La lettera sul cuore

di Emily27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** In my veins ***
Capitolo 2: *** Sei solo tu ***
Capitolo 3: *** Gocce di memoria ***
Capitolo 4: *** Senza fare sul serio ***
Capitolo 5: *** Non so dirti quando ***
Capitolo 6: *** Goodbye kiss ***



Capitolo 1
*** In my veins ***



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1

In my veins



 
Era venerdì sera, il fine settimana era alle porte e tra gli agenti nell'open space aleggiava un'atmosfera rilassata e cameratesca, il preludio a due giorni di libertà.
Kate terminò di scrivere il rapporto e si tirò indietro sullo schienale della sedia, soddisfatta del suo lavoro, soprattutto di quello che aveva svolto sul campo quel giorno. Era diventata un'agente dell'FBI esperta e brillante, due aggettivi che aveva meritato sudando e dando sempre il meglio di sé, distinguendosi fin da subito.
Alla scrivania di fronte a lei, Rachel McCord stava già riordinando sommariamente le sue cose.
«Te lo giuro, non vedevo l'ora che questa settimana infernale finisse. Quante ore abbiamo dormito negli ultimi tre giorni?»
«Dieci? Nove?» rispose Beckett spegnendo il computer.
«Vado a casa, mi faccio una doccia, mi butto sul letto e ci rimango almeno per ventiquattro ore!» annunciò Rachel alzandosi dalla sedia. «Immagino tu abbia altri programmi...»
Kate non ebbe il tempo di ribattere che sopraggiunse Hendricks, dicendole: «Di sotto c'è il tuo innamorato!» La superò e si diresse alla sua postazione, non prima di averle lanciato un'occhiata ammiccante.
«È qui? Doveva arrivare domani!» esclamò Beckett alzandosi in piedi, mentre un largo sorriso affiorava sulle sue labbra.
«Mmh... Ti fa anche le sorprese, sei una donna fortunata» disse McCord, e lei percepì nel suo tono una punta di sarcasmo.
«Non ti va proprio a genio, eh?»
Rachel scosse la testa, cercando senza successo di essere convincente. «No, al contrario.» Tacque alcuni istanti prima di attaccare: «Dico solo che forse... non è quello giusto per te, che forse non è una storia destinata a durare. Ho istinto per queste cose.»
Kate sospirò e la guardò in tralice. Non era la prima volta che la collega esprimeva perplessità circa la sua attuale vita amorosa, pareva non approvarla e questo la faceva innervosire.
«Comunque, da quando ha la ragazza, Hendricks non perde occasione per fare lo spiritoso» affermò McCord cambiando discorso, e Beckett sorrise di nuovo.
Entrambe presero la borsa e ridendo lasciarono le loro scrivanie.
Oltrepassarono la porta a vetri e si fecero portare dall'ascensore fino al pianterreno, dove uscirono sul grande atrio del palazzo sede dell'FBI di Washington DC.
Una volta fuori, Kate cercò Javier con lo sguardo, individuandolo appoggiato ad un muretto che delimitava un'aiuola di sempreverdi a lato dell'ingresso principale.
«Dovevo raccomandare ad Hendricks di non rovinarti la sorpresa» si rimproverò andandole incontro. Si abbracciarono scambiandosi un breve bacio.
«Me l'hai fatta ugualmente» disse Kate, felice che lui avesse anticipato il suo arrivo a Washington, previsto per l'indomani.
«Agente McCord» fu il saluto che Esposito riservò alla partner della sua compagna.
Rachel gli rivolse un sorriso fugace. «Ben arrivato. Vi lascio soli, passate un buon fine settimana» si congedò, prima d'incamminarsi verso il parcheggio.
Kate e Javier ricambiarono l'augurio.
«Mi odia» affermò poi lui indicando con un cenno della testa l'agente che si stava allontanando.
«Non è vero che ti odia.»
«Di sicuro non mi ama.»
«Vedrai che ti amerà.»
Esposito fece una smorfia per dimostrare il suo scetticismo, subito sostituita da un'espressione nuovamente allegra. «Allora, che ne dici di portarmi a cena da Bobby Van's, dove fanno la carne alla brace più buona di tutta Washington?» propose.
«Dell'intero paese, vorrai dire» lo corresse Beckett mentre si prendevano per mano dirigendosi verso la sua macchina. Si erano fatte le otto passate e la luce iniziava a cedere il passo al buio, dove sarebbe terminata quella giornata di fine estate ancora sorprendentemente calda.
Prima di salire in auto, Kate si sciolse i capelli che erano raccolti in uno chignon, facendoli ondeggiare sulle spalle. Una volta che Esposito ebbe caricato nel baule la sua borsa da viaggio e tutti e due furono all'interno dell'abitacolo, le loro bocche tornarono a cercarsi impazienti, in quel luogo più consono a certe effusioni che non l'ingresso del palazzo dell'FBI. Si baciarono a lungo, un modo per recuperare un mese di lontananza. Beckett, con rammarico, pensò anche al modo in cui sarebbe andata a finire se non si fossero trovati in un parcheggio alla luce, seppur calante, del sole.

Il Bobby Van's Grill era situato sulla New York Avenue, un nome che a loro suonava ironico vista la provenienza di entrambi. Il locale era piuttosto affollato a quell'ora del venerdì sera, sintomo dell'ottima qualità del cibo. Beckett ed Esposito si erano accomodati ad un tavolo d'angolo vicino alla finestra, trovato libero per miracolo, e avevano ordinato carne alla griglia e vino rosso.
Javier allungò una mano sul tavolo per raggiungere quella di Kate. «Mi sei mancata.»
«Anche tu» disse lei, poi abbassò lo sguardo. «Io non vengo mai a New York, non è molto giusto ma...»
«Ehi» fece Esposito stringendole più forte la mano e costringendola a guardarlo negli occhi. «Lo so. Va bene così.»
Beckett gli sorrise dolcemente e stette per dire qualcosa, ma l'arrivo del cameriere con il vino la interruppe. Il ragazzo versò il Pinot nei loro bicchieri, lasciò la bottiglia sul tavolo e si dileguò.
Brindarono e bevvero un sorso di vino. Javier osservò Kate, accarezzando con lo sguardo ogni tratto del suo volto, che in quel momento appariva stanco ma non meno incantevole.
«Sono felice che tu mi abbia fatto questa sorpresa, avremo più tempo da passare insieme» disse lei appoggiando il bicchiere.
«Abbiamo chiuso il caso prima del previsto, così ho chiesto alcune ore di permesso e ho preso il primo volo.»
Si sentivano ogni giorno, ma ciò rendeva solo in minima parte più sopportabile la mancanza che provava di Kate.
«Lo vedi quanto è in gamba la detective Shipton.»
Javier s'imbronciò. «Sarà anche in gamba, più o meno, ma io non la sopporto.»
«Dici così solo perché è la mia sostituta. Ormai è passato diverso tempo, è a tutti gli effetti una di voi.»
«No, ti sbagli: nessuno potrà mai sostituirti» affermò Esposito in un misto di serietà e dolcezza.
Beckett sorrise rassegnata e compiaciuta. «E va bene.»
Nonostante il ristorante fosse pieno, il servizio fu rapido e il cameriere tornò solerte con le loro ordinazioni. Posò davanti ad entrambi un piatto con l'invitante carne alla griglia, vanto del ristorante, accompagnata da patate fritte e salsa barbecue.
Fecero onore al cibo e al vino raccontandosi gli ultimi giorni, mentre fuori calava la notte.

Non appena Esposito e Kate furono a casa di quest'ultima, si ritrovarono avvinghiati. La giacca di lei e la camicia di lui si persero lungo il tragitto fino alla camera da letto, dove arrivarono sospinti dal desiderio.
Javier era attratto da Beckett in un modo travolgente. Lei aveva il potere d'infiammarlo di passione e provocargli tenerezza al tempo stesso. Aveva immaginato più volte come sarebbe stato baciare le sue labbra e accarezzare la sua pelle, e da quando gli era stato concesso farlo ogni volta per lui era unica.
La adagiò sul letto e lasciò che i loro corpi parlassero, danzassero fino a perdersi nell'infinito.
Più tardi, Beckett si addormentò con la testa appoggiata sul suo petto. Javier, circondandola con un braccio, ascoltava il suo respiro e fissava il buio della stanza. Amava Kate, di un amore che un tempo credeva di non saper provare e che lei gli aveva fatto scoprire ancora prima che la loro storia avesse avuto inizio. Un giorno le aveva detto ti amo, Beckett gli aveva preso il viso tra le mani e lo aveva baciato, senza dire nulla. Forse non le avrebbe mai sentito pronunciare quelle due parole.
Kate gli dava tutto ciò che poteva dargli al momento e lui avidamente lo prendeva. Sapeva che il fantasma di Castle sarebbe sempre stato presente fra di loro, e non nascondeva a se stesso quanto a volte ciò gli causasse disagio e quanto fosse spiacevole sapere di non essere l'unico padrone del cuore di Kate, ma se quello era il prezzo per averla, era disposto a pagarlo per il resto dei suoi giorni.

Il mattino successivo, Kate si svegliò con la luce che filtrava attraverso le tende a darle il buongiorno. Si alzò, lasciando Javier ancora tra le braccia di Morfeo, e in silenzio guadagnò il bagno dove si fece una doccia.
Con indosso soltanto una t-shirt lunga si recò in cucina a preparare la colazione. Scostò le tende per fare entrare il sole, che splendeva in un cielo privo di nuvole e che le regalò il buonumore. Innanzitutto fece il caffè, perché non c'era risveglio senza quella bevanda nera, poi aprì il frigorifero e scrutò al suo interno per vedere che cosa aveva da offrire, in quanto intendeva preparare qualcosa d'invitante per Esposito. Uova, burro, latte e nella dispensa aveva farina e zucchero: gli ingredienti per i pancakes.
I pancakes. Gli stessi che le preparava Castle. In un attimo il suo buonumore si dissolse e un nodo in gola prese il suo posto. Chiuse gli occhi e respirò a fondo, cercando di controllarsi, perché doveva andare avanti, doveva vivere, l'alternativa era annegare in un dolore più grande di lei.
Quello che le aveva lacerato l'anima il giorno in cui Rick era morto.

 
 
Nothin goes as planned.
 Everything will break.
 People say goodbye.
 In their own special way.

Everything will change.
 Nothin stays the same.
 And nobody here's perfect.
 Oh but everyone's to blame

Everything is dark.
 It's more than you can take.
 But you catch a glimpse of sun light.
 Shinin, shinin down on your face.

Oh you're in my veins
 And I cannot get you out



(Andrew Belle - “In my veins”)




Ciao!
A quasi due anni di distanza ritorno a pubblicare in questa sezione. Negli ultimi tempi ero a corto di ispirazione, poi, rileggendo una mia vecchia oneshot, mi si è accesa la lampadina.
Forse ho osato troppo, forse vi state preparando a tirare contro la sottoscritta i più svariati oggetti contundenti (e vi capisco) ma confido che alla fine vorrete lanciarmi solo petali di rosa. O almeno è quello che spero.
Ringrazio Reb (che è contenta di soffrire) per avermi rinfrescato la memoria riguardo alcuni particolari del telefilm e perché, insieme a Deb (ringrazio anche lei), testimonierà a mio favore quando farò causa all'ABC.
E niente. A martedì :)







 

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Capitolo 2
*** Sei solo tu ***


2

Sei solo tu



 
Quando Javier, in maglietta e boxer, si presentò in cucina, Kate si stava riprendendo dal momento di tristezza.
«Buongiorno» lo salutò sforzandosi di sorridere.
«Ciao» disse lui, e le si avvicinò per darle un bacio. «Che cosa prepari di buono?» domandò abbassando lo sguardo sulle uova che Beckett aveva posato accanto ai fornelli.
«Uova e pancetta» rispose lei. L'idea dei pancakes era stata accantonata.
Dall'espressione, Esposito sembrò gradire, poi si diresse verso il bagno. «Una doccia e arrivo.»
Kate prese dal frigorifero la confezione di pancetta, per fortuna ancora rimasta, e pensò a come era iniziata la sua relazione con Javier.
Quando Rick era morto, in un banale e stupido incidente a bordo di un taxi mentre si trovava a Los Angeles per il tour promozionale del suo ultimo libro, il mondo le era letteralmente crollato addosso, insieme a tutti i loro progetti, speranze e promesse di giorni felici. Si era sentita morire, preda di un dolore così grande da risultare insopportabile, lo stesso che avevano provato Martha e Alexis. Le tre donne più importanti della vita di Castle si erano strette in un abbraccio, cercando consolazione alla loro sofferenza inconsolabile.
Suo padre le era stato vicino, e a Beckett era sembrato di rivivere il periodo della morte di sua madre. L'intero Distretto era rimasto sconvolto dalla scomparsa dello scrittore, Ryan e la Gates non le avevano fatto mancare il loro affetto, Lanie le aveva dimostrato quanto grande potesse essere un'amicizia e Javier le era rimasto accanto in modo particolare.
Kate si era trovata sull'orlo del baratro. Per evitare di cadere in quel buco nero, l'unica maniera era stata quella di seppellire la sua pena in fondo al cuore e andare avanti con la sua vita, lontano da tutto ciò che le ricordava la felicità passata. Dopo un breve periodo di congedo dall'FBI, era tornata a Washington, senza più rimettere piede a New York.
Aveva però mantenuto i contatti con le persone che aveva lasciato in quella città e Lanie era anche andata a trovarla in un paio d'occasioni. Vedeva suo padre regolarmente, mostrandosi ogni volta serena per non farlo preoccupare, ma solo nell'ultimo periodo Jim sembrava essersene convinto.
Per quasi un anno dopo la morte di Castle, quando gli era stato possibile, Javier si era recato da lei a Washington durante il fine settimana. Kate era stata lieta di godere della compagnia di un amico con il quale parlare e svagarsi, che l'aveva sostenuta nei momenti di sconforto e fatta ridere come un tempo. Ad un certo punto aveva però intuito che lui provasse nei suoi confronti qualcosa di diverso dall'amicizia, restandone dapprima stupita e quasi imbarazzata. Con il tempo e senza rendersene conto, si era poi ritrovata anch'ella a vedere Esposito sotto una luce diversa, finendo con l'essere attratta da lui.
Così era iniziata la loro storia, che andava avanti ormai da un anno.
Ciò che provava per Javier, tuttavia, non era paragonabile all'amore che l'aveva legata a Castle. E che ancora la legava. Se dopo il funerale non aveva più fatto visita alla sua tomba, non significava che volesse dimenticarlo, semplicemente non sopportava l'idea di leggere il suo nome inciso su una lapide.
Esposito comparve in cucina, distogliendola dai suoi pensieri.
Le uova erano pronte e Kate le servì in tavola insieme a due tazze di caffè, poi entrambi si sedettero a fare colazione.
«Che giornata spettacolare» considerò Javier guardando fuori dalla finestra, da dove si scorgeva l'azzurro intenso del cielo privo di nuvole. «Perfetta per un giretto in bici. Ti va?»
Kate bevve un po' di caffè e poi rispose: «Mi hai letto nel pensiero.»
«È solo un'altra delle mie qualità» disse lui prima di portarsi alla bocca una consistente forchettata di uova e pancetta.
«Vuoi dire che non le ho ancora scoperte tutte?»
Javier fece segno di no con la testa e uno sguardo ammiccante.
Finirono la colazione decidendo il percorso da seguire durante la loro pedalata, poi Esposito si alzò per andare a posare i piatti sporchi nel lavandino. Passando accanto a Kate, le diede un bacio fra i capelli. «Sono un uomo pieno di risorse...» affermò, richiamando le battute di poco prima.
Beckett sorrise e avvicinò la tazza alle labbra per bere l'ultimo sorso di caffè. Esposito era sempre pieno di attenzioni e le dimostrava continuamente il suo amore, che le aveva anche espresso a parole. Un sentimento che non poteva essere eguagliato da quello che gli stava offrendo lei, anche se era tutto ciò che più si avvicinava all'amore che il suo cuore potesse ancora donare ad un uomo. Non glielo aveva mai confessato esplicitamente, ma era sicura che Javier lo sapesse.

In tenuta sportiva, uscirono nel sole e nell'aria piacevolmente tiepida di quella mattina di inizio settembre. Si allontanarono da casa di Beckett parlando e ridendo, senza far caso all'uomo all'interno di un'auto in sosta sull'altro lato della strada, il quale li osservò andare via attraverso un paio di lenti scure.

Raggiunsero a piedi il negozio del noleggio che distava solo due isolati, presero due biciclette e si diressero verso le zone del fiume.
Procedettero ad andatura da passeggiata arrivando fino all'Arlington Memorial Bridge, al centro del quale sostarono per meglio apprezzare la vista sul corso d'acqua e sulla città, dopodiché proseguirono attraversando il ponte fino all'altra sponda, dove una pista ciclabile seguiva il lungofiume. Pedalarono con il Potomac River che scorreva di fianco a loro, immersi nel verde del parco che incominciava a popolarsi di altri ciclisti, persone che facevano jogging o portavano il cane a passeggio.
Si fermarono all'ombra di un olmo, appoggiarono le biciclette alla pianta e si sedettero sull'erba. Javier ammirò il profilo di Kate, la quale teneva lo sguardo sul fiume che brillava alla luce del sole.
Lui e Beckett stavano insieme. Fino a un anno prima, se gli avessero detto che sarebbe successo non ci avrebbe creduto, invece il destino aveva deciso in quel modo.
Dopo la morte di Castle si era recato assiduamente a Washington da Kate, ma non certo per lucrare su quella disgrazia e trarne vantaggio, se lo aveva fatto era stato perché non aveva voluto lasciarla da sola con il grande dolore che stava provando e nascondendo agli occhi del mondo. Si era sempre ripromesso di sostenerla e proteggerla, di esserci quando ne avesse avuto bisogno, e aveva mantenuto l'impegno preso dal suo cuore.
Poi, inaspettatamente, ciò che era stato possibile soltanto nella sua immaginazione di uomo innamorato senza speranza, era diventato realtà.
Gli piaceva tutto di Kate: il modo in cui sorrideva, in cui aggrottava la fronte quando era pensierosa, la sua intelligenza e il suo coraggio, quando era arrabbiata e quando scherzava. Desiderava vederla ogni giorno, non gli bastavano più i fine settimana che, a causa degli impegni di lavoro di entrambi, a volte arrivavano a distare nel tempo anche un mese.
Beckett si voltò verso di lui e gli sorrise, guardandolo con i suoi occhi limpidi.
E Javier diede voce a quella che da un po' di tempo era una domanda che si portava dentro.
«Che cosa ne diresti di vivere insieme?»
Sul viso di Kate si dipinse un'espressione indecifrabile.


 
Perché mi piaci
in ogni modo
da ogni lato o prospettiva tu
perché se manchi
stringe un nodo
e il respiro non mi ritorna più

perché sei bella
che mi fai male
ma non ti importa
o forse neanche tu lo sai
e poi la sera vuoi far l'amore
ogni volta come fosse l'ultima

sei solo tu
nei giorni miei
sempre più
dentro me
sei solo tu
e dimmi che sono questo ora anch'io per te



(Nek - “Sei solo tu”)





Adesso sapete perché Riccardone è andato nel Paradiso degli scrittori.
Capitolo più che altro esplicativo, per capire come Beckett ed Esposito siano giunti fino a qui, a parte la proposta finale: Kate dirà di sì o dirà di no?
Come dite? L'uomo all'interno dell'auto...? Ah... A dire il vero non ci ho fatto caso nemmeno io...
Al prossimo capitolo, che sarà un po' più “movimentato” :P









 

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Capitolo 3
*** Gocce di memoria ***


3

Gocce di memoria



 
La proposta di Javier l'aveva spiazzata. Per alcuni lunghissimi secondi non proferì parola, con la consapevolezza che sul suo volto si leggesse l'indecisione.
Quando Rick le aveva chiesto di sposarlo, gli aveva detto di sì senza esitazioni, sicura di volerlo. Ora invece non riusciva a trovare una risposta, almeno non così su due piedi.
«Io...» esitò, distogliendo per un istante lo sguardo da quello di Esposito, per poi cercare nuovamente i suoi occhi. «Mi cogli alla sprovvista, non ne abbiamo mai parlato.»
«Lo stiamo facendo adesso» disse lui con tranquillità. «A volte dobbiamo fare i salti mortali per vederci, e i momenti che trascorriamo insieme passano sempre troppo velocemente. Vorrei stare con te ogni giorno, Kate.»
Quello di Javier era un desiderio più che legittimo, dopo un anno di una relazione a distanza, ma Beckett sentiva di non ricambiarlo pienamente. Sebbene anche a lei pesasse la loro lontananza, la prospettiva di una convivenza la spaventava.
«Chiederò il trasferimento qui a Washington, credo non ci saranno problemi» continuò Esposito, poi tacque in attesa di un suo cenno, che Beckett si decise a dare.
«Sarebbe un passo non indifferente, per me» confessò guardandosi le mani, dove ancora avvertiva l'assenza dell'anello di fidanzamento all'anulare sinistro. «Mi serve un po' di tempo» disse cercando con lo sguardo la sua comprensione. Oltre a quella, sul volto di Javier vide la delusione.
Lui annuì. «Certo, non intendo metterti fretta. Possiamo aspettare ancora.»
Kate appoggiò la testa sulla sua spalla e disse soltanto: «Grazie.» Per capirmi, per come sei, per esserci, pensò.
Esposito l'abbraccio e in silenzio restarono ad osservare il fiume che scorreva calmo.

 

**


Kate aprì gli occhi lentamente, riemergendo dal sonno. Le immagini che vide la lasciarono interdetta, dovette sbattere le palpebre più volte per rendersi conto di essere sveglia e che l'ambiente fosse reale.
Si trovava nella camera di Castle al loft, nel suo letto, con indosso soltanto l'intimo. Confusa, si guardò intorno nella luce che filtrava attraverso le tende, domandandosi come potesse trovarsi lì, però non fu in grado di darsi una risposta.
La sveglia sul tavolino da notte segnava le sette e quarantasette del mattino. Si tirò a sedere sulle lenzuola, cercando di ricordare le ore precedenti e la sera prima, ma nella sua mente c'era il buio totale.
Mentre un senso d'inquietudine si faceva strada in lei, notò un indumento posato sulla sedia in un angolo della stanza: era la camicia celeste di Rick.
Restò a fissarla per lunghi istanti, con il cervello incapace di qualsiasi ragionamento, poi scese dal letto e si avvicinò alla sedia, prese la camicia tra le mani e se l'accostò al viso. Il profumo di Castle le invase l'anima. Chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare in un tempo da cui non avrebbe più voluto tornare indietro. Non sapeva come fosse arrivata in quella stanza, né il perché, ma ora il disagio iniziale andava trasformandosi in un rassicurante calore.
Kate, assecondando un istinto, indossò la camicia e, a piedi nudi, scese al piano inferiore, dove tutto era come lo ricordava. Giunta in fondo alla scala, avvertì la presenza di qualcuno in cucina. Avanzò silenziosamente, finché quella parte del loft non fu a portata dei suoi occhi, e in quell'istante il suo cuore parve fermarsi.
Rick, canticchiando, stava trafficando ai fornelli.
Beckett dovette appoggiarsi allo schienale del divano, con un senso di vertigine e un morso allo stomaco. Senza osare compiere un movimento, si chiese se ciò che vedeva e sentiva corrispondesse alla realtà o fosse solo un'ingannevole illusione.
In quel momento, Castle notò la sua presenza. Quando i loro sguardi s'incontrarono, il cuore di Kate perse un battito.
«Buongiorno! Mi hai preceduto, volevo portarti la colazione a letto» la salutò Rick allegramente, mostrandole il vassoio su cui aveva già posizionato un piatto con i pancakes.
Castle era lì, la stava guardando, le stava parlando, non poteva essere solo frutto della sua immaginazione. Magari la sua morte, la storia con Javier e i due anni all'FBI erano stati un sogno, da cui si era svegliata riappropriandosi della realtà. Istintivamente il suo sguardo corse al polpaccio destro, dove, circa due mesi prima, era stata colpita di striscio da un proiettile nel corso di una sparatoria. Rimase disorientata nello scorgere i segni della ferita ancora visibili sulla pelle.
Lentamente, si mosse in direzione della cucina.
«Mi piace quando ti metti soltanto la mia camicia. Sei così sexy...» disse Rick, poi aggrottò la fronte. «Kate, stai bene? Hai una faccia...»
Beckett si fermò davanti a lui, confusa. Non capiva, non sapeva, probabilmente era diventata pazza, ma non le interessava e non aveva bisogno di comprendere. Le bastava che Castle fosse lì, il resto non aveva nessuna importanza.
«Sto bene» rispose, e il suono della sua voce la fece quasi trasalire. «È solo che... Sei qui.»
Rick le sorrise dolcemente accarezzandole i capelli. «Dove altro potrei essere?»
«Non lasciarmi mai» disse lei in una supplica.
Castle l'avvolse nel suo abbraccio forte e protettivo e le mormorò: «Non ti lascerò mai. Mai.»
Kate si abbandonò contro il suo petto, la testa sulla sua spalla, nel luogo caldo e sicuro che aveva creduto di avere perso per sempre.
Poi, all'improvviso, un boato squarciò il silenzio...

Si svegliò di soprassalto, mentre l'eco di un tuono si smorzava in lontananza. Si mise seduta con il cuore che le martellava nel petto, ascoltando il rumore della pioggia che sferzava i vetri. Un lampo inondò per un attimo la stanza di luce, rivelando i contorni familiari della sua camera da letto a Washington DC e comunicandole beffardo che quello che aveva appena vissuto era stato solamente un sogno.
Quegli attimi perfetti s'infransero contro la realtà, lasciandole il vuoto dentro, mentre il fragore di un altro tuono irrompeva nella stanza. Riusciva ancora a sentire le braccia di Rick che la stringevano, il suo viso fra i capelli e il suono rassicurante della sua voce, ma erano sensazioni sfuggenti come granelli di sabbia tra le dita. Era la prima volta che sognava Castle e ne era rimasta scossa, tanta era stata l'intensità delle emozioni provate e che ancora le facevano battere forte il cuore.
Accese l'abat-jour e scese dal letto, raggiunse il bagno e, davanti alla specchiera, osservò il suo volto alla luce del faretto. Vide malinconia e dolore nel profondo dei suoi occhi. Si bagnò il viso con l'acqua fredda, ma non bastò a respingere le lacrime che una dopo l'altra scesero a rigarle le guance. Le accettò, sedendosi sullo sgabello, arresa e fragile. Era stato nient'altro che uno stupendo e maledetto sogno, Rick non l'avrebbe più abbracciata, non le avrebbe più sorriso, il passato non sarebbe tornato, mai.
Lacrime e singhiozzi inarrestabili si unirono alla pioggia battente, per un tempo indefinibile.
Poi il pianto di Kate si placò, insieme al temporale. Mentre il cuore riprendeva a batterle ad un ritmo regolare, Beckett si asciugò gli occhi con le mani e trasse un respiro profondo, ritrovando poco a poco la calma. Ritornò in camera e si avvicinò alla cassettiera, sopra cui c'era un piccolo cofanetto di metallo intarsiato all'interno del quale aveva ritirato la collana con l'anello di sua madre, quando, non molto tempo dopo la morte di Castle, il responsabile dell'omicidio di Johanna era stato finalmente consegnato alla giustizia. Aprì lo scrigno e tirò fuori la collana, appeso alla quale c'era anche il suo anello di fidanzamento, da lei riposto agli inizi della sua relazione con Javier. Strinse tra le mani quei piccoli cerchi d'oro colmi di un significato profondo, fili che legavano indissolubilmente la sua anima a quelle di Rick e di sua madre.
Castle aveva cambiato la sua vita, insegnandole a ridere, a sentirsi libera e a provare l'amore vero. Insieme avevano sognato un futuro che però non sarebbe più arrivato, il destino aveva deciso così e nessuno poteva mutarlo.
Rick avrebbe per sempre fatto parte di lei, lo avrebbe amato e tenuto nel cuore ogni giorno della sua vita, mentre continuava a percorrere la sua strada. Sarebbe andata avanti, nonostante tutto, lo doveva a se stessa, a suo padre, a Javier e a tutte le persone che le volevano bene. Lo doveva a Castle.
Erano trascorse due settimane da quando Esposito le aveva chiesto di andare a vivere insieme, durante le quali mille dubbi l'avevano tormentata, ma ora sapeva che cosa doveva fare. Avrebbe accolto il nuovo futuro che le si offriva davanti.



 
Sono gocce di memoria
queste lacrime nuove
siamo anime in una storia
incancellabile

Siamo indivisibili
siamo uguali e fragili
e siamo già così lontani

Siamo gocce di un passato
che non può più tornare
questo tempo ci ha tradito
è inafferrabile

Le promesse sono infrante
come pioggia su di noi
le parole sono stanche
so che tu mi ascolterai
aspettiamo un altro viaggio
un destino, una verità
e dimmi come posso fare
per raggiungerti adesso



(Giorgia - “Gocce di memoria”)





Penso che a questo punto la risposta che Kate darà a Espo sia facile da indovinare. Anche se sappiamo che la nostra Beckett può sempre riservarci sorprese...
Fonti certe dicono che la camera da letto di Rick al loft si trova di sotto, adiacente allo studio. Prendete il fatto che io l'abbia posizionata al piano superiore come una licenza poetica. Mi piaceva di più :)
Chi ha creduto che Castle fosse vivo alzi la mano!
Ho capito, lo credete ancora...
Non mi resta che darvi appuntamento a martedì, quando magari vi strapperò qualche sorriso :)


 

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Capitolo 4
*** Senza fare sul serio ***


4

Senza fare sul serio



 
Beckett e McCord erano entrate in una caffetteria a Downtown per mettere qualcosa sotto i denti, prima di recarsi in uno studio legale per un caso che stavano seguendo. Il locale a quell'ora era frequentato da uomini e donne d'affari, che sedevano ai tavoli consumando un pasto veloce con un occhio sullo smartphone e l'altro sul tablet.
Una cameriera, augurando buon appetito, depose due piatti di tramezzini davanti a Kate e Rachel, le quali avevano occupato un tavolo compreso fra due separé.
«Io e Javier andiamo a vivere insieme» disse Beckett di punto in bianco, facendo quasi andare di traverso a McCord l'acqua frizzante. «Chiederà il trasferimento qui a DC. Sabato andremo a vedere un appartamento» sparò ancora, prima di addentare un tramezzino al tonno.
Rachel rimase a fissarla con il bicchiere a mezz'aria, tacendo.
«Potresti fingere di essere contenta per me» le suggerì Kate, ironica.
«Potrei.»
«Ma...?» la incalzò.
«Forse per te non è ancora il momento» considerò McCord prendendo un sandwich e iniziando a mangiare.
«Quando lo sarebbe? Io e Javier stiamo insieme da un anno, la nostra è una non sempre facile relazione a distanza, che cosa dovremmo aspettare?» Nel pronunciare quelle parole, Beckett finse di non ricordare i dubbi che l'avevano attanagliata fino a non molti giorni prima.
«Lo sai che cosa intendo» replicò la collega e ormai buon'amica. «Quello fra te e Rick era un grande amore, lui era tutto per te. Sei sicura di voler impegnarti in una convivenza con un altro uomo? Adesso?»
«È la scelta giusta per me» sostenne Kate con risolutezza, già rimpiangendo di aver toccato l'argomento.
Rachel finì uno dei due tramezzini, poi tornò alla carica. «Una scelta di cui potresti pentirti.»
Beckett scosse la testa: era la solita storia. La sua partner aveva da sempre dimostrato, direttamente e indirettamente, di essere contraria alla sua relazione con Esposito, e il motivo non le era mai stato ben chiaro. Molto probabilmente, sebbene lo negasse, non nutriva molta simpatia nei confronti del suo compagno.
«È troppo presto, Kate. Castle è ancora... presente» insistette McCord.
A quelle parole, lei si pulì nervosamente la bocca con un tovagliolo di carta, poi si sfogò: «Questa è la mia vita. Castle se n'è andato e non tornerà più, mai più!» Sentì le lacrime salirle pericolosamente agli occhi ma le trattenne.
Rachel aprì la bocca per parlare, ma subito dopo serrò le labbra e abbassò lo sguardo sul tavolo.
Il silenzio calò fra loro, mentre consumavano il resto del cibo ancora nei piatti.
Kate era irritata con l'amica, la quale aveva la presunzione di sapere che cosa fosse più giusto per lei, e con se stessa, per la reazione che aveva avuto riguardo a Castle.
McCord guardò l'ora, poi, con occhi velati di tristezza, disse: «Andiamo.»
Lasciarono il tavolo e si fermarono alla cassa a saldare il conto, dopodiché uscirono dalla caffetteria e tornarono al lavoro.

L'uomo seduto oltre il separé, proprio di spalle a dov'era stata Beckett, lasciò sul tavolo una banconota che bastava a pagare la sua consumazione e ad elargire una generosa mancia alla cameriera, prese la copia del Washington Post che aveva portato con sé e si alzò. Attraversò il locale senza fretta, per poi uscire nel primo pomeriggio assolato. Inforcò gli occhiali da sole e s'incamminò lungo il marciapiede, mescolandosi alla gente che camminava spedita verso la propria meta.


 
**


Esposito e Kate, a bordo dell'auto di quest'ultima, stavano percorrendo Massachusetts Avenue, una delle maggiori arterie di Dupont Circle. Il traffico era moderato, essendo sabato, e il bel tempo persisteva ancora. Beckett conosceva bene la zona, mentre Javier ci era stato soltanto una volta, motivo per cui lasciava vagare lo sguardo oltre il finestrino, osservando quello che magari presto sarebbe diventato il suo quartiere.
Si stavano recando a visitare un appartamento in affitto, trovato su un giornale di annunci. Situato in una zona tranquilla, spazioso e già arredato, faceva esattamente al caso loro. Avevano deciso di non vivere nell'abitazione di Beckett, in parte perché lo spazio era poco e in parte per iniziare una nuova vita in una nuova casa.
Esposito si voltò ad osservare il profilo di Kate, la quale gli stava raccontando della sua telefonata con la padrona di casa, che, a giudicare dal timbro di voce e dal modo di parlare, le aveva dato l'impressione di una persona eccentrica. Javier l'ascoltava distrattamente, poiché nello stesso momento rifletteva su quanto non gli sembrasse vero di andare a vivere insieme a lei. In passato la sua vita sentimentale era stata costellata da relazioni brevi e di poca importanza, anche il rapporto con Lanie non era mai decollato, questo perché nel suo cuore c'era sempre stata lei: Kate Beckett. L'unica con la quale avrebbe potuto pensare di legarsi per la vita, ipotesi che, oltre ogni immaginazione, stava diventando realtà.
Intanto Kate aveva svoltato a sinistra, imboccando la 18th Street. Percorsero due isolati e si fermarono davanti al numero centoquarantasette, che corrispondeva ad un palazzo a cinque piani ristrutturato di recente, con i muri dipinti di giallo e le persiane marroni. Scesero dalla macchina e andarono incontro alla padrona di casa, la quale li attendeva davanti al portone impettita nel suo metro e cinquanta. Doveva avere una settantina d'anni, con i capelli biondi cotonati, forse per guadagnare qualche centimetro, la giacca e la gonna a sgargianti motivi floreali e un chihuahua al guinzaglio, che li osservava incuriosito con la testa reclinata di lato, mentre si avvicinavano salendo i pochi gradini che conducevano all'ingresso.
«Il tuo intuito da detective non sbaglia mai» sussurrò Javier, e Kate gli sorrise compiaciuta.
La donna gettò a terrà la sigaretta che stava fumando, spegnendola con la punta di una scarpa lilla della stessa tonalità del rossetto, poi tese loro la mano dalle dita inanellate. «Buongiorno, signori.»
«Buongiorno signora Cooper» la salutò Kate. Lo stesso fece Esposito, e dopo due strette di mano la padrona di casa li accompagnò all'interno del palazzo, con il fedele cagnolino che le trotterellava fra le gambe.
L'appartamento era al pianterreno. Entrarono, trovandosi direttamente in un vasto soggiorno illuminato dal sole che entrava da due grandi finestre. I mobili erano piuttosto moderni e, a prima vista, in buono stato.
«Ecco qua, non è una meraviglia?» disse la donna facendo un ampio gesto con il braccio. «E guardate il divano!»
Beckett e Javier guardarono il divano: la stoffa delle fodere assomigliava in modo inquietante a quella del tailleur della signora.
«Ci metteremo su la mia coperta rosa» bisbigliò Kate all'orecchio del compagno, il quale annuì, ancora impressionato. «È molto... originale, bello!» affermò poi con un sorrisino.
«Seguitemi, venite per di qua!» li esortò la padrona di casa, facendo strada verso una porta che si apriva dal soggiorno e conduceva in cucina. Beckett fu subito conquistata dai mobili in legno chiaro ed Esposito dal calendario dei Washington Redskins appeso ad una parete.
La pittoresca signora li condusse poi nella zona notte, ticchettando con le scarpe lungo un breve corridoio preceduta dal cagnolino. Il bagno era spazioso, provvisto di un box doccia in cui ci si poteva stare comodamente in due e che fu l'oggetto dello sguardo allusivo che la donna lanciò loro. Beckett ed Esposito si trattennero lì, lasciando che lei li precedesse oltre.
«L'appartamento mi piace, direi che si può fare. Secondo te?» domandò Javier a bassa voce.
Kate esitò un attimo, prima di rispondere: «Beh... sì, non è male. Possiamo pensarci...»
Raggiunsero la signora Cooper, che mostrò loro le due camere, entrambe con un letto matrimoniale. Si fermarono in quella più grande, dove la padrona di casa elencò i vantaggi del materasso in lattice.
Javier non le prestò attenzione. Teneva gli occhi puntati su Kate, la quale stava fissando un punto indefinito della stanza con un'ombra nello sguardo. Si domandò che cosa la stesse turbando, ma non fece in tempo a provare a darsi una risposta che, con orrore, si accorse che il cane aveva alzato una zampa posteriore sulla sua gamba.
«Ehi!» gridò, senza riuscire a trattenere l'imprecazione che seguì.
La signora tirò prontamente il cagnolino a sé, prima che accadesse il peggio.
«Elvis! Vieni qui!» lo richiamò. «Lo perdoni.»
La risposta di Esposito consistette in una specie di grugnito.
«Voleva marcare il territorio, lei deve stargli simpatico» sostenne la donna chinandosi a fare una carezza ad Elvis.
«Che fortuna!»
Beckett intanto se la rideva sotto i baffi. Bella solidarietà, pensò Javier, ma per lo meno Kate aveva ritrovato il sorriso.
Terminato il giro dell'appartamento, ritornarono tutti in salotto.
«Dunque, signori...» disse la Cooper, evidentemente per fare il punto, ma venne interrotta dalla porta d'ingresso che veniva aperta.
Si voltarono tutti verso di essa, per vedere entrare un ragazzo con i capelli sparati, la maglietta degli AC/DC e un paio di jeans che parevano essere passati nella mietitrebbia, il quale si trascinava dietro una valigia malconcia.
«Qualcuno mi dà una mano?» chiese indicando con il pollice oltre la porta.
Javier e Kate indirizzarono lo sguardo verso la soglia, dov'erano stati lasciati due scatoloni e le parti smontate di una batteria, poi, perplessi, lo spostarono sul nuovo arrivato.
«Voi dovete essere i miei co-inquilini, giusto?» domandò il ragazzo, continuando poi a ruminare la sua gomma.
Dopo alcuni istanti in cui realizzarono la verità, Beckett ed Esposito trafissero la signora Cooper con occhi ridotti a due fessure.
«Co-inquilini?!» esclamarono all'unisono.
«Ehm... Ve lo avrei detto» si difese lei con aria angelica. «Questo appartamento è grande, ci sono due camere da letto, perché non lasciarlo a disposizione di più inquilini? In questo modo l'affitto è anche più basso. È un affare, non credete?»

«Un affare?!» inveì Esposito, mentre la macchina di Beckett percorreva a ritroso la 18th Street.
«Non era specificato sull'annuncio e ce lo avrebbe detto solo al momento di firmare il contratto» considerò lei ancora contrariata.
«Che noi ovviamente non avremmo firmato. Ma con chi credeva di avere a che fare?»
«Avremmo potuto mostrarle il distintivo» ironizzò Kate, svoltando a destra in   Massachusetts Avenue.
Javier rise. «Dai, non sarebbe stato male avere quel tipo come co-inquilino, la sua batteria ci avrebbe dato la sveglia al mattino.»
«O sarebbero finiti entrambi fuori dalla finestra.»
Kate all'apparenza sembrava di buonumore, ma Esposito avvertì che qualcosa la impensieriva.
«Va tutto bene?» le domandò.
«Sì» rispose lei, voltandosi ad abbozzare un sorriso.
Javier si convinse che doveva essere preoccupata per questioni di lavoro di cui non poteva parlargli.


 
**


Quel venerdì sera Kate rincasò ad un'ora decente, insieme ad una pizza ai funghi e lasciando fuori dalla porta un cielo denso di nubi che, unito all'aria più fredda, decretava la fine dell'estate. Se era stata una settimana tutto sommato tranquilla all'FBI, lo stesso non si poteva dire per quanto riguardava la sua sfera emotiva.
Si diresse subito in bagno dove si liberò dei vestiti, per poi indugiare a lungo sotto il getto caldo della doccia, tentando di fare chiarezza tra i suoi pensieri.
Nel dire a Javier che accettava di andare a vivere con lui, era stata convinta di non nutrire più nessun dubbio a riguardo, ma durante la visita dell'appartamento ad un tratto, smarrita, aveva realizzato che il momento di iniziare la convivenza sarebbe arrivato prima di quanto credesse. E tutte le sue certezze si erano sgretolate. Sapeva che prima o poi sarebbero giunti a quella fase della loro storia, ma egoisticamente avrebbe voluto che le cose restassero così com'erano, senza che la loro relazione si concretizzasse fino a tal punto.
Uscì dal box doccia, si asciugò e indossò una tuta leggera. In cucina, mentre la pizza si scaldava nel forno, apparecchiò il tavolo guardando distrattamente una puntata di Hell's Kitchen sul televisore del soggiorno, che con la cucina formava un unico ambiente.
L'indomani sarebbe arrivato Esposito e avrebbero visto un altro appartamento: l'idea non la elettrizzava. Con preoccupazione, rifletté che se provava tanta insicurezza voleva dire che forse non era pronta per una convivenza o, peggio ancora, che la sua relazione con Javier poggiava su basi traballanti. Adesso si stava rendendo conto di essersi rifugiata in quella storia per fuggire dal dolore, seppure inconsapevolmente. Questo non sminuiva il sentimento che provava per Javier, ma esso forse non era sufficiente per costruire il futuro che lui desiderava.
Kate si era ripromessa di andare avanti con la sua vita ed era ancora decisa a farlo, con o senza una persona al suo fianco, ed ora si sentiva ad un bivio, con il tempo che stringeva.
Le doleva ammetterlo, ma forse Rachel aveva ragione.
Cenò con la pizza e Gordon Ramsay, il quale, con le sue esibizioni sopra le righe, riuscì a farla sorridere.
Più tardi si sdraiò sul divano provando a rilassarsi, in quanto i suoi pensieri erano troppo pieni di se e di forse e aveva bisogno di un momento di tregua. Fece zapping sul televisore, fermandosi su un vecchio episodio di How I met your mother.
Stava ridendo ad una battuta di Barney Stinson, quando suonarono alla porta. Sorpresa, si mosse per andare ad aprire, domandandosi chi potesse farle visita.




 
 Lento può passare il tempo
 ma se perdi tempo
 poi ti scappa il tempo
 l’attimo
 Lento come il movimento
 che se fai distratto
 perdi il tuo momento
 perdi l’attimo
 prendi l’attimo
 Tu non lo sai come vorrei
 ridurre tutto ad un giorno di sole
 tu non lo sai come vorrei
 saper guardare indietro
 senza fare sul serio, senza fare sul serio
 come vorrei distrarmi e ridere.


(Malika Ayane - “Senza fare sul serio”)





Non ci crederete, ma ho avuto davvero a che fare con una specie di signora Cooper, cagnolino compreso, ed è stato uno spasso.
Ho come l'impressione che abbiate accolto con salti di gioia i se e i forse di Kate.
Vi starete anche domandando chi ha suonato alla porta... Magari è solo il vicino, venuto a chiedere dello zucchero.
Al prossimo, per andare ad aprire insieme a Beckett :)





 

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Capitolo 5
*** Non so dirti quando ***


5

Non so dirti quando



 
Prima di aprire la porta, Kate guardò attraverso lo spioncino. Sotto la luce del lampione esterno vide la figura di un uomo, il cui volto era in parte celato dall'ala di un cappellino nero.
Dato che il suo mestiere le aveva insegnato che la prudenza non è mai troppa, Beckett prese la pistola dal cassetto del mobile all'ingresso e se la infilò in vita, coprendola con la maglia della tuta e tenendo la mano pronta ad estrarla.
Aprì la porta. L'uomo, che aveva il cappellino e il giubbotto bagnati dalla pioggia fine che stava scendendo, la guardò con due occhi buoni e, con voce profonda, disse: «Mettila via, non sono pericoloso.»
Kate lo squadrò, quasi decisa a fidarsi. «Chi sei?» domandò passando direttamente al tu come aveva fatto lui.
«Sono il padre di Rick.»
Beckett ebbe un fremito.
L'uomo le allungò un distintivo e lei lo prese. Il suo nome era Jackson Alexander Callaway, un agente della CIA: corrispondeva a quanto le aveva raccontato Castle. Adesso capiva da dove veniva il secondo nome di Rick.
«Tutti mi chiamano Hunt» precisò. «Intanto potresti farmi entrare, non è la serata ideale per stare all'aria aperta» suggerì poi con un sorriso.
Kate si spostò dalla soglia per consentirgli di oltrepassarla. Quando Hunt fu dentro, chiuse la porta e gli restituì il distintivo.
«Rick mi ha parlato di te» disse riponendo la Glock.
«Spero ti abbia detto cose belle del suo vecchio genitore.»
«Solo cose belle» confermò Beckett con un sorriso tirato. Immaginò che lui volesse allentare la tensione: non bisognava essere un agente della CIA per capire che quella presenza inattesa l'avesse resa inquieta. Se il padre di Castle si trovava lì, doveva esistere un motivo, di sicuro non si trattava di una semplice visita di cortesia.
Kate andò a spegnere il televisore e Jackson si levò il cappellino e il giubbotto, sistemandoli su di una sedia. Sotto la sua camicia s'indovinava un fisico forte, i capelli bianchi erano un po' spettinati e il pizzetto brizzolato: Beckett non poté esimersi dal constatare che fosse un bell'uomo.
Hunt la guardò con intensità, pronunciando quella che era più un'affermazione che una domanda. «Hai sofferto molto.»
Non serviva specificare ciò cui si stava riferendo.
Kate annuì. «Anche per te non dev'essere stato facile.» Benché non fosse stato presente, per lo meno in modo concreto, nella vita di Rick, era suo padre, a modo suo lo amava e lo aveva perso poco tempo dopo il loro incontro. Immaginò il suo dolore vissuto in maniera solitaria.
Jackson tacque per qualche istante, poi disse: «Sono venuto qui per parlarti. È molto importante.»
Il suo tono era grave e, senza una spiegazione razionale, il sesto senso di Beckett le disse che doveva trattarsi di qualcosa legato alla morte di Castle. Forse non era stato un incidente, forse Rick era stato ucciso e la CIA stava indagando sul caso, ipotizzò irrazionalmente, sentendosi ancora più inquieta.
«Sediamoci» la invitò lui indicando il divano.
Sedettero l'uno accanto all'altra e Kate, ansiosa, aspettò che lui parlasse.
Hunt parve cercare le parole, poi incominciò. «Quando Rick si trovava a Los Angeles ha visto qualcosa che non doveva vedere, qualcosa di molto grave che lo ha messo in pericolo.»
Beckett avvertì il suo cuore accelerare i battiti. Era davvero come aveva supposto, probabilmente l'incidente era stato provocato per quel motivo. Il dolore la trafisse come se avesse nuovamente ricevuto la terribile notizia.
«C'erano persone che lo volevano morto, gente che non scherzava e che era già ricercata dalla CIA. Rick era un testimone chiave, la sua vita era a rischio così come quella di tutte le persone a lui vicine» continuò Hunt senza staccare gli occhi da lei. «Esisteva un unico modo per garantire la sua sicurezza e la vostra, la tua e quella di Martha e Alexis.»
Un'idea iniziò a formarsi nella mente di Beckett, ma era qualcosa di così grande che non poteva essere vero. Ciononostante avvertì un brivido.
«Rick è entrato a far parte del programma protezione testimoni.»
Per qualche istante Beckett non riuscì a provare niente, era come paralizzata sia nel fisico che nel cuore. Poi le mancò l'aria, ebbe le vertigini e se non fosse stata seduta le sue gambe avrebbero ceduto. Paradossalmente, si sentiva come se le avessero comunicato una tragedia. Invece era l'esatto opposto, ma aveva una folle paura di crederci.
«Ti senti bene?» le chiese Hunt scrutandola.
Kate ignorò la domanda. «Ho visto la sua bara, sono stata al funerale...» La sua voce era ridotta a un sussurro.
«Lo abbiamo fatto credere morto. Quel giorno un taxi ha avuto un brutto incidente, l'unico occupante dell'auto era il tassista, che è morto. Abbiamo fatto sì che si credesse alla presenza di un passeggero, anch'egli vittima dell'incidente. Tu non hai visto il corpo, solo la bara già chiusa» spiegò Hunt. «Rick è vivo e sta bene.»
Rick è vivo. Nella mente di Kate queste parole si ripetevano all'infinito. Era frastornata, tremante e con una gran voglia di piangere, ma le lacrime non arrivavano, bloccate da un'emozione troppo intensa. Rick, il suo Rick, che aveva pianto per due lunghi anni, che l'aveva lasciata sola e persa, che si era portato via una parte della sua vita, era vivo. Vivo.
Si abbandonò a quel pensiero, prendendone pienamente coscienza. Fu come se tornasse a splendere il sole dopo una tempesta interminabile.
«Mio Dio...» mormorò Kate, mentre una lacrima solitaria le rotolava sulla guancia.
Hunt, in un breve contatto, le mise una mano sulla spalla. «Tornerà da te.»
Tornerà da me, si disse lei, mentre sulle sue labbra affiorava un timido sorriso.
«Martha e Alexis lo sanno?» domandò, riavendosi.
«No.»
«Quando lo sapranno...» Kate non fece in tempo a terminare la frase, che Jackson la interruppe.
«Non lo sapranno. Almeno finché sarà tutto finito.»
Beckett si sorprese. «Perché? Credono di avere perso un padre e un figlio, stanno ancora soffrendo!»
«Lo so, lo so bene» affermò lui con dispiacere. «Ma nessuno deve sapere. Io non dovrei essere qui, non potrei rivelarti nulla di quello che ti sto dicendo. Sono le regole ed è giusto così, per la sicurezza dei testimoni e delle loro famiglie. Non immagini quante persone all'interno del programma stanno vivendo questa situazione. Fai parte anche tu delle forze dell'ordine, dovresti sapere come vanno certe cose.»
Kate, seppure a malincuore, fu costretta a dargli ragione. Poi rifletté ed esternò le sue perplessità.
«Allora perché a me l'hai rivelato? Perché adesso e non due anni fa?»
Hunt sospirò e si appoggiò allo schienale. «Come da sempre, in questi due anni ho seguito le vite di Martha e Alexis, e la tua. A volte anche da molto più vicino di quanto immagini. Riferivo a Rick, che voleva sapere tutto di voi, e questo, perlomeno, ci ha consentito di passare del tempo insieme.»
Beckett provò una fitta di rimorso mista ad imbarazzo: Castle sapeva di lei e Javier. Non c'era nulla di male nella loro storia, vista la situazione, però il pensiero le creò disagio. Comunque, alla luce dei fatti, era chiaro quali sarebbero state le sorti della loro relazione.
«State per iniziare una convivenza» continuò Jackson. «A questo punto Rick non poteva più restare nell'ombra. Mi ha chiesto d'informarti su come stanno le cose, perché temeva che tu non glielo avresti mai perdonato.»
«Lo avrei fatto, ma avrebbe dovuto pagare caro il mio perdono» affermò Kate ironicamente.
In quel momento, c'era una piccola parte di lei che provava del risentimento verso tutti coloro che erano a conoscenza della verità e gliel'avevano tenuta nascosta, lasciandola nel dolore. Nella fattispecie Hunt e lo stesso Rick.
All'improvviso un pensiero le balenò nella mente.
«Rachel è a conoscenza di tutto, vero?»
Hunt esitò, poi, sotto allo sguardo insistente di Beckett, cedette. «Sì, l'agente McCord collabora con il programma protezione testimoni.»
Ecco perché Rachel non approvava la sua relazione con Javier, adesso tutto le era chiaro. Un'altra persona da aggiungere alla lista di chi sapeva e aveva taciuto.
«Abbiamo lavorato due anni insieme, due anni, e lei ha lasciato che io soffrissi per tutto questo tempo!»
«Presumo che le sia costato, ma...»
«Ho capito. Le regole.»
Beckett sospirò, rassegnata. In fin dei conti, con la felicità immensa che stava provando, non poteva avercela realmente con qualcuno.
«Penso sia superfluo raccomandarti di non riferirle nulla. Tu non mi hai mai visto.»
«Certo» assentì Kate con marcata ovvietà, mentre il suo cervello non smetteva di lavorare. «Dove si trova Rick?»
Jackson si staccò dallo schienale e si protese verso di lei. «Ti aspetti davvero che io te lo dica?»
«Non correrò da lui, se è questo che intendi» ribatté piccata.
Hunt scosse la testa con aria divertita. «Ovviamente.»
Beckett distolse gli occhi ed espirò rumorosamente. «Okay» disse alzandosi in piedi e andando a piazzarsi davanti a lui. «Chi sono le persone che lo vogliono... che lo volevano morto? Questo almeno puoi dirmelo.»
«Abbiamo preso dei pesci piccoli, però è ai vertici dell'organizzazione che dobbiamo arrivare. CIA e Interpol stanno collaborando, agenti sotto copertura lavorano dall'interno, ma è un'operazione a lungo termine, che potrebbe concludersi tra un mese o un anno, chi può dirlo. Solo allora Rick potrà tornare.»
«Chi è questa gente?» insistette lei, caparbia.
«Rick mi ha fatto giurare di non dirtelo. Era certo che sapendolo tu non avresti esitato ad indagare per conto tuo, mettendoti così in pericolo.»
Castle la conosceva e aveva previsto le sue intenzioni. La stava proteggendo, come sempre. Per due anni l'aveva pensata, l'aveva amata, mentre lei viveva la sua vita ignara di tutto.
«Beckett insisterà, perché è testarda e ostinata. E non molla facilmente, io ne so qualcosa» recitò Jackson. «Queste sono le sue testuali parole.»
Kate spalancò gli occhi. «Ti ha detto così?»
Lui annuì. «Non so se di solito ricorri a torture o roba simile durante gli interrogatori, ma sappi che io sono in grado di resistere. Da questa bocca non uscirà una parola.»
Suo malgrado, le sfuggì un sorriso: sembrava di parlare con Castle.
«Ma... che cos'altro ti ha raccontato?» domandò assumendo un'espressione seria e mettendosi le mani ai fianchi.
«Solo cose belle!» Detto questo, Hunt lanciò un'occhiata al suo orologio da polso e si alzò dal divano. «Ora devo andare, ho un volo da prendere» la informò, sottraendosi così ad ulteriori tentativi da parte sua di estorcergli informazioni.
Beckett lo osservò mentre si rimetteva giubbotto e cappellino. Al momento, quell'uomo era l'unico legame che aveva con Rick, la sola possibilità di comunicare con lui.
«Digli che...» s'interruppe. C'era un miliardo di cose che avrebbe voluto dire a Castle, troppe per essere riassunte in poche e frettolose parole. Scelse di usarne solo due. «Che lo amo.»
«Glielo riferirò» promise Jackson. Tirò fuori una busta dalla tasca interna del giubbotto e gliela porse. «Rick mi ha chiesto di darti questa.»
Lei la prese e, con mani tremanti, fissò il nome Kate scritto su di essa con l'inconfondibile grafia di Castle. Sentì nuovamente un nodo alla gola. Sollevò gli occhi lucidi e incontrò quelli di Hunt, che la guardavano benevoli e con approvazione.
«Se non altro, ho conosciuto la mia futura nuora.»
Il matrimonio. Fino a poco prima Beckett s'interrogava sulla sua storia con Javier, e adesso poteva pensare alle nozze con Castle. Com'era strana e sorprendente la vita. E com'era bella.
«Ci rivedremo?» domandò. Conosceva il padre di Rick solo da un'ora, ma ciò che le aveva confidato li aveva inevitabilmente avvicinati.
«Chi lo sa» rispose lui facendo un gesto vago e andando verso la porta. «Stai bene.»
Kate annuì, poi lo seguì con lo sguardo mentre usciva e camminava sotto la pioggia che ora scendeva più copiosa, fino a raggiungere un suv nero parcheggiato lungo la strada. Prima di salire sul mezzo, Jackson si voltò e le fece un cenno di saluto con la mano, che lei ricambiò.
Quando se ne fu andato, Beckett rientrò in casa, ancora con la busta in mano. Se non fosse stato per quel pezzo di carta, forse le sarebbe sorto il dubbio di aver vissuto un altro sogno.
Andò a sedersi sul divano tenendo la lettera fra le mani, con il cuore che le batteva veloce nell'emozionante attesa di leggere il suo contenuto.
Estrasse dalla busta un foglio pieno della scrittura di Rick. Fu come avvertire la sua presenza, mentre accarezzava con lo sguardo le parole vergate dall'uomo che amava. Trasse un respiro profondo e lesse, immaginando la voce di Castle che le parlava.

Kate,
non so da dove cominciare. Sono uno scrittore e non so da dove cominciare a scrivere.
Mio padre ti ha spiegato ogni cosa, io ti dirò ciò che sente il mio cuore.
Le parole non bastano ad esprimere la sofferenza che ho provato nel causare tanto dolore a te, mia madre e Alexis, il senso di colpa per avervi sconvolto l'esistenza non mi dà tregua. Ho implorato perché ci fosse un altro modo, ma un altro modo non c'era. Non mi è rimasto che rassegnarmi e seguire le vostre vite da lontano, soffrendo con voi. Con te, immaginando la pena che stavi provando. Perdonami.
Però, insomma... Non posso lasciarvi soli un attimo che tu ed Esposito mi pugnalate alle spalle. Quando tornerò faremo i conti!
Ovviamente sto scherzando, mi conosci.
Se dovessi morire davvero, è proprio così che vorrei ti comportassi, reagendo e continuando la tua vita con la forza che ti contraddistingue, senza far spegnere il tuo sorriso. È questa la Kate Beckett che vorrei tu fossi.
Ho saputo che stavi con Esposito e mi ha fatto male, sono umano, ma non ti biasimo. C'era lui come poteva esserci qualcun altro, è stato giusto così. L'ho accettato per la tua sicurezza, ma ora che il vostro rapporto si sta spingendo oltre non potevo più restare nell'ombra, non me lo avresti mai perdonato.
Confesso che non è stato solo questo a convincermi, egoisticamente ho agito anche per me stesso. Se ti dicessi di non aspettarmi sarei un ipocrita. E tu mi aspetteresti comunque. So che lo farai, rimettendo in discussione le tue scelte.
Per ciò che siamo e che sempre saremo.
Sai una cosa... Essere morto ha i suoi vantaggi: non devo pagare le tasse, le vendite dei miei libri hanno subito un'impennata, posso scrivere in santa pace senza pressioni e senza che nessuno mi distolga dalla tastiera. Naturalmente presenti esclusi. Mi piaceva il modo in cui mi disturbavi tu...
In fin dei conti non me la passo poi tanto male, qui è un Paradiso. Beh, in senso metaforico.
Non saprai mai dove mi trovo e chi è la gente coinvolta in questa faccenda, perché non riusciresti a stare con le mani in mano, un piccolo indizio ti porterebbe ad uno più importante e così via, conducendoti verso un pericolo più grande di quanto tu possa immaginare.
Mi manchi Kate, da star male, ed è una tortura non sapere quando ti rivedrò. Ma tornerò, non so dirti quando, ma tornerò. Abbiamo un matrimonio da organizzare.
Vivi con questa certezza nel cuore.

Ti amo e ti amerò.
Sempre.


                                                                           Rick




Giunse alla fine con le labbra che ridevano e gli occhi colmi di lacrime, che una dopo l'altra scesero a rigarle le guance. Piangendo, si strinse la lettera al petto, dove tutti i pezzi del suo cuore infranto si ricomposero, permettendo ad esso di riprendere vita.


 
 
Manchi ora sempre e in ogni istante
dentro gli occhi miei
e adesso se ci fosse ancora un'occasione
io non la perderei

E adesso che la vita si fa dura
intorno a me,
ti dico, è stato un grande colpo di fortuna
avere avuto te

sei ancora dentro
e tu lo sai
e non mi chiedo come mai
ma se ci fosse ancora un'occasione
tu non la perderai

Non so dirti quando
ti rivedrò
non so dirti quanto
camminerò
non so dirti come
ma correrò
non so dirti dove
ma ci sarò



(Antonello Venditti - “Non so dirti quando”)

 





Riccardone è vivo e vegeto! Non l'avreste mai detto eh...
La cattiva notizia è che non si sa quando tornerà. Mi perdonate?
Non poteva mancare il mio adorato Jackson Hunt *-* Ho un debole per quell'uomo. Come avevo già fatto in precedenza, in una mia vecchia oneshot, gli ho attribuito il nome Alexander, perché mi piace pensare che proprio da lì arrivi il secondo nome di Rick.
Ci stiamo avvicinando al finale, infatti il prossimo sarà l'ultimo capitolo, e mi dispiace.
A martedì, per dare ad ogni cosa la giusta conclusione :)




 

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Capitolo 6
*** Goodbye kiss ***


6

Goodbye kiss



 
Era lunedì mattina e Kate si stava recando alla sede dell'FBI. Il traffico era lento, le nubi nascondevano il sole e lei veniva da un fine settimana tutt'altro che riposante. Eppure non si sentiva stanca, anzi, era piena di energia. Non era nemmeno spazientita dagli automobilisti imbranati e non vedeva il grigiore della giornata, perché nel suo cuore il sole splendeva. Si scoprì canticchiare e sorrise, sollevandosi per un istante ad osservare il suo volto nello specchietto retrovisore. Le piaceva vedere quella nuova Kate, senza più ombre nello sguardo.
Era stato come svegliarsi da un incubo. Non avrebbe mai dimenticato il dolore che l'aveva accompagnata per due anni, ma se lo era già lasciato alle spalle per fare posto ad una felicità assoluta, resa tale dall'essere arrivata all'improvviso, dopo tanta sofferenza.
Non sapeva quando avrebbe rivisto Castle, però il pensiero che lui fosse vivo da qualche parte nel mondo bastava a farla sentire leggera. Erano lontani, ma vicini con i loro cuori, che si parlavano silenziosi. Un giorno, Rick l'avrebbe nuovamente circondata nel suo abbraccio, le avrebbe ancora regalato il suo sorriso e le sue buffe espressioni. Un giorno tutto sarebbe ricominciato da dove si era interrotto.
L'unica nuvola in mezzo a quel sereno era rappresentata dal pensiero di Javier. Si sentiva tremendamente in colpa nei suoi confronti, per essersi legata a lui con troppa leggerezza, pensando solo a se stessa e al suo bisogno di aggrapparsi a quella storia per non cedere al dolore. Se solo nel suo intimo fosse stata più sincera, avrebbe evitato di illuderlo e fargli del male. Non se lo meritava. Ormai, però, non poteva più rimediare.
Due giorni prima aveva comunicato ad Esposito la sua inevitabile decisione. Ricordò le parole che gli aveva detto, le stesse che avrebbe pronunciato anche se Rick non fosse stato ancora vivo.
«Non sono pronta, Javier.»
Lui incassò il colpo e, con malcelata delusione, disse: «Desideri aspettare ancora? Mi sembravi convinta.»
Esposito, indubbiamente, si stava riferendo alla convivenza, così Beckett fu più chiara.
«No, io... Io non sono pronta per stare con qualcuno, per vivere una nuova storia. Me ne sto rendendo conto solo adesso.»
Javier tacque, limitandosi a tenere gli occhi nei suoi, guardandola dapprima con incredulità, che si trasformò poi in dolorosa consapevolezza.
Il silenzio era pesante, insopportabile per Kate, peggio di mille parole dure.
«Mi dispiace» disse con un filo di voce.
Lui lasciò trascorrere ancora qualche istante, quasi volesse punirla con il suo mutismo, tenendola sulla corda in attesa di una sua reazione.
Infine, parlò. «Ho sempre saputo che non avrei mai preso il posto di Castle nel tuo cuore, che lui per te sarebbe sempre rimasto l'unico e il solo, e l'ho accettato, mi andava bene così, perché comunque tra di noi esisteva qualcosa che mi faceva pensare alla possibilità di un futuro insieme, nonostante tutto. Evidentemente, qualcosa che vedevo solo io.» Il suo tono era pieno di amarezza.
«No. Non sarà stato sufficiente, ma io ti ho dato tutto quello che potevo dare.» Capiva che era una magra, magrissima consolazione, ma ci teneva che lui lo sapesse. «Ero sincera.»
«I tuoi baci, i tuoi gesti, le tue parole lo erano?»
«Sì» rispose lei. «Sì» ripeté annuendo. «Anche se involontariamente, so di averti illuso. Perdonami, Javier.»
In quel preciso istante, il suo cellulare trillò. Kate guardò il chiamante e non poté evitare di rispondere. Era il suo capo, che richiedeva la sua immediata presenza per un caso della massima importanza.
«Devo andare» annunciò con rammarico. Non avrebbe voluto farlo, non senza aver terminato quella conversazione. Lo salutò chiedendogli di rimanere a DC per parlare ancora, immaginando, però, che sarebbe salito sul primo aereo per New York.

Come aveva previsto, Esposito se n'era andato. Kate non voleva che tra di loro restassero parole non dette, così decise che avrebbe chiesto un giorno di permesso e sarebbe volata a New York.

Mezz'ora dopo era seduta alla sua scrivania, a sbrigare un po' di lavoro d'ufficio arretrato. Dopo un fine settimana frenetico, trascorso a dare la caccia e ad arrestare un terrorista, aveva accolto di buon grado quell'ordine da parte del capo.
Alzò gli occhi dalle scartoffie e osservò Rachel, intenta a sfogliare documenti. Ogni volta che la guardava, non poteva fare a meno di pensare a ciò che le stava nascondendo. Nonostante questo, non se la sentiva di essere arrabbiata con lei: al suo posto, avrebbe fatto esattamente la stessa cosa. Faceva parte del loro lavoro.
«Io e Javier ci siamo lasciati. O, per meglio dire, io l'ho lasciato» la informò. Nei giorni precedenti erano state così assorbite dalle indagini che non aveva trovato il modo di dirglielo.
McCord sollevò la testa e sul suo volto si lesse la sorpresa. Fu poi con espressione contrita che disse: «Mi dispiace.»
Dio che faccia tosta, pensò Beckett, immaginandola esultare nel suo intimo.
«Eviterò di dirti che avevo ragione» aggiunse trionfante.
«Me l'hai appena detto!» ribatté Kate. «Comunque sì, non ero pronta per una nuova storia» le concesse con un sospiro.
In quel momento, Hendricks passò loro accanto con la testa bassa, salutandole con un laconico ciao.
«Che gli è successo?» domandò Beckett aggrottando la fronte.
Rachel fece spallucce. «La ragazza lo ha lasciato.»
«Entro domani ne avrà trovata un'altra e riprenderà a fare lo spiritoso» prevedette lei sorridendo.
Firmò un incartamento, poi lo passò alla collega perché facesse altrettanto. Nel momento in cui McCord lo prese, il suo sguardo si soffermò un attimo di troppo sull'anulare sinistro di Kate, dove brillava l'anello di fidanzamento.
Si fissarono per alcuni lunghi istanti, finché sulle labbra di Rachel comparve l'ombra di un sorriso.
Kate pensò che se anche la sua partner avesse intuito che lei sapeva, e l'aveva intuito, compreso da chi le fosse stata rivelata la verità, avrebbe chiuso un occhio. Hunt era salvo. E lei, come gli aveva assicurato, non aveva aperto bocca.


 
**


Il capo le aveva accordato il permesso e il giorno dopo Kate era partita per New York. Una volta atterrata al La Guardia, a metà mattina, aveva chiamato Javier per chiedergli d'incontrarlo, dove e quando fosse stato per lui più comodo.
In quel momento lo stava aspettando seduta su una panchina di Central Park, nelle vicinanze dell'ingresso di Columbus Circle. Splendeva il sole in quel primo pomeriggio, ma nell'aria si sentiva il profumo dell'autunno.
Quella mattina era stata a trovare suo padre, il quale era rimasto sorpreso nel vederla, in modo particolare si era stupito che fosse a New York. Gli aveva raccontato della rottura con Javier e lui si era dispiaciuto, ma Kate sapeva, sebbene il padre non glielo avesse mai confessato, che doveva pensarla all'incirca come Rachel. Poi l'aveva guardata negli occhi e il suo volto si era fatto sereno, mentre le diceva che finalmente li vedeva di nuovo pieni di luce. Beckett lo aveva abbracciato.
Aveva pensato di far visita anche a Martha e Alexis, le avrebbe fatto piacere vederle, ma non era sicura che sarebbe riuscita a guardarle negli occhi sapendo che Rick era vivo, quindi aveva desistito.
Kate osservò i ciclisti che pedalavano lungo i vialetti del parco, i newyorkesi  che passeggiavano godendosi il sole ancora caldo, i turisti che curiosi si guardavano intorno e i grattacieli che svettavano in lontananza al di sopra delle piante: New York le era mancata. L'aveva lasciata con il cuore gonfio di dolore, e vi aveva fatto ritorno raggiante. Voleva tornare lì con Rick, nei luoghi che erano stati teatro dei loro momenti felici, che adesso era dolce ricordare, senza più farsi del male.
Esisteva una tomba che ora non aveva più alcun significato andare a visitare. Ironicamente, si domandò quale fosse il contenuto della bara. Era sicura che Castle avrebbe trovato qualche spiritosa battuta a riguardo con la quale esibirsi. Sorrise. Non vedeva l'ora. Chiuse gli occhi e sollevò il viso a farsi baciare dal sole, accarezzando quella che non era una speranza ma una meravigliosa certezza.

Javier entrò a Central Park e, mossi alcuni passi, individuò Beckett seduta su una panchina poco lontana. Camminò nella sua direzione.
Aveva creduto in  un futuro con lei, invece Kate aveva posto la parola fine alla loro relazione. Era stato per lui come una doccia gelata, ma se la sua decisione lo aveva colto impreparato doveva incolpare soltanto se stesso, per non aver mai dato ascolto alla fastidiosa vocina che lo aveva messo in guardia, avvertendolo sulla fragilità di quel rapporto.
Kate aveva affermato di avergli donato tutto il possibile in modo sincero e le aveva creduto, ma ciò non bastava a farlo sentire meno ferito. Poi gli aveva domandato di perdonarla, però, prima che lui potesse esprimersi, era stata chiamata per un caso urgente. Era uscita di casa in tutta fretta, pregandolo di rimanere per continuare a parlare, ma lui non si era comprensibilmente trovato nello stato d'animo adatto per aspettarla e, di conseguenza, aveva fatto ritorno a New York con il primo volo.
Non si erano sentiti fino a quella mattina, quando aveva ricevuto una telefonata da parte sua, in cui Beckett lo aveva informato di essere a New York domandandogli d'incontrarsi.
A dirla tutta, Esposito non desiderava vederla, non adesso, dopo solo alcuni giorni dalla fine della loro storia, ma era consapevole che fra di loro restasse ancora qualcosa da dire. Così aveva acconsentito alla sua richiesta e si era ritagliato un attimo di tempo.
Raggiunse Kate e si sedette accanto a lei sulla panchina, facendola trasalire. Persa ad inseguire i suoi pensieri, non doveva averlo visto arrivare.
«Ciao.»
«Ciao, Javier.»
Dopo qualche istante d'imbarazzato silenzio, lui, senza preamboli, disse: «Ti perdono.»
I lineamenti di Beckett si distesero in un'espressione sollevata e lui continuò: «Ma non posso smettere di amarti da un giorno all'altro.
Lei chinò il capo. «Lo so.» Si tirò una ciocca di capello dietro l'orecchio ed Esposito si accorse che portava di nuovo l'anello di fidanzamento. Quella vista acuì il suo dolore: per Kate, lui era stato soltanto una parentesi.
«Vorrei poter fare o dire qualcosa , ma penso non servirebbe» disse ancora lei.
«Infatti. Credo non ci sia più nulla da aggiungere.»
«Solo una cosa.» Fu con tono speranzoso che lei gli pose la domanda. «Resteremo amici, come lo siamo sempre stati in passato?»
Javier non tardò a rispondere. «No, non è possibile. Io per te ci sarò sempre, Kate, ma non si può tornare indietro.»
Lei restò in silenzio, facendo segno di sì con la testa quasi impercettibilmente. Esposito comprese il suo dispiacere, ma era inevitabile che la loro amicizia risultasse compromessa. Tra di loro niente sarebbe più stato come prima.
«Ora sarà meglio che vada, devo tornare al Distretto» disse alzandosi dalla panchina. Beckett fece lo stesso.
«Buona fortuna, Kate.»
«Anche a te. Arrivederci, Javier.» Gli sorrise con un po' di tristezza.
Esposito rimirò il suo viso, incantevole ed attraente in ogni espressione, che amava come tutto il resto di lei. Le andò vicino, tanto da sentire il suo profumo, e posò le labbra sulle sue in un bacio delicato, per rubare ancora un attimo a quell'amore irrealizzabile.
Sotto allo sguardo di Kate, velato di stupore, Javier si allontanò da lei e s'incamminò lungo il vialetto senza mai voltarsi indietro. Non sapeva se ringraziare il destino per avergli regalato i giorni preziosi trascorsi con la donna che amava da tanto tempo, oppure maledire il momento in cui era iniziata la loro storia, se voler conservarne gelosamente i ricordi nel cuore, o cancellarli per sempre.
Entrambi avrebbero vissuto le loro vite, percorrendo ognuno la propria strada. Un giorno si sarebbero rincontrati e forse sarebbe riuscito a guardare Kate senza provare una fitta al cuore.
Forse.


 
 
Doomed from the start
we met with a goodbye kiss

Maybe the days we had are gone
living in silence for too long

Cause we burnt out, that's what you do
when you have everything, it can’t be true

Open you’re eyes and what do you see?
the last stand, let go of my hand

Turning slowly, looking back, see
no words can save this, you’re broken and I’m pissed
Run along like I’m supposed to, be the man I ought to

You go your way and I’ll go my way
no words can save us

I hope someday that we will meet again



(Kasabian - “Goodbye kiss”)

 
 



 
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E vissero tutti felici e contenti. Tranne Espo. Guardate che le sento le vostre risatine malefiche!
Siamo giunti alla fine. Mi dispiace non avere più l'appuntamento del martedì con voi, mi mancherà il tenervi sulla graticola per tutta la settimana! Ma, soprattutto, mi mancheranno le vostre ipotesi, le battute, i nostri scambi.
Vi ringrazio tantissimo per tutte le belle recensioni, per aver accolto in modo positivo questa storia un po' fuori dagli schemi, senza aver scagliato nulla contro la sottoscritta.
Ringrazio anche chi ha letto silenziosamente, dedicandomi parte del suo tempo, sperando che anche qui valga la regola che chi tace acconsente ;)
Comunque non preoccupatevi (o preoccupatevi) tornerò presto!
Grazie ancora :)

Cri



 

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