Nobodies University - Seconda Serie di DARKOS (/viewuser.php?uid=824911)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo Capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono Capitolo ***
Capitolo 10: *** Decimo Capitolo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo Capitolo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo Capitolo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo Capitolo ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo Capitolo ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo Capitolo ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo Capitolo ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo Capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo Capitolo ***
Capitolo 19: *** Diciannovesimo Capitolo ***
Capitolo 20: *** Ventesimo Capitolo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Finale ***
Capitolo 1 *** Primo Capitolo ***
Esiste una regola non scritta nel mondo dello spettacolo: se uno show, o un film, ha riscosso successo, il sequel è dietro l'angolo. Di conseguenza, che la mia serie più seguita, Nobodies University, ricevesse una "seconda stagione" non coglie totalmente alla sprovvista. Ovviamente non è dovuto solo a quello: per quanto possa sembrare strano che me lo dica da solo, la prima serie di NU mi è piaciuta così tanto da avermi conquistato come nessun'altra, e quindi meditavo di proseguire. Ciò che mi auguro di non fare è realizzare la seconda parte di questa regola, e cioè che il sequel è, nella maggior parte dei casi, di qualità parecchio inferiore rispetto all'originale.
Mi sa che ho parlato anche troppo... detto questo, a chi ha già letto la NU auguro una piacevole riscoperta dei nostri vecchi amici, e ai nuovi arrivati porgo un caloroso benvenuto e invito di andarsi a recuperare la prima parte di questa storia, giusto per avere le idee chiare.
Buona lettura!
NOBODIES UNIVERSITY- SECONDA SERIE
Era una pigra mattinata di inizio Ottobre, di quando l’ombra
dell’estate e delle vacanze aleggia ancora per le strade e
l’autunno si avvicina alla città con la stessa
lentezza e svogliatezza degli studenti alle aule. Chi ha passato i mesi
precedenti con gli amici a divertirsi, chi a studiare febbrilmente per
un qualche esame, e chi ha fatto tutte e due le cose.
“E quindi, abbiamo ottenuto il Cristallo Tranquillo e la
Pietra Mithril… e mescolandoli a loro volta otteniamo cosa?
…sì?”
“Un Cristallo Mithril, professore.”
“Esattamente! Bravo, Roxas.”
Roxas era ormai al terzo anno della Twilight Town University,
l’accademia di prestigio della regione. Ormai un
“veterano”, era anche la celebrità del
campus: la storia di come avesse trionfato sul Consiglio Studentesco e
sull’utopia di Xemnas neanche due anni addietro era ormai
leggenda e tramandata a tutte le matricole. E come ogni leggenda, anche
paurosamente gonfiata: lo stesso Roxas aveva addirittura sentito una
versione secondo la quale lui aveva affrontato da solo tutti i
tirapiedi di Xemnas in dieci diverse prove di abilità, per
poi battere il capo stesso con eleganti mosse di judo. Non
poté trattenersi dal ridere, primo perché lui non
conosceva nemmeno il judo, secondo perché di sicuro non
aveva fatto tutto da solo: era solo grazie ai suoi amici che se
l’erano cavata.
“Roxas!” Una voce familiare lo indusse a voltarsi.
Xion riusciva sempre a capitare a fagiolo.
Roxas accolse la fidanzata con un largo sorriso. “Ehi! Hai
finito le lezioni?”
“Circa un’ora fa” rise lei.
“Merlino non si sentiva bene, e quindi abbiamo finito prima.
D’altronde è in età pensionabile, anche
se non vuole andarci. Mio padre dovrà
costringerlo… ah già! Ti cercava, vuole vederti
nel suo ufficio!”
“Il Rettore vuole vedermi?”
Roxas aveva già incontrato il Rettore Ansem in molte
occasioni. Quasi quotidianamente anzi, visto che usciva con la figlia
già da un anno. Era però la prima volta in tanto
tempo che veniva convocato in modo ufficiale, per giunta durante le ore
di lezione: c’era qualcosa sotto.
Ansem lo accolse con calore e lo pregò di sedersi. Poi, come
i suoi due figli, attaccò a parlare senza fare troppi giri
di parole: “Certo ti chiederai perché ti abbia
mandato a chiamare. Nulla di grave, tranquillo.”
“Oh, bene. Iniziavo a pensare che fosse chissà
cosa.”
“Non ho detto che non fosse importante. Roxas, conosci i
Campionati?”
Certo che Roxas li conosceva. I Campionati Hikari
d’Intelligenza, conosciuti anche come Campionati o CHI, erano
una tradizione secolare, che vedeva competere gli studenti e
studentesse d’élite delle sette
università più prestigiose in varie discipline,
il tutto ad altissimo livello. Erano LA competizione per eccellenza,
frequentata dai geni di tutto il Paese e dintorni, e
l’accademia vincitrice di più gare avrebbe di
sicuro ricavato fondi e numerose richieste d’iscrizione per i
cinque anni a venire, che erano giusto l’intervallo di tempo
tra un’edizione e l’altra.
“Si terranno quest’anno, alla fine del primo
semestre. E vorrei che tu vi prendessi parte.”
Per poco il ragazzo non cadde dalla sedia. “Io? Ai
Campionati? Impossibile!”
“Tu dici? Dovresti smetterla di pensare a te stesso come una
matricola. Sei al terzo anno, e non esagero se affermo che sei anche lo
studente più brillante del campus. I tuoi risultati parlano
da soli.”
“Sì, ma… di sicuro
c’è gente più adatta.”
“Oh, gli elementi validi non mancano. E non pretendo mica tu
vada da solo, ovvio! Non sai fare tutto. Anzi, scegli tu chi portare,
mi fido di te. Ti dico solo che ovviamente puoi rifiutare se vuoi, ma
mia figlia mi ha già comunicato di voler partecipare, e non
serve essere un indovino per sapere cosa si aspetta da te.”
Già, Xion non faceva mistero dei suoi desideri. Non che
fosse crudele o dispotica: ma i due anni passati avevano conferito
più sicurezza alla timida matricola, che ora era una ragazza
piuttosto vivace. A Roxas non dispiaceva, non del tutto almeno, ed era
comunque felice per lei. Tuttavia, sapeva di dover accettare il suo
destino.
“Comprendo benissimo, signore: e accetto. Mi permetta solo
una domanda, se posso… e Xemnas?”
Ansem assunse il cipiglio severo che mostrava ogni volta che si parlava
di suo figlio.
“Anche se la sua riabilitazione procede a ritmo sostenuto,
non penso un evento simile gli farebbe bene: in più, non
essendo stato propriamente bocciato, le altre scuole potrebbero
sostenere che non è più ufficialmente uno
studente, e creare problemi.”
Continuarono a discutere dei Campionati e di eventuali preparazioni,
finché divenne ovvio che Ansem non poteva ignorare oltre i
propri doveri. Roxas fece per andarsene, ma gli era venuta in mente una
cosa.
“Signore, prima che vada…”
“Sì, Roxas?”
“Bisognerà informare il Presidente del Consiglio
di tutto ciò.”
Il Rettore sospirò. “È proprio
necessario, vero? Sii gentile, parlaci tu: confesso di non essere
portato a gestire le donne.” Non era propriamente un segreto.
Mentre Roxas usciva dallo studio, Ansem mormorò ancora:
“E tuttavia pare che le donne della mia famiglia abbiano un
debole per chi gli è succube.”
Il ragazzo chiuse la porta. ‘Chissà cosa intendeva
dire’ pensò, mentre senza dire nulla si lasciava
guidare docilmente da Xion che lo aspettava fuori dalla porta, senza
neanche chiedergli se avesse accettato o meno.
“E perché dovrei dirglielo io? La faccenda
riguarda te!”
“Perché è la tua ragazza, non la
mia!”
Luxord si accasciò sul letto e acconsentì.
“E va bene! E va bene! Le parlerò io! È
solo che tende a diventare aggressiva quando ci sono cose che non
può controllare. E io ci andrò di
mezzo.”
“Ma tu non hai colpe.”
“Parli come se non conoscessi Larxene da due anni, amico mio.
Dirà che avrei dovuto… che so, infiltrarmi nella
mente del Rettore e sapere tutto con largo anticipo, o robe del genere.
Sul serio, speravo che diventando Presidentessa si sarebbe saziata del
controllo, ma l’ho ampiamente sottovalutata.”
Larxene aveva presentato la propria candidatura all’inizio
del secondo anno, in modo improvviso e inaspettato. La strategia non le
mancava: sfruttando il fatto di essere sia Miss Campus che parte degli
ormai amatissimi Nobodies, aveva colto tutti di sorpresa e annientato
la concorrenza. Il suo primo atto da Presidentessa fu quello di abolire
Miss Campus e quindi detenere il titolo a vita; il secondo quello di
rifiutare un posto nel Consiglio a Luxord, cosa che Roxas in cuor suo
approvava.
Ma a parte alcuni episodi di egoismo come quelli, gestiva
l’incarico in maniera esemplare. Ovviamente a nessuno era
venuto in mente di candidarsi come suo rivale: ora era Regina anche di
nome, oltre che di fatto.
“Certo che questi Campionati devono essere una cosa seria, da
come me li hai descritti. Sicuro di farcela?”
“Credo… spero di sì. Il livello
è altissimo, ci sono bambini prodigio che vengono preparati
solo per quest’evento. Tu vorresti venire?”
“Io? Nemmeno morto! Non vedo l’ora di finire questo
dannatissimo terzo anno e filarmela, i due anni in più di
Magistrale potete farveli voi teste d’uovo. Per quel che mi
riguarda, ho ben altri progetti.”
“Prestidigitazione?” disse Roxas, ben conoscendo
l’amore smisurato dell’amico per la magia e i
giochi di prestigio.
“Non più, Roxas! Devi aggiornarti! Ora le magie si
svolgono non più davanti al pubblico, ma dietro le quinte!
Mi specializzerò in effetti speciali!”
“Ah, sì?”
“Sì, anche Larxene è
d’accordo, dice che è una buona fonte di reddito e
si sposa bene con la mia fantasia e inventiva. E tu? Prima ho detto che
avresti fatto la Magistrale, e lo do per scontato, ma hai qualche
piano?”
“Non lo so ancora” ammise il biondino.
“Xion farà sicuramente la Magistrale, e
anch’io… ma non ho nemmeno idea su cosa mi
specializzerò.”
“Comprendo. Beh, per ora sei scusato: direi che hai ben altro
a cui pensare!”
Roxas gli diede ragione, specie per via di una parte che aveva taciuto
a Luxord, un’informazione rivelatagli dal Rettore durante il
colloquio.
“Roxas, ascoltami bene: Noi vantiamo il maggior numero di
vittorie dei Campionati di chiunque altro, un record secolare. Ma
recentemente sono un po’ perplesso. Cinque delle altre
università che da sempre prendevano parte alla competizione
sono state rimpiazzate da nuove che non avevo mai sentito prima. In
più, le università a quanto sembra sono tutte
succursali di un’unica fazione. Stai in guardia: la cosa
è fin troppo sospetta per essere una semplice
curiosità.”
Il ragazzo pensava la stessa cosa, e ripeté il nome di
quella fantomatica fazione che possedeva a quanto pareva ben cinque
delle università migliori del Paese.
“Foretelling…”
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Capitolo 2 *** Secondo Capitolo ***
Secondo Capitolo
Roxas entrò nella biblioteca del campus, attento a non fare
troppo rumore. Concluso il regno di Xemnas, le strutture erano di nuovo
accessibili a tutti. E lì Roxas trovò
l’ospite abitudinario che stava cercando.
Lexaeus chiuse il librone, lo ripose sullo scaffale e sorrise
all’amico, facendogli cenno di seguirlo: anche da presidente
e responsabile del club di lettura il gigante era di poche parole, ma
almeno aveva un piccolo stanzino dove potevano parlare in
tranquillità, e dove Roxas gli spiegò la
situazione.
“I Campionati” disse lentamente Lexaeus.
“Si svolgono quest’anno, certo. E tu vuoi che io vi
prenda parte?”
“Lo so che non ti piace metterti in mostra, dopo tutto quello
che è successo, e se vuoi rifiutare…”
“Rifiutare? Certo che no! Sarà un vero piacere,
potersi misurare con individui di alto livello in discipline
accademiche. In più io ti sono debitore come chiunque altro.
Non ti preoccupare, ti seguirò senza indugio.”
Il biondino sospirò di sollievo. Non avrebbe potuto chiedere
compagno migliore: a dispetto delle dimensioni Lexaeus era uno studente
molto capace, già all’ultimo anno della
Magistrale, e nelle materie umanistiche si poteva tranquillamente
definire -era proprio il caso di dirlo- un vero colosso. In
più era anche la personificazione della lealtà,
tanto che Roxas pensò di renderlo partecipe
dell’inquietante disegno delle università
Foretelling.
“Lex, ascolta-“
“Eccoti qua. Lo sospettavo.”
I due si voltarono ad accogliere l’ormai familiare silhouette
che si stagliava sulla porta. Larxene indossava i soliti vestiti alla
moda, forse giusto un po’ più sobri (doveva darsi
un contegno ora) e un paio di occhiali da vista color rosso veneziano.
Furono proprio quelli a catturare l’attenzione di Roxas.
“Larxene! E, uh… tu porti gli occhiali?!”
“Mh? No, li tengo per scena. Aiutano la mia immagine di
Presidentessa e mi fanno sentire a mio agio attorno ai secchioni. Tu,
piuttosto.” Mentre parlava, si avvicinò e prese
Roxas per un orecchio. “Davvero pensavi di cavartela
mandandomi Luxord? Ti sei rincretinito col passare degli anni? Ora
esigo che tu mi dica tutto quello che sai su quest’evento,
perché io non ne sono stata informata e quando pensavi di
venire da me per parlarne! In quest’ordine!”
Una volta esaudita la richiesta e aver spifferato tutto, Roxas
pensò che anche Larxene come Lexaeus aveva il potere di
farti dire tutto quanto, ma con modalità assai differenti.
“Quindi, cinque Università sono in
realtà la stessa? Che strano. Chi mai si interesserebbe a
tal punto del sistema educativo?”
“Di pure dei Campionati: perché
è ovvio che l’obiettivo è
quello.”
Larxene e Lexaeus sembravano analizzare la situazione molto meglio di
lui. C’era da aspettarselo, erano entrambi dotati di una
forte personalità e una mente acuta.
Roxas decise di affrontare allora il problema che gli premeva di
più: “Larxene, ora che sai tutto…
bisogna partecipare in sette per ogni istituto, e noi siamo attualmente
già in tre… mi chiedevo se tu potessi
aiutarci…”
“A trovare membri? Non ti viene in mente nessun altro?
Diamine, sei al terzo anno; dovresti ampliare le tue cerchie di amici,
Roxy.”
Roxas ci aveva provato, ma la fama che lo circondava gli rendeva molto
difficile trovare gente disposta ad accettarlo per com’era
davvero.
“Va bene, agli altri quattro ci penserò io, ho
già in mente qualche nome. Tu ora sbrigati e torna a
lezione, è già pomeriggio.”
“Va bene, va bene, perché tanta fretta?”
Larxene si aggiustò gli occhiali e si mise in una posa che doveva aver
provato molte volte.
“Non permetterò a degli studenti di saltare le
lezioni durante il mio mandato!”
Quella sera, il pub Wayfinder era quasi pieno, ma fortunatamente Roxas
aveva prenotato in anticipo. Lui e Xion furono condotti al loro tavolo,
e attesero l’arrivo degli altri.
Come Roxas immaginava, il primo ad arrivare fu Zexion: si era vestito
elegantemente e in modo impeccabile, ma non troppo rigido.
“’Sera, Roxas. Xion” salutò in
modo affettato. “Direi una qualche banalità sul
fatto che ne è passato di tempo, ma è appena
finita l’estate, quindi non ne è passato poi
così tanto.”
“Ciao anche a te” rise Xion.
“Com’è il lavoro? Nessuna nostalgia del
campus?”
“Mi trovo bene all’azienda. La
produttività è aumentata del quaranta per cento
rispetto all’anno passato. Papà voleva mettermi da
subito a capo di un team, ma girano già abbastanza
chiacchiere sul mio conto per farmi anche scortare subito ai piani
alti. L’università… un po’ mi
manca l’ambiente, ma progettare software è molto
meglio che registrare voti, davvero. E anche più semplice,
credete a me.”
La conversazione si interruppe brevemente quando arrivò
anche Axel. Nemmeno lui era cambiato: veniva a quanto pare direttamente
dal lavoro a giudicare dalla camicia con le maniche arrotolate e le
penne nel taschino. Si era evidentemente dato una breve rinfrescata e
messo i primi pantaloni che aveva trovato.
“Ehi ragazzi! Aspettate da molto?”
“No, per quanto incredibile possa sembrare.”
“Spiritoso, Roxas. Ho una mezza idea di portarti al cantiere,
magari ti passa la voglia di scherzare!”
“Se gli edifici li costruisci tu, ce ne vorrà di
lavoro prima che vengano ultimati.”
“Anche tu, Zexion? Ne riparleremo quando i tuoi computer
forniranno vitto e alloggio!”
I tre continuarono a punzecchiarsi nel loro solito modo, con Xion che
rideva di cuore, e sgranocchiando patatine nell’attesa che lo
show cominciasse.
Capirono di esserci quando le luci si spensero e si illuminò
un piccolo palco davanti ai tavoli, sul quale fecero il loro ingresso
quattro ragazzi e una ragazza. Uno di loro si avvicinò al
microfono posto al centro e disse: “Ehilà, gente!
Uhh… io sono Demyx, e questa è la mia
band… siamo i Rhythm Mixer, e suoneremo brani tratti dal
nostro nuovo album! Spero vi piaccia lo spettacolo, e in caso
acquistate pure una copia del disco! Vai con la musica!”
Il piccolo concerto durò poco, ma ebbe di sicuro successo.
Dopo l’ultimo bis, la band lasciò il palco e Demyx
raggiunse direttamente gli amici al tavolo.
“Grande performance ragazzi! Lasciate pure gli strumenti
lì, ci penso poi io a sistemarli!
…ehi, gente! Piaciuta l’esibizione?”
“Non so quasi nulla di musica, quindi lascio ad altri il
compito di giudicare. Basandomi sulla reazione della gente, dovete
essere bravi.” Disse pacatamente Zexion, in quello che era un
modo tutto suo di fare complimenti.
“Sei stato grande, Dem” dissero Roxas e Axel in
coro.
“Dai, non è vero… beh, forse
sì. Ma siete tutti qui? Larxene ha messo il guinzaglio corto
a Luxord oggi?”
“Temo che la colpa sia mia” intervenne Roxas.
“Anzi, ora sarà meglio che vi racconti tutto
quanto.”
Finito il racconto, il biondino si distese sul sedile e attese le
reazioni degli altri. Tutto nella norma: Demyx fischiò
piano, Zexion rimase apparentemente impassibile e solo chi lo conosceva
sapeva che in realtà il suo cervello da premio Nobel
elaborava le informazioni ricevute a pieno regime, Axel
fissò il soffitto pensieroso.
Xion sapeva ovviamente già tutto da suo padre. Alla fine
Axel parlò: “È evidente che
c’è sotto qualcosa. Non ti invidio, Roxas.
Stavolta ti sei andato a ficcare in un bel pasticcio.” Lo
disse con un tono che lasciava intendere di non volersi assumere alcuna
responsabilità.
“Davvero, situazioni del genere sono molto
incresciose” rincarò Zexion. “Specie al
terzo anno, anno cruciale per la formazione.”
“L’hai fatta grossa, amico.” Fu tutto
ciò che disse Demyx.
Roxas ci rimase davvero male. Non tanto per la scelta delle parole
-sapeva che non volevano ferirlo- quanto per il fatto che non
sembravano intenzionati ad aiutarlo. Certo, non era loro preciso
dovere, e lui non poteva costringerli. Forse avevano pensato che non
essendo studenti non potevano aiutarlo in alcun modo… ma se
ora lui avesse tirato fuori la seconda parte della sorpresa, sarebbe
sembrato un tentativo per costringerli ad aiutarlo.
Invece a rimanere sorpreso fu lui, quando tutti e tre risero e gli
appiopparono delle manate sulla schiena (tranne Zexion).
“Ma dai, Roxas! Davvero ci avevi creduto? Certo che ti
aiuteremo, ci mancherebbe!” disse Axel.
“Dovevi vedere la tua faccia, amico! Sembrava che avessi
inghiottito un’intera confezione di gelato in un
colpo!” Demyx lo prese e gli grattò la nuca.
“Ad essere onesti, sapevamo già tutto, e abbiamo
organizzato un piccolo scherzetto” spiegò Zexion
sorridendo. “Sappiamo anche che il Rettore ti ha dato in
quanto caposquadra ben cinque pass gratuiti per amici e parenti. E
ciascuno di noi ha organizzato o organizzerà il lavoro in
modo tale da potersi prendere delle ferie anticipate… non
capita certo tutti i giorni di vedere i Campionati in tribuna
d’onore.”
Roxas, incredulo, guardò tutti i suoi amici.
“Siete dei… dei…” non sapeva
nemmeno lui come continuare. Ma alla fine scelse di riderci su: erano
pur sempre i membri fondatori dei Nobodies, e fare scherzi era il loro
mestiere. “Avrei dovuto immaginarlo”
sogghignò infine.
I festeggiamenti si protrassero fino a notte fonda. Alla fine tutti
lasciarono il pub, e Roxas si ritrovò a trascinare la sua
ragazza, più che ad accompagnarla.
“Xion, non avrai bevuto troppo?”
“Ah, piantala, sei come mio padre! Va bene se ogni tanto mi
lascio andare!” Parlava così, ma gran parte era
solo scena. Come molte altre ragazze nelle relazioni, Xion giocava un
po’ con lui, stuzzicandolo. Ma ad un tratto lo
fissò negli occhi. “Roxas, non ce l’hai
con me vero?”
“Eh? Per cosa?”
“Perché ho informato gli altri senza dirtelo.
Pensavo ti avrebbe fatto piacere, non sapevo che avrebbero fatto uno
scherzo simile…”
“Tranquilla. Sono stato scemo io a non capirlo subito. E poi
è stato divertente. Con te non ci si annoia mai.”
“Heheh. Daremo il massimo ai Campionati, vero?”
La domanda lo colse alla sprovvista, ma si capiva che Xion cercava da
parecchio il momento adatto. Poteva non sembrare, ma era sempre molto
attenta che non gli venisse imposto nulla: sapeva quanto per Roxas
fosse importante il concetto di libertà, per la quale si
era battuto e messo in gioco.
“Naturalmente. Sarà dura, ma non siamo soli. E sai
bene quanto me che con un gruppo simile a sostenerci, non possiamo
perdere.”
Avrebbe voluto aggiungere altro ma Xion si era addormentata, sebbene il
suo sorriso beato faceva capire che almeno aveva colto
l’essenziale.
Roxas fu grato al destino per avergli concesso una fidanzata premurosa
ma che al tempo stesso lo spronava ad andare avanti, e portò
il dolce fagotto fino a casa.
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Capitolo 3 *** Terzo Capitolo ***
Terzo Capitolo
I giorni seguenti passarono fin troppo velocemente. Gli studenti che
avrebbero partecipato ai Campionati erano esentati da lezioni e esami:
la loro presenza all’evento (salvo risultati davvero
disastrosi) era un sostituto più che valido. Questo non
significava che potessero fare ciò che volevano, le loro ore
libere erano quasi interamente dedicate allo studio e al riposo. Roxas
era così preso dal ripassare febbrilmente ogni disciplina,
che non aveva nemmeno conosciuto gli altri compagni di squadra. Usciva
giusto una volta ogni tanto con Xion e ancor più raramente
con Luxord.
E alla fine giunse il mese di Marzo. La competizione sarebbe iniziata
il venti, ma le squadre dovevano presentarsi almeno sette giorni prima.
Fu così che il tredici del mese Roxas, Luxord e Xion si
trovarono al porto in attesa che la nave Kingdom li portasse a
destinazione.
Poco dopo arrivarono Larxene, Lexaeus e altri tre ragazzi che Roxas
non conosceva: uno era abbastanza alto e muscoloso, con dei capelli
grigi e uno sguardo serio e profondo; gli altri due erano un maschio e
una femmina, più o meno della corporatura di Roxas, giusto
un po’ più piccoli.
“Questo è Riku” iniziò
Larxene, indicando il ragazzo slanciato. “Fa il terzo anno
come te, ma fino all’anno scorso studiava da casa. Loro
invece sono Sora e Naminé, del primo anno.”
Parlò in fretta, ma Roxas aveva già una decina di
domande: ricordava di aver sentito il nome di Riku l’anno
scorso, era una specie di teppista che non veniva mai a lezione. E gli
altri due erano del primo anno? Come pensavano di cavarsela? Avrebbe
anche aggiunto che il castano non aveva uno sguardo particolarmente
sveglio, ma lui fra tutti non era in condizioni di giudicare in base
all’aspetto.
La sua sorpresa si accentuò quando vide che Xion e Luxord li
salutavano come se li conoscessero già. Il biondino avrebbe
voluto dire tutte quelle cose e anche di più, invece si
limitò a notare l’assenza dell’ultimo
membro.
“Ce l’hai davanti!” Esclamò
Larxene infilandosi un paio di occhiali da sole. “Come se io
mi perdessi un evento simile.”
“Tu? Ma pensavo che… voglio dire, che venissi come
spettatrice…”
“Traduzione: non mi ritieni abbastanza brava. Lo
prenderò come un riferimento allo stereotipo che le belle
ragazze sono sceme, e eviterò di prenderti a calci davanti a
tutti. Ho già restituito il biglietto omaggio in
più al Rettore, e non preoccuparti delle mie
capacità: non gioverebbe alla mia carriera di Presidentessa
se facessi fallire la mia università. Sono sicura di me stessa.”
L’arrivo del resto dei Nobodies impedì di
approfondire la discussione. Loro almeno non parevano conoscere i nuovi arrivati, ma si posero subito col loro solito modo amichevole.
Poco dopo le porte della nave si aprirono e un controllore li fece
accomodare nelle loro cabine comunicandogli che ci sarebbero volute
cinque ore per raggiungere Radiant Garden, storica città adibita ad ospitare i Campionati.
Soli nella cabina, Xion si godeva accucciata il panorama di fuori,
mentre Roxas rimase sul letto ad assimilare le novità.
“Simpatici gli altri, vero?” Disse lei all’improvviso.
“Eh? Sì, certo. …beh, mi chiedevo se davvero sono all’altezza. Voglio dire, sono solo matricole.”
“Anche tu eri una matricola, eppure hai fatto ben più di quanto ti fosse richiesto.”
“Sai che non è lo stesso. E poi c’è Riku, conosco storie sul suo
conto…”
“Lo so, le ho sentite anch’io. Ha avuto dei problemi, ma ora ha messo la testa a posto. Ed è uno studente davvero brillante!”
“Dunque lo conoscevi già!”
“Beh… è del nostro stesso anno,
Roxas.” Xion lo guardò in modo tale da farlo
sentire un idiota. “Lo conosco bene, e l’anno
scorso mi sono ritrovata a fare un progetto assieme a lui, sebbene il
suo assenteismo non abbia proprio reso le cose facili.”
Roxas decise che aveva sentito abbastanza e cambiò
argomento. “Quello lo posso capire, ma conosci anche le
matricole? Perfino Luxord e Lexaeus!”
“Certo che le conosciamo, sono i nostri compagni di squadra!
Abbiamo partecipato sia dal vivo che su internet a delle discussioni
assieme per conoscerci meglio. Luxord anche, essendo il ragazzo di
Larxene. Non ti avrebbe fatto male unirti a noi, sai?”
“Beh, tu non mi hai mai detto nulla! E poi ero troppo
impegnato a studiare, sai, ci sarebbe una competizione da
affrontare!” ribatté lui sulla difensiva.
Xion lo fissò intensamente, poi si alzò. Mentre
usciva, aggiunse in tono gelido: “Anche conoscere le
qualità e i difetti dei nostri compagni aiuta nella
competizione. E ormai sei grande abbastanza da compiere da solo le tue
scelte, non devo guidarti io. Vado di fuori.”
“Amico, tu e Xion avete litigato per caso?” chiese
Axel appena sbarcati.
“Io… non credo… non lo so.”
Alla fine Roxas era rimasto tutto il viaggio nella sua cabina chiuso in un
cocciuto isolamento. Lui e Xion avevano già discusso prima,
ma ora la cosa sembrava diversa in qualche modo. Agli altri aveva solo
detto di aver avuto un malore, e lei non aveva aggiunto nulla. Il che non
era però un pregio, in quanto continuava a non parlargli.
Non era però l’unica senza parole: molti di loro
non erano mai stato a Radiant Garden, la metropoli cosmopolita del
continente. Le strade vaste e affollate, gli edifici enormi e le
fontane disseminate per tutta l’area creavano uno spettacolo
che cancellò anche il malumore di Roxas.
“Bello, vero?” Disse Lexaeus, nativo della
città.
“Impressionante.” Esclamò Xion in un soffio.
“Da perderci la testa.” Rincarò Demyx
“…” Roxas non sapeva cosa dire.
“Non è sempre così, in questi giorni
è particolarmente attiva per via dei Campionati. Di solito
è sì rumorosa, ma meno caotica.”
“Mia cara, sei già stata qui anche tu?”
“Sì, il mio vecchio… per lavoro…” il resto della frase si perse in un
borbottio incomprensibile.
“Gigantesca davvero! L’Isola non è nulla al confronto, vero Naminé?” Disse Sora rumorosamente. Roxas ricordò vagamente di aver sentito che venivano da una piccola isola situata chissà dove.
“Dove ci esibiremo noi?”
“Vedi quel castello gigante? I Campionati si svolgono
lì: da qui non si vede, ma dall’altra parte
c’è uno stadio costruito apposta. E i nostri
alloggi sono nella fortezza stessa.” Zexion era la solita
dispensa di informazioni.
Andarono direttamente lì per depositare i bagagli e
registrarsi all’evento, prima di andare a fare un giro per la
città.
Tuttavia, poco dopo aver lasciato la reception, un ragazzo si
avvicinò al gruppetto.
“Ciao! Siete della TTU?”
“TTU?”
“Così chiamano la Twilight Town University, Sora.
Sì, ma tu come lo sai? E chi sei?” Rispose Axel
per entrambi.
“Perdonatemi! Sono anch’io uno studente, del
Departure College. Mi chiamo Terra.” Il ragazzo porse la mano
come cenno di saluto.
“Departure College…
un’università di prestigio. Storica partecipante
dei Campionati.” Analizzò Xion.
“Già, l’ultima rimasta assieme a voi
vero? Ora ci sono quelli della Foretelling. Sono già
arrivati tutti, ecco perché sapevo che eravate della TTU. E
anche per un altro particolare…” si
avvicinò con fare cospiratore. “Ho detto che sono
arrivati tutti, ma in realtà ce n’è
solo uno per ogni istituto! E si sono già
registrati!”
“Uno solo? Che partecipa per tutti?” chiese Roxas.
“Impossibile! Non importa che razza di mostro sei,
è davvero troppo! Magari gli altri non si sono
presentati.”
“Vero anche questo, eppure non è
l’impressione che ne ho tratto. E poi sono strani…
girano mascherati, e con vestiti simili. Tizi davvero loschi.”
“Tu invece, che ci avvicini all’improvviso e ci
spettegoli vita morte e miracoli degli altri, non sei losco per
niente” sospirò Larxene.
“Mi sa che ho parlato troppo, vero? Anche Aqua me lo dice
sempre. So che siamo avversari, ma pensavo di iniziare col piede
giusto.”
Roxas condivideva: quel ragazzo era simpatico e gli ispirava fiducia.
Si separarono da lui e uscirono dal castello.
Il giro in città fu divertente, e a Roxas piacque molto
vedere tutta la comitiva riunita. A rovinare il tutto c’era
Sora, che faceva molto chiasso e pretendeva di stare al centro
dell’attenzione. Lui e Naminé sembravano far parte
di tutte le discussioni, ma probabilmente era anche perché
nuovi del gruppo: si cercava di farli integrare in fretta, e comunque
suscitavano curiosità. Roxas però si scoprì a pensare che non gli sarebbe dispiaciuto se i suoi amici fossero stati un po’ meno espansivi.
Riku si teneva in disparte e rispondeva a ogni frase o cenno con lieve distacco.
Durante una sosta, qualcuno gli porse un gelato: era Xion.
“Assaggia, è davvero buono! Questa
città ha negozi magnifici!”
“S-sì, immagino di sì.”
“Ce l’hai ancora per prima? Non pensiamoci
più. Io avevo difficoltà a inserirmi, e capisco
che essere l’ultima ruota non ti deve aver fatto piacere.
Scusa. Siamo a Radiant Garden, godiamoci la vacanza!”
A Roxas le scuse sarebbero piaciute di più senza quella
parte sull’ultima ruota -quelli nuovi erano loro, mica lui-
ma seguì comunque Xion, con l’umore decisamente
migliorato.
Tornarono nelle stanze a loro assegnate e si gettarono sui letti,
esausti. A Roxas erano capitati Axel, Luxord e Zexion come compagni di
stanza: non poteva certo lamentarsi. Lexaeus, Riku, Sora e Demyx
riempivano la stanza vicina, e le ragazze quella dall’altra
parte del corridoio.
“Non riposatevi troppo, Larxene mi ha già chiesto
di dirvi che le piacerebbe uscire dopo cena.”
“Cioè, ti ha ordinato di assicurarti che nessuno
di noi si appisoli e di mangiare in fretta, capito.” Rise
Axel. “Io vado a farmi una doccia intanto, ci
metterò poco.”
Luxord si era già piazzato col suo portatile e le cuffie,
assorto in chissà quale video di magia.
Roxas si aspettava che Zexion facesse altrettanto, invece questi si
sedette e gli parlò: “Roxas, che ne
pensi?”
“Di cosa?”
“Capisco il divertimento, ma il caposquadra sei pur sempre
tu. Non ti chiedo di pensare costantemente al dovere, ma tieni sempre
gli occhi aperti. Finora Larxene ha fatto la parte dello stratega, ma
è troppo brusca. Mi fido più della tua empatia
col prossimo.”
“Ah. Beh, per ora ho visto poco al riguardo, le aree della
competizione ci sono precluse. Ho notato che nessuno ci è
venuto ad accogliere o a guidare, e l’ho trovato
strano.”
“Esatto. Oggi è l’ultimo giorno per
l’arrivo delle università, che non si sia visto
nessuno è a dir poco sospetto. E sempre su questa linea, non
credo di doverti dire a chi devi prestare attenzione
maggiormente.”
“Ai Foretellers, no?” Così avevano
deciso di chiamare tra loro i cinque figuri.
“Affatto. Alla Departure.”
“Ma se sono come noi!”
“E non ti sembra strano? Una corporazione così
potente come la Foretelling, in grado di candidare cinque
università ai Campionati, non dovrebbe aver avuto problemi a
prendere anche la sesta. Che sia stata risparmiata è troppo
sospetto. Ricorda sempre: se vuoi nascondere qualcosa, mettilo in bella
vista.”
Un’altra persona avrebbe liquidato quelle affermazioni come
paranoie, ma Roxas sapeva che se Zexion ti parla, ti conviene prendere
appunti.
E quindi scendendo per la cena iniziò a pensare, trovando
nelle parole dell’amico una certa logica, e capì
che all’infuori della sua squadra non avrebbe dovuto fidarsi
di nessuno.
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Capitolo 4 *** Quarto Capitolo ***
Quarto Capitolo
Erano passati già tre giorni dal loro arrivo a Radiant
Garden e Roxas già iniziava ad essere pratico del posto,
almeno nei dintorni del castello. Alla fine aveva deciso di mettere in
pratica il suggerimento di Xion e aveva osservato i suoi nuovi compagni
di squadra per farsi un’idea più precisa di cosa
erano in grado di fare.
Naminé era una ragazza timida e silenziosa, perfino
più di Xion nei primi tempi. A quanto pare era un vero e
proprio talento artistico, come testimoniava il blocco da disegno che
non abbandonava mai. Passava ogni momento libero a fare degli schizzi e
Roxas, pur non essendo troppo ferrato in materia, dovette riconoscere
che non erano davvero niente male. D’altro canto le materie
che esulavano dal suo campo d’interessi le creavano qualche
difficoltà, quindi avrebbe potuto aiutare solo in materia
artistica. Il che era comunque già qualcosa.
Riku sembrava essere abbastanza portato per le materie accademiche.
Compensava l’istruzione persa con una capacità
deduttiva fuori dal comune, permettendogli di arrivare ai risultati la
maggior parte delle volte col solo istinto. Roxas non giudicava questo
come “essere brillante”, e nutriva più
di un dubbio sull’affidarsi a un simile azzardo.
Il vero incubo era Sora. Scarsamente dotato, in alcune materie era un
disastro e in quelle che gli interessavano appena mediocre. Nemmeno
l’ipotesi che fosse entrato solo come amico di
Naminé era plausibile, perché lei come tutti lo
conosceva solo da inizio anno. La cosa peggiore era che
l’unico a sentirsi così era Roxas: nessun altro
pareva nutrire dubbi sulla sua presenza lì, anzi tutti ci
andavano d’accordo alla perfezione. Il caposquadra non sapeva
più dove sbattere la testa. Iniziò perfino a
pensare che considerassero quell’evento come una gita,
lasciando a lui il compito di far quadrare tutto. In questi momenti il
suo umore diventava nero come le tenebre e rifiutava contatti con
chiunque.
Il quarto giorno un membro del personale li mandò a chiamare
comunicandogli che ci sarebbe stata una riunione esplicativa sul
regolamento dei Campionati per tutte le squadre.
Al loro ingresso tutti notarono subito le cinque figure sedute sulle
sedie, a rispettosa distanza l’uno dall’altro.
Indossavano una tipologia di vestito mai vista prima (almeno, Larxene
non seppe dire di che indumento si trattasse) con alcuni motivi
ricamati sopra. Le teste erano parzialmente coperte da un copricapo
raffigurante un animale: leopardo, orso, unicorno, serpente, volpe. Gli
animali e i colori erano l’unica cosa che differenziasse i
misteriosi individui.
Nessun dubbio: erano i Foretellers.
“Tipi inquietanti, eh?” disse subito Sora, forse un
po’ più forte del dovuto. Roxas rimpianse che il
consulto fosse aperto solo ai partecipanti: avrebbe voluto avere Zexion
o Axel a valutare la situazione.
A distrarli dall’ispezione degli avversari fu
l’ingresso nella sala degli ultimi sette partecipanti. Roxas
squadrò il team del Departure College.
Terra, il giovane incontrato il primo giorno, era in fondo assieme a
una ragazza matura dai capelli cerulei. Gli altri sembravano tutti
più giovani, almeno di corporatura: un ragazzo dai capelli
neri e lo sguardo annoiato, una ragazza dai capelli rossi
incredibilmente simile a Naminé e un’altra figura
completamente incappucciata e avvolta in un soprabito nero, della quale
Roxas non fu in grado di determinare nemmeno il sesso.
Eppure, perfino quest’ennesima stranezza non bastò
a distogliere l’attenzione dei ragazzi della TTU dalla vera
sorpresa: Roxas pensava di conoscere solo Terra tra i suoi avversari, e
invece si dovette ricredere osservando l’ultimo componente
del team rivale. Vexen rispose con un sorriso malvagio alle loro
espressioni incredule. Il biondino notò che anche
Naminé si era irrigidita, fatto assai curioso in quanto lei
non avrebbe dovuto sapere chi Vexen fosse.
“Voi siete della Twilight Town University, dico
bene?”
Davanti a Roxas si parò un ragazzo di aspetto persino
più esile della sua voce. Magro, non troppo alto, con una
carnagione chiara che metteva in risalto i suoi occhi e capelli di un
grigio pallido. Doveva essere l’ultimo membro della Departure.
“Beh… difficile nasconderlo.” Rispose
lui, a disagio.
Il ragazzo esibì un sorriso benevolo. “Immagino
che anche senza le nuove circostanze, appartenere a
un’università così famosa sia come un
biglietto da visita… io mi chiamo Ephemera. Secondo anno al
Departure College. Terra se non sbaglio lo conoscete già, e
la sua affascinante compagna è Aqua. Sono entrambi al primo
anno, di Magistrale ovviamente. Poi abbiamo Vanitas, frequentante del
terzo anno, Kairi e vi prego di scusare l’abbigliamento di
Chirithy. È sempre stato cagionevole di salute, e il viaggio
l’ha stressato non poco. Entrambi al secondo anno come me.
Infine, dovreste conoscere anche Vexen.”
“Come va?” Disse quello, sarcasticamente.
“Come va? Brutto verme! Nemmeno il coraggio di tornare
strisciando alla tua scuola, eh? Vieni qui, e ti mostro io come
va!” La sfuriata di Larxene era incontenibile. Non che
qualcuno tentasse di contenerla in ogni caso.
Tuttavia Vexen non sembrava impressionato. “Calma, calma, non
penso di doverti ricordare che gli atti di violenza sono considerati
comportamento antisportivo. È così che
vuoi aiutare la tua università?” La Presidentessa
fu costretta a calmarsi, ma ancora fumava di rabbia. “Dopo
gli, ehm, eventi passati, ho deciso di offrire le mie
abilità ad un altro istituto più qualificato. E
ovviamente non hanno esitato a piazzarmi tra gli studenti da primato,
com’è giusto che sia.”
Di primato Vexen aveva solo la bassezza: era stato un aiutante di
Xemnas, ma tramava nell’ombra senza mai farsi vedere, che
usava il potere altrui come protezione per esercitare la sua
crudeltà su quelli più deboli. Finito il regno
del Consiglio, aveva anche lui ricevuto una sospensione e una macchia
indelebile sul curriculum studentesco. Evidentemente aveva deciso di
ricominciare da zero dove nessuno lo conosceva e doveva aver trovato il
modo di nascondere alla Departure le sue nefande azioni.
Non fu possibile aggiungere altro, perché il commissario dei
Campionati era giunto e intimava di mettersi tutti seduti ad ascoltare
le regole.
“I Campionati inizieranno il venti di Marzo e si protrarranno
per tutto il mese di Aprile e Maggio. Ci saranno sette prove totali,
divise come segue: le prime tre apparterranno al settore umanistico, e
sono Arte, Storia e Letteratura; seguirà il settore
scientifico composto da Matematica, Scienze e Informatica.
L’ultima prova sarà quella che riassume i due
settori, indispensabile per cavarsela in qualsiasi ambito: una gara di
retorica. Dovrete mostrare di saper costruire un discorso e di vincere
la folla su qualsiasi ambito.
Ci sarà una settimana di intervallo tra una prova e
l’altra, e tre giudici a valutare l’esito di ogni
esibizione degli studenti. Tutto chiaro fin qui? Ci sono
domande?”
“Inizieremo subito?” Chiese Aqua.
“Il venti sarà il giorno di apertura, e quindi
niente competizioni. I Campionati partiranno dal ventuno, e saprete
qual è la prossima materia tre giorni prima della prossima
gara. Essendo oggi il diciassette, vi comunico che la prima disciplina
sarà la Letteratura. Altro?”
“Sì. Questi qua partecipano da soli? Non
è scorretto?” Larxene fece un gesto verso uno dei
Foretellers.
“Nessuna regola è stata prevista per situazioni
simili, quindi nulla lo vieta. Vanno invece lodati, se si dimostreranno
all’altezza della sfida.
“Bene, se non c’è altro possiamo
concludere. Non potete ricevere aiuti di nessun genere per le sfide
all’infuori di quelli dei vostri compagni di squadra. In
più, ogni tentativo di danneggiare gli altri concorrenti
provocherà la squalifica di detto partecipante. Arrivederci, e in bocca al lupo per la competizione.”
Il commissario lasciò la sala con la stessa
rapidità con cui vi era entrato. Anche i Foretellers se ne
andarono subito senza comunicare né con gli altri
né fra di loro. Parevano automi, e Roxas si
ritrovò a pensare all’utopia di Xemnas.
“Beh, l’ha fatta sembrare davvero
semplice.”
Il gruppo della Departure si era avvicinato. Terra sorrideva affabile
come sempre. Ci furono le dovute presentazioni, e il gruppetto
iniziò a parlare delle prove.
“Non vi conviene farvi ingannare dalle apparenze”
Esordì per la prima volta il ragazzo coi capelli neri in
modo insolente. “Lui ha detto Arte, Storia e Letteratura, ma
intende TUTTA l’Arte, TUTTA la Storia e così via.
Chi non è sicuro vada a casa.”
Aqua gli accarezzò la testa sorridendo. “Non
prendetevela, è il modo con cui Vanitas vi augura buona
fortuna.”
Lui scostò la mano visibilmente imbarazzato. Gli
altri non dissero nulla; Ephemera pareva solo godersi
l’ambiente e la compagnia. Alla fine si stavano tutti per
congedare, ma prima di andarsene Lexaeus si mosse
all’improvviso e con un movimento fulmineo afferrò
Vexen, sbattendolo contro una parete. Nessuno fece nulla, sia
perché sconvolti dal repentino cambiamento, sia
perché nemmeno Terra avrebbe affrontato il gigante senza
prima rifletterci attentamente.
Da parte sua Lexaeus rimase impassibile, e rivolto a Vexen
intimò: “Mettiamo da adesso le cose in chiaro.
Qualsiasi bravata tu abbia in mente di fare, qualsiasi scorrettezza,
ripensaci. Non mi ci vorrà molto per rintracciarti e fartela
pagare. Presumo tu non abbia dimenticato cos’è
successo a Xaldin.”
Difficilmente le persone coinvolte nella diatriba di due anni fa
l’avrebbero dimenticato. Vexen annuì, pallido come
un cencio, e Lexaeus lo lasciò andare. Poi augurò
tranquillamente agli altri una buona giornata e si incamminò
fuori dalla stanza.
“L’ha fatto davvero? Lex non si smentisce
mai!”
Demyx rise sonoramente sentendo il racconto. Roxas finì di
raccontare, ringraziando che Ephemera e gli altri avessero deciso di
lasciar correre e non creare problemi, dopo essere stati rassicurati
che Lexaeus non era un tipo violento e non sarebbe accaduto di nuovo.
Erano tutti assieme nella loro stanza, meno le ragazze e i nuovi
acquisti del team: una riunione solo per i Nobodies.
“Senza dubbio il nostro più grande amico
è… beh, grande, in ogni implicazione del termine!
Ma mi chiedo se il suo gesto non avrà
ripercussioni.”
Axel alzò le spalle. “Beh, le regole dicono che le
intromissioni e i gesti simili provocheranno solo la squalifica di chi
li compie, e non della squadra. Il che di per sé
è molto strano come sistema di punizione, in una
competizione a squadre. È sempre stato
così?”
“Mai, e aggiungerò un altro
particolare.” Zexion si era fatto descrivere tutto e stava
controllando i profili degli studenti della Departure sul suo
portatile, resi pubblici in occasione dei Campionati per mostrare che
era tutto in regola. “Ricordate che i giudici saranno tre?
Beh, la regola originale prevedeva che i giudici fossero i Rettori di
ogni accademia, quindi in origine dovevano essere sette.”
Demyx si rilassò su un letto. “Beh, ovviamente li
hanno cambiati per via dei Foretellers, no? Rallegriamoci che non
abbiano invece dato cinque voti al loro Rettore!”
“Significa anche che a favore avremo solo il Rettore Ansem, e
nella peggiore delle ipotesi ben due voti contrari.”
“Questo solo se i tuoi sospetti sulla Departure sono
fondati.” Axel ragionò. “Dei membri che
mi sai dire? Gente a posto?”
“Vediamo… Terra e Aqua hanno un curriculum noto.
Studente sportivo e abbastanza in gamba lui, studentessa modello con un
cervello da premio Nobel lei. Vanitas può non sembrare, ma
è un altro piccolo genio. Kairi va molto forte in
Matematica, immagino la sfrutteranno lì. Su Chirithy ho poco
e niente, ha sempre studiato da casa per motivi di salute,
e… oh.”
“Che succede, Zex?” Tutti lo stavano guardando.
“Ephemera… non c’è nulla su
di lui. Zero. Il suo libretto è vuoto, con zero esami o
frequenza alle lezioni, né ha un motivo valido per studiare
da casa. In più, originariamente non sarebbe dovuto venire
lui ma un certo Ventus, che poi si è misteriosamente
ritirato.”
Sul gruppo scese il silenzio. Non c’era bisogno di essere un
candidato ai Campionati per capire che c’era effettivamente
sotto qualcosa.
Zexion concluse in fretta: “Infine Vexen, e su di lui ne
sapete quanto me. Un avvertimento: è sì un verme,
ma non difetta di intelligenza. Attenzione Roxas, solo
perché è una minaccia nota non significa sia meno
letale. Il fatto stesso che si sia fatto accettare al Departure con il
suo curriculum è prova delle sua abilità
manipolatorie.”
Roxas annuì. Parlarono di altre piccole cose, ma era
evidente che ciascuno era immerso nei propri pensieri e smisero presto.
Era quasi sera, e Xion non rispondeva al cellulare. Stava probabilmente
aiutando Naminé assieme a Larxene a prepararsi per la
competizione.
Annoiato, il biondino decise di uscire e farsi quattro passi.
“Si può sapere cosa vuoi?”
Una voce proveniente dal corridoio adiacente lo spinse ad avvicinarsi.
Probabilmente non erano fatti suoi, ma la curiosità si
mostrò più forte della ragione. Si sporse
dall’angolo a guardare.
Naminé e Kairi si fronteggiavano, entrambe visibilmente
arrabbiate.
“C-Cosa voglio? Cosa vuoi tu! Perché ora sei alla
Departure? Non trattano nemmeno matematica ad alto livello!”
“Che vuoi che ti dica, è
un’università prestigiosa… mi hanno
offerto un posto.”
“Non è vero! Tu mi tormenti! Sapevi che ero alla
Twilight e hai deciso di affrontarmi!”
“Oh, ma per piacere. Non sei tu quella che scappa sempre da
ogni cosa? Sei sempre convinta che tutti ce l‘abbiano con te.
Credimi, stavolta non c’entri. Certo, sapevo che andavi
lì, ma sono solo entrata ai Campionati per prendervi parte.
Insomma, come potevo immaginare che avrebbero scelto TE? Devono essere
ridotti proprio male.”
Naminé era sull’orlo delle lacrime.
“Perché sei al secondo anno, se anche tu hai
cambiato scuola? Io ho dovuto ricominciare dal primo!”
“Che vuoi che ti dica, avrò avuto migliori qualità.
Ora sarà meglio che vada, al contrario di te io ho una vita
sociale. Ciao ciao, sorellina. Non fare subito brutta figura nella
prima gara.”
Fortunatamente Kairi era di spalle rispetto a Roxas e quindi se ne
andò dalla parte opposta. Lui rimase interdetto su cosa
fare, se andarsene o fingere di essere capitato lì per caso.
Un lieve singhiozzo gli fece capire di doversi comportare da uomo.
Senza dire nulla andò vicino a Naminé e le cinse
le spalle con un braccio. Lei sussultò, poi si
calmò quando lo riconobbe. Non disserro nulla, godendo della
reciproca compagnia.
“Quindi siete sorelle?”
“Gemelle in realtà, lei si tinge i capelli. Ha
sempre cercato di rendermi la vita un inferno. Inutile dire che ci sia
riuscita splendidamente. Speravo di averla evitata cambiando scuola,
ma…”
“Si sistemerà tutto, vedrai. Ora non sei sola,
anzi questa è la tua occasione per affrontarla e dimostrare
chi sei veramente. Fuggendo non si risolve nulla, io lo so per
esperienza.”
“Ho sentito la tua storia. Se lo dici tu, ci credo.
…Grazie.”
Roxas la sostenne ancora un po’, ma non poté
evitare di formulare un pensiero nella sua testa.
Ma allora Xion dov’era?
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Capitolo 5 *** Quinto Capitolo ***
Quinto Capitolo
Era finalmente arrivato il giorno della prima competizione. Un
gigantesco anfiteatro chiuso fungeva sia da arena per i partecipanti
che da tribuna per gli spettatori. I membri delle varie squadre avevano
piccole salette quasi al livello dell’arena, una per squadra,
da dove poter seguire le prove assieme agli invitati speciali che si
erano portati dietro. Sotto alle tribune c’era il tavolo dei
giudici, dove sedevano il rettore Ansem, il possente rettore Eraqus del
Departure College, e un uomo calvo che Roxas inquadrò come
il rettore Xehanort, il misterioso figuro che dirigeva ben cinque
accademie. Il biondino ripensò al professor Xehanort della
sua università e si chiese se esistesse una parentela.
L’arena vera e propria era un rettangolo di discrete
dimensioni che sarebbe stato di volta in volta attrezzato per la sfida
in questione: quel pomeriggio era pieno di tele e pennelli per i
dipinti, pennarelli e colori di ogni natura per i disegni liberi,
squadre e altri attrezzi di precisione per il disegno tecnico,
ovviamente connessi di matite di ogni calibro accuratamente disposte in
fila, e dei tablet per il disegno digitale. Tutti gli studenti della
TTU erano sollevati che l’edizione moderna dei Campionati
avesse eliminato la scultura, visto l’esile fisico della loro
amica. In compenso c’era cartapesta in abbondanza per una
sorta di prova artistica senza disegno, e nessuna limitazione sul come
eseguirla. Era chiaramente un pallido tentativo di implementare arte
che non fosse del tipo convenzionale, ma Roxas non se ne
curò. Naminé era brava appunto nel disegno
tradizionale.
La ragazza era pallida e con gli occhi bassi. C’era da
aspettarselo, considerata la situazione. La pressione doveva essere
assurda per una ragazza così giovane e riservata. I suoi
avversari invece parevano calmi, ma era difficile stabilirlo dal
momento che Chirithy non si levava mai il soprabito e i Foretellers
rimanevano muti e impassibili. Non proprio un’atmosfera
confortante.
Sapendo di dover fare qualcosa, i Nobodies e gli altri incitarono
Naminé a pieni polmoni, finché quella non se ne
accorse e li salutò debolmente, ma era visibilmente
più salda sulle gambe quando tornò a fissare
davanti a lei. Poi intervenne l’arbitro e la prova ebbe
inizio.
Lo stesso uomo che li aveva informati sul regolamento
enunciò i termini della prova, anche se ormai gli
interessati li conoscevano: “Davanti a voi ci sono tutti gli
strumenti che vi servono. La prova si divide in: disegno libero,
disegno tecnico, pittura, disegno digitale e creatività,
quest’ultima senza limiti. Avete tre ore per realizzare
un’opera di ogni categoria, e un illimitato numero di
tentativi, ma i giudici valuteranno solo i lavori finiti. Potete
iniziare!”
Tutti corsero alle loro postazioni e iniziarono a buttare
giù idee per i loro disegni. La prova della
creatività fu per il momento scartata: era una categoria
riempitiva, e con la cartapesta si poteva facilmente realizzare
qualcosa. Era ovvio tutti puntassero sui disegni per vincere.
Naminé era nel suo elemento e procedeva ora senza problemi,
dimentica degli altri concorrenti. La sua espressione spensierata non
lasciava dubbi che si stesse divertendo: Roxas sperava solo che fosse
abbastanza motivata anche per vincere.
A molti degli spettatori era capitato di annoiarsi guardando gente
disegnare e dipingere: non è lo spettacolo più
entusiasmante del mondo. Invece qui erano tutti col fiato sospeso, ben
sapendo cosa c’era in gioco, e nei momenti morti si poteva
guardare un altro concorrente. I Foretellers erano bravissimi, ciascuno
con il proprio ritmo (la figura con l’unicorno pareva
spiccare dal gruppo), mentre Chirithy avanzava con lentezza, quasi a
fatica.
“Bene, almeno uno è già fuori dalla
sfida!” Esclamò Demyx trionfale.
“Vedi di tapparti la bocca, almeno fino alla fine della
competizione.” Sibilò Larxene.
Roxas non credeva alla iella, ma decise che era meglio non rischiare e
si adeguò al silenzio generale. Nessuno parlava, anche
perché effettivamente pochi di loro avevano una solida
conoscenza della materia. Perfino le modeste nozioni che Lexaeus aveva
appreso facendo collegamenti con la letteratura e la storia non
bastavano certo a livelli come questi. I disegni di Naminé
si erano ormai accumulati e doveva aver già scelto il suo
prediletto, visto che era passata al tablet per il disegno digitale.
Aveva dipinto uno splendido paesaggio di fantasia e una perfetta
squadratura di una qualche figura geometrica complessa riluceva su un
foglio pulito da ogni traccia eccessiva di matita. Mancava solo la
prova creativa ed era fatta.
Il gong fece sobbalzare quasi tutti. Erano già passate tre
ore? Roxas sperò che ai partecipanti il tempo fosse sembrato
di più, altrimenti lui non aveva idea di come avrebbe fatto
al suo turno.
Con orrore, Roxas notò che Naminé non
aveva nemmeno toccato la cartapesta. Era già una prova in
meno. I Foretellers avevano realizzato una forma animale ciascuno e
stavano consegnando il tutto ai giudici.
L’apprensione si accentuò quando i giudici e gli
spettatori realizzarono che nemmeno Chirithy aveva usato la cartapesta:
tuttavia, un elaborato disegno era stato tracciato sul pavimento
dell’arena, rappresentante un felino in procinto di compiere
un balzo. Nessuno vi aveva fatto caso: Chirithy aveva distolto tutte le
attenzioni da sé con i suoi movimenti lenti e svogliati. Ma
per Roxas e compagni che godevano di una posizione rialzata, il
risultato era dolorosamente bello. In più era stato
disegnato col carbone, che produceva un effetto magnifico accostato al
bianco candido del pavimento.
Anche i giudici non poterono nascondere la loro ammirazione. Valutarono
i Foretellers e diedero alti voti specialmente all’Unicorno,
ma era ovvio fossero rimasti catturati dal gatto tracciato per terra.
Arrivarono infine da Naminé, e seppure rimasero ammaliati
dalle sue opere (fra le migliori che avesse mai realizzato), si
mostrarono perplessi di fronte all’assenza della sua prova
creativa.
“Signorina, capiamo bene la sua giovane età, ma
avrebbe dovuto gestire meglio il suo tempo e presentarci cinque
prove.”
“Ma io vi ho portato cinque prove.” La ragazza era
spossata, ma esibì comunque un trionfante sorriso.
“Sarebbero i signori giudici così gentili da
ispezionare il mio tavolo?”
“Naminé, le regole sono chiare, noi dobbiamo
valutare solo i lavori che hai deciso di sottoporci, e non…
oh!” Ansem non riuscì a finire la frase, e
convocò gli altri due Rettori.
Roxas allungò lo sguardo per capire il motivo di tanta
agitazione, e infine lo vide: l’intero tavolo di
Naminé era
la prova creativa. Ogni compasso, ogni matita, ogni foglio era disposto
secondo un preciso ordine. A prima vista non pareva, ma guardando
l’insieme era ovvio fosse così.
L’immagine non aveva senso, ma perfino il più
ignorante in materia sapeva cos’era l‘astrattismo.
Naminé aveva previsto che molti avrebbero ignorato la prova
creativa giudicandola inferiore, e lei l’aveva invece
realizzata fin da subito mentre lavorava alle altre, il tutto nel modo
più naturale possibile.
“Mi è stato detto che non c’erano
limitazioni per quanto riguardava l’ultima prova.”
Espose sempre sorridendo ai tre uomini.
I giudici si riaccomodarono sui sedili, pronti ad annunciare il nome di
chi, secondo loro, era il vincitore.
“Naminé” disse Ansem, naturalmente.
“Chirithy” disse invece Eraqus. Prevedibile, era il
suo rappresentante.
Xehanort esitò prima di rispondere. Se avesse nominato uno
dei Foretellers, sarebbe stata parità e i giudici avrebbero
dovuto discutere fra loro fino a raggiungere un accordo. Normalmente
con sette esaminatori le probabilità che ciò
accedesse erano minime, ma con tre era tutta un’altra storia.
Fortunatamente, Xehanort non pareva deciso a prolungare quella giornata.
“Naminé.” Sentenziò infine.
Come quando aveva vinto contro Xemnas, Roxas non ricordava molto dei
momenti immediatamente successivi all’evento. Ricordava
vagamente di essere andato con gli altri a prelevare Naminé,
di essere uscito con loro e di aver cenato in suo onore. Ora sapeva di
trovarsi nella loro stanza, con Axel, Demyx e Sora che ancora portavano
Naminé in trionfo. La ragazza era imbarazzata, ma
felicissima. Fu solo quando Larxene e Xion decisero che la poveretta
aveva sopportato abbastanza che tutti si calmarono.
“Bravissima, Naminé! Magistrale!”
Esclamò Luxord.
“Invero, una prova simile rimarrà negli annali dei
Campionati… che si vinca o si perda, hai lasciato il tuo
nome nella storia di queste gare.” Aggiunse Lexaeus bonario.
Roxas si avvicinò e la guardò, sorridendo.
“Complimenti.”
Lei ricambiò il sorriso. “Grazie! Sono riuscita a
vedere la faccia di Kairi, pareva avesse ingoiato un rospo. Sono
così felice!”
“Ehi, che cosa sapete voi che noi non sappiamo?” Li
abbracciò Demyx. “Roxy, se devi tradire Xion, non
farlo in sua presenza!”
“Ma no!” Xion rise. “Si stanno solo
complimentando, mica mi ingelosisco!”
Stranamente, Roxas trovò l’affermazione un
po’ fuori luogo, come se Xion dovesse un po’
ingelosirsi. Ma il resto si perse nei festeggiamenti.
“Secondo voi quale sarà la prossima
gara?”
“Per me sarà scientifica. Ne hanno appena fata una
umanistica, no?”
“Sora, è troppo semplice così! Sanno
che pensiamo questo!”
“Ma sapessero ciò e le facessero davvero alternate
per fregarci?”
“Nah, sanno che sappiamo ciò.”
“Ma forse sanno che noi sappiamo che loro sanno che si
sa.”
“Voi due mi fate venire il mal di testa.”
“Per questo non sei in gara, Axel. Qua non
c’è da menare le mani, è tutta
logica.”
“…sai cosa, Dem? Hai ragione. Perché
non ti porto di fuori così mi esprimo nel ‘menare
le mani’? Lex, aiutami.”
“Ehi, ehi, fermi! No!”
“Ti aiuto anch’io!”
“Ma, mia cara!”
“Tu fai silenzio, e prepara il tuo trucco del bicchiere! Non
mi arrenderò finché non
l’avrò capito!”
La serata proseguì su questi toni. Il bello era che
sarebbero passati quattro giorni prima di sapere anche solo la materia
della prossima sfida, quindi che senso aveva andarci piano? Nessuno
dormì quella notte.
Roxas era in balconata a riprendersi dopo che un ubriaco Demyx e una
molto ubriaca Larxene avevano deciso tramite linee di pensiero ignote
che dovevano farlo passare dalla tazza del gabinetto per rimandarlo al
suo pianeta d’origine. Meno male che Lexaeus era astemio e
sempre pronto a intervenire. Improvvisamente qualcuno lo
abbracciò da dietro. Era Xion, vagamente alticcia.
“Roooxxyyy! Che fai da solo qui? Divertiti!”
“Xion! Mi stavo solo prendendo una pausa, sai. Ora
rientro.”
“Eh, pensi sempre al lavoro! Ma divertiti, cavolo, perfino io
sto più brilla di te!”
Era sì vagamente ubriaca, ma non troppo da non rendersi
conto di cosa diceva. Quindi Roxas si permise di replicare, un
po’ stizzito: “Beh, sai com’è,
ci sono i Campionati. Mi sono divertito, ho riso e scherzato, ti ho
anche perdonato quella scena sulla nave, ora però
sarà meglio che mi concentri anche sul dovere,
grazie.”
Lei si allontanò sentendo il suo tono gelido, incerta se
prendersela o rimanere sul leggero. “Stai dicendo che noi non
la prendiamo seriamente? Ma certo che ci preoccupiamo! Solo, sappiamo
anche scaricare i nervi.”
“Nervi che non ho mai visto ‘caricati’,
però! Sapevi che Naminé aveva un problema, poco
prima della prova, ed era a pezzi? L’ho aiutata io, quella
sera che tu eri irreperibile!”
“…Naminé? Non lo sapevo, non ne ha mai
parlato. Calmati, Roxas. Nessuno qui ti toglie alcun merito.
…che vuol dire che mi hai perdonato la scena sulla
nave?”
“Quella volta dove mi hai trattato malissimo!”
“Ah, io? Tu ti sei comportato da idiota totale!”
Ormai urlavano tutti e due. Xion era adesso lucida, Roxas lievemente
rosso in faccia.
“Sono sempre un idiota quando non faccio quello che vuoi,
vero Xion? E dimmi, tu dov’eri quella fatidica sera? Al
cellulare non rispondevi.”
“Io… ero impegnata. Sai che spengo il telefono
quando mi concentro.”
“Eri, per caso, a concentrarti da Riku? Quanti altri
‘progetti’ avete fatto assieme?”
Lo schiaffo che seguì fu più sonoro di ogni urlo.
Xion stava ancora con la mano alzata, gli occhi umidi di lacrime.
“Come… ti permetti… di insinuare simili
cose. Dopo tutto quello che ho fatto per te. Ti ho praticamente salvato
la reputazione accademica, e mi ripaghi così. Non ho mai
nemmeno pensato che tu mi fossi debitore di qualcosa, questo
è vero, ma di certo non mi aspettavo un simile trattamento.
Sei cambiato, Roxas.”
E scappò via. Roxas rimase lì, come folgorato.
Era il primo gesto di violenza che le aveva mai visto compiere, e lui
ne era stato il bersaglio.
Già, nessuno avrebbe dormito quella notte.
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Capitolo 6 *** Sesto Capitolo ***
Sesto Capitolo
Roxas e Xion si evitarono per i sette giorni seguenti. Gli altri
notarono ovviamente questa frattura, ma ebbero abbastanza giudizio da
non intromettersi. Anche Larxene capì che stavolta la
faccenda era seria, e Axel dedusse che non era il caso di intervenire
appena dopo un’occhiata a Roxas. Quest’ultimo non
volle parlare con nessuno, e aveva la strana sensazione che invece Xion
avesse contatti con loro ma non gli importava.
Tutti appresero con sgomento che la seconda prova era Informatica,
ovvero la materia di Xion: e ovviamente la ragazza non si era
esercitata né era dell’umore adatto per farlo.
Provare a rimandare risultò inutile, e quindi non si
poté fare altro che rassegnarsi e accettare
l’inevitabile.
Demyx e Luxord trascinarono Roxas gentilmente ma con fermezza fino
all’arena e la seconda prova ebbe quindi inizio.
Xion si era tirata su il cappuccio, e poco la distingueva dai
Foretellers: sei figure mute e incappucciate. Stavolta
l’elemento a disagio era Vanitas, che si guardava attorno
perplesso. Il solito arbitro si fece avanti e illustrò le
regole: “Davanti a voi ci sono tre computer e cinque monitor,
due dei quali serviranno solamente a passarvi i codici necessari alla
sfida. I vostri obiettivi sono di infiltrarvi in alcuni siti protetti
creati appositamente per l’occasione, prelevare le
informazioni, unirle in un collegamento ipertestuale, e creare un
minuscolo programma basato su di esso. Cominciate!”
“Zex, ma non è illegale infiltrarsi nei siti?
Così promuovono la pirateria!”
“Non necessariamente. Per poter individuare gli hacker devi
sapere come operano ed essere capace di fare altrettanto. Certo,
potrebbero usare questo sapere per azioni malvagie… diciamo
che la loro reputazione garantisce per loro.”
Axel si sdraiò su un divanetto. “Qua ne so ancora
meno che sull’arte. Tenetemi aggiornato se si capisce
qualcosa di decisivo.”
Roxas avrebbe voluto essere altrettanto distaccato, ma si impose di
assistere almeno in quanto capitano della squadra. Non che ci fosse
molto da giudicare stavolta: i concorrenti digitavano in fretta sulle
tastiere sequenze di simboli ignote a chiunque altro. Per quanto
riguardava il biondino, avrebbero potuto benissimo scrivere in sumero e
il risultato sarebbe stato ai suoi occhi lo stesso.
Larxene diede voce ai suoi pensieri: “Santo cielo, sembra di
stare su un altro pianeta. Ehi, ma i Rettori se la caveranno? Sono
quasi certa che quando andavano a scuola loro si usavano le tavolette
d’argilla.”
“Hanno uno staff che li assiste nella decisione e hanno
seguito un corso accelerato di base nei mesi passati. Persino loro sono
tornati a studiare.”
Tutti si voltarono verso la voce, e videro Ephemera sulla soglia della
loro tribuna. Il ragazzo sorrideva in modo amichevole, come se fosse
naturale per lui essere lì.
“Che ci fai qui? Dovresti essere con la tua
squadra.” Zexion sembrava un po’ più
freddo del solito.
“Calma, vengo in pace. Non mi gioverebbe a molto
intromettermi, no? …la vostra amica mi sembra diversa, e ho
saputo avete provato a rinviare la gara. Mi spiace che
l’organizzatore vi abbia detto di no, noi vi avremmo aiutato.
Sappiate che se è successo qualcosa e volete farlo presente
appena finita la gara, avreste il nostro supporto.”
“Non è successo nulla che ti dovrebbe interessare,
e non ci ripareremo dietro alcuna scusa nel caso dovessimo perdere.
Aria.” Classica risposta da Larxene.
Ephemera non si fece impressionare, e poggiò una mano su
Roxas: “Anche tu mi sembri molto giù.
C’è qualche problema?”
Axel gli afferrò il polso e lo scostò, senza
fargli troppo male. “Mi pare ti sia stato detto che non
è giornata. Abbiamo avuto problemi, sì, quindi ci
scuserai se non siamo troppo amichevoli. È comunque una
competizione.”
Secondo Roxas erano tutti davvero troppo rudi. Sora e Riku andavano
bene, ma tutto a un tratto Ephemera si stava prendendo troppe
confidenze?
Il ragazzo parve non farci caso e accettò placidamente
l’attacco. “Hai ragione pure tu. Mi ritiro allora.
In bocca al lupo per le sfide!”
Terminato l’imprevisto, l’attenzione
tornò alla gara. Perfino con le loro inesistenti conoscenze
della materia era evidente che Xion fosse in difficoltà: le
mani le tremavano e si bloccava di frequente, oppure ricontrollava il
muro di codici e riscriveva febbrilmente interi pezzi. Era ovvio che
aveva la testa altrove. Anche Vanitas pareva distratto da qualcosa: era
nervoso e sbuffava spesso. I Foretellers procedevano col loro ritmo da
catena di montaggio.
Suonò nuovamente il gong, con grande sgomento di Xion. Da
come aveva reagito si poteva ampiamente dedurre non fosse andata bene.
Roxas si alzò e uscì dalla stanza.
“Roxas?” Provò a chiamarlo Sora, ma lui
nemmeno si girò. Non poteva tollerare di avere contribuito
col suo atteggiamento alla sconfitta di Xion.
Era ormai notte fonda. Roxas non mangiava dalla sera precedente ed era
vestito leggero, ma non gli importava. Continuava a rimanere
rannicchiato a braccia conserte agli angoli di un marciapiede ignaro di
ciò che lo circondava. Una figura si stacco dalla folla di
passanti che transitava per le vie affollate e si sedette vicino a lui,
senza dire nulla. Passarono molto tempo in silenzio a fissare
l’asfalto e gli edifici.
“Alla fine Xion ha perso.”
“Chi ha vinto?”
“Il Foreteller con il serpente. Pure Vanitas ha fatto degli
errori di distrazione. Pare che Chirithy abbia fatto ritorno al
Departure College poco dopo la sua sfida.”
“Strano.”
“Abbastanza, sì.”
“…Axel. Tu sei stato a capo dei Nobodies per due
anni. Ti sono mai capitate situazioni simili?”
“Come questa, mai. Ecco perché non ho mai voluto
ragazze nella squadra. Non è sessismo, ma tutto si complica
se tra due persone nasce qualcosa. L’amore è
bellissimo, ma andrebbe tenuto separato dal lavoro, se capisci cosa
intendo.”
“…”
“Con questo non voglio dire che sia sempre filato tutto
liscio. Zexion ce ne ha messo di tempo prima di smettere di trattarmi
con sufficienza, Demyx non aveva la forza di volontà di fare
nulla e far aprire Lexaeus è stata
un’impresa.”
“Non mi pare siano cambiati molto su quei fronti.”
“Non devono. Io non li voglio cambiare, non sono Xemnas.
Dirigere i tuoi compagni è da leader. Costringerli ad
eseguire la tua volontà è da dittatore. La
differenza è a volte sottile, ma c’è.
Non dimenticarla, Roxas.”
“…che dovrei fare? Già prima le cose
con Xion andavano male, e ora non so nemmeno come guardarla in
faccia.”
“Beh, scusarsi mi sembra la cosa migliore.”
“…”
“Non sei convinto di avere torto, eh? In ogni caso devi
affrontarla. Come caposquadra è tuo dovere rendere conto
delle sconfitte e delle vittorie dei tuoi membri, prima di tutto con i
membri stessi. Se proprio non potete perdonarvi, almeno tornate a una
relazione neutrale fino alla fine dei Campionati.”
“Tu sai cosa è successo, vero?”
“Se mi stai chiedendo se so qual è stato il
problema, sì, me ne sono fatto un’idea. Ma tu vuoi
in realtà chiedermi se sono d’accordo con te
oppure no.”
“Immagino di sì.”
“Ho chiaramente una posizione. Ma non te la dico. Ora sei tu
il pezzo da novanta, devi gestire la partita fino alla fine con le tue
decisioni.”
Axel si alzò e lo lasciò a riflettere su
ciò che era appena stato detto. Lo facevano in molti
ultimamente, pensò Roxas. Ma stavolta lo seguì a
breve distanza e rientrarono al castello.
L’atmosfera era lugubre e silenziosa. I Foretellers a quanto
pare non celebravano le loro vittorie, e ovviamente né la
TTU né il Departure erano dell’umore adatto.
Tutti gli amici di Roxas erano nella sala comune, fingendo indifferenza
ma chiaramente ansiosi che tutto si risolvesse. Nessuno pareva
biasimarlo, ma essendo amici di entrambi era ovvio fossero molto a
disagio. Xion era ben visibile sul balcone di fuori, ancora col
cappuccio.
Pareva una scena simbolica di un videogioco. Roxas inspirò e
si fece coraggio.
Si avvicinò ma non disse nulla, né lei diede
segno di averlo sentito.
Alla fine il ragazzo si fece coraggio e raccolte le forze,
aprì la bocca per parlare.
Fu allora che Xion parlò.
“Non ho scuse per il fallimento di oggi.”
“Nessuno ce l’ha con te per questo.”
“Io ce l’ho con me. Non avrei dovuto fallire, non
io. E se anche il nostro screzio ha influito al riguardo…
è comunque colpa mia.”
Roxas non sapeva cosa dire. Xion era una studentessa modello, figlia
del rettore e con un brillante futuro. E questi erano i suoi unici
Campionati. Se anche avessero portato a casa il trofeo per chi vinceva
più sfide, lei non avrebbe avuto il riconoscimento per la
sua competizione. Un gran passo indietro nella sua carriera,
un’occasione mancata. Avrebbe voluto abbracciarla, ma si
trattenne.
“Xion. Non ho bisogno di dirti cose come ‘ce la
farai’, o ‘io so che sei brava’.
È stato orribile, inutile negarlo. Ma non sarà la
tua ultima occasione per brillare come talento. E in quanto leader, ti
prometto che mi impegnerò a vincere.”
“…Sì. Fallo. È
ciò che ti viene richiesto.” Non sembrava molto,
ma lui avvertì la sua approvazione. Xion si accinse a
rientrare, ma prima aggiunse: “Roxas, cerca di non andartene
di nuovo prima della fine di una competizione. Demoralizza e
dà prova di sfiducia.”
Perfino adesso lei gli dava consigli. Roxas non poté che
sorridere nonostante tutto e stava per tornare dentro, quando dei
movimenti nel giardino sottostante attirarono la sua attenzione.
Due figure stavano parlando, e a giudicare dalla mimica uno era molto
agitato. Continuò a gesticolare ma a un certo punto si
bloccò, evidentemente per qualcosa che il suo compagno gli
aveva detto. Rimase in silenzio e se ne andò poco dopo,
visibilmente intimorito e tremebondo. La figura quieta lo
guardò allontanarsi e poi si incamminò a sua
volta.
Mentre tornava dentro e assisteva alle espressioni sollevate dei suoi
amici per la scampata crisi, Roxas non poté fare a meno di
chiedersi cosa Ephemera avesse potuto dire a Vanitas per spaventarlo
così tanto.
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Capitolo 7 *** Settimo Capitolo ***
Settimo Capitolo
Terza Competizione, Letteratura.
Stavolta l’arena era molto diversa e più
rappresentativa degli argomenti di cui si occupava: c’erano
sette banchi di scuola con tanto di sedie e un fascicolo di fogli di
carta su ciascuno di essi.
“Uh, che brutti ricordi.” Fece Demyx.
“Non è passato poi tanto tempo. E davvero hai
ancora una reazione così infantile?” Lo riprese
Axel.
“Assolutamente. Datemi il mio sitar e la mia band e sono
felice.”
“Come sei stato promosso, solo il cielo lo sa.”
Mormorò Larxene.
“Vorrai dire laureato, promosso è per i
bambini…”
“So cosa ho detto.”
Zexion distolse l’attenzione di Roxas dal battibecco con una
gomitata, indicando la saletta del Departure. Al biondino non
servì nemmeno chiedere spiegazioni.
“Vanitas non c’è.”
“Già. Sia lui che Chirithy sono stati estromessi
appena finito il loro compito.”
Roxas aveva parlato solo a Zexion della scena che aveva visto quella
sera dal balcone, e l’amico si era dimostrato molto
interessato alla vicenda. Xion e Riku seguirono il loro sguardo, ma non
dissero nulla.
“Secondo te era già stabilito o è
perché hanno fallito?”
“Da quello che mi hai detto, Vanitas non pareva
d’accordo… ma non prova nulla. Più
interessante è sapere come può Ephemera decidere
del destino di studenti più anziani di lui.”
Riku poteva non aver sentito (anche perché ora stava
guardando Sora cercare di disegnare sul blocco di Naminé),
ma Xion era abbastanza vicina. Da quella sera lei e Roxas parlavano
solo quando necessario: non c’era più astio, ma la
situazione era comunque troppo dolorosa per riprendere subito a
conversare. Anche qui, la ragazza decise di lasciare a loro le
strategie e congetture e rimase silenziosa. I due dovettero fare lo
stesso poiché i partecipanti avevano fatto il loro ingresso
nell’arena.
Ovviamente Lexaeus rappresentava la TTU per l’ambito
letterario: Roxas l’avrebbe anche messo nella gara finale di
retorica, ma il gigante non aveva la lingua abbastanza sciolta. Per il
Departure c’era Terra, che al contrario di Vanitas era
sorridente e sicuro di sé. Non sembrava ci sarebbero stati
turbamenti esterni a interferire questa volta.
“Benvenuti alla gara di Letteratura. Come potete vedere, si
inizierà con un esame scritto, che verrà corretto
immediatamente dai giudici. Dopo la revisione ogni giudice
porrà una domanda libera di Letteratura a uno studente che
non sia del suo istituto. Visto l’inusuale schieramento di
questa edizione, si è deciso che i rettori Ansem e Eraqus
gestiranno i cinque allievi della Foretelling più il signor
Terra, tre ciascuno.”
“Allora il nostro Lex verrà interrogato da
Xehanort? Brutto affare.” Disse Axel.
“Però ha votato per Naminé il primo
giorno. Può darsi sarà equo anche
stavolta.”
“Speriamo, Roxy. Io comunque l’avevo detto che
questa anomalia avrebbe creato fastidi. L’ho detto,
Luxord.”
“Sì, cara, l’hai detto.”
I partecipanti presero posto e iniziarono a scorrere le domande. Queste
passavano anche su uno schermo gigante, in modo tale che il pubblico
potesse valutare la prova e magari anche cimentarsi in essa. Non
c’era pericolo che suggerissero le risposte: i sette studenti
avevano cuffie isolanti sia per quello che per concentrarsi.
Roxas si era aspettato una sequenza di nomi e date, invece rimase
sorpreso dal contenuto.
“Elencare le motivazioni… analizzare il messaggio
di… in base al contesto sociale, spiegare perché
sarebbe sbagliato definire… Accidenti,
c’è da pensarci su!”
“Ma certo. La letteratura che ti fanno imparare a memoria a
scuola è errata e fuorviante. Che importanza ha sapere
l’anno in cui è stata scritta la Commedia? Da solo
nulla. Ciò che conta è sapere perché
è stata scritta in quell’anno.” Rispose
Zexion.
“Commedia… la Divina Commedia?”
“Quella. Ma il titolo originale è solo la
Commedia. Lo sapevi, o sai perché ora è diverso
dall’originale?”
“No.”
“Allora è una fortuna che ci sia Lexaeus
lì sotto.”
“Quindi Lexaeus sa tutte queste cose? O
c’è qualcosa che gli sfugge?”
Osservazione particolarmente brillante, specie da parte di Sora. Anche
lui sapeva osservare allora.
A rispondere fu Axel. “Un’ottima domanda. Dunque,
Lex è amante di diciamo tutte le correnti, ma ha una
debolezza. Piuttosto evidente in realtà.”
“Sarebbe?”
“Rinascimento italiano.”
Si voltarono tutti gli altri partecipanti.
“Spero tu stia scherzando. È un periodo
importantissimo!” Esclamò Larxene.
“Non ne ha mai parlato prima…”
Mormorò Naminé.
Ora fu il turno dei Nobodies veterani di scambiarsi delle occhiate.
“Ah, ha ancora questo problema…”
“Quel suo stupido orgoglio.”
“Beh, non gli fa piacere ammetterlo. Ma tranquilli,
conoscendolo sono sicuro ci si è dedicato anima e corpo. E
in ambito letterario, conosce anche gli argomenti che non lo
appassionano a livello di un docente.”
“Ma Axel, come può avere una falla così
vistosa? Il Rinascimento è qualcosa che si impara anche solo
frequentando, chiunque all’Università
può metterti assieme un discorso al riguardo.”
“Non è un amante del genere. Se ho inteso bene le
sue motivazioni, gli sembra che gli scrittori passassero troppo tempo a
cercare ideali di perfezione, a decidere il confine della
moralità, ad attaccarsi l’un
l’altro… cose così.”
“Ma è!” Iniziò Xion ma Luxord
la fermò, inaspettatamente.
“Credo di sapere che vuoi dire. Ma questa è la sua
visione delle cose: se anche non concordiamo faremmo bene a
rispettarla, poiché non esistono risposte corrette in questo
caso.”
I partecipanti avevano quasi tutti finito e stavano consegnando i fogli
al personale. Terra era stato il più veloce, seguito dal
Foreteller dalla testa d’orso, poi da Lexaeus e dagli altri.
La revisione fu breve, e dopo nemmeno mezz’ora i giudici
tornarono nell’arena.
Iniziò Ansem, che chiamò due Foretellers e Terra.
Tutti si affacciarono dagli spalti: non avevano mai sentito quegli
individui proferire parola. Tuttavia, sebbene Ansem pose le domande a
voce, loro scrissero le risposte su un pezzo di carta. Nulla lo
vietava, d’altronde.
“Ma questi li pagano per essere misteriosi o cosa?”
Larxene era stizzita.
Roxas si limitava ad osservare i comportamenti del Rettore. A quanto
pare le risposte non lo avevano soddisfatto, almeno non del tutto. Poi
venne il turno di Terra.
“Terra… parlami dell’autore
dell’Exilliteratur David Pike e della sua opera principale, e
spiegamene il contenuto.”
“Letteratura Tedesca del periodo nazista,”
mormorò Zexion. “Altamente specifico. Qua non te
la cavi senza la storia come supporto.”
Terra era evidentemente preparato, rispose correttamente e
tornò al suo posto. Fu allora il turno di Eraqus: i
rimanenti tre Foretellers scrissero le loro risposte, e
l’Orso pareva essere andato bene anche qui. Mancava solo
Lexaeus.
Il Rettore Xehanort prese posto e gli fece cenno di avvicinarsi. Lo
fissò per un poco, poi gli chiese: “Mi
dica… le tematiche ricorrenti nelle opere di J.R.R Tolkien e
quali autori può aver inspirato con i suoi lavori.”
“CHE COSA?”
L’esclamazione fuoriuscì da più gole
contemporaneamente. Doveva essere la prima volta che una domanda simile
veniva posta ai Campionati.
Zexion si riebbe dallo shock per primo. “Beh, a conti fatti
è anche quella letteratura. Non è
scorretto.”
“Non è scorretto? Nessuna scuola insegna il
Signore degli Anelli!”
“Ma da nessuna parte è scritto che le domande
saranno solo inerenti ai programmi didattici, anzi. In più
è un’opera ormai affermatasi e famosa in tutto il
mondo, esistono testi accademici più recenti.”
“Beh, come è messo Lexaeus sul fantasy?”
Roxas sentiva di nuovo l’ansia crescere in lui.
Prima che Axel potesse rispondergli, la voce del gigante
risuonò chiara e sicura. La sua risposta fu esauriente e
dettagliata. Xehanort ascoltò impossibile, lo
ringraziò e si ritirò con gli altri giudici.
Confabularono un po’ tra di loro, poi chiamarono
l’annunciatore e lo informarono delle loro decisioni.
Questi prese il microfono e annunciò: i Foretellers avevano
tutti sbagliato qualcosa nelle ultime domande libere, mentre Terra
lì se l’era cavata ma aveva sbagliato un paio di
domande nel compito scritto. Infine, Lexaeus: punteggio massimo in
tutto. La TTU si aggiudicava quindi la prova di Letteratura.
Finalmente vennero riesumati i festeggiamenti nelle stanze della
fortezza: Lexaeus era riuscito ancora una volta a riportare
l’allegria e a spianare le tensioni e i dissapori. Perfino
Terra era passato per complimentarsi. Disse che preferiva perdere
contro un simile avversario che contro quegli individui privi di
emozioni, e non fu biasimato da nessuno.
Mentre fervevano le esultanze (ma stavolta senza portare in spalla il
vincitore per ovvi motivi), Roxas si accostò a Xion.
“Grazie. Non pensavo che ti fossi messa a istruirlo anche sul
fantasy.”
Lei lo fissò sorpresa. “Come sai che
l’ho aiutato io?”
“Le parole che ha usato… mi ricordo che una volta
mi hai parlato anche tu di Tolkien in quel modo. I termini, i concetti,
tornava tutto.”
“Roxas… è un episodio risalente a una
vita fa. Eravamo agli inizi della nostra relazione.”
“Ah sì? Credo mi sia rimasto impresso, allora. Ti
sei offesa?”
“Offesa? Certo che no! Io… grazie. Mi fa piacere
che te ne sia accorto. E in un certo senso, sono felice
perché ho comunque contribuito a una vittoria.”
“Xion, tu hai sempre contribuito alle nostre vittorie. Chi
altro avrebbe mai pensato così fuori dagli schemi?”
Lei lo fissò intensamente. Ed entrambi sorrisero sul serio
per la prima volta da quando erano arrivati lì.
Terra si stiracchiò e raggiunse il suo alloggio. Gli
dispiaceva aver perso, certo, ma aveva dato il massimo. E poi quel
Lexaeus era davvero in gamba, oltre ad essere più grande di
età: non poteva fare altro che rassegnarsi e complimentarsi.
Almeno sapeva che, a prescindere dall’esito, la sua Aqua
sarebbe stata pronta ad accoglierlo nella sua stanza. Il ragazzo
fischiettò tutto sommato, aprendo la porta della camera. Ma
al suo interno vi trovò uno spettacolo diverso da quello che
si era immaginato.
“Salve, Terra.”
“Ephemera. Che ci fai qui?”
“Oh, ero venuto a consolare il mio senior dopo la sua
sconfitta… ma vedo che sei di ottimo umore.
Strano.”
“Beh, ho dato il massimo, e alla fine-“
“Hai finito il tuo compito in fretta e furia senza
riguardarlo, errore che non ti ha mai abbandonato. Mi sorprende tu
possa definire ciò ‘dare il
massimo’.”
“Ok, ora ascoltami bene.” A Terra non era mai
piaciuto il modo di porsi del nuovo arrivato. Era solo un bimbetto,
come osava darsi tante arie? “Errare è umano. Non
devo rendere conto a nessuno se non al Rettore. E poi, con che diritto
mi fai la predica? Potresti sbagliare anche tu-“
“Sbagliare? IO NON- Io non sbaglio mai. Mi è
capitato una sola volta, ma ho imparato. E a proposito di apprendere,
scoprirai che la tua presenza non è più richiesta
qui.”
“Cosa?”
“E prima che tu possa protestare, ti informo che è
un ordine diretto del Rettore. Farai ritorno al Departure domani
mattina. Poi, quando tutto sarà finito, renderai conto dei
tuoi fallimenti.”
“Tu… sei stato tu a cacciare Chirithy e Vanitas. E
forse persino Ven!”
“Abbiamo parlato fin troppo, direi. Buona notte,
Terra.”
Ephemera uscì dalla stanza. Nel corridoio, si rivolse a una
figura nascosta nell’ombra.
“Tu parteciperai alla prossima gara. Vedi di non fare simili
figuracce.”
Aqua, mortificata, annuì.
“Non che importi comunque. La TTU vincerà almeno
un’altra competizione. Ma alla fine, tutto si
svolgerà come previsto.”
E se ne andò, inghiottito dalle ombre del corridoio.
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Capitolo 8 *** Ottavo Capitolo ***
Ottavo Capitolo
La porta si spalancò di botto quando Luxord fece irruzione
nella stanza. Xion, Larxene e Naminé lo guardarono a
metà sorprese e a metà pronte ad arrabbiarsi.
Aveva smesso di spiare il gentil sesso da quando aveva trovato una
ragazza, ma le vecchie abitudini potevano essere dure a morire. In tal
caso, Luxord avrebbe fatto meglio a sperare di condividere il loro
stesso attaccamento alla vita.
Ma lui non sembrava spaventato o in procinto di compiere
chissà quale scherzo, anzi era piuttosto serio.
“Meno male, siete già sveglie! Presto, venite!
È successa una disgrazia a Roxas!”
Le ragazze lo seguirono tempestandolo di domande. Lui però
continuava a rispondere cose come “Non
c’è tempo per spiegare… venite con me,
è grave!”
Nel cortile esterno era radunata una piccola folla. C’erano
tutti i ragazzi, e a terra il piccolo caposquadra, ricoperto di lividi
e di… sangue?
Xion accelerò distanziando tutti e si posizionò
accanto a lui.
“Roxas! Roxas, mi senti? Riesci a sentirmi?”
“Axel, cosa è successo?”
Domandò Larxene.
Il rosso la guardò con aria grave. “Non sappiamo
bene. Lex l’ha trovato così quando è
uscito per fare una passeggiata. Sospettiamo che sia stato aggredito
durante la notte.”
Il biondino aprì debolmente gli occhi.
“Xion…”
“Roxas! Sì, sono qui!”
“Xion, è buffo… stavo pensando ai
momenti passati assieme… ti ricordi quando mi hai promesso
di insegnarmi a giocare… a quel gioco di carte?”
“Sì, mi ricordo… lo farò
ancora, quando vorrai-“
“E ti ricordi quando hai detto che non ti arrabbiavi se
venivi infradiciata all’improvviso?”
“…eh?”
I gavettoni piovvero sulle vittime come una micidiale raffica di acqua
gelida.
“Bambini! Siete un branco di bambini! Se esistessero
Campionati di Immaturità, li avreste già vinti
tutti!”
Erano nella stanza dei ragazzi, quella di Roxas. Alla fine tutti si
erano inzuppati, e i bagni di tutte le stanze stavano venendo adoperati
a pieno regime per ottimizzare i tempi. La voce di Xion si sentiva
chiara e forte anche attraverso la porta del bagno.
“Dai Xion, volevamo spezzare la tensione con un caro vecchio
scherzo! Davvero avete pensato che il primo Aprile saremmo stati buoni
e calmi? È mai successo prima d’ora?”
Axel era stato uno dei fortunati a trovare un bagno libero e a potersi
asciugare per primo.
“Ringraziate piuttosto che Larxene non abbia spezzato voi!
È già tesa per la competizione
imminente!”
“A me lo scherzo andava anche bene, ma perché non
sono stato avvisato?”
“Zex, sarò onesto con te: durante il briefing ho
chiesto se qualcuno NON voleva prenderti a gavettoni, e nessuno ha
alzato la mano.”
“Grazie per la tua sincerità.”
Si intromise Sora: “E poi, chi ti garantiva che ti saresti
salvato? Guarda Lexaeus, era il testimone eppure ci è andato
di mezzo!”
“Era un bersaglio troppo invitante per non
pensarci” sospirò Demyx. “Ma credo
avesse previsto il nostro tradimento: dubito che quel tubo per
innaffiare gli sia capitato tra le mani per puro caso.”
In effetti si era scatenato in fretta il caos: tutti contro tutti, e il
fatto che alcuni palloncini non fossero scoppiati aveva dato alle
ragazze l’occasione di una controffensiva. Erano dovuti
intervenire i custodi della Fortezza, che avevano dato una sonora
lavata di capo a tutti quanti; eppure Roxas non aveva dubbi che si
erano tutti divertiti un mondo, e perfino il rettore Ansem aveva
nascosto un ghigno sotto un cipiglio burbero. A volte bisognava
divertirsi e interrompere i propri impegni, per quanto importanti
fossero.
Pochi giorni più tardi, nell’arena. Prova di
Storia.
“Ancora non ci credo che fanno un’altra prova
umanistica.”
“Sora, eri l’unico a pensare che avrebbero sempre
alternato. Beh, forse anche Demyx.”
“Ehi!”
“Comunque questo vuol dire che rimangono due prove
scientifiche, speriamo bene. Larxene come sta? Se fallisce e decide che
è colpa del nostro scherzo, ahia.”
“Sta bene” tranquillizzò Luxord.
“Anzi, scaricare i nervi l’ha aiutata. È
fatta così.”
La prova era diversa da quella di Letteratura, ma nessuno si
stupì: ormai era ovvio nessuna sarebbe stata uguale alle
altre. Stavolta c’erano scrivanie ricolme di oggetti:
orologi, lettere ingiallite dal tempo, piccole riproduzioni di veicoli,
uomini e altre cose che Roxas non riuscì a identificare. Il
tutto sotto una gigantesca mappa del mondo che occupava
l’intera postazione, e sulla quale c’erano anche
mappe più piccole ma più accurate su questa o
quell’altra regione.
“Che assortimento! Stavolta c’è tanta
roba sopra, pare un puzzle.”
“Credo sia quello lo scopo. Probabilmente devono ricostruire
o comunque strutturare la cartina con le informazioni che
troveranno.”
Come al solito le previsioni di Zexion si rivelarono accurate.
L’annunciatore disse proprio questo: avevano le solite tre
ore per rendere la mappa più grande quanto più
completa possibile in ogni campo, geografico, politico, culturale. La
particolarità era che nessuno aveva lo stesso periodo
storico, ma non era una scelta casuale, molto probabilmente come per la
Letteratura si era scelto un periodo ostico per il concorrente.
Stavolta Larxene era in competizione contro Aqua, oltre che col
silenzioso gruppo. La ragazza aveva un’espressione serafica e
calma, eppure allo stesso tempo seria e concentrata: non si sarebbe
fatta prendere dall’agitazione né avrebbe commesso
errori grossolani. Un osso duro.
I partecipanti iniziarono e si misero al lavoro, consultando il vasto
materiale a loro disposizione. Larxene aveva tra le altre cose
modellini di carri armati, aerei e corazzate, molto probabilmente la
Seconda Guerra Mondiale. Roxas pensò fosse molto azzeccata
come scelta. I Foretellers erano quasi tutti in contesti più
antichi (castelli fortificati, catapulte, vecchi telai erano assai
frequenti), ma più indietro di tutti andava Aqua, che aveva
addirittura templi e monoliti: antica Grecia o giù di
lì. Di nuovo, da quel poco che sapeva della ragazza,
sembrò al biondino una combinazione perfetta.
Da una parte Larxene, una vera e propria mina antiuomo ambulante,
sempre pronta a esplodere e che incuteva timore a tutti, la
quintessenza della violenza; dall’altra Aqua, calma e serena,
che emanava intellettualità e stile solo guardandola.
Eppure anche questa volta qualcosa non gli quadrava.
“Mi sembra molto vago, come contesto. Fosse solo preparare un
discorso sulla Guerra, penso che Larxene vincerebbe a mani basse. Ma
qui hanno tantissimo da valutare e prendere in
considerazione.”
Stavolta il suo cicerone fu Xion. “La storia è
alla base di ogni cosa, perché ogni azione in ogni campo
determina un progresso nella storia di quell’ambito. Se fatta
bene, è davvero la materia del mondo intero. Abbraccia tutto
lo scibile.”
Larxene procedeva a ritmo spedito, imperturbabile. Vedendola
così concentrata, realizzando che sapeva tenere a bada le
sue emozioni quando serviva, Roxas non poté fare a meno di
pensare che prezioso alleato lei fosse: non era un caso che sia i
Nobodies che il Consiglio di Xemnas se l’erano a suo tempo
litigata. E in effetti lei da sola aveva giocato un ruolo fondamentale
nella loro vittoria.
Verso la seconda metà della gara la bionda assunse
un’espressione sorpresa guardando la sua mappa. Simili
reazioni si verificarono agli altri tavoli: era ovvio ci fosse
un’aggiunta, qualcosa che i concorrenti non avevano previsto.
La competizione riprese e si concluse senza altri avvenimenti degni di
nota.
Le carte vennero consegnate ai rettori che le esaminarono accuratamente
prima di consultarsi fra loro. Stavolta il dibattito andò
avanti per un po’: Ansem e Eraqus non parevano mettersi
d’accordo. Alla fine Xehanort intervenne e decretò
il suo parere, ponendo fine a ogni disputa. I giudici chiamarono
l’annunciatore e gli riferirono i risultati.
“Come avete potuto vedere, c’è stato da
discutere sul vincitore. Questo perché sia Larxene che Aqua
hanno consegnato una prova impeccabile.” Un mormorio di
sorpresa e eccitazione si diffuse per l’arena. “I
rettori erano ovviamente decisi a favorire il proprio studente, ma
è anche per casi come questo che abbiamo un numero dispari
di giudici. E il rettore Xehanort si è pronunciato in favore
di… LARXENE!”
Un boato percosse lo stadio, mentre i ragazzi della TTU scendevano
entusiasti dalla loro amica.
Aqua accettò la sconfitta con la stessa serenità
di Terra e si congedò dalla sua rivale sorridendo, ma
Larxene la fissò in cagnesco. Quanto ai Foretellers, se ne
erano già andati.
La festa fu movimentata come le altre (ma con molti meno liquidi
stavolta, e tutti tenuti sotto controllo dallo sguardo vigile di Xion),
mentre si analizzava lo svolgersi della sfida.
“Larxene, in cosa consisteva la domanda finale? Abbiamo
notato ha colto tutti alla sprovvista.”
“Sulla mappa c’erano degli spazi su cui scrivere le
risposte, ma erano di forma strana. Le frasi andavano a capo in modo
strano, finché ho realizzato che era un crittogramma
contenente un ultimo quesito.”
“Crittogramma… quindi un codice? Ma non
l’hanno detto nelle regole, non è
scorretto?”
La ragazza alzò le spalle. “Tecnicamente, ci hanno
detto di completare la cartina, quindi vale. Sennò dobbiamo
allora restituire il premio di Naminé, visto che abbiamo
fatto anche noi una cosa simile.” Naminé
arrossì veementemente prima che le spiegassero che stava
solo scherzando.
“E che domanda era?”
“Non so gli altri, ma la mia era sempre inerente al periodo,
solo molto più specifica. Ma è stata quella a
salvarmi. Parlava dei traffici di armi nel dopoguerra nella nostra
regione, vi risparmio il resto.”
“Urca, come facevi a sapere una cosa simile? È
roba da dottorato, no, da specialista!”
“Mio nonno. Fu lui a occuparsi di quei traffici. Mio padre ha
passato molto tempo a rintracciare i suoi sporchi lavori e a rimediare,
in un modo o nell’altro, e mi portava con sé da
piccola. Ecco perché conoscevo questa
città.”
Un assoluto mutismo accolse questa rivelazione. Larxene
continuò a bere, forse un po’ imbarazzata o forse
per cercare di giustificare con l’alcol questo suo aprirsi.
Gli altri superarono in fretta la cosa e ripresero a chiacchierare, per
non metterla troppo a disagio.
“E ti hanno comunque assegnato la Guerra come tema, pur
sapendo ciò?”
“Non so quanto sapevano su di me, ma devono aver ragionato in
base alla mia sola carriera accademica. E non ho mai mostrato di amare
questo periodo, ne ho letteralmente la nausea.”
“Però il periodo nazista ti si addice.”
“…Ok, chi l’ha detto? Chi vuole morire
così giovane?”
“Ecco, appunto.”
Roxas le si avvicinò più tardi, quando la festa
iniziava a perdere di vigore.
“Ancora i miei complimenti per la tua vittoria.”
“Grazie mille, comandante.” Ora era davvero
ubriaca, non c’erano dubbi. Ma forse poteva ancora togliere a
Roxas un piccolo dubbio.
“Larxene, dimmi… Aqua ti ha detto qualcosa di
sbagliato? Hai reagito un po’ male quando se
n’è andata.”
“Reagito male? Cosa? Ero solo perplessa.”
Il ragazzo si guardò bene dal farle notare che la sua
espressione perplessa era simile a una muta minaccia di morte.
“Perché eri perplessa?”
“Il suo sorriso. Era finto. Si è sforzata al
massimo per non darlo a vedere, ma la sconfitta è stata
troppo. Ma devo complimentarmi: come attrice mi avrebbe distrutto,
è un talento naturale.”
“Era turbata? Ma da cosa?”
“Ma non siete tu e l’altro nano a fare il gioco
della conta? Hai per caso visto Terra oggi, tra gli
spettatori?”
Roxas non ci aveva fatto caso, i suoi problemi personali lo avevano
totalmente coinvolto. Ma effettivamente, non ricordava la presenza del
ragazzo. Dunque anche lui era stato mandato via?
“E se sono ancora in grado di capire una sorella, la prossima
sarà lei, ci scommetto.”
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Capitolo 9 *** Nono Capitolo ***
Nono Capitolo
“Siamo pronti?”
Roxas era nella loro stanza e fissava la sua scorta: Axel, Luxord e
Lexaeus. Giudicava eccessivo un simile schieramento solo per una
chiacchierata con Ephemera, ma loro volevano essere sicuri non
succedesse nulla. Almeno avevano tutti convenuto che Larxene andava
tenuta fuori dalla questione.
“Pronti, Roxas. Quando vuoi.”
Attraversarono i corridoi e arrivarono alla saletta comune. Come
auspicato, a quell’ora del mattino era semivuota, ma il
ragazzo dai capelli grigi era lì seduto su una poltroncina
assieme a Vexen.
Lexaeus si appoggiò a una colonna lì vicino in
osservazione, Axel, Luxord e Roxas andarono fino al loro tavolo.
“Ehi, Vexen! Sparisci.”
“Sennò, prestigiatore? Mi picchierai?”
“Mh, giudica tu. Né io né Axel siamo
partecipanti, e Lexaeus ha già dato. Stando alle regole,
paradossalmente quello a rimetterci saresti proprio tu.”
L’allampanato stava per rispondere a tono, ma Ephemera lo
calmò con un gesto.
“Va tutto bene, Vexen. Vai a prepararti, ti raggiungo
dopo.”
Quando il compagno se ne fu andato si girò verso i tre,
sempre affabile.
“Posso aiutarvi?”
“Sì, Ephemera. Vorremmo farti delle
domande.”
Roxas prese il posto lasciato libero da Vexen.
“Riguarda i membri della tua squadra. Non abbiamo potuto fare
a meno di notare la loro assenza appena terminato il loro turno nella
competizione. È già la quarta volta che
succede.”
“Certo, immagino sia facile notarlo. Dunque?”
“Beh… volevamo sapere la ragione di questo
comportamento. Come mai succede? Qual è il
problema?”
“Stress per aver fallito. Sono andati a casa.”
Tutti rimasero a bocca aperta di fronte a questa palese bugia. Come
poteva pensare che ci sarebbero cascati?
“Tutto qui? Non ti pare, che so, un po’
eccessivo?”
“No davvero. Vorrei fare la voce grossa e dire che a me non
succederebbe, ma stiamo parlando di fallire una competizione ai
Campionati, in diretta tv e di fronte a centinaia di persone.
Sì sì, siamo tutti bravi per essere arrivati fino
a qui… ma rimane il fatto che abbiamo fallito.”
Roxas era perplesso. “Però-“
“Non accade, se pur in scala ridotta, anche a scuola? Gente
che fallisce un test e scoppia a piangere. Nasconde la notizia ai
genitori. Per non parlare di reazioni anche peggiori. A nessuno piace
fare la figura dello stupido.
“A voi pare esagerato, a me no. Non tutti sono impassibili
come quella vostra amazzone.”
“Occhio, amico.” Il tono di Luxord non lasciava
intendere nulla di buono. La conversazione stava assumendo una brutta
piega.
Roxas cercò di recuperare in fretta il filo. “Non
siamo privi di emozioni, anche noi abbiamo fallito e commesso errori,
ma non abbiamo mai mollato. Forse siamo più resistenti,
questo non lo so.”
“Noi?
Ha fallito una di voi, se ben ricordo. Il resto di voi ha collezionato
vittorie eclatanti… un anello debole, forse?”
“Se vuoi le botte, dillo subito.” Axel si
avvicinò ancora di più al tavolo e
piazzò le nocche contro la superficie.
“Axel, asp-“
“Non so a che gioco vuoi giocare, ma è ovvio che
ci prendi per fessi. Tutti e quattro se ne sono andati
perché non sapevano reggere la tensione? Ma per favore.
Avevano un mucchio di ragioni per rimanere qui, invece. A meno che
qualcuno non li voleva fuori dalla città per qualche
motivo.”
Ephemera ascoltò tutto in silenzio, pacato e sorridente come
al solito.
“Teoria interessante. E stai implicando che sono stato io?
Axel, tu avrai su per giù l’età di
Terra. Dimmi, obbediresti a ciò che ti dice di fare un
ragazzino del secondo anno, specie se va contro la tua
volontà?”
“!”
“E non tirate fuori la carta del ‘sì se
è un mio amico’, so che sapete che io sono un
rimpiazzo e non li conosco, doveva venire Ventus al mio posto. Aggiungo
inoltre che non siete andati da Kairi, dal mio rettore o meglio ancora
da Vexen, l’unico ad avere un vero movente contro di voi. No
avete deciso, in tre e tutti molto più grandi, di mettervi
contro un ragazzo per giunta di esile corporatura. Cosa dovrebbe
pensare una persona guardandovi, mi chiedo.”
Disse tutto con una calma e semplicità che lasciò
gli aggressori spiazzati. Non c’era la benché
minima malizia nella sua voce, parlava di ciò come se stesse
parlando del tempo che avrebbe fatto domani.
Axel era più corrucciato che arrabbiato, anche se fremeva
ancora un po’.
“Andiamocene” disse infine.
Tornarono per i corridoi, diretti alle loro stanze per aggiornare
Zexion e Demyx.
“Quel tipo è incredibile. Piccolo saccente. Volevo
prenderlo a calci.”
“Però, Luxord, non ha tutti i torti. Voglio dire,
e se non c’entrasse davvero nulla? Si è ritrovato
aggredito per niente.”
“Ma mio caro Roxas, andiamo! Proprio tu l’hai visto
confabulare con Vanitas quella sera, in più ci ha appena
raccontato una balla colossale!”
“Non so bene cosa ho visto. E poi anche Larxene era mal vista
da tutti noi, una volta. Nessuno avrebbe detto sarebbe finita
dov’è adesso.” E mentalmente il biondino
aggiunse: ‘E tu eri il mio più grande confidente,
ma stavi facendo il doppiogioco. ‘ Ma non aveva risentimento,
quindi tenne la cosa per sé.
Luxord ad ogni modo tacque, e il gruppetto procedette in silenzio fino
alla stanza di Zexion.
Il quale, messo al corrente dell’accaduto, disse solamente:
“Se non altro sappiamo chi fra loro sosterrà la
prova di retorica. E non è una bella consapevolezza, visto
come vi ha azzittito.”
Quinta Prova, Scienze.
L’arena stavolta sembrava il vecchio e polveroso laboratorio
della loro facoltà, ma con molte meno ragnatele e strumenti
più moderni.
Alambicchi e provette erano accompagnati da modelli di piccoli animali
e calchi di ossa umane, microscopi con frammenti di geodi. Il tutto
coronato da sette manichini che rappresentavano un essere umano con
tessuti e organi scoperti, uno per ogni banco da lavoro.
Iniziava la prova di Scienze, e Roxas era pronto. Ma non sapeva se
poteva dire lo stesso del loro candidato. Sora era meno allegro del
solito, buon segno, ma comunque non appariva concentrato quanto il
caposquadra sperava.
In quelle settimane era arrivato a capire che la matricola era molto
appassionata delle scienze e dell’anatomia, frutto della sua
grande curiosità e del vivere in una piccola isola a
contatto con la natura per anni. Si trattava però di una
conoscenza di strada, e non sapeva quanto sarebbe servita in una
competizione di quel livello. Però Larxene e Xion
garantivano, e veri e propri talenti di biologia alla loro
università scarseggiavano in ogni caso.
A fare da lugubre contorno, i soliti Foretellers e Vexen stesso, con un
sorrisetto sarcastico già stampato sul volto.
“Ti andasse di traverso uno di quei composti acidi,
spilungone.”
“Non dirlo. I desideri non si avverano se li dici ad alta
voce.”
“Sarebbe invero una tragedia: non ho la macchina fotografica
qui con me.”
Questa era una competizione che la “vecchia
guardia” della TTU sentiva parecchio. Roxas non faceva
eccezione, e si chinò di più sul parapetto.
“Avete tre ore di tempo per risolvere ogni passaggio.
Inoltre, in ogni esercizio c’è un materiale che
è stato modificato per assomigliare a un componente del
corpo umano. Va individuato, preso e posizionato correttamente
all’interno del manichino. Potete cominciare!”
I ragazzi lavorarono alacremente per tutto il tempo. Niente imprevisti
o colpi di scena questa volta, ma fortunatamente la materia in
questione era davvero interessante: ovunque si vedevano liquidi
mescolarsi, animali e insetti sezionati e passati al microscopio, rocce
che… rimanevano rocce, ma il resto era sufficiente per
tenere gli occhi degli spettatori incollati allo schermo o
all’arena.
Dopo esseri occupati del mondo delle idee era bello tornare su qualcosa
di concreto, per quanto complesso potesse essere.
Sora non se la cavava troppo male a vederlo dall’alto, specie
laddove la prova era più pratica, facendo uso di quella
conoscenza che chi è vissuto in posti selvaggi non sa
spiegare, ma sa applicare meglio di un esperto accademico.
Mentre il tempo scadeva tutti arrangiarono i loro manichini meglio che
potevano: non era stato detto loro nemmeno quanti pezzi mancavano al
modello, ed era differente per ciascuno.
Alla fine i giudici passarono per l’arena e
esaminarono i modelli e i banchi da lavoro. Xehanort esaminò
il lavoro di Vexen e poi si diresse verso Sora. Roxas pregò
silenziosamente che andasse tutto bene, o al limite che il vecchio
rettore tralasciasse qualcosa nella fretta.
Purtroppo, Xehanort doveva aspettare che i colleghi finissero di
esaminare i suoi cinque studenti, quindi si prese tutto il tempo
necessario. Passò davanti a ogni esercizio, non commentando
ma limitandosi a osservare. Infine, passò davanti al
manichino e lo osservò a lungo.
Proprio quando Roxas iniziava a pensare se ne sarebbe andato per
deliberare, chiamò Sora vicino a sé.
“Signor Sora, venga qui un momento per favore.”
Purtroppo, gli altri due rettori avevano appena finito col
loro esame, quindi non solo tutti gli sguardi erano puntati su di loro,
ma regnava anche un silenzio di tomba. Il che non rese più
gradevole la domanda che seguì.
“Mi dica ragazzo, la milza sta a destra o a
sinistra?”
Demyx seppellì il volto nelle mani, Axel guardò
altrove, Larxene soffiò leggermente. Naminé
gemette e Zexion si mise due dita in fronte.
“Oh, Sora.”
Il vincitore (seppur di poco superiore al Foreteller leopardo)
risultò essere Vexen. A tutti pareva di aver preso un pugno
nello stomaco. L’odioso ragazzo gli lanciò un
sorriso velenoso, ma tutti lo evitarono, Larxene compresa: non
c’era davvero spazio per ribattere.
Sora era mortificato e triste. Non provò nemmeno a
sdrammatizzare con qualche battuta, tanto era giù. La loro
seconda sconfitta, per di più aggravata dalla vittoria del
loro vecchio nemico.
Mentre si dirigevano alla fortezza, Roxas notò
l’ennesimo sguardo di sottecchi di Xion.
“Cosa c’è?”
“Ah, no, nulla. È solo che… mh. Sei
arrabbiato, Roxas?”
“Felice non sono di certo. Ma va bene così,
abbiamo tre vittorie. Sarebbe stato bello avere già la
sicurezza del trofeo, ma siamo comunque in vantaggio mentre le altre
due accademie vantano una sola vittoria a testa. Non
c’è da perderci il sonno.” ‘E
non avevo tutte queste aspettative tanto per cominciare.’
La ragazza sorrise. “Immagino tu abbia ragione. Inutile farci
un dramma sopra.”
Roxas si chiese se queste parole non si riferissero più a se
stessa che a lui. Ripensò alle parole che le aveva detto
riguardo alla responsabilità di essere un leader, e si
chiese se lei volesse che lui incoraggiasse Sora, cosa che in
realtà avrebbe voluto evitare. Guardò dietro di
loro e vide che i ragazzi lo stavano già facendo, forse
anche più del necessario -aveva pur sempre perso per colpa
di suoi errori- e decise di non intervenire, né Xion
commentò questa sua scelta.
Ma c’era comunque qualcosa che poteva fare.
I rettori dormivano nell’ala opposta della fortezza, in delle
suite a loro riservate. Fortunatamente erano una per piano, quindi il
ragazzo non avrebbe dovuto temere intromissioni. Bussò alla
porta e attese, nervoso.
Eraqus aprì la porta confuso e mezzo assonnato.
“Chi è a quest’ora?”
“Buonasera, ehm, signore. Sono Roxas, della TT- della
Twilight Town University.”
“Ah sì? E cosa vuoi a quest’ora della
notte?”
“Mi scuso per l’orario, ma ho potuto solo
ora.” Era vero, aveva preferito aspettare che tutti
dormissero. Voleva farcela da solo. “Mi chiedevo se lei
potesse essere così gentile da rispondere ad alcune mie
domande.”
Per un momento pensò che l’avrebbe cacciato a
pedate, o peggio ancora che avrebbe convocato la sicurezza sospettando
un’infrazione delle regole. Effettivamente non sapeva se era
consentito ai partecipanti interagire con i rettori di altre accademie.
Eraqus lo squadrò, e poi disse: “E va bene. Entra,
prego.”
Lo fece accomodare nella sua camera su una piccola sedia, e gli
offrì anche del caffè.
“Di cosa volevi parlarmi? Credo di averlo scordato.”
“Non gliel’ho detto in realtà.
Io… volevo sapere da lei perché i suoi studenti
lasciano la città appena terminata una competizione, se
posso permettermi.”
“I miei studenti…? Ah, intendi qui! Ehhh, motivi
di salute, se non sbaglio. O di stress. Sai, per la gara.”
Roxas rimase senza parole, e constatò come era diventata una
costante quando aveva a che fare con membri del Departure.
“Ma signore, con tutto il rispetto, lei davvero pensa che
tutti abbiano avuto problemi analoghi? Anche Terra, o Aqua?”
“Terra… chi era Terra?”
“Come chi-mi scusi. Terra, il suo studente, il ragazzo grosso
coi capelli castani.”
“Ah! Terra! Lui! Sì certo, ora ricordo. Beh, come
ti dicevo… ehm, di che parlavamo?”
Il biondino non sapeva cosa pensare. “Signore, lei sa se
Vexen -il ragazzo alto con i capelli lunghi- lascerà la
città ora che ha terminato la gara?”
“Vexen, Vexen… non lo so, forse. Immagino di
sì. Ma ha vinto, quindi forse no.”
“Capisco. Bene, credo sia piuttosto tardi, quindi me ne
andrò. La ringrazio per il suo tempo.”
Eraqus lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
“Sì, meglio. Non so nemmeno se ti è
permesso stare qui. Buona fortuna con… con…
quella cosa di cui abbiamo parlato.”
Roxas si lasciò la stanza alle spalle e tornò
alla sua, cercando di non fare rumore e riflettendo su quanto aveva
appreso.
‘Eraqus è un eccentrico. Uno di quelli bravi con
le materie accademiche ma senza contatto col mondo reale, che non
ricorda nemmeno i suoi allievi. Inadatto a gestire un istituto,
figurarsi uno dei migliori. Ma allora perché è
qui? Come ci è arrivato?
‘Chi è che sta manovrando tutto?’
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Capitolo 10 *** Decimo Capitolo ***
Decimo Capitolo
“Sveglia! In piedi! Oggi è il giorno della
prova!”
Roxas buttò letteralmente giù i suoi compagni di
stanza dal letto. Axel si profuse in un lungo sbadiglio, ancora
assonnato.
“Roxy, cos’è tutta questa energia?
Nemmeno fossi tu a dover partecipare.”
“Lo so! Ma siamo quasi alla fine, no? Oggi potrebbe
potenzialmente essere la fine, se otteniamo la nostra quarta vittoria.
E poi… voglio invitare Xion fuori, dopo la gara.”
Axel, Luxord e Zexion lo fissarono. L’improvviso annuncio li
svegliò del tutto. “Ma bravo! Hai deciso di fare
pace?”
“Ottima mossa, mio caro.”
“Tutti vogliono questo. Prima succederà, meglio
sarà.”
Roxas ci aveva pensato l’altra notte. Aveva deciso che era
giunto il momento: inutile rimuginare sul passato. E poi aveva
così tante inquietudini ultimamente che non aveva voglia di
conservare quei dissapori, voleva almeno aggiustare uno dei suoi tanti
problemi. Si sarebbe rimesso con la ragazza che lo capiva meglio di
chiunque altro, definitivamente.
Sesta e penultima prova, Matematica.
Per una volta l’arena era prevedibile: calcolatrici, piccoli
computer, perfino pallottolieri (aggiungevano tradizione e alcuni li
preferivano alle tastiere per i calcoli brevi) disposti in fila accanto
a fascicoli di fogli e matite.
Riku, l’ultimo partecipante rimasto assieme a Roxas,
affrontava i muti incappucciati e Kairi, la gemella di
Naminé. La ragazza non era mai spiccata in quei giorni agli
occhi di Roxas. Non perché fosse silenziosa come la sorella,
tutt’altro: ma era la solita ragazza maliziosa e un
po’ volgare, come ne vedeva a decine ogni giorno
all’università. Quel giorno tuttavia era parecchio
stizzita, e il biondino si chiese come mai.
Larxene seguì il suo sguardo e sorrise. “Ah, hai
notato anche tu? Meno male, ci contavo che si vedesse. Ben le
sta.”
“Allora è davvero successo qualcosa?”
“A quanto pare, ha provato a usare il suo fascino su Riku
prima della gara per ingraziarselo. Io ero lì quando
l’ha respinta, e non puoi capire le risate che mi sono
fatta!”
“Beh, spero non sia stato troppo sgarbato. Va bene non farsi
fregare, ma non dobbiamo nemmeno ferire troppo le persone a nostra
volta.”
“Eh? Ah, mi pare sia stato corretto in quel senso…
comunque, una sciacquetta che si comporta così invece di
impegnarsi merita poca simpatia, fidati.”
Il loro compagno di squadra era inespressivo come al solito. Forse non
proprio come al solito: una riga in mezzo alla fronte denotava una
certa concentrazione. Almeno mentalmente non gli si poteva dire nulla,
restava da vedere quanto era preparato.
“Tre ore di tempo per completare il tutto, nulla di
più. Si è pensato che fornirvi ulteriori handicap
fosse un’ingiustizia, visti gli esercizi del compito. Potete
cominciare.”
Fu tutto ciò che l’annunciatore disse. I ragazzi
presero posto e iniziarono a calcolare.
“Ragazzi, ma a voi andrebbe bene vincere
così?”
“Che intendi, Dem?”
“Non saprei, è così tranquillo. Certo,
la settima prova si farà comunque, ma se ora già
sappiamo che abbiamo praticamente vinto, la tensione ne
risentirà.”
Roxas gli batté una mano sul braccio. “Non tutto
si può sempre risolvere con manovre epiche come due anni fa.
A me va bene anche così, mi importa solo di fare una bella
gara.” Ancora non aveva detto a Xion che voleva riprovarci
con lei. Si disse che avrebbe aspettato il momento giusto e un
po’ più di quiete.
La prova intanto procedeva bene. Come al solito nulla pareva turbare
Riku, che si concentrava anima e corpo negli esercizi. Ciò
non voleva dire che avesse la vittoria in tasca: Sia lui che Kairi
cancellavano spesso e esibivano piccoli tic nei movimenti, e persino i
Foretellers procedevano a scatti, come se ci mettessero di
più a capire le domande. Si intuiva che la prova era davvero
complessa, e come aveva detto l’annunciatore non serviva
aggiungere regole speciali per rendere difficile la matematica.
Proprio quando Roxas pensava che la prova sarebbe stata una noiosa
attesa, Kairi fece un qualcosa mai fatto prima: chiamò i
giudici.
La loro venuta ridestò il pubblico dal torpore, tutti si
chiedevano cosa fosse mai successo.
“Signori giudici, Riku sta copiando!”
Tutti gli spettatori della TTU balzarono in piedi.
“Quella piccola…” Nessuno
provò ad addolcire il turpiloquio di Larxene, tanto erano
indignati.
“Usare un simile stratagemma da scuola materna, qui? Che
vergogna! È ovvio che lo fa solo per fargli perdere
tempo!” Axel era allibito.
“E il bello è che non esistono regole che
prevedano il recuperare tempo perso. Sono tre ore per tutti, anche se
ora Riku dovrà fermarsi e rispondere alle accuse.”
Naminé era l’unica non sorpresa, solo disgustata.
“Lei è sempre stata così. Non si
è mai fatta problemi nel degradarsi a questo modo, se serve
ai suoi scopi. Viscida fino all’ultimo.”
Se anche Riku era scosso, non lo diede a vedere. Si fermò e
mostrò il suo banco agli esaminatori per mostrare che non
aveva nulla da nascondere. Ansem tornò immediatamente al
posto, Eraqus lo seguì -Roxas immaginava non avesse nemmeno
compreso bene la situazione- mentre Xehanort ci mise un po’
di più, per esser sicuro. Riku poté riprendere la
prova, ma aveva perso minuti preziosi. Quando riprese a scrivere, Roxas
notò qualcosa di diverso nel suo agire, ma non seppe dire
cosa.
Finì la prova e i concorrenti consegnarono i fogli. Kairi
pareva soddisfatta, Riku era impassibile. I giudici esaminarono in
fretta ma con attenzione le prove, e inaspettatamente giunsero fuori
senza nemmeno consultarsi e chiamarono l’annunciatore.
“A quanto pare stavolta il verdetto è stato
facile, in quanto solo una persona ha totalizzato punteggio pieno alla
prova. Riku! Congratulazioni!”
Fu annunciato in modo così casuale che ci furono trenta
abbondanti secondi di silenzio. Poi, il caos generale. Roxas e i suoi
amici si precipitarono nell’arena. Axel e Demyx riempirono
Riku di pacche sulle spalle, Sora era euforico e a Xion brillavano gli
occhi. Tutti erano in preda alla gioia più sfrenata: avevano
vinto, anche se non ufficialmente. Avevano quattro vittorie su sette, e
nessuno poteva recuperare. I Campionati erano in mano loro.
“Il metodo DiZ?”
“Divide in Zero” spiegò Riku.
“Un sistema poco conosciuto e ancora in fase sperimentale,
permette di accorciare drasticamente i calcoli se usato bene. Era
l’unico modo che avevo per recuperare.”
Nel gruppetto risuonarono vari “Caspita!” e
“Accidenti!”. Roxas concordava, era stato davvero
un colpo brillante. Poco scenico, ma brillante. Forse Xion aveva
ragione, e in fondo il ragazzo non era così odioso. Potevano
diventare amici. Sì, ci avrebbe provato: era un ex-teppista
che aveva vinto i Campionati per la sua squadra, se lo meritava.
Le ragazze andarono a fare compere mentre i ragazzi prendevano del cibo
per i festeggiamenti. Luxord aveva detto che quella notte avrebbero
demolito l’edificio, e conoscendolo gli altri incaricarono
Lexaeus di intervenire nel caso intendesse in senso letterale. Roxas
aveva deciso che avrebbe approfittato della festa e avrebbe portato
Xion in balconata per parlarle: banale, ma il romanticismo non era
certo il suo forte.
Ma Riku lo chiamò in privato.
“Roxas, posso? Solo un momento.”
Era la prima volta che lo interpellava direttamente. I due si
appartarono, e il biondino si domandò cosa mai necessitasse
tutta quella segretezza.
“Qui va bene. Ascolta, devo parlarti. È una cosa
che devo fare assolutamente. Lo so che non ti piaccio.”
Roxas rimase sorpreso e un po’ dispiaciuto che la cosa fosse
stata così evidente: provò a spiegarsi, ma Riku
proseguì.
“Lo so e lo capisco. I nuovi arrivi sono difficili da gestire
per molte persone, specie se hanno altro a cui pensare. E ci sono
abituato, c’è qualcosa in me che irrita la gente.
Cerco di non mettermi troppo in mostra, ma succede lo stesso.”
“Riku, ascolta-“
“Ma non è nemmeno questo il motivo per cui ti
parlo. Vedi, io ti rispetto: ho sentito di quello che hai fatto contro
il Consiglio. Per me sei una specie di eroe. Un mito, se
vogliamo.”
Sentirsi definito tale da un ragazzo così maturo e
-bisognava dirlo- così fico
era strano e lusinghiero. Ma non era finita.
“Ed è per questo che devo dirti questa cosa, anche
perché ho notato che le cose fra te e Xion non stanno
andando bene, e ho voluto aspettare che avessimo la vittoria sicura
per- beh. Basta scuse direi.
“Ascolta. So che avete litigato perché quella sera
lei non ti rispondeva. La verità è
che… era davvero con me. Ma non stavamo ripassando.
…Ci ha provato con me.”
Il mondo per Roxas si fermò. Non ci poteva, non ci voleva
credere. Doveva aver capito male. Certo, aveva capito male, oppure Riku
dimostrava uno strano senso dell’umorismo quando vinceva.
“Non in senso fisico, certo! Ma insomma mi ha fatto capire
che… che era interessata. Io l’ho rifiutata
cordialmente, poi dopo la litigata tra voi due le ho fatto capire che
il mio no era definitivo.”
Purtroppo, tutto tornava. Le lodi che Xion aveva per lui. Come si
arrabbiava quando Roxas esprimeva i suoi dubbi. Aveva fallito la prova
non per la loro lite, ma perché lui l’aveva
rifiutata. E dopo la prova di oggi, era davvero euforica…
troppo euforica.
“Non ho scuse. Davvero. Era l’ultima cosa che
volevo accadesse… e come ho detto, non te l’ho
detto subito perché non volevo guastare le competizioni,
anche se poi è successo comunque. Ma avrei dovuto dirlo
subito. Colpiscimi: me lo merito.”
Roxas lo studiò con calma e lentezza. Quel suo volto
ribelle, ma allo stesso tempo attraente, con quel freddo sguardo
magnetico che faceva scogliere i cuori delle ragazze. Troppo alto,
fuori dalla sua portata. Lo colpì con tutte le sue forze
alla bocca dello stomaco.
Riku non era pronto e gli si mozzò il respiro. Cadde a terra
boccheggiante, reggendosi lo stomaco. Roxas lo scavalcò e
svanì nel tramonto ormai morente.
Era in una locanda malmessa, in un vicolo che puzzava di urina
appartenente a vari animali e uomini. Il suo cervello era in stato di
shock: sapeva che se avesse elaborato su quanto appreso avrebbe
iniziato a piangere. Non ci poteva credere. Xion, il suo primo e unico
amore… non era possibile.
“Hai l’aria di chi ha passato un brutto quarto
d’ora.”
Ephemera. In altre circostanze, Roxas si sarebbe chiesto come mai si
trovava in un luogo del genere.
“Non è aria. Lasciami in pace.”
“Mh, lo vedo. Mi sa tanto che Riku ha vuotato il sacco. Mi
chiedevo se l’avrebbe fatto ora, tutto torna.”
Il biondino scattò in piedi. “Tu sapevi?”
“Ammetto di sì. Ero nei corridoi quando la tua
ragazza si catapultò nella sua stanza. Ora, non è
da me giudicare, ma una ragazza che corre a quel modo nella stanza di
un ragazzo a quell’ora della notte lascia poco spazio
all’interpretazione.”
Roxas ripiombò sulla sedia, disperato. Non aveva nemmeno la
forza di arrabbiarsi.
“E non hai detto nulla?”
“Non erano affari miei. E poi, poteva non essere come
pensavo. E se anche fosse, perché avrei dovuto quando la
cosa mi divertiva così tanto?”
“Cosa?”
“Mi divertiva sapere che la tua bella ti metteva le corna. E
hai sofferto di più sapendolo ora da lui. Avrei dovuto
privarmi di tutto ciò?”
“Non… non ti seguo.”
“Certo che no. Ho notato il tuo vuoto di memoria. A volte
pensavo che fosse tutta una finta per fregarmi, ma poi ricordavo che
sei troppo stupido per elaborare una cosa simile.”
L’aspetto più paradossale della faccenda era che
Ephemera non aveva cambiato tono, non era più aggressivo del
solito. Aveva comunque la sua voce pacata e il suo tono cortese. Il che
rendeva tutto molto più inquietante. Il ragazzo si sedette e
si versò da bere.
“Dunque, da dove iniziare. Immagino dal principio. Il che
significa più di un anno fa, quando ero appena immatricolato
alla Twilight Town University.”
“Tu eri alla TTU?”
“Ci ero? Non saprei se metterla così, ci sono
stato solo poche settimane. Sai, il tempo di vedere tutte le mie
aspettative infrante. A causa tua, per di più.”
“Io? Noi ci conosciamo?”
“Ancora niente, vero? Come quel giorno. Nemmeno mi notasti,
mentre venivo picchiato. Tu eri un idolo per me, ero una di quelle
matricole venute a vedere il grande Roxas, l’eroico
protettore dei deboli che sfidava il sistema e i suoi bulli. Quanti
sogni mi ero fatto… solo per scoprire che eri come tutti gli
altri. Così umano.
Ti chiesi comunque aiuto dopo, quando mi lasciarono in pace: potevi non
aver visto la scena, era perdonabile. Sai cosa mi hai risposto? Te lo
ricordi?”
Roxas era ipnotizzato dal suo discorso. Scosse il capo.
“Mi rimproverasti perché la mia uniforme era in
disordine. Tutto lì. Fine. Mi lasciasti così,
troppo intento a chiacchierare con una ragazzina che si beveva ogni tua
parola. Oh, l’umiliazione che ho subito… ma ti
ringrazio comunque. Mi hai aperto gli occhi. E io, per cortesia, li
aprirò la te ora.”
“Ascoltami, Ephemera. Immagino che le scuse siano inutili, ma
ci proverò comunque. Mi dispiace davvero tanto per come
è andata e per non ricordarmene. Ti capisco se mi odi, forse
farei lo stesso. Ora però, non ho tanta voglia di stare qui
a parlare.”
“Ma io non ti odio, anzi. Come ho detto, mi hai aiutato a
capire cosa dovevo fare: sovvertire l’ordine. Ed è
quello che farò.”
“Cosa?”
“Forse sembra fuori luogo e un po’ pretenzioso, ma
io sono un genio. Non come Zexion o Lexaeus, bravo in qualcosa: no, un
VERO genio, come ne nascono ogni cento anni. Eppure adulti stupidi e
bulli senza cervello mi trattano come vogliono e la fanno pure franca.
Perché devo sopportare tutto questo? Risposta: non devo. E
cambierò ogni cosa, a partire dai Campionati che sono in
mano mia.”
Ora Roxas sapeva che il ragazzino era anche pazzo, o comunque con
sintomi di megalomania. Andava aiutato, e subito. “I
Campionati in mano tua? Andiamo, non puoi essere
serio…”
“Ah, no? Quindi la Foretelling, quell’idiota di
Eraqus rettore e le sparizioni degli studenti sono tutte
coincidenze?”
Roxas ammutolì. Pensava di aver sentito tutto, ma il bello
doveva ancora venire.
“Io sono dietro alla Foretelling. Io… e
l’unico adulto che mi abbia mai dato retta. Mio nonno, uno
scienziato brillante quasi quanto me. Il biomeccanico Leonard Xehanort.
Ovvero, il rettore delle cinque accademie Foretelling.
Nonché il creatore dei Foretellers.”
“I Foretellers sono robot?”
“Non ti ha mai sorpreso che non parlassero? Che non dessero
mai segni di vita? O che potessero affrontare le prove da soli? Hai
idea di quanta memoria servirebbe per compiere un’impresa
simile? Appunto quella dei loro supercomputer, educati e istruiti da me
stesso sulle varie discipline. Ho anche deciso di renderli bravi in
questa o quell’altra materia per variare un
po’.”
“Non è possibile. Nessuno ha notato?”
“Gli unici a saperlo erano già sul nostro libro
paga. Così come i soci di maggioranza del Departure College,
che hanno acconsentito a piazzare quel povero fesso di Eraqus come
rettore su mio invito. Infiltrarmi è stato facile,
così come controllare che tipo di competizione ci sarebbe
stata di volta in volta.“
Se esisteva uno stato dopo lo stupore, Roxas l’aveva
già superato da tempo. Fissava il tavolo di legno senza
vederlo e non sapeva cosa dire, se non una domanda un po’
banale.
“Ma perché?”
“Te l’ho detto: per cambiare le cose. Questo era un
esperimento. A quanto pare, posso fare fessi tutti quanti e passarla
completamente liscia. Lo sapevo già, ma una conferma non fa
mai male. Pensa solo a cosa potrò fare sulla base di questi
successi!”
“Ma perché dirmelo? Cosa ci guadagni? Potrei
rovinare tutto!”
“Beh, non proprio. Potremmo disfarci delle prove in ogni
momento, e saremmo pronti a negare ogni tua accusa. Ma in effetti, non
giustifica perché te lo sto dicendo. Per farti un favore.
Per aprirti gli occhi.”
“Continui a ripeterlo, ma non-“
“Roxas, chi ti ha ferito oggi? Con chi ce l’hai?
Con me? Ti importa davvero così tanto che abbia eseguito i
miei giochetti di biomeccanica? O ce l’hai con i tuoi
amici?”
Ephemera si alzò e si sedette più vicino a lui.
La sua voce era ora un sussurro, dolce veleno che filtrava nelle sue
orecchie.
“Begli amici davvero. La tua ragazza è un gran bel
pezzo d’arte, eh, ma loro non scherzano! Davvero pensi che
Larxene non lo sapesse? Le ragazze si dicono sempre tutto. E se
l’ho notato io, chissà gli altri. E quella stessa
gente ti ha guardato ogni giorno negli occhi e ha riso assieme a
te… mi disgustano. E poi sarei io il viscido.
“I nuovi arrivati, poi… giusto Naminé
si salva! Sora è un totale cretino, non sei
d’accordo? Ha solo un talento, ed è il farsi amica
la gente facilmente. Ha voluto partecipare a quella che lui reputa una
festa, ed eccolo qua ad abbassare il QI dell’intera
competizione, solo perché negargli un tale piacere sarebbe
stato brutto, tanto è Roxas a farne le spese. Eh,
l’amicizia… una persona può essere
fantastica e razionale quanto vuoi, ma avrà sempre
quell’amico che difenderà anche quando
è nel torto, solo perché non vuole offenderlo e
gli vuole più bene di quanto ne voglia a te. Ah, poi
c’è Riku, ma credo tu abbia già
un’opinione al riguardo. E il fatto che loro si conoscevano
già, che si parlassero tra loro… è
davvero una tua mancanza? Certo, tu in quanto amico potevi farti
avanti, ma loro allora? Non potevano dirtelo cosa stavano facendo?
Tutti bravi a rinfacciarti i doveri da amico, e lesti a dimenticare i
propri.”
Roxas non si chiese nemmeno come facesse a sapere tutte queste cose.
Ripensò a ogni singola ingiustizia degli ultimi mesi, grande
o piccola. E scoprì in cuor suo di non averne perdonata
nemmeno una.
“Non so tu, ma io potrei perdonargli tutto, se non pensassero
di essere così superiori. Perché loro ti tengono
all’oscuro, Roxas, di un sacco di cose. Loro si incontrano,
parlano di varie cose, delle prove... di te. Ti tengono
d’occhio. Un trattamento adeguato per colui che
salvò loro i fondoschiena quel fatidico giorno, davvero. Tu
hai fatto tutto, tu hai organizzato ogni cosa, e vieni trattato
così. E per giunta, se anche tu vincessi la settima prova,
sarebbe una vittoria senza valore. Ah, l’ironia! Eppure un
modo ci sarebbe. Per… non dico fargliela pagare, ma per
dimostrargli che sei sempre tu a doverli aiutare, che hanno bisogno di
te e non tu di loro.”
Roxas smise di fissare le venature di legno del tavolo. Ephemera
sorrideva, il più malizioso dei sorrisi. Pareva un bimbo che
stesse progettando di rubare la marmellata, non fosse per le cose che
stava dicendo.
“Che modo?”
“Un modo particolare. Perfettamente legale e senza
ripercussioni. Un modo per provare il sentimento più dolce
di tutti: la vendetta. Ci stai?”
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Capitolo 11 *** Undicesimo Capitolo ***
Undicesimo Capitolo
Per i successivi cinque giorni Roxas non uscì dalla sua
stanza, chiuso in un cupo mutismo. Nessuno venne a disturbarlo, se
perché pensassero si stesse concentrando per la gara o
perché Riku aveva vuotato il sacco, a lui non importava. Era
sordo a ogni influenza esterna, e non faceva altro che meditare sul
passato.
La mattina del sesto giorno lui e tutta la sua squadra vennero
convocati d’urgenza. Per ora Ephemera rispettava i patti.
Tutti erano allegri e lo accolsero normalmente, quindi non dovevano
aver saputo nulla. Oppure sapevano e fingevano? Non aveva
più molta importanza. Ma il biondino non ce
l’aveva con loro, non troppo. Era come quando Luxord lo aveva
tradito: avevano solo commesso un errore. Con Xion… non
sapeva bene. Poi avrebbero chiarito in un secondo tempo.
L’annunciatore delle prove li accolse nella sala dove mesi
addietro li aveva messi al corrente del regolamento, funereo in volto.
“Prego, sedetevi. Ci sono varie notizie che devo comunicarvi.
Innanzitutto, i Foretellers sono stati squalificati in blocco dalla
competizione.”
“Che cosa?”
“A quanto pare, erano false identità.
C’è un grosso scandalo in corso, un sacco di pezzi
grossi sono indagati. Davvero una pagina nera nella storia dei
Campionati. Ovviamente la loro vittoria viene annullata e il titolo
risulta vacante.”
Roxas immaginava che l’annunciatore fosse stato graziato dai
traditori con la promessa che continuasse a fare la pedina.
“Oltre alla gioia di aver vinto, anche la soddisfazione!
Può anche darci il premio immediatamente, non ci
formalizziamo.”
“Un attimo, signorina Larxene. Ho detto che ho alcune
notizie. Non ho finito.
“Riguardo la prova della signorina Naminé, si
è arrivati alla conclusione che sebbene le regole
specificassero di usare qualsiasi cosa per la prova libera, usare gli
scarti è un banale raggiro, che l’ha posta in
vantaggio rispetto agli altri. Pertanto è squalificata e il
titolo risulta vacante.”
“Sta scherzando!” Larxene era fuori di
sé. “Voi le avete consegnato il premio, e ora la
buttate fuori per questo motivo? Io direi che va lodata per la sua
idea, se gli altri sono stati troppo fessi per arrivarci!”
“Signorina Larxene sarà meglio che si calmi, o il
suo atteggiamento potrebbe nuocere molto alla sua squadra. Si
risieda.”
La bionda non si sedette e uscì dalla stanza a grandi passi.
Naminé stava immobile sulla sua sedia e tremava,
imbarazzatissima e sull’orlo delle lacrime. Roxas ebbe
pietà, ma sapeva che era necessario.
“Proseguendo… la stessa signorina Larxene ha un
problema. Nel suo fascicolo non era presente il dettaglio riguardante
suo nonno, quindi la domanda a lei posta durante l’esame non
è valevole. Pertanto viene squalificata e il suo titolo
risulta vacante.”
Fu Xion a parlare stavolta: “Ma nel fascicolo che ci avete
dato non potevamo scrivere tutto il nostro albero genealogico,
né ci sarebbe venuto in mente di farlo! Lei odiava quella
parte della sua famiglia, non voleva imbrogliare!”
Ma un’occhiata dell’uomo bastò per far
tacere anche quest’obiezione. “Infine, il signor
Riku. Viene anch’egli squalificato per aver effettivamente
copiato durante la prova, e il titolo risulta vacante. Sebbene lui
abbia sostenuto di non averlo fatto-“
“Voi avete trovato il modo di dimostrare il contrario,
vero?” Axel era calmo, ma Roxas sapeva che la sua furia non
era inferiore a quella di Larxene. Se c’era una cosa che
odiava, era essere vittima di un’ingiustizia senza poter fare
nulla. “Quindi ci avete tolto tre titoli, e visto che non mi
pare la squadra del Departure sia qui quello di Vexen non è
vacante, ci avete tolto anche la vittoria. E immagino che protestare
sia inutile, non è così?”
“Precisamente, signor Axel.”
Il rosso lo guardò freddamente, tanto che
l’annunciatore iniziò a dare segni di nervosismo,
temendo che l’avrebbe assalito. Invece si alzò
-provocando uno scatto nell’uomo- e uscì senza
dire nulla.
“Bene… quindi rimangono solo i titoli dei signori
Lexaeus e Vexen, di conseguenza le due squadre sono in
parità. Come di consueto in questi rari casi,
l’ultima prova deciderà tutto. Potete
andare.”
Demyx si buttò sul letto in un moto di stizza.
“Non ci posso credere! Ma cosa gli salta in mente? Toglierci
premi ottenuti regolarmente, per giunta mesi fa! Ma possono
farlo?”
La domanda era chiaramente per Zexion, che rispose: “Credo
che ormai le regole e i precedenti contino poco, vista la situazione
straordinaria. È ovvio tutto sia stato orchestrato a nostro
sfavore… perfino il comunicarci tutto ciò solo
prima dell’ultima sfida.”
“Vero… Roxas, devi vincere. Sei la nostra ultima
speranza!”
Questo era esattamente ciò che voleva. Ephemera era stato
chiaro: se Roxas non avesse rivelato nulla dei suoi intrighi, lui
avrebbe fatto in modo di mettere in scena la situazione ideale, dove
uno di loro avrebbe potuto vincere tutto in un duello ad armi pari. Proprio come aveva
fatto con Xemnas tempo fa.
Ma non lo faceva per vendetta verso i suoi compagni, lui non era
misantropo come Ephemera. L’avrebbe battuto al suo stesso
gioco, insegnandogli l’umiltà, e avrebbe
approfittato del momento per perdonare tutto. Se c’era una
cosa che aveva imparato era che tutti i problemi potevano essere
risolti quando c’era una grossa celebrazione in
corso.
Arrivò infine l’ultimo giorno. Prova di Retorica.
Roxas percorse per la prima volta il corridoio che portava
all’arena, invece di prendere le scale per la balconata.
Intravide presto una luce alla fine del sottopassaggio e
uscì all’aperto, osservando il campo di battaglia
per questa competizione.
Un semplice palco con due supporti di legno di quelli che si vedono nei
dibattiti politici in tv. Nulla di speciale rispetto alle pompose
attrezzature delle volte passate, ma al ragazzo non importava. Fece un
giro delle balconate: la sua, gremita di tutti i suoi amici, quella dei
Foretellers, vuota, e quella del Departure, deserta
anch’essa non fosse stato per Vexen, che gli fece un
sarcastico gesto di saluto.
E poi, già presente sul palco, il suo unico avversario:
Ephemera.
Roxas prese posto sul suo podio e osservò
l’annunciatore avvicinarsi. I giudici erano quanto di
più vario esistesse: Ansem era di malumore per le
squalifiche dei suoi pupilli, Eraqus era alquanto spaesato e confuso, e
Xehanort non faceva altro che sorridere maliziosamente. Pareva una dote
di famiglia.
“Dunque, benvenuti all’ultima competizione.
Normalmente, i sette partecipanti avrebbero dovuto preparare ed esporre
dei discorsi completi e aspettare il verdetto, ma essendo solo voi due
abbiamo pensato a un qualcosa di più stimolante. Gareggerete
uno contro l’altro in un dibattito su un argomento casuale:
uno di voi sarà il difensore e l’altro
l’accusa. Domande?”
“Nessuna.” Rispose il pallido giovane. Roxas non
aveva dubbi che nulla di quell’argomento sarebbe stato
casuale, ma annuì.
“Bene. L’argomento sono i Campionati stessi e lo
scandalo che si è verificato. Uno di voi li
difenderà e l’altro muoverà per
abolirli. Preferenze sulle parti?”
Roxas si stupì dell’improvvisa scelta. A che gioco
stavano giocando?
“Beh, non posso parlare per il mio rivale,”
seguitò a dire Ephemera “Ma non mi crea alcun
problema recitare la parte del difensore della competizione.”
Ephemera voleva difendere? Sempre più strano. O forse tutto
ciò era mirato solo a confonderlo e fargli perdere la
concentrazione. Immaginando lo scambio di battute e ipotesi che si
stava verificando nella sala della sua squadra, Roxas
scacciò via ogni pensiero estraneo alla competizione e si immedesimò nella
parte dell’accusa.
“Per me va bene così.”
“Perfetto. Procederete finché uno di voi due non
riuscirà più a controbattere in modo
efficace.”
Il biondo sapeva che toccava a lui cominciare, essendo
l’accusa. Forse Ephemera pensava di metterlo in
difficoltà facendo fare a lui la parte del
“cattivo”, ma evidentemente si era dimenticato con
chi aveva a che fare. Roxas era un Nobody, e una volta era il nemico
numero uno dell’intero campus. Sapeva cosa si provava.
“Eh-ehm… allora. I Campionati sono
un’istituzione secolare, vanto dell’intero Paese e
dimostrazione dell’intelligenza e del pensiero umani. Dico
bene?”
“Assolutamente. Una meraviglia che ci mostra il progresso
delle nostri giovani menti e allo stesso tempo ci ricorda le grandi
conquiste del passato.” Ephemera si adattò subito
al registro deciso dal suo avversario, accomodante.
“Eppure io non sono d’accordo. Sono un
partecipante, e ho visto cosa fanno questi eventi ai giovani ragazzi e
ragazze: li destabilizzano. Ansia da prestazione, invidia di chi non
è stato accolto che può sfociare nel bullismo
attivo e delusione di genitori maniaci del controllo sono solo alcune
delle conseguenze nocive dei Campionati. Per non parlare poi delle gare
stesse: più che una prova sembra uno show per i paganti,
una fiera per mettere in mostra ragazzi giudicati
‘diversi’, come fossero animali da circo!”
Il suo compito era difficile anche perché doveva insultare
il pubblico e i suoi stessi compagni: fortunatamente chi andava a
vedere i Campionati non era proprio un bigotto, e ricevette una
discreta dose di applausi. I più forti venivano dalla
balconata della sua squadra. Ecco un vantaggio che Ephemera non avrebbe
avuto.
“Quello che dici potrà anche essere vero, ma stai
puntando il dito nella direzione sbagliata. I Campionati esistono per
celebrare le massime espressioni degli ambiti più complessi
concepibili dallo scibile umano: non hanno colpa di come ragiona
l’uomo odierno e dei suoi vizi. Abolire ciò che
è alla radice buono ma malamente sfruttato è
assai oscurantista, dovremmo invece migliorare noi stessi e il mondo
che ci circonda.”
“I Campionati nascono per celebrare il pensiero
dell’uomo, e ora dovrebbero cercare di modificarlo
perché non gli va più bene? Questo mi sembra
ancora più grave, rifiutarsi di riconoscere un cambiamento
solo per tenere un residuato della gloria passata. E parlando di
progresso, ormai la definizione di intelligenza è assai
varia e disomogenea. È assurdo e ingiusto ritenere che una
manciata di individui sia superiore agli altri solo per la loro
abilità in un singolo ambito.”
“L’hai detto tu, Roxas. Bisogna adeguarsi al
progresso, ed è per questo che ora abbiamo sfide di
informatica e non di greco classico. L’istituzione e chi ne
è a capo fanno del loro meglio per stare al passo coi tempi,
assai più delle scuole pubbliche. Si adattano al progresso,
alla sua parte positiva però. Le mal interpretazioni umane,
i difetti vecchi e nuovi vanno ostacolati o ignorati, concetto che
esiste da sempre sotto la definizione di selezione naturale.”
Il ragazzo se la cavava bene. Roxas vagliò in fretta le sue
opzioni: attaccare ancora le materie col pretesto che non erano idonee
non gli pareva il caso, specie visto che tre dei suoi membri erano
stati squalificati per dei presunti raggiri. Decise di fare come
Ephemera, e concentrarsi sui vizi dell’uomo. Forse grazie
alla sue arringhe il suo rivale gli aveva dato lo spunto per concludere.
“Ephemera, mi parli di difetti umani, di come arrestino il
progresso. Molto bene, allora. Concordo, e dirò di
più: io marchio gli stessi Campionati come difetti umani
nocivi!”
Pausa ad effetto per aumentare la tensione. Aveva sempre voluto farlo.
Il cielo portava per la prima volta da molto tempo nere nubi cariche di
pioggia, però: era meglio sbrigarsi.
“Sì, un difetto: la prova che ormai la mano umana
ha corrotto questa un tempo nobile competizione oltre ogni
possibilità di ripresa. Basti pensare a questa nostra sfida!
Come mai siamo qui ad affrontarci? Perché ci sono stati
episodi di corruzione, e infrazioni delle regole! Ragazzi che
copiavano, Università raggruppate assieme, partecipanti
irregolari e persino automi, ora giustamente scacciati! Era questo che
i fondatori volevano? Una sanguinosa battaglia dove tutto è
lecito per portare a casa la vittoria? Questo non è amore
per la conoscenza, è egoismo e voglia di danneggiare il
prossimo! Un istinto quasi animale sbagliato sotto ogni punto di vista!
“Non nego che anche nella mia squadra ci sono stati problemi.
Mi fido dei miei compagni e so che si tratta di errori giudiziari e
vuote accuse; ma se anche fosse, non li biasimo. Confesso che io non
volevo partecipare, mi sembrava troppo. Ma la pressione e le
aspettative hanno avuto la meglio, così come su tanti altri
assai migliori di me.”
Roxas chinò lievemente il capo. Era finita, lo sapeva.
Ephemera non poteva negare tutto ciò che aveva detto,
soprattutto non con lo stesso medesimo trasporto ed
emotività che non aveva di default. Mentre terminavano gli
applausi, il ragazzo alzò lo sguardo aspettandosi la resa
dell’avversario…
…ma non andò così.
“Davvero un’ottima arringa Roxas, te lo concedo.
Difficilmente avrei saputo fare di meglio al tuo posto. Anzi, direi che
sicuramente non avrei potuto fare di meglio, visto che a quanto pare
possiedi informazioni che io non avrei avuto. Difatti credo sia la
prima volta che viene usata la parola ‘automi’
parlando dei Foretellers. Non era un fatto reso noto al pubblico, mi
pare.”
Silenzio di tomba. Roxas spalancò gli occhi. Non lo
sapevano? Aveva dato per scontato che la notizia più grossa
fosse stata rivelata. Tentò di rammentare se uno dei suoi
amici l’avesse mai detto… ma ricordò
invece che non li aveva mai frequentati in quei giorni.
“La notizia è ovviamente vera e non una tua
invenzione o lapsus. Sì, i Foretellers erano automi,
costruiti nella mia stessa ditta da mio padre e mio nonno per aiutarmi
a vincere. Naturalmente sono rimasto disgustato da ciò, ed
è tutt’ora in corso una causa legale da parte mia
contro di loro e i loro complici. Ma basta parlare di me, torniamo a
te. Dunque, tu come lo sai? Purtroppo so anche questo.”
Ora fu Ephemera a fare una pausa, ma non c’era nulla di
teatrale. Si torceva le mani con espressione attrita, come se avesse
appena scoperto che il suo migliore amico faceva uso di droghe.
“Mi affligge davvero doverlo dire, ma ti ho sorvegliato.
Anche tu eri invischiato in questa operazione, ti era stato ripromesso
che sarebbero stati rimossi tutti gli ostacoli per permetterti uno
scontro finale contro di me. Poi la collaborazione sarebbe terminata,
poiché eri sicuro di potermi battere. E se penso a
perché hai fatto tutto ciò! Santo cielo, che
dolore!”
Roxas voleva gridare che era tutta una farsa, che non era vero nulla.
Ma sapeva che non gli avrebbero creduto. Non quando Ephemera gli stava
propinando un dramma di prim’ordine.
“Hai organizzato tutti questi sotterfugi perché
eri invidioso dei tuoi amici. Pensavi che non ti fossero più
debitori per i tuoi successi passati, e volevi riconquistarli alla
grande, non importava come! Hai fatto abbandonare la città
ai miei compagni, e hai persino mentito per far togliere i premi ai
tuoi amici pur di rendere questo il duello decisivo. Ho ragione o no?
Sto forse accusando un uomo innocente? Dimmelo!”
Roxas non riusciva a formulare un singolo pensiero coerente. Sapeva che
tutti aspettavano la sua smentita e in balconata qualcuno la desiderava
con tutto il cuore, ma non poteva. Era finita. Ephemera aveva mischiato
il dramma reale a quello fittizio, creando una rete indistricabile.
Dopo alcuni secondi, Ephemera riprese il microfono.
“Tu dici di non voler partecipare alla competizione e poi ti
riduci a fare questo… non riesco proprio a vedere come
potremmo prendere in considerazione le tue parole, nemmeno con tutta la
buona volontà del mondo. Credo sia tutto ciò che
c’era da dire in merito.”
La gara era finita. Nessun applauso. Nessun annuncio. Solo la pioggia,
un grigio sipario che preannunciava la fine di tutto.
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Capitolo 12 *** Dodicesimo Capitolo ***
Pioggia.
Tutto offuscato, la vista annebbiata. Sapeva c’erano voci
attorno a lui, ma lui era diventato sordo a ogni richiamo. Non riusciva
nemmeno a capire se fossero poche o tante, arrabbiate o sorprese,
amiche o ostili.
Due robuste paia di braccia lo trascinarono via. Erano familiari o
estranee? Due inservienti lo cacciavano via con disonore, o Lexaeus e
Axel stavano per dargli il benservito? Non lo sapeva, non lo vedeva.
Non gli importava.
Quando riprese coscienza di sé si ritrovò seduto
in un piccolo salotto, con niente di più che una porta, una
sedia e il divano che era il suo sedile. Curiosamente, era calmo. Non
felice naturalmente: il suo mondo era crollato, e aveva perso su ogni
fronte. Ma accettava il tutto con uno stoico senso di
fatalità imminente, di quelle che arriveranno a prescindere
da ciò che si poteva fare per evitarle. Già in
passato si era demoralizzato, e non era servito a nulla, quindi avrebbe
affrontato la minaccia incombente con rassegnazione.
‘Forse è questo che significa crescere e diventare
adulto.’
Dei passi preannunciavano l’avvicinarsi di qualcuno. Tempo
scaduto, dunque. Chiunque fosse, era pronto… almeno quanto
avrebbe mai potuto esserlo. Si chiese se sarebbe entrato Axel, o magari
Xion. Sarebbe stato lo scenario peggiore, ma anche sensato.
“Non sei arrivato al peggio se c’è
ancora Larxene in giro” era una tipica frase che si usava
dire al campus della Twilight Town quando il capo non era in giro, e si
dimostrò veritiera anche stavolta. La bionda
entrò, chiuse la porta e si mise a cavalcioni sulla sedia al
contrario, proprio davanti al divanetto. Iniziò a fissare
Roxas, che ricambiò. Nessuno dei due mostrava la
benché minima emozione o traccia di sfida: due persone
amiche che, perse nei tumulti della giovinezza, si studiavano
riflettendo sul destino e su ciò che sarebbe venuto dopo.
O, come la Presidentessa del Consiglio riassunse in modo succinto:
“Sembriamo due pesci lessi che tentano di decidere chi
è più lesso.”
“Già.”
“È tutto ciò che hai da dire?
Già?”
“Francamente, vedendoti non pensavo nemmeno avrei avuto
occasione di parlare.”
Larxene inarcò la schiena e si massaggiò le
tempie con la mano, nascondendosi alla vista.
“Roxy, Roxy, che mi hai combinato?”
“Io… volevo solo-“
“Lo so cosa volevi. Lo so. E essendo una vincente megalomane,
ti capisco. Insomma, non è che io sia stata
molto… fedele… in passato, lo sai. Ma
c’è vittoria e vittoria, e un buon capo deve saper
calcolare quanto perderà e quanto guadagnerà
prima di compiere una qualsiasi decisione. Tu quanto ci hai guadagnato
dalla tua furbata?”
“Larxene, ascolta. Mentre è vero che ho sbagliato,
ciò che ha detto Ephemera…”
Lei lo azzittì di nuovo, con il solo sguardo stavolta.
“Roxas. Forse non siamo stati i compagni che desideravi, ma
non siamo totalmente fessi. Non abbiamo creduto a tutto ciò
che quel pidocchio ha millantato, e sappiamo che probabilmente
c’era lui dietro a tutto. Ma ci sono cose, come i cavilli
delle nostre eliminazioni, che lui da solo non poteva conoscere. E tu
sapevi e hai rivelato a tutti noi che i Foretellers erano automi,
quindi almeno parte della storia sull’accordo è
vera. O no?”
“Sì.” Ammise il giovane a malincuore.
“Credevo di battere Ephemera. Ho rischiato molto, ma sono
caduto nel tranello come uno sciocco. E quindi ho perso, rovinando
tutto.”
Ci fu una lunga pausa, ma nulla lasciava pensare che la conversazione
fosse finita. Larxene sedeva ora accanto a lui sul divano meditabonda.
Sembrava che volesse dire qualcosa e stesse cercando le parole giuste.
Quando infine parlò, la sua voce era tinta di una live
sfumatura di tristezza che lui non aveva mai sentito.
“Oh, Roxas. Noi tutti ti vogliamo bene, sappiamo la
verità -sia brutta che bella- e siamo consapevoli di quando
due anni fa eri al centro dell’odio generale… ma
vedo che ancora non capisci. Qui non si tratta di vincere o perdere. Si
trattava di realizzare le proprie mancanze, su questo
puntavamo.”
Il ragazzo la fissò con rinnovata curiosità. Si
aspettava le scenate e i rimproveri, ma evidentemente il tempo delle
spiegazioni non era ancora finito.
“E va bene, te la metterò in modo semplice.
Partiamo da Sora. Immagino che Ephemera ti abbia raccontato la sua dose
di falsità, ma ti sei mai chiesto davvero perché
lui è stato scelto? Credi di essere stato l’unico
a rendersi conto che a stento sapeva mettere due e due assieme?
“Sora ha qualcosa che tu non hai. ‘Che tu
avevi’ sarebbe più corretto. Lui non è
sveglio, ma rispetta gli altri e li sa unire, proprio come avevi fatto
tu in passato. Ed è per questo che era con noi: speravamo
che vedendolo ti saresti reso conto che eri cambiato.”
“Io sono cambiato?”
“Certo! Lo sei eccome. Ormai interagivi solo con noi. Varie
volte all’università ho ricevuto segnalazioni del
fatto che scansavi la gente che ti avvicinava, e quando ci riunivamo
lanciavi alcune frecciatine velenose appena dicevamo qualcosa di
positivo su un nuovo venuto, senza nemmeno rendertene conto. Xion ha
provato a fartelo notare ma diceva che appena ci provava ti immusonivi,
e nessuno voleva incrinare i rapporti con te per cose simili,
né lei né tantomeno noi.”
Roxas non poté non sentire la voce di Ephemera
riecheggiargli nella mente.
“Nemmeno mi
notasti, mentre venivo picchiato. Tu eri un idolo per me, ero una di
quelle matricole venute a vedere il grande Roxas, l’eroico
protettore dei deboli che sfidava il sistema e i suoi bulli. Quanti sogni
mi ero fatto… solo per scoprire che eri come tutti gli
altri.[…] Mi rimproverasti perché la mia uniforme
era in disordine. Tutto lì. Fine. Mi lasciasti
così, troppo intento a chiacchierare con una ragazzina che
si beveva ogni tua parola.”
Effettivamente, ricordava alcuni accenni di lite con Xion di cui
nemmeno si era mai spiegato il motivo. Probabilmente li aveva rimossi
subito, come tutto il resto.
Larxene ricambiava il suo sguardo con uno pieno di compassione, ma
anche di disapprovazione nel ricordare quei momenti. Chissà
quanto aveva sopportato, lei che era una maniaca del controllo ma che
per buona creanza e amicizia non aveva potuto intervenire.
“Ammetto che il nostro intento si dimostrò un
fallimento da subito. Ti isolasti, pieno di risentimento, senza provare
ad aprirti con nessuno. Lì capimmo che la cosa era
più grave del previsto. E poi ci fu un fatto che ci colse
tutti alla sprovvista: Xion e Riku.”
Roxas fremette in modo quasi impercettibile, ma Larxene dovette
essersene accorta e abbassò il tono della voce per riguardo.
“Non ne avevo idea. L’aveva tenuto nascosto a
tutti, tranne a colui che l’ha rifiutata. Ma Riku…
beh, sarà pure maturo e calmo ma non ha esperienze in questo
campo e non sapeva cosa fare. Rimane pur sempre un ragazzo, in fin dei
conti. Quando ce ne accorgemmo, oh, non puoi immaginare
l’imbarazzo generale. Credimi quando ti dico che non volevamo
farti una cattiveria… ma come potevamo dirtelo? E Xion
stessa… io credo che nonostante i dissapori abbia cercato di
rimediare perché ti vuole ancora… ma qui andiamo
su un discorso che non mi riguarda. La decisione lì
è solo tua. Almeno quella.
“In conclusione: i metodi subliminali hanno mandato tutto a
quel paese, quindi lo dirò in modo chiaro: Roxas, pur
rimanendo fondamentalmente buono, la popolarità ti ha dato
alla testa. E qui hai dimostrato che ti abbasseresti a livelli ignobili
pur di mantenere lo status quo, servendoti di tutti perché
tutti sono sotto di te. Sai chi si comportava così?
Xemnas.”
Scena muta. E cos’altro poteva dire? Solo ora realizzava la
vera portata della sua stupidità. Non era uno dei cattivi in
questa storia. Era IL cattivo, il peggiore di tutti. Larxene tacque,
aspettandosi una risposta che non venne mai. Quando lo
realizzò, si alzò e fece per andarsene.
Lui la bloccò sull’uscio. “Axel? E Xion?
E gli altri?”
Ormai farfugliava solo parole sconnesse, ma lei capì
ugualmente. “Che vuoi che ti dica? Dicono che noi donne siamo
le più misteriose, ma loro hanno sfoderato delle espressioni
indecifrabili mica male. Ma non hai bisogno di me per indovinare cosa
pensano, vero? Xion invece non la vedo da dopo la gara. Ha lasciato lo
stadio in tutta fretta.”
Roxas la lasciò andare. Ora si erano veramente detti tutto.
Lei non lo guardò più e se ne andò nel
corridoio.
Lui tornò sul divano, mentre la pioggia batteva
incessantemente sul tetto e sui muri.
Piovve fino al giorno dopo. Temporali del genere erano frequenti in
quella zona, a bilanciare la secchezza eccessiva della piena estate. I
contadini apprezzavano quelle piogge e avevano trovato il modo di
sfruttarle al massimo per i raccolti. L’agricoltura era una
risorsa primaria del Paese, sebbene il settore terziario fosse ormai in
espansione. Il senatore John Darkside, tradizionalista, si era battuto
più volte nel corso della sua carriera per proteggere e
valorizzare i prodotti agricoli.
Nonostante la situazione, Roxas trovò buffo che il suo
cervello stava iniziando a correre da un argomento all’altro.
Forse era un mezzo di difesa, un modo per scappare alla
realtà e all’uomo che aveva di fronte, che in quel
momento impersonava la dura realtà meglio di chiunque altro.
Il rettore Ansem, il padre della sua ex-ragazza, il preside di
un’accademia prestigiosa che era stata coperta di infamia e
disonore, lo scrutava con un cipiglio cupo.
“Roxas, perché?” Gli adulti avevano
sovente bisogno di più spiegazioni delle azioni dei ragazzi.
“Per la vittoria, signore. Per il prestigio e per la
sensazione di gaudio.”
“Quanto pensi mi importino i trofei e il prestigio?”
“Non quanto si penserebbe. …Non quanto i suoi
concorrenti.”
“Esatto. Almeno, pare che tu abbia afferrato il concetto. In
quanto educatore, posso ritenermi soddisfatto. Credo tu sappia ora cosa
succederà, quindi.”
“Sì, signore.”
Ansem gli porse un biglietto. Nave S.S. Highwind, ultima classe.
“A prescindere da tutto eri mio ospite e sotto la mia
supervisione, quindi ecco il tuo biglietto di ritorno. Io e i ragazzi
siamo trattenuti qui per accertamenti su tutto questo scandalo dei
Campionati, così come chiunque faccia parte delle
università.”
Il ragazzo non aveva parole, stavolta per la commozione. Sapeva che gli
agenti lo avrebbero cercato, lui era il primo indiziato.
Quell’uomo, dietro le dure parole, lo stava aiutando a
salvarsi nonostante tutto ciò che era successo!
Purtroppo le sue parole facevano intendere anche la conseguenza delle
sue azioni. Non era solo un aiuto per lui, anche Ansem si stava
salvaguardando con questa decisione.
“Ti è vietato trovarti entro centocinquanta metri
dagli edifici scolastici e dal territorio del campus; Non ti
è possibile usufruire di alcun diritto o privilegio
associato all’università, né di avere
contatti ufficiali con gli studenti o di rappresentarci in nessun modo.
Sei espulso a vita, ragazzo.”
Maggio stava finendo, e iniziava l’ultima sessione
d’esami prima delle vacanze estive. Per gli studenti del
primo e secondo anno era solo un’ennesima sessione che
precedeva quella autunnale di Settembre; per quelli del terzo che erano
in regola col loro libretto invece rappresentava la dirittura
d’arrivo, lo sprint finale in cui dare gli ultimi esami per
poi laurearsi. La fine della corsa.
Per questo motivo nessuno dei passanti che percorrevano la piazza della
fontana avrebbe mai immaginato che il ragazzo seduto su una panchina a
nutrire svogliatamente qualche piccione era un ottimo studente che solo
qualche settimana prima aveva un pedigree studentesco di
prim’ordine. Che tra le sue conoscenze poteva annoverare lo
stimato rettore dell’Università che era
l’orgoglio della città e la sua dotatissima
figlia; il figlio del magnate dell’elettronica locale, che
col suo brillante cervello aveva annientato la concorrenza; il
musicista nonché leader dei Rhythm Mixer, la band che
suonava al pub; e quei due senior dell’Università,
il gigante buono e l’affascinante ragazza che ora era
Presidentessa del campus.
Persone e ricordi di un’altra vita, un capitolo chiuso. Il
ragazzo sparse le ultime molliche del suo panino ai pasciuti volatili e
volse pigramente lo sguardo in giro. Era una classica tarda mattinata
di un giorno lavorativo a Twilight Town: madri che avevano accompagnato
i figli ora facevano compere o chiacchieravano con le neo-mamme e
guardavano i loro neonati; uomini d’affari che avevano deciso
di concludere le trattative in armonia si gustavano un caffè
seduti accanto ai tavolini all’aperto dei bar; ragazzini
delle medie e del liceo che saltavano la scuola e passeggiavano ridendo
o seduti sul bordo della fontana soddisfacevano le loro
curiosità sull’altro sesso.
Sia la fontana che la piazza erano meno grosse e affollate di quelle a
Radiant Garden: ma la vita che le pervadeva aveva un valore e
un’identità tutto suo, più unico e al
tempo stesso genuino di quella nella grande metropoli. Lì
vite, mestieri e passioni erano tutto ciò che contava. Non
si cercava di primeggiare sul prossimo o di danneggiarlo; tutti erano
troppo impegnati a spendere il loro tempo con le persone care e nel
modo più felice possibile. Il ragazzo che sfamava i piccioni
vedeva questo e lo comprendeva; ma la realizzazione era arrivata troppo
tardi.
Una cosa di Roxas a cui tutti prestavano attenzione e che gli aveva
perdonato forse anche qualche vizio di troppo era che era solo: era
cresciuto da subito con gli zii e si era traferito in quella
città dopo anni di risparmi e aiuti da tutti. Questo
significava che se Roxas veniva lasciato solo, era DAVVERO solo, senza
nessuno a sostenerlo nella vicinanze.
Il ragazzo aveva approfittato della bella stagione per dormire sotto le
stelle, non potendo più usufruire della sua stanza al
campus. Ora però aveva solo due scelte: poteva tornare a
casa e venire a patti col suo fallimento, ripartendo da zero; oppure
poteva usare i soldi che stava mettendo da parte per tre anni per
trovarsi un appartamento, cercarsi un lavoro e continuare a vivere
lì. Ma a che scopo? Chi avrebbe voluto vivere accanto ai
suoi ex-amici, accontentandosi di un lavoro qualsiasi mentre loro
proseguivano con la loro vita?
La stazione non era lontana, magari la corriera che tre anni prima lo
aveva portato lì c’era ancora… Roxas si
alzò dalla panchina e fece per andare a controllare, ma
urtò un passante finendo a terra.
“Ah, le mie scuse! Non mi ero accorto c’era
qualcuno, colpa mia. Vieni, ti dò una mano.”
Lo sconosciuto non aveva subito il minimo contraccolpo dalla
collisione, e lo tirò su senza fatica. Chiunque fosse,
doveva essere dotato di una forza non indifferente.
“Ecco, io… Aspetta. Sei Roxas!”
Sentendo il suo nome da una voce non familiare, il ragazzo
alzò lo sguardo. E vide Terra, che lo guardava sorridente e
un po’ imbarazzato. Pur privo di emozione com’era,
non si aspettava di incontrare lo studente del Departure College. Che a
quanto pare non era solo.
“È vero! Sapevo che eri qui, ma non mi aspettavo
di vederti!”
“Mf. Bene, l’abbiamo visto. Ora possiamo
andare?”
Aqua, e dietro Vanitas. Tutti e tre vestivano abiti ordinari (Aqua era
assai disinibita, in netto contrasto con la sua immagine di studiosa
diligente) e avevano occhiali da sole e cartina; sembravano proprio dei
classici turisti. Li accompagnavano una ragazza minuta con gli occhiali
che celavano degli occhi blu quasi privi di pupille e delle trecce
castane e un altro ragazzo non troppo dissimile da Roxas fisicamente,
ma coi capelli più corti e di un biondo più
chiaro del suo. Quest’ultimo si fece avanti e lo
squadrò per bene.
“Ma pensa, e quindi tu saresti Roxas. È vero, ci
assomigliamo un po’. Terra e Aqua me l’avevano
detto, che ai Campionati avevano visto questa specie di mio
sosia.”
“Uhm, tu chi...?”
“Oh, giusto. Scusa. Io sono Ventus. Sono quello che
è stato estromesso per far posto al grande piano di
Ephemera. Ho sentito è successo anche a te, eh?”
E così quello era Ventus. La schiettezza con cui introduceva
gli argomenti era disarmante, ma non sembrava una brutta persona. E
quindi l’altra ragazza…
“E lei è Chirithy. Vi siete visti, anche se per
poco e con un grosso soprabito di mezzo, quindi non credo si
offenderò se non l’hai riconosciuta.”
“Ro-Roxas… ciao.”
Chirithy! Roxas non aveva più pensato a lei, o al massimo
l’aveva accomunata ai Foretellers. E invece era una ragazza
in carne e ossa. Anche solo il fatto che fosse una ragazza era
sorprendente di suo. Ephemera l’aveva introdotta come un
maschio, se ben ricordava. Aqua si prese carico delle spiegazioni.
“Ephemera l’aveva costretta tramite una scommessa a
vestire quel soprabito e a non parlare, per credo nient’altro
che il suo sadico divertimento. Dato che è anche lei del
primo anno, nessuno di noi la conosceva e ci siamo cascati
tutti.”
“Io la conoscevo” intervenne Ventus “Ma
come avrai capito, un giorno mi hanno misteriosamente comunicato che la
mia presenza ai Campionati non era più richiesta.”
“Come mai siete qui?”
Prima che qualcuno potesse rispondergli, intervenne Vanitas.
“Bella domanda, ma io ne ho una migliore: a te che importa?
Non mi pare ti dobbiamo spiegazioni.”
“Vanitas, andiamo. Non ti pare strano che a mezzogiorno Roxas
si trovi qui e non al campus? È ovviamente una vittima come
noi.”
“Col cavolo che è come noi! Io non vado a vendere
i miei compagni solo per un contentino per poi fare la figura del fesso
madornale.”
“Van!”
Roxas cercò di ignorarlo. “E quindi siete stati
espulsi dal Departure?”
“Bella domanda. Forse? Non lo sappiamo, appena arrivati
abbiamo disertato prima che potessero comunicarci nulla. Non avevamo
alcuna intenzione di restare in un simile covo di corruzione, il parco
giochi di Ephemera.
“Per rispondere alla tua prima domanda, siamo qui per
incontrare qualcuno. Ci ha detto che poteva aiutarci.”
“Aiutarvi? Con cosa?”
“Terra, no. Non gli dobbiamo alcuna spiegazione, e non
sappiamo a chi lo andrà a dire!”
“Vanitas! Ora basta!” Il tono di Aqua si fece duro,
e il ragazzo dai capelli corvini tacque, pur mantenendo un
atteggiamento ostile verso Roxas.
“Grazie, Aqua. Cosa vogliamo, chiedi? Ma è ovvio.
Vendetta.”
“Vendetta?”
Terra si animò e lo afferrò per le spalle.
“Certo! Cos’altro? Non staremo impassibili mentre
uno stupido ragazzino fa il bello e il cattivo tempo. Credevo che tu
più di tutti ci avresti capito!”
Roxas conosceva quegli occhi, e sapeva cosa Terra stava per dire, per
questo lo anticipò.
“Risparmiati la prossima frase, Terra. Non credo di potervi
aiutare.” Non era un eroe. Forse non lo era nemmeno mai stato.
La delusione del ragazzo era evidente, così come
l’espressione da ‘Ci mancherebbe altro’
di Vanitas.
“Beh, va bene. Ma almeno vuoi venire con noi? Credo che lui
vorrà vedere anche te.”
Già, Roxas non aveva elaborato. Da chi stavano andando quei
ragazzi? Chi c’era a Twilight Town che li poteva aiutare? La
curiosità si dimostrò più forte di
ogni reticenza.
“Dove dovete andare?”
“Ah, grazie che l’hai chiesto. Ecco, guarda,
l’ho segnato sulla mappa. Magari sai come ci si
arriva.”
Il biondino osservò il nome sulla mappa, e pensò
che il destino aveva oltre a un senso dell’umorismo parecchio
distorto anche una riserva infinita di tiri mancini.
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Capitolo 13 *** Tredicesimo Capitolo ***
Tredicesimo Capitolo
Roxas percorreva un lungo corridoio bianco intervallato da finestre con
le inferriate. Sapeva che il colore serviva a rilassare e a rendere
sterile l’ambiente, ma non poteva non ricordargli il design
del precedente Consiglio studentesco. O forse era l’idea
dell’incontro imminente che gli faceva riaffiorare simili
ricordi.
L’infermiera aveva osservato a lungo i loro permessi di
visita prima di scortarli dal paziente. Sembrava turbata, come se in
qualche modo stessero violando i protocolli, ma forse era solo severa.
“Stanza 113. Ecco. Cercate di non provocare alcun
cambiamento, e se notate qualcosa di insolito avvertite un
inserviente.”
Detto questo si dileguò, lasciando il gruppetto da solo e
quindi già contraddicendo la sua seconda raccomandazione.
“Bene, entriamo.” Terra afferrò la
maniglia e spinse cautamente la porta.
La stanza era abbastanza ampia e accessoriata con i comfort basilari,
più qualcosina in più. Parecchi libri giacevano
su un tavolo accanto a una scacchiera pieghevole, e accanto alla porta
per il bagno c’era un piccolo scaffale con altri volumi. In
un angolino c’era anche un piccolo televisore, ma era spento.
E accanto a una larga finestra che mostrava il giardino
dell’istituto psichiatrico Lux in tutta la sua bellezza
primaverile sedeva un giovane uomo alto e decentemente proporzionato,
con dei capelli argentei appena più lunghi
dell’ordinario.
Il precedente presidente del Consiglio, il figlio del Rettore e
ex-nemico giurato dei Nobodies.
“Siete arrivati. Accomodatevi.” La casacca bianca
della struttura non aveva privato Xemnas della sua solita
autorità e del suo affascinante carisma, né la
sua voce aveva perso potenza e abitudine al comando. Ma per chi lo
conosceva vi era giusto una punta in più di gentilezza nel
suo tono. Tutti presero posto su delle sedie pieghevoli che senza
dubbio erano state preparate apposta.
Roxas sapeva che Xemnas non era pazzo: era relegato lì in
parte per curare le sue manie di egocentrismo dopo che a causa di esse
aveva trasformato il campus universitario in un sistema che favoriva
l’ordine mentre distruggeva il diverso e in parte come
punizione impostagli dal padre, che pur andandolo a trovare ogni giorno
voleva essere sicuro imparasse la lezione. Sapeva tutto questo, ma solo
perché gliel’aveva detto Xion. Lui non gli aveva
mai fatto visita, e forse avrebbe dovuto: già la situazione
era imbarazzante visto che i due erano stati nemici agguerriti, e ora
c’erano anche più di due anni di vuoto!
“Avete risposto alla mia convocazione, e avete portato Roxas
come da istruzioni. Perfetto.”
“Cosa?”
Aqua si ritrasse sulla sua sedia, mentre Terra si grattò il
capo. “Scusa, amico. Il nostro incontro non è
stato proprio accidentale, così come il chiederti di
accompagnarci. Non volercene, ma ci era stato detto ti saresti
rifiutato davanti a un invito diretto.”
“Giusto per chiarire, io non stavo fingendo quando dicevo di
non coinvolgerti, spione.”
“Vanitas! Ora anche i nomignoli? Adesso non sei migliore di
un qualsiasi bullo che… oh..”
Xemnas agitò pacatamente una mano per scacciare
l’imbarazzo. “Non fa nulla. È giusto che
chi ha commesso delle colpe si dimostri impassibile quando gli vengono
ripresentate. Non è così, Roxas?”
Il ragazzo sapeva cosa intendeva dire. Stranamente continuavano ad
avere quella strana sintonia. Rivolto ai ragazzi del Departure disse:
“Dopo quello che ho fatto, non posso condannare chi mi tiene
all’oscuro di qualcosa. So che agivate in buona
fede.”
L’ex-Presidente annuì.
“Come riparazione a questo inganno, prima vorrei scambiare
due parole con te in privato. Chiedo a voialtri di
pazientare… no, non c’è bisogno che vi
alziate. Qui ci sono modi per passare il tempo; andremo noi a farci una
passeggiata.”
Passeggiarono tra i viali alberati, su un sentiero pieno di sassi
levigati e piacevoli al tatto. Il posto era un istituto, ma Roxas
pensò comunque che non era un brutto luogo dove rilassarsi.
Poi però pensò che in effetti rilassarsi era
l’unica cosa che si poteva fare: pochi pazienti avevano il
permesso di lasciarlo anche solo per brevi periodi.
“L’aria aperta fa bene al cervello. È un
dato scientifico dimostrato, eppure troppa gente ignora gli effetti
benefici di una cosa così semplice.”
“Forse proprio perché è semplice. Oggi
la gente è sempre di corsa e non ha il tempo di prendersi
cinque minuti per rinfrescarsi le idee. Ritiene non ne valga la
pena.”
“Giusta osservazione. Ritengo sia superfluo dirti
perché ti ho voluto qui oggi, Roxas.”
“Difficile pensare sia qualcosa che non riguardi i
Campionati.”
“Parzialmente corretto. Giacché i Campionati nello
specifico non mi interessano, sono stati solo lo scenario degli eventi.
Mi interessa parlare di te e delle tue azioni.”
Sembrava di sentire un padre fare la predica al figlio dopo essere
venuto a sapere dei suoi errori.
Roxas deglutì. “Quanto sai?”
“Molto. Mia sorella viene spesso a trovarmi e a informarmi su
ciò che accade, e ultimamente i suoi argomenti sono stati
piuttosto… monotoni.”
Il biondino avrebbe voluto chiedergli cosa esattamente gli avesse
detto, ma decise che non era il caso. Xemnas non l‘aveva
chiamato per spettegolare. Ma ora era lui a dover mostrare un
po’ di telepatia.
“Ora sono io a ritenere superfluo che tu ti sia preso tutto
questo disturbo solo per criticarmi. A meno che tu non abbia un
concetto della vendetta più superficiale del
previsto.”
“Heh. No di certo. Le nostre lance si sono scontrate e tu ne
sei uscito vincitore: non ho motivo di serbarti rancore. E credo tu ti
sia già punito abbastanza.”
“Cosa intendi dire?”
Xemnas si fermò e lo fissò. “Roxas,
intendi passare il resto della tua vita sulle panchine davanti alla
fontana? Nutrirai ogni piccione della contea?”
L’ex-Presidente aveva ancora i suoi modi di reperire
informazioni. Roxas capì solo ora che il loro era un
incontro segreto e nascosto alla sua famiglia, il che spiegava
l’atteggiamento nervoso dell’infermiera. Ansem e
Xion non avrebbero mai saputo di questa loro discussione.
“Io… prima stavo andando alla stazione-“
“Tornare a casa. Ricominciare da zero.
C’è chi lo chiamerebbe fuggire, e chi la
definirebbe l’unica scelta sensata.”
“E tu?”
“Io lo chiamo tornare a casa perché trovo che
affibbiare altri nomi ai concetti sia caotico e fuorviante. Ma qua non
si tratta di me. Qua si tratta del ragazzo che con la sua
eccentricità e metodi stravaganti ha trionfato sul mio
impiego della ragione, e che ora sta invece decidendo di frenare il suo
istinto e di lasciarsi paralizzare dal buonsenso.”
Roxas non capiva se erano complimenti o meno, ma capiva il messaggio.
D’altronde già lo presumeva dall’inizio.
“Xemnas, ci ho provato. Ho agito come meglio credevo, e
guarda i risultati. Sono stato sconfitto su tutta la linea: ho perso
gli amici, la ragazza, la carriera, le morali. …Forse dovrei
esserci io, chiuso qui dentro.”
“E tutto questo ti va bene?”
“Mi va bene. Mi va bene? Ovvio che non mi va bene! Sono stato
completamente preso in giro, e nessuno mi conforta! Ho fatto cose
orribili, quindi perfino ai miei occhi sono spregevole! Non ho nessun
sollievo in questa situazione!” Il ragazzo tirò
calci ai sassi e prese a pugni alcuni tronchi d’albero, dando
sfogo a frustrazioni di mesi e mesi. Xemnas osservava impassibile.
“E la cosa peggiore, è che io vorrei tanto
rimediare. A tutto: ai miei errori, chi ho deluso, la gente che mi
disprezza… il non poterlo fare mi opprime e mi schiaccia a
terra.”
“E chi dice che non lo puoi fare? Questo l’hai
decretato tu.”
“Non hai sentito? Ho provato-“
“Hai provato, sì. Hai provato a fare il leader
autoritario. Hai provato a decidere per gli altri e ha fare tutto da
solo. Hai provato a essere me.
Ciò che non ti ho ancora visto fare, è provare a
essere te stesso.”
Ora erano entrambi immobili in mezzo ai sassi. Il sole si stava
avviando nella sua parabola discendente.
“Roxas, tu non hai sequestrato Marluxia. Non hai disattivato
i computer di Vexen. Non hai picchiato Xaldin e il suo squadrone, e non
hai ingannato Xigbar. È stato il lavoro di altri, che hanno
sfruttato al massimo le loro abilità individuali per
garantirti la vittoria. E sebbene li trovi puerili e spesso discordanti
fra loro, userò un proverbio e ti dirò che
squadra che vince non si cambia. O meglio, la squadra è
cambiata perché ora ci siamo io e te e gli altri ragazzi del
Departure College… vedi? Questa proverbiale saggezza
popolare è piena di falle logiche e altamente
situazionale!”
“Xemnas, perché? Cosa ti spinge a tanto? Tu
cos’hai contro Ephemera?”
“Tralasciando che ha privato di prestigio la mia vecchia
scuola, nonché coperto d’imbarazzo letteralmente
metà della mia famiglia? Non ti inganni,
c’è di più. Ma ne parleremo a tempo
debito. Per ora abbiamo abusato anche troppo della pazienza dei nostri
compagni.”
Tornarono dentro l’edificio. “Non ti ho ancora
detto se accetto o no.”
“I tuoi occhi non sono quelli di chi si è arreso.
E non credo stai salendo le scale assieme a me per tenerti in
forma.”
Erano di nuovo tutti assieme nella piccola stanza. Xemnas aveva fatto
un riassunto generale della situazione e dei dati su Ephemera, sia per
ripasso sia per coprire eventuali falle personali di chi non avesse
tutte le informazioni. Ora voleva proseguire e discutere di un
eventuale piano, ma Vanitas mostrò di nuovo le sue reticenze.
“Quindi ora ha accettato? Ha cambiato idea così
all’improvviso, dopo aver visto chi era il nostro mandante?
Molto sospetto.”
“Van…”
“No, lasciatelo parlare. È giusto dica quello che
ha da dire.” Roxas voleva ormai risolvere quella faccenda.
“Vanitas, tu non ti fidi di me. Magari nemmeno ti piaccio. E
lo comprendo: probabilmente nemmeno io mi fiderei di uno coi miei
precedenti.” Il biondino ripensò alle sue prime
impressioni su Riku e Sora. “No, sicuramente non mi
fiderei. E non ti chiederò di fare qualcosa che non farei
io. Ma se saremo in una squadra assieme, dobbiamo almeno collaborare, o
allora sì che avremmo perso in partenza.”
“Il punto è proprio questo. Non voglio collaborare
con te. Non ti voglio in squadra. Riconosco che non ha molto senso che
tu sia in combutta con Ephemera. Ma ho visto cosa hai fatto ai tuoi
migliori amici, e a noi ci conosci da.. .diamine, non ci conosci
affatto!”
“Vanitas.” La voce calma di Xemnas
sovrastò ogni altro rumore. “Tu sei un valido
alleato. Comprendi il valore della fiducia, una virtù che io
ho imparato ad apprezzare solo a caro prezzo. Tutti i miei subordinati
mi hanno abbandonato appena persi il potere. Come te, anch’io
so cosa si provi nell’essere tradito, e anch’io
sono cauto nell’affidarmi agli altri. Ma ti manca la
capacità di individuare altri che sono nella tua stessa
condizione, anime affini alla tua. Non sono nemici, ma preziosi
alleati. E Roxas, oltre a essere nella nostra stessa barca se non
peggio, ci serve. Non posso fare a meno né di te
né di lui.”
Vanitas tacque, chiaramente impressionato. Alla fine si
rilassò sulla sedia e incrociò le braccia,
mormorando. “Per ora va bene, ma lo terrò
d’occhio. Se noto qualcosa di insolito…”
“Ti prego di farcelo sapere. E di non agire di tua iniziativa
a meno che non sia davvero l’ultima opzione rimasta.
“Ora, torniamo al piano. Sapete ormai tutti di Ephemera e dei
suoi Foretellers. Come vi ho appena illustrato, Ephemera è
ora al comando non solo di alcune università, ma anche delle
industrie di famiglia, una multinazionale all’avanguardia nel
campo della scienza.”
“Insomma, Ephemera vuole attuare una specie di rivoluzione
nel campo dell’educazione?” Chiese Terra infine.
“Non solo in quello, temo. Ha replicanti che sembrano
perfettamente umani e capaci di apprendere ogni disciplina. Una volta
perfezionati i prototipi avrà il mondo a portata.”
Vanitas sbuffò. “Sembra che stiamo contro il
cattivo di un film d’azione. Ora ci insegnerete il kung-fu
tramite un cd?”
“Non basterà un’arte
marziale.” Roxas nutriva seri dubbi Xemnas avesse addirittura
capito la battuta o la citazione. “Questo Ephemera
è anche intelligente, molto. Non esagera quando si
autodefinisce un genio, anche per i nostri standard. Ha previsto e
interpretato correttamente ogni vostra azione, e immagino abbia perfino
ipotizzato una vostra alleanza. Per questo non si è curato
di sorvegliarvi dopo aver saputo del vostro abbandonare la scuola: lui
ritiene che nulla di ciò che potete escogitare lo
coglierà impreparato. Ma ignora un particolare.”
“E sarebbe?”
“Me. O meglio, forse ha pensato persino al mio
coinvolgimento. Ma lui non sa che io so. Esiste una persona che
possiamo contattare, anzi che DOBBIAMO contattare. Nessuno al di fuori
di Ephemera penserebbe mai sia coinvolta in tutto questo.”
Roxas era confuso da tutta quest’aura di mistero.
“Di chi stiamo parlando?”
“Non la conosci, e anche se ti spiegassi chi è o
cosa fa non capiresti. Perfino sono risalito con difficoltà
alla conclusione che mi fa capire il suo intervento sarà
fondamentale. E non è nemmeno difficile da trovare. Anzi, il
problema è proprio questo: so dov’è, ma
è un posto difficilissimo in cui introdursi. Men che mai se
cerchi questa persona.”
“Capisco. Quindi, come facciamo?”
“Non ne ho idea. Mai nel corso della mia vita mi è
capitato di dover infrangere le regole. Non ho esperienza
alcuna.”
“Scusate.” Chirithy prese pacatamente parola.
“Si parla di infrangere le regole? Nemmeno io l’ho
mai fatto.”
“Io neppure.” Le fece eco Ventus, e
così gli altri.
“Ero una studentessa modello fino a poco
fa…”
“Posso sembrare intimidatorio, ma l’unica
attività che pratico è quella sportiva. E anche
lì rispetto religiosamente i codici di
comportamento.”
“Mf. Abbiamo formato la congrega degli angioletti.
…Non che io possa dire di meglio.”
Xemnas si rivolse a Roxas. “Tu sei l’unico qui che
possa vantare un’esperienza più che discreta.
Abbiamo le conoscenze nei vari campi, ma non riusciremmo mai a metterle
in pratica da soli, non per questi fini. Dunque ci serve il tuo aiuto.
Dobbiamo diventare dei delinquenti.”
Roxas osservò il gruppo riunito. Gli ricordò
quando, una vita fa, aveva squadrato i ragazzi nella stanza 713 del
campus: il gigante pacifico, l’esuberante ottimista, il
tattico scontroso, e il leader che gli chiedeva aiuto. Non era cambiato
molto a parte il fatto che le due ragazze, la geniale bellezza e la
timida minuta erano già presenti e non si erano unite dopo.
Individui uniti da un intento comune, pronti a tutto per ricordare al
mondo che il divertimento e la libertà
d’espressione valevano più di qualche regola. I
suoi nuovi Nobodies.
“Quanto tempo abbiamo?”
“Per il piano che ho progettato, il VIP ci servirebbe entro
un paio di settimane al massimo.”
Roxas sorrise. “Me ne basta una.”
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Capitolo 14 *** Quattordicesimo Capitolo ***
Quattordicesimo Capitolo
Roxas si presentò alla segreteria e percorse da solo
l’ormai familiare corridoio. Aveva imparato a memoria gli
orari in cui Xemnas era reperibile e era di turno
l’infermiera “complice” che lo lasciava
entrare senza chiedere nulla. Bussò brevemente alla porta ed
entrò.
Xemnas stava leggendo una sorta di opuscolo, come quelli che venivano
consegnati agli studenti che cercavano
un’università. Appena lo vide mise il
dépliant da parte.
“Bentornato, Roxas.”
“Buon pomeriggio.” Anche dopo quegli ultimi giorni,
gli sembrava strano conversare amichevolmente con Xemnas, come
dimostravano le frequenti pause nei loro discorsi.
“Come… come va?”
“Non mi lamento. Mio padre sembra più sereno di
questi tempi, ed è meglio così.”
“E Xion?”
“Non viene più molto spesso. Credo stia finendo
gli ultimi esami. Vuole recuperare in fretta l’umiliazione
subita ai Campionati.” Xemnas aveva la strana
qualità di introdurre aneddoti anche imbarazzanti o crudeli
con la massima calma. Roxas doveva ancora capire se era un pregio o un
difetto. “E la squadra come va?”
Bene, il biondino non si poteva lamentare. I ragazzi del Departure
imparavano con la rapidità che ci si aspettava da studenti
scelti per i Campionati. L’unica sua preoccupazione era che
seguivano le istruzioni alla lettera senza prendere mai iniziative, ed
era un po’ un problema per il loro tipo di lavoro: ci
sarebbe voluto più del semplice cervello per battere
Ephemera. Ma in ogni cosa ci mettevano l’anima, quindi tutto
sommato procedevano spediti.
“Ce la caviamo. Sono venuto perché è
scaduta la settimana ed è ora di sapere a cosa andiamo
incontro.”
“Roxas, per quello che ho in mente non vi è
margine di errore. Non possiamo fallire, e di certo non mi rassicura
sapere che ‘ve la cavate’. Se ti serve
più tempo-“
“Proprio perché c’è in ballo
così tanto che voglio procedere ora. Se davvero la posta in
gioco è così alta da richiedere
abilità simili, effettuare i preparativi nella
metà del tempo dovrebbe essere procedura standard. Non
abbiamo vinto contro di te giocando al ribasso, Xemnas.”
Il giovane lo guardò, con la sua espressione indecifrabile.
Roxas si chiese se non avesse osato troppo.
“Hai ragione. Chiama gli altri.”
In breve tempo la stanzetta fu di nuovo piena di gente che prendeva
posto sulle sedie. Appena Roxas scelse un sedile, Vanitas si sedette il
più lontano possibile da lui come al solito. Sapeva che la
fiducia non sempre si guadagnava in qualche giorno, ma sperava davvero
di risolvere la faccenda il più in fretta possibile. La
situazione prometteva di essere complicata senza aggiungervi tensioni
interne. Accanto a lui prese silenziosamente posto Aqua,
Terra dall’altro lato. Almeno loro sembravano più maturi.
Xemnas aspettò che tutti si mettessero comodi e
tirò fuori l’opuscolo che stava leggendo prima.
“Questo è il nostro obiettivo.
C’è qualcuno all’interno che bisogna
assolutamente contattare.” I ragazzi si sporsero sul tavolo
al centro e lessero: “Centro Sociale Dandelions per Giovani
Menti”.
“E questo cos’è? Dobbiamo andare in una
specie di scuola per bimbi speciali?” Vanitas fu il primo a
dare voce alle sue perplessità.
“Sembra uno di quei centri dove ti portano i genitori durante
l’estate,” ammise Terra.
“Sembra, ma ovviamente non è così
semplice. Non viene espressamente detto, ma documentandovi un
po’ di più capireste che il pedigree necessario
per frequentare il complesso è ai più alti
livelli. Non è propriamente sbagliato dire che funge da
centro estivo, mia sorella ci è andata una volta per un paio
di mesi. È tornata distrutta, ma da quel momento i normali
corsi accademici le sono sembrati una passeggiata. Questo è
il posto che ci interessa.”
Chirithy si aggiustò gli occhiali. “Hai detto
dobbiamo incontrare qualcuno dentro, giusto? Chi
è?”
“Un frequentante a tempo pieno. A volte bambini DAVVERO
speciali ricevono mecenatismo per vivere tutto l’anno nella
struttura e specializzarsi in qualcosa. Di solito le compagnie di
ricerca li reclutano nel momento in cui escono.”
Ventus ascoltava, pensieroso. “Non ho mai sentito parlare di
un posto simile, né a casa né qui. Ho ragione di
credere sia lontano?”
“Sì, è nella regione di Traverse, fra
le colline. Ci si può arrivare col treno, anche se ci vuole
un po’.” Stavolta fu Roxas a rispondere. Aveva
preso quasi subito il dépliant e l’aveva letto
tutto. “C’è una lista d’attesa
troppo lunga per anche solo pensare di fare domanda, ma
d’estate accettano ragazzi con precedenti per svolgere lavori
socialmente utili. Non ci metteranno certo in una classe, ma
è anche meglio così: avremo più
libertà di movimento.”
Xemnas annuì, compiaciuto. Terra sembrò
preoccupato. “Ma noi non siamo quel tipo di ragazzi
pregiudicati!”
“No? Prova a chiedere in giro la definizione di uno studente
invischiato nel recente scandalo dei Campionati che ha improvvisamente
abbandonato la sua accademia. Anche se ovviamente non useremo le nostre
vere identità.”
Il ragazzone ammutolì. Aqua guardava il biondino.
“Roxas, sembri comunque preoccupato. Mi sembra che abbiamo
fatto progressi, no?”
“Non è quello, è
che…” Roxas aveva letto TUTTO il
dépliant. E questo includeva le ultime due righe a
piè di pagina: ‘Essendo
un’organizzazione gestita dalle Tre Sorelle,
l’accesso al Centro Sociale è riservato al solo
pubblico femminile. Niente eccezioni.’
“…non posso credere che dovrò farlo di
nuovo.”
Discussero di altri piccoli particolari, ma Xemnas non poteva riservargli così tanto tempo senza destare sospetti: promise che
avrebbe inviato loro ulteriori informazioni durante il tragitto.
Si congedarono e andarono a sbrigare qualche commissione in
preparazione alla partenza. Roxas finì le sue in fretta e
raggiunse l’appartamento. Era rimasto scioccato quando Xemnas
gli aveva detto di traslocare dal suo vecchio monolocale e recarsi al nuovo
indirizzo. Non tanto per ragioni affettive (anzi, stava iniziando a non
potersi più permettere l’affitto) quanto per lo
stupore di venire a conoscenza che il giovane aveva pronto un piccolo
stabile già pagato, a disposizione sua e dei ragazzi del
Departure. Alla domanda su come se lo fosse permesso senza chiedere
soldi a nessuno, Xemnas gli aveva risposto: “Ah, Xigbar mi ha
fatto conoscere posti sorprendenti. Ci crederesti esiste
un’arena dove ottieni del denaro se il cane che hai indicato
vince una corsa?”
Roxas non aveva capito se era una battuta e non aveva voluto indagare
oltre. Salì la rampa di scale e aprì la porta,
stranamente non chiusa a chiave. Il posto non era male, tutto
considerato: appena entrati si passava per una piccola stanzetta
comune, poi si imboccava un corridoio per una delle due stanze da letto
o i due bagni. La camera dei ragazzi aveva due letti a castello (Roxas
e Ventus ne occupavano uno, Terra e Vanitas l’altro), mentre
quella delle ragazze… Roxas non c’era mai entrato,
in realtà. Quando non si esercitavano all’aperto
erano o nella sala principale o nella camera dei ragazzi, leggermente
più spaziosa.
Il ragazzo posò le buste sul tavolo e si diresse in camera
sua: voleva approfittare dell’essere il primo ad arrivare per
usare il bagno grande e farsi una doccia. Si spogliò, prese
accappatoio e bagnoschiuma e si chiuse a chiave la porta del bagno alle
spalle, per risparmiare eventuali disagi agli altri. Aprì il
getto d’acqua della doccia che rimbalzò
rumorosamente sul pavimento, coprendo il rumore di una chiave che
girava nella serratura della porta che si schiudeva lentamente.
Il ragazzo si mise sotto il getto d’acqua e si
insaponò la testa, sovrappensiero. Quasi si perse il lieve
scorrimento della barriera della doccia che si apriva dietro di lui:
provò a girarsi, ma fu troppo lento. Due braccia gli
circondarono il collo, e dietro di lui sentì
l’inconfondibile contatto umano. Si spaventò: lo
stavano aggredendo? Non aveva mai fatto arrabbiare qualcuno fino a quel
punto, non gente che sapeva dove abitava almeno. In preda alla tensione
scivolò sul sapone presente sul pavimento e
rovinò assieme al suo aggressore.
“Ahia!”
Quell’esclamazione gli gelò il sangue nelle vene
più di qualunque altra cosa. Conosceva quella voce. Roxas
alzò gli occhi e confermò i suoi sospetti
osservando Aqua distesa sul pavimento che ricambiava il suo sguardo.
Fortunatamente aveva un asciugamano attorno al corpo o la situazione
sarebbe risultata molto più incresciosa, specie
perché la posa che aveva assunto cadendo non era delle
più sicure.
“Aqua…?”
“Eh, eheheheh… non è andata proprio
come speravo. Oh, beh. Penso che ora andrò.
Buonanotte!”
Disse tutto questo mentre si alzava e usciva in fretta e furia. Nemmeno
dieci secondi e si sentì il suono della porta della sua
camera che veniva chiusa a chiave.
Roxas rimase lì impalato, non sapendo bene cosa fare o come
sentirsi. Pensava Vanitas sarebbe stato il più grande
problema, ma sembrava che ci fosse tutto un altro tipo di tensione
interna che non aveva previsto.
La mattina seguente erano tutti alla Stazione, per prendere il treno
che li avrebbe portati nei paraggi del Centro Dandelions.
“Ok, avete preso tutto? Ricordate che i bagagli viaggeranno
su un altro vagone, se dovete prendere qualcosa prendetela ora! Cercate
di non spendere troppo in cibo sul treno, abbiamo i panini!”
“Signora maestra, non trovo il mio compagno.”
“Molto spiritoso Van. Abbiamo qualcosa come sei ore di
viaggio in treno, quindi scusami se voglio accertarmi che tutto fili
liscio!”
Aqua sembrava la stessa di sempre. Per tutta la serata non si era fatta
vedere ed era rimasta in camera, dove solo Chirithy poteva sapere come
aveva passato la notte. La cosa non aveva destato sospetti, specie
perché il gruppo non cenava assieme e ognuno viveva un
po’ per conto suo. E per via dei preparativi Roxas non aveva
avuto modo di parlarle a quattr’occhi.
Fu una partenza sbrigativa. Xemnas chiaramente non poteva vederli
partire, e nessun altro era lì per augurargli buon viaggio.
I ragazzi non se ne curarono perché erano stranieri
lì, ma Roxas provò un po’ una fitta al
cuore pensando ai suoi vecchi amici. Gli ultimi giorni passati assieme
ad altri gli avevano portato alla mente dolorosi ricordi verso i quali
si era distaccato nel suo isolamento volontario.
Mentre guardava dal finestrino, riusciva quasi a vedere i Nobodies
sulla banchina: Demyx e Larxene che facevano a gara per chi salutava
più rumorosamente attirandosi le occhiate generali, Zexion
che gli mimava le ultime precauzioni, Lexaeus che salutava con contegno
sollevando una delle sue gigantesche mani, Luxord che esibiva una carta
presa a caso dal suo mazzo, Axel che annuiva, fidandosi delle sue
scelte, e Xion che lo guardava col desiderio di venire con lui.
Purtroppo era un capitolo ormai chiuso della sua vita, e -era meglio
che venisse a patti con ciò- forse per sempre. Era sul
futuro che doveva concentrarsi.
Terra gli diede una leggera pacca sulla spalla. “Ehi! Che ti
prende? Vedi i fantasmi?”
“Come in quel film. Ora scopriremo che siamo anche noi
non-morti, invisibili a tutti. Ecco perché quelle ragazze ci
hanno ignorato l’altra sera.”
“Sì, continua a raccontartelo, Ven!”
Roxas si sforzò di tornare nel gruppo. Non che gli costasse
fatica: si trovava molto bene. Ventus era simpatico, anche se con un
umorismo tutto suo; Terra l’aveva preso subito in simpatia,
superata una sua lieve mancanza di tatto era una compagnia assai
gradevole; Chirithy era riservata ma il biondino aveva scoperto
condividevano vari interessi. Persino Vanitas, nonostante il
trattamento ostile, aveva le sue qualità: non gli si
potevano negare il sarcasmo innato e il coraggio da vendere. Un gruppo
migliore di quello non si poteva chiedere, specie viste le circostanze,
e Roxas sapeva che a rendere ai suoi occhi i suoi vecchi amici migliori
era solo il lungo tempo passato con loro. Lo sapeva, ma non gli rendeva
più facili le cose.
‘Già una volta ho permesso alle prime impressioni
di rovinare tutto, non accadrà di nuovo.”
Erano passate due ore, e il treno sfrecciava attraverso la campagna
facendo solo qualche sosta alle sparute costruzioni isolate di volta in
volta. C’erano solo fattorie e fabbriche nei paraggi, e il
panorama sarebbe rimasto invariato per molti chilometri.
Terra sonnecchiava, Ventus finiva una partita sulla sua console
portatile, Chirithy leggeva un librone (stando a quanto sosteneva lei
non soffriva la nausea perché era sempre lievemente
nauseata, perfino da ferma; tutti lo trovavano assai strano, ma lei ne
era convintissima e nessuno le diceva niente) e Vanitas era andato a
fare quattro passi sostenendo che il treno era semivuoto e non dava
fastidio a nessuno. Ventus e Terra informarono Roxas che a quanto pare
coltivava l’hobby per i treni d’epoca.
Questi pensò di sgranchirsi le gambe, evitando di dare
fastidio al compagno: non voleva dargli nuove occasioni per non fidarsi
di lui. Scelse quindi la direzione opposta alla quale pensava Vanitas
si fosse diretto, ovvero vicino alla sala macchine.
Scoprì però di essere finito in fondo al treno
stesso: alla fine del corridoio di un vagone vuoto c’era solo
la porta del bagno. Fece per voltarsi… e si
ritrovò serrato in un bacio appassionato.
Breve tanto quanto intensa l’esperienza finì e
Aqua si staccò, un’espressione soddisfatta sul
volto. Invece Roxas era senza parole.
“Aqua! Si può sapere che succede? Che ti
prende?”
“Che brutto modo di porla. Parli come se fosse stata
un’esperienza orribile. …non bacio così
male, vero?”
“No, affatto- non è quello il problema!
Perché così di punto in bianco?”
“Non è mai stato di punto in bianco. Anzi, sono
parecchi mesi
ormai.” La ragazza si avvalse della sua statura e
bloccò il corridoio con le braccia. “Avevo persino
dei dubbi su tutto questo piano, finché Terra non mi ha
detto che Xemnas aveva richiesto anche la tua partecipazione.”
Roxas temette di essersi rovinato l’udito dopo aver provato
ad ascoltare quel gruppo metal di Vanitas. “Stai dicendo che
tu provi attrazione per me? Che ti piaccio?”
“Il problema ammette soluzione! E la tua è quella
corretta. Non sono una ragazzina e non dirò che è
stato un colpo di fulmine al primo sguardo, ma mi sono accorta di te
ben presto. Ah, e avevo sentito le storie sul tuo conto prima, certo.
Mia cugina era una delle groupies di Larxene, ma non credo lei si
ricordi.”
“Ma io pensavo che Terra,
cioè…”
“Terra? Oh no. Per carità, lo conosco da una vita
e gli voglio bene, ma ho superato quella fase. E lui preferisce donne
meno… intellettuali, se capisci cosa intendo. No,
anch’io voglio qualcuno di diverso. Da dove vengo io sono
tutti sicuri di sé, tronfi e superbi. Tu sei diverso.
Timido, ma pronto a rischiare tutto quando serve, e anche intelligente,
davvero. Sei il mio tipo.”
“Mi sa ti sei fatta un’opinione troppo alta di me.
Non sono l’eroe che credi.”
“So quello che hai fatto, Roxas. Quello che ti hanno fatto
fare.” Ora Aqua appariva un po’ a disagio, e
esitava. Roxas non sapeva se sperare che arrivasse qualcuno a
interromperli o no. “Non l’ho detto nemmeno agli
altri, ma… Ephemera ha provato ad avvicinarmi. A rendermi
complice. E per farlo mi ha rivelato un po’ di cose
più nel dettaglio. Tranquillo, niente di cruciale che ho
tenuto nascosto o che ormai non si sappia già. Ma
all’epoca mi disse anche di te e dei progetti per
manipolarti… ero così in pena, che nemmeno mi
sono resa conto di prendere parte alla mia gara.”
Roxas si ricordò di come Larxene avesse notato il turbamento
di Aqua durante la loro sfida e l’avesse ricondotto alla
sparizione di Terra. Ma a quanto pare si era sbagliata, e le
abilità recitative di Aqua superavano davvero le sue.
“Aqua, sono lusingato. Davvero. Ma non so se posso. La mia
situazione è un po’ particolare, sai.”
“La tua moretta, immagino. Xion, giusto?” Aqua non
voleva suonare offensiva, ma il termine da lei scelto non era nemmeno
lusinghiero. “Roxas, sono una ragazza onesta e non
sparlerò della gente, nemmeno della mia rivale. Ma davvero
merita tutta questa fedeltà? Si capisce è il tuo
primo amore. Ma non deve essere l’unico.”
“Lo dico anche per te. Io potrei pensare ancora a
lei…”
“E lei pensa ancora a te?”
La sua domanda lo punse sul vivo. Poteva Xion pensare ancora a Roxas?
Forse sì, magari si chiedeva dove fosse. Ma non dovevano
essere pensieri felici, men che mai romantici. Aqua troncò
una sua possibile risposta e lo baciò di nuovo. Il ragazzo
pensò a Xion, ai suoi capelli neri, le sue proporzioni da
bambola di pezza, le sue labbra carnose… no, Xion non aveva
le labbra carnose. Di punto in bianco i suoi capelli diventarono blu
mare, le sue proporzioni quelle da donna matura e Roxas si
ritrovò a ricambiare il bacio di Aqua con trasporto.
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Capitolo 15 *** Quindicesimo Capitolo ***
Quindicesimo Capitolo
Le sue labbra erano umide e morbide, il suo profumo pungente ricordava
l’acqua dolce nei pressi di un boschetto. L’unico
problema di Roxas era che non sapeva dove mettere le mani: era abituato
a Xion, più piccola di lui, che poteva cingere per le
spalle. Ma Aqua lo sovrastava completamente, le spalle di lei erano
sopra la sua testa e LEI lo circondava con le braccia. Il suo istinto
maschile lo faceva sentire un poco a disagio, ma in quel groviglio di
membra i pro superavano definitivamente i contro. E in modo un
po’ infantile, il ragazzo si ritrovò a osservare
un’altra cosa che con Xion non si faceva caso: arrivare al
petto di una ragazza può essere anche una bella cosa.
Un rumore di passi li fece voltare e separare quasi istantaneamente,
mentre Vanitas faceva scorrere la porta del corridoio.
“Ah, eccovi qui entrambi, bene. È arrivato il
momento del briefing, quindi spicciatevi a tornare.” Detto
questo tornò sui suoi passi, per poi voltarsi di nuovo:
“Comunque ci sono bagni anche in altre parti del
treno.”
E se ne andò. Ragazzo e ragazza rimasero immobili
finché l’eco dei tonfi non divenne appena udibile
sopra i rumori del treno che sfrecciava.
“Meno male che il suo stile gli impone di portare degli
stivali.” Disse Roxas.
“Meno male che ha l’esperienza sentimentale
dell’iguana di mia madre.” Ribatté Aqua.
“Non mi andava proprio di sentire le sue
rimostranze.”
“Ti infastidisce far sapere che ci frequentiamo?”
“A me, no. Ma so che tu e lui avete ancora dei problemi, e di
certo non gioverebbe.” La ragazza lo guardò e
sbatté le palpebre. “Quindi ora ci
frequentiamo?”
“Eh?”
“L’hai detto tu.”
“No, era per dire…”
“Per dire che ci stai? Perfetto! Ora andiamo però,
che non sono tutti propriamente ciechi.”
Roxas seguì Aqua, sovrappensiero. Ancora non sapeva bene
come si sentiva al riguardo. Appena aveva pensato che la sua precedente
vita era un capitolo chiuso, appena aveva visto Aqua come
più di una coinquilina, subito il suo corpo si era mosso da
solo e aveva ricambiato il bacio senza pensare. Ma era davvero pronto?
Sentendo le voci provenire dallo scompartimento, decise che al momento
aveva affari più urgenti da sbrigare.
Tutti si sedettero, mentre sul tavolino per il pranzo poggiava un
piccolo computer sul quale si vedeva la faccia di Xemnas.
Gliel’avevano preso per via di un progetto a lunga distanza,
ma ignoravano che lui avesse aggirato i livelli di sicurezza e lo
usasse a piacimento: aveva seguito i Campionati da lì.
Terra, Chirithy e Vanitas, non troppo interessati a vederlo in faccia
(Chirithy ne era imbarazzata) sedevano sul sedile opposto al monitor;
Ventus, Aqua e Roxas, i più empatici e capaci di cogliere
molto anche solo con lo sguardo, davanti a esso.
“Eccovi. Come procede il viaggio?” La voce del
leader era vagamente crepitante e un po’ alta: la connessione
non era perfetta dal treno.
“Niente da riferire.”
“Meglio. Vi state avvicinando alla vostra meta, è
ora che io vi dica tutto ciò che so. Ulteriori simulazioni e
piani non avrebbero senso senza queste informazioni. La persona che
cerchiamo si chiama Skuld. Ragazza prodigio sarebbe quasi un insulto
per lei. Ci metterebbe tutti in imbarazzo, e potrebbe fare grandi
scoperte in ogni campo conosciuto.”
“Perché parli al condizionale? Se è
così brillante, dovrebbe esserci una prova.”
“Dovrebbe, ma… è un po’
delicato e mi auguro siate tutti abbastanza aperti di vedute per non
farvi cogliere da pregiudizi al riguardo. Skuld… fa parte di
un progetto speciale. Una ricerca sulle cellule. È nata in
provetta.”
Un silenzio scioccato riempì il vagone. Naturalmente tutti
sapevano cosa significava: i bambini in provetta, nati fecondando
cellule artificialmente e mischiando geni tra loro… una
ricerca assai controversa, che suscitava polemiche verso chi la
riteneva una procedura innaturale. Era troppo recente per avere ancora
un gran numero di individui adulti, ma chi si sapeva era nato da
esperimenti simili veniva spesso trattato come un alieno, un
emarginato. In alcuni, tremendi casi nemmeno un vero e proprio essere
vivente. Roxas capiva perché Xemnas era stato
così reticente: era una delle informazioni più
private e personali che esistevano.
“Ora capisci Ventus, perché uso il condizionale.
Skuld è un fenomeno, creata a tavolino per essere la
migliore: ma non ne può dare prova. È tenuta in
uno stato di isolamento quasi totale anche per il suo bene. Non vi
nascondo che è il fiore all’occhiello dei
Dandelions, portarla via non sarà facile.”
Terra rimuginava. “Portarla via a chi? Ha un… un
proprietario? Insomma, chi le fa da tutore?”
“Per ora è di proprietà
dell’istituto finché non diventerà
maggiorenne. Allora potrà decidere lei, ma ricordate che
è da quando è nata che la educano
perché accetti di entrare in una prestigiosa compagnia. Un
indottrinamento ai livelli di un lavaggio del cervello.”
Roxas fece un paio di calcoli, e iniziò pian piano ad
afferrare il quadro della situazione. “Xemnas, ho ragione di
credere che Skuld diventerà maggiorenne verso i primi di
Luglio?”
“Fra poco più di una settimana!” Aqua
stava iniziando a capire.
“Esatto. Una volta che Skuld sarà maggiorenne il
nostro non sarà sequestro, se vi seguirà di sua
spontanea volontà. Quello che faremo prima
sarà… moralmente questionabile ma entro i limiti
della legge, grossomodo.”
“Questo vuol dire che dobbiamo avvicinarla nel giorno del suo
compleanno, e non prima.” Grugnì Vanitas.
“Proprio così. Idealmente la fiducia non si
guadagna in poco tempo, ma se la incontraste prima e lei riferisse
dell’incontro alle matrone… beh,
lascerò a voi i dettagli. C’è altro di
cui dobbiamo discutere?”
Il treno perdeva velocità. Stavano per raggiungere la
stazione della contea di Traverse, e avrebbero dovuto smontare presto.
Roxas si avvicinò allo schermo e approfittò degli
ultimi secondi rimasti.
“Xemnas, a cosa serve Skuld? Che ruolo ha contro
Ephemera?”
“Lei è… Ephemer… la
sola… mani.”
La conversazione crepitò ancora un po’, poi la
connessione si perse del tutto. I ragazzi si rassegnarono e iniziarono
a preparare i bagagli appena la voce all’altoparlante disse
che la fermata era in arrivo.
Furono i soli a smontare dal treno, e con buona ragione.
Traverse non era una regione densamente popolata, non aveva metropoli
né vere e proprie città. Gran parte della contea
era usata per impianti e fabbriche, per coltivare la terra, e in rari
casi per celare piccoli angoli di paradiso come l’istituto
Dandelions.
I sei salivano un sentiero ben tracciato in mezzo a un boschetto di
gelsomini. Le foglie rosse per terra e sopra le loro teste creavano
l’illusione che fosse già autunno.
“Sarà così tutto
l’anno?” Chiese Chirithy.
Ventus era altrettanto impressionato. “Qui non fa mai troppo
freddo, né troppo caldo. Il paesaggio autunnale è
tra i migliori per stimolare cervello e creatività.
È decisamente un giardino
all’avanguardia.”
“Peccato in questo giardino coltivino esseri umani.”
“Van…”
“Ehi, non dico siano mostri! Non lo penso. So cosa vuol dire
quando gli altri ti giudicano per ciò che credono tu sia,
tranquilla.”
Arrivarono dopo mezz’ora davanti a una rampa di gradini di
marmo e si fermarono. Era arrivata la parte più facile del
piano, e anche quella che Roxas odiava di più. Ma sapeva di
dover essere lui a dare l’ordine.
“Qui è un buon punto. Andiamo a
cambiarci.”
“Che due- dobbiamo proprio?”
“Effettivamente, nemmeno io sono entusiasta.”
“Ehi, a me non va quanto a voi, va bene? Ma se
l’avete dimenticato, l’intera istituzione
è riservata a un pubblico femminile. Non abbiamo scelta,
purtroppo.”
Ventus, Vanitas e Roxas si inoltrarono nella foresta con le loro
valigie e tornarono poco con un look decisamente differente.
Ventus era ammutolito e si fissava, incapace di spiccicare parola. Ora
indossava un vestito lungo bianco e una parrucca bionda. I polsini
avevano lasciato spazio a braccialetti sottili. Calzava scarpe da
trekking bianche anch’esse.
Terra sogghignava. “State proprio bene, signore.”
“Taci tu! Sei esentato solo perché è
troppo difficile camuffarti e non sei nemmeno in grado di modificare la
tua voce!”
“E non sai quanto ciò mi addolori, Van.”
Roxas pensò che Vanitas era quello che di meno si poteva
lamentare. Dato che il suo stile personale si adattava anche alle
ragazze che volevano apparire mascoline (giacché si era
rifiutato categoricamente di indossare vestiti o parrucche), la sua
t-shirt nera col teschio e i suoi capelli avevano solo dovuto essere
modificati lievemente, e aveva cambiato anche gli orecchini. Anzi, il
ragazzo dovette ricordarsi che quello era un suo compagno maschio per
evitare strani pensieri.
Lui invece aveva evitato il vestito elegante, ma indossava una sorta di
divisa femminile grigio chiaro e la stessa parrucca lunga. La
sensazione di straniamento e imbarazzo non diminuirono quando Aqua gli
sfiorò la spalla e sussurrò: “Secondo
me stai benissimo,
caro.”
Roxas deglutì e si chiese quante probabilità
c’erano di incontrare fino a tre dominatrici. Poi si
ricordò di levare Vanitas dal calcolo.
Arrivarono all’istituto. Il posto era tutto sommato di
dimensioni modeste, e pareva in tutto e per tutto un collegio inglese,
come mostrato dal dépliant: qui i ragazzi del Departure,
un’accademia in stile inglese anch’essa, avevano
potuto dare una mano con la piantina e altri dettagli.
Il gruppo si avvicinò al bancone, dove li attendeva una
giovane receptionist, che era chiaramente a suo agio nel vederli
arrivare solo perché aveva ricevuto una loro telefonata
giorni prima.
“Salve! Benvenuti al Centro Sociale Dandelions per Giovani
Menti! Voi dovete essere le signore… chiedo venia, ma mi
sfugge il nome.”
“Le signorine Ava e Anguis, certo.” Disse Terra,
indicando prima Ventus e poi Roxas. Come da copione, si fingeva il loro
impresario e maggiordomo e parlava per loro. “Il loro padre,
il mio superiore, ha parlato con lei e la sua… matrona,
qualche giorno fa.” Alludeva alla finta telefonata che aveva
fatto Xemnas.
Il loro piano prevedeva che Roxas e Ventus si spacciassero per figlie
di un ricco impresario che voleva rimanere parzialmente
nell’anonimato, venute ad apprendere qualcosa e ad osservare
alcune giovani dell’istituto, nel caso il padre volesse fare
un’offerta per alcune di loro. Fin lì stava
andando tuto secondo i piani, ora sarebbero potuti sorgere dei problemi.
“Ah, certo, certo, ricordo perfettamente. Mi deve scusare, ma
capita spesso di ricevere telefonate di questa natura, specialmente
d’estate. E, le ragazze che vi accompagnano
sono…?”
“Forse il mio superiore si è dimenticato di
menzionarle. Abbiamo saputo che voi accettate ragazze pregiudicate che
svolgano i lavori più umili. In segno di buona fede ve ne
abbiamo portate due, nella speranza riusciate anche a raddrizzarcele. Vi
assicuro non vi creeranno problemi.”
Alle parole di Terra, Aqua tentò di assumere
un’espressione ribelle e Chirithy (con le lenti a contatto e
i capelli sciolti) una contrita. Vanitas rimase lo stesso, e
andò benissimo.
La ragazza al bancone sembrò sollevata. “Meno
male! Sapete, così presto nel periodo estivo la manovalanza
scarseggia. E, senza offesa ma è la prassi, altrimenti vi
avremmo chiesto di lasciare un pegno durante la vostra permanenza, per
questioni di sicurezza. Bene, in tal caso prego le ragazze di seguirmi:
faremo un breve esame generale e poi le indirizzerò alla
loro cabina.”
E si mosse verso il trio. Ventus mandò un impercettibile
segnale a Roxas: ovviamente non potevano lasciare che esaminassero
Vanitas. Il ragazzo si sforzò di pensare in fretta.
“No! Si fermi!” Disse, ricordandosi di modulare la
voce. “Lei è nostra sorella. È un
po’ ribelle, e nostro padre si è arreso, ma io ho
insistito che venisse e ci accompagnasse. Il nostro accompagnatore non
l’ha menzionata perché dev’essere ancora
irritato da questo mio capriccio.” Terra capì al
volo e assunse un cipiglio severo. Roxas cercò di assumere
un’espressione che immaginava avesse una ragazza quando
supplica.
La receptionist rimase immobile per un lungo, interminabile momento.
Poi decise che il pericolo di offendere clienti facoltosi valeva
più dei suoi sospetti.
“Capisco! Mille scuse, non pensavo! Bene, allora voi due
potete aspettare in quella saletta, mentre io accompagnerò
le signorine per il Centro.”
Tutti sospirarono impercettibilmente. La prima parte era andata.
Ora veniva il difficile.
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Capitolo 16 *** Sedicesimo Capitolo ***
Nota dell'autore: d'ora
in poi, almeno qui, segnalerò i monologhi interiori col
corsivo, come quando sottolineo l'enfasi di alcune frasi o parole (i
monologhi saranno anche tra virgolette).
Nei successivi tre giorni il gruppetto in incognito cercò di
ambientarsi e memorizzare al meglio l’istituto e il suo
sistema interno. Roxas, Ventus e Vanitas, dopo aver visto le loro
stanze, erano stati subito piazzati in un corso intensivo privilegiato.
Non correvano grossi rischi, ma il loro tempo libero per andare a zonzo
era limitato. Perfino Terra doveva presenziare alle lezioni, o sarebbe
stato strano che lasciasse le sue protette incustodite.
Vanitas si stiracchiò mentre uscivano da un’aula e
percorrevano un corridoio.
“Ufff, quella parte sulle molecole nane era davvero tosta e
noiosa. Come fai a rendere così poco interessante la
scienza, mi chiedo.”
“Perché te ne preoccupi? Tanto mica
dobbiamo davvero impararlo.”
“Ehi, scusa se cerco di tenere le apparenze, io.”
“Dev’essere per questo hai così tanta
popolarità, allora.”
Roxas capì al volo l’allusione di Ventus e si
voltò, certo di ciò che avrebbe trovato. Difatti
dietro l’angolo si vedevano un paio di ragazzine che
guardavano Vanitas con ammirazione. Non era la prima volta, ormai era
il ragazzo (anzi, la ragazza) più popolare dei dintorni.
“Di nuovo? Sciò! Accidenti,” disse poi,
mentre quelle si dileguavano tra mille risolini “Mi danno
davvero sui nervi.”
“Vecchi tutori a parte, sei la cosa più simile a
un ragazzo nei paraggi. Logico siano curiose. Senza offesa,
Terra.”
“Shhh!” Terra non intimò il silenzio
perché infastidito, ma perché si stava
avvicinando la matrona. Si chiamava Gramilde ma tutti la chiamavano
Granny, anche se Roxas sospettava fosse solo perché lei lo
aveva imposto: la sua gentilezza era falsa e di superficie, e dava
invece l’idea di una vecchia acida e crudele. Ma a loro
parlò con un tono così dolce che grondava miele.
“Allora, signorine! Come vi trovate nella nostra umile
dimora? Tutto a posto, mi auguro?”
“Sì, certo. La ringraziamo per
l’ospitalità.”
“Sciocchezze, pasticcino, sciocchezze! E vostro padre che
dice?”
Questo era uno dei motivi per i quali Roxas trovava la donna
sgradevole: la vecchia chiedeva spesso o comunque buttava il loro
fantomatico padre nel discorso, quasi subodorasse l’inganno.
Gli occhi della vecchina lucevano malevoli, mentre il ragazzo pensava a
un modo per troncare la pericolosa conversazione.
“Nostro padre non l’abbiamo ancora sentito.
È uno di quegli uomini pragmatici, che vogliono solo i
risultati e non telefonate intermedie… di certo ha presente
il tipo.”
Granny ebbe un momento di pausa prima di esclamare: “Sicuro!
L’uomo tutto d’un pezzo, certo! Ma, presumo prima o
poi chiederà notizie, non è così?
Dopotutto è importante per lui e per noi, vero?”
“Sì… sì, certo. Ora ci
scusi, ma dobbiamo andare. È stata una giornata
estenuante.”
“Altro che sette giorni, con quella vecchia tra i piedi non
dureremo un altro paio. Quella ha già capito tutto, ve lo
dico io.”
“Può essere” ammise Ventus.
“Ma non abbiamo scelta. Dobbiamo reggere il gioco.”
Prima che Vanitas potesse rispondere, qualcuno bussò alla
porta della loro stanza. Allarmati, i ragazzi si affrettarono a
ricomporsi come ragazze, mentre Terra andava ad aprire, teso e serio.
Ma con un sospiro di sollievo, fece entrare Aqua e Chirithy. Entrambe
avevano un aspetto orribile.
“Siete voi! Come mai qui?”
“Oggi è venerdì. Quindi domani le
alunne studiano all’aperto, e domenica sarà giorno
di pausa. Mentre per noi lavoratrici sarà il
contrario.” Aqua grugnì il tutto con voce stanca;
Chirithy si buttò sul materasso più vicino. I
timori di Roxas nel non aver ricevuto notizie da parte loro per ben tre
giorni sembravano fondati.
“Vi vedo distrutte. La manovalanza è davvero
così terribile?”
“Terribile è un complimento. Quante energie credi
ci vogliano per mandare avanti questo posto? Dobbiamo occuparci di ogni
mansione, anche delle più umili. E salvo per il pranzo, non
sono permesse pause. Lasciate perdere la missione, noi dobbiamo finire
entro sette giorni perché sennò noi due non
duriamo. A proposito, novità? Avete capito
qualcosa?”
I ragazzi la misero al corrente dei loro pochi successi. Ma Aqua
trovò comunque interessante sentire la loro visione,
quantomeno per farsi un’idea.
“In sostanza la nostra libertà di movimento
è limitata, e stavamo proprio ora discutendo di come
tranquillizzare la matrona Gramilde.”
“Quella strega. Con voi è dolce, ma non fatevi
illusioni: è tremenda. Ho letto studi sui campi di
concentramento che la vorrebbero come modello. Con alcune delle nostre
ragazze non esita a servirsi della violenza fisica.”
“Dubito continuerà ad essere gentile se scopre
l’inganno. E noi non sappiamo nemmeno
dov’è Skuld.”
“Ci scommetto è nell’area riservata.
Sapete, quella dove non possiamo accedere? Lì ci devono
essere i veri geni, lontani dai turisti.”
Roxas era d’accordo: era l’unica palese
spiegazione. Il problema era che nemmeno le ragazze potevano entrarvi:
c’era di sicuro un team privato di inservienti per
quell’ala. Tranne loro e la matrona, la zona era off-limits.
“Aqua, pensi sia possibile combinare qualcosa domani? Voi
avrete il giorno libero, se ho capito bene.”
“Più che altro non vogliono metterci vicino ai
clienti. Lasciami pensare.” La ragazza si chiuse in un
silenzioso meditare. Il ragazzo voleva unirsi ma si ritrovò
a fissare il suo viso, la sua espressione aggrottata, e per un attimo
perse contatto con la realtà, attratto come da una forza
misteriosa. Si riscosse giusto in tempo, lieto di non essersi fatto
notare.
“No,” disse lentamente Aqua poco dopo.
“Non solo non sappiamo ancora cosa ci faranno fare, ma
è sicuro saremo sorvegliate a vista. E se Gramilde nutre
sospetti su di voi, la nostra cattura sarà il pretesto
perfetto. Mi dispiace ma dovrete pensare voi a infiltrarvi
nell’area riservata: noi vi forniremo ogni aiuto
possibile.”
Tutti i presenti convennero che era la via più sicura, per
quanto difficile; Chirithy dal canto suo era ancora a faccia in
giù sul materasso e russava della grossa.
Il giorno seguente erano tutti e quattro all’aperto a vedere
e catalogare diverse specie di resine e farfalle.
“A parole va bene, ma come possiamo riuscirci? Siamo liberi
di muoverci ma pieni di impegni, e la nostra assenza si nota di
più ancora.”
“Dovremmo creare un diversivo. Tocca solo decidere quale e
quando.”
“No, tocca anche deciderlo entro oggi, sennò non
avremo più modo di contattare le ragazze!”
Questo e altri scambi di battute si susseguivano ininterrottamente
dalla sera precedente. Roxas faceva del suo meglio per pensare, ma la
situazione non era delle migliori: a tre giorni dalla scadenza
dell’operazione, si erano impantanati. Le loro menti andavano
sempre a cozzare contro gli stessi problemi, invano.
Si ricordò di quando aveva affrontato questo argomento con
Axel, parlando dei problemi da leader. Il rosso gli aveva detto che
quello era forse l’unico vero momento dove una figura
autoritaria era d’obbligo.
“Alla fine, chiunque può pensare a una
soluzione” aveva concluso Axel, “il problema
c’è quando ce ne sono varie e senza certezze.
Lì serve che il leader sia colui che, senza indugi, punti
gli altri in una direzione. Non importa che sia quella giusta;
l’importante è che sia una e una
soltanto.”
Roxas sapeva toccava a lui dire agli altri cosa fare, il problema era
che il tempo a disposizione era davvero poco. Approfittando del pranzo,
il ragazzo si allontanò dal gruppo per riordinare le idee, e
finì a vagare lungo le mura esterne di mattoni rossi
dell’edificio. Ironicamente, si ritrovò a pensare
che la distanza che lo separava dall’area riservata era
minore da fuori che da dentro.
Minore da fuori che da
dentro.
La mente del giovane iniziò a macinare a pieno regime,
mentre tornava dai suoi compagni per metterli al corrente della
rivelazione. Non era Zexion, ma forse aveva il loro piano.
“Ho il piano.”
Erano le dieci passate di sera; dopo cena, l’istituto
piombava in un solido torpore. Ma nella loro stanza erano tutti sveglie
e attivi, lieti di poter finalmente procedere con la loro missione.
“Beh, cosa aspetti? Spara!”
“Molto bene. Abbiamo ancora tre giorni prima del termine
previsto, tre giorni prima che Skuld diventi maggiorenne. Domani
sarà per noi giorno di riposo e ho già chiesto se
era possibile andare giù al paese vicino e fare acquisti.
Lì dovremmo procurarci tutto quello che ci serve.”
“Ma anche col permesso sicuramente ci terranno
d’occhio, o ci controlleranno le borse al rientro; e di
sicuro se comprassimo qualcosa per Aqua o Chirithy saremmo
sospetti.” Terra era dubbioso.
“Non c’è di che preoccuparsi: gli
oggetti che compreremo saranno perfettamente innocui e in tema con gli
interessi di tre giovani ereditiere. Riguardo al contatto con le
ragazze, non penso ne avremo più. Troppo
rischioso.” Roxas lanciò a Aqua un piccolo
dispositivo. “Invece userete questo. È un
trasmettitore piccolo ma potente, collegato a Xemnas. Non richiede
wi-fi, ma ha una autonomia di un’ora al massimo. Lui non sa
cosa ho in mente, ma con le giuste domande capirà. Non
fatevi scoprire.”
Le ragazze annuirono, il biondino tornò a rivolgersi a
tutti. “Il piano si svolgerà con l’uso
di un diversivo. Dopo che le ragazze avranno attirato
l’attenzione, noi faremo irruzione e avvicineremo Skuld.
Abbiamo solo un’occasione, vediamo di sfruttarla.”
Ventus alzò la mano. “Quindi hai intenzione di
agire l’ultimo giorno? Ho capito bene?”
“Direi di sì. Se davvero la Gramilde sospetta di
noi sarà meglio far passare un paio di giorni di quiete. In
più Xemnas stesso ci ha detto di non essere troppo
precipitosi. Questa è l’unica via.”
“L’unica via per farci arrestare.”
Vanitas si alzò dalla sua sedia. “Non pensare che
tutto questo circo mi abbia fatto dimenticare chi sei e cosa hai fatto.
Anzi, il fatto che la megera sia sulle spine fin da subito e che tu
abbia ora misteriosamente formulato il piano mi lascia alquanto
sospettoso. Chi mi dice che seguendoti tu non ci venderai per redimere
la tua reputazione? Questa è gente col potere per fare
ciò.”
“Vanitas!” Ora Aqua si era alzata in piedi.
“Xemnas ci ha detto-“
“Magari anche lui è invischiato nella faccenda! E
ci stanno usando per i loro piani! Ma io non starò al loro
gioco!”
“Vanitas, calmati.” Roxas anticipò
tutti. Era ora di finirla, e forse perché il suo cervello
era ancora ricettivo dal lungo pensare, aveva finalmente capito
perché il moro se la prendeva tanto. ”Io so
perché sei così sospettoso: lo sarei
anch’io, se avessi assistito alla presa di potere da parte di
un ragazzino della mia università, recitato in una farsa e
preso parte a delle gare truccate. Perché è
quello il problema, vero?”
Vanitas si bloccò, le braccia rigide,
l’espressione indecifrabile. “Tu non ce
l’hai con me, né pensi che io ti stia ingannando.
Ma allo stesso tempo hai paura, paura che in qualche modo sia comunque
così.”
“Io non volevo andasse così! I Campionati erano la
sfida ultima. Un onore! Avrei dovuto battermi con avversari alla pari,
non con cinque pupazzi e una ragazza debilitata!”
‘Dunque era
proprio così.’ Roxas ci aveva visto
giusto: Xion aveva perso quella gara in maniera eclatante per via dei
suoi litigi con lui. Tutti erano rimasti mortificati, ma nessuno aveva
immaginato che a parte Xion Vanitas fosse stato quello che ne aveva
sofferto di più. Resosi conto di stare combattendo una
battaglia finta, il massimo che aveva potuto fare era rifiutarsi di
continuare e perdere anche lui. Ma nemmeno quello aveva danneggiato
Ephemera.
“Come in passato, non posso darti certezze sulla mia
innocenza. Ma adesso posso dartene un’altra, una che spero
basti a guadagnarmi la tua fiducia.” Roxas si
avvicinò e mise una mano sulla spalla di Vanitas,
guardandolo dritto negli occhi. “Finché non gliela
avremo fatta pagare a Ephemera, finché non avrà
risposto di tutte le sue colpe, non mi tirerò indietro e non
ti abbandonerò. E sei libero di farmi ciò che
vuoi dovessi venir meno alla promessa per qualunque motivo. Hai la mia
parola.”
Solo allora si rese conto che tutti li stavano guardando, immobili e
con gli occhi spalancati. Il ragazzo decise di spiegare in fretta gli
ultimi dettagli e mandare tutti a dormire.
Solo che lui di sonno non ne aveva; appoggiato in veranda, guardava le
stelle risplendere nel cielo e pregava le ragazze fossero tornate ai
loro alloggi senza intoppi. Un rumore di stivali, e poi Vanitas si
appoggiò accanto a lui. Rimasero a fissare il cielo in
silenzio.
Roxas non sapeva dire cosa lo avesse spinto a fare una promessa tanto
impegnativa; forse Vanitas gli ricordava se stesso, paralizzato dalla
paura e dalla diffidenza. O forse Luxord quando lo aveva tradito in
preda al panico, diviso tra la vergogna e l’odio per essersi
fatto fregare; oppure Zexion, che solo tramite simili prove di fiducia
da parte di Axel era arrivato a fare gioco di squadra.
‘Siamo tutti
diversi. Un essere umano ha un po’ degli altri e anche
qualcosa di suo.’
“Mi dispiace per com’è andata con la tua
tipa.”
Preso com’era dalle riflessioni filosofiche, Roxas ci mise un
po’ a registrare il suo compagno aveva detto qualcosa. "Fa
niente. Anche quello era nei piani di Ephemera, e se c’era
modo di impedirlo… la colpa è solo mia.”
“Diresti che è colpa tua anche che lei abbia
iniziato a frequentare lo spilungone dai capelli argentati?”
La domanda non aveva malizia, ma a Roxas fece male comunque.
“Forse sì.” Sibilò a denti
stretti.
“…Scusa. Non volevo ferirti. Suonava molto meglio
nella mia testa. Come quasi tutto il resto, d’altronde.
Voleva essere di conforto, nel dire che certo lei non ha facilitato le
cose. La prossima volta lo dirò così,
sì.”
Vanitas si raddrizzò e si avviò verso la
porta-finestra che dava alla camera, ma prima diede sfoggio di
un’altra inaspettata qualità.
“Magari Aqua ti renderà più
felice.”
Domenica. Mentre Aqua e Chirithy erano state mandate a tenere in ordine
il cortile Terra, Vanitas e Ventus ottennero il permesso per recarsi
giù al paese e visitare i negozi. Roxas rimase nella sua
stanza, e come previsto non passò molto tempo che la matrona
Gramilde bussò alla sua porta.
“Salve, signorina Invi! Mi era giunta voce lei è
rimasta qui mentre le sue sorelle si recavano in gita! Come mai?
È forse maldisposta?”
“Un leggero mal di testa, ma nulla di serio. No, è
che ho pensato di approfittare della giornata di riposo e contattare
mio padre. Anzi, se vuole può parlarci ora.”
Così dicendo le porse un telefono. La vecchia signora
mostrò per un momento un’espressione turbata : di
certo pensava di essere una presenza indesiderata, e invece la stavano
aspettando. Prese il cellulare e lo portò
all’orecchio. “Sì?”
Roxas si rilassò, lasciando che Gamilde parlasse con quello
che credeva fosse il padre ma era solo Vanitas che si esprimeva
normalmente, e ripassò mentalmente la lista che aveva
affidato a Terra, pregando trovassero tutto.
I ragazzi furono di ritorno poco dopo l’ora di pranzo con le
borse cariche. Si ritirarono tutti nella loro stanza chiudendosi a
chiave per passare alla realizzazione pratica del piano.
“Avete avuto problemi?”
“Nessuno; chiaramente ci sono stati controlli, ma come avevi
previsto sono tutti oggetti che non hanno destato sospetti.”
Rovesciarono il contenuto e Roxas passò in rassegna gli
acquisti: un blocco di sapone, profumo, delle riviste varie, una
sacchetta di calamite per turisti e un almanacco storico sulla contea
di Traverse. In mezzo c’erano altri ninnoli che servivano
solo a depistare eventuali indagini, ma fortunatamente i pezzi
importanti erano tutti lì.
“Ottimo lavoro. Ora non ci resta che aspettare
martedì, e sperare le ragazze portino a termine la loro
parte senza intoppi. Sono certo Xemnas capirà al
volo.”
“La vecchia befana?”
“La tua performance sembra averla convinta, o almeno non
è riuscita a trovare obiezioni. Ci metterà un
po’ ad escogitare il prossimo ostacolo.”
Vanitas grugnì. “Allora a martedì, e
poi addio all’Istituto per Giovani Dementi.”
Venne infine martedì mattina. L’ultimo giorno
disponibile. Roxas uscì con gli altri e aguzzò
gli occhi. Sabato Aqua gli aveva detto che la sera a loro facevano fare
la manutenzione dei pannelli elettrici, e quindi avevano convenuto di
usare quelli come segnale per il via libera. Passarono davanti a uno
dei quadri di controllo: tra le varie ghirlande messe per abbellire
l’ambiente svettava una piccola gru di carta. Altre simili si
trovavano sui dispositivi presso il corridoio.
Era il segnale che Chirithy era riuscita nel suo intento. Il ragazzo si
scambiò una tacita occhiata d’intesa con i
compagni e poi si avviò nelle aule per le lezioni,
aspettando il tramonto.
Per tutta la giornata la matrona Gramilde pattugliò i
corridoi, elargendo moine alle giovani turiste in visita. Era parte del
suo lavoro, e una parte assai importante, visto che quelle sciocche
viziate potevano rovinare anche mesi di trattative per un capriccio.
Quindi si allarmò subito quando la misero al corrente di una
rissa al primo piano.
Accorse immediatamente e si trovò dinanzi al maschiaccio
delle tre sorelle che reggeva un’inserviente per il bavero.
Le altre due e il tutore osservavano poco distanti, incerti se
intervenire.
“Cosa sta succedendo qui?”
“Questo plebeo si è permesso di criticare il mio
modo di vestire!”
“No! Ho solo riso e la signorina ha frainteso il
motivo…”
“Quali che siano le ragioni, arrivare alle mani è
scandaloso, e-cosa c’è ora?”
Gramilde ricevette un’altra notifica dal suo auricolare. Una
delle assistenti parlò con voce tremebonda:
“Matrona, c’è un tentativo di effrazione
sul muro esterno ovest. Due addette ai lavori, pare.”
La donna fu assalita da un terribile sospetto. Prima ancora di dare
ordini si voltò verso gli istigatori della rissa, ma
trovò solo il malconcio inserviente che si guardava attorno
confuso.
Roxas stava adagiando la propria parrucca su un fagotto di lenzuola
nascosto sotto le coperte.
“Ricordate: quando verranno a indagare qui, io non mi sono
sentito bene e sono andato a letto presto.”
“Un po’ banale, come scusa.”
“Funzionerà: hai visto come trattano queste
principessine? Il dubbio di essere nel torto ed averci offeso li
terrà a bada.”
Roxas si mise a tracolla uno zaino dopo essersi cambiato
d’abito: era inutile tenersi i vestiti femminili, se fosse
stato scoperto non lo avrebbero salvato. “Bene, io vado.
Auguratemi buona fortuna.”
Corse per i corridoi attento a non farsi vedere dalle poche persone
ancora a zonzo. Delle telecamere non c’era da preoccuparsi:
le calamite nascoste dentro le gru di Chirithy le stavano
temporaneamente impallando. Vanitas dopo averle ritoccate un pochino le
aveva date a una delle sue “fan” per farle arrivare
alle ragazze, assieme alle riviste per le gru: avrebbero controllato
loro, ma non si aspettavano una consegna da parte di terzi.
Il ragazzo arrivò di fronte alla porta che precludeva
l’accesso all’ala riservata, chiusa da un pad
numerico. Ma tra tutti e quattro avevano abbastanza conoscenza di
chimica per aggirare l’ostacolo: Roxas sparse sulla tastiera
la resina raccolta sabato mischiata al profumo. Poi uso il sapone
modellato e allungato a mo’ di miccia, e gli diede fuoco con
l’accendino di Terra ( in realtà di Vanitas). Lo
scoppio fu breve e contenuto, ma bastò a causare il
cortocircuito: il ragazzo tirò la maniglia e la porta si
aprì.
Bastò fare un passo per accorgersi di essere entrato in un
altro mondo. Al posto del collegio vecchio stile in legno e mattoni, il
corridoio e le pareti erano di piastrelle bianche e la luce uniforme
usata negli ambienti sterili. Un vero laboratorio. Tutte le
“aule” (qui più simili a sale di
chirurgia o di esperimenti nucleari) erano tutte chiuse e spente vista
l’ora, salvo una dalla porta socchiusa e una luce flebile che
filtrava dallo spiraglio: spinto da una sorta di sesto senso, Roxas si
diresse lì.
Vide su uno sgabello una ragazza un po’ più
giovane di lui, dai lunghi capelli blu notte quasi neri e una strana
uniforme bianca, osservare due piccole ruote di legno che giravano e
tenevano in funzione una piccola lampadina. Un esperimento di base, con
l’unica differenza che non vi erano sistemi di pesi o leve
che spiegassero il continuo movimento delle ruote, che mantenevano un
ritmo uniforme senza dare l’impressione di fermarsi. Lo
sguardo della provetta scienziata era pieno di soddisfazione mentre
scribacchiava distrattamente ma in perfetto ordine e calligrafia degli
appunti con una mano. Roxas sapeva di aver trovato il suo obiettivo.
“Skuld?”
La testa della ragazza scattò all’istante verso la
direzione della sua voce: nei suoi occhi non c’era paura, ma
solo una perplessa curiosità.
“Quello è il mio nome. Tu chi sei?”
Allora era lei per davvero. Il ragazzo non perse tempo e
tirò fuori dal suo zaino un libro.
“Questo è per te. Io…”
“Lo abbiamo trovato! È qui!”
Dalla porta ora spalancata fecero irruzione tre guardie, che subito si
avventarono su Roxas immobilizzandolo. Il ragazzo aveva poggiato il
libro su un tavolo sopra gli altri e ora giaceva a faccia in
giù sul pavimento mentre lo ammanettavano.
“Il capo aveva ragione a non fidarsi. Ed eccolo qui, come
previsto. Davvero pensavi di aver eliminato tutti i sensori? Ci sono
laser ultravioletti ovunque, legati a telecamere nascoste.”
Lo alzarono di peso e lo trascinarono via. Skuld aveva già
smesso di prestargli attenzione e osservava con vago interesse il libro
che aveva poggiato sopra alla pila.
“Ti porteremo subito da lei. Gramilde non vede
l’ora di scambiare quattro chiacchiere con te e i tuoi amici,
signorina.”
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Capitolo 17 *** Diciassettesimo Capitolo ***
Scesero un paio di scale antincendio e lo schiaffarono malamente su una
sedia. Roxas poté solo esaminare brevemente il
piccolo ambiente angusto in cui si trovava prima che una voce lo
richiamò dalla parete opposta a lui. Gramilde era seduta
dietro una scrivania, gli occhi avidi che scintillavano.
“Bene bene, cosa abbiamo qui… il piccolo bugiardo.
Spero non ti seccherà se abbiamo avuto la briga di convocare
anche i tuoi amichetti.”
Accennò a una panca alla sua destra dove sedevano tutti i
suoi amici; non sembrava fosse stato fatto loro del male, ma avevano
l’inconfondibile espressione di chi è stato colto
sul fatto.
“Aspettavo questo momento da quando siete arrivati. Io so
fiutare l’inganno appena si presenta… per questo
sono all’apice nel settore. Purtroppo non basta il mio
sospetto per sbattervi in mano a un poliziotto, non ancora almeno, ma
tra le mie virtù vi è anche una discreta dose di
pazienza. Non dovevo far altro che aspettare la vostra mossa: qualsiasi
cosa avreste provato a fare sarebbe stata la vostra rovina. Davvero
pensavi bastassero giochetti simili per passarla liscia? Nel pavimento
del laboratorio ci sono laser, e in più ogni piastrella
è un sensore che rileva la suola di chi vi passa sopra e
chiaramente allerta se non percepisce le speciali scarpe di tutti gli
addetti ai lavori. Ti abbiamo scoperto appena hai messo piede
lì, sciocco ragazzino.”
La vecchia si alzò e passò in rassegna i suoi
altri prigionieri. Una mossa audace, ma l’espressione di
Vanitas e Terra faceva capire sapevano già che ogni
ritorsione sarebbe stata vana.
“Dunque, dunque: ora tocca solo stabilire la vostra condanna.
Le ragazze hanno danneggiato la proprietà
dell’Istituto, i ragazzi hanno mentito sulla loro
identità e usufruito illegalmente dei servizi, per non
parlare del tentativo di effrazione di quello che sospetto sia il capo.
Ohohoh, c’è solo l’imbarazzo della
scelta!”
Pareva una grassa bambina in un negozio di caramelle. Era davvero una
persona orribile quanto si era aspettato, ma Roxas sapeva il momento di
agire era quello. Con un sospiro, si raddrizzò sul sedile e
disse:
“Loro non c’entrano niente, sono stati ingannati
dalle mie promesse. Punisca solo me, anche con tutti i capi
d’accusa.”
“Oh, ti credi un eroe ora? Sei solo uno sporco ladro. E
immagino i ladruncoli come te siano anche ignoranti, o sapresti che,
essendo il suolo dell’Istituto considerato terra straniera,
possiamo avanzare solo un capo d’accusa per volta sul
territorio di Traverse. Una regola stupida, che a volte però
ci torna comodo… ma a te non serve sapere questo.
Però quello che hai detto mi ha fatto pensare: tu
laggiù! Che cosa stava facendo questo qui quando
l’avete preso?”
“Era entrato in una delle sale e stava avvicinandosi al
soggetto X-2013.”
“Ah! Skuld. Bene bene, signor… Roxas.
L’hai fatta davvero grossa, andando a toccare ragazze sotto
la nostra protezione, il vanto del nostro centro. Non solo ma si tratta
di una minorenne, mentre tu chiaramente non lo sei: questo è
proprio ciò che mi serviva, l’accusa
più grave di tutti. Tempo un paio di telefonate, e vi
farò processare e sbattere nel carcere federale. Tutti
quanti.”
Ci fu un po’ di agitazione sulla panca, che Gramilde accolse
con perfido divertimento. “Per il momento abbiamo il diritto
di confinarli per ventiquattr’ore. Ci vediamo
all’alba, cari.”
La sala di contenimento era in tutto e per tutto una cella vecchio
stile, eccezion fatta per una porta automatica al posto delle sbarre.
Terra aveva preso a fare flessioni per scaricare la tensione, Vanitas
camminava in cerchio furibondo, le ragazze sedevano su quello che
doveva essere un letto, Ventus seduto vicino alla porta e Roxas alla
parete.
“Come previsto, avevano solo una stanza.”
Chirithy annuì. “Gramilde faceva spesso
riferimento al chiuderci nella stanza se ci ribellavamo, immaginavamo
non sprecasse soldi per metterne più di una, avesse pure
cento incriminati.”
Vanitas sembrava deciso ad evadere creando un buco coi piedi.
“E ora che si fa?”
Roxas cercò di mettersi più comodo contro la
parete, ma era umida e spigolosa. “Ora aspettiamo.
Sarà l’una circa, ci restano quattro ore almeno
prima della sentenza.”
Non si scambiarono altri dettagli su cosa era successo durante
l’operazione: erano tutti troppo tesi per ciò che
sarebbe venuto poi. Tutto o niente, con la loro libertà in
gioco. I minuti passavano lenti, e divennero ore.
Poi, un rumore di passi leggeri che si fermarono proprio davanti alla
porta della loro cella. I ragazzi fissarono tutti la figura dai capelli
lunghi, che li ricambiava con gli stessi occhi curiosi di ore fa.
Skuld portò un dito alle labbra per intimare il silenzio,
anche se nessuno stava parlando; lo fece in modo goffo e meccanico,
come se non fosse familiare col concetto e l’avesse solo
studiato su un libro. Poi si avvicinò al pad numerico,
toccò qualche tasto e la porta si aprì. La
ragazza sorrise e li invitò a seguirla muovendo le dita
verso di lei.
Superarono vari corridoi deserti attenti a non fare il minimo rumore.
La luce che filtrava dalle finestre faceva capire erano le quattro
passate, forse quasi le cinque, e certamente le guardie dormivano della
grossa per quelle poche ore loro concesse. Superarono la reception
vuota e l‘entrata -Vanitas sputò per terra, e fu
solo con molto autocontrollo che Aqua non lo imitò- e
uscirono fuori sul sentiero lastricato e gli alberi dalle foglie rosse.
Poco più giù videro tre sagome scure risalire la
stradina: Gramilde non aveva perso un secondo e aveva buttato dal letto
giù gli agenti appena possibile. La vecchia si
mostrò stupita di vederli, ma a quanto pare la sua
cattiveria la rendeva sempre pronta alle sorprese.
“Eccoli! Sono loro, e sono addirittura evasi! Li arresti
subito e chiami rinforzi!”
“Un attimo, signora, un attimo. Se ho capito bene il capo di
accusa coinvolgeva una minore.”
“E infatti è lì, l’hanno
rapita! Mia adorata Skuld: presto sarà tutto finito, non
temere!”
L’agente che doveva essere a capo dell’operazione
si avvicinò alla ragazza che era tutto fuorché
timorosa.
“Cominciamo da te, allora. Ti chiami Skuld?”
“Sì, signore.”
“E vivi qui all’Istituto?”
“Ho vissuto qui sin da quando ero piccola. Più
piccola.”
“Bene. E questi… signori qui, ti hanno portata via
con la forza? E molestata in qualche modo?”
“No, signore. Sono con loro per mia scelta.”
Questo fu un altro duro colpo per Gramilde. La vecchia chiaramente
voleva capire cosa stesse accadendo, ma decise di riprendere il
controllo della situazione.
“La perdoni, dev’essere sotto shock: io sono la sua
tutrice, quindi è comunque mia la parola che
conta…”
Il poliziotto le rifilò un’occhiataccia: non
sembrava provare simpatia per la megera. “Signora, la sua
versione l’ha già data e proprio in base a quella
ho capito che la ragazza è ora maggiorenne, ergo
può e deve rispondere da sola.”
“Lo è da cinque ore, agente! Non può
mica pretendere…”
“Veramente, lo sono da un giorno e da cinque ore.”
Ormai la faccia della Gramilde poteva tranquillamente essere appesa in
un museo teatrale come personificazione dello smarrimento
più totale. Roxas, seppur non interpellato, pensò
fosse il momento di intervenire.
“Le concedo che rispetto a lei sarò pure un
ragazzino ignorante: ma persino un ignorante come me può
comprare un libro sulla storia di Traverse in un negozio. Non solo
spiega il cavillo dell’unico capo d’accusa, ma
rivela anche che la contea di Traverse essendo profondamente legata
alle tradizioni usa ancora il vecchio calendario anteguerra, quello a
cui manca un giorno. Ergo, oggi nella contea di Traverse è
il terzo del mese, ma nell’avanzatissimo Istituto
all’avanguardia è il quattro, e il tre -il giorno
in cui Skuld compie gli anni- è finito poche ore fa. Quindi
come ha detto lei è maggiorenne da un giorno, ma anche da
cinque ore.”
Skuld lo fissò tutto il tempo e alla fine sorrise divertita.
Gramilde e il poliziotto più giovane passavano a guardare
prima Roxas e poi Skuld all’unisono, non capendo.
Roxas aveva puntato tutto su quel dettaglio. Gramilde viveva a stretto
contatto con la contea perché le faceva comodo, e aveva
finito per dimenticarsi o non aveva mai saputo che c’era una
differenza di date col resto del mondo, di conseguenza sbagliando
l’età di Skuld: questa e il cavillo
dell’unica accusa erano state l’intuizione che lo
aveva colpito durante il sopralluogo, e lo aveva spinto a farsi
catturare apposta.
“Minore da
fuori che da dentro.”
“Signora, perché ci ha chiamato per rapimento di
minori, quando del minore non c’è
traccia?”
“Ma è… no! No, è stata solo
una mancanza… loro sono qui da giorni sotto falso nome e
identità! E lei era minorenne!”
“Chi lei decide di far entrare è affar suo e non
è l’inchiesta a noi presentata. Invece mi pare di
capire… che lei ha tenuto prigionieri questi ragazzi contro
la loro volontà per accuse inesistenti. Vincent, scorta la
signora di nuovo al commissariato per un interrogatorio.”
Skuld si avvicinò a Gramilde e Vincent mentre
quest’ultimo la ammanettava con difficoltà viste
le resistenze della donna. “Arrivederci, matrona.
È stata molto buona con me e molto cattiva con gli altri: ho
letto tantissimi libri su persone come lei, e non sono mai finite
bene.”
“Attenzione: treno in partenza tra dieci minuti. Affrettatevi
a salire a bordo. Ripeto…”
“Muoviamoci, dai!”
Erano riusciti a prendere un caffè al volo e a prendere i
biglietti per il primo treno del mattino giusto in tempo. Erano stanchi
e assonnati per via degli ultimi giorni d’inferno, ma a Roxas
non dispiaceva. Fin da piccolo aveva sempre amato quella sensazione
surreale dei viaggi all’alba, quando tutto sembrava visto
attraverso delle lenti opache e il giorno dopo non si sapeva cosa fosse
successo e cosa fosse stato solo un sogno. I ragazzi erano riusciti a
ottenere il permesso di partire dagli agenti con la garanzia che
avrebbero lasciato la contea alleggerendo quindi le loro scartoffie:
ora erano pronti per potersi finalmente riposare, ma prima dovevano
riunirsi ancora un volta.
“Allora, Skuld.” Esordì Aqua.
“Benvenuta. Per te potrebbe essere ancora uno shock,
ma-“
“Nah, sono a posto. Tu sei Aqua, lui è Terra, loro
sono Ventus e Vanitas, tu Chirithy e il ragazzo che mi è
venuto a trovare Roxas, giusto? La Matrona teneva fascicoli su tutti
quanti nel suo ufficio, mi è bastato dare loro
un’occhiata per decidere se valeva la pena
incontrarvi.”
Dunque era vero che la loro copertura era saltata quasi subito.
“E tu eri libera di consultare quei fogli?”
“Niente affatto. Anzi, ho letto cose
lì… cosa pensavano di noi, cosa pensava lei
quando ci vedeva. Noi non dovevamo leggere quelle cose, ma tutti i
corsi di psicologia e informatica che mi hanno fatto seguire si sono
rivolti contro di loro.”
Chirithy s’incuriosì. “Ma se sapevi come
ti trattavano, come mai non hai mai fatto nulla per
andartene?”
“E dove? Quella era la mia unica casa. Nessuno mi era amico,
anzi nessuno che non fosse sul libro paga di Gramilde sapeva che
esistevo. Non mi piaceva, ma non avevo molta scelta fino ad oggi. Ma
lì ci sono ancora tante mie amiche, e non illudetevi di aver
chiuso l’Istituto o altro: Gramilde sarà fuori
forse persino stasera stessa.”
Roxas lo sospettava. “Ci penseremo al momento. Ci hai aiutato
molto, e cercheremo di ripagare il favore quando necessario.”
Fu il turno di Vanitas. “A proposito, non voglio suonare
irriconoscente, ma perché esattamente hai deciso di venire
con noi? Siamo perfetti sconosciuti e non sai nemmeno perché
ti abbiamo cercato con così tanto impegno.”
Skuld si girà verso di lui. “Come ho detto, o voi
o qualche riccastro senza scrupoli pronto a sfruttarmi: nella peggiore
delle ipotesi eravate tali e quali a loro. E poi il modo scelto da
Roxas mi aveva stuzzicato. Prima di farsi prendere mi ha lasciato
l’almanacco del paese, segnando le pagine relative al diverso
calendario e all’unico capo d’accusa, immaginando
io capissi al volo. Dei rapitori si sarebbero limitati a prendermi con
la forza, voi avete rischiato tantissimo confidando unicamente nel mio
buon cuore. È stato strano abbastanza da
incuriosirmi.”
“Mi era stato detto eri un prodigio, ho puntato su quello.
Skuld, non posso dirti tutto sul perché ti abbiamo presa con
noi perché non lo so neanch’io. Ma ti prometto
questo: non ti obbligheremo a fare nulla che non vorrai, ti tratteremo
sempre bene e non ti nasconderemo mai la verità. Non
è molto, ma è tutto ciò che posso
offrirti.”
“La verità è il più prezioso
dei beni e la più pericolosa delle armi. In pratica mi stai
sì offrendo fiducia, ma allo stesso tempo mi rendi partecipe
dei tuoi segreti, dandomi quindi una grossa responsabilità.
Ingegnoso da parte tua camuffarlo come privilegio.”
Tutti tacquero, a disagio per come la ragazza aveva posto la cosa. Non
aveva torto, ma quel modo di piegare le parole ed esporle senza
fronzoli la rendeva simile a…
“Simile a
Ephemera.” Realizzò Roxas. Mentre
tutti nel gruppo iniziavano a sentire gli effetti del sonno e
l’adrenalina scemava lui appoggiò la testa contro
il finestrino, ammirando le colline che si susseguivano.
Era arrivato il momento di capire perché Xemnas aveva tanto
a cuore quella ragazza per il suo piano.
Fecero tutti una robusta colazione nel vagone del treno dopo un sonno
ristoratore, ingannando così la lunga attesa del viaggio.
Skuld poi era la meno annoiata di tutti: sebbene il suo carattere la
mantenesse ottimista e padrona di sé si capiva che tutto
aveva per lei un enorme interesse, non essendo mai stata
così lontana da casa. Aveva pur sempre diciotto anni appena
compiuti e aveva visto il mondo solo sulle pagine di un libro o la
pellicola di un film. Roxas notò questo suo comportamento e
una volta tornati a Twilight Town non andò subito da Xemnas,
ma portò la ragazza in una via piena di vetrine.
“Manca ancora un po’ all’orario
consentito per fargli visita. Aspettatemi lì, non ci
metterò molto” promise agli altri.
Skuld era un po’ confusa. “Dove andiamo?”
“Questo lo decidi tu. Hai compiuto da poco gli anni, no?
Scegli qualcosa, e sarà il nostro regalo per te.”
Lei si fermò e lo fissò con
un’espressione assolutamente non ermetica, ma comunque per
lui indecifrabile, poi corse al negozio più vicino e
spiaccicò il naso contro il vetro. Al ragazzo ci volle un
po’ a capire che aveva tentato di esprimere gratitudine, non
essendovi abituata: ridacchiò e le andò dietro,
chiedendosi cosa avrebbe voluto come regalo.
Alla fine entrarono in un negozio di animali di ogni taglia. Roxas non
aveva pensato a una cosa viva e si preoccupò un
po’, non sapendo se sarebbe stato possibile tenere un gatto o
un cane. Ma Skuld non badava a loro e pareva più interessata
a criceti e topolini, per fortuna.
“…Roxas?”
Lui si girò di riflesso senza nemmeno analizzare la voce che
lo aveva chiamato, e per poco non gli venne un colpo. Xion era
lì con un pesce in una boccia di vetro, e lo fissava
incerta.
Il tempo parve congelarsi. Decine di frasi, emozioni e ricordi si
alternarono nel giro di pochi secondi, ma alla fine il cervello decise
di scegliere una via piuttosto scontata e lineare.
“…Xion. Cosa fai qui?”
“Prendo un pesce.” Sollevò di
più la boccia. “Pensavo di portarlo a mio
fratello, nella speranza di aiutarlo a riprendersi. Stava meglio, ma
negli ultimi giorni sembra tornato un po’
giù.”
“Probabilmente
ansioso per via del nostro piano.”
“Bene, allora spero che funzioni.”
Pausa imbarazzata, perfino il pesce sembrava in grado di portare avanti
una conversazione migliore.
“E… tu perché sei qui?”
“Io? Sto, beh, cercando un animale
anch’io.”
“Pensavo non ti piacessero gli animali da
compagnia.”
“No, infatti è uno piccolo che non dà
nell’occhio.” Sarebbe stato molto difficile
spiegarle la situazione attuale né sarebbe stata una buona
idea. Ancora a disagio per l’incontro inaspettato, Roxas si
costrinse a tenere una mente lucida e liberarsi di lei al
più presto. “Bene Xion, sono felice di averti
visto, ma non voglio metterti troppo a disagio. Vedo che stai bene,
quindi-”
“Anche tu, cioè, non ti si vedeva più
in giro e pensavo che… ma stai bene. Molto, in
realtà.” L’ex-ragazza si
avvicinò per studiarlo meglio, troppo vicina per i suoi
gusti. “Hai preso colore e sei lievemente ingrassato. Dove
sei stato questi ultimi giorni?”
“Roxas! L’ho trovato!”
Si avvicinò Skuld con sottobraccio una gabbia per uccelli.
Dentro c’era un piccolo pappagallo verde chiaro, una palletta
di piume. “È nato da poco, quindi può
imparare un sacco di parole compreso il nome che ancora non ha. Mi
prendi questo, per piacere?”
Il peggior tempismo possibile. Xion squadrò la nuova venuta,
una ragazza alta anche più di lei coi i capelli lisci e
lucenti e chiaramente più giovane. Soltanto paragonandole
fisicamente Roxas si accorse che poteva sorgere un diverso tipo di
malinteso, ma era troppo tardi.
“Ah.” Quest’unico verso
fuoriuscì dalle labbra di Xion intriso del gelo
più profondo. “Non pensavo che… non mi
ero accorta tu fossi in compagnia. Bene, ti- vi lascio soli.”
E uscì dal negozio in tutta fretta senza guardarsi dietro.
Poco dopo Roxas pagò l’animale e portò
Skuld fuori. Lei era raggiante, ma lui si sentiva come se
l’intero negozio gli fosse cascato addosso.
“Quindi vi siete incontrati, a giudicare dalla tua
faccia.”
Il ragazzo pensò che parlargli senza prima annunciarsi era
una maleducazione che gli riservavano in molti. In questo caso era
Aqua, appoggiata alla vetrina.
“Che fai qui?”
“Guardavo i cuccioli. Poi ho visto la tua cucciola uscire con
passo furioso. Ho ragione se dico ti ha trovato in dolce
compagnia?”
“Si è fatta un’idea sbagliata e non mi
ha lasciato tempo di spiegare!”
“Mh.” La cerulea si avvicinò rapidamente
e lo baciò. “Beh, direi ha solo sbagliato persona,
non idea. E poi che le avresti detto? Che questa creatura a malapena
maggiorenne non è la tua ragazza ma il tuo ostaggio?
È meglio così, anche se ovviamente ti dispiace:
ma non potevi prevederlo, quindi guardiamo al meglio.”
“La mia visione del meglio differisce dalla tua. E poi
perché se l’è presa così,
dopo ciò che ha fatto lei.” Quest’ultima
frase gli uscì senza nemmeno rendersene conto.
“Roxas, è una ragazza. Per farsi forza ti immagina
abbandonato su un materasso che guardi una vostra foto insieme mentre
singhiozzi, non appena tornato da una vacanza con una giovane compagna
alla quale stai comprando un animale, cosa che per lei non hai mai
fatto.” Lui non volle investigare sul perché Aqua
sapesse che non avevano comprato un animale assieme.
“È gelosa, colpevole e si sente la perdente in
questo scambio. E se ne rende conto solo in parte, quindi entro sera
almeno una confezione di gelato sparirà dalla
circolazione.”
Questa manfrina condita di saccenza gli ricordò quelle che
sentiva da un’altra donna che parlava con la stessa
autorità.
“Sai, noi pensavamo tu fossi quasi l’opposto di
Larxene.”
Lei gli rivolse un sorriso quasi stucchevole. “Una
caratteristica delle donne è che mostrano solo una faccia
alle persone. Sii lieto di essere uno dei pochi a conoscere anche
l’altra.”
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Capitolo 18 *** Diciottesimo Capitolo ***
Salve.
Non ho idea qaunti ancora seguano, e a quanti interessi, ma mi sucso
comunque se ci ho messo tanto. Un pò sono stati problemi
personali, un pò è che non mi ritrovavo
più con la mia stessa storia, e mi sembrava di essermi
andato a chiudere dove non volevo.
Un errore da principianti, ma è quello che sono. Ma non
rimpiango nulla di questa storia, e mi accingo con piacere a presentare
gli ultimi capitoli.
Grazie per la comprensione e buona lettura!
Diciottesimo Capitolo
Erano tutti di nuovo nella stanza di Xemnas, dopo quella che era parsa
un’eternità. La piccola Skuld si era guardata
attorno con curiosità, ma entrati lì aveva
rivolto tutta la sua attenzione verso l’alto ragazzo
abbronzato, di certo intuendo non fosse una persona ordinaria. E ora si
fissavano in silenzio, studiandosi circospetti finché lei fu
la prima a rompere il ghiaccio.
“Io ti conosco.”
Xemnas accennò un sorriso. “Memoria fotografica,
capacità d’analisi, una determinata faccia
tosta… non eri a caso il fiore all’occhiello
dell’Istituto. Non t’inganni: ci incontrammo la
bellezza di quattro anni fa, quando fecero fare un giro a mia
sorella.”
“Giusto! Il tipo degli indovinelli! Mi ricordo
perché mi avevi sottoposto certi difficili enigmi per una
buona mezz’ora.”
“Mi stavo un po’ annoiando.” Poi Xemnas
si rivolse agli altri. “Conobbi anche Ephemera in quella
circostanza.”
“Dunque lo conoscevi già!”
“Sì, Roxas. Anche se lui non sospetta io mi
ricordi. Vedi, voi non siete i primi coi quali Ephemera ha adottato il
sistema di farsi piccolo e insignificante… per lui era quasi
una questione di sopravvivenza, immagino… ma io non sarei
arrivato dove ero se non fossi capace di vedere dietro certe
pantomime.”
“Scusate.” Si intromise Skuld. “Parlate
di Ephemera? Lo conoscete?”
“Se lo conosciamo? È un po’
più complicata di così.”
Sbottò Terra.
La ragazza abbassò gli occhi e mormorò piano:
“Dovevo immaginare una cosa del genere.”
Ventus osservava tutto, come al solito. “Forse è
arrivato il momento di raccontare tutto, no? Ma proprio tutto
stavolta.”
Xemnas si assicurò che nessuno stesse in ascolto,
perquisendo perfino i muri. Soddisfatto, tornò seduto e
incrociò le braccia sul piccolo tavolo centrale.
“Allora. Innanzitutto, Skuld dovrebbe già essere a
conoscenza delle vicende dei Campionati…”
“So tutto. E dal vostro scambio di battute, capisco anche
cosa abbia combinato Ephemera ai vostri danni. Ah, è sempre
stato così.”
“Davvero? Poi ce ne parlerai. Dunque, sarà meglio
che vi aggiorni su ciò che è accaduto mentre
eravate via: la Twilight Town University è stata annessa
alla Foretelling.”
“NO!”
“Roxas…” Aqua tentò di
accarezzarlo, ma lui la respinse. Non anche la sua accademia. Il suo
posto preferito. Non poteva.
“Purtroppo sì. Prima Ephemera si è
fatto riammettere, dopo la vittoria non dev’essere stato
difficile, poi… puoi immaginarlo. Ora perfino io ignoro la
situazione interna del campus, troppo rischioso indagare in giro. I
tuoi ex-compagni, mia sorella… non so cosa stiano
passando.”
Fugace scambio di occhiate tra Roxas e Aqua. Forse Xion non era
affranta solo per il loro incontro.
“C’è di più. Tramite quelli
che all’occhio pubblico vengono presentati come scambi di
studenti e progetti collaborativi, tra tutte le accademie stanno
circolando strani individui. Il ragazzo progetta qualcosa, qualcosa che
probabilmente è in arresto solo per via del processo attuato
per assumere il pieno controllo dell’azienda di famiglia.
Quello è la nostra unica proroga, e purtroppo è
già nelle fasi finali. Una volta terminato e cacciate le
alte sfere, al ragazzo basterà poco per attuare tutte le
riforme che vuole e assumere il controllo delle menti più
brillanti della nuova generazione. E da lì, chi
può dire cos’altro accadrà?
“Quindi ci rivolgiamo ora a te, Skuld. Ephemera si
è rivelato un elemento pericoloso, innocuo agli occhi e alle
regole del mondo degli adulti ma perfettamente in grado di sfruttarle a
suo piacimento per suo tornaconto. La sua piccola rivoluzione non
verrà mai citata nei libri di storia o in televisione, ma
rischia di colpire duro. Ma tu… tu sapevi chi era fin dal
primo momento. Non mi sono mai scordato come mi hai messo in guardia da
lui. E ora, a distanza di anni ti chiedo: c’è
qualcosa che puoi fare per aiutarci?”
Skuld aveva ascoltato, ma sembrava anche persa nel suo mondo:
probabilmente nulla di ciò che Xemnas diceva era per lei
scioccante o inaspettato.
La ragazza si dondolò incerta sulla sedia, poi
parlò: “Ephemera è sempre stato
così. Quando si trovava qui, voglio dire
all’Istituto, teneva sempre la testa bassa e sorrideva a
tutti. Ma in realtà mi confidava spesso dei suoi progetti,
nei quali ha cercato anche di coinvolgermi. Non so se dopo questi anni
siano ancoragli stessi: credo e spero di no. Ma se volete il mio aiuto,
lo farò.”
“Davvero?” Vanitas era scettico, e Roxas per una
volta non gli dava torto. “Tu, assieme a noi e contro il tuo
amichetto?”
“Mai detto la simpatia fosse reciproca. L’ho sempre
trovato detestabile. E voi mi piacete: siete un gruppetto
affiatato!”
“Un gruppetto
affiatato.” Roxas si chiedeva se aveva ancora il
diritto di intromettersi di nuovo in quella faccenda. Non stava forse
ricadendo nei vecchi schemi? Non si stava autoconvincendo di essere
l’unico a poter risolvere tutto, per poi fallire?
Pensò ai suoi vecchi amici, per cosa aveva lottato assieme a
loro.
“No. Stavolta
non sono solo e non lo faccio per l’approvazione. Lo faccio
perché è la cosa giusta.”
“Xemnas. Abbiamo un piano?”
“Certo che sì. La buona notizia stavolta
è che il nostro vecchio campus non è certo una
fortezza inespugnabile.”
Il biondino annuì. “E la cattiva?”
“Davo giusto adesso un’occhiata su Twilighter per
seguire il processo che tiene Ephemera bloccato. Finisce tra due giorni
a partire da oggi.”
Silenzio sconcertato. Due giorni prima della fine significava un giorno
per rifinire tutto e un altro per metterlo in pratica.
“Al lavoro, dunque.”
A fine sessione se ne stavano per andare dopo aver rimesso tutto a
posto quando Skuld chiamò velocemente Roxas fuori dalla
porta, nel corridoio. Scoccando uno sguardo interrogativo ai compagni,
il biondino la seguì e sotto sua richiesta si chiuse la
porta alle spalle.
“Cosa c’è?”
“Devo dirti una cosa importante, e ho pensato era meglio se
la sapevi solo tu.”
“Beh, questo lo vedo. Di che si tratta?”
“Ecco… è il profilo psicologico di
Ephemera. Almeno quello effettuato anni fa. Credo tu voglia
vederlo.”
Roxas prese il foglio e lesse, dubitando di poterne ricavare qualcosa.
Era effettivamente scritto in linguaggio altamente specializzato e non
tutti i termini erano chiari, ma iniziava a intravedere
qualcosa… con crescente apprensione terminò la
lettura e osservò Skuld, gli occhi sgranati.
“Questo è… che cosa?”
“Già. Prima Vanitas ha trovato il mio accettare di
aiutarvi sospetto. Ora sai perché. Non mi
preoccupa.”
Lui riguardò il foglio. Non riusciva a crederci…
tutte quelle sofferenze, quelle macchinazioni…
però più ci pensava, più comprendeva.
E alla fine voleva quasi solo ridere, una risata vuota e amara. Ma una
domanda ancora gli salì sulle labbra.
“Perché siamo venuti qui fuori per questo? I
ragazzi dovrebbero sapere.”
Lei gli rivolse il più malizioso dei sorrisi, uno che una
persona rinchiusa per tutta la sua vita non avrebbe nemmeno dovuto
conoscere.
“Io trovo che quando si commette un errore allontanarsi e
prendere una direzione completamente diversa sia un atteggiamento
inferiore… non stai dimostrando di aver capito, stai solo
voltando le spalle al problema. Hai voluto fare l’eroe e non
è andata bene, ma questo non significa tu non possa
più farlo. Tieni questa informazione per te.”
Era il sette Luglio. Una delle giornate più calde,
dove le scuole minori avevano già chiuso o si apprestavano a
condurre gli ultimi esami. E alla Twilight Town University si tenevano
gli spettacolari giochi di fine anno, un evento sportivo con tanto di
stand e attrazioni minori che per tanto tempo aveva attirato anche gli
studenti di altri istituti e convinto persino i perdigiorno
irrecuperabili a mostrarsi nel campus. Ma l’edizione dei
giochi più popolare rimaneva sempre quella di tre anni
prima, dove un manipolo di ragazzi guidati da una matricola aveva messo
in ridicolo lo stimato Consiglio Studentesco.
Un’ennesima beffa del fato, ormai considerato da Roxas come
un caro amico. Mai, nemmeno nei suoi sogni proibiti, avrebbe mai
pensato di assistere a uno di quegli eventi da estraneo e in compagnia
di Xemnas, il suo antico rivale.
Che in quel momento stava varcando la soglia principale sotto gli
sguardi esterrefatti di tutti e veniva accolto dal padre, il rettore
Ansem, con abbracci e sorrisi. La sua miracolosa comparsa avrebbe di
certo aiutato a distrarre i pezzi grossi e a far passare Aqua, Ventus,
Vanitas, Terra e Chirithy tra la folla senza clamore.
In quanto a Roxas, si trovava come stabilito dalla legge fuori
dall’area del campus in compagnia di Skuld, in un anonimo
furgoncino dotato di display e monitor. L’ambiente non era
necessario e il piano originale prevedeva che lui monitorasse da casa,
ma in un inusuale slancio di personalità Chirithy aveva
insistito perché “faceva molto film di
spionaggio”. E quindi lì erano, ad osservare le
incerte inquadrature delle telecamere nascoste e l’audio
confuso della folla, e ad aspettare.
“Roxas. Ho un contatto. Notevole il tuo amico, mi aspettavo
cedesse prima.”
L’ex-studente chiuse gli occhi e inspirò a fondo.
Era l’ora di vedere se davvero a tutti era concessa una
seconda occasione e fin dove la fiducia poteva portarlo.
Riaprì gli occhi e si avvicinò alla tastiera di
Skuld.
“Hello?”
Digitò brevemente, e attese qualche secondo che la
stanghetta lampeggiante venisse sostituita dal messaggio di chi avevano
contattato.
“Identificati.”
Ed eccolo lì. Non avrebbe mai rifiutato un incontro con
qualcuno tanto abile da superare il suo firewall in breve tempo come
aveva fatto Skuld. Ma solo Roxas poteva portare avanti la conversazione.
“Luxord aveva
raccontato a Demyx che c’erano solo due assi nel mazzo, ma
Axel aveva truccato le carte a loro insaputa. Furono entrambi molto
sorpresi quando Dem pescò sette assi di bastoni su
sette.”
“…Roxas?”
“Ehi Zexion.
Vedo aiuti ancora l’università col monitoraggio
durante i giochi.”
“Qualunque
cosa stia succedendo, finisce qui. La mia carità arriva fino
al punto che non ti denuncerò a nessuno.”
“Non stiamo
facendo nulla di illegale.”
“Roxas,
finisce qui.”
“Ascoltami un
momento. Io mi mantengo entro i limiti delle leggi che mi riguardano, e
altri sono tutt’ora nel campus sotto regolare invito, anche
se… senza attirare l’attenzione. Non chiediamo
aiuto, solo un occhio chiuso nel caso ci trovassi a gironzolare tra i
sistemi informatici della struttura.”
“Siete qui per
causare guai?”
“Immagino sia
inutile fingere che non faremo nulla. Ma nessuno ci andrà di
mezzo.”
“E che
garanzie ho di ciò?”
“La mia
parola, o nessuna se sono stato rivalutato così tanto. Zex,
se pensi che sia poco o niente hai ragione: ma io e te stavamo in un
gruppo che valicava proprio questo genere di territori di mezzo.
L’incertezza era la nostra costante, la
semi-legalità il nostro codice d’onore. Sei ancora
un Nobody?”
La stanghetta sembrò lampeggiare all’infinito,
nell’attesa di una risposta che forse non sarebbe mai
arrivata.
“Io non ti
aiuto, sia chiaro. E se qualcuno della banda si accorge
c’è sotto qualcosa e viene a farmi domande, io non
mentirò.”
Roxas sospirò di sollievo e solo allora si accorse
tratteneva il fiato da quelli che sembravano minuti interi. Skuld gli
batté sul braccio, solidale.
“Ti devo un
favore, amico. Dimmi solo se i vecchi sistemi hanno nuove password come
penso.”
“Se tu fossi
venuto qui pensando non fossero cambiate, facevi prima ad andartene a
casa. Ma se avessi pensato questo avrei saputo non eri Roxas. Non
contattarmi più su questa linea.”
“Via libera” disse Roxas ai suoi amici, tutti
collegati allo stesso canale audio. Riferì in fretta la sua
discussione con Zexion.
Terra era parecchio agitato. “Se gli fanno domande
spiffererà tutto! Forse dovremmo ripensare il
piano…”
“No, non lo farà.” Di questo il biondino
era sicuro. “Zexion ha un modo tutto suo di mostrarsi
solidale. Non ha voluto sapere cosa abbiamo intenzione di fare in modo
tale che se gli chiedessero cosa succede, lui non sia costretto a
mentire quando risponderà che non ne ha idea. È
una verità contorta, ma se per lui funziona contenti tutti.
Ci atteniamo al piano.”
Un coro di cenni d’assenso, poi silenzio radio. Roxas si
appoggiò allo schienale della sua sedia. Zexion gli aveva
anche dato la conferma di qualcos’altro. Se qualcuno della
banda si accorge… quindi erano tutti lì, la banda
al completo. Beh, era logico fosse così. Non c’era
modo di far sapere nulla a Xemnas: ovviamente lui non poteva avere
auricolari o telecamere addosso, si sarebbe notato. Dovevano fare
affidamento sul suo colpo d’occhio, ma era l’ultima
cosa di cui erano preoccupati.
Il ragazzo portò la sedia a rotelle fino ad un tavolinetto
con sopra adagiata una scacchiera. Aveva detto era il suo portafortuna,
ma era anche un pesante monito di ciò che c’era in
gioco.
“Si comincia…”
Terra puntò dritto al campetto dove si tenevano le prove
sportive, Ventus e Chirithy sfruttarono la loro poca
notorietà per girovagare più liberamente, Aqua
era allo stand delle ragazze (ora anche il club numero uno del campus,
visto che il presidente era anche il capo del Consiglio.)
E Vanitas avrebbe dovuto essere nelle zone meno battute a osservare i
delinquenti in cerca di informazioni utili, ma lì non ve
n’era traccia. Aveva spento il ricevitore e piazzato la
telecamera in un luogo isolato in mezzo a una piccola folla: non si
aspettava di fregare la bambina-provetta a lungo, ma quel tanto che
bastasse per essere fuori portata. Entrò di soppiatto
nell’edificio principale muovendosi circospetto. Solamente
quello Zexion l’avrebbe potuto inquadrare, e ora nemmeno lui
era una minaccia: aveva piena libertà.
Davanti a lui, aule vuote prive di importanza. Qualche ufficio dei
docenti, magari pieno di roba che scottava su Ephemera, ma troppo
rischioso. Salì le scale. Altri locali e la sala monitor,
Zexion doveva essere lì. Vanitas salì ancora.
A metà di una rampa una voce lo costrinse a fermarsi, la
voce di un adulto: perché era lì? Se Vanitas
fosse stato scoperto sarebbe stata la fine, era assolutamente sicuro
non aveva il permesso di trovarsi lì e ora non aveva modo di
nascondersi. Il moro attese, il battito del cuore
accelerato… poi si trovò faccia a faccia con lo
sgradito intruso.
Vanitas sbuffò, finì di salire i gradini e
apostrofò il vecchio: “Che diamine ci fai
qui?”
Eraqus strabuzzò gli occhi, dicendo: “Tu mi
ricordi qualcuno… chi è che sei?”
“La fata turchina. Senti, non ho tempo per te, quindi ora
fatti da parte e lasciami passare. Forse allora dimenticherò
la tua condotta ai Campionati.”
“Bah! I giovani d’oggi! Nessun rispetto,
guarda… ma effettivamente devo essere in ritardo. Credo mi
aspettino per una cerimonia, ma stranamente non mi
raccapezzo.”
“Forse perché non è la tua scuola,
questa. Scendi le scale e troverai la tua stupida parata.”
“Ah sì? Questo spiega tutto. Grazie, fata
turchese!”
Eraqus scese le scale con passo incerto mentre Vanitas scuoteva la
testa e riprendeva la sua scalata, arrivando ad un’ultima
porta antincendio con la scritta “Vietato
l’accesso”. Spinse la grossa maniglia rossa e la
varcò.
Si trovava sul tetto, e da sotto provenivano i rumori e le grida della
festa. Il posto era deserto, fatta eccezione per un paio di generatori
d’emergenza e due ragazzi, quasi uomini, appoggiati al
parapetto con varie sigarette spente ai loro piedi.
Uno indossava un completo marrone chiaro con tanto di cravatta
accuratamente stirata, aveva una zazzera di capelli blu e lo sguardo
freddo. Ma fu l’altro, un rosso con solo la camicia e la
cravatta sciolta, ad apostrofare il nuovo arrivato.
“Buondì! Ti sei perso o sei solo curioso? In
entrambi i casi questo è il nostro rifugio preferito, quindi
ti chiederei cortesemente di sloggiare.”
“Questo ragazzino non si è perso, Axel. Cercava
proprio noi.”
“Cavoli, Saix… credi non lo so? Ma si chiama
essere accomodante, dovresti provarlo.”
“Non si chiama così e non ti si addice per
niente.”
Axel gli rivolse un sorriso esasperato. “Sei tremendo, lo
sai?” Poi tornò a guardare Vanitas.
“Dunque, signor… perdonami se non ricordo il nome,
ne è passato di tempo dai Campionati. A che dobbiamo il
piacere? Se tale possiamo definirlo.”
Parlava con calma, ma a Vanitas appariva evidente dallo sguardo e
dall’atteggiamento come non avrebbe esitato a fargliela
pagare se avesse provato a creare problemi. Accanto a lui quello
chiamato Saix non diceva nulla ma emanava la stessa aura minacciosa.
Gli piacquero all’istante: erano ciò di cui aveva
bisogno.
“Ansioso di menare le mani? E se fossi qui per conto di
Ephemera?”
“In tal caso non proverei nemmeno la poca pietà
che sento ora nello scaraventarti di sotto e trasformarti in un
aeroplanino umano. Non faccio più parte di questa scuola da
un po’, quindi che io sia dannato se lascerò che
un moccioso mi dica cosa fare.”
“Ma i tuoi amici non sono dello stesso avviso,
pare.” Vanitas sbuffò di derisione.
Axel mutò espressione, una rabbia incredula a quelle parole.
Coprì in pochi passi la distanza che li separava e
afferrò il moro per il colletto.
“È diverso. Hanno le mani legate, e non sanno
nemmeno cosa sta accadendo. E a tal proposito, ora tu mi dirai tutto
ciò che sai se vuoi uscire da qui con le tue
gambe.”
Vanitas sorrise. “Allora non sanno nulla di preciso.
Interessante!”
Prima che l’altro potesse chiedere cosa intendesse dire, si
intromise Saix.
“Axel, lascialo. Non è di Ephemera, te ne
accorgeresti. Ci voleva testare.”
Il rosso guardò prima Vanitas, poi l’amico, poi
mollò il suo ostaggio e si girò del tutto.
“E magari dirmelo, Saix?”
“Si chiama essere accomodante, dovresti provarlo.”
“Tu sarai la mia rovina. E tu, invece. Sono pronto a scusarmi
per il mio atteggiamento, ma prima devo sapere
cos’è che vuoi. E parla chiaro stavolta.”
Vanitas si lisciò i vestiti e ripensò alle parole
di Xemnas in un precedente incontro.
“Tu comprendi
il valore della fiducia, ma ti manca la capacità di
individuare altri che sono nella tua stessa condizione, anime affini
alla tua. Non sono nemici, ma preziosi alleati. Non agire di tua
iniziativa a meno che non sia davvero l’ultima opzione
rimasta.”
Beh, era l’ultima opzione rimasta. Roxas era pazzo se pensava
che avrebbero potuto fare tutto da soli, e lui aveva imparato a
individuare altre anime oppresse, che avrebbero voluto fare qualcosa ma
mancavano di organizzazione.
“Il mio nome è Vanitas, e Roxas ha bisogno di
voi.”
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Capitolo 19 *** Diciannovesimo Capitolo ***
“Coraggio signorine, i Giochi sono già iniziati!
Tutte in cortile, tocca sgombrare gli edifici!”
Luxord finì di redarguire due studentesse che si erano
attardate a chiacchierare e sbuffò: tornare al campus solo
per far rispettare le regole era faticoso, specie per lui che le regole
le rispettava a malapena quando era immatricolato… ma per
Larxene faceva questo e altro.
Sfiorò l’auricolare e si mise in contatto con
Demyx per un aggiornamento.
“Le aule al piano terra sono tutte sgombre. Fortunatamente la
mia reputazione qui conta ancora qualcosa.”
“Amico, se ti danno retta è perché
sanno chi è la tua donna. Spera piuttosto la tua reputazione
sia sempre meno nota… comunque, tutto tranquillo anche qui.
È incredibile rivedere il vecchio Xemnas addomesticato, fa
uno strano effetto.”
“Sono passati anni ormai. Acqua passata.”
“E del nano malefico nessuna traccia?”
“Mio caro Demyx, per cortesia abbassa la voce! Ad ogni modo
Larxene mi ha riferito passerà gran parte del tempo nel suo
ufficio. Probabilmente sta ancora legalizzando qualche
faccenda.”
“Già. Beh, meno lo vedo e meglio mi sento, ma non
so come faccia Larxene a stare nella stessa stanza assieme a lui.
Immagino che poi si sfoghi strapazzando te, eh?”
Ma Luxord non poté né confermare né
contraddire l’amico: aveva appena visto un’ombra
furtiva svoltare l’angolo, come se lo avesse visto e stesse
tornando indietro per evitarlo. Sospirando al pensiero di una matricola
furbetta che voleva disobbedire, il giovane si lanciò
all’inseguimento.
Al campo si respirava un’aria carica di emozione, adrenalina
e anche un bel po’ di sudore: Terra inspirò a
fondo, godendosi l’atmosfera sportiva che da atleta di punta
della sua ex accademia conosceva fin troppo bene. Gli sarebbe piaciuto
partecipare ai famosi Giochi Sportivi della TTU, ma aveva una missione
da compiere: assicurarsi che la competizione attirasse un bel
po’ di persone, per dare agli altri più tempo.
Anche se Roxas non era stato troppo chiaro al riguardo.
“L’ultimo consiglio che posso darvi”
aveva detto, “è di considerarvi liberi. Fate come
ritenete opportuno, e non come gli altri vorrebbero faceste. Vi
garantisco che nulla batte una congrega di persone organizzate che
vogliono tutte la stessa cosa e con libertà di agire a
seconda della situazione. Non mi servono cinque copie di me
stesso.”
Terra avrebbe gradito invece ricevere delle istruzioni dirette: non gli
piaceva improvvisare. Spesso sbagliava, o non coglieva dettagli che ad
altri parevano evidenti. Ma ne era consapevole, e vedeva chi lo guidava
non come un prepotente ma come una persona gentile e altruista. Decise
che avrebbe provato a manomettere qualche impianto, come imparato nelle
operazioni per recuperare Skuld.
“Ma dai che ci divertiamo!”
Una voce vagamente familiare catturò la sua attenzione. In
mezzo alla folla, due ragazzi discutevano animatamente. Terra li
riconobbe e si fermò, in ascolto.
“Non lo so. Gli altri sono indaffarati, dovremmo dare una
mano invece di divertirci.” Riku era scettico.
“Vedrai che se la cavano, fanno questa tiritera da anni!
Segniamoci ai giochi, vedrai che vinceremo tutto!” A Sora
brillavano gli occhi.
“Sora, partecipano ragazzi da ogni dove, anche da sedi
esterne. È gente allenatissima, alcuni col proprio stuolo di
fan appresso.”
“Appunto! Pensa la gloria nel batterli! Uno potrebbe
diventare la star dell’intera giornata!”
Terra si accostò a un muro e rifletté. Quindi si
poteva partecipare anche da fuori, non occorreva essere
studenti…
“Aaaah! Terra,
questo sarebbe il tuo lavoro? È tremendo, perché
sono dovuto capitare in coppia proprio con te? Non voglio prendere un brutto voto per
colpa tua!”
Vincere significava attirare l’attenzione, e lui era una vita
che si allenava, di sicuro poteva batterne molti…
“Professoressa,
Terra ha rotto il vaso! Gliel’avevamo detto di fare come dice
il manuale, ma lui non capisce mai!”
Immaginò le facce dei suoi amici, che si pietrificavano in
sconcerto e delusione. A loro non sarebbe mai venuto in mente di
partecipare…
Ephemera
sghignazzò. “Sei solo un bruto tutto muscoli e
niente cervello, che ha avuto la fortuna di vincere una borsa di studio
perché più grosso degli altri. Ovunque ti muovi
fai solo danni.”
Ma non era vero... Ventus era sempre stato amichevole con lui. Vanitas
non distoglieva lo sguardo, non era intimorito dalla sua stazza. Aqua
era stata contentissima di partecipare ai Campionati con uno studente
del suo stesso anno.
Il ragazzone annuì fra sé e sé e
marciò dritto verso l’ufficio delle iscrizioni,
poche persone dietro a Riku e Sora.
Aqua invece sostava nei pressi dello stand delle ragazze, che come di
consueto gestiva l’edizione del giornale del campus e delle
ultime novità.
“Signorina! Corsi per apprendisti insegnanti! Ha finito
l’università ma vuole rimanerci? Consideri
l’idea!”
“Grazie, ma non ho ancora deciso cosa voglio fare.”
Però prese comunque un opuscolo, giusto per passare
inosservata. Il suo obiettivo era Larxene, se fosse riuscita a
rallentare o perfino immobilizzare il Presidente in persona tutto
sarebbe filato per il meglio. Per ora sapeva solo che era nel suo
ufficio intenta a sbrigare le ultime pratiche, ma non poteva certo
avvicinarla lì.
Aveva un piano: attendere che Larxene passasse in bagno a rifarsi il
trucco (Roxas aveva domandato se era possibile non lo facesse, dubbio
che solo un ragazzo poteva avere), intrufolarsi con lei approfittando
fosse girata, e usare le sue abilità recitative per non
farsi riconoscere e instaurare una conversazione. Poi, eventualmente,
spostarsi in un luogo appartato per la drammatica rivelazione. Roxas
sarebbe rimasto ammirato dalla sua sagacia, come lo era lei stessa in
quel momento. Nulla poteva andare storto.
Poi tutto andò storto. Una figura minuta e carica di
giornali freschi di stampa si fece largo barcollando.
“Permesso! Permesso! Scusate, permesso!”
Ma non riuscì ad evitare Aqua che la mandò lunga
distesa per terra, fogli svolazzanti ovunque. La ragazza si
seccò: ecco dell’attenzione indesiderata. Tanto
valeva sfruttarla per mostrarsi una straniera gentile. Si
chinò e tese la mano verso la malcapitata.
“Mi dispiace davvero! Lascia che ti aiuti a raccogliere
tutto.”
“No, no, la colpa è mia che ho portato tutto in
una volta! Vai pure e goditi la festa.”
Xion e Aqua si presero per mano e si guardarono dritto negli occhi. Per
un solo istante sembrò come se il tempo si fosse fermato.
Poi Xion si alzò rapidamente, mollò la presa e
iniziò a raccogliere le pagine sparse.
“Bene, puoi andare ora. Grazie.”
Aqua non se lo fece ripetere due volte: il solo essere stata vista era
grave, ora doveva pensare a come ammortizzare i danni…
“Lui non è qui, vero? Non può
presenziare e lo sa. Spero non te lo sia portato dietro.”
Aqua si fermò. Eccolo, il tono di condiscendenza delle
ragazze che vedevano in lei solo una bambola. Odiava essere trattata
così. E poi, che voleva dire “portato
dietro”? Mica era un cane.
“Roxas sta bene, è adulto e capace di giudicare da
solo. Non costringo i ragazzi a seguirmi al guinzaglio.” Poi
aggiunse, ad un tono di voce più basso: “Anche se
forse qualcuno non ha scelta, difettando di altre…
doti.”
Fu il turno di Xion di immobilizzarsi sul posto, con un foglio stretto
fra le dita che iniziò ad accartocciarsi.
Le due donne si fronteggiarono, anche se una non arrivava al mento
dell’altra.
“Non mi piacciono le tue insinuazioni, e mi rattrista molto
vedere che persone così sono capaci solo di venire ad
insultare.”
“Tipico, guardare gli altri dall’alto in basso a
dispetto della tua statura, iniziando subito a pensare male! Dimmi,
Roxas è stato l’unico a scappare a gambe
levate?”
Xion vibrò di indignazione, ma quando parlò la
sua voce era bassa e glaciale.
“Non so se ti è giunta la notizia, ma io conto
qualcosa qui. Perciò ora esigo le tue scuse immediate e che
tu te ne vada il più lontano possibile da me, o ne pagherai
le conseguenze.”
“Allora prego, fai pure! Osa! Fammi vedere fin dove
può spingersi la preziosa principessina figlia di
papà!”
“SICUREZZA!”
Due manone la afferrarono per le spalle e la trascinarono fino al
cancello principale, chiudendoglielo in faccia. Poi scattarono una foto
della sua espressione spaesata (trovò il non lasciarla
mettersi in posa assai ingiusto) e filarono presumibilmente a farne
delle copie da distribuire. Aqua rimase a fissare la ringhiera con aria
assente.
“Beh… ha osato.”
Apprendere dell’estromissione di Aqua dal piano (e dal
campus) non fu piacevole, ma Roxas non glielo fece pesare, gli
incidenti erano compresi nel mestiere. Avrebbe preferito
però che la ragazza si fosse messa in disparte o che
cercasse di dimostrare quanto le dispiaceva senza ronzargli
costantemente attorno dato che rendeva il concentrarsi sulla prossima
mossa parecchio difficile. Strano però che Aqua fosse stata
rimossa solo per aver rifiutato un’offerta di volantinaggio:
che Ephemera fosse diventato un simile despota?
Roxas decise di ignorare ciò per il momento e
contattò gli altri. Larxene avrebbe potuto ricevere voce
dell’incidente, cosa che Aqua curiosamente reputava certa.
“Aqua è stata compromessa. La Ninfa è
ancora a piede libero. Uno rimanga con lo Sfidante, l’altro
vada a riparare. Chiudo.”
Ventus recepì e mandò un cenno di intesa a
Chirithy, facendole capire che toccava a lei muoversi. La quattrocchi
si alzò dallo spiazzo erboso dove erano seduti e
girò frettolosamente l’angolo, lasciando Luxord
interdetto.
“Ehi! Dove va la tua silenziosa amica? Stavo per mostrare il
pezzo forte!”
Dopo averli raggiunti nel vicoletto, Luxord si era trovato davanti un
Ventus e una Chirithy che gli avevano confessato, adoranti, di essere
due prestigiatori principianti che smaniavano di vederlo
all’opera. Lui non si era fatto pregare e da una decina di
minuti buoni aveva mostrato buona parte del suo repertorio, dal
semplice gioco delle tre carte fino alla variante “Fungo
Otto” dove faceva rimbalzare in aria una pallina per ben
ottantacinque volte.
“La perdoni Maestro, ma è un po’ timida.
E vedere simili prove di talento deve averle provocato certi movimenti
intestinali che… beh…”
“Non dire altro, giovane apprendista, le signorine hanno
diritto a far passare queste faccende sotto silenzio.”
Ven si rilassò, sia per recita che per davvero: la falla nel
piano era in via di assestamento, e lui avrebbe potuto continuare a
tenere bloccato Luxord e godersi dei più decenti giochi di
prestigio.
“Anche se, bugia a parte, non so se farmi bloccare qui valga
più la pena. Non ora che ci sei solo tu.”
La sensazione di rilassamento cessò all’istante.
“Come dice, prego?”
“Amico mio... beh, un attimo. Non precipitiamo le cose. Mio
caro estraneo,
so che non sei un prestigiatore alle prime armi, e so che siamo qui
perché probabilmente fa comodo a te e ai tuoi compari. Io
non sono un grande tattico, quindi Larx mi dice spesso che se proprio
non so fare altro, dovrei almeno comportarmi da utile sacco di patate
e- aspetta, questo a te non deve interessare. Insomma,
finché eravate in due mi andava bene perché
bloccato io, bloccati voi. Ma ora inizio a pensare che rimuoverti e
andare a cercare la signorina potrebbe essere un approccio
più sensato.”
Si alzò, e Ventus preferì non lo avesse fatto:
accentuava molto la differenza di stazza fra loro due. Ma fece lo
stesso e si preparò allo scontro.
“Sappi comunque che non sarà facile. La mia
piccola taglia non è indice della mia forza.”
“Oh, comprendo appieno. Non puoi essere amico dei miei amici
se discrimini sulla statura.” Luxord si premette un dito
sull’auricolare. “Mio caro Demyx, quando
vuoi.”
“Capisco. Quindi è per questo che ho visto la
sicurezza precipitarsi al cancello.”
“Sì… diciamo che mi sono lasciata un
po’ prendere la mano. Ti prego, non dirlo a
papà.”
“E va bene.” Xemnas e Xion erano soli, adagiati su
due poltroncine nella biblioteca semideserta. Entrambi non erano patiti
delle prove fisiche, quindi ingannavano il tempo nell’attesa
iniziassero le prove di carattere più intellettuale.
All’ex Presidente quella chiacchierata non dispiacque: negli
anni di forzato isolamento aveva riscoperto un legame familiare da
tempo sopito, e proprio ora ascoltava di come la sorellina che aveva
fatto di tutto per mandare all’aria i suoi progetti di
dominio della massa aveva abusato della sua posizione per cacciare una
ragazza solo perché le era antipatica.
Xemnas era convinto ci fosse dell’ironia in tutto
ciò, ma ancora non era abilissimo a coglierla.
“Devo dire che sarò contenta se questo mio
incidente sarà la nostra unica preoccupazione. Questa
edizione dei Giochi ha creato grandi aspettative dopo i Campionati e il
tuo arrivo ha fatto mormorare che potrebbero verificarsi tafferugli
come l’altra volta… oh, senza offesa.”
“Tranquilla.” ‘Anche
se ci sei andata fin troppo vicina senza volerlo.’
Xion non sospettava che Aqua era lì proprio per creare
tafferugli simili, e forse era meglio così.
‘L’importante
è che Roxas e gli altri abbiano sistemato tutto. Se Larxene
verrà trattenuta come stabilito e non ci
raggiungerà, non c’è niente di cui
preoccuparsi.’
“Ah! La nanerottola ci ha portato il fratello dritto dritto
dal manicomio, vedo!” Urlò Larxene spalancando la
porta.
Xemnas non era mai stato tipo da lasciarsi andare a manifestazioni
emotive, ma in quel momento sentiva il bisogno di ribaltare il tavolo
più vicino con le mani. Larxene era arrivata così
presto? Che avesse seguito un itinerario diverso?
“Larxene, questo sarebbe
un luogo dove parlare a bassa voce.” Le ricordò
Xion, scioccata dal pensare che lo stava rammentando al Presidente del
Consiglio. “E usa un po’ più di tatto,
te ne prego. Sei qui per unirti a noi?”
“Già! Ho dato un veloce colpo di ricevitore a
tutti per vedere se c’erano problemi, ma solo Luxord e Demyx
riferiscono di attività sospette. E quindi ho deciso che non
mi importava e che se ne possono benissimo occupare da soli.”
“Oh! S-Solo lì, quindi?” La voce di Xion
si era fatta un po’ tremula. “Sei passata anche
allo stand delle ragazze?”
“Già! Tutto in regola anche
lì!”
Xemnas si rimise sull’attenti. Dunque ci era andata!
Perché Chirithy non l’aveva trattenuta? Era stata
scoperta e liquidata, e ora Larxene fingeva ignoranza per testarlo? O
forse era stata intercettata da terzi? E Demyx e Luxord avevano trovato
qualcun altro…
“Ah, e pensa te: c’era questa specie di nano da
giardino con gli occhiali, proprio poco fuori dai bagni! Un
po’ pacchiano, ma l’importante è che
chiunque l’abbia messo lì poi lo riprenda a
festeggiamenti finiti.”
Il tavolinetto da caffè in mezzo a loro non era mai sembrato
così pronto ad essere ribaltato prima d’ora.
Xemnas aveva paventato a lungo questa possibilità: doveva
dimenticare il piano prestabilito e agire d’impulso per vie
ignote e non comprovate. Anche per lui era ora di gettarsi in mare
aperto e imparare a nuotare, come avrebbe detto Xigbar. Si
alzò di scatto e marciò dritto verso il gigante
seduto nell’angolo, così assorto nella lettura da
sembrare una statua che inneggiava allo studio.
“Lexaeus.” A sentire il suo nome questi
staccò gli occhi dal libro, domandandosi se era
già arrivato il momento di scortare i VIP. A parte che gli
sembrava troppo presto, capì subito guardando il suo
interlocutore che c’era qualcosa che non andava.
“Sì?”
“Ho saputo che in mia assenza hai finalmente aperto quel club
di lettura che sognavi. Lodevole, ma io non sono ancora disposto ad
accettare che vi siano luoghi di cultura all’infuori del mio
controllo. Ti sfido per la presidenza, a scacchi ovviamente!”
Xemnas poteva praticamente sentire gli occhi di Larxene ridursi a due
fessure dal sospetto e quelli di Xion dilagarsi
dall’improvvisa comprensione, ma non poteva evitarlo. Stava
volutamente dando luogo ad una scenata patetica per motivi ridicoli, e
tutto dipendeva dalla risposta del colosso. Sì o no, nero o
bianco, testa o croce. Quasi a voler enfatizzare il momento Lexaeus si
prese tutto il tempo per chinare il capo, riflettere sulla proposta e
infine chiudere il libro con deliberata lentezza.
“Una sfida, per determinare la direzione del club
del libro, tra un ex studente e uno al suo ultimo anno di
Magistrale… ci sto. Ho sempre voluto misurarmi con te senza
che ci fossero botte di mezzo. Scelgo i neri.”
Già a metà frase Larxene aveva praticamente
trascinato di peso Xion fuori dalla biblioteca, diretta probabilmente
ovunque la sua amica gli avrebbe riferito di aver notato
attività sospette.
Meglio di così non poteva andare: conformemente al suo
carattere Xemnas si rilassò e delegando mentalmente agli
altri il resto del lavoro si accinse a giocare al suo passatempo
preferito.
Dentro al furgoncino Roxas teneva d’occhio la schermata con
la planimetria del campus e la barra dei contatti che gli diceva chi
dei suoi teneva acceso il ricevitore. Quello di Xemnas si era appena
spento con poche probabilità di riattivarsi presto, pareva.
Aqua, che aveva consumato i pollici a furia di rigirarseli, si
azzardò a fare un’osservazione diversa dalla
solita sfilza di scuse: “Anche Terra è da un
po’ che non si sente. Starà bene?”
“Oh, penso che stia partecipando alle gare, ora come
ora” fu la risposta tranquilla del biondino.
“Cosa? E questo va bene?”
“Direi di sì. Sono contento ci abbia pensato da
solo: avrei potuto consigliarglielo, ma più intraprendenza
gli farà bene. Non mi aspettavo ci fossero anche Sora e
Riku, però. Interessante.”
La voce di Skuld si fece sentire da oltre il suo videogioco.
“Vorresti che mandasse Riku con la faccia nel fango e il
sedere per aria.”
“Non ho detto nulla di simile.”
“Ma l’hai pensato.”
“Mh.”
Aqua stava ancora cercando di capire il piano nella sua interezza, ma
senza risultato. Il giorno pima avevano solo studiato la piantina del
campus e il programma degli eventi, e memorizzato i personaggi
importanti: era ovvio Roxas aveva anche bene in testa cosa fare, ma non
lo aveva comunicato a nessuno. E a lei servivano più
dettagli.
“Quindi: Terra sta facendo clamore, Ventus e Chir- ehm, il
servizio d’ordine è impegnato, e ora Larxene
è sul chi vive. Perdonami, ma anche senza la mia gaffe non
so come farai a intrufolarti.”
“Ma intrufolarmi non è mai stato parte del piano.
Io non posso mettere piede nella zona e quella è una legge
seria, non una regola scolastica: infrangerla sarebbe una pessima
idea.”
La cerulea era ormai completamente persa. “Ma
quindi… che stiamo facendo?”
Roxas smise di fissare gli schermi e girò la sedia verso di
lei. “Esattamente ciò che dovevate e sapete:
distrarre, bloccare e intrattenere. Larxene e Xion hanno mangiato la
foglia un po’ prima di quanto mi sarebbe piaciuto, ma ce lo
faremo andare bene.”
Sorrideva, notò Aqua. E non era il sorriso manipolatore di
Ephemera che guardava un essere inferiore, ma di un amico che racconta
al suo compare una notte brava o una furbata fatta in classe. Un
sorriso complice e rassicurante al tempo stesso, di quelli che ti
facevano apprezzare anche i soggetti più scatenati di una
comitiva, perché potevano portare allegria a tutti quanti.
Aqua decise di fidarsi di quel sorriso e si fece bastare le
informazioni.
“Spero solo che per me ci sia ancora una particina. Voglio
farti vedere ciò di cui sono capace... anche se a ben
pensarci non è più necessario il piano per
quello.”
“Volete che esca per un po’?” Skuld era
ancora presa dal giochino.
In imbarazzo, Roxas tornò a controllare la situazione. Tutto
procedeva (per quanto poteva desumerne da lì) bene, tranne
Vanitas che era entrato in silenzio radio fin da subito. Non aveva
paura di chissà che tradimento, ma le incognite erano anche
più difficili da accettare e correggere degli incidenti
già verificatisi: come al solito, tutto si riduceva alla
fiducia. E parlando di fiducia, Roxas decise era ora di aprire il
canale segreto e impartire gli ordini alla persona che gli aveva
conservato una fedeltà incrollabile.
“La Ninfa si è mossa, è il tuo momento.
Non per farti eccessive pressioni, ma tutto dipende da te ora: fagli
vedere che sai fare.”
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Capitolo 20 *** Ventesimo Capitolo ***
La mano di Axel fermò il pugno proprio a metà
strada, quasi senza sforzo e con tanto d’occhi di Luxord.
Poco più in là, un altrettanto confuso Demyx
veniva ostacolato da Saix.
“Generale! Questa è indubbiamente una
sorpresa.”
“Come te la passi, Luxord? Senti, so che è una
cosa improvvisa ma ti devo chiedere di lasciar stare il piccoletto qui.
A quanto pare è un tipo a posto.” Poi il rosso si
rivolse agli altri due: “Lo stesso vale per te, Dem! Mi
dispiace intralciare il servizio d’ordine -anche se non
pensavo che l’avrei mai detto- ma è tornato il
momento di dare ascolto alla coscienza e non ai comandi.”
Demyx si era già fermato: la sua fiducia in Axel era troppo
grande per fargli dubitare anche solo per un momento del suo vecchio
capo. Intanto Ventus cercava di stare al passo con gli eventi, ma per
ora aveva solo capito che i due nuovi arrivati erano amici e che gli
avevano risparmiato un pestaggio, e per ora gli bastava.
Solo Luxord non era del tutto persuaso. “Un attimo, amici
miei! Non so bene cosa stia accadendo, ma io ho degli ordini e intendo
rispettarli nonostante tutto.”
Saix era già scattato avanti, le braccia tese. “Ci
penso io.”
“Nah, a cuccia tu.” Axel si grattò la
testa nel suo caratteristico modo. “Non
c’è proprio verso che tu dia retta a noi piuttosto
che a Larxene, vero?”
“Nulla di personale, ma lei mi spaventa molto più
di voi. Anche di tutti e tre assieme.”
“Devi allentare un po’ quel guinzaglio,
amico” fece Demyx.
A quanto pare la situazione non si era risolta del tutto: Luxord
sembrava disposto a farsi malmenare dai suoi tre compari pur di non
deludere le aspettative. Ventus trovò la sua determinazione
ammirevole, e non era sicuro che volesse vedere il simpatico
prestigiatore ridotto in poltiglia.
“Saix, quell’agenzia teatrale di cui ti
occupi… fra quanto sarà in
attività?”
“Sei tu ad occuparti della costruzione, dovresti dirlo tu a
me. L’ultima volta avevi previsto ci sarebbero voluti otto
mesi.”
“Più diciamo un altro annetto per mettere tutto in
regola e aprire bottega. Secondo te è sufficiente per far
fare a Luxord un po’ di apprendistato e poi assumerlo da
addetto agli effetti speciali?”
“Mf. Se vedo serietà, potrei metterci sopra una
buona parola.”
“Benissimo!” Axel tornò a guardare
Luxord. “Se la mia memoria non mi inganna Larxene vuole
vederti al lavoro al più presto, no? Ora in qualsiasi caso
rispetteresti la sua volontà. Quale ti preme di
più?”
“Um. E io mi sto assentando ora dalla scena del crimine
perché…”
“…mi stai accompagnando da Zexion a fare un lungo
rapporto sui due ragazzini che ci sono sfuggiti” concluse
Demyx.
“Oh! Quand’è così, sarei uno
stolto a non accettare! Andate pure.”
E i due membri del servizio d’ordine se ne andarono come se
non fosse successo nulla. Saix si incamminò verso la
direzione opposta, ma Axel dedicò qualche altro momento a
Ventus: “Meglio che ti muovi anche tu. Fai come credi, ma se
posso darti un consiglio la tua parte ormai l’hai giocata:
torna fra la folla, che qui ci pensiamo noi.”
Poco più in là, Vanitas non aveva minimamente
badato al siparietto e osservava i vari manifesti affissi in giro. Ne
prese uno e lesse:
“INDESIDERABILE
Questa ragazza ha
esercitato immotivata violenza verbale e discriminazione ai danni del
personale ed è stata bandita. Se doveste vederla entro i
limiti del campus, notificate immediatamente la sicurezza!”
La metà inferiore del poster era una foto di Aqua, che
strizzava gli occhi per il flash improvviso della macchina fotografica.
“Ma che diamine…?”
Terra pensava che per essere un concorrente capitato lì per
caso e senza immediata preparazione, due primi posti e una valutazione
sempre alta nel resto delle prove non erano male; rimaneva solo la
corsa, che avrebbe chiuso la parte sportiva dell’evento.
Mentre prendeva posto, notò al suo fianco Riku: non si erano
mai trovati così vicini prima d’ora. Sora invece
si era ritirato a metà gara, spossato per aver dato il
massimo fin dall’inizio.
“Eccoci qui, dunque. Sappi che mi ricordo di te.”
Il giovane attaccò subito bottone, ma Terra si
impose di non dargli retta. “Non so per quale motivo tu sia
qui,” proseguì Riku, “ma ti conviene
desistere. L’atleta più meritevole
verrà premiato dal Presidente, il che ti metterebbe in un
mare di guai. La mossa più saggia sarebbe lasciarmi vincere,
e dileguarti in fretta non appena finita la corsa.”
Il cipiglio di Terra si accentuò. Ma che arrogante!
Improvvisamente i propositi di Roxas nei suoi confronti, che giravano
tutti attorno al concetto di un incontro ravvicinato del suo
fondoschiena col terreno, iniziavano ad esercitare un certo fascino. In
fin dei conti quello era il belloccio che gli aveva soffiato la
ragazza, o qualcosa del genere, e a Terra tipi così non
andavano molto a genio.
“Sì beh, forse è proprio quello che
voglio.”
Non ci fu modo di aggiungere altro poiché scattò
il segnale della partenza. Forte della sua corporatura e del suo
passato sportivo, Terra si trovò presto in testa, ma il
fisico asciutto e i muscoli meno gonfi ma sempre presenti di Riku gli
conferivano un notevole vantaggio. La tratta era tutto sommato breve,
ma lunga abbastanza da far sì che uno scatto al momento
giusto o sbagliato avrebbe potuto segnare la differenza tra tagliare il
traguardo o ritrovarsi senza fiato nel raggiungere il secondo o terzo
posto.
Erano circa a metà strada: Terra iniziava a chiedersi quanto
gli interessava vincere. Non sarebbe andato bene anche il secondo
posto? Ma non aveva la certezza di aver fatto guadagnare agli altri
abbastanza tempo… e la vittoria su Riku iniziava ad assumere
contorni vagamente personali…
Centocinquanta metri al traguardo. Si avvicinava il momento dello
sprint finale, e il castano fece quello che faceva spesso in quelle
circostanze: alzò lo sguardo per meditare sul da farsi. Un
suo vecchio tic, che suo padre e il suo allenatore gli avevano
più volte rimproverato. Eppure stavolta si rivelò
una benedizione, visto che nella moltitudine di facce per un momento
scorse un bagliore dorato, seguito dalla visione
dell’improbabile acconciatura di Larxene. Stava dunque
guardando.
Cinquanta metri al traguardo. Gli altri erano stati scoperti? Ma no,
avrebbero probabilmente interrotto le competizioni se fosse stato
quello il caso. Giusto? Forse no. Terra decise di non rischiare tutto
sulla base di un timore: si era fatto notare, lei lo stava
indiscutibilmente fissando, e non era certo perché colpita
dal suo tono muscolare: vincere e incontrarla ora sarebbe stato
controproducente, come aveva detto Riku. Decise quindi di ringraziarlo
per l’interessamento. Accelerò, e poco dietro di
sé sentì il suo avversario fare altrettanto.
Dieci metri al traguardo. Terra si fermò bruscamente a pochi
passi dalla linea, e quasi subito dopo Riku non poté fare a
meno di urtarlo e finire lungo disteso nella polvere.
L’impatto non fu totale (il ragazzo dai capelli argentei era
comunque robusto) ma sortì l’effetto desiderato.
“Eh, mi sa tanto che avevi ragione: dovrei darti ascolto
più spesso. Goditi la vittoria morale!”
E lo scavalcò, allontanandosi dal campo di gara
fischiettando mentre un’ansante e stupita matricola di nome
Blaine si posizionava al primo posto vincendo la corsa.
“Ha dato forfait, il vigliacco. E tu dici che hai incontrato
quella sua compare?”
Xion annuì. “E so Zexion stava monitorando Luxord
e Demyx, all’inseguimento di due altri intrusi.”
“E naturalmente non hanno pensato di avvertire ME di tutto
questo! Sono solo una massa di irrispettosi parassiti che credono di
poter fare tutto da soli!”
“Beh, tu avevi detto di non disturbarti, e che se non
riuscivano a risolvere i problemi da soli tanto valeva affidare il
servizio d’ordine a un branco di babbuini
ciechi…”
“Non abbiamo tempo di occuparci di simili dettagli, ora!
Avrai notato anche tu il modus operandi dei nostri inquilini. Questa
non è opera di un branco di teste d’uovo viziate,
questa è roba da professionisti. Ma tutti i Nobodies e
affiliati sono dalla nostra…”
“Eccetto uno.” Anche Xion ci era arrivata, anche se
sperava tanto di sbagliarsi. “E per qualche motivo Xemnas
regge il gioco. Ma cosa ci guadagnano, in tutto questo?”
“Può essere qualsiasi cosa, ormai non mi stupisco
più di nulla. Ma so anche che Roxas, in quanto mio amico,
non è uno stupido.” Larxene tacque per qualche
istante, meditando. “Che Xemnas faccia ciò che
vuole, se è davvero coinvolto probabilmente è qui
anche per indurci a stargli dietro e perdere tempo; e con Lexaeus non
andrà da nessuna parte. Io per ora sono bloccata con la
stupidissima premiazione. Tu invece vai a chiamare Ephemera e informalo
sulla situazione.”
“Cosa? Larxene, è…
necessario?”
“Di sicuro non gli consentirò di restarsene
isolato mentre noi sgobbiamo, o sarebbe come ammettere di essere ai
suoi piedi. Non piace neanche a me, ma… Luxord! Finalmente
hai risposto al telefono! Dove sei? Da Zexion? Che cosa diamine stai
facendo e perché non mi hai tenuta aggiornata? Smettila di
blaterare qualcosa a proposito di babbuini ciechi e unisciti a Demyx
per- che significa, è lì con te? Per cosa ti
servono delle lezioni serali?
“Che vuol dire che hai trovato lavoro?”
La premiazione e il pranzo procedettero senza grossi intoppi. Terra
intanto era tornato nel furgone, dove aveva trovato anche Ventus che
stava giusto riferendo come era andata dalle sue parti.
Roxas provò un fiotto di nostalgia e desiderio di rivedere
Axel, ma capiva perché l’amico non lo aveva
contattato: era tutto lungi dall’essere concluso.
“Terra! Stavamo giusto ricapitolando la situazione.
Complimenti per le tue gare, bella pensata!” disse Ventus.
“Ma non sei arrivato primo, proprio alla fine.
Cos’è, hai ancora le gambe molli al momento
cruciale?” Lo stuzzicò maliziosa Aqua.
“Mi dispiace se non ho eguagliato il tuo successo,
Indesiderabile.” Ghignò lui di rimando.
“T-Taci!”
“Ad ogni modo bravi, ehm, tutti” fece Roxas,
cercando di prevenire un altro scoppio di “desiderio di
aiutare” di Aqua.
“Il piano procede per il meglio, anche con degli interventi
esterni: un altro paio di mosse e poi davvero ci toccherà
solo aspettare. Intanto, se volete pranzare fate pure.”
“Chirithy non è tornata, però. E
nemmeno Vanitas.”
“Vanitas non saprei, continua a non rispondere. Chirithy ha
invece un altro compito da svolgere: l’ho affidato a lei
perché è quella con più
possibilità di passare inosservata. Anche se speriamo meno
inosservata.”
Mentre Terra addentava il suo panino e meditava su come sgraffignarne
un po’ a Ventus, Aqua chiese: “E Xemnas? Ormai la
sua copertura è saltata.”
“Non importa, pochi vorranno confrontarsi con lui comunque. E
poi sta continuando la partita a scacchi.”
“Ancora? Quanto pensano di andare avanti?”
“La partita più lunga registrata si è
svolta nel corso di duecentosessantanove mosse per venti ore e quindici
minuti di durata” fece Skuld, sempre appollaiata sul suo
sedile. “E alla fine risultò in un
pareggio.”
Xion non aveva nessuna voglia di incontrare Ephemera. Non
l’aveva ancora visto da quando aveva preso possesso dello
studio del Rettore e ne era felice: non ce l’avrebbe fatta a
vederlo sulla poltrona di suo padre. Come era possibile che stesse per
prendere controllo di tutto? Ma che fosse stato riammesso era
ufficiale, e le voci del suo piano segreto affidabili… come
se non bastasse ora Axel interferiva col servizio d’ordine,
suo fratello si comportava in modo strano e gli studenti dei Campionati
si aggiravano furtivi. Non c’era dubbio che Roxas stesse
tentando qualcosa, e ovviamente nel momento meno adatto.
La ragazza raggiunse il corridoio che portava all’ufficio e
vi trovò la piccoletta con le trecce -le pareva si chiamasse
Chirithy- che caracollava a passo insicuro verso la porta. Xion
sospirò: l’ennesima inutile complicazione del suo
ex ragazzo. Mentre pensava a cosa fare, da una rampa di scale emerse
Naminé.
“Oh Xion! Ciao, che fai da queste-“
“Ah Nami, perfetto.” Xion la prese gentilmente per
una spalla, imitando il più possibile Larxene. “Ti
spiacerebbe convocare Ephemera, dicendogli che alcuni problemi
richiedono la sua presenza? Grazie!” Spingendo avanti la
biondina, Xion poté evitare di confrontarsi col nanetto e
gestire l’altro problema. Si avvicinò a Chirithy
dicendo: “Ciao, sbaglio o sei una visitatrice? In tal caso mi
dispiace tanto, ma quest’area è off-limits. Ti
chiederei gentilmente di seguirmi fuori
dall’edificio…”
Sempre parlando in tono affabile condusse via la timida combina guai.
Naminé era intanto davanti al portone quando questo si
spalancò. Ephemera stesso ne emerse, con sguardo accigliato.
“Che cos’è tutto questo baccano? Pensavo
davanti agli uffici ci fossero pace e silenzio.”
“Ecco signore, mi hanno detto ci sono problemi che la
riguardano. Cioè non che li ha causati lei, ma che esistono
e beh, forse dovrebbe vederli.” Naminé concluse le
sue farneticazioni e attese una risposta.
“Problemi? Ma quello è compito del Consiglio, non
mio. Io non potrei fare niente… ah, tranne appuntarmi come i
membri sembrino incapaci di gestire situazioni simili,
naturalmente.” Il sorriso che seguì fu viscido
quanto quelle parole.
Seppur a malincuore Xion decise di evitare che quell’odioso
manipolatore si mangiasse viva Naminé. “Larxene ha
chiesto di te, e da quanto mi risulta è nel suo potere
convocare qualsiasi studente del campus. Se hai problemi, puoi
comunicarglielo di persona.”
Ephemera si accigliò, ma mantenne la calma: avrebbe zittito
quell’insolente a tempo debito. “Beh, se
è proprio impossibile per me sottrarmi alla richiesta
d’aiuto della Presidentessa, arrivo subito.”
I due scesero le scale, con Xion che si portava dietro Chirithy.
Naminé rimase a guardare l’improbabile trio
finché l’eco dei passi non svanì, poi
tirò un sospiro di sollievo per essere sopravvissuta ad
un’altra interazione sociale.
Ora toccava solo entrare nell’ufficio e prendere
ciò che Roxas aveva chiesto.
Come di consueto gli studenti si stavano radunando nella sala
principale per assistere al culmine della giornata. Gli ultimi anni non
c’era stato nulla di eclatante a parte i soliti spettacoli
pirotecnici (e una memorabile serata quando Luxord si
cimentò nel numero delle colombe e tutti gli spettatori
tornarono a casa con i vestiti coperti di piume e becchime), ma il
ricordo della caduta di Xemnas era ancora abbastanza vivido dal far
sì che l’evento riscuotesse popolarità.
Inoltre qui e lì si mormorava di studenti infiltrati e nuovi
scherzi…
La vista della Presidentessa che bacchettava i suoi scagnozzi non
contribuiva di certo a placare gli animi. Demyx, Luxord e Zexion
sostavano immobili in attesa che Larxene terminasse gli epiteti con cui
definirli.
“Quindi, se ho capito bene cosa sta succedendo voi due avete
di proposito lasciato scappare due sospetti, e tu non hai fatto nulla
per prevenire qualunque cosa stia succedendo.”
“Non ho detto questo” si arrischiò a
replicare Zexion.
“Lo dico io, perché tu non vuoi ammetterlo! E ora
Axel si è improvvisamente ricordato che la sua missione
è rendere la vita impossibile al Consiglio, e
chissà che altro succederà! Sembra quasi che voi
vogliate che Roxas completi la sua operazione!”
“E se così fosse?” Quello di Luxord fu
poco più di un sussurro, ma tutti e tre lo sentirono
benissimo. O forse era proprio l’inaspettata vena minacciosa
ad attirare l’attenzione.
“Prego? Hai detto qualcosa?” Larxene era lungi
dall’essere intimorita, ma si percepiva avesse abbandonato
l’insulto diretto e stesse sondando il terreno.
“Roxas è mio amico e io agli amici auguro ogni
bene. Siete stati voi a bandirlo, non io. Avrà sbagliato, ma
l’ho fatto anche io e… e lui è stato il
primo a tendermi la mano.” Il prestigiatore
incrociò le braccia, un’espressione grave e
risoluta sul volto di solito gioviale.
Larxene sospirò e si tenne la fronte con due dita.
“Lux, era- è mio amico tanto quanto tuo. Credi che
io voglia fare sempre la parte della cattiva?”
“No, non lo penso. E forse non lo pensi neanche tu, tutto
sommato. Perché altrimenti avresti deciso di convocare
Ephemera proprio ora? Secondo me tu speri accada qualcosa.”
La Presidentessa emise una sorta di risolino assai femminile.
“Chissà che tu non abbia ragione. Ma in ogni caso
ora devo andare e adempiere ai miei doveri.”
“Dopo di te, mia cara.”
Demyx era rimasto tutto il tempo a bocca spalancata mentre il
più raro degli eventi avveniva sotto i suoi occhi.
“Zex, amico, ma a cosa abbiamo appena assistito?”
Ma Zexion non rispose: Ephemera era appena arrivato e si guardava
attorno, chiaramente infastidito dalla folla. Il piccolo stratega dei
Nobodies aveva seguito suo malgrado tutte le azioni di Roxas e del suo
gruppetto, e aveva inteso che questo era lo scenario al quale miravano:
farsi notare quel tanto che bastava per stuzzicare
l’interesse generale e attirare l’obiettivo allo
scoperto. Ma cosa sarebbe seguito dopo, perfino lui lo ignorava.
Naminé rovistava ancora febbrilmente tra i fogli presenti
nello studio. Sapeva di non avere troppo tempo ma era difficile
districarsi fra tutte quella scartoffie: avrebbe giurato che alcuni
erano solo scarabocchi, e perfino di pessimo gusto se poteva dare il
suo parere di artista. Le sue dita scorsero velocemente i titoli di uno
schedario finché si bloccarono su una pagina in particolare.
“Atto di acquisizione
dell’accademia…” Era proprio
ciò che cercava. La biondina batté felice le mani
e si sbrigò a levarsi di torno e raggiungere un luogo sicuro.
“Bene bene, ma quanto siamo felici. Dev’essere
successo qualcosa di assolutamente magnifico.”
Una voce fin troppo nota blocco Naminé a metà del
corridoio e la costrinse a voltarsi. Kairi era appoggiata a uno stipite
della porta: doveva essersi nascosta lì in attesa di
coglierla con le mani nel sacco.
“Che ci fai tu qui?”
“Credevi davvero che Ephemera se ne andasse lasciando la
porta aperta a chiunque? È dai Campionati che mi ha promesso
una posizione di riguardo se l’avessi aiutato. Quindi io
avrò quello che mi spetta, e tu un bel niente se non
l’ennesima delusione e imbarazzo per chi ti sta attorno:
direi che tutto è normale nell’universo. Ora dammi
quei fogli.”
Naminé non aveva previsto che dopo tutti quegli ostacoli
sarebbe stata proprio quell’imbecille della gemella a darle
dei problemi. Ma era finito il tempo in cui si sarebbe lasciata mettere
i piedi in testa.
“Vattene! Non sono per te e non ti darò un bel
niente.” Poi, colta da un’improvvisa ispirazione
aggiunse: “E poi dubito che riusciresti perfino a capire cosa
dicono. Per quanto ne sai potrebbero essere documenti che provano la
tua espulsione diretta.”
Capì di essersi spinta troppo oltre non appena vide che la
faccia di Kairi aveva assunto la stessa sfumatura dei capelli.
“Oh, quindi l’artista
ha finalmente scoperto di avere del fegato, eh? Ma che brava. Merita
proprio un premio, un bel marchio di merito su quel suo bel faccino
insolente.”
Si portò avanti, la mano tesa col palmo rivolto verso
l’alto. A Naminé non rimase che chiudere gli occhi
e attendere l’inevitabile sberla… che
però non arrivò mai.
“Ehi! Che modi sono? Lasciami!”
“Nah dolcezza, per noi stai bene così.”
Naminé aprì gli occhi. Un energumeno dai capelli
blu a lei sconosciuto bloccava Kairi, mentre un altro straniero fulvo
la fissava. Quando questi si accorse di lei e venne incontro, si
ricordò che si chiamava Axel.
“Ciao! Deduco che anche tu sia qui per aiutare Roxas, e in
tal caso siamo in due. A me faresti vedere quei fogli? Prometto che
puoi anche dirmi di no.”
La ragazza esitò un istante, poi gli tese il documento. Axel
lo prese e lo studiò, apparentemente senza tradire nulla nel
suo sguardo. Poi sempre senza dire nulla lo pose sotto lo sguardo di
Kairi, che fu assai più espressiva.
“Che… COSA?”
“Già, più o meno il mio stesso
pensiero. E immagino Roxy lo sapesse… vecchia volpe. Diciamo
che è un sollievo per me.” Axel si interruppe per
la sua tradizionale grattata di capo. “Dunque
Naminé, qui abbiamo terminato ma credo che con tua sorella
tu abbia ancora qualche questione in sospeso, dico bene?”
Naminé rivolse l’attenzione di nuovo la gemella,
ma c’era poco da osservare se non il suo sguardo vacuo.
“Trama con Ephemera, e anche così
com’è è ancora in grado di creare
problemi. Dovremmo fare in modo che non possa nuocere.”
“Sai cosa potremmo fare, Saix? Potremmo rubare
un’idea a Luxord. Chissà se
c’è un armadietto vuoto nei
paraggi…”
Altrove, Xion aveva ormai condotto Chirithy fino ai cancelli del campus.
“Qui ci salutiamo. Fammi il piacere di andartene, anche per
il tuo bene.”
“Mi dispiace…”
“Non ti preoccupare. Ma fammi il piacere di dire a Roxas di
piantarla, va bene?”
“Non intendevo quello. Mi dispiace per te. Di averti
ingannato. Non sei una ragazza antipatica.”
Xion rimase interdetta per la seconda volta quel giorno.
“Come scusa?”
“Il mio obiettivo era essere un diversivo in modo da lasciare
lo studio del Rettore libero, inoltre… dovevo allontanarti.
Roxas dice che sei molto intelligente, ma un po’ rigida nei
modi.”
La piccoletta guardò la ragazza ancora più
piccola e iniziò a lavorare di testa. Era stata raggirata, e
con una facilità notevole. Sentiva frustrazione, ma anche un
po’ di orgoglio.
“Sai, dovresti dargli più credito.” La
voce di Chirithy la risvegliò dalle sue riflessioni.
“Ciò che ha fatto è sbagliato, ma era
anche in grande difficoltà ed Ephemera non ha migliorato le
cose. Tutti hanno diritto a difendersi.”
Ora perfino il motto suo e di suo padre le rimbombava in testa,
ripetuto dalla voce di un’altra. Xion spostò lo
sguardo oltre i cancelli, verso una specie di piccolo furgoncino
appostato all’angolo.
“Si può sapere che cosa combinavate?”
Larxene evitò il suo sguardo, le mani puntate sui fianchi.
“Io ti ho riferito solo che è accaduto. Se ti
aspettavi professionisti di spionaggio ai tuoi comandi, credevi
male.”
Ephemera aveva ascoltato il resoconto con inquietudine sempre
crescente. Quel branco di falliti era tornato alla carica capitanati
dall’ex studente… non era un problema; ma il fatto
che Xemnas fosse coinvolto era più preoccupante. Si
ricordava forse di lui dopo la sua visita all’Istituto?
Impossibile. E se anche fosse stato, non aveva niente su di lui. Quale
che fosse il loro gioco, sarebbe terminato presto.
“In ogni caso ora sarà meglio risolvere la
faccenda. Chiudete tutto e-“
“Chiudere tutto? Gli eventi sono ancora in corso!”
“E cosa dovrebbe importarmi? Se c’è un
problema il servizio viene sospeso, è logico!”
“Ascoltami bene, ragazzino.” Larxene era ormai al
limite. “Fino a prova contraria comando io qui. Il Rettore
non s’è visto, e senza la sua parola qui non si
chiude nulla.”
Ephemera sorrise. “Già, ma chissà per
quanto tempo ancora, vero? Forse Ansem non sarà
più Rettore a lungo.”
“La Vecchia Quercia ha i suoi difetti, ma è un
buon diavolo” fece Axel, intromettendosi “e mi
auguro che rimarrà dov’è per molti anni
ancora.”
“Axel!” Larxene sembrava più pronta a
infervorarsi che sorpresa del suo arrivo. “Tu mi devi un
mucchio di spiegazioni!”
“Immagino di sì, vero? A suo tempo. Per ora volevo
scambiare due chiacchiere con lo studente modello.”
“Io non ho niente da dirti. A meno che tu non abbia qualcosa
da dire, la Presidentessa mi stava giusto dicendo della tua strana
condotta…”
“Ah, anche dopo essermi laureato ho una condotta da seguire?
Ma pensa te. Meno male che non ci ho mai dato peso nemmeno quando ero
una matricola, quindi. Però sì, ho incontrato
Roxas. È qui fuori.”
Sia Larxene che Ephemera erano stupiti. Quest’ultimo si
riscosse però molto presto. “Una confessione!
Scelta saggia, signor Axel. Se sarà così gentile
da rivelarci di più, vedrò che la sua fedina
rimanga immacolata.”
“Pfft.” Dietro ad Axel, Saix emise il suo primo
contributo alla conversazione. “Axel, accelera.
Già mi sono stancato di sentire tutte queste
sciocchezze.”
“Di nuovo Saix, si chiama essere… lasciamo
perdere. Ho parlato con Roxas sì, e ho appreso cose
interessanti. Ma invece di lui vorrei soffermarmi di
più su di te. O meglio ancora di questi.”
Il fascio di fogli che Axel teneva in mano era inconfondibile. Ephemera
fu colto da un’improvvisa sensazione di gelo. Se li aveva
letti…
“Furto! Furto nell’ufficio del Rettore! Lo arresti
subito!”
“Fosse la prima volta. Ma ora datti una calmata, ci guardano
tutti. Avrai tutto il tempo di processarmi dopo.” Era vero:
ormai l’attenzione generale era rivolta verso la
Presidentessa e la loro piccola congrega.
Axel continuò. “Riconosco che è roba
che non vorresti venisse divulgata… che io ho peraltro
trovato casualmente in giro senza che tu possa provare
altrimenti… ma non sono crudele. Li metto in palio, e lancio
una sfida al Preside del Consiglio!”
Un mormorio eccitato percorse la sala principale. Nessuno aveva
più sfidato il Presidente da quella volta di Roxas contro
Xemnas, e la nuova Presidentessa non invogliava di certo a continuare
la tradizione. Ephemera intanto si arrovellava per cercare di
riprendere il controllo della situazione.
“Una dichiarazione notevole, ma mi pare che solo gli studenti
immatricolati possano partecipare a tali sfide, quindi lei è
fuori questione.”
“Io sì, ma tu no.” Axel gettò
via la maschera di finta ilarità. “Tu contro
Larxene, in una disciplina a tua scelta. Chi vince prende i fogli.
Tutto o niente.”
Larxene aveva rinunciato da tempo a capire, non senza parecchia
irritazione. Ephemera rifletté: stava ancora marciando al
ritmo avversario. Non gli piaceva quando succedeva.
D’altronde stare al gioco era la sua
specialità… finché non ribaltava le
carte in tavola. Avrebbe fatto lo stesso anche con quello stupidone dai
capelli rossi. In più, battendo quella sciocca ragazza
sarebbe diventato il nuovo idolo delle folle, superando Roxas stesso.
“Va bene. Giochiamo.”
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Capitolo 21 *** Capitolo Finale ***
Siamo alla fine della
mia storia.
Ho già
scritto in altri capitoli di come ci sono state complicazioni che mi
hanno impedito di finirla, primo fra tutti il fatto che non mi piaceva
la piega che avevo fatto prendere al racconto stesso.
Ho cercato di far finire
il tutto in modo dignitoso e sono soddisfatto dal risultato: non mi
resta che sperare lo siate anche voi.
Grazie a tutti per le
belle parole lungo tutto questo percorso, e spero di avervi divertito!
NOBODIES UNIVERSITY SECONDA SERIE
CAPITOLO FINALE
“Axel, mi auguro tu sappia quello che fai.”
Il rosso fece del suo meglio per evitare lo sguardo infuocato che
Larxene gli stava mandando, ma sapeva di doverle almeno una risposta.
“Assolutamente. Tu pensa solo a recitare la tua parte e
apparire carina, non dovresti avere problemi in questo.” La
spinse verso il centro della sala prima che lei potesse replicare o
capire il senso delle sue parole.
Ephemera intanto doveva decidere la prova da affrontare: chiaramente
non una fisica. Una intellettuale? Forse non troppo, quel genere di
cose vanno bene una volta ma alla lunga stancano. La gente vuole cose
semplici, non vuole né è in grado di pensare in
modo complesso. Non tifa per quelli intelligenti perché la
loro sola presenza gli ricorda la propria stupidità.
“Allora, hai deciso o no?”
Parlando di stupidi. Ephemera si voltò verso Larxene e Axel,
la strana coppia. “Penso di sì. Perché
non giochiamo a Battaglia Navale?”
“Ba-Battaglia Navale?”
“Mi sembra una buona idea. Un giochino simpatico che tutti
potranno seguire al meglio.”
Larxene si massaggiò le tempie: quella giornata doveva
finire il prima possibile. “Luxord, vai a vedere se abbiamo
una copia da qualche parte… nel club delle teste
d’uovo, o quando gli asili nido ci vengono a fare
visita.”
Ephemera sopportò il sarcasmo senza battere ciglio: era
evidente che lei non capiva come gestire il pubblico. Un gioco tattico
ma associato all’infanzia gli avrebbe fatto guadagnare
popolarità all’istante.
Vanitas era intanto tornato nel furgone e aveva aggiornato tutti
riguardo le azioni sue e di Axel. Roxas aveva ascoltato tutto senza
interrompere, fissando il soffitto.
“Davvero grandioso, Axel ci ha salvati almeno tre volte oggi.
Vanitas… bel lavoro davvero. Non avrei saputo darti ordini
migliori.”
“Non l’ho fatto mica per ricevere la tua
approvazione.” Il moro prese posto accanto a Skuld, che aveva
messo da parte i suoi passatempi e partecipava pienamente alla
discussione. “Ma grazie.”
“Quindi ora dobbiamo davvero solo aspettare.” Terra
prese il suo pallone da football per svagarsi.
“Ma non sappiamo a cosa si sfideranno Ephemera e la
Presidentessa, non è pericoloso?” Fece Chirithy.
“No, so a cosa mira Axel. Il gioco in sé non
è importante. Ora aspetto solo che mi contatti.”
“Che ti contatti?” Aqua rifletté.
“Ad ogni modo non capisco. Mi sembra quasi che Ephemera
sia… beh… più stupido di quando ci ha
manipolati.”
“In un certo senso lo è.” Roxas smise di
fissare il monitor del computer ancora silente. “Ephemera ci
ha colti di sorpresa perché lo sottovalutavamo, o
sopravvalutavamo noi stessi nei suoi confronti. Non è
abituato che altri impieghino elaborati stratagemmi per toglierlo di
mezzo, e quindi non considera la possibilità. Pensa che
tutti gli altri siano più stupidi, rendendosi
così vulnerabile.”
“Lo conosci bene.” Le parole di Skuld sembravano
sempre casuali, ma colpivano nel segno.
“Lo conosco perché è me. O meglio, era
me.”
La bambina prodigio annuì compiaciuta. “Il fatto
che tu l’abbia ammesso significa che ti comprendi meglio di
quanto lui comprenda se stesso. Oh, e credo sia arrivata la tua
chiamata.”
Era vero: una piccola luce verde segnalava che era in arrivo un debole
segnale radio. Roxas sorrise.
“Si comincia.” E
si finisce.
Tutto era pronto, su un piccolo tavolo era disposta una copia di
Battaglia Navale con tanto di schermo tra i due giocatori e
l’ilarità generale riguardo la scelta della prova
si era placata. I due contendenti presero posto e disposero i
tasselli sulla rispettiva griglia di gioco. Come per tutte le sfide dal
formato simile avrebbe iniziato lo sfidante, in segno di
sportività da parte del Presidente.
“Mh… B sette?”
“No.”
Ephemera fece finta di sporgersi verso di lei, mano
all’orecchio. “Come, prego? Secondo le regole devo
ricevere una risposta chiara.”
“Acqua.” Larxene digrignò i denti.
Perché in quel gioco toccava esprimersi in maniera tanto
ridicola? Lei non aveva alcuna voglia di mettersi a declamare lettere e
numeri. “A uno,” disse a fatica.
“Acqua. Se posso Presidentessa, gradirei parlasse a voce
più alta. Potrebbero accusarmi di imbrogliare se mancassi di
segnalare qualcosa perché non ho sentito bene.”
Ephemera avrebbe giurato di averla sentita ringhiare in risposta.
Sorrise: tutto faceva parte del piano, lo sciocco orgoglio di Larxene
avrebbe alimentato la sua frustrazione deconcentrandola.
Continuò a scegliere quadranti con scarsa
probabilità di successo, e ogni tanto qualche angolo.
Nessuno metteva le navi agli angoli.
La partita andò avanti per alcuni turni senza che nessuno
colpisse niente, e la rabbia di Larxene iniziò a montare
appena capì che non sarebbe finita presto. Fu allora che
l’argenteo si mosse.
“Dev’essere dura, reggere questa farsa dettata da
stupide regole per gente che nemmeno ti apprezza.”
Iniziò così, con un tono casuale come se parlasse
della temperatura che avrebbe fatto domani. “Insomma,
guardali: chi non si annoia, fa solo un gran chiasso.”
Che la quiete si era rotta era vero: gli studenti più
pacifici parlottavano fra loro, mentre altri aveva iniziato a
sbeffeggiare apertamente i due concorrenti. Nulla di eccessivo, ma era
palese non vi era vera disciplina.
“Di solito ti temono, ma appena sei impossibilitata dal
reagire subito se ne approfittano. Il rispetto acquisito con la forza e
la paura purtroppo presenta questo piccolo svantaggio. Scommetto che
molti stanno sperando nella tua sconfitta, e che tu scompaia come
Xemnas. D quattro, a proposito.”
“Ah.” Larxene stava guardando solo la folla, e la
sua reazione quando tornò a guardare la partita non lasciava
dubbi.
“Mi sa che ho colpito, vero? Accidenti. Forse non
avrò affondato, ma… c’è una
falla nella tua imbarcazione.”
Forse solo per pura testardaggine, Larxene si ricompose e
andò a segno a sua volta, ma ormai il seme era piantato.
Ephemera riuscì sempre a restare in vantaggio, e dopo un
po’ gli studenti iniziarono a capire c’era della
tensione dietro quel giochino, quindi più divertimento per
loro. Ma questo servì solo a far innervosire di
più la Presidentessa che ormai sentiva di stare combattendo
da sola una battaglia che tutti volevano perdesse.
Le navi andarono giù una dopo l’altra, dalle
fregate agli incrociatori. Larxene perse anche una portaerei in seguito
a un’imbarazzante sequenza dove Ephemera indovinò
cinque volte di fila mentre lei andò sempre a vuoto. Il suo
avversario era in estasi: finalmente era tornato a dirigere il gioco,
senza intromissioni, senza-
“Vedo che la partita procede spedita.”
Axel. Evidentemente godeva nel fare apparizioni improvvise.
“Sì, e se non ti dispiace dovremmo procedere
indisturbati.”
“Non ricordo nessuna regola in Battaglia Navale che imponesse
il silenzio totale, d’altronde è solo un gioco. In
più la sfida al Presidente non ha regole fisse, ma solo
quelle che i partecipanti concordano a priori. E quindi nulla mi vieta
di fare questo.”
Detto così pose un cellulare sul tavolo, dal quale
uscì una voce ben nota.
“Ne è passato di tempo, Ephemera.”
“Roxas!”
“Ah, Larxene. Ciao. Scusa per ciò in cui ti
abbiamo messo in mezzo, speravo se ne uscisse con qualcosa di
più dignitoso.”
Ephemera era più intrigato che intimorito. Quindi era
davvero solo un basso tentativo di vendetta?
“Roxas. Vedo che ancora insisti a stare sull’orlo
della legalità-“
“Tu lascia parlare me.” Il tono di Roxas era
più duro di quanto lui stesso si sarebbe aspettato.
Dall’altra parte del telefono c’era
l’origine di tanti problemi e tanta sofferenza.
“Sei finito, Ephemera. Tutti i tuoi inutili giochetti e
sotterfugi hanno adesso fine, e non importunerai nessun altro con le
tue fisime.”
Anche il trio fu colpito dall’intensità della
risposta. Un brusio si diffuse tra il pubblico: capivano cosa dicessero
i tre presenti, ma la voce proveniente dall’apparecchio era
troppo debole.
“Parole dure, da uno che ha venduto tutti i suoi
compari.”
“Io non ho venduto proprio nessuno.”
“Quindi neghi?” Ephemera rise. “Neghi di
avere acconsentito nel testimoniare per farli espellere dai Campionati
e invalidare le loro vittorie? I testimoni di ciò non erano
pochi. Solo qualche centinaio, se la memoria non mi inganna.”
Roxas si interruppe. Non era certo il momento di prendersi una pausa o
farsi assalire dai dubbi, ma una sorta di nodo allo stomaco lo
tratteneva. Forse era il trauma dell’ultima volta che si era
cimentato in un dibattito col suo avversario, e tutto ciò
che ne era scaturito.
Il biondino si girò con la sedia e vide le facce sorridenti
e incoraggianti dei suoi compari, e anche quella di Vanitas.
“Coraggio” fece Ventus.
“Ti ho steso Riku, il minimo che puoi fare è
fargli vedere i sorci verdi da parte mia” scherzò
Terra.
Aqua sorrideva. “A te l’onore.”
Roxas ricambiò: ciò che era scaturito da
quell’incidente non era stato completamente negativo.
Inspirò a fondo e riprese a parlare.
“Per rubarti le parole, Ephemera, i numerosi testimoni erano
persone largamente ignoranti dei meccanismi interni dei Campionati,
venuti solo a vedere uno spettacolo. Non proprio quelli che definiremmo
esperti, soprattutto andando a controllare il codice della
competizione. Specialmente le parti riguardanti la legislatura delle
prove e la condotta del personale.
“Articolo 13:
In caso di eventuale revoca di una vincita nei Campionati o di un
giudizio impari, verrà eletta un’assemblea
speciale per decretare validità di tale atto.”
Roxas fece una nuova pausa, stavolta teatrale, per far assorbire le sue
parole. “Capisci che significa? L’annunciatore
delle prove ci ha convocati e ha ritirato seduta stante i premi vinti.
Ma non aveva autorità nel farlo: serviva assemblare una
giuria speciale. Ed è quantomeno impossibile che un membro
dello staff non lo sapesse e non si consultasse coi suoi superiori, a
meno che… non fosse su un ipotetico libro paga di
qualcuno.”
Ephemera mantenne un tono di voce fermo e sicuro di sé, ma
Larxene poteva già notare un sottile velo di sudore formarsi
sulla sua fronte.
“Accuse considerevoli, ma senza prove mi sa rimarranno solo
audaci fantasie dettate dall’invidia. E se anche fosse, tu
sei stato il primo a credermi.”
“Io ho sicuramente delle colpe in tutto questo. Ma sono colpe
personali, per le quali sto facendo e farò ammenda. E sei
nel torto se pensi che non abbiamo prove su di te. La nostra gita a
Traverse non è stata invano. Ma ora prego, continua pure la
partita.”
Ora Ephemera diede veramente segni di turbamento. Roxas era andato a
Traverse, quindi all’Istituto? Se aveva parlato con
Skuld… ma come avrebbe potuto? Ma Skuld era effettivamente
l’unica che potesse escogitare un modo per smascherarlo. Il
dubbio che prima aveva roso Larxene ora si era rivolto contro di lui, e
le sorti dello scontro cambiarono rapidamente: Larxene
affondò navi e pareggiò presto i conti.
Mentre l’ultima fregata di Ephemera riceveva due colpi
consecutivi (ma lui nel mezzo era riuscito a colpire metà di
un sottomarino della Presidentessa, e sapeva era l’ultimo
pezzo rimastole) Roxas si animò di nuovo.
“Sento che la schermaglia si avvicina alla fine. Non sono
Luxord, ma lascia che faccia anch’io una piccola magia: non
solo prevedo che perderai, ma che confesserai di tua spontanea
volontà.”
“Tu farnetichi.” Ora Ephemera faticava a mantenere
la conversazione, men che meno a gestirla. “E
perché dovrei fare ciò, sentiamo?”
Il presunto despota ora si lasciava condurre e anzi invogliava
l’avversario a continuare il suo ragionamento: si stava
praticamente mettendo in trappola da solo. Roxas decise che era il
momento per la spinta finale, e fece un cenno a Skuld che prese
controllo del microfono.
“Ciao Ephy!”
“Skuld?”
“Io. Ho deciso di lasciare l’Istituto appena
possibile, e ho incontrato un sacco di persone simpatiche! Sono molto
migliori di quanto tu me le dipingessi quando giocavamo
assieme.”
Il biondino riprese e vibrò la stoccata finale:
“Per rispondere alla tua domanda, so che confesserai
perché se lo farai mi assicurerò che Axel ti
consegni i documenti in palio. Immagino il tuo piano segreto valga
molto più di un inganno vecchio di mesi.”
“Va bene!” Ephemera gridò
all’improvviso, sputacchiando saliva a ogni sillaba.
“Confesso! Ho corrotto l’annunciatore per fargli
ritirare i premi in modo illecito. Nessuno di questi idioti ha
sospettato non ci fosse stata l’assemblea, troppo impegnati
ad essere scandalizzati! Metti una storiella triste nelle orecchie
degli ignoranti, e si genufletteranno al tuo passaggio!”
Il pubblico era ormai scandalizzato: questo l’avevano sentito
benissimo, e non gli serviva contesto aggiuntivo per capirlo.
“Che avete da guardare voi? Appena sarò in
comando, non avrete scelta se non fare come dico io-“
“Ma insomma, cosa sono queste urla?”
Il Rettore Ansem era appena comparso e si faceva largo tra la folla.
“Ma dico, ogni volta che mi assento durante questo evento
scoppia il putiferio! Sbrigo tutti i miei impegni il più
presto possibile, vado a trovare mio figlio e lo vedo alle prese con
l’ennesima partita di scacchi, quando esco vengo perfino
trattenuto dal giovane Saix e torno per trovare questa condotta
riprovevole! E- ma è una partita a Battaglia Navale,
quella?”
Axel si avvicinò a lui, fogli alla mano. “Proprio
così vecchio mio, per questi fogli qui. A quanto pare sono
del signor Ephemera, che voleva usarli per diventare Rettore.”
“Diventare Rettore? Ma che assurdità, il giovane
Ephemera è qui solo in quanto studente brillante che ha
vinto ai Campionati, e… ma perbacco… cosa
c’è scritto qui?”
“Io leggo Atto di acquisizione
dell’accademia” disse Axel.
“Lo leggo anche io, ma… è scritto da un
marmocchio! O quantomeno da qualcuno che non ha idea di cosa sia un
documento ufficiale!”
“Comecomecome?” Larxene fu quasi in procinto dal
lanciarsi dalla sedia.
Roxas era rimasto in silenzio tutto il tempo, soffocando le risate.
“Beh, visto che abbiamo registrato la confessione di poco fa,
vi lascio alla partita. La mossa stava a Ephemera, se non ricordo
male.”
Ma questi riusciva a stento a pensare lucidamente, sembrava non
rendersi nemmeno conto di dove fosse. Era all’Istituto? Era
Gramilde quella contro cui stava giocando?
Mancava solo un colpo per affondare il sottomarino. L’altro
era andato a segno in H ventinove, quasi al limite della griglia di
gioco.
“H… H ventotto.”
“Peccato! Era H trenta. Mi chiedo perché nessuno
metta mai le navi agli angoli, è così utile per
ricordarsi dove sono. Io invece ho colpito F sedici e F diciotto,
quindi… sarà mica F diciassette?” Ora
che tutto sembrava essersi risolto, Larxene era l’unica che
si stava divertendo più di Roxas.
“Mh-hm, colpito e affondato!” Intervenne Axel.
“Hai vinto tu Larxene, ma dobbiamo restituire a Ephemera il
suo prezioso documento comunque.”
“Che peccato!” La Presidentessa mise su un broncio
bambinesco. “Sono proprio sfortunata a volte!”
Il crepuscolo dorava un’ultima volta il cielo, mentre alla
vecchia piazza della stazione un ragazzo sedeva su una panchina per
godersi lo spettacolo. Poco dopo un giovane uomo dai capelli rossi e
una ragazzina minuta lo raggiunsero e si sedettero assieme a lui. I tre
rimasero in silenzio a lungo a fissare il sole morente.
La discussione non fu avviata da una qualche riflessione filosofica sul
perché il tramonto fosse di colore rosso, ma su temi e
concetti molto più materiali.
“Quindi Ephemera era un pazzoide.”
“Disturbo narcisistico di personalità, o comunque
una sua variante molto distorta,” rispose Roxas.
“Skuld mi ha detto che ne soffriva da sempre. A quanto pare
ha sempre escogitato piani assurdi e grandiosi, convinto fossero
reali.”
“Ma i Foretellers, suo nonno Xehanort…?”
“Oh, i Foretellers erano vere macchine, certo. Xehanort era
un ricercatore brillante, prima che la demenza senile lo prendesse.
Nonno e nipote condividevano la stessa illusione.”
“Ci siamo lasciati guidare da persone con simili
disturbi?” Xion si nascose il volto tra le mani.
“Che imbarazzo per tutti.”
“Questo succede quando i risultati accademici dei giovani
muovono la società. Ho assistito a innumerevoli
competizioni, e secondo me molti adulti si danno arie di importanza per
non sfigurare di fronte a quei geni degli alunni. E si pavoneggiano
così tanto da perdere contatto con la realtà.
Come Eraqus.”
“Come lo staff dei Campionati.” Roxas aveva fatto
un rapido giro di telefonate per essere aggiornato sugli sviluppi.
“Ci sarà una grossa inchiesta per questo scandalo,
e l’annunciatore sta messo peggio di tutti. A quanto pare
credeva davvero che i piani di Ephemera fossero reali e che ne avrebbe
avuto una fetta.”
“Già, anche Kai… oh, Kairi.”
Gli occhi di Axel si spalancarono per l’orrore e
inviò rapidamente un messaggio a Saix -Roxas
riuscì solo a cogliere la parola
“armadietto”- e cambiò velocemente
argomento. “Insomma, tutto è bene quel che finisce
bene! Hai parlato con qualcuno, Roxas?”
“Non ancora. Da domani iniziano le vacanze estive, no?
Potrò chiedere scusa a tutti.”
“Chiedere scusa?” Xion emerse dalla sua posa.
“Accettare le scuse altrui, casomai. Tutti devono fartele, io
compresa.”
“Il fatto che sia riuscito a smascherare Ephemera non prova
niente. Non era una vera minaccia, e io avevo comunque
sbagliato.”
Axel li abbracciò entrambi. “Diciamo che siamo
stati tutti dei veri imbecilli, ok?”
I tre risero, liberando emozioni represse da troppo tempo. Poi Roxas
pensò di chiarire ogni cosa: “Xion, Aqua non
è-“
“So che non state assieme, non è il tuo tipo. E
fai bene sai, puoi avere di meglio di quella smorfiosa.”
Lui decise di non ribattere. “E tu invece con Riku stai
bene?”
Axel si girò immediatamente di lato emettendo uno strano
singulto. Xion cambiò presto espressione, tanto che Roxas
non si chiese se avesse rovinato tutto.
“Già, tu non lo puoi sapere. Praticamente
è venuto da me, tutto mogio e mi rivela che
è… che è…”
“Dell’altro partito?” Axel non seppe
trattenersi.
“Già! E mi ha anche ringraziato perché
gliel’ho fatto realizzare io! La faccia tosta!”
Fu il momento per Roxas di essere lasciato di stucco. “Quindi
lui è-“
“Sì.”
“E con chi-“
“Sora.”
“No!”
“Sì!”
Altra pausa nel discorso, stavolta un po’ diversa. Poi Xion
riprese: “Roxas, tu sai che non sei comunque riammesso al
campus come studente. È una cosa che va oltre anche il
potere decisionale di mio padre.”
“Lo so, e mi va bene. Mi troverò un lavoro, e
completerò gli studi in qualche modo.” Il biondino
sorrise. “I risultati accademici non sono tutto nella
vita.”
Lei gli sorrise, un sorriso che lui non vedeva da tempo. Un sorriso che
lasciava intuire c’era ancora un futuro.
Axel si stiracchiò, sbadigliando. “Scusate, io
penso ancora a quel Riku… non mi sorprende che lui e Sora
fossero inseparabili. Certo che correre dietro ad altri ragazzi in
questo modo, ma chi lo fa?”
Si dovette interrompere una volta notati gli sguardi di Roxas e Xion su
di sé.
“Cosa? Perché mi guardate così? Che ho
detto di strano? …Cosa?”
- Stessa ora, venti anni dopo
Un uomo si faceva strada annaspando tra la marea di studenti. Molti lo
riconoscevano e qualcuno accennava un: “Arrivederci
Professore!”
Roxas rispose brevemente ai cenni, individuò un paio di
matricole dall’aria furbetta e ricordò loro di
consegnargli le tesine in ritardo, poi raggiunse i cancelli sospirando.
“Giornata dura?”
Xion era appoggiata alla macchina, borsetta a tracolla.
“Tu come hai fatto ad arrivare prima di me?”
“Uscita di servizio, mio caro.”
“Infrangiamo le regole, eh? Che razza di condotta.
Chissà cosa ne penserebbe tuo fratello.”
“Oh, lui ha i suoi best-seller da vendere e autografare. Mica
ha tempo per queste sciocchezze. …Ma tu non dirglielo
comunque, o lui e papà mi farebbero una predica
infinita.”
Roxas sorrise e le aprì lo sportello. “Signora
Rettrice.”
“Professore.”
Guidarono fino alla loro casa, un po’ in disparte dal resto
della cittadina. Avevano giusto il tempo di rinfrescarsi prima di
uscire di nuovo. Mentre Xion si faceva la doccia, Roxas si
levò la giacca e iniziò a scorrere la posta
accumulatasi, elettronica e non.
“Bolletta… settimanale… Demyx e Vanitas
ci regalano altri biglietti del loro concerto, potrei metterli in palio
per un esame coi miei studenti… Xigbar ha aperto un ufficio
di avvocatura? Mi chiedevo che fine avesse fatto.”
La voce di Xion arrivò appena soffocata dal bagno.
“Ah, giovedì c’è la mostra
della galleria di Naminé, ricordiamoci di dirlo nelle
classi. Potremmo anche organizzare una gita durante le ore di
laboratorio creativo.”
“Skuld ti ammazzerà se le rubi delle ore, e
potrebbe farlo sul serio… oh, Aqua ci invita
all’inaugurazione del suo nuovo parco a tema, dici che
potremmo-“
Rumore di unghie che si contraevano sul vetro.
“Vedrò di far coincidere un qualche evento con
quella data, ricevuto.”
“Potrei chiedere a Riku se può fissare il
matrimonio in quei giorni, così non devi nemmeno inventarti
una scusa e io vi terrei entrambi d’occhio.”
“Ah, però da Riku ci andiamo.”
“Come hai detto?” Xion uscì dal bagno.
“Niente. Sei pronta?”
Arrivarono al teatro che faceva già buio. Un capannello di
gente assediava ancora gli ingressi, monitorato da due gentiluomini ben
vestiti. Uno di loro, in giacca color sabbia, vide la coppia e gli fece
cenno.
“Eccovi, in ritardo come sempre! Saix, assegnagli i
posti.”
L’altro uomo in giacca smeraldo gli porse due biglietti,
invitandoli a entrare. “Vai Axel, io mi occupo degli altri
clienti.”
Nello stanzone centrale i tre poterono rilassarsi.
“Il pieno anche stasera, eh Axel?”
“L’hai detto. D’altronde, è la
somma opera del Maestro Lexaeus, come dargli torto? Il vecchio Lex ha
fatto più strada di tutti noi mi sa.”
“Mh, sei sicuro?” Le parole di Xion furono
confermate quasi subito da un boato di voci eccitate.
“Il Presidente!”
“Non doveva essere in Giappone per il congresso?
Può davvero allontanarsi per un’opera
teatrale?”
“Ci sono anche le sue guardie del corpo!”
Due gorilla in occhiali da sole e auricolari aprirono le porte e fecero
passare una donna dal portamento regale.
“Roxas guarda, il Presidente in persona. Speriamo non si
accorga non ho votato per lei alle ultime elezioni.”
“Accidenti Axel, clientela di prim’ordine! Aspetta,
ma si votava quest’anno?”
“Spiritosi.” Larxene si guardò intorno.
“Visto che loro due sono qui, sono
l’ultima?”
A Xion le allusioni avevano iniziato a dare fastidio. “Io lo
dico a Roxas di comprare una macchina nuova…”
“Che cos’ha che non va la vecchia
Highwind?”
“Principalmente il fatto che non va, Roxas.
Dirò a Zexion di farvi arrivare una Falcon ultimo modello.
Mi sta giusto tenendo il posto in sala.”
“Puoi dire al tuo assistente di adoperare i soldi delle tasse
per cose così?” Axel mise su il muso.
“Sono indignato, Larx! Almeno daccene una parte per il
teatro!”
Una maschera fece la sua apparizione dalle tendine in fondo alla sala.
“Signor Axel, stiamo per cominciare.”
“Grazie Chirithy, arriviamo subito. Coraggio,
amici!”
Roxas, Xion e Larxene presero posto in tribuna d’onore
accanto a Zexion e la moglie, con Axel che si congedava per gestire il
resto della folla. Il monumentale teatro, rinomata attrazione
dell’intera contea, era gremito come al solito.
Da qualche parte nell’ala VIP Roxas sapeva c’erano
anche Demyx e Vanitas, musicisti di successo; Terra, star nazionale del
football che quello stesso anno sarebbe tornato ai Mondiali come
titolare; Aqua, magnate di una compagnia per prodotti per bambini che
le donava un patrimonio da fare invidia a quello presidenziale;
l’ormai vetusto professor Yen Sid, che però era
sempre lucido e non si perdeva mai uno spettacolo; e altri ancora, tra
cui forse un certo giovane dai capelli argentati che aveva fatto
progressi nel campo della psichiatria e
dell’auto-esaminazione, una persona della quale carriera
Roxas seguiva con interesse.
Le luci si spensero e un uomo biondo molto simile a Roxas ma con un
pizzetto pronunciato salì sul palco.
“Buonasera a tutti! Mi hanno invitato a introdurre lo
spettacolo, e già da questo potete capire quanta stima hanno
di voi: volevano assicurarsi che capiste almeno
l’introduzione.”
Xion approfittò delle risate generali per sussurrare a
Roxas: “Ma si è poi capito Ven come si guadagna da
vivere?”
“Rimane tutt’ora un mistero.”
Ventus aspettò che le risate si placarono per continuare.
“Scherzo naturalmente… ecco a voi ‘La Xade’,
scritta e arrangiata dal sommo Lexaeus Pontiferox, con scenografia e
effetti speciali del Maestro Luxord… non sono sicuro la
nostra amata Presidentessa gli abbia lasciato anche il
cognome.”
Con quest’ultima battuta Ventus si dileguò mentre
sotto gli applausi scroscianti un enorme figuro in frac faceva alzare
il sipario e preparava l’orchestra.
Lo spettacolo ebbe inizio e tutti ne furono colpiti, indipendentemente
dal mestiere, bagaglio culturale o effettiva intelligenza. Quando
finì gli uomini e donne del presente si ricongiunsero con
gli amici di una vita. Regredirono tutti ai ragazzi e ragazze che
furono, e prendendosi per mano camminarono verso le luci della notte
per cercare un ristorante dove mangiare, una storia da raccontare, un
evento a cui assistere: già tra poche ore col sorgere del
sole sarebbero tornati tutti alle proprie mansioni e ruoli che la vita
aveva scelto per loro.
Ma per quel momento erano Nessuno, riflessi di vite ordinarie che
avevano dello straordinario.
NOBODIES UNIVERSITY SECONDA SERIE
FINE
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