto alla media delle masse popolari… mi dicono che vendi giornali quindi saresti già abituata al lavoro che voglio proporti.
Forse sai già che presto inizierò a pubblicare un giornale che si chiamerà “L’Ami du peuple”.
Se ti proponessi di lavorare per me e occuparti delle vendite, accetteresti?”-domandò.
Ero davvero senza parole.
Sconvolta.
Ebbi la forza di pronunciare un “Si, certamente Cittadino!”.
“Molto bene.
La tipografia si troverà qui in soffitta, se avessi bisogno di venire a parlare con me.
Per il resto, il giornale verrà venduto all’alba al prezzo di un soldo.
Tutto chiaro?”.
Annuii e tornammo al piano inferiore.
Finito il turno quella sera me ne tornai a casa, in silenzio, cercando di evitare le vie affollate.
Volevo meditare sulla nuova possibilità che mi era stata data.
“Jean!
 Jean!
Non indovinerai mai cosa mi è capitato oggi!”.
“Avanti, sentiamo, mi devo preoccupare?”.
“Assolutamente no.
E’ una cosa bella.
Jean Paul Marat mi ha proposto di lavorare per lui”.
Jean, che stava accendendo una candela, per lo stupore si bruciò un dito  con il fiammifero e imprecò.
“ Cosa?????”-riprese rivolgendosi a me” Marat ti ha proposto di lavorare per lui?
Proprio quel Marat?
Il sostenitore dei sanculotti?
Non ci credo”.
“Ebbene si, credici.
Lavorerò per Marat.
Vedrai, vedrai che ci aiuterà per davvero, me lo sento”-gridai in preda all’emozione.
“D’accordo, non sono più fiero di mia moglie.
Sono assolutamente stupefatto.
Hai sentito figlio mio, che madre che hai?
L’ho sempre detto che sei una donna di talento Irène, io non sbaglio mai nelle mie scelte”.
Bussarono alla porta.
“Irène, sono io.
Sono passata per parlare della divisione del denaro per quelle ragazze che sono venute da noi l’altro giorno…”.
Era Véronique.
Ultimamente stavo molto attenta a chi bussava alla porta, avevo sempre paura che si trattasse di quei capelli biondi.
Jean uscì sul tetto a fumare la pipa mentre noi ci sedemmo e cominciammo a discutere e fare i conti.
Il mio progetto di insegnare alle mie amiche a leggere e scrivere stava proseguendo bene e Verònique riusciva già a leggere cose semplici e scribacchiare: ero contenta sia di lei che delle altre.
Dopo un paio d’ore sentimmo un colpo molto forte e un vetro della finestra si spaccò: ci alzammo in piedi di scatto.
Jean si lanciò nella stanza chiedendoci cos’era successo mentre Renè si era spaventato e piangeva.
Mio marito si avvicinò alla finestra, senza farsi vedere, per controllare il danno e trovò un grande sasso;pensavamo fosse stato un ladro.
“Véronique!
Lo so che sei lì!
Scendi!
Lo so che sei lì, ti ho seguita e tu sei tanto stupida che non te ne sei nemmeno accorta!
Scendi troia!
Fammi vedere i miei figli!
Sophie!
Gérard!
Maledetti  quella puttana e quel mentecatto che ti hanno ospitata e ti reggono la parte.
Vieni giù che ti faccio vedere io!”-urlò una voce da uomo.
Vèronique impallidì.
“E’ Serge, il mio fidanzato.
E’ ubriaco.
Mon Dieu… mi dispiace, non avevo idea che mi seguisse.
Adesso scendo così risolviamo tra noi, non vi voglio mettere nei guai oltre”-sussurrò, con le lacrime agli occhi.
“Non ti preoccupare Véronique, ci penso io.
Farò in modo che non ti dia più fastidio.
State in casa.
Chiudetevi dentro e non aprite qualunque cosa succeda”-Jean si era già avviato per le scale.
“Per carità Cittadino Jean, non andare!
E’ fuori di sé, ti farà del male!”.
“Lavoro in fonderia, ho le braccia forti.
Fidati Véronique, gli farò passare la voglia di darti fastidio.
Io sono bravo ma quando mi si prende nel quarto d’ora sbagliato posso essere poco raccomandabile.
Chiedi a Irène.
Se ne ricorderà per un pezzo”.
Ci affacciammo alla finestra: sotto casa nostra si era radunata una piccola folla e le luci delle case vicine erano accese.
Serge aveva urlato tanto forte che i vicini si erano preoccupati.
Sentivo dei signori commentare:” Il Cittadino Jean? No, è impossibile che si sia messo nei guai, è un bravo ragazzo”.
Un gruppo di ragazze della mia età invece, molto fantasiose, non perdeva occasione per fare apprezzanti su mio marito e fantasticava su chissà quale duello.
“Si si vi dico che il Cittadino Jean si batterà in duello con quell’uomo!
Sicuramente sarà l’amante della Cittadina Irène!”-incominciò una.
“Ma cosa dici Charlotte!
La Cittadina Irène non è stupida e ne sa in fatto di uomini.
Non tradirebbe mai Jean.
Dio, è così bello!”-rispose un’altra mentre una terza diceva:” Prima quell’ubriacone che urlava chiamava “Véronique”, forse è una delle amiche della Cittadina Irène, lui sta solo cercando di difenderla!”.
Jean raggiunse Serge, che se ne stava appoggiato al muro, tranquillo come se niente fosse.
“Cittadino, spiegami cosa ci facevi a notte fonda davanti a casa mia e per quale motivo pensi di poter venire qui a urlare come un pazzo e a spaccare i vetri.
Pretendo che me li paghi.
E soprattutto che sparisci e lasci in pace Véronique e i bambini, non ti vogliono più vedere”.
Serge gracchiò:” E chi sei tu per dirmelo? Non mi fai paura.
Non ti immischiare se non vuoi che ti faccia male.
E adesso lasciami passare che me la vedo io con la mia ragazza, quella puttanella da quattro soldi”.
“Vedi Cittadino Serge… io non credo che lo farai.”-sibilò Jean, mentre si toglieva la giacca.
“Mi stai sfidando, Cittadino?”.
Jean sorrise, con il suo sguardo più falso:” Può darsi”.
Veloce con il vento mollò a Serge un potente pugno in faccia.
Il fidanzato della mia amica lo guardò un secondo, pulendosi il sangue che gli usciva dal labbro come se non volesse credere di aver subito un tale affronto.
“Allora vuoi la guerra….”-urlò mentre aggrediva Jean.
Mio marito si difese bene e per qualche minuto lo caricò di pugni,lasciandolo sanguinate e tumefatto sul marciapiede.
Serge non perse tempo e scappò come un ladro, deriso da mezza Montmartre, mentre si lamentava e bestemmiava.
Il “pubblico” applaudì come se si fosse trattato di uno spettacolo teatrale.
“Sono felice  di avervi allietato la serata.
Buonanotte Cittadini”-concluse Jean abbozzando un inchino.
Quando tornò in casa noi stesse applaudimmo mentre Véronique si sprecava in ringraziamenti.
Jean la accompagnò fino alla nostra sede perché la mia amica, dopo essersi trovata un lavoro al mercato, si era stabilita nella stanza da letto della vecchia casa abbandonata con i bambini: quella notte le avrei proposto di dormire da noi ma i bambini erano a casa da soli e non potevano essere avvertiti.
“Serge sparì dalla vita di Véronique? Jean si è davvero fatto valere, avrei voluto godermi lo spettacolo.
E poi che è successo?”-William mi si avvicinò sollevando la penna in aria, sempre più coinvolto dal racconto.
Gli feci segno di sedersi:” Non sei mica alla tribuna William, calmati.
Dai che adesso arriva un incontro che ti interesserà”.
Quando il mio collega si ricompose, ricominciai.
“Un mattino di fine settembre all’alba me ne stavo in strada a vendere l' "Ami du peuple": ne avevo già vendute quasi tutte le copie, me ne rimaneva solo più una.
Stavo per andarmene quando mi si avvicinò un uomo.
L’Ami du Peuple Cittadina.
Sono ancora in tempo?”.
Lo osservai.
Puoi immaginare chi fosse quell’uomo.
“Sono finiti.
E non si vendono ai monarchici, nemmeno se li pagano bene”-finsi indifferente.
Lui però non si arrese e mi parlò all’orecchio: “E  chi ti dice che io sia un monarchico?
Come sei prevenuta.
Non va bene, dovresti essere un po’ più umile, Cittadina Fournier”.
Mi credi se ti dico che in quel momento se fossi stata da sola con lui lo avrei strozzato?
“ Sei un uomo sbagliato dalla testa ai piedi.
Sparisci Armand.
E non ti azzardare mai più ad avvicinarti a me o ai miei cari”-sussurrai con una voce agghiacciante.
Armand mi passò una mano tra i capelli:
” Sparisco.
Ma non per molto, te l’ho detto.
Comunque è stato un piacere rivederti Irène, sei sempre più bella!”.
Quel pomeriggio andai a sistemare delle faccende per le donne: quando arrivai c’era la fila, mi stavano aspettando, ognuna con un problema diverso.
Thérèse e Marion ne avevano già congedate il maggior numero possibile in mia assenza ma erano rimaste quelle che volevano parlare specificatamente con me.
Ultimato il lavoro arrivò Sophie: si sedette al tavolo e incominciò a pettinare la sua bambola.
Alzò lo sguardo su di me:” Cittadina Irène, sei triste?
Hai pianto?
Hai una faccia…
Ti do un bacino così non sei più triste”.
Marion e Thérèse mi raggiunsero e mi squadrarono entrambe.
Chiesero a Sophie di lasciarci sole.
“C’è qualcosa che non va vero?
Cos’è successo?”-domandarono in coro.
Mi affrettai a negare, a dire che ero solo un po’ stanca ma andava tutto bene.
“Sono preoccupata per la situazione e per quello che sta succedendo in città.
Per il resto va tutto bene, davvero”-cercai di convincerle.
In un primo momento parvero convinte poi Marion mi si avvicinò:” Ti è successo qualcosa di brutto, me ne accorgo a guardarti.
Sono la tua migliore amica Irène, ti conosco e non mi puoi ingannare.
Se vuoi parlarne io ci sono, sappilo.
Ti aiuterò.
Non tenere un peso così grande per te”.
La ringraziai ma capii che non avrei potuto chiedere il suo aiuto.
Era una questione che avrei dovuto risolvere da sola ma non potevo permettere che mi assorbisse la vita.
Avevo impegni più urgenti. Il pane cominciava a scarseggiare e sentivo nell’aria che il popolo si sarebbe organizzato nuovamente: presto la mia presenza sarebbe stata richiesta per questioni più importanti di Armand.
Rientrata a casa la mia vicina mi fermò sul pianerottolo, allarmata.
“Cittadina Irène, c’è una lettera per te.
E’ una carta strana, sembra quella che hanno usato per annunciarmi la morte di mio marito…”.
Le strappai la busta di mano: era da parte di mio padre.
Una lettera listata a lutto.

ANGOLO AUTRICE: Ciao! :)
Ecco il capitolo 8!
Vi spiego la mia tecnica: lo so che non succede molto ma ho pensato di alternare un capitolo “fondamentale”, con colpi di scena e avvenimenti importanti, a capitoli più blandi e dialogici che si concentrano anche sulle vicende degli altri personaggi.
La storia l’ho detto e lo ripeto, sarà lunga e siamo solo all’inizio: abbraccerà tutta la Rivoluzione fino a Termidoro e quindi armatevi di pazienza se volete seguirla, davvero.
Cerco di descrivere solo i punti salienti per non appesantire troppo però capite che per quanto mi sforzi rimane un racconto storico e dato che i personaggi sono coinvolti così profondamente dagli eventi non si può tagliare più di tanto.
Irène ha fatto carriera, avete visto?
Adesso vende il giornale di Marat!
( E vi pareva che non ci sarebbe finita? Guarda caso… ahah).
Armand però è riuscito a intercettarla anche lì, è terribile!
La lascerà in pace almeno per un po’?
Un grande applauso per il nostro Jean che ha preso a pugni quel bastardo di Serge: sta volta non so se avrà ancora il coraggio di avvicinarsi a Véronique.
Anzi, scusate per il linguaggio di Serge: non vi scandalizzate vero?
Ho pensato di renderlo un personaggio volgare, è stato utilizzato proprio per rendere l'idea di che uomo sia, non lo faccio parlare così perchè mi diverte.
La nostra protagonista ha appena ricevuto una lettera listata a lutto: cosa sarà successo?
E poi, perché Jean sta male?
A cosa si riferisce Irène all’inizio del capitolo?
Siete curiosi?
Lo scopriremo lentamente,poco alla volta…
Alla prossima e grazie! :)
Jenny
PS: Mi sembra ovvio ma lo specifico comunque: l’incendio a cui si riferisce Irène me lo sono inventato di sana pianta, non è un fatto storico!
Mi sono ispirata ad alcuni incidenti di cui si ha notizia più che altro nell’Ottocento… anche le fabbriche che Irène descrive sono tipiche della Rivoluzione Industriale che all’epoca non era ancora all’apice però le fabbriche che io sappia cominciavano ad esserci.
Diciamo che mi sono presa una piccola licenza poetica dalla minuzia storica.

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Capitolo 9
*** Parisiennes ***


“Allora? Voglio sapere, cosa c’era scritto nella lettera listata a lutto.
Era mica…
Era mica morto tuo padre?”.
“Mio padre? No, sarebbe stata una grazia se fosse morto lui.
Rientrai in casa, aprii la busta, mi sedetti su una sedia spagliata e lessi:

“Cara Irène,
vorrei poterti scrivere belle notizie ma purtroppo non è così.
Non so come darti questa notizia, so che ne soffrirai terribilmente.
Non c’è modo per addolcirla quindi tanto vale scriverti i fatti come stanno: purtroppo tuo fratello Maxime è stato ucciso durante una protesta a Marsiglia, gli hanno sparato e non c’è stato nulla da fare: ultimamente si era schierato dalla parte dei ribelli, insieme ad un gruppo di altri soldati, è stato ucciso dai suoi stessi ex compagni.
Lo seppelliremo accanto a tua madre.
Sono devastato.
So che Maxime era l’unico dei tuoi fratelli con cui avevi un bel rapporto, eravate legatissimi anche se ultimamente non avevate molte occasioni per vedervi, lui mi diceva sempre che vi scrivevate spesso.
Ti voleva bene, forse provava per te molto dell’affetto che io non sono riuscito a darti.
In questo momento passo sopra a tutte le delusioni che mi ha dato, sarei disposto a perdonarlo per la sua vita sregolata, per tutte le donne che ha avuto, per aver deciso di intraprendere la carriera militare ben sapendo che io non ero d’accordo, per aver scialacquato il proprio denaro e non essersi mai curato del fatto che una parte sarebbe potuta servire per costruire un futuro decente ad Alain e Céline.
Era mio figlio e lo amavo, anche se forse non ho saputo dimostrarglielo adeguatamente.
Non posso più recuperare con lui però posso cercare di redimermi riavvicinandomi a te, Irène.
Sono sicuro che tuo fratello ne sarebbe felice.
Ti chiedo scusa per quello che ti ho fatto passare, me ne dispiace moltissimo.
Ci ho pensato e in fondo è vero, non è così importante che tu voglia vivere come una miserabile, è la tua vita e se sei felice è giusto che tu la viva come meglio credi.
Jean sembra un bravo ragazzo nonostante sia povero e nei suoi occhi ho potuto vedere un vero amore nei tuoi confronti, sembra tenere molto a te.
Vi auguro tutta la felicità possibile e sappi che da questo momento se avrai bisogno di me, ci sarò.
Ti chiedo solo di stare attenta se parteciperai alla Rivoluzione, come la chiamate voi: mi è già costata il mio primogenito, non voglio che mi porti via anche te.
Con affetto e profondo dolore,
tuo padre”.


A metà della lettera iniziai a urlare e piangere così forte che la mia vicina bussò alla porta, chiedendo cosa fosse successo.
Quando alla sera arrivò Jean, mi trovò stravolta, con la testa fra le mani e gli occhi rossi.
Gli porsi la lettera, con uno sguardo da indemoniata: ero fuori di me.
“Irène, cosa è successo? Perché mi fai vedere quella lettera? Sai che non so leggere, so solo contare e scrivere il mio nome, come posso capirne il contenuto?
E’ qualcosa di grave?”- domandò preoccupato.
“Tuo… tuo cognato…”-singhiozzai, nascondendo il viso contro il suo petto.
“Mio cognato Maxime? Irène, adesso ti calmi e mi dici cosa gli è accaduto.
Irène?
Irène!”-mi tirò uno schiaffo e tornai in me.
“Maxime è morto, è stato ucciso in uno scontro.
Mi ha scritto mio padre.
Oh Jean, è una notizia terribile.
Non ho nemmeno fatto in tempo a salutarlo.
Adesso mio padre dice che vuole riappacificarsi con me.
Io non lo capisco… però sembra sincero.
Devo pensarci”.
Jean mi guardò allibito.
“Mi dispiace molto per Maxime amore mio.
So che adoravi tuo fratello, deve essere un duro colpo per te.
Era una brava persona, per quanto l’ho conosciuto io mi è sempre sembrato diverso da tuo padre, lui ci teneva davvero a te.
Capisco che tu adesso sei addolorata e arrabbiata ma secondo me non devi darla vinta a tuo padre.
Io non credo che ti stia dicendo la verità… secondo me c’è un inganno.
Sono cresciuto sulla strada, mi rendo conto quando la mente di un uomo con cattive intenzioni come tuo padre partorisce un inganno.
Secondo me non è completamente disinteressato.
E poi Maxime non era uno dei nostri? Appoggiava il popolo e quello che tu stavi facendo, non ha mai sopportato di adeguarsi al regime che tuo padre è riuscito ad imporre ad Alain e Céline.
Secondo me tuo fratello poterebbe essere vivo, quello di tuo padre poterebbe essere solo una bugia per ottenere qualcosa da te.
Tutto sta a capire che cosa”.
Protestai, dicendo che mio padre era si un uomo che pensava sempre al denaro e a una potenziale ascesa sociale ma che non avrebbe mai inscenato la morte di Maxime: il che coincideva al vero, in effetti non ricevevo più lettere da mio fratello da un paio di mesi, avrei dovuto capire che era successo qualcosa.
Trascorsi qualche giorno di grande tristezza, non riuscivo a capacitarmi della sua morte.
Però non c’era ulteriore tempo per fermarmi a pensare a Maxime: tra il popolo la vita è così difficile che tempo per stare a compiangere troppo i defunti non ne resta e tanto meno ne avevo all’epoca.
Durante i primi giorni di ottobre la situazione precipitò.
All’alba del 4 ottobre io e Amèlie ci trovavamo davanti al negozio di un panettiere, in fila per accaparrarci un disgustoso pezzo di pane nero.
Stavamo già da un paio d’ore in piedi davanti al negozio quando una voce si sparse tra le donne che ci precedevano e giunse in fretta fino a noi.
“Il pane è finito! Non ce n’è più!”.
Amèlie mi guardò un attimo, interrogativa.
Poi salì su di un cassone in legno accanto alla porta del fornaio e cominciò ad arringare la folla di donne affamate.
“Non è vero!
Il pane c’è eccome!
Lo nascondono!
Vogliono farci morire di fame!
Nascondono il grano!
E’ tutta colpa della putain!.
Quell’ignobile spia austriaca, quella sgualdrina che si fa chiamare “Regina di Francia!”.
C’è lei dietro a tutto questo, ne sono convinta!
In questo momento lei sta ancora dormendo perché stanotte sicuramente avrà festeggiato fino a tardi, spendendo il denaro della Nazione, sperperando il nostro denaro, mentre noi siamo qui, all’alba, a cercare di accaparrarci un pezzo di pane che ci viene negato!
Ma ve lo dico io, uno di questi giorni le faremo noi una bella festa, ve lo assicuro!”.
Il gruppo la applaudì, come se per un attimo avesse dimenticato la fame.
Lentamente alcune donne si staccarono dalla massa e si avvicinarono a me, domandandomi sottovoce se ero davvero io la Cittadina Irène, quella che le avrebbe potute aiutare.
Risposi loro che dovevo parlare con le mie amiche e che finchè non ci fossimo messe d’accordo non si sarebbe fatto nulla però che se avessero voluto partecipare ad una riunione ci avrebbero trovate alla casa abbandonata dietro Notre Dame.
Accettarono, soddisfatte.
In quel momento arrivò Edith, trafelata.
“Irène, Cittadine!
Stavo vendendo a prendere il pane ma per strada ho sentito che non ce n’è più!
E ho anche un’altra notizia!”-si fermò a prendere fiato.
“Pare che la guardia reale a Versailles durante un banchetto abbia calpestato la coccarda dei patrioti!
E che il re, che era presente con la sgualdrina e il Delfino li abbia lasciati fare!
Io sono disgustata!
Ho sentito dire che Marat lo scriverà sul giornale!
Irène, vai a prendere i giornali così poi ci leggi cosa scrive l’Amico del popolo!”.
Non me lo feci ripetere due volte e mi precipitai a ritirarli.
Quel giorno riuscii a vendere in breve tempo tutte le copie disponibili e dovetti tornare alla redazione per farne preparare altre: Parigi era in fermento.
Nel pomeriggio mi recai nella nostra sede e trovai una quarantina di donne che occupavano le due stanze disponibili, senza lasciare un angolo libero.
Alcune erano sedute per terra, altre ammassate contro il muro, altre ancora sul letto.
Mi feci strada tra la folla e vidi Marion, che stava discutendo infuriata e sputando insulti di vario genere verso il re e la regina.
“Io propongo di andare a Versailles domani.
La cittadina Véronique dice che al mercato di Place Maubert gira la voce che si starebbe organizzando una marcia fino alla reggia per domani all’alba, secondo me dovremmo partecipare!
Dobbiamo andare a pretendere pane!
Distribuzioni di pane!
Facciamolo capire al re!”-gridava.
Riuscii a sovrastare la sua voce.
“Silenziooooooo!!!!!
Cittadina Marion, chiedo la parola”.
Marion smise all’istante di parlare e si voltò verso di me, contemporaneamente a tutte le altre.
“E’ arrivata la Cittadina Irène, sentiamo cosa ha da dirci!”.
“Ci guiderà, dobbiamo fidarci di lei! L’altro giorno mi ha dato del denaro per comparare il pane, è tanto brava!”-potevo distinguere frasi di questo genere mentre avevo i loro occhi puntati addosso:salii sul tavolo e iniziai io stessa a discutere.
Il brusio che faceva da sottofondo al discorso di Marion era cessato e tutte mi ascoltavano con estrema attenzione.
“Cittadine, sono d’accordo con quello che è stato detto da Marion.
Domani all’alba ci incontriamo qui, mi raccomando, con discrezione.
Troverete una di noi che aprirà la sede in modo che possiate entrare senza dare troppo nell’occhio poi quando ci saremo tutte ci avvieremo verso l’Hotel de Ville, pare che sia da là che partirà la folla.
Quando ci metteremo in marcia non so cosa capiterà ma valgono sempre due regole: per prima cosa non dovete dire chi siamo, dobbiamo apparire un gruppo di donne che si è incontrato casualmente.
Per seconda cosa voglio che stiate con il gruppo e non vi disperdiate, ci siamo capite?
Io andrò davanti, mi seguirete”.
Conclusi il discorso tra l’acclamazione generale e  poi continuai a parlare singolarmente con le donne in difficoltà come se nulla fosse accaduto.
 ********
“Ormai eravate davvero una specie di Assemblea Nazionale al femminile!
Eravate proprio come i rivoluzionari!”-disse William, sbalordito.
“Certo.
Si potrebbe dire così.
Era il nostro intento.
Un po’ più disorganizzate e molto più povere però potevamo quasi concorrere con loro.
Il giorno dopo, come promesso, Edith aveva raccolto la folla di donne e ci eravamo trovate all’Hotel de Ville, pronte ad unirci al gruppo principale di parigine che stava diventando sempre più numeroso. A guidarci nell'impresa c'era una delle maggiori sostenitrici dei diritti politici e civili delle donne, Théroigne de Méricourt. Era una delle nostre paladine inizialmente ma é andata incontro ad un triste destino, te le parlerò in seguito.
Diluviava ma non ci lasciammo spaventare e ci avviammo verso Versailles: durante il cammino si unirono a noi anche molti uomini armati.
“Se io me la trovo davanti questa pistola gliela faccio mangiare!”-minacciava Etienne”le faccio passare la voglia di scoparsi Fersen e compagnia”.
“Non sei l’unico, Etienne.
Quella puttana… e suo marito, quello smidollato!
Pensate, dicono che ripari orologi!
Quale re ripara orologi?
Per sentirsi simile agli artigiani!
Non ha nemmeno una vaga idea di cosa vuol dire lavorare seriamente dalla mattina alla sera per mantenere una famiglia!”-intervenne scettico Jean”sapete cosa ha detto la regina quando Marat ha scritto che il popolo si lamentava perchè non aveva cibo e che il re avrebbe dovuto svegliarsi?
Ha detto:”Se non hanno pane,che mangino brioches!”, vero Irène?
Se me le fornisce lei le brioches le mangio volentieri!
Quella grandissima sgualdrina!
Il veleno le farei mangiare, altrochè!”
Etienne tornò alla carica:” Un po’ di tempo fa ho sentito dire perfino che l’”Autrichienne” avrebbe fatto costruire una specie di villaggio di contadini a Versailles, dove si divertirebbe a fingere di essere povera, a condurre una vita come quella che nella sua mente malata immagina sia quella dei contadini, alleva anche le capre!
Oltre a spendere il denaro della povera gente, la deride.
Ci rendiamo conto di quanto è perversa?”.
Riconobbi un volto famigliare tra la folla, una donna sui cinquant’anni si avvicinava a noi: mia suocera.
“Oh mio Dio! Avete litigato? Non voleva che Jean partecipasse alla Rivoluzione? Non mi dire… è finita che ha sposato per caso tuo padre?”.
Mi misi a ridere:”William, che fantasia galoppante che hai!
No, strano ma vero, andavo d’accordo con Gabrielle.
E comunque era sposata, anche se ormai la sua situazione sentimentale era pressoché inesistente.
Sai, quando Jean aveva dieci anni, suo padre aveva deciso di andare in America a cercare fortuna accompagnato dal figlio maggiore, Mathieu.
Inizialmente Gabrielle e Jean avrebbero dovuto raggiungerli ma poi gli anni erano passati, Jean aveva conosciuto me e Gabrielle aveva definitivamente deciso di rimanere a Parigi: la famiglia si era ricongiunta cinque o sei volte ma per la maggior parte delle volte approfittavano di me regolarmente per scrivere lettere in America.
La Guardia Nazionale non ci fermò: riconoscemmo Adrien che ci squadrava con aria di approvazione.
Al pomeriggio riuscimmo ad arrivare alla reggia, sempre sotto una pioggia battente.
Alcune donne invasero l’Assemblea Nazionale mentre io, le mie amiche e qualche altra donna, riuscimmo a farci ricevere dal Re.
Attraversammo le sale a bocca aperta, stupefatte da tanta magnificenza.
“Dite che se mi metto quell’angioletto d’oro nella tasca se ne accorgono?”-domandò Thèrese mentre Edith osservava gli orologi del Re:” Non ci posso credere! Guardate, ci sono davvero!
Gli orologi di cui parlava Jean!".
Louison Chabry era una scultrice che si era proposta per chiedere il pane a Louis XVI ma svenne appena si trovò al suo cospetto così mi feci avanti io stessa.
Il re promise che avrebbe fatto distribuire il grano sequestrato nei dintorni di Parigi e noi ci credemmo, come gli idioti.
Nel frattempo, a sera tardi, la Guardia Nazionale guidata da La Fayette raggiunse Versailles per cui riuscimmo a consultarci brevemente con Adrien.
Passammo il resto della notte a ubriacarci e mangiare, sorvegliando i cancelli d’entrata.
Alcuni manifestanti arrivarono a prendere un cavallo e arrostirlo sul fuoco: era buono.
Poi ci ritirammo nelle stalle ma verso le 6.00 del mattino ci svegliammo e controllammo la situazione mentre gli uomini si occupavano di eliminare le guardie del corpo del re.
Spaventati,i reali si rifugiarono nel palazzo ma noi ci mettemmo a gridare forte che si affacciassero la balcone e arrivò la putain, cercando di impietosirci con i bambini a fianco.
Le urlammo che volevamo vederla venire a Parigi e dopo un po’ riuscimmo nel nostro intento: mentre la carrozza reale usciva ci aggrappammo ai finestrini, insultandola con le peggiori parole che conoscevamo.
Etienne sventolava una picca gocciolante sangue, con infilzata in punta la testa di una guardia:”Uhm hai visto la tua guardia del corpo? Era terrorizzato mentre lo accoltellavo, non puoi capire che soddisfazione è stata poi decapitarlo!”.
"Etienne lo ha ucciso, io l'ho decapitato, la precisone è importante!"-puntualizzava Jean,ridendo come un folle insieme all'amico.
“Si, è stato bello!
Allora verrò alle Tuileries a prendere il pane, Maestà!”-sghignazzava Edith ”però fammelo preparare più sul tardi, diciamo verso le 9.00, panettiera di Francia!”.
“E non dimenticare la cioccolata calda!”-rideva Marion, imbrattando il vetro di ditate mentre la regina stringeva i bambini.
“E’ tempo che i bambini capiscano il mondo vero, lascia che guardino!”-gridavo”lavoro per l’uomo che ti ha insultata sul giornale, sai?”.
"Beh, direi che per oggi ti ho fatto abbastanza accaponare la pelle Cittadino, mi sembri un po’ palllido”.
“No Iréne, anche se devo ammettere che non deve essere stato un bello spettacolo.
Posso capire però quanto foste arrabbiati e non biasimo i vostri gesti”.
“Volevo ben vedere.
Scusami ma continuiamo domani, adesso ho un impegno e devo proprio andare”-conclusi, dirigendomi in fretta giù per le scale e uscendo nella nebbia.

ANGOLO AUTRICE: Bonsoir! :)
Scusate se aggiorno così in ritardo ma dovevo studiare, ieri avevo un esame (ho preso 25, yeahhh!).
Comunque dite che Maxime è davvero morto o Jean ha sempre ragione e Irène si sbaglia?
Questo capitolo è lungo e incentrato principalmente sulla marcia su Versailles, era necessario.
Ci ho impiegato una giornata intera a scriverlo il più preciso possibile, tra ricerche per perfezionarmi e tutto (scusate per il finale scrauso): devo dire che però insultare Marie Antoniette da un senso di liberazione.
Il giardino di cui parla Jean esiste davvero ancora oggi, se capitate a Versailles andatelo a vedere perchè devo ammettere che è molto carino!
E' l'dea di fondo che è malata.
Scopriremo presto il seguito, ci saranno altre sorprese e capiremo di più su un paio di personaggi… indovinate chi?.
Grazie e alla prossima! :)
Jenny
PS: ovviamente la parte della rivolta a Marsiglia è inventata e non so nemmeno se fosse possibile quello che è successo a Maxime ma immaginatelo dai!
Tutto il resto però è rigorosamente fatto storico con l'aggiunta dei personaggi, come sempre.
(Si, pure quella del cavallo, giuro!
Non la sapevo, l'ho scoperta oggi ahah!) xD .

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Capitolo 10
*** Dans l'obscurité ***


“William perdonami se ieri sera sono andata via di corsa, ero di fretta.
Riprendiamo pure.
Direi che possiamo direttamente passare al 1790, non ci sono stati grandi stravolgimenti per quello che riguarda  la nostra vita… anzi no, adesso che ci penso a novembre è stato fondato il club dei Giacobini”.
“E Robespierre? Come hai potuto dimenticarti di parlarmi di lui? Voglio sapere tutto”.
Guardai il mio collega con aria di compatimento:” Lo saprai, non ti nasconderò niente, stai tranquillo.
Robespierre presto entrò nel Club, inoltre era intervenuto a volte all’Assemblea Nazionale e era presente durante il giuramento della Pallacorda.
Tutto qui per ora.
Non era ancora un personaggio fondamentale, non mettermi fretta nel racconto perfavore.
Tutto a suo tempo.
E poi scusa, io ti sto narrando di qual è stata la mia esperienza con la Rivoluzione, non un saggio storico!
I rivoluzionari compariranno ma faranno da sfondo e non sono certo limitati a Robespierre, come mi sembra di capire pensiate voi inglesi.
Continuavo a gestire gli aiuti per le donne, anche se facevo sempre più fatica a risparmiare denaro: cercavo lo stesso di non perdermi d’animo.
Prima di cominciare con questa parte devo però fare un salto indietro nel tempo per introdurti il discorso e spiegarti in che rapporti ero e sono con i miei amici, dato che alcuni di loro assumeranno un chiave in alcuni punti della vicenda.
Dopo aver lasciato la Provenza, mi ero arrangiata un po’ a piedi e un po’ nascondendomi dentro carri che trasportavano merci oppure aggrappandomi al retro delle carrozze, senza farmi notare e saltando giù un attimo prima che si fermassero.
Madame Delacroix, preoccupata per me, mi aveva consegnato un po’ di denaro che però utilizzavo per mangiare quindi non mi potevo permettere di pagarmi il trasporto, senza contare che dovevo cercare di non farmi riconoscere prima di potermi confondere tra la folla di Parigi.
Giunsi a Parigi dopo alcuni giorni di cammino: ero spaesata, stanca, impaurita e sola.
Cercai di ambientarmi il prima possibile e trovai lavoro come cameriera in un Cafè abbastanza squallido, frequentato per la maggior parte da operai, vagabondi e prostitute: lo chiamavamo Cafè ma non posso negarlo, il primo vero Cafè di Parigi è stato il Cafè Procope.
Quello dove lavoravo all’epoca era poco più di una bettola.
Presto cominciai a notare tre ragazzi che arrivavano sempre alla stessa ora, si sedevano ad un tavolo e cominciavano a bere: spesso non avevano nemmeno il denaro per pagare ma lasciavano un debito da saldare che ogni giorno si allungava di più, promettendo di saldarlo in breve tempo.
A volte portavano con sé due ragazze, un po’ più grandi di me.
Mi sarebbe piaciuto essere parte di quella compagnia, sembravano tutti simpatici.
Un giorno però uno degli operai mi parlò:” Sai, ci stavamo chiedendo, tu non sei di qui, giusto?
Cosa ci fa una ragazzina tutta sola a Parigi?
Non è un posto sicuro, potresti incontrare persone come noi.
Quella signorina li-disse, indicando una delle due ragazze, che portava addosso un grembiule sporco di cenere e macchiato delle varie schifezze che si trovano nella Senna-quella signorina lì dice che ha sentito un accento come il tuo solo ad una lavandaia che lavora con lei, viene dalla Provenza, vero Marion?
Tu non sei di Parigi? Cosa ti porta qui?”-continuò lui, prendendomi per un braccio e facendomi sedere sulle sue gambe.
Sul momento io gli risposi sgarbatamente, dicendogli che non erano affari suoi e cercai di alzarmi.
Come risultato, la sera dopo si presentò al Cafè da solo.
Mi disse che voleva scusarsi per avermi preso in giro e dato fastidio e mi chiese se poteva aspettarmi dopo il turno: da quel momento la mia vita sarebbe cambiata.
Con il tempo iniziai a frequentare il suo giro e strinsi una forte amicizia con le ragazze mentre gli amici di Jean diventarono praticamente i miei consiglieri, finalmente avevo trovato modo per essere accettata e dare una svolta alla mia vita.
Come ti ho già detto, con gli anni ci siamo aiutati, confidati, sostenuti nei peggiori momenti.
Non ci sono mai state vere gelosie nella nostra cerchia, comportamenti scorretti… forse ti sarai chiesto perché ho lasciato che Jean accompagnasse Véronique a casa senza andare con loro, ti sembrerà strano quando ti racconterò a chi ho affidato i miei figli… semplicemente, ci siamo sempre fidati gli uni degli altri.
Se non ci fossero loro non so nemmeno come faremmo io e Jean a vivere in questa terra ostile ai francesi”.
“Aspetta Cittadina… vuoi dire che sono sopravvissuti tutti alla Rivoluzione?
Anche i tuoi amici vivono a Londra?
Devo assolutamente incontrarli, ormai per me sono dei personaggi come quelli di un romanzo, li ammiro moltissimo.
Quando potrò conoscerli?”-supplicò William.
“Si sono qui in Inghilterra ma per ora non ti dico altro.
Forse proseguendo nella storia, in un momento molto delicato, lascerò che sia Adrien stesso a narrare, vuoi conoscerlo?.
Ci ha salvato la vita sai?
Senza il suo aiuto Jean non sarebbe più qui e probabilmente nemmeno io”.
“Ma non era un uomo violento che picchiava Thèrese?
Da come me lo avevi descritto sembrava un grandissimo bastardo!”.
“Non era sempre stato così.
Un paio di anni prima rispetto ai fatti che ti sto raccontando, Thèrese era rimasta incinta.
All’epoca lavorava come infermiera all’ospedale militare di Les Invalides, tra i veterani di guerra.
Ogni tanto però si trovava ad avere a che fare con degli ex militari colpiti duramente dalle battaglie, alcuni violenti e incontrollabili.
Una sera uno di questi l’aveva aggredita mentre lei lo medicava e aveva tentato di fuggire: l’aveva spinta per terra e Thèrese aveva perso il bambino.
Quando si era ripresa, il medico le aveva comunicato che sarebbe stato difficilissimo che avrebbe potuto avere altri figli, ci sarebbe praticamente voluto un miracolo.
Le aveva consigliato di arrendersi all’idea di non diventare mai madre.
Thèrese era distrutta.
Aveva fatto tanto di quel piangere… continuava a dire che era una buona a nulla, una donna inutile che non era stata nemmeno capace di dare un figlio a suo marito, una fallita.
Adrien aveva reagito anche peggio.
Era deluso e infuriato.
Era arrabbiato con Thèrese, era arrabbiato con se stesso perché non si era opposto quando lei aveva insistito a continuare a lavorare come infermiera, ben sapendo che avrebbe corso il rischio di essere aggredita da qualche veterano impazzito, come poi era accaduto.
Aveva cominciato a bere per dimenticare la vicenda, a maltrattare e picchiare Thèrese, facendole pesare il fatto che non avrebbero mai avuto figli e trattandola come uno scarto, una nullità.
Voleva quasi lasciarla e buttarla in mezzo ad una strada:sia Jean che Étienne avevano provato a far ragionare il loro amico ma entrambi con scarsi risultati, il rapporto con Thèrese sembrava ormai compromesso.
Poi, stranamente, da quando era scoppiata la Rivoluzione, da quando era riuscito ad entrare nella Guardia Nazionale, aveva trovato un nuovo scopo nella vita: combattere per la propria patria.
Con il tempo aveva smesso di bere, aveva cercato di cambiare e era riuscito a riappacificarsi con la moglie: si erano fatti forza a vicenda per continuare a vivere.
Poi era entrato in scena il piccolo Gèrard, che si era affezionato moltissimo ad Adrien.
Erano legatissimi, per Adrien con il tempo era diventato come un figlio e il ragazzino, che aveva bisogno di un padre dopo l’esperienza con Serge, lo adorava e lo prendeva ad esempio in tutto.
Passò un po’ di tempo e ricevetti una lettera, questa volta da parte di Madame Delacroix.
Lessi le sue parole e cominciai a capire alcune cose che in precedenza mi erano sfuggite, cominciai ad immedesimarmi sempre di più nella mente perversa di Armand e a comprendere fino a che punto si stava spingendo il suo piano per rivedermi e vendicarsi a suo dire.
La povera Madame era disperata.

“Cara Irène,
scusami se non hai ricevuto mie lettere per lungo tempo, non vorrei che ti fossi preoccupata.
Riesco solo ora ad essere libera di scriverti poche righe per spiegarti la situazione e metterti in guardia, appena ci vedremo ti spiegherò anche il motivo del mio silenzio.
Oh mia povera Irène, sei in pericolo!
Guardati le spalle!
Ho paura per te, cara.
Armand è completamente impazzito, ultimamente parlava spesso di voler venire a Parigi per cercarti, da quasi un anno ormai non ho più sue notizie ma ho motivi fondati per pensare che abbia proseguito nel suo intento.
Sempre che questa lettera ti giunga in tempo e che quel decerebrato non ti abbia già fatto del male, ti chiedo di venire in Provenza, ti devo spiegare le cose più nel dettaglio.
Ti prego di stare attenta!
Non intraprendere questo viaggio da sola, fatti accompagnare da tuo marito o da qualcuno di fidato,perfavore non rischiare.
Ti ripeto, sii molto cauta, Armand a quest’ora avrà mandato uomini fidati in giro per tutta Parigi se davvero ti ha raggiunta, è capace di tutto e in più di questi tempi non si è mai troppo prudenti.
A presto Irène!
Ti aspetto,
tua affezionata e sempre grata
Madame Delacroix".


Quando me ne ero andata non avevo pensato che Madame potesse essere così in pericolo, erano inoltre passati cinque anni da quel giorno e lei non  aveva mai lasciato trasparire preoccupazione in quel senso per cui non ne avevamo più parlato.
Non sapevo a cosa si potesse riferire e per quale motivo richiedesse la mia presenza però ritenni opportuno darle ascolto.
Capivo che sarebbe stato rischioso e avrei preferito poter prima parlare con Armand a quattr’occhi adesso che ero messa alle strette però non c’era tempo e mi vidi costretta ad agire tempestivamente.
Domandai a Marion di venire con me, non avevo il coraggio di dire la verità a Jean.
Raccontai che dovevo andare in Provenza per sistemare alcune faccende con mio padre e i miei fratelli e che sarei tornata in circa una settimana: lui non si fidava per niente.
“Irène, di solito cerco di non essere oppressivo e non ti obbligo a seguire la mia volontà se non per scelte particolarmente gravi.
Mi spiace dirtelo ma questa volta ci troviamo in uno di quei momenti: non ti lascerò andare in Provenza da sola.
E’ inutile che tu chieda a Marion di accompagnarti, non voglio che tu vada in giro da sola di questi tempi.
Merde, Irène!
Chiedi a tuo padre di venire qui!
Se dovesse accaderti qualcosa non potrei perdonarmelo.
Non posso nemmeno accompagnarti perché devo lavorare altrimenti non mangiamo.
E con che soldi pensi di compiere il viaggio?
Per l’amor del cielo, è un’assurdità!
Non ti permetterò di intraprendere questo viaggio, a costo di piazzarmi davanti alla porta e sbarrarti la strada per giorni!”-sbraitava.
Étienne era dello stesso parere e camminava avanti e indietro per la stanza di Belleville, nervoso.
Philippe e Jaques osservavano la scena preoccupati, volgendo lo sguardo ora al padre ora alla madre, che stava sistemando degli abiti in un sacco per partire.
“Voi siete pazze!
Ma il più pazzo è tuo padre Irène, scusa se mi premetto !
Perché ti chiede di affrontare un viaggio del genere?
Non è una buona idea per  te ma quello te lo avrà già detto Jean e non permetterò che Marion ti segua.
E’ rischioso!
Potreste venire arrestate, aggredite… o peggio.
No, non se ne parla.
Marion, metti a posto la tua roba, tu resti qui e chiudiamo il discorso!
Senza contare che una settimana senza di te significa una settimana senza metà del poco denaro che usiamo per vivere, una settimana senza pane e i bambini da soli mentre io lavoro.
Assolutamente no, toglitelo dal cervello!”-concluse, strappandole di mano il sacco.
Alla fine dopo lunghi discorsi,preghiere e trattative riuscimmo a convincerli entrambi, anche se non la smettevano di cercare di dissuaderci e non ci perdonarono mai di avergli disubbidito.
Intraprendemmo un viaggio lungo e davvero pericoloso,praticamente senza denaro: ci inoltrammo in strade secondarie, salimmo di nascosto sui carri che trasportavano merci per accorciare le distanze.
Arrivammo ad Arles: la villa si trovava fuori città per cui ci inoltrammo attraverso i campi di lavanda che in quella stagione erano sfioriti e conferivano all’ambiente un aspetto inquietante e tetro.
Pensai a quanto fosse bello d’estate, quando si trasformava in un paesaggio degno di un quadro, a quanto avrei voluto che mio figlio potesse vedere quei luoghi.
Chissà, forse un giorno torneremo in Francia e porterò lui e sua sorella in Provenza, non si può mai dire.
Eccola là, davanti a noi, villa Delacroix.
Il giardino era tenuto così male da sembrare abbandonato ma una carrozza era ferma sul viale, segno che in casa c’era qualcuno.
Mi fermai fuori dal cancello e fissai Marion, tremando.
“Non siamo qui per tuo padre, vero Irène?
C’è qualcosa’altro?
Non so cosa ci facciamo, cosa ti è successo di così grave e ad essere onesta forse non voglio nemmeno saperlo ma ti dico di entrare in quella casa e sistemare i conti con quelle persone, almeno non ne verrai più ossessionata.
Fidati di me, è meglio così”.
Le dissi che si trattava di una questione puramente economica però con delle persone molto potenti, il che poteva rivelarsi più pericoloso del previsto.
Parve crederci.
“Aspettami qui e se senti dei rumori strani, se vedi qualcosa di sospetto, scappa.
Scappa Marion, fuggi da questo luogo maledetto e non voltarti indietro.
Non cercare di salvarmi”-aggiunsi prima di voltarle le spalle e inoltrarmi nel viale, senza darle il tempo di rispondermi.
Bussai alla porta e dopo pochi secondi venne ad aprirmi una donna di mezza età, la vecchia nutrice dei fratelli Delacroix, con gli anni messa poi a capo delle cameriere di casa.
Perfortuna le era stato comunicato il mio arrivo e si comportò con discrezione.
“Irène! Erano cinque anni che non tornavate a trovarci! E’ bello rivedervi-sussurrò-venite, Monsieur Frédéric e Madame vi stanno aspettando.
Salii le scale e raggiunsi più in fretta possibile il salotto, cercando di non prestare attenzione all’ambiente circostante, che mi richiamava moltissimi ricordi, alcuni per niente piacevoli.
Prima ancora che varcassi la soglia, un uomo mi si avvicinò.
“Irène!
Quanto tempo!
Vieni, non avere paura.
Sei sola?
Dio mio quanto sei cambiata, sei davvero splendida”-sorrise.
Frédéric Delacroix, il fratello maggiore di Armand ma era completamente il suo opposto.
Un vero gentiluomo.
Molto galante, educato e intelligente, si occupava degli affari di famiglia e delle terre dei Delacroix, lavorava inoltre come uomo d’affari tra la Francia e l’America: Madame era molto soddisfatta di lui.
Seduta su di una poltrona di velluto rosso davanti al caminetto intarsiato in marmo, elegantemente vestita, intenta a leggere una vecchia lettera giallastra e consumata dal tempo, stava proprio lei, Madame Delacroix.
 “Madre, Irène è arrivata.
Siediti, adesso parliamo.
Cameriera,portateci del caffè e non fate entrare nessuno, non voglio essere disturbato”-ordinò Frédéric ad una giovane ragazza, mentre si accendeva un sigaro e mi faceva segno di prendere posto su di un divanetto.
A quel punto Madame Delacroix si alzò e venne verso di me: osservandola mi resi conto che sembrava molto invecchiata dall’ultima volta che l’avevo vista, quei cinque anni l’avevano segnata.
“Irène!
Allora è proprio vero, sei qui!
Sia ringraziato il Cielo!”-mi abbracciò.
“Ma guardati, che donna sei diventata!
Dimmi, raccontami un po’ di te cara.
Sei sposata e hai un bambino, giusto?
Sono davvero felice che tu possa esserti rifatta una vita “- mi disse”te lo meriti davvero dopo quello che hai passato.
Vendi ancora i giornali?
Sai, secondo me tu avresti le capacità per scriverli, sei veramente brava, quando te ne sei andata hai lasciato qui alcuni dei racconti che scrivevi da ragazzina e mi sono permessa di leggerli, hai talento!”.
Arrossii dalla vergogna: mi sarebbe piaciuto diventare scrittrice ma avevo abbandonato tutto quando me ne ero andata dalla Provenza poi vi avevo rinunciato definitivamente per amore di Jean e mi ero dedicata alla vendita dei giornali: non rimpiangevo la scelta che avevo fatto e non me ne ero mai pentita.
Madame riprese spiegandomi ciò che era accaduto da quando me ne ero andata, molto più nel dettaglio di quanto non sapessi.
Armand aveva vissuto qualche mese alla villa poi era stato costretto da suo fratello a sposare la figlia di una ricca amica di Madame e ad allontanarsi per sempre.
Però dopo poco era tornato, aveva ripudiato la moglie e, approfittando del fatto che Frédéric stesso si era sposato e si era trasferito momentaneamente in America, aveva costretto Madame a non avere più contatti con il mondo, le aveva proibito di spedire lettere e l’aveva obbligata a vivere come una reclusa in un’ala della villa, diffondendo la voce che non si faceva più vedere in giro perché era molto malata.
Aveva saputo che mi scriveva regolarmente e che mi raccontava i suoi movimenti, che c’era una specie di accordo tra noi: per questo se l’era presa con lei.
Madame però era riuscita un giorno a mandare una lettera allarmata a Frédéric, che era tornato in fretta e furia dall’America e aveva avuto un’accesa discussione con Armand, conclusasi in una rissa feroce al termine della quale il minore era completamente uscito di senno, era andato via sbattendo la porta, insultando madre e fratello  e giurando che si sarebbe vendicato, che mi avrebbe trovata e me l’avrebbe fatta pagare, a qualunque costo ma non prima di avermi nuovamente conquistata perché non aveva mai smesso di amarmi.
Era partito per Parigi, o almeno, così avevano ipotizzato, e non ne avevano più saputo niente, per cui si erano convinti che le sue erano solo minacce.
Nel dubbio però Madame mi aveva scritto per avvertirmi: peccato le sue lettere fossero arrivate in ritardo perché prima di andarsene Armand aveva lasciato dei suoi fedeli alla villa che potessero controllare Madame e la sua corrispondenza al posto suo e aveva fatto in modo di mandare in crisi gli affari di famiglia in America, costringendo Frédéric a ripartire subito se voleva salvare i Delacroix dalla rovina.
“Così lo hai incontrato?
Ti perseguita?
Ti segue e ti minaccia?
Oh mio Dio, è terribile!
Credevo che lo dicesse solo per spaventarmi, non pensavo arrivasse davvero a questo punto!
Oh Irène, mi dispiace talmente tanto!
Credimi, mi vergogno di averlo messo al mondo.
Per quanto mi riguarda ormai da molto tempo non ho che un figlio, Frédéric.
Non avrei immaginato che Armand potesse creare tanto dolore, ti chiedo perdono io per lui”-mormorò Madame, abbassando la testa.
“Perché non lo hai fatto arrestare? Non farti scrupoli sul fatto che è mio figlio, è un uomo malvagio.
Somiglia sempre di più a suo padre…”.
“Madame, lo sapete meglio di me quanto possa essere rischioso per me mettermi contro di lui…”.
Frédéric non riusciva a trattenere la rabbia: si alzò di scatto dalla poltrona,afferrò la giacca e caricò la pistola:
”Ora basta.
Io lo ammazzo!”-urlò, mentre si avviava verso la porta come una furia: solo il mio tempestivo intervento riuscì a convincerlo a calmarsi.
“E’ completamente impazzito!
Devo trovare un modo per fermarlo prima che ti faccia del male Irène.
Lascia che venga anche io a Parigi con te, posso cercarlo e sistemare le cose.
Dimmi, adesso tu come vivi?
Partecipi alla Rivoluzione?
Può darsi che Armand ne rimanga coinvolto e venga annientato senza aver bisogno del mio intervento, anche se lo reputo un colpo di fortuna improbabile.
Ormai dopo tutto quello che ha combinato e dopo quello che ha fatto a mia madre e a te, non lo ritengo più mio fratello quanto, piuttosto, un nemico”-concluse Frédéric.
Io però fui irremovibile:” Ti ringrazio per esserti offerto di aiutarmi ma non posso accettare.
Mio marito Jean non sa nulla di questa storia, è convinto che io sia qui per parlare con mio padre... non voglio rivelargli nulla, devo risolvere da sola questo problema.
Voi potete gestirlo da qui però se riuscissi a far trasferire le spie di Armand che hai già fatto catturare in un’altra prigione, lontana dalla Provenza… magari potremmo essere più liberi”-proposi.
“Sai Irène, anche Maxime la pensa come noi.
E’ stato qui circa, quanto sarà? Un paio di settimane fa forse.
Era ferito, si è trascinato a casa nostra e ci ha pregati di nasconderlo e curarlo.
Perfortuna si è ripreso, anche se per qualche giorno abbiamo temuto il peggio.
Ho pensato che ti fosse venuto a cercare a Parigi, sai, è diventato un disertore adesso che si è unito ai ribelli, è anche lui in pericolo.
Volevamo aiutarlo di più ma se ne è voluto andare, non ha detto dove.
Ci ha detto di averti scritto ma evidentemente tu non hai ricevuto le sue lettere”-spiegò Madame.
Con un soffio di voce, sussurrai:”Maxime? Maximilen, mio fratello? E’ impossibile, mio padre mi ha scritto che è morto durante gli scontri…”.
“A patto che non sia stato tanto pazzo da partecipare ad altri scontri dopo essere venuto a chiedere il nostro aiuto, Maxime non è morto…
Certo, era ferito ma si è ripreso, te l’ho detto, lo ha curato un medico molto bravo.
Cosa va mai dicendo Monsieur Fournier?”-domandò Madame.
Stentavo a crederci e raccontai loro ciò che mi era stato riferito da mio padre: la mia vita stava prendendo  dei risvolti misteriosi e imprevedibili, ogni giorno più inquietanti.
Mi fidavo di più della versione dei Delacroix: aveva ragione Jean quando mi aveva detto che secondo lui Maxime non era morto.
Aveva sempre ragione Jean.
Era vero, per questo genere di cose era molto più portato lui di quanto potessi esserlo io: era stato un ragazzo di strada, si accorgeva subito degli inganni e delle zoppicanti scuse inventate da un provinciale, per niente scaltro.
Mon amour, tuo padre ha la mente da ladro.
Da ladro di infima specie mischiato con un bigotto, semplice cocchiere di provincia molto più ignorante di ciò che vuole far credere.
Sicuramente vuole qualcosa da te, vuole farti cadere in trappola, probabilmente per spillarti del denaro.
Però non gli è chiaro come riuscirci quindi tenta degli espedienti ma non sa che ci sono io a metterti in guardia”-me lo diceva sempre.
Ancora oggi, quando capita di riparlare di mio padre, si mette le mani nei capelli.
Cercai di elaborare la versione dei Delacroix su ciò che era successo a mio fratello, poi dissi loro che ero stata accompagnata lì da una mia amica:si offrirono di ospitarci nelle stanze libere della villa.
Marion mi stava aspettando fuori dal cancello già da un’ora per cui le feci segno di entrare.
Ovviamente non le raccontai la verità,così come non le accennai nulla riguardo a Maxime: mi limitai a dirle che i due erano coloro per cui mio padre lavorava e, dato che si era ammalato, ero dovuta venire io per sistemare alcune faccende economiche con loro: lei pensò che tutta la mia paura fosse causata da debiti ingenti da pagare e mi limitai a farle credere che fosse esattamente così.
 *******
Mentre io e Marion ci trovavamo in Provenza, le nostre amiche si occupavano delle donne in difficoltà: eravamo riuscite ad allargare la nostra cerchia e a mettere da parte abbastanza denaro da fornire un piccolo aiuto economico a quasi tutte coloro che si rivolgevano a noi.
Una sera, mentre loro si riunivano per decidere come aiutare le nuove arrivate, a Saint Germain un uomo stava camminando per la strada, stava tornando a casa dal lavoro dopo essersi fermato con gli amici in un Cafè.
Era solo e non aveva il minimo presagio di quello che sarebbe accaduto.
Si trovava davanti alla casa del Cittadino Danton quando gli era parso di udire un fruscio nel buio ma aveva pensato che fosse il vento.
Un’ombra scura stava appostata in un vicolo che l’uomo attraversava sempre per accorciare il percorso: l’ombra lo aveva spiato evidentemente e conosceva le sue abitudini.
L’uomo in questione era giovane e forte ma in quel momento era stanco per la giornata passata al lavoro, era solo e la fantomatica sagoma era accompagnata da cinque altre simili.
Ordinò che il ragazzo venisse aggredito e appena questi si inoltrò nel punto più buio del vicolo, i cinque scagnozzi gli piombarono addosso e lo massacrarono di botte, calci e pugni.
Uscì dal suo oscuro nascondiglio e lasciò scivolare un biglietto nella tasca della giacca che il sanculotto indossava, completò l’opera portando via i pochi soldi che aveva guadagnato quel giorno per sfamare la famiglia in modo da simulare un semplice furto, poi la misteriosa ombra se ne andò.
 *******
Io e Marion rimanemmo a villa Delacroix un paio di giorni poi ripartimmo e mi misi d’accordo con Madame e Frédéric che ci saremmo scambiati informazioni sui movimenti di Armand e che se ci fossero state novità avrei preso un decisione su come comportarmi”.
“Armand era proprio ossessionato da te.
Maltrattare così tanto sua madre e suo fratello, mostrare tanta ostinazione nel venire a cercarti a Parigi…
A me personalmente fa paura questa vicenda.
Non so come hai fatto a sopportare tutta questa pressione e costante preoccupazione, Cittadina”.
“Ci si abitua a tutto, William.
Ti stavo dicendo, le mie amiche stavano parlando del fatto che era stato concesso il voto per censo agli uomini: fantasticavano che lo stesso sarebbe accaduto anche per le donne, prima o poi.
Sentirono bussare alla porta e qualcuno lamentarsi .
Non aprirono subito: spensero tutte le candele e rimasero in silenzio; avevano paura di essere state scoperte.
Poi la voce si fece più debole, gemeva e chiedeva aiuto; sembrava una voce conosciuta: un terribile dubbio si fece strada nelle loro menti.
Edith aprì la porta, lentamente.
Étienne crollò a terra, svenuto.

ANGOLO AUTRICE: Bonjour! :)
Scusate il ritardo ma ho avuto molto da fare e non ho potuto aggiornare prima, anzi vi comunico che gli aggiornamenti potrebbero subire dei ritardi perché sono impegnata con gli esami ma prima o poi il tempo per aggiornare lo trovo, non ho abbandonato la storia.
I misteri si infittiscono eh?
Armand è sempre più odiato ahah ( se lo merita) mentre abbiamo capito di più su Adrien e Thèrese.
Jean ha un fiuto particolare per le situazioni sospette: Maxime a quanto pare è vivo.
Ci fidiamo dei Delacroix o di Monsieur Fournier?
Cosa sarà capitato al fratello di Irène?
Perchè i due fratelli non riecono a ricevere l'uno le lettere dell'altra?
Mah... xD .
Vi è piaciuto il capitolo?
Il finale lascia ancora una questione da risolvere, certo i pericoli ormai sono in agguato.
Nel prossimo forse mi dedicherò di più ai fatti storici, perdonatemi ma è necessario.
Alla prossima e grazie!
Jenny

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Capitolo 11
*** Amitié ***


Quando entrai nell’ufficio di William quella sera, lui stava guardando fuori dalla finestra la gente che affollava la strada.
“William?”-domandai mentre la ragazza che era con me si guardava intorno, esaminando la stanza.
“Uhm, che lusso! Non avevo mai visto uno studio di un giornalista, guarda che poltrone!
E questo tagliacarte?
Ma è d’argento costellato di pietre preziose!
Chissà quanto vale…”-si domandava la ragazza bionda, toccando ovunque e maneggiando l’oggetto appoggiato sulla scrivania.
“Piantala Edith, siediti e chiudi il becco o penserà che siamo delle ladre”.
“Oddio...da ragazzine un po’ lo eravamo…e poi è proprio carino il tagliacarte… perché non te lo sei ancora portato via Irène?
Stai perdendo colpi amica mia!”.
“Edith! Smettila! Non abbiamo più quindici anni e non siamo nelle strade di Parigi dove tutto è lecito!”-dissi, tirandole un leggero calcio sulla gamba.
“Uff va bene… però a Montmartre ci voglio tornare!”.
“Lo sai perché non possiamo tornare a casa Edith… almeno non per ora.
Anche a me manca, cosa credi?
Pensi che mi faccia piacere stare qui, parlare con la maggior parte delle persone in una lingua che non è la mia, sentirmi sempre osservata dall’alto in basso come se fossi uno scarto umano?”.
Il mio collega si voltò, sorpreso:” Scusa Irène, ero sovrappensiero, non ti ho sentita arrivare.
Oh ma siete in due!
Tu devi essere Edith, vero?
Beh, benvenuta Cittadina.
Miss Ada, portatemi un’altra sedia perfavore.
E anche dell’inchiostro nuovo e dei fogli per prendere appunti”-urlò William, alla sua assistente.
La donna entrò con la sedia, sbraitando e ci squadrò, prima me poi Edith, soffermandosi su di lei con estrema attenzione.
“Oh la francese!
Anzi, sono due questa volta!
State attento Mister Jones, per carità!
Che Dio ci protegga!-aggiunse, con tono melodrammatico.
“Francia, terra di lussuriosi e peccatori.
Guardate i visi di queste ragazze, i loro occhi pieni di malizia e falsità… ragazze di strada, ladre…ragazze senza pudore che si dedicano ai peccati più bassi, che sicuramente concedono il loro corpo a chiunque nei vicoli più malfamati, ogni notte.
Magari sono delle spie del governo!”-sussurrò.
Io e Edith eravamo letteralmente a bocca aperta mentre William stava arrossendo di imbarazzo.
“Ada, ora non esagerate.
Queste ragazze hanno passato e passano una vita molto difficile, convivono con la povertà, le difficoltà e le disgrazie tutti i giorni, un po’ di rispetto perfavore.
Non spetta a noi giudicarle”.
“Va bene Mister Jones.
Però io continuo a sostenere che non mi piacciono e che non mi fido di loro.
Ah questi giovani… pur di poter far colpo su delle straniere sarebbero disposti a fare di tutto… prestate attenzione Mister Jones.
God bless United Kingdom and God bless King George”-concluse chiudendo la porta.
“God bless United Kingdom and God bless King George”-replicò Edith, con falsa solennità, mettendosi una mano sul cuore.
Appena la signora se ne fu andata, la mia amica scoppiò in una risata sarcastica:”E’ sempre bello vedere quanto siamo apprezzate in questo Paese.
Possibile che siate così pieni di odio nei nostri confronti? E di bassi pregiudizi verso la gente che lavora duro per tirare avanti, verso i reietti della società?”-domandò.
Io aggiunsi:” Eppure anche voi non vi fate mancare i pub, le sale da oppio e le prostitute a Whitechapel.
Viviamo nell’East End come a Parigi vivevamo a Belleville e a Montmartre,vediamo tutti i giorni in che condizioni sono i bassifondi londinesi, anche voi ne avete di problemi, solo che la maggior parte degli inglesi fa finta di non vederli e li dilegua con uno sguardo compassionevole o qualche moneta da pochi centesimi per mettersi a posto la coscienza”.
William finalmente parlò:”Mi dispiace Irène.
Non so bene cosa dire…. Non volevo che Ada vi mancasse di rispetto, per quanto mi riguarda vuoi siete donne coraggiose e forti, siete persone che andrebbero ammirate perché nonostante le difficoltà non si lasciano abbattere e fanno del loro meglio per vivere.
Riconosco che il parere di Ada è diffuso in Inghilterra purtroppo; però posso assicurarvi che da me avrete solo rispetto.
Mi interessa davvero la vostra storia”-si scusò.
“Scuse accettate però non voglio più che quella donna si presenti davanti a me o che mi si rivolga con quelle parole.
Adesso passiamo al racconto.
Direi che può parlare Edith, visto che è stata lei a aprire la porta quella sera.
Vuoi raccontare di quando Étienne si è presentato nella nostra sede, dopo che è stato aggredito da quel ladro?”.
Edith sospirò e iniziò a parlare.
“All’inizio pensavamo di aver avuto un’allucinazione, non riuscivamo a credere che quell'uomo che era appena svenuto fosse davvero Étienne.
Dopo l’iniziale stupore però Thèrese si avvicinò e lo guardò nel viso, sanguinante.
Lo trascinammo nel letto di Vèronique mentre Thérèse cercava di capire l’entità dei danni.
Non aveva niente per medicarlo quindi raccogliemmo il nostro denaro e mandammo di corsa Sophie a compare il necessario mentre Amèlie si precipitava a Belleville per occuparsi di Philippe e Jaques invece Gèrard a Montmartre per avvisare Jean, dato che ci voleva un uomo per muovere Étienne dal letto, non pesava tanto ma io e Thèrèse non ce l’avremmo fatta, inoltre si trattava del suo migliore amico, avvisarlo era il minimo.
Étienne giaceva sul letto piegato in due, lamentandosi.
Era ricoperto di graffi, tagli e lividi, sulle braccia, sulle gambe, sulla schiena.
Aveva un occhio nero e un livido bluastro su un fianco, per un attimo Thérèse temette che gli aggressori gli avessero danneggiato gli organi interni e in effetti fu un miracolo che ciò non fosse accaduto.
Nel frattempo Sophie era tornata e aveva posato sul tavolo l’occorrente.
Cinque minuti dopo arrivò anche Jean, ansimando per la corsa che aveva fatto: Montmartre si trova quasi fuori Parigi, è lontana rispetto a Notre Dame.
Aveva lasciato Renè dalla vicina di casa e non aveva perso tempo, si era subito messo in cammino.
Appena entrò nella stanza sgranò gli occhi e tirò un calcio ad una seggiola  che si trovava accanto al letto.
“Chi è stato? Chi è stato quella specie di bestia che ti ha fatto questo?
Lo hai visto?
Dimmelo Étienne, lo ritrovo.
E’ stato Gustave, il marito di Charlotte la voleuse?
Quei due ladri maledetti, lo dicevo io che prima o poi si sarebbero abbassati a rubare anche a chi è più povero di loro!”.
Se è stato lui con i suoi compari so dove abita, al fondo della mia strada, vado a bussargli e gli spacco la faccia!
Che figlio di puttana…”.
Étienne cercò di alzarsi sul cuscino e protestò debolmente:” No.. no, non è stato Gustave, ci conosce tutti da sempre, non si sarebbe azzardato.
Nemmeno Charlotte o uno dei loro amici.
No,questi non erano dei poveri di Parigi… credo che fossero dei nobili o qualcosa di simile.
Non li ho visti bene ma ho intravisto che uno di loro portava i pantaloni come i nobili, le coulottes.
Hai visto?
Adesso… adesso se la prendono con i sanculotti, tanto loro sono sempre i più forti…”-disse, prima di ricadere sul cuscino.
All’improvviso si ricordò dei bambini e cominciò ad agitarsi dicendo che erano da soli a casa e chiedendo che una di noi andasse da loro.
Gli spiegammo che c’era già Amèlie ma lui continuò dicendo che Marion sarebbe rimasta scioccata al ritorno a casa, di farle sapere che la amava se fosse morto e che le chiedeva scusa per essersi fatto rubare il denaro, che gli dispiaceva non poterle lasciare niente per crescere i bambini, che se invece non fosse morto sarebbe rimasto fottuto con il lavoro se non si fosse presentato il giorno dopo.
Jean lo tenne fermo mentre noi pulivamo le ferite e lo medicavamo e poi gli assicurò che avrebbe parlato con il padrone.
“Il cittadino Gautier mi ammazza.
Prima ammazza me poi ammazza te Jean, se mi difendi.
Sono un uomo finito, ho perso anche il lavoro!
Quei ladri avrebbero dovuto tagliarmi la gola e completare l’opera!”.
Gli feci bere un sonnifero e pensai a come avrebbe reagito Marion al suo ritorno”.
Edith guardò l’orologio a pendolo .
“Oh com’è tardi! Devo tornare a casa in fretta, devo anche passare a portare un abito che ho cucito a una signora e poi devo portare a Marianne la gonna che le ho aggiustato!
Scusami Cittadino ma devo proprio andare|!
Irène, sai mica se Marianne è a casa?
Non voglio fare il viaggio a vuoto!”.
“Tanto sarà in giro con Philippe, Jacques e Libertè, come sempre!
Un giorno o l’altro si metteranno nei guai!
Se vedi Libertè dille di tornare a casa puntuale altrimenti suo padre si arrabbia e non sono in vena per assistere ad una scenata familiare!
C’è già Renè che è ammalato, non ho voglio di sentire anche lei e Jean che le grida dietro tutta la sera”.
Quando Edith uscì, William mi guardò confuso.
“Credo di essermi perso qualcosa… Marianne? Libertè?”.
“Tutti i nostri figli, quelli che sono ancora troppo piccoli per trovarsi un lavoro passano gran parte del loro tempo a gironzolare per i bassifondi di Londra, fingendo che siano quelli di Parigi, dove alcuni vorrebbero ritornare e che altri vorrebbero vedere per la prima volta.
Adesso continuiamo però.
Io e Marion tornammo a Parigi un paio di giorni dopo che Etienne era stato aggredito e la mia amica ovviamente si trovò una brutta sorpresa.
Perfortuna suo marito si riprese in una settimana, Jean raccontò esattamente quello che era successo al Cittadino Gautier, limitandosi a dire che erano stati ladri di strada a compiere il furto, nel dubbio non poteva certo muovere accuse.
Mi fa piacere annunciarti che era stato proposto un nuovo metodo di esecuzione capitale, quello che sarebbe diventato il nostro incubo e il nostro più grande timore negli anni seguenti: il rasoio nazionale, la ghigliottina”.
William impallidì dall’orrore.
“E come ci siete scampati? Io sapevo che ad un certo punto funzionava senza sosta dal mattino alla sera”.
Scrollai le spalle e finsi indifferenza:” Non mi piace parlare di come sono scappata al patibolo William.
La donna che ti sta parlando avrebbe meritato almeno tre o quattro volte la ghigliottina se vogliamo essere precisi ma come vedi per ora ho ancora la testa attaccata al collo, mi è andata bene.
Ero sempre tormentata dal pensiero che Armand mi stesse cercando, che stesse sondando il terreno per aspettare il momento buono e aggredirmi, da vigliacco qual’era.
I miei dubbi erano fondati purtroppo.
Decisi che lo avrei incontrato, che avrei provato a parlargli a quattr’occhi e magari sarei riuscita a risolvere civilmente i miei guai.
Meditavo cosa scrivergli quando improvvisamente mi ritrovai di nuovo ricoperta di problemi.
Marat aveva pubblicato la “Dénonciation contre Necker”, una denuncia contro il ministro delle finanze Necker che provocò l’emissione di un mandato di cattura che lo costrinse a fuggire qui in Inghilterra.
Io mi trovai senza lavoro e fui costretta ad accontentarmi di ciò che guadagnavo al Cafè Procope perché mi rifiutavo di passare ad un altro giornale, vale a dire anche ad un’altra parte politica: attesi fedelmente che Marat tornasse in città e riprendesse le pubblicazioni, ero certa che lo avrebbe fatto.
Una fredda sera però Jean tornò a casa tutto contento, nonostante nella soffitta non ci fosse legna né cibo e le nostre condizioni fossero tutt’altro che facili.
Quando gli domandai il motivo della sua gioia mi mostrò una giacca, una carmagnole di stoffa rossa.
“E’ la giacca che indossava Étienne la sera dell’aggressione.
Dice che non se la sente di mettersela più perché gli riporta alla mente quei momenti per cui me l’ha regalata, direi che mi sta alla perfezione, non trovi?
Avevo proprio bisogno di una giacca, la mia è da buttare mentre questa è ancora in buono stato”.
Presi la giacca e mi diressi verso il lavatoio: mentre la spazzolavo per poi bagnarla da una tasca cadde un biglietto.
Lo raccolsi e lo lessi:

Sto attento a tutte le tue mosse.
Mi occuperò per prima cosa di tutti gli uomini che ti stanno intorno e che ti potrebbero difendere, poi farò in modo di isolarti.
Avrai presto mie notizie,
Armand”.


ANGOLO AUTRICE: Non so cosa ne sarà di questa storia.
In questi giorni forse la cancellerò per sempre, se la vedete comparire vuol dire che ci ho ripensato e non l’ho fatto se
no pace.
Ciao.

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Capitolo 12
*** Rencontre ***


Passarono alcuni giorni e capii che era ora di farmi coraggio, tornare da William e confessare il mio più grande segreto.
 Mentre camminavo per le fumose e buie vie di Londra, la mia attenzione si concentrava sulle pozzanghere che si aprivano nei buchi della strada e nei solchi lasciati dalle carrozze.
 Mi sembrava di vedere riflessi in quell’acqua melmosa e sporca i volti delle persone che avevano incrociato il mio cammino, alcune in senso positivo e altre in senso negativo.
 Alcune se ne erano andate, altre mi erano rimaste a fianco… ma per quanto ancora?
 Dopo quella sera non avrei saputo cosa aspettarmi.
Mi trovai quasi senza accorgermene davanti al portone del palazzo, avevo voglia di scappare.
Sospirai e bussai, con le mani tremanti.
 Salii le scale, aggrappandomi alla ringhiera come se avessi paura di cadere e attraversai il corridoio, che mi sembrò infinito.
 William appena mi vide sobbalzò.
 Mi lasciai cadere su una poltrona e cercai di calmarmi.
“Irène, cosa succede?
 Non ti senti bene?”-mi domandò lui, mentre mi portava un bicchiere d’acqua.
 Decisi di affrontarlo.
“William, oggi ti devo raccontare il punto più importante di tutta questa storia.
 Prima però mi devi promettere una cosa: qualunque cosa, qualunque, che ti racconterò oggi non deve uscire da questa stanza.
 Promettimelo.
 C’è la vita di tante persone dietro quello che ti sto per dire, io stessa rischio grosso se si venisse a sapere quello che è accaduto, se dovessi venire scoperta per quello che ho fatto trascinerei alla rovina tutti i miei cari.
 Ti avverto che ti sto per raccontare un fatto veramente grave, quindi pensaci bene se vuoi ascoltarlo, oppure concludiamo qui”-lo avvertii
 William aveva avvicinato la sedia alla mia e mi stava squadrando, incerto su cosa dire.
 Dopo un po’ mormorò:”Problemi con la legge? Va bene, prometto che non lo dirò a nessuno, che non ti denuncerò.
 Hai la mia parola Irène.
 Per quanto riguarda te e per quanto riguarda i tuoi cari.
 Siete emigrati in Inghilterra perché rischiavate la vita in Francia, vero?”.
Annuii.
“Se è per questo in Francia si rischiava la vita e si rischia ancora per una parola, figurati per i reati che abbiamo tutti noi sulle spalle.
 Andiamo per gradi però.
 Passò un po’ di tempo, qualche settimana.
 Decisi che avrei parlato con Armand e gli diedi appuntamento sul Pont Neuf, il più antico ponte di Parigi”.
William mi guardò divertito:” Avevi pensato di buttare Armand nella Senna se la discussione fosse degenerata?”-domandò.
 Per un attimo un sorriso mi comparve sul volto, al pensiero.
“Esattamente! Vedi che cominci a ragionare come me?
 Brutto segno Cittadino, brutto segno!”.
Uscii di casa a tarda notte, mentre Jean dormiva, e mi presentai in anticipo sul luogo stabilito, totalmente vestita di nero eccetto il berretto frigio di Jean e coperta da un suo mantello, per mimetizzarmi.
 Avevo attraversato i quartieri più malfamati, affrontato masse di sanculotti ubriaconi radunati attorno ai falò nelle piazze che tentavano di avvicinarmi e mi facevano apprezzamenti ben poco lusinghieri del tipo:”Alza quella gonna, che vediamo cosa c’è sotto!
 Non sarai mica in lutto? Se ti è morto il marito, a me è appena morta la moglie e possiamo sposarci!” oppure:”Togliti il berretto frigio dalla testa che vogliamo vedere quel bel visino”.

Io non dicevo una parola e mi limitavo a mostrare loro il coltello che portavo con me, nascosto nel corpetto.
 Andavamo tutti in giro armati.
 Che fossero coltelli o pistole, poco importava.
 Si imparava ad usare le armi a dieci, dodici anni grazie ai ragazzi più grandi.
 E ti assicuro che era un insegnamento utile per tutta la vita.
 Mi fermai e mi guardai intorno. Non c’era nessuno.
 Attesi una ventina di minuti quando vidi un’ombra venire nella mia direzione, lentamente.
 Appena fui in grado di metterlo a fuoco e mi resi conto che era proprio lui, gli parlai.
“Sei in ritardo... pensavo che in un accesso di vigliaccheria avessi rinunciato e mi avessi lasciata qui tutta sola… devo dire che in quanto a buona educazione non hai mai brillato”.
Armand si accese un sigaro e me ne offrì uno, per poi rispondere:”Beh, nemmeno tu.
 Per non parlare di quanto sei caduta in basso da quando non vieni più mantenuta dalla mia famiglia… dopotutto cosa potrei mai aspettarmi da una come te?
 Era ora che tornassi tra i tuoi simili.
 Come sta il ragazzo?
 Mi è quasi dispiaciuto farlo aggredire ma dovevo mandarti un avvertimento”.
 "Come mai ti interessa?
Sta meglio, si riprenderà.
Perchè lo hai fatto, Armand?
Étienne non c'entra niente, avresti dovuto prendertela direttamente con me.
 Il tuo comportamento è da vigliacchi, come al solito.
 Hai paura di una donna"-lo provocai.
 "Irène, Irène...una donna non si tocca neanche con un fiore, nemmeno se è un'assassina!"-mormorò, accarezzandomi il viso e provocandomi una sensazione di ribrezzo.
 William saltò letteralmente in piedi, allontanandosi da me, sconvolto.
 Gli feci segno di venire a sedersi e stare zitto e continuai, molto tesa.
“Non sono un’assassina”-replicai, dopo avergli tirato uno schiaffo con quanta forza avevo in corpo "e non ti osare più chiamarmi così.
 Tuo padre si è meritato tutto, proprio tutto quello che gli è successo”.
Armand mi guardò con odio, mentre si massaggiava la guancia colpita.
“Brutta troia.
 Mi pagherai anche questa, te lo assicuro!
 Come ti permetti di toccarmi!”-sibilò, prendendomi per un braccio e costringendomi a sporgermi verso il fiume che scorreva nero sotto di noi.
“Potrei buttarti nella Senna e nessuno se ne accorgerebbe, saresti solo una delle tante puttane che si affogano nel fiume quando non hanno più denaro, non ci sarebbe nemmeno un cane che verrebbe a cercarti”.
Gli morsi una mano e, appena mollò la presa, veloce come un lampo, lo spinsi contro il parapetto e gli puntai il coltello alla gola.
 Un velo di paura percorse i suoi occhi.
 Ripresi a parlare.
“Sei proprio come tuo padre, e non è un complimento”.
Lui mi guardò con aria di sfida e si mise a ridere, con voce roca.
“Dipende dai punti di vista, ma chérie!
 Per quanto mi riguarda non potevi farmi complimento migliore”.
“Ha tentato di stuprarmi, Armand, lo capisci questo?
 Tuo padre ha tentato di stuprarmi, era un solo un porco ubriacone.
 Io mi sono fidata di lui, pensavo che sarebbe cambiato, quando faceva battute su di me e su come stessi diventando bella.
 Pensavo che avrebbe smesso.
 E invece no!
 Quella notte ha aspettato che tutti fossero andati a dormire e che tutte le luci si spegnessero.
 Io stavo leggendo nel salotto.
 Monsieur mi ha chiamata nel suo studio, con la scusa di prestarmi un libro che mi sarebbe piaciuto e ha chiuso la porta dietro si sé.
 Mi ha spinta contro il muro, sghignazzando e dicendomi parole irripetibili mentre mi tappava la bocca con una mano e con l’altra si slacciava i pantaloni.
 Io in quel momento ho pensato che avrei voluto morire lì.
 Ormai mi sentivo persa.
 Capii il significato delle parole che mi aveva rivolto il giorno che ero entrata per la prima volta in casa vostra:" voleva fare qualcosa di più di quella bella ragazzina".
Per fortuna Monsieur non aveva pensato di chiudere a chiave perché nella sua mente malata non avrei nemmeno avuto il tempo per scappare o urlare.
Per qualche miracolo del Cielo in quel momento nello studio entrò Frédéric, che era venuto a cercare della carta da lettere e vide la scena appena in tempo per evitare il peggio, saltare addosso a Monsieur, mollargli un pugno e darmi il tempo per scappare nella mia stanza.
Ecco, adesso sai la verità, dopo tanti anni.
 I tuoi dubbi possono essere confermati, lo ammetto, ci avevi azzeccato: lo ho ucciso io”.
William boccheggiava, come se avesse ricevuto una coltellata mortale.
“Così hai ammazzato Monsieur Delacroix.
 Bene.
 Voglio dire… non ti biasimo.
 Ha fatto un gesto davvero, davvero, davvero orribile.
 Doveva essere proprio un animale!
 Sono sconvolto Irène.
 Mi dispiace tanto, sul serio.
 Non avevo idea che ci fosse un così grande peso nel tuo passato.
 Ti giuro che non dirò nulla di quello che mi stai raccontando.
 E’ troppo terribile quello che hai vissuto.
 E’ stata una fortuna che Frédéric sia arrivato in tempo!
 Deve essere stato molto traumatico per te, poi da parte di una persona di cui ti fidavi e che avrebbe dovuto volerti bene…non so davvero come tu possa ancora fidarti degli uomini, e lo dico da uomo”.
Quando ripresi a parlare mi tremava la voce, rotta dai singhiozzi.
“Non mi fido infatti.
 Non mi fido di nessun adulto appartenente al genere maschile che non sia Jean, Étienne, Adrien, Maxime, Frédéric beh… te.
 Mi fido di te, William.
 Sembri tanto un bravo ragazzo, so che non mi faresti del male.
 Per il resto, non mi fido di loro.
 Sono costretta ad averci a che fare tutti i giorni e questo non mi da fastidio però sto sempre sulla difensiva, pronta a tirare fuori il coltello al minimo segno di pericolo.
 E’ stato difficile anche con Jean i primi tempi… ma lui è stato molto dolce beh… quando è stata ora, capisci.
 Sapevo mi sarei potuta affidare a lui, non solo quella notte ma per la vita.
 Siamo fatti uno per l’altra, è il mio compagno, il mio grande amore, il mio sostegno.
 C’è un’unica cosa che non gli ho mai detto, quella che sto raccontando a te.
  Non me la sono sentita di rovinare tutto.
 So che non è un comportamento corretto ma ho preferito risolverla per conto mio, anche se a Jean indirettamente è costato: a volte ci penso e mi sento in colpa.
 Poi però mi convinco che non si potesse fare altrimenti.
 Ti racconto come ho ucciso Monsieur e poi continuo a parlarti di Armand, va bene?
 Quel bastardo picchiò Frédéric, lo riempì di cinghiate fino alla carne viva e lo lasciò sul pavimento a lamentarsi.
 Quando Madame cercò di soccorrerlo, se la prese anche con lei.
 Armand non era in casa perché era andato qualche giorno da dei cugini: tutto quello di cui mi avrebbe accusato in seguito proveniva da supposizioni, fondate ma mai provate con esattezza finchè non gli spiegai cos’era accaduto, pensa un po’.
Raccontai a Madame dell’aggressione, lasciandola inorridita.
 Suo marito era sempre stato un uomo violento e crudele, anche con lei: la picchiava per motivi futili, la insultava di continuo e la tradiva.
 Decidemmo che questa volta aveva passato il segno e proposi di ucciderlo.
 Dopo un po’ di titubanza, con l’aiuto di Frédéric, riuscimmo a convincere Madame a liberarsi di lui, definitivamente: pensavamo che una volta morto Monsieur, noi avremmo potuto vivere felici senza più il suo tirannico controllo e la sua malvagità.
 Decidemmo che il metodo più  sicuro e veloce fosse avvelenarlo: organizzammo il piano, in cui ognuno avrebbe avuto un compito ben preciso ma aspettammo il ritorno di Armand per attuarlo, in modo che non si potesse sospettare che lo avessimo ucciso noi in sua assenza.
 Ci procurammo dell’arsenico: Frédéric aveva un amico che si dilettava a compiere esperimenti di dubbia scientificità e a studiare le attività degli alchimisti.
 Nel suo laboratorio teneva polveri, pietre preziose, erbe e veleni.
 Fu estremamente facile: quella notte stessa, il ragazzo si insinuò all’interno del laboratorio, che si trovava ai margini del parco della grande villa in cui abitava il suo amico, quindi lontano da sguardi indiscreti e da sospetti.
 Prese una quantità di veleno sufficiente, stando attento a rimettere tutto bene in ordine per non lasciare tracce e tornò a casa.
 Nei giorni seguenti lui e Madame fecero in modo di ingannare Monsieur e mandare quasi alla rovina un grande possedimento della famiglia in Bretagna: lui era disperato e non riusciva a capacitarsi di cosa aveva sbagliato per ritrovarsi così pieno di debiti.
 Ne parlava con tutti e i suoi conoscenti gli proponevano dei prestiti ma ciò avrebbe aggiunto debiti a debiti: Monsieur non vedeva via di uscita e cadeva sempre di più nella disperazione.
 William appuntò qualche frase e poi alzò la testa dal foglio e mi fissò, con un sorriso diabolico.
“Lo avete avvelenato? Aspetta… lo avete avvelenato e avete fatto in modo che sembrasse un suicidio!”.
“Esattamente.
 Una sera, poco dopo il ritorno di Armand, sgusciai senza essere notata nello studio di Monsieur mentre questi non c’era e versai la polvere nel bicchiere di liquore che si trovava su di un tavolino.
 Me ne tornai in camera da letto e finsi di dormire, non prima di aver raggiunto Madame e Frédéric e avergli confermato la riuscita della mia parte del piano.
 Dieci minuti dopo sentimmo le urla di una delle cameriere.
 La ragazza gli aveva portato del caffè e lo aveva trovato riverso sul tavolo, agonizzante e in preda a terribili dolori.
 Ci precipitammo tutti nella stanza e assistemmo ai suoi momenti finali: l'uomo era accasciato sulla scrivania , con la bava alla bocca e gli occhi fissi nel vuoto in un’espressione di puro terrore.
 Armand non riusciva a credere ai proprio occhi, tremava come una foglia e si era lasciato cadere contro il muro, sotto shock.
 Noi ci fingemmo profondamente addolorati e assistemmo Monsieur il più possibile; sapevamo benissimo che era spacciato ma dovevamo andare avanti con il nostro piano: Madame mandò a chiamare un medico nel tentativo di volerlo salvare.
 Quando questi arrivò, non c’era più nulla da fare: Monsieur Delacroix morì dopo pochi minuti.
 Raccontammo la nostra versione all’ispettore di polizia: gli affari stavano andando male e Monsieur era sempre più depresso: non avevamo idea che avrebbe compiuto un gesto così estremo, altrimenti lo avremmo fermato.
 L’ispettore mandò i suoi uomini a Villa Delacroix ma non trovarono niente, assolutamente nulla, tranne varie lettere che confermavano i problemi economici della famiglia.
 Tutti si convinsero che fosse stato un suicidio tranne Armand, che continuava ad affermare che suo padre non si sarebbe mai ucciso, che amava la vita e avrebbe trovato un modo per risolvere i problemi: secondo lui era stato ucciso e più precisamente da qualcuno di famiglia perché non sopportavamo Monsieur e in casa c’erano con lui continui litigi.
 Nessuno gli diede mai retta per fortuna: noi tre avevamo architettato il piano perfetto e i parenti di Monsieur confermarono che non avevano mai notato alcun comportamento violento e che non avevano mai assistito ad alcuna discussione tra marito e moglie.
 Per quanto riguardava me, Armand e Frédéric, avevamo sempre dato una buona impressione: Armand era scapestrato e viziato ma erano convinti non fosse cattivo, era molto legato a suo padre, che gliele dava tutte vinte.
 Trascorse circa un mese, in cui Armand continuò a guardarci con sospetto.
 Nel frattempo Frédéric, in quanto primogenito, si trovava a dover amministrare gli affari di famiglia e sistemò le cose, utilizzò parte del denaro che saltò fuori solo con l’eredità e recuperò la tenuta in Bretagna, dove mio padre era stato mandato a lavorare in quel periodo.
 Madame però era preoccupata e così ero io.
 Decisi che sarei fuggita a Parigi, nel tentativo di dimenticare e di allontanarmi dai sospetti di Armand.
 Scrissi a mio padre e mi limitai ad accennargli che sarei andata a studiare all’estero ma di non preoccuparsi perché avrebbe pagato tutto Madame e lui non avrebbe dovuto sborsare nemmeno un centesimo.
 Era rimasto molto colpito dal suicidio di Monsieur ma continuava a lavorare per i Delacroix perché lo trattavano bene e gli avevano dato la possibilità di liberarsi di me e Maxime.
 Se fosse riuscito ad affidare loro anche Alain e Céline quando fossero stati abbastanza grandi, lui non avrebbe più dovuto preoccuparsi di nulla.
 Si sbagliava ovviamente.
 Madame mi consegnò del denaro e mise in giro la voce che ero all’estero, come ti ho detto, per cui nessuno mi cercò più.
 Armand era innamorato di me ma non mi preoccupai certo di dargli spiegazioni o salutarlo, cosa che accrebbe il suo odio.
 Non c’è altro da dire, il resto lo sai già”.
Mi alzai dalla poltrona e mi spostai accanto alla finestra: mi appoggiai al davanzale e mi versai una tazza di tè.
“Non rivelai al mio ex fidanzato che l’idea era stata comune e non ammisi che lo avevamo ucciso insieme.
 Armand si zittì per un attimo, gli ci volle un momento per realizzare ciò che gli avevo detto.
“Non avevo dubbi! Lo sapevo che eri stata tu! Ti rendi conto di quello che hai fatto?
 Non sei giustificata! Sicuramente avevi provocato mio padre!
 E poi, come resisterti?
 Sei sempre stata bella.
 Ciò non toglie che sei un’assassina e mi ispiri un odio cieco.
 Avrei dovuto essere più convincente con la polizia e tu a quest’ora dovresti essere morta.
 Ma adesso avrò la mia vendetta”.
Alzai le spalle, come se niente fosse.
“Cosa vorresti fare eh? Uccidermi? Farmi arrestare? Mandarmi alla ghigliottina?
 Sono passati cinque anni, nessuno si metterebbe a sprecare tempo prezioso per scoprire le cause della morte di un uomo inutile come tuo padre, tanto più adesso, con tutti i problemi che ci sono”.
Per una volta vidi quasi un pò di umanità attraversare i suoi occhi azzurri.
 Mi si avvicinò tanto che potevo sentire il suo alito che puzzava di alcolici e tabacco sul viso: “ Tu non capisci.
 Non mi hai mai capito fino in fondo.
 Meriteresti di finire alla ghigliottina per quello che hai fatto, voglio vendicarmi e lo farò.
 Però d’altra parte, io ti amo ancora.
 Io ti ho sempre amata.
 Per te forse non è stato lo stesso: avresti potuto avere una vita agiata, un bell’uomo al tuo fianco, tanto denaro, servitù, tutto quello che volevi.
 Saresti potuta diventare una scrittrice.
 Invece hai voluto buttare via tutto e guarda come sei ridotta!
 Vestita come una stracciona, a lavorare tutto il giorno per poco denaro e a vendere giornali all’angolo di una strada, ad abitare probabilmente in qualche postaccio, in povertà, con un uomo del popolo.
 L’ho visto: è un bell’uomo anche lui, devo ammettere che per questo non ti smentisci mai Irène.
 Però non ha nient’altro.
 Se fosse ricco, allora si che sarebbe un avversario temibile ma è solo un povero operaio, vero?
 Mi sono informato.
 Come hai potuto farmi questo?”-domandò con gli occhi lucidi.
 Sapevo che c’era un fondo di verità nelle sue parole e me ne rendevo conto solo allora.
 Tuttavia non mi lasciai commuovere che per un secondo e risposi con fermezza.
“Mi dispiace che tu non sia riuscito a dimenticarmi, Armand.
 Forse le cose sarebbero potute andare diversamente o forse era questo il nostro destino, non lo sapremo mai.
 Io ho fatto quello che ritenevo giusto, ho seguito il mio cuore, come sempre.
 Non ti ho mai amato seriamente.
 Per quanto mi riguarda, è stata una storia d’amore di un’estate, come succede tra ragazzini.
 Me la sarei gettata alle spalle anche se non fosse accaduto quello che è accaduto.
 Il mio cuore appartiene a Jean.
 Non mi interessa se è povero, a me non importa.
 Dopotutto io sono una ragazza del popolo, non dimenticarlo.
 Mi è sempre stato vicino, mi ha sostenuta quando ero solo una ragazzina che chiunque altro avrebbe lasciato morire per strada, ha creduto in me e mi ha amata con tutto se stesso.
 Ha fatto tanti sacrifici per me e per nostro figlio e io l’ho sempre ricambiato più che ho potuto.
 Non avrei potuto desiderare niente di meglio e mi spiace dirtelo ma tu non saresti mai stato all’altezza”.
Armand mi squadrò con occhi gelidi.
“Questo lo dici tu.
 Bene, adesso abbiamo chiarito un po’ le cose.
 Hai intenzione di continuare ad osteggiarmi, lo immaginavo.
 Sei sempre stata testarda.
 Ma questa volta la tua ostinazione potrebbe costarti cara.
 Ti lascerò andare, sono certo che non scapperai, sei troppo coraggiosa.
 Sappi che ti tengo d’occhio e che questo è solo l’inizio della resa dei conti”.
“Accetto la sfida.
 Non mi fai alcuna paura perché sei più debole di quello che pensi.
 Solo i deboli si abbassano a meschini stratagemmi come i tuoi”.
“Stai attenta Irène, te lo ripeto”.
“Stai attento anche tu, Armand.
 Ti avverto: se osi ancora fare del male a qualcuno dei miei amici, a mio figlio o a Jean, ti ammazzo”.
Parve turbato dalla mia ultima frase ma cercò di non lasciarlo intendere.
 Gli voltai le spalle e mi avviai lungo la strada del ritorno che era quasi mattina.
 Mi sentivo sollevata perché avevo affrontato Armand e avevo cominciato a capire la sua strategia.
 Aprii silenziosamente la porta e osservai Renè che dormiva in un vecchio lettino e Jean, stretto in una coperta logora, sul materasso per terra.
 In quel momento sentii le campane di Notre Dame che suonavano in lontananza: erano le cinque del mattino, ero arrivata appena in tempo per non essere scoperta da mio marito che di lì a mezz’ora si sarebbe dovuto svegliare.
 Mi svestii silenziosamente e mi coricai accanto a lui.
Ça ira!”-ripetei tra me e me prima di cadere addormentata, come il ritornello di una canzone in voga all’epoca, che sarebbe diventata il nostro canto di guerra.
Si farà!”.

ANGOLO AUTRICE:
 Ecco qui.
 Abbiamo scoperto cosa è successo tra Irène e Armand.
 Il gesto di Irène, Frédèric e Madame Delacroix è estremo ma giustificato, avevo detto che le motivazioni erano fondate.
 Non sono ben chiare e molto fondate quelle di Armand ma si sa, è una stupida creatura con il quoziente intellettivo di un criceto morto quindi cosa pretendiamo?.
 In ogni caso Irène va sostenuta.
 Il suo ex fidanzato però le darà ancora molti problemi, non è mica finita qui!
 E’ solo iniziata.
 Il ritornello che viene in mente a Irène è quello del “Ça ira!”, canzone rivoluzionaria  da cui prende il titolo la nostra storia ma ne parlerò più diffusamente in seguito, l’ho solo accennato perché quelle parole mi sembravano adatte a ciò che passava per la mente della protagonista ma questa canzone tornerà in “extended  version” più avanti e sarà molto spesso intonata dai personaggi.
 Nella prossimo capitolo ci saranno grandi incontri e predizioni miracolose per due delle nostre rivoluzionarie preferite, oltre che diversi altri avvenimenti.
 Alla prossima!
 Jenny
 PS: non so se esisteva l’ispettore di polizia all’epoca( grazie Hugo per il suggerimento) e, a parte gli scherzi,dubito fortemente però non sono riuscita a documentarmi in merito e non ho idea di chi altro potesse intervenire sul luogo di un suicidio sospetto, chiedo venia.
Se ne sapete più di me, suggerite e lo correggerò, altrimenti perdonate l’errore e per una volta immaginate.

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Capitolo 13
*** Amour et prédictions ***


Mi presentai un po’ titubante al nostro seguente incontro.
Non sapevo come l’avesse presa William, dopo aver avuto il tempo per “incassare il colpo”.
Contrariamente alle mie aspettative, lui sembrava aver dimenticato ciò che gli avevo raccontato.
“Buonasera Irène!
Se proprio bella oggi!”
“Ah William, non esagerare.
Sono i soliti quattro stracci…”.
“Come si dice “Sei molto bella stasera, Irène” in francese?”-domandò lui.
“Senza alcun intento perverso”-precisò, sorridendo.
Arrossii.
Tu est très belle ce soir, Citoyenne Irène”-risposi.
William ripeté : " Tu est très belle ce soir, Citoyenne Irène ".
" Merci, Citoyen William.
Tu est très gentil "-gli sorrisi.
" Jean non è geloso a lasciarti andare in giro così?
Tu già sei bella ma sai cosa ti dona molto?
La collana”.
Mi portai una mano al collo:” E’ la collana di perle di Madame Delacroix.
Ogni tanto la metto, anche se è pericoloso perché in giro c’è gente disposta a tagliarti la gola pur di strappartela.
La indosso nei momenti difficili, mi sembra che Madame attraverso questa collana possa starmi vicina e consigliarmi”-dissi, mentre me la toglievo e gliela porgevo, in modo che potesse esaminare da vicino la collana di cui gli avevo parlato tempo prima.
“Però adesso ricominciamo con la nostra storia-ripresi.
“Armand, come suo solito, per un po’ di tempo si dissolse e mi lasciò in preda al dubbio che potesse ritornare.
Un pomeriggio sul tardi, era già quasi buio, nevicava e faceva un freddo pungente, ero da poco tornata dalla casa della vecchia signora e me ne stavo alla nostra sede poiché quella sera non avevo il turno al Cafè Procope.
Ero occupata ad ascoltare la storia di una ragazza che era stata cacciata di casa dal padre e dal fratello quando aveva scoperto di essere incinta.
Ovviamente il padre del bambino se l’era data a gambe e lei non sapeva più cosa fare.
Per il momento la ospitava una sua conoscente ma aveva bisogno di un lavoro quindi le suggerii di chiedere ad una sarta che conoscevo e sapevo avesse bisogno di un’apprendista: era un lavoro che avrebbe benissimo potuto svolgere.
Mentre parlavo con la ragazza, Philippe e Jaques giocavano con delle spade di legno in un angolo invece Sophie aiutava Marion e Véronique a cucire delle coccarde, dei fiocchi tricolore e altri articoli a sfondo rivoluzionario: ultimamente avevano avuto un’idea che reputavano geniale.
L’idea era di Amèlie, che come avrai capito, particolarmente geniale non è mai stata.
Dopotutto era solo una venditrice ambulante.
Ultimamente però si era riciclata in un tipo di commercio che andava molto.
Julie, la sorella di Edith, come ti avevo già raccontato, aveva avuto qualche miglioramento di salute e aveva iniziato a cucire le coccarde che Amèlie vendeva per strada.
Dato che “andavano di moda” le coccarde, in quel periodo le due riuscirono a dividersi i guadagni: non era molto però era già qualcosa e permetteva loro di arrotondare.
Stavo parlando tranquillamente quando la porta si era aperta di colpo e sulla soglia era comparsa Edith.
Aveva quasi sbattuto la porta in faccia ad Amèlie che la seguiva.
La prima si fece avanti , senza nemmeno salutarci, gridò, rivolta all’altra :”Allora, inizi tu o inizio io?”.
Questa era troppo impegnata a togliersi la neve dalla gonna e non la guardò nemmeno:
“Inizia pure tu, uccello del malaugurio”.
“Uccello del malaugurio?
Cosa significa?”-domandò William, confuso.
“Significa qualcuno che porta sfortuna… bird of bad luck, maybe?”.
“Ho capito.
Perché le disse così?
Che maleducata deve essere Amèlie.
Da come me la descrivi mi sembra una ragazza troppo piena di se e arrogante.
Perché non te ne sai liberata?
Non mi sembri proprio il tipo di persona adatta ad avere un’amica così, siete l’opposto”.
A quel punto scoppiai a ridere.
“Non crederai mai a quello che ti racconterò.
Il destino ha deciso che non mi sarei liberata di Amèlie, anzi.
Ti ho già raccontato di Antoine, vero?”.
“Antoine…il fidanzato di Edith, vero?
Che era morto in guerra.
Povero ragazzo, e povera Edith”
Scossi la testa.
“Esattamente.
Edith lo amava.
Era stata tanto sfortunata e in Antoine vedeva l’unica luce della sua triste e misera esistenza.
Insieme progettavano un futuro, fantasticavano che si sarebbero sposati e avrebbero cambiato vita, avrebbero lasciato i bassifondi e sarebbero stati felici.
Però purtroppo la vita è crudele e spesso non va come desidereremmo.
Era successo un paio di anni prima rispetto alla nostra storia.
Antoine aveva diciotto anni ed era morto per il re di Francia, da qualche parte, sui campi di battaglia d’Europa: Edith non ha mai nemmeno saputo dove.
Le ci sono voluti anni e anni per riprendersi un pò.
Ha visto i suoi sogni sfumare in un attimo, in una lettera che le ho dovuto leggere io.
E’ stata una delle cose più difficili che abbia mai fatto.
Ricorderò sempre quell’urlo pieno di strazio mentre io pronunciavo quelle parole.
Ricorderò sempre come Edith mi si è avventata contro, accusandomi di mentire, che il suo Antoine era vivo e sarebbe tornato da lei.
Come le sue mani hanno afferrato quel foglio maledetto cercando di decifrare quelli che per lei erano solo segni di cui non capiva il significato.
Però Antoine non l’aveva abbandonata.
La visitava ancora, nei sogni.
Inizialmente avevamo pensato che fosse solo suggestione poi però, quando Edith aveva iniziato a raccontarci i suoi sogni e ci eravamo accorte che combaciavano sempre con avvenimenti che ci sarebbero successi di lì a poco.
Quelle che ci riferiva Antoine, raramente erano belle notizie.
La bionda Edith si sedette sul tavolo traballante, senza alcun riguardo per la bottiglietta di inchiostro che vi era appoggiata e che si rovesciò sul grembiule di Thérèse.
“Ho sognato Antoine”-incominciò.
Rimanemmo tutte senza fiato, Marion lasciò addirittura cadere l’ago che teneva in mano.
La ragazza con cui stavo parlando, compreso dal nostro atteggiamento preoccupato che c’era qualcosa che non andava, si affrettò a ringraziare e a dileguarsi, mentre noi stavamo in attesa della predizione.
“Mi ha comunicato alcune cose.
Mi ha detto che presto incontrerò un uomo che mi amerà e che poterò vivere felice perché me lo merito.
Che la rivoluzione è qualcosa di giusto e che stiamo agendo in modo corretto: però mi ha avvertito di non lasciarci ingannare e di stare attente.
Mi ha detto che ci dobbiamo aspettare tempi difficili e pericoli ma che dobbiamo impegnarci al massimo per sopravvivere.
Che la Rivoluzione si rivolgerà contro i rivoluzionari stessi e che quei politici a cui noi ora ci affidiamo potrebbero deluderci”.
“Questa volta è stato clemente”-disse Thérèse, tirando un sospiro di sollievo.
“ Io sono l’ultima arrivata.
Non so molto di voi e delle vostre frequentazioni, non so chi sia Antoine, cara Edith… ma secondo me si è sbagliato!
Il popolo riuscirà a combattere la monarchia, vedrai.
Se non ci riuscirà il popolo, ci riusciranno i suoi rappresentanti, io ho fiducia”-intervenne Vèronique, alzando la testa dal lavoro di cucito.
Domandai ad Edith se ci avesse detto tutto o ci stesse nascondendo qualcosa: non mi piaceva per niente la sua espressione poco sincera.
Lei iniziò a disfarsi la treccia, nervosamente.
“E’ tutto”.
“Edith…”-la incoraggiò Marion”non provare ad ingannarci.
Forse Véronique è nuova ma noi quattro ti conosciamo da anni, ci accorgiamo quando stai mentendo.
Forza, parla”.
“Mi ha detto anche un’altra cosa, d’accordo?
Mi ha detto che in particolare per due persone tra noi ci sarà un periodo difficile,pieno di dolore e sofferenza.
Un periodo in cui non vedranno che oscurità.
In cui perderanno totalmente la fiducia, in cui invocheranno la morte perché venga a prenderle e portarle via.
Ha detto che queste persone però sono amate e che chi sarà al loro fianco le aiuterà.
Purtroppo non mi ha specificato di chi si tratterà”.
Ci spaventammo ma nessuna lo diede a vedere.
Marion rispose, spavalda:” Beh cara Edith, questa volta mi sa che Antoine ti ha riferito un messaggio destinato a qualcun altro.
Non ci accadrà nulla, staremo attente.
Cosa potrà mai capitare?
Al massimo lasceremo la testa sulla ghigliottina.
“Una leggera sensazione di fresco sul collo e via, adieu.
C’est fini.
Cosa volete che sia”-commentò sarcastica.
William era stupito.
Si alzò, attizzò il fuoco nel camino e prese dell'altro inchiostro.
“Però, che coraggio, Marion a fare umorismo sulla ghigliottina…di solito chi ride del pericolo è il primo ad esserne colpito.
La predizione si è avverata?
Chi ne è rimasto vittima?”-chiese, incuriosito.
Dalla mia espressione affranta si deve essere accorto che sarebbe stato meglio non porre quella domanda.
"Non voglio parlarne adesso.
Quando Edith ebbe finito, Amèlie si fece avanti, emettendo stridule grida e saltellando, tutta contenta".
“Un attimo di attenzione!”-squittì.
“Oggi ho incontrato un uomo…”.
Mi misi a ridere e applaudii:”E dov’è la novità?
Ne incontri anche troppi di uomini.
Chissà perché, poi tutti scappano…”.
La ragazza non badò alla mia espressione stizzita e continuò il suo discorso:”Non sta certo a te giudicarmi.
Ti trovi nel letto l’uomo più bello di tutta Montmartre, tutte te lo invidiano.
Beh, cara mia, non puoi farmene una colpa se non sono stata fortunata come te e non ho trovato l’uomo della mia vita.
Sono tutti sfruttatori, che si approfittano dei sentimenti delle ragazze per bene”-sospirò, sconsolata.
“E’ diverso.
Tu sei diversa da noi.
Noi ci siamo trovate un uomo e ce lo siamo tenute, tu passi da un amante all’altro e non riesci a tenertene uno per più di qualche mese.
Come si chiamava l’ultimo?
Aspetta, ce l’ho sulla punta della lingua…Ecco ci sono!
Sebastian!
Mi ricordo bene?
Quell’austriaco che era a Parigi per studiare arte!
Eccome se me lo ricordo!
Hai vissuto anche relativamente bene per qualche mese.
Sei un disastro.
Il problema è che hai aspettative troppo alte.
Amèlie, tu povera sei e povera rimani.
E’ inutile che ti accompagni a ricchi rampolli borghesi, loro ti inganneranno sempre per qualche mese e poi, quando si stancheranno, ti lasceranno.
E ricominceremo da capo con le lamentele…”-le consigliò Marion, sbuffando.
Thérèse però la fece zittire.
“Voglio ridere.
Forza Amèlie, raccontaci dell’ultimo idiota che hai trovato.
Voglio proprio vedere quanto durerà”-la incoraggiò.
“Non questa volta.
Non è un idiota!
Stavo venendo qui quando sono stata avvicinata da un uomo.
Sembrava ricco ma era trasandato, doveva aver conosciuto tempi migliori.
Aveva una camicia di quelle di stoffa costosa ma ormai era logora e sporca, una giacca ben rifinita ma un po’ strappata e addirittura gli stivali!.
Era alto, capelli mori, diciamo del tuo colore, Irène, barba lunga.
Mi ha chiesto informazioni, ha detto che veniva da molto lontano e si era perso.
Doveva attraversare tutta la città.
Aveva un accento strano...l’ho già sentito ma non riesco a ricordare dove.
E’ stato gentile, mi ha ringraziata e se ne è andato... lo voglio rivedere.
Però poverino, tremava come una foglia e aveva gli occhi lucidi: secondo me aveva la febbre, con questo freddo!
In mano teneva una lettera però non sono riuscita a leggerne in contenuto perché era piegata.
Mi è parso preoccupato…”-concluse Amèlie.
“Non lo dimenticherò!”-aggiunse, lasciandosi cadere sul divanetto sfondato, con aria sognante.
Noi eravamo scandalizzate.
Le ridemmo in faccia.
“Questa volta hai toccato il fondo.
Adesso ti abbordano direttamente per strada, ti scambiano per una putain.
Sei passata dagli alti borghesi ai nobili decaduti e costretti a fare gli accattoni!
Un salto un pò azzardato, non trovi Amèlie?”-le domandai, sbellicandomi dalle risate.
“Tanto quell’uomo a quest’ora si è già bevuto il dispiacere di non aver approfondito la conoscenza con te.
Peccato, se fosse stato ancora ricco come doveva essere tempo fa e meno tramortito avresti potuto chiedergli del denaro per i tuoi “favori” o,al massimo, fingerti una signora e godertelo per un’oretta, magari a letto si orientava meglio che per strada”-aggiunse maliziosamente Edith.
Véronique rincarò la dose:”Cosa dici Edith, menomale che non gli ha concesso i suoi “favori”.
Rischiava di prendersi anche la sifilide e poi si che sarebbe stata nei guai.
Quel genere di uomini lì sono più appestati che altro, ce li ho presente.
Mi ricorda il mio ex fidanzato, Serge… non che lui fosse appestato però era un ubriacone come ben sapete e frequentava gente molto simile all’uomo che descriveva Amèlie, lui si fingeva ricco per farsi offrire loro da bere senza pagare.
Adesso aspettiamo solo che tu vada a scaldare il letto di Louis XVI: dicono che non abbia un amante e che anche con l’Autrichienne le cose non vadano molto bene…
Se ci vai tu può darsi che riesci a risvegliare i suoi istinti animali più reconditi”.
“Secondo c’è ben poco da risvegliare.
Mica per niente questo Paese sta andando allo sbaraglio!
Con un “re” così non me ne stupisco.
Un uomo se non ha una valvola di sfogo dopo un po’ da di matto ed è quello che sta accadendo a quel maiale, capisci?.
E’ frustrato ma finchè trascorrerà il tempo a fingersi un artigiano e non si dedicherà alla putain, la putain continuerà a esserlo sempre di più con Fersen e questo Paese continuerà a scendere sempre di più nell’abisso”.
Mi accorsi che Amèlie c‘era rimasta male.
Se ne stava in un angolo con un’espressione seria e se avesse potuto ci avrebbe fulminate con gli occhi.
Putains sarete voi!
Questa volta è diverso.
Ho come una sensazione.
Vorrei tanto poterlo rivedere!
Voi non capite, non capite niente e mi prendete in giro paragonandomi all’Autrichienne.
Non dovrei nemmeno sprecare il tempo con voi”.
“Tanto che altro hai da fare nella tua miserabile esistenza, Amèlie?
Sei sola al mondo, hai solo noi, non hai nemmeno la scusa che qualcuno ti aspetta a casa”-intervenne Marion, accendendosi la pipa di Etienne.
“Oh scusa Marion, è vero, non avrei dovuto sopravvivere al colera che si è portato via tutta la mia famiglia, così voi non sareste state costrette a sopportarmi.
Dovrei sentirmi in colpa?
Tolgo il disturbo, che è meglio”.
L’atmosfera stava diventando sempre più tesa quando all’improvviso sentimmo delle voci che si avvicinavano.
Una voce da uomo e una voce acuta, da bambino.
Intonavano un canto della Guardia Nazionale che era stato diffuso per la prima volta poco dopo la presa della Bastiglia e tra una strofa e l’altra discutevano a voce abbastanza alta che noi li sentimmo.
Uscimmo e li vedemmo procedere verso di noi nel vicolo.

"Frères, courons aux armes !
L'empire est en danger.
Dans ces moments d'alarmes,
Courons le dégager :
Tous bouillants d'énergie,
Tous fiers de nos succès,
Prouvons à la patrie
Que nous sommes Français".


“ Mi piace questa canzone Adrien.
Non vedo l’ora di diventare abbastanza grande per poter difendere anche io la Francia.
E per sparare!
Alle armi!
Mi insegni a sparare come un vero soldato?
Bang bang!”-diceva il bambino”sai, i miei amici, gli altri ragazzini del quartiere, non mi credono quando dico che entrerò nella Garde Nationale ma io so che sono solo gelosi perché io sono più furbo di loro.
Ieri siamo andati al mercato di Place Maubert per una prova di coraggio: dovevamo cercare di rubare della frutta e io ci sono riuscito senza farmi vedere mentre due di loro sono stati beccati.
Perfortuna maman non mi ha visto, altrimenti mi avrebbe punito.
E’ tutta invidia che li consuma!
Sono troppo stupidi!
E pensa che vivono qui da sempre!
Cosa vuoi fare, si vede che i provinciali come me non sono poi così ingenui come si crede in città”.

“Lancés dans la carrière,
De nos chefs belliqueux,
D'une noble poussière
Couvrons-nous à leurs yeux.
L'amant de la victoire,
De courage enflammé,
Pour voler à la gloire,
Naît soldat tout armé".


" Ahah mi ricordi quando avevo la tua età!
Io, Jean, Etienne e Antoine passavamo le giornate a vagabondare e immaginarci grandi combattimenti.
Vedi di goderti questi anni perché se farai come noi, a quindici anni andrai a lavorare in fabbrica e sarà finita.
Se ti andrà bene a diciotto entrerai nella Garde Nationale ma c’è ancora tempo.
Quanti anni hai di preciso?”.
“Ne compio nove il mese prossimo.
Tu quanti anni hai Cittadino Adrien?”-domandò, incuriosito, squadrando l’uomo da capo a piedi nel tentativo di indovinarne l’età.
“Io ne ho ventisei, Gérard.
Sono in più vecchio del gruppo.
Tra un paio di anni sarai pronto per unirti a noi, te lo prometto.
Ti insegnerò a sparare, non preoccuparti.
So che sei coraggioso e ti farai valere!
Devi solo avere pazienza e arriverà il tuo momento, piccolo.
Poi cosa ne sai?
Magari diventerà obbligatorio arruolarsi, tempo che sarai maggiorenne!”.

"Qu'un même amour nous lie,
Qu'il confonde nos coeurs.
De la honteuse envie,
Etouffons les fureurs.
Le franc-guerrier qu'on aime,
Le vrai soldat héros,
Doit être noble, même
Jusque dans ses défauts."


Vèronique uscì sulla strada : “Cittadino Adrien!
Gérard!
Cosa ci fate qui?
Presto, entrate.
Non urlate, vi poterebbero sentire".
“Chi vuoi che ci senta, non c’è nessuno a quest’ora, maman!
Abbiamo controllato, siamo stati prudenti”-rise il ragazzino.

“Si la Ligue infernale
Que nous allons punir,
Par sa lâche cabale
Pouvait nous désunir,
Nos meilleurs patriotes,
Dans cet affreux revers,
N'auraient plus aux despotes
Qu'à mendier des fers !"


“Adrien, hai qualche novità?
Non sarai mica ubriaco?”-domandò Thérèse andando incontro a suo marito e avvicinandosi per sentirgli il fiato.
“Non mettere strane idee in testa a Gérard.
Sta imparando solo adesso la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” a memoria, prima che possa far parte della Gard Nationale ci vorrà del tempo.
Sei sempre il solito avventato”-continuò accarezzandogli i ricci corvini e baciandolo, mentre Gérard aveva raggiunto sua sorella e commentava disgustato:”Bleah, che orribile scena sdolcinata”, in contrasto con i “Come sono romantici”  e “Da grande voglio sposare un soldato coraggioso e bello come il cittadino Adrien o come Etienne o Jean e avere tanti bambini”-di Sophie.

" Contre une absurde crainte,
Que vous me rassurez !
Tous, vous portez l'empreinte
Des sentiments sacrés
Que fait briller le Sage,
Le soldat exalté,
Fier enfant du courage,
Et de la liberté ".


Vèronique prese Adrien da parte ma io sentii il loro discorso: " Cittadino Adrien, grazie per quello che fai per lui.
Gérard ti vuole bene.
Io faccio il possibile per i miei figli ma capisco che soprattutto Gérard abbia bisogno di una figura paterna al suo fianco e Serge non lo è mai stato.
Lo maltrattava di continuo.
Io vi guardo e vedo che gli sei affezionato, che lo tratti davvero come un padre tratterebbe un figlio.
Thérèse mi ha detto di quello che vi è successo con il bambino: mi dispiace moltissimo”
“Figurati Véronique.
Thérèse ti avrà anche detto che sono una persona difficile, che abbiamo avuto un periodo di crisi… ma da quando c’è Gérard sto meglio, davvero.
Dovrei ringraziare io lui.
Cercherò di fare ciò che è in mio potere per farlo entrare nella Garde Nationale quando sarà grande e per insegnargli ad usare le armi, non stavo scherzando quando gliel’ho promesso.
Sempre che tu sia d’accordo”.
“Certamente.
Ne riparleremo tra un paio di anni ma sono d’accordo con tutto quello che hai detto, mi fido di te e di Gérard e so che tu non gli faresti correre rischi e lui non si metterebbe nei guai inutilmente perché è un ragazzino un po’ irruento forse, ma responsabile e intelligente”.
“Oh, le campane battono le sei!
Com’è tardi!
Cittadine, io me ne devo andare prima di finire nei guai, se ci sono novità troverò il modo per farvelo sapere.
Ciao Thérèse!”-concluse Adrein e uscì silenziosamente, dileguandosi nel buio.
Anche io tornai a casa: contai il denaro che avevo racimolato quel giorno e calcolai che, aggiunto alla paga di Jean, sarebbe bastato a pagare l’affitto e, forse, avremmo avanzato qualche moneta per comprare la cena.
Mentre mi perdevo nei miei ragionamenti, quasi senza accorgermene ero arrivata a Montmartre.
Il cielo era cupo e buio, la neve scendeva in grandi fiocchi e si depositava sulla ripida salita che conduceva al centro del quartiere.
Bambini vestiti di stracci lanciavano sassi nei rigagnoli sporchi e ghiacciati che scorrevano ai margini delle strade per cercare di spaccare lo strato di ghiaccio.
Salii i sei piani di scale che portavano alla soffitta e, quando stavo per intraprendere l’ultimo, udii la voce di Jean, che parlava animatamente, seguita da forti colpi di tosse.
Non distinguevo le parole però non riuscivo ad udire nessuno che gli rispondesse: non sentivo Etienne, potevo escludere tutti gli altri perché li avevo appena visti e ovviamente potevo escludere René, da come Jean parlava concitatamente non stava certo interloquendo con un bambino di un anno e mezzo!
Temetti per un attimo che si fosse preso una polmonite stando nella gelida soffitta e stesse delirando, quando lui mi corse incontro sulle scale.
“Irène, Irène!
Vieni, c’è una sorpresa per te!
Avevo ragione“-mi disse, prendendomi per mano e trascinandomi in casa.
“Jean, parli da solo?
Ti senti bene?”-domandai, passandogli una mano sulla fronte per vedere se aveva la febbre.
Entrai nella stanza e, nella penombra creata dalla candela mezza sciolta infilata in una bottiglia vuota sul tavolo, scorsi una figura seduta su un vecchio divano sfondato.
La fioca luce gli illuminò il viso e io rimasi impietrita: una voce maschile, bassa,incerta,tremante e rotta da colpi di tosse mi parlò.

Irène!
 Mi avevano detto che eri morta.
Mi sei mancata tantissimo
”.

ANGOLO AUTRICE: Ciao! :)
Ecco qua.
Questo capitolo non mi convince molto…
Vi anticipo che dopo questo la pubblicazione poterebbe rimanere ferma per un po’ di tempo, forse qualche settimana causa esami e, soprattutto, per raccogliere le idee.
Non è che  non so cosa scrivere, anzi, so fin troppo cosa scrivere.
Il problema è che ho troppi dati e troppe idee per cui dovrei farmi degli schemi, ho raccolto informazioni sul femminismo durante la rivoluzione, canzoni, luoghi,  ecc… e devo metterli a posto prima di scrivere capitoli poco precisi dato che so bene di poter dare di più.
Solo che non ho tempo e richiederebbe un lavoro immane che con gli impegni ci impiego secoli a fare ma ci proverò.
Di chi starà parlando il fantasma di Antoine?
Voi dite che succederò davvero qualcosa di così brutto?
E c’è un’altra ombra nella soffitta che aspetta Irène…
Chissà chi sarà…
Scusate se non sono molto precisa con il fatto della Garde Nationale ma questo 1790 mi sta dando dei problemi perché non è successo molto e per me è un po’ un casino.
Non so molto della Garde Nazionale nel senso che non so molto di come vivevano,com’era organizzata… quindi devo ammettere che da quel lato vado un po’ poco precisa.
La canzone che cantano Adrien e Gérard è “Frères, courons aux armes!”, una canzone intonata, come dice Irène, dalla Garde Nationale subito dopo la Prise de la Bastille, quando è stata formata, il 15 luglio 1789.
Alla prossima allora!
Cercherò di aggiornare il prima possibile ma ci potrebbe volere un po’ di tempo come vi ho detto.
Grazie,
Jenny.

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Capitolo 14
*** Fraternité ***


William mi corse incontro nel corridoio che portava al suo studio, impaziente.
“Irène, non vedevo l’ora che arrivasse il giorno del nostro incontro!
Ti sei comportata davvero con una perfidia inaudita a lasciarmi nel dubbio di chi fosse quell’uomo l’altra volta.
E‘ una settimana che mi arrovello sul problema, non riesco a trovare la soluzione”.
Risi sommessamente:”Siediti che adesso fugherò i tuoi dubbi.
Oh, dei biscotti!
Posso prenderne uno?”-domandai.
William annuii e io mi sedetti sgranocchiando il biscotto e iniziai a riprendere il racconto da dove avevo interrotto la volta precedente:” Quando mi vidi davanti agli occhi quell’ombra, per un attimo non riuscii a realizzare la situazione e rimasi impietrita davanti a quell’uomo, con una mano davanti alla bocca, totalmente senza parole.
Solo quando René biascicò “Zio Xime” e lo indicò  mi riscossi.
Mi sembrò che la scena si svolgesse in un tempo lunghissimo ma in realtà non passarono più di due secondi.
Mi lanciai tra le braccia di Maxime, piangendo e ridendo insieme.
Mio fratello era commosso e mi stringeva forte, come se avesse paura che venissimo separati nuovamente.
“Sorellina!
Lo sapevo che ci saremmo incontrati, ne ero sicuro!
Mi sei mancata talmente tanto, ero così preoccupato per te.
E’ bello rivederti!”.
“Dove sei stato?
Cosa è successo?”-domandai.
“Lo sapevo che eri vivo!”-gridai con foga, scompigliandogli i capelli.
Jean si intromise:” Certo che era vivo, te l’ho detto mon amour.
Non sbaglio mai io.
C’è qualcosa sotto, te lo ripeto”.
Maxime gli lanciò uno sguardo interrogativo.
“Si che ero vivo, perché avrei dovuto essere morto?
Sono stato ferito ma sono riuscito a sopravvivere perché sono andato da Madame Delacroix che ha chiamato un medico, si è presa cura di me e non mi ha fatto mancare niente, le devo la vita”-riprese,sorridendo.
Lo osservai meglio: aveva addosso una camicia di buona fattura ma logora, una giacca che mi ricordavo di aver visto addosso a Frédèric e un paio di pantaloni neri.
“Madame Delacroix? La ricchissima borghese che vi ha presi sotto la sua protezione da ragazzi, vero?
Ecco perché hai quegli stivali così belli!
Sono di suo figlio?
Frédéric, giusto?
Me li presti qualche domenica?
Non ho mai avuto un paio di scarpe che non fossero di pelle di cane o zoccoli di legno”-domandò mio marito, ammirandoli.
“I sanculotti non avevano scarpe.
Andavamo in giro a piedi nudi, al massimo con degli zoccoli di legno, tutti i giorni.
L’unico paio di scarpe che c’era in casa mia erano delle vecchie scarpe in pelle di cane di Jean, consumate e rotte, che ormai cadevano a pezzi, frutto dei suoi primi risparmi quando aveva cominciato a lavorare, le metteva solo la domenica per non rovinarle più di quello che già fossero.
Anche adesso se noti, io indosso delle scarpe da uomo che mi stanno larghe…
E sono anche queste le uniche scarpe che Jean si è riuscito a procurare, quando quelle vecchie ormai non erano più portabili, contrattando un prezzo accettabile con il ciabattino per cui Renè lavora come garzone.
 Io le indosso perché non voglio sporcare il pavimento del tuo studio e poi le metto quando devo andare a scrivere articoli in redazione, lui me le presta per queste esigenze, altrimenti le tiene ben riposte in un baule e se qualcuno si azzarda a toccarle lo fa infuriare.
Tornando alla storia, Jean sapeva che ero stata educata a Villa Delacroix, che mio padre lavorava per loro, che scrivevo a Madame ed ero rimasta in contatto con lei, così come lo era Maxime, e che Madame aveva un figlio, uno solo, Frédéric, con cui ero rimasta amica.
Però non gli ho mai raccontato dell’esistenza di Armand o del fatto che mi avesse raggiunta e mi stesse braccando, del perché ero scappata a Parigi, della morte di Monsieur o del fatto che quando ero andata in Provenza ero stata da loro, mi sono limitata a fare riferimento a dei debiti da pagare a debitori non meglio definiti per conto di mio padre.
Gli ho raccontato solo una piccola parte della verità”.
“Eppure state insieme da quanto?
Facendo un breve calcolo da quindici anni?
E vivete nella menzogna?”-domandò William, titubante...
“Mi auguro davvero che anche io e la mia attuale fidanzata potremo costruire un matrimonio su tanta fiducia, quando ci sposeremo”.
 Scossi la testa e agitai la legna che bruciava nel camino con l’attizzatoio:”Non si tratta di menzogna.
Si tratta di non aver voluto aggiungere dolore a dolore e pericolo a pericolo.
Di non aver voluto rispolverare pagine oscure della mia vita, a fin di bene.
Io sono una brava persona, o almeno così mi reputo.
Ho fatto del male, certo.
Ma l’ho sempre fatto perché è stato fatto a me o per proteggere chi amo.
Con questo non dico di essere perfetta, solo ben lungi dall’esserlo.
Però non mi si può accusare di mentire sistematicamente e senza un motivo.
Jean porta ancora sul suo corpo i segni di quello che ha gli è stato fatto durante quegli anni, in parte per causa mia.
Ancora oggi ha problemi di salute e dolori, ci sono giorni che mi dice che preferirebbe morire piuttosto che muoversi dal letto e affrontare una giornata.
Eppure deve alzarsi e andare in fabbrica, quattordici ore in una fornace.
Non reggerebbe se gli raccontassi del mio passato per intero, se gli dicessi che se oggi è rovinato, in parte è colpa della donna che ama.
Si sentirebbe tradito.
 E’ meglio lasciar perdere, ha già sofferto abbastanza”.
“Mi…mi dispiace per Jean…e anche per Etienne, non era successo qualcosa di grave anche a lui?
Se non te la senti di raccontarmi cosa gli è accaduto non ti preoccupare, non fa niente.
Adesso come stanno?”-il mio collega era molto curioso ma al contempo, mortificato per quello che poteva solo immaginare o, forse nemmeno quello, fosse successo ai due uomini.
“Se se la sentiranno te lo racconteranno loro stessi, ne abbiamo parlato.
Vogliono provarci.
Però dobbiamo andare in ordine cronologico e non è ancora giunto il momento.
Come stanno… beh, fisicamente nonostante qualche acciacco dovuto a ciò che hanno subìto, come ti ho detto, stanno abbastanza bene, praticamente come prima se li osservi velocemente.
Mentalmente…
Jean e Etienne interamente come io e Marion li abbiamo sposati, sono morti tanti anni fa…
Quelli che ci sono rimasti oggi sono dei sopravvissuti, due uomini che cercano ogni giorno di tornare com’erano, riuscendoci anche con alternativi successi, che tentano di fare qualche progresso per ritrovare se stessi, che cercano ogni giorno di andare avanti e nonostante tutto di godersi la vita per come viene.
Ma ne parleremo un’altra volta” conclusi, cupamente”lasciami raccontare di mio fratello”.
Maxime strabuzzò gli occhi:“Chi vi ha detto che ero morto, scusatemi?
A me è stato detta la stessa cosa di voi, infatti sono venuto in città per cercarvi.”-mi porse una lettera”ecco, Iréne, leggi.
E’ incredibile”.
Afferrai il foglio e un moto di rabbia cieca mi assalii man mano che procedevo nella lettura.

Caro Maxime,
ti scrivo per darti una notizia terribile, figlio mio.
So che sei ferito, che non è il momento per annunciartelo però devo dirtelo.
Sono andato a Parigi perché era un po’ che non ricevevo notizie di tua sorella e mi stavo preoccupando.
Arrivato all’indirizzo che mi aveva dato, non l’ho trovata per cui ho chiesto informazioni ad una vicina e mi è stato detto che, sprofondata sempre di più nella povertà, Irène è stata costretta a prostituirsi mentre suo marito Jean per portare denaro a casa è diventato un ladro.
Da quello che mi ha raccontato la donna, Irène è stata trovata morta in un vicolo vicino alla Salpetriere mentre Jean è finito in prigione e dopo qualche giorno è stato condannato e giustiziato invece del loro figlio si sono perse le tracce.
Non vorrei doverti dare questa notizia, credimi, ma purtroppo è successo.
Sono terribilmente addolorato.
Quando ti riprenderai, spediscimi una lettera, in modo che io possa sapere che almeno tu stai bene.
Con affetto,
tuo padre”.

Scaraventai la lettera sul tavolo e mi lasciai cadere sul divano.
Il n’est pas possible!”-esclamai.
“Hai visto?
Non me ne capacito, davvero.
Non riesco a spiegarmi questo comportamento”.
Jean ci guardava confuso, posando lo sguardo ora su di me, ora su Maxime.
“Posso sapere cosa sta succedendo?
Cosa c’è scritto in quella lettera che vi sconvolge tanto?”-chiese.
Io presi una bottiglia di vino da due soldi nella credenza e ne tirai giù una sorsata, per cercare di chiarirmi le idee.
“Volete?”-domandai ai due uomini, che non se lo certo fecero ripetere, poi mi posizionai accanto a mio fratello, mentre Jean si piazzava davanti a noi, seduto su una sedia spagliata e un po’ instabile.
“La situazione è questa: mio padre ha scritto a Maxime che io e te eravamo morti, Jean.
Che io ero diventata una prostituta ed ero morta in un modo non meglio definito ma sicuramente turpe in un vicolo, che tu ti eri dato al furto e eri finito alla ghigliottina e Renè sparito nei meandri di Parigi.
La lettera procede dicendo che sarebbe stata la Cittadina Annette a dargli queste informazioni ma è impossibile”.
Scusami?"-urlò Jean, sputando il vino che stava bevendo e rischiando di soffocarsi perchè gli era andato di traverso.
Tuo padre avrebbe inventato questo inganno?
Morti?
Ma lo ammazzo io!
Etienne aveva ragione!
Tuo padre è davvero pazzo!
Perché avrebbe dovuto farci credere queste cose?
Quello starà preparando qualche ricatto o qualcosa di losco, ve lo dico io,ha un doppio fine, sicuramente.”-sbraitò.
Scossi la testa.
“Non ne ho idea”-poi mi alzai e andai a cercare la lettera listata a lutto che mi aveva spedito qualche tempo prima.
“Maxime, a me è stato detto che tu eri morto”-spiegai, porgendogliela”ti ho scritto tante volte!
Ti ho anche invitato al mio matrimonio ma non mi ha risposto e quindi ho dovuto chiedere a nostro padre di venire a Parigi perché non mi sarei potuta sposare senza l’approvazione di un parente maschio!
E qualche tempo dopo essere venuto al nostro matrimonio, mi ha scritto che eri stato ucciso”.
“Non le ho mai ricevute.
Probabilmente c’era qualcuno che faceva in modo che non mi giungessero.
Noi non ci vediamo da quanto, un anno circa?
Tu quando ti sei sposata?”.
“Il 30 agosto dell’anno scorso”.
“In quel periodo stavo completando l’addestramento per ufficiali.
Ora che ci penso… la stazione di posta più vicina alla caserma è quella di Arles.
Nostro padre potrebbe aver corrotto il postiglione per farsi consegnare la mia corrispondenza e distruggerla.
Cosa gli è saltato in mente?
Io morto?...
Perchè?”.
“Rimane da capire a quale scopo, cosa c’è dietro, infatti.
Lo odio.
E io che credevo fosse davvero cambiato!
Povera illusa che sono.
Ci penseremo domani, dobbiamo scoprirlo”-aggiunsi io, disgustata.
Non mi capacitavo di come avessi fatto a credere alle parole di un uomo tanto subdolo come mio padre.
Mio fratello era infuriato, comprensibilmente.
“Non cambierà mai, anzi, diventa ogni giorno più pericoloso per cui dobbiamo stare in guardia e prepararci a reagire ad ogni sua mossa perché dubito che si sia accontentato, quando verrà a sapere che sono in città, farà in modo di trovarmi e troverà anche te.
Irène,ascoltami.
Adesso è tardi per cercare una locanda,non ho denaro sufficiente con me e non mi sento molto bene…
 Credo di avere la febbre”-disse, tossendo in un fazzoletto.
“Ti posso chiedere di ospitarmi solo per stanotte?
Non voglio essere invadente ma non ho un posto dove andare.
Mi basta un tetto sulla testa per una notte, domani mattina vado subito a cercarmi un lavoro e una stanza con un prezzo accessibile.
Non mi piace dipendere dagli altri, non sono come Céline o Alain.
Però avrei davvero bisogno di un posto dove stare stanotte”.
“Certo che puoi stare da noi, vero Jean?
Non devi nemmeno chiederlo!”.
Jean intervenne:”Puoi stare tutto il tempo che vuoi, Maxime, non ti preoccupare.
Comunque se cerchi un lavoro, tu che hai studiato: ho sentito dire da Adrien, non so se ti ricordi di lui dall’ultima volta che sei venuto a trovarci, quando siamo andati insieme a bere e ti ho presentato i miei amici?
Lui annuì:”Certo che mi ricordo!
Che bevuta memorabile, dobbiamo replicare!”-propose.
“Esattamente.
Mi ha detto che lo scrivano che lavora in piazza a fine mese lascia la bottega e cercava qualcuno che lo sostituisse: potresti andare a chiedergli se puoi prendere il suo posto.
Io fossi in te eviterei la Garde Nationale finchè puoi, dati i tuoi trascorsi…
E non ti consiglio impiegarti come operaio, sarebbe un peccato per te che hai una cultura buttarla via lavorando sotto padrone come noi poveracci ignoranti”-suggerì.
“Jean, hai avuto un’idea geniale, grazie per avermelo detto.
Credo che sarebbe un lavoro che fa per me, non penso sia nemmeno così impegnativo”.
Mio marito riprese:“Irène hai portato la cena?
Sei riuscita ad accaparrarti il pane stamattina, vero?
Non avrei voglia di arrabbiarmi a quest’ora, proprio no”.
Guardò nell’involto di carta che avevo posato sul tavolo:” Oh, molto bene, per stasera siamo a posto.
Dovrai accontentarti di pane e formaggio, Maxime, non abbiamo altro, e non abbiamo denaro per comprare la legna per la stufa quindi stiamo al freddo, le cose vanno sempre peggio in città”-spiegò.
“Ah, quel vetro ce lo ha spaccato l’amante di una mia amica, c’è uno spiffero di aria gelida che entra, non ci badare”-aggiunsi io, mentre prendevo dei piatti un po’ scheggiati dall’acquaio.
Maxime si mise una mano in tasca e ne tirò fuori un po’ di denaro:”Mi accontento eccome, sono abituato.
Mi ricordo bene com’era la vita quando eravamo piccoli, prima che mio padre venisse assunto dai Delacroix e decidesse di spedirmi in collegio…
Sono abituato alla miseria.
Jean, prendi, è tutto quello che ho.
Non sono molti ma dovrebbero bastare per comprare la legna”.
Jean contò il denaro, ringraziò Maxime, disse che sarebbe tornato nel giro di una mezz'ora, si mise il berretto frigio e uscì.
Approfittai di quel tempo per parlare con mio fratello.
“Secondo te perché nostro padre ci ha fatto credere a vicenda che fossimo morti?
Potrebbe volere dei soldi davvero, come mi diceva Jean?
Sai qualcosa di Céline e Alain?
Tutte le volte che papà mi ha scritto e anche quando è venuto al matrimonio ha sempre parlato di loro come dei figli perfetti, quelli che gli danno soddisfazioni, come al solito.
E mi ha anche detto che avrei dovuto sposare un uomo ricco per poter aiutare a mantenerli!”.
Maxime sospirò:” Beh lo sai com’è fatto.
Pensare che dovremmo essere noi il suo orgoglio, siamo i più grandi e gli unici che se la sono sempre cavata da soli.
Noi non siamo perfetti perché, per sua sfortuna e nostra fortuna, non siamo come lui avrebbe voluto.
Ma sai che ti dico, Irène?
Io sono orgoglioso e soddisfatto dell’uomo che sono diventato e della giovane, intelligente, meravigliosa donna che sei diventata tu.
E se non gli andiamo bene, che crepi quel vecchio egoista!

Ah… quanto mi manca maman certe volte… lei sarebbe fiera di noi e vorrebbe solo ed esclusivamente vederei felici i suoi figli, tutti e quattro”-aggiunse, meditabondo, guardando fuori dalla finestra.
Restammo un attimo in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri e ricordi.
Riprese:”Alain sta continuando gli studi e pare che se la cavi decentemente, anche se non brilla.
Quando finirà la scuola cercherà un lavoro.
L’ultima volta che l’ho visto abbiamo litigato e ci siamo presi a pugni ma ho dovuto smettere perché lui non è ancora abbastanza grande per affrontarmi, sono molto più forte, non era una lotta alla pari e se avessi continuato avrei potuto fargli davvero male.
Non che mi sarebbe dispiaciuto ma poi papà mi avrebbe perseguitato a vita più di quello che già sta facendo.
Céline invece, sai com’è, la solita smorfiosa con la puzza sotto il naso.
Non so come, papà è riuscito a metterla in contatto con una anziana nobildonna ma so per certo che la signora non è un’amica di Madame, gliel’ho chiesto.
Si è rifiutata categoricamente di aiutare Céline e Alain come ha fatto con noi perché dice che non se lo meritano e che non hanno la nostra intelligenza.
 Adesso la nostra sorellina sta cominciando a lavorare come dama di compagnia qualche ora e sogna di poter continuare su questa strada quando sarà più grande, sai, per poter entrare nei salotti agiati e compiere una scalata sociale, come papà avrebbe voluto per te.
Non ho avuto il cuore di dirle che la nobiltà presto non esisterà più se riusciremo nel nostro intento”-Maxime scoppiò in una fragorosa risata.
“Per quanto riguarda me, ho disertato dall’esercito e mi sono unito alla Garde Nationale però sono stato ferito durante degli scontri.
Ora che sono a Parigi, mi piacerebbe poter combattere dalla parte del popolo.
Ho sentito anche parlare di club politici che stanno nascendo!
Ce n’è uno … aspetta come si chiama… club dei Giacobini, può essere?”-domandò.
“Si, Giacobini.
Mi piacciono le idee che diffondono, il linea con quelle di Rousseau, mi ricordo quando il precettore dei Delacroix mi faceva leggere il “Contratto sociale”, anche se era rischioso avere a che fare con un libro del genere e se lo avesse scoperto Monsieur sarebbero stati guai.
Madame faceva in modo che le mie lezioni si svolgessero separatamente a quelle di Armand e il precettore poteva fingere di sostenere idee retrograde quando dava lezioni al caro figlio cadetto mentre con me discuteva, quasi come si fa con una pari.
Una volta mi ha detto che anche se ero una donna forse avrei potuto distinguermi nei salotti alto borghesi per la mia istruzione, se avessi migliorato il mio comportamento irriverente.
Sono stata fortunata ad essere istruita da un precettore illuminista, invece che un vecchio prete, altrimenti a quest’ora sarei stata piena di idee bigotte e sbagliate”-sospirai.
“L’ho letto anche io il “Contratto sociale”.
Era tra i libri proibiti in collegio ma io non ho mai amato rispettare le regole e l’ho rubato dalla biblioteca degli insegnanti, dove tenevano quel genere di libri sotto chiave perché non deviassero le nostre menti.
In quegli anni tristi ho letto moltissimi libri “immorali”.
Ho fatto altre cose molto immorali nel mentre…”-aggiunse con un sorriso malizioso.
A quel punto compresi che lo aveva fatto di nuovo.
Aveva sedotto un’altra ragazza e l’aveva lasciata quando le cose sarebbero dovute diventare serie, uno dei motivi per cui mio padre non lo sopportava.
Per come la vedeva lui, si trattava di una perdita di tempo e denaro e una cattiva reputazione gratuita.
Da questo lato posso anche dire che aveva ragione ma dopotutto mio fratello era contento così, chi eravamo noi per giudicarlo?
Un pò di critica poteva essere giustificata e io infatti non rinunciai ad esprimere il mio parere.
Ma certo tormentarlo come ha fatto mio padre e prenderlo in odio non aveva alcun senso.
Giovane, affascinante e con una parlantina niente male: uno di quegli uomini che riescono a incantare una ragazza con il loro modo di fare oltre che con il loro aspetto.
Per questo che alla fine è riuscito a sposare quell’oca, ci è cascata come nulla fosse ma pare che siano felici.
“Maximilen dimmi la verità…”-lo apostrofai.
“Stai scappando da una donna?
Merde, Maxime!
Quante volte ti ho detto di controllarti?
Possibile che non riesci a tenertelo nei pantaloni?
Cos’è, la fidanzata seria numero quattro, giusto?
Senza contare le scappatelle da una notte, ovviamente”.
Lui alzò le spalle.
Et les putains dans la rue appena avevo un’ora di libera uscita “-aggiunse.
“Che porco…in questo papà ha ragione: non pensi ad altro che a donne e vino”-gli tirai uno scapellotto"tu prega solo di non aver lasciato dei piccoli Fournier in giro altrimenti le madri vengono a cercarti e ti prendono a padellate in testa o a calci dove puoi immaginare, così saranno sicure che la smetterai di andare a fare conquiste una volta per tutte!
 E ti assicuro che io non le fermerò, te lo meriteresti!
Noi donne siamo pericolose quando ci arrabbiamo!".
Non si lasciò spaventare, conosce i miei punti deboli e ha sempre saputo come colpirmi per ferirmi:"Uff Iréne, non fare la santa che lo sappiamo tutti qual è la verità!
Eh…Senti chi parla…quella che a quindici anni arriva in una grande città da sola dopo aver commesso un crimine gravissimo, di cui non parleremo se preferisci, e tra le sue prime gesta possiamo ricordare che la suddetta trova un operaio diciassettenne e decide di concedersi a lui.
Perfortuna almeno siete stati attenti e non sei rimasta incinta subito altrimenti a quest’ora ne avreste una nidiata di figli, altro che uno.
Tutte bocche in più da sfamare.
E comunque in collegio era difficile mantenere relazioni e nell’esercito lo è ancora di più, è per questo che non ho voluto impegnarmi seriamente, volevo divertirmi.
E non sto “scappando da una donna”
Sono venuto qui per cercare te, principalmente.
Ero preoccupato.
E volevo cambiare vita, lasciarmi tutto alle spalle, anche la mia fidanzata.
 Devo ancora trovarmi una moglie, può darsi che la troverò, non perdere la fiducia in me, sorellina.
Voglio spassarmela e poi, se arriverà qualcuna che mi farà innamorare davvero, meglio ancora.
Bene, cambiamo argomento.
Tu piuttosto, come stai?
E’ vero che lavori per Marat?
Jean me ne stava parlando.
Però mi sembri turbata… Irène, c’è qualcosa che devi dirmi?”.
Stavo pensando se confessargli o no del ritorno di Armand ma non ebbi nemmeno il tempo di rispondere perché la scricchiolante porta della soffitta si aprì e apparve Jean, sporco di neve e intirizzito.
“Si gela, davvero.
Nevica ancora, c’è ghiaccio dappertutto.
Per stasera abbiamo la legna per scaldarci, mettiti davanti alla stufa Maxime, non hai per niente una bella cera…”-consigliò prendendo un fiammifero e un ceppo.
“Sai chi ho incontrato, Iréne?
Gustave.
Strano, di solito “lavora” più tardi….
Mi è sembrato preoccupato, si guardava intorno come se avesse paura di qualcosa.
Lo avranno trovato questa volta, dopotutto nel quartiere tutti lo sanno che mestiere fanno lui e sua moglie ma nessuno lo dice, solo perché qui non c’è niente di valore da portare via.
Forse sta volta ha rubato al nobile o al riccone sbagliato...”-osservò” ben gli sta al riccone!
Però mi spiace per Gustave e Charlotte, ci rimettono sempre i più deboli”.
Mangiammo e poi parlammo un po’ ma mio fratello era esausto per cui presto si sistemò sul divano accanto alla stufa e si addormentò.
Io e Jean rimanemmo ancora un po’ svegli a cercare di risolvere il problema di mio padre e a trascorrere un po’ di tempo con Renè e poi andammo a dormire ma, dopo poco, fummo svegliati da alte grida.
Spaventati, ci precipitammo in strada per vedere cosa fosse accaduto.
Percorremmo in fretta la via,in direzione dei lamenti e giungemmo all’angolo della strada.
Notammo una figura di fronte ad una porta di legno scrostato,mentre tutto intorno a noi le candele si accendevano e altra gente accorreva.
Charlotte "La Voleuse" piangeva e tremava, coprendosi il viso con le mani, inginocchiata sulla soglia.
La abbracciai e la trascinai via.
Quando Jean e altri uomini spalancarono la porta ed entrarono nella stanza, alzai lo sguardo e vidi una sagoma che pendeva da una trave del soffitto.
Gustave si era impiccato.

ANGOLO AUTRICE: Scusate il ritardo ma avevo altro a cui pensare in questo periodo e infatti mi volatilizzo subito e ci rivediamo a fine aprile se tutto va bene.
Finalmente è arrivato Maxime!
Lo volevate, eccolo, non è morto e ora è pronto ad unirsi a Iréne e i suoi amici.
Che bel tipo che è, vero?
Vi sta simpatico, vi piace?
Come lo trovate?
Ahah chissà se troverà l’amore…
Il libro di cui parlano Maxime e Iréne è appunto il saggio "Il Contratto Sociale"di Jean-Jaques Rousseau, del 1762.
All'epoca della sua pubblicazione è stato inserito nella lista dei libri proibiti in quanto illuminista e diffusore di idee troppo nuove ecco.
I rivoluzionari, in particolare Robespierre, si ispireranno però a Rousseau, come dice Iréne.
Il club dei Giacobini è stato fondato nel novembre 1789.
Avete visto perchè Maxime non riceveva la lettere di Iréne?
Cominciate le vostre congetture su cosa voglia quel bastardo di Monsieur Fournier dai figli maggiori, come può essere stato tanto perfido da convincerli a vicenda uno della morte dell'altra?
Fatemi sapere!
Fate voi se trovate altri punti importanti nel capitolo, non voglio darvi altri suggerimenti.
Alla prossima!
Jenny

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Capitolo 15
*** Innocence ***


 “Accomodati pure, Irène.
Ada è uscita a fare una commissione, non vedevo l’ora di togliermela di torno, non ne potevo più di sopportare le sue arringhe moraliste su quanto ho sbagliato ad accettare questo lavoro.
Sono costretto a tenerla qui al lavoro perché ho bisogno di un’assistente e se non altro è precisa e meticolosa quando mette in ordine i miei documenti e le bozze degli articoli da mandare alla stampa però è sempre più ferma nelle sue convinzioni e convinta che da quando mi hai iniziato a raccontare la tua storia , in questa stanza alberghi il Demonio.
Lasciamo perdere.
Cosa accadde a Gustave?
Ci deve essere una spiegazione del perché si sia ucciso. Sicuramente.
Ormai la storia si fa sempre più complicata e, oserei dire, confusa.
Seguirti diventa difficile però anche sempre più interessante”-spiegò il mio collega, intingendo la penna nel calamaio e preparandosi a scrivere.
Io sospirai:”Effettivamente per una persona esterna alle vicende può essere più complesso seguirle, alcune volte anche io temo di confondermi.
Sono accadute talmente tante cose, è stato un periodo così intenso che a volte tendo a confondermi, dimenticare qualcosa e narrare qualcosa di inesatto.
Tu scrivi tutto quello che ti dico, ti consiglio di segnartelo minuziosamente, poi se avessi sbagliato qualcosa quando saremo giunti quasi alla fine potrò ricontrollare tutti i tuoi appunti e cercare di capire se ho saltato qualche punto, potrò anche chiedere agli altri se sono stata abbastanza precisa nelle vicende che li riguardano, quando li porterò nel tuo studio”.
Mi fermai un attimo.
“William?”-domandai.
“Tu capisci tutto quello che dico?
Se non riesco a tradurre al meglio qualche cosa, ti prego di fermarmi…
Più avanti chiederò a mia nipote di venire a tradurre per me, quando dovrò entrare nei dettagli in certi punti del racconto.
Marianne è nata qui,  parla l’inglese molto meglio di me…
Posso chiederti perché non conosci la mia lingua?
Insomma, credevo che il francese fosse la lingua della cultura, anche qui da voi…”.
“Beh… infatti lo è.
Però non l’ho mai imparata, comunque non abbastanza bene per intraprendere una conversazione a livello di difficoltà delle nostre perché non provengo esattamente da una famiglia ricca, non ho potuto impararlo con un insegnante o frequentando qualche salotto.
Quando ho iniziato a lavorare nel giornalismo, ho dovuto imparare qualcosa, ciò che basta a intrattenere una conversazione piena di convenevoli e frasi fatte con gli intellettuali che a volte mi è capitato di incontrare per il mio lavoro, come quelli per cui stato scrivendo il saggio sulle donne.
E poi non nascondo che avevo un’opinione non molto positiva di voi, qui in Inghilterra è difficile concepire come si possa anche solo pensare di fare del male al sovrano.
Voi lo avete addirittura giustiziato.
Secondo la morale e la legge è un atto empio, è terribile.
Devo dire che però ho cambiato idea sui francesi da quando ho conosciuto te e da quando hai incominciato a raccontarmi davvero in che condizioni misere vivevate.
Ci vorrebbe anche qui una qualche rivolta nel West End, così che il governo apra gli occhi e prenda provvedimenti…
La povertà dilaga.
Poi da quando hanno cominciato ad aprire le fabbriche, da quando si è iniziato ad usare il telaio a vapore la popolazione della città è aumentata… molti contadini si sono riversati a Londra e negli altri grandi centri urbani in cerca di un’occupazione migliore ma non capiscono che è uno specchio per le allodole e che in realtà vengono sfruttati.
Tornando al nostro discorso, scriverò tutto ciò che dirai, trascriverò minuziosamente le tue parole, come ho fatto fin’ora”-confermò lui” prego, inizia a parlarmi di cosa accadde a Charlotte per esempio”.
“Bisogna contestualizzare meglio l’episodio.
Pochi giorni dopo la morte di Gustave, Charlotte sparì: c’era chi diceva che frequentasse la zona del Palais Royale e che si prostituisse, altri dicevano che era finita in prigione, altri ancora che aveva lasciato la città.
Presto però nessuno pensò più a lei e continuammo la nostra vita di sempre.
Maxime il giorno dopo essere arrivato a casa mia era andato da quello scrivano e era riuscito a farsi promettere il posto alla fine del mese, nel frattempo si era trovato un lavoro come facchino, in capo ad una settimana aveva trovato anche una stanza a basso prezzo nel Faubourg Saint Antoine, in centro,  e vi si era trasferito.
Proprio in quel periodo ricevetti una delle solite lettere di ammonimento del caro Armand, all’incirca così concepita:

Mi fa piacere sapere che anche tuo fratello è arrivato in città.
Lo credevo morto ma a quanto pare mia madre lo ha aiutato.
Poco importa, potrei sempre prendere due piccioni con una fava.
Non ti consiglio di parlarne con lui, se non vuoi pentirtene, capisci, potrebbe essere pericoloso, anche per lui.
Ti osservo sempre più da vicino, Iréne.
Devo solo trovare il momento giusto per agire e pianificare la mia vendetta ma tanto non hai fretta, vero?
Tuttavia devo dire di averti pensato a lungo, in questo periodo.
E ho concluso che forse ucciderti o farti arrestare effettivamente non sarebbe l’idea più adatta, vale la pena cercare di riconquistarti.
E ce la farò, credimi.
Ti pentirai di aver scelto quel poveraccio, riuscirò a farti aprire gli occhi.
Io sono in città e questa volta non ho intenzione di andarmene a breve per cui ci sarà sicuramente occasione di incontrarci di nuovo.
Non avresti mai creduto che avrei partecipato alla Rivoluzione, vero?
Ti sorprenderò, anche se probabilmente non saremo d’accordo nemmeno su questo.
Lasciami pensare a quando potrei darti appuntamento, mi farò sentire presto.
Armand”.


Ovviamente questa volta mi spaventai davvero appena lessi quella velata minaccia a Jean, non sapevo come interpretarla, se la stessi interpretando in modo corretto.
Non potevo però intervenire in alcun modo, se non affidandomi alla fortuna e al fatto che mio marito non avrebbe mai incontrato Armand.
Non ne feci parola con lui, come sempre, ma cominciai a capire che avrei dovuto confessarlo a qualcuno e l’unica persona che avrebbe potuto aiutarmi era proprio Maxime: sapevo che avrei potuto anche contare su Frédéric e Madame Delacroix ma non volevo coinvolgerli più di quello che già non fossero.
Frédéric aveva una moglie, forse avrebbe avuto anche dei figli, non sarebbe certo stato corretto metterlo in una posizione così scomoda e Madame era già stata minacciata più volte dal figlio minore, richiedere un suo intervento avrebbe potuto significare metterla davvero in estremo pericolo.
Sapevo che sarebbe stato complicato spiegare a mio fratello tutta la storia, che mi avrebbe preso per pazza dopo aver saputo da quanto tempo andava avanti quella vicenda e che avrebbe reagito male, impulsivamente, senza calcolare il pericolo che avrebbe potuto correre.
Lo avevo visto più volte dare in escandescenze per motivi ben più futili, ha un carattere molto simile a quello di Adrien, non per niente vanno molto d’accordo.
Avrebbe rischiato, con l’intento di aiutarmi, di mettermi ancora di più nei guai.
Una domenica pomeriggio io e Thérèse stavamo attraversando Rue de Rivoli quando incontrammo Etienne: ci fermammo a salutarlo ma mi pareva inquieto, preoccupato.
Aveva i capelli appiccicati alla fronte per il sudore, nonostante il freddo  e gli abiti in disordine, la camicia mezza strappata, lo sguardo stravolto.
Si fermò di colpo davanti a noi, ansimando per la corsa che doveva aver fatto fin lì.
Sembrava che misurasse le parole che ci diceva, non era il solito Etienne, spontaneo, divertente e alla mano.
Notai che continuava a voltare la testa a destra e a sinistra, come se si aspettasse di vedere arrivare qualcuno da un momento all’altro o come se qualcuno lo inseguisse e,quando lo lasciammo, si mise di nuovo a camminare velocemente, quasi correndo.
“Mi piacerebbe rimanere ancora qui a parlare con voi ma devo proprio lasciarvi, ho un impegno urgente e non posso mancare”-si scusò”immagino che voi ragazze abbiate comunque altre cose a cui pensare, ci vediamo con più calma in questi giorni”-aggiunse,cercando si cambiare argomento.
Impegno urgente la domenica, l’unico giorno in cui non era al lavoro?
Per di più al pomeriggio, quando al massimo un operaio che lavora tutta la settimana passerebbe quel giorno libero a dormire, a uscire con la moglie o a andare in un Cafè a bere con gli amici?
Scrollai le spalle pensando che probabilmente mi stavo preoccupando troppo e ripresi a camminare con la mia amica: entrammo in alcune botteghe e non ci pensammo più.
Presto però cominciarono ad accadere altri fatti strani di cui fui testimone, che definirei parecchio inusuali.
Una sera che non faceva troppo freddo io e Jean avevamo approfittato del fatto che Gabrielle, mia suocera, era venuta a cena da noi per poi lasciarle Renè e uscire a fare due passi quando, mentre camminavamo per il quartiere, udimmo delle risate infantili e un rumore sordo, come di qualcosa di pesante trascinato per terra provenire da un vicolo buio e maleodorante”.
“Li conoscevate?”-domandò il mio collega, a bassa voce, dopo aver tirato fuori un foglio pulito.
“Io e mio marito ci dirigemmo verso il punto da cui sentivamo provenire quelle voci e ci trovammo davanti ad una vecchia bottega di un macellaio, ormai in rovina, chiusa da anni.
La vegetazione si era impadronita dell’ingresso, verdi piante rampicanti con leggere sfumature color ruggine sulle foglie salivano per la porta, rami ornati di fiori selvatici e rovi uscivano dalle finestre.
Jean passò una mano su un vetro, per pulire la polvere e le ragnatele che disegnavano strane forme geometriche sul davanzale e guardò all’interno: una flebile luce si propagava nella stanza, i ganci per appendere i maiali proiettavano grottesche ombre sul muro.
Improvvisamente si voltò e mi fece segno di seguirlo all’interno, senza parlare.
Raggiunse i bambini alle spalle: “Buonasera piccoli cittadini!
Cosa ci fate qua, a quest’ora?
Si può sapere cosa state maneggiando?”-domandò, prendendo il più grande dei tre per un braccio e obbligandolo a spostarsi.
In un angolo, dietro a quello che era stato il bancone della macelleria, seduti in cerchio per terra alla luce fioca di una candela stavano infatti Gérard, Jacques e Philippe: al centro del cerchio si trovava una cassa per tenere la carne sottosale.
Gérard rimase un attimo interdetto:”Cittadino Jean, non sei il benvenuto nel nostro rifugio…”-incominciò mentre cercava di nascondersi nelle tasche qualcosa ma mio marito riuscì a fermarlo e, sul pavimento di rozzi mattoni, cadde una moneta d’oro: Jean si inginocchiò per terra e, con un gesto deciso, aprì la cassa.
All’interno c’era un gran numero di altre monete, molto più denaro di quello che eravamo abituati a vedere di solito.
Allibito, chiese spiegazioni:”Dove lo avete preso?
Dì un po’,Gérard, sei andato a rubare?
Cos’è, Véronique non fa abbastanza per te, hai bisogno di soldi?"-lo rimproverò, tirandogli uno scapellotto:“Chi vi ha dato queste monete?”.
Philippe uscì dalla penombra:”Una signora…una ricca signora…”-mi sussurrò timidamente il piccolo, aggrappandosi alla mia gonna.
Jacques alzò le spalle e intervenne, non prima di intimato al fratellino minore:”Chiudi il becco tu!”.
” Ce li ha dati una cittadina che aveva un’aria da ricca, noi non rubiamo.
Io ho pensato che sarebbe stato meglio non accettarli, mio papà dice che non devo accettare l’elemosina perché non abbiamo bisogno di essere compatiti però quando abbiamo visto tutto quel denaro…Non sono riuscito a rifiutare la mia parte”-precisò  il bambino, con lo sguardo a terra.
“Gérard, è vero?”- lo interrogò Jean, tenendolo per il colletto della camicia.
“Che aspetto aveva questa signora?
Sei sicuro che non volesse niente in cambio?”.
Il ragazzino si liberò dalla presa con uno strattone e si alzò, spavaldo:”Beh, hanno ragione.
Non l’abbiamo vista bene perché era in carrozza, quando ci siamo avvicinati per vedere se riuscivamo a sgraffignare qualcosa anche lei si è fermata e si è sporta leggermente dal finestrino: da quello che ho potuto osservare sembrava una nobildonna di mezza età, indossava guanti in pelle nera e una pelliccia di qualche animale raro forse, sembrava una di quelle bestie che si vedono al circo, quelle specie di grossi gatti con le macchie”-spiegò, gesticolando.
“Ci ha offerto del denaro e quando ha capito che avremmo accettato…beh ora che ci penso…”-esitò prima di continuare a parlare.
“Ha chiesto dove abitava la Cittadina Edith Marchand e io gliel’ho spiegato…
A quanto pare era una sua conoscente…non avrei dovuto?
Ho pensato che volesse offrirle un lavoro…
Non c’è altro…adesso che ci avete disturbati tu e la Cittadina Iréne potete andare a fare gli sdolcinati tutti baci e carezze picci picci da un’altra parte?
Questa è la nostra zona!”-gridò indispettito.
Jean era sorpreso da quello che aveva confessato Gérard ma a lui non disse niente, mi guardò e annuì.
“Cosa ne fate adesso?
Non potete tenere il denaro qui, è vero che non ci passa mai nessuno ma non è sicuro comunque.
Potrebbero rubarvelo o accusarvi di essere dei ladri.
Vi siete cacciati in un gran pasticcio e ho paura che ne pagherete le conseguenze”-li avvertì.
“Non diremo ai vostri genitori che vi abbiamo incontrati, già così quando tornerete a casa vi prenderete una bella dose di botte e cinghiate, è meglio non infierire…”-dissi io cercando di rassicurare Philippe e Jacques, che mi fissavano spaventati, temendo che avremmo riferito la storia a Etienne e Marion ”Gérard, accompagnali a Belleville, sono troppo piccoli per andare in giro da soli a quest’ora”-ordinai.
“Eh certo, così voi due fate sparire il malloppo… non mi fido!”.
Mio marito promise che non avrebbe toccato nemmeno un centesimo così, dopo esserci accertati che andassero davvero a casa, uscimmo dal vicolo e continuammo la nostra passeggiata, in silenzio.
C’era qualcosa che non funzionava in ciò che ci avevano raccontato i bambini… insomma, loro erano i primi ad avere un amor proprio e non accettare nemmeno una moneta se qualcuno cercava di avvicinarli per fare loro l’elemosina, quella misteriosa signora doveva aver proprio ispirato la loro fiducia.
Quando tornammo a casa, Gabrielle ci venne incontro spaventata:” Ho visto delle ombre passare per la via.
Si muovevano rasentando il muro, silenziosi come dei gatti.
Uno di loro si è fermato proprio sotto la finestra: a quel punto un soffio di vento ha spento la candela e mi sono seduta per terra, in un angolo, al buio più completo, stringendo Renè.
Avrei potuto giurare che ci fosse qualcuno.
Non lo so, figlio mio, probabilmente è solo suggestione e stanchezza”-disse a Jean mentre indossava lo scialle e si avviava alla porta”sarà stato un gatto o un mendicante che passava sotto casa”.
Presto ci saremmo accorti che si stava profilando una situazione molto più complessa e pericolosa di quella che ci avevano prospettato ingenuamente i bambini.
Nessuno di noi avrebbe potuto prevedere quello che successe dopo, quando iniziammo a guardarci l’un l’altro chiedendoci cosa ci stessimo nascondendo a vicenda.
 

ANGOLO AUTRICE: Bonsoir!
Ci siete ancora?
Lo so che avevo promesso di aggiornare entro il 15 e sono in ritardo ma ho avuto gli esami dopo mi sono dovuta un attimo riprendere prima di rimettermi al pc.
(Comunque sono andati bene, un 18 ma era letteratura greca e non mi interessava che finire sto esame e non vederla più, un 27 e un 29), by the way non divaghiamo.
Grazie per aver letto il capitolo, Alla prossima! :)
Jenny

 


 

 

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