Restano tre cose

di Kaguya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Interruzione / Nuovo cammino ***
Capitolo 2: *** Caduta / Passo di Danza ***
Capitolo 3: *** Paura / Scala ***
Capitolo 4: *** Sogno/Ponte ***
Capitolo 5: *** Bisogno/Incontro ***



Capitolo 1
*** Interruzione / Nuovo cammino ***


Restano Tre Cose
1. Interruzione / Nuovo cammino



Kaede Rukawa vedeva rosso.
Sempre. Ovunque. Da mesi.
Era il primo colore che gli saltava all'occhio, come se avesse sviluppato una particolare predilezione.
E dopotutto era proprio questo il punto. Lui il rosso aveva iniziato ad amarlo.
Non un rosso qualsiasi. Una particolare tonalità: il rosso Sakuragi.
I capelli di quel Do'hao avevano catturato la sua attenzione dal primo momento.
Poi erano seguiti i suoi occhi, a volte nascosti da quelle ciocche dispettose.
E a quelli erano seguite le labbra. Non erano rosse, ma a un certo punto aveva iniziato a sognarle, arrossate di baci e morsi.
Quelle fiamme lo avevano fatto impazzire.
Aveva lottato. Quando si era accorto di cosa stesse smuovendo il compagno di squadra dentro di lui, si era ribellato. Aveva provato a ignorarlo con scarso successo. Erano passati ai pugni innumerevoli volte. Ma nulla. Tirarlo fuori dalla sua testa sembrava un'impresa impossibile.
Alla fine si era arreso.
Ecco perchè era li, sulla porta della palestra, a osservare l'altro che si stava ancora allenando.
Aveva aspettato che gli altri uscissero per avere un po' di tempo da solo con lui.
Si richiuse la porta alle spalle e il cigolio attirò l'attenzione dell'oggetto dei suoi pensieri.

“Kitsune...spii gli allenamenti segreti del Tensai sperando di superarmi???”

Ecco che l'altro partiva a raffica, incrociando le braccia al petto, con la solita aria di sfida.
Ma Kaede non si lasciava certo intimorire.
Quando prendeva una decisione era impossibile smuoverlo. Cosi si era avvicinato, sotto lo sguardo incuriosito e un po' diffidente del rosso.

“Do'hao...parliamo...”

Borbottò, mentre sul viso di Sakuragi si dipingeva un'espressione stupita oltre l'inverosimile. Anche tralasciando i loro rapporti burrascosi, che Kaede Rukawa provasse il desiderio di “parlare” era comunque una notizia di un certo impatto.

“Come scusa???”

Chiese, con una nota isterica, chiedendosi se il rookie non fosse impazzito.
Kaede gli si fermò davanti, infilando le mani nelle tasche per non lasciarle libere di fare sciocchezze.
Fissò l'altro con la migliore delle sue espressioni indifferenti, per non far trapelare quanto fosse in ansia per quello che stava per dire, e aprì bocca.

“Nh, Do'hao io...”

Iniziò, interrompendosi subito al sentire il cigolio della porta che si apriva di nuovo.

“Hana! Ci stiamo gelando il culo qua fuori...muoviti!!”

Urlò una voce, che il moro riconobbe appartenere al fedele braccio destro del rosso.
Si voltò verso l'ingresso, fulminandolo e guadagnandosi un'occhiata altrettanto ostile.
Evidentemente temeva che stessero per venire alle mani come loro solito.

“Ah...Arrivo Yo!”

Rassicurò l'amico, Sakuragi, mentre Rukawa tornava a fissarlo.
Come poteva interromperlo cosi?

“Uhm...Volpe, senti...se parlassimo domani sul tetto in pausa pranzo?”

Propose imbarazzato Hanamichi.
Quell'improvvisa richiesta del moro lo aveva completamente spiazzato. Era troppo confuso per poter sostenere quello sguardo serio e indagatore. Era strano. Non c'era parola che poteva rendere meglio quello che era appena successo. Sentiva il cuore in tumulto ed era teso come una corda di violino.
Rukawa si strinse nelle spalle, annuendo con un leggero grugnito dei suoi, che voleva dire tutto e niente, mentre l'altro abbandonava la palestra.
Dopotutto poteva dirsi soddisfatto...Sakuragi non era scappato, aveva solo rimandato il confronto.
Poteva forse nutrire qualche aspettativa.
L'aveva letto negli occhi dell'altro.
Comunque fossero andate le cose, si stavano incamminando su una strada diversa.
Non sapeva cosa avrebbe trovato alla fine. Però sperava fosse quel sorriso che il rosso gli aveva rivolto un attimo prima di sparire dietro la porta.


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Salve! E rieccomi a scrivere di questi due...tipo una droga XD
Questa sarà una raccolta di flash-fic/drabble/one-shot (insomma quello che mi viene) ispirate dalla poesia di Fernando Pessoa “Restano tre cose”. Eccola qui:

Di tutto restano tre cose:
la certezza
che stiamo sempre iniziando,
la certezza
che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza
che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell'interruzione,
un nuovo cammino,
della caduta,
un passo di danza,
della paura,
una scala,
del sogno,
un ponte,
del bisogno,
un incontro.

Quelle in grassetto saranno le coppie di argomenti/richiami/situazioni che ritroverete nei capitoli.
Ogni capitolo sarà autoconclusivo...alla fine credo potranno essere letti come momenti diversi della stessa storia, ma non ho in mente un percorso cronologico quindi potrebbe uscirne qualsiasi cosa. Il pairing sarà sempre RuHana, questo è certo.
Grazie come sempre per l'attenzione se siete arrivati fin qui :)
A presto!

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Capitolo 2
*** Caduta / Passo di Danza ***


Restano Tre Cose
2. Caduta / Passo di Danza



Non c'era salvezza.
Nessun appiglio a cui aggrapparsi per contrastare la marea. Quelle onde impazzite che spingevano i suoi pensieri sempre più alla deriva.
Nelle orecchie solo il rombo del sangue. Sulla pelle un sapore salato.
Lenzuola bianche come vele abbandonate al volere del vento, impossibili da ammainare.
L'angosciante sensazione di essere risucchiato in un gorgo quando gli occhi impattarono contro quelle perle blu notte.
Un sospiro che lo trascinava via come il canto di una sirena. Molto più potente.
Non poteva nulla. E questa consapevolezza lo fece affondare più in profondità.
Non c'erano argini. Nessuna difesa.
Le mura erano cadute.
Niente più scuse. Nessuna remora.
Ma soprattutto non c'erano confini.
Distinguere dove finisse il suo respiro e iniziasse quello di Kaede era impensabile.
Le labbra si saccheggiavano a vicenda in una lotta senza fine.
Quanto erano stati sciocchi a pensare di poter sfuggire a tutto quello?
I proclami d'odio sprecati, i pugni che non riuscivano a fare male quanto uno sguardo negato.
L'orgoglio. Cosi tanto orgoglio...Le regole. I limiti.
Quel gioco di contrattazioni, di compromessi venuti male. E i nuovi proclami d'odio.
E quelli d'amore un attimo dopo.
Le finzioni e le distanze prese per non rischiare. Senza mettersi in gioco. Senza farsi male.
Stare in salvo nelle proprie fortezze.
Le prime crepe. E poi in quel pomeriggio di fine autunno il crollo.

“Vieni da me...”

Era stato un sussurro, quasi coperto dal fruscio delle foglie rosse che cadevano al suolo nel cortile della scuola.
Il silenzio timido che li aveva accolti in casa. E poi gli occhi che si parlavano, e timidi non lo erano per niente.
I primi passi di una danza vecchia come il mondo, sul divano.
La fuga su per le scale. Un rincorrersi che era finalmente un trovarsi.
Una coreografia perfetta.
Incastri di gambe e sorrisi complici.

Hanamichi non poteva fare a meno di pensare che se quello era il prezzo dello scoprirsi, dell'abbassare finalmente la guardia, era ben disposto a lasciarsi andare in caduta libera.
Le braccia di Kaede, strette attorno alla sua schiena, erano l'unica difesa di cui aveva bisogno.


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Capitolo due...vai con una flash-fic!!
Stasera mi sentivo romantica...spero di non aver scritto una roba inutilmente smielata...in quel caso chiedo venia! Grazie come sempre per l'attenzione se siete arrivati fin qui :)
A presto!

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Capitolo 3
*** Paura / Scala ***


Restano Tre Cose
3. Paura / Scala



Ci aveva provato.
Hanamichi ce l'aveva davvero messa tutta. Si era dimostrato maturo quando la sua metà aveva annunciato che sarebbe partito per l'America.
Solo un anno. Se l'era ripetuto come un mantra in quei giorni di preparativi.
Aveva sentito lo stomaco accartocciarsi all'idea, ma era rimasto sorridente, incoraggiando Kaede. Aveva fatto anche un po' il buffone avvisandolo che lui, il Tensai, lo avrebbe presto seguito.
Ma ne aveva di strada da fare prima di raggiungere quel livello. Ne era dolorosamente consapevole.
Eppure non aveva mai protestato. Aveva rassicurato la sua volpetta che non ci sarebbero stati problemi fra loro. Che un anno di lontananza non avrebbe cambiato niente. Telefono, email, Skype...ne avevano di mezzi per sentirsi!
Ma il calore? Il suo profumo? Come avrebbe fatto senza?

Poi il giorno della partenza era arrivato e Kaede era salito su quell'aereo diretto a New York lanciandogli solo un'occhiata, fra gli schiamazzi dei membri della squadra, accorsi a salutare il rookie.
I primi mesi non erano andati poi tanto male. Si sentivano quotidianamente, per quanto la differenza di circa tredici ore lo permettesse.
Ma gli impegni del moro erano aumentati rapidamente, cosi come i suoi. E i loro caratteri non erano di aiuto: troppo introverso l'altro, troppo impetuoso lui.
Era impaziente. Erano passati solo sei mesi, ma gli sembrava un'eternità. Si sentiva sempre più tagliato fuori dalla vita di Kaede. Ogni volta cercava di strappargli di bocca qualche informazione in più sulle sue giornate. Ma ogni tentativo era più pesante di quello precedente.
Alla fine era successo.

“Kaede...”

Aveva bisbigliato alla cornetta, cercando di mantenere un tono di voce saldo, mentre saldo non lo era per niente. Era stato il silenzio dall'altro lato a dargli la spinta finale.

“...io non ce la faccio più.”

Lo aveva ammesso con la voce tremante alla fine. Un singhiozzo soffocato nella gola.
Eppure la telefonata era andata come tutte le altre. Aveva chiesto al suo ragazzo della sua giornata ricevendo informazioni a spizzichi e bocconi. Per colmare il vuoto aveva iniziato a raccontare della propria, ma non sentendo alcuna partecipazione era crollato.
Quello che gli faceva rabbia era che, nonostante quella richiesta di aiuto disperata, Kaede non aveva reagito.
Sarebbe bastata una sua parola. Ma non era arrivata.

“Ciao.”

Aveva attaccato subito. Un attimo solo per assimilare quello che era accaduto. Poi aveva lasciato libere tutte le sue lacrime.

Kaede era rimasto a fissare la cornetta come se fosse un serpente velenoso.
Lasciato. Hanamichi lo aveva appena lasciato.
Mille domande gli si rincorrevano nella testa: come, perchè, quando?
Come aveva potuto lasciare che il suo Do'hao si allontanasse da lui?
Perchè non era stato capace di stargli accanto? Di rassicurarlo sulla sua presenza?
Quando era successo? Quando Hanamichi aveva iniziato a soffrire a causa sua?
Aveva lanciato il cordless a terra con un moto di stizza, posandosi una mano sulle labbra, mentre un singhiozzo gli sfuggiva insieme a due lacrime.
Ne era sconvolto. Da troppi anni non era travolto da quella sensazione cosi crudele: paura.
Senza quella Scimmia rossa lui aveva paura. O meglio: era terrorizzato all'idea di non averlo accanto.
Uno scatto, ed era di nuovo in piedi, catapultato dritto verso l'armadio.
Aveva preparato la valigia in un attimo, buttandoci dentro le sue poche cose alla rinfusa.
Bastava ottenere i permessi necessari la mattina dopo. Poi sarebbe tornato a casa.
A riprendersi il suo ragazzo.

Mito era accorso senza fare troppe domande dopo la telefonata di Hanamichi. Non ce n'era bisogno.
C'era una sola persona che poteva mandarlo in confusione fino a quel punto.
Lo aveva trovato con gli occhi gonfi e uno zaino pronto all'ingresso.

“Ho fatto una cazzata Yo...ho bisogno di un passaggio...”

Gli aveva detto. E lui si era limitato ad annuire. Poi l'aveva accompagnato all'aeroporto.
Aveva sventolato una mano per salutarlo mentre entrava nel gate, dopo avergli raccomandato di non fare altre sciocchezze che non poteva arrivare col motorino fino a New York.

Hanamichi era grato al suo migliore amico.
Un altro avrebbe potuto dirgli che era folle, che avrebbe dovuto fermarsi a pensare prima di fare una mossa del genere. Yohei no. E lui ne era felice.
Sprofondato nello scomodo sedile dell'aereo, continuava a rimuginare su quanto fosse stato sciocco e impulsivo. Aveva buttato alle ortiche la loro storia alla prima difficoltà.
Sperava solo di essere ancora in tempo per rimediare.

Kaede si trascinava il suo bagaglio dietro con una certa impazienza.
L'aeroporto gremito lo innervosiva. Per avere il permesso dal college aveva perso un sacco di tempo. E ora gli toccava anche fare lo slalom fra quegli sconosciuti che nulla sapevano del suo tormento e che camminavano distratti a passo di lumaca.
La paura lo attanagliava ogni minuto di più. Aveva la netta sensazione che Hanamichi gli sfuggisse sempre più di mano.
Aveva imboccato le scale mobili con la speranza di essere più veloce. Ma era stata una speranza vana.
Poi mentre posava distrattamente gli occhi sulle persone sulla scala accanto, che scorreva in senso opposto, lo aveva visto. Un miraggio dai capelli di fiamma.
E mentre il ragazzo incrociava il suo sguardo, sgranando gli occhi nocciola per lo stupore, aveva capito. Hanamichi era corso da lui.

“Kaede!!”

Lo chiamava con la sua voce. Non quel suono strano, distorto dal telefono. La sua voce.
Lottava con la scala ora, il moro, e con le persone che involontariamente investiva, vedendo l'altro fare lo stesso a un metro di fronte a lui.

“Hana...”

Aveva sussurrato, ancora troppo estasiato, beccandosi le proteste di quelli che gli stavano attorno.

“Scendi e aspettami! Non muoverti!”

Gli aveva ordinato, con una certa urgenza nella voce.
E aveva preso a correre. Come se non ci fosse nessuno attorno. Arrivato in cima alla scala aveva subito virato verso quella che aveva da poco percorso il suo ragazzo.
E si era guadagnato altri improperi, mentre correva giù per i gradini. Sembrava la scena di uno stupido film rosa.

“Maledetta scimmia...”

Borbottava Kaede fra i denti.
Non provava imbarazzo, non stava analizzando la situazione come suo solito. E decisamente non era controllato e composto.
Hanamichi era lì, a pochi passi dall'ultimo gradino.

Raggiungerlo e avvolgergli le braccia al collo fu un unico movimento.
Uno scontro di labbra, incuranti della piccola folla di curiosi che li fissava con tenerezza, mista a imbarazzo. Un bacio che scioglieva tutta la paura di perdersi.
Il rosso era stordito, ma non aveva esitato un istante ad abbandonare lo zaino a terra per stringere il suo ragazzo in un abbraccio.
Stava tornando da lui. Kaede stava tornando per lui. Non glielo aveva chiesto, ma ne era sicuro.
Si separarono a malincuore, rimanendo però legati e con le fronti a contatto, a fissarsi negli occhi.

“Do'hao...non osare mai più lasciarmi...”

Doveva mettere subito le cose in chiaro il rookie. Se fosse successo di nuovo avrebbe comunque fatto di tutto per riaverlo con sé, ma non poteva garantire che non sarebbe impazzito invece.
Hanamichi gli accarezzava la schiena dolcemente, ridacchiando.

“Non succederà...anche perchè, chi lo spiegherebbe ai nostri fan...?”

E solo in quel momento Kaede notò gli applausi che alcuni passanti gli stavano dedicando, forse intuendo la situazione.

“Do'hao...”

E sorrise.
Solo lui riusciva a costringerlo ad esporsi in quel modo.
Perchè solo con lui accanto Kaede non aveva paura di nulla.


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Eeee 3 :) ...ok la scena delle scale in aeroporto non è esattamente originale...penso di averla vista almeno in tre film ù_ù però ultimamente sono smielata e quindi mi sembrava perfetta...prima o poi tornerò acida lo giuro!!! Grazie ai miei lettori silenziosi...spero sia di vostro gradimento :)
A presto!

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Capitolo 4
*** Sogno/Ponte ***


Restano Tre Cose
4. Sogno / Ponte



Erano sulla terrazza.
Il sole di mezzogiorno gli aveva inondato il viso appena aveva aperto la porta e, accecato, ci aveva messo un attimo in più a individuare l'altro.
Avevano un appuntamento ed erano stati entrambi di parola. Hanamichi non ne era sorpreso.
Teneva le mani in tasca e le labbra atteggiate in una smorfia che voleva essere indolente e che invece assomigliava tremendamente a un broncio, mentre si avvicinava per fronteggiare il moro.

“Parla Kitsune...”

Aveva ingiunto in tono duro, per nulla rabbonito dagli occhi blu del rookie che brillavano di una luce strana. Quasi dispiaciuta.

“Ascolta Sakuragi io...”

Aveva accennato, con un atteggiamento remissivo che non riusciva proprio ad associare all'algida Volpe.
Poi la porta del terrazzo si era aperta, mostrando una Haruko trafelata. Il viso arrossato e il respiro pesante lasciavano intuire che doveva aver corso fin lì.

“No! Aspetta Kaede!”

Aveva urlato alla volta del moro, avvicinandoglisi, mentre Hanamichi assisteva basito alla scena.

“E' giusto che sia io a dirglielo, amore mio!”

Prese a cinguettare la ragazza, allacciando le mani attorno a un braccio della Kitsune, lasciando il rosso ancor più di sasso.

“Ma che cavolo...?”

Aveva bisbigliato, alternando lo sguardo fra i due, mentre una sensazione di disagio invadeva ogni sua cellula e qualcosa di pesante e fastidioso si accoccolava nel suo stomaco.

“Stiamo insieme Do'hao!”

La confessione cosi decisa di Rukawa fu il colpo di grazia. Senti la gelosia, ora si che la riconosceva, avvelenargli il sangue lentamente, mentre rielaborava la notizia.
Haruko era rossissima in viso, ma si ritrovò a non pensare affatto che fosse adorabile.
Improvvisamente si rese conto che c'era qualcosa che non andava. Il suo pugno scattò per puro istinto, impattando contro il viso della ragazza.

“Giù le zampe!!!”

Aveva urlato, afferrando Rukawa per un braccio e tirandolo a sé.
Decisamente qualcosa non andava, pensò. Strinse ancora più forte il ragazzo, mentre la porta della terrazza si aprì nuovamente facendo stavolta palesare il Gori, in sella a una bicicletta, che si slanciò verso di loro facendo trillare il campanello, al grido di “Animale! Come ti permetti!!!”
Avrebbe dovuto reagire, ma quel dannato trillo diventava sempre più insistente mentre gli si appannava la vista...

Hanamichi riemerse dalle maglie del sogno sobbalzando, nel rendersi conto che non c'era nessuna bicicletta, nessun Gori e soprattutto nessun Rukawa. Solo la sua sveglia impazzita che gli ricordava che era di nuovo in ritardo per la scuola.
Saltò fuori dal letto imprecando, dandosi mentalmente dell'idiota per quei sogni strani. Possibile fosse cosi agitato solo perchè la Volpe aveva detto che doveva parlargli? Sicuramente lo avrebbe trovato addormentato in terrazza. O forse non si sarebbe presentato affatto.
Sbuffò, rimproverandosi perchè continuava a pensare a quello là e si decise a prepararsi.

La mattinata passò nella solita routine. Arrivò tardi in classe, circondato dalla sua fedele Armata. Fu richiamato almeno sette volte nell'ora di matematica, e un paio in quella di letteratura. Si beccò alcune battutacce dei ragazzi e li ripagò con generose testate.
Ma più si avvicinava l'ora di pranzo più era inquieto. Alla fine, come era inevitabile che fosse, la pausa pranzo arrivò. Si distaccò dall'Armata con una scusa e si diresse verso la terrazza sul tetto come un condannato a morte, le immagini del sogno ben chiare nella mente.
Ma non stava dormendo ora, era ben lucido e sapeva bene da che parte stavano i suoi sentimenti.
Nuovamente baldanzoso, spalancò la porta della terrazza con un calcio.

“Rukawa!”

Chiamò in quello che sembrava un ringhio, vedendo il moro pacificamente addormentato al suolo, come al solito. Tanta aspettativa, addirittura gli incubi, e quello dormiva beato.
Gli si avvicinò a passo di marcia e gli si accovacciò accanto. Il tempo di registrare distrattamente quanto fosse bello col sole sul viso, e poi lo afferrò per la giubba della divisa, strattonandolo.

“Sveglia!!! Volpaccia malefica che non sei altro!”

Un mugugno infastidito fu l'unica risposta che ricevette. Sbuffò, prendendo a scuotere il compagno con maggiore intensità.

“Ascoltami, maledetto! Non permetterò mai che tu stia con Haruko!!! Capito? MAI!!!”

Strepitò, ricordando ancora il sogno, smettendo di shackerare il moro, quando questi spalancò gli occhi, afferrandogli un polso con una mano candida e affusolata.

“Oh! Finalmente!”

Accennò un sorriso, ma gli morì sulle labbra, quando il rookie gli mollò un cazzotto in pieno viso, costringendolo a mollare la presa sulla sua giacca e facendolo sbilanciare all'indietro col sedere sulle dure piastrelle.

“Ehi! Ma che diavolo ti prende...?”

Borbottò, senza però fare in tempo a riprendersi che Rukawa gli fu addosso, colpendolo nuovamente.
Ok che non amava essere svegliato, ma lì si stava davvero esagerando.

“Stupida Volpe! Smettila...ma non dovevamo parlare?”

Protestò, restituendo un pugno al ragazzo che lo fissava apertamente astioso.

“Sta zitto, Do'hao! Hai già parlato abbastanza!”

Lui aveva racimolato il coraggio per invitarlo a parlare, aveva racimolato speranze visto che quella Scimmia non si era tirata indietro, l'aveva aspettato e poi...? Poi quel cretino lo svegliava urlando ai quattro venti il suo interesse per la Babbuina.
Non ne poteva davvero più! Lo colpì di nuovo con cattiveria, per sfogare tutta la frustrazione che provava.
Andarono avanti cosi per un po', scazzottandosi a vicenda, scambiandosi insulti gratuiti. Finchè non caddero esausti a pochi passi di distanza l'uno dall'altro, entrambi ansimanti per lo sforzo.

“Bel modo di parlare Volpe...ti preferisco meno loquace...”

Lo provocò Hanamichi, ricevendo in risposta un monosillabo. Sbuffò esasperato. Che si fosse illuso? Che avesse interpretato male? Lui non aveva alcuna esperienza in quel campo. Perciò aveva chiesto consiglio a Mito...e si era anche lasciato convincere! Avrebbe subito la sua ira anche lui.
Ma prima la Kitsune.

“Si può sapere che ti è preso?”

Chiese di nuovo, sperando l'altro fosse troppo stanco per rispondere di nuovo a calci.
Ci fu un attimo di silenzio di troppo, che lo fece temere che il moro si fosse nuovamente addormentato. Poi la sua voce bassa ruppe il silenzio.

“Sei un Do'hao! Prenditela quella Babbuina, chi la vuole...!”

Aveva perso la calma. Lui, Kaede Rukawa. Doveva essere decisamente provato dalla lotta. O dai mesi di sentimenti repressi, chi può dirlo.
Hanamichi sobbalzò a quella risposta. Represse l'istinto di difendere l'amica da quell'insulto, perchè realizzò si essersi sentito sollevato all'idea che il rookie non fosse interessato alla ragazza. E non perchè la voleva per sé. Ormai gli era chiaro. Negli ultimi tempi aveva faticato parecchio a mettere ordine nei propri pensieri. Ad accettarli soprattutto. Ma lui era un tipo impulsivo, istintivo. Si era dovuto arrendere a se stesso alla fine.

“Non la voglio nemmeno io...”

Bisbigliò allora, voltandosi verso il moro, che fece lo stesso.
Si fissarono, i visi ancora irrigiditi dall'orgoglio e dalle botte date e subite.
Erano sempre stati come due isole in un mare in tempesta. Vicini, ma separati da testardaggine, pregiudizi, paure, incertezze. Incomunicabilità. Soprattutto quella visto che non riuscivano mai ad avere una conversazione civile.
Ma nonostante tutto erano il reciproco punto fermo, per un motivo o per un altro.
E su quel terrazzo Hanamichi pensò che sarebbe bastato lanciare una fune sull'altra sponda, iniziare pian piano a costruire un ponte. Capirsi poi sarebbe stato più semplice.
Cosi tese un braccio, allungando una mano verso il viso del moro, sfiorandolo appena con i polpastrelli.
E Kaede, lo osservò per un attimo, quasi diffidente.
Non era cosi che aveva immaginato quella giornata. Aveva pensato di poter parlare sinceramente, di spiegargli con schiettezza la natura dei suoi sentimenti. Sospirò.
A che servono le parole dopotutto? L'importante era trovare un codice che fosse solo loro. E lo vedeva in quegli occhi nocciola, in quella mano tesa.

“Do'hao...”

Sussurrò, andando a intrecciare le dita con quelle della mano di lui.


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Fiùù...ci ho messo più del previsto ad aggiornare fra un impegno e l'altro...ma ce l'ho fatta!
Innanzitutto dedico il capitolo a Slanif :) un po' per il piacevole stalking XD un po' sperando di non aver deluso la curiosità di vedere cosa sarebbe successo sulla terrazza!
Stranamente wikipedia mi ha dato l'ispirazione...se cercate “ponte” la definizione che salta fuori è: “struttura utilizzata per superare un ostacolo, naturale o artificiale, che si antepone alla continuità di una via di comunicazione”...non è che non sapessi cos'è un ponte, ma mi si è accesa una lampadina. Non facciamoci domande.
Il sogno invece è semidemenziale...E si, nessuno la vuole sta Haruko, povera stella...ma sono problemi suoi...lasciamo sti due a coccolarsi e via *-*
Grazie a tutti (recensori, preferiti, seguiti, lettori..) per essere arrivati fin qui! Alla prossima!!

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Capitolo 5
*** Bisogno/Incontro ***


Restano Tre Cose
5. Bisogno / Incontro



Ne abbiamo affrontate tante.
Siamo passati dall'odiarci a questo. Dal disprezzo all'accettazione.
E mai, mai, ho trovato qualcosa cosi fastidioso e frustrante come questo bisogno di farti capire.
Lo senti anche tu, vero?
E' straziante.
Continui a ripetere che è colpa dei miei silenzi se poi finiamo per litigare cosi.
Ma io credo sia colpa del tuo essere cosi rumoroso.
Urli, ti sbracci, mi vomiti addosso tutto quello che provi.
Ti chiedi mai se io sia pronto? Pronto a ricevere questa valanga che puntualmente mi travolge senza pietà?
Ti soffermi mai a osservare in silenzio? Sai leggere nei miei gesti?
O sei accecato? Distratto irreparabilmente dai tuoi casini, dai tuoi tumulti...da quella maledetta necessità di esternare e condividere e spiegarmi e assordarmi?
Pensi che io non voglia essere capito? Anche io vorrei darti le mie ragioni.
Ne sento un bisogno fisico, doloroso.
Credo siano le parole che si accumulano in grumi che mi schiacciano e non mi fanno respirare.
Tu in questi momenti non mi fai respirare.
E quando le parole falliscono, quando i silenzi non servono, ci restano le mani.
E' il nostro modo di incontrarci da sempre.
E oggi come allora il nostro bacio è più uno scontro di denti.
Le dita graffiano, caricatura di carezze che non possiamo concederci ora.
Ci strappiamo i capelli a vicenda, tirandoci vicini.
I gemiti diventano ruvidi, come due animali che si ringhiano contro.
Domani mattina, svegliandoci stretti, potremo leggere i segni sulla pelle l'uno dell'altro.
E tu saprai che io ti amo.
E io saprò che mi vuoi nonostante tutto.


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Non mi sembra vero di aver finito la raccolta...5 capitoli non sembravano niente, ma giuro che quest'ultimo mi ha fatta sudare...Avevo varie idee molto diverse su come articolarlo, ma alla fine niente...cestinate tutte e via a ruota libera...si vede mica che sono affetta da un mal di testa da record? XD Speriamo bene!! Grazie a chi arriverà fin qui...e un grazie a baby junior per aver preferito la storia, grazie a dome e Atman che l'hanno seguita...e grazie a Slanif per lo stalking più piacevole che ci sia :)

A presto!

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