Il Canto della Guerra di Sinnheim (/viewuser.php?uid=132828)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chiamata Alle Armi ***
Capitolo 2: *** Assedio ***
Capitolo 3: *** Il Peccato Originale ***
Capitolo 4: *** Le Ferite della Mente ***
Capitolo 5: *** Gioco D'Azzardo ***
Capitolo 6: *** Abbracciare L'Oscurità ***
Capitolo 7: *** Fiamme Sporche ***
Capitolo 8: *** Ricorda Chi Sei ***
Capitolo 9: *** L'Arte della Guerra ***
Capitolo 10: *** Vittoria Amara ***
Capitolo 1 *** Chiamata Alle Armi ***
CAPITOLO 1:
CHIAMATA ALLE ARMI
Non so
davvero perché io lo stia facendo, non mi sembra una buona
idea.
Comunque.
Anche se la mia riluttanza e la mia perplessità mi spingono
a lasciare perdere
e mandare tutto a quel paese, beh, eccomi qui, con il naso chino su
questo
diario pronta a scoperchiare il vaso di Pandora.
Sono una
professoressa di Alfea da molto tempo ormai ma, nonostante il clamore
che
quell'evento portò in tutto l'Universo Magico, molte delle
mie allieve non
conoscono la storia o, almeno, non nel dettaglio. Io, francamente
parlando, ne
sono molto contenta: non conoscendo nulla di questa faccenda nessuno fa
domande
e, qualche volta, mi dimentico perfino che quella tragedia sia avvenuta
davvero. Spiegandolo in altri termini, è come quando ti
svegli da un lungo
sonno e non distingui più la realtà dal sogno che
stavi facendo, ti chiedi 'ma
è successo davvero?'.
La preside
Faragonda, però, è di tutt'altro avviso: lei
pensa fortemente che mi farebbe
molto bene scrivere dell'accaduto su un diario e far conoscere la mia
storia
alle allieve, sia per liberare il dolore che ho nel cuore, sia
perché questa è
una storia che deve essere raccontata per il bene futuro.
Lo trovo
un tantino esagerato ma, considerato lo stato fisico e mentale in cui
mi trovo
in questo momento e considerate le azioni che ho compiuto, sono
l’ultima
persona nell’Universo che può dire cosa
è giusto e cosa è sbagliato.
Inizialmente non volli nemmeno parlarne, era impensabile per me
scrivere su
qualcosa di così orribile e oscuro, qualcosa che dovrebbe
essere sepolto per
sempre e dimenticato.
Con il
senno di poi, ho capito che, forse, potrei almeno provare a fare questa
follia,
dopotutto mi fido ciecamente della preside, non mi consiglierebbe mai
di fare qualcosa
che possa farmi del male… non dopo quella volta, almeno.
Quindi...
va bene. Però, ci tengo a dire che non prometto nulla a chi
leggerà questa
storia: questo scritto non è pensato per essere accurato o
perfetto dal punto
di vista tecnico, seguirò unicamente i miei pensieri. Credo
che, alla fine, sia
questo l'obiettivo, no? Aprirmi e far fluire il dolore attraverso le
parole.
Anche se
è
passato tanto tempo, l'orrore è sempre lì, in
agguato nel mio cuore: mi tende
imboscate, mi dà la caccia continuamente avvelenando la mia
mente, non
lasciandomi mai tregua.
Devo
trovare una via di fuga da tutto questo, devo riuscire a scappare. Sono
spezzata
fuori e dentro senza possibilità di guarigione, non posso
certo pretendere di
trovare la pace che tanto desidero, ma... beh, questo è un
inizio per costruire
qualcosa. Spero di farcela, davvero.
Questo inferno,
solo così posso definirlo, accadde ormai cinque anni fa.
Così pochi, eppure
sembra un'altra vita. A pensarci bene, effettivamente, lo era: un altro
mondo,
un'altra me stessa. Comunque, era una giornata come tante altre su
Domino,
calda e soleggiata.
Io, Daphne
e le Winx tornammo sui nostri pianeti per le vacanze estive, il nostro
lavoro
di insegnanti era momentaneamente finito. I giorni passavano sereni, e
io avevo
finalmente la possibilità di approfondire la conoscenza di
mia sorella; non era
passato poi molto tempo da quando spezzammo la sua maledizione
permettendole di
riottenere un corpo fisico, con tutti gli impegni ad Alfea, poi, e con
la
vicenda degli animali magici, non abbiamo avuto modo di stare insieme.
Adoravo e
adoro tutt’ora condividere la mia vita con lei: essendo
cresciuta come figlia
unica a Gardenia, non avevo mai potuto sperimentare cosa si provasse a
vivere
con qualcuno che possedeva il tuo stesso sangue, magari anche il tuo
stesso
carattere e i tuoi stessi tratti somatici. Certo, non siamo sorelle
proprio
identiche, io ho i capelli rossi e gli occhi azzurri mentre lei
è bionda con
gli occhi castani, ma il nostro viso, le nostre espressioni, i nostri
sguardi... siamo due gocce d'acqua, l'immagine speculare dello stesso
drago.
Le ragazze
del Winx Club sono senza dubbio come sorelle per me e, in parte, mi
hanno fatto
percepire le stesse cose, ma con Daphne è diverso in un modo
che non so
descrivere. Sacrificò la sua vita per salvarmi, fu l'ultimo
baluardo di difesa
di Domino e non ci pensò due volte ad affrontare le Streghe
Antenate pur
sapendo che stava combattendo una battaglia persa. È grazie
al suo coraggio se
io, oggi, sono qui, ma a che prezzo.
Onestamente,
penso di non aver mai vissuto un periodo di pace più
spensierato di quello: i
nostri genitori riuscivano sempre a trovare il tempo per stare con noi
nonostante i loro impegni, Sky e Thoren venivano a trovarci ogni volta
che
potevano. Stavo vivendo il mio sogno, avevo ottenuto tutto
ciò che desideravo,
con sudore e lacrime.
Quel
giorno, io e Daphne stavamo passeggiando nel parco del castello; tutte
le
piante erano in fiore, profumi dolci impregnavano l'aria rendendola
quasi di
miele mentre, davanti a noi, una distesa di colori sgargianti ci donava
l'illusione di camminare su di un arcobaleno brillante.
Eravamo
tornate
a casa da circa una settimana; io e mia sorella non avevamo fatto altro
che
parlare delle cose più banali, per ore e ore, senza
stancarci mai l'una
dell'altra, mentre i nostri genitori, invece, trascorrevano molto tempo
nella
sala riunioni del castello: pensavamo che stessero lavorando su
questioni
diplomatiche importanti, anche perché non possono per legge
far trapelare ad
esterni le decisioni interne del regno, neanche a noi che siamo le
principesse.
Le precauzioni per evitare fughe di notizie sono molto rigide qui su
Domino.
Consce di
tutto ciò, rimanemmo perplesse quando una delle guardie
reali si avvicinò per
comunicarci che il re ci aspettava in quel salone, così
misterioso e off
limits; se ci stavano permettendo di entrare lì dentro,
forse era successo
qualcosa di anomalo dallo standard, mettendomi parecchia ansia. Daphne,
forse
presa dagli stessi pensieri, intuì subito il mio stato
d'animo e cercò di
rassicurarmi con parole dolci e stringendomi la mano.
«Vedrai
che non è niente, forse vogliono solo un
confronto».
«Sarà…
sono diventata sospettosa in tutti questi anni» le risposi
amara, lei
sghignazzò complice.
«Come
darti torto, sorellina».
Camminammo
titubanti fino al castello. La struttura è del tutto simile
a quelli medievali
della Terra, segno che, più o meno, tutti i mondi
dell’Universo conosciuto
avevano attraversato periodi storici simili. Certo, la forma e i
materiali sono
piuttosto eccentrici rispetto a quelli che ho studiato sui libri a
Gardenia, ma
il mondo magico è bello perché vario, suppongo.
Fu un
lungo tragitto, viste le dimensioni complessive sia del castello, sia
del
giardino che lo circonda, ma raggiungemmo relativamente presto quel
portone
massiccio decorato con draghi dorati; spingemmo con forza ed entrammo,
trattenendo il respiro.
Quella che
si presentò davanti a noi fu una scena per niente
rassicurante. L'interno era
un macello, c'erano carte e documenti ovunque sul lunghissimo tavolo al
centro
della stanza, persone che andavano e venivano: sembrava un campo di
battaglia
nonostante il prezioso arredamento e i drappi ricamati alle pareti.
Daphne
rimase congelata sul posto, con le mani dietro la schiena e la faccia
di una
che aveva appena visto qualcuno correre nudo per strada, io non sapevo
nemmeno
dove guardare.
«Ma
che...» esclamai guardando mia sorella con aria smarrita. Lei
non si mosse di
un millimetro.
«Non
chiederlo a me».
In mezzo a
quel casino, scovammo nostro padre chino sul gigantesco tavolo lungo al
centro
della stanza, intento a scarabocchiare cose su delle cartine, non si
era
nemmeno accorto che eravamo entrate.
«Scusat-»
provò a dire Daphne, ma la confusione era assordante,
nessuno ci degnava di uno
sguardo.
«Per
il
Sacro Drago. Ehi, scusate!» urlò allora,
così forte da spaccarmi un timpano.
Tutti si
fermarono di colpo, spaventati, mio padre sobbalzò
letteralmente sulla sedia.
«Ci
hanno
detto di venire qui, che diavolo sta succedendo?» chiesi a
mio padre, stizzita.
Lui aveva
l'aria di non dormire da giorni: delle grosse occhiaie cerchiavano gli
occhi
color nocciola, mentre la barba poco curata copriva la sua smorfia di
tensione.
Si passò una mano tra i capelli castani e si
gettò a peso morto sul prezioso
mobilio.
«Sì,
eccovi
qua. Avrei preferito che ci fosse stata anche vostra madre, ma
è in missione
diplomatica. Quindi... beh, sedetevi».
Ci fece
portare due sedie e ordinò ai suoi collaboratori di
prendersi una pausa,
lasciandoci soli. Sentivo il cuore martellare, era tutto troppo
sbagliato in
quella stanza.
«Papà,
tutto questo mi sta mettendo ansia, ci dobbiamo preoccupare?»
chiese dolcemente
Daphne, ma lui abbassò lo sguardo.
«Andrò
dritto al punto, girarci intorno è inutile. Forse siamo nei
guai».
Mi misi a
giocherellare nervosamente con le mani, cercando inutilmente di
mantenere una
calma che non ho mai avuto in vita mia.
«Che
genere di guai? Io ormai sono una specialista del settore»
feci per
sdrammatizzare, lui abbozzò un sorriso ma tornò
immediatamente serio.
«È
stato
un anno complicato. Mentre voi vi dedicavate all'insegnamento, sono
accaduti
degli eventi sospetti. Non abbiamo ritenuto necessario il vostro
intervento,
anche perché non avevamo nemmeno la certezza che il problema
fosse reale.
Domino, Eraklyon e la preside Griffin hanno quindi iniziato a fare
ricerche in
gran segreto per un anno intero, fino ad oggi. Detesto ammetterlo, ma
la
conclusione a cui siamo arrivati è che la minaccia
è autentica».
Daphne
sospirò forte, inarcò la testa all'indietro e
chiuse gli occhi, cercando di calmarsi.
Io, al contrario, sentivo il fuoco nel sangue: paura, ansia, terrore di
perdere
tutto, veleni così micidiali per la mente da impedire al
cervello di trovare
una qualsiasi soluzione. Mia sorella si massaggiò le tempie,
chissà a quante
cose stava pensando contemporaneamente. È sempre stata
un'attenta pensatrice,
mentre io, beh, sono più un tipo d’azione.
«...ok.
Di
cosa stiamo parlando, quindi?»
La voce di
Daphne era un misto di freddezza e nervosismo, mi fece rabbrividire.
Papà prese
un profondo respiro e iniziò ad esporre la situazione.
«Da
un
anno a questa parte, molte streghe hanno iniziato a percepire masse
energetiche
oscure estremamente elevate, sparpagliate un po’ ovunque
nell’Universo. Prima
piccole, poi sempre più grandi, sembravano espandersi.
Abbiamo mantenuto la
questione nel massimo riserbo possibile per non creare allarmismi ma,
diavolo,
questa ‘cosa’ non fa che aumentare giorno dopo
giorno».
A quel
punto, iniziai a sudare freddo come raramente era successo: era il mio
stesso
cervello che si rifiutava di accettarlo.
«La
Griffin che dice?» chiesi con voce rauca. Doveva esserci per
forza una
soluzione, doveva…
«Sta
tracciando queste fonti una dopo l'altra per poterne studiare la
natura, lavora
praticamente giorno e notte. Lei pensa che... insomma...»
rantolò torturandosi
le mani, sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro,
«queste tracce
energetiche siano molto simili a quelle delle Tre Antenate. La Griffin
non può ancora
averne la certezza assoluta, ma-»
«Le
Trix
sono libere» sentenziai come una condanna. Il loro nome
echeggiò nella sala
vuota come una bestemmia contro le divinità.
«È
possibile,
ma non avevano mai ottenuto un potere così grande e
primordiale. Stiamo
parlando di potenze che appartengono a qualcosa di antico, come la
Fiamma del
Drago».
Daphne
rimase in silenzio per un po' con lo sguardo fisso sul tavolo,
riflettendo
attentamente sul da farsi; dopo qualche minuto scosse la testa, come
per
accantonare un’idea che si era fatta.
«Non
importa cos'è, importa fermarlo. Se si tratta delle Trix,
dobbiamo scoprire
come hanno fatto a liberarsi da quel luogo maledetto in cui le abbiamo
gettate
e poi rispedirle al mittente.»
C'era una
furia glaciale nelle sue parole, non avevo idea di questo suo lato
così oscuro.
Suppongo sia normale, dopo tutto quello che ha dovuto subire per colpa
loro.
«Sì,
è
esattamente quello che vogliamo fare. Stavolta non vi lasceremo sole a
combattere. Voglio spazzarle via una volta per tutte, per questo motivo
sto
radunando tutte le forze di cui dispongo. Eraklyon, i Paladini, la
Compagnia
della Luce, voi Winx, gli Specialisti, tutti. Nei prossimi giorni ci
raduneremo
qui con tutte le informazioni di cui disponiamo, prepareremo un piano
d’azione e
distruggeremo questa cosa, qualunque essa sia. Voglio un attacco
congiunto,
spietato, questa volta non avranno la meglio».
Strinsi
forte la mano di mia sorella, mi resi conto solo dopo di quanto fosse
sudata. Non
avevo certo paura di combattere di nuovo, questo mai, ma in tutti
quegli anni qualcosa
era cambiato eccome: avevo ottenuto faticosamente tutto ciò
che avevo
desiderato e, questo, mi avrebbe penalizzata tantissimo in battaglia.
Se c'era
una cosa che sapevo per certo, era che le Trix avrebbero distrutto
tutto ciò
che amavo pur di ferirmi e indebolirmi, e… non dovevo
assolutamente
permetterlo.
Passarono
due giorni di tensione. Potevo percepire il nervosismo liberarsi
nell'aria,
l'atmosfera diventò pesante e fredda. La compagnia delle
ragazze e dei ragazzi
sciolse un poco la paura che serpeggiava tra di noi: in qualche modo,
l'agitazione
pre-guerra diventò un fastidioso prurito sulla pelle.
Nonostante ciò, ero
perfettamente consapevole che gli animi erano infuocati, il timore del
conflitto si sentiva nitidamente in ognuno di loro, e come biasimarli.
Domino era
improvvisamente diventata la casa degli esseri più potenti
dell'Universo
Magico. Devo ammetterlo, il tutto aveva un che di epico, quasi era
eccitante il
brio del combattimento imminente.
Il terzo
giorno arrivarono anche i presidi di Torrenuvola, Alfea e Fonterossa:
finalmente, lo schieramento era completo. Ci sistemammo nella sala del
trono e
iniziammo a fare il punto della situazione; in quattro ore di
discussione si è
ipotizzato di magia nera, dell'uso di artefatti magici, di rune, di
magie
proibite e un'altra infinità di cose.
«Non
arriveremo mai a niente così» sbuffò
Flora alle altre, le quali concordarono
pienamente.
Dal canto
mio, stavo davvero iniziando ad innervosirmi, e questo Daphne lo
notò.
«Sorellina,
vedi di stare calma o qui finisce male. Abbi pazienza».
Oh,
sì.
Certo. Lo sanno anche i sassi che Bloom e pazienza non possono essere
messe
insieme nella stessa frase. Nel frastuono del chiacchiericcio, la
preside
Griffin iniziò a sentirsi poco bene, diventò
molto pallida, cioè, più del
solito, almeno. Tutti fermarono il loro vociare, con enorme sollievo
delle mie
orecchie.
Ricordo la
sua espressione come se fosse ieri: il terrore puro, di chi aveva visto
la
morte in faccia e non poteva far niente per evitarla. Con voce flebile
disse
solo una cosa, una sola frase che ci congelò tutti sul posto.
«È
qui. La
massa di energia oscura... è qui».
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Capitolo 2 *** Assedio ***
CAPITOLO 2:
ASSEDIO
Un silenzio
glaciale calò nella sala riunioni: perfino i quadri dei
precedenti sovrani di
Domino attaccati alle pareti parvero trattenere il fiato. Tutti
rimasero
immobili, con le orecchie ben aperte e i nervi tesi, mani sulle armi,
cuori in
fiamme per l'attesa.
«Griffin,
sei assolutamente sicura di quello che dici?» chiese mio
padre con tono grave, di
chi è stato braccato nella tana del lupo.
«Io
non
riesco a capire, non riesco nemmeno a concepire come sia possibile,
questa
massa di energia è qui tra noi, la sento
nitidamente».
Credo che
non scorderò mai l'espressione di mia sorella in quel
momento, così amara e senza
speranza. Un déjà-vu terribile le stava
straziando il cuore: potevo quasi
vedere nei suoi occhi le streghe che attaccavano Domino, che le
strappavano via
la vita, che distruggevano la nostra casa.
Non osai
nemmeno immaginare il terrore che stava provando, così mi
limitai a stringerle
la mano e riportarla alla realtà, lontano da quei mostri del
passato: non avrei
mai pensato che quel presente fosse un inferno ben peggiore.
«Diavolo.
D'accordo, tutti pronti a difendervi!» urlò mio
padre con veemenza.
Le guardie
reali arrivarono in gran fretta, posizionandosi davanti le entrate e le
finestre con le armi sguainate, mentre noi, al centro della stanza, ci
preparammo a combattere.
«Rimanete
tutti nel castello! È protetto da una forte e antica magia:
fin quando non
capiamo che cosa stiamo affrontando, non correremo nessun rischio
inutile!»
La voce
del re era tonante e autoritaria. Annuimmo tutti e restammo in attesa
di qualunque
cosa, immagino.
La
Griffin, nel frattempo, non si dava pace: fredda e calcolatrice, non
aveva mai
sbagliato niente nelle sue ricerche in anni di servizio. A ogni domanda
trova
sempre risposta, più è contorto e oscuro il
problema, più ci si appassiona.
Eppure, quella volta, tutti i suoi sforzi e tutto il suo acume vennero
annientati come niente, non poteva sopportare il fallimento.
«È
colpa
mia, tutto questo è colpa mia, non ho previsto, non sono
stata abbastanza
attenta...» mugolò la strega torturandosi la
mente. Si teneva la testa con le
mani come per reggere un peso insostenibile.
«Amica
mia, ora basta, sei troppo dura con te stessa! Hai fatto tutto quello
che
potevi!» cercò di consolarla Faragonda
accarezzando la sua spalla con tocco
gentile, ma la dura preside di Torrenuvola non poteva perdonarsi e, per
qualche
tempo, non la perdonai nemmeno io.
Ero troppo
annebbiata dalla rabbia per poter essere tollerante. La Griffin ha
indubbiamente sbagliato nel corso della sua vita, ma la comprensione
dovrebbe
essere una qualità fondamentale per le fate.
Già... le fate…
Passarono
i minuti. Se è vero che il tempo è relativo, dal
mio punto di vista sembrarono
ore. Non volava una mosca, potevo sentire il cuore martellante di
ognuno dei
presenti, il filo delle spade che sfiorava il fodero, ho pensato di
impazzire
diverse volte. A spezzare il silenzio ci pensò la preside di
Torrenuvola che,
dopo un terribile rimuginare, era finalmente arrivata all'epifania.
Inutile
dirlo, ci spaventò tutti a morte.
«Ma
certo!»
esclamò battendo il pugno sul tavolo.
«Griffin,
ma ti pare il modo?!» urlò Saladin, ormai
diventato un fascio di tendini e nervi
dalla forma umana.
«Scusatemi
tutti, ma ci sono arrivata! Tutte le altre fonti energetiche erano solo
una
trappola! Avevo ipotizzato che non avessero nessun senso: erano troppo
scollegate tra loro, uno specchio per le allodole. Ora siamo qui,
intrappolati
tutti nello stesso punto, troppo intenti a concentrarci su quelle
tracce
lontane per rivolgere l'attenzione su ciò che avevamo sotto
il nostro naso.
Acuto, mossa molta astuta...»
La strega
iniziò a camminare avanti e indietro per la sala, nervosa.
«È
perfettamente
plausibile, ma chi farebbe una cosa del genere? E per quale
scopo?» domandò
Flora. Daphne si irrigidì ancora di più e le
rispose durissima.
«Qualcuno
che vuole vendetta. Celando il proprio potere e agendo indisturbato,
tale
essere potrebbe aver fatto qualunque cosa e noi non ne siamo al
corrente.
Potremmo essere già tutti morti, per quanto ne
sappiamo».
Sky
cercò
immediatamente il mio sguardo, non sapeva cosa fare né cosa
pensare; Thoren,
invece, si alzò di scatto dal suo posto, bianco in volto.
«Amore
mio, non credi di esagerare? Insomma, non siamo nemmeno
sicur-»
Un boato
gigantesco fece tremare la terra all'improvviso, tanto che cademmo
tutti al
suolo come frutti maturi. Cercai immediatamente Daphne con le mani e,
una volta
individuata, la avvolsi tra le mie braccia per proteggerla dai detriti
che
cadevano dal soffitto. Le guardie si rimisero in posizione subito,
mentre noi
facevamo fatica ad alzarci; quella stanza si riempì di
grida, non si capiva
nulla di quello che mio padre stava dicendo, era il caos più
assoluto.
Volevo
rimettermi in piedi e urlare, urlare più forte di tutti per
farmi ascoltare e per
riportare un minimo di ordine, quando si fece buio. Piombò
di nuovo un silenzio
glaciale; i nostri respiri affannosi facevano fin troppo rumore, era
così denso
che potevo quasi vederlo.
“È…
calata
la notte?” pensai tremando, una goccia di sudore freddo mi
segnò la guancia.
Con
estrema cautela ci avvicinammo alle finestre per capire cosa diavolo
stesse
succedendo, pronti a reagire a tutto. Buttai l'occhio furtivamente
fuori dalle
vetrate: tutto era di un nero così cupo da dar fastidio alla
vista. Sbirciai
per qualche secondo, incapace di comprendere, poi mi resi conto: quella
massa
si muoveva e stava ricoprendo tutto il castello.
Stavo per
chiamare mio padre, quando le finestre esplosero davanti a noi, come se
stessero venendo compresse. I muri cominciarono a sgretolarsi,
così come le strutture
in marmo color pastello: quella cosa ci stava letteralmente
stritolando. Le
schegge mi tagliarono superficialmente le braccia con le quali mi ero
protetta,
ero illesa ma sanguinavo parecchio. Sky corse immediatamente verso di
me con
gli occhi pieni di terrore, era disperato.
«Sto
bene,
non ti preoccupare!»
Mi
aiutò
ad alzarmi quando, alta e terribilmente forte, una voce
echeggiò per tutta la
struttura.
«Sono
Marion, regina di Domino ed ex custode della Fiamma del Drago. In mio
nome, vi
ordino di uscire dal castello con le mani ben in vista, o morirete
tutti».
Il tono di
mia madre era così innaturale: era rotto dalla sofferenza ma
fermo, come una
roccia. Mi rifiutai categoricamente anche solo di ipotizzare che fosse
coinvolta in quella follia, doveva esserci qualcosa sotto per forza.
«Amore
mio, cosa stai facendo?» sussurrò spezzato mio
padre. Daphne era diventata un
blocco di ghiaccio.
Ci
guardammo tutti con aria affranta, non avevamo molta scelta. A denti
stretti e
con il cuore gonfio di terrore uscimmo uno dopo l'altro, con le mani in
alto,
disarmati e vulnerabili.
Ironia
della sorte, i predatori divennero le prede. Una volta fuori, fummo
investiti
dalla luce del sole e potemmo vedere l'orribile realtà che
ci aspettava: una
massa abnorme, nera come la pece e dalla forma tentacolare si era
avvolta
intorno al castello sbriciolandolo con furia, come un mostro degli
abissi che
affonda la nave.
Tremammo
tutti come foglie: le difese magiche furono violate con una
facilità
disarmante. Avanzammo lentamente fino al cortile antecedente le porte
della
nostra casa e finalmente scoprimmo la verità: mia madre, la
regina Marion, era
lì davanti a noi, a mezz'aria, stritolata dagli stessi
tentacoli neri che
stavano distruggendo il castello.
«Mamma!»
urlai
a gran voce, lei mi guardò in lacrime.
«Perdonatemi,
vi prego... vi avrebbero uccisi tutti se non vi avessi attirato
fuori...»
«Chi?
Dicci chi!»
«Noi».
Come
fantasmi, dal nulla apparvero tre figure incappucciate. La loro
presenza era
opprimente, mi spezzava il fiato. Senza dire una parola, i tentacoli
neri ci
catturarono tanto rapidamente che non potei nemmeno vederne
l'evocazione;
eravamo tutti ancorati a terra e in trappola, mia madre venne portata
vicino al
resto del gruppo.
Sembrava un
vero e proprio campo di esecuzione. Il mio spirito battagliero fu
completamente
annientato: sentivo una disperazione che non mi apparteneva, ero
diventata spettatrice
di un corpo che non era più il mio.
Avevano
soffocato il mio fuoco e, con esso, la mia anima. Guardai Daphne: nei
suoi
occhi potevo vedere il puro terrore, ma anche la furia del drago. Del nostro drago. Come sarebbe finita non
potevo saperlo ma, perlomeno, saremmo stati tutti insieme. O meglio,
questa era
la mia speranza. Speranza che morì molto, molto amaramente.
Una voce a
me molto familiare ci intimò di non provare a ribellarci in
nessun modo o saremmo
tutti morti in un istante. Le tre si scoprirono il viso e, come avevamo
immaginato, erano proprio loro: le Trix. Icy iniziò a
parlare con tono calmo,
quasi innaturale per una pazzoide come lei.
«Però,
sono sorpresa. Non credevo potesse funzionare davvero».
«Questo
perché non hai mai fiducia in noi!» rispose Stormy
con voce acida. Darcy
sghignazzava soddisfatta.
«Non
sono
poi brillanti come sembrano, vero?» disse la strega
dell'oscurità.
Rivolse lo
sguardo verso la sua orribile creazione, sorridendo come una bambina.
«Guardate
che spettacolo! Il castello di Domino spezzato come un ramoscello!
Nemmeno le
Streghe Antenate erano state capaci di tanto!»
Icy
scoppiò a ridere come suo solito, sentivo la furia montarmi
in corpo. La
Griffin diventò insofferente davanti a quel teatrino, aveva
sete di conoscenza.
«Come?
Come diavolo avete fatto ad uscire da quel limbo dimenticato dagli
dei?!»
«Domanda
lecita» rispose Darcy. Camminò allegramente
intorno a noi, poi continuò: «Penso
sappiate tutti cosa successe con l'albero del Bene e del Male. Nel
momento in
cui le Streghe Antenate stavano per essere distrutte da voi piccole
fatine,
riuscirono a trasferire un briciolo del loro antico e primordiale
potere dentro
di noi. Dopo che ci gettaste in quel posto maledetto, quel potere
iniziò a
crescere a dismisura, forse influenzato dall'assenza del tempo,
chissà. Crebbe
così tanto che disintegrò le sfere che ci
tenevano prigioniere e riuscimmo a tornare
nella Dimensione Magica!»
Rimanemmo
tutti sconcertati da quelle rivelazioni: ci eravamo scavati la fossa da
soli,
la ruota del karma aveva girato anche per degli esseri orripilanti come
loro.
Quale ironia, vero? Stormy, poi, continuò la storia.
«Le
tre
vecchie volevano usarci come catalizzatori, impossessarsi dei nostri
corpi per
tornare in vita. Ma, sapete, eravamo fin troppo furiose in quella
prigione, una
rabbia che non potete nemmeno sognare. La loro volontà era
troppo debole per
sovrastare la nostra coscienza, così le abbiamo abbindolate
al nostro volere e
ci siamo impadronite completamente del loro potere».
Infine,
Icy si parò proprio davanti a noi con espressione rilassata,
di chi aveva
perfettamente la situazione sotto controllo.
«Abbiamo
acquisito tanti poteri nel corso della nostra vita. Il Sirenix, la
Magia
Selvaggia... tutte abilità che non ci appartenevano,
difficili da utilizzare al
loro massimo potenziale. Nonostante il nostro impegno, non vi abbiamo
sconfitto,
mai. Ora, mie care fatine, è tutto diverso. Quei poteri, i vostri poteri, impallidiscono tutti
davanti a questo. Un potere
antico, così primordiale da poter essere definito selvaggio,
in effetti. Ora
possiamo sentire tutto, energie sia bianche che oscure. E la cosa
divertente
sapete qual è? Ce lo avete donato voi. Forgiato dallo stesso
limbo in cui ci
avete gettato via, come immondizia».
Era
davvero rimorso quello che stavo provando? Pietà?
D'altronde, la prigionia se
l'erano largamente meritata, erano pericolose per tutti, una minaccia
per tutto
l'Universo. Continuò a parlare, ogni sua parola mi feriva
l'udito.
«Per
quanto potenti fossimo diventate, non potevamo di certo affrontarvi
così, a
viso aperto. Siete scarafaggi, ma siete davvero tanti. Eravamo furiose
ma, se
volevamo spuntarla, dovevamo studiare un piano, uno di quelli fatti
bene».
Darcy rise
beffarda, orgogliosa del suo operato.
«Ho
avuto
questa idea malsana. Mi sono chiesta 'chissà se sono
così stupidi da cascarci?’.
Non potevo credere a quello che percepivo: le più grandi
fonti energetiche
dell'Universo che si stavano radunando su Domino! Ho riso
così tanto da farmi
venire il mal di pancia!»
Non avevo
ancora assimilato del tutto quelle informazioni, quando sentii la presa
dei
tentacoli diminuire, fino a lasciarmi libera; mi massaggiai le braccia
doloranti, poi notai che anche Daphne era stata rilasciata. Nemmeno nel
più
terribile dei miei incubi avrei potuto immaginare cosa sarebbe successo
dopo.
Stormy ci
si avvicinò e iniziò a parlare:
«Ascoltatemi bene e nessuno si farà del male. I
vostri compagni sono tutti bloccati con dei tentacoli d'ombra, li
vedete, no?
Fate qualcosa di stupido e io farò passare delle scariche
elettriche così forti
nei loro corpi che non si accorgeranno nemmeno di essere morti, parola
mia».
Io e mia
sorella le guardammo inorridite, tanto era il dolore che ci fu promesso
dalla
strega. Il pensiero di vederli tutti morire era inconcepibile,
così decidemmo
di stare al loro gioco. Beh, in effetti non avevamo nessuna scelta,
erano
diventati loro ostaggi.
«Avete
ottenuto questo teatrino. Brave, ve ne do atto. Adesso, cosa diavolo
volete? Perché
non ci uccidete e basta?» dissi a denti stretti.
Mascheravo
il mio terrore con una finta arroganza che non sortì
l'effetto sperato, tanto
che Icy non cambiò minimamente atteggiamento.
«Siamo
qui
per prendere una cosa che vi appartiene e che ci serve. Certo, potremmo
fare
quel che dobbiamo e andarcene per la nostra strada, ma... non sarebbe
divertente. Ci avete fatto soffrire le pene dell'inferno, non possiamo
certo
andarcene senza aver ripagato il favore. Riusciremo dove le nostre
antenate
fallirono. Prenderemo la Fiamma del Drago».
Io e Daphne
ci guardammo con il gelo nel sangue, quelle parole significavano solo
una cosa:
qualcuno sarebbe morto di sicuro. Eravamo entrambe convinte che ci
avrebbero
ucciso davanti ai nostri compagni, trafugato i nostri poteri e poi si
sarebbero
liberate degli altri.
‘Cosa
poteva esserci di peggio’, pensai. Oh, quanto mi sbagliavo...
Come se ci
avesse letto il pensiero, Darcy fece una smorfia infastidita.
«Oh
no,
no, no, no, non avete capito proprio niente. Noi non alzeremo un dito.
Ci
siederemo qui, a goderci lo spettacolo. Ci serve una sola Fiamma del
Drago, sta
a voi decidere quale prenderemo».
Risero,
risero forte, ma io non sentii assolutamente nulla: intorno a me i
suoni si
fecero ovattati e lontani. Non poteva essere reale quello che stavo
vivendo,
non stava succedendo davvero. Incrociai lo sguardo di Daphne e vidi il
dolore
sconfinato di una donna che aveva appena riassaporato la vita:
abbassò gli
occhi e pianse silenziosamente. Non ci stavo. Non potevo.
«Daphne,
ascoltami! Non posso, non possiamo! Cerchiamo di pensare ad un'altra
soluzione,
io non... ti prego...»
Soffocai i
singhiozzi a fatica mentre cercavo di mettere insieme delle frasi di
senso
compiuto. Lei camminò piano verso di me, mi
accarezzò il viso e sorrise, per
poi abbracciarmi e sussurrarmi poche parole: «Bloom,
sorellina mia. Non abbiamo
scelta, o moriranno tutti. Già una volta ho dato la mia vita
per te, tesoro
mio. Lo rifarei altre mille volte, e lo farò adesso.
Sarà difficile, quasi
impossibile per te, lo so, ma devi trovare la forza di...
uccidermi».
Una furia
incandescente iniziò a divampare nel mio petto: avevo
ritrovato mia sorella da
così poco tempo, non era giusto, non volevo.
«No…
no,
no, ti sei sacrificata già una volta, ora tocca a me! Non
posso, non posso fare
quello che mi chiedi, non posso, è troppo...»
Mi
afferrò
per le spalle con ferrea determinazione e mi guardò con
occhi di fuoco, quegli
stessi occhi che, spesso, ho avuto anche io.
«Mi
strapperei la Fiamma del Drago da sola ma non posso, ok? Quelle
vogliono
vederci combattere a vicenda, se non lo facciamo uccideranno tutti! I
nostri
genitori, i nostri amori, i nostri amici! Se loro muoiono, se tutti noi
moriamo, chi le fermerà? Prenderanno la nostra Fiamma del
Drago e
distruggeranno tutto! Miliardi e miliardi di vite! Davvero vuoi portare
questo
peso sulla coscienza?»
Aveva
ragione. Stava cercando di far leva sul mio senso del dovere in modo
palese ma,
chiamatemi pure egoista, ma io non riuscii comunque a muovere nemmeno
un
muscolo.
«Io
non
posso, Daphne...»
A quel
punto, successe una cosa che non saprei descrivere a parole: lei si
allontanò
da me con un'espressione che mai le avevo visto in volto, quasi folle,
totalmente in balia della disperazione. Si voltò e
caricò due sfere infuocate
in entrambe le mani, pronta ad attaccarmi.
Dopo che
la nostra missione per salvare gli animali magici fu conclusa,
restituimmo il
potere Butterflix e Tynix tornando al Bloomix, quindi i nostri attacchi
erano
potenzialmente letali; anche se non era ancora trasformata, quelle
masse
incandescenti potevano tranquillamente mandarmi all'altro mondo.
«Bloom...
non mi sono sacrificata per poi doverti uccidere. Si vede che questo
è il mio
destino. Il mio posto non è su questa terra».
Sorrise
amaramente mentre pronunciava quelle parole, mi si spezzò il
cuore.
«Combatti,
sorella. Coraggio!»
Senza
lasciarmi il tempo di ribattere mi lasciò una di quelle
sfere, la quale evitai
con facilità.
«Daphne,
smettila!»
Quella,
però, continuò a lasciare i suoi attacchi, senza
cercare di colpirmi veramente:
mi stava provocando, cercava di farmi innervosire per spingermi ad
ingaggiare
il combattimento. Sarà anche passato poco tempo da quando
eravamo di nuovo
insieme, ma è stata in grado di capirmi fin da subito, come
un libro aperto.
Poi…
ah, maledizione...
maledizione.
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Capitolo 3 *** Il Peccato Originale ***
CAPITOLO 3: IL
PECCATO ORIGINALE
Nonostante
il peso della responsabilità sulle spalle, nonostante la
situazione mi
imponesse di fare qualcosa, io non riuscii a farle del male. Scappavo
come un
animale spaventato evitando ogni suo attacco, ogni assalto, ogni
fiammata del
suo immenso potere.
Volevo
ragionare, volevo disperatamente trovare un modo per uscirne fuori
senza dover
uccidere nessuno, ma Daphne non me ne dava il tempo. Lei sapeva
benissimo che,
per obbligarmi a fare una cosa così atroce, non doveva
lasciarmi respiro, non farmi
pensare a cosa era giusto e cosa sbagliato.
Ne avevo
davvero la forza? Era davvero quella la soluzione? Combattere per
prendere la
vita di mia sorella e fornire un bello spettacolo di intrattenimento a
quei tre
esseri immondi?
Lei
è la
ninfa più potente di Magix e uno dei Custodi della Fiamma
del Drago più forti
mai esistiti, anni luce più capace di me, sia in potenza che
in abilità.
Sarebbe stato logico far sopravvivere lei al mio posto, chiunque in
quel
momento non ci avrebbe pensato due volte a mandarmi al macello.
Fu quello
che pensai all'inizio, appena prima di guardarla negli occhi e
comprendere
l’amara verità che si celava dietro quella
decisone: semplicemente, lei non
poteva. Uccidermi avrebbe significato buttare via tutta
la sua esistenza fino a quel momento: ogni scopo, ogni
speranza, obliterare un dolore immenso vissuto per anni per amor mio
come se
non fosse mai esistito.
Perché
proteggere Domino, perché perdere il proprio corpo,
perché venire torturata da
Tritannus, per quale motivo se poi doveva prendere la mia vita? Nel
momento in
cui ebbi la mia epifania, mi abbandonai alla più nera
disperazione, accettando
il mio destino.
E
così, commisi
il peccato più grave di tutti.
«Daphne,
ferma, ferma! Ok, d'accordo,
fermati
un momento, te ne prego!» urlai con quanto più
fiato avevo nei polmoni. Finalmente
ella si fermò.
«Dammi...
dammi un secondo. Dammi solo un secondo Daphne, per favore».
Mia
sorella aveva il fiatone ed era completamente terrorizzata, ma mi fece
un cenno
con la testa e restò in attesa: aveva capito cosa volevo
fare.
Rivolgemmo
lo sguardo ai nostri compagni, ai nostri amici e ai nostri familiari.
Voci assordanti
si libravano nell'aria, così mescolate tra loro da non
capire chi dicesse cosa:
gridavano di non farlo, di non sacrificarci per loro, ci imploravano
con
veemenza. Li guardammo tutti, e non potemmo far altro che sorridere
amaramente.
«Non
posso
sottrarmi ai miei doveri» disse loro Daphne con la voce rotta
dal pianto, per
poi continuare: «Io sono la principessa ereditaria di Domino,
sono la sua Fata
Guardiana. È mio compito proteggervi tutti, compresa la vita
della mia
sorellina. Farò quel che devo. Vi amo».
Abbassai
lo sguardo a denti stretti: il pianto di mia madre mi stava lacerando
l'anima. Icy
fece schioccare la lingua, infastidita dall’ultimo saluto del
sangue del mio
sangue.
«Tutto
questo teatrino mi sta facendo venire la nausea! Iniziate a combattere,
maledizione».
Il cuore
mi si strinse nel petto fin quasi a soffocare. In mezzo a tutti loro,
però, una
persona in particolare mi fece davvero morire dentro: Thoren.
Lui non
disse nulla, non versò nemmeno una lacrima. Tenne gli occhi
fissi a terra tutto
il tempo, poi mi guardò e sussurrò solo una cosa:
«Ti prego, fallo in fretta».
Lui, molto
prima di me, aveva compreso che quella era l'unica conclusione
possibile: mi
stava affidando la vita di sua moglie, di colei che amava
più della sua vita. Si
era rassegnato, Thoren. Come tutti noi era stato annientato e mi stava
chiedendo, per il bene nostro, di avere quel coraggio folle e inumano
che né
lui, né nessun altro aveva.
Le Trix
stavano godendo di una felicità così immensa e
macabra che mi si accapponò la
pelle. Decisi che era ora di agire quando mia madre, con lo sguardo
atterrito e
spento, iniziò a pregare.
«Daphne...
ti voglio bene. Ti voglio tanto di quel bene...»
«Anche
io,
Bloom... anche io».
Mi serve
un minuto, ora. Nonostante questo momento io lo riviva ogni notte nei
miei
incubi, scriverlo di mio pugno è ben tutt'altra cosa. Non so
se... no. Devo
trovare la forza. Devo esorcizzare questo inferno e uccidere i miei
demoni. Ok,
sono pronta.
Ci
trasformammo
con gran foga mettendoci in guardia, il silenzio calò come
un velo invisibile.
«Coraggio,
Bloom. Dimostra di meritare il mio sacrificio».
Fiamme
incandescenti aleggiavano intorno a noi, pronte a colpire. Daphne
iniziò col
lanciare una lingua di fuoco, basilare, ma molto efficace per saggiare
le
abilità di movimento dell'avversario. La evitai facilmente
spostandomi di lato,
e per tutta risposta le scagliai contro una sfera infuocata; lei, con
un
sapiente movimento di busto, riuscì a levarsi dalla linea di
tiro e rimase
illesa. Stavamo entrambe temporeggiando in modo evidente, presto le
Trix ci
avrebbero fatto pressioni.
«Avete
intenzione di giocare o volete combattere? Non ci sta piacendo affatto
quello
che stiamo vedendo!» urlò Stormy stizzita,
agitando la mano nella quale
scintille elettriche stavano iniziando a comparire.
Stavamo
rischiando troppo, lo sapevamo bene… chiusi gli occhi e
forzai la mente a
convincersi con tutta la mia volontà che quella davanti a me
non era mia
sorella ma un nemico, l'ostacolo che mi impediva di salvare le persone
che
amavo.
“Sei
un
nemico... un nemico...”
Percepii
la furia del drago nel mio corpo e la scatenai: mi ricoprii di fiamme
roventi e
mi preparai ad un assalto diretto.
Come al
solito, fui troppo impulsiva e troppo trasportata dalle emozioni per
pensare a
una tattica valida: quella che stavo affrontando era pur sempre una
fata
estremamente potente. Vedendo la mia disperata rabbia e percependo il
mio
immenso dolore, Daphne colse la palla al balzo e fece lo stesso:
smettere di
pensare lucidamente era forse la cosa migliore per non soccombere alla
paura.
Iniziò
una
danza mortale di fuoco luminoso: lanciai una scarica di dardi poco
potente ma
molto veloce, tanto che la mia avversaria dovette proteggersi con una
barriera
magica; sortito l'effetto sperato, approfittai del momento e caricai un
colpo
singolo, molto più forte, per far breccia nella sua difesa.
Daphne
predisse le mie mosse con grande abilità: nel tempo di un
battito di ciglia,
disperse la barriera e si gettò in picchiata verso il basso,
lasciando che la
mia sfera colpisse il terreno e generando una vigorosa vampata
energetica.
Non potevo
competere. Ogni nostra mossa sarebbe risultata falsa agli occhi delle
streghe,
le quali non distoglievano mai lo sguardo nemmeno per un secondo. Se
volevo
avere anche solo una possibilità di sconfiggere Daphne in
modo credibile,
dovevo puntare sulla qualità che più mi
apparteneva: la determinazione.
Mi gettai
in picchiata anche io per non darle respiro. Dovevo braccarla in modo
tale da
spingerla a commettere qualche errore, ma fui bloccata subito: le
fiamme
intorno al corpo di lei stavano diventando sempre più
potenti, sempre più alte,
troppo per poter essere fermate.
Decisi
quindi di attendere e assorbire il colpo micidiale, cavarmela in
qualche modo e
contrattaccare. Non era affatto un buon piano ma, con quella mossa, mi
aveva
presa in contropiede e del tutto impreparata. Un drago di fuoco fece
capolino
da dietro la sua spalla: sembrava nutrirsi dell'energia vitale della
sua
evocatrice, diventando ben presto grande tanto quanto Daphne stessa,
per poi
scagliarmelo contro.
Io e mia
sorella abbiamo incantesimi molto simili, conoscevo perfettamente gli
effetti
di quell'attacco e non dovevo assolutamente farmi prendere: concentrai
le mie
fiamme sulle ali per irrorarle di energia e scappare via,
più veloce che
potevo.
Fui
rapida, sì, ma non abbastanza: il drago riuscì a
braccarmi come un agnellino
indifeso, iniziò a stringermi nelle sue spire soffocando il
mio fuoco e
trovando la mia pelle scoperta. Il dolore fu atroce, qualcosa di
indescrivibile
a parole.
Urlai, oh
quanto urlai: il mio corpo si stava ustionando molto gravemente,
sentivo il
sangue scorrere lungo le braccia e le gambe, ogni movimento
diventò impossibile
e anzi, più mi muovevo e più la presa si faceva
salda.
Cercai di
rinchiudere il dolore il più lontano possibile dalla mia
mente: se io fossi
caduta lì, potevo dire addio a tutto ciò che
amavo. Provai a evocare un mio
drago concentrando le mie energie residue, anche se era di una
difficoltà
estrema. La disperazione collettiva mi diede la spinta necessaria per
riuscire
nella mia impresa.
Pochi
esseri viventi erano in grado di sopravvivere al drago di Daphne ma, in
qualche
modo, il mio riuscì ad allentare la presa delle spire
nemiche e volai via, in
alto. Gemetti in lacrime dal dolore, sanguinando copiosamente dalle
estese
ustioni; in certi punti potevo vedere il tessuto muscolare sotto il
derma
incenerito, il puzzo poi era qualcosa di insopportabile. Rimasi
completamente
inorridita da cosa era stata costretta a fare mia sorella.
Cercai di
riprendere fiato piegata in due dalla sofferenza quando, con la coda
dell'occhio, notai che anche Daphne era duramente provata. Evocare il
famiglio
draconico richiede una quantità di energia enorme e, per
quanto lei possedesse
una riserva magica spaventosa, doveva comunque fare i conti con il
deterioramento causato dalla Fiamma del Drago.
Non era
più tempo di volare, così scendemmo a terra nel
cortile davanti ai nostri
disperati spettatori: eravamo arrivate ai ferri corti, da lì
a poco sarebbe
finita.
Soffocai
le imprecazioni causate dal dolore terribile delle mie ferite: se
volevo
salvare tutti, dovevo assolutamente non lasciarmi sopraffare
dall'orrore che mi
sviscerava lo spirito. Mi costrinsi a rimanere lucida a qualunque
costo. Al
limite delle forze, Daphne si rimise in guardia.
Ragionandoci
meglio, capii perché aveva usato quella tecnica:
solitamente, questo
incantesimo lo riserviamo come ultima risorsa per ribaltare una
situazione
disperata poiché, appunto, consuma quasi del tutto la nostra
energia, va usata
con molta cautela.
Lei decise
di usarlo a inizio battaglia per far finire tutto il più
presto possibile,
donando comunque un bello spettacolo soddisfacente per quelle tre
dannate
bastarde. Certo, rischiò molto con questa tattica visto che
io dovevo
sopravvivere a quell'inferno, non era affatto scontato che io ci
riuscissi.
Comunque sia, fu un azzardo calcolato e davvero ingegnoso.
«Non
ti
farai davvero fermare da un po' di sangue, spero... coraggio Bloom...
è il tuo
momento...»
Faceva una
gran fatica a parlare per quanto era esausta, ma continuò
comunque a recitare
la sua parte. Dal canto mio, invece, ogni volta che sentivo la sua voce
diventavo sempre più restia dal compiere il mio fato.
“Sei
mia
nemica... sei mia nemica...”
Camminai
piano verso di lei, caricando due sfere discretamente potenti nelle mie
mani;
urlai e ne scagliai prima una, poi l'altra, in successione. Daphne era
così
priva di energie che una la colpì in pieno facendola
barcollare indietro,
l'altra la evitò gettandosi a terra. In quel momento,
vedendola così
vulnerabile, vedendo la luce alla fine di quel tunnel degli orrori,
qualcosa di
oscuro prese possesso della mia anima...
Con enorme
sforzo, mi alzai in volo a pochi metri dal suolo per avere una piena
visuale
della mia avversaria ancora distesa e, appena la individuai, le lanciai
contro
svariate lingue di fuoco di bassa energia. Daphne rotolò di
lato e le evitò
tutte ma, nel preciso istante in cui capii dove si sarebbe fermata,
presa da
disperata esasperazione, ne lanciai una addizionale molto, molto
più potente,
causandomi una fitta di dolore lancinante. Quel colpo improvviso che
lei nemmeno
vide partire centrò il bersaglio, scagliandola a molti metri
di distanza.
Esausta,
dolorante e terrorizzata, tornai a terra e mi avvicinai a lei piano,
barcollando e caracollante. Quando arrivai per accertarmi del suo
stato, vidi
che si era protetta con le braccia nude, senza protezioni magiche di
alcun
tipo, causandole scottature che quasi arrivavano all'osso. Era quindi
così che
il mio peccato sarebbe stato commesso? Mi inginocchiai accanto a lei,
le
lacrime si mischiavano al sangue sul mio volto.
«È
finita,
Bloom... ho perso».
«Sei
tu
che hai voluto perdere. Non sarò mai alla tua
altezza» le risposi a denti stretti.
Lei rise, nonostante lo strazio che stava provando.
«Qui
non
posso che darti ragione, sorellina... ascoltami bene, tesoro mio. Odio
usare la
violenza, ma... quelle tre lì... le devi sconfiggere,
chiaro?»
Annuii con
la testa, abbattuta nello spirito e nel corpo. Mi alzai tremando e mi
voltai a
guardare tutti, sperando di trovare il coraggio. Ignorai completamente
le Trix
che mi incitavano ad uccidere mia sorella, il mio sguardo
andò verso i miei genitori,
le Winx, Sky, Thoren. Non dicevano niente, non mi giudicavano, vidi
solo
l'amarezza nei loro occhi. Si sentivano in colpa? Probabile. Ormai non
potevo
più tornare indietro.
«Bloom...
coraggio...»
La guardai
con tutta la pietà e l'amore del mondo, per gli dei, cosa
stavo facendo...
Accumulai
le ultime energie e creai una piccola sfera rossa nella mia mano
destra, non
molto potente, ma era abbastanza per compiere quel che dovevo.
Mi misi
sopra di lei, delicatamente. Piansi, piansi così tanto da
non ricordare nemmeno
quanto tempo rimasi lì, a liberare tutte le mie lacrime.
Urlai, urlai come un
demone, una follia nera prese possesso del mio braccio, e…
calai la mano.
Non mi
resi conto di ciò che mi accadde intorno: sentii gocce di
sangue caldo finire
sul mio viso, percepii la mia mano che toccava la carne devastata del
petto di
mia sorella, potevo avvertire chiaramente il suo cuore smettere di
battere
sotto di essa.
Il suo
torace ebbe uno spasmo: tossì una grande quantità
di sangue, i suoi occhi
puntarono verso il cielo ed esalò il suo ultimo respiro. La
fissai per quella
che sembrò un'eternità, una frazione di secondo
immobile in cui tutto era
congelato. Poi, finalmente, la mia coscienza riprese a fluire nel mare
del
tempo.
Si fanno
tanti pensieri strani al culmine della propria follia, come se il
cervello si
rifiutasse di computare quello che aveva appena ordinato al corpo di
fare; in
quel momento mi tornò in mente di quando Aisha perse la
vista, la invidiai
moltissimo.
Avrei
dato
qualunque cosa per sprofondare nel buio più totale e non
dover più vedere
l'orrore che avevo generato.
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Capitolo 4 *** Le Ferite della Mente ***
CAPITOLO 4: LE
FERITE DELLA MENTE
Improvvisamente,
tutto diventò molto confuso. Non mi rendevo minimamente
conto di ciò che avevo
intorno, delle urla, delle risate isteriche, niente di niente.
Eravamo
solo io e Daphne, lì, in un paesaggio cremisi. I miei occhi
non si staccavano
da lei, dal suo volto immobile, dalla ferita mortale che le avevo
inferto, dal
sangue che mi lordava le mani, tanto, tantissimo sangue.
Rimasi
pietrificata in quello stato per alcuni attimi di infinito, perfino i
miei
pensieri erano congelati nella mia mente, come se fossi diventata
incapace di
avere libero arbitrio su di essi. Infine, come un fiume che riprende a
scorrere
nel suo letto, qualcosa nel mio stato catatonico si mosse: un passo
incerto
dopo l'altro, iniziai a indietreggiare tremante, come se quella davanti
a me
fosse un animale feroce e non mia sorella. Avevo la sensazione di
vivere le
riprese di una pellicola.
Finalmente
tornai completamente lucida, e… urlai. Urlai e urlai e
urlai, senza sosta,
sempre più forte, fino a farmi male la gola, fissando il
sangue, fissando le
mie mani, fissando il suo corpo, piangendo come non avevo mai pianto
prima.
Rivolsi la mia disperazione al cielo, pregai che qualche
divinità sentisse le
mie grida e mi restituisse Daphne, ma ottenni solo silenzio. Continuai
a
dilaniarmi i polmoni, finché diventò tutto buio.
Mi hanno
raccontato che, dopo essere svenuta, le Trix si avventarono su Daphne
come
avvoltoi, prelevarono la sua Fiamma del Drago e sparirono tra grosse
risate,
così, come erano apparse. Non ho nessuna memoria di
ciò che accadde dopo.
Non mi
hanno spiegato nei dettagli questa parte, ma posso comunque immaginare:
Thoren
che stringe sua moglie a sé, i miei genitori in lacrime, lo
sconcerto generale.
Ripresi conoscenza in camera mia: le tende erano completamente tirate
in modo
tale da non far passare luce, c'era un gran silenzio intorno a me.
Non avevo
la minima idea di quanto tempo fosse passato, tantomeno se quel che
avevo vissuto
era stato solo un sogno. I miei pensieri si mescolavano ai ricordi,
creando
solo caos. Era davvero successo? Era reale tutto quel dolore? Mi
accorsi che
non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. Non ero legata, mi trovavo
solo
sotto le coperte, eppure era come se il mio corpo si rifiutasse di
muoversi.
Come biasimarlo, perfino le mie cellule non potevano tollerare l'orrore
del mio
peccato.
Ero
sveglia ma, allo stesso tempo, non lo ero; fissavo un angolino vuoto
della mia
stanza, lo fissai per tante di quelle ore che potevo identificare ogni
piccola
crepa o poro del muro. Non sentivo nient'altro: c'era solo quella
parete
chiusa.
Percepivo
che, ogni tanto, qualcuno veniva da me e parlava, ma le parole
diventavano
ronzii alle mie orecchie: non mi rendevo conto nemmeno dei giorni che
passavano.
Detto questo, di quel periodo ricordo ben poco: il terribile silenzio
che
regnava sovrano in tutto il castello, i rari pasti che mangiavo solo
per puro
capriccio del mio corpo che, comunque, non voleva soccombere a
sé stesso,
qualche parola detta e niente di più.
Alla fine,
sempre e comunque, il mio sguardo tornava a quell'angolino che tanto mi
faceva
sentire protetta, che mi impediva di pensare a mia sorella, come una
prigione
di pensieri. La mia mente diventò completamente vuota di
qualsivoglia cosa.
Ricordo
vagamente un momento in cui dei dottori mi fecero visita, parlavano di
stress
post-traumatico.
Ricordo un
giorno di pioggia; mia madre non osava toccarmi per paura che reagissi
male, mi
disse che nel pomeriggio ci sarebbero stati i funerali di Daphne.
Ricordo il
rombo di un tuono che scosse i vetri delle finestre, con Thoren vicino
che mi
sussurrava 'non è colpa tua'.
Poi... poi
tutto sparisce. Mi hanno raccontato che vennero tutti a trovarmi: le
ragazze,
Sky, i presidi, ma io non ho memoria di nessuno di loro.
E
così, il
giorno iniziò a mischiarsi alla notte, le settimane
passavano scivolandomi
addosso come acqua fresca, il tempo aveva perso di significato; l'unica
cosa
che mi importava era l'angolino che manteneva la mente vuota e che mi
teneva
prigioniera, il mio nuovo migliore amico.
Andò
avanti così, finché un giorno non
bastò più. I ricordi riaffluirono piano piano
come una carezza gentile, i pensieri ricominciarono a prendere forma e
a
scorrere: finalmente mi svegliai dal mio letargo come una rinascita,
una di
quelle oscure. Rimasi ancora qualche minuto immobile a fissare il mio
compagno
di veglia, poi mi tornarono alla mente le ultime parole di Daphne:
‘Quelle lì, le
devi sconfiggere’.
Dovevo...
sì, dovevo. I miei muscoli erano intorpiditi e atrofizzati
dalla mia lunga
immobilità, tanto che impiegai molto tempo per alzarmi in
piedi. Non ero più
abituata a guardare le cose da quella prospettiva: per un momento, ebbi
l'impressione di muovere di nuovo i primi passi e, forse, non era una
sensazione sbagliata.
Stava
iniziando una nuova vita per me, in qualunque modo si voglia vedere la
storia.
Aprii le tende e il sole mi accecò; mi coprii gli occhi
ormai adattati al buio,
poi sentii l'aria fin troppo fresca accarezzarmi la pelle, insieme al
calore
smorto dei raggi solari.
Guardai
per un po' fuori nel cortile: il luogo dello scontro era stato rimesso
a nuovo.
Qualcosa dentro di me scattò furiosamente: non volevo, non
dovevano coprire
quel che era successo. Io non dovevo dimenticare, nessuno doveva osare
di
farlo.
Strinsi i
pugni sulla balaustra e digrignai i denti: avevo fatto una promessa
tinta di
rosso, avrei reso il favore alle Trix con lo stesso sangue che loro mi
avevano
costretta a versare. Ma da dove iniziare? Non sapevo nemmeno che giorno
o mese
era, figuriamoci pianificare una vendetta così, su due
piedi.
Mi sedetti
pesantemente sul letto e iniziai a riflettere come avrebbe fatto
Daphne. Sicuramente
avrei agito da sola, senza nessuno: avevo deciso di intraprendere una
strada
oscura e piena di odio, dove avrei fatto carte false pur di riuscire
nel mio
intento, non dovevo assolutamente coinvolgerli.
Eravamo
solo io e il mio peccato, non c'era spazio per nessun'altro. Mi resi
conto che
ero carente di informazioni, dovevo essere aggiornata su tutto quello
che era
successo. Era ora di farmi vedere, mio malgrado. Mi vestii, e il mio
occhio
cadde sullo specchio: avevo il viso scavato e pallido, ero dimagrita
tantissimo.
"Se
devo affrontare una follia simile, prima devo rimettermi in forma".
Facevo
davvero fatica a camminare. La servitù del castello mi
fissava come se io fossi
stata un fantasma: avevano ragione, per carità, ma mi diede
davvero molto
fastidio, potevano almeno far finta di niente. Tra un barcollo e
l'altro
arrivai nella sala del trono, dove un Oritel e una Marion profondamente
addolorati sgranarono gli occhi alla vista di quella che, una volta,
era la
loro secondogenita.
«Oh,
santo
cielo... Bloom, tesoro mio...»
La regina
quasi corse verso di me in un mare di lacrime. Fece per abbracciarmi,
ma si
bloccò di colpo quando indietreggiai da lei: non ero
assolutamente pronta per quel
genere di cose. Mia madre non ci diede peso, era troppo felice di
vedermi in
piedi per pensare ad altro. Mio padre, nonostante provasse a darsi un
contegno,
non poté che sfogare anch’egli la sua frustrazione.
«Figlia
mia, temevo di aver perduto anche te...»
Pranzammo
insieme in un silenzio imbarazzante. Mi sforzai di mangiare tutto quel
che riuscivo
a tenere nello stomaco, poi, una volta finito, iniziai a indagare.
«Quanto
tempo è passato?» chiesi andando subito al dunque.
Girarci intorno sarebbe
stato doloroso e basta.
«Amore...
non te lo ricordi? Sono passati quattro mesi, ormai...»
Quattro
mesi passati a fissare l'angolino della mia stanza e non sentirli
minimamente
addosso, ero davvero grave.
«Ah»
fu
tutto ciò che riuscii a dire.
«I
presidi
e le ragazze sono tornati alle loro scuole, non ricordi nemmeno
questo?» disse
papà con delicatezza.
Scossi la
testa, infastidita da quelle domande inutili che cercavano di rimandare
l’inevitabile.
«Voglio
sapere. Le Trix... voglio sapere tutto quello che avete
scoperto».
«Bloom,
non sei obbligata a-» sussurrò mia madre, ma la
bloccai subito.
«Ditemelo!»
urlai sbattendo violentemente i pugni sul tavolo.
Lei
sobbalzò
sulla sedia, pietrificata nel suo dolore. Mi pentii subito di aver
sbottato in
quel modo, ma io avevo sete di sapere. La mamma non riuscì
più a spiccicare
parola, così parlò mio padre.
«Ok
tesoro,
se è quel che desideri» disse abbassando lo
sguardo, poi si schiarì la voce e
continuò: «In questi quattro mesi, le streghe sono
completamente sparite dalla
circolazione. La Griffin e il suo gruppo di ricerca non percepiscono
più il
loro potere, probabilmente sono nascoste in qualche luogo proibito che
scherma
il loro potere. A Torrenuvola hanno studiato attentamente le vicende
che hanno
portato a… a-a quel giorno: sono quasi certi che, l'assenza
del tempo nel Limbo
dove erano rinchiuse, abbia del tutto spazzato via ogni potere da loro
acquisito, tornando allo stadio originale dei primi anni in cui le
avete combattute.
È come se il Limbo avesse 'assorbito' il tempo delle Trix
facendole regredire,
ma in modo analogo e contrario, esso ha accelerato invece la crescita
del
potere maligno delle streghe antenate, portando Icy, Darcy e Stormy a
quel che
abbiamo visto. È tutto quello che sappiamo, bambina
mia».
Rimasi un
po' sulle mie a riflettere e a metabolizzare il tutto, poi feci la
richiesta
che tanto temevo ma che doveva essere fatta.
«Voglio...
voglio vedere Daphne».
I miei
genitori si guardarono con dolore, ma non dissero nulla: si alzarono
dalle loro
sedie e mi fecero strada in un lungo percorso fatto di silenzio e
rammarico,
come se fosse un mio personalissimo rito funebre. Mi portarono nelle
cripte del
castello, dove i sovrani di Domino dormono per l'eternità.
La trovai
lì, in una teca di cristallo, bellissima come se fosse
ancora viva. Avevano
risanato le ferite per preparare la salma e le avevano messo un vestito
lungo e
meraviglioso, verde come uno smeraldo. Era adagiata su di un letto di
fiori.
Quest'ultimi
dovevano sicuramente essere una scelta di Flora, mentre il gusto
raffinato
dell'abito apparteneva di certo a Stella. Quasi mi venne da sorridere
nell'ammirare
tutta quella magnificenza che mi accarezzava gli occhi.
I miei mi
lasciarono sola, così mi avvicinai al corpo inanimato di mia
sorella e la
fissai per ore, seduta a terra. Non dissi nulla, non pregai e non
versai una
lacrima, stavo iniziando perfino a sentirmi in colpa.
In cuor
mio, però, sapevo che non era quello che Daphne avrebbe
voluto. Mi ha salvata
di nuovo per donarmi un futuro, non per vedermi disperare come uno
spirito
errante.
Ferma in
questa mia convinzione, decisi il prossimo passo da fare: la biblioteca
di
Domino è tra le più grandi dell'Universo Magico,
certo non come quella di
Solaria, ma per fare ricerche sulla Fiamma del Drago non c'era opzione
migliore.
Come in
ogni biblioteca di prestigio che si rispetti, c'è anche la
sezione proibita.
Non importava quanto oscuro e terribile fosse stato, volevo trovare un
sistema
per riportare indietro Daphne. Dovevo almeno provarci.
Passarono
tre ore di insuccessi: avevo completamente ribaltato ogni cosa in
quell'ala,
c'erano volumi dappertutto, un caos terribile. Mi aggiravo tra gli
scaffali
come un demone famelico.
«Maledizione!
Non è possibile! Con tutti gli incantesimi raccapriccianti
che esistono, non
c'è nulla! Un qualcosa del tipo 'fai un cerchio di sangue,
tagliati un braccio,
dì queste parole magiche al contrario e riporta in vita i
morti'. Niente!»
Sbraitai
così per una buona mezz'ora, finché non inciampai
in una pila di libri che
avevo scaraventato per terra nella mia furiosa ricerca, cadendo
rovinosamente.
Mentre mi rialzavo imprecando in modo abbastanza colorito, notai un
luccichio
sotto il cumulo che avevo appena abbattuto, sembrò chiamarmi
a sé con fare
ipnotico. Era molto vecchio e coperto di polvere, ci soffiai sopra e
notai che
la copertina era rivestita di un pregiato velluto rosso fissato ai
bordi con
rifiniture dorate.
«La
stirpe
del Drago: abilità e incantesimi per livelli avanzati. Uh,
figo. Sarei dovuta
venire qui prima».
Iniziai a
sfogliarlo mentre ero ancora seduta sul freddo pavimento. Era pieno di
tecniche
e abilità sviluppate da chi, prima di me, aveva posseduto la
Fiamma del Drago.
Era una lettura che mi stava appassionando da matti, finché
il mio occhio cadde
su un titolo particolare. Il mio cuore iniziò ad accelerare
i battiti, il
respiro si fece così pesante da rendermi difficile anche
parlare.
«Per
gli
dei, non posso crederci…»
A quel
punto, non mi interessava più come sarebbe andata a finire
tutta quella storia:
il mio terribile peccato mi avrebbe tormentato tutta la vita, tanto
valeva
farlo diventare ancora più grande.
Avrei
portato le Trix all'inferno, con o senza di me.
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Capitolo 5 *** Gioco D'Azzardo ***
CAPITOLO 5:
GIOCO D'AZZARDO
Il rituale
in sé era piuttosto semplice: si basava interamente sul
concetto di Fiamma del
Drago come struttura della vita e dell'Universo, per me che sono una
Custode
non mi era difficile da comprendere. Il problema più grande
era ben altro: dovevo
effettuarlo sulla Fiamma di Daphne e, quella, ce l'avevano le tre
streghe
maledette.
Tutto o
niente, questo mi si prospettava per il futuro. Se volevo anche solo
provare a
riportare indietro Daphne attraverso quel rituale, dovevo riprendermi
la sua
Fiamma del Drago, quindi dovevo necessariamente far fuori le Trix.
Avrei
dovuto affrontare tre nemici fuori da ogni portata, da sola, con solo
due
epiloghi alla fine dei giochi: la loro disfatta oppure la mia
dipartita. In
ogni caso, mi sarei sentita comunque vincitrice: avrei espiato il mio
peccato,
in un modo o nell'altro, attraverso la loro o la mia morte.
Così,
con
la furia nel cuore e la follia nell'animo, decisi di darmi un mese di
tempo:
dovevo tornare in salute, affinare i miei poteri ed escogitare un piano
decente
su come annientare le streghe. Non proprio una passeggiata nel parco,
insomma.
I miei
genitori erano assolutamente entusiasti dei miei miglioramenti, tanto
che
volevano dire a tutti la 'buona' notizia sulle mie condizioni. Parte
fondamentale
del mio piano di vendetta era quello di mantenere un profilo basso, di
non
farmi vedere né sentire da nessuno, quindi azzardai una
scusa a cui abboccarono
subito, per fortuna. Almeno, credo di sì? Forse si stavano
solo sforzando di
crederci davvero.
«Mamma,
papà, vorrei che questa cosa non uscisse da qui. Vorrei che
questo abbia almeno
l'illusione di essere una cosa normale. Tornerò ad Alfea il
mese prossimo, come
se non fosse successo nulla. Mi serve... mi serve davvero».
Solitamente,
sono una campionessa nel farmi scoprire quando mento, è come
se un'insegna
luminosa al neon mi spuntasse in fronte con scritto 'bugiarda'. Per il
volere
degli dei, quel giorno andò tutto liscio come l'olio. Che
stress incredibile,
non pensavo che mentire ai propri genitori fosse così dura.
Comunque,
i giorni passarono in fretta e tutti pressoché uguali:
mangiavo tutto quello
che riuscivo a tenere nello stomaco, facevo tanta ginnastica e, nel
tempo
libero, leggevo il tomo che avevo trovato in biblioteca, tenendolo
ovviamente
nascosto per evitare rogne di qualunque tipo. Non ci vuole un genio per
fare
due più due se trovi tua figlia che studia un libro nel
quale si spiega come
riportare indietro i Custodi morti.
Imparare
qualche nuova tecnica non poteva farmi che bene, inoltre fu
lì che trovai
qualcosa di molto interessante che mi permise di escogitare il piano
che volevo
portare a termine: nell'eventualità che ne avessi trovate,
ero in grado di
potenziare il mio potere assorbendo altre fonti di Fiamma del Drago, a
patto
che il mio corpo ne potesse reggere il peso.
Da
lì, mi
venne in mente l'idea più malsana della mia vita. Per quanto
ignobile fosse il
gesto, avevo un disperato bisogno di diventare più forte, molto più forte,
così decisi di fare quel che era necessario fare.
Ormai avevo imboccato la via della distruzione, non potevo tirarmi
indietro.
Dovevo far confezionare delle gemme false, tornare ad Alfea e rubare
quelle
vere contenenti la mia Fiamma del Drago, facendo regredire le ragazze
alla forma
Sirenix.
Già
di per
sé una follia, la questione era più complicata di
quello che si potrebbe
immaginare: nel momento in cui le Winx acquisirono il Bloomix, il mio
potere si
fuse al loro creando una Fiamma del Drago molto più potente
di quella che donai
a loro in principio.
Oltre che
assorbire un potere già esageratamente grande, avrei
assimilato anche un po'
della loro magia natia. Io per di più ero un essere magico
dotato di magia
bianca pienamente formato, sarebbe stato come immettere aria in un
palloncino
già gonfio.
Non ero
affatto sicura di riuscire ad incanalare tutta quella potenza, il mio
corpo
poteva non reggere, anzi, era decisamente molto più
probabile che non l'avrebbe
fatto. Stavo letteralmente scommettendo sulla mia vita. Beh, nessuno
aveva
detto che sarebbe stato facile.
Qualche
giorno prima della partenza, mi guardai attentamente allo specchio:
avevo
ripreso peso, il mio volto non sembrava più quello di uno
zombie ed ero anche
un minimo allenata fisicamente. I capelli, d'altro canto, non andavano
per
niente bene.
In cinque
mesi erano diventati una massa informe vermiglia, non proprio l'ideale
per
qualcuno che doveva passare inosservato. Me li feci tagliare molto
corti
rispetto ai miei standard, arrivavano appena sotto le spalle. Mi
sentivo più
leggera e… strana. Non ero più abituata a sentire
l'aria fresca sul collo, era
abbastanza gradevole.
Arrivò
il
giorno fatidico con una velocità disarmante. I miei mi
accompagnarono fino
all’entrata della grande anticamera del castello salutandomi
entusiasti, mentre
io mi portavo dietro una valigia enorme e un sorriso falsissimo sul
volto;
dissi loro che volevo prendere una navetta civile per Magix invece di
viaggiare
su quella della nostra famiglia, cosicché io potessi
riprendere i contatti con
le persone e riassaporare un minimo di normalità.
Ovviamente,
erano solo un mare di frottole. Non appena tornarono nella sala del
trono,
posta al centro del piano terra e oltre la stanza in cui mi trovavo,
finalmente
potei mollare la recita e tornare nella mia camera di soppiatto.
Non fu
particolarmente difficile: l’ala degli alloggi reale
è situata al primo piano
ovest del castello, per arrivarci si accede direttamente
dall’anticamera
stessa. Inoltre, se qualcuno mi avesse vista andare in quella
direzione, di
certo non avrebbe mai pensato che io stessi nascondendo qualcosa, al
massimo
che avevo dimenticato di prendere delle cose.
Una volta
raggiunto l’obiettivo, abbandonai il bagaglio e presi dal suo
interno uno zaino
contenente le gemme false, mi misi dei jeans comodi, scarpe da
ginnastica, una
felpa nera con cappuccio che mi sarei calata sul viso per non farmi
notare e mi
fermai qualche minuto, contemplando per l’ultima volta la
stanza con tutti i
miei affetti.
Avevo
insistito molto per farla fare simile a quella che avevo ad Alfea,
senza troppi
fronzoli o lussi da principessa, diciamo. Un bel letto grande, pareti
azzurre
che accarezzavano gli occhi e una grande vetrata che permetteva
l’accesso al
balcone, in quale dava proprio sul giardino reale. Semplice, proprio
nel mio
stile.
Sospirai
amara e partii alla volta della fermata aereospaziale. Non avrei preso
la
navetta che indicai ai miei, aspettai infatti qualche ora
più tardi passando il
tempo a leggere il tomo, poi mi imbarcai. Dissi loro che sarei arrivata
a
destinazione di giorno, era fondamentale invece che io arrivassi di
notte, per
non essere vista.
Molti di
voi si staranno chiedendo perché io fossi così
restia dal farmi aiutare dalle
ragazze. La vendetta non mi aveva accecato del tutto: dovevo comunque
pensare
ai pro e ai contro, essere razionale, se volevo spuntarla.
La
risposta è semplice: anche se fossimo andate tutte insieme,
anche se con noi ci
fosse stato un esercito, non ce l'avremmo fatta comunque. Le streghe
avevano
già dato prova di poter gestire tanti avversari e anzi,
potevano sfruttarli a
loro vantaggio. L'unica via efficace era quella che avevo intrapreso,
ovvero un
combattente singolo dotato di enormi poteri, ma le Winx non me lo
avrebbero mai
permesso. Nessuno lo avrebbe fatto.
Quindi,
ecco, sarei stata sola in ogni caso. Mi rilassai sulla mia poltrona,
appoggiai
la testa al finestrino e ascoltai un po' di musica durante il tragitto,
preparandomi mentalmente a quello che dovevo fare. Nei lunghi viaggi
tra Magix
e Domino, io e Daphne condividevamo le cuffiette ascoltando insieme i
brani che
ci piacevano. Per gli dei, mi mancava così tanto.
Dopo tre,
interminabili ore arrivai a destinazione. Come avevo previsto la
città era
deserta, era buio pesto e nessuno mi avrebbe notata mentre mi avviavo a
piedi
verso Alfea. La scuola non era molto distante, dovevo solo stare
attenta ad
occhi indesiderati.
Intravidi
quella che fu la mia casa per molti anni. La scuola di Alfea si
presentava
magnifica come sempre, talmente grande da espandersi su due ali
opposte, dando
l’impressione di voler abbracciare chiunque varcasse la sua
soglia. Il grande
giardino centrale è stato luogo di interminabili sessioni di
studio, nonché di
giornate spensierate passate con le ragazze, mentre tutto intorno si
estende un
bosco a perdita d’occhio.
Quanti bei
ricordi… mi fece un effetto strano entrare tra le sue mura,
sentire i profumi
degli alberi e i versi degli animali: nonostante non fosse passato poi
tutto
quel tempo dall'ultima volta che ci ero stata, in qualche modo sentivo
di non
appartenere più a quei luoghi. Alfea è un
baluardo di protezione per le giovani
fate, le fa sentire al sicuro e serene. Io, invece, mi sentivo
continuamente
esposta e profondamente agitata, eravamo in completa antitesi.
Arrivai
alla porta principale con una certa fretta. In quanto professoressa
possedevo
la chiave, quindi entrai senza nessun problema. Gli alloggi degli
insegnanti
sono situati al primo piano, mentre quelli delle allieve al piano
terra; i
corridoi sono simmetrici ma, visto che le nostre stanze si trovano
nell’ala
est, imboccai il corridoio di sinistra e proseguii verso le scale.
Il
complesso di appartamenti è raggruppato nella stessa zona e
le porte sono
sempre aperte, dovevo solo muovermi il più silenziosamente
possibile. Mi tolsi
le scarpe e applicai un incantesimo che rendeva il mio corpo semi
solido: ero
così leggera da non creare nemmeno spostamenti
d’aria col mio movimento.
Entrai in
ogni stanza in punta di piedi cercando perfino di non respirare. Ci
volle molto
tempo per concludere la mia ricerca, anche perché mi fermavo
qualche minuto a
osservare le mie amiche un'ultima volta per dire loro addio.
D'altronde, potevo
morire da lì a pochi minuti.
Alla fine,
però, riuscii a prendere tutte le gemme e a sostituirle con
quelle false, mi
rinfilai le scarpe e, così come ero venuta, me ne andai con
la tristezza nel
cuore, gonfio di odio e di malinconia.
Mi
rifugiai nella foresta davanti la scuola. Non avevo la più
pallida idea di cosa
sarebbe successo, quindi era meglio stare ben nascosti. Se io avessi
fallito
non lo avrebbe saputo nessuno, sarebbe rimasto solo un corpo morto e
niente di
più. Ripresi fiato e mi rilassai qualche minuto per
distendere i nervi, poi
guardai con timore la refurtiva.
Era
arrivata l'ora. Raccolsi tutto il mio coraggio, presi la gemma di Aisha
tra le
mani e feci come indicava il tomo: chiusi gli occhi, incanalai il mio
potere
nell'oggetto e lo 'agganciai' alla Fiamma del Drago al suo interno. Si
creò
all'istante un legame molto forte e instabile, dovevo agire in fretta.
Raggiunto
quel punto, iniziò il tiro alla fune: tirai, tirai con tutte
le mie forze,
cercando di vincere la resistenza che la Fiamma della mia amica mi
opponeva, ma
alla fine riuscii a portarlo dentro di me, nella mia essenza.
Provai
sensazioni potentissime e contrastanti. Sentire nuova energia che mi
pervadeva
era piacevole, ma c'era altro di più amaro, di
più oscuro: iniziai a percepire
i sentimenti di Aisha, a vedere dei flashback del suo vissuto, alcuni
belli,
alcuni brutti, alcuni devastanti. La sua solitudine su Andros, la morte
di
Nabu, l’omicidio di Daphne.
Lasciai
cadere a terra la gemma ormai vuota e ansimai pesantemente dalla
fatica,
realizzando finalmente a cosa stavo andando incontro: per compiere il
prossimo
passo verso la mia vendetta, dovevo sopportare il dolore fisico e
sperimentare
quello mentale delle mie amiche.
Mi venne
un risolino quasi isterico, di chi davvero aveva perso il lume della
ragione:
niente di tutto quello sarebbe mai stato nemmeno lontanamente
paragonabile al mio di dolore. Era
fin troppo facile… almeno,
era quello che pensavo all'inizio, dall'alto della mia follia.
Continuai
quindi con le altre gemme. Sentii le loro emozioni, vidi le loro
peggiori paure
avverarsi e le feci mie, assimilandone il male. Se dal punto di vista
emotivo
era abbastanza 'facile' digerire il tutto, a livello fisico era
tutt'altra
storia: man mano che andavo avanti, un forte bruciore aumentava
d'intensità nel
mio corpo, facendomi provare la sensazione di stare sull'orlo di
esplodere da
un momento all'altro.
Presi il
mio cellulare dallo zaino e cercai di specchiarmi per vedere cosa
stesse
succedendo: su tutta la mia pelle erano comparse delle piccole venature
vermiglie,
come se fossero lava su un terreno arido, i miei occhi divennero
scarlatti e i
miei capelli di un rosso ancora più acceso.
Mi
spaventai a morte, ma non potevo fermarmi, non più ormai.
Una volta che ebbi
finito, mi accasciai a terra: mi mancava l'aria, il mio cuore batteva
così
velocemente che pensavo sarebbe uscito fuori dal petto, sentivo un
dolore
straziante in ogni cellula del mio corpo.
Il mio
fisico stava decidendo se frantumarsi o se resistere. Arrivò
pigramente il
mattino, le mie condizioni non migliorarono: sentivo che il mio
conflitto
interiore non si stava risolvendo ma anzi, mi stava lacerando. Stavo
morendo
lentamente, dovevo far qualcosa, e in fretta.
Mi
rassegnai agli eventi e decisi che mi sarei adattata nello spirito,
tradendo la
prima regola che mi ero data: non coinvolgere nessuno.
«Faragonda...
devo andare da lei... non ho scelta».
Con fatica
titanica mi rimisi in piedi, presi lo zaino e mi imbacuccai il
più possibile
nella felpa per non farmi riconoscere; le allieve stavano per iniziare
le
lezioni, la scuola sarebbe stata molto animata in quel lasso di tempo.
Camminavo ondeggiando come una foglia mossa dal vento, percossa da
dolori che
mi stroncavano il respiro.
«Forza
Bloom... cammina dritta... stringi i denti».
Sgranai
gli occhi vermigli quando raddrizzai la schiena, una smorfia grottesca
mi
apparse sul viso. Camminai con una rapidità quasi inumana,
mossa dalla più
completa disperazione. Cercavo di ansimare silenziosamente, ma era
quasi
inevitabile non venire scrutata un po' dalle allieve, qualcuna mi
prendeva
anche in giro.
Comunque
sia, nessuna di loro sembrava mi avesse riconosciuta, forse la fortuna
era
dalla mia parte. Mancava davvero poco: avvistai Musa all'inizio del
corridoio
che conduceva all'ufficio di Faragonda, così presi il
percorso adiacente che
sembrava deserto, bussai furiosamente e feci irruzione senza nemmeno
aspettare
il permesso.
«Ma...
un
po' di educazione signorina, non si entra in questo modo!»
La mia
amabile preside era seduta al suo posto, impegnata come al solito nel
firmare
alcune scartoffie. Non mi aveva per nulla riconosciuta e, se non ci era
riuscita lei, non ci sarebbero di certo riuscite le allieve. Mi tolsi
il cappuccio
di gran foga mentre le forze iniziarono ad abbandonarmi: Faragonda mi
guardò
con un terrore che mai le avevo visto in volto.
«Mi
serve
il suo aiuto... la prego!»
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Capitolo 6 *** Abbracciare L'Oscurità ***
CAPITOLO 6:
ABBRACCIARE L'OSCURITA'
Non mi
staccò mai gli occhi di dosso: immobile nell'orrore che
stava vedendo,
Faragonda non mosse un muscolo e non proferì parola, mi
guardò e basta.
La fissai
anche io in supplica, ansimando rumorosamente: notai che dalla mia
bocca usciva
vapore ad ogni respiro. Fui vinta dal dolore e mi accovacciai a terra
con la
flebile speranza di morire da un momento all'altro e di non soffrire
più, di
essere legittimata a mollare tutto e andarmene via.
Fu allora
che la preside si destò da quello che sembrava un sogno ad
occhi aperti e si
avvicinò piano, come si fa con gli animali feriti per non
spaventarli; si
inginocchiò davanti a me, qualche lacrima le rigava la
guancia: i miei occhi
vermigli la attiravano e, allo stesso tempo, la terrorizzavano,
così come la
mia pelle segnata, così come... io in generale.
Allungò
la
mano tremante per accarezzarmi il viso. Provai ad allontanarmi: non
volevo
farmi nemmeno sfiorare normalmente, figuriamoci in quelle condizioni,
ma il
dolore lancinante mi paralizzava sul posto impedendomi ogni sorta di
movimento.
Sentii il
contatto del suo tocco ma, nel tempo di un battito di ciglia, Faragonda
ritrasse
la mano, ustionandosi con le fiamme che mi spaccavano la pelle.
Accusò il colpo
qualche secondo, poi tornò a guardarmi con lo stesso orrore
di prima.
«Bloom,
ragazza
mia... cosa ti è successo?»
Aveva la
voce rotta dal pianto e tremava come una foglia: spezzai il suo animo
nel giro
di pochi secondi. Mi maledii furiosamente, era esattamente per evitare
una cosa
simile che mi ero imposta quelle regole. Avevo fottuto tutto, di nuovo.
Mentre mi
stritolavo il cuore per il rimorso, accadde l'imprevisto che proprio
non doveva
accadere: bussarono alla porta, chi parlò dall'altra parte
aveva una voce
triste e sconsolata.
«Preside
Faragonda, sono Musa. Lo so che sarà la centesima volta che
veniamo da lei,
probabilmente si sarà anche stufata di averci intorno,
però siamo preoccupate.
Posso entrare?»
L'anziana
donna mi guardò in cerca di una soluzione, io sgranai
letteralmente gli occhi e
afferrai disperatamente la manica della sua giacca, implorando di
mantenere il
segreto. Musa fece per aprire la porta, ma fu fermata subito.
«A-aspetta
un secondo Musa, sto sistemando una questione importante, mi ci vuole
qualche
minuto!»
Fortunatamente,
la mia amica si fermò. Tirai un enorme sospiro di sollievo,
seguito da qualche
secondo di calma, poi fu come se un demone mi possedesse: mi gettai
letteralmente ai piedi della preside supplicandola come non avevo mai, mai supplicato nessuno. A ripensarci, mi
sento davvero patetica... ero terribilmente disperata, d'altronde.
Tutto il mio
piano poteva andare in fumo.
«La
prego,
la prego, la scongiuro, nessuno deve sapere che sono qui, la prego!
Faragonda
la prego, non devo, non possono...»
Una fitta
lancinante mi mozzò il fiato impedendomi di finire la frase,
così lei si
avvicinò a pochi centimetri dal mio viso e iniziammo a
sussurrare pianissimo.
«Ma
Musa è
tua amica, è preoccupata per te...»
Dovevo
difendere il mio piano, dovevo proteggere la mia determinazione ad ogni
costo.
Il mio sentiero era stato battuto, quel viaggio oscuro di dolore era
iniziato e
io non potevo più tirarmi indietro.
«No,
no, ho
detto no! Le spiegherò tutto dopo, ti prego, non posso farmi
vedere, non
posso!»
Le diedi
del tu, cosa mai fatta in vita mia. Rimase in silenzio qualche secondo:
chissà
a quante cose stava pensando in quel momento, quanti dubbi da
sciogliere nel
giro di un battito di cuore. Con volontà flebile, decise di
aiutarmi.
«...ok.
Cosa faccio? La mando via?»
«No,
sarebbe troppo strano, lei non ha mai mandato via nessuno. Mi nasconda,
che
so... sotto la scrivania. Non riesco a stare in piedi ormai, almeno
lì sarò per
terra».
Senza far
rumore e stando molto attenta a toccarmi dove la mia pelle era coperta
dai
vestiti, mi aiutò a strisciare fino al luogo indicato, non
senza costarmi una
fatica e un dolore atroce, per poi fare entrare Musa. Mi misi una mano
davanti
la bocca per coprire il rumore del mio ansimare, cercando di mantenere
la
lucidità quanto più possibile. Mi rimaneva poco
tempo.
«Allora,
ragazza mia. Dimmi pure».
La mia
carissima amica si grattò nervosamente il braccio, credo
proprio che quella
conversazione sia avvenuta molto spesso durante quei cinque mesi.
«È
passata
solo una settimana, me ne rendo conto, ma... ecco, ci sono notizie di
Bloom? Le
ragazze e Sky iniziano a farsi prendere dal panico, un giorno di questi
saliranno sulla prima navetta per Domino, sono sicura».
Faragonda
si mosse leggermente sulla sedia, producendo uno scricchiolio che alle
mie
orecchie sembrava un martello pneumatico.
«Musa,
piacerebbe anche a me sapere qualcosa sul suo stato di salute, ma
ahimè, non mi
è stato comunicato ancora niente. Portate pazienza, ve ne
prego».
La fata
della musica abbassò gli occhi, sospirando delusa.
«Va
bene... ma non riuscirò a tenerli a bada ancora per
molto».
Si mise le
mani in tasca ed uscì fuori dalla stanza, mentre io stavo
per piangere dalla
gioia.
La preside
mi tirò fuori dal mio nascondiglio, finalmente potei
spiegarle cosa era
successo e cosa avevo intenzione di fare. L’anziana donna non
faceva che
scuotere la testa, ogni mia parola era una bestemmia per la sua morale,
un velo
oscuro che minacciava di inghiottirla.
«Non
approvo nel modo più assoluto! È una follia, una
pura e cruda follia! E… immagino
che questo lo avevi previsto da parte mia. Non hai avuto altra scelta
se non
venire da me, non ti saresti fatta tanto del male se tu non credessi
fermamente
nel tuo piano. Posso... posso solo avere una fioca idea del sentimento
che
provi, è terribile e, ad essere razionali, forse
è davvero l'unico modo per
fermare quei tre mostri. Per quanto io la trovi una pessima idea, per
quanto
tutto questo mi disgusti, io... ti aiuterò, Bloom. Anche
perché il danno ormai
è fatto».
Quelle
parole le costarono tantissimo, forse troppo. Le tenebre che mi avevano
avvolto
come un caldo mantello ora la stavano lambendo, avevo commesso un
errore
gigantesco a cui non potevo porre rimedio.
Si sarebbe
logorata l'anima come ho fatto io, sarebbe stata corrotta come lo sono
stata io,
e tutto per colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia. Faragonda
stava
aiutando la sua allieva a vincere una guerra disperata o a uccidersi?
Le avevo
appena consegnato un fardello enorme da sopportare, era ingiusto,
eppure...
necessario. Serviva davvero il suo aiuto.
«Purtroppo
non posso fare nulla, ragazza mia. Non c'è niente che non
vada in te, è una
questione puramente meccanica, entropica. Dobbiamo solo aspettare e
sperare che
tu sopravviva» disse amara. «Non possiamo
affrontare da sole un tale problema,
ci faremo aiutare da Griselda. Stai tranquilla, con lei sei al sicuro,
non dirà
nulla».
Acconsentii:
ormai non avevo più forza né lucidità
per oppormi, tanto valeva far prendere le
redini a lei.
In pochi
minuti la donna arrivò di gran fretta, mi vide a terra e
rimase immobile qualche
secondo, ma non proferì parola. Griselda è
estremamente perspicace, capì
immediatamente che le domande doveva porle dopo, quindi mi
aiutò insieme alla
preside a raggiungere l'appartamento di Faragonda senza farci vedere da
nessuno. Riuscii a togliermi la felpa e a indossare una maglietta a
maniche
corte che avevo nello zaino, per poi sdraiarmi sul suo letto dopo
averlo
ricoperto con un incantesimo per non fargli prendere fuoco.
Da qui in
poi, iniziò la mia terribile veglia agonizzante, in attesa
del mio destino. Nei
giorni che si susseguirono, c'era sempre qualcuno con me: Faragonda e
Griselda
si davano il cambio continuamente per occuparsi della moribonda fata
che rantolava
sul letto della preside.
Ricordo i
tentativi miseramente falliti di farmi stare meglio, come bagnarmi la
pelle con
dell'acqua per esempio: quella evaporava subito a causa del fuoco che
mi
scorreva sull'epidermide.
Ricordo
che non ho mai dormito: mugolavo continuamente di dolore,
così intenso che mai
mi permetteva di riposare, nemmeno di entrare in uno stato di
dormiveglia. Non
mangiavo, bevevo a malapena, ogni tanto dovevano perfino insonorizzare
la
stanza con una magia per coprire le mie urla.
La mia
vista era totalmente annebbiata e i miei sensi quasi del tutto
annullati,
ricordo però nitidamente le espressioni facciali di coloro
che stavano cercando
di salvarmi: Faragonda piangeva spesso, aveva sempre gli occhi rossi e
gonfi,
incorniciati da un volto scavato e duramente provato; Griselda, invece,
era
molto più accigliata del solito.
Mi
vogliono davvero bene... vedermi morire senza poter far niente le stava
distruggendo. La vicepreside, in particolare, può sembrare
molto fredda e
inespressiva, ma quello è il suo carattere. È
attraverso i piccoli gesti che
dimostra il suo affetto.
Ricordo un
raro momento di lucidità dove parlai un po' con lei del
piano che avevo in
mente: ne rimasi piacevolmente stupita.
«Come
Faragonda, anche io sono costretta a dirti che tutta questa storia
è follia
pura. Questo, però, me lo impone il buonsenso. Capisco
perfettamente che, in
una situazione come questa, il buonsenso non trova posto. Contro oscuri
nemici,
a volte dobbiamo usare oscure armi, c'è poco da
fare» disse con tono duro e
determinato. Credeva davvero in quello che diceva, nonostante la sua
natura di
fata. «Ho sempre insegnato alle mie allieve che non devono
cedere contro le
avversità, che devono affrontarle a testa alta in modo
onorevole ed eticamente
corretto» continuò per poi fermarsi un attimo,
«...ma non c'è assolutamente
niente di corretto nell'essere costretta a uccidere la propria sorella.
Non c'è
un modo onorevole ed eticamente corretto di affrontare un simile
plagio. Non
c'è giustizia che tenga, probabilmente avrei fatto la stessa
cosa, Bloom.
Sopravvivi, fai quel che devi fare. Questa non deve essere la tua fine,
non è
qui che devi morire. Il tuo fato verrà stabilito sul campo
di battaglia, sia
che tu prenda la vita delle streghe o meno».
Fece un
lungo sospiro, come se si fosse levata un peso dal cuore.
«Ovviamente,
queste parole non dovranno mai raggiungere le orecchie della preside,
mi sembra
chiaro».
Per un
breve momento, il dolore quasi scomparve... non dovevo mollare. Per
niente al
mondo.
La mia
percezione del tempo era del tutto fallata, tanto che il diurno si
mischiava
alla notte e non avevo la più pallida idea di quale giorno
fosse. Mi dissero
che ne erano passati quattro di giorni,
un’eternità dal mio punto di vista. Il
dolore iniziò a diminuire lentamente: pensai di essere morta
o che stavo per
spirare entro breve, invece all’alba del quinto
sparì quasi del tutto.
Mi misi
seduta a gambe conserte e mi osservai attentamente: la pelle era
tornata
normale e non bruciavo più, i miei capelli erano tornati al
mio rosso originale,
mentre gli occhi... beh, quelli no. Rimasero vermigli, ma non erano poi
così
male, mi davano un'aria davvero tosta e inquietante.
Provai ad
alzarmi e a fare qualche passo, la preside e Griselda erano felici
oltre
misura. Mi portarono da mangiare e da bere, finalmente riuscii a
dormire, santo
cielo dormii per parecchie ore. Al mio risveglio, parlammo del da
farsi.
«Il
conflitto dentro di te è finalmente risolto, è
finita. Se la teoria del tuo
libro è corretta, ora il tuo potere dovrebbe essere
quintuplicato. Inoltre, hai
ereditato anche una parte dei poteri delle altre Winx... onestamente
parlando,
sei probabilmente l'essere più potente che abbia mai messo
piede su questa
terra» disse Faragonda con una punta di ansia nella voce.
Mi sentii
orgogliosa di quelle parole ed abbozzai un sorriso, ma le due donne non
erano
affatto dello stesso parere.
«Non
è una
cosa buona, Bloom. In natura, un potere così forte non
dovrebbe esistere. Stai
spostando le lancette dell'equilibrio energetico dell'Universo, e
questo è
sempre un male» disse la vicepreside. Faragonda
cercò subito di addolcire la
pillola.
«Griselda
dice il vero, però ricordiamoci perché siamo
arrivate a ciò. Le Trix hanno
infranto ogni legge possibile, sia naturale che divina. Se riusciremo a
porvi
rimedio, argineremo il più possibile l'enorme squilibrio che
rappresenta Bloom».
Annuii,
era la cosa più sensata da fare.
«E
ora?
Che facciamo?» chiesi fredda.
Poiché
la
mia vendetta procedeva a vele spiegate, la mia impazienza si faceva
più
prepotente.
«Dovremmo
testare la portata del tuo nuovo potere. Sono sicura che le Trix non
abbiano
usato tutta la loro potenza, però avere una stima di
paragone ci aiuterà a
prendere le giuste decisioni».
Faragonda
sa sempre cosa fare, mi ricorda tanto Daphne in questi frangenti.
«Dovremmo
farlo in un luogo isolato e opportunamente schermato. Andrebbe tutto in
fumo se
le streghe avvertissero l'immenso potere della Fiamma del Drago, per
non
parlare delle Winx. Se la tua potenza è quintuplicata
veramente, come minimo ti
sentiranno tutti gli esseri magici dotati di magia bianca da qui ai
confini dell'Universo
conosciuto».
Griselda
aveva ragione da vendere, dovevamo muoverci con estrema cautela.
Decidemmo,
quindi, di andare su Pyros, un pianeta molto ostile abitato da bestie
selvagge
e martoriato da intense attività vulcaniche. La preside
preparò un'area
delimitata da rune e focus magici entro la quale potevo dare libero
sfogo alla
mia potenza.
Quando mi
trasformai, mi accorsi di come il mio corpo era diventato un vero e
proprio
focolaio: lingue oro e cremisi danzavano intorno a me senza nemmeno
averle
evocate, le mie ali erano irrorate di fiamme che emergevano
spontaneamente,
eruttavo letteralmente fuoco. Ero diventata un vulcano... o meglio, un
drago.
Rimanemmo
sul pianeta per qualche ora. Stabilire la portata di qualcosa di
così
gigantesco non era compito facile, Faragonda era preda del dubbio.
«Uhm...
difficile, Bloom. Difficile fare una stima. Se dovessi basarmi solo su
quel che
abbiamo visto su Domino, direi che sei più forte tu, senza
dubbio. Tuttavia, sappiamo
entrambe che quello non era il loro massimo potere. Andrai alla cieca,
ragazza
mia. Come hai fatto fino ad ora, dopotutto...»
Tornammo
furtivamente ad Alfea e mi vidi di sfuggita riflessa in una finestra:
quegli
occhi rosso fuoco luminosissimi mi facevano davvero tanta strizza,
eppure mi
davano anche tanta sicurezza. Ci sistemammo in ufficio e facemmo il
punto della
situazione, mentre Griselda si congedò per attendere i suoi
doveri: mancava
ancora un modo per individuare la posizione delle streghe.
«Allora,
Bloom. Con un potere colossale come il tuo, non avrai di certo nessun
tipo di
problema a individuare le energie vitali degli esseri magici bianchi
nell'Universo.
Una fata normale percepirebbe solo altre fate nel raggio di pochi
chilometri. Per
percepire il potere oscuro delle nostre colleghe streghe, invece, ci
vuole un
particolare addestramento e tanta predisposizione. Grazie alla natura
della
Fiamma del Drago, tu non ne hai bisogno».
Rimasi
impassibile a braccia conserte, ascoltando attentamente.
«Se
le
Trix si trovano in qualche luogo proibito, o se hanno schermato la loro
posizione, visto i poteri mastodontici che hanno, nemmeno tu puoi
capire dove
sono. Il tuo è comunque un potere magico di luce,
benevolo... e questo è un
gran problema».
Rimanemmo
in silenzio qualche minuto cercando di far funzionare le meningi, poi
la
preside sospirò profondamente e mi guardò di
nuovo con la pena negli occhi di
cinque giorni prima.
«Bloom...
saresti davvero pronta a tutto, vero?»
Quella
domanda mi lasciò un attimo stordita, ma le mie intenzioni
erano comunque
ferree.
«Sì,
è
così» dissi senza esitazione, senza nemmeno
pensarci. Pensare mi avrebbe
portato alla disfatta.
«Sai,
esiste un meccanismo... un avvenimento. In rari casi, è
capitato che il potere
di luce di una fata sia stato contaminato dalla magia oscura di una
strega e
viceversa. Non sono a conoscenza nel dettaglio cosa ciò
comporti, nulla di
buono, sicuramente. Alterare la natura magica è estremamente
pericoloso, ma si
dia al caso che la preside Griffin sia una grandissima studiosa di
questo
argomento. Lei sicuramente può aiutarci».
«Cosa
mi
sta suggerendo di fare, preside Faragonda?»
Deglutii
sonoramente: temevo la risposta.
«Se
riuscissimo a corrompere la tua Fiamma del Drago con la magia oscura
delle
streghe, saresti in grado di legarti molto più facilmente
alla loro scia magica,
ma non è detto che funzioni».
La preside
appoggiò i gomiti sulla scrivania, unendo le mani come in
preghiera. Mi piace
pensare che stesse pregando per davvero...
«Se
davvero sei pronta a tutto, sto proponendo di sacrificare la tua natura
di fata
per trovare le Trix».
«Lei
propone di... snaturare ciò che sono? Una fata a
metà?»
L’anziana
donna mi guardò addolorata: chiedere ad un essere magico di
essere deturpato
del suo io, di corrompere il suo potere, era qualcosa di impensabile,
di
mostruoso.
«Mi
dispiace ragazza mia, sto solo facendo quello che hai fatto tu fino a
questo
momento: ho seguito le tue orme su questo sentiero maledetto per
aiutarti, ora
ti sto tenendo per mano».
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Capitolo 7 *** Fiamme Sporche ***
CAPITOLO 7:
FIAMME SPORCHE
Era
davvero quello che Daphne avrebbe voluto? Davvero avrebbe voluto vedere
la sua
sorellina farsi del male in un modo tanto brutale, addirittura mutilarsi? No, certo che no.
Mi alzai
di scatto dalla sedia e iniziai a camminare nervosamente avanti e
indietro per
la stanza, tenendomi la testa tra le mani, come per cercare di
sorreggere tutte
le mie angosce e tutta la mia paura.
Pesavano...
eccome se pesavano. Il cuore batteva a mille, iniziai ad avere il
fiatone; i
nervi stavano crollando uno dopo l’altro e, con loro, la mia
sanità mentale. Scoppiai
a piangere istericamente: tutto intorno a me sembrava ruotare
vorticosamente
causandomi le vertigini, tanto che allungai le mani verso il vuoto per
trovare
il muro, per poi accasciarmi a terra stringendomi nelle braccia, come
per
proteggermi da un nemico invisibile.
Faragonda
non disse nulla e si limitò a guardare, stropicciando
nervosamente la manica
della sua giacca. In quel momento ero pura frustrazione, doveva
lasciarmi
cucinare nel mio brodo e prendere una decisione. Già, una
scelta... ma avevo
davvero una scelta, alla fine? Potevo davvero mollare tutto come se
niente
fosse e andarmene via?
L'idea mi
fece a dir poco schifo e ribrezzo. Ero già un'assassina,
sarei diventata anche codarda,
traditrice, inetta. Rinunciai alla possibilità di scegliere
nel momento in cui
vidi la vita spirare via dagli occhi di mia sorella, non c'erano via di
uscita... o meglio, non le volevo trovare.
Se inizi a
camminare per vie oscure difficilmente torni indietro, puoi solo andare
avanti.
Realizzato ciò in un turbinio di pensieri densi come pece,
ingoiai uno dei
rospi più grandi della mia esistenza e sbattei i pugni a
terra, voltando gli
occhi cremisi al soffitto e bestemmiando contro gli dei. Digrignai i
denti e feci
quel che dovevo fare. Dovevo.
«Sa
cosa?
D’accordo! Sono già un mostro, preside. Le mie
mani sono ancora lorde del
sangue del mio sangue, non mi tirerò indietro. Se questo
è il mio destino, se
questa è la via che ho scelto, allora diventerò
il peggior abominio che questo
Universo abbia mai visto».
Il volto
di Faragonda si contrasse in una sfumatura di doloroso rimpianto:
vedeva la
follia nei miei occhi, vedeva l'obbligo e la vergogna. Dopotutto, non
era già
quella una forma di corruzione? La mia purezza magica era davvero
così
importante?
Mentre la
preside contattava la Griffin, i miei pensieri galoppavano senza senso,
violenti e terribili. Ero una fata e, in quanto fata, ero
identificabile, ero
qualcuno di definito. Avevo deciso di diventare qualcosa che era fuori
da ogni
schema, non avrei trovato mai in nessun libro che cosa
sarei diventata.
Indugiai
in quel pensiero delirante per qualche minuto, poi ebbi un'epifania che
mi scaldò
il cuore, come una panacea: era poi così terribile essere un
nessuno? Essere un
qualcosa. Una senza nome. Non era forse quello che desideravo di
più?
Era meglio
non avere nome piuttosto che essere chiamata 'assassina'. 'Nessuno' era
una
nomea migliore di mostro e, per conquistarmi quel titolo, dovevo
uccidere
nuovamente, come quando due negazioni diventano un'affermazione.
Mi venne
una risatina esasperata, quasi eccitata da questa mia nuova prospettiva
di vita:
morire e mettere la parola fine a quell'inferno, oppure far tornare in
vita
Daphne e perdere per sempre la mia identità, diventando
polvere.
Non potevo
chiedere di meglio. Al nulla non si può dare aggettivo, il
mio peccato sarebbe
sparito per sempre insieme a tutto il resto.
Ero ancora
immersa nel mio delirio quando Faragonda si alzò
faticosamente dalla sedia,
come se il suo corpo si rifiutasse di compiere i suoi ordini;
indossò il suo
soprabito scuro e, nel silenzio più totale, ci avviammo
verso Torrenuvola. Non
fiatò mai durante il tragitto, aveva paura perfino di
guardarmi, di consigliarmi,
di fare qualunque cosa.
Come un
virus contagioso, il rimorso aveva catturato anche lei. D'altronde era
stata
tutta una sua idea, mi stava letteralmente spianando la strada verso il
mio
destino. Un nero, oscuro destino.
Mentre
camminavamo respirai a pieni polmoni i profumi e l'aria pura dei
boschi, godendo
del canto degli animali. Non avevo la minima idea di cosa mi sarebbe
successo,
forse non sarei più stata in grado di farlo. Un pensiero
ricorrente mi si
piazzò in mente, malvagio, non mi mollò mai
nemmeno per un secondo: "Magari
ci muoio qui... magari ci muoio".
Torrenuvola
ci apparve imponente e cupa, come al solito; al contrario di Alfea, la
scuola
per streghe si sviluppa in verticale con alte torri e una marea di
scale da
salire e scendere: sfido che le allieve siano sempre così
infastidite.
Arrivate
davanti il portone, per la prima volta, la preside mi parlò
con voce flebile,
quasi impercettibile: «Bloom, mi dispiace così
tanto, sono così... ti prego, se
non te la senti non lo devi fare per forza».
Arricciai
il labbro inferiore, misi le mani sui fianchi e guardai in aria,
abbozzando un
sorriso sarcastico, di chi il buonsenso lo ha seppellito nella
più profonda
delle tombe, e risi sommessamente.
«Non
posso
più dire di no, Faragonda. Non posso più
nascondere quello che ho fatto: i miei
occhi bruciano, parlano. Cosa direbbero tutti, come mi chiamerebbero?
Bloom la
codarda? No, non se ne parla, andiamo».
La preside
abbassò lo sguardo ferita e aprì le porte della
scuola. La folle ilarità che mi
pervadeva sparì subito quando mi accorsi che le allieve ci
fissavano con
disprezzo: le fate e le streghe non si erano mai amate, è
così dall'alba dei
tempi, ma quelle ci squadravano letteralmente guardandoci dall'alto
verso il
basso, parlottavano, ridevano e insultavano.
"Magari
ci muoio qui, magari ci muoio... ci muoio..."
Provai una
certa nausea, un istinto animalesco che non mi era mai appartenuto:
volevo far
del male. Volevo dare alle fiamme tutto e tutti, indistintamente. Non
è un modo
di dire né una similitudine, io volevo ucciderle sul serio.
Sentivo una voglia
irrefrenabile e spaventosa di farle fuori a sangue freddo,
così, su due piedi.
Mi diedi un pizzicotto per tornare alla realtà e iniziai a
sudare freddo.
"Bloom,
che diavolo stai facendo? Ora vuoi prendertela con delle ragazzine? Ma
sei
fuori?" pensai parlando con me stessa. Volevo rimproverarmi, fermare in
qualche modo la mia follia, ma un solo pensiero avevo in testa: "Sono
streghe. Mi hanno fatto questo. Devono morire tutte".
Faragonda
si accorse della mia crisi psicologica, tanto che mi strinse il braccio
e mi
accarezzò lentamente, ripetendomi a voce bassa la stessa
frase: «Sei una fata,
Bloom. Mantieni la calma. Sei ancora una fata... lo sarai
sempre».
Cercai di
adattare il mio respiro al ritmo delle carezze della preside,
concentrando la
mente in quell'operazione e allontanando i cattivi pensieri quel tanto
che bastava
per farmi calmare, nonostante intorno a noi ci fosse solo
ostilità.
Dopo
minuti interminabili di scale, arrivammo finalmente nell'ufficio della
Griffin,
lugubre come sempre: le pareti scure incutevano un certo timore,
così come i
dipinti dei presidi precedenti; i vecchi mobili in legno, poi, non
contribuivano
a rendere l’atmosfera più serena.
Ci accolse
con un sorriso tirato e nervoso, non si azzardò nemmeno a
sfiorarmi. Ci accomodammo
e le raccontai tutto quello che avevo fatto e quello che avevo
intenzione di
fare, chiedendo se era davvero possibile. Faragonda era praticamente
diventata
una statua vivente, a momenti non la sentivo nemmeno respirare.
La preside
di Torrenuvola rimase molti minuti in silenzio, persa completamente nei
suoi
pensieri, poi si massaggiò le tempie e cominciò a
parlare.
«Quello
che mi chiedi è possibile, ma... completamente fuori da ogni
etica. È follia
pura» disse grave, senza staccare lo sguardo dalla scrivania,
poi continuò:
«Ma, ahimè, non mi vengono in mente altri modi
validi per rintracciare le Trix,
non penso ci siano altre soluzioni. Questo immagino già lo
sai».
Mi agitai
sulla sedia, spazientita.
«Esattamente,
cosa mi accadrebbe?»
Indugiò
qualche secondo, stava pesando attentamente le parole.
«Mi
sono
occupata personalmente dei pazienti affetti da questo problema: si
trattava di
streghe contaminate dalla magia bianca, ma anche fate contaminate da
quella
oscura, stregoni, maghi. È un evento molto raro, accade solo
quando un essere
magico è debilitato eccessivamente del suo potere e viene a
contatto con una
forte fonte magica opposta alla sua per tempi prolungati. In teoria non
dovrei
fornirti queste informazioni, sono strettamente riservate, sai. Non ho
molta
scelta, vero? Non dopo tutto quello che hai fatto per arrivare qui, per
tua
sorella e per tutti noi. Se non le fermiamo, le Trix ci
distruggeranno».
Stavo
iniziando a capire dove voleva andare a parare: credo di non aver mai
provato
tanta paura in vita mia.
«Questi
soggetti li chiamiamo Orphan, poiché hanno perso la natura
del loro potere
natio. Cosa succede a queste persone? Beh... semplicemente, diventano
folli:
possedere quella porzione estranea di magia nel loro corpo li porta
alla pazzia
più totale. Prima di perdere completamente la ragione, molti
di loro dicono di
sentirsi come ricoperti di fango, oppure di insetti, si agitano in
continuazione cercando di togliersi di dosso cose che non ci sono.
Alcuni
dicono di sentire delle voci che intimano loro di fare o farsi del
male, altri
semplicemente smettono di muoversi e rimangono impietriti per tutta la
vita...
una breve vita, sono costretta a dire. Tra chi si suicida e chi muore a
causa
del conflitto energetico che si viene a creare nel loro corpo, chi
sopravvive a
lungo si conta sulle dita di una mano. Bloom... è una
condanna a morte».
Lungo il
collo iniziai a sentire una sorta di formicolio che si irradiava fin
sotto il cervelletto,
tutti i tendini erano tesi come corde di violino. Mi morsi il labbro
fino a
farlo sanguinare, mi portai le mani sulla testa e iniziai a stringerle
furiosamente,
tirando tutti i capelli. Faragonda si allontanò da me
d'istinto, la Griffin
tremò e io digrignai i denti emettendo versi di
disperazione.
Tutto mi
remava contro, la sorte mi era avversa in ogni modo possibile: la mia
maledetta
missione voleva in cambio il mio corpo e la mia mente, e io non ce la
facevo
più. Esplosi. Urlai, ruggendo come un demone.
«È
colpa
vostra…è solo colpa vostra! Di tutte voi
maledette streghe! Dovevate
distruggere quelle tre quando ne avevate l’occasione, voi
sapevate chi erano!
Daphne è morta per causa vostra! Io diventerò un abominio per colpa vostra!»
L'aria
divenne di fuoco e irrespirabile, i mobili si incendiarono e io avrei
fatto una
strage se non avessi visto la Griffin piangere come una bambina
inginocchiata
davanti a me. Sbattevo i pugni sul duro legno della scrivania ma, in
qualche
modo, riuscii a fermarmi.
«Mi
dispiace,
Bloom... è colpa mia, lo so bene, era compito mio...
perdonami per tutto quello
che sei costretta a fare, è un rimpianto che mi
perseguiterà per sempre... non
ho mai smesso di punirmi per questo...»
Mi
inginocchiai davanti a lei, la afferrai per il collo della giacca e la
fissai
con occhi scarlatti di furia e fuoco, luccicanti come due gocce di
sangue.
«Questa
sarà la punizione per il tuo
peccato!
Tu vivrai con l'anima macchiata per sempre, colpevole della morte di
chi mi era
caro e colpevole del mio sacrificio! Ora, preside Griffin, fai quello
per cui
sono venuta qui, prima che la follia mi porti via troppo in fretta.
Rendi il
nostro peccato ancora più nero».
La strega
non smise mai di tremare dal terrore: le mie parole era così
macabre e oscure.
Tra il fumo e la cenere del legno bruciato ella si alzò,
cercando rifugio negli
occhi della sua più cara amica e compagna di tante
battaglie, ma non trovò
niente: solo paura e colpevolezza per i propri errori.
«Io...
va
bene... fammi pensare un momento».
Annuii,
andai alla finestra per guardare il panorama e la lasciai lavorare in
pace.
Dopo alcuni minuti, elaborò un piano.
«A-allora...
ecco, il primo punto è questo: nel momento in cui entrerai
in contatto con la
magia nera, non dovrai opporre neanche la più misera
resistenza. Hai un potere
sconfinato, come non ne ho mai visti in vita mia, basta il
più piccolo ostacolo
per respingere l'oscurità» disse mentre la fissavo
silenziosa, poi continuò: «Detto
questo, secondo la mia esperienza e secondo quanto mi avete riferito
sulla
portata del tuo potere, credo che, per corrompere anche solo un quarto
la tua
Fiamma del Drago, dovremmo usare la magia oscura di tutte le allieve di
Torrenuvola alla massima potenza. Non so se sarà
sufficiente, devo dire.
Ovviamente, più la Fiamma verrà corrotta,
più avrai possibilità di percepire le
Trix. Altro non posso fare, perdonami».
«Quindi
è
questo che mi offri, Griffin? Fiamme marce, follia e nessuna garanzia
che
funzioni? Mi sta bene. Magari diventerò così
pazza e fuori di testa da
uccidervi tutti senza il minimo rimorso, non mi dispiacerebbe
così tanto».
La preside
di Torrenuvola sembrava sul punto di svenire, era perfettamente
consapevole che
avrei potuto farlo davvero.
«Orphan...
diventerò una Orphan... mi piace, bel nome. D'altronde, sono
stata orfana per
gran parte della mia vita».
Girai i
tacchi e sbattei la porta, lasciando dietro di me due anime distrutte.
A quel
punto, non me ne fregava assolutamente niente di nessuno, il mio
spirito era
rotto, niente aveva più senso.
Mi
incamminai verso uno dei balconi esterni per prendere una boccata
d'aria, sentii
la voce della Griffin echeggiare in tutta la scuola; spiegava in modo
tranquillo ma deciso cosa avrebbero dovuto fare tutti, dai professori
alle
allieve, come se non fosse successo nulla.
Ci misero
davvero poco tempo a preparare tutto. La scuola era diventata deserta:
si
sistemarono tutti nel cortile esterno dietro l’edificio in
modo ordinato,
sedendosi a gambe conserte sull'erba. Osservando i preparativi
dall'alto, notai
che le ragazze formarono una serie di cerchi intorno ad un ipotetico
centro,
rimasto vuoto. Sicuramente era il mio posto d'onore in quello show
dell'orrore.
All'interno
dello spazio libero, quattro professori si sistemarono ai quattro
angoli dello
stesso con dei grossi libri in mano, formulando incantesimi che
permisero la
genesi di rune oscure sotto i loro piedi. Ecco, quelle non mi piacevano
proprio.
La Griffin e Faragonda raggiunsero il gruppo: la preside di Alfea
rimase in
disparte fuori dal cerchio, mentre quella di Torrenuvola si fece largo
verso il
suo centro, facendomi cenno di venire.
"Ci
siamo. Ci siamo proprio" dissi a me stessa sospirando forte, ma i
cattivi pensieri
non volevano lasciarmi. "Magari ci muoio... magari".
Ogni passo
verso il cortile era un passo verso il patibolo. Non vedevo speranza
alla fine
del tunnel, solo una tetra morte, una ghigliottina in attesa del mio
collo. Per
gli dei, avevo così tanta paura: del buio, del vuoto, del
silenzio eterno.
Raggiunsi
la strega all'interno dello spazio vuoto tra i quattro professori che
avevano
evocato le rune, tremando come una foglia.
«Ci
siamo,
Bloom» disse la Griffin deglutendo, «ascoltami e
fai esattamente quello che ti dico,
o non funzionerà. Chiaro?»
Annuii,
rassegnata alla falce che attendeva solo di mietere la mia vita.
«Tutti
i
presenti convoglieranno in me il loro potere oscuro: fungerò
da catalizzatore e
riverserò tutta questa magia nera su di te. Per nessuna
ragione, non opporre nessuna
resistenza. Abbassa
le tue difese magiche più che puoi, permettici di far
breccia nella Fiamma del
Drago».
Rivolsi lo
sguardo verso Faragonda: forse cercavo conforto, o coraggio, non lo so
nemmeno
io. Avevo la sensazione di annegare.
«A
che
servono le rune?» chiesi con voce fredda. La strega
sospirò.
«Dobbiamo
tutelarci, Bloom. Se tu perdessi il controllo, se dovesse andare tutto
storto,
tu...»
«Vi
spazzerei via tutti. Chiaro. Quelle rune mi bloccheranno».
«Quando
sei pronta, coraggiosa ragazza».
Risi
amara.
«Non
coraggiosa, strega. Folle».
La Griffin
appoggiò la mano sul mio cuore e tutti iniziarono a
convogliare la magia nera
in lei. Provai una sensazione strana: non era doloroso, era come se
qualcosa di
appiccicaticcio mi stesse ricoprendo da capo a piedi, un fastidio che
cresceva
di secondo in secondo portandomi a desiderare fortemente di ribellarmi.
Effettivamente, una patina scura mi stava divorando.
«No,
Bloom! Resisti! Forza, voi là dietro, aumentate!
Prosciugatevi se necessario!»
I volti
delle ragazze erano un quadro di smorfie causate dalla fatica immane
che stava
chiedendo la loro preside. Ebbi una visione spirituale di
ciò che stava
succedendo all'interno del mio corpo: vedevo una mano nera che cercava
in tutti
i modi di afferrare la mia Fiamma del Drago, fallendo miseramente. Il
fuoco era
troppo alto, troppo imponente.
"Devo
far qualcosa..." mi dissi digrignando i denti dal fastidio, dovevo
almeno
provarci.
Usai la
mia volontà come arma: ordinai letteralmente alle mie fiamme
di quietarsi, di piegarsi
alla mia autorità. Il calore si fece meno intenso, la mano
oscura riuscì ad
avvicinarsi, e… strozzò nel suo palmo la mia
Fiamma del Drago.
A quel
punto, mi sentivo come sprofondare nelle sabbie mobili: percepii i
polmoni
affogare in quella melma nera, era terrificante. Stavo cadendo preda
della
paura quando, finalmente, tutto si fermò. Senza nemmeno
aspettare qualche
secondo per riprendere fiato, la Griffin arretrò velocemente
da me, mentre i
quattro professori alzarono l'attenzione al massimo, pronti a scattare
in ogni
momento.
«Via!
Indietro, andate via!»
Non capii
bene cosa stesse succedendo: la strega stava allontanando tutti di gran
fretta
nonostante io mi sentissi alquanto bene. Mi osservai le mani, attesi
qualche
attimo in allerta, ma non successe niente.
"Strano...
che non abbia funzionato?"
Iniziai a
sentire la bocca pastosa e gli occhi gonfi, come se mi fossi appena
svegliata
da un lungo sonno. Mi toccai le labbra, e… sulle mie dita
c'era la melma nera
che mi aveva inghiottita prima. Presa dal panico, mi toccai anche gli
occhi.
Stessa cosa. Stavo letteralmente vomitando magia oscura.
Scoppiai a
piangere disperata, le lacrime sembravano petrolio. Poi, iniziarono i
formicolii sulla pelle, come quando si addormenta un arto, dal petto si
propagavano
per tutto il corpo come piccole onde d'urto: iniziarono a darmi
fastidio, prima
poco, poi sempre di più.
Cominciai
a grattarmi: mi tolsi la felpa rimanendo in maglia a maniche corte, ma
non
bastò. Iniziai a sentirmi sporca, come... sì,
come ricoperta di fango. Sentivo
il sudiciume, percepii il solletico di quelle che sembravano zampe di
insetti,
mi strofinai fino a scorticare la pelle.
La vista
divenne annebbiata e la testa pulsava, facendomi vedere cose che non
c'erano e
sentire voci sconosciute; mi presi furiosamente la testa fra le mani
strappando
qualche ciuffo di capelli, agitandomi di scatto in varie direzioni,
come per
liberarmi dalla presa di qualcosa di invisibile.
Sentii una
furia sconfinata, un odio becero e insensato, tanto, tantissimo odio.
Iniziai a
bramare il sangue dei miei nemici, desideravo sentire i cuori di tutti
i
presenti stroncarsi nella stretta della mia mano, esattamente come
avevo fatto
con Daphne.
«Streghe...
streghe maledette... io... io vi ucciderò tutte».
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Capitolo 8 *** Ricorda Chi Sei ***
CAPITOLO 8:
RICORDA CHI SEI
Avete
presente quando, durante la notte, vi spostate nel sonno e vi ritrovate
al
contrario? Con la testa ai piedi del letto e i piedi sul cuscino? Ci si
sente
storti, in errore. Quella era la sensazione che più dominava
nella mia mente,
amplificata fino all'insopportabile.
È
la
camicia abbottonata male, il sasso nella scarpa, la riga dei capelli
dalla
parte opposta. Sbagliato, sbagliato, era tutto sbagliato. La mia stessa
esistenza era un errore, lo sentivo chiaramente: era come respirare
sott'acqua,
nemmeno il mio corpo lo sentivo più mio.
Odio
incondizionato e immotivato eruttava da ogni cellula del mio corpo:
tutti i
presenti apparivano come ombre ai miei occhi di sangue, era un mondo
distorto
che io dovevo distruggere o, quello, avrebbe distrutto me.
Continuavo
a reggermi la testa tra le mani, agitandomi come un serpente a cui
avevano
tagliato il capo, urlando e sbraitando parole che nemmeno ricordo.
Provavo a
togliermi di dosso qualcosa che non c'era, un velo invisibile di male.
Non saprei
descriverlo in altri modi: era qualcosa di così erroneo che
mi sembra errato
anche parlarne. Non dovrebbe esistere una sensazione del genere.
Ah, le
voci, poi. Le maledette voci... gridavano come demoni rabbiosi, non mi
permettevano di sentire altro che loro. "Devi morire". "Sei uno
scherzo della natura". "Sei una bestemmia contro gli dei".
"Distruggi tutto".
Non seppi
mai dire chi era a parlare, ma se dovessi tirare a indovinare,
probabilmente era
la mia Fiamma del Drago. L'avevo profanata, quella era la mia punizione.
Tra uno
strattone isterico e l'altro, rivolsi lo sguardo verso le streghe:
erano tutte
lì, raggruppate ai confini del cortile mentre mi guardavano
con occhi sgranati,
terrorizzate da me che, ormai, non posso che definire mostro.
Ero
diventata morte e dolore, niente aveva un barlume di senso in quel
momento.
Tutti penserebbero che fosse una reazione più che
comprensibile: quelle giovani
allieve avevano davanti un abominio senza precedenti, ma ai miei occhi
offuscati e corrotti quella non fu altro che l'ennesima provocazione.
Posso
dire, in tutta onestà, che divenni un demonio.
La
Griffin, dall'alto della sua esperienza, aveva tristemente vagliato la
possibilità che io perdessi il lume della ragione, tanto che
urlò ai quattro
professori di intervenire, mentre lei attivò uno scudo sulle
ragazze. Stavo per
scatenare un inferno, quando le rune presidiate dalle quattro figure si
illuminarono rumorosamente: da esse emersero delle catene oscure prive
di
massa, nel giro di pochissimi secondi mi stritolarono nella loro morsa
impedendo sia ogni genere di movimento, sia l'evocazione di
incantesimi.
Generalmente,
queste tecniche di controllo funzionano solo su esseri magici dotati di
magia
nera: vuoi per aiutare le streghe più giovani a controllare
i propri poteri,
vuoi per dare la caccia ad un criminale, queste catene entrano in
contatto con
la fonte magica del soggetto e la sopprimono momentaneamente.
Nonostante
io fossi ancora una fata, quella metodica funzionò comunque
su di me. Perché?
Beh, perché ormai la mia Fiamma del Drago era corrotta per
un quarto. La
Griffin puntò su questo principio per poter contenere la mia
follia, era quel
pezzettino oscuro che le catene stavano strozzando... tanto bastava.
Incapace di
muovermi, incapace di ribellarmi, incapace di saziare il mio desiderio
di
morte. Persi completamente la testa e cercai di accumulare
più potenza
possibile per liberarmi: le smorfie di tensione e fatica dei miei
quattro
carcerieri erano grottesche, al limite dell'umana sopportazione. Alcune
lingue
di fuoco riuscirono a sfuggire dalla prigionia ma, appena le vidi,
rimasi
agghiacciata.
Prima di
allora, le mie fiamme erano di un bel rosso cremisi e oro, luminose
come luce
divina; in quel momento, invece, mi accorsi che erano azzurre, sfumate
di nero
qua e là, come petrolio che brucia. Sembrerebbe un dettaglio
superfluo visto da
fuori, dopotutto era solo un cambio cromatico, cosa vuoi che sia...
beh, non
per me.
Quella
visione mi fece sanguinare il cuore: era il marchio del mio peccato,
era lì, ed
era visibile. Le urla, il marcio che provavo, alla fine erano tutte
cose che mi
riguardavano strettamente, nessuno poteva percepire le mie sensazioni,
nessuno
poteva vedere l'oscuro abisso che mi aveva divorato. Potevo
nasconderlo, in
qualche modo.
Invece, le
mie fiamme blu e le lingue nere, quelle erano tangibili e concrete,
erano reali.
Le potevano vedere tutti. Era la mia pubblica umiliazione, la gabbia
che mi
costringeva a rimanere Bloom e non il nessuno che tanto desideravo
diventare.
Continuai
a fissare il mio fuoco, ammutolita. L'odio folle verso tutto e tutti si
trasformò sempre di più in vergogna e disgusto
verso me stessa, mi ripudiavo
con ogni fibra del mio corpo. Soffocai immediatamente il mio potere per
togliermelo dalla vista, mi accasciai a terra e scoppiai in un pianto
terribile
e disperato, dal quale non avrei voluto mai più riprendermi.
Le catene
oscure, pur non avendo massa, fecero un gran chiasso quando si
scontrarono col
suolo e, a parte il rumore dei miei singhiozzi isterici, nell'ambiente
calò il
silenzio più totale. Che io ricordi, Faragonda rimase in uno
stato catatonico
tutto il tempo: il suo respiro era così impercettibile,
c'erano momenti in cui
sembrava solo un ologramma.
Un orrore
così, come si affronta? Come si può fare i conti
con qualcosa a cui tu stessa
hai contribuito?
«Non...
non volevo... questo» sussurrò appena,
«non...»
La preside
strinse i pugni così forte da tremare, il suo volto dolce e
gentile era
diventato un macabro dipinto miserabile.
«No,
no! Mi
rifiuto!»
Si fece
largo tra le giovani streghe con furia, spostando rozzamente le ragazze
di qua
e di là, mentre la Griffin le urlava di fermarsi.
Arrestò la sua marcia davanti
a me, ansimando forte: era intrisa di una determinazione incrollabile.
«Bloom,
ragazza mia...»
Mi
accarezzò il viso deformato dal dolore e dal pianto convulso
senza arretrare di
un centimetro, ferrea nei suoi intenti. Come c'era da immaginarselo, le
catene
su di lei non ebbero effetto.
«Faragonda...
sono un mostro, guardami» dissi letteralmente vomitando
parole, a tratti
incomprensibili, «uccidimi, uccidimi ti prego, tutto questo
è sbagliato!»
sbiascicai tra le urla e i
gemiti.
Chiunque
che non fosse stato la preside, probabilmente, mi avrebbe fatta fuori
immediatamente.
«No!
Bloom, no! Non ti farò più del male, te ne ho
fatto già abbastanza. Hai una
missione da compiere!»
Scossi la
testa follemente, sbavando oscurità dalla bocca.
«Sono
solo
una stupida! Non ce la farò mai, è tutto perduto,
è stato uno sbaglio fin
dall'inizio! Sono un errore che respira!»
L'anziana
fata non riuscì a trattenere le lacrime, velenose e piene di
rancore verso sé
stessa. Nonostante tutto, non poteva e non voleva soccombere al
blasfemo
abominio che aveva generato: prese il coraggio a due mani come solo lei
sapeva
fare, e mi fece la ramanzina più accorata della sua vita.
«Bloom...
prestami attenzione, Bloom! Guardami e ascoltami!»
Faragonda
non aveva mai alzato la voce con me né con nessun altro: era
alta e squillante,
non ammetteva repliche.
«Guarda
cosa ti sei fatta! Guardati! Non
sei
più una fata, non sei nemmeno una strega, sei qualcosa che
in natura non
esiste!» disse alzandomi il viso per permettermi di guardarla
negli occhi,
incurante dei rischi, per poi continuare presa dalla foga:
«Sai cosa c'è,
Bloom? A me, a noi tutti, non importa! Non ci importa cosa sei, e lo
sai
perché? Perché ti vogliamo bene! Per noi rimarrai
sempre una fata di Alfea! Non
importa cosa dice il tuo corpo o la tua mente, tu sei una fata,
nell’anima e
nel cuore! Non dimenticarlo mai, signorina!»
Quelle
parole mi fecero uno strano effetto, come un bruciore piacevole che,
dal petto,
iniziò ad irradiarsi in tutto il mio corpo: io volevo
crederci, volevo crederci
con tutta me stessa, volevo aggrapparmici come mia unica ancora di
salvezza, ma
le voci nella mia testa strillavano molto più forte, troppo.
«Le
voci...
ti prego, Faragonda, fai smettere le voci!»
Continuai
a piangere, stavolta per il dolore fisico che mi procuravano.
«Combattile!
Pensa a quello che devi fare, pensa al tuo vero nemico! Hai fatto tutto
questo
per Daphne! Pensa a tua sorella! Lo stai facendo per lei,
dannazione!»
Sentire il
nome da me tanto amato mi colpì come un pugno nello stomaco.
«Hai
un
potere smisurato! Sai perché le tue fiamme sono diventate
azzurre? Il calore e
la potenza delle tue fiamme sono aumentate talmente tanto che il fuoco
ha
cambiato colore, come succede alle stelle! È il simbolo
della tua potenza! Tu
puoi sconfiggere le Trix! Hai fatto tutto questo anche per loro! Ricordati!»
La preside
marcò ogni parola costandole una fatica titanica: stava
letteralmente sgridando
la morte incarnata che ero diventata.
Tremai
ansimando con il cuore che martellava nel petto: Daphne. Mi ero quasi
dimenticata
di lei... sembra assurdo da dire, ma la corruzione e il dolore mi
fecero
perdere completamente di vista l'obiettivo, per chi stavo facendo tutto
quello
che stavo facendo, la persona a cui avevo dedicato la mia discesa nella
follia.
Mi sforzai
con tutte le risorse che avevo di rimanere concentrata su mia sorella e
sulle
Trix, di mantenere lucida quella insana determinazione che mi aveva
guidato
fino ad allora, ma... era troppo. Era davvero troppo.
«Faragonda,
io... non ci riesco, le voci sono troppo forti... aiutami, ti prego...
falle
smettere...»
Sentivo la
mia mente lacerarsi, quasi in senso letterale. Le mie fortissime
emozioni si
mescolavano continuamente e si davano il cambio ad una
velocità insostenibile,
il mio stesso io si stava disintegrando.
«Griffin!
Amica mia, aiutala! Non esiste niente che si può fare per
alleviare i sintomi?»
disse Faragonda quasi a supplicare la sua amica.
«Io...
io
non lo so... forse...» balbettò presa alla
sprovvista. Qualcosa mi dice che
dubitasse fortemente che sarei sopravvissuta al rituale.
«Griffin!
Qualunque cosa!»
La preside,
ormai, sembrava un leone in fuga: ruggiva senza sosta a chiunque osasse
contraddirla.
«Esiste
un
farmaco che stiamo testando, ma nella totalità dei casi non
ha funzionato».
«Vai
a
prenderla, è la nostra unica
possibilità!»
La strega
sparì in un istante, veloce come un fulmine. Il laboratorio
dove conduceva le
sue ricerche non era molto distante, infatti dopo pochi minuti
tornò con un
piccolo baule di vetro contenente una siringa. Non c'era tempo per
discutere né
per ragionare: la preside di Torrenuvola mi scoprì bene il
braccio destro e mi
fece l'iniezione nel deltoide, pregando tutti gli dei che succedesse
qualcosa.
Il liquido
bruciava, il tempo passava ma le voci non cessavano, nemmeno la
sensazione di
sporco e putrido che mi sentivo addosso. Ogni movimento di lancetta era
un
colpo di spada alla nostra speranza.
Dopo circa
dieci minuti, però, il miracolo avvenne e finalmente iniziai
a percepire
qualcosa: la mente divenne leggera, le voci si erano attenuate fino a
scomparire quasi del tutto e i muscoli si rilassarono, portando le mie
sensazioni sgradevoli ad un livello perlomeno tollerabile. Fu come
tornare a
respirare di nuovo.
Ero stata
incredibilmente fortunata. Forse ero davvero destinata a compiere il
mio fato,
forse gli dei volevano davvero che io portassi a termine la mia
missione. Il
desiderio di sopportare tutto per l'amore 'ritrovato' di Daphne era
come una
panacea, mi faceva stare meglio e mi dava la forza di andare avanti.
Entrambe
le presidi scoppiarono in una risata liberatoria esultando come due
ragazzine,
io abbozzai una sorta di sorriso. La follia che mi portavo dentro non
sarebbe
mai andata via ma, almeno, potevo gestirla. Era... un miracolo.
Mi
liberarono dalle catene, mossi qualche passo e mi guardai intorno,
sospettosa:
il desiderio di uccidere tutti si era placato, ma non era scomparso,
così come
non erano passate le voci.
Ahimè,
da
quel momento in poi devo mantenermi sempre sotto controllo e tenere
alla larga
dalla mente i miei... impulsi. Mi venne un piccolo tic nervoso che mi
porto
tutt'ora: ogni tanto scuoto il capo come per mandare via qualcosa dai
capelli,
ma è ben poca cosa rispetto a tutto quello che ho dovuto
passare.
Tecnicamente
parlando, ero diventata una specie di 'paziente zero': forse le
proprietà
curative della Fiamma del Drago fecero funzionare il farmaco
sperimentale
correttamente, dandogli quel aiuto in più che serviva.
Grazie al mio contributo
negli anni avvenire, il farmaco fu migliorato e sempre più
pazienti trovarono
sollievo, è una cosa che mi rende molto fiera.
Le
streghe, ancora stanche e terrorizzate, se ne stavano il più
lontano possibile,
permettendomi di passare qualche ora tranquilla con le presidi,
mangiando
qualcosa e riposando la mente ferita. Quando mi sentii pronta tornai in
mezzo
alle rune per precauzione, mi misi seduta a gambe conserte, cercai di
ignorare
completamente le voci e caddi in profondissima concentrazione,
proiettando la
mia essenza fuori dal mio corpo.
Percepivo
le streghe di Torrenuvola, le fate di Alfea e l'energia vitale dei
ragazzi di
Fonterossa. Era un buon inizio, ma non era abbastanza; mi spinsi oltre,
toccai
l'essenza dei miei genitori su Domino, di Sky, di Thoren, degli esseri
magici
su pianeti lontanissimi, e poi... poi le percepii.
Era un
segnale piccolo, quasi effimero, ma non potevano che essere loro. Tre
energie
oscure appartenenti ad esseri antichi, quasi primordiali, riunite nello
stesso
luogo: una glaciale, una nera e una elettrica. Davanti a me avevo una
cartina
magica dell'Universo conosciuto: trasferii in essa la traccia magica
che avevo
percepito, questa si illuminò e mi indicò un
luogo lontanissimo, sacro e
proibito.
"Eden,
il pianeta del Risveglio". Non era assolutamente una coincidenza.
Per chi
non conoscesse la storia, ve la racconto in breve. Al momento della
Creazione,
nell'Universo non c'era niente, era vuoto e tetro; il Drago Primordiale
creò il
primo pianeta, Eden, e ne fece la sua dimora. Eden fu l'epicentro
energetico
attraverso il quale la gloriosa bestia diede vita a tutto l'Universo
magico.
Stanco e
privato del suo slancio vitale, come casa del suo ultimo riposo scelse
Domino,
dove decise di tramandare parte del suo potere ad altri esseri viventi,
con il
preciso scopo di vegliare in eterno sul suo creato. Solo il
più puro d'animo
sarebbe stato degno abbastanza per essere il suo contenitore. Tra
tutti, il
prescelto fu Helios, il fondatore della stirpe del Drago e mio antenato
ancestrale.
Eden
è,
tutt'oggi, un pianeta estremamente ricco di energia magica bianca, una
fonte
quasi inesauribile di vitalità. Per questo motivo fu
classificato come pianeta
sacro e proibito, inaccessibile a chiunque, in modo tale che questa
energia non
venga sfruttata e plagiata dai malvagi. Era lì che le Trix e
la Fiamma del
Drago di Daphne si trovavano.
«Non
è una
coincidenza, temo. Con il potere smisurato che hanno, devono aver
allentato la
barriera magica che rende il pianeta invalicabile riuscendo ad entrare.
Questo
spiegherebbe anche come il tuo potere sia riuscito a percepirle
nonostante Eden
sia schermato. Ho paura che stiano facendo qualcosa di
terribile».
Le parole
della Griffin erano gelide, tanto quanto l'espressione di Faragonda.
Era una
situazione terribile, ma dovevo costringermi a rimanere calma: sapevo
cosa
dovevo fare. Il destino mi stava offrendo la sua mano, non potevo
rifiutare.
«Pronto?»
«Timmy,
sono Bloom. Non fiatare, non dire una parola, se hai persone intorno
allontanati. Ascoltami e fai esattamente quello che ti dico».
Molte
ore
più tardi, una navetta da guerra di Fonterossa
atterrò davanti a Torrenuvola,
dove un Timmy perplesso e spaventato mi stava aspettando per partire
verso il
mio fato.
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Capitolo 9 *** L'Arte della Guerra ***
CAPITOLO 9:
L'ARTE DELLA GUERRA
Fu un
addio silenzioso quello dato alla preside Faragonda e alla preside
Griffin,
così come fu un viaggio silenzioso quello sulla nave da
guerra. Ci volevano
cinque ore di viaggio a massima velocità per arrivare su
Eden e, né io né
Timmy, avevamo molta voglia di parlare. Ci scambiammo giusto qualche
parola,
l'essenziale, quel che era necessario dire in un momento tanto cruciale
quanto
tragico.
Il ragazzo
aveva l'aria decisamente cupa e abbattuta, sconvolta potrei dire. Non
avevo
nessun diritto di fargliene una colpa, così mi diedi un
doloroso pizzicotto per
zittire le voci maligne della mia corruzione. "Alla prima occasione ti
ucciderà", "Gli fai a dir poco schifo", "Fallo fuori ora
che puoi". Sembravo un domatore di leoni in gabbia con le bestie, le
tenevo a bada a colpi di frusta.
«Bloom...
sai... noi siamo tuoi amici. Potevi... insomma, potevamo
aiutarti».
Le sue
parole sembravano sussurri, come se non volesse farmi male alle
orecchie. La
sua dolcezza mi fece sorridere.
«Non
potevo, Timmy. Sei stato informato su tutto quello che è
successo... davvero mi
avresti permesso di fare questo? Di mutilarmi
così?»
Stranamente,
il mio tono di voce era tranquillo, mi sentivo piuttosto bene e
riposata. Lui
ci pensò sopra qualche secondo, ponderando i pensieri e le
parole.
«No…
hai
ragione».
Rimanemmo
in silenzio qualche minuto, poi ripresi a parlare.
«E
poi...
non sono sola, sai. Ho potuto testare i miei poteri solo una volta
prima di
diventare Orphan, ma ho scoperto di poter usare un poco i poteri delle
ragazze.
Sai, no... per via delle loro Fiamme del Drago. Quindi, in qualche
modo, è come
se loro fossero con me».
Timmy
annuì muto, aveva capito cosa volevo dire. Il tempo passava
pigramente, dopo un
po' feci la domanda che più mi premeva sul cuore.
«Appena
scenderò da questa nave tu informerai tutti, vero?»
Il volto
del pilota si contrasse in una smorfia nervosa, beccato sul fatto come
un ladro.
«Hanno
il
diritto di sapere, Bloom. Sky è disperato. Se tu dovessi...
se tu morissi,
almeno sono tutti preparati. E a-anche se tu sopravvivessi, saranno
comunque
pronti a… diciamo… ad abituarsi alla nuova
te».
Era un
ragionamento pulito e corretto, niente da dire. Appoggiai la testa allo
schienale
e tirai un sospiro rilassato: tutto era come doveva essere, ogni pezzo
del
puzzle era al suo posto.
Eden si
presentò a noi bellissimo, verde come uno smeraldo e
macchiato qua e là da
tinte blu. Era una vista magnifica, anche perché era un
pianeta piuttosto
piccolo e grazioso, si potevano apprezzare molte sfumature di colore.
Certo...
se non fosse stato per l'enorme calotta di ghiaccio che deturpava il
globo
proprio al suo centro.
«Timmy,
sono là. Non dovresti avere problemi ad atterrare, la
barriera è stata
distrutta. Atterra fuori dal ghiaccio, nasconditi bene e…
prega per me».
Lui
eseguì
tutto alla lettera e, nel giro di un'ora scarsa, eravamo sulla
superficie
rigogliosa di vita, con la rampa della nave abbassata pronta a
lasciarmi
andare.
«Bloom,
aspetta! Tieni questo. È un indicatore di
vitalità... è un microchip
piccolissimo, non ti darà nessun fastidio. Quello mi
notificherà se... se il
tuo cuore smette di battere».
Lo misi in
tasca, poi guardai Timmy con davvero tanto, tanto affetto.
«Grazie
di
tutto, amico mio... so di averti chiesto tanto oggi. Se io morissi qui,
scappa
il più velocemente che puoi, salvati. E racconta a tutti la
mia storia».
Il ragazzo
strinse i denti frustrato e pianse, mentre io mi trasformai e volai
via. Mi
osservai un poco mentre mi dirigevo sul campo di battaglia: il mio
vestito era
normale, a parte sfumature nere che lo macchiavano qua e là,
non era vistoso
come credevo. A quel punto non mi importava più, non mi
importava assolutamente
niente. Non avevo paura. Volevo solo il loro sangue.
Erano
davanti ad un altare di ghiaccio dove era riposta la Fiamma del Drago
di mia
sorella, furibonde, imprecando senza fine.
«Quattro
mesi solo per corromperla a metà! Sono stanca!»
urlò Stormy dando un calcio a
un sasso ghiacciato. Aizzò una nube di nervosismo tra le
sorelle.
«Icy,
sei
sicura che ne valga la pena? La Fiamma rimane comunque difficilissima
da manipolare
per chi non è un Custode, non siamo nemmeno sicure che
funzioni!»
La strega
del ghiaccio aveva l'aria di una che non dormiva da settimane: io
sarò anche
stata un mostro dalle fattezze umane, ma lei era la follia incarnata.
«Smettetela!
Tutte e due! Avete idea di quanto tempo ci voglia per farlo da sole?
Nemmeno
una vita! Quindi non rompete le palle e tornate a lavoro!»
Si
lagnarono in coro nello stesso identico momento. Sarebbe stata una
scenetta
divertente se io non fossi arrivata furiosa come non mai. Sui loro
volti
apparve una sola, grottesca smorfia alla mia vista.
«Oh,
santo... Bloom? Sul serio?»
Icy mi
accolse con un'eccitazione isterica: le si leggeva in faccia che moriva
dalla
voglia di sapere cosa avevo combinato per arrivare fin da loro da sola.
Le voci
nella mia testa ripresero ad urlare forte, aumentando il mio forte
senso di
repulsione e disgusto, ma dovevo, dovevo
resistere. Le fissai con occhi scarlatti e glaciali allo stesso tempo.
«Sono
qui
per riprendere ciò che mi appartiene di diritto. Mi avete
costretta a spezzare
la vita del sangue del mio sangue, ora voglio la vostra. Vi
farò provare sulla
pelle quello che ho dovuto subire io».
Quelle tre
risero forte, come loro consuetudine. Mi volevano sfottere fino alla
fine.
«Davvero?
Tu e quale esercito?» disse Stormy, acida.
Icy si
avvicinò e mi squadrò da capo a piedi con
attenzione, notando i cambiamenti
della mia persona. Sfoderò un sorrisone sadico e, per la
prima volta, la vidi
davvero meravigliata per qualche cosa.
«Non
ci
posso credere! Sei una Orphan!»
Mi
innervosii al suono di quella parola che, ormai, mi identificava, e
feci una
smorfia di tensione.
«E
tu come
lo sai?» dissi cercando di mantenere un atteggiamento sicuro.
Non dovevo cedere
alle provocazioni.
«Siamo
al
corrente delle ricerche della Griffin, cosa credi! Sappiamo tutto sulla
corruzione, e… per gli dei, è proprio vero che le
grandi menti pensano allo
stesso modo!»
Iniziai ad
avere un brutto presentimento: le voci mi dicevano che, da
lì a poco, avrei
perso il lume della ragione. Non so perché, ma... sapevo che
avevano ragione.
Quella volta dicevano il vero.
«Cosa...
cosa vuoi dire?»
«Voglio
dire, mia cara Bloom, che anche noi abbiamo corrotto una Fiamma del
Drago.
Quella di Daphne» disse Icy fermandosi per un attimo e, dal
ghigno di scherno
che le era stampato in volto, passò ad una smorfia rabbiosa,
«Siamo stanche di
te, siamo stanche di voi! Di tutto
questo insulso Universo! Abbiamo acquisito poteri giganteschi,
è vero, ma siamo
solo in tre. È un'impresa troppo grande anche per noi quella
di distruggere
tutto con le nostre mani, di spazzare via il marcio che affligge questa
realtà.
Così, beh, abbiamo avuto una grande idea: corromperemo
interamente la Fiamma
del Drago di tua sorella ed evocheremo un Drago Primordiale Oscuro!
Come il
primo generò l'Universo, questo da noi creato
porterà l'apocalisse! Costruiremo
un nostro mondo dove nessuno oserà mettere in dubbio il
nostro diritto di
esistere. Diritto che voi ci avete portato via in quel limbo
infernale».
Le tre
streghe si guardarono con dolore, si potrebbe anche pensare di...
provare pietà
per loro. Avevamo davvero fatto la cosa giusta rinchiudendole
lì?
«Sussurri
senza vita ci tediavano al buio senza poter far nulla. Nessun contatto,
nessun
calore, nemmeno la possibilità di vedere le mie sorelle.
Ogni momento di
detenzione era una prova della mia non esistenza. Della nostra
non esistenza».
La voce di
Icy era ruvida e rancorosa, sentii un moto di angoscia nel petto. Se
fosse successo
a me e a Daphne, probabilmente sarei impazzita. Però, non
potevo. Non potevo
dimenticare ciò che fu, cosa fui costretta a fare, il dolore
patito.
Quindi,
volevano la fine di tutto? Sì, era senza dubbio una cosa
spaventosa, dovevo
assolutamente fermarle con ogni mezzo. Però, non fu la
pressione della
responsabilità che mi fece perdere ogni controllo sulla mia
mente: alzai il
capo e, dietro di loro, notai la luce della Fiamma del Drago di
Daphne...
spaccata a metà dall'oscurità.
“È
così
che sono fatta dentro?"
La fissai
con occhi grandi, sconvolti, folli potrei dire. La guardai, la guardai
ancora,
come si guarda il Diavolo in persona.
«Voi...
voi...» dissi con voce era quasi impercettibile, rotta, ma
non mi fermai, «mi
avete fatto uccidere mia sorella... mi avete costretta a mutilare il
mio corpo
e la mia mente... e ora... mi state dicendo che... ciò che
rimane di Daphne voi
lo avete... trasformato... in un abominio?»
Mi
sorrisero tutte e tre, con malvagità inaudita.
«Esatto
Bloom. Un abominio, proprio come te».
Avevo
passato molto del mio tempo a combatterla, la corruzione: ricacciavo
indietro
le voci, cercavo di stare calma, di convincermi che il male che mi
affliggeva
non era del tutto reale, che non ero io.
Invece, in
quel momento, mi resi conto che ero davvero io, era la Bloom vera e
propria che
stava urlando come un'ossessa, che si ricopriva di fuoco azzurro fino a
diventare tutt'uno con le fiamme, che rendeva torrida l'aria, che si
stringeva
la testa tra le mani piangendo lacrime nere.
Non si
capiva davvero dove finisse Bloom e dove iniziasse quel rigurgito di
fuoco:
l'unica cosa distinguibile in quell'ammasso blu erano i miei occhi
scarlatti
roventi di cieca furia.
Le streghe
rimasero qualche secondo interdette, poi si alzarono in volo e si
misero in
guarda. Lo stesso feci io.
Commisi il
primo, madornale errore: eravamo uno contro tre e io ero totalmente
fuori
controllo. Non persi tempo ad elaborare una strategia vincente come
avrei
dovuto fare: mi lanciai a capofitto sperando di arrostire tutto
ciò che avevo
davanti.
Male,
molto, molto male.
Stormy non
si fece pregare: approfittò subito della mia mossa azzardata
per scaricarmi
addosso un fulmine di un voltaggio tale da bucare letteralmente la mia
difesa
magica. Fu velocissima, spietata, non vidi nemmeno arrivare il colpo
che mi
ritrovai completamente paralizzata: i muscoli urlavano di dolore, si
irrigidirono con una tale violenza da farmi avere le convulsioni,
lì, a
mezz'aria.
Le mie ali
si rifiutarono di muoversi, così iniziai a precipitare come
un peso morto. Lo
schianto a terra fu micidiale. L'adrenalina causata dal colpo mi fece
rinsavire
quel tanto che bastava per reagire all'attacco di Darcy, il quale si
concatenava perfettamente a quello della sorella.
Evocò
i
giganteschi tentacoli neri che avevo sbriciolato il mio castello su
Domino e me
li sguinzagliò contro, cercando di maciullare il mio corpo
privo di difese; con
sforzo disumano, creai la mitica barriera elettrica di Tecna, ricoperta
anch'essa
di fiamme azzurre, e mi ci raggomitolai dentro: le enormi masse oscure
si
schiantarono pesantemente contro di essa, venendo spaccate sia
dall'energia
cybernetica della gabbia, sia dal fuoco blu scaturito dalla mia Fiamma
del
Drago.
La strega
urlò frustrata: continuò a martellare senza sosta
la mia unica difesa sperando
di fare breccia. Era solo questione di minuti, dovevo pensare in fretta
a cosa
fare.
"Stupida,
stupida idiota! Daphne non avrebbe mai commesso un errore simile, per
questo
motivo doveva sopravvivere lei! S-stupida testarda anche lei! Lei
è quella
razionale un corno!"
Mi
lamentai furiosamente con me stessa, mi sentivo così
incapace da meritare la
sconfitta.
Respirai
profondamente, cercando di calmarmi. Non era il momento di farsi
prendere dai
rimpianti, dovevo pensare lucidamente. Di attaccare direttamente non se
ne
parlava, già stato fatto, era finita male; creare un
diversivo richiedeva
tempo, tempo che non avevo, fu scartato anche quello.
Stavo
iniziando a perdere le speranze, quando mi tornò in mente il
combattimento
contro Daphne. Il famiglio draconico non era una cattiva idea: era
potente e
veloce, ma richiedeva una gran quantità di energia. Come
sfruttarlo al meglio?
Icy, nel
frattempo, non muoveva un muscolo: si gustava la situazione da lontano,
come se
fosse di troppo in quello scontro. Vedendo quella scena, all'improvviso
ebbi
l'idea.
"Ma
certo, come ho fatto a non pensarci prima. Dividi et impera. Separa le
streghe
e avrai la vittoria in pugno".
La
barriera di Tecna era al limite, dovevo ingegnarmi e darmi una
svegliata. Mi
accovacciai, pronta a scattare via: mentre i tentacoli sferravano gli
ultimi
colpi, io accumulai il Morphix di Aisha intorno a me, pronto ad essere
modellato.
Mi mossi
nel momento esatto in cui la breccia fu creata: scappai via con
velocità inaudita,
volando a bassissima quota per ottenere l'accelerazione necessaria per
poi
salire vertiginosamente all'altezza delle nemiche.
Era
questione di secondi: o era esecuzione perfetta o era sconfitta, non
avevo vie
di mezzo. Iniziai furiosamente a creare il famiglio draconico, doveva
raggiungere la massima potenza o non avrebbe funzionato.
Come
previsto, Darcy si stava riprendendo dal faticoso assalto alla mia
barriera, le
uniche che potevano attaccare erano Stormy e Icy. Il Morphix che avevo
creato
era sufficiente per costruire dieci scudi che iniziarono ad orbitare
intorno a
me. Non avrebbero mai retto
più di un
colpo, dovevo sfruttare quel tempo per generare il mio drago.
La strega
delle tempeste lanciò delle saette imponenti distruggendone
tre, uno dopo
l'altro; ogni onda d'urto destabilizzava la mia concentrazione,
rallentando il
processo di creazione. Per sopperire almeno in parte, mi misi in
posizione
fetale per attutire meglio i colpi, permettendo anche al mio fuoco di
agglomerarsi più velocemente.
Dovevo fare
due cose difficilissime allo stesso tempo, ad oggi non so nemmeno io
come ci
riuscii. Icy che, fino a quel momento, se ne stava in disparte a
guardare, capì
cosa avevo in mente di fare e iniziò ad agitarsi con le
sorelle.
«Stormy,
Darcy, quella bastarda sta per evocare un drago! Dobbiamo distruggere
quegli
scudi immediatamente!»
Senza
aspettare repliche, la strega dei ghiacci cominciò a
bombardare le difese
insieme alle compagne, sbriciolandole completamente.
"Oh
cazzo... il drago non è ancora finito..."
Il piccolo
famiglio azzurro rimase aggrappato alla mia mano, guardandomi con occhi
bianchissimi: non era completo, dovevo guadagnare tempo. Scesi in
picchiata
verso il terreno, ma Icy non mi lasciava respiro: nel momento in cui
toccai il
suolo, la strega formò una lancia enorme di ghiaccio,
aspettando il momento
giusto per scagliarmela addosso.
Mi accorsi
del colpo in arrivo e, prontamente, misi le mani a terra generando una
colonna
di fiamme blu che intercettò il proiettile ghiacciato,
facendolo squagliare
all'istante. Se mi avessero costretta a usare tutta quell'energia, non
me ne
sarebbe rimasta abbastanza per completare il famiglio.
"Devo
proteggermi con incantesimi che non consumano Fiamma del Drago".
Non avevo
molta scelta: il piccolo drago ruggì mentre mi sotterravo
viva insieme a lui in
una bara di radici e piante. Grazie al mio potere, risultarono essere
molto più
resistenti di quelli di Flora. Sentivo le streghe urlare, i colpi
scuotere la
terra, ma quelli non cedettero: ebbi il tempo di potenziare il famiglio
al
massimo della sua portata. Gli baciai delicatamente il muso rovente,
non mi
arrecava nessun danno.
"Per
Daphne".
Il mio
nascondiglio esplose letteralmente in aria: io e la mia creatura ci
librammo in
aria fieri, col cuore pieno di orgoglio e assetati di vendetta.
Il mio
piano stava procedendo bene. La fortuna mi aveva assistita ma, in quel
momento,
doveva darmi l'aiuto maggiore. Lanciai una bolla sonora in mezzo alle
tre
nemiche: onde sonore ad altissime frequenza le avrebbero spazzate via,
allontanandole le une dalle altre in modo causale.
Il colpo
fu fragoroso: osservai con estrema attenzione come le mie prede si
sarebbero
posizionate. Icy e Darcy rimasero, tutto sommato, insieme, mentre
Stormy fu
nettamente separata dalle sorelle.
"Ora
o mai più".
Mi scagliai
verso le streghe del gelo e dell'oscurità, mentre
sguinzagliai il famiglio a
fare le poste all'altra: ingaggiai con entrambe, lanciando palle di
fuoco e
fuochi fatui come una furia, mentre il drago tediava l'avversaria con
il suo
immenso corpo infuocato.
Icy e
Darcy si difendevano maledettamente bene: la prima bloccava ogni mio
colpo con
lastre di ghiaccio, la seconda creando illusioni di sé
stessa, celando il suo
vero corpo. Dovevo tenere duro quanto più possibile e
aspettare il momento
giusto, l'errore fatale.
Quello che
non sapevano le streghe, era che tra me ed il famiglio c'era un legame
mentale
oltre che magico: stavo tenendo occupate le mie nemiche ma, allo stesso
tempo,
stavo monitorando anche la terza strega.
Dopo
minuti interminabili, finalmente cadde nella mia trappola: il drago
spazzò
l'aria con la coda, destabilizzando Stormy quel tanto che bastava per
morderle
il braccio destro con gran forza. Le sue urla furono terribili. Il
fuoco stava
ustionando la sua carne nel profondo, potevo sentirne la puzza.
"Ora!"
Effettuai
una vera e propria trasfigurazione corporea. Era un incantesimo che
avevo letto
nel tomo: praticamente, io e il famiglio ci scambiammo di posto, lui
divenne me
e io divenni lui. Le fauci che stavano bloccando il braccio della
strega
divennero invece la mia mano sinistra, comparvi davanti la sua faccia
come un
demone. Tutte trattennero il respiro come a voler fermare il tempo.
Caricai
una sfera infuocata nella mano destra e gliela schiantai sul petto, con
tutto
l'odio che mi portavo dentro come un veleno. Ironico, la uccisi come
uccisi mia
sorella.
Stormy non
emise un suono: il suo respiro era un rantolio, il cuore aperto in due
come un
frutto maturo. Il buco nero che si era creato si riempì
velocemente di sangue:
la puzza di bruciato e di ferro ematico mi riempivano il naso,
causandomi
conati di vomito ed euforia insieme.
Quello fu
il mio primo e vero omicidio... Daphne, di certo, non la conto come
tale. Il
cadavere della strega delle tempeste cadde a terra mentre io rimasi
lì, in
aria, a contemplare il mio operato, incurante del dolore atroce che
avevo
inflitto alle sorelle.
«Fa
male, eh?»
chiesi loro, riprendendo fiato, «questo è
ciò che meritate».
Ordinai al
famiglio di tornare da me: eravamo due contro due.
Darcy si
scagliò contro di me, urlante: incrociò le
braccia e accumulò intorno al suo
corpo una materia oscura densissima, la quale prese forma e si divise
in
numerosi spettri grotteschi.
Mi davano
la caccia in modo spietato. Cercai di schivare verso sinistra uno dei
tanti, ma
Icy bloccò il mio spostamento con una lastra di ghiaccio
contro la quale sbattei
la testa, mandandomi tra le braccia degli oscuri esseri: il fuoco di
cui ero
ricoperta non poteva bruciare la materia nera di cui erano composti,
così
rimasi stretta tra le loro spire senza possibilità di
replica.
Vedendo
che la situazione si stava mettendo male, ordinai al famiglio di
ostacolare Icy
con tutte le risorse che aveva, così da lasciarmi il tempo
per occuparmi della
sorella.
Darcy mi
si avvicinò in lacrime, maledicendo il mio nome con tutta
l'intenzione di
uccidermi e vendicare Stormy, ma io risi, oh sì, risi forte.
Accadde tutto nel
giro di pochissimi secondi: usai il potere di Stella ed emanai una luce
violentissima dal mio corpo, accecando entrambe le streghe che urlavano
di
rabbia.
Sfruttai
la corruzione della mia Fiamma e penetrai come un sistema circolatorio
negli
spettri neri. Anche il mio era potere oscuro, seppur in parte. Una
volta
infestata tutta la materia che mi teneva bloccata, feci letteralmente
liquefare
dall'interno gli esseri neri, mi liberai dalla loro morsa e mi
avvinghiai alle
spalle di Darcy, stringendole la gola con il braccio destro e tenendola
ferma
con l'altro.
Le fiamme
del mio corpo iniziarono ad ardere viva la strega, la quale urlava in
un modo
osceno e terrificante, cercando di divincolarsi con quanta
più forza poteva.
Icy,
terrorizzata, cercava in ogni modo di liberarsi del famiglio che stava
egregiamente
facendo il suo lavoro. Il suo elemento magico era nettamente
svantaggiato contro
l'impetuoso fuoco blu del drago, ogni attacco veniva detronizzato senza
sforzo.
Sorrisi
maligna.
Inebriata da tutto quell'orrore, lasciai che, per qualche secondo, la
corruzione prendesse possesso delle mie emozioni, un po' per non
rendermi conto
dell'atrocità che stavo facendo, un po' per sfinitezza.
«Sbrigati,
Icy, o la tua sorellina muore!»
Non avevo
mai visto la strega dei ghiacci così presa dal panico e
inerme in vita mia. Non
servirono a niente tutti i tentativi fatti: Darcy era a due passi da
lei, ma
non poteva raggiungerla. Poteva solo vederla morire.
La mia
prigioniera
era diventata una grottesca figura dalle fattezze non proprio umane: il
volto
era liquefatto quasi fino all'osso, sangue e carne erano un tutt'uno
indecifrabile, disgustoso. Senza pietà né
empatia, semplicemente mi stancai di
sentirla urlare: davanti agli occhi furiosi e addolorati di Icy,
aumentai
finalmente l'intensità delle mie fiamme e Darcy
spirò tra le mie braccia.
La lasciai
cadere vicino al cadavere di Stormy. Fissai la strega dei ghiacci per
quella
che sembrò un'eternità, senza rimorso. Ero
diventata un demonio senza amore.
«Questo
è
quel che ho sofferto per causa vostra. Questo è quel che vi
meritate» dissi di
nuovo quelle parole, ridendo di gusto, beandomi di quell'onnipotenza
che
sentivo scorrere nelle vene.
Come
già
accadde in passato, lo scontro finale vedeva noi, storiche rivali,
fronteggiarsi
all'ultimo sangue. Nonostante tutto io pretendevo uno scontro equo,
così decisi
di congedare il mio famiglio.
Icy
urlò,
disperata. Dal terreno spuntarono stalagmiti giganti che promettevano
di
infilzarmi se non mi fossi mossa velocemente: volai leggera come l'aria
lasciando scie azzurre dietro di me, sfuggendo ai ghiacci che mi
inseguivano.
Evitai
l'ultima stalattite roteando su me stessa e sfiorando la punta aguzza
di pochi
millimetri, completando la piroetta con un bolide di pura energia che
scagliai
dritto verso la strega. Velocissima, bloccò con un muro di
ghiaccio la mia
sfera infuocata che si disintegrò all'impatto.
Vedendomi
illesa, Icy diede fondo a tutta le sue risorse ed evocò una
vera e propria
tormenta glaciale, talmente potente che avrebbe inghiottito l'intero
pianeta. Le
mie fiamme si spegnevano e si riaccendevano in continuazione, i miei
movimenti
erano rallentati e, talvolta, bloccati.
Dovevo
assolutamente fermarla, o avrebbe avuto la meglio: evocai un drago
azzurro,
molto piccolo, ma estremamente caldo, molto più del famiglio
di prima, il quale
mi avvolse tra le sue spire subendo i danni del gelo al posto mio.
Mi mossi
velocemente. Icy non poteva muoversi dall'epicentro della tempesta e
questo fu
la sua rovina: diedi fondo a tutta l'energia che mi rimaneva e la usai
per
lanciarmi contro di lei a tutta velocità, la atterrai con il
mio peso le
bloccai i polsi, mentre la mia creatura teneva ferme le sue caviglie.
Dissi
solo poche parole mentre lei malediceva me e tutta la mia stirpe. Era
spacciata.
«Questo
succede quando osi sfidare il Drago di Domino. Addio».
Usai un
incantesimo che sviluppai nel periodo in cui avevo acquisito il
Believix, la
Supernova. Lasciai che l'intero flusso magico della Fiamma del Drago si
concentrasse
in un punto del mio corpo: una luce azzurra iniziò a
caricarsi e iniziò ad
espandersi, sempre di più, come per l'appunto una stella che
sta per morire.
Raggiunto
il culmine, la luce tornò immediatamente verso di me, per
poi esplodere in una
sfera gigantesca di energia e fuoco, una deflagrazione violentissima e
di una
potenza indescrivibile, tanto che un vortice di fuoco
continuò a fendere ogni
cosa per parecchi chilometri e per parecchi minuti.
Quando
tutto fu finito e le mie fiamme finalmente si estinsero, mi alzai a
fatica
ritta in piedi e mi guardai intorno: ghiaccio e arida devastazione
convivevano
insieme sul campo di battaglia, ma la Fiamma del Drago di Daphne
sembrava
illesa.
Delle streghe,
non rimaneva che polvere. Ero sola in un campo desolato di morte, la
morte che io avevo portato. La
tormenta di
ghiaccio, entrata a contatto con la Supernova, generò una
pioggia gelida, quasi
dolorosa sulla pelle.
Alzai
gli
occhi alla volta celeste e allargai le braccia, per prenderne il
più possibile:
quell'acqua piena di odio e rancore sembrò lavare via il mio
peccato, come se
il cielo mi baciasse la fronte nonostante il mostro che ero diventata.
Era
bellissimo.
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Capitolo 10 *** Vittoria Amara ***
CAPITOLO 10:
VITTORIA AMARA
Rimasi a
fissare la Fiamma di mia sorella per parecchio tempo, indecisa su cosa
fare. Non
immaginavo sarebbe finita in quel modo: nemmeno nel più
orrido degli incubi
avrei mai pensato che le Trix potessero compiere una
bestialità del genere.
Stavo
seriamente rischiando di mandare tutto a quel paese, non avevo nessuna
idea.
Avevo, infatti, pianificato tutto quello che dovevo fare ipotizzando
che la
Fiamma di mia sorella fosse pura, invece, quella, era corrotta per
metà.
Per
eseguire il rituale doveva essere assolutamente perfetta, anche
perché al suo
interno c'era... beh, c'era Daphne. O meglio, la sua anima.
Lo lessi
nel tomo quando lo trovai in biblioteca. Queste informazioni erano
accompagnate
da una leggenda molto antica e piuttosto sconosciuta su Domino. Come
ben
sapete, la Fiamma del Drago è stata utilizzata per creare
l'Universo, quindi si
può affermare che essa è
la struttura
essenziale su cui si basa l'Universo. È quel flusso vitale
invisibile che pervade
ogni cosa.
Normalmente,
al momento della morte, le anime degli esseri viventi tornano in questo
flusso,
in attesa di rinascere in nuove forme stabilite dalla Fiamma stessa.
Ciò
non
accade con gli eredi del Drago, o meglio, non accade se questi non
muoiono di
morte naturale: essendo questi soggetti parte integrante della
struttura
dell'Universo poiché, appunto, custodiscono una Fiamma del
Drago, se non
consumano tutta la loro energia vitale arrivando a una serena morte, il
loro potere
non può essere trasmesso a un nuovo discendente. Di
conseguenza, l'anima del
Custode non può tornare nel flusso che vi ho descritto.
In parole
più semplici: a causa del legame viscerale che lega l'anima
di un erede alla
sua Fiamma del Drago, se il loro legame non può venire
spezzato al momento
della morte, l'essere magico che la possiede non può morire
e, anzi, la sua
anima viene inglobata nella Fiamma e lì rimarrà
fino a che un altro Custode non
faccia qualcosa. Quel qualcosa è, appunto, il rituale.
Secoli e
secoli
fa, due gemelli eredi al trono di Domino litigarono furiosamente per
decidere
chi avesse il diritto di prendere la corona. Il maggiore
sfidò il minore in
duello e lo uccise; diventò sovrano, ma il potere e la sua
carica non poterono
colmare il vuoto lasciato dalla perdita del fratello, così
passò anni della sua
vita a trovare un modo per rimediare al suo terribile peccato.
La
leggenda narra che, una notte, il re sognò il Drago
Primordiale: gli rivelò il segreto
degli eredi del Drago e il rituale per far tornare in vita il fratello,
ma
avrebbe pagato un prezzo terribile per l'atrocità che aveva
commesso. Prima di
allora, i possessori della Fiamma non erano mai morti prematuramente,
quindi il
re non aveva idea se il Drago avesse detto la verità o meno.
Il rituale
funzionò, ma il sovrano perse completamente i suoi poteri
per ripagare il danno
causato. Il procedimento e la storia dell'assassinio furono scritti dal
sovrano
in persona, per ammonire le future generazioni e per evitare che una
cosa del
genere accadesse ancora.
I problemi,
a quel punto, erano due. Dovevo per forza assorbire la corruzione della
Fiamma
di Daphne per purificarla: calcolando in modo approssimativo che
metà del
potere di mia sorella equivaleva ad un quarto del mio, io avrei
assorbito un
altro quarto di corruzione.
Ciò
avrebbe
portato il mio potere a essere inquinato fino al suo cinquanta per
cento,
gettandomi nella follia più totale e impedendomi di eseguire
il rituale. E non
era tutto: anche l'anima di mia sorella poteva essere stata intaccata,
quell'eventualità potevo verificarla solo nel momento in cui
la mia coscienza
fosse entrata in contatto con la sua.
Piansi
esasperata, ero esausta. Se prima pensavo che le Trix fossero il
pericolo
maggiore, in quel momento mi resi conto che la sorte mi aveva
allegramente
sputato in faccia un'altra volta. Mi misi seduta a gambe conserte
davanti al
fuoco di Daphne, il quale illuminava leggermente ciò che
aveva attorno con una
luce scura e sporca. Era una vista che mi faceva male in un modo che
non saprei
descrivere.
Mi misi a
riflettere profondamente sul da farsi: come dice sempre Tecna, prima di
prendere una decisione difficile bisogna essere sicuri di avere tutte
le
informazioni a disposizione, e io sapevo benissimo di non averne.
Così,
presi
la mia decisione. Mi alzai barcollando: il combattimento mi aveva
pesantemente
destabilizzata, a malapena stavo in piedi.
Raccolsi
con delicatezza la Fiamma del Drago di Daphne e spiccai il volo
raggiungendo
Timmy, il quale scoppiò a piangere dalla felicità
quando mi vide tornare sana e
salva. Gli lasciai qualche minuto per riprendersi dalla gigantesca
tensione
nervosa a cui era stato sottoposto, spiegai lui tutto quello che era
successo e
cosa avevo intenzione di fare. Ascoltò in silenzio,
annuì e fu d'accordo, era
l'unica cosa ragionevole da fare.
Ci
sistemammo nell'abitacolo ai posti di comando. Il rumore del motore che
accumulava energia era musica per le mie orecchie: era il suono che
sanciva la
fine di quell'incubo una volta per tutte. Tirai un lungo, dolcissimo
sospiro.
Timmy mi guardò con un sorrisone stampato in faccia.
«È
bello,
vero? Quando stai per tornare a casa, sapendo che hai compiuto la tua
missione.
È bellissimo».
Mi alzai
dalla poltrona con un sonoro scricchiolio. Le voci erano praticamente
svanite
ed ero troppo stanca per lamentarmi degli altri effetti collaterali,
così non
ci pensai due volte e abbracciai il ragazzo con tutta la
spontaneità del mondo.
Dopo
qualche minuto chiamammo la Griffin: con lei c'era Faragonda, piansero
entrambe
come bambine quando mi videro apparire sullo schermo, malconcia, ma
viva. Ero
felice anche io di vederle, ma non avevo tempo da perdere.
«...capisco.
Purtroppo, non ho abbastanza farmaco in questo momento, Bloom. Posso
iniziare a
prepararlo subito, ma mi ci vorranno almeno tre giorni. Domani
l'effetto che ti
tiene lucida svanirà, e io ho una dose sufficiente per farti
stare bene con
solo un quarto di Fiamma di corrotta. Per una metà intera ci
vorrà una dose
doppia».
Mi morsi
le labbra furiosamente.
«Mi
pare
di capire che ho le mani legate. Non posso aspettare il farmaco
perché domani
sarò già fuori gioco, mentre passare tre giorni
con il doppio dei sintomi che
ho ora potrebbe non farmi riprendere più».
Faragonda
era il volto della tristezza più assoluta, la Griffin
strinse i denti,
frustata.
«Accidenti
a quelle tre!» imprecò forte, «devi
trovare il modo di resistere, non so
davvero come. Mi dispiace così tanto».
Guardai il
cielo: era di un azzurro così vivido da far male agli occhi,
poi mi massaggiai
le tempie.
«D'accordo...
allora, ascoltatemi: mi rendo conto che... mi serve aiuto».
Mentre
dicevo quelle parole, riluttante, guardai verso Timmy, il quale sorrise
con
approvazione.
«Venite
su
Domino, portate il farmaco che avete, sarà meglio di niente.
Chiamate le Winx,
gli Specialisti, Thoren, Sky e i miei genitori, raccontate loro ogni
particolare: perderò sicuramente il controllo e ho bisogno
che mi teniate a
bada, tutti quanti voi. Il corpo di Daphne è stato risanato
dopo la sua morte e
questo è un lavoro in meno da fare. Ho bisogno che la
portiate in giardino,
dove c'è tanto spazio, così se darò i
numeri mi potrete fermare senza fare
ulteriori danni».
Le presidi
annuirono, poi continuai: «Prestate molta attenzione, questo
è importante. C'è
un'ala del castello sigillata, possono entrarci solo pochissime
persone. Lì
teniamo le reliquie più importanti del nostro regno, molte
sono armi
estremamente potenti. C'è l'elsa di un pugnale: è
dorata e ornata di pietre
preziose. La potete riconoscere subito perché è
senza lama. Questo oggetto è
stato avvolto dal mistero per anni, ora ne ho bisogno per il rituale.
Fate
questo per me».
Chiusi la
conversazione e guardai Timmy con occhi glaciali, di chi doveva
compiere l'ultimo
salto nel vuoto.
«Partiamo.
È ora di mettere la parola fine a tutto questo».
Ci
dirigemmo immediatamente verso Domino, erano circa due ore di viaggio.
Tenevo
quella piccola fiamma tra le mie mani con fare dolce, come se potesse
rompersi
da un momento all'altro. Gli sussurravo parole di conforto nella
speranza che
Daphne potesse sentirmi: gli promisi che quell'alone nero che permeava
il fuoco
lo avrei tolto ad ogni costo.
Il tempo
passò davvero in fretta. È proprio vero che,
quando si torna casa, quasi non si
percepisce. Ci aspettavano tutti in giardino, proprio come avevo detto
di fare.
Quando scesi dalla nave e li incontrai erano sì felici,
ma... terribilmente
scossi, spaventati, soprattutto dai miei occhi scarlatti.
Non
volò
una mosca: rimanemmo tutti in un silenzio tombale, non riuscivo a far
uscire la
voce dalla mia gola.
«Perdonatemi»
fu la sola cosa che riuscii a dire. Invocare il perdono, avere
misericordia del
demone.
«Ok
gente,
abbiamo una missione importante! Andiamo tutti da Daphne,
forza!» urlarono
entrambe le presidi con voce molto alta, destando i presenti da quella
specie
di sogno ad occhi aperti.
Ci guidarono
verso il nostro obiettivo come maestre d’asilo. Faragonda si
avvicinò a me e mi
sussurrò parole rassicuranti.
«Ho
parlato con loro. Nessuno ti toccherà né
dirà niente su tutta questa storia fino
a che non si sarà conclusa. Sappi, però, che sono
arrabbiati. Soprattutto Sky.
Quando starai meglio e nelle condizioni di sostenere una discussione,
parlerai
con tutti».
Annuii
piano e la ringraziai profondamente. Era giusto affrontare le
conseguenze delle
mie azioni: malgrado le terribili sensazioni che mi permeavano, decisi
con
estrema fermezza d'animo che lo avrei fatto.
Arrivammo
davanti al corpo di Daphne: vederla di nuovo dopo tutto il tormento
patito mi
tolse il fiato. Sky non mi tolse mai gli occhi di dosso, ma senza dire
niente,
proprio come aveva detto Faragonda. Il suo volto era un misto di
rabbia,
disperazione e amore, scavato da notti insonni e pianti frustrati.
Gli altri,
dovetti ammettere con dolore, non erano diversi: stavano tutti
soffrendo per
causa mia.
«A-allora...
prima di purificare la Fiamma, ho bisogno che tutti voi siate pronti a
dover
affrontare il pericolo. Penso sappiate a cosa mi riferisco».
Annuirono
guardandomi con sospetto, come se io potessi attaccarli da un momento
all’altro. Ah, come biasimarli…
Si
sistemarono in cerchio, intorno a me e a Daphne, pronti a reagire nella
peggiore delle ipotesi. Fatto questo, venne la parte tragica: dovevo
togliere
il nero.
«Ok,
ora
ascoltatemi molto bene. Nel momento in cui avrò assorbito la
corruzione, la
Griffin mi inietterà subito il farmaco, ma non
basterà: potrei aggredirvi e
farvi del male. So che siete tutti arrabbiati con me. Magari ora vi
faccio
perfino ribrezzo. Però, ecco, ricordatevi che ho fatto tutto
questo per Daphne:
fatelo non per me, ma per lei. Dovete fermarmi, dovete ricordarmi
perché lo sto
facendo».
Si
guardarono tra loro come se dovessero prepararsi ad una esecuzione. Non
avevo
mai visto i miei cari così in preda degli eventi.
Senza
perdere altro tempo, agganciai la Fiamma di Daphne con la mia e tirai,
un po’
come accadde con le gemme delle ragazze, fino a quando tutta la
corruzione non
fu svanita. Il fuoco divenne luminosissimo e vitale, la Griffin mi
iniettò
subito il farmaco e attesi, sotto lo sguardo vigile dei miei guardiani.
Puntuali
come sempre, le voci si misero ad urlare. La pelle iniziò a
diventare un
rivestimento putrido di cui liberarmi e iniziai a perdere la ragione.
Mi strinsi
la testa tra le mani, mi piegai in avanti e gridai dolorante,
scagliando fiamme
azzurre qua e là senza nessun obbiettivo in particolare.
Rimasero
tutti impietriti, agghiacciati da ciò che stavano vedendo.
«Le
voci!
Urlano… urlano fortissimo… fatele smettere!
Urlate più forte!»
Nonostante
tutto mi si avvicinarono, incuranti del pericolo mortale che
rappresentavo, e
mi parlarono col cuore in mano.
«Non
sei
un mostro, Bloom! Sei una fata di Alphea!» disse Aisha
sconvolta.
«Bloom!
Guardami! Sono Stella! Sono la tua migliore amica e tu sei la mia!
Questo non
cambierà mai!»
«Siamo
arrabbiate, è vero, ma lo siamo perché volevamo
avere la possibilità di
aiutarti!» gridò Musa cercando di non singhiozzare.
«Amore
mio... non mi importa cosa sei, io ti amerò sempre e
comunque!»
I discorsi
di incoraggiamento carichi d’amore si mescolarono tra loro:
mi parlavano dei
loro sentimenti, del loro affetto per me ma, cosa più
importante, urlavano ben
più forte delle voci nella mia testa.
Mi
rannicchiai esausta su me stessa ansimando col cuore in gola ma,
sarà stato il
farmaco, saranno state le parole delle persone che amo, finalmente
riuscii a
calmarmi e a tenermi lucida quel tanto che bastava per compiere il mio
fato.
La sensazione
di sporco stavolta prevaleva, ma mi costrinsi a non toccarmi. Mi alzai
tremante
aiutata da Sky: era ora di porre fine a tutto, mancava solo l'ultimo
tassello.
«Sto...
sto bene... circa. Ora... portatemi da lei».
Presi
delicatamente la Fiamma del Drago e la feci sprofondare nel corpo di
mia
sorella, riportandola al suo posto originario. Mi misi in ginocchio
davanti a
Daphne e chiesi la reliquia; mio padre mi portò una piccola
teca di vetro, ove
all'interno era adagiato l'oggetto su di un panno scarlatto.
La aprii
con mani tremanti e afferrai il contenuto: dapprima una semplice elsa,
appena
entrò in contatto col mio corpo una lama spirituale venne
generata, traslucida
e senza massa. Prima che potessi fare qualsiasi cosa, Oritel mi
bloccò la mano,
facendo cadere il pugnale a terra. Era spaventato a morte.
«Io...
non
posso lasciartelo fare! Non prima di sapere cosa devi fare!»
In
effetti, nessuno sapeva quella leggenda. Rassicurando prima mio padre,
raccontai a tutti la storia dei due gemelli e spiegai a cosa serve la
lama.
«Si
attiva
solo nelle mani di... un assassino di consanguinei. La lama magica non
mi farà
del male fisico, ma proietterà la mia Fiamma del Drago fuori
dal mio corpo. Una
volta fatto, la pugnalerò e ripagherò il sangue
versato con il mio potere».
Trattennero
tutti il respiro, Sky non riuscì a contenersi.
«Stai
dicendo che sacrificherai i tuoi poteri per riportare indietro
Daphne?»
Piantai
gli occhi al terreno, ancora mi vergognavo di guardarlo in faccia.
«Teoricamente...
sì. Dovrebbe succedere questo, in circostanze normali. La
portata dei miei
poteri è di molte volte superiore a quella di mia sorella.
Se devo pagare un
debito, sarà completamente estinto senza perdere del tutto
la mia Fiamma del
Drago... almeno, è quello che spero».
Il re e la
regina si inginocchiarono accanto a me, accarezzandomi la schiena
delicatamente.
«Mamma,
papà... permettetemi di farlo. Vi prego».
Le mie
parole erano sussurri impercettibili, ma loro acconsentirono. Ripresi
il
pugnale: puntai la lama verso il mio ventre, respirando forte.
"Ci
siamo, ci siamo proprio".
Se avessi
indugiato oltre, la paura mi avrebbe incatenata al suo giogo,
così feci un
grosso respiro e mi trafissi: non sentii dolore, ma solo un leggero
bruciore
nel punto colpito. Estrassi la lama e, con lei, la mia terribile,
disgustosa
Fiamma del Drago.
Era un...
grumo di fiamme azzurre e corruzione oscura, sembrava ricoperta di
petrolio. Mi
feriva la vista, la odiavo profondamente. Usai quel rancore a mio
vantaggio:
senza pensarci due volte, senza nemmeno guardare la reazione dei
presenti,
strinsi l'elsa nel mio pugno e calai il fendente con tutta la rabbia
che avevo,
pugnalando quel cuore che avevo inquinato.
Quello
sì
che fece davvero male. Provai un dolore terribile, come se la lama
avesse
trafitto le mie carni. Dalla ferita non uscì altro che
vomito nero, fin quando
tutto divenne bianco alla mia vista e caddi in trance.
Mi
risvegliai in una landa desolata, apparentemente infinita, coperta di
fuoco. Mi
guardai intorno e vidi un piccolo Drago Primordiale che teneva al
sicuro tra le
sue spire mia sorella, addormentata. Mi avvicinai barcollante e
l’essere mi
fermò imponente.
«Chi sei tu che viene a reclamare l’anima
di
questa Custode?» disse con profondissima e
minacciosa.
«I-io
sono
Bloom, sono la sorella minore di Daphne, figlia dei sovrani di Domino
Oritel e
Marion. Sono anche io un'erede del Drago!»
Cercai di
mantenermi calma, anche se la situazione era del tutto anomala a tutto
ciò che
avevo appreso nel corso della mia vita.
«Sento in te il mio potere, ma sento anche
oscurità. Non ho la certezza che tu non voglia farle del male».
Feci per
ribattere ma, all'improvviso, Daphne si svegliò e mi
guardò con occhi
terrorizzati e sofferenti.
«Bloom...
che ci fai qui? Io... Bloom... fai smettere le voci, ti
prego!»
Era stata
corrotta anche la sua anima, come avevo temuto. La fitta al ventre
aumentò
d'intensità: iniziai a sanguinare corruzione anche in quella
proiezione
mentale.
«Daphne,
sono venuta qui per salvarti! Convinci il drago a lasciarti andare, il
tuo
corpo è qui che ti aspetta... puoi tornare in
vita!»
Ma mia
sorella scosse la testa, nauseata.
«N-no...
le voci... dicono che mi ucciderai... dicono che sei un abominio...
tu... sento
l'oscurità in te...»
Caddi in
ginocchio davanti alla gabbia infuocata in cui era rinchiusa. Iniziai a
piangere e a sbattere la testa contro il corpo del drago, nella vana
speranza
di placare le mie, di voci.
«Guardami! Guarda cosa ho fatto per te!
Sono un abominio, sono una cosa che in natura non esiste, ma...
guardami! L'ho
fatto per te! Non potrei mai ucciderti! Guarda cosa... guarda cosa ho
fatto per
te!»
Cercai di
sorridere ma non mi uscii bene, sembravo una pazza sanguinaria che
aveva perso
la testa. Probabilmente la spaventai ancora di più. Notai
che mi scrutò con più
intensità e smise di piangere, recuperando un attimo di
lucidità.
«Sorellina
mia... cosa hai fatto?»
Mi guardava
con pietà e ribrezzo, o, almeno, era quello che percepivo
io. Mi strinsi di
nuovo la testa tra le mani e cercai di raccontarle nel più
breve tempo
possibile cosa era successo, cercando disperatamente di non cadere
nella
follia.
«Perché...
perché lo hai fatto?»
«Non
sei
l’unica che può sacrificarsi per gli altri,
chiaro? Ti amo tanto e ti ho
uccisa, non potevo vivere con questa colpa! Ti prego Daphne, per amor
mio, ti
prego, vieni con me! Purificherò la tua anima e non sarai
più corrotta...
guarda cosa ho fatto per te, guarda, ti prego... salvati! Salvami!»
Mia
sorella tornò a contorcersi di dolore, le voci continuavano
a tormentarla e lei
si batteva senza sosta per contrastarle.
Dopo molti
minuti di agonia, recuperò la ragione quel tanto che bastava
per farsi liberare
dal drago: purificai la sua anima piuttosto facilmente, non aveva
attecchito in
profondità. La abbracciai, la abbracciai così
forte da sentire le sue costole
sul mio corpo, la baciai ovunque, ero incontenibile.
Lei sorrise
amara, ma mi lasciò fare. Appena mi staccai, dalla ferita
sgorgante corruzione
apparve il pugnale: impugnai l'elsa con due mani e la tirai fuori,
riportando
le nostre anime ai loro legittimi proprietari. Daphne riprese a
respirare, il
suo colorito tornò roseo, ma ci vollero parecchi giorni
prima che si
risvegliasse del tutto.
Questa
è
la fine della mia storia. Cosa successe dopo? La Griffin mi
portò il farmaco
dopo tre giorni: da quel momento in poi, avrei dovuto assumerlo per
sempre se
volevo stare relativamente 'bene'.
Parlai con
ognuno di loro in privato: mi fecero una ramanzina infinita ma, alla
fine,
tutti compresero le mie decisioni e, cosa più importante,
accettarono me. Sarebbe
più corretto dire che si sforzarono di farlo, ma non lo
ammetteranno mai.
Sky
raccontò che mi aveva cercato in lungo e in largo,
disperato, dopo che i miei
gli avevano confidato eccitati che sarei tornata ad Alfea e lui non mi
trovò.
Ora mi è sempre accanto ed è molto, molto
paziente, fin troppo. Ogni tanto ho
le mie crisi e la paura del contatto fisico ancora mi tormenta, ma per
amor suo
cerco di combatterlo con tutta me stessa.
Daphne si
sentì in colpa per moltissimo tempo dopo il suo risveglio
ma, allo stesso
tempo, fu davvero felice di essere tornata a vivere. Io cerco di essere
una
buona sorella, nonostante tutto. Ci amiamo tantissimo e ci siamo
sacrificate l'una
per l'altra, questo è ciò che conta davvero.
La Griffin
e Faragonda mi dipinsero come un'eroina all'opinione pubblica,
poiché avevo
scongiurato l'apocalisse vera e propria; ci furono festeggiamenti di
ogni sorta
e fui proclamata Guardiana degli Orphan.
Come avevo
previsto, non persi i miei poteri: si erano notevolmente indeboliti, ma
rimanevano comunque di una portata gigantesca, superiore a quella dei
normali
esseri viventi. Oltre ad insegnare, ora mi occupo di rintracciare e
recuperare
gli Orphan sparsi per l'Universo, portandoli dalla Griffin per farsi
curare.
Nei casi più disperati e gravi, purtroppo, sono anche colei
che li sopprime.
I presidi
di tutte le scuole di magia mi diedero l'autorizzazione a cacciare ed
eliminare
ogni essere magico malvagio troppo potente per essere abbattuto dai
normali
organi di sicurezza e protezione, per evitare ad ogni costo che un
pericolo
simile non sia più corso da nessuno.
Per quanto
riguarda me... beh, ho scoperto che non potrò più
usare la polvere di fata né
acquisire nuovi poteri, è abbastanza scontato.
Emotivamente
e psicologicamente sono duramente provata, credo che non mi
riprenderò mai del
tutto. Però... devo ammettere che ora sto meglio dopo aver
scritto tutto...
tutto questo. Non so se alle mie allieve serva davvero il diario, ma vi
dico
una cosa: questo è ciò che è riuscita
a fare una che non ha mollato.
Non
arrendetevi mai, la
determinazione che ho io l'avete anche voi. Coltivate la vostra forza e
potrete
realizzare tutti i vostri sogni. Ora... basta così.
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