House of Echoes

di Wassat
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Cold Welcome ***
Capitolo 3: *** Insect Eyes ***
Capitolo 4: *** Friendly Haunt ***
Capitolo 5: *** Balm of Choice ***
Capitolo 6: *** Bad Blood ***
Capitolo 7: *** Black Tea ***
Capitolo 8: *** Pale Sun ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


HoE chap 1

Euheueheuh, eccomi qui con la nuova fic! Spero vi piaccia. I capitoli sono più corti di PF e questa è un po' una grazia dal cielo, dato che con la scuola mi trovo meglio così. Grazie alla brevità di essi potrei riuscire a postarne anche due a settimana, ma sicuramente non sarà la regola. Questa volta non mi do un giorno preciso per l'aggiornamento, perché tra i compiti per casa e lo studio non penso riuscirò ad aggiornare regolarmente. Comunque se mi capiterà di dover saltare anche l'aggiornamento settimanale lo scriverò nel gruppo facebook che trovate qui. Al prossimo capitolo!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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Tick, tock, tick fanno le stanghette dell'orologio appeso sopra porte blindate.

Uno, due, tre secondi passati per sempre, mentre siede sospeso nel vuoto, ad aspettare l'inevitabile.

Questo non lo aveva mai preoccupato mentre scappava e si nascondeva, mentre era al volante e seguiva il comando di un fantasma. La vita è insignificante. Il mondo è insignificante. Gli umani non sono altro che atomi su un granello di sabbia, in confronto alla vastità del cosmo.

La morte non importa. Nulla importa.

Canticchia a bassa voce, riempiendo il silenzio della cella isolata. Canta, quando le porte sotto al rumoroso orologio si aprono.

"They used to be sweet little boys, but something went horribly askew..."

Il ritmico ticchettio di tacchi contro il pavimento in linoleum si scontra spiacevolmente con il ritmo della sua canzone.

"Now killing is their only source of joy."

Da sbarre di ferro e una stanza grigio chiaro, la vista cambia al biondo rossiccio dei capelli della nuova arrivata. Un sorriso triste intrappolato nei confini di un completo blu.

"The Shankill Butchers on the rise, they're waiting 'till the dead of night."

"Levi," Dice la donna, attenta a stare dietro le linee bianche distanti tre metri dalla porta della cella.

"They're picking at their fingers with their knives, and wiping off their cleavers on their thigh."

"Per favore, smettila di cantare quella canzone." Dice, prendendosi la sedia della guardia per sé. Non c'è nulla nelle sue mani, nessun block notes o registratore, al contrario di altri psichiatrici o procuratori che hanno varcato quelle porte.

"'Cause everybody knows..."

"Non te lo chiederò un'altra volta."

L'uomo permette alla sua bocca di incurvarsi in un mezzo sorriso, può vedere il brivido di disagio della donna anche in quella luce fievole. Le cose erano diverse tra loro due, tempo fa. Una fiamma spenta ancor prima che avesse la possibilità di bruciare. Ora, la persona davanti a lui non è altro che un avvocato, la donna che aveva il compito di non farlo finire in prigione.

La donna che aveva fallito il proprio compito.

Ora quello che restava era fare ricorso.

Con la fortuna di Smith e l'abilità di Ral nel fare provare pietà alle persone, erano certi che in qualche modo lo avrebbero fatto uscire da lì.

"Ci hanno dato la possibilità di riaprire il caso. Potremmo riuscire a tirarti fuori da qui." Gli dice Petra, con un'espressione scura in volto.

"Avrei dovuto dare ascolto alle parole di mia madre," Dice Levi, incrociando le gambe e piegandole alle ginocchia. "Un vento malvagio mi ha scompigliato le ciocche fin da piccolo."

Petra sospira e le sue mani vanno a torturare l'orlo della gonna. "Possiamo ancora cercare di farti passare con l'infermità mentale, Levi. Ti faremo aiutare, se è quello di cui hai bisogno, se è quello che vuoi. Per favore, non buttare via questa tua possibilità. Viene concessa così raramente."

L'uomo misura il tempo che gli ci vuole per sbattere le ciglia, le volte che il cuore gli batte sotto la giacca arancione. Aria condizionata o meno, il sudore gli bagna le ascelle. Se non altro, scambierebbe il suo ultimo pasto con una bella doccia.

La testa contro il muro in cemento, Levi porta gli occhi di fianco a sé, verso il suo letto precedentemente vuoto. Lì siede un giovane uomo con un tiepido sorriso che gli incurva le labbra. Diversamente da Levi, lui non sta indossando la divisa da prigione. Un paio di pantaloni eleganti assieme ad una bella camicia bianca coprono il suo corpo.

"Che ne pensi?" Gli chiede il carcerato.

"Beh-"

"Non tu." Dice a Petra, rivolgendole uno sguardo severo, ma che non è cattivo. Semplicemente non gli piace quando la gente risponde a domande che non sono riservate a loro. Torna nuovamente a rivolgere il suo sguardo al letto. "Eren?"

Il giovane inclina la testa di lato e il suo sorriso si allarga, trasformando la sua espressione da annoiata a gioiosa. Fa un versetto e gli offre una scrollata di spalle. "E' solo tua la decisione. Io sono solo qui per seguirti."

Levi ragiona per un lungo momento, prima di rivolgere gli occhi ad un'allarmata Petra. "Non sono pazzo," Risponde, pieno di noia. "Preferirei che la mia ultima azione non sia mentire."

Petra lo fissa dritto negli occhi, incontrando i suoi prima di rivolgerli al lettino. "Lo vedi là?" Le sue parole sono un sussurro e Levi può sentire esitazione nel suo tono.

Lo vedi là?

Sei mesi a dover sentire la stessa domanda ed ogni volta l'uomo aveva dato ogni risposta immaginabile, ognuna di essa respinta. Se mente, gli viene fatto notare che sta mentendo. Se dice la verità, viene chiamato pazzo ed obbligato a cambiare la sua storia. Se tace, riceve lo stesso sguardo che Petra gli sta riservando in quel momento.

Levi lo vede sempre: la rovina della sua esistenza, l'ingranaggio della macchina che è il suo corpo.

"Lascia che mi gassino," Dice, evitando gli occhi verdi che lo guardano con tenerezza. "Non sarebbe giusto per Erwin lasciarmi uscire. Non dopo aver ammazzato il suo compagno, averlo fatto a pezzi e chiuso in sacchi neri."

Il colore lascia le guance rosee della donna e, per qualcuno professionale come lei, è sorprendente vederla trattare l'uomo come un amico, piuttosto che un cliente. "Perché?" Gli chiede, muovendo a malapena le labbra. "E' stato Eren che ti ha portato a fare questo?"

Levi intreccia le dita, mettendosi comodo per la lunga conversazione che lo aspetta. "Non nel modo che ti aspetteresti."

Da una tasca interna del suo completo, Petra prende un piccolo registratore. Alzandosi dalla sedia, si avvicina al tavolo ed appoggia su di esso il piccolo oggetto, premendone il bottone rosso prima di tornare a rivolgersi verso la gabbia di Levi.

Con le mani strette tra loro, prende a camminare avanti e indietro nella stanza. Nonostante la sua sottile vena di professionalità, è facile vederla dibattere la sua prossima mossa. Petra sceglie con attenzione le sue parole, cercando di prevedere i possibili risultati e manipolarli in suo favore. Nonostante lo scenario, Levi sente un senso di orgoglio per la sua ex collega.

"Mercoledì 16 aprile, 2014. 22.00" Si ferma giusto prima della striscia bianca, al sicuro dalla presa dell'uomo. "Dimmi, Levi." Facendo un lungo passo, afferra le sbarre in metallo. Il rosso delle sue unghie contrasta magnificamente col metallo. "Dimmi cos'è successo. Se vuoi morire, bene, sarà quello che accadrà - so fin troppo bene che è inutile cercare di fermarti." Amarezza. "Ma almeno dimmi perché l'hai fatto."

"Questa storia sta iniziando a diventare noiosa, se posso dirlo." Grugnisce Eren, rigirandosi sul letto, tirando su col naso. Si gratta appena sotto di esso. "E pensare che dovrebbero semplicemente crederti, dopo tutto questo tempo. Cioè, l'evidenza c'era."

"Non sta chiedendo degli omicidi. Sta chiedendo di te."

"Sì, beh, cosa vuole sapere di me? Non c'è nulla che possiamo fare per fargli credere a quello che dici, quindi perché continuano a chiederti le stesse cose in continuazione?"

Levi schiude la bocca per replicare, ma Petra si schiarisce la gola. C'è disagio nel suo viso, ma non si scosta dalle sbarre. "Voglio sentire quello che hai da dire." Dice. Per la verità, Levi non è sorpreso dal suo tentativo di farlo parlare. "Non te lo sto chiedendo da avvocato."

"Le mie ultime dodici ore e vuoi che le passi a raccontarti una storia di fantasmi?"

"Voglio sapere perché un mio amico è così deciso a morire, quando in passato era molto più forte di così."

"Non siamo mai funzionati assieme perché tutto quello che eri capace di fare era presupporre. Non è il prospetto di morire che mi trattiene dal chiedere innocenza per infermità mentale."

La sua frase fa voltare lo sguardo a Petra, ma non c'è imbarazzo nel suo volto. Nessun arrossimento o sorriso timido. Non c'è nulla.

"Pensi che riuscirai a vederlo di nuovo, quando morirai?" La donna alza le spalle e fa ricadere le mani dalle sbarre della cella.

Circa, ma non esattamente. Levi può vedere Eren, ogni momento. Eren cammina lungo i freddi corridoi di casa sua, siede al suo tavolino da caffè e si sdraia sul pavimento del suo salotto per guardare i film. Ma c'è di più che l'uomo vorrebbe ottenere.

Uno sbadiglio porta la sua attenzione verso il ragazzo, che vede sistemarsi meglio nel lettino. Si acciambella su sé stesso, pronto a dormire.

"Cos'è esattamente che vuoi sentire?" Parlare di cos'è successo, circa i fatti tangibili accaduti per mano sua, è più semplice che pensare a come potrebbe ottenere l'infermità mentale, per quanto questo possa essere vero.

"Tutto." Gli risponde Petra, con voce ferma e improvvisamente alta e chiara. "Senza trattenerti, senza omettere informazioni che potresti trovare compromettenti. Se vuoi veramente fare questa fine, almeno dirci com'è andata per davvero ce lo devi."

Divertente, pensa. E' sicuro che non deve niente a nessuno.

Portando gli occhi al soffitto crepato, Levi sospira. "Non ti piaceranno metà delle cose che ti dirò."

"Ho sopportato di peggio."

"Io mi ci sono masturbato."

L'ammissione porta silenzio nella stanza, eccetto per un verso interessato da parte di Eren. C'è calore nei suoi occhi, lo stesso calore che ha portato Levi a premere il proverbiale grilletto.

L'uomo scosta lo sguardo, quando vede il ragazzo accarezzarsi il petto in un chiaro invito del quale nessuno dei due potrebbe approfittarne.

"Non m'interessa." Le parole di Petra non sono altro che un sussurro esitante.

"Mi sono fatto il tè col loro sangue, l'ho mescolato coi loro metacarpi."

"Erwin non ti incolpa per la morte di Mike," Lo interrompe la donna. "Onestamente crede che tu sia malato-"

"No, non è vero." La interrompe Levi, quasi ridendo, perché Erwin sa meglio di chiunque altro. Diamine, tutti loro lo sanno. Tutti loro conoscono Levi troppo bene per credere davvero che ciò che ha fatto sia stato causato da un colpo di pazzia, è semplicemente più facile abbracciare la scusa più conveniente. "Erwin lo sa perché l'ho fatto."

Il movimento di un sopracciglio della donna gli dice che anche lei lo sa. "Voglio solo sentire la verità."

Il ticchettio dell'orologio non c'è più, soffocato dal rumore dei suoi pensieri. Raccontare nuovamente gli avvenimenti degli ultimi mesi sarebbe stato come raccontare le sue ultime memorie. Si chiede se Petra le avrebbe scritte, se ne avrebbe fatto un best seller. Spera lo faccia. Il nome di Eren merita di essere reso immortale e lui non può pensare ad un metodo migliore per farlo, al posto di portarselo semplicemente nella tomba.

Che questo sia il suo ultimo atto di vanità.

"Va bene, allora." Dice, rivolgendo un'occhiata al giovane di fianco a lui. "Ti dirò tutto."

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Capitolo 2
*** Cold Welcome ***


HoE chap 2

Capitoletto un po' noioso, ma purtroppo non si può partire subito all'attacco ;v; Spero di non aver fatto casino coi verbi, in quanto continuavo a scrivere tutto al presente quando in realtà è tutto al passato: ho corretto un bel po' di verbi, ma potrebbe essermene sfuggito qualcuno. Vi lascio subito al capitolo, buona lettura uvu

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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La via Ashbury finiva in un pittoresco praticello accerchiato da pini, come quelli che si trovavano nei dipinti di un museo. Al centro del fazzoletto di terra, accarezzata dagli ultimi raggi di Sole di fine autunno, vi era una casetta recentemente ristrutturata e verniciata. Poco più in là c'era un corso d'acqua, il cui scrosciare si sentiva fin dal portico della casa, quando il vento tirava dalla parte giusta.

L'aria era pulita e frizzante, in vista del freddo.

Quel posto irradiava un senso di pace e sicurezza, come un pagina strappata da un libro di fantasia. Delle piccole nuvolette punteggiavano l'altrimenti azzurro cielo e le foglie danzavano fino a raggiungere le sorelle, una volta posate a terra.

Una pesantezza che solo la natura poteva fargli sentire fino le ossa: odiava tutto questo.

"La odio." Disse Levi, senza alcuna esitazione.

Era abituato alla vita di città, ai condomini che tremavano ad ogni treno che passava. Alle luci degli edifici, al fracasso dei nightclub e il rumore dei taxi. Questo non era nulla a cui era abituato. No. Al contrario, odiava sentire i rumori generati dall'ambiente, mentre lavorava. Poteva già immaginare com'era sentire i cinguettii degli uccelli e lo scrosciare del fiumiciattolo al suo risveglio.

"Io penso sia carina," Disse Hanji, portandosi una mano al mento e facendo un verso d'approvazione. "Non avrai vicini, non respirerai i fumi di qualche industria. Cioè, tu non fumi, ma penso che i tuoi polmoni ormai siano messi maluccio."

Levi grugnì, sistemandosi la sciarpa attorno le spalle quando una brezza gelida scompigliò gli alberi. "E' noiosa."

"E tu sei un uomo noioso," Gli risponde la donna, mostrandogli il pollice alzato. "Questo posto è perfetto."

Prima che potesse ribattere, il familiare suono di un pickup attirò la loro attenzione verso la strada. Hanji scosse una mano in segno di saluto, mentre Levi percorse scocciato il praticello, allontanandosi dalla conversazione che era certo sarebbe iniziata non appena le porte del pickup appena arrivato si sarebbero aperte.

Apparentemente, nonostante le fondamenta nuove e i pilastri rinforzati, la casa emetteva i classici cigolii sinistri di ogni fottutissima casa vecchia. Ogni passo che faceva verso la porta d'entrata veniva seguito da un lamento delle travi sotto i suoi piedi e tutto questo non faceva che dargli sui nervi.

Guardare attraverso la porta sotto il porticato gli fece rizzare i capelli senza ragione, probabilmente perché poteva vedere attraverso la casa e il vetro della porta posteriore e ancora più lontano, fino all'oscurità della foresta. Nonostante la casa fosse piccola, gli sembrava troppo grande per una persona sola.

Era troppo aperta, tanto che sembrava invitare gli animali selvatici ad entrare e, quando il sole era nella giusta posizione, si veniva a creare un'ombra senza faccia che sembrava vagare per i corridoi.

Si voltò verso la via, preferendo guardare la gente uscire dal pickup, tutto nero con dettagli argentati.

Erwin fu il primo a scendere, dalla parte del guidatore, Mike invece uscì dalla parte del passeggero, premurandosi si tirare in avanti il sedile. Petra, Erd e Gunther uscirono da dietro, ridendo ad una battuta che Levi non aveva sentito. Auruo scese dal rimorchio.

"Ti sei già sistemato?" Gli chiese Erwin, agitando una mano nella direzione di Levi con un sorriso brillante in volto.

"Siamo appena arrivati," Fu Hanji a rispondere al posto suo, avvicinandosi al bagagliaio quando Erwin lo aprì. "Non abbiamo ancora scaricato nulla."

Levi li guardò togliere la copertura del bagagliaio, rivelando così un grande scatolone. Riuscì a vedere cos'era solo quando venne messo di lato e si ritrovò a non saper scegliere se corrucciare lo sguardo o portare gli occhi al cielo. Erwin, Hanji e Auruo scaricarono il suo nuovo televisore a schermo piatto.

"Consideralo un regalo per la nuova casa," Gli disse Erwin, mentre assieme agli altri faceva piccoli passi fino alla porta di casa. "Mike ti ha aggiunto al suo account Netflix."

"Se mi trasferisco pure io anche a me date Netflix in regalo?" Chiese Petra, con due pacchi di birra in mano.

"Pensi si possa fare un falò qui?" Chiese Erd a nessuno in particolare, girandosi su sé stesso per guardarsi attorno. "Sarebbe un posto perfetto per il campeggio. Scommetto che si riescono a vedere le stelle, la notte."

"Non con questi fottuti alberi giganteschi." Borbottò Levi, aprendo la porta per far entrare gli altri.

Non che lo sapesse. L'unica volta che si era fermato qui la notte era stato di fretta. Poteva giurare che una persona l'avesse chiamato, avvisandolo che qualcuno doveva essere entrato nella casa, ma non ricordava la chiamata in sé. L'uomo però ricordava di aver guidato fino alla fine della via Ashbury verso mezzanotte, con una mazza da baseball in mano, pronto ad attaccare chiunque avesse osato introdursi nella sua proprietà.

Ovviamente non aveva trovato nulla. Non un singolo lenzuolo fuori posto, non una tenda scompigliata. Se n'era andato con un peso sulle spalle e un sussurro non sentito sull'orecchio.

Visitare la casa nel bel mezzo della notte lo aveva reso esageratamente consapevole di ciò che lo circondava ad ogni ora della giornata. Aveva paura di venire investito quando attraversava una strada o di strangolarsi nel sonno. Non c'era alcuna ragione che lo aveva portato a sviluppare questa nuova paranoia, gli era semplicemente venuta. Aveva iniziato a provarla da quella notte.

Quando ognuno fu entrato, Levi si chiuse la porta dietro di sé e si diresse al salotto, togliendosi la sciarpa e la giacca. Tutti i suoi amici si erano già accomodati e tolti i giubbotti, che avevano sistemato accuratamente su di un tavolino.

Petra stava sistemando la televisione mentre Erwin la teneva ferma, gli altri invece erano in cucina e stavano mettendo in frigo la birra.

Levi rimase nel corridoio che separava le due stanze, prima di decidersi a buttarsi sul divano, per venire invece fermato da Hanji che gli disse di non muovere un muscolo.

"Abbiamo lasciato le pizze nella tua auto," Gli disse, spingendolo verso la porta. "Vai a prenderle e percorri la strada più lunga." Con un occhiolino, la donna sbatté la porta. "Non stiamo facendo nulla di sospetto!"

Essendo incapace di mentire, Hanji si era arresa anni prima a tenere nascosta alcuna sorpresa.

Levi si diresse all'auto, sentendo il tipico rumore che le foglie secche emettevano ad ogni suo passo, fu solo allora che l'uomo si rese conto che non sarebbe potuto rimanere troppo fuori senza la giacca. Faceva un freddo cane, così mise le mani in tasca mentre percorreva il prato, diretto alla sua macchina.

Il Sole stava tramontando, l'arancione e il rosso stavano lasciando il posto al blu e al grigio, e quel senso di disagio che provava ogni volta che ricordava che avrebbe dovuto dormire in quella casa gli appesantì le spalle. Gli ci erano voluti sei mesi, da quando aveva comprato quella casa, per andare a guardarla e altri due per metterci piede. Ora non avrebbe avuto altra scelta se non dormire nel letto che si era sistemato.

Si disse che non c'era nulla di cui aver paura. Era un adulto e di certo non pensava che ci fossero mostri a nascondersi sotto il suo letto. La vera ansia veniva sotto forma di solitudine. Nel suo vecchio e piccolo appartamento, erano in due a viverci ed erano felici di scontrarsi ogni volta che cercavano di raggiungere la cucina o il bagno.

Questa casa era grande e vuota, anche adesso che c'erano i suoi amici ad occuparla per fargli una sorta di festa.

Quando raggiunse l'auto, Levi aprì una porta posteriore e tirò fuori le pizze.

Una ventata particolarmente violenta gli fece sfuggire i fazzoletti che erano sopra le scatole delle pizze e, mormorando qualche parolaccia, l'uomo si trovò senza avere altra scelta che chinarsi per raccoglierli. Sarebbe ancora dovuto uscire a comprare delle cose essenziali, ma avrebbe potuto aspettare anche domani. Per ora quei fazzoletti erano l'unica cosa con cui avrebbe potuto pulire il caos che si sarebbero lasciati dietro i suoi amici.

Afferrando quelli che non si erano addentrati fino alla foresta, Levi se li infilò nella tasca dei pantaloni per poi girarsi pronto a prendere nuovamente le pizze, ma si bloccò sul posto.

Voltò di scatto la testa di lato, certo di trovare qualcuno di fianco a lui, ma tutto quello che vide furono solo alberi e il pickup di Erwin.

Con la porta dell'auto ancora aperta, l'uomo si appoggiò ad essa, ispezionando attentamente il prato attorno a lui alla ricerca, probabilmente, dello stesso intruso di cui era stato avvisato con una chiamata tempo fa. Non vide nulla, oltre ai giochi di luce e ombra tra i rami degli alberi della foresta.

Un'altra ventata lo spinse a prendere nuovamente le pizze, ma qualcosa di bianco attirò la sua attenzione verso le finestre del primo piano di casa sua.

Non c'era nulla, oltre alle tende bianche smosse dal vento.

Dopo qualche secondo, l'uomo afferrò le scatole e chiuse la portiera con un piede.

Salendo gli scalini del porticato, lanciò un ultimo sguardo verso la foresta, prima di decidere che probabilmente era solo l'idea di dover dormire in quella casa a fargli provare quelle sensazioni. Se avesse potuto decidere, avrebbe preferito dormire in qualche catapecchia nei bassifondi della città.

La porta davanti a lui venne aperta prima che potesse anche solo muovere un muscolo e le scatole delle pizze gli vennero portate via, mentre i suoi amici lo festeggiavano all'unisono.

Una torta era stata appoggiata sul tavolo della sala da pranzo.

"Cosa? State celebrando la mia dipartita?"

"Ad un nuovo inizio!" Disse Petra, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio, mentre appoggiava le pizze vicino alla torta.

Tutti gli altri gli sorrisero e annuirono, ma nessuno approfondì il discorso. Che persone intelligenti.

Il tempo passò e vide loro distrarsi davanti alla TV, con piatti di pizza e torta appoggiati sulle gambe e il film più stupido che Erd era riuscito a trovare. Surf Nazis, una robaccia che guardarono a velocità doppia da quanto faceva schifo, perché comunque non volevano perdersi il finale.

"Vuoi un'altra birra?" Gli chiese Erwin, obbligando Levi ad allontanare lo sguardo dallo schermo, nel quale al momento degli squali stavano invadendo una costosa villa.

Essendo più un invito che una richiesta, l'uomo si alzò dal divano e seguì Erwin fino alla cucina, lasciando gli altri a grugnire e ridere dei pessimi effetti speciali del film.

Aprendo il frigorifero, il più alto afferrò due lattine, lanciandone una nella direzione di Levi.

"Come ti senti?" Gli chiese Erwin.

Il più basso aprì la lattina con lo sguardo fisso verso il salotto, dove poteva vedere degli squali fuoriuscire  da un tornado. Auruo fece un commento che portò Petra a piantargli un gomito tra le costole. Avrebbe passato la serata in compagnia, ma alla fine se ne sarebbero andati tutto: ecco il motivo della domanda di Erwin.

Nel momento in cui i suoi amici avrebbero varcato la sua porta di casa, Levi avrebbe passato la sua prima notte da solo dopo più di due anni.

"Sto bene." Rispose, portando gli occhi contro la porta che dava al retro della casa. Non c'era nulla se non buio, ora.

Altre risate fecero ridacchiare anche Erwin, che afferrò la manica di Levi e lo trascinò fuori dalla stanza. Entrambi si ricordarono di prendersi la giacca, prima di uscire.

L'ultima volta che avevano passeggiato assieme era stato dieci anni fa a Coney Island e avevano condiviso molto di più che patatine fritte e corndogs. Ed eccoli qui, dopo una separazione, nuove relazioni e un matrimonio. Erwin Smith era rimasto una costante nella sua vita, una roccia che mai si sarebbe spostata.

Decidendo che era troppo buio per avventurarsi fino al corso d'acqua, decisero di sedersi sugli scalini del porticato, sotto la luce delle stelle.

Rimasero in silenzio per un po', silenzio interrotto unicamente dalle risate provenienti dall'interno della casa.

"Se diventa troppo difficile da gestire, fammelo sapere," Gli disse Erwin, appoggiando la birra perché faceva troppo freddo da tenerla in mano. "Verrò subito da te."

"Vivi a due ore di macchina." Rispose Levi, imitando l'altro e mettendo le mani in tasca.

In qualche modo la sua era un'accusa. Erwin era stato il primo ad insistere per fargli cambiare posto e sempre lui aveva scelto la casa, in quanto Levi era stato riluttante a farlo. Quest'ultimo si era affezionato al suo vecchio e piccolo appartamento. Era suo. I suoi ricordi più preziosi erano ambientati in quelle quattro mura.

"Allora chiamami. O chiama Hanji. Diamine, chiama chiunque," Appoggiò una mano sul ginocchio del più piccolo, stringendolo piano. "Ambientarti non ti sarà facile, ma non devi soffrire da solo."

Levi quasi rise, ma si trattenne. "Ho guardato mio marito morire," Disse, con un tono di voce troppo calmo anche alle sue stesse orecchie. "Posso sopportare di dormire nella mia camera da letto."

Guardando il cielo stellato, Erwin corrugò le sopracciglia. "Non fare così." Ed eccolo, quel tono accondiscendente che aveva spinto Levi a mettere fine alla loro relazione. Voleva un compagno, non un padre. La lussuria non era stata abbastanza da farlo rimanere al suo fianco.

La luce lunare si rifletteva sul cristallo del pickup e, di conseguenza, Levi abbassò lo sguardo verso il semplice anello in argento sul suo dito. Lo stesso che portava dal suo matrimonio di quattro anni fa, che non aveva avuto il coraggio di togliere.

Non si era mai affezionato ad oggetti materiali, perché quelli gli potevano venire tolti con facilità, ma mai avrebbe creduto che la stessa cosa si poteva dire riguardo gli esseri umani. Levi non aveva pianto quando suo padre era morto, nonostante fosse stato una persona decente. Aveva però pianto quando la bara era stata abbassata dentro la fossa e tutti, a parte Erwin, se n'erano andati.

Nella sua lunga lista di amanti, romantici o meno, Eren era stato il suo tutto.

"Quell'appartamento era una tomba," Disse Erwin, guardandolo. "Non saresti mai andato avanti."

"L'ho superata, la morte."

"Sotterrare la tua sofferenza sotto pile di lavoro non equivale ad aver superato un bel niente, Levi. Prenditi questa opportunità per riniziare da capo. Non ti sto dicendo di dimenticare, ma almeno superare questo tuo ostacolo."

"Certo, perché buttare una persona in mezzo alla natura selvaggia, magari farla mangiare da un orso, questo sì che equivale a farle superare gli ostacoli. Non riesco a capire il tuo ragionamento."

Strusciando i palmi nel tessuto dei jeans, Erwin emise un verso divertito. "Hai solo bisogno di aria fresca."

"Quello di cui ho bisogno è una buona scopata." Le parole gli scapparono di bocca prima che potesse fermarle, ma ormai non gliene fregava più nulla. Non era l'intera verità, ma non era neanche una bugia. "Ho bisogno..." Non finì la frase, perché non ne avrebbe ricavato nulla di buono, non con la preoccupazione che gli stava riservando Erwin in quel momento.

Nonostante il suo tentativo, Levi non riuscì ad allontanarsi quando Erwin premette una mano contro la sua guancia. "Mi dispiace." Gli disse.

"Non mi riferivo a te," E questa sì che era una bugia. "Dimenticati di quel che ho detto."

"Non questa volta. Non voglio continuare ad ignorare queste cose."

"Quali cose, Erwin? Non c'è nulla."

"E di chi è la colpa?"

Levi gli riservò un'occhiataccia, ma non gli disse che stava sbagliando. Non aveva rimorso delle sue decisioni. "Sopravviverò." Disse, invece, guardando oltre la sua spalla verso la casetta. "Se non riesco a dormire ti manderò via email i rapporti." Si voltò verso Erwin. "Prometto di non ammazzarmi."

In entrambe le precedenti occasioni era stato troppo codardo da premere il grilletto.

•••

Levi serrò la porta d'entrata alle due e un quarto di mattina, felice e scocciato di essere lasciato solo in un posto del genere.

Per prima cosa si fece una doccia lunga e bollente, poi s'infilò un pigiama nuovo, cortesia di Gunther. Sia la maglietta che i pantaloncini erano troppo grandi per lui, ma il tessuto era morbido e comodo, quindi lo avrebbe sopportato. Magari avrebbe fatto troppo freddo per dei vestiti così leggeri, ma per la prima notte avrebbe potuto mettere il riscaldamento al massimo.

Mettendo l'acqua a bollire sui fornelli, l'uomo girò la casa per assicurarsi che tutte le finestre fossero chiuse e che le tende ne coprivano i vetri. Non avrebbe sopportato l'idea di avere qualsiasi tipo di roditore in casa.

Dopo lavò i piatti, i ripiani della cucina e, mentre stava spazzando il pavimento, la teiera prese a fischiare.

Levi si preparò una tazza di tè nero, forte, con un po' di latte e zucchero. Poi appoggiò la tazza per passare uno straccio sui fornelli, in modo da non lasciare sporcizia.

Quando fu certo di non avere più nulla da fare, l'uomo spense la luce, prese il suo tè e si diresse al piano superiore.

Il legno sotto i suoi piedi scricchiolava ad ogni suo passo, irritandolo. Amava la perfezione e, assieme all'aiuto di Erwin, non aveva fatto caso a spese nella restaurazione della casa. Non dovrebbero esserci stati segni sul muro, o della vernice mancante.

La sua camera da letto, tuttavia, era impeccabile. Piccola e semplice, fornita unicamente di cose essenziali: un letto, un comodino, un armadio, uno specchio, un cassettone, una scrivania e una finestra che dava sul lato anteriore della casa.

Dopo aver raggiunto il suo lato del letto accese il lume e corrugò le sopracciglia nel notare lo stato delle coperte. Ci dedicò solo qualche secondo della sua attenzione, chiedendosi se mentre era uscito con Erwin qualcuno fosse salito.

Appoggiò il tè sul comodino in modo da chiudere le tende, ma finì con lo spendere più tempo del previsto davanti alla finestra. Fuori non c'era molto da vedere, ma i riflessi argentati della Luna si rivelarono calmanti.

La foresta era buia, i suoi alberi impenetrabili. La possibilità che ci fosse qualche animale da poter cacciare era quasi nulla e lui non era mai stata una persona che amava andare a caccia, ma avrebbe potuto provarci. Non che avesse idea di cosa fare con l'animale ucciso, poi. Non ne avrebbe affisso la testa su un muro e non l'avrebbe neanche mangiato. Uccidere unicamente per aver la soddisfazione di uccidere non lo attirava per niente.

Quando la vista gli prese ad appannarsi, a causa del sonno, Levi chiuse le tende e tornò al letto. Il suo tè ormai era freddo. Considerò di lasciare la tazza lì fino al mattino successivo, quando l'avrebbe portata di sotto e lavata prima di fare colazione, ma l'odore non l'avrebbe lasciato dormire.

Con un sospiro prese la tazza e raggiunse la cucina, senza preoccuparsi di accendere le luci.

Una volta che la tazza venne sciacquata e messa ad asciugare, l'uomo controllò tre volte che la porta d'entrata fosse chiusa. Cercò di aprirla, scosse il pomello, bussò sul legno e la porta gli rispose imitandolo.

Levi si bloccò.

Col pugno a mezz'aria si voltò e guardò verso le scale.

Un eco, magari, perché il suono era arrivato dal secondo piano - non dalla porta che aveva appena bussato. Bussò nuovamente ed eccolo, un suono identico rimbalzò tra le pareti della casa.

L'uomo portò gli occhi al cielo e sospirò sollevato, perché era troppo vecchio per venire spaventato dai rumori di una vecchia casa in legno.

Portandosi una mano a scompigliarsi i capelli, tornò al piano superiore e chiuse a chiave la porta della camera da letto.

Si grattò il mento, appuntandosi mentalmente di radersi il mattino dopo, poi si bloccò ai piedi del letto.

Si bloccò perché le coperte erano ben distese, rimboccate e senza una piega. Si bloccò perché il tappeto circolare al fianco del letto era piegato a metà, come se qualcuno l'avesse accidentalmente calciato.

Sembrava quasi che si fosse preso il suo tempo a sistemare il letto con dovizia, prima di andare di sotto, ma mentre era ben conscio della sua involontaria compulsione per la perfezione, l'uomo sapeva che non aveva sistemato le coperte.

Non si fece alcuna domanda. Non ci pensò neanche, perché facendolo avrebbe accettato che non sapeva come questo sarebbe potuto accadere, non avrebbe avuto una spiegazione adatta a questo avvenimento.

Nel bel mezzo della foresta, a due ore dalla civiltà, era un brutto posto dove trovarsi, senza avere delle risposte alle proprie domande.

Fanculo ad Erwin e le sue stupide idee.

Levi si rifiutò di muoversi quando sentì nuovamente bussare anche se, questa volta, il suono provenne dalla porta della sua camera.

Il pomello si scosse e la porta scricchiolò-

Era un incubo. Doveva aver bevuto troppo. Doveva essere così, perché i suoi amici non gli avrebbero fatto una cosa del genere. In più non c'era modo di spiegare perché la camera fosse diventata improvvisamente così fredda. Magari il riscaldamento si era rotto, ma-

"Oh! Che bello vederti qua!"

In piedi in mezzo alla stanza, in pantaloncini corti e una canottiera troppo grande per lui, in una stanza gelida, Levi giunse ad un'unica conclusione. Doveva aver bevuto troppo, essere svenuto, Erwin o Mike dovevano averlo portato in camera sua ed ora doveva star avendo un incubo.

"Uh, Levi?"

Non poteva esserci altra spiegazione, perché i morti non camminano e ovviamente non parlano.

I morti non entrano nelle stanze da letto vestendo jeans e maglioni, non potevano apparire sani nonostante l'oscurità della stanza.

"Va... Tutto bene? Mi stai spaventando."

Levi lo stava spaventando.

Il suo marito morto da tempo era appena entrato nella sua camera da letto, ed era lui a spaventarlo.

"Dimmi qualcosa, per favore?"

"Ho bisogno di bere." Fu l'unica cosa che riuscì a dire.

Quello che non disse fu che probabilmente doveva aver bisogno di un lungo soggiorno nell'istituto psichiatrico più vicino.

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Capitolo 3
*** Insect Eyes ***


HoE chap 3
Eccomi qui col terzo capitolo! Che secondo me è più bello del secondo u_u Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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Levi non si mosse, incerto sul da farsi.

La linea tra il terrore e la malinconia era sottile e, nonostante si dicesse che la gente sarebbe più che felice di poter riabbracciare i propri cari ormai defunti, l'uomo non l'avrebbe fatto.

Fu la rabbia a vincere, nel suo caso.

Aveva detto i suoi addii due anni fa.

Aveva pianto davanti alla bara con i pugni serrati. Aveva fatto pace col sapere che non avrebbe mai più posato gli occhi su quel sorriso che gli ricordava un raggio di Sole. Aveva accettato che non avrebbe più potuto guardare i suoi occhi verdi-blu riflettere la luce lunare di notte. Levi aveva passato giorni, settimane, mesi ad agonizzare per la perdita della persona che era diventata il suo mondo.

Questa apparizione non era altro che ripugnante.

Non aveva alcun desiderio di abbracciare quella cosa. Si rifiutava di credere che fosse qualcosa di più che un fantasma, o l'inizio di un ben più serio problema mentale.

Con qualsiasi voglia di dormire ormai abbandonata, Levi uscì dalla stanza attento a non toccare Eren - l'entità, si corresse - nella via d'uscita.

"Hey, aspettami!"

L'uomo fece una smorfia, quando numerosi ricordi gli vennero alla mente nel sentire quelle parole. Solitamente le seguiva una risata.

Per prima cosa, una volta arrivato in cucina, accese la luce, poi frugò sotto il lavandino alla ricerca della bottiglia di vodka che Hanji gli aveva regalato. Ne avrebbe avuto bisogno di almeno cinque bicchierini in modo da togliersi il cattivo gusto che si sarebbe lasciato dietro questo incubo.

"Ascolta, lo so che è tutto un po'... Veloce, ma volevo davvero vederti."

"No," Disse Levi, girandosi verso Eren e agitando la bottiglia davanti a sé come se fosse un'arma. "No. Questo non è divertente, perché ho stretto a me il tuo corpo. Ti ho visto morire." Un nodo prese a formarglisi in gola, ma inghiottì qualsiasi emozione che cercava di soffocarlo. Avrebbe mantenuto un tono di voce neutrale. "Esci dalla mia casa."

Fissando l'apparizione, l'uomo si rese conto di qualcosa che non aveva notato prima. C'erano delle fasce attorno alla sua testa. Una a nascondergli gli occhi, un'altra sul naso e l'ultima gli copriva la bocca. Probabilmente una volta dovevano essere state bianche, ma ora erano sbrindellate ai lati, ingiallite dagli anni passati e dallo sporco.

Levi non capì come potesse saperlo, perché non poteva vederlo, ma riusciva a sentire il sorriso del ragazzo da dietro lo straccio sporco. "Sapevo che sarebbe stato troppo chiedere un po' di amore e affetto."

Sbattendo la bottiglia sul ripiano della cucina, Levi ridacchiò cupamente. "Sei fortunato che non ti abbia dato fuoco. Qualsiasi cosa tu sia." Chissà se veramente avrebbe potuto dargli fuoco.

Decidendo che stare nel mezzo della cucina a fissare la cosa non avrebbe portato a niente, l'uomo attraversò la stanza per prendersi un bicchiere.

Dall'angolo dell'occhio poté vedere Eren scrollare le spalle e infilare le mani in tasca.

L'azione era così normale, così sua, che decise di abbandonare il bicchiere e bere direttamente dalla bottiglia.

"Ti sei trovato un bel posticino," Gli disse Eren e il modo in cui si guardò attorno fu irritante, a causa delle fasce sopra gli occhi. "Ti erano sempre piaciuti posti più piccoli."

Levi fece un versetto, aprendo la bottiglia e prendendone un sorso.

"Non ci saremmo mai potuti permettere tutto questo." Continuò il ragazzo.

Quelle parole lo colpirono a fondo senza ragione; probabilmente perché sembravano troppo reali, troppo concrete per essere sussurrate cupamente da un fantasma. "Erwin mi ha aiutato." Rispose Levi.

"Oh."

Con gli occhi fissi sulla bottiglia, il più grande fece scorrere un dito sul bordo dell'apertura, prima di fermarsi. Ora avrebbe dovuto lavarlo in modo da eliminare qualsiasi germe. Qualcuno sarebbe rimasto sorpreso da quanti germi potevano esserci in un'unica impronta digitale. "Hai cinque minuti per dirmi quello che vuoi. Poi ti voglio fuori. Non voglio vederti mai più."

I fantasmi non potevano apparire sconsolati, non con la maggior parte del viso coperto.

"Avevo la possibilità di venire a vederti, quindi l'ho fatto." Gli rispose Eren, come se viaggiare tra i diversi piani della realtà fosse facile come attraversare una strada per andare a visitare un vicino.

"Come facevi a sapere che ero qui, piuttosto che al nostro appartamento?"

"Nostro?"

Levi si voltò verso di lui e corrugò le sopracciglia. "Abitudine."

"Ci sono andato, ma l'ho trovato vuoto. Non è poi così difficile muoversi dove mi trovo io." Gli disse, avvicinandosi al piano della cucina. Levi si irrigidì ma non si spostò. "Sono davvero io."

"Sei morto."

"Lo so," Rispose il fantasma, offrendogli probabilmente un sorriso triste. "Non è così male come si pensa, però."

Quando si prese uno sgabello e ci si sedette sopra, Levi si alzò e si allontanò dall'isola della cucina, lasciandolo indietro.

Non poteva sopportare questo. Se era un incubo aveva bisogno di svegliarsi subito, perché questo Eren era troppo perfetto da continuare ad ignorare.

Accendendo la luce del salotto, l'uomo si sedette sul divano. Non si preoccupò di accendere la televisione o altro: si limitò ad incrociare le braccia sul petto e fissare il vuoto. Faceva troppo freddo, avrebbe dovuto seriamente controllare il sistema di riscaldamento per vedere se funzionava.

Dopo un paio di minuti Eren lo raggiunse, sedendosi di fianco a lui, lasciando comunque dello spazio tra loro. Levi poteva sentire il gelo venire emanato dal suo corpo. Freddo come lo sono i morti.

Ripugnante, disgustoso, atroce.

Doloroso.

"Anche dopo la tua morte sei egoista," Gli disse, stringendosi le braccia al petto. "Tutte quelle volte che mi hai detto che saresti venuto a tormentarmi come fantasma quando ti chiedevo di portare fuori la spazzatura... Dicevi la verità."

Eren emise un suono che sembrava una risata. "Mi amavi ugualmente. Difetti e tutto."

"Moccioso."

Anche se non aveva pronunciato la parola con affetto, il sorriso del fantasma si allargò come se quel sentimento ci fosse stato. "Ti manco?"

Levi non degnò quella domanda di una risposta. Ovviamente. Gli mancava con la stessa forza di mille stelle esplose nello stesso istante. Gli mancava svegliarsi su di un letto ancora caldo e pancake mezzi bruciati ad aspettarlo. Gli mancava il riuscire a sorridere e ridere, a provare felicità.

"Penso di poter venire a visitarti di tanto in tanto," Gli disse Eren, portando i piedi sul divano, abbracciandosi le gambe. "Possiamo guardare un film o fare una passeggiata nella foresta."

"No." Rispose Levi, senza lasciar spazio ad ogni altra possibilità.

"Ma Levi-"

"Non mi piace ripetermi."

"Va bene," Sbottò il ragazzo. "Andrò a trovare Mikasa o Armin. Magari loro possono apprezzare il mio sforzo."

"Mikasa ti sparerebbe a vista e faresti venire un attacco di panico ad Armin." Non erano possibilità, ma dure verità.

Un silenzio pesante calò tra di loro.

Fu Eren ad interromperlo, quando Levi si portò nuovamente la bottiglia alla bocca.

"La morte porta una grande solitudine."

•••

"Eren non era fatto per la solitudine." Dice Levi a Petra in un mormorio soffocato. Ricorda, chiaramente, il senso di dolore che lo aveva attanagliato alla confessione di Eren.

Il ticchettio dell'orologio è nuovamente assordante, ma a nessuno dei due sembra importare particolarmente.

Petra lo sta ancora guardando con un'espressione che dovrebbe essere prima di emozioni, ma i suoi occhi da cerbiatta la tradiscono. "E' ovvio che tu ed Eren abbiate condiviso un profondo legame."

"E' mio marito." Le ricorda l'uomo.

Di fronte a lui, Eren scoppia improvvisamente a ridere. "Non doveva essere una chiacchierata da amici?" Chiede, camminando casualmente nella stanza con le mani in tasca. "Mi sembra che stia tentando di psicanalizzarti."

Petra porta lo sguardo alle sue gambe. "Era, perché non c'è più ora," Dice lentamente e clinicamente. "Mi diresti come l'hai conosciuto?"

Levi non pensava da tempo ai ricordi prima della morte di Eren, ma per una volta può fare un'eccezione. Tanto morirà tra qualche ora. Magari parlare di queste cose calmerà il rumore dentro la sua testa.

"Avevo diciassette anni, quando l'ho incontrato per la prima volta. Eren andava in seconda elementare." Dice.

"Aveva otto anni?"

"Abbiamo nove anni di differenza."

"Va bene." Risponde lei, sospirando.

"Ero uno studente delle superiori e avevo bisogno di soldi per poter uscire con la mia fiamma del momento nei fine settimana. Gli Jaeger mi presero come babysitter. Penso tuttora che furono stupidi a farlo, ma erano brave persone. Nessuno mi avrebbe dato una possibilità, a quei tempi. Era anche un lavoro semplice. Sua sorella, nonostante avesse un anno in meno di lui, era terribilmente protettiva verso Eren. Tutto quello che dovevo fare era sedermi sul divano con una lattina di birra e guardare la TV, mentre Eren e Mikasa giocavano nella loro cameretta."

Levi ruota la testa, nel tentativo di rilassare i muscoli della schiena.

"La seconda volta che gli ho fatto da babysitter, il moccioso è stato con me. L'ho aiutato a fare i compiti per casa."

"Facendo delle linee a puntini che formavano le lettere dell'alfabeto," Dice Eren, portando gli occhi al cielo. "Fortunatamente eri un genio."

Ignorandolo, Levi continua. "In breve, sono cresciuto, ho frequentato il college, sono riuscito a farmi assumere part time, ma comunque ogni tanto facevo un salto dagli Jaeger per salutarli, specialmente quando Grisha se n'è andato. Aiutavo Carla con i lavori di casa, quando ne aveva bisogno."

Aveva visto Eren crescere, diventare un ragazzino alto e tutto ossa con un terribile atteggiamento. Veniva trattenuto a scuola per aver risposto ai professori, sospeso per aver picchiato qualche compagno di classe... Aveva iniziato a comportarsi così quando aveva capito che suo padre non sarebbe tornato a casa, così Levi era intervenuto. Era diventato il suo mentore, una costante per quel ragazzino problematico.

"Rispetto, ammirazione, adorazione: chiamala come vuoi, ma davvero credevo fossero le uniche cose che Eren provava per me," L'uomo si inumidisce le labbra. "Fino ad un giorno, quando mi mise una mano sul ginocchio e lentamente la portò sul mio interno coscia. Successe il giorno dopo che noi due ci lasciammo," Dice a Petra, che mantiene uno sguardo impassibile. "Mi disse che era per conforto, che era solo giusto che ritornasse il favore."

Tu c'eri quando mio padre se n'è andato, ora è giunto il momento che ti ripaghi il favore.

Il desiderio che aveva bruciato dentro di lui gli aveva fatto provare vergogna. Aveva provato a dirsi che era causato dal dolore di essersi appena mollato con Petra, ma sapeva che non era così. Eren era giovane e bello, energico, entusiasta, ostinato... Ma aveva anche nove anni in meno di lui.

"Quanti anni aveva, quando questo è successo?"

"Sedici." Risponde. "Lavoravo in un fast food. Io ne avevo venticinque." Se gli chiedeva domande stupide, avrebbe ricevuto risposte altrettanto stupide. Petra sapeva di tutto questo e il suo tono di voce lo irritava.

"E siete andati avanti?"

"No," Risponde Eren. "Apparentemente ero troppo giovane per capire cos'era il sesso."

Non sei meglio di mio padre. Sarebbe bastato che tu mi dicessi di no.

"Me ne sono andato," Continua Levi. "Non l'ho più visto per due anni. In quel periodo di tempo io ed Erwin trovammo lavoro dove lavoriamo tuttora. Provammo a vedere se eravamo capaci di mantenere una relazione romantica, ma sai com'è andata a finire."

"Cosa successe dopo i tuoi due anni di assenza?"

"Litigammo. Eren mi disse che ero stato uno stronzo ed un codardo, per averlo abbandonato il quel modo." L'uomo si gratta il mento. "Più tardi scopammo sui sedili posteriori della sua auto. Dopo nel suo dormitorio, dopo ancora nel mio ufficio."

"Me lo ricordo," Dice Eren, spostandosi per andare a sedersi di fianco a Levi. Si accoccola contro di lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. "E' stato bellissimo."

Avevano scopato, si erano baciati, erano usciti assieme. Alla fine si erano innamorati.

"Ti vedevi ancora con Erwin, quando successe tutto questo?"

Eren rise e Levi fulminò Petra con lo sguardo. "Sì." Dice, ma sa che la donna non avrebbe mai capito il delicato accordo che c'era tra loro tre. "Non gli importava. Alla fine ci lasciammo definitivamente, ma lui ed io eravamo - siamo - molto vicini."

"E questo non causò problemi fra voi tre?"

"No." E' l'unica cosa che Levi le offre come risposta.

Quando la donna capisce che il carcerato non avrebbe approfondito il discorso si schiarisce la gola, provando con un'altra domanda. "La relazione tra te ed Eren: com'è progressa?"

"Normalmente," Risponde Levi, abbassando lo sguardo verso i lunghi capelli castani che gli coprono la spalla. "Nessuno di noi due si ha proposto il matrimonio, ma è successo," Ricorda con affetto. "E' stato il Natale prima che finisse il college."

La festa di Natale era finita e tutti se ne erano tornati a casa, Erwin era in cucina e stava preparando della cioccolata calda per tutti e tre.

Riesci a pensare a noi, sempre assieme, anche quando saremo vecchi? Gli aveva chiesto Eren, strusciando il viso contro il suo. Dovremmo farlo.

"Ci siamo sposati tre anni dopo, il giorno dopo il suo compleanno. Abbiamo comprato un appartamento ed adottato un gatto."

"Lo stesso appartamento dove è avvenuto l'incidente," Dice Petra, annuendo. "Che è avvenuto due anni dopo."

Levi chiude gli occhi quando la mano fredda di Eren si poggia sul suo ginocchio, stringendolo piano con fare rassicurante.

"Dopo aver vissuto la stessa routine per così tanto, dove Eren andava a lavoro quando io tornavo, fu strano entrare in casa e non ricevere un abbraccio ed un bacio. Fu strano non vedere il gatto riposare sul tavolo e ancora più strano sentire l'odore di cibo bruciato."

L'uomo ha paura che quelle immagini non le dimenticherà mai. Ricorda, precisamente, il soffocante senso di paura che velocemente aveva lasciato spazio al torpore, l'unica cosa che gli aveva permesso di agire nel modo in cui aveva fatto.

Nessuno gli avrebbe portato via il ricordo di vedere Eren sul pavimento di camera loro con profondi squarci nel petto, dei buchi sul collo e dei segni viola sui fianchi, come se fosse stato legato con una corda. Levi non avrebbe mai dimenticato il rumore che Eren emise, mentre stava soffocando nel suo stesso sangue, i piccoli mugolii che emetteva perché era ancora vivo, nonostante ormai non ci fosse più, i suoi occhi vitrei e ormai ciechi.

Il caldo appiccicoso del suo sangue - può ancora sentirlo inzuppargli i pantaloni, sporcargli le dita mentre stringeva Eren contro di lui.

A quel punto Petra non cerca più di interromperlo con domande intrusive, quindi continua col raccontare la storia.

•••

Levi ricordava la sua morte. Com'era stata orribile.

"Stai piangendo," Gli sussurrò Eren e l'uomo non si preoccupò di correggerlo, anche se non stava piangendo. Le sue guance erano asciutte, la sua vista non era appannata. "Non sarei dovuto venire..."

Levi non gli rispose.

Si mise in piedi e camminò fino alla cucina, quindi appoggiò la bottiglia di vodka sul ripiano. Aprì il rubinetto, mise le mani sotto l'acqua corrente e prese a strofinarle. Continuò, spasmodicamente, perché non c'è sangue, ma poteva sentirlo, poteva sentirne il puzzo e lo faceva stare male.

E se ne aveva sporcato il divano? O il tappeto? Era sulla bottiglia, sul rubinetto, stava andando giù lungo le tubature? Avrebbe dovuto pulire anche quelli. Lavarli affinché anche loro fossero stati impeccabili.

Levi si scostò di scatto, quando la mano di Eren gli toccò un gomito. "Non farlo." Gli soffiò e il bisogno di picchiarlo fu soffocante.

La rabbia, la sua ira, era immensa. Lo accecava e l'unica cosa che voleva stringere era quel collo, stringerlo così forte e così a lungo da togliergli nuovamente la vita.

"Esci." Fu l'unica cosa che riuscì a dirgli, ritrovandosi sorpreso da come la sua voce rimase calma.

Eren aveva le braccia davanti al viso, come se si aspettasse di venir colpito da Levi, e il pensiero gli fece venire la nausea. Mai l'uomo avrebbe alzato le mani su chiunque, tanto meno su di Eren, invece eccolo lì. Il bisogno di colpirlo lo disturbò, ma lo disturbò ancor di più il fatto che non se ne sarebbe sentito in colpa. Eren era morto.

Eren è morto.

Quello non era lui, era una qualche allucinazione creata per tormentarlo, per distruggerlo ancor di più di quanto non lo era già. Questo era un incubo che si nutriva dei suoi ricordi e delle sue emozioni, che cercava di farlo impazzire. La sua mente aveva bisogno di sfogarsi, così come le sue mani. Il miscuglio di questi componenti erano pericolosi.

"Sei stato tu ad abbandonarmi." Disse Levi. Non c'era sofferenza, o rimorso, o rabbia: solo una inquietante accettazione.

Eren guardò verso la porta e strinse in pugni, nello stesso modo di quando non voleva litigare. "Ora siamo pari." Disse dopo un lungo momento. Scrollò le spalle.

I pugni di Levi tremarono involontariamente.

Eren scrollò nuovamente le spalle. "Smithers non è qui, vero?"

La domanda lo prese di sorpresa, ma scosse la testa. "Non c'era, quando ti ho trovato." Rispose, ricordando la gatta tigrata.

Sia la porta che le finestre erano chiuse e davvero non sapeva cosa le era successo. La gatta era stata una specie di sostituto di un bambino. Era stato troppo disperato dopo la morte di Eren, per cercarla.

Eren portò lo sguardo verso le scale. "Non so chi è stato." Disse.

Levi sbatté le ciglia, perché chiedere ad Eren del suo assassino non aveva neanche attraversato la sua testa. Era stato troppo concentrato a negare la possibilità che tutto fosse stato vero, per pensare seriamente alle possibilità che aveva in quel momento.

Non voleva chiedere altro, perché farlo avrebbe segnato il suo destino. Fare domande avrebbe garantito all'uomo il fatto di essere lucido, in quel momento, ma la curiosità infine vinse.

"Ricordi qualcosa?" Chiese, tornando al lavandino e portando nuovamente le mani sotto l'acqua. Era gelida, ma non gli importava. Un dolore fisico era sempre il benvenuto, in confronto ad uno psicologico.

Questa volta Eren mantenne le distanze. "Stavo preparando le lasagne. La ricetta di mia mamma," Disse, con un tocco di calore nellla sua voce. "Smithers per qualche motivo non voleva smettere di miagolare e ad un certo punto l'ho sentita soffiare in camera da letto." Il fantasma abbassò la testa, stringendo le braccia attorno a sé stesso. "Basta. Sono andato in camera da letto e basta. Mi sentii estremamente caldo, poi estremamente freddo. Ricordo di aver pensato che le lasagne si sarebbero bruciate."

Il nodo in gola tornò, ma per fortuna l'acqua gli offrì un po' di sollievo.

"Me ne vado, se ti procuro così tanto disagio." Disse Eren.

Levi mormorò qualche parolaccia, perché quel tono di voce così desolato era così sbagliato.

"Dimmi perché hai addosso quelle cose." Gli disse. Lo avrebbe mandato via subito, ma prima aveva bisogno di sapere. "Perché posso sentirti e perché tu riesci a vedermi con quella roba."

Guardando direttamente verso Levi, Eren prese tra le dita l'eccesso del tessuto che ciondolava sopra la sua spalla. Ci giocherellò, ma poi lasciò che la mano tornasse al suo fianco. "C'è un prezzo da pagare per ogni passaggio. Fortunatamente, dove mi trovo io, è dannatamente facile riprendersi ciò che si perde."

L'idea di sopportare il dolore di vedere Eren dopo averlo pensato perso per sempre, eppure non poter vedere i suoi occhi e il suo sorriso un'altra volta, era la tortura più crudele che poteva immaginare. Era come ricevere l'ultimo pasto, ma essere troppo malati per sentirne il sapore.

Era meglio così, si disse Levi. Sapeva che avrebbe abbandonato la sua decisione, se avesse potuto vedere le cose che facevano Eren chi era, il ragazzo che adorava. "Vattene." Disse e, questa volta, non lasciò spazio all'esitazione.

Levi odiò il non poter vedere, eppure poter sentire, il modo in cui il labbro inferiore di Eren tremò, il dolore nel suo petto, la tristezza sulle punte delle sue dita. Il mero pensiero di far del male ad Eren gli fece venire la nausea, ma non c'era altro modo. Aveva bisogno di allontanare quell'apparizione in nome della sua sanità mentale.

Eren sparì in un battito di ciglia e il gelo se ne andò con lui.

Solo, Levi afferrò il bordo del lavandino e calciò l'armadietto sotto di esso tanto forte da farsi male.

•••

Normalmente beccare Erwin di sorpresa migliorava l'umore di Levi. Non questa volta, considerando che non aveva chiuso occhio nelle ultime quarantotto ore.

"Ti ho visto sei ore fa." Disse Erwin abbastanza stupidamente, perché Levi sapeva contare le ore. Erwin e gli altri se ne erano andati a casa alle due del mattino, ora erano le otto. "L'idea di darti la promozione mi è venuta per farti lavorare a casa, sai."

"Fottiti tu e le tue idee di merda, Smith," Rispose Levi, fregandosene di chi si voltò verso di lui ad occhi sbarrati. "Fottile forte." Ormai la gente avrebbe dovuto essersi abituata al suo linguaggio.

Senza riuscire a dormire, o meglio ben deciso a non farlo, l'uomo aveva deciso di fare la cosa migliore.

Mentre aveva messo a bollire il caffè si era fatto una doccia fredda e si era lavato i capelli. Una volta uscito si era messo un completo elegante, aveva preparato la sua valigetta con tutto il lavoro incompleto, aveva riempito diversi thermos di caffè, lanciato il tutto in macchina, chiuso a chiave la casa ed era partito. Aveva guidato per un'ora nelle viottole della campagna e un'ora in autostrada, fino a raggiungere l'edificio che ormai da dieci anni chiamava luogo di lavoro.

"Voglio un appartamento in città," Continuò, mentre entrambi salirono in ascensore. "Starò lì durante la settimana, poi passerò il week end a casa. Meno gas esausti, salverò il pianeta."

Erwin lisciò la sua giacca prima di premere il pulsante per l'ultimo piano. "Cosa ti ha fatto prendere questa decisione?"

"Il fatto che devo guidare due dannate ore per arrivare qua."

La luce delle lampadine non faceva altro che irritarlo, fargli bruciare gli occhi. Un thermos di caffè e due tazze più tardi sembravano non fare nulla. Era sveglio, certo, ma si sentiva più morto che vivo.

Come ciliegina sulla torta, ulteriormente, non riusciva a ricordare se aveva spento o meno la caffettiera. Con un po' di fortuna, di cui era privo, sarebbe tornato e avrebbe trovato un mucchietto di cenere. Avrebbe potuto usare i soldi dell'assicurazione per comprarsi un posticino più carino in città.

"Hai dormito, almeno?" La domanda arrivò assieme ad una grande mano, una mano che strinse delicatamente il suo mento e gli fece voltare la testa da una parte all'altra. Qualcosa, nel sentire le dita di Erwin su di lui, lo aveva sempre fatto calmare. "Sei pallido. Stai male?"

Levi allontanò la mano dal suo viso, prima di passarsene una propria sugli occhi, "Non nel senso tradizionale, sembrerebbe." La mano di Erwin tornò, ma questa volta passò tra i suoi capelli.

Il tipo di relazione che avevano era strana a guardarla nel lato migliore, complicata nel lato peggiore. Amici d'infanzia che erano diventati ex e che erano diventati partner di lavoro, lui ed Erwin avevano una lunga storia di problemi e pochi momenti felici.

E per essere brutalmente onesti, c'erano dei rimasugli di lussuria sotterrati nel profondo dei loro esseri. Con centottanta centimetri d'altezza, occhi blu e capelli d'oro, sommato al fisico di Capitan America e un carisma da far paura, non c'era una persona che non avrebbe voluto portarsi a letto Erwin Smith. Anche Eren, ad un certo punto, aveva sviluppato una cotta per l'uomo, cosa che li aveva portati ad avere conversazioni imbarazzanti ed una manciata di notti da ricordare.

Erwin era formato da innumerevoli strati, dal capo carismatico al freddo e stronzo calcolatore, dalla persona terribilmente empatica al dio del sesso che ti faceva venire la bava alla bocca. Era complicato ed era naturale che anche le sue relazioni lo fossero. Mike, il suo compagno, era ben conscio del ruolo di Levi nella vita di Erwin, nello stesso modo in cui Eren era stato conscio del ruolo di Erwin nella vita di Levi. Il sesso magari non era più presente nella loro relazione, ma c'era un legame più profondo che li teneva assieme.

"Puoi stare nel mio ufficio, se vuoi la mia compagnia." Gli disse Erwin, accarezzandogli una tempia col pollice.

Era anche molto fisico.

Contrariamente alla sua apparenza, Levi era qualcuno che amava il contatto fisico, per quello la sua relazione con Eren era andata avanti così bene. Solo che Eren non aveva avuto idea di come frenare il suo bisogno di toccarlo costantemente in pubblico.

Levi non espresse vocalmente il suo assenso, ma seguì Erwin non appena l'ascensore si fermò e aprì le porte, stringendo spasmodicamente la valigetta tra le dita.

L'ultimo piano dell'edificio era il piano degli esecutori ed includeva unicamente uffici privati ed una sala da conferenze. Chic e minimalista, le decorazioni esprimevano calma ed erano piacevoli all'occhio umano. I muri bianchi e i toni neri, le finestre che dal pavimento arrivavano al soffitto che si affacciavano ai grattacieli vicini e l'indaffarata vita di città giù; era la classica sistemazione delle potenze commerciali.

L'ufficio di Erwin era più caldo, i suoi colori più omogenei. Muri grigio scuro e mobilio nero. Aveva un ché di professionale. Inoltre odorava di sgrassatore al limone e disinfettante spray, tutti odori che piacevano a Levi.

"Hai mangiato qualcosa?" Gli chiese Erwin, chiudendosi la porta dietro di sé. Raggiunse la sua scrivania e posò la valigetta per terra, poi frugò in un cassetto alla ricerca di salviette anti batteriche. Ne usò una per pulire la valigetta, prima di posarla sulla scrivania.

Erwin era sempre pulito ed organizzato, ma al contrario di Levi non ne era nevrotico. Non sarebbe impazzito per far sì che tutto fosse impeccabile. Il gesto che aveva appena compiuto era per far rilassare Levi e quest'ultimo non sapeva se esserne grato o sentirsene insultato. Decise di non parlarne, così si sedette sulla chaise longue con la valigetta sulle gambe.

"Vodka, caffè, una ciambella."

Con i contenuti della propria ventiquattrore improvvisamente dimenticati, Erwin lo guardò, attento a mantenere la propria espressione neutra. "Bene, anche io ho preso solo un caffè e una ciambella, prima di uscire." Manipolatore bastardo: le sue parole erano sempre la sua arma migliore. "Vorresti qualcosa di specifico per colazione?"

"Prenderò quello che prendi tu." Gli rispose. Non era convinto di poter tenere giù qualcosa anche se avesse voluto, ma ci avrebbe provato.

Proclamando di aver voglia di fast food, Erwin chiamò il negozio più vicino che faceva consegne. Venti minuti dopo entrambi gli uomini avevano due piatti davanti a loro e mangiarono in silenzio.

Quel poco appetito gli passò quando gli tornarono in mente i ricordi dei sabato mattina da uomo sposato. Lui ed Eren si prendevano sempre il loro tempo per uscire e fare colazione, raccontandosi a vicenda cos'era successo durante la settimana lavorativa. Poi sarebbero andati a fare la spesa, prima di tornare a casa e passare il pomeriggio a guardare orrendi film alla TV.

Levi sparse lo sciroppo sui suoi pancakes con la forchetta, ma si limitò a mangiare la pancetta ed un biscotto.

Erwin lo guardò tutto il tempo.

C'era una domanda sul suo viso, nonostante cercasse attentamente di nasconderla e lasciare l'amico continuare a far quello che stava facendo.

"Abituarsi ad un nuovo posto mi era più facile quando ero più giovane," Disse Levi, appoggiando la forchetta sul piatto e prendendo in mano il suo bicchiere di succo d'arancia. "E' più rumorosa di come dovrebbe essere."

Erwin sbuffò e trattenne una risata, annuendo. Tagliò un triangolo nel suo pancake, che inforcò e si portò alla bocca. Aveva usato il burro al posto dello sciroppo. "Se ti infastidisce così tanto, troveremo un posto più vicino alla città e che non sia fatto in legno."

Allontanando il piatto da davanti a sé, Levi si appoggiò contro lo schienale della sedia, tenendosi vicino al petto il bicchiere di succo. Lo ruotò, nella speranza che il ghiaccio si sciogliesse più velocemente e che quindi la spremuta si diluisse. "Lo apprezzerei molto."

"Contatterò il mio agente immobiliare questa sera, quando torno a casa. Sei più che benvenuto a stare con me e Mike, nel frattempo, se non vuoi tornare a casa tua."

Levi si chiese se un giorno Erwin si sarebbe stancato di lui. "Non voglio sentirvi fare sesso."

"Prometto che mi tratterrò," Gli rispose l'uomo con un sorriso brillante. "Casa o appartamento?"

"Più è piccola e meglio è." Disse Levi. Meno porte, meno finestre, meno casino senza una vera fonte. Avrebbe preferito mille volte il rumore di auto e treni, piuttosto che quelli del vento e del legno scricchiolante.

"Quindi un attico è fuori questione." All'espressione dell'amico, Erwin continuò. "Stavo scherzando."

Prendendosi l'ultimo sorso del suo succo, Levi appoggiò il bicchiere sulla scrivania di Erwin. "Che ti è preso, per aver deciso di trovarmi una casa in mezzo al nulla?" Non c'era nessuna ragione o logica. Erwin era un uomo che aveva sempre una spiegazione, riusciva sempre ad essere dieci passi più avanti di tutti e magari Levi non era proprio al suo livello, ma era dietro a lui di un passo o due al massimo. "Non riesco proprio a capirlo."

"Per rilassarti." Gli rispose l'uomo, rivolgendogli un sorriso triste. "Pensavo che allontanarti dalle cose che ti ricordavano lui ti avrebbe aiutato a superare l'accaduto."

"Lo avevo superato."

"Avevi?"

Dopo un attimo, Levi si rese conto che come aveva impostato la frase aveva commesso un errore. Quella singola parola era piena di significati.

"Smettila di mettere il naso in cose che non ti devono preoccupare."

"Questo mi preoccupa enormemente, Levi." Gli disse. Erwin chiuse il contenitore del cibo e ci mise la forchetta sopra, apparentemente soddisfatto con la sua colazione. "Ti fai vivo a lavoro con nient'altro nello stomaco se non alcool o caffeina e neanche un'ora di sonno. Non ti ho visto messo così dal giorno in cui mi hai chiamato dal tuo appartamento."

Impanicato, dopo aver trovato il corpo di Eren, Erwin era stata la prima persona che aveva chiamato. Non la polizia.

"Cos'è successo?" Spinse l'uomo.

"L'ho visto. Ho avuto un incubo," Gli rispose Levi, troppo velocemente per farsi credere dall'amico. "Qui sarei potuto andare a farmi una passeggiata. Non sono una persona che va a camminare nel bel mezzo di una foresta di notte." Guardò verso la finestra, dove al di fuori di essa stavano iniziando a formarsi nuvole grigie. "Stavo per perdere la testa."

Non era una bugia ed Erwin lo capì. "E' strano vederti aprire così," Gli disse, passandosi il palmo della mano sulla bocca. "Sembri spaventato."

Una parte di lui voleva prendersela con l'amico per quello che gli aveva appena detto, difendere la sua dignità, ma più ci pensava e più si rendeva conto di quanta ragione avesse Erwin. Era proprio così: aveva paura.

Essendo a conoscenza che tutto quello che gli avrebbe detto sarebbe rimasto privato, Levi si lasciò andare. Chi aveva bisogno di uno psichiatra, quando c'era Smith.

"Sembrava reale."

"Gli incubi spesso lo sembrano." Ed eccolo nuovamente, quel tono di voce. Non era di per sé accondiscendente, ma puzzava di sospetto. Erwin stava cercando di unire i puntini con le poche informazioni che aveva a disposizione e, nuovamente, Levi realizzò di essersi fatto scappare qualche parola di troppo. Non aveva dormito quella notte, eppure si era messo a parlare di incubi.

Decidendo che sarebbe stato meglio tenere la bocca chiusa, così fece. Guardò Erwin raddrizzare la schiena, una volta che realizzò di essere stato scoperto. Quello però non lo fermò dal sorridere soddisfatto.

"Ho del lavoro da fare," Gli disse, anche se dal suo tono capì che non lo stava cacciando. "Sei il benvenuto, se vuoi rimanere mentre lavori ai tuoi rapporti."

Levi si chiese se avrebbe preferito lavorare nel suo ufficio in quello di Erwin, ma alla fine decise di rimanere in compagnia. Non sarebbe riuscito a sopportare il silenzio dopo aver passato la notte in bianco. Oltretutto la chaise longue dell'uomo era molto più comoda della sua, se fosse riuscito ad addormentarsi.

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Capitolo 4
*** Friendly Haunt ***


HoE chap 4
Eccomi qui col quarto capitolo! Con un'oretta di ritardo, ma spero possiate perdonarmi: in questi giorni ho avuto degli impegni che non ero consapevole di avere, lol. Però ho cercato comunque di mantenere la promessa e mi sono messa davanti al computer non appena avevo un attimo libero! Vi lascio subito, perché sto morendo x' Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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Levi tornò una settimana dopo solo per trovare la sua casetta in via Ashbury esattamente così come l'aveva lasciata, coperta da uno strato di brina nel suo perfetto cerchio d'erba ormai secca. Nessun fuoco l'aveva rasa al suolo, come aveva sperato, quindi doveva aver spento la macchina del caffè prima di dirigersi verso la città. Non gli dispiacque così come invece aveva pensato, perché aveva preso una decisione.

Al momento, non c'erano appartamenti che rispettavano le sue richieste, ma il suo nome sedeva sulla scrivania del suo agente immobiliare. Nel momento in cui un'offerta sarebbe stata fatta, il suo numero sarebbe stato il primo ad essere composto. Nel frattempo, Levi avrebbe passato i week end in campagna e la settimana lavorativa nell'appartamento di Erwin.

Dopo aver spento il motore, l'uomo rimase al volante per svariati momenti.

Non c'era nulla ad aspettarlo dall'altra parte della porta. Non ci sarebbe stato nessuno: niente oltre al piccolo velo di polvere che avrebbe felicemente spolverato facendo le pulizie.

Lasciò la ventiquattrore sul sedile dell'accompagnatore e uscì dall'auto, raggiungendo velocemente il porticato per scappare al freddo vento autunnale.

Col respiro calmo e i nervi saldi, Levi girò la chiave ed aprì la porta, ripetendosi che non c'era nulla ad aspettarlo oltre di essa. Se avesse agito normalmente, se avesse finto che nulla avrebbe potuto spaventarlo, non sarebbe accaduto nulla. Perché era tutto nella sua mente: i fantasmi non avevano ragione d'esistere.

Cosa lo salutò fu una casa gelida ed una risata che proveniva dalla TV in salotto.

Immobile sull'uscio della porta, corrugò le sopracciglia guardando il giovane uomo che stava sedendo sul suo divano, coi piedi appoggiati al tavolino da caffè e le gambe incrociate alle caviglie. Le sue dita stavano giocherellando col bordo della felpa.

"Bentornato a casa." Gli disse Eren, allontanando lo sguardo dallo schermo per sorridergli.

"Che si fotta tutto."

Con le chiavi strette in mano, Levi voltò i tacchi e uscì di casa.

Avrebbe guidato fino alla città e avrebbe fatto visita al più vicino ospedale psichiatrico. Tutto questo era stupido, ridicolo, osceno ed impossibile. La gente non poteva tornare dall'aldilà. Non esistevano i fantasmi. E anche se esistevano, non passavano il tempo nel salotto di qualcuno a guardare la televisione.

Avrebbe chiamato Erwin e gli avrebbe raccontato la verità. Gli avrebbe detto che vedeva e sentiva cose, che il suo cervello pensava che Eren lo stesse tormentando. Conoscendo Erwin, tutto quello che avrebbe fatto sarebbe stato annuire, credergli e mettergli una camicia di forza.

"Hey, aspetta!" Lo chiamò Eren dalla porta e - fanculo a lui - poté sentire i suoi passi mentre scendeva di corsa gli scalini in legno. "Oh, ma dai!"

"Esci dalla mia cazzo di casa, ora, o giuro che la brucio fino alle fondamenta." Gli rispose Levi, con un tono di voce falsamente calmo. Non c'era bisogno che di arrabbiarsi: anche facendolo non avrebbe ottenuto nulla. L'uomo avrebbe affrontato la situazione con calma.

"Il tuo primo tentativo ha fallito," Gli rispose Eren, quasi petulante. "Hai lasciato la macchina del caffè accesa."

Levi si bloccò. "E scommetto che tu l'hai spenta."

"Beh, sì. Sarebbe stato brutto per te perdere tutti i tuoi averi."

Levi combatté l'istinto di portarsi una mano al viso, così come l'istinto di urlare. Scelse di rimanere immobile, lasciando che il freddo gli gelasse anche l'umore. Poteva sentire il rumore di foglie secche provenire da dietro di sé, ma si rifiutò di muoversi. Non sapeva cos'avrebbe fatto se Eren avesse cercato di toccarlo nuovamente.

"Entri?" Lo pregò jl giovane e le sue parole strinsero il cuore di Levi. "Sta diventando freddo fuori. Non voglio che ti venga l'influenza."

Nonostante la rabbia e l'incredulità, gli occhi dell'uomo presero a bruciargli.

La forza che aveva di mantenere le proprie decisioni era sempre stato il tratto di cui era maggiormente orgoglioso, in quanto mai aveva ceduto in qualsiasi sorta di pressione, sia quando era giovane sia da adulto. Una volta che prendeva una decisione, nulla avrebbe potuto fargli cambiare idea. Ma il problema era che Eren una volta era stato qualcuno a cui aveva tenuto più della sua stessa vita, quindi gli ci voleva poco per farlo cedere.

Spaventosa realtà o meno, gli era mancato e alla fine era pur sempre umano. Un debole e codardo umano.

"Per favore? Non ti farò del male, se è quello a preoccuparti." Continuò Eren e il vento trasportò la sua voce, facendola apparire affettuosa e calda. "Me ne andrò, ok? Per... Vieni dentro. Fammi vedere che stai bene."

"Perché non dovrei star bene?" Sbottò l'uomo, voltandosi verso il viso nascosto e inghiottendo un conato di vomito nel notare che l'entità poteva uscire di casa come se niente fosse.

"Sei corso via."

"Sì e questo ha a che fare col fatto che sto conversando col mio marito morto da un po'."

Eren sobbalzò, come se la menzione della sua morte lo avesse scioccato. Portò una mano al petto e il dolore che ormai stava diventando familiare fece bruciare il petto di Levi. Quello era un gesto che il ragazzo aveva fatto sin da bambino.

"Mi sei mancato."

Quella poca voglia di dargli contro che gli era rimasta svanì.





"Prometto di andarmene, ok? Per davvero. Lascia solo che ti faccia del tè, almeno."

Levi lo fissò, studiando ogni movimento e tremito della sorprendentemente fragile immagine che c'era davanti a lui. Eren si stava grattando la mano che aveva portato al petto, con lo sguardo rivolto di lato verso la foresta come un bambino che si aspettava che gli venisse urlato contro.

Faceva male, perché nulla era cambiato. Eren era ancora lo stesso, faceva gli stessi gesti che faceva da vivo e che non sarebbero stati notati da nessuno, se non da Levi.

"Ti ricordi almeno come farlo?" Soffiò. Accettare la sconfitta non significava che lo avrebbe fatto con maturità.

"Ovviamente!" Gli disse Eren, comportandosi come un cucciolo a cui era stato appena dato un osso. "Ricordo anche quanto miele ti piace. E' come andare in bicicletta: è impossibile dimenticarsene."

Senza aspettare un'altra parola, Eren girò sui tacchi e trotterellò felice in cucina.

Chi avrebbe pensato che la sua vita avrebbe preso una piega del genere?

Mettendo da parte la sua esitazione e aggrappandosi al suo coraggio, Levi tornò in casa e si chiuse la porta dietro le spalle. Lasciò che il ragazzo si muovesse in cucina da solo, tirando fuori un bollitore e il contenitore di foglie di tè che teneva lì per le emergenze, poi si spostò verso il retro della casa per accendere il riscaldamento.

Quando tornò trovò il bollitore sulla cucina ed Eren intento a sciacquare una tazza canticchiando un motivetto sconosciuto.

Se non fosse stato per le bende sulla sua testa, Levi avrebbe potuto scommettere di essere tornato indietro nel tempo, nei giorni dove tutto era bello.

"Il tempo passa diversamente, quando sei morto," Gli disse Eren, serenamente. "Sinceramente ti ho aspettato." Ridacchiò, asciugando la tazza con l'asciugamano appeso al refrigeratore. "Pensavo che qualsiasi cosa mi avesse ucciso sarebbe tornata anche per te."

I capelli sulla nuca di Levi si rizzarono.

Pretese di non essere disturbato dall'ammissione, concentrandosi nel tirarsi vicino uno sgabello e sedersi sopra di esso, appoggiando un gomito sull'isola prima di tornare a dare la sua attenzione ad Eren.

"Alla fine ho scoperto che se sei una brava persona, hai la possibilità di poter vagare e spiare la gente, prima di essere strattonato via. Un po' come il paga-per-vedere."

Non parlò per un po' e neanche Levi lo fece.

Il bollitore iniziò a fischiare, ma Eren rimase aggrappato al bordo del lavandino, la testa calata.

"Non ho mai pensato fossi capace di piangere," Gli disse, sussurrando. "Sorridevi raramente, posso contare con le dita di una mano quante volte lo hai fatto. La prima volta che abbiamo fatto sesso, al nostro matrimonio, quando ho finto di aver vinto alla lotteria quella volta... Eri sempre così forte e io... E' stato come sentire il mio cuore venire strappato a metà, quando ti ho visto sul nostro letto con le guance bagnate di lacrime."

Levi strinse i pugni tanto forte da lasciarsi i segni delle unghie sui palmi. "Il tè." Disse, perché non sapeva cos'altro dire. Quel momento di disperazione doveva essere stato privato.

Senza un'altra parola, Eren prese il bollitore. Versò l'acqua bollente dentro la tazza, poi riempì un filtro a forma di pallina con le foglie di tè e ce lo mise dentro. Dopo trenta secondi lo tirò fuori, versando un cucchiaino di tè nella tazza. Poi aggiunse un cubetto di zucchero e mischiò cinque volte.

La scena scaldò il petto di Levi, perché solitamente a tutto quello seguiva un bacio. Ma non questa volta. Eren appoggiò la tazza di fronte a lui e fece qualche passo indietro, rivolgendogli un mezzo sorriso. "Spero di averlo fatto esattamente come piace a te."

Un fantasma che faceva il tè, un buon tè, oltretutto. Quello sì che gli era nuovo.

Levi fece un verso d'approvazione, godendosi il calore che gli accarezzava il viso e l'aroma che gli stuzzicava il naso. Non troppo amaro, non troppo dolce, con la giusta concentrazione di tè.

Prima che potesse fermarsi, sorrise contro la tazza.

Eren gli sorrise di rimando. "Ebbene?"

"E' buono." Gli rispose l'uomo, sorseggiando attentamente la sua bevanda in modo da non bruciarsi la lingua.

"Scelgono sempre le brave persone," Gli disse Eren, confondendolo momentaneamente. "Mi è stata offerta la possibilità di rimanere qua e l'ho presa."

Il sorriso svanì dal volto di Levi, che appoggiò la tazza. "Eren-"

"Sei troppo testardo per chiedere aiuto," Continuò il fantasma, probabilmente perché era già morto e sapeva che Levi non avrebbe potuto ucciderlo di nuovo. "Preferisci soffrire da solo, piuttosto che disturbare gli altri con i tuoi pensieri."

"Smettila."

"Non mi hai mai fatto vedere niente di tutto questo," Sembrava arrabbiato, quasi tradito. "Vederti piangere mi ha fatto capire che non sei invincibile, Levi, che senti la tristezza tanto quanto gli altri e mi ha fatto incazzare il fatto che ci fossimo conosciuti fa anni, eppure non ti fossi mai aperto con me."

"Parli troppo."

"Non sono stupido. Egoista, magari sì, perché so che l'hai fatto per proteggermi o qualcosa del genere, ma ho sempre voluto che ti fidassi di me. Tutto quello che volevo fare era darti conforto."

Levi lo fissò con occhi duri e gelidi. Questa non era una conversazione che voleva avere, neanche con un fantasma. "L'hai fatto." Ammise. In più di un'occasione. "E' stata praticamente la ragione della nostra relazione."

"Non conta di quando ti sei lasciato con Erwin."

"Perché no?"

"Perché vai ancora da lui, quando ti succede qualcosa."

Levi alzò un sopracciglio e combatté l'istinto di mettersi a ridere. "Non hai mai avuto problemi con lui, quando ti scopava."

Quel poco di pelle che si poteva vedere tra le bende del giovane divenne rosa acceso. "Non è quello che intendevo e lo sai."

"Io ed Erwin siamo cresciuti assieme."

"Ma io sono la persona che hai sposato," Sbottò il ragazzo. "Pensavo che avresti potuto parlare dei tuoi problemi con me, piuttosto che con lui."

"Lo abbiamo fatto."

"No, non è vero. Tu parlavi sempre dei miei problemi, ma mai dei tuoi, come se fossi quasi un peso per me."

"Vuoi che ti chieda scusa?" Chiese Levi, scrollando le spalle e prendendosi un sorso di tè

"Sì." Rispose inaspettatamente Eren.

"Lo farei, ma sei morto e non c'è nulla che io possa fare."

Eren apparve indeciso se pensare o meno se Levi fosse serio. "Sono proprio qua."

Levi scrollò la testa. "Tu sei la mia coscienza, che sta cercando di farmi impazzire per tutto quello che ti ho fatto mentre eri in vita." Aveva senso, davvero. "Se può aiutarti, domani mi recherò alla tua tomba e ti chiederò scusa." Prese un altro sorso di tè, ma quando abbassò la tazza notò l'espressione rassegnata sul volto del ragazzo.

"Sei un grande stronzo, lo sai?"

Allontanando la tazza ormai vuota, Levi rispose: "Fin troppo bene. Ma mi amavi lo stesso."

Levi sobbalzò quando Eren si trovò di colpo davanti a lui, il suo viso a pochi centimetri di distanza dal proprio. Fece una smorfia nel trovarsi così vicino alle bende sporche e notò che la seconda gli copriva le orecchie, non il naso. Per ultima cosa, notò Eren abbassarsi con esitazione la benda che gli copriva la bocca.

Non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo non pelle intoccata. Le labbra erano sottili come lo erano sempre state, sembravano morbide esattamente come lo erano state e l'uomo sentì un tremito di bramosia scuotergli lo stomaco.

"Ti amo ancora." Sussurrò il ragazzo e fu bellissimo vedere nuovamente le sue labbra muoversi.

Levi non si mosse, quando Eren eliminò lo spazio fra di loro, premendo le loro labbra assieme in un bacio leggero. Il ragazzo era freddo come la morte, ma il calore del viso di Levi gli scaldò il proprio. Non era diverso da quelli che gli dava due anni fa. Era dolce uguale.

"Vai a riposare," Fu quello che disse l'uomo quando si allontanarono, sopprimendo il bisogno di toccare il viso del giovane. "Non hai più nulla da fare, qui. Ti meriti un lungo riposo, di goderti le nuvole e di bere tutto il latte al cacao che vuoi, moccioso. Smettila di star dietro ad un vecchio incattivito."

Eren gli sorrise ancora e questa volta Levi non riuscì a non baciarlo. "Pensavo di essere solo la tua coscienza."

"A nessuno piacciono i so-tutto-io."

"Va bene," Sbuffò il ragazzo. "Me ne andrò. Basta che non ti dimentichi di me."

"Non riuscirei neanche se ci provassi."

Con un ultimo bacio, Eren sparì dalla sua vista.

•••


Levi scoprì che c'erano piccoli villaggi al di fuori della sua via.

Una minuscola cittadina rurale era posta tra gli alberi appena venti minuti di distanza da casa sua, con le sue architetture antiquate e una farmacia che aveva l'insegna recitante 'drogheria'. C'era un negozietto, un ufficio postale, un dipartimento di polizia più piccolo del suo ex appartamento e... Basta.

Altri cinque minuti di guida lo avrebbero portato ad una fila di case che avrebbero potuto appartenere ad una favola dei fratelli Grimm. Levi vide per lo più vecchi, qualche adulto e pochissimi adolescenti e bambini. Nessun giovane uomo avrebbe voluto sprecare la propria vita in un paese del genere, nascosto in una foresta dove probabilmente non c'era neanche la linea telefonica.

Levi si chiuse il cappotto e si portò la sciarpa fin sopra il naso, quando starnutì. Fece una smorfia e si appuntò mentalmente di buttare tutto a lavare, quando sarebbe tornato a casa.

Era raro che si ammalasse, ma quando gli capitava si ammalava per bene.

La drogheria era piccola come il resto del paese, rustica e accogliente. Il suono di una campanella annunciò la sua entrata, ma non ci prestò attenzione, guardandosi attorno mentre si puliva le scarpe sul tappetino. Sospirò e iniziò ad aggirarsi tra gli scaffali, alla ricerca di qualcosa che potesse alleviare i suoi sintomi.

Passò uno scomparto che vendeva giocattoli, un altro dedicato all'igiene femminile, un altro ancora con delle forniture da campeggio, poi finalmente arrivò ai medicinali.

Guardò ogni etichetta, comparando i dosaggi e ciò che il farmaco avrebbe alleviato. Starnuti e naso colante, mal di gola, tosse e febbre. Andava bene, ma non era abbastanza. Voleva trovare qualcosa che lo avesse fatto dormire per almeno otto ore.

"Posso consigliarti... Questo qua?" Gli disse una donna dai capelli biondi che le toccavano le spalle in morbide onde. "Agisce velocemente e offre sollievo per dodici ore." Gli rivolse un sorriso gentile, quando l'uomo prese la bottiglia che gli era stata offerta. "O questo, sei vuoi qualcosa di forte."

Levi si voltò per starnutire nuovamente, prima di prendere la seconda bottiglia. "Posso prenderli entrambi?"

La donna ridacchiò e tornò alla cassa. "Puoi, ma questo non significa che dovresti." Si avvicinò alla cassa e ne tirò fuori un libretto da ricevuta. "Mi chiamo Nana, se te lo stavi chiedendo."

Non ci aveva neanche pensato, ad essere sincero, ma probabilmente in un posto così piccolo e lontano dal resto della civiltà era normale rivolgersi per nome già dopo il primo incontro. "Levi." Le disse, appoggiando entrambi i contenitori sul bancone.

"Sei qui per una visita o...?"

"Mi sono trasferito un paio di settimane fa." Cercò il portafogli, mentre cercava di trattenere l'ennesimo starnuto.

"Huh," Disse la donna. "Non ho visto un viso nuovo da queste parti da quando Pixis ha affittato la sua casa. E' tutto?" Al cenno dell'uomo, gli fece lo scontrino. Levi le porse una banconota da venti. "Ti sei trasferito vicino ai Winchester?"

Levi non aveva voglia di parlare, la gola gli faceva un male terribile. "Ashbury." Fu l'unica cosa che disse, intascando il resto.

Nana fece un suono simile ad una risata soffocata. "Le Casa degli Echi, eh? Scommetto che ne stai passando un bel po'."

Improvvisamente interessato, Levi si guardò attorno e, una volta certo che fossero soli, tornò a prestare la propria attenzione alla donna, alzando un sopracciglio. "In che senso?"

Nana si allontanò dalla cassa e iniziò ad organizzare il portariviste con un sorrisetto criptico. "Ogni paese ha le sue leggende metropolitane. Si dice che quella casa sia infestata."

Quasi rise, involontariamente, ma col naso chiuso finì col sembrare un toro asfissiato.

Oh, la casa era decisamente infestata ed era stato proprio grazie al fantasma che la abitava che aveva finito col prendersi l'influenza. Nonostante l'aver concordato nell'andarsene, Eren aveva continuato a vagare per la casa, seppur invisibile. Più di una volta si era svegliato con la schiena gelata, quando il cosiddetto caro fantasma decideva si appiccicarglisi durante la notte.

"Mi ricorderò di appendere l'aglio alle porte." Disse e Nana apparve vagamente confusa nel vederlo così serio.

"Il sale tiene fuori le presenza cattive," Gli disse dopo un momento. Puntò verso il retro del negozietto. "Ma non quella robaccia iodizzata."

Levi scosse la testa e prese la borsa di carta. "Non credo ai fantasmi," Quanto era bugiardo... "Grazie per il tuo aiuto."

"Figurati, Levi. Spero ti riprenda presto."

L'uomo le rivolse un cenno della testa, poi si premette la sciarpa contro la bocca, temendo un altro starnuto.

Sentendosi miserabile, uscì dal negozio e corse verso l'auto, dove accese al massimo il riscaldamento e si scaldò le mani. Non aveva ancora nevicato per la prima volta, eppure già odiava l'inverno. Non per la prima volta considerò di traslocare più a sud, dove era sempre caldo e soleggiato.

Starnutendo e mormorando qualche parolaccia, uscì dal parcheggio e si diresse a casa.

Casa, pensò corrucciato. Dormiva ancora nell'appartamento, per la precisione sul divano, di Erwin durante la settimana, ma tornare nei week end non era più così pesante. Era quasi confortevole. La cucina era sempre pulita, ma le coperte erano sempre spiegazzate grazie alla presenza di un certo fantasma.

Non si sentiva nulla alla radio, durante il viaggio di ritorno, così Levi la spense e optò per pensare a qualsiasi cosa che non avesse a che fare col lavoro e sposi morti. I week end ad Ashbury, seppur rilassanti, finivano col diventare noiosi. Concentrarsi sui libri era impossibile dentro casa, grazie alla strana aura presente che gli dava sempre la sensazione di essere guardato. Levi aveva bisogno di poter fare qualcosa fuori casa senza assiderare nei mesi più freddi.

L'uomo pensò a cosa gli aveva detto Nana, le sue parole ben impresse nella sua mente. Eren era stato a casa sua, assieme a lui, per tre settimane. Chi, o cosa, aveva infestato la casa prima di lui?

Iniziò a piovere.

Dopo aver acceso il tergicristalli girò a destra alla biforcazione, diretto alla via Ashbury.

Ad entrambi i lati della strada c'era selva impenetrabile, querce e pini torreggiavano su tutto il resto. Occasionalmente qualche animale usciva dalla foresta, lasciandosi dietro di sé le sue impronte. La via era praticamente costituita da un tunnel di alberi che si apriva in uno spiazzo d'erba perfettamente circolare, dove sedeva la sua casa.

Nessuno poteva dire che fosse un brutto posto, ma non faceva proprio per lui.

L'uomo parcheggiò l'auto più vicino possibile al porticato, pronto a correre sotto la pioggia scrosciante. Non si era neanche preoccupato di prendersi un ombrello, quando se n'era andato, in quanto aveva pensato che il Sole avrebbe continuato a brillare così come aveva fatto nelle tre settimane precedenti.

Considerò di coprirsi la testa con la sciarpa, ma alla fine ci ripensò, quando ricordò del moccio e germi che ci aveva starnutito contro.

Spense l'auto e aspettò che la pioggia si calmasse.

Con la coda dell'occhio notò una tenda in cucina muoversi.

Un fulmine lo distrasse dal movimento e, una volta che la pioggia non fu altro che una leggera pioggerella, afferrò la borsa di carta ed uscì dall'auto. Si mosse velocemente, stando comunque attento a non cadere. Il naso chiuso non faceva altro che irritarlo, obbligandolo a respirare con la bocca.

La porta d'entrata si aprì mentre si stava scrollando l'acqua di dosso ed Eren lo guardò da dietro di essa, con una mano allungata pronto a prendergli il cappotto. "Buongiorno." Gli disse timidamente. Era la prima volta che si era mostrato, dopo avergli fatto la promessa di lasciarlo solo.

Per sua fortuna, Levi era troppo stanco per arrabbiarsi. Al posto di dargli il cappotto gli consegnò la borsa con le medicine, in modo da togliersi di dosso i vestiti di troppo. "'Giorno," Gli disse, con voce nasale. "Obbediente come al solito."

Prima che Eren potesse ribattere, il fischio di un bollitore lo interruppe. "Ti ho preparato del tè, vecchio ingrato," Gli disse, dirigendosi verso la cucina col sacchetto in mano. "Vai a cambiarti in qualcosa di asciutto."

Ignorando il nomignolo, Levi fece come gli era stato detto. Arrivato alla camera da letto si mise un pigiama, ben deciso a non far nulla tutto il giorno. Il corpo gli doleva al contatto, così si mise il pigiama più morbido che aveva. Non stava facendo i capricci, sapeva di doversi riprendere. Anche Erwin gli aveva ordinato di stare a letto tutta la giornata.

Si diresse verso la cucina e trovò una tazza di tè appena fatto sul ripiano. Eren gli stava preparando un panino. "Puoi prendere la tua medicina dopo aver mangiato." Gli disse e Levi arricciò le dita dei piedi.

La lista dei perché Eren fosse stato sempre speciale per lui non aveva fine, ma erano questi suoi gesti affezionati ed innamorati che lo avevano fatto capitolare. Eren era bel lontano dall'essere perfetto, avendo un carattere che tendeva a farlo esplodere velocemente, ma Carla gli aveva instillato una specie di istinto materno. Durante gli anni, Levi aveva guardato il suo compagno prendersi cura di sua sorella e del suo migliore amico, poi prendersi cura di lui.

Eren era fin troppo adorabile e lo sapeva. Levi non aveva mai avuto il bisogno di dirglielo.

"Prima o poi dovrai andare a fare della spesa," Gli disse il fantasma, aggiungendo del prosciutto tra le fette di pane tostato. "Anche se passi qui solo i week end, non puoi sopravvivere di pane, bibite gassate e gelato per tre giorni di fila."

"Certamente, madre." Levi prese un sorso del tè. Perfetto come sempre. "Cos'è successo al tuo andare via?"

Un piatto venne posato di fonte a lui ed Eren ci mise sopra il panino. "E' più facile dirlo che farlo," Mormorò. "E' stato più difficile starti lontano quando hai iniziato a starnutire."

"E' colpa tua."

Eren annuì e fece un'adorabile smorfia, che però espresse la vergogna che provava. "Mi dispiace."

L'uomo scrollò le spalle, addentando il panino. Ogni boccone sembrava mandargli in fiamme la gola. Non sussultò, perché già sapeva che il suo disagio fosse più che visibile. Eren non fisse nulla, decidendo invece di sistemare la cucina.

"Sono davvero così pesante da sopportare?" Gli chiese, aprendo il freezer e prendendo la confezione di gelato.

Alcune persone tenevano degli oggetti che erano stati cari alle persone amate. Non Levi. Eren non era mai stato il tipo di persona da affezionarsi ad oggetti materiali. La giacca della divisa delle superiori l'aveva data ad Armin, la vecchia chiave che si era sempre portato dietro l'aveva lasciata a Mikasa.

Così Levi teneva sempre una confezione di gelato alla vaniglia nel refrigeratore, perché era il preferito del ragazzo. Per fare pace dopo una litigata sedevano sempre in cucina con una ciotola di gelato e panna montata, facendosi il piedino fino a ritrovarsi sul divano a fare sesso. La morte di un familiare, vecchie ferite, promozioni, compleanni, pigre domeniche mattine... Tutto era accompagnato da una ciotola di gelato alla vaniglia.

"No," Gli rispose. "Ovviamente no."

Eren non lo guardò, mentre si prendeva una ciotola e si serviva. "C'è della panna montata?" Sembrava sollevato.

"E' nella dispensa."

Era ancora nuova, Levi lo guardò rompere il sigillo e spruzzarne una montagna sopra il gelato. "Bene, perché non vedo nessun altro qua a prendersi cura di te."

Per 'nessun altro' intendeva Erwin e questo quasi lo fece ridacchiare. "Ha altro nella sua vita di cui preoccuparsi, sai." Guardò il giovane sedersi di fronte a lui. "Lui e Mike hanno una relazione seria, adesso."

"Non importa," Disse Eren, portandosi un cucchiaino di panna montata alla bocca e mugolando soddisfatto. "Mi ha detto che saresti sempre stato la sua priorità."

Giusto Eren poteva sentirsi confuso sul come sentirsi verso Erwin anche da morto.

"E' un'influenza," Sbuffò l'uomo, sorseggiando il suo tè. "Sopravviverò."

"Mike, uh?" Sbuffò divertito Eren e Levi si chiese se se l'era solo immaginato, perché la benda sopra il naso non accennò alcun movimento. "Voi tre avete-"

"No," Lo interruppe immediatamente l'altro. "Non con Mike."

"Ma con Erwin."

"Una volta," Allontanò il panino, stufo di soffrire nell'inghiottirlo. "Una settimana dopo il tuo funerale."

"Sesso di consolazione?"

"Più che altro sesso di sottomissione. Ho provato a dargli un pugno, mi ha fermato, le cose sono precipitate."

Eren gli rivolse un sorriso obliquo. "Tipico. Perché hai provato a dargli un pugno?"

"Neanche me lo ricordo."

Lo ricordava, invece. Si erano messi ad urlare l'uno contro l'altro quando si erano messi a parlare del suo comportamento autodistruttivo. Non stava superando l'avvenimento nel modo in cui aveva bisogno ed Erwin aveva cercato di farlo ragionare. Non aveva funzionato. Levi era troppo abituato ad ascoltare unicamente Eren, dare ascolto ad un'altra persona gli riusciva impossibile.

Erwin ci aveva provato ugualmente. Ci provava ancora, ma un'importante parte di Levi era andata persa, quando aveva trovato Eren ormai dissanguato sul pavimento della loro camera da letto. Si era perso irrimediabilmente ed un amico come Erwin non poteva neanche sperare di riuscire a sistemarlo.

"Fa ancora roba assieme ad altri, anche se sta con Mike?"

"Con 'altri' intendi in generale o con me?"

"Con te."

Levi scrollò le spalle. "Mike è abbastanza all'antica. Non gli piace che le sue cose vengano toccate." E avrebbe rispettato il suo volere. Nonostante le nottate pazze in cui si era portato a letto sia Eren che Erwin, un filo di gelosia lo aveva sempre sentito nel vedere Erwin premere un bacio sulla spalla del suo compagno. Quindi trovava giusto rispettare il volere di Mike.

La gelosia alla fine era svanita. Lui ed Eren appartenevano l'uno all'altro, mentre Erwin era una persona importante che faceva della sua vita, seppur senza avere un ruolo preciso. La terza ruota che dava loro una maggiore stabilità, come l'uomo aveva scherzato in più di un'occasione, per lo più mentre preparava a tutti e tre la colazione completamente nudo. Un uomo coraggioso che cuoceva la pancetta senza una maglietta addosso.

Eren s'imbronciò. "Non dovrebbe lasciarti solo."

"Non è quello che sta facendo." Gli rispose Levi, rubando il cucchiaino dalle mani di Eren e prendendosi un po' del gelato nella sua tazza. Il sapore contrastava orribilmente quello del tè e del panino, ma lo aiutò a calmare il dolore che aveva alla gola. "Non guardarmi così. Tanto non ti puoi ammalare."

Eren scrollò le spalle e sorrise. "Prendo un altro cucchiaio."

Gli occhi dell'uomo s'inumidirono e starnutì nuovamente, poi emise una stringa di parolacce. "Odio questa merda."

"Magari se ti prendi la medicina..." Mormorò il ragazzo, tornando con un cucchiaio e la busta di carta che l'altro si era portato dietro. Ne tirò fuori i due contenitori e li scosse. "Probabilmente fanno schifo."

"Ne scaccerò il saporaccio col gelato."

Eren gli passò un cucchiaio pieno della robaccia, così Levi la bevve. Lo fece con entrambi i medicinali, anche se non riuscì a trattenere le smorfie disgustate nel sentire il sapore degli intrugli. Appena finì fu veloce a inghiottire diverse cucchiaiate di gelato e, mentre inizialmente anche la vaniglia gli parve amara, dopo un po' riuscì a levarsi il saporaccio di bocca.

"Se pensi che queste siano le attenzioni che Erwin dovrebbe riservarmi, puoi dimenticartelo."

Troppo pigro per alzarsi a sciacquare il cucchiaino, Eren lo usò per mangiarsi la sua parte di gelato, assieme ai residui di medicina. "Ed è per questo che sono qui." Gli disse, portandosi il cucchiaio contro il mento.

"Va bene," Sbuffò l'uomo, irritandosi nel sentire il naso ancora chiuso. "Tanto ho bisogno di qualcuno che mi controlli la casa, mentre sono via."

"Quindi... Posso restare?"

Levi non lo guardò, consapevole di starsi scavando la fossa da solo. Non avrebbe dovuto fare così, non avrebbe dovuto aggrapparsi all'eco di un tesoro che aveva perso e per il quale aveva già sofferto. La casa degli echi, l'aveva chiamata Nana. Si chiese se fosse la casa il motivo dell'apparizione.

"Sì," Gli rispose, perché era debole. Lo era sempre stato. "Puoi restare."

L'enorme sorriso pieno di gioia e adorazione che ricevette gli fece pensare di aver fatto la scelta giusta.

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Capitolo 5
*** Balm of Choice ***


HoE chap 5
Asdfghjkl, mi dispiace di averci messo così tanto ad aggiornare! Ma tra la scuola e le festività ho avuto fin troppo poco tempo. Oggi mi sarebbe piaciuto aggiornare anche The Rest of Their Lives, ma proprio non ci sono riuscita. Però lo farò a breve, prometto! Chiedo scusa per i possibili errori, perché ho dato una riletta mega veloce al capitolo y_y Buona lettura <3

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3

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"La temperatura è piuttosto alta per essere ottobre." Disse Eren, passando sopra ad un ramo caduto. Indossava un giubbotto che gli arrivava al ginocchio, castano come i suoi capelli, ed una delle sciarpe di Levi attorno al collo. Chi avrebbe mai detto che la temperatura avrebbe potuto intaccare un fantasma? "Questo posto è particolarmente rigoglioso."

Levi emise un grugnito per fargli capire che lo stava ascoltando.

Dopo aver passato una settimana da Erwin, quando Eren gli aveva chiesto di fare una passeggiata lo aveva accontentato.

L'uomo non aveva passato molto tempo ad aggirarsi per la foresta che circondava casa sua, Eren invece sì. Era noioso, gli aveva detto, stare solo per giornate intere. Levi si era sentito terribilmente in colpa, quando gli aveva detto quella cosa, perché era passato un intero mese senza che il ragazzo osasse lamentarsi. Era troppo felice dei momenti passati in compagnia.

Con le mani dentro le tasche, Levi continuò a camminare tra gli alberi, rocce e rami secchi. Stava due passi dietro al fantasma, che andava avanti come se già conoscesse il sentiero. Magari era proprio così. "Il corso d'acqua dovrebbe essere vicino," Gli disse. "Mi sembra di sentirlo."

Era snervante quanto la vista e l'udito del ragazzo fossero fini, ma Levi scosse la testa ed evitò di rimuginarci sopra. Aveva già condiviso un letto col fantasma in questione: le cose non sarebbero potute peggiorare.

Effettivamente poco dopo sentì lui stesso lo scrosciare dell'acqua.

Continuarono a camminare per mezzora, tanto che l'uomo iniziò a pensare di aver preso il percorso sbagliato. Era da un po' che sentiva il rumore dell'acqua, eppure non aveva ancora visto nessun ruscello. Il pomeriggio stava divenendo lentamente sera e il tepore stava sparendo assieme al Sole.

Di fronte a lui, vide Eren scalare una salita ripida, voltarsi a guardarlo per essere certo di venire seguito. "Dai, Levi. Non sei così vecchio. Pensavo che riuscissi a starmi dietro."

Simpatico, considerando che probabilmente il moccioso non aveva alcun peso da sopportare. "Sto indossando le scarpe che uso all'ufficio," Fu la sua risposta ed Eren rise. "Quanto manca ancora?"

"Siamo quasi arrivati."

Scalarono una collinetta e, se non fosse stato lui stesso ad aver camminato fino a quel punto, avrebbe potuto giurare di trovarsi in un posto del tutto diverso.

Del fiumiciattolo non si vedeva l'inizio né la fine, la sua acqua limpida bagnava le rocce disposte come piccoli gradini, creando candide cascatelle. L'erba stava ingiallendo lungo le sue rive, a causa delle rigide temperature d'inizio inverno. I massi che costeggiavano il corso d'acqua erano coperti da uno strato di muschio e odoravano di terra.

Levi sorpassò Eren, avvicinandosi alla costa incuriosito. Era di una tale bellezza, quel posto, che venne improvvisamente colpito dal desiderio di immergere i piedi nell'acqua gelida.

"E' bello, vero?" Gli chiese Eren, fermandosi al suo fianco, attento a non scivolare sul muschio. "Un po' lontano, ma la camminata ne vale la pena."

"Sembrava più vicino."

Il ragazzo annuì. "Già."

Godendosi il silenzio, l'uomo si prese il suo tempo ad esplorare il paesaggio di fronte a lui, cosa che lo fece calmare. Avrebbe potuto addormentarsi in un posto del genere, se ne avesse avuta la possibilità. Il ruscello non produceva un rumore ritmico, ma seguiva il suono della natura.

Un movimento dall'altra parte del fiumiciattolo catturò la sua attenzione, ma tutto quello che vide fu l'ombra di un cervo tra gli alberi. Cercò di seguirlo con lo sguardo, ma più si allontanava e più faticava a vederlo, grazie anche al buio che stava iniziando a calare. Il tramonto stava prendendo posto al pomeriggio, quindi avrebbero dovuto presto tornare a casa.

Voltandosi, notò che Eren non era più al suo fianco.

"Eren?"

L'uomo si voltò dall'altra parte, ma le uniche cose che vide furono alberi morti e acqua scrosciante.

"Avresti potuto almeno avvisarmi prima di allontanarti, eh." Disse. Quando non ricevette alcuna risposta sentì l'irritazione iniziare a ribollirgli nello stomaco. "Non ignorarmi, moccioso."

Fece qualche passo in avanti, guardando tra gli alberi senza allontanarsi troppo dalla riva. Stava iniziando a fare freddo, ma non a causa della presenza di Eren. Ormai stava scendendo la notte e aveva bisogno di tornare a casa, prima di ritrovarsi in un bosco senza nulla se non l'applicazione della torcia nel cellulare.

L'unica cosa che poteva fare era sperare che Eren conoscesse abbastanza bene la via di ritorno.

Un movimento periferico lo fece voltare, ma ovviamente non vide nulla. Senza la luce del Sole, le ombre sembravano prendere vita, inghiottendo la foresta nel buio. Qualcosa gli diceva che non gli sarebbe piaciuto trovarsi lì, se fosse accaduto qualcosa.

Vide nuovamente qualcosa e non poté dare nuovamente la colpa all'immaginazione. Questa volta non si girò a guardare. Non voleva guardare, perché nonostante sapesse che non avrebbe visto nulla tra gli alberi, avrebbe potuto. Non sapeva cos'avrebbe fatto, in quel caso. Lottare? Scappare? Chiamare aiuto?

Si fermò e inspirò a fondo.

Non c'era nulla di cui avere paura, al buio. Non esistevano i mostri, anche se condivideva la casa con un fantasma. Nulla sarebbe potuto saltare fuori da un cespuglio e mangiarlo e, magari, se si fosse dato una mossa, sarebbe riuscito ad uscire dalla foresta prima che fosse completamente buio.

Il problema era che non riusciva a muovere i piedi, per qualche motivo.

Il cuore sembrava volergli esplodere nel petto, tuttavia l'uomo cercò di calmarsi e mise le mani in tasca, in modo da tenerle calme. Era un attacco di panico, quello? Non gliene era mai venuto uno. Non avrebbe saputo come comportarsi, se lo fosse stato.

Un altro movimento e questa volta dovette voltarsi verso di esso. Si voltò per vedere il cervo bere dal ruscello: era enorme. Non aveva mai visto cervi dal vivo, ma si sarebbe mai aspettato che fossero così grossi.

Non era neanche a conoscenza del fatto che fossero neri. O che avessero occhi completamente bianchi.

"Eren?" Si ritrovò a dire, anche se il suo fu solo un sussurro.

Nella sua vita Levi aveva fatto un sacco di cose ed era sopravvissuto ad un numero maggiore di avvenimenti. Spacciatori, ladri, gang, pure un padre violento. L'uomo conosceva fin troppo bene le tragedie, la violenza, la morte. Aveva combattuto contro di loro e ne era emerso vittorioso. Ma c'era un'altra cosa che continuava a visitarlo, qualcosa che non era ancora riuscito a sopprimere anche dopo trent'anni di repressione emotiva e perfetto controllo.

La paura.

In quel momento aveva paura e quell'emozione gli aveva rubato la voce.

Avrebbe saltato, pensò, tenendo gli occhi fissi sul cervo che ancora si stava dissetando, i suoi occhi bianchi e vuoti fissi su di lui. Lo avrebbe caricato e l'uomo non aveva alcuna arma con cui difendersi.  L'unica cosa di cui era capace sarebbe stato correre e sperare di non cadere, sperare di arrivare a casa e non essere incornato da una bestia delle dimensioni del pickup di Erwin.

L'animale alzò la testa e prese numerosi passi indietro, scrollando il cranio per mettere in mostra i palchi.

Non c'era la Luna ad illuminare il sentiero, ma a Levi non importava.

Saltò un tronco caduto e scivolò su una roccia. Dei rami gli sfregiarono le guance mentre correva alla cieca nella foresta, perso, perché ormai avrebbe dovuto aver raggiunto la collinetta rocciosa. Continuò a scappare perché era bravo a farlo, a correre, ad allontanarsi da qualsiasi cosa che avrebbe potuto compromettere la sua persona. Non poteva nascondersi, ma poteva scappare e, se fosse riuscito a correre abbastanza veloce, per abbastanza tempo, sarebbe forse arrivato a casa.

Magari avrebbe finalmente raggiunto Eren, il vero Eren e non il suo eco. Magari avrebbe raggiunto Marie-Elise o Nicolas che lo guardavano nella sua culla in Calais. Diamine, magari avrebbe incontrato un Erwin più giovane ad aspettarlo con una coperta calda, pronto a sedere assieme a lui davanti al suo camino, mentre i suoi genitori erano fuori città per lavoro.

Levi cadde quando incontrò rialzamento del terreno e si ritrovò a capitombolare giù dalla collinetta che aveva scalato assieme ad Eren precedentemente. Si rimise velocemente in piedi, con l'aiuto dell'adrenalina che gli scorreva nelle vene, e riprese a correre.

La cavità del suo petto gli bruciava, gli sembrava che il suo cuore fosse pronto a collassare, e non c'era niente che avrebbe potuto fare per evitarlo. Continuò a correre, inciampando senza però scivolare, lontano dall'oscurità e verso una casa che non riusciva a trovare.

Una forza invisibile lo pregava di restare, di voltarsi e combattere. Con cosa? Le tue mani. Ma non poteva combattere solo con le sue mani. Non c'era modo di riuscire ad afferrare quella cosa e metterla a terra, non c'era modo di stringergli le mani al collo e soffocarlo. Se si fosse fermato, la bestia lo avrebbe raggiunto.

Gli sarebbe entrato dentro.

Avrebbe fatto della sua pelle la sua casa.

Lo avrebbe consumato, bruciato ciò che non gli serviva e divorato ciò che gli sarebbe piaciuto.

L'animale, i quali zoccoli contro la terra producevano un rumore tanto forte da annullare lo scrosciare dell'acqua, lo stava raggiungendo. Stava caricando con i palchi pronti ad impalarlo, pronto a sollevarlo da terra sopra la sua testa.

Levi non smise di correre. Chiamò Eren, urlò il suo nome, ma nessun suono lasciò la sua bocca. La pressione sul suo petto lo stava facendo impazzire, ma non si fermò. Cercò di urlare più forte, correre più veloce, ma tutto quello che riusciva a vedere erano sempre gli stessi alberi, ancora e ancora. Non stava correndo in tondo, stava correndo sempre sullo stesso posto. I suoi piedi non si erano mai mossi. Era ancora davanti al fiumiciattolo, con quegli occhi bianchi sempre fissi su di lui, occhi che lo stavano invitando ad attraversare il ruscello, a bagnarsi i piedi - a uccidere con le sue mani soltanto.

•••

Levi si svegliò di soprassalto, tremando dalla testa ai piedi. Era zuppo di sudore, le sue mani erano umide e la cosa lo disturbò più di quanto avrebbe potuto fare un incubo.

Scalciando le lenzuola e correndo verso il bagno, ignorò l'assenza di un corpo - il vuoto nel suo letto.

•••

"Sembri uno zombie." Furono le prime parole che lasciarono la bocca di Hanji, quando Levi mise piede nel suo ufficio.

"Che novità." Rispose, chiudendosi la porta dietro di lui, attraversando il corridoio diretto all'ascensore, dove avrebbe trovato gli altri ad aspettarlo.

Hanji rise e gli diede un pugno giocoso sulla spalla. Se non fosse stato così stanco avrebbe ricambiato, ma al momento l'unico desiderio che provava era quello di acciambellarsi sul divano di Erwin e dormire un mese intero. Fanculo pure alla doccia e al cibo.

"Petra ci aspetta al ristorante." Annunciò Auruo mentre scriveva qualcosa sul telefono, quando Hanji e Levi lo raggiunsero.

"Fantastico. Più siamo e meglio è." Con la sua emicrania, anche il Papa sarebbe potuto uscire con loro e, senza alcun dubbio, Levi gli avrebbe detto di tacere se avesse parlato a voce troppo alta.

Come la prima notte che aveva passato in via Ashbury, l'uomo si era trovato nelle condizioni di non poter guidare, ma l'aveva fatto. Si era messo dietro il volante e aveva percorso il tragitto di due ore in un'ora e mezza ancor prima dell'alba.

Era stanco, dolorante e le sue mani non sembravano voler smettere di sembrargli bagnate. Non bagnate nel senso di sudate, ma insanguinate. Non importava quanto le lavava, il sangue era lì. Invisibile, ma c'era.

"Levi," Lo chiamò Erwin, piano e gentilmente. Toccò il suo gomito, facendolo sussultare. L'ascensore aveva aperto le porte e tutti gli altri stavano aspettando che entrasse. Lo fece, ma non gli rispose e non chiese scusa a nessuno.

Vicini com'erano, i suoi amici mantennero un tono di voce bassa in modo da non infastidirlo ulteriormente.

Erwin si mantenne a distanze ravvicinate tutto il tragitto sul marciapiede, soprattutto quando lo vide sobbalzare violentemente quando un carabiniere a cavallo passò di fianco a loro.

I due rimasero numerosi passi indietro rispetto agli altri, in modo da poter parlare indisturbati.

"Prima o poi dovrai dirmi cos'è successo." Gli disse Erwin, mettendo in tasca il cellulare e riservando a Levi un'occhiata che probabilmente avrebbe dovuto farlo sentire in colpa. "Hai bussato alla mia porta alle quattro di mattina, Levi."

"Lo so cos'ho fatto." Fu l'unica cosa che gli disse, pentendosi di non essersi portato dietro gli occhiali da Sole. I raggi di Sole che si riflettevano sugli edifici gli stavano facendo bruciare gli occhi.

Erwin tacque, ma quando l'altro non accennò a continuare, annuì. "Non hai completato la gran parte dei tuoi rapporti e quelli che mi hai portato erano pieni di errori." Si fermarono ad un semaforo, attendendo il verde. Il resto del gruppo aveva già attraversato la strada. "Se hai problemi a concentrarti, mandameli per email e li correggerò io."

"Posso fare il mio lavoro."

"Non ti sto dicendo che non ce la fai," La luce cambiò e la folla li spinse in avanti. "Ma sono seriamente preoccupato per te."

La preoccupazione nella sua voce era ovvia, ma a Levi non provocava nessun dispiacere. Erwin doveva solo tacere e lasciarlo stare. Il conforto che poteva dargli doveva assumere la forma di cibo, di un divano su cui dormire e magari di una buona scopata, ma quest'ultima cosa era impossibile, se Mike non lo avrebbe permesso.

"Sono un ragazzo grande, ormai," Rispose ironico, giocherellando con uno dei bottoni del suo cappotto. "Non c'è nulla che una bella dormita non mi faccia passare."

"Stai da noi, questa notte. Cucina Mike."

Levi annuì, senza il bisogno di fare il timido o far finta di pensarci sopra.

Non voleva tornare a casa per un po', non mentre Eren non c'era. Il vuoto in quella casa lo inquietava, nutrendo la paranoia che gli aveva provocato quell'incubo. Il solo ricordo di correre attraverso la foresta gli faceva stringere il petto.

L'uomo si fermò improvvisamente, quasi finendo col cadere quando scoprì di non poter andare avanti. Sentì il panico risalirgli lungo la gola, prima di accorgersi che era stato solo Erwin, che lo aveva fermato afferrandogli un braccio. Le persone dietro di loro gli riservarono delle occhiatacce, per essersi fermati così di colpo.

"Cosa c'è?" Chiese, confuso dallo sguardo dell'altro uomo. La preoccupazione era ancora lì, ma ora c'era qualcos'altro. Magari lo stava solo immaginando, ma Levi poteva giurare di vedere rabbia nei suoi occhi.

"Sei uscito con qualcuno?" Non era un'accusa: era più una domanda curiosa. Tuttavia il suo tono di voce era misurato, attento.

La domanda gli fece alzare un sopracciglio. "Ovviamente no," Sbottò, apparendo comunque poco convincente. "Perché ti viene anche solo-?"

"Hai dei segni sul collo."

I marciapiedi affollati erano sempre chiassosi, di per sé, ma quel giorno sembrava quasi che l'universo volesse vendicarsi su di lui. Il Sole accecante, i pedoni troppo rumorosi. Era certo di aver capito male. "Ho dei segni sul collo?"

Scrollando il braccio per liberarsi dalla presa di Erwin, Levi si massaggiò il polso prima di portarsi la mano sul collo. Effettivamente al tocco era gonfio.

Erwin sembrò percepire la sua confusione. "Sembra quasi che qualcuno abbia provato a strangolarti." Disse, col tono di voce basso abbastanza da farsi sentire solo da Levi.

Ovvio che Erwin fosse arrivato a pensare che avesse deciso di uscire con qualcuno. Lui in particolare conosce le sue preferenze, come il suo bisogno di essere sottomesso tendesse a sfociare nella violenza. Ma i lividi sul suo collo non erano la conseguenza di preliminari.

Se la solitudine della sua casa era terrificante, l'espressione di Erwin fu ancora peggiore. Raramente Levi ha visto quell'espressione sul volto dell'amico ed ogni volta è peggiore di quella precedente.

Il suo primo istinto fu quello di dire all'uomo che non aveva idea di come potesse essere successa una cosa simile, ma una risposta del genere avrebbe peggiorato la situazione. Non perché Erwin non gli avrebbe creduto, ma perché c'era qualcosa che non andava e neanche Levi sapeva cosa fosse. In tutta onestà, sarebbe stato meglio se avesse detto che stava uscendo con qualcuno.

"No." Disse il più basso, voltandosi sui tacchi, tornando a camminare nella direzione del ristorante. Avevano ancora solo mezzora di pausa.

"Levi."

"Ho detto di no," Rispose, senza neanche preoccuparsi di guardarlo. "Non qui."

Erwin lo raggiunse velocemente, senza insistere sull'argomento.

Levi doveva trovare una scusa, una credibile, perché la verità non lo sarebbe stata. Erwin non lo avrebbe preso in giro, ma non si sarebbe tirato indietro nel portarlo ad un ospedale psichiatrico. Il pensiero di abbandonare Eren gli fece venire la nausea.

L'assenza di chiacchiere tra i due non significava nulla, perché il più alto tra i due continuava a controllare ogni minima mossa dell'altro. Ogni battito di ciglia e ogni respiro irregolare, tutto veniva catalogato per uno studio più approfondito più tardi.

Nel frattempo, Levi cercò qualcosa che avrebbe potuto distrarlo dai lividi presenti sul suo collo. "Sai qualcosa sulla caccia?" Gli chiese, spostando l'argomento sulla prima cosa che gli venne in mente.

Stupido, ma efficiente, se il modo in cui Erwin sbatté le ciglia e lo guardò potevano dire qualcosa.

"Mi dispiace, ma non sono mai stato uno da uscire più del dovuto," Avendo capito che l'altro voleva cambiare argomento, Erwin decise di fare la persona civile e continuò. "Quello che posso dirti lo devo aver imparato da Animal Planet."

Nulla che una ricerca su internet non potesse sistemare.

"Come mai questo improvviso interesse?"

"Vivo nel mezzo di una foresta," Rispose, scrollando le spalle. "Voglio solo abituarmi al mio nuovo habitat."

"Però tu non sei un animale." Sbuffò Erwin, avendo anche il coraggio di apparire quasi offeso.

Levi lo interruppe prima che potesse iniziare una lunga discussione sul perché aveva deciso di comprargli casa nel bel mezzo del nulla. "Tutti gli umani lo sono. Siamo mammiferi, proprio come i cervi e gli orsi e la maggior parte di quello che abita la foresta. Facciamo gli orgogliosi, dandoci il primo posto nella catena alimentare, uccidiamo per mangiare... Com'è tutto questo diverso da quel che fanno gli altri animali?"

Semplice, pulito e vero. Levi rimase scosso dal peso delle sue stesse parole.

Immaginarsi come un animale gli fa sentire quasi un senso di solennità. L'idea inoltre gli offre l'illusione di avere delle risposte a delle domande che è troppo turbato dal soffermarcisi troppo.

"Intendi mangiare la tua preda?" Il modo in cui Erwin sottolineò l'ultima parola la fa sembrare una presa in giro, ma il suo viso dice l'opposto.

L'altro si prese un momento per considerare la domanda e gli diede l'unica risposta che gli venne in mente. "Probabilmente."

Vuole solo una pistola per proteggersi, in caso si ritrovi perso nel mezzo della foresta con un cervo selvatico alle calcagna. Quello non significa che lo mangerà, una volta morto. La difesa, così sembrava, era un altro fattore per il quale uccidere gli appariva accettabile.

Uccidere.

Quella parola si portava appresso un significato che era inevitabile. Non aveva mai ucciso nessuno prima d'ora, anche se aveva provocato ferite che avevano portato chi ne era stato colpito ben vicino. Levi non aveva mai immaginato che si sarebbe ritrovato a puntare una pistola e premere il grilletto.

Se mai avrebbe ucciso, lo avrebbe fatto con un animale che sembrava intento a volevo uccidere a sua volta.

Ma non erano stati anche i suoi genitori, degli animali che avevano tentato di ucciderlo?

Non lo era stato anche il preside, ancora alle scuole medie, un altro animale che ci aveva provato?

Eren, pure, anche lui non era stato un animale che aveva affondato gli artigli nel suo cuore fino a soffocarlo?

"Prenditi il resto della giornata libera," Gli disse Erwin, allontanando ancora una volta Levi dai suoi pensieri. "Dopo pranzo vai a casa mia." L'uomo aveva corrugato le sopracciglia e lentamente aveva portato una mano contro il suo braccio, come se fosse spaventato che Levi potesse fare qualcosa. "Sei pallido."

Erwin non lo aveva ucciso, non ancora. Erwin era il bracconiere più furbo, quello che nascondeva le sue tracce in modo da non farsi scoprire o spaventare la sua potenziale preda.

No, decise Levi. Era più di quello. Non era un predatore, ma un salvatore. Un Dio. Erwin Smith era un messia.

"Non ho fame." Disse, voltando la testa per guardare le strade affollate. Aveva freddo, la sua emicrania era peggiorata e le sue mani erano nuovamente bagnate.

"Vuoi che ti porti a casa?"

Levi alzò la testa quel che bastava per guardare Erwin, giusto per controllare se nel suo viso si poteva notare un secondo fine. Non c'era. "Chiamo un taxi."

"Fammi sapere quando sei arrivato." Gli disse Erwin, leggendo Levi nell'unico modo in cui riusciva: come un libro aperto.

•••

Alla fine non chiamò un taxi, ma decise di tornare a casa a piedi. Il freddo non fece nulla per calmarlo, tuttavia la vista di negozio lo fece.

Levi era orgoglioso della sua abilità di prendere decisioni al momento senza un minimo di esitazione. Così, senza dare un seconda occhiata al negozio, decise il corso delle sue prossime azioni.

Una volta arrivato all'appartamento si fece una doccia e indossò vestiti più informali. Decise per un jeans e un maglioncino col collo alto, piuttosto del completo elegante che aveva usato precedentemente, e si mise sopra lo stesso cappotto. Nel frattempo accese la macchina del caffè. Caffè, perché il tè lo avrebbe solamente calmato e l'ultima cosa di cui aveva bisogno era di addormentarsi al volante.

Sorseggiò la bevanda mentre sistemava la temperatura dei caloriferi, quasi come se facendo più caldo nella casa lo avrebbe aiutato a scaldare il ghiaccio dentro le sue ossa.

Raggiungendo il salotto, decise di fermarsi di fronte alla finestra che dal pavimento arrivava al soffitto per guardare l'orizzonte. L'appartamento di Erwin era pretenzioso così come il suo proprietario, ma non poteva di certo lamentarsene.

L'appartamento era decorato con toni che variavano dal grigio all'azzurro, schema che aveva deciso Levi svariati anni prima. Caldo e confortevole, c'era un caminetto sotto lo schermo piatto: una replica di quello che c'era stato nella vecchia casa degli Smith, dove lui ed Erwin si erano baciati per la prima volta a diciassette anni.

Quello era anche il camino di fronte al quale lui, Eren ed Erwin avevano giocato qualche mese prima del matrimonio. Troppo vino, buona compagnia, l'incessante flirt da parte di Erwin. Ricordava come quelle grandi mani avevano preso dolcemente il viso di Eren tra di esse, come le loro labbra si erano unite in un bacio passionale. Levi ricordava anche di essersi eccitato alla vista del suo fidanzato venir toccato dal suo ex.

Dopo quella notte Erwin aveva occupato più di una volta il loro letto e loro il suo. Avevano trovato il perfetto accordo per tenere sotto controllo la loro stabilità emotiva e fare del gran sesso.

Ora Eren era moto, Erwin usciva con Mike e lui non riusciva a smetterla di pensare di ammazzare un animale che aveva sognato.

Divertente come la vita di una persona potesse cambiare così drasticamente in così poco tempo.

Cupo, Levi si voltò e raggiunse la cucina, dove sciacquò la tazza e si lavò per un lungo periodo di tempo le mani. Dovette combattere l'istinto di lavare ogni cosa che già era immacolata perché aveva poco tempo. Se voleva riuscire a fare tutto, avrebbe dovuto farlo prima che Erwin o Mike arrivassero a casa.

Inspirando a fondo, Levi si allontanò dal lavandino e prese le chiavi della sua macchina.

•••


Ritrovare il negozio fu semplice, più complicato fu trovare un parcheggio non troppo lontano.

Alla fine decise di parcheggiarsi davanti ad un idrante, sperando di sbrigarsi e tornare prima che un vigile potesse vedere la sua auto. Tuttavia, anche se avesse preso la multa, il prezzo sarebbe stato pagato facilmente. Prima o poi.

Il negozio era antiquato, col riscaldamento troppo alto e nessuna ventilazione. Sembrava essere uno di quei negozi dove nessuno mai entrava, cosa facile da aspettarsi da un negozietto del genere sbattuto nel bel mezzo di una città conosciuta soprattutto per la sua vita notturna. Lì i grandi capi non erano neanche interessati a cose complicate come la pesca. Il golf, magari, ma nessun genere di cose dove avrebbero potuto rischiare di sporcarsi i pantaloni.

Levi fece una smorfia, addentrandosi maggiormente nel negozietto. In uno dei muri c'era un assortimento di vestiti che variava da cose leggere a cose pesanti, fino ad arrivare a giacche da neve.

Nel muro opposto c'era il vestiario da pesca.

I muri erano decorati con una serie di poster che pubblicizzavano equipaggiamenti da campeggio. Ce n'era uno il cui significato gli sfuggiva e mostrava un kayak pieno di libri sulla tassidermia e una pila di oggetti riciclati tenuti assieme da scovolini colorati.

Le cose che lo disturbarono maggiormente furono le numerose teste di cervo, orso e gatti della neve attaccate ai muri.

Levi poteva apparire come una persona fredda e senza sentimenti, inumana a detta dalla maggior parte delle persone che lo avevano conosciuto, eppure adorava gli animali. Animali più piccoli di me, penso tra sé e sé. Gatti, cani, conigli... Se ne sarebbe preso cura, se non avesse avuto altra scelta.

Si fermò di fronte ad una pila di libri, chiedendosi come potesse fare pensieri così contraddittori.

Solo un'ora prima stava pensando di sparare ad un animale indifeso. Cazzo, si trovava in quel negozietto proprio per quella ragione ed ora si ritrovava a pensare di adottare dei gattini.

Aveva seriamente bisogno di dormire.

Si massaggiò le palpebre e sospirò, completamente perso. Aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse che strada prendere.

Ma una strada verso cosa? Gli sembrava come se una questione importante gli stesse sfuggendo.

"Nuovo in questo genere di cose, eh?"

Levi si voltò verso la voce e si ritrovò davanti un uomo corpulento e con l'inizio di calvizia poco più alto di lui. Sembrava stranamente fuori luogo, con addosso un vestito poco costoso e una targhetta sulla quale c'era scritto Dimo. Con le sue mani in tasca, mentre molleggiava sui talloni, dava l'idea di essere un uomo d'affari pronto a fare la sua vendita in un modo o nell'altro.

Levi mugugnò un assenso.

"Quale sport hai deciso, quindi? La pesca, forse? O qualcosa di più grintoso, come il combattimento con gli orsi."

L'interessato fu quasi deciso di voltarsi, uscire dal negozio e non tornare mai più.

"Caccia," Disse, soddisfatto nel vedere l'uomo sussultare. "Animali grossi."

Visibilmente snervato dal comportamenti di Levi, l'uomo, Dimo, si voltò verso la cassa. "Ambizioso per un neofita. Vuoi qualcosa di specifico?"

Levi lo seguì, lasciando i suoi occhi vagare sulle assurdità presenti sui vari scaffali. "Vivo in una foresta e i cervi continuano ad entrarmi nel giardino. Speravo di trovare qualcosa per tenerli lontani e nel frattempo trovarmi un hobby."

"Mi sembra che sia tu ad aver invaso il loro giardino," Disse Dimo, tirando fuori una pila di giornali per porgerli a Levi. "Ma hey, sono i tuoi soldi. Chi sono io per discutere sulle tue scelte?"

Levi fissò i giornali accigliato. Avrebbe probabilmente dovuto sfogliarli, ma non aveva la forza di toccarli. C'erano macchie di dubbi origine nei loro angoli.

"Ho solo bisogno di una pistola." Sbuffò l'uomo, puntando con la mano le armi chiuse a chiave in una scatola in vetro dietro la cassa.

"Sai almeno come usarle?"

"Punto e sparo." Disse, cercando di non apparire troppo irritato dall'idiozia dell'uomo.

Dimo rise. "Colpire un obiettivo che si muove non è così facile, ragazzo. Non puoi lasciare che ti veda. Devi seguirlo. Farlo sentire al sicuro, prima di colpire." Aprì il giornale più grosso su una pagina dove c'erano diversi fucili, di cui alcuni cerchiati a penna.

"Puoi cacciare, ma devi imparare a rispettare gli animali che abbatterai," Continuò. "Anche quelli che invadono il tuo territorio."

"E' per questo che la gente li mangia?" La domanda gli venne automaticamente, dato che era occupato a guardare i diversi fucili sul catalogo di fronte a lui.

"Sì, sì, esattamente," Gli rispose l'altro, tamburellando con le dita contro il bancone. "Ma non tutti lo fanno. Alcuni ne tengono i trofei, come queste bellezze."

Levi alzò lo sguardo per vedere Dimo puntare con la mano le teste appese ai muri.

Avrebbe decisamente preferito cucinare gli animali che avrebbe abbattuto.

Portò nuovamente l'attenzione sul giornale. "Quale mi consiglieresti?"

"Se ti piacciono le cose grosse come a me, ti direi il Shilen DGV. Ha un prezzo abbastanza alto, ma con la sua canna fatta a mano e su misura, assieme al grilletto della Timney, non puoi sbagliare."

Il fucile era simile a tutti gli altri presenti nel catalogo, solo più elegante. Il prezzo, che era la metà delle spese per l'auto in un anno, non era apprezzabile. Certo, i soldi non erano un problema, ma Levi non avrebbe sprecato i suoi soldi in un prodotto che avrebbe potuto comprare a metà prezzo.

Dimo notò il suo disinteresse e voltò pagina. Puntò una pistola cerchiata in rosso. "Sennò c'è questa damigella, che ho proprio qui."

Prendendo un paio di chiavi da dietro la cassa, Dimo le usò per aprire l'espositore. Da esso tirò fuori un fucile sempre simile agli altri. Era più piccolo e compatto del resto e fu quello a catturare l'attenzione di Levi.

"Il Savage MK II." Gli disse l'uomo, porgendo l'arma al cliente.

L'apparenza inganna decise Levi, perché il fucile era pesante, nonostante la sua struttura più piccola. Il caricatore era grosso e laminato in legno e gli fu difficile capire come tenerlo, ma la canna in acciaio gli dava un accenno di grazia. "E cosa c'è di speciale in questo?"

"E' al primo posto nei test di quest'anno per la precisione. E' stato creato per essere usato dal suo proprietario anche in movimento. Se sei bravo a sparare, beh..." Non concluse la frase e incrociò le braccia, rivolgendo a Levi un sorriso professionale che sapeva di presunzione.

Levi guardò il biglietto rosso e rotondo attaccato sul calcio del fucine e notò l'espressione dell'uomo vacillare.

Il prezzo sull'arma era minore di quello stampato sul catalogo. Non ebbe neanche bisogno di farglielo notare, quando passò il fucile al venditore per prendere il portafogli. "Lo compro."

Come c'era da aspettarsi, Dimo non disse nulla e chiese a Levi di firmare un contratto di proprietà.

"Buona caccia." Gli disse, passandogli l'arma appena impacchettata.

•••


In tutti gli anni in cui Levi ha conosciuto Erwin, ha imparato una serie di verità che avrebbero annichilito ogni tipo di idea che le persone che lo conoscevano poco avrebbero potuto farsi di lui. Per esempio, Erwin amava i videogiochi. Spesso si ritirava nella sua stanza a giocare coi suoi sparatutto in prima persona.

Una volta Erwin aveva anche provato a dedicarsi alla scrittura della letteratura erotica, ma aveva fallito. Levi aveva fatto presto a scoraggiare lui e i suoi usi di atroci eufemismi per indicare il pene.

Per ultima cosa, la sua passione per la musica anni ottanta era impareggiabile. Certo, non era una rarità per qualcuno che andava per i quaranta, ma al posto di tenersi la sua musica sull'iPod, aveva la tendenza a spararla al massimo volume sulle sue casse, che erano decisamente potenti.

Quando Separate Ways dei Journey iniziò, Mike tirò fuori dal forno la lasagna e la lasciò a raffreddare. Levi stava ancora affettando i pomodori per metterli poi in una ciotola piena di lattuga, mentre Erwin invece stava preparando la tavola.

"Lo fa spesso?" Chiese Mike, cercando in un cassetto una spatola. "Questa cosa della musica, dico."

Sciacquando il coltello e mettendolo ad asciugare, Levi prese a cercare i crostini. "Solo quando sta rimuginando." Ne trovò un pacchetto chiuso in una delle dispense. Nonostante fosse uno che cucinava raramente, di certo teneva la sua casa sempre ben fornita di tutto. Levi era certo che avrebbe potuto fare un soufflé, se avesse voluto.

"Ok," Disse Mike, riuscendo a sembrare disinteressato, nonostante lo sguardo paragonabile a quello di un rapace. "Cosa mi sono perso?"

"Pensa che io abbia bisogno di protezione." Ora doveva cercare un condimento, preferibilmente il Thousand Island.

Mike ridacchiò e si appoggiò sull'isola della cucina, con le braccia incrociate contro il petto. Non avrebbe mai smesso di sorprendere Levi come una persona così grande potesse avere una natura così buona e serena. Era tipo una giraffa, i suoi capelli rispecchiavano pure il loro colore.

"Non è esattamente una novità." Gli disse. La sua bocca s'incurvò in un sorriso.

Con l'insalata pronta e il condimento trovato, Levi si diresse nuovamente verso il lavandino, finendo di lavare il resto degli utensili che si erano sporcati mentre avevano preparato la cena. Normalmente avrebbe ignorato qualsiasi tentativo di approfondire il discorso, ma quello era Mike. C'erano pochissime persone capaci di farli parlare, ma l'uomo era senza dubbio uno di quelle.

"Non c'è nient'altro da dire," Gli disse, lavando un piatto. "L'allocco è probabilmente convinto che finisca con l'uccidermi."

La mancanza di reazioni esagerate in Mike è una delle tante ragioni per la sua quale ci va così d'accordo. Scrollò una spalla e voltò il viso verso il soggiorno, dove Erwin stava giocherellando con lo stereo. "Se è quello che pensa, ci dev'essere un motivo."

Erwin tendeva a pensare troppo, vero, ma era capace di farlo razionalmente. Con la testa lucida sarebbe stato in grado di rovesciare un governo con solo poche ore di lavoro nella giusta direzione. Ma quando era compromesso psichicamente, tendeva a fallire in modo spettacolare.

I segni sul suo collo erano a forma di mani, non di corda o lenzuola o qualsiasi altra cosa con cui avrebbe potuto provare ad impiccarsi. Levi era lusingato che Erwin pensasse che fosse abbastanza forte da provare a strangolarsi da solo, ma era ovviamente impossibile applicare una forza del genere al proprio collo.

Un'altra opzione sarebbe stata quella di un attacco, ma Erwin lo conosceva abbastanza bene da sapere che Levi avrebbe spaccato il culo a chiunque avesse osato una cosa del genere, prima di chiamare la polizia. Inoltre non avrebbe mantenuto un avvenimento del genere segreto.

"Non mi suiciderò." Disse Levi. Era troppo debole per farlo.

"Glielo hai detto?"

"Regolarmente negli ultimi due anni."

"Che scemo che è."

Le sue parole furono così piene d'affetto che Levi quasi sorrise.

Solo in quel momento Erwin si addentrò in cucina, sfilando un guanto da forno dalla mano sinistra di Mike e mettendoselo sulla propria.

Sia Mike che Levi lo guardarono, indecisi se essere confusi o divertiti, mentre afferrò la lasagna e si diresse in sala da pranzo. "Sono affamato." E' tutto quello che disse, al ché Mike rispose ridendo e Levi invece accennò un sorriso.

"Quando non lo sei." Gli disse, afferrando l'insalata prima di seguirlo.

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Capitolo 6
*** Bad Blood ***


HoE chap 6 Eccomi qua! Non sono morta e mi dispiace averci messo così tanto ad aggiornare y_y inoltre sono ancora mega indietro con The Rest of Their Lives, ma cavolo mi ero dimenticata quanto fossero lunghi i capitoli sigh Cooomunque, verso la fine del capitolo c'è la citazione di una frase di un film (quella sugli alieni), ma ahimé non so di che film si trattava perché non c'era il titolo, quindi non ho potuto usare la frase che viene usata nel film in italiano e mi sono limitata a tradurla =v= Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3
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Levi frenò fino a fermare l'auto poco prima di imboccare la via che l'avrebbe portato a casa, incerto nel dover guidare tra gli alberi che sembravano nascondere tutto ciò che si nascondeva dentro la foresta. La luce mattutina aveva scacciato l'usuale oscurità, ma quello non faceva molto per fargli passare un disagio sconosciuto.

Un disagio che sembrava volergli dire che qualcosa di brutto sarebbe successo, prima o poi.

Un disagio che non aveva mai avvertito quando era stato derubato per la prima volta, con risultato di farlo finire in ospedale. Neppure quando suo padre era morto in un incidente stradale. Non aveva avvertito nessun peso sulle spalle, nessun senso di preoccupazione, quando aveva guidato diretto al suo appartamento, canticchiando una canzone pop che girava alla radio, solo per trovare Eren sanguinante a terra.

Ora, invece, Levi era fin troppo cosciente del modo in cui le sue dita fremevano sul volante. Poteva fingere che fosse ancora colpa dell'incubo.

Sei un idiota, si disse fra sé e sé, perché era un adulto. Gli incubi non avrebbero dovuto più scombussolarlo a quel modo.

Alla fine allontanò il piede dal freno e prese a percorrere la via.

Quasi sussultò nel vedere qualcuno sulla radura di casa sua, ma presto la sorpresa lasciò posto ad un broncio.

Eren era fuori e camminava avanti e indietro lungo la lunghezza della casa. Si stava strofinando le mani fra loro come se potesse sentire freddo.

Parcheggiando al solito posto, Levi spense l'auto e notò che il fantasma non gli stava prestando attenzione. Stava parlando a sé stesso, agitato, continuando a camminare. C'era qualcosa che non andava, evidentemente, ed era certo che il ragazzo non gli avrebbe detto nulla.

Uscì dall'auto e fu solo quando sbatté la portiera che Eren sobbalzò, voltandosi verso di lui a bocca aperta.

Gli mancavano delle bende e ora gli si potevano vedere le orecchie, tra i folti capelli bruni.

Oltre a notare quello, Levi decise di non prestargli ulteriori attenzioni e andò ad aprire il bagagliaio, dove c'era il suo fucile protetto dalla sua valigetta apposita.

"Sei tornato." Gli disse Eren. Gli si avvicinò come se fosse un animale ferito alla ricerca di protezione. Lo fece innervosire.

"Vivo qui," Con la valigetta in una mano, chiuse il bagagliaio con l'altra. "Almeno fino a quando Erwin non mi trova un'altra sistemazione."

Il fantasma sussultò nel sentire il suo tono di voce. "Non c'eri quando sono tornato."

"Quindi?"

"Erano le tre di mattina, Levi. Cos'è successo? Perché te ne sei andato?" C'era del panico nella sua voce. "E' stato a causa mia?"

Levi corrugò le sopracciglia. "Non c'eri, quando mi sono svegliato."

"Quindi? Ti sei svegliato senza di me per due anni," Gli rispose, la sua precedente ansia ora mutata in rabbia. "Se devi andartene via a quel modo ogni volta che non ci sono io, allora-"

"Ti avevo detto di sparire, ma mi hai rotto le palle per rimanere." Sbottò l'uomo. La rabbia che stava provando non era strana, ma la sua incapacità di intrattenerla invece sì. "Quindi dopo quella scenata devi esserci sempre, cazzo."

Il ragazzo strinse le mani a pugno e, non per la prima volta, Levi sperava di vedere la rabbia nei suoi occhi. Voleva vedere il fuoco bruciare violento nei suoi occhi turchesi.

L'uomo sentì la propria paura mutare in rabbia, causata sia dal precedente abbandono che da un'oscurità senza forma.

"Non me ne sono andato per mia scelta." Gli rispose Eren, seguendolo.

"E' la seconda volta che usi questa scusa."

Il fantasma sussultò come se fosse stato colpito fisicamente e Levi non si fermò ad assistere alla sua reazione, al contrario entrò in casa e sbatté la porta dietro di sé.

Appoggiò la valigetta sul tavolo, prima di mettere dell'acqua a bollire.

Non avrebbe dovuto dirlo.

L'uomo era conscio di aver detto un miliardo di cose per la quale avrebbe dovuto venire preso a pugni, ma questa volta si era superato. Accusare Eren per la sua stessa morte era decisamente di cattivo gusto e, più ci pensava, più si sentiva un pezzo di merda.

Le sue mani tornarono ad apparirgli sporche di sangue, ma non le guardò quando le portò sopra le piastre a induzione. Il calore si stava espandendo su di esse, scaldandogli le dita.

La porta d'entrata si aprì di colpo e sbatté e Levi riuscì a vedere un'ombra salire le scale. Per la prima volta Eren gli sembrò più un'entità, piuttosto che il ragazzo che era sempre stato, e questo gli fece rizzare i capelli sulla nuca.

"Merda." Mormorò, allontanandosi dalle piastre.

Nulla di tutto questo era colpa di Eren. Tutto quello che aveva fatto da quando era tornato era cercare di compiacerlo, tenerlo al sicuro e prendersi cura di lui all'occorrenza. Tutto quello che Eren gli aveva offerto era il conforto e, l'unica volta che non c'era stato, lui non aveva fatto altro che ringhiargli contro come se fosse stato un cane che gli aveva disobbedito.

Non c'era una cosa che poteva andare peggio in quel momento e non poteva rischiare di perdere l'ultima cosa che gli era rimasta. Questa finzione di normalità, per quanto fosse impossibile e sbagliata, era l'unica cosa che lo teneva sano abbastanza da farlo alzare la mattina.

Con un sospiro rassegnato aprì il freezer alla ricerca del gelato alla vaniglia come offerta di pace e, quando ne tirò fuori la scatola, la porta d'entrata si aprì.

Voltò la testa, aspettandosi fosse stato il vento, ma invece si ritrovò davanti ad un Eren avvilito.

Il freddo gli gelò la pelle e ciò non aveva nulla a che fare col fatto di trovarsi vicino al freezer aperto.

Eren percorse la distanza e si sedette su uno sgabello. Alzò lo sguardo sul suo, schiudendo la bocca pronto a parlare, prima di bloccarsi. "Cosa c'è?"

Levi rimase immobile, certo che se avesse guardato verso le scale avrebbe visto qualcosa guardarlo di rimando. Alla fine si obbligò a guardare, ma trovò soltanto vuoto e buio. C'erano delle ombre solo perché la luce mattutina non era ancora abbastanza forte da illuminare la casa.

Si concentrò, cercando di captare qualsiasi rumore, ma l'unica cosa che sentì fu il bollire dell'acqua.

"C'è qualcosa lì." Disse con convinzione. Il suo istinto gli diceva di prendere un coltello, ma non poteva pugnalare qualcosa che non poteva vedere e tanto meno toccare.

Eren inclinò la testa di lato. "Un animale?"

Levi scosse la testa. "Qualcosa come te."

No, non come Eren. Questo era qualcosa di diverso. La paura che sentiva era diversa.

"Non è..." Il fantasma non concluse la frase e si voltò a guardare fuori dalla finestra. "Sono stato qui tutto il tempo e non ho ancora incontrato nulla."

Levi continuò a fissare il bollitore, quando spense le piastre. Eren stava mentendo. Riconosceva il tremare della sua voce, il modo in cui si leccò le labbra e evitò di rivolgergli uno sguardo. O mentiva o era nervoso.

Inconsciamente l'uomo portò le mani al suo collo.

"Qualcosa ha cercato di strangolarmi, l'altra notte."

Eren aprì la bocca, ma rimase in silenzio per qualche momento. "E' stato...?" Portò una mano sulla bocca e il mugolio che gli sfuggì fece stringere il cuore a Levi. "Oh mio Dio."

La paura che fosse stato Eren a fargli quello lo invase per un momento, ma sparì quando vide il ragazzo chiudersi in sé stesso, guardandosi attorno come una preda in trappola. Era spaventato da morire e la vista fece provare a Levi una rabbia che neanche pensava di poter provare.

Eren stava ancora cercando di parlare, ma era troppo angosciato per trovare parole.

"Sto bene," Gli disse l'uomo, cercando di calmarlo. "Pensavo avesse preso anche te." Ed eccolo, il vero terrore che lo aveva assalito l'intera settimana passata. Ciò che aveva mantenuto Erwin e Mike all'erta, attenti ad ogni sua più piccola mossa.

Ci fu un altro cambiamento nel comportamento del fantasma, ma questo fu più dolore che rabbia. Levi lo aveva lasciato indietro.

Ora, però, non era il momento di sentirsi in colpa. "Eren, ho bisogno che tu sia onesto."

"Non sto mentendo," Rispose, indignato. "Anche adesso non sento nulla oltre a te."

"La donna alla farmacia mi aveva detto che la casa era infestata," Gli disse, senza tuttavia spostare la sua attenzione dalle scale che portavano al piano superiore. "L'aveva chiamata la 'Casa degli Echi'."

Sentì il fantasma sussultare e muoversi sullo sgabello. Lo faceva strano sentire Eren respirare dopo settimane che non lo aveva fatto. "Non le hai chiesto perché?"

"Non le ho credevo."

Levi poté sentire l'occhiata che gli rivolse Eren. "Pensi ancora che io sia una specie di allucinazione causata dalla tua coscienza?"

"Ora non è il momento."

"Col cazzo che non lo è." Disse il fantasma, alzandosi dallo sgabello con uno sbuffo.

"Cosa stai facendo?"

"Andando a controllare che non ci siano mostri negli armadi." Gli rispose.

L'uomo rimase basito dal comportamento del ragazzo, non abituato a quella sorta di ostilità. "Una volta che abbiamo controllato, possiamo parlare di questo." Gli disse, spostandosi da dov'era.

Eren non gli rispose, ma scrollò le spalle per fargli capire di averlo sentito.

Senza sprecare tempo e senza fare alcun tentativo di muoversi silenziosamente, Eren salì le scale con Levi dietro di lui. Non per sua scelta, perché l'uomo avrebbe preferito stare davanti in caso fosse successo qualcosa. Non era certo di poter proteggere qualcuno che già era morto, ma non avrebbe voluto rischiare di scoprirlo.

Il piano superiore era intoccato. Non c'era una singola porta chiusa e nulla era rotto. Tutto era così come Levi aveva lasciato cinque giorni prima.

Ma c'era un singolo particolare che li rese incapaci di procedere.

Il corridoio che collegava la camera da letto di Levi, il bagno, la stanza per gli ospiti e l'ufficio dove lavorava da casa si estendeva più di quel che avrebbe dovuto. Se fosse stato reale sarebbe dovuto protrudere dalla parte posteriore della casa, se visto da fuori. Non c'erano finestre o porte o luci. Era buio e senza fine e non sarebbe dovuto essere così.

Le dita tremanti di Eren si strinsero alla manica della felpa di Levi e, se si fossero trovati in un'altra situazione, quest'ultimo si sarebbe sentito divertito nel pensare ad un fantasma spaventato. In quel momento, invece, faticava a ragionare.

"Dobbiamo uscire da questa casa," Gli disse Eren urgentemente. "Questa cosa non mi piace."

"Non sei tu a fare questo."

"Ti ho già detto di no!" La sua non fu una reazione rabbiosa. Si stava facendo prendere dal panico. "Levi, per favore, andiamo via. Non voglio più restare qui."

Una vita difficile e una madre anche peggiore gli avevano insegnato di non avventurarsi in strade che sarebbero potute essere pericolose, se non aveva bisogno di ciò che c'era alla loro fine. Sapeva fin troppo bene di dover evitare le cose che non lo riguardavano, ma l'anomalia era presente nel suo territorio. Li stava spaventando, gli faceva male quasi fisicamente ed era solo questione di tempo, prima che provasse a far del male ad Eren.

"Cosa pensi che sia?" Solo perché Levi sapeva quelle cose non significava che aveva mai ascoltato le parole di sua madre. Le sue cicatrici lo attestavano.

"Non mi interessa. Andiamo via."

Levi mosse un passo in avanti, poi un altro e un altro ancora, fino a ritrovarsi davanti al corridoio. Eren stava cercando disperatamente di allontanarlo.

"Aspettami fuori." Gli disse.

"E se ti succede qualcosa?"

"Chiama Erwin."

"E cosa gli dico?! 'Hey, sono io, Eren. Sì, proprio quello morto. Ti sto chiamando per farti sapere che Levi è entrato in un'altra dimensione e ho bisogno che lo tiri fuori'?"

L'uomo voltò la testa e notò Eren quasi in cima alle scale, pronto a scappare. "Che ti creda o no, arriverà più veloce che può."

"Non farlo, per favore."

Levi lo ignorò.

Tirò fuori il suo cellulare dalla tasca posteriore dei Jeans e cercò l'applicazione della torcia. La luce era luminosa abbastanza da illuminare qualche metro di fronte a lui, ma oltre a quello c'era ancora buio.

Corrugò le sopracciglia, perché magari tutto quello era un sogno, ma non ricordava il momento in cui aveva deciso di andare a dormire. La sequenza di eventi gli era chiara, fin dall'allontanarsi dall'appartamento di Erwin, le due ore di macchina, la piccola pausa prima di inoltrarsi nella via. La discussione con Eren, l'ombra, il rumore, il bollitore - tutto: tutto era chiaro e tangibile.

Oltrepassare l'invisibile linea sul pavimento non lo polverizzò come si era aspettato. Nulla si mosse. Nulla accadde.

In breve, lo spazio era solo un corridoio.

L'uomo prese a percorrerlo, inizialmente con timore, poi con più confidenza quando nulla sembrò volerlo mangiare. Camminò e camminò, ma non c'era fine. Nulla cambiava ed era sempre circondato dal solito muro beige.

Continuò ad avanzare.

Non si stancò e i suoi piedi non gli fecero male, nonostante gli sembrava di aver camminato per ore. Ad un certo punto si chiese se sarebbe stato più facile tornare indietro, ma c'era solo buio anche da quella parte.

L'uomo continuò a camminare fino a quando il suo cellulare si scaricò e lo lasciò in mezzo all'oscurità, ma non provò paura. Senza alcun dubbio non c'era nulla, lì. L'unica cosa che lo preoccupava era che probabilmente non c'era modo di uscirne. Continuò a camminare.

Non sentiva nulla, oltre ai suoi passi e il suo respiro affannoso. Gli venne fame e sete, ma poco: non era nulla di preoccupante. Divenne stanco e assonnato, ma non gli importava non poter dormire. Era come se tutto il tempo si fosse condensato in quel singolo corridoio senza fine.

I suoi pensieri accompagnavano i suoi passi, riportandogli memorie che una volta erano state troppo dolorose da ricordare.

In una scatola sotto il suo letto c'era un album che Eren aveva fatto per il loro primo anniversario. Al suo interno c'erano foto di tutto, dai membri delle loro famiglie agli amici, a immagini casuali di auto e gatti. C'era una pagina dedicata ai post it e ogni singolo pezzettino di carta conteneva un desiderio, un pensiero, un poema o una parola a caso.

Mikasa aveva scritto loro una ricetta e Armin una poesia. Petra aveva disegnato una casa, Hanji aveva scritto un breve testo sul come il cosmo si era creato, Auruo aveva scritto una frase, Gunther il suo numero di telefono ed Erd gli aveva dato una sua foto. Carla e Grisha avevano dato loro una foto di famiglia che rappresentava il Natale dove Eren aveva avuto l'apparecchio, la madre di Levi aveva dato loro un nastro azzurro a strisce verdi.

Nell'ultima pagina, Erwin aveva disegnato un grande cuore ed era stato chiamato romanticone a causa di ciò. Levi ed Eren avevano scritto le loro iniziali dentro di esso.

Levi non smise di camminare, perché lì non c'era fine. Nuovamente si ritrovò a cercare la via di casa. Non casa nel senso strutturale, ma quel posto dove avrebbe potuto conservare gli impulsi peggiori del suo cuore, dove avrebbe potuto sotterrarli al di sotto delle fondamenta e dimenticarli. Voleva trovare un posto dove non avrebbe più sentito il sangue macchiargli le mani o il gelo che sembrava volergli gelare le ossa fino a spaccargliele.

Libertà. Quello che voleva Levi era libertà.

Non riuscì ad evitare un sussulto, quando sbatté contro un muro. Nell'oscurità non riuscì a vedere nulla, così poggiò le mani su di esso. Bussò contro di esso con le nocche scoprendo che era vuoto e la cosa lo invitò a cercare con più fervore. Doveva esserci un modo per uscire, perché non sarebbe riuscito a tornare da dove veniva. Le sue gambe non sarebbero riuscite a compiere l'intero viaggio di ritorno.

Le sue dita cercarono ogni piccola fessura su cui si sarebbe potuto aggrappare, ma non trovò nulla. Il materiale del muro in sé non era familiare, non diverso dai mattoni ma più liscio e caldo. Respirava come se fosse vivo e la cosa lo disturbò, ma non smise di cercare.

Non c'era nessuno spiffero o un minimo di luce, ma non si arrese. Si premette contro di esso, lo prese a spallate, urlò rabbioso quando non accennò a cedere.

"Tutti voi animali reagite nella stessa barbarica maniera." Disse una voce ed ogni parola fu come uno schiaffo gelido contro le guance. Era senza fine e vuota e Levi si ritrovò a premersi nuovamente contro il muro, disperato nel tentativo di allontanarsi.

"No, no, animaletto: calmati un minuto. Non ti mangeremo ancora."

Levi si irrigidì, ma non per suo volere. Poteva sentire il battito del suo cuore nelle orecchie.

La voce non veniva dall'oscurità, perché la voce era oscurità. La presenza dietro la voce non era qualcosa di tangibile o visibile. L'entità dietro quella voce era l'orribile aspettativa di guardare nel buio e vedere qualcosa dentro di essa, un paio di occhi, oppure sentire una mano gelida sfiorarti la nuca quando si sa che non ci dovrebbe essere nessuno. Era il tremare di un letto quando ci si sveglia da un sogno che non si ricorda più o il muovere un arto nel mezzo del sonno.

L'entità non era fisica: era tutto quello che ogni persona pensava come uno scherzo della mente. Ma era vera.

"Oh," Gli disse. "Capiamo. Non c'è molto da fare qui, sembra."

L'uomo non respirò. Non riusciva.

Quasi urlò - ma il suo fu un urlo silenzioso - quando qualcosa si scontrò contro di lui, senza però toccarlo realmente. Lo imprigionò contro il muro con la sua presenza gelida.

Quando qualcosa lo toccò lo sentì caldo, peloso e umido. Quella cosa sbuffò e immediatamente la mente di Levi gli riportò l'immagine del cervo nero.

A pochi centimetri dal suo viso, due spiragli di luce sembrarono prendere vita - occhi - ma non poté distinguere il loro colore. Non avevano colore.

"Puzzi di immondizia," Gli disse e un muso gli sporcò la faccia di liquido appiccicoso. "Cattivo sangue e ossa bruciate. Buono."

La cosa si allontanò e finalmente l'uomo riprese controllo del suo corpo, solo per cadere all'indietro contro il tettuccio della sua auto.

Sbatté le ciglia e si ritrovò a guardare la Luna nascosta dietro grosse nuvole grigie che promettevano neve. Scosso e disorientato, gli ci volle qualche secondo per capire perché la sua pelle sembrava star bruciando: era fuori, presumibilmente nel mezzo della notte, con addosso solo un paio di jeans e una felpa leggera.

Levi inspirò di colpo, sentendo l'aria fredda graffiargli la gola, prima di esalare e rilasciare la tensione. Stava tremando, ma quella era l'unica cosa non causata dal freddo.

La radura era desolata, a parte la sua auto e un pickup che non riconobbe subito.

Le luci della casa erano tutte accese e c'era movimento al suo interno.

Si disse che doveva muoversi, ma i suoi muscoli sembravano non volergli rispondere. Aveva bisogno di allontanarsi dall'oppressivo silenzio della foresta, ma non aveva l'energia anche solo per un battito di ciglia. Solo la sua pelle non la smetteva di tremare, dandogli la sensazione di nausea e disagio.

Immondizia.

Una doccia avrebbe fatto miracoli. Aveva bisogno di strofinare i residui di oscurità che ancora gli strisciavano sul corpo in una carezza crudele. Liberarsi dell'odore era la sua priorità. Successivamente doveva lavarsi il sangue dalle mani.

"Levi!" Quella singola parola fu così feroce che quasi scappò lontano dall'auto e dal suono, ma il viso che accompagnò il suo nome lo calmò quasi istantaneamente.

Al diavolo la vergogna, l'uomo non combatté il bruciore dei suoi occhi quando vide Erwin sull'uscio di casa.

"Dove cazzo sei stato?" Le parole erano rigide e tese, assassine quasi, ma Levi non ne aveva paura. Anzi le assaporò, così come la violenza in loro, la promessa di sicurezza. Magari era capace di proteggere Eren, ma chi oltre ad Erwin sarebbe riuscito a proteggere lui? "Ero ormai pronto a chiamare la polizia." Gli disse, afferrandogli un polso per tirarlo giù dal tettuccio dell'auto.

Le ginocchia di Levi tremarono.

I suoi piedi erano bagnati dentro le scarpe e il suo intero corpo era dolorante. Non sarebbe riuscito a muoversi anche se lo avesse voluto.

Erwin mormorò qualche parolaccia e lo prese in braccio con poca fatica, tenendolo contro di lui per condividere il suo calore corporeo. Non parlò quando entrò in casa e chiuse la porta dietro di loro.

Levi non voleva stare lì. Avrebbe preferito la foresta, piuttosto che passare un altro istante in quella maledetta casa. Quella cosa respirava lì dentro, una creatura malvagia e dormiente, pronta a nutrirsi. Dovevano uscire tutti e tre da là.

Quando venne appoggiato gentilmente sul divano, l'uomo vide Eren in un angolo del salotto. Vederlo gli fece tirare un sospiro di sollievo, anche se rischiava ancora l'isteria. Doveva aver chiamato Erwin e lentamente iniziò a ricordare tutto il resto. Non che ci fosse molto da ricordare.

"Per quanto-?"

"Taci." Sbottò Erwin e Levi obbedì. Ultimamente l'unica cosa che era riuscito a fare era far arrabbiare Erwin, un record anche per lui.

Coi capelli biondi arruffati e gli occhi azzurri fin troppo sbarrati, Erwin si passò una mano sul viso nel tentativo di calmarsi. Sotto la luce del salotto appariva anche più pallido del normale.

Erwin gli volse le spalle e rimase immobile per un momento, inspirando lentamente e a fondo. "Non me ne vado finché non mi dici che cazzo sta succedendo," Con le mani sui fianchi, scosse la testa. "Sei ore, Levi. Sono sei ore che sei sparito."

Chiudendo gli occhi, l'interpellato li riaprì un secondo dopo. Il terrore lo aveva reso troppo spaventato per tenere gli occhi chiusi. Con la testa che pulsava di dolore, fissò Erwin ad occhi socchiusi. "Perché sei qui?" Raspò. Le sue erano parole tremanti, ma almeno riuscì a pronunciarle abbastanza bene da farsi capire dall'uomo.

Erwin non gli rispose immediatamente, così come non si voltò. Si sedette sul divano, attendo a non schiacciarlo. "Hai bisogno dell'ospedale?" Gli chiese, col suo solito atteggiamento calmo e pacato, ma Levi poteva ancora vedere traccie di tensione sulla sua schiena. "Ti sei fatto male?"

Respirare normalmente gli era difficile, ma ce la fece. Fissando il soffitto, contrasse le dita. La situazione in cui si ritrovava era irreale.

Prima le priorità. "Ho bisogno di un bel bagno. Più caldo è, meglio è."

•••


L'acqua calda riuscì a svegliarlo dal suo torpore, ustionandogli la pelle. Erwin sapeva sempre di cosa aveva bisogno e non esitava mai a dargli ciò senza lamentarsi.

Levi si lasciò scivolare sott'acqua fino ad avere solo metà viso fuori di essa.

Dietro di Erwin, Eren sedeva sulla tazza del water con i gomiti appoggiati sulle ginocchia. "Gli ho mandato un messaggio," Disse. "Mi sono fatto prendere dal panico e gli ho mandato un messaggio." Scrollò la testa, prima di prendersela tra le mani. "Penso di aver peggiorato tutto."

"Non dire così," Lo ammonì l'uomo. "Non è colpa tua."

S'irrigidì, quando ricordò che Erwin era nella stessa stanza e che ovviamente non poteva vedere o sentire Eren. Sbuffò, portandosi le gambe al petto, stringendosele addosso con le braccia.

"Quando ne avrai voglia," Gli disse Erwin, prendendo una saponetta e lasciandola scivolare in acqua. "Puoi iniziare a dirmi cosa c'è che non va."

"Non c'è nulla che non vada."

"Mi hai messaggiato da un numero sconosciuto e poi mi hai fatto aspettare per sei ore."

"Sono andato a farmi una passeggiata e ho perso conto del tempo."

"Ovviamente. E' anche per quello che sei collassato contro la tua auto abbastanza violentemente da farti sentire da dentro casa," Le parole dell'uomo erano tinte di rabbia. "Ed è per quello che avevi quei segni sul collo."

Levi si concentrò nel cercare di scaldarsi le dita dei piedi, godendosi l'acqua calda scorrere tra di esse. Erwin copriva la porta, dandogli l'illusione di trovarsi in un posto sicuro dove nulla avrebbe potuto attaccarlo. Era divertente come la sua stessa madre non fosse mai riuscita a dargli una sensazione del genere.

Rilassando il suo corpo, Levi mantenne le gambe contro il petto e incrociò le braccia sopra di esse. "Eren è seduto dietro di te."

Non c'era davvero utilità nel mentire.

Eren alzò la testa di scatto, schiudendo le labbra in un'espressione sorpresa.

Erwin non reagì, continuando a fissare Levi. Non c'era nulla nei suoi occhi o nel suo viso: solo lo sguardo corrucciato di prima.

Levi spostò le braccia e le posò sul bordo della vasca, sfiorando con le dita la superficie dell'acqua.

"E' stato lui a fare tutto questo?"

Eren si voltò di scatto verso Erwin, serrando le labbra in un espressione rabbiosa. "Sei un bastardo anche solo per suggerire una cosa del genere," Disse, incurvando le spalle. "Stronzo."

"C'è qualcos'altro." Rispose Levi.

"Sembra preoccupante."

"Decisamente."

Il suono di una porta sbattuta catturò l'attenzione di Erwin, mentre Levi continuò a fissare l'acqua. La tensione tornò a stringerlo nelle sue spire, così come il bisogno di correre fino a farsi cedere le gambe.

"Eren?" Domandò Erwin, esitante, ma non stava chiamando il ragazzo, stava chiedendo a Levi se era stato lui.

Eren però era ancora al suo posto, con lo sguardo fisso sulla porta aperta. Non poteva vedere il suo viso, ma la sua postura urlava terrore.

"E' ancora sulla tazza del cesso."

Erwin puntò lo sguardo sul water. In quel momento la vista dei due intenti ad osservarsi gli fu stravolgente, specialmente sapendo che Erwin non poteva vedere il fantasma. Il fatto l'uomo gli stesse dando corda lo fece sentire stranito.

"Ciao." Disse il più alto e, anche se Levi non poteva vederlo, sapeva che lo stupido stava sorridendo.

Eren spostò lo sguardo dall'uomo per portarlo su Levi. "E' serio?"

L'interpellato rise. "Non puoi credermi." Disse ad Erwin, passandosi una mano umida sul viso.

"Non sono uno psicologo," Gli rispose, voltandosi per guardarlo. "Ma so che sei sempre stato molto scettico. Quindi o hai sbattuto la testa veramente forte, oppure c'è sul serio qualcuno, lì."

"E cosa credi che sia, fra le due opzioni?"

"Entrambe." Giusto. "Da quand'è che tutto questo sta andando avanti?"

"Da quando mi sono trasferito. Si è fatto vivo poco dopo che ve ne siete andati." L'acqua stava iniziando a raffreddarsi. "Abbiamo parlato, ero certo di essere impazzito definitivamente, sono scappato e sono venuto a rifugiarmi da te e Mike."

"Quindi ti sei fatto vivo alla mia porta a quell'orario a causa di ciò."

"Per lo più."

Erwin si voltò nuovamente verso Eren, che ora aveva un'espressione dubbiosa sul volto. "E' un bravo fantasma?"

"Uno stronzetto."

"Sembra essere proprio lui." Disse Erwin e, se non fosse stato per le bende che gli coprivano gli occhi, Levi era pronto a scommettere che gli occhi del giovane si sarebbero ridotti a due fessure.

"Il marito dell'anno." Disse Eren, drizzando la schiena. "Sembra prendere tutto questo decisamente bene." Si grattò il mento e realizzò che non gli era cresciuto neanche un accenno di barba nelle ultime due settimane. "Chiedigli a cosa sta pensando."

"Dimmi cosa stai pensando." Ripeté Levi, chiudendo gli occhi e appoggiando la testa contro il bordo della vasca. Perlomeno poteva essere certo che Erwin non lo avrebbe lasciato annegare, se si fosse addormentato.

"Potremmo metterci in contatto con una chiesa." Il suo tono di voce era così serio che Levi quasi rise.

"Prima dovremmo confessarci," Ribatté sarcasticamente. "Se te la senti di dire al prete dove hai messo il tuo cazzo durante la tua vita, problemi tuoi. Di certo non dirò a nessuno tutto quello che ho fatto io."

Cattivo sangue, lo prese in giro la voce.

Urlare 'oh mio Dio' mentre o Erwin o Eren si scopavano il suo culo era stata la sua massima religiosità. Non era mai andato in chiesa da piccolo, anche se sua madre aveva sempre portato un rosario al collo. Non era un credente: non credeva neanche alla fortuna, figurarsi se pensava ad affidarsi ad un essere che sedeva sulle nuvole e uccideva la gente che succhiava cazzi.

Al contrario, Erwin ed Eren avevano due idee completamenti differenti dalle sue. Mentre Eren non era esattamente un uomo di chiesa, era sempre presente alla messa di Pasqua. O, lo faceva, quando era vivo. I suoi genitori glielo avevano inculcato fin da piccolo. Erwin invece non aveva le idee molto chiare, ma Levi sospettava che c'era della fede in lui.

"O," Continuò Erwin, ignorando bellamente Levi, perché entrambi sapevano che non funzionava così. "Possiamo andare da un dottore."

La seconda opzione, la più logica, era quella che lo allettava maggiormente. Levi di certo non era eccitato di scoprire se era pazzo o meno, però quello perlomeno sarebbe stato un problema che avrebbe avuto una soluzione logica.

"Sarebbe uno spreco di soldi." Sbuffò Eren.

"Ne ha abbastanza da potercisi pulire il culo." Disse Levi ed Erwin sorrise, anche se non aveva sentito la prima frase. Conosceva Eren abbastanza bene da poter immaginare cos'aveva detto.

"La scelta è tua." Gli disse, passandogli una mano tra i capelli per allontanarglieli dagli occhi.

Levi continuò a tenere lo sguardo su Eren, che stava giocherellando con le sue dita.

"Quando sei pronto, ovviamente." Continuò Erwin.

"Prima è, meglio è," Disse amaramente il fantasma. "Sarebbe inutile affezionarsi nuovamente." Era una semplice osservazione, quella, eppure svegliò in Levi un senso di assoluta tristezza.

L'uomo allontanò lo sguardo da entrambi i presenti, puntando gli occhi contro il soffitto. "E' tutto così incasinato." Non era esattamente certo a cosa si riferissero quelle parole, ma suppose fossero rivolte alla situazione in generale. Tutto quello era innaturale.

"Magari, in questo modo, puoi dare a tutto questo una fine." Gli disse Erwin, alzandosi in piedi.

Tutti dicevano così. Lo dicevano come se Levi non avesse sofferto abbastanza per la morte di suo marito. Invece sì, nella solitudine della sua camera da letto, lontano da occhi indiscreti. Il dolore al petto lo aveva fatto stare così male da farlo urlare fino a farsi andar via la voce, incapace di trattenere le lacrime. Aveva pianto come un bambino fino a quando aveva ritrovato un equilibrio ed era riuscito a mettersi nuovamente in piedi. Aveva sofferto fino a ritrovarsi uno spazio vuoto dentro al petto.

"Vado a prenderti dei vestiti," Continuò Erwin, fermandosi sulla porta del bagno. "Noi tre potremmo dormire tutti assieme nel salotto."

Il suo tono paterno fece venire voglia a Levi di alzarsi e annegarlo nella vasca da bagno.

"Ancora non capisco cosa tu ci veda in lui." Grugnì Eren, lanciando occhiatacce nella direzione di Erwin.

"Ci vedo quello che ci vedevi anche tu, moccioso."

Con le guance rosee, Eren sbuffò. "Vabbeh."

Levi sospirò divertito. Nonostante tutto quello che Eren aveva fatto nella sua vita passata era ancora capace di arrossire come un timido verginello. Era una vista preziosa, la sua.

Tuttavia i suoi commenti non erano dati dalla gelosia. Erano causati da risentimento, perché Erwin voleva liberarsi di lui. Non che Eren non lo capisse, perché nonostante fosse spesso pronto a saltare a conclusioni affrettate e a fare il viziato, era un ragazzo intelligente. Come al solito i due erano concentrati sulla soluzione migliore per Levi. La loro devozione non smetteva mai di sorprenderlo.

"Levi?"

Non era né un urlo né un sussurro, eppure nelle parole di Erwin c'era una certa preoccupazione.

Nel tempo che gli ci volle per mettersi in piedi, Eren era già corso fuori dalla stanza.

Afferrò un asciugamano, ma nella fretta non ne fece uso, quasi scivolando sulle piastrelle che presto diventarono legno. Il suo cuore era pronto ad esplodergli in petto, anche se riuscì a vedere Erwin poco distante da lui.

Le spalle larghe dell'uomo gli bloccavano quasi la vista, ma gli ci volle tutta la sua forza di volontà per non correre nella direzione opposta. Il corridoio era innocuo come lo era stato anche quando aveva deciso di metterci piede prima, però questa volta aveva una fine visibile.

Eren si mise in mezzo ai due, assicurandosi che Levi non potesse avvicinarsi ulteriormente.

"Che cosa...?" Si fermò, prima di fare un esitante passo in avanti. Levi non lo fermò. "Com'è... Possibile?"

"La casa è più grande di quello che sembra dall'esterno." Disse infine Levi, assicurandosi l'asciugamano ai fianchi.

"Sarà meglio che tutto questo non sia colpa degli alieni." Grugnì Eren e, se la situazione fosse stata diversa, Levi avrebbe riso alla citazione. Ora, invece, non c'era nulla di divertente circa la loro situazione.

Erwin si voltò verso Levi, poi nuovamente verso il corridoio in un modo quasi comico. Fece un passo indietro e si leccò le labbra, cercando e fallendo di ricomporsi. Dopo aver inspirato profondamente annuì, raddrizzando la schiena e schiarendosi la gola.

"Va bene," Disse. "Eren, hai la mia completa attenzione."

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Capitolo 7
*** Black Tea ***


HoE chap 7
E con questo capitolo siamo ad un terzo della fic! Quindi mancano 14 capitoli alla sua fine. Mi viene la lacrimuccia solo a pensarci y_y Dettagli a parte, mi dispiace moltissimo per l'attesa, ma purtroppo ultimamente non ho tutto il tempo che mi piacerebbe avere da dedicare alla traduzione. Spero di riuscire a far passare meno tempo per il prossimo capitolo. Preparatevi alla parte finale del capitolo, dove Levi fa il pirla e ne paga le conseguenze (assieme ad Eren). Buona lettura!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3
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I raggi di Sole iniziarono finalmente ad illuminare le pareti della casa, col loro tiepido calore, dopo una nottata priva di sonno.

L'unico rumore, oltre al silenzio che regnava nella stanza, era quello di una penna contro la carta. La tensione era ancora palpabile tra loro, ma almeno Levi non si sentiva più sotto pressione.

Sono stato qui per mesi, ma non avevo idea ci fosse qualcosa, la penna si fermò un attimo, esitante, oltre a me.

Seduto sul divano, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia e il mento tra le mani, Erwin annuì. "Come sei arrivato fin qui? Sei un fantasma? Un ghoul? Un poltergeist?"

"Siete dei nerd," Commentò Levi. "Entrambi."

Eren gli mostro la lingua, da persona matura qual era, ma continuò a scrivere. Non lo so. Esisto e basta.

"Però Levi riesce a vederti e tu riesci a tenere in mano una penna senza problemi."

"E può toccarmi."

"E com'è?" Gli chiese Erwin, rivolgendogli un'occhiata.

"Come se fosse una scossa," Rispose. "Nel peggiore dei modi, per essere precisi."

"Mi dispiace," Gli disse Eren, grattandosi timidamente il collo. "Fortunatamente non ho tentato di fare nulla con te."

"Non pensarci neanche, in futuro. Per il quieto vivere di entrambi." Anche se furono quelle le parole che pronunciò, l'uomo si ritrovò a chiedersi come sarebbe stato. "Non voglio prendermi i pidocchi fantasmi." Probabilmente sarebbe stato come scoparsi una lastra di ghiaccio.

Erwin alzò un sopracciglio e Levi scosse la testa, assicurandolo che non gli sarebbe piaciuto venire a conoscenza della loro breve conversazione.

"In qualsiasi caso, tutto questo mi fa ricordare di un programma televisivo che guardavo da bambino." Disse Erwin. Prese il pezzo di carta tra le mani, per poterne apprezzare meglio le parole scritte su di esso, ma subito gli venne strappato dalle mani da una forza sconosciuta. Neanche sobbalzò all'accaduto.

Ghostwriter.

"Proprio quello." Rispose con un sorriso.

Levi portò gli occhi al cielo. "Lo ripeto: siete dei nerd."

"Penso che il termine appropriato sia geek." Disse Eren, con un sorrisone in viso.

"Due geek." Precisò nello stesso momento Erwin.

Alzandosi dal divano e stiracchiandosi, Levi grugnì e sospirò. "Volete che vi lasci del tempo da soli? Sto iniziando a sentirmi la ruota di scorta." Non c'era veleno nelle sue parole, solo divertimento. "Sapete, messo da parte quel presentimento che qualcosa nella mia casa abbia intenzione di uccidermi."

L'uomo si diresse in cucina, prima che uno dei due potesse rispondergli.

Si chiese se fare colazione fosse una buona idea, poi decise di preparare dei caffè e dei panini per tutti.

La conversazione a senso unico che si poteva sentire provenire dal soggiorno era stranamente calmante, grazie alla voce placida di Erwin e le occasionali risate di Eren. Ricordi di normalità gli affiorarono, quelli di tranquilli giovedì sera passati con la testa di Eren sopra le sue gambe, dopo una lunga giornata al college, ed Erwin sul divano di fianco a loro, a guardare vecchi film.

Non gli era mai capitato di pensare a quanto potesse mancare tutto questo anche ad Erwin.

Dopo aver messo dell'acqua a bollire, Levi mise a scaldare del latte. Si appoggiò al frigo, dopo aver messo i primi due panini nel tostapane. La sua abilità nel multitasking lo aveva sempre portato sopra le altre persone.

Con riluttanza, l'uomo si decise a pensare al suo incubo e all'apparente passeggiata durata un intero giorno che aveva fatto ieri. L'unico aspetto che accomunava le due esperienze era la presenza del cervo, o qualcosa di simile ad uno di quegli animali. Il secondo avvenimento era stato più oscuro, gli aveva indotto un senso di claustrofobia che contrastava l'agorafobia che aveva provato il giorno prima nella foresta.

Nulla di quello aveva un senso, a partire da Eren fino alla voce che lo aveva toccato nell'oscurità della sua mente.

Il tostapane emise un rumore e i panini ne uscirono, così si sbrigò a spegnere il pentolino col latte prima che iniziasse a bollire. Mise il terzo panino a scaldare, poi cercò nel frigo del formaggio spalmabile che era certo di avere. Lo trovò vicino al fondo e prese anche la marmellata, ricordando come ad Eren piacesse il contrasto di sapori.

Li preparò e, quando ebbe finito, spense la macchina del caffè e lo servì nelle tazze. Due cucchiai di zucchero per Erwin, tre per Eren e quattro per sé. Gli piaceva il caffè così come gli piacevano i  suoi ragazzi: forti e dolci.

"Non si mangia in salotto," Chiamò i due, poggiando i panini su dei piatti, che sistemò sull'isola della cucina. "Portate i vostri culi di qua."

"Però tu puoi tranquillamente mangiare sul divano." Brontolò Eren, prendendosi lo sgabello più lontano possibile dalle scale.

"Perché io so mangiare decentemente," Gli rispose Levi, puntandolo col coltello sporco di marmellata. "Non fare il rompipalle."

Erwin era rimasto vicino alle scale, rivolgendo un mezzo sorriso a Levi. "Ti dispiace dirmi dove Eren non sta sedendo?"

Levi ci pensò su, prima di scrollare le spalle. "Sì."

"Come ha fatto ad accettare di sposarti?"

"Vero?" S'intromise Eren, gesticolando con le mani come se fosse stato esasperato.

Alzando nuovamente il coltello, l'interpellato fece sicuro di rivolgere ad Eren un'occhiata più omicida possibile, ma il ragazzo si limitò a sorridere. "Puoi andare a infestare la casa di Erwin, se questo ti fa felice." Sbuffò l'uomo, voltandosi per prendere i loro caffè. "Sacchi di merda."

Quando Erwin si rifiutò di muoversi e Levi prese ad irritarsi al pensiero di far freddare il cibo, quest'ultimo disse: "Quando mai hai mangiato dei panini alla marmellata?"

Erwin scrollò le spalle. "Potresti averli scambiati per vendicarti di me."

"E di cosa?" Ovviamente Erwin aveva una lunga lista di cose per la quale avrebbe meritato di essere punito, ma a Levi non avrebbe soddisfatto vederlo schiacciare il suo marito già morto. "Siediti e mangia quel fottuto panino."

Avvicinandosi agli sgabelli, Erwin piazzò una mano sopra a quello col panino farcito unicamente di formaggio spalmabile. "Se sei qui, sarebbe meglio se ti spostassi."

Levi lo fissò senza espressione, mentre Eren sorrise.

Quando Erwin si sedette, Levi quasi stava per fare una battuta, quando venne interrotto da un mormorio pensieroso. "Che tu ci creda o meno, penso di riuscire in qualche modo a vederti."

Quello catturò l'attenzione di entrambi e Levi optò per rimanere in piedi vicino all'isola per mangiare la sua colazione. "Illuminaci."

Erwin guardò al suo fianco, con le sopracciglia corrugate. "Ci sono degli indizi, se mi concentro," Disse. "Per esempio, sono certo che hai messo davanti a lui un panino e una tazza di caffè, eppure la tazza è sparita."

Eren sbatté le ciglia, poi portò gli occhi sulla tazza che stava stringendo tra le mani. "Ho sempre pensato che, quando muovo qualcosa, la gente riuscisse a vedere il movimento. Cioè, non ha visto la penna muoversi?"

"E' interessante." Mormorò Levi, stringendo le dita sulla sua tazza, senza però prenderne un sorso. "Nessuna sorta di movimento?"

"No. E' strano, però, come se sapessi che è lì e che dovrei essere capace di seguire i suoi movimenti, ma venissi distratto abbastanza a lungo da far sì che lui agisca senza che io me ne accorga."

"E' una cosa fighissima," Disse Eren. "Pensa a tutti i concerti in cui mi potrei infiltrare."

"Non pensarci neanche," Lo avvisò Levi. "C'è qualcos'altro?"

Erwin rimase immobile per un momento, prima di annuire. La sua espressione era nuovamente seria, un deciso contrasto dal divertimento di qualche minuto prima. "Hai presente quando la tua vista si appanna all'improvviso? Non c'è nessuna ragione per il quale dovrebbe appannarsi, ma c'è questa specie di macchia nebbiosa che non puoi levarti dagli occhi?" All'accenno di Levi, Erwin sospirò. "E' tipo una strana distorsione che si può notare dove si trova in quel momento."

"Ma è qualcosa, giusto?" Chiese Eren, probabilmente dimenticandosi che Erwin non poteva sentirlo. "Almeno dimostra che non sono un problema della tua testa."

Dopo aver finalmente sorseggiato il suo caffè, Levi afferrò metà del suo panino.

"Dove stai andando?" Chiese Erwin e Levi ed Eren si voltarono verso di lui.

Stava guardando verso le scale con un mezzo sorriso e Levi sentì il sangue gelarsi nelle sue vene.

Perché Eren non si era mosso dal suo posto.

"Con chi diavolo sta parlando?"

"Con chi cazzo stai parlando?" Sbottò Levi, poggiando il cibo sul piatto, improvvisamente senza appetito. "Erwin?"

Erwin lo guardò confuso. "C'è..." Smise di parlare e si alzò lentamente dalla sedia. "Vicino alle scale."

Ognuno agì velocemente, Eren con abbastanza forza da far cadere lo sgabello, facendo sobbalzare Erwin. Levi era pronto a correre fuori dalla stanza, ma l'altro uomo lo afferrò dal braccio prima che si potesse allontanare troppo.

Stava anche ridendo istericamente.

Levi si scrollò il suo braccio di dosso, col cuore che correva impazzito. Quando capì la situazione, desiderò poterlo castrare a vivo.

"Figlio di puttana!" Lo spinse lontano da sé, senza però riuscire a far molto, data la sua stazza. "Tutto questo ti sembra un fottuto gioco?"

Con una mano sul petto, Erwin quasi cadde dalle risate.

Con la schiena premuta contro il muro, Eren scrollò la testa. "Non è stata una cosa carina." Disse, in un mormorio.

"Mi dispiace, va bene?" Disse l'interpellato, raddrizzandosi senza però riuscire a contenere le risatine. "Ho visto l'opportunità e l'ho presa."

"Sì e quasi mi hai fatto morire d'infarto, stronzo."

"Lo so, lo so. Mi dispiace, davvero." Erwin si passò una mano sul viso, senza più cercare di nascondere il suo divertimento. "Non ci ho ragionato sopra."

Mai una singola frase era suonata così sbagliata alle orecchie di Levi.

Nonostante Erwin fosse, senza dubbio, un idiota, c'era sempre una linea che non aveva mai passato. Le sue scelte di vita non erano certamente pure e sante, ma aveva - e avrebbe continuato - sempre ragionato prima di parlare. In contrasto con la freddezza di Levi, Erwin era decisamente più caloroso, ma nonostante tutto sempre saggio.

In breve, Erwin non aveva mai fatto una cosa del genere.

Quel pensiero fece preoccupare immediatamente Levi.

"Erwin?"

Erwin si buttò sullo sgabello, alzando gli occhi umidi verso Levi. "Mi fa male la testa." Fu tutto quello che riuscì a dire, prima che l'altro gli si avvicinasse.

Passando attorno all'isola, Levi afferrò una manica di Erwin e lo fece alzare. "Fuori." Abbaiò, spingendolo verso la porta. L'aria all'esterno era gelida.

Il più basso si guardò alle spalle solo per sincerarsi che Eren li avesse seguiti.

Erwin barcollò sulle scale. Quando Levi fece per avvicinarsi a lui, fece un gesto per fargli capire di stargli lontano e così l'altro lo ascoltò.

Levi lo guardò barcollare fino alla sua auto, lontano dalla sua vista, ma non distante abbastanza per non fargli capire che stesse vomitando.

"Che è successo?" Chiese Eren, esausto.

Scosso, Levi non protestò quando il fantasma gli prese la mano nella sua, nel tentativo di offrirgli conforto.

I due aspettarono in silenzio che Erwin si ricomponesse. Quando lo fece, aprì la porta del pickup, probabilmente alla ricerca dei fazzoletti.

Tornò verso di loro un po' più stabile sui piedi.

Eren gli lasciò la mano, quando Levi si mosse verso Erwin per farlo sedere sugli scalini.

"Non è sicuro per te, questo posto." Disse Erwin, come se già non fossero arrivati a quella conclusione.

"Non c'è molto che possa fare, finché l'agente immobiliare non trova altro." Levi usò uno dei fazzoletti per asciugare il sudore sulla fronte dell'altro. "Non vomitarmi addosso."

"Non lo farò." Gli rispose con un sorriso.

Eren gli si sedette vicino, premendosi contro il suo fianco.

"Avremmo dovuto prenderci i giubbotti." Commentò Erwin, tremando visibilmente.

Faceva freddo, ma non così tanto da avere bisogno di coprirsi così. "E' Eren," Gli disse Levi, guardando il ragazzo appoggiare la testa sulla spalla dell'uomo. "Evidentemente gli era mancato accoccolarsi a te."

Eren gli fece la linguaccia, ma non negò.

"E' bello sapere che stai bene anche adesso," Gli disse Erwin, voltandosi verso la sua spalla. Il suo sorriso tremante si addolcì. "Levi non è l'unico ad aver sofferto della tua mancanza."

Con un braccio dell'uomo stretto tra le sue, Eren si acciambellò al suo fianco. Era il suo modo per combattere l'ansia, riconobbe Levi, avendolo visto comportarsi allo stesso modo durante il periodo antecedente agli esami al college o quando il suo capo s'intrometteva nel suo lavoro. Né a lui né ad Erwin era mai pesato stringerlo tra le braccia, per aiutarlo a calmarsi.

Certo che i due fossero al sicuro, fuori dalla casa, Levi si avvicinò alla sua auto alla ricerca di salviette sanitizzanti all'alcool e il kit da pronto soccorso. Afferrò anche una bottiglia d'acqua che si era dimenticato di essersi preso. Era a temperatura ambiente, ora, ma sarebbe andata bene ugualmente.

Nessuno dei due stava parlando, quando gli si avvicinò, entrambi avevano chiuso gli occhi e il loro respiro era placido.

Levi aprì il pacchetto di salviette e ne avvicinò una al naso di Erwin, attento a non soffocarlo. L'uomo aprì uno dei suoi occhi blu al contatto.

"Per la nausea." Gli spiegò. Anche se sapeva che Eren non stava dormendo, parlò involontariamente a bassa voce. "Ti senti meglio?"

Erwin mormorò un assenso. Effettivamente stava iniziando a riprendere colore.

"Come prima cosa, domani mattina, mi metterò in contatto con l'agente immobiliare." Sussurrò. "Se non avrà nulla di disponibile, cercherò io qualcosa di adatto a te. Nel frattempo starai da me e Mike."

Eren emise un suono di protesta, ma non si mosse.

"Hai pensato di parlare prima con Mike?"

"Non gli peserà. Non è che sia una sistemazione tanto diversa da quella che abbiamo ora." Disse Erwin. Stava tremando, ormai, ma non si lamentò.

Conoscendo Mike, di certo non si sarebbe lamentato, però a Levi non piaceva come cosa.

Quattro anni fa, lui ed Eren erano diventati una coppia effettiva. Non perché Eren fosse preoccupato dalla presenza di Erwin, ma perché Levi aveva l'idea che il matrimonio fosse una cosa ben diversa e più seria di stare semplicemente assieme. Nonostante tutta la sua apertura mentale, gli sembrava che fosse arrivato il momento della loro intimità, nonostante sapesse che Erwin non si sarebbe mai intromesso in alcun modo tra loro due. Erano le abitudini di un vecchio uomo, si era detto.

Dopo una seria conversazione sull'argomento, lui ed Erwin avevano preso le loro strade. Il ricordo del sorriso tirato dell'uomo era ancora ben stampato nella sua mente, ma aveva rispettato la sua decisione.

Di conseguenza Levi non se la sentiva di mettere piede nella stessa situazione che lo aveva spinto ad allontanarlo. Mike aveva idee molto simile alle sue. L'uomo amava la sua privacy. Però era così buono da compromettere i suoi stessi ideali di tranquillità per lui e la cosa non gli sembrava giusta.

"Non posso abbandonare questa casa," Disse Levi, spaventato al sol pensiero. "Non posso abbandonare Eren."

Eren alzò la testa, scrollandola. "Non preoccuparti di me." Gli disse.

"Non farlo." Lo avvisò Levi, portando lo sguardo verso la foresta. "Davvero. Non iniziare neanche."

"Per l'amor di Dio, Levi," Disse il fantasma, la sua voce fin troppo calma. "Se rimani in questa casa a causa mia, puoi davvero dirmi addio perché me ne andrò sul serio. Non rimarrò qua ad aspettare che qualcosa ti faccia del male."

"Se succederà, non sarà colpa tua."

"E come fai a saperlo, eh?! Per quel che ne sappiamo si sta nutrendo della mia energia o qualcosa di simile. Mia mamma ha sempre detto che la malvagità richiama altra malvagità-"

"Non sei malvagio." Disse Levi. Non urlò, non ne aveva bisogno. Le sue parole era così decise che fecero tacere il ragazzo. "Che sia l'ultima volta che osi anche solo suggerire una cosa del genere."

Eren serrò le labbra e continuò a tacere, tornando ad appoggiarsi contro Erwin.

"Allora è il momento di trovare un compromesso." Disse Erwin. L'espressione preoccupata che assumeva ogni volta che Levi ed Eren parlavano era ormai inesistente. "Sei disposto ad ascoltarmi?"

Levi non disse nulla, così Erwin continuò.

"In modo da non disturbare qualsiasi cosa sta succedendo qui, che sia con Eren o quell'altra cosa, possiamo continuare a fare come abbiamo fatto fin'ora. Puoi rimanere da me durante la settimana e, nei week end, puoi stare qua."

"Con te."

"Con me."

"No." Rispose Levi. Incrociò le braccia quando la brezza mattutina si scontrò su di lui, tenendo le mani al caldo.

"Non è una pessima idea." S'intromise Eren, piegando di lato la testa.

"Quella cosa era dormiente finché Erwin non ha deciso di entrare. Come potrebbe essere una buona idea?"

"Hai bisogno di qualcuno che riesca a mettersi in contatto con le autorità se qualcosa dovesse succedere." Disse Erwin.

Levi ricordò la simile conversazione che aveva avuto neanche ventiquattro ore prima. La risposta del come Eren fosse riuscito a mandare un messaggio ad Erwin gli sfuggiva tutt'ora.

"Decisamente sicura, come cosa." Ribatté Levi, preoccupandosi che il suo sarcasmo non passasse inosservato.

Erwin si sedette e allargò le braccia in un gesto esasperato. Eren si mosse con lui, come se la sua fosse una forma corporea. "Hai un piano migliore? Fino ad ora questa è l'unica che riesca a soddisfare i bisogni di tutti e tre."

"Anche te?"

"Sì, Levi, soddisferà anche me." Sospirò Erwin. "Dormirò meglio la notte, sapendo di essere vicino a te."

"Due contro uno," Disse Eren con un sorriso trionfante. "La vittoria è nostra."

"Sei a conoscenza del fatto che non ci sarò per cinque giorni su sette." Gli ricordò Levi. Ridusse gli occhi a fessure, guardandolo, perché sapeva che mentre le intenzioni del giovane erano buone, spesso si dimenticava a pensare alle situazioni per intero.

"Non ho mai detto di essere estatico all'idea, ma mi sentirò decisamente meglio a saperti lontano dal pericolo per più giorni che non il contrario."

Levi lo fulminò con lo sguardo, prima di voltarsi dall'altra parte. Questa non era la prima volta che si erano messi entrambi contro di lui. Prima avrebbero ricorso a diversi metodi di persuasione, quelli che richiedevano la porta della camera da letto chiusa a chiave.

Ora, invece, avevano fatto uno gli occhioni da cucciolo, dell'altro invece si vedevano solo le labbra imbronciate. Gli ci sarebbe voluto molto di più per convincerlo, ma lui stesso capiva la loro decisione. Era testardo, ma di certo non cieco. Se fosse stato per lui non avrebbe mai più varcato quella porta.

"Parlerò con Mike," Disse infine, attento a non far sembrare la sua frase un cedimento. "Decideremo meglio dopo aver avuto la sua risposta."

"Cosa gli dirai?" Gli chiese Eren. "Non potrai di certo dirgli la verità."

"A questo ci penserà Erwin." Rispose. "Ma non insinuare qualcosa su un mio ipotetico crollo mentale."

Erwin ridacchiò. "Fidati di me: non c'è una persona che conosciamo che ormai non abbia pensato ad una cosa simile."

•••

Quando il pickup di Erwin sparì dalla loro vista, Levi era già dentro casa, nonostante le proteste di Eren.

"Perché non sei andato con lui?" Gli chiese, gesticolando. "Starà via solo per poche ore."

Levi si avvicinò al contenitore posto sul tavolo, rimanendo soddisfatto nel vederlo intoccato. Erwin doveva essere stato troppo preoccupato con quel che era successo, per decidere di aprirlo. "Perché," Disse, aprendolo e sollevandone il coperchio. "C'è qualcosa che devo fare."

Il fucile era posato all'interno di esso, tenuto fermo da uno strato di spugna, intoccato e lucido.

"Quando l'hai preso?" Sussurrò Eren.

Levi non incontrò i suoi occhi. "E' solo una precauzione."

"Non hai risposto alla mia domanda." La sua apprensione era palpabile.

Decidendo di continuare a non rispondergli, Levi uscì dalla casa.

Si diresse alla sua auto, alla ricerca del resto del suo equipaggiamento. Aprendone il portabagagli, afferrò una borsa.

Quando tornò alla casa, Eren era andato a sedersi nel salotto, con la schiena rivolta a lui. La casa gli apparve più fredda di prima, ma non a causa di una presenza malvagia. Il rifiuto di Eren era decisamente la peggior cosa che potesse capitare a Levi.

Decise di non insistere o discutere con lui e così andò in bagno a cambiarsi.

Gli abiti da camouflage gli era costati un bel po', quindi era compiaciuto nel vedere che gli stavano perfetti. Gli stivali da caccia non erano stati così costosi, infatti gli erano un po' larghi: nulla che non potesse essere sistemato stringendo per bene i lacci. Per ultima cosa si mise il cappotto da caccia arancione.

L'uomo si sentiva ridicolo con addosso tutto quel vestiario.

Si soffermò un attimo al bagno, quando ebbe finito di cambiarsi, con la mano sulla manopola della porta. Doveva ancora verificare se il corridoio era ancora lì e non voleva. La sola idea di quella struttura aggiuntiva era blasfema e, se poteva, preferiva non doverla ancora affrontare.

Sapendo che non avrebbe ottenuto nulla a stare lì, aprì la porta e fece sì da rivolgere sempre la schiena verso il corridoio. Non era una delle sue idee migliori, ma se avesse sentito qualcosa si sarebbe voltato senza esitazioni.

Riuscì a far le scale senza alcun incidente.

"Sei ridicolo." Gli disse Eren. Era ancora voltato contro il muro.

"La tua faccia è ridicola." Fu la risposta di Levi. Stanco e stressato, l'ultima cosa di cui aveva bisogno era un altro litigio.

Impugnò il fucile e ne testò il peso. In qualche modo gli sembrava differente da quando l'aveva maneggiato al negozio.

"Quando hai mai sparato con un'arma da fuoco, prima d'oggi?" Gli chiese Eren.

Levi si assicurò il fucile alla schiena. "Mio padre cacciava volpi, quando ero piccolo." Gli disse: quella era l'unica esperienza che aveva avuto. In realtà non aveva mai neanche impugnato lui stesso un fucile, ma aveva semplicemente visto suo padre cacciare e uccidere animali.

Non stava cercando di fare il difficile, ma la paranoia ormai lo stava mangiando. Sapeva che Eren era a conoscenza del fatto che era solito comportarsi così quando era scocciato, quindi non si preoccupò del suo atteggiamento difensivo.

"E tu hai mai sparato prima d'oggi?" Chiese nuovamente Eren, senza dargli alcuna possibilità di fuga.

Levi si concentrò sul rumore dei suoi passi, di come gli stivali scricchiolavano sul pavimento in legno. "No, non con armi vere." Aveva, tuttavia, usato pugnali in più di un'occasione - strettamente per autodifesa. Essere basso e ossuto da adolescente lo aveva sempre fatto finire nei casini.

"Quindi tu adesso vuoi uscire e sparare a qualche animale perché...? Cosa? Cosa stai cercando di provare?"

Una bella domanda, concesse Levi, una che aveva evitato di porsi fin da quando aveva deciso di comprarsi il fucile.

"Pratica." Rispose. Era l'unica scusa logica che gli era venuta in mente. Pratica, in caso qualcuno cercasse di entrare in casa sua o fargli del male. Una piccola parte della sua mente gli disse che le pallottole non avrebbe di certo ferito qualcosa che non poteva sanguinare, ma l'essere umano ha sempre avuto la tendenza di mentire a sé stesso, in modo da riuscire a dormire la notte.

Eren sbuffò. "Per cosa, le olimpiadi?"

Levi ridusse gli occhi a due fessure, la sua inesistente pazienza ormai al limite.

Scegliendo di ignorarlo, l'uomo si assicurò alla cintura uno di quei pacchi equipaggiati di torcia, pugnale, repellente per insetti, un kit per il pronto soccorso e una bussola. Al suo collo pendeva un paio di binocoli.

Il tutto gli sembrava esagerato, ma chi era lui per sapere se fosse vero o no. Per essere così deciso ad andare a caccia, si era anche dimenticato di cercare in internet qualche consiglio. Quelli di cui era a conoscenza erano quelli di Dimo.

Levi non esitò a inoltrarsi tra gli alberi, una mano serrata sull'arma. Se si fosse fermato a ragionare, sapeva che avrebbe girato i tacchi e sarebbe tornato a casa, ma non voleva permettersi una cosa del genere. Non aveva idea di chi stesse cercando di convincere, ma aveva bisogno di convincere qualcosa che non era affatto spaventato. Non avrebbe lasciato che la paura lo paralizzasse. Come un animale in trappola, avrebbe attaccato.

Per un attimo si sentì disorientato dall'ambiente in cui si trovava, poi ricordò che l'unica volta che era entrato nella foresta era stato in un incubo. Era ovvio che il posto sarebbe stato diverso e la cosa non fece altro che calmarlo.

Respirò a fondo, con calma, facendosi strada rumorosamente in quel labirinto d'alberi.

La prima cosa da fare: localizzare un cervo.

Era conscio che avrebbe dovuto allontanarsi molto da casa sua. Aveva bisogno di trovare un posto pieno d'alberi, scomodo agli umani. Se non lo avrebbe trovato, un altro posto adatto sarebbe stato un fiumiciattolo, ma avrebbe preferito evitare.

Tirando fuori il cellulare, accese il GPS.

"Vuoi veramente fare questa cosa?" Gli chiese Eren. Levi si sorprese dalla sua mancanza di reazione.

"Se vuoi rompere le palle puoi tornare a casa."

"Non si deve andare a caccia da soli."

La presa dell'uomo sul fucile si fece ferrea. L'ultima volta che aveva camminato tra gli alberi, Eren lo aveva abbandonato a qualsiasi forza che stava cercando di farlo impazzire.

Andarono avanti in silenzio, avvantaggiandosi della luce mattutina. Non c'era un filo d'aria a scompigliare le chiome degli alberi e nemmeno un uccello cantava. L'inverno era ormai arrivato, ora mancava solo la neve.

"Erwin è a conoscenza di tutto questo?"

Eren era di fronte a lui. Per la prima volta gli apparve quasi traslucido, come se le ombre che avrebbero dovuto colpirle non ci fossero. Come una fiamma di una candela, Levi aveva paura che un colpo d'aria lo potesse far scomparire.

"No e la cosa non cambierà."

Quando il rumore dell'acqua corrente gli colpì le orecchie, si voltò e prese a camminare nella direzione opposta.

Evitando rovi e quella che sembrava una tana, i due camminarono per un altro quarto d'ora, prima di cambiare sentiero.

"Penso di aver sentito qualcosa." Disse Eren, corrucciato.

Levi sospirò e prese a camminare nella direzione opposta. "Era probabilmente il vento."

"Non penso che il vento emetta grugniti."

Per suo disappunto, la foresta non sembrava voler diventare più fitta. Gli alberi erano sottili e distanti l'uno dall'altro, favorendo una visuali di almeno cento metri più avanti. Non c'erano impronte sul terreno, quindi iniziò a chiedersi se c'erano animali o meno.

"Non dovresti nasconderti da qualche parte e aspettare che qualche animale si avvicini?"

"Per fare quello," Gli disse Levi, attento a non alzare troppo la voce. "Devo prima trovare un posto dove i cervi si sentano a loro agio."

Eren annuì. "Che ne dici del fiume?"

"No."

"'No' nel senso che non ce ne saranno o...?"

"Lo lasceremo per ultimo." Rispose Levi, attento a non apparire troppo sulla difensiva. Non sapeva perché, ma pensava che evitare di raccontare ad Eren dell'incubo sarebbe stata la cosa migliore da fare.

"Va bene," Sbuffò il ragazzo. "Vai avanti e continua a complicarti la vita come fai sempre."

"Se vuoi fare i capricci, torna a casa." Gli rispose l'altro, zittendosi quando notò movimenti quasi fuori dal suo campo visivo.

Muovendosi il più velocemente e silenziosamente possibile, l'uomo premette la schiena contro un albero.

"Non voglio andarmene!"

Levi lo fulminò con lo sguardo e sperò che gli animali non potessero sentire le voci dei fantasmi.

"Che cosa ti sta succedendo, Levi? Lo so che sta succedendo un casino assurdo, ma non sei mai stato così ostile. E non è da poco, come cosa."

Le sue parole lo scossero, ma decise di non prestarci attenzione.

Sistemando il fucile, l'uomo si spostò sulla sua sinistra, cercando il corpo dell'animale. A circa cinquanta metri di distanza c'era una cerva. Era piccola e il suo pelo era chiaro, stava annusando una pila di foglie secche.

Nel frattempo, si rese conto, Eren aveva continuato a parlare.

"Non solo hai comprato un fucile, ma ti stai anche buttando in situazioni pericolose. E' come se in qualche modo desiderassi di morire! C'è sempre stato posto solo per un bastardo suicida in questa vita, ed era il mio. Ma sai cosa, Levi? Sono cresciuto. Sono diventato un normale membro della società, nonostante non avessi avuto un padre su cui contare, nonostante tutte le stronzate. Tu non hai alcuna scusa. Io sono qui e tu ti stai comportando come se... Come se..."

Non concluse la frase, lasciando posto ad un silenzio sofferente.

"Mi stai ascoltando, almeno?"

Certo. Ovviamente lo stava ascoltando.

Levi poggiò il calcio del fucile sulla spalla e prese la mira.

Sapeva che non sarebbe riuscito ad abbattere il suo obiettivo, da quella distanza, ma se non si fosse deciso a sparare le parole di Eren lo avrebbero inghiottito. Aveva bisogno di sopprimere quel bisogno di cui non capiva il significato dentro di sé e non ce l'avrebbe fatta, se Eren lo avesse obbligato a pensare razionalmente.

La razionalità non aveva motivo di esistere da quando Eren era entrato nella sua camera da letto sotto forma di spettro. Era uno scherzo della natura, eppure gli stava chiedendo di ragionare razionalmente.

C'era una ragione per le sue azioni ed era certo che non potesse confidarsi con Eren. Non poteva neanche ammetterlo a sé stesso, nel modo più semplice, che il bisogno di uccidere un animale innocente era un modo per sentirsi in controllo di una situazione senza speranza.

Non era, d'altra parte, lo stesso motivo che accomunava tutti i cacciatori? Gli umani erano gli unici animali che uccidevano senza alcuna ragione. Questo era il suo motivo. La calma.

"Non posso crederci." Disse Eren, ridacchiando senza essere realmente divertito. Si voltò, quando Levi si preparò a sparare.

Levi cercò di fermare le sua mani tremanti. Fece un esitante passo in avanti e il rumore delle foglie secche sotto i suoi stivali fecero alzare la testa alla cerva, che non lo vide immediatamente.

L'uomo premette il grilletto troppo presto, non volendo rischiare la fuga dell'animale.

La mancò di quasi un metro e la pallottola si piantò in un albero.

La cerva scappò, spaventata dal rumore.

"Merda!" Levi batté un pugno sull'albero, prima di portarsi la stessa mano tra i capelli in un gesto frustrato. Sarebbe riuscito a prenderla se avesse aspettato, se fosse stato paziente. Sbuffò, cercando di contenere la sua rabbia.

"Questo è proprio quello che intendevo," Disse Eren, con l'audacia di apparire compiaciuto nell'aver avuto ragione. "Una volta ci voleva così tanto per farti incazzare, per farti reagire così."

Levi fece per allontanarsi, stringendo la presa sul fucile. "Sai fin troppo bene di non dover insistere così." Gli disse, con un tono privo di emozioni.

"L'unico che sta insistendo, qui, sei tu."

"Eren."

"No, smettila di fare così, Levi. Smettila di cercare di provare qualsiasi cosa tu abbia in mente, perché non funzionerà. Stai davvero iniziando a spaventarmi."

Levi lo sorpassò scocciato, scontrandosi contro la sua spalla. Rimase insoddisfatto nello scoprire che l'azione non ebbe l'effetto sperato. "Parla il fottuto fantasma."

"Oh, di nuovo con questa conversazione." Sbuffò il diretto interessato, alzando le spalle. "Lo hai detto tu stesso! Non ho nulla da provare... Non sono cattivo, o qualsiasi cosa tu pensi io sia. Magari... Magari non ho un corpo, ma sono umano ugualmente."

"No," Gli disse Levi, voltandosi per guardarlo in faccia. "Non sei umano. Sei un fottuto cadavere e i morti dovrebbero rimanere morti."

"Non lo hai detto seriamente," La sua era più una rassicurazione per sé stesso, più che un'accusa. "Sei solo spaventato."

"Come pensi di aver ragione?"

"Perché quando avevo dieci anni e sono caduto da un albero, slogandomi una caviglia, mi hai urlato contro per due giorni consecutivi. Avevi paura di cos'avrebbe detto mia mamma."

"Cazzate."

"Poi hai provato a fare il duro, crescendo," Continuò il ragazzo, ridendo amaramente. "Sempre così calmo e distaccato, e sai cosa? Ora sei vecchio e solo e tutto quello che hai è uno stupido fantasma a tenerti compagnia e tutto quello che fai è buttarmi merda addosso!"

Levi non rispose, guardando la curva arrabbiata delle sue labbra. "Hai finito?"

"No, non ho finito! Non avrò mai finito, perché tutto quello che ho sempre fatto è stato per te, dannazione, e adesso ti comporti come se fossi la rovina della tua esistenza!"

L'aria nella foresta stava diventando sempre più fredda, nonostante il sole pomeridiano illuminasse timidamente le chiome degli alberi.

"Dì qualcosa," Disse Eren, umettandosi le labbra, cercando disperatamente di controllare il suo respiro impazzito. Strinse i pugni. "Qualsiasi cosa."

Non c'era nulla da dire, decise Levi, perché era stanco di portare avanti discorsi con i morti. Anche se avesse voluto parlargli non sarebbe stato quello il momento e il luogo. Aveva bisogno di riordinare i pensieri ed agire come il mentore che era stato una volta.

Non aveva idea di come funzionasse la vita dopo la morte, ma sapeva che Eren doveva andare oltre. Si sarebbe arrangiato con qualsiasi cosa ci fosse nella casa e con i demoni della sua mente. Ora la sua priorità era quella di liberarsi di Eren, per la salute di entrambi.

Pronto a voltarsi e dirigersi verso la civiltà, venne interrotto dal soggetto dei suoi pensieri.

Venne afferrato per le braccia e sbattuto contro un albero, gesto che gli mozzò il respiro.

Eren usò la sua altezza per avvantaggiarsi, bloccandolo col suo corpo e con una smorfia priva d'espressione. Le sue mani erano premute contro il tronco, sopra la sua testa, creando l'illusione di una gabbia. Una gabbia specialmente costruita per contenerlo.

Tuttavia Levi non aveva paura di lui.

L'elettricità gli accarezzava la pelle, facendogli rizzare i capelli sulla nuca. La temperatura aveva raggiunto livelli glaciali e l'uomo poteva vedere la condensa del suo respiro. La sensazione che stava provando in quel momento era quella di trovarsi di fronte ad un grattacielo ed ammirarne l'incredibile altezza.

Eren non si mosse, la sua bocca curvata in una smorfia rabbiosa.

Almeno stavano provando la stessa cosa, verso quella situazione.

"Non me ne andrò, finché non sarai tu ad obbligarmi a farlo," Sussurrò gelidamente. "Se il tuo comportamento non è stato abbastanza per farmi allontanare quando ero un bambino, allora di certo non lo è neanche adesso."

"Non ti voglio."

"No, non è vero." Disse Eren in un mormorio. I raggi di Sole gli illuminarono i capelli.

Non erano mai stato così vicini, dopo la morte del ragazzo, e da lì Levi poteva vedere la sua pelle intoccata. Poteva vedere le cuciture del tessuto che gli copriva gli occhi, così come le sue macchie. La secchezza delle sue labbra, la curva del suo naso. Tutte le caratteristiche da ragazzino che non lo avevano mai abbandonato.

I suoi occhi si fermarono sulle bende.

"Le provocazioni posso farle anche io, sai, Eren." Disse, nonostante nel suo tono di voce ci fosse una scusa non pronunciata.

Ci fu un momento di immobilità, prima che Eren si allontanasse, realizzando ci fosse qualcosa che non andava, ma non si allontanò troppo.

Levi si mosse per primo, grazie ai suoi riflessi, anche se gli sembrò che il tempo si fosse fermato.

Le sue dita afferrarono le bende rovinate e le tirò.

Il ragazzo sbatté le palpebre più di una volta, mentre Levi lasciò il tessuto sfuggirgli dalle dita, che si disintegrò prima di toccare terra. Negli occhi del giovane c'era furia, tradimento, ma l'unica cosa che notò Levi fu l'assenza di colore nelle due iridi.

I suoi occhi erano grigio pallido con qualche riflesso dorato. Offuscati e vecchi.

Facendo un passo indietro, Eren si toccò il viso e, quando le sue mani incontrarono i suoi occhi, questi si sbarrarono inorriditi.

"Perché avresti fatto...?"

"Nega la mia richiesta e io negherò le tue."

Levi si diede mentalmente una pacca sulla spalla, quando non sussultò nel ritrovarsi sbattuto contro l'albero con abbastanza forza da fargli mancare il respiro.

"Pensi davvero che le indossassi perché lo volevo?!"

"Pensi davvero che mi interessi?"

"Levi, questo non è uno scherzo!" Eren si strofinò il viso con le mani e fu solo allora che l'altro si rese conto che stava piangendo. Stava singhiozzando, con lo sguardo rivolto ai suoi piedi in vergogna e pentimento. "Ho pagato per questo e ci sono delle regole."

Il ragazzo emise un lamento così disperato che gli fece stringere il cuore.

Voleva dirgli l'ovvietà, in caso Eren non sapesse che il colore dei suoi occhi era sbagliato. Se lo avesse saputo, voleva chiedergli perché. Altre domande, tutto quello che sembrava farsi negli ultimi giorni erano altre dannatissime domande.

Odiava tutto questo.

Si ritrovò a volergli rimettere le bende, perché quelli non erano gli occhi che aveva imparato ad amare. Ovviamente Eren era qualcosa di più di uno stupido paio d'occhi, ma c'era qualcosa di fondamentalmente sbagliato nel vederlo così. Erano irreali, come se fossero stati tolti ad una bambola e spinti nelle sue orbite.

Qualcosa, dentro di Levi, si ruppe, ma non seppe dargli alcun nome.

"Ho sbagliato tutto," Disse Eren, coprendosi la bocca con le mani. "Dio, ho sbagliato tutto."

Levi scosse la testa, sentendosi in colpa. "Eren."

Ma neanche fece a tempo ad alzare una mano che Eren sparì.

•••

Erwin arrivò con un sorriso falso ad incurvargli le labbra, armato di cibo cinese. Erano le sette di sera e nessuno dei due disse nulla, a parte una domanda su Eren, alla quale Levi rispose con una scrollata di spalle.

Il cibo rimase per lo più intoccato e venne messo in frigo per il pasto successivo.

Le luci vennero accese presto e vennero chiuse tutte le serrature possibili.

"La donna della farmacia mi ha detto che del sale avrebbe tenuto fuori le presenze maligne." Disse Levi.

"E tu ne hai?" Gli chiese l'altro, senza esitazione.

"Non il tipo di cui mi ha parlato."

"Dovremmo andarlo a prendere, domani."

Mentre Erwin si sistemava sul divano, Levi si dedicò alla pulizia della cucina, sgrassando i ripiani, gli utensili, il pavimento, il frigorifero. Continuò, inalando i fumi chimici senza sbatter ciglio.

Le sue mani gli sembravano fredde e umide, come se avesse giocato nel fango, solo più gelide. Aveva prurito ai palmi, ma nonostante si continuasse a grattare, non sembrava intenzionato a sparire. Quindi strofinò più forte.

Continuò, facendo formare schiuma candida e immacolata. Ma le sua mani continuavano a prudergli. Le serrò, fino ad affondare le unghie nei palmi, eppure non avvertì alcun sollievo. La sua disperazione era  soffocante tanto quanto l'oscurità che proveniva dalle scale, quelle in cui Erwin aveva acceso la luce. Levi non ricordava aver toccato l'interruttore.

Con un nodo in gola, chiuse il rubinetto.

Calore, decise: aveva bisogno di calore. Con il calore avrebbe combattuto il freddo.

Cercò un accendino in un cassetto, solo per scoprirlo vuoto.

Si guardò attorno, nella cucina, alla ricerca di qualsiasi cosa che sarebbe potuta tornare utile, solo per soffermarsi ai fornelli.

Sprecare del gas su qualcosa come un prurito fantasma era assurdo, ma ormai non sapeva cos'altro fare. Il prurito, il freddo, la sensazione di bagnato erano tutte presenti, ma non abbastanza da poter essere chiamate fisiche.

Tè. Si sarebbe fatto del tè e avrebbe tenuto le mani vicino alla fiamma: avrebbe preso due piccioni con una fava.

"Lo faccio io." Disse Eren e Levi si voltò di scatto con gli occhi sbarrati.

Per la prima volta non lo aveva sentito avvicinarsi.

"Non ce n'è bisogno."

"Insisto." Disse, sorpassandolo, stando attento a non toccarlo. "Siediti. Mi sembri stanco."

Lo era, definitivamente. Voleva dire al fantasma di uscire dalla sua cucina, che aveva bisogno di scaldarsi le mani, ma qualcosa lo fermò.

Senza alcuna ragione, eppure si ritrovò a tacere.

Non voleva parlare con Eren, non poteva. Per la prima volta si sentì genuinamente a disagio in sua presenza, ma era una sensazione probabilmente data dal fatto che ormai poteva vedere i suoi occhi. Non era una semplice apparizione: era Eren, ora, anche con gli occhi di colore diverso.

Prima che potesse registrarlo, i suoi piedi si mossero, portandolo a sedere su uno sgabello dell'isola.

Levi guardò la schiena del fantasma, mentre questo si muoveva nella cucina, tirando fuori ciò di cui aveva bisogno. Nessuno parlò, probabilmente Erwin si era anche addormentato.

L'intera giornata gli sembrava sbagliata. C'era pesantezza, sia nel loro silenzio che nelle loro parole.

Tutto questo era sbagliato, così sbagliato, così sbagliato, eppure non sapeva dire perché.

Il bollitore prese a fischiare ed Eren versò silenziosamente l'acqua nella tazza.

Non lasciò la bustina di tè abbastanza a lungo. Non aggiunse abbastanza zucchero, abbastanza miele, ed era come guardare un sacrilegio svolgersi davanti ai suoi occhi.

Non c'era familiarità nel modo in cui Eren mise la tazza sul ripiano dell'isola, di come lentamente la spinse verso Levi. Non parlò, non incontrò i suoi occhi.

Levi abbassò lo sguardo sulla bevanda, assaggiandolo nonostante il senso di allarme che urlava nella sua testa.

Il tè sapeva di marciume.

Il tè, così come tutto il resto, così come il sorriso che incurvava le labbra di Eren – era tutto sbagliato.

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Capitolo 8
*** Pale Sun ***


Hoe chap 8
Sono tornata, eh! Godetevi questo capitolo, in particolare la prima metà, perché la fine vi lascerà decisamente scioccati. Buon capitolo!

Credits: i personaggi appartengono a Hajime Isayama, mentre la fanfiction appartiene a shotgunsinlace. Mia è solo la traduzione :3
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"Pensi di essere pronto a provare nuovamente ad andare a caccia?" Gli chiese Eren. Era sdraiato sul divano, usando il cappotto che Erwin si era lasciato dietro come un cuscino.

Levi non smise di digitare al pc, non allontanò neanche lo sguardo dallo schermo. Aveva bisogno di finire il rapporto per mezzo giorno. "Ovviamente sì." Rispose, corrugando le sopracciglia quando il rumore di una nuova mail in casella catturò la sua attenzione.

"Spero tu non abbia sprecato tempo, al poligono," Ridacchiò il fantasma. "O i soldi. Chi ha pagato per le lezioni, tu o Erwin?"

"Io." E il ragazzo lo avrebbe saputo, se si fosse fatto vivo più spesso.

Era passato un mese dal loro ultimo litigio e le cose erano state tranquille da allora. Nessuna lampadina rotta, nessun rumore di passi e pure il corridoio era sparito.

Il prezzo per quella normalità, tuttavia, si era dimostrato alto.

Aveva passato innumerevoli notti a pensare, cercando di collegare i pezzi. Levi sapeva esattamente quando le cose avevano iniziato a cambiare, ma non aveva idea del perché. All'inizio aveva pensato fosse dovuto al fatto che Eren era arrabbiato con lui, ormai però non ne era più sicuro.

Il comportamento del ragazzo si era fatto più acido, più sarcastico e continuava costantemente a lanciargli frecciatine, preparandogli il tè malamente. Eren aveva già fatto il broncio per mesi, in precedenza, ma questa volta era diverso. Perché sorrideva, scherzava e agiva come se non avesse alcun pensiero in testa. Non era per niente arrabbiato.

Eppure era diverso.

Una parte di Levi sapeva che la freddezza del giovane nei suoi confronti era più che meritata. Aveva violato i suoi voleri, lo aveva spogliato dell'unica cosa che gli dava conforto. La colpa non smetteva di mangiarlo da dentro, ma cercava sempre di non perdercisi troppo. Non poteva cambiare ciò che aveva fatto e neanche Eren ne sembrava più preoccupato - a parte quando gli preparava il tè, o quando spariva durante i week end.

Quanto più le attività paranormali diminuivano, più Levi si sentiva al sicuro.

Era mercoledì mattina e aveva deciso di lasciare ad Erwin e Mike il loro spazio.

"Dovremmo andare a fare una prova." Gli disse Eren, rotolandosi sul divano fino a trovarsi sdraiato sullo stomaco.

I suoi occhi chiari erano un tratto a cui mai si sarebbe abituato.

Magari era meglio che tendesse a sparire spesso, anche se non poteva fare a meno di chiedersi dove andasse a finire. "Non eri contro il mio voler andare a caccia?"

"Dato che non posso fermarti, posso almeno darti il mio supporto da bravo maritino."

Levi digitò la data, salvò i documenti e mandò il tutto nella mail di Erwin.

Da quando Eren abbandonava le sue morali?

"Grazie." Gli disse cautamente. Aprì la mail che gli era arrivata precedentemente, scoprendo un invito da parte di Hanji ad andare al bowling il sabato dopo. La eliminò.

Eren si grattò il mento e incrociò le gambe alle caviglie. "Posso farti una domanda?" Strinse il cappotto tra le sue braccia.

"Dimmi."

Il ragazzo sorrise. "Se avessi la possibilità di cambiare le cose come stanno," Disse, chiudendo gli occhi. "Lo faresti?"

Levi ridusse la pagina ad icona e mise il pc in stand by. "Quanto devo essere onesto?"

"Brutalmente." C'era una certa forza dietro a quella parola, come se volesse renderla quasi tagliente.

Voltandosi verso il fantasma, Levi appoggiò un gomito sul tavolo. Lo guardò, tracciando con gli occhi la morbida curva della sua schiena e il suo collo forte. Spalle larghe, così come la schiena, la strettezza dei fianchi e le natiche sode, cosce muscolose e piedi adorabili. Eren era perfetto, a parte i suoi occhi.

Le domande che iniziano con i se non hanno senso e Levi mai ci aveva perso dietro molto tempo. Una volta che una decisione era presa, tutto quello che gli rimaneva era sperare di non pentirsene in futuro.

Se fosse stato a casa, quel giorno, se fosse partito dieci minuti prima, se, se, se - se Eren non fosse morto, qualcosa di simile sarebbe successo.

"No," Rispose semplicemente. "Cambiare le cose ora renderebbe ogni scelta difficile obsoleta e nessuno sarebbe felice di sapere di aver passato invano i momenti peggiori della sua vita."

"E' un pensiero particolarmente egoista."

Levi scrollò le spalle. "Non puoi essere l'eroe di nessuno, a meno che tu non decida di mettere la tua sicurezza al primo posto. Per esempio, se il tuo impero crolla in guerra, come puoi pensare di avere entrambi i territori nelle tue mani?"

"Un po' come succede negli aereo," Ragionò ad alta voce il giovane. "Quando ti dicono di metterti per primo la mascherina per l'ossigeno e dopo aiutare chi è accanto a te, anche se è un bambino."

"Qualcosa di simile, sì."

Eren emise un suono di cui non comprese il significato, stringendosi una ciocca di capelli tra due dita. "Non mi vorresti indietro?"

"Sei già qui." Rispose l'uomo, portando gli occhi al cielo.

"Vero." Con uno sbadiglio, Eren si mise a sedere. La sua maglietta era spiegazzata e gli scopriva una parte di stomaco. "Ma..." Levi lo guardò alzarsi su gambe traballanti e percorrere la breve distanza che li separavano. "Fino ad ora mi sei apparso decisamente riluttante a scoparti un fantasma."

Il pensiero gli era passato per la testa un paio di volte, ma l'ultima cosa che voleva fare era pensare intenzionalmente di fare sesso con una persona morta.

"Non avrei mai immaginato che anche i fantasmi avessero certe voglie," Gli disse, rizzando la schiena quando Eren gli si mise a cavalcioni. "Devo ammettere di non sapere cosa pensare."

Eren gli fece un mezzo sorriso e portò la destra a grattarsi lo stomaco.

Era una tattica che Levi conosceva bene. Il moccioso sapeva come manipolarlo, come trasformare il più semplice dei gesti in qualcosa di altamente provocante. Portandosi una mano sulla nuca, grattandosi lo stomaco, giocherellando con i peli scuri sotto l'ombelico - abbassandosi i pantaloni tanto da fargli vedere cosa nascondevano.

"Non pensarci troppo," Gli disse, premendogli un bacio sulla guancia. "Limitati a portare una mano nei miei pantaloni."

Non poteva mentirsi tanto da dirsi che non voleva andare a letto con lui, ma aveva ancora dei limiti. "Eren-"

Eren lo zittì con un breve bacio sulle labbra.

Il suono di una zip abbassata attirò la sua attenzione, ma non osò guardare. Poté vedere, con l'angolo dell'occhio, il giovane leccarsi un palmo.

"Non devi fare nulla, se non vuoi," Gli fisse. "Lasciami fare da solo, ok? D'altra parte io non ho nessuno che mi aiuti in queste cose."

Levi si voltò verso di lui solo per fulminarlo con lo sguardo. "Non sono andato a letto con lui."

"Ma ci pensi tutto il tempo," Rispose l'altro, col pugno ora stretto attorno alla sua erezione. "Ti sei sempre vantanto di quanto grande è e di come riesci a prenderlo."

Levi inghiottì con una certa difficoltà.

Eren schiuse le labbra, lasciandosi sfuggire brevi ansimi.

"Guarda," Gli disse, stringendosi la base del membro. "Mi fai ancora eccitare, Levi. Cazzo se mi fai eccitare." Inclinandosi in avanti, il fantasma afferrò la spalla dell'altro con la mano libera. "Ti ho mai d-detto che la prima volta che mi sono toccato, l'ho fatto a causa tua?"

Non ebbe bisogno di rispondergli.

"Avevo tredici anni," Continuò, iniziando a muovere i fianchi. "Armin continuava a portarmi di nascosto dei giornaletti porno, ma... merda... Le tette non hanno mai fatto per me." La sua risata venne strozzata da un gemito. "E poi eccoti, proprio tu, che entri in salotto con una t-shirt sudata, quel ridicolo fazzoletto in testa per tenerti i capelli lontani dagli occhi." Il ragazzo accelerò i movimenti con la mano. "Cazzo, ricordo tutto così bene. I tuoi capelli erano così lunghi che ci facevi la coda di cavallo."

Levi ricordava quel giorno. Si era fermato a casa degli Jaeger per pitturarne l'esterno.

"Anche durante cena," Continuò il giovane, senza più riuscire a trattenere i gemiti. "Non riuscivo a smetterla di toccarmi da sotto il tavolo."

Con le mani ora sulle cosce di Eren, Levi le strinse, portandosi il corpo dell'altro contro il proprio.

Non avrebbe dovuto fare così, qualcosa gli diceva di resistere, ma il modo in cui si muoveva sulle sue gambe, il modo in cui stringeva il membro turgido tra le dita, era troppo. Aveva le guance ormai rosse e le sue labbra screpolate in alcuni punti si erano rotte, ma Eren continuò a masturbarsi.

"Che cosa hai fatto, poi?" Si ritrovò a chiedergli. "Dimmelo."

"Mi sono n-nascosto sotto le coperte, quella notte," Rispose il giovane, ma venne fermato dal delizioso gemito che gli sfuggì dalle labbra. "M-merda, è stato così bello. Dio, Levi, è stato fottutamente fantastico, toccarmi e pensare che fossi tu, che mi baciavi e che mi toccavi..."

Levi nascose il viso sulla spalla dell'altro, soddisfatto della sua concretezza, nonostante il freddo del suo corpo. "Sei venuto?" Gli chiese, combattendo l'istinto di masturbarsi lui stesso.

Stranamente Eren lasciò la presa su sé stesso.

"No," Gli confidò con un sorrisetto da demone. "Ogni volta che passavi z casa mi toccavo, perché il ricordo del tuo odore era ancora fresco nella mia mente." Eren abbassò lo sguardo, guardando quasi con estasi il proprio membro eccitato. "Continuavo a farmelo venire duro, mi toccavo, ma non venivo mai, non mi sono mai lasciato venire, fino a quando non ti ho visto baciare Petra prima di andare via."

Il ricordo era offuscato, ma ricordò di aver baciato Petra sull'uscio della casa degli Jaeger. Ai tempi stavano ancora assieme.

"Ricordo il modo in cui le hai leccato le labbra." Sussurrò Eren, con gli occhi scuri di lussuria. "E il modo in cui lei ti ha stretto il culo tra le mani. Quella notte ti ho immaginato fare a me quelle cose e, cazzo, sono venuto così forte."

Levi sentì la propria eccitazione risvegliarsi sotto i pantaloni.

"E ora farai la stessa identica cosa." Concluse Levi, con voce tremante.

Eren lo schiaffeggiò giocosamente sulla guancia. "Verrò solo quando il mio amato papino farà la stessa cosa assieme a me."

Levi sbarrò gli occhi. "Non è giusto."

"Sei tu quello ad essere riluttante a fare sesso con me."

"Potrei riconsiderarlo."

Eren ridacchiò e, prima che Levi potesse far qualcosa, si mise in piedi. La sua erezione sobbalzò al movimento, così si diede un'ultima carezza, prima di sistemarsi i pantaloni con un soffio. Saltò sul posto e fletté le gambe.

L'evidente rigonfiamento dei suoi jeans invitò Levi a portargli le mani ai fianchi, immobilizzarlo, leccarlo e morderlo gentilmente fino a farlo venire nei pantaloni. Fortunatamente riuscì a mantenere un certo controllo.

"Andiamo a caccia," Gli disse Eren, stringendosi un'ultima volta l'erezione attraverso i pantaloni. "Nulla riesce a scaldarmi tanto quanto una bella pistolona."

•••

Un sottile strato di neve copriva il terreno.

Gli arrivava solo alle caviglie e riusciva a muoversi facilmente, era tutto il resto a cui si doveva ancora abituare. Tenere in mano il fucile, d'altra parte, gli era venuto più semplice dopo le settimane di allenamento.

"Mi manca l'autunno," Disse Eren, felicemente avvolto nel suo cappotto. Le sue guance erano subito diventate rosse, dando l'illusione che appartenesse al mondo dei vivi. "Mi piace quando gli alberi iniziano a perdere le foglie. L'inverno è così... meh: specialmente quando devo condividere la casa con la persona meno attaccata alle festività della terra."

Con gli occhi a terra, controllando attentamente l'area alla ricerca di qualsiasi traccia, Levi emise un grugnito. "Pensavo ti arrangiassi a decorare la casa come hai sempre fatto."

Voltandosi per guardarsi oltre la spalla, Eren sbuffò. "Non sapevo avessimo qualche sorta di decorazione."

"Sono nella scatola nello sgabuzzino," Gli disse Levi, scavalcando un albero caduto. "Come sempre. Penso ci sia anche il Menorah di tua madre."

"Oh." Fu tutto quello che disse Eren, prima di fermarsi.

Levi quasi gli si scontrò addosso, se non fosse stato per la mano che gli si poggiò sulla spalla, fermandolo a sua volta. "Cosa c'è?" Gli chiese, ma qualsiasi altra domanda che avrebbe potuto fare sparì dalla sua testa, quando Eren annullò lo spazio tra di loro per rubargli un bacio veloce.

"Possiamo sistemare tutto questo da soli, giusto?"

"Sistemare cosa?"

"Questo... Casino." Gli disse il ragazzo. La mano che gli aveva appoggiato sulla spalla salì fino ad intrecciarsi tra le sue ciocche corvine. "Lo so che non è normale, ma forse in qualche modo potremmo farcela."

Leccandosi le labbra, Levi continuò a camminare. "Sei davvero così disperato per una scopata?"

Eren finse di pensarci sopra. "Beh, , ma non è solo quello."

"Elabora."

"Come ho detto quella volta, non è stato facile venire fin qui. Mi è costato più di un braccio e una gamba, insomma." Gli disse, puntandosi gli occhi. "Lo so cosa vorresti dirmi adsso e hai ragione, ci siamo passati prima. Ma, sai, magari potremmo parlarne? Dire tutto?"

L'uomo si fermò un momento, osservandosi attorno prima di decidere in che direzione continuare. Scelse di seguire lo stesso sentiero dell'altra volta e continuare a camminare fino a trovare un punto con una maggiore densità di alberi.

"Ti sto ascoltando." Quella era una mezza verità.

Eren raramente si ripeteva e facendolo adesso aggiungeva solo un altro senso di stranezza utile solo a farlo irritare. Avevano già parlato di quello, avevano raggiunto un accordo ed era stato proprio Eren a non seguire i loro patti. Aveva promesso di andarsene e non lo aveva fatto. Aveva promesso di non volere troppo, ma l'aveva fatto. Tutto quello che aveva fatto Levi era stato reagire.

Per un po' non ottenne nessuna risposta e, in più di un'occasione, il giovane gli tirò una manica per indirizzarlo dove pensava avrebbero avuto più fortuna.

"Voglio che tu ti senta a tuo agio," Gli disse il giovane. "Voglio farti rilassare, massaggiarti i piedi dopo una giornata di lavoro. Condividere con te i pasti, la doccia, la cucina. Mi manca tutto questo. A te?"

Più di quanto avrebbe voluto ammettere, in realtà. "Se è ciò che vuoi." Rispose semplicemente.

"Ma tu lo vuoi? Ti scoccerei solo, se non fosse così."

Levi sospirò. "Non riesco a capirti." Gli disse, corrucciandosi quando Eren si fermò davanti a lui. "Continui a cambiare."

Eren si voltò verso di lui lentamente e, per una volta, il suo viso era completamente privo di emozioni. La sua era un'espressione più adatta a Levi. "Cosa intendi?"

Per nessuna reale ragione, ma piuttosto perché gli dava una certa pace, Levi sistemò la presa sul fucile. "Hai voluto la mia onestà, no? Sei cambiato."

"No, non lo sono."

"Non ti infili sotto le coperte quando dormo," Disse Levi, riuscendo a mantenere un tono di voce disinteressto. "Non mi aspetti davanti la porta, non hai toccato il gelato."

"Oh, quindi vuoi che faccia il cagnolino e che aspetti in ginocchia il tuo ritorno?"

Un brivido percorse la schiena dell'uomo.

Un'altra conversazione già avuta, questa un anno prima della morte di Eren.

Era stato lui stesso a dire al giovane di non comportarsi come un servo, ma Eren gli aveva assicurato che gli piaceva comportarsi a quel modo. Eren voleva compiacere suo marito e Levi aveva finito con l'accettare quel suo lato, a patto di viziare a sua volta Eren tra le coperte.

Quello era l'unico aspetto della sua vita in cui Eren aveva deciso di fare il sottomesso.

Ciò che Nana aveva detto circa la casa gli tornò alla mente. Un eco diveniva sempre più distorto quanto più viaggiava, quindi magari era quella la causa dei comportamenti del fantasma. Eren era ormai un vecchio eco.

Magari, magari, magari. Levi odiava così tanto quella parola e odiava anche la sua implicazione. Non aveva nulla di cui si poteva fidare, solo mezze teorie che spesso rifiutava quando Eren gli rivolgeva un sorriso dolce.

In qualsiasi caso l'uomo decise di stare più attento. Avrebbe soddisfatto le richieste del giovane per quanto poteva, ma non si sarebbe mai dato ciecamente ad un'apparizione.

"Sembri aver dimenticato anche come fare il tè correttamente." Commentò.

Eren lo fulminò con lo sguardo. "Mi dispiace, Sua Grazia."

Levi stava per rispondere, quando il rumore di acqua corrente lo interruppe.

Il freddo poteva anche andare a farsi fottere, perché prese a sudare.

"Direi che hai visto un fantasma, ma sai com'è." Disse Eren, apparendo al suo fianco a braccia incrociate. "Cosa c'è?"

Levi portò lo sguardo dagli alberi ad un Eren impaziente. "Non penso questo sia il posto giusto." Disse, conscio che quello non era né il posto né il momento adatto per discutere dei suoi incubi.

"Sei pazzo? Questo posto è perfetto!" Ribatté Eren, afferrando la tracolla del fucile per tirarlo verso la spiaggia. "E' tutto ghiacciato, altrove, quindi sicuramente qualche animale passerà di qua."

La forza di Eren era anche troppa e togliersi il fucile non era un'opzione valida. Si lasciò quindi trascinare, cercando di controllare il senso di nausea che gli attanagliò la gola e lo stomaco. Una parte di lui voleva aggrapparsi ad Eren in modo da negargli la possibilità di svanire da un momento all'altro com'era successo nel suo incubo.

Il suo orgoglio vinse, così strinse la stretta sull'arma.

Il corso d'acqua era simile a quello del suo sogno, ma non troppo. Era relativamente più largo e i massi erano grigio chiaro e non neri. Tutto era più chiaro, il luogo illuminato dai raggi solari e dai loro riflessi sulla neve.

Ripensandoci ora, l'inquietante scena di cui era stato protagonista quella notte appariva come un vecchio sogno, completamente oscurata da ciò che si trovava davanti ai suoi occhi in quel momento. Come se non avesse mai fatto quel sogno, ora non aveva affatto paura ad avvicinarsi all'acqua.

"Bello, vero?" Gli chiese Eren, lasciandolo camminare vicino alla riva nevosa.

"Sei già venuto qui?"

"Due volte," Gli rispose. "Avresti dovuto vederlo in autunno." Eren sorrise. "Ora, immaginatelo d'estate. Dev'essere fantastico."

"Tutto è più bello d'estate." Sbuffò Levi, cercando un posto dove sistemarsi. Se Dimo diceva il vero, avrebbe potuto aspettare anche qualche ora, prima che un animale facesse capolino per abbeverarsi.

"Ti ricordi quella volta in spiaggia?" Disse Eren, proprio vicino al suo orecchio.

Levi riuscì a non sobbalzare, però diede una gomitata al giovane. "Non fare così quando sono armato."

"E cosa potrebbe succedere? Riusciresti ad uccidere per sbaglio un fantasma?" Eren rise, abbracciandolo da dietro, premendogli un gelido bacio sulla nuca. "La prima volta che ti ho visto in costume da bagno-"

"E' stata la volta in cui ti ho quasi fatto annegare." Finì Levi, allontanandosi dall'abbraccio. Il Sole del sud non era stato d'accordo con lui, arrostendolo fino a farlo assomigliare ad un'aragosta. Era stato al centro delle prese in giro per anni. "Troverò un modo per spararti."

"Va bene, signor Cacciatore. Dove andiamo ad aspettare?"

Levi scelse un punto a sud del fiumiciattolo, dove c'erano più arbusti che lo avrebbero nascosto. Dallo zaino tirò fuori una pannocchia, una mela tagliata e una carota a cubetti, che sistemò tra gli alberi verso est e ovest.

Quando arrivò mezzogiorno l'aria si fece più fredda e l'uomo mormorò qualche parolaccia. Non si era coperto abbastanza e il freddo iniziava a farsi sentire. Neanche lo scalda mani offriva troppo aiuto.

Di fronte a lui Eren continuava a camminare avanti e indietro. Canticchiò, disegnò qualcosa sulla neve con l'aiuto di un bastone, per poi calciare il tutto. Sospirò, stufo di dover aspettare e irritato dal non voler parlare da parte di Levi.

"Quant'è che dobbiamo stare qui?"

Levi scrollò le spalle, studiando attentamente l'area attorno a loro. Fino a quel momento non c'era stato alcun movimento o suono, eccetto quello dell'acqua.

"Mi sto annoiando."

Colpito improvvisamente da un'idea brillante, Levi passò ad Eren il suo telefono, ma non prima di averlo impostato in vibrazione.

Funzionò. Eren si tenne occupato con tetris. Con un po' di fortuna i cervi non potevano sentire i ringhi frustrati di un fantasma.

"Pensi di poter ferire un cervo senza ucciderlo?" Chiese Eren, sempre concentrato sul gioco. "Mi piacerebbe avere un animale domestico."

Levi portò gli occhi al cielo. "Non adotteremo un cervo." Disse, attento a mantenere la voce più bassa possibile.

"In qualsiasi caso, pensi che sarebbe facile addestrarlo?"

"Non sono cani."

"Già." Il ragazzo poggiò il telefono sulle sue gambe, dopo aver probabilmente perso per l'ennesima volta. "Come pensi che funzioni l'addestramento, però? Bisogna essere stupidi o intelligenti? Cioè, posso insegnare ad un bambino di fare cose specifiche e posso insegnare ad un cane a fare cose specifiche. Fanno parte di due specie completamente differenti con differenti capacità mentali, ma alla fine... Puoi far far loro cose specifiche."

Levi portò la sua attenzione dalla foresta ad Eren. "Penso tu stia confondendo l'imparare col comportamentismo."

"Ma non puoi imparare un comportamento?"

"Gli umani possono, ma non fino a quel punto."

"Ma gli animali ci riescono." Era un'affermazione impostata da domanda.

"Con un addestramento intenso e mirato."

"Anche gli umani possono essere addestrati." Disse Eren. Le sue parole furono un mormorio pensieroso. "Come i cani che sbavano nel sentire il suono di una campanella."

Levi corrugò le sopracciglia in un gesto di disagio.

Era strano sentire Eren prendere parte ad una conversazione simile, quando non era mai stato una persona a cui piacevano discorsi del genere. L'uomo poteva quasi vedere gli ingranaggi lavorare nella testa del fantasma, come se quest'ultimo avesse realmente deciso di addestrare un cervo, col suo consenso o meno.

"La psicologia non era una delle mie materie migliori, al college." Disse Eren. "Ma è ugualmente interessante."

"Pensi di voler addestrarmi?"

Probabilmente avrebbe fatto meglio a non porre quella domanda, ma aveva bisogno di sapere a che gioco stavano giocando.

Lo sguardo di Eren fu tagliente, ma gentile, e la sua bocca s'incurvò in un sorriso genuino. "Non è il lavoro di Erwin, quello?"

Levi sgranò gli occhi per un attimo, non aspettandosi una risposta simile. Portò il peso da una gamba all'altra. "Non c'è bisogno che tu sia geloso."

"Non è colpa mia, se lo sono." Gli rispose, portandosi le gambe al petto per tenersi più al caldo. Appoggiò il mento sulle ginocchia. "Cioè, io ho sacrificato più di metà di me stesso per tornare e tu mi ripaghi così."

"Non ti ho chiesto di tornare."

"Sei proprio un ingrato, eh?"

"Parla l'egoista."

"La morte ti strappa la coscienza." Spiegò Eren, continuando a sorridere. "Ho smesso di essere il perfettino che sono sempre stato."

Levi fece scivolare le dita lungo la canna del fucile. "Allora quanto è rimasto di Eren?"

"Cosa ti garantisce che io sia io?"

"L'illusione di un vedovo addolorato." Rispose semplicemente Levi.

"Bene." Disse Eren. Si alzò con un grugnito e si pulì dalla neve. "E' più facile addestrare un cavallo che è già stato domato."

Levi si diede un colpo alla caviglia, quando sentì un morso di una formica, solo per rendersi conto che nulla avrebbe potuto morderlo. La rabbia che sentiva, la furia, era qualcosa che era cresciuto nel retro della sua mente e del quale non se n'era neanche accorto. Non doveva stare calmo, perché era in perfetto controllo di sé stesso, nonostante fosse accecato dalla rabbia.

Era questa la sua confessione?

La confusione non fece che aggiungersi al fuoco che aveva dentro.

"Se è così che deve andare, devi essere onesto con me." Disse Levi, muovendo le mani sul fucile.

"Sono sempre stato onesto, sei tu che non ascolti."

"Cazzate."

"Ti ho detto di non toccare le bende attorno alla mia testa, no? Me le hai strappate di dosso." Eren si portò una mano al viso. "Adesso ne dovrai pagare le conseguenze."

Il rumore di un ramoscello spezzato catturò la loro attenzione e Levi si voltò giusto in tempo per notare del movimento verso ovest. L'uomo si alzò immediatamente e si mosse tra gli alberi, cercando un posto dove prendere la mira.

Eren era dietro di lui, ma anche la sua attenzione era sull'animale.

Il riflesso del Sole sulla neve rendeva quasi impossibile tenere traccia dell'animale, ma da quel punto Levi era certo di poter colpirlo. Essendo sempre stato veloce ad imparare, perfezionare la sua mira al poligono era stato semplice.

Ignorò il freddo, quando si stese sulla neve, col calcio del fucile contro la spalla. Immobile, poteva vedere una massa nera simile al cervo del suo incubo. Qualsiasi cosa fosse stata, Levi l'avrebbe uccisa e per lui sarebbe stata una vittoria, per quanto piccola potresse essere.

La forma si muoveva veloce, correndo nascosta dagli alberi. Come se sapesse che Levi la stava guardando, si nascondeva usando il riflesso del Sole. Levi non si fece scoraggiare da quel comportamento.

"Si sta allontanando." Sussurrò urgentemente Eren. Stava seguendo il fiumiciattolo e, se Levi non si decideva a sparare, avrebbe dovuto spostarsi. Seguire i movimenti di una bestia non era il suo forte. "Levi?"

Levi lo ignorò, accarezzando col dito il grilletto.

Lasciò svanire tutto ciò che c'era attorno a lui. Dal freddo alla neve, dall'amarezza alla frustrazione irrisolta, fino alla rabbia tutto svanì con un battito di ciglia. Lo scrosciare dell'acqua non divenne nulla se non un rumore di sottofondo.

"Spara!" Soffiò Eren, ma ciò non lo fece preoccupare. Per la prima volta, le azioni completamente fuori carattere di Eren non lo scossero.

Aspetta, le parole di Dimo riverberarono nella sua mente. Studia le sue abitudini, come si muove, cosa gli piace e aspetta. Mettiti comodo e aspetta tre anni se devi, ma non affrettarti. Non spaventare la tua preda. Aspetta.

Levi non aspettò.

Premette il grilletto col prossimo inspiro e non osò espirare fino a quando non vide il corpo toccare terra.

Di fianco a lui Eren sospirò di sollievo, iniziando a ridere nel mezzo di esso. "E' stato fantastico." Disse, sorridendo a Levi, porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Levi la prese. "Andiamo a vedere cos'hai preso."

Eren lo precedette, mentre Levi sistemò ciò che si era portato nello zaino, con le dita che sembravano vibrargli. Il rinculo di un'arma era decisamente soddisfacente. Non c'era nulla di più gratificante del processo di preparare un piano, agire secondo esso e ottenere ciò per cui aveva lavorato.

Attento di non lasciarsi nulla indietro, Levi corse fino alla sua vittima, solo per rimanere confuso dall'espressione di Eren, quando lo raggiunse.

Inizialmente, non vide nulla.

Tutto quello che registrò fu uno strano mormorio nella sua testa, nel vedere la neve intoccata. L'albero occasionale catturò i suoi occhi, quando si guardò attorno. Il Sole lo accecò momentaneamente.

Poi, tutto apparì.

Iniziò col sangue, che macchiava il bianco intoccato della neve. Un rosso così scuro che era quasi surrealmente bello, nel suo contrasto con i suoi stivali neri. Eppure, l'immagine davanti a lui era come sfocata.

Non c'erano corna, ma solo delle ciocche bionde.

Nessuna pelliccia, ma solo un cappotto e un paio di jeans.

Nessuno zoccolo, ma solo un paio di scarpe da ginnastica.

Lucidi occhi blu guardavano il cielo, senza vederlo realmente.

Nonostante avrebbe dovuto farsi numerose domande, nella sua testa regnava il silenzio. Perse la capacità di fare qualsiasi cosa.

Eren si accucciò lentamente a terra, evitando la neve macchiata di sangue. Alzò le mani, allontanando il cappotto dal corpo a terra solo per rivelare altro sangue che macchiava la felpa sotto di esso.

C'era un buco nel suo petto, proprio sopra il cuore.

Eren coprì la ferita fatale e fece attenzione a mantenere un'espressione neutra, quando alzò il viso verso Levi. Con le labbra premute in una linea sottile, scosse la testa.

La scena si allontanò, facendosi sempre più lontana, fino a quando si rese conto di essere lui ad allontanarsi, facendo un passo dopo l'altro, come se potesse correre - veloce - lontano da ciò che aveva compiuto.

Appoggiando il fucile a terra si portò una mano a coprirsi la bocca. Nuovamente le sue mani gli parvero umide e non era altro che colpa sua.

Era davvero colpa sua e non c'era nulla che potesse fare, ormai.

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