Il Canto della Guerra

di Sinnheim
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chiamata Alle Armi ***
Capitolo 2: *** Assedio ***
Capitolo 3: *** Il Peccato Originale ***
Capitolo 4: *** Le Ferite della Mente ***
Capitolo 5: *** Gioco D'Azzardo ***
Capitolo 6: *** Abbracciare L'Oscurità ***
Capitolo 7: *** Fiamme Sporche ***
Capitolo 8: *** Ricorda Chi Sei ***
Capitolo 9: *** L'Arte della Guerra ***
Capitolo 10: *** Vittoria Amara ***



Capitolo 1
*** Chiamata Alle Armi ***


CAPITOLO 1: CHIAMATA ALLE ARMI

 

 

 

Non so davvero perché io lo stia facendo, non mi sembra una buona idea.

Comunque. Anche se la mia riluttanza e la mia perplessità mi spingono a lasciare perdere e mandare tutto a quel paese, beh, eccomi qui, con il naso chino su questo diario pronta a scoperchiare il vaso di Pandora.

Sono una professoressa di Alfea da molto tempo ormai ma, nonostante il clamore che quell'evento portò in tutto l'Universo Magico, molte delle mie allieve non conoscono la storia o, almeno, non nel dettaglio. Io, francamente parlando, ne sono molto contenta: non conoscendo nulla di questa faccenda nessuno fa domande e, qualche volta, mi dimentico perfino che quella tragedia sia avvenuta davvero. Spiegandolo in altri termini, è come quando ti svegli da un lungo sonno e non distingui più la realtà dal sogno che stavi facendo, ti chiedi 'ma è successo davvero?'.

La preside Faragonda, però, è di tutt'altro avviso: lei pensa fortemente che mi farebbe molto bene scrivere dell'accaduto su un diario e far conoscere la mia storia alle allieve, sia per liberare il dolore che ho nel cuore, sia perché questa è una storia che deve essere raccontata per il bene futuro.

Lo trovo un tantino esagerato ma, considerato lo stato fisico e mentale in cui mi trovo in questo momento e considerate le azioni che ho compiuto, sono l’ultima persona nell’Universo che può dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Inizialmente non volli nemmeno parlarne, era impensabile per me scrivere su qualcosa di così orribile e oscuro, qualcosa che dovrebbe essere sepolto per sempre e dimenticato.

Con il senno di poi, ho capito che, forse, potrei almeno provare a fare questa follia, dopotutto mi fido ciecamente della preside, non mi consiglierebbe mai di fare qualcosa che possa farmi del male… non dopo quella volta, almeno.

Quindi... va bene. Però, ci tengo a dire che non prometto nulla a chi leggerà questa storia: questo scritto non è pensato per essere accurato o perfetto dal punto di vista tecnico, seguirò unicamente i miei pensieri. Credo che, alla fine, sia questo l'obiettivo, no? Aprirmi e far fluire il dolore attraverso le parole.

Anche se è passato tanto tempo, l'orrore è sempre lì, in agguato nel mio cuore: mi tende imboscate, mi dà la caccia continuamente avvelenando la mia mente, non lasciandomi mai tregua.

Devo trovare una via di fuga da tutto questo, devo riuscire a scappare. Sono spezzata fuori e dentro senza possibilità di guarigione, non posso certo pretendere di trovare la pace che tanto desidero, ma... beh, questo è un inizio per costruire qualcosa. Spero di farcela, davvero.

 

 
Questo inferno, solo così posso definirlo, accadde ormai cinque anni fa. Così pochi, eppure sembra un'altra vita. A pensarci bene, effettivamente, lo era: un altro mondo, un'altra me stessa. Comunque, era una giornata come tante altre su Domino, calda e soleggiata.

Io, Daphne e le Winx tornammo sui nostri pianeti per le vacanze estive, il nostro lavoro di insegnanti era momentaneamente finito. I giorni passavano sereni, e io avevo finalmente la possibilità di approfondire la conoscenza di mia sorella; non era passato poi molto tempo da quando spezzammo la sua maledizione permettendole di riottenere un corpo fisico, con tutti gli impegni ad Alfea, poi, e con la vicenda degli animali magici, non abbiamo avuto modo di stare insieme.

Adoravo e adoro tutt’ora condividere la mia vita con lei: essendo cresciuta come figlia unica a Gardenia, non avevo mai potuto sperimentare cosa si provasse a vivere con qualcuno che possedeva il tuo stesso sangue, magari anche il tuo stesso carattere e i tuoi stessi tratti somatici. Certo, non siamo sorelle proprio identiche, io ho i capelli rossi e gli occhi azzurri mentre lei è bionda con gli occhi castani, ma il nostro viso, le nostre espressioni, i nostri sguardi... siamo due gocce d'acqua, l'immagine speculare dello stesso drago.

Le ragazze del Winx Club sono senza dubbio come sorelle per me e, in parte, mi hanno fatto percepire le stesse cose, ma con Daphne è diverso in un modo che non so descrivere. Sacrificò la sua vita per salvarmi, fu l'ultimo baluardo di difesa di Domino e non ci pensò due volte ad affrontare le Streghe Antenate pur sapendo che stava combattendo una battaglia persa. È grazie al suo coraggio se io, oggi, sono qui, ma a che prezzo.

Onestamente, penso di non aver mai vissuto un periodo di pace più spensierato di quello: i nostri genitori riuscivano sempre a trovare il tempo per stare con noi nonostante i loro impegni, Sky e Thoren venivano a trovarci ogni volta che potevano. Stavo vivendo il mio sogno, avevo ottenuto tutto ciò che desideravo, con sudore e lacrime.

Quel giorno, io e Daphne stavamo passeggiando nel parco del castello; tutte le piante erano in fiore, profumi dolci impregnavano l'aria rendendola quasi di miele mentre, davanti a noi, una distesa di colori sgargianti ci donava l'illusione di camminare su di un arcobaleno brillante.

Eravamo tornate a casa da circa una settimana; io e mia sorella non avevamo fatto altro che parlare delle cose più banali, per ore e ore, senza stancarci mai l'una dell'altra, mentre i nostri genitori, invece, trascorrevano molto tempo nella sala riunioni del castello: pensavamo che stessero lavorando su questioni diplomatiche importanti, anche perché non possono per legge far trapelare ad esterni le decisioni interne del regno, neanche a noi che siamo le principesse. Le precauzioni per evitare fughe di notizie sono molto rigide qui su Domino.

Consce di tutto ciò, rimanemmo perplesse quando una delle guardie reali si avvicinò per comunicarci che il re ci aspettava in quel salone, così misterioso e off limits; se ci stavano permettendo di entrare lì dentro, forse era successo qualcosa di anomalo dallo standard, mettendomi parecchia ansia. Daphne, forse presa dagli stessi pensieri, intuì subito il mio stato d'animo e cercò di rassicurarmi con parole dolci e stringendomi la mano.

«Vedrai che non è niente, forse vogliono solo un confronto».

«Sarà… sono diventata sospettosa in tutti questi anni» le risposi amara, lei sghignazzò complice.

«Come darti torto, sorellina».

Camminammo titubanti fino al castello. La struttura è del tutto simile a quelli medievali della Terra, segno che, più o meno, tutti i mondi dell’Universo conosciuto avevano attraversato periodi storici simili. Certo, la forma e i materiali sono piuttosto eccentrici rispetto a quelli che ho studiato sui libri a Gardenia, ma il mondo magico è bello perché vario, suppongo.

Fu un lungo tragitto, viste le dimensioni complessive sia del castello, sia del giardino che lo circonda, ma raggiungemmo relativamente presto quel portone massiccio decorato con draghi dorati; spingemmo con forza ed entrammo, trattenendo il respiro.

Quella che si presentò davanti a noi fu una scena per niente rassicurante. L'interno era un macello, c'erano carte e documenti ovunque sul lunghissimo tavolo al centro della stanza, persone che andavano e venivano: sembrava un campo di battaglia nonostante il prezioso arredamento e i drappi ricamati alle pareti. Daphne rimase congelata sul posto, con le mani dietro la schiena e la faccia di una che aveva appena visto qualcuno correre nudo per strada, io non sapevo nemmeno dove guardare.

«Ma che...» esclamai guardando mia sorella con aria smarrita. Lei non si mosse di un millimetro.

«Non chiederlo a me».

In mezzo a quel casino, scovammo nostro padre chino sul gigantesco tavolo lungo al centro della stanza, intento a scarabocchiare cose su delle cartine, non si era nemmeno accorto che eravamo entrate.

«Scusat-» provò a dire Daphne, ma la confusione era assordante, nessuno ci degnava di uno sguardo.

«Per il Sacro Drago. Ehi, scusate!» urlò allora, così forte da spaccarmi un timpano.

Tutti si fermarono di colpo, spaventati, mio padre sobbalzò letteralmente sulla sedia.

«Ci hanno detto di venire qui, che diavolo sta succedendo?» chiesi a mio padre, stizzita.

Lui aveva l'aria di non dormire da giorni: delle grosse occhiaie cerchiavano gli occhi color nocciola, mentre la barba poco curata copriva la sua smorfia di tensione. Si passò una mano tra i capelli castani e si gettò a peso morto sul prezioso mobilio.

«Sì, eccovi qua. Avrei preferito che ci fosse stata anche vostra madre, ma è in missione diplomatica. Quindi... beh, sedetevi».

Ci fece portare due sedie e ordinò ai suoi collaboratori di prendersi una pausa, lasciandoci soli. Sentivo il cuore martellare, era tutto troppo sbagliato in quella stanza.

«Papà, tutto questo mi sta mettendo ansia, ci dobbiamo preoccupare?» chiese dolcemente Daphne, ma lui abbassò lo sguardo.

«Andrò dritto al punto, girarci intorno è inutile. Forse siamo nei guai».

Mi misi a giocherellare nervosamente con le mani, cercando inutilmente di mantenere una calma che non ho mai avuto in vita mia.

«Che genere di guai? Io ormai sono una specialista del settore» feci per sdrammatizzare, lui abbozzò un sorriso ma tornò immediatamente serio.

«È stato un anno complicato. Mentre voi vi dedicavate all'insegnamento, sono accaduti degli eventi sospetti. Non abbiamo ritenuto necessario il vostro intervento, anche perché non avevamo nemmeno la certezza che il problema fosse reale. Domino, Eraklyon e la preside Griffin hanno quindi iniziato a fare ricerche in gran segreto per un anno intero, fino ad oggi. Detesto ammetterlo, ma la conclusione a cui siamo arrivati è che la minaccia è autentica».

Daphne sospirò forte, inarcò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, cercando di calmarsi. Io, al contrario, sentivo il fuoco nel sangue: paura, ansia, terrore di perdere tutto, veleni così micidiali per la mente da impedire al cervello di trovare una qualsiasi soluzione. Mia sorella si massaggiò le tempie, chissà a quante cose stava pensando contemporaneamente. È sempre stata un'attenta pensatrice, mentre io, beh, sono più un tipo d’azione.

«...ok. Di cosa stiamo parlando, quindi?»

La voce di Daphne era un misto di freddezza e nervosismo, mi fece rabbrividire. Papà prese un profondo respiro e iniziò ad esporre la situazione.

«Da un anno a questa parte, molte streghe hanno iniziato a percepire masse energetiche oscure estremamente elevate, sparpagliate un po’ ovunque nell’Universo. Prima piccole, poi sempre più grandi, sembravano espandersi. Abbiamo mantenuto la questione nel massimo riserbo possibile per non creare allarmismi ma, diavolo, questa ‘cosa’ non fa che aumentare giorno dopo giorno».

A quel punto, iniziai a sudare freddo come raramente era successo: era il mio stesso cervello che si rifiutava di accettarlo.

«La Griffin che dice?» chiesi con voce rauca. Doveva esserci per forza una soluzione, doveva…

«Sta tracciando queste fonti una dopo l'altra per poterne studiare la natura, lavora praticamente giorno e notte. Lei pensa che... insomma...» rantolò torturandosi le mani, sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro, «queste tracce energetiche siano molto simili a quelle delle Tre Antenate. La Griffin non può ancora averne la certezza assoluta, ma-»

«Le Trix sono libere» sentenziai come una condanna. Il loro nome echeggiò nella sala vuota come una bestemmia contro le divinità.

«È possibile, ma non avevano mai ottenuto un potere così grande e primordiale. Stiamo parlando di potenze che appartengono a qualcosa di antico, come la Fiamma del Drago».

Daphne rimase in silenzio per un po' con lo sguardo fisso sul tavolo, riflettendo attentamente sul da farsi; dopo qualche minuto scosse la testa, come per accantonare un’idea che si era fatta.

«Non importa cos'è, importa fermarlo. Se si tratta delle Trix, dobbiamo scoprire come hanno fatto a liberarsi da quel luogo maledetto in cui le abbiamo gettate e poi rispedirle al mittente.»

C'era una furia glaciale nelle sue parole, non avevo idea di questo suo lato così oscuro. Suppongo sia normale, dopo tutto quello che ha dovuto subire per colpa loro.

«Sì, è esattamente quello che vogliamo fare. Stavolta non vi lasceremo sole a combattere. Voglio spazzarle via una volta per tutte, per questo motivo sto radunando tutte le forze di cui dispongo. Eraklyon, i Paladini, la Compagnia della Luce, voi Winx, gli Specialisti, tutti. Nei prossimi giorni ci raduneremo qui con tutte le informazioni di cui disponiamo, prepareremo un piano d’azione e distruggeremo questa cosa, qualunque essa sia. Voglio un attacco congiunto, spietato, questa volta non avranno la meglio».

Strinsi forte la mano di mia sorella, mi resi conto solo dopo di quanto fosse sudata. Non avevo certo paura di combattere di nuovo, questo mai, ma in tutti quegli anni qualcosa era cambiato eccome: avevo ottenuto faticosamente tutto ciò che avevo desiderato e, questo, mi avrebbe penalizzata tantissimo in battaglia. Se c'era una cosa che sapevo per certo, era che le Trix avrebbero distrutto tutto ciò che amavo pur di ferirmi e indebolirmi, e… non dovevo assolutamente permetterlo.

Passarono due giorni di tensione. Potevo percepire il nervosismo liberarsi nell'aria, l'atmosfera diventò pesante e fredda. La compagnia delle ragazze e dei ragazzi sciolse un poco la paura che serpeggiava tra di noi: in qualche modo, l'agitazione pre-guerra diventò un fastidioso prurito sulla pelle. Nonostante ciò, ero perfettamente consapevole che gli animi erano infuocati, il timore del conflitto si sentiva nitidamente in ognuno di loro, e come biasimarli.

Domino era improvvisamente diventata la casa degli esseri più potenti dell'Universo Magico. Devo ammetterlo, il tutto aveva un che di epico, quasi era eccitante il brio del combattimento imminente.

Il terzo giorno arrivarono anche i presidi di Torrenuvola, Alfea e Fonterossa: finalmente, lo schieramento era completo. Ci sistemammo nella sala del trono e iniziammo a fare il punto della situazione; in quattro ore di discussione si è ipotizzato di magia nera, dell'uso di artefatti magici, di rune, di magie proibite e un'altra infinità di cose.

«Non arriveremo mai a niente così» sbuffò Flora alle altre, le quali concordarono pienamente.

Dal canto mio, stavo davvero iniziando ad innervosirmi, e questo Daphne lo notò.

«Sorellina, vedi di stare calma o qui finisce male. Abbi pazienza».

Oh, sì. Certo. Lo sanno anche i sassi che Bloom e pazienza non possono essere messe insieme nella stessa frase. Nel frastuono del chiacchiericcio, la preside Griffin iniziò a sentirsi poco bene, diventò molto pallida, cioè, più del solito, almeno. Tutti fermarono il loro vociare, con enorme sollievo delle mie orecchie.

Ricordo la sua espressione come se fosse ieri: il terrore puro, di chi aveva visto la morte in faccia e non poteva far niente per evitarla. Con voce flebile disse solo una cosa, una sola frase che ci congelò tutti sul posto.

«È qui. La massa di energia oscura... è qui».

 

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Capitolo 2
*** Assedio ***


CAPITOLO 2: ASSEDIO

 

 

Un silenzio glaciale calò nella sala riunioni: perfino i quadri dei precedenti sovrani di Domino attaccati alle pareti parvero trattenere il fiato. Tutti rimasero immobili, con le orecchie ben aperte e i nervi tesi, mani sulle armi, cuori in fiamme per l'attesa.

«Griffin, sei assolutamente sicura di quello che dici?» chiese mio padre con tono grave, di chi è stato braccato nella tana del lupo.

«Io non riesco a capire, non riesco nemmeno a concepire come sia possibile, questa massa di energia è qui tra noi, la sento nitidamente».

Credo che non scorderò mai l'espressione di mia sorella in quel momento, così amara e senza speranza. Un déjà-vu terribile le stava straziando il cuore: potevo quasi vedere nei suoi occhi le streghe che attaccavano Domino, che le strappavano via la vita, che distruggevano la nostra casa.

Non osai nemmeno immaginare il terrore che stava provando, così mi limitai a stringerle la mano e riportarla alla realtà, lontano da quei mostri del passato: non avrei mai pensato che quel presente fosse un inferno ben peggiore.

«Diavolo. D'accordo, tutti pronti a difendervi!» urlò mio padre con veemenza.

Le guardie reali arrivarono in gran fretta, posizionandosi davanti le entrate e le finestre con le armi sguainate, mentre noi, al centro della stanza, ci preparammo a combattere.

«Rimanete tutti nel castello! È protetto da una forte e antica magia: fin quando non capiamo che cosa stiamo affrontando, non correremo nessun rischio inutile!»

La voce del re era tonante e autoritaria. Annuimmo tutti e restammo in attesa di qualunque cosa, immagino.

La Griffin, nel frattempo, non si dava pace: fredda e calcolatrice, non aveva mai sbagliato niente nelle sue ricerche in anni di servizio. A ogni domanda trova sempre risposta, più è contorto e oscuro il problema, più ci si appassiona. Eppure, quella volta, tutti i suoi sforzi e tutto il suo acume vennero annientati come niente, non poteva sopportare il fallimento.

«È colpa mia, tutto questo è colpa mia, non ho previsto, non sono stata abbastanza attenta...» mugolò la strega torturandosi la mente. Si teneva la testa con le mani come per reggere un peso insostenibile.

«Amica mia, ora basta, sei troppo dura con te stessa! Hai fatto tutto quello che potevi!» cercò di consolarla Faragonda accarezzando la sua spalla con tocco gentile, ma la dura preside di Torrenuvola non poteva perdonarsi e, per qualche tempo, non la perdonai nemmeno io.

Ero troppo annebbiata dalla rabbia per poter essere tollerante. La Griffin ha indubbiamente sbagliato nel corso della sua vita, ma la comprensione dovrebbe essere una qualità fondamentale per le fate. Già... le fate…

Passarono i minuti. Se è vero che il tempo è relativo, dal mio punto di vista sembrarono ore. Non volava una mosca, potevo sentire il cuore martellante di ognuno dei presenti, il filo delle spade che sfiorava il fodero, ho pensato di impazzire diverse volte. A spezzare il silenzio ci pensò la preside di Torrenuvola che, dopo un terribile rimuginare, era finalmente arrivata all'epifania. Inutile dirlo, ci spaventò tutti a morte.

«Ma certo!» esclamò battendo il pugno sul tavolo.

«Griffin, ma ti pare il modo?!» urlò Saladin, ormai diventato un fascio di tendini e nervi dalla forma umana.

«Scusatemi tutti, ma ci sono arrivata! Tutte le altre fonti energetiche erano solo una trappola! Avevo ipotizzato che non avessero nessun senso: erano troppo scollegate tra loro, uno specchio per le allodole. Ora siamo qui, intrappolati tutti nello stesso punto, troppo intenti a concentrarci su quelle tracce lontane per rivolgere l'attenzione su ciò che avevamo sotto il nostro naso. Acuto, mossa molta astuta...»

La strega iniziò a camminare avanti e indietro per la sala, nervosa.

«È perfettamente plausibile, ma chi farebbe una cosa del genere? E per quale scopo?» domandò Flora. Daphne si irrigidì ancora di più e le rispose durissima.

«Qualcuno che vuole vendetta. Celando il proprio potere e agendo indisturbato, tale essere potrebbe aver fatto qualunque cosa e noi non ne siamo al corrente. Potremmo essere già tutti morti, per quanto ne sappiamo».

Sky cercò immediatamente il mio sguardo, non sapeva cosa fare né cosa pensare; Thoren, invece, si alzò di scatto dal suo posto, bianco in volto.

«Amore mio, non credi di esagerare? Insomma, non siamo nemmeno sicur-»

Un boato gigantesco fece tremare la terra all'improvviso, tanto che cademmo tutti al suolo come frutti maturi. Cercai immediatamente Daphne con le mani e, una volta individuata, la avvolsi tra le mie braccia per proteggerla dai detriti che cadevano dal soffitto. Le guardie si rimisero in posizione subito, mentre noi facevamo fatica ad alzarci; quella stanza si riempì di grida, non si capiva nulla di quello che mio padre stava dicendo, era il caos più assoluto.

Volevo rimettermi in piedi e urlare, urlare più forte di tutti per farmi ascoltare e per riportare un minimo di ordine, quando si fece buio. Piombò di nuovo un silenzio glaciale; i nostri respiri affannosi facevano fin troppo rumore, era così denso che potevo quasi vederlo.

“È… calata la notte?” pensai tremando, una goccia di sudore freddo mi segnò la guancia.

Con estrema cautela ci avvicinammo alle finestre per capire cosa diavolo stesse succedendo, pronti a reagire a tutto. Buttai l'occhio furtivamente fuori dalle vetrate: tutto era di un nero così cupo da dar fastidio alla vista. Sbirciai per qualche secondo, incapace di comprendere, poi mi resi conto: quella massa si muoveva e stava ricoprendo tutto il castello.

Stavo per chiamare mio padre, quando le finestre esplosero davanti a noi, come se stessero venendo compresse. I muri cominciarono a sgretolarsi, così come le strutture in marmo color pastello: quella cosa ci stava letteralmente stritolando. Le schegge mi tagliarono superficialmente le braccia con le quali mi ero protetta, ero illesa ma sanguinavo parecchio. Sky corse immediatamente verso di me con gli occhi pieni di terrore, era disperato.

«Sto bene, non ti preoccupare!»

Mi aiutò ad alzarmi quando, alta e terribilmente forte, una voce echeggiò per tutta la struttura.

«Sono Marion, regina di Domino ed ex custode della Fiamma del Drago. In mio nome, vi ordino di uscire dal castello con le mani ben in vista, o morirete tutti».

Il tono di mia madre era così innaturale: era rotto dalla sofferenza ma fermo, come una roccia. Mi rifiutai categoricamente anche solo di ipotizzare che fosse coinvolta in quella follia, doveva esserci qualcosa sotto per forza.

«Amore mio, cosa stai facendo?» sussurrò spezzato mio padre. Daphne era diventata un blocco di ghiaccio.

Ci guardammo tutti con aria affranta, non avevamo molta scelta. A denti stretti e con il cuore gonfio di terrore uscimmo uno dopo l'altro, con le mani in alto, disarmati e vulnerabili.

Ironia della sorte, i predatori divennero le prede. Una volta fuori, fummo investiti dalla luce del sole e potemmo vedere l'orribile realtà che ci aspettava: una massa abnorme, nera come la pece e dalla forma tentacolare si era avvolta intorno al castello sbriciolandolo con furia, come un mostro degli abissi che affonda la nave.

Tremammo tutti come foglie: le difese magiche furono violate con una facilità disarmante. Avanzammo lentamente fino al cortile antecedente le porte della nostra casa e finalmente scoprimmo la verità: mia madre, la regina Marion, era lì davanti a noi, a mezz'aria, stritolata dagli stessi tentacoli neri che stavano distruggendo il castello.

«Mamma!» urlai a gran voce, lei mi guardò in lacrime.

«Perdonatemi, vi prego... vi avrebbero uccisi tutti se non vi avessi attirato fuori...»

«Chi? Dicci chi!»

«Noi».

Come fantasmi, dal nulla apparvero tre figure incappucciate. La loro presenza era opprimente, mi spezzava il fiato. Senza dire una parola, i tentacoli neri ci catturarono tanto rapidamente che non potei nemmeno vederne l'evocazione; eravamo tutti ancorati a terra e in trappola, mia madre venne portata vicino al resto del gruppo.

Sembrava un vero e proprio campo di esecuzione. Il mio spirito battagliero fu completamente annientato: sentivo una disperazione che non mi apparteneva, ero diventata spettatrice di un corpo che non era più il mio.

Avevano soffocato il mio fuoco e, con esso, la mia anima. Guardai Daphne: nei suoi occhi potevo vedere il puro terrore, ma anche la furia del drago. Del nostro drago. Come sarebbe finita non potevo saperlo ma, perlomeno, saremmo stati tutti insieme. O meglio, questa era la mia speranza. Speranza che morì molto, molto amaramente.

Una voce a me molto familiare ci intimò di non provare a ribellarci in nessun modo o saremmo tutti morti in un istante. Le tre si scoprirono il viso e, come avevamo immaginato, erano proprio loro: le Trix. Icy iniziò a parlare con tono calmo, quasi innaturale per una pazzoide come lei.

«Però, sono sorpresa. Non credevo potesse funzionare davvero».

«Questo perché non hai mai fiducia in noi!» rispose Stormy con voce acida. Darcy sghignazzava soddisfatta.

«Non sono poi brillanti come sembrano, vero?» disse la strega dell'oscurità.

Rivolse lo sguardo verso la sua orribile creazione, sorridendo come una bambina.

«Guardate che spettacolo! Il castello di Domino spezzato come un ramoscello! Nemmeno le Streghe Antenate erano state capaci di tanto!»

Icy scoppiò a ridere come suo solito, sentivo la furia montarmi in corpo. La Griffin diventò insofferente davanti a quel teatrino, aveva sete di conoscenza.

«Come? Come diavolo avete fatto ad uscire da quel limbo dimenticato dagli dei?!»

«Domanda lecita» rispose Darcy. Camminò allegramente intorno a noi, poi continuò: «Penso sappiate tutti cosa successe con l'albero del Bene e del Male. Nel momento in cui le Streghe Antenate stavano per essere distrutte da voi piccole fatine, riuscirono a trasferire un briciolo del loro antico e primordiale potere dentro di noi. Dopo che ci gettaste in quel posto maledetto, quel potere iniziò a crescere a dismisura, forse influenzato dall'assenza del tempo, chissà. Crebbe così tanto che disintegrò le sfere che ci tenevano prigioniere e riuscimmo a tornare nella Dimensione Magica!»

Rimanemmo tutti sconcertati da quelle rivelazioni: ci eravamo scavati la fossa da soli, la ruota del karma aveva girato anche per degli esseri orripilanti come loro. Quale ironia, vero? Stormy, poi, continuò la storia.

«Le tre vecchie volevano usarci come catalizzatori, impossessarsi dei nostri corpi per tornare in vita. Ma, sapete, eravamo fin troppo furiose in quella prigione, una rabbia che non potete nemmeno sognare. La loro volontà era troppo debole per sovrastare la nostra coscienza, così le abbiamo abbindolate al nostro volere e ci siamo impadronite completamente del loro potere».

Infine, Icy si parò proprio davanti a noi con espressione rilassata, di chi aveva perfettamente la situazione sotto controllo.

«Abbiamo acquisito tanti poteri nel corso della nostra vita. Il Sirenix, la Magia Selvaggia... tutte abilità che non ci appartenevano, difficili da utilizzare al loro massimo potenziale. Nonostante il nostro impegno, non vi abbiamo sconfitto, mai. Ora, mie care fatine, è tutto diverso. Quei poteri, i vostri poteri, impallidiscono tutti davanti a questo. Un potere antico, così primordiale da poter essere definito selvaggio, in effetti. Ora possiamo sentire tutto, energie sia bianche che oscure. E la cosa divertente sapete qual è? Ce lo avete donato voi. Forgiato dallo stesso limbo in cui ci avete gettato via, come immondizia».

Era davvero rimorso quello che stavo provando? Pietà? D'altronde, la prigionia se l'erano largamente meritata, erano pericolose per tutti, una minaccia per tutto l'Universo. Continuò a parlare, ogni sua parola mi feriva l'udito.

«Per quanto potenti fossimo diventate, non potevamo di certo affrontarvi così, a viso aperto. Siete scarafaggi, ma siete davvero tanti. Eravamo furiose ma, se volevamo spuntarla, dovevamo studiare un piano, uno di quelli fatti bene».

Darcy rise beffarda, orgogliosa del suo operato.

«Ho avuto questa idea malsana. Mi sono chiesta 'chissà se sono così stupidi da cascarci?’. Non potevo credere a quello che percepivo: le più grandi fonti energetiche dell'Universo che si stavano radunando su Domino! Ho riso così tanto da farmi venire il mal di pancia!»

Non avevo ancora assimilato del tutto quelle informazioni, quando sentii la presa dei tentacoli diminuire, fino a lasciarmi libera; mi massaggiai le braccia doloranti, poi notai che anche Daphne era stata rilasciata. Nemmeno nel più terribile dei miei incubi avrei potuto immaginare cosa sarebbe successo dopo.

Stormy ci si avvicinò e iniziò a parlare: «Ascoltatemi bene e nessuno si farà del male. I vostri compagni sono tutti bloccati con dei tentacoli d'ombra, li vedete, no? Fate qualcosa di stupido e io farò passare delle scariche elettriche così forti nei loro corpi che non si accorgeranno nemmeno di essere morti, parola mia».

Io e mia sorella le guardammo inorridite, tanto era il dolore che ci fu promesso dalla strega. Il pensiero di vederli tutti morire era inconcepibile, così decidemmo di stare al loro gioco. Beh, in effetti non avevamo nessuna scelta, erano diventati loro ostaggi.

«Avete ottenuto questo teatrino. Brave, ve ne do atto. Adesso, cosa diavolo volete? Perché non ci uccidete e basta?» dissi a denti stretti.

Mascheravo il mio terrore con una finta arroganza che non sortì l'effetto sperato, tanto che Icy non cambiò minimamente atteggiamento.

«Siamo qui per prendere una cosa che vi appartiene e che ci serve. Certo, potremmo fare quel che dobbiamo e andarcene per la nostra strada, ma... non sarebbe divertente. Ci avete fatto soffrire le pene dell'inferno, non possiamo certo andarcene senza aver ripagato il favore. Riusciremo dove le nostre antenate fallirono. Prenderemo la Fiamma del Drago».

Io e Daphne ci guardammo con il gelo nel sangue, quelle parole significavano solo una cosa: qualcuno sarebbe morto di sicuro. Eravamo entrambe convinte che ci avrebbero ucciso davanti ai nostri compagni, trafugato i nostri poteri e poi si sarebbero liberate degli altri.

‘Cosa poteva esserci di peggio’, pensai. Oh, quanto mi sbagliavo...

Come se ci avesse letto il pensiero, Darcy fece una smorfia infastidita.

«Oh no, no, no, no, non avete capito proprio niente. Noi non alzeremo un dito. Ci siederemo qui, a goderci lo spettacolo. Ci serve una sola Fiamma del Drago, sta a voi decidere quale prenderemo».

Risero, risero forte, ma io non sentii assolutamente nulla: intorno a me i suoni si fecero ovattati e lontani. Non poteva essere reale quello che stavo vivendo, non stava succedendo davvero. Incrociai lo sguardo di Daphne e vidi il dolore sconfinato di una donna che aveva appena riassaporato la vita: abbassò gli occhi e pianse silenziosamente. Non ci stavo. Non potevo.

«Daphne, ascoltami! Non posso, non possiamo! Cerchiamo di pensare ad un'altra soluzione, io non... ti prego...»

Soffocai i singhiozzi a fatica mentre cercavo di mettere insieme delle frasi di senso compiuto. Lei camminò piano verso di me, mi accarezzò il viso e sorrise, per poi abbracciarmi e sussurrarmi poche parole: «Bloom, sorellina mia. Non abbiamo scelta, o moriranno tutti. Già una volta ho dato la mia vita per te, tesoro mio. Lo rifarei altre mille volte, e lo farò adesso. Sarà difficile, quasi impossibile per te, lo so, ma devi trovare la forza di... uccidermi».

Una furia incandescente iniziò a divampare nel mio petto: avevo ritrovato mia sorella da così poco tempo, non era giusto, non volevo.

«No… no, no, ti sei sacrificata già una volta, ora tocca a me! Non posso, non posso fare quello che mi chiedi, non posso, è troppo...»

Mi afferrò per le spalle con ferrea determinazione e mi guardò con occhi di fuoco, quegli stessi occhi che, spesso, ho avuto anche io.

«Mi strapperei la Fiamma del Drago da sola ma non posso, ok? Quelle vogliono vederci combattere a vicenda, se non lo facciamo uccideranno tutti! I nostri genitori, i nostri amori, i nostri amici! Se loro muoiono, se tutti noi moriamo, chi le fermerà? Prenderanno la nostra Fiamma del Drago e distruggeranno tutto! Miliardi e miliardi di vite! Davvero vuoi portare questo peso sulla coscienza?»

Aveva ragione. Stava cercando di far leva sul mio senso del dovere in modo palese ma, chiamatemi pure egoista, ma io non riuscii comunque a muovere nemmeno un muscolo.

«Io non posso, Daphne...»

A quel punto, successe una cosa che non saprei descrivere a parole: lei si allontanò da me con un'espressione che mai le avevo visto in volto, quasi folle, totalmente in balia della disperazione. Si voltò e caricò due sfere infuocate in entrambe le mani, pronta ad attaccarmi.

Dopo che la nostra missione per salvare gli animali magici fu conclusa, restituimmo il potere Butterflix e Tynix tornando al Bloomix, quindi i nostri attacchi erano potenzialmente letali; anche se non era ancora trasformata, quelle masse incandescenti potevano tranquillamente mandarmi all'altro mondo.

«Bloom... non mi sono sacrificata per poi doverti uccidere. Si vede che questo è il mio destino. Il mio posto non è su questa terra».

Sorrise amaramente mentre pronunciava quelle parole, mi si spezzò il cuore.

«Combatti, sorella. Coraggio

Senza lasciarmi il tempo di ribattere mi lasciò una di quelle sfere, la quale evitai con facilità.

«Daphne, smettila!»

Quella, però, continuò a lasciare i suoi attacchi, senza cercare di colpirmi veramente: mi stava provocando, cercava di farmi innervosire per spingermi ad ingaggiare il combattimento. Sarà anche passato poco tempo da quando eravamo di nuovo insieme, ma è stata in grado di capirmi fin da subito, come un libro aperto.

Poi… ah, maledizione... maledizione.

 

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Capitolo 3
*** Il Peccato Originale ***


CAPITOLO 3: IL PECCATO ORIGINALE

 

 

Nonostante il peso della responsabilità sulle spalle, nonostante la situazione mi imponesse di fare qualcosa, io non riuscii a farle del male. Scappavo come un animale spaventato evitando ogni suo attacco, ogni assalto, ogni fiammata del suo immenso potere.

Volevo ragionare, volevo disperatamente trovare un modo per uscirne fuori senza dover uccidere nessuno, ma Daphne non me ne dava il tempo. Lei sapeva benissimo che, per obbligarmi a fare una cosa così atroce, non doveva lasciarmi respiro, non farmi pensare a cosa era giusto e cosa sbagliato.

Ne avevo davvero la forza? Era davvero quella la soluzione? Combattere per prendere la vita di mia sorella e fornire un bello spettacolo di intrattenimento a quei tre esseri immondi?

Lei è la ninfa più potente di Magix e uno dei Custodi della Fiamma del Drago più forti mai esistiti, anni luce più capace di me, sia in potenza che in abilità. Sarebbe stato logico far sopravvivere lei al mio posto, chiunque in quel momento non ci avrebbe pensato due volte a mandarmi al macello.

Fu quello che pensai all'inizio, appena prima di guardarla negli occhi e comprendere l’amara verità che si celava dietro quella decisone: semplicemente, lei non poteva. Uccidermi avrebbe significato buttare via tutta la sua esistenza fino a quel momento: ogni scopo, ogni speranza, obliterare un dolore immenso vissuto per anni per amor mio come se non fosse mai esistito.

Perché proteggere Domino, perché perdere il proprio corpo, perché venire torturata da Tritannus, per quale motivo se poi doveva prendere la mia vita? Nel momento in cui ebbi la mia epifania, mi abbandonai alla più nera disperazione, accettando il mio destino.

E così, commisi il peccato più grave di tutti.

«Daphne, ferma, ferma! Ok, d'accordo, fermati un momento, te ne prego!» urlai con quanto più fiato avevo nei polmoni. Finalmente ella si fermò.

«Dammi... dammi un secondo. Dammi solo un secondo Daphne, per favore».

Mia sorella aveva il fiatone ed era completamente terrorizzata, ma mi fece un cenno con la testa e restò in attesa: aveva capito cosa volevo fare.

Rivolgemmo lo sguardo ai nostri compagni, ai nostri amici e ai nostri familiari. Voci assordanti si libravano nell'aria, così mescolate tra loro da non capire chi dicesse cosa: gridavano di non farlo, di non sacrificarci per loro, ci imploravano con veemenza. Li guardammo tutti, e non potemmo far altro che sorridere amaramente.

«Non posso sottrarmi ai miei doveri» disse loro Daphne con la voce rotta dal pianto, per poi continuare: «Io sono la principessa ereditaria di Domino, sono la sua Fata Guardiana. È mio compito proteggervi tutti, compresa la vita della mia sorellina. Farò quel che devo. Vi amo».

Abbassai lo sguardo a denti stretti: il pianto di mia madre mi stava lacerando l'anima. Icy fece schioccare la lingua, infastidita dall’ultimo saluto del sangue del mio sangue.

«Tutto questo teatrino mi sta facendo venire la nausea! Iniziate a combattere, maledizione».

Il cuore mi si strinse nel petto fin quasi a soffocare. In mezzo a tutti loro, però, una persona in particolare mi fece davvero morire dentro: Thoren.

Lui non disse nulla, non versò nemmeno una lacrima. Tenne gli occhi fissi a terra tutto il tempo, poi mi guardò e sussurrò solo una cosa: «Ti prego, fallo in fretta».

Lui, molto prima di me, aveva compreso che quella era l'unica conclusione possibile: mi stava affidando la vita di sua moglie, di colei che amava più della sua vita. Si era rassegnato, Thoren. Come tutti noi era stato annientato e mi stava chiedendo, per il bene nostro, di avere quel coraggio folle e inumano che né lui, né nessun altro aveva.

Le Trix stavano godendo di una felicità così immensa e macabra che mi si accapponò la pelle. Decisi che era ora di agire quando mia madre, con lo sguardo atterrito e spento, iniziò a pregare.

«Daphne... ti voglio bene. Ti voglio tanto di quel bene...»

«Anche io, Bloom... anche io».

 

 

Mi serve un minuto, ora. Nonostante questo momento io lo riviva ogni notte nei miei incubi, scriverlo di mio pugno è ben tutt'altra cosa. Non so se... no. Devo trovare la forza. Devo esorcizzare questo inferno e uccidere i miei demoni. Ok, sono pronta.

Ci trasformammo con gran foga mettendoci in guardia, il silenzio calò come un velo invisibile.

«Coraggio, Bloom. Dimostra di meritare il mio sacrificio».

Fiamme incandescenti aleggiavano intorno a noi, pronte a colpire. Daphne iniziò col lanciare una lingua di fuoco, basilare, ma molto efficace per saggiare le abilità di movimento dell'avversario. La evitai facilmente spostandomi di lato, e per tutta risposta le scagliai contro una sfera infuocata; lei, con un sapiente movimento di busto, riuscì a levarsi dalla linea di tiro e rimase illesa. Stavamo entrambe temporeggiando in modo evidente, presto le Trix ci avrebbero fatto pressioni.

«Avete intenzione di giocare o volete combattere? Non ci sta piacendo affatto quello che stiamo vedendo!» urlò Stormy stizzita, agitando la mano nella quale scintille elettriche stavano iniziando a comparire.

Stavamo rischiando troppo, lo sapevamo bene… chiusi gli occhi e forzai la mente a convincersi con tutta la mia volontà che quella davanti a me non era mia sorella ma un nemico, l'ostacolo che mi impediva di salvare le persone che amavo.

“Sei un nemico... un nemico...”

Percepii la furia del drago nel mio corpo e la scatenai: mi ricoprii di fiamme roventi e mi preparai ad un assalto diretto.

Come al solito, fui troppo impulsiva e troppo trasportata dalle emozioni per pensare a una tattica valida: quella che stavo affrontando era pur sempre una fata estremamente potente. Vedendo la mia disperata rabbia e percependo il mio immenso dolore, Daphne colse la palla al balzo e fece lo stesso: smettere di pensare lucidamente era forse la cosa migliore per non soccombere alla paura.

Iniziò una danza mortale di fuoco luminoso: lanciai una scarica di dardi poco potente ma molto veloce, tanto che la mia avversaria dovette proteggersi con una barriera magica; sortito l'effetto sperato, approfittai del momento e caricai un colpo singolo, molto più forte, per far breccia nella sua difesa.

Daphne predisse le mie mosse con grande abilità: nel tempo di un battito di ciglia, disperse la barriera e si gettò in picchiata verso il basso, lasciando che la mia sfera colpisse il terreno e generando una vigorosa vampata energetica.

Non potevo competere. Ogni nostra mossa sarebbe risultata falsa agli occhi delle streghe, le quali non distoglievano mai lo sguardo nemmeno per un secondo. Se volevo avere anche solo una possibilità di sconfiggere Daphne in modo credibile, dovevo puntare sulla qualità che più mi apparteneva: la determinazione.

Mi gettai in picchiata anche io per non darle respiro. Dovevo braccarla in modo tale da spingerla a commettere qualche errore, ma fui bloccata subito: le fiamme intorno al corpo di lei stavano diventando sempre più potenti, sempre più alte, troppo per poter essere fermate.

Decisi quindi di attendere e assorbire il colpo micidiale, cavarmela in qualche modo e contrattaccare. Non era affatto un buon piano ma, con quella mossa, mi aveva presa in contropiede e del tutto impreparata. Un drago di fuoco fece capolino da dietro la sua spalla: sembrava nutrirsi dell'energia vitale della sua evocatrice, diventando ben presto grande tanto quanto Daphne stessa, per poi scagliarmelo contro.

Io e mia sorella abbiamo incantesimi molto simili, conoscevo perfettamente gli effetti di quell'attacco e non dovevo assolutamente farmi prendere: concentrai le mie fiamme sulle ali per irrorarle di energia e scappare via, più veloce che potevo.

Fui rapida, sì, ma non abbastanza: il drago riuscì a braccarmi come un agnellino indifeso, iniziò a stringermi nelle sue spire soffocando il mio fuoco e trovando la mia pelle scoperta. Il dolore fu atroce, qualcosa di indescrivibile a parole.

Urlai, oh quanto urlai: il mio corpo si stava ustionando molto gravemente, sentivo il sangue scorrere lungo le braccia e le gambe, ogni movimento diventò impossibile e anzi, più mi muovevo e più la presa si faceva salda.

Cercai di rinchiudere il dolore il più lontano possibile dalla mia mente: se io fossi caduta lì, potevo dire addio a tutto ciò che amavo. Provai a evocare un mio drago concentrando le mie energie residue, anche se era di una difficoltà estrema. La disperazione collettiva mi diede la spinta necessaria per riuscire nella mia impresa.

Pochi esseri viventi erano in grado di sopravvivere al drago di Daphne ma, in qualche modo, il mio riuscì ad allentare la presa delle spire nemiche e volai via, in alto. Gemetti in lacrime dal dolore, sanguinando copiosamente dalle estese ustioni; in certi punti potevo vedere il tessuto muscolare sotto il derma incenerito, il puzzo poi era qualcosa di insopportabile. Rimasi completamente inorridita da cosa era stata costretta a fare mia sorella.

Cercai di riprendere fiato piegata in due dalla sofferenza quando, con la coda dell'occhio, notai che anche Daphne era duramente provata. Evocare il famiglio draconico richiede una quantità di energia enorme e, per quanto lei possedesse una riserva magica spaventosa, doveva comunque fare i conti con il deterioramento causato dalla Fiamma del Drago.

Non era più tempo di volare, così scendemmo a terra nel cortile davanti ai nostri disperati spettatori: eravamo arrivate ai ferri corti, da lì a poco sarebbe finita.

Soffocai le imprecazioni causate dal dolore terribile delle mie ferite: se volevo salvare tutti, dovevo assolutamente non lasciarmi sopraffare dall'orrore che mi sviscerava lo spirito. Mi costrinsi a rimanere lucida a qualunque costo. Al limite delle forze, Daphne si rimise in guardia.

Ragionandoci meglio, capii perché aveva usato quella tecnica: solitamente, questo incantesimo lo riserviamo come ultima risorsa per ribaltare una situazione disperata poiché, appunto, consuma quasi del tutto la nostra energia, va usata con molta cautela.

Lei decise di usarlo a inizio battaglia per far finire tutto il più presto possibile, donando comunque un bello spettacolo soddisfacente per quelle tre dannate bastarde. Certo, rischiò molto con questa tattica visto che io dovevo sopravvivere a quell'inferno, non era affatto scontato che io ci riuscissi. Comunque sia, fu un azzardo calcolato e davvero ingegnoso.

«Non ti farai davvero fermare da un po' di sangue, spero... coraggio Bloom... è il tuo momento...»

Faceva una gran fatica a parlare per quanto era esausta, ma continuò comunque a recitare la sua parte. Dal canto mio, invece, ogni volta che sentivo la sua voce diventavo sempre più restia dal compiere il mio fato.

“Sei mia nemica... sei mia nemica...”

Camminai piano verso di lei, caricando due sfere discretamente potenti nelle mie mani; urlai e ne scagliai prima una, poi l'altra, in successione. Daphne era così priva di energie che una la colpì in pieno facendola barcollare indietro, l'altra la evitò gettandosi a terra. In quel momento, vedendola così vulnerabile, vedendo la luce alla fine di quel tunnel degli orrori, qualcosa di oscuro prese possesso della mia anima...

Con enorme sforzo, mi alzai in volo a pochi metri dal suolo per avere una piena visuale della mia avversaria ancora distesa e, appena la individuai, le lanciai contro svariate lingue di fuoco di bassa energia. Daphne rotolò di lato e le evitò tutte ma, nel preciso istante in cui capii dove si sarebbe fermata, presa da disperata esasperazione, ne lanciai una addizionale molto, molto più potente, causandomi una fitta di dolore lancinante. Quel colpo improvviso che lei nemmeno vide partire centrò il bersaglio, scagliandola a molti metri di distanza.

Esausta, dolorante e terrorizzata, tornai a terra e mi avvicinai a lei piano, barcollando e caracollante. Quando arrivai per accertarmi del suo stato, vidi che si era protetta con le braccia nude, senza protezioni magiche di alcun tipo, causandole scottature che quasi arrivavano all'osso. Era quindi così che il mio peccato sarebbe stato commesso? Mi inginocchiai accanto a lei, le lacrime si mischiavano al sangue sul mio volto.

«È finita, Bloom... ho perso».

«Sei tu che hai voluto perdere. Non sarò mai alla tua altezza» le risposi a denti stretti. Lei rise, nonostante lo strazio che stava provando.

«Qui non posso che darti ragione, sorellina... ascoltami bene, tesoro mio. Odio usare la violenza, ma... quelle tre lì... le devi sconfiggere, chiaro?»

Annuii con la testa, abbattuta nello spirito e nel corpo. Mi alzai tremando e mi voltai a guardare tutti, sperando di trovare il coraggio. Ignorai completamente le Trix che mi incitavano ad uccidere mia sorella, il mio sguardo andò verso i miei genitori, le Winx, Sky, Thoren. Non dicevano niente, non mi giudicavano, vidi solo l'amarezza nei loro occhi. Si sentivano in colpa? Probabile. Ormai non potevo più tornare indietro.

«Bloom... coraggio...»

La guardai con tutta la pietà e l'amore del mondo, per gli dei, cosa stavo facendo...

Accumulai le ultime energie e creai una piccola sfera rossa nella mia mano destra, non molto potente, ma era abbastanza per compiere quel che dovevo.

Mi misi sopra di lei, delicatamente. Piansi, piansi così tanto da non ricordare nemmeno quanto tempo rimasi lì, a liberare tutte le mie lacrime. Urlai, urlai come un demone, una follia nera prese possesso del mio braccio, e… calai la mano.

Non mi resi conto di ciò che mi accadde intorno: sentii gocce di sangue caldo finire sul mio viso, percepii la mia mano che toccava la carne devastata del petto di mia sorella, potevo avvertire chiaramente il suo cuore smettere di battere sotto di essa.

Il suo torace ebbe uno spasmo: tossì una grande quantità di sangue, i suoi occhi puntarono verso il cielo ed esalò il suo ultimo respiro. La fissai per quella che sembrò un'eternità, una frazione di secondo immobile in cui tutto era congelato. Poi, finalmente, la mia coscienza riprese a fluire nel mare del tempo.

Si fanno tanti pensieri strani al culmine della propria follia, come se il cervello si rifiutasse di computare quello che aveva appena ordinato al corpo di fare; in quel momento mi tornò in mente di quando Aisha perse la vista, la invidiai moltissimo.

Avrei dato qualunque cosa per sprofondare nel buio più totale e non dover più vedere l'orrore che avevo generato.

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Capitolo 4
*** Le Ferite della Mente ***


CAPITOLO 4: LE FERITE DELLA MENTE

 

 

 

Improvvisamente, tutto diventò molto confuso. Non mi rendevo minimamente conto di ciò che avevo intorno, delle urla, delle risate isteriche, niente di niente.

Eravamo solo io e Daphne, lì, in un paesaggio cremisi. I miei occhi non si staccavano da lei, dal suo volto immobile, dalla ferita mortale che le avevo inferto, dal sangue che mi lordava le mani, tanto, tantissimo sangue.

Rimasi pietrificata in quello stato per alcuni attimi di infinito, perfino i miei pensieri erano congelati nella mia mente, come se fossi diventata incapace di avere libero arbitrio su di essi. Infine, come un fiume che riprende a scorrere nel suo letto, qualcosa nel mio stato catatonico si mosse: un passo incerto dopo l'altro, iniziai a indietreggiare tremante, come se quella davanti a me fosse un animale feroce e non mia sorella. Avevo la sensazione di vivere le riprese di una pellicola.

Finalmente tornai completamente lucida, e… urlai. Urlai e urlai e urlai, senza sosta, sempre più forte, fino a farmi male la gola, fissando il sangue, fissando le mie mani, fissando il suo corpo, piangendo come non avevo mai pianto prima. Rivolsi la mia disperazione al cielo, pregai che qualche divinità sentisse le mie grida e mi restituisse Daphne, ma ottenni solo silenzio. Continuai a dilaniarmi i polmoni, finché diventò tutto buio.

Mi hanno raccontato che, dopo essere svenuta, le Trix si avventarono su Daphne come avvoltoi, prelevarono la sua Fiamma del Drago e sparirono tra grosse risate, così, come erano apparse. Non ho nessuna memoria di ciò che accadde dopo.

Non mi hanno spiegato nei dettagli questa parte, ma posso comunque immaginare: Thoren che stringe sua moglie a sé, i miei genitori in lacrime, lo sconcerto generale. Ripresi conoscenza in camera mia: le tende erano completamente tirate in modo tale da non far passare luce, c'era un gran silenzio intorno a me.

Non avevo la minima idea di quanto tempo fosse passato, tantomeno se quel che avevo vissuto era stato solo un sogno. I miei pensieri si mescolavano ai ricordi, creando solo caos. Era davvero successo? Era reale tutto quel dolore? Mi accorsi che non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. Non ero legata, mi trovavo solo sotto le coperte, eppure era come se il mio corpo si rifiutasse di muoversi. Come biasimarlo, perfino le mie cellule non potevano tollerare l'orrore del mio peccato.

Ero sveglia ma, allo stesso tempo, non lo ero; fissavo un angolino vuoto della mia stanza, lo fissai per tante di quelle ore che potevo identificare ogni piccola crepa o poro del muro. Non sentivo nient'altro: c'era solo quella parete chiusa.

Percepivo che, ogni tanto, qualcuno veniva da me e parlava, ma le parole diventavano ronzii alle mie orecchie: non mi rendevo conto nemmeno dei giorni che passavano. Detto questo, di quel periodo ricordo ben poco: il terribile silenzio che regnava sovrano in tutto il castello, i rari pasti che mangiavo solo per puro capriccio del mio corpo che, comunque, non voleva soccombere a sé stesso, qualche parola detta e niente di più.

Alla fine, sempre e comunque, il mio sguardo tornava a quell'angolino che tanto mi faceva sentire protetta, che mi impediva di pensare a mia sorella, come una prigione di pensieri. La mia mente diventò completamente vuota di qualsivoglia cosa.

Ricordo vagamente un momento in cui dei dottori mi fecero visita, parlavano di stress post-traumatico.

Ricordo un giorno di pioggia; mia madre non osava toccarmi per paura che reagissi male, mi disse che nel pomeriggio ci sarebbero stati i funerali di Daphne.

Ricordo il rombo di un tuono che scosse i vetri delle finestre, con Thoren vicino che mi sussurrava 'non è colpa tua'.

Poi... poi tutto sparisce. Mi hanno raccontato che vennero tutti a trovarmi: le ragazze, Sky, i presidi, ma io non ho memoria di nessuno di loro.

E così, il giorno iniziò a mischiarsi alla notte, le settimane passavano scivolandomi addosso come acqua fresca, il tempo aveva perso di significato; l'unica cosa che mi importava era l'angolino che manteneva la mente vuota e che mi teneva prigioniera, il mio nuovo migliore amico.

Andò avanti così, finché un giorno non bastò più. I ricordi riaffluirono piano piano come una carezza gentile, i pensieri ricominciarono a prendere forma e a scorrere: finalmente mi svegliai dal mio letargo come una rinascita, una di quelle oscure. Rimasi ancora qualche minuto immobile a fissare il mio compagno di veglia, poi mi tornarono alla mente le ultime parole di Daphne: ‘Quelle lì, le devi sconfiggere’.

Dovevo... sì, dovevo. I miei muscoli erano intorpiditi e atrofizzati dalla mia lunga immobilità, tanto che impiegai molto tempo per alzarmi in piedi. Non ero più abituata a guardare le cose da quella prospettiva: per un momento, ebbi l'impressione di muovere di nuovo i primi passi e, forse, non era una sensazione sbagliata.

Stava iniziando una nuova vita per me, in qualunque modo si voglia vedere la storia. Aprii le tende e il sole mi accecò; mi coprii gli occhi ormai adattati al buio, poi sentii l'aria fin troppo fresca accarezzarmi la pelle, insieme al calore smorto dei raggi solari.

Guardai per un po' fuori nel cortile: il luogo dello scontro era stato rimesso a nuovo. Qualcosa dentro di me scattò furiosamente: non volevo, non dovevano coprire quel che era successo. Io non dovevo dimenticare, nessuno doveva osare di farlo.

Strinsi i pugni sulla balaustra e digrignai i denti: avevo fatto una promessa tinta di rosso, avrei reso il favore alle Trix con lo stesso sangue che loro mi avevano costretta a versare. Ma da dove iniziare? Non sapevo nemmeno che giorno o mese era, figuriamoci pianificare una vendetta così, su due piedi.

Mi sedetti pesantemente sul letto e iniziai a riflettere come avrebbe fatto Daphne. Sicuramente avrei agito da sola, senza nessuno: avevo deciso di intraprendere una strada oscura e piena di odio, dove avrei fatto carte false pur di riuscire nel mio intento, non dovevo assolutamente coinvolgerli.

Eravamo solo io e il mio peccato, non c'era spazio per nessun'altro. Mi resi conto che ero carente di informazioni, dovevo essere aggiornata su tutto quello che era successo. Era ora di farmi vedere, mio malgrado. Mi vestii, e il mio occhio cadde sullo specchio: avevo il viso scavato e pallido, ero dimagrita tantissimo.

"Se devo affrontare una follia simile, prima devo rimettermi in forma".

Facevo davvero fatica a camminare. La servitù del castello mi fissava come se io fossi stata un fantasma: avevano ragione, per carità, ma mi diede davvero molto fastidio, potevano almeno far finta di niente. Tra un barcollo e l'altro arrivai nella sala del trono, dove un Oritel e una Marion profondamente addolorati sgranarono gli occhi alla vista di quella che, una volta, era la loro secondogenita.

«Oh, santo cielo... Bloom, tesoro mio...»

La regina quasi corse verso di me in un mare di lacrime. Fece per abbracciarmi, ma si bloccò di colpo quando indietreggiai da lei: non ero assolutamente pronta per quel genere di cose. Mia madre non ci diede peso, era troppo felice di vedermi in piedi per pensare ad altro. Mio padre, nonostante provasse a darsi un contegno, non poté che sfogare anch’egli la sua frustrazione.

«Figlia mia, temevo di aver perduto anche te...»

Pranzammo insieme in un silenzio imbarazzante. Mi sforzai di mangiare tutto quel che riuscivo a tenere nello stomaco, poi, una volta finito, iniziai a indagare.

«Quanto tempo è passato?» chiesi andando subito al dunque. Girarci intorno sarebbe stato doloroso e basta.

«Amore... non te lo ricordi? Sono passati quattro mesi, ormai...»

Quattro mesi passati a fissare l'angolino della mia stanza e non sentirli minimamente addosso, ero davvero grave.

«Ah» fu tutto ciò che riuscii a dire.

«I presidi e le ragazze sono tornati alle loro scuole, non ricordi nemmeno questo?» disse papà con delicatezza.

Scossi la testa, infastidita da quelle domande inutili che cercavano di rimandare l’inevitabile.

«Voglio sapere. Le Trix... voglio sapere tutto quello che avete scoperto».

«Bloom, non sei obbligata a-» sussurrò mia madre, ma la bloccai subito.

«Ditemelo!» urlai sbattendo violentemente i pugni sul tavolo.

Lei sobbalzò sulla sedia, pietrificata nel suo dolore. Mi pentii subito di aver sbottato in quel modo, ma io avevo sete di sapere. La mamma non riuscì più a spiccicare parola, così parlò mio padre.

«Ok tesoro, se è quel che desideri» disse abbassando lo sguardo, poi si schiarì la voce e continuò: «In questi quattro mesi, le streghe sono completamente sparite dalla circolazione. La Griffin e il suo gruppo di ricerca non percepiscono più il loro potere, probabilmente sono nascoste in qualche luogo proibito che scherma il loro potere. A Torrenuvola hanno studiato attentamente le vicende che hanno portato a… a-a quel giorno: sono quasi certi che, l'assenza del tempo nel Limbo dove erano rinchiuse, abbia del tutto spazzato via ogni potere da loro acquisito, tornando allo stadio originale dei primi anni in cui le avete combattute. È come se il Limbo avesse 'assorbito' il tempo delle Trix facendole regredire, ma in modo analogo e contrario, esso ha accelerato invece la crescita del potere maligno delle streghe antenate, portando Icy, Darcy e Stormy a quel che abbiamo visto. È tutto quello che sappiamo, bambina mia».

Rimasi un po' sulle mie a riflettere e a metabolizzare il tutto, poi feci la richiesta che tanto temevo ma che doveva essere fatta.

«Voglio... voglio vedere Daphne».

I miei genitori si guardarono con dolore, ma non dissero nulla: si alzarono dalle loro sedie e mi fecero strada in un lungo percorso fatto di silenzio e rammarico, come se fosse un mio personalissimo rito funebre. Mi portarono nelle cripte del castello, dove i sovrani di Domino dormono per l'eternità.

La trovai lì, in una teca di cristallo, bellissima come se fosse ancora viva. Avevano risanato le ferite per preparare la salma e le avevano messo un vestito lungo e meraviglioso, verde come uno smeraldo. Era adagiata su di un letto di fiori.

Quest'ultimi dovevano sicuramente essere una scelta di Flora, mentre il gusto raffinato dell'abito apparteneva di certo a Stella. Quasi mi venne da sorridere nell'ammirare tutta quella magnificenza che mi accarezzava gli occhi.

I miei mi lasciarono sola, così mi avvicinai al corpo inanimato di mia sorella e la fissai per ore, seduta a terra. Non dissi nulla, non pregai e non versai una lacrima, stavo iniziando perfino a sentirmi in colpa.

In cuor mio, però, sapevo che non era quello che Daphne avrebbe voluto. Mi ha salvata di nuovo per donarmi un futuro, non per vedermi disperare come uno spirito errante.

Ferma in questa mia convinzione, decisi il prossimo passo da fare: la biblioteca di Domino è tra le più grandi dell'Universo Magico, certo non come quella di Solaria, ma per fare ricerche sulla Fiamma del Drago non c'era opzione migliore.

Come in ogni biblioteca di prestigio che si rispetti, c'è anche la sezione proibita. Non importava quanto oscuro e terribile fosse stato, volevo trovare un sistema per riportare indietro Daphne. Dovevo almeno provarci.

Passarono tre ore di insuccessi: avevo completamente ribaltato ogni cosa in quell'ala, c'erano volumi dappertutto, un caos terribile. Mi aggiravo tra gli scaffali come un demone famelico.

«Maledizione! Non è possibile! Con tutti gli incantesimi raccapriccianti che esistono, non c'è nulla! Un qualcosa del tipo 'fai un cerchio di sangue, tagliati un braccio, dì queste parole magiche al contrario e riporta in vita i morti'. Niente

Sbraitai così per una buona mezz'ora, finché non inciampai in una pila di libri che avevo scaraventato per terra nella mia furiosa ricerca, cadendo rovinosamente. Mentre mi rialzavo imprecando in modo abbastanza colorito, notai un luccichio sotto il cumulo che avevo appena abbattuto, sembrò chiamarmi a sé con fare ipnotico. Era molto vecchio e coperto di polvere, ci soffiai sopra e notai che la copertina era rivestita di un pregiato velluto rosso fissato ai bordi con rifiniture dorate.

«La stirpe del Drago: abilità e incantesimi per livelli avanzati. Uh, figo. Sarei dovuta venire qui prima».

Iniziai a sfogliarlo mentre ero ancora seduta sul freddo pavimento. Era pieno di tecniche e abilità sviluppate da chi, prima di me, aveva posseduto la Fiamma del Drago. Era una lettura che mi stava appassionando da matti, finché il mio occhio cadde su un titolo particolare. Il mio cuore iniziò ad accelerare i battiti, il respiro si fece così pesante da rendermi difficile anche parlare.

«Per gli dei, non posso crederci…»

A quel punto, non mi interessava più come sarebbe andata a finire tutta quella storia: il mio terribile peccato mi avrebbe tormentato tutta la vita, tanto valeva farlo diventare ancora più grande.

Avrei portato le Trix all'inferno, con o senza di me.

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Capitolo 5
*** Gioco D'Azzardo ***


CAPITOLO 5: GIOCO D'AZZARDO

 

 

Il rituale in sé era piuttosto semplice: si basava interamente sul concetto di Fiamma del Drago come struttura della vita e dell'Universo, per me che sono una Custode non mi era difficile da comprendere. Il problema più grande era ben altro: dovevo effettuarlo sulla Fiamma di Daphne e, quella, ce l'avevano le tre streghe maledette.

Tutto o niente, questo mi si prospettava per il futuro. Se volevo anche solo provare a riportare indietro Daphne attraverso quel rituale, dovevo riprendermi la sua Fiamma del Drago, quindi dovevo necessariamente far fuori le Trix.

Avrei dovuto affrontare tre nemici fuori da ogni portata, da sola, con solo due epiloghi alla fine dei giochi: la loro disfatta oppure la mia dipartita. In ogni caso, mi sarei sentita comunque vincitrice: avrei espiato il mio peccato, in un modo o nell'altro, attraverso la loro o la mia morte.

Così, con la furia nel cuore e la follia nell'animo, decisi di darmi un mese di tempo: dovevo tornare in salute, affinare i miei poteri ed escogitare un piano decente su come annientare le streghe. Non proprio una passeggiata nel parco, insomma.

I miei genitori erano assolutamente entusiasti dei miei miglioramenti, tanto che volevano dire a tutti la 'buona' notizia sulle mie condizioni. Parte fondamentale del mio piano di vendetta era quello di mantenere un profilo basso, di non farmi vedere né sentire da nessuno, quindi azzardai una scusa a cui abboccarono subito, per fortuna. Almeno, credo di sì? Forse si stavano solo sforzando di crederci davvero.

«Mamma, papà, vorrei che questa cosa non uscisse da qui. Vorrei che questo abbia almeno l'illusione di essere una cosa normale. Tornerò ad Alfea il mese prossimo, come se non fosse successo nulla. Mi serve... mi serve davvero».

Solitamente, sono una campionessa nel farmi scoprire quando mento, è come se un'insegna luminosa al neon mi spuntasse in fronte con scritto 'bugiarda'. Per il volere degli dei, quel giorno andò tutto liscio come l'olio. Che stress incredibile, non pensavo che mentire ai propri genitori fosse così dura.

Comunque, i giorni passarono in fretta e tutti pressoché uguali: mangiavo tutto quello che riuscivo a tenere nello stomaco, facevo tanta ginnastica e, nel tempo libero, leggevo il tomo che avevo trovato in biblioteca, tenendolo ovviamente nascosto per evitare rogne di qualunque tipo. Non ci vuole un genio per fare due più due se trovi tua figlia che studia un libro nel quale si spiega come riportare indietro i Custodi morti.

Imparare qualche nuova tecnica non poteva farmi che bene, inoltre fu lì che trovai qualcosa di molto interessante che mi permise di escogitare il piano che volevo portare a termine: nell'eventualità che ne avessi trovate, ero in grado di potenziare il mio potere assorbendo altre fonti di Fiamma del Drago, a patto che il mio corpo ne potesse reggere il peso.

Da lì, mi venne in mente l'idea più malsana della mia vita. Per quanto ignobile fosse il gesto, avevo un disperato bisogno di diventare più forte, molto più forte, così decisi di fare quel che era necessario fare. Ormai avevo imboccato la via della distruzione, non potevo tirarmi indietro. Dovevo far confezionare delle gemme false, tornare ad Alfea e rubare quelle vere contenenti la mia Fiamma del Drago, facendo regredire le ragazze alla forma Sirenix.

Già di per sé una follia, la questione era più complicata di quello che si potrebbe immaginare: nel momento in cui le Winx acquisirono il Bloomix, il mio potere si fuse al loro creando una Fiamma del Drago molto più potente di quella che donai a loro in principio.

Oltre che assorbire un potere già esageratamente grande, avrei assimilato anche un po' della loro magia natia. Io per di più ero un essere magico dotato di magia bianca pienamente formato, sarebbe stato come immettere aria in un palloncino già gonfio.

Non ero affatto sicura di riuscire ad incanalare tutta quella potenza, il mio corpo poteva non reggere, anzi, era decisamente molto più probabile che non l'avrebbe fatto. Stavo letteralmente scommettendo sulla mia vita. Beh, nessuno aveva detto che sarebbe stato facile.

Qualche giorno prima della partenza, mi guardai attentamente allo specchio: avevo ripreso peso, il mio volto non sembrava più quello di uno zombie ed ero anche un minimo allenata fisicamente. I capelli, d'altro canto, non andavano per niente bene.

In cinque mesi erano diventati una massa informe vermiglia, non proprio l'ideale per qualcuno che doveva passare inosservato. Me li feci tagliare molto corti rispetto ai miei standard, arrivavano appena sotto le spalle. Mi sentivo più leggera e… strana. Non ero più abituata a sentire l'aria fresca sul collo, era abbastanza gradevole.

Arrivò il giorno fatidico con una velocità disarmante. I miei mi accompagnarono fino all’entrata della grande anticamera del castello salutandomi entusiasti, mentre io mi portavo dietro una valigia enorme e un sorriso falsissimo sul volto; dissi loro che volevo prendere una navetta civile per Magix invece di viaggiare su quella della nostra famiglia, cosicché io potessi riprendere i contatti con le persone e riassaporare un minimo di normalità.

Ovviamente, erano solo un mare di frottole. Non appena tornarono nella sala del trono, posta al centro del piano terra e oltre la stanza in cui mi trovavo, finalmente potei mollare la recita e tornare nella mia camera di soppiatto.

Non fu particolarmente difficile: l’ala degli alloggi reale è situata al primo piano ovest del castello, per arrivarci si accede direttamente dall’anticamera stessa. Inoltre, se qualcuno mi avesse vista andare in quella direzione, di certo non avrebbe mai pensato che io stessi nascondendo qualcosa, al massimo che avevo dimenticato di prendere delle cose.

Una volta raggiunto l’obiettivo, abbandonai il bagaglio e presi dal suo interno uno zaino contenente le gemme false, mi misi dei jeans comodi, scarpe da ginnastica, una felpa nera con cappuccio che mi sarei calata sul viso per non farmi notare e mi fermai qualche minuto, contemplando per l’ultima volta la stanza con tutti i miei affetti.

Avevo insistito molto per farla fare simile a quella che avevo ad Alfea, senza troppi fronzoli o lussi da principessa, diciamo. Un bel letto grande, pareti azzurre che accarezzavano gli occhi e una grande vetrata che permetteva l’accesso al balcone, in quale dava proprio sul giardino reale. Semplice, proprio nel mio stile.

Sospirai amara e partii alla volta della fermata aereospaziale. Non avrei preso la navetta che indicai ai miei, aspettai infatti qualche ora più tardi passando il tempo a leggere il tomo, poi mi imbarcai. Dissi loro che sarei arrivata a destinazione di giorno, era fondamentale invece che io arrivassi di notte, per non essere vista.

Molti di voi si staranno chiedendo perché io fossi così restia dal farmi aiutare dalle ragazze. La vendetta non mi aveva accecato del tutto: dovevo comunque pensare ai pro e ai contro, essere razionale, se volevo spuntarla.

La risposta è semplice: anche se fossimo andate tutte insieme, anche se con noi ci fosse stato un esercito, non ce l'avremmo fatta comunque. Le streghe avevano già dato prova di poter gestire tanti avversari e anzi, potevano sfruttarli a loro vantaggio. L'unica via efficace era quella che avevo intrapreso, ovvero un combattente singolo dotato di enormi poteri, ma le Winx non me lo avrebbero mai permesso. Nessuno lo avrebbe fatto.

Quindi, ecco, sarei stata sola in ogni caso. Mi rilassai sulla mia poltrona, appoggiai la testa al finestrino e ascoltai un po' di musica durante il tragitto, preparandomi mentalmente a quello che dovevo fare. Nei lunghi viaggi tra Magix e Domino, io e Daphne condividevamo le cuffiette ascoltando insieme i brani che ci piacevano. Per gli dei, mi mancava così tanto.

Dopo tre, interminabili ore arrivai a destinazione. Come avevo previsto la città era deserta, era buio pesto e nessuno mi avrebbe notata mentre mi avviavo a piedi verso Alfea. La scuola non era molto distante, dovevo solo stare attenta ad occhi indesiderati.

Intravidi quella che fu la mia casa per molti anni. La scuola di Alfea si presentava magnifica come sempre, talmente grande da espandersi su due ali opposte, dando l’impressione di voler abbracciare chiunque varcasse la sua soglia. Il grande giardino centrale è stato luogo di interminabili sessioni di studio, nonché di giornate spensierate passate con le ragazze, mentre tutto intorno si estende un bosco a perdita d’occhio.

Quanti bei ricordi… mi fece un effetto strano entrare tra le sue mura, sentire i profumi degli alberi e i versi degli animali: nonostante non fosse passato poi tutto quel tempo dall'ultima volta che ci ero stata, in qualche modo sentivo di non appartenere più a quei luoghi. Alfea è un baluardo di protezione per le giovani fate, le fa sentire al sicuro e serene. Io, invece, mi sentivo continuamente esposta e profondamente agitata, eravamo in completa antitesi.

Arrivai alla porta principale con una certa fretta. In quanto professoressa possedevo la chiave, quindi entrai senza nessun problema. Gli alloggi degli insegnanti sono situati al primo piano, mentre quelli delle allieve al piano terra; i corridoi sono simmetrici ma, visto che le nostre stanze si trovano nell’ala est, imboccai il corridoio di sinistra e proseguii verso le scale.

Il complesso di appartamenti è raggruppato nella stessa zona e le porte sono sempre aperte, dovevo solo muovermi il più silenziosamente possibile. Mi tolsi le scarpe e applicai un incantesimo che rendeva il mio corpo semi solido: ero così leggera da non creare nemmeno spostamenti d’aria col mio movimento.

Entrai in ogni stanza in punta di piedi cercando perfino di non respirare. Ci volle molto tempo per concludere la mia ricerca, anche perché mi fermavo qualche minuto a osservare le mie amiche un'ultima volta per dire loro addio. D'altronde, potevo morire da lì a pochi minuti.

Alla fine, però, riuscii a prendere tutte le gemme e a sostituirle con quelle false, mi rinfilai le scarpe e, così come ero venuta, me ne andai con la tristezza nel cuore, gonfio di odio e di malinconia.

Mi rifugiai nella foresta davanti la scuola. Non avevo la più pallida idea di cosa sarebbe successo, quindi era meglio stare ben nascosti. Se io avessi fallito non lo avrebbe saputo nessuno, sarebbe rimasto solo un corpo morto e niente di più. Ripresi fiato e mi rilassai qualche minuto per distendere i nervi, poi guardai con timore la refurtiva.

Era arrivata l'ora. Raccolsi tutto il mio coraggio, presi la gemma di Aisha tra le mani e feci come indicava il tomo: chiusi gli occhi, incanalai il mio potere nell'oggetto e lo 'agganciai' alla Fiamma del Drago al suo interno. Si creò all'istante un legame molto forte e instabile, dovevo agire in fretta.

Raggiunto quel punto, iniziò il tiro alla fune: tirai, tirai con tutte le mie forze, cercando di vincere la resistenza che la Fiamma della mia amica mi opponeva, ma alla fine riuscii a portarlo dentro di me, nella mia essenza.

Provai sensazioni potentissime e contrastanti. Sentire nuova energia che mi pervadeva era piacevole, ma c'era altro di più amaro, di più oscuro: iniziai a percepire i sentimenti di Aisha, a vedere dei flashback del suo vissuto, alcuni belli, alcuni brutti, alcuni devastanti. La sua solitudine su Andros, la morte di Nabu, l’omicidio di Daphne.

Lasciai cadere a terra la gemma ormai vuota e ansimai pesantemente dalla fatica, realizzando finalmente a cosa stavo andando incontro: per compiere il prossimo passo verso la mia vendetta, dovevo sopportare il dolore fisico e sperimentare quello mentale delle mie amiche.

Mi venne un risolino quasi isterico, di chi davvero aveva perso il lume della ragione: niente di tutto quello sarebbe mai stato nemmeno lontanamente paragonabile al mio di dolore. Era fin troppo facile… almeno, era quello che pensavo all'inizio, dall'alto della mia follia.

Continuai quindi con le altre gemme. Sentii le loro emozioni, vidi le loro peggiori paure avverarsi e le feci mie, assimilandone il male. Se dal punto di vista emotivo era abbastanza 'facile' digerire il tutto, a livello fisico era tutt'altra storia: man mano che andavo avanti, un forte bruciore aumentava d'intensità nel mio corpo, facendomi provare la sensazione di stare sull'orlo di esplodere da un momento all'altro.

Presi il mio cellulare dallo zaino e cercai di specchiarmi per vedere cosa stesse succedendo: su tutta la mia pelle erano comparse delle piccole venature vermiglie, come se fossero lava su un terreno arido, i miei occhi divennero scarlatti e i miei capelli di un rosso ancora più acceso.

Mi spaventai a morte, ma non potevo fermarmi, non più ormai. Una volta che ebbi finito, mi accasciai a terra: mi mancava l'aria, il mio cuore batteva così velocemente che pensavo sarebbe uscito fuori dal petto, sentivo un dolore straziante in ogni cellula del mio corpo.

Il mio fisico stava decidendo se frantumarsi o se resistere. Arrivò pigramente il mattino, le mie condizioni non migliorarono: sentivo che il mio conflitto interiore non si stava risolvendo ma anzi, mi stava lacerando. Stavo morendo lentamente, dovevo far qualcosa, e in fretta.

Mi rassegnai agli eventi e decisi che mi sarei adattata nello spirito, tradendo la prima regola che mi ero data: non coinvolgere nessuno.

«Faragonda... devo andare da lei... non ho scelta».

Con fatica titanica mi rimisi in piedi, presi lo zaino e mi imbacuccai il più possibile nella felpa per non farmi riconoscere; le allieve stavano per iniziare le lezioni, la scuola sarebbe stata molto animata in quel lasso di tempo. Camminavo ondeggiando come una foglia mossa dal vento, percossa da dolori che mi stroncavano il respiro.

«Forza Bloom... cammina dritta... stringi i denti».

Sgranai gli occhi vermigli quando raddrizzai la schiena, una smorfia grottesca mi apparse sul viso. Camminai con una rapidità quasi inumana, mossa dalla più completa disperazione. Cercavo di ansimare silenziosamente, ma era quasi inevitabile non venire scrutata un po' dalle allieve, qualcuna mi prendeva anche in giro.

Comunque sia, nessuna di loro sembrava mi avesse riconosciuta, forse la fortuna era dalla mia parte. Mancava davvero poco: avvistai Musa all'inizio del corridoio che conduceva all'ufficio di Faragonda, così presi il percorso adiacente che sembrava deserto, bussai furiosamente e feci irruzione senza nemmeno aspettare il permesso.

«Ma... un po' di educazione signorina, non si entra in questo modo!»

La mia amabile preside era seduta al suo posto, impegnata come al solito nel firmare alcune scartoffie. Non mi aveva per nulla riconosciuta e, se non ci era riuscita lei, non ci sarebbero di certo riuscite le allieve. Mi tolsi il cappuccio di gran foga mentre le forze iniziarono ad abbandonarmi: Faragonda mi guardò con un terrore che mai le avevo visto in volto.

«Mi serve il suo aiuto... la prego!»

 

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Capitolo 6
*** Abbracciare L'Oscurità ***


CAPITOLO 6: ABBRACCIARE L'OSCURITA'

 

 

 

Non mi staccò mai gli occhi di dosso: immobile nell'orrore che stava vedendo, Faragonda non mosse un muscolo e non proferì parola, mi guardò e basta.

La fissai anche io in supplica, ansimando rumorosamente: notai che dalla mia bocca usciva vapore ad ogni respiro. Fui vinta dal dolore e mi accovacciai a terra con la flebile speranza di morire da un momento all'altro e di non soffrire più, di essere legittimata a mollare tutto e andarmene via.

Fu allora che la preside si destò da quello che sembrava un sogno ad occhi aperti e si avvicinò piano, come si fa con gli animali feriti per non spaventarli; si inginocchiò davanti a me, qualche lacrima le rigava la guancia: i miei occhi vermigli la attiravano e, allo stesso tempo, la terrorizzavano, così come la mia pelle segnata, così come... io in generale.

Allungò la mano tremante per accarezzarmi il viso. Provai ad allontanarmi: non volevo farmi nemmeno sfiorare normalmente, figuriamoci in quelle condizioni, ma il dolore lancinante mi paralizzava sul posto impedendomi ogni sorta di movimento.

Sentii il contatto del suo tocco ma, nel tempo di un battito di ciglia, Faragonda ritrasse la mano, ustionandosi con le fiamme che mi spaccavano la pelle. Accusò il colpo qualche secondo, poi tornò a guardarmi con lo stesso orrore di prima.

«Bloom, ragazza mia... cosa ti è successo?»

Aveva la voce rotta dal pianto e tremava come una foglia: spezzai il suo animo nel giro di pochi secondi. Mi maledii furiosamente, era esattamente per evitare una cosa simile che mi ero imposta quelle regole. Avevo fottuto tutto, di nuovo.

Mentre mi stritolavo il cuore per il rimorso, accadde l'imprevisto che proprio non doveva accadere: bussarono alla porta, chi parlò dall'altra parte aveva una voce triste e sconsolata.

«Preside Faragonda, sono Musa. Lo so che sarà la centesima volta che veniamo da lei, probabilmente si sarà anche stufata di averci intorno, però siamo preoccupate. Posso entrare?»

L'anziana donna mi guardò in cerca di una soluzione, io sgranai letteralmente gli occhi e afferrai disperatamente la manica della sua giacca, implorando di mantenere il segreto. Musa fece per aprire la porta, ma fu fermata subito.

«A-aspetta un secondo Musa, sto sistemando una questione importante, mi ci vuole qualche minuto!»

Fortunatamente, la mia amica si fermò. Tirai un enorme sospiro di sollievo, seguito da qualche secondo di calma, poi fu come se un demone mi possedesse: mi gettai letteralmente ai piedi della preside supplicandola come non avevo mai, mai supplicato nessuno. A ripensarci, mi sento davvero patetica... ero terribilmente disperata, d'altronde. Tutto il mio piano poteva andare in fumo.

«La prego, la prego, la scongiuro, nessuno deve sapere che sono qui, la prego! Faragonda la prego, non devo, non possono...»

Una fitta lancinante mi mozzò il fiato impedendomi di finire la frase, così lei si avvicinò a pochi centimetri dal mio viso e iniziammo a sussurrare pianissimo.

«Ma Musa è tua amica, è preoccupata per te...»

Dovevo difendere il mio piano, dovevo proteggere la mia determinazione ad ogni costo. Il mio sentiero era stato battuto, quel viaggio oscuro di dolore era iniziato e io non potevo più tirarmi indietro.

«No, no, ho detto no! Le spiegherò tutto dopo, ti prego, non posso farmi vedere, non posso!»

Le diedi del tu, cosa mai fatta in vita mia. Rimase in silenzio qualche secondo: chissà a quante cose stava pensando in quel momento, quanti dubbi da sciogliere nel giro di un battito di cuore. Con volontà flebile, decise di aiutarmi.

«...ok. Cosa faccio? La mando via?»

«No, sarebbe troppo strano, lei non ha mai mandato via nessuno. Mi nasconda, che so... sotto la scrivania. Non riesco a stare in piedi ormai, almeno lì sarò per terra».

Senza far rumore e stando molto attenta a toccarmi dove la mia pelle era coperta dai vestiti, mi aiutò a strisciare fino al luogo indicato, non senza costarmi una fatica e un dolore atroce, per poi fare entrare Musa. Mi misi una mano davanti la bocca per coprire il rumore del mio ansimare, cercando di mantenere la lucidità quanto più possibile. Mi rimaneva poco tempo.

«Allora, ragazza mia. Dimmi pure».

La mia carissima amica si grattò nervosamente il braccio, credo proprio che quella conversazione sia avvenuta molto spesso durante quei cinque mesi.

«È passata solo una settimana, me ne rendo conto, ma... ecco, ci sono notizie di Bloom? Le ragazze e Sky iniziano a farsi prendere dal panico, un giorno di questi saliranno sulla prima navetta per Domino, sono sicura».

Faragonda si mosse leggermente sulla sedia, producendo uno scricchiolio che alle mie orecchie sembrava un martello pneumatico.

«Musa, piacerebbe anche a me sapere qualcosa sul suo stato di salute, ma ahimè, non mi è stato comunicato ancora niente. Portate pazienza, ve ne prego».

La fata della musica abbassò gli occhi, sospirando delusa.

«Va bene... ma non riuscirò a tenerli a bada ancora per molto».

Si mise le mani in tasca ed uscì fuori dalla stanza, mentre io stavo per piangere dalla gioia.

La preside mi tirò fuori dal mio nascondiglio, finalmente potei spiegarle cosa era successo e cosa avevo intenzione di fare. L’anziana donna non faceva che scuotere la testa, ogni mia parola era una bestemmia per la sua morale, un velo oscuro che minacciava di inghiottirla.

«Non approvo nel modo più assoluto! È una follia, una pura e cruda follia! E… immagino che questo lo avevi previsto da parte mia. Non hai avuto altra scelta se non venire da me, non ti saresti fatta tanto del male se tu non credessi fermamente nel tuo piano. Posso... posso solo avere una fioca idea del sentimento che provi, è terribile e, ad essere razionali, forse è davvero l'unico modo per fermare quei tre mostri. Per quanto io la trovi una pessima idea, per quanto tutto questo mi disgusti, io... ti aiuterò, Bloom. Anche perché il danno ormai è fatto».

Quelle parole le costarono tantissimo, forse troppo. Le tenebre che mi avevano avvolto come un caldo mantello ora la stavano lambendo, avevo commesso un errore gigantesco a cui non potevo porre rimedio.

Si sarebbe logorata l'anima come ho fatto io, sarebbe stata corrotta come lo sono stata io, e tutto per colpa mia, solo ed esclusivamente colpa mia. Faragonda stava aiutando la sua allieva a vincere una guerra disperata o a uccidersi? Le avevo appena consegnato un fardello enorme da sopportare, era ingiusto, eppure... necessario. Serviva davvero il suo aiuto.

«Purtroppo non posso fare nulla, ragazza mia. Non c'è niente che non vada in te, è una questione puramente meccanica, entropica. Dobbiamo solo aspettare e sperare che tu sopravviva» disse amara. «Non possiamo affrontare da sole un tale problema, ci faremo aiutare da Griselda. Stai tranquilla, con lei sei al sicuro, non dirà nulla».

Acconsentii: ormai non avevo più forza né lucidità per oppormi, tanto valeva far prendere le redini a lei.

In pochi minuti la donna arrivò di gran fretta, mi vide a terra e rimase immobile qualche secondo, ma non proferì parola. Griselda è estremamente perspicace, capì immediatamente che le domande doveva porle dopo, quindi mi aiutò insieme alla preside a raggiungere l'appartamento di Faragonda senza farci vedere da nessuno. Riuscii a togliermi la felpa e a indossare una maglietta a maniche corte che avevo nello zaino, per poi sdraiarmi sul suo letto dopo averlo ricoperto con un incantesimo per non fargli prendere fuoco.

Da qui in poi, iniziò la mia terribile veglia agonizzante, in attesa del mio destino. Nei giorni che si susseguirono, c'era sempre qualcuno con me: Faragonda e Griselda si davano il cambio continuamente per occuparsi della moribonda fata che rantolava sul letto della preside.

Ricordo i tentativi miseramente falliti di farmi stare meglio, come bagnarmi la pelle con dell'acqua per esempio: quella evaporava subito a causa del fuoco che mi scorreva sull'epidermide.  

Ricordo che non ho mai dormito: mugolavo continuamente di dolore, così intenso che mai mi permetteva di riposare, nemmeno di entrare in uno stato di dormiveglia. Non mangiavo, bevevo a malapena, ogni tanto dovevano perfino insonorizzare la stanza con una magia per coprire le mie urla.

La mia vista era totalmente annebbiata e i miei sensi quasi del tutto annullati, ricordo però nitidamente le espressioni facciali di coloro che stavano cercando di salvarmi: Faragonda piangeva spesso, aveva sempre gli occhi rossi e gonfi, incorniciati da un volto scavato e duramente provato; Griselda, invece, era molto più accigliata del solito.

Mi vogliono davvero bene... vedermi morire senza poter far niente le stava distruggendo. La vicepreside, in particolare, può sembrare molto fredda e inespressiva, ma quello è il suo carattere. È attraverso i piccoli gesti che dimostra il suo affetto.

Ricordo un raro momento di lucidità dove parlai un po' con lei del piano che avevo in mente: ne rimasi piacevolmente stupita.

«Come Faragonda, anche io sono costretta a dirti che tutta questa storia è follia pura. Questo, però, me lo impone il buonsenso. Capisco perfettamente che, in una situazione come questa, il buonsenso non trova posto. Contro oscuri nemici, a volte dobbiamo usare oscure armi, c'è poco da fare» disse con tono duro e determinato. Credeva davvero in quello che diceva, nonostante la sua natura di fata. «Ho sempre insegnato alle mie allieve che non devono cedere contro le avversità, che devono affrontarle a testa alta in modo onorevole ed eticamente corretto» continuò per poi fermarsi un attimo, «...ma non c'è assolutamente niente di corretto nell'essere costretta a uccidere la propria sorella. Non c'è un modo onorevole ed eticamente corretto di affrontare un simile plagio. Non c'è giustizia che tenga, probabilmente avrei fatto la stessa cosa, Bloom. Sopravvivi, fai quel che devi fare. Questa non deve essere la tua fine, non è qui che devi morire. Il tuo fato verrà stabilito sul campo di battaglia, sia che tu prenda la vita delle streghe o meno».

Fece un lungo sospiro, come se si fosse levata un peso dal cuore.

«Ovviamente, queste parole non dovranno mai raggiungere le orecchie della preside, mi sembra chiaro».

Per un breve momento, il dolore quasi scomparve... non dovevo mollare. Per niente al mondo.

La mia percezione del tempo era del tutto fallata, tanto che il diurno si mischiava alla notte e non avevo la più pallida idea di quale giorno fosse. Mi dissero che ne erano passati quattro di giorni, un’eternità dal mio punto di vista. Il dolore iniziò a diminuire lentamente: pensai di essere morta o che stavo per spirare entro breve, invece all’alba del quinto sparì quasi del tutto.

Mi misi seduta a gambe conserte e mi osservai attentamente: la pelle era tornata normale e non bruciavo più, i miei capelli erano tornati al mio rosso originale, mentre gli occhi... beh, quelli no. Rimasero vermigli, ma non erano poi così male, mi davano un'aria davvero tosta e inquietante.

Provai ad alzarmi e a fare qualche passo, la preside e Griselda erano felici oltre misura. Mi portarono da mangiare e da bere, finalmente riuscii a dormire, santo cielo dormii per parecchie ore. Al mio risveglio, parlammo del da farsi.

«Il conflitto dentro di te è finalmente risolto, è finita. Se la teoria del tuo libro è corretta, ora il tuo potere dovrebbe essere quintuplicato. Inoltre, hai ereditato anche una parte dei poteri delle altre Winx... onestamente parlando, sei probabilmente l'essere più potente che abbia mai messo piede su questa terra» disse Faragonda con una punta di ansia nella voce.

Mi sentii orgogliosa di quelle parole ed abbozzai un sorriso, ma le due donne non erano affatto dello stesso parere.

«Non è una cosa buona, Bloom. In natura, un potere così forte non dovrebbe esistere. Stai spostando le lancette dell'equilibrio energetico dell'Universo, e questo è sempre un male» disse la vicepreside. Faragonda cercò subito di addolcire la pillola.

«Griselda dice il vero, però ricordiamoci perché siamo arrivate a ciò. Le Trix hanno infranto ogni legge possibile, sia naturale che divina. Se riusciremo a porvi rimedio, argineremo il più possibile l'enorme squilibrio che rappresenta Bloom».

Annuii, era la cosa più sensata da fare.

«E ora? Che facciamo?» chiesi fredda.

Poiché la mia vendetta procedeva a vele spiegate, la mia impazienza si faceva più prepotente.

«Dovremmo testare la portata del tuo nuovo potere. Sono sicura che le Trix non abbiano usato tutta la loro potenza, però avere una stima di paragone ci aiuterà a prendere le giuste decisioni».

Faragonda sa sempre cosa fare, mi ricorda tanto Daphne in questi frangenti.

«Dovremmo farlo in un luogo isolato e opportunamente schermato. Andrebbe tutto in fumo se le streghe avvertissero l'immenso potere della Fiamma del Drago, per non parlare delle Winx. Se la tua potenza è quintuplicata veramente, come minimo ti sentiranno tutti gli esseri magici dotati di magia bianca da qui ai confini dell'Universo conosciuto».

Griselda aveva ragione da vendere, dovevamo muoverci con estrema cautela.

Decidemmo, quindi, di andare su Pyros, un pianeta molto ostile abitato da bestie selvagge e martoriato da intense attività vulcaniche. La preside preparò un'area delimitata da rune e focus magici entro la quale potevo dare libero sfogo alla mia potenza.

Quando mi trasformai, mi accorsi di come il mio corpo era diventato un vero e proprio focolaio: lingue oro e cremisi danzavano intorno a me senza nemmeno averle evocate, le mie ali erano irrorate di fiamme che emergevano spontaneamente, eruttavo letteralmente fuoco. Ero diventata un vulcano... o meglio, un drago.

Rimanemmo sul pianeta per qualche ora. Stabilire la portata di qualcosa di così gigantesco non era compito facile, Faragonda era preda del dubbio.

«Uhm... difficile, Bloom. Difficile fare una stima. Se dovessi basarmi solo su quel che abbiamo visto su Domino, direi che sei più forte tu, senza dubbio. Tuttavia, sappiamo entrambe che quello non era il loro massimo potere. Andrai alla cieca, ragazza mia. Come hai fatto fino ad ora, dopotutto...»

Tornammo furtivamente ad Alfea e mi vidi di sfuggita riflessa in una finestra: quegli occhi rosso fuoco luminosissimi mi facevano davvero tanta strizza, eppure mi davano anche tanta sicurezza. Ci sistemammo in ufficio e facemmo il punto della situazione, mentre Griselda si congedò per attendere i suoi doveri: mancava ancora un modo per individuare la posizione delle streghe.

«Allora, Bloom. Con un potere colossale come il tuo, non avrai di certo nessun tipo di problema a individuare le energie vitali degli esseri magici bianchi nell'Universo. Una fata normale percepirebbe solo altre fate nel raggio di pochi chilometri. Per percepire il potere oscuro delle nostre colleghe streghe, invece, ci vuole un particolare addestramento e tanta predisposizione. Grazie alla natura della Fiamma del Drago, tu non ne hai bisogno».

Rimasi impassibile a braccia conserte, ascoltando attentamente.

«Se le Trix si trovano in qualche luogo proibito, o se hanno schermato la loro posizione, visto i poteri mastodontici che hanno, nemmeno tu puoi capire dove sono. Il tuo è comunque un potere magico di luce, benevolo... e questo è un gran problema».

Rimanemmo in silenzio qualche minuto cercando di far funzionare le meningi, poi la preside sospirò profondamente e mi guardò di nuovo con la pena negli occhi di cinque giorni prima.

«Bloom... saresti davvero pronta a tutto, vero?»

Quella domanda mi lasciò un attimo stordita, ma le mie intenzioni erano comunque ferree.

«Sì, è così» dissi senza esitazione, senza nemmeno pensarci. Pensare mi avrebbe portato alla disfatta.

«Sai, esiste un meccanismo... un avvenimento. In rari casi, è capitato che il potere di luce di una fata sia stato contaminato dalla magia oscura di una strega e viceversa. Non sono a conoscenza nel dettaglio cosa ciò comporti, nulla di buono, sicuramente. Alterare la natura magica è estremamente pericoloso, ma si dia al caso che la preside Griffin sia una grandissima studiosa di questo argomento. Lei sicuramente può aiutarci».

«Cosa mi sta suggerendo di fare, preside Faragonda?»

Deglutii sonoramente: temevo la risposta.

«Se riuscissimo a corrompere la tua Fiamma del Drago con la magia oscura delle streghe, saresti in grado di legarti molto più facilmente alla loro scia magica, ma non è detto che funzioni».

La preside appoggiò i gomiti sulla scrivania, unendo le mani come in preghiera. Mi piace pensare che stesse pregando per davvero...

«Se davvero sei pronta a tutto, sto proponendo di sacrificare la tua natura di fata per trovare le Trix».

«Lei propone di... snaturare ciò che sono? Una fata a metà?»

L’anziana donna mi guardò addolorata: chiedere ad un essere magico di essere deturpato del suo io, di corrompere il suo potere, era qualcosa di impensabile, di mostruoso.

«Mi dispiace ragazza mia, sto solo facendo quello che hai fatto tu fino a questo momento: ho seguito le tue orme su questo sentiero maledetto per aiutarti, ora ti sto tenendo per mano».

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Capitolo 7
*** Fiamme Sporche ***


CAPITOLO 7: FIAMME SPORCHE

 

 

 

Era davvero quello che Daphne avrebbe voluto? Davvero avrebbe voluto vedere la sua sorellina farsi del male in un modo tanto brutale, addirittura mutilarsi? No, certo che no.

Mi alzai di scatto dalla sedia e iniziai a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, tenendomi la testa tra le mani, come per cercare di sorreggere tutte le mie angosce e tutta la mia paura.

Pesavano... eccome se pesavano. Il cuore batteva a mille, iniziai ad avere il fiatone; i nervi stavano crollando uno dopo l’altro e, con loro, la mia sanità mentale. Scoppiai a piangere istericamente: tutto intorno a me sembrava ruotare vorticosamente causandomi le vertigini, tanto che allungai le mani verso il vuoto per trovare il muro, per poi accasciarmi a terra stringendomi nelle braccia, come per proteggermi da un nemico invisibile.

Faragonda non disse nulla e si limitò a guardare, stropicciando nervosamente la manica della sua giacca. In quel momento ero pura frustrazione, doveva lasciarmi cucinare nel mio brodo e prendere una decisione. Già, una scelta... ma avevo davvero una scelta, alla fine? Potevo davvero mollare tutto come se niente fosse e andarmene via?

L'idea mi fece a dir poco schifo e ribrezzo. Ero già un'assassina, sarei diventata anche codarda, traditrice, inetta. Rinunciai alla possibilità di scegliere nel momento in cui vidi la vita spirare via dagli occhi di mia sorella, non c'erano via di uscita... o meglio, non le volevo trovare.

Se inizi a camminare per vie oscure difficilmente torni indietro, puoi solo andare avanti. Realizzato ciò in un turbinio di pensieri densi come pece, ingoiai uno dei rospi più grandi della mia esistenza e sbattei i pugni a terra, voltando gli occhi cremisi al soffitto e bestemmiando contro gli dei. Digrignai i denti e feci quel che dovevo fare. Dovevo.

«Sa cosa? D’accordo! Sono già un mostro, preside. Le mie mani sono ancora lorde del sangue del mio sangue, non mi tirerò indietro. Se questo è il mio destino, se questa è la via che ho scelto, allora diventerò il peggior abominio che questo Universo abbia mai visto».

Il volto di Faragonda si contrasse in una sfumatura di doloroso rimpianto: vedeva la follia nei miei occhi, vedeva l'obbligo e la vergogna. Dopotutto, non era già quella una forma di corruzione? La mia purezza magica era davvero così importante?

Mentre la preside contattava la Griffin, i miei pensieri galoppavano senza senso, violenti e terribili. Ero una fata e, in quanto fata, ero identificabile, ero qualcuno di definito. Avevo deciso di diventare qualcosa che era fuori da ogni schema, non avrei trovato mai in nessun libro che cosa sarei diventata.

Indugiai in quel pensiero delirante per qualche minuto, poi ebbi un'epifania che mi scaldò il cuore, come una panacea: era poi così terribile essere un nessuno? Essere un qualcosa. Una senza nome. Non era forse quello che desideravo di più?

Era meglio non avere nome piuttosto che essere chiamata 'assassina'. 'Nessuno' era una nomea migliore di mostro e, per conquistarmi quel titolo, dovevo uccidere nuovamente, come quando due negazioni diventano un'affermazione.

Mi venne una risatina esasperata, quasi eccitata da questa mia nuova prospettiva di vita: morire e mettere la parola fine a quell'inferno, oppure far tornare in vita Daphne e perdere per sempre la mia identità, diventando polvere.

Non potevo chiedere di meglio. Al nulla non si può dare aggettivo, il mio peccato sarebbe sparito per sempre insieme a tutto il resto.

Ero ancora immersa nel mio delirio quando Faragonda si alzò faticosamente dalla sedia, come se il suo corpo si rifiutasse di compiere i suoi ordini; indossò il suo soprabito scuro e, nel silenzio più totale, ci avviammo verso Torrenuvola. Non fiatò mai durante il tragitto, aveva paura perfino di guardarmi, di consigliarmi, di fare qualunque cosa.

Come un virus contagioso, il rimorso aveva catturato anche lei. D'altronde era stata tutta una sua idea, mi stava letteralmente spianando la strada verso il mio destino. Un nero, oscuro destino.

Mentre camminavamo respirai a pieni polmoni i profumi e l'aria pura dei boschi, godendo del canto degli animali. Non avevo la minima idea di cosa mi sarebbe successo, forse non sarei più stata in grado di farlo. Un pensiero ricorrente mi si piazzò in mente, malvagio, non mi mollò mai nemmeno per un secondo: "Magari ci muoio qui... magari ci muoio".

Torrenuvola ci apparve imponente e cupa, come al solito; al contrario di Alfea, la scuola per streghe si sviluppa in verticale con alte torri e una marea di scale da salire e scendere: sfido che le allieve siano sempre così infastidite.

Arrivate davanti il portone, per la prima volta, la preside mi parlò con voce flebile, quasi impercettibile: «Bloom, mi dispiace così tanto, sono così... ti prego, se non te la senti non lo devi fare per forza».

Arricciai il labbro inferiore, misi le mani sui fianchi e guardai in aria, abbozzando un sorriso sarcastico, di chi il buonsenso lo ha seppellito nella più profonda delle tombe, e risi sommessamente.

«Non posso più dire di no, Faragonda. Non posso più nascondere quello che ho fatto: i miei occhi bruciano, parlano. Cosa direbbero tutti, come mi chiamerebbero? Bloom la codarda? No, non se ne parla, andiamo».

La preside abbassò lo sguardo ferita e aprì le porte della scuola. La folle ilarità che mi pervadeva sparì subito quando mi accorsi che le allieve ci fissavano con disprezzo: le fate e le streghe non si erano mai amate, è così dall'alba dei tempi, ma quelle ci squadravano letteralmente guardandoci dall'alto verso il basso, parlottavano, ridevano e insultavano.

"Magari ci muoio qui, magari ci muoio... ci muoio..."

Provai una certa nausea, un istinto animalesco che non mi era mai appartenuto: volevo far del male. Volevo dare alle fiamme tutto e tutti, indistintamente. Non è un modo di dire né una similitudine, io volevo ucciderle sul serio. Sentivo una voglia irrefrenabile e spaventosa di farle fuori a sangue freddo, così, su due piedi. Mi diedi un pizzicotto per tornare alla realtà e iniziai a sudare freddo.

"Bloom, che diavolo stai facendo? Ora vuoi prendertela con delle ragazzine? Ma sei fuori?" pensai parlando con me stessa. Volevo rimproverarmi, fermare in qualche modo la mia follia, ma un solo pensiero avevo in testa: "Sono streghe. Mi hanno fatto questo. Devono morire tutte".

Faragonda si accorse della mia crisi psicologica, tanto che mi strinse il braccio e mi accarezzò lentamente, ripetendomi a voce bassa la stessa frase: «Sei una fata, Bloom. Mantieni la calma. Sei ancora una fata... lo sarai sempre».

Cercai di adattare il mio respiro al ritmo delle carezze della preside, concentrando la mente in quell'operazione e allontanando i cattivi pensieri quel tanto che bastava per farmi calmare, nonostante intorno a noi ci fosse solo ostilità.

Dopo minuti interminabili di scale, arrivammo finalmente nell'ufficio della Griffin, lugubre come sempre: le pareti scure incutevano un certo timore, così come i dipinti dei presidi precedenti; i vecchi mobili in legno, poi, non contribuivano a rendere l’atmosfera più serena.

Ci accolse con un sorriso tirato e nervoso, non si azzardò nemmeno a sfiorarmi. Ci accomodammo e le raccontai tutto quello che avevo fatto e quello che avevo intenzione di fare, chiedendo se era davvero possibile. Faragonda era praticamente diventata una statua vivente, a momenti non la sentivo nemmeno respirare.

La preside di Torrenuvola rimase molti minuti in silenzio, persa completamente nei suoi pensieri, poi si massaggiò le tempie e cominciò a parlare.

«Quello che mi chiedi è possibile, ma... completamente fuori da ogni etica. È follia pura» disse grave, senza staccare lo sguardo dalla scrivania, poi continuò: «Ma, ahimè, non mi vengono in mente altri modi validi per rintracciare le Trix, non penso ci siano altre soluzioni. Questo immagino già lo sai».

Mi agitai sulla sedia, spazientita.

«Esattamente, cosa mi accadrebbe?»

Indugiò qualche secondo, stava pesando attentamente le parole.

«Mi sono occupata personalmente dei pazienti affetti da questo problema: si trattava di streghe contaminate dalla magia bianca, ma anche fate contaminate da quella oscura, stregoni, maghi. È un evento molto raro, accade solo quando un essere magico è debilitato eccessivamente del suo potere e viene a contatto con una forte fonte magica opposta alla sua per tempi prolungati. In teoria non dovrei fornirti queste informazioni, sono strettamente riservate, sai. Non ho molta scelta, vero? Non dopo tutto quello che hai fatto per arrivare qui, per tua sorella e per tutti noi. Se non le fermiamo, le Trix ci distruggeranno».

Stavo iniziando a capire dove voleva andare a parare: credo di non aver mai provato tanta paura in vita mia.

«Questi soggetti li chiamiamo Orphan, poiché hanno perso la natura del loro potere natio. Cosa succede a queste persone? Beh... semplicemente, diventano folli: possedere quella porzione estranea di magia nel loro corpo li porta alla pazzia più totale. Prima di perdere completamente la ragione, molti di loro dicono di sentirsi come ricoperti di fango, oppure di insetti, si agitano in continuazione cercando di togliersi di dosso cose che non ci sono. Alcuni dicono di sentire delle voci che intimano loro di fare o farsi del male, altri semplicemente smettono di muoversi e rimangono impietriti per tutta la vita... una breve vita, sono costretta a dire. Tra chi si suicida e chi muore a causa del conflitto energetico che si viene a creare nel loro corpo, chi sopravvive a lungo si conta sulle dita di una mano. Bloom... è una condanna a morte».

Lungo il collo iniziai a sentire una sorta di formicolio che si irradiava fin sotto il cervelletto, tutti i tendini erano tesi come corde di violino. Mi morsi il labbro fino a farlo sanguinare, mi portai le mani sulla testa e iniziai a stringerle furiosamente, tirando tutti i capelli. Faragonda si allontanò da me d'istinto, la Griffin tremò e io digrignai i denti emettendo versi di disperazione.

Tutto mi remava contro, la sorte mi era avversa in ogni modo possibile: la mia maledetta missione voleva in cambio il mio corpo e la mia mente, e io non ce la facevo più. Esplosi. Urlai, ruggendo come un demone.

«È colpa vostra…è solo colpa vostra! Di tutte voi maledette streghe! Dovevate distruggere quelle tre quando ne avevate l’occasione, voi sapevate chi erano! Daphne è morta per causa vostra! Io diventerò un abominio per colpa vostra!»

L'aria divenne di fuoco e irrespirabile, i mobili si incendiarono e io avrei fatto una strage se non avessi visto la Griffin piangere come una bambina inginocchiata davanti a me. Sbattevo i pugni sul duro legno della scrivania ma, in qualche modo, riuscii a fermarmi.

«Mi dispiace, Bloom... è colpa mia, lo so bene, era compito mio... perdonami per tutto quello che sei costretta a fare, è un rimpianto che mi perseguiterà per sempre... non ho mai smesso di punirmi per questo...»

Mi inginocchiai davanti a lei, la afferrai per il collo della giacca e la fissai con occhi scarlatti di furia e fuoco, luccicanti come due gocce di sangue.

«Questa sarà la punizione per il tuo peccato! Tu vivrai con l'anima macchiata per sempre, colpevole della morte di chi mi era caro e colpevole del mio sacrificio! Ora, preside Griffin, fai quello per cui sono venuta qui, prima che la follia mi porti via troppo in fretta. Rendi il nostro peccato ancora più nero».

La strega non smise mai di tremare dal terrore: le mie parole era così macabre e oscure. Tra il fumo e la cenere del legno bruciato ella si alzò, cercando rifugio negli occhi della sua più cara amica e compagna di tante battaglie, ma non trovò niente: solo paura e colpevolezza per i propri errori.

«Io... va bene... fammi pensare un momento».

Annuii, andai alla finestra per guardare il panorama e la lasciai lavorare in pace. Dopo alcuni minuti, elaborò un piano.

«A-allora... ecco, il primo punto è questo: nel momento in cui entrerai in contatto con la magia nera, non dovrai opporre neanche la più misera resistenza. Hai un potere sconfinato, come non ne ho mai visti in vita mia, basta il più piccolo ostacolo per respingere l'oscurità» disse mentre la fissavo silenziosa, poi continuò: «Detto questo, secondo la mia esperienza e secondo quanto mi avete riferito sulla portata del tuo potere, credo che, per corrompere anche solo un quarto la tua Fiamma del Drago, dovremmo usare la magia oscura di tutte le allieve di Torrenuvola alla massima potenza. Non so se sarà sufficiente, devo dire. Ovviamente, più la Fiamma verrà corrotta, più avrai possibilità di percepire le Trix. Altro non posso fare, perdonami».

«Quindi è questo che mi offri, Griffin? Fiamme marce, follia e nessuna garanzia che funzioni? Mi sta bene. Magari diventerò così pazza e fuori di testa da uccidervi tutti senza il minimo rimorso, non mi dispiacerebbe così tanto».

La preside di Torrenuvola sembrava sul punto di svenire, era perfettamente consapevole che avrei potuto farlo davvero.

«Orphan... diventerò una Orphan... mi piace, bel nome. D'altronde, sono stata orfana per gran parte della mia vita».

Girai i tacchi e sbattei la porta, lasciando dietro di me due anime distrutte. A quel punto, non me ne fregava assolutamente niente di nessuno, il mio spirito era rotto, niente aveva più senso.

Mi incamminai verso uno dei balconi esterni per prendere una boccata d'aria, sentii la voce della Griffin echeggiare in tutta la scuola; spiegava in modo tranquillo ma deciso cosa avrebbero dovuto fare tutti, dai professori alle allieve, come se non fosse successo nulla.

Ci misero davvero poco tempo a preparare tutto. La scuola era diventata deserta: si sistemarono tutti nel cortile esterno dietro l’edificio in modo ordinato, sedendosi a gambe conserte sull'erba. Osservando i preparativi dall'alto, notai che le ragazze formarono una serie di cerchi intorno ad un ipotetico centro, rimasto vuoto. Sicuramente era il mio posto d'onore in quello show dell'orrore.

All'interno dello spazio libero, quattro professori si sistemarono ai quattro angoli dello stesso con dei grossi libri in mano, formulando incantesimi che permisero la genesi di rune oscure sotto i loro piedi. Ecco, quelle non mi piacevano proprio. La Griffin e Faragonda raggiunsero il gruppo: la preside di Alfea rimase in disparte fuori dal cerchio, mentre quella di Torrenuvola si fece largo verso il suo centro, facendomi cenno di venire.

"Ci siamo. Ci siamo proprio" dissi a me stessa sospirando forte, ma i cattivi pensieri non volevano lasciarmi. "Magari ci muoio... magari".

Ogni passo verso il cortile era un passo verso il patibolo. Non vedevo speranza alla fine del tunnel, solo una tetra morte, una ghigliottina in attesa del mio collo. Per gli dei, avevo così tanta paura: del buio, del vuoto, del silenzio eterno.

Raggiunsi la strega all'interno dello spazio vuoto tra i quattro professori che avevano evocato le rune, tremando come una foglia.

«Ci siamo, Bloom» disse la Griffin deglutendo, «ascoltami e fai esattamente quello che ti dico, o non funzionerà. Chiaro?»

Annuii, rassegnata alla falce che attendeva solo di mietere la mia vita.

«Tutti i presenti convoglieranno in me il loro potere oscuro: fungerò da catalizzatore e riverserò tutta questa magia nera su di te. Per nessuna ragione, non opporre nessuna resistenza. Abbassa le tue difese magiche più che puoi, permettici di far breccia nella Fiamma del Drago».

Rivolsi lo sguardo verso Faragonda: forse cercavo conforto, o coraggio, non lo so nemmeno io. Avevo la sensazione di annegare.

«A che servono le rune?» chiesi con voce fredda. La strega sospirò.

«Dobbiamo tutelarci, Bloom. Se tu perdessi il controllo, se dovesse andare tutto storto, tu...»

«Vi spazzerei via tutti. Chiaro. Quelle rune mi bloccheranno».

«Quando sei pronta, coraggiosa ragazza».

Risi amara.

«Non coraggiosa, strega. Folle».

La Griffin appoggiò la mano sul mio cuore e tutti iniziarono a convogliare la magia nera in lei. Provai una sensazione strana: non era doloroso, era come se qualcosa di appiccicaticcio mi stesse ricoprendo da capo a piedi, un fastidio che cresceva di secondo in secondo portandomi a desiderare fortemente di ribellarmi. Effettivamente, una patina scura mi stava divorando.

«No, Bloom! Resisti! Forza, voi là dietro, aumentate! Prosciugatevi se necessario!»

I volti delle ragazze erano un quadro di smorfie causate dalla fatica immane che stava chiedendo la loro preside. Ebbi una visione spirituale di ciò che stava succedendo all'interno del mio corpo: vedevo una mano nera che cercava in tutti i modi di afferrare la mia Fiamma del Drago, fallendo miseramente. Il fuoco era troppo alto, troppo imponente.

"Devo far qualcosa..." mi dissi digrignando i denti dal fastidio, dovevo almeno provarci.

Usai la mia volontà come arma: ordinai letteralmente alle mie fiamme di quietarsi, di piegarsi alla mia autorità. Il calore si fece meno intenso, la mano oscura riuscì ad avvicinarsi, e… strozzò nel suo palmo la mia Fiamma del Drago.

A quel punto, mi sentivo come sprofondare nelle sabbie mobili: percepii i polmoni affogare in quella melma nera, era terrificante. Stavo cadendo preda della paura quando, finalmente, tutto si fermò. Senza nemmeno aspettare qualche secondo per riprendere fiato, la Griffin arretrò velocemente da me, mentre i quattro professori alzarono l'attenzione al massimo, pronti a scattare in ogni momento.

«Via! Indietro, andate via!»

Non capii bene cosa stesse succedendo: la strega stava allontanando tutti di gran fretta nonostante io mi sentissi alquanto bene. Mi osservai le mani, attesi qualche attimo in allerta, ma non successe niente.

"Strano... che non abbia funzionato?"

Iniziai a sentire la bocca pastosa e gli occhi gonfi, come se mi fossi appena svegliata da un lungo sonno. Mi toccai le labbra, e… sulle mie dita c'era la melma nera che mi aveva inghiottita prima. Presa dal panico, mi toccai anche gli occhi. Stessa cosa. Stavo letteralmente vomitando magia oscura.

Scoppiai a piangere disperata, le lacrime sembravano petrolio. Poi, iniziarono i formicolii sulla pelle, come quando si addormenta un arto, dal petto si propagavano per tutto il corpo come piccole onde d'urto: iniziarono a darmi fastidio, prima poco, poi sempre di più.

Cominciai a grattarmi: mi tolsi la felpa rimanendo in maglia a maniche corte, ma non bastò. Iniziai a sentirmi sporca, come... sì, come ricoperta di fango. Sentivo il sudiciume, percepii il solletico di quelle che sembravano zampe di insetti, mi strofinai fino a scorticare la pelle.

La vista divenne annebbiata e la testa pulsava, facendomi vedere cose che non c'erano e sentire voci sconosciute; mi presi furiosamente la testa fra le mani strappando qualche ciuffo di capelli, agitandomi di scatto in varie direzioni, come per liberarmi dalla presa di qualcosa di invisibile.

Sentii una furia sconfinata, un odio becero e insensato, tanto, tantissimo odio. Iniziai a bramare il sangue dei miei nemici, desideravo sentire i cuori di tutti i presenti stroncarsi nella stretta della mia mano, esattamente come avevo fatto con Daphne.

«Streghe... streghe maledette... io... io vi ucciderò tutte».

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Capitolo 8
*** Ricorda Chi Sei ***


CAPITOLO 8: RICORDA CHI SEI

 

 

Avete presente quando, durante la notte, vi spostate nel sonno e vi ritrovate al contrario? Con la testa ai piedi del letto e i piedi sul cuscino? Ci si sente storti, in errore. Quella era la sensazione che più dominava nella mia mente, amplificata fino all'insopportabile.

È la camicia abbottonata male, il sasso nella scarpa, la riga dei capelli dalla parte opposta. Sbagliato, sbagliato, era tutto sbagliato. La mia stessa esistenza era un errore, lo sentivo chiaramente: era come respirare sott'acqua, nemmeno il mio corpo lo sentivo più mio.

Odio incondizionato e immotivato eruttava da ogni cellula del mio corpo: tutti i presenti apparivano come ombre ai miei occhi di sangue, era un mondo distorto che io dovevo distruggere o, quello, avrebbe distrutto me.

Continuavo a reggermi la testa tra le mani, agitandomi come un serpente a cui avevano tagliato il capo, urlando e sbraitando parole che nemmeno ricordo. Provavo a togliermi di dosso qualcosa che non c'era, un velo invisibile di male. Non saprei descriverlo in altri modi: era qualcosa di così erroneo che mi sembra errato anche parlarne. Non dovrebbe esistere una sensazione del genere.

Ah, le voci, poi. Le maledette voci... gridavano come demoni rabbiosi, non mi permettevano di sentire altro che loro. "Devi morire". "Sei uno scherzo della natura". "Sei una bestemmia contro gli dei". "Distruggi tutto".

Non seppi mai dire chi era a parlare, ma se dovessi tirare a indovinare, probabilmente era la mia Fiamma del Drago. L'avevo profanata, quella era la mia punizione.

Tra uno strattone isterico e l'altro, rivolsi lo sguardo verso le streghe: erano tutte lì, raggruppate ai confini del cortile mentre mi guardavano con occhi sgranati, terrorizzate da me che, ormai, non posso che definire mostro.

Ero diventata morte e dolore, niente aveva un barlume di senso in quel momento. Tutti penserebbero che fosse una reazione più che comprensibile: quelle giovani allieve avevano davanti un abominio senza precedenti, ma ai miei occhi offuscati e corrotti quella non fu altro che l'ennesima provocazione. Posso dire, in tutta onestà, che divenni un demonio.

La Griffin, dall'alto della sua esperienza, aveva tristemente vagliato la possibilità che io perdessi il lume della ragione, tanto che urlò ai quattro professori di intervenire, mentre lei attivò uno scudo sulle ragazze. Stavo per scatenare un inferno, quando le rune presidiate dalle quattro figure si illuminarono rumorosamente: da esse emersero delle catene oscure prive di massa, nel giro di pochissimi secondi mi stritolarono nella loro morsa impedendo sia ogni genere di movimento, sia l'evocazione di incantesimi.

Generalmente, queste tecniche di controllo funzionano solo su esseri magici dotati di magia nera: vuoi per aiutare le streghe più giovani a controllare i propri poteri, vuoi per dare la caccia ad un criminale, queste catene entrano in contatto con la fonte magica del soggetto e la sopprimono momentaneamente.

Nonostante io fossi ancora una fata, quella metodica funzionò comunque su di me. Perché? Beh, perché ormai la mia Fiamma del Drago era corrotta per un quarto. La Griffin puntò su questo principio per poter contenere la mia follia, era quel pezzettino oscuro che le catene stavano strozzando... tanto bastava.

Incapace di muovermi, incapace di ribellarmi, incapace di saziare il mio desiderio di morte. Persi completamente la testa e cercai di accumulare più potenza possibile per liberarmi: le smorfie di tensione e fatica dei miei quattro carcerieri erano grottesche, al limite dell'umana sopportazione. Alcune lingue di fuoco riuscirono a sfuggire dalla prigionia ma, appena le vidi, rimasi agghiacciata.

Prima di allora, le mie fiamme erano di un bel rosso cremisi e oro, luminose come luce divina; in quel momento, invece, mi accorsi che erano azzurre, sfumate di nero qua e là, come petrolio che brucia. Sembrerebbe un dettaglio superfluo visto da fuori, dopotutto era solo un cambio cromatico, cosa vuoi che sia... beh, non per me.

Quella visione mi fece sanguinare il cuore: era il marchio del mio peccato, era lì, ed era visibile. Le urla, il marcio che provavo, alla fine erano tutte cose che mi riguardavano strettamente, nessuno poteva percepire le mie sensazioni, nessuno poteva vedere l'oscuro abisso che mi aveva divorato. Potevo nasconderlo, in qualche modo.

Invece, le mie fiamme blu e le lingue nere, quelle erano tangibili e concrete, erano reali. Le potevano vedere tutti. Era la mia pubblica umiliazione, la gabbia che mi costringeva a rimanere Bloom e non il nessuno che tanto desideravo diventare.

Continuai a fissare il mio fuoco, ammutolita. L'odio folle verso tutto e tutti si trasformò sempre di più in vergogna e disgusto verso me stessa, mi ripudiavo con ogni fibra del mio corpo. Soffocai immediatamente il mio potere per togliermelo dalla vista, mi accasciai a terra e scoppiai in un pianto terribile e disperato, dal quale non avrei voluto mai più riprendermi.

Le catene oscure, pur non avendo massa, fecero un gran chiasso quando si scontrarono col suolo e, a parte il rumore dei miei singhiozzi isterici, nell'ambiente calò il silenzio più totale. Che io ricordi, Faragonda rimase in uno stato catatonico tutto il tempo: il suo respiro era così impercettibile, c'erano momenti in cui sembrava solo un ologramma.

Un orrore così, come si affronta? Come si può fare i conti con qualcosa a cui tu stessa hai contribuito?

«Non... non volevo... questo» sussurrò appena, «non...»

La preside strinse i pugni così forte da tremare, il suo volto dolce e gentile era diventato un macabro dipinto miserabile.

«No, no! Mi rifiuto

Si fece largo tra le giovani streghe con furia, spostando rozzamente le ragazze di qua e di là, mentre la Griffin le urlava di fermarsi. Arrestò la sua marcia davanti a me, ansimando forte: era intrisa di una determinazione incrollabile.

«Bloom, ragazza mia...»

Mi accarezzò il viso deformato dal dolore e dal pianto convulso senza arretrare di un centimetro, ferrea nei suoi intenti. Come c'era da immaginarselo, le catene su di lei non ebbero effetto.

«Faragonda... sono un mostro, guardami» dissi letteralmente vomitando parole, a tratti incomprensibili, «uccidimi, uccidimi ti prego, tutto questo è sbagliato!» sbiascicai tra le urla e i gemiti.

Chiunque che non fosse stato la preside, probabilmente, mi avrebbe fatta fuori immediatamente.

«No! Bloom, no! Non ti farò più del male, te ne ho fatto già abbastanza. Hai una missione da compiere!»

Scossi la testa follemente, sbavando oscurità dalla bocca.

«Sono solo una stupida! Non ce la farò mai, è tutto perduto, è stato uno sbaglio fin dall'inizio! Sono un errore che respira

L'anziana fata non riuscì a trattenere le lacrime, velenose e piene di rancore verso sé stessa. Nonostante tutto, non poteva e non voleva soccombere al blasfemo abominio che aveva generato: prese il coraggio a due mani come solo lei sapeva fare, e mi fece la ramanzina più accorata della sua vita.

«Bloom... prestami attenzione, Bloom! Guardami e ascoltami!»

Faragonda non aveva mai alzato la voce con me né con nessun altro: era alta e squillante, non ammetteva repliche.

«Guarda cosa ti sei fatta! Guardati! Non sei più una fata, non sei nemmeno una strega, sei qualcosa che in natura non esiste!» disse alzandomi il viso per permettermi di guardarla negli occhi, incurante dei rischi, per poi continuare presa dalla foga: «Sai cosa c'è, Bloom? A me, a noi tutti, non importa! Non ci importa cosa sei, e lo sai perché? Perché ti vogliamo bene! Per noi rimarrai sempre una fata di Alfea! Non importa cosa dice il tuo corpo o la tua mente, tu sei una fata, nell’anima e nel cuore! Non dimenticarlo mai, signorina!»

Quelle parole mi fecero uno strano effetto, come un bruciore piacevole che, dal petto, iniziò ad irradiarsi in tutto il mio corpo: io volevo crederci, volevo crederci con tutta me stessa, volevo aggrapparmici come mia unica ancora di salvezza, ma le voci nella mia testa strillavano molto più forte, troppo.

«Le voci... ti prego, Faragonda, fai smettere le voci!»

Continuai a piangere, stavolta per il dolore fisico che mi procuravano.

«Combattile! Pensa a quello che devi fare, pensa al tuo vero nemico! Hai fatto tutto questo per Daphne! Pensa a tua sorella! Lo stai facendo per lei, dannazione!»

Sentire il nome da me tanto amato mi colpì come un pugno nello stomaco.

«Hai un potere smisurato! Sai perché le tue fiamme sono diventate azzurre? Il calore e la potenza delle tue fiamme sono aumentate talmente tanto che il fuoco ha cambiato colore, come succede alle stelle! È il simbolo della tua potenza! Tu puoi sconfiggere le Trix! Hai fatto tutto questo anche per loro! Ricordati

La preside marcò ogni parola costandole una fatica titanica: stava letteralmente sgridando la morte incarnata che ero diventata.

Tremai ansimando con il cuore che martellava nel petto: Daphne. Mi ero quasi dimenticata di lei... sembra assurdo da dire, ma la corruzione e il dolore mi fecero perdere completamente di vista l'obiettivo, per chi stavo facendo tutto quello che stavo facendo, la persona a cui avevo dedicato la mia discesa nella follia.

Mi sforzai con tutte le risorse che avevo di rimanere concentrata su mia sorella e sulle Trix, di mantenere lucida quella insana determinazione che mi aveva guidato fino ad allora, ma... era troppo. Era davvero troppo.

«Faragonda, io... non ci riesco, le voci sono troppo forti... aiutami, ti prego... falle smettere...»

Sentivo la mia mente lacerarsi, quasi in senso letterale. Le mie fortissime emozioni si mescolavano continuamente e si davano il cambio ad una velocità insostenibile, il mio stesso io si stava disintegrando.

«Griffin! Amica mia, aiutala! Non esiste niente che si può fare per alleviare i sintomi?» disse Faragonda quasi a supplicare la sua amica.

«Io... io non lo so... forse...» balbettò presa alla sprovvista. Qualcosa mi dice che dubitasse fortemente che sarei sopravvissuta al rituale.

«Griffin! Qualunque cosa

La preside, ormai, sembrava un leone in fuga: ruggiva senza sosta a chiunque osasse contraddirla.

«Esiste un farmaco che stiamo testando, ma nella totalità dei casi non ha funzionato».

«Vai a prenderla, è la nostra unica possibilità!»

La strega sparì in un istante, veloce come un fulmine. Il laboratorio dove conduceva le sue ricerche non era molto distante, infatti dopo pochi minuti tornò con un piccolo baule di vetro contenente una siringa. Non c'era tempo per discutere né per ragionare: la preside di Torrenuvola mi scoprì bene il braccio destro e mi fece l'iniezione nel deltoide, pregando tutti gli dei che succedesse qualcosa.

Il liquido bruciava, il tempo passava ma le voci non cessavano, nemmeno la sensazione di sporco e putrido che mi sentivo addosso. Ogni movimento di lancetta era un colpo di spada alla nostra speranza.

Dopo circa dieci minuti, però, il miracolo avvenne e finalmente iniziai a percepire qualcosa: la mente divenne leggera, le voci si erano attenuate fino a scomparire quasi del tutto e i muscoli si rilassarono, portando le mie sensazioni sgradevoli ad un livello perlomeno tollerabile. Fu come tornare a respirare di nuovo.

Ero stata incredibilmente fortunata. Forse ero davvero destinata a compiere il mio fato, forse gli dei volevano davvero che io portassi a termine la mia missione. Il desiderio di sopportare tutto per l'amore 'ritrovato' di Daphne era come una panacea, mi faceva stare meglio e mi dava la forza di andare avanti.

Entrambe le presidi scoppiarono in una risata liberatoria esultando come due ragazzine, io abbozzai una sorta di sorriso. La follia che mi portavo dentro non sarebbe mai andata via ma, almeno, potevo gestirla. Era... un miracolo.

Mi liberarono dalle catene, mossi qualche passo e mi guardai intorno, sospettosa: il desiderio di uccidere tutti si era placato, ma non era scomparso, così come non erano passate le voci.

Ahimè, da quel momento in poi devo mantenermi sempre sotto controllo e tenere alla larga dalla mente i miei... impulsi. Mi venne un piccolo tic nervoso che mi porto tutt'ora: ogni tanto scuoto il capo come per mandare via qualcosa dai capelli, ma è ben poca cosa rispetto a tutto quello che ho dovuto passare.

Tecnicamente parlando, ero diventata una specie di 'paziente zero': forse le proprietà curative della Fiamma del Drago fecero funzionare il farmaco sperimentale correttamente, dandogli quel aiuto in più che serviva. Grazie al mio contributo negli anni avvenire, il farmaco fu migliorato e sempre più pazienti trovarono sollievo, è una cosa che mi rende molto fiera.

Le streghe, ancora stanche e terrorizzate, se ne stavano il più lontano possibile, permettendomi di passare qualche ora tranquilla con le presidi, mangiando qualcosa e riposando la mente ferita. Quando mi sentii pronta tornai in mezzo alle rune per precauzione, mi misi seduta a gambe conserte, cercai di ignorare completamente le voci e caddi in profondissima concentrazione, proiettando la mia essenza fuori dal mio corpo.

Percepivo le streghe di Torrenuvola, le fate di Alfea e l'energia vitale dei ragazzi di Fonterossa. Era un buon inizio, ma non era abbastanza; mi spinsi oltre, toccai l'essenza dei miei genitori su Domino, di Sky, di Thoren, degli esseri magici su pianeti lontanissimi, e poi... poi le percepii.

Era un segnale piccolo, quasi effimero, ma non potevano che essere loro. Tre energie oscure appartenenti ad esseri antichi, quasi primordiali, riunite nello stesso luogo: una glaciale, una nera e una elettrica. Davanti a me avevo una cartina magica dell'Universo conosciuto: trasferii in essa la traccia magica che avevo percepito, questa si illuminò e mi indicò un luogo lontanissimo, sacro e proibito.

"Eden, il pianeta del Risveglio". Non era assolutamente una coincidenza.

Per chi non conoscesse la storia, ve la racconto in breve. Al momento della Creazione, nell'Universo non c'era niente, era vuoto e tetro; il Drago Primordiale creò il primo pianeta, Eden, e ne fece la sua dimora. Eden fu l'epicentro energetico attraverso il quale la gloriosa bestia diede vita a tutto l'Universo magico.

Stanco e privato del suo slancio vitale, come casa del suo ultimo riposo scelse Domino, dove decise di tramandare parte del suo potere ad altri esseri viventi, con il preciso scopo di vegliare in eterno sul suo creato. Solo il più puro d'animo sarebbe stato degno abbastanza per essere il suo contenitore. Tra tutti, il prescelto fu Helios, il fondatore della stirpe del Drago e mio antenato ancestrale.

Eden è, tutt'oggi, un pianeta estremamente ricco di energia magica bianca, una fonte quasi inesauribile di vitalità. Per questo motivo fu classificato come pianeta sacro e proibito, inaccessibile a chiunque, in modo tale che questa energia non venga sfruttata e plagiata dai malvagi. Era lì che le Trix e la Fiamma del Drago di Daphne si trovavano.

«Non è una coincidenza, temo. Con il potere smisurato che hanno, devono aver allentato la barriera magica che rende il pianeta invalicabile riuscendo ad entrare. Questo spiegherebbe anche come il tuo potere sia riuscito a percepirle nonostante Eden sia schermato. Ho paura che stiano facendo qualcosa di terribile».

Le parole della Griffin erano gelide, tanto quanto l'espressione di Faragonda. Era una situazione terribile, ma dovevo costringermi a rimanere calma: sapevo cosa dovevo fare. Il destino mi stava offrendo la sua mano, non potevo rifiutare.

 

 

«Pronto?»

«Timmy, sono Bloom. Non fiatare, non dire una parola, se hai persone intorno allontanati. Ascoltami e fai esattamente quello che ti dico».

Molte ore più tardi, una navetta da guerra di Fonterossa atterrò davanti a Torrenuvola, dove un Timmy perplesso e spaventato mi stava aspettando per partire verso il mio fato.

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Capitolo 9
*** L'Arte della Guerra ***


CAPITOLO 9: L'ARTE DELLA GUERRA

 

 

 

Fu un addio silenzioso quello dato alla preside Faragonda e alla preside Griffin, così come fu un viaggio silenzioso quello sulla nave da guerra. Ci volevano cinque ore di viaggio a massima velocità per arrivare su Eden e, né io né Timmy, avevamo molta voglia di parlare. Ci scambiammo giusto qualche parola, l'essenziale, quel che era necessario dire in un momento tanto cruciale quanto tragico.

Il ragazzo aveva l'aria decisamente cupa e abbattuta, sconvolta potrei dire. Non avevo nessun diritto di fargliene una colpa, così mi diedi un doloroso pizzicotto per zittire le voci maligne della mia corruzione. "Alla prima occasione ti ucciderà", "Gli fai a dir poco schifo", "Fallo fuori ora che puoi". Sembravo un domatore di leoni in gabbia con le bestie, le tenevo a bada a colpi di frusta.

«Bloom... sai... noi siamo tuoi amici. Potevi... insomma, potevamo aiutarti».

Le sue parole sembravano sussurri, come se non volesse farmi male alle orecchie. La sua dolcezza mi fece sorridere.

«Non potevo, Timmy. Sei stato informato su tutto quello che è successo... davvero mi avresti permesso di fare questo? Di mutilarmi così?»

Stranamente, il mio tono di voce era tranquillo, mi sentivo piuttosto bene e riposata. Lui ci pensò sopra qualche secondo, ponderando i pensieri e le parole.

«No… hai ragione».

Rimanemmo in silenzio qualche minuto, poi ripresi a parlare.

«E poi... non sono sola, sai. Ho potuto testare i miei poteri solo una volta prima di diventare Orphan, ma ho scoperto di poter usare un poco i poteri delle ragazze. Sai, no... per via delle loro Fiamme del Drago. Quindi, in qualche modo, è come se loro fossero con me».

Timmy annuì muto, aveva capito cosa volevo dire. Il tempo passava pigramente, dopo un po' feci la domanda che più mi premeva sul cuore.

«Appena scenderò da questa nave tu informerai tutti, vero?»

Il volto del pilota si contrasse in una smorfia nervosa, beccato sul fatto come un ladro.

«Hanno il diritto di sapere, Bloom. Sky è disperato. Se tu dovessi... se tu morissi, almeno sono tutti preparati. E a-anche se tu sopravvivessi, saranno comunque pronti a… diciamo… ad abituarsi alla nuova te».

Era un ragionamento pulito e corretto, niente da dire. Appoggiai la testa allo schienale e tirai un sospiro rilassato: tutto era come doveva essere, ogni pezzo del puzzle era al suo posto.

Eden si presentò a noi bellissimo, verde come uno smeraldo e macchiato qua e là da tinte blu. Era una vista magnifica, anche perché era un pianeta piuttosto piccolo e grazioso, si potevano apprezzare molte sfumature di colore. Certo... se non fosse stato per l'enorme calotta di ghiaccio che deturpava il globo proprio al suo centro.

«Timmy, sono là. Non dovresti avere problemi ad atterrare, la barriera è stata distrutta. Atterra fuori dal ghiaccio, nasconditi bene e… prega per me».

Lui eseguì tutto alla lettera e, nel giro di un'ora scarsa, eravamo sulla superficie rigogliosa di vita, con la rampa della nave abbassata pronta a lasciarmi andare.

«Bloom, aspetta! Tieni questo. È un indicatore di vitalità... è un microchip piccolissimo, non ti darà nessun fastidio. Quello mi notificherà se... se il tuo cuore smette di battere».

Lo misi in tasca, poi guardai Timmy con davvero tanto, tanto affetto.

«Grazie di tutto, amico mio... so di averti chiesto tanto oggi. Se io morissi qui, scappa il più velocemente che puoi, salvati. E racconta a tutti la mia storia».

Il ragazzo strinse i denti frustrato e pianse, mentre io mi trasformai e volai via. Mi osservai un poco mentre mi dirigevo sul campo di battaglia: il mio vestito era normale, a parte sfumature nere che lo macchiavano qua e là, non era vistoso come credevo. A quel punto non mi importava più, non mi importava assolutamente niente. Non avevo paura. Volevo solo il loro sangue.

Erano davanti ad un altare di ghiaccio dove era riposta la Fiamma del Drago di mia sorella, furibonde, imprecando senza fine.

«Quattro mesi solo per corromperla a metà! Sono stanca!» urlò Stormy dando un calcio a un sasso ghiacciato. Aizzò una nube di nervosismo tra le sorelle.

«Icy, sei sicura che ne valga la pena? La Fiamma rimane comunque difficilissima da manipolare per chi non è un Custode, non siamo nemmeno sicure che funzioni!»

La strega del ghiaccio aveva l'aria di una che non dormiva da settimane: io sarò anche stata un mostro dalle fattezze umane, ma lei era la follia incarnata.

«Smettetela! Tutte e due! Avete idea di quanto tempo ci voglia per farlo da sole? Nemmeno una vita! Quindi non rompete le palle e tornate a lavoro!»

Si lagnarono in coro nello stesso identico momento. Sarebbe stata una scenetta divertente se io non fossi arrivata furiosa come non mai. Sui loro volti apparve una sola, grottesca smorfia alla mia vista.

«Oh, santo... Bloom? Sul serio

Icy mi accolse con un'eccitazione isterica: le si leggeva in faccia che moriva dalla voglia di sapere cosa avevo combinato per arrivare fin da loro da sola. Le voci nella mia testa ripresero ad urlare forte, aumentando il mio forte senso di repulsione e disgusto, ma dovevo, dovevo resistere. Le fissai con occhi scarlatti e glaciali allo stesso tempo.

«Sono qui per riprendere ciò che mi appartiene di diritto. Mi avete costretta a spezzare la vita del sangue del mio sangue, ora voglio la vostra. Vi farò provare sulla pelle quello che ho dovuto subire io».

Quelle tre risero forte, come loro consuetudine. Mi volevano sfottere fino alla fine.

«Davvero? Tu e quale esercito?» disse Stormy, acida.

Icy si avvicinò e mi squadrò da capo a piedi con attenzione, notando i cambiamenti della mia persona. Sfoderò un sorrisone sadico e, per la prima volta, la vidi davvero meravigliata per qualche cosa.

«Non ci posso credere! Sei una Orphan!»

Mi innervosii al suono di quella parola che, ormai, mi identificava, e feci una smorfia di tensione.

«E tu come lo sai?» dissi cercando di mantenere un atteggiamento sicuro. Non dovevo cedere alle provocazioni.

«Siamo al corrente delle ricerche della Griffin, cosa credi! Sappiamo tutto sulla corruzione, e… per gli dei, è proprio vero che le grandi menti pensano allo stesso modo!»

Iniziai ad avere un brutto presentimento: le voci mi dicevano che, da lì a poco, avrei perso il lume della ragione. Non so perché, ma... sapevo che avevano ragione. Quella volta dicevano il vero.

«Cosa... cosa vuoi dire?»

«Voglio dire, mia cara Bloom, che anche noi abbiamo corrotto una Fiamma del Drago. Quella di Daphne» disse Icy fermandosi per un attimo e, dal ghigno di scherno che le era stampato in volto, passò ad una smorfia rabbiosa, «Siamo stanche di te, siamo stanche di voi! Di tutto questo insulso Universo! Abbiamo acquisito poteri giganteschi, è vero, ma siamo solo in tre. È un'impresa troppo grande anche per noi quella di distruggere tutto con le nostre mani, di spazzare via il marcio che affligge questa realtà. Così, beh, abbiamo avuto una grande idea: corromperemo interamente la Fiamma del Drago di tua sorella ed evocheremo un Drago Primordiale Oscuro! Come il primo generò l'Universo, questo da noi creato porterà l'apocalisse! Costruiremo un nostro mondo dove nessuno oserà mettere in dubbio il nostro diritto di esistere. Diritto che voi ci avete portato via in quel limbo infernale».

Le tre streghe si guardarono con dolore, si potrebbe anche pensare di... provare pietà per loro. Avevamo davvero fatto la cosa giusta rinchiudendole lì?

«Sussurri senza vita ci tediavano al buio senza poter far nulla. Nessun contatto, nessun calore, nemmeno la possibilità di vedere le mie sorelle. Ogni momento di detenzione era una prova della mia non esistenza. Della nostra non esistenza».

La voce di Icy era ruvida e rancorosa, sentii un moto di angoscia nel petto. Se fosse successo a me e a Daphne, probabilmente sarei impazzita. Però, non potevo. Non potevo dimenticare ciò che fu, cosa fui costretta a fare, il dolore patito.

Quindi, volevano la fine di tutto? Sì, era senza dubbio una cosa spaventosa, dovevo assolutamente fermarle con ogni mezzo. Però, non fu la pressione della responsabilità che mi fece perdere ogni controllo sulla mia mente: alzai il capo e, dietro di loro, notai la luce della Fiamma del Drago di Daphne... spaccata a metà dall'oscurità.

“È così che sono fatta dentro?"

La fissai con occhi grandi, sconvolti, folli potrei dire. La guardai, la guardai ancora, come si guarda il Diavolo in persona.

«Voi... voi...» dissi con voce era quasi impercettibile, rotta, ma non mi fermai, «mi avete fatto uccidere mia sorella... mi avete costretta a mutilare il mio corpo e la mia mente... e ora... mi state dicendo che... ciò che rimane di Daphne voi lo avete... trasformato... in un abominio?»

Mi sorrisero tutte e tre, con malvagità inaudita.

«Esatto Bloom. Un abominio, proprio come te».

Avevo passato molto del mio tempo a combatterla, la corruzione: ricacciavo indietro le voci, cercavo di stare calma, di convincermi che il male che mi affliggeva non era del tutto reale, che non ero io.

Invece, in quel momento, mi resi conto che ero davvero io, era la Bloom vera e propria che stava urlando come un'ossessa, che si ricopriva di fuoco azzurro fino a diventare tutt'uno con le fiamme, che rendeva torrida l'aria, che si stringeva la testa tra le mani piangendo lacrime nere.

Non si capiva davvero dove finisse Bloom e dove iniziasse quel rigurgito di fuoco: l'unica cosa distinguibile in quell'ammasso blu erano i miei occhi scarlatti roventi di cieca furia.

Le streghe rimasero qualche secondo interdette, poi si alzarono in volo e si misero in guarda. Lo stesso feci io.

Commisi il primo, madornale errore: eravamo uno contro tre e io ero totalmente fuori controllo. Non persi tempo ad elaborare una strategia vincente come avrei dovuto fare: mi lanciai a capofitto sperando di arrostire tutto ciò che avevo davanti.

Male, molto, molto male.

Stormy non si fece pregare: approfittò subito della mia mossa azzardata per scaricarmi addosso un fulmine di un voltaggio tale da bucare letteralmente la mia difesa magica. Fu velocissima, spietata, non vidi nemmeno arrivare il colpo che mi ritrovai completamente paralizzata: i muscoli urlavano di dolore, si irrigidirono con una tale violenza da farmi avere le convulsioni, lì, a mezz'aria.

Le mie ali si rifiutarono di muoversi, così iniziai a precipitare come un peso morto. Lo schianto a terra fu micidiale. L'adrenalina causata dal colpo mi fece rinsavire quel tanto che bastava per reagire all'attacco di Darcy, il quale si concatenava perfettamente a quello della sorella.

Evocò i giganteschi tentacoli neri che avevo sbriciolato il mio castello su Domino e me li sguinzagliò contro, cercando di maciullare il mio corpo privo di difese; con sforzo disumano, creai la mitica barriera elettrica di Tecna, ricoperta anch'essa di fiamme azzurre, e mi ci raggomitolai dentro: le enormi masse oscure si schiantarono pesantemente contro di essa, venendo spaccate sia dall'energia cybernetica della gabbia, sia dal fuoco blu scaturito dalla mia Fiamma del Drago.

La strega urlò frustrata: continuò a martellare senza sosta la mia unica difesa sperando di fare breccia. Era solo questione di minuti, dovevo pensare in fretta a cosa fare.

"Stupida, stupida idiota! Daphne non avrebbe mai commesso un errore simile, per questo motivo doveva sopravvivere lei! S-stupida testarda anche lei! Lei è quella razionale un corno!"

Mi lamentai furiosamente con me stessa, mi sentivo così incapace da meritare la sconfitta.

Respirai profondamente, cercando di calmarmi. Non era il momento di farsi prendere dai rimpianti, dovevo pensare lucidamente. Di attaccare direttamente non se ne parlava, già stato fatto, era finita male; creare un diversivo richiedeva tempo, tempo che non avevo, fu scartato anche quello.

Stavo iniziando a perdere le speranze, quando mi tornò in mente il combattimento contro Daphne. Il famiglio draconico non era una cattiva idea: era potente e veloce, ma richiedeva una gran quantità di energia. Come sfruttarlo al meglio?

Icy, nel frattempo, non muoveva un muscolo: si gustava la situazione da lontano, come se fosse di troppo in quello scontro. Vedendo quella scena, all'improvviso ebbi l'idea.

"Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima. Dividi et impera. Separa le streghe e avrai la vittoria in pugno".

La barriera di Tecna era al limite, dovevo ingegnarmi e darmi una svegliata. Mi accovacciai, pronta a scattare via: mentre i tentacoli sferravano gli ultimi colpi, io accumulai il Morphix di Aisha intorno a me, pronto ad essere modellato.

Mi mossi nel momento esatto in cui la breccia fu creata: scappai via con velocità inaudita, volando a bassissima quota per ottenere l'accelerazione necessaria per poi salire vertiginosamente all'altezza delle nemiche.

Era questione di secondi: o era esecuzione perfetta o era sconfitta, non avevo vie di mezzo. Iniziai furiosamente a creare il famiglio draconico, doveva raggiungere la massima potenza o non avrebbe funzionato.

Come previsto, Darcy si stava riprendendo dal faticoso assalto alla mia barriera, le uniche che potevano attaccare erano Stormy e Icy. Il Morphix che avevo creato era sufficiente per costruire dieci scudi che iniziarono ad orbitare intorno a me. Non avrebbero mai retto più di un colpo, dovevo sfruttare quel tempo per generare il mio drago.

La strega delle tempeste lanciò delle saette imponenti distruggendone tre, uno dopo l'altro; ogni onda d'urto destabilizzava la mia concentrazione, rallentando il processo di creazione. Per sopperire almeno in parte, mi misi in posizione fetale per attutire meglio i colpi, permettendo anche al mio fuoco di agglomerarsi più velocemente.

Dovevo fare due cose difficilissime allo stesso tempo, ad oggi non so nemmeno io come ci riuscii. Icy che, fino a quel momento, se ne stava in disparte a guardare, capì cosa avevo in mente di fare e iniziò ad agitarsi con le sorelle.

«Stormy, Darcy, quella bastarda sta per evocare un drago! Dobbiamo distruggere quegli scudi immediatamente!»

Senza aspettare repliche, la strega dei ghiacci cominciò a bombardare le difese insieme alle compagne, sbriciolandole completamente.

"Oh cazzo... il drago non è ancora finito..."

Il piccolo famiglio azzurro rimase aggrappato alla mia mano, guardandomi con occhi bianchissimi: non era completo, dovevo guadagnare tempo. Scesi in picchiata verso il terreno, ma Icy non mi lasciava respiro: nel momento in cui toccai il suolo, la strega formò una lancia enorme di ghiaccio, aspettando il momento giusto per scagliarmela addosso.

Mi accorsi del colpo in arrivo e, prontamente, misi le mani a terra generando una colonna di fiamme blu che intercettò il proiettile ghiacciato, facendolo squagliare all'istante. Se mi avessero costretta a usare tutta quell'energia, non me ne sarebbe rimasta abbastanza per completare il famiglio.

"Devo proteggermi con incantesimi che non consumano Fiamma del Drago".

Non avevo molta scelta: il piccolo drago ruggì mentre mi sotterravo viva insieme a lui in una bara di radici e piante. Grazie al mio potere, risultarono essere molto più resistenti di quelli di Flora. Sentivo le streghe urlare, i colpi scuotere la terra, ma quelli non cedettero: ebbi il tempo di potenziare il famiglio al massimo della sua portata. Gli baciai delicatamente il muso rovente, non mi arrecava nessun danno.

"Per Daphne".

Il mio nascondiglio esplose letteralmente in aria: io e la mia creatura ci librammo in aria fieri, col cuore pieno di orgoglio e assetati di vendetta.

Il mio piano stava procedendo bene. La fortuna mi aveva assistita ma, in quel momento, doveva darmi l'aiuto maggiore. Lanciai una bolla sonora in mezzo alle tre nemiche: onde sonore ad altissime frequenza le avrebbero spazzate via, allontanandole le une dalle altre in modo causale.

Il colpo fu fragoroso: osservai con estrema attenzione come le mie prede si sarebbero posizionate. Icy e Darcy rimasero, tutto sommato, insieme, mentre Stormy fu nettamente separata dalle sorelle.

"Ora o mai più".

Mi scagliai verso le streghe del gelo e dell'oscurità, mentre sguinzagliai il famiglio a fare le poste all'altra: ingaggiai con entrambe, lanciando palle di fuoco e fuochi fatui come una furia, mentre il drago tediava l'avversaria con il suo immenso corpo infuocato.

Icy e Darcy si difendevano maledettamente bene: la prima bloccava ogni mio colpo con lastre di ghiaccio, la seconda creando illusioni di sé stessa, celando il suo vero corpo. Dovevo tenere duro quanto più possibile e aspettare il momento giusto, l'errore fatale.

Quello che non sapevano le streghe, era che tra me ed il famiglio c'era un legame mentale oltre che magico: stavo tenendo occupate le mie nemiche ma, allo stesso tempo, stavo monitorando anche la terza strega.

Dopo minuti interminabili, finalmente cadde nella mia trappola: il drago spazzò l'aria con la coda, destabilizzando Stormy quel tanto che bastava per morderle il braccio destro con gran forza. Le sue urla furono terribili. Il fuoco stava ustionando la sua carne nel profondo, potevo sentirne la puzza.

"Ora!"

Effettuai una vera e propria trasfigurazione corporea. Era un incantesimo che avevo letto nel tomo: praticamente, io e il famiglio ci scambiammo di posto, lui divenne me e io divenni lui. Le fauci che stavano bloccando il braccio della strega divennero invece la mia mano sinistra, comparvi davanti la sua faccia come un demone. Tutte trattennero il respiro come a voler fermare il tempo.

Caricai una sfera infuocata nella mano destra e gliela schiantai sul petto, con tutto l'odio che mi portavo dentro come un veleno. Ironico, la uccisi come uccisi mia sorella.

Stormy non emise un suono: il suo respiro era un rantolio, il cuore aperto in due come un frutto maturo. Il buco nero che si era creato si riempì velocemente di sangue: la puzza di bruciato e di ferro ematico mi riempivano il naso, causandomi conati di vomito ed euforia insieme.

Quello fu il mio primo e vero omicidio... Daphne, di certo, non la conto come tale. Il cadavere della strega delle tempeste cadde a terra mentre io rimasi lì, in aria, a contemplare il mio operato, incurante del dolore atroce che avevo inflitto alle sorelle.

«Fa male, eh?» chiesi loro, riprendendo fiato, «questo è ciò che meritate».

Ordinai al famiglio di tornare da me: eravamo due contro due.

Darcy si scagliò contro di me, urlante: incrociò le braccia e accumulò intorno al suo corpo una materia oscura densissima, la quale prese forma e si divise in numerosi spettri grotteschi.

Mi davano la caccia in modo spietato. Cercai di schivare verso sinistra uno dei tanti, ma Icy bloccò il mio spostamento con una lastra di ghiaccio contro la quale sbattei la testa, mandandomi tra le braccia degli oscuri esseri: il fuoco di cui ero ricoperta non poteva bruciare la materia nera di cui erano composti, così rimasi stretta tra le loro spire senza possibilità di replica.

Vedendo che la situazione si stava mettendo male, ordinai al famiglio di ostacolare Icy con tutte le risorse che aveva, così da lasciarmi il tempo per occuparmi della sorella.

Darcy mi si avvicinò in lacrime, maledicendo il mio nome con tutta l'intenzione di uccidermi e vendicare Stormy, ma io risi, oh sì, risi forte. Accadde tutto nel giro di pochissimi secondi: usai il potere di Stella ed emanai una luce violentissima dal mio corpo, accecando entrambe le streghe che urlavano di rabbia.

Sfruttai la corruzione della mia Fiamma e penetrai come un sistema circolatorio negli spettri neri. Anche il mio era potere oscuro, seppur in parte. Una volta infestata tutta la materia che mi teneva bloccata, feci letteralmente liquefare dall'interno gli esseri neri, mi liberai dalla loro morsa e mi avvinghiai alle spalle di Darcy, stringendole la gola con il braccio destro e tenendola ferma con l'altro.

Le fiamme del mio corpo iniziarono ad ardere viva la strega, la quale urlava in un modo osceno e terrificante, cercando di divincolarsi con quanta più forza poteva.

Icy, terrorizzata, cercava in ogni modo di liberarsi del famiglio che stava egregiamente facendo il suo lavoro. Il suo elemento magico era nettamente svantaggiato contro l'impetuoso fuoco blu del drago, ogni attacco veniva detronizzato senza sforzo.

Sorrisi maligna. Inebriata da tutto quell'orrore, lasciai che, per qualche secondo, la corruzione prendesse possesso delle mie emozioni, un po' per non rendermi conto dell'atrocità che stavo facendo, un po' per sfinitezza.

«Sbrigati, Icy, o la tua sorellina muore!»

Non avevo mai visto la strega dei ghiacci così presa dal panico e inerme in vita mia. Non servirono a niente tutti i tentativi fatti: Darcy era a due passi da lei, ma non poteva raggiungerla. Poteva solo vederla morire.

La mia prigioniera era diventata una grottesca figura dalle fattezze non proprio umane: il volto era liquefatto quasi fino all'osso, sangue e carne erano un tutt'uno indecifrabile, disgustoso. Senza pietà né empatia, semplicemente mi stancai di sentirla urlare: davanti agli occhi furiosi e addolorati di Icy, aumentai finalmente l'intensità delle mie fiamme e Darcy spirò tra le mie braccia.

La lasciai cadere vicino al cadavere di Stormy. Fissai la strega dei ghiacci per quella che sembrò un'eternità, senza rimorso. Ero diventata un demonio senza amore.

«Questo è quel che ho sofferto per causa vostra. Questo è quel che vi meritate» dissi di nuovo quelle parole, ridendo di gusto, beandomi di quell'onnipotenza che sentivo scorrere nelle vene.

Come già accadde in passato, lo scontro finale vedeva noi, storiche rivali, fronteggiarsi all'ultimo sangue. Nonostante tutto io pretendevo uno scontro equo, così decisi di congedare il mio famiglio.

Icy urlò, disperata. Dal terreno spuntarono stalagmiti giganti che promettevano di infilzarmi se non mi fossi mossa velocemente: volai leggera come l'aria lasciando scie azzurre dietro di me, sfuggendo ai ghiacci che mi inseguivano.

Evitai l'ultima stalattite roteando su me stessa e sfiorando la punta aguzza di pochi millimetri, completando la piroetta con un bolide di pura energia che scagliai dritto verso la strega. Velocissima, bloccò con un muro di ghiaccio la mia sfera infuocata che si disintegrò all'impatto.

Vedendomi illesa, Icy diede fondo a tutta le sue risorse ed evocò una vera e propria tormenta glaciale, talmente potente che avrebbe inghiottito l'intero pianeta. Le mie fiamme si spegnevano e si riaccendevano in continuazione, i miei movimenti erano rallentati e, talvolta, bloccati.

Dovevo assolutamente fermarla, o avrebbe avuto la meglio: evocai un drago azzurro, molto piccolo, ma estremamente caldo, molto più del famiglio di prima, il quale mi avvolse tra le sue spire subendo i danni del gelo al posto mio.

Mi mossi velocemente. Icy non poteva muoversi dall'epicentro della tempesta e questo fu la sua rovina: diedi fondo a tutta l'energia che mi rimaneva e la usai per lanciarmi contro di lei a tutta velocità, la atterrai con il mio peso le bloccai i polsi, mentre la mia creatura teneva ferme le sue caviglie. Dissi solo poche parole mentre lei malediceva me e tutta la mia stirpe. Era spacciata.

«Questo succede quando osi sfidare il Drago di Domino. Addio».

Usai un incantesimo che sviluppai nel periodo in cui avevo acquisito il Believix, la Supernova. Lasciai che l'intero flusso magico della Fiamma del Drago si concentrasse in un punto del mio corpo: una luce azzurra iniziò a caricarsi e iniziò ad espandersi, sempre di più, come per l'appunto una stella che sta per morire.

Raggiunto il culmine, la luce tornò immediatamente verso di me, per poi esplodere in una sfera gigantesca di energia e fuoco, una deflagrazione violentissima e di una potenza indescrivibile, tanto che un vortice di fuoco continuò a fendere ogni cosa per parecchi chilometri e per parecchi minuti.

Quando tutto fu finito e le mie fiamme finalmente si estinsero, mi alzai a fatica ritta in piedi e mi guardai intorno: ghiaccio e arida devastazione convivevano insieme sul campo di battaglia, ma la Fiamma del Drago di Daphne sembrava illesa.

Delle streghe, non rimaneva che polvere. Ero sola in un campo desolato di morte, la morte che io avevo portato. La tormenta di ghiaccio, entrata a contatto con la Supernova, generò una pioggia gelida, quasi dolorosa sulla pelle.

Alzai gli occhi alla volta celeste e allargai le braccia, per prenderne il più possibile: quell'acqua piena di odio e rancore sembrò lavare via il mio peccato, come se il cielo mi baciasse la fronte nonostante il mostro che ero diventata. Era bellissimo.

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Capitolo 10
*** Vittoria Amara ***


CAPITOLO 10: VITTORIA AMARA

 

 

 

Rimasi a fissare la Fiamma di mia sorella per parecchio tempo, indecisa su cosa fare. Non immaginavo sarebbe finita in quel modo: nemmeno nel più orrido degli incubi avrei mai pensato che le Trix potessero compiere una bestialità del genere.

Stavo seriamente rischiando di mandare tutto a quel paese, non avevo nessuna idea. Avevo, infatti, pianificato tutto quello che dovevo fare ipotizzando che la Fiamma di mia sorella fosse pura, invece, quella, era corrotta per metà.

Per eseguire il rituale doveva essere assolutamente perfetta, anche perché al suo interno c'era... beh, c'era Daphne. O meglio, la sua anima.

Lo lessi nel tomo quando lo trovai in biblioteca. Queste informazioni erano accompagnate da una leggenda molto antica e piuttosto sconosciuta su Domino. Come ben sapete, la Fiamma del Drago è stata utilizzata per creare l'Universo, quindi si può affermare che essa è la struttura essenziale su cui si basa l'Universo. È quel flusso vitale invisibile che pervade ogni cosa.

Normalmente, al momento della morte, le anime degli esseri viventi tornano in questo flusso, in attesa di rinascere in nuove forme stabilite dalla Fiamma stessa.

Ciò non accade con gli eredi del Drago, o meglio, non accade se questi non muoiono di morte naturale: essendo questi soggetti parte integrante della struttura dell'Universo poiché, appunto, custodiscono una Fiamma del Drago, se non consumano tutta la loro energia vitale arrivando a una serena morte, il loro potere non può essere trasmesso a un nuovo discendente. Di conseguenza, l'anima del Custode non può tornare nel flusso che vi ho descritto.

In parole più semplici: a causa del legame viscerale che lega l'anima di un erede alla sua Fiamma del Drago, se il loro legame non può venire spezzato al momento della morte, l'essere magico che la possiede non può morire e, anzi, la sua anima viene inglobata nella Fiamma e lì rimarrà fino a che un altro Custode non faccia qualcosa. Quel qualcosa è, appunto, il rituale.

Secoli e secoli fa, due gemelli eredi al trono di Domino litigarono furiosamente per decidere chi avesse il diritto di prendere la corona. Il maggiore sfidò il minore in duello e lo uccise; diventò sovrano, ma il potere e la sua carica non poterono colmare il vuoto lasciato dalla perdita del fratello, così passò anni della sua vita a trovare un modo per rimediare al suo terribile peccato.

La leggenda narra che, una notte, il re sognò il Drago Primordiale: gli rivelò il segreto degli eredi del Drago e il rituale per far tornare in vita il fratello, ma avrebbe pagato un prezzo terribile per l'atrocità che aveva commesso. Prima di allora, i possessori della Fiamma non erano mai morti prematuramente, quindi il re non aveva idea se il Drago avesse detto la verità o meno.

Il rituale funzionò, ma il sovrano perse completamente i suoi poteri per ripagare il danno causato. Il procedimento e la storia dell'assassinio furono scritti dal sovrano in persona, per ammonire le future generazioni e per evitare che una cosa del genere accadesse ancora.

I problemi, a quel punto, erano due. Dovevo per forza assorbire la corruzione della Fiamma di Daphne per purificarla: calcolando in modo approssimativo che metà del potere di mia sorella equivaleva ad un quarto del mio, io avrei assorbito un altro quarto di corruzione.

Ciò avrebbe portato il mio potere a essere inquinato fino al suo cinquanta per cento, gettandomi nella follia più totale e impedendomi di eseguire il rituale. E non era tutto: anche l'anima di mia sorella poteva essere stata intaccata, quell'eventualità potevo verificarla solo nel momento in cui la mia coscienza fosse entrata in contatto con la sua.

Piansi esasperata, ero esausta. Se prima pensavo che le Trix fossero il pericolo maggiore, in quel momento mi resi conto che la sorte mi aveva allegramente sputato in faccia un'altra volta. Mi misi seduta a gambe conserte davanti al fuoco di Daphne, il quale illuminava leggermente ciò che aveva attorno con una luce scura e sporca. Era una vista che mi faceva male in un modo che non saprei descrivere.

Mi misi a riflettere profondamente sul da farsi: come dice sempre Tecna, prima di prendere una decisione difficile bisogna essere sicuri di avere tutte le informazioni a disposizione, e io sapevo benissimo di non averne.

Così, presi la mia decisione. Mi alzai barcollando: il combattimento mi aveva pesantemente destabilizzata, a malapena stavo in piedi.

Raccolsi con delicatezza la Fiamma del Drago di Daphne e spiccai il volo raggiungendo Timmy, il quale scoppiò a piangere dalla felicità quando mi vide tornare sana e salva. Gli lasciai qualche minuto per riprendersi dalla gigantesca tensione nervosa a cui era stato sottoposto, spiegai lui tutto quello che era successo e cosa avevo intenzione di fare. Ascoltò in silenzio, annuì e fu d'accordo, era l'unica cosa ragionevole da fare.

Ci sistemammo nell'abitacolo ai posti di comando. Il rumore del motore che accumulava energia era musica per le mie orecchie: era il suono che sanciva la fine di quell'incubo una volta per tutte. Tirai un lungo, dolcissimo sospiro. Timmy mi guardò con un sorrisone stampato in faccia.

«È bello, vero? Quando stai per tornare a casa, sapendo che hai compiuto la tua missione. È bellissimo».

Mi alzai dalla poltrona con un sonoro scricchiolio. Le voci erano praticamente svanite ed ero troppo stanca per lamentarmi degli altri effetti collaterali, così non ci pensai due volte e abbracciai il ragazzo con tutta la spontaneità del mondo.

Dopo qualche minuto chiamammo la Griffin: con lei c'era Faragonda, piansero entrambe come bambine quando mi videro apparire sullo schermo, malconcia, ma viva. Ero felice anche io di vederle, ma non avevo tempo da perdere.

«...capisco. Purtroppo, non ho abbastanza farmaco in questo momento, Bloom. Posso iniziare a prepararlo subito, ma mi ci vorranno almeno tre giorni. Domani l'effetto che ti tiene lucida svanirà, e io ho una dose sufficiente per farti stare bene con solo un quarto di Fiamma di corrotta. Per una metà intera ci vorrà una dose doppia».

Mi morsi le labbra furiosamente.

«Mi pare di capire che ho le mani legate. Non posso aspettare il farmaco perché domani sarò già fuori gioco, mentre passare tre giorni con il doppio dei sintomi che ho ora potrebbe non farmi riprendere più».

Faragonda era il volto della tristezza più assoluta, la Griffin strinse i denti, frustata.

«Accidenti a quelle tre!» imprecò forte, «devi trovare il modo di resistere, non so davvero come. Mi dispiace così tanto».

Guardai il cielo: era di un azzurro così vivido da far male agli occhi, poi mi massaggiai le tempie.

«D'accordo... allora, ascoltatemi: mi rendo conto che... mi serve aiuto».

Mentre dicevo quelle parole, riluttante, guardai verso Timmy, il quale sorrise con approvazione.

«Venite su Domino, portate il farmaco che avete, sarà meglio di niente. Chiamate le Winx, gli Specialisti, Thoren, Sky e i miei genitori, raccontate loro ogni particolare: perderò sicuramente il controllo e ho bisogno che mi teniate a bada, tutti quanti voi. Il corpo di Daphne è stato risanato dopo la sua morte e questo è un lavoro in meno da fare. Ho bisogno che la portiate in giardino, dove c'è tanto spazio, così se darò i numeri mi potrete fermare senza fare ulteriori danni».

Le presidi annuirono, poi continuai: «Prestate molta attenzione, questo è importante. C'è un'ala del castello sigillata, possono entrarci solo pochissime persone. Lì teniamo le reliquie più importanti del nostro regno, molte sono armi estremamente potenti. C'è l'elsa di un pugnale: è dorata e ornata di pietre preziose. La potete riconoscere subito perché è senza lama. Questo oggetto è stato avvolto dal mistero per anni, ora ne ho bisogno per il rituale. Fate questo per me».

Chiusi la conversazione e guardai Timmy con occhi glaciali, di chi doveva compiere l'ultimo salto nel vuoto.

«Partiamo. È ora di mettere la parola fine a tutto questo».

 

 

Ci dirigemmo immediatamente verso Domino, erano circa due ore di viaggio. Tenevo quella piccola fiamma tra le mie mani con fare dolce, come se potesse rompersi da un momento all'altro. Gli sussurravo parole di conforto nella speranza che Daphne potesse sentirmi: gli promisi che quell'alone nero che permeava il fuoco lo avrei tolto ad ogni costo.

Il tempo passò davvero in fretta. È proprio vero che, quando si torna casa, quasi non si percepisce. Ci aspettavano tutti in giardino, proprio come avevo detto di fare. Quando scesi dalla nave e li incontrai erano sì felici, ma... terribilmente scossi, spaventati, soprattutto dai miei occhi scarlatti.

Non volò una mosca: rimanemmo tutti in un silenzio tombale, non riuscivo a far uscire la voce dalla mia gola.

«Perdonatemi» fu la sola cosa che riuscii a dire. Invocare il perdono, avere misericordia del demone.

«Ok gente, abbiamo una missione importante! Andiamo tutti da Daphne, forza!» urlarono entrambe le presidi con voce molto alta, destando i presenti da quella specie di sogno ad occhi aperti.

Ci guidarono verso il nostro obiettivo come maestre d’asilo. Faragonda si avvicinò a me e mi sussurrò parole rassicuranti.

«Ho parlato con loro. Nessuno ti toccherà né dirà niente su tutta questa storia fino a che non si sarà conclusa. Sappi, però, che sono arrabbiati. Soprattutto Sky. Quando starai meglio e nelle condizioni di sostenere una discussione, parlerai con tutti».

Annuii piano e la ringraziai profondamente. Era giusto affrontare le conseguenze delle mie azioni: malgrado le terribili sensazioni che mi permeavano, decisi con estrema fermezza d'animo che lo avrei fatto.

Arrivammo davanti al corpo di Daphne: vederla di nuovo dopo tutto il tormento patito mi tolse il fiato. Sky non mi tolse mai gli occhi di dosso, ma senza dire niente, proprio come aveva detto Faragonda. Il suo volto era un misto di rabbia, disperazione e amore, scavato da notti insonni e pianti frustrati.

Gli altri, dovetti ammettere con dolore, non erano diversi: stavano tutti soffrendo per causa mia.

«A-allora... prima di purificare la Fiamma, ho bisogno che tutti voi siate pronti a dover affrontare il pericolo. Penso sappiate a cosa mi riferisco».

Annuirono guardandomi con sospetto, come se io potessi attaccarli da un momento all’altro. Ah, come biasimarli…

Si sistemarono in cerchio, intorno a me e a Daphne, pronti a reagire nella peggiore delle ipotesi. Fatto questo, venne la parte tragica: dovevo togliere il nero.

«Ok, ora ascoltatemi molto bene. Nel momento in cui avrò assorbito la corruzione, la Griffin mi inietterà subito il farmaco, ma non basterà: potrei aggredirvi e farvi del male. So che siete tutti arrabbiati con me. Magari ora vi faccio perfino ribrezzo. Però, ecco, ricordatevi che ho fatto tutto questo per Daphne: fatelo non per me, ma per lei. Dovete fermarmi, dovete ricordarmi perché lo sto facendo».

Si guardarono tra loro come se dovessero prepararsi ad una esecuzione. Non avevo mai visto i miei cari così in preda degli eventi.

Senza perdere altro tempo, agganciai la Fiamma di Daphne con la mia e tirai, un po’ come accadde con le gemme delle ragazze, fino a quando tutta la corruzione non fu svanita. Il fuoco divenne luminosissimo e vitale, la Griffin mi iniettò subito il farmaco e attesi, sotto lo sguardo vigile dei miei guardiani.

Puntuali come sempre, le voci si misero ad urlare. La pelle iniziò a diventare un rivestimento putrido di cui liberarmi e iniziai a perdere la ragione. Mi strinsi la testa tra le mani, mi piegai in avanti e gridai dolorante, scagliando fiamme azzurre qua e là senza nessun obbiettivo in particolare.

Rimasero tutti impietriti, agghiacciati da ciò che stavano vedendo.

«Le voci! Urlano… urlano fortissimo… fatele smettere! Urlate più forte

Nonostante tutto mi si avvicinarono, incuranti del pericolo mortale che rappresentavo, e mi parlarono col cuore in mano.

«Non sei un mostro, Bloom! Sei una fata di Alphea!» disse Aisha sconvolta.

«Bloom! Guardami! Sono Stella! Sono la tua migliore amica e tu sei la mia! Questo non cambierà mai!»

«Siamo arrabbiate, è vero, ma lo siamo perché volevamo avere la possibilità di aiutarti!» gridò Musa cercando di non singhiozzare.

«Amore mio... non mi importa cosa sei, io ti amerò sempre e comunque!»

I discorsi di incoraggiamento carichi d’amore si mescolarono tra loro: mi parlavano dei loro sentimenti, del loro affetto per me ma, cosa più importante, urlavano ben più forte delle voci nella mia testa.

Mi rannicchiai esausta su me stessa ansimando col cuore in gola ma, sarà stato il farmaco, saranno state le parole delle persone che amo, finalmente riuscii a calmarmi e a tenermi lucida quel tanto che bastava per compiere il mio fato.

La sensazione di sporco stavolta prevaleva, ma mi costrinsi a non toccarmi. Mi alzai tremante aiutata da Sky: era ora di porre fine a tutto, mancava solo l'ultimo tassello.

«Sto... sto bene... circa. Ora... portatemi da lei».

Presi delicatamente la Fiamma del Drago e la feci sprofondare nel corpo di mia sorella, riportandola al suo posto originario. Mi misi in ginocchio davanti a Daphne e chiesi la reliquia; mio padre mi portò una piccola teca di vetro, ove all'interno era adagiato l'oggetto su di un panno scarlatto.

La aprii con mani tremanti e afferrai il contenuto: dapprima una semplice elsa, appena entrò in contatto col mio corpo una lama spirituale venne generata, traslucida e senza massa. Prima che potessi fare qualsiasi cosa, Oritel mi bloccò la mano, facendo cadere il pugnale a terra. Era spaventato a morte.

«Io... non posso lasciartelo fare! Non prima di sapere cosa devi fare!»

In effetti, nessuno sapeva quella leggenda. Rassicurando prima mio padre, raccontai a tutti la storia dei due gemelli e spiegai a cosa serve la lama.

«Si attiva solo nelle mani di... un assassino di consanguinei. La lama magica non mi farà del male fisico, ma proietterà la mia Fiamma del Drago fuori dal mio corpo. Una volta fatto, la pugnalerò e ripagherò il sangue versato con il mio potere».

Trattennero tutti il respiro, Sky non riuscì a contenersi.

«Stai dicendo che sacrificherai i tuoi poteri per riportare indietro Daphne?»

Piantai gli occhi al terreno, ancora mi vergognavo di guardarlo in faccia.

«Teoricamente... sì. Dovrebbe succedere questo, in circostanze normali. La portata dei miei poteri è di molte volte superiore a quella di mia sorella. Se devo pagare un debito, sarà completamente estinto senza perdere del tutto la mia Fiamma del Drago... almeno, è quello che spero».

Il re e la regina si inginocchiarono accanto a me, accarezzandomi la schiena delicatamente.

«Mamma, papà... permettetemi di farlo. Vi prego».

Le mie parole erano sussurri impercettibili, ma loro acconsentirono. Ripresi il pugnale: puntai la lama verso il mio ventre, respirando forte.

"Ci siamo, ci siamo proprio".

Se avessi indugiato oltre, la paura mi avrebbe incatenata al suo giogo, così feci un grosso respiro e mi trafissi: non sentii dolore, ma solo un leggero bruciore nel punto colpito. Estrassi la lama e, con lei, la mia terribile, disgustosa Fiamma del Drago.

Era un... grumo di fiamme azzurre e corruzione oscura, sembrava ricoperta di petrolio. Mi feriva la vista, la odiavo profondamente. Usai quel rancore a mio vantaggio: senza pensarci due volte, senza nemmeno guardare la reazione dei presenti, strinsi l'elsa nel mio pugno e calai il fendente con tutta la rabbia che avevo, pugnalando quel cuore che avevo inquinato.

Quello sì che fece davvero male. Provai un dolore terribile, come se la lama avesse trafitto le mie carni. Dalla ferita non uscì altro che vomito nero, fin quando tutto divenne bianco alla mia vista e caddi in trance.

Mi risvegliai in una landa desolata, apparentemente infinita, coperta di fuoco. Mi guardai intorno e vidi un piccolo Drago Primordiale che teneva al sicuro tra le sue spire mia sorella, addormentata. Mi avvicinai barcollante e l’essere mi fermò imponente.

«Chi sei tu che viene a reclamare l’anima di questa Custode?» disse con profondissima e minacciosa.

«I-io sono Bloom, sono la sorella minore di Daphne, figlia dei sovrani di Domino Oritel e Marion. Sono anche io un'erede del Drago!»

Cercai di mantenermi calma, anche se la situazione era del tutto anomala a tutto ciò che avevo appreso nel corso della mia vita.

«Sento in te il mio potere, ma sento anche oscurità. Non ho la certezza che tu non voglia farle del male».

Feci per ribattere ma, all'improvviso, Daphne si svegliò e mi guardò con occhi terrorizzati e sofferenti.

«Bloom... che ci fai qui? Io... Bloom... fai smettere le voci, ti prego!»

Era stata corrotta anche la sua anima, come avevo temuto. La fitta al ventre aumentò d'intensità: iniziai a sanguinare corruzione anche in quella proiezione mentale.

«Daphne, sono venuta qui per salvarti! Convinci il drago a lasciarti andare, il tuo corpo è qui che ti aspetta... puoi tornare in vita!»

Ma mia sorella scosse la testa, nauseata.

«N-no... le voci... dicono che mi ucciderai... dicono che sei un abominio... tu... sento l'oscurità in te...»

Caddi in ginocchio davanti alla gabbia infuocata in cui era rinchiusa. Iniziai a piangere e a sbattere la testa contro il corpo del drago, nella vana speranza di placare le mie, di voci.

«Guardami! Guarda cosa ho fatto per te! Sono un abominio, sono una cosa che in natura non esiste, ma... guardami! L'ho fatto per te! Non potrei mai ucciderti! Guarda cosa... guarda cosa ho fatto per te!»

Cercai di sorridere ma non mi uscii bene, sembravo una pazza sanguinaria che aveva perso la testa. Probabilmente la spaventai ancora di più. Notai che mi scrutò con più intensità e smise di piangere, recuperando un attimo di lucidità.

«Sorellina mia... cosa hai fatto?»

Mi guardava con pietà e ribrezzo, o, almeno, era quello che percepivo io. Mi strinsi di nuovo la testa tra le mani e cercai di raccontarle nel più breve tempo possibile cosa era successo, cercando disperatamente di non cadere nella follia.

«Perché... perché lo hai fatto?»

«Non sei l’unica che può sacrificarsi per gli altri, chiaro? Ti amo tanto e ti ho uccisa, non potevo vivere con questa colpa! Ti prego Daphne, per amor mio, ti prego, vieni con me! Purificherò la tua anima e non sarai più corrotta... guarda cosa ho fatto per te, guarda, ti prego... salvati! Salvami!»

Mia sorella tornò a contorcersi di dolore, le voci continuavano a tormentarla e lei si batteva senza sosta per contrastarle.

Dopo molti minuti di agonia, recuperò la ragione quel tanto che bastava per farsi liberare dal drago: purificai la sua anima piuttosto facilmente, non aveva attecchito in profondità. La abbracciai, la abbracciai così forte da sentire le sue costole sul mio corpo, la baciai ovunque, ero incontenibile.

Lei sorrise amara, ma mi lasciò fare. Appena mi staccai, dalla ferita sgorgante corruzione apparve il pugnale: impugnai l'elsa con due mani e la tirai fuori, riportando le nostre anime ai loro legittimi proprietari. Daphne riprese a respirare, il suo colorito tornò roseo, ma ci vollero parecchi giorni prima che si risvegliasse del tutto.

 

 

Questa è la fine della mia storia. Cosa successe dopo? La Griffin mi portò il farmaco dopo tre giorni: da quel momento in poi, avrei dovuto assumerlo per sempre se volevo stare relativamente 'bene'.

Parlai con ognuno di loro in privato: mi fecero una ramanzina infinita ma, alla fine, tutti compresero le mie decisioni e, cosa più importante, accettarono me. Sarebbe più corretto dire che si sforzarono di farlo, ma non lo ammetteranno mai.

Sky raccontò che mi aveva cercato in lungo e in largo, disperato, dopo che i miei gli avevano confidato eccitati che sarei tornata ad Alfea e lui non mi trovò. Ora mi è sempre accanto ed è molto, molto paziente, fin troppo. Ogni tanto ho le mie crisi e la paura del contatto fisico ancora mi tormenta, ma per amor suo cerco di combatterlo con tutta me stessa.

Daphne si sentì in colpa per moltissimo tempo dopo il suo risveglio ma, allo stesso tempo, fu davvero felice di essere tornata a vivere. Io cerco di essere una buona sorella, nonostante tutto. Ci amiamo tantissimo e ci siamo sacrificate l'una per l'altra, questo è ciò che conta davvero.

La Griffin e Faragonda mi dipinsero come un'eroina all'opinione pubblica, poiché avevo scongiurato l'apocalisse vera e propria; ci furono festeggiamenti di ogni sorta e fui proclamata Guardiana degli Orphan.

Come avevo previsto, non persi i miei poteri: si erano notevolmente indeboliti, ma rimanevano comunque di una portata gigantesca, superiore a quella dei normali esseri viventi. Oltre ad insegnare, ora mi occupo di rintracciare e recuperare gli Orphan sparsi per l'Universo, portandoli dalla Griffin per farsi curare. Nei casi più disperati e gravi, purtroppo, sono anche colei che li sopprime.

I presidi di tutte le scuole di magia mi diedero l'autorizzazione a cacciare ed eliminare ogni essere magico malvagio troppo potente per essere abbattuto dai normali organi di sicurezza e protezione, per evitare ad ogni costo che un pericolo simile non sia più corso da nessuno.

Per quanto riguarda me... beh, ho scoperto che non potrò più usare la polvere di fata né acquisire nuovi poteri, è abbastanza scontato.

Emotivamente e psicologicamente sono duramente provata, credo che non mi riprenderò mai del tutto. Però... devo ammettere che ora sto meglio dopo aver scritto tutto... tutto questo. Non so se alle mie allieve serva davvero il diario, ma vi dico una cosa: questo è ciò che è riuscita a fare una che non ha mollato.

Non arrendetevi mai, la determinazione che ho io l'avete anche voi. Coltivate la vostra forza e potrete realizzare tutti i vostri sogni. Ora... basta così.

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