In fondo si sa, i lupi randagi amano di più

di Guilmon98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lyanna Stark ***
Capitolo 2: *** Eddard Stark ***
Capitolo 3: *** Robb Stark ***
Capitolo 4: *** Jon Snow ***
Capitolo 5: *** Sansa Stark ***
Capitolo 6: *** Arya Stark ***
Capitolo 7: *** Bran Stark ***
Capitolo 8: *** Rickon Stark ***



Capitolo 1
*** Lyanna Stark ***


Lyanna Stark

«Non possiamo…».
Lyanna Stark era esasperata, perché quello stupido idiota voleva rendere le cose così difficili?
«Lya, ti prego, ascoltami…» «Tu sei sposato, io sono promessa, noi…» «Lo ami?» «Cosa?» «Il lord di Capo tempesta» «No, ma è un mio dovere sposarlo, io non sono un principe» «Rinnegherò Elia se me lo chiederai». Lyanna si sentiva male solo a pensarlo. E se anche quella donna lo avesse amato? Avevano dei figli e lei non poteva distruggere una famiglia, anzi, due famiglie e un uomo, per un capriccio.

Lo so, lo so, sono in ritardo e chiedo scusa ma ci sono parecchie cosa che mi hanno tenuto impegnato (Quale il libro che sto cercando di pubblicare tra un imprevisto e l'altro) e l'assenza di connsione internet per dei problemi di linea, tranquilli che non prenderò l'abitudine da qualche altro autore (E questa sì che è una dichiarazione di guerra <3). «Non possiamo, Rhaegar. Mi dispiace». Gli voltò le spalle e se ne andò di corsa ignorando il “Lyanna” dell’erede dei Sette regni (in realtà otto, ma uno è come il Molise…).

«Tutto a posto?». Ora ci mancava solo suo fratello Brandon. «Non è niente» Lyanna avrebbe voluto scansarlo ma lui le prese il braccio.
«Lyanna?!» «Che vuoi!» esclamò con forse troppo vigore. Brandon la stava guardando preoccupato, perché doveva preoccuparsi sempre? «Sto bene!» «Hai gli occhi lucidi, stavi?» «No! Non sono una fanciulla da consolare. Io. Non. Piango» «Okay, come ti pare. Se ne volessi parlare…». Lyanna gli saltò con le braccia sul collo stringendolo forte: «Grazie, ma non ce n’è bisogno, davvero. È successa una cosa, ma ora è tutto finito».

Lei avrebbe voluto che fosse davvero tutto finito.
Era l’ultimo giorno del torneo, ormai era quasi finita e presto sarebbe tornata a casa, a Grande inverno, per poi… -sospirò- per poi andare a Capo tempesta.
Rhaegar, folgorante e magnifico nella sua scintillante armatura, spronò il cavallo contro il suo avversario, Ser Barristan Selmy il Valoroso.
Rhaegar vinse l’incontro e gli fu data la Corona di rose dell’inverno. Stava girando con il suo purosangue magnifico e i capelli argentei al vento. Lyanna diede un’occhiata alla principessa Elia, magra e malata, eppure più felice di lei.
Il Principe di Roccia del drago arrivò vicino alla futura regina sotto le urla di tutti… La sorpassò senza degnarla di uno sguardo.
Calò il silenzio, e Rhaegar cominciò a venirle in contro. “Oh, no no no no… Vi prego déi antichi, ditemi che non sta venendo qui. Vi prego…”. Chiuse gli occhi per un momento e quando li riaprì Rhaegar Targaryen era dinnanzi a lei e le posò la corona sul grembo. Le salì un’incredibile voglia di piangere e di urlargli addosso, come aveva potuto essere tanto sconsiderato?

«Rhaegar, per favore. No!» «Perché?» sembrava stanco ed esasperato. «Siamo ancora in tempo per tornare indietro» «Io non voglio tornare indietro. Se è la testa di mio padre che vuoi…» «No!» gli gridò in faccia: «Non voglio vendetta, non mi restituirà ciò che ho perso» “Perdonami, Brandon”.
«Non capisco…» ora anche lui sembrava voler piangere: «Tu mi ami, io ti amo. Qual è il problema?» «Abbiamo scatenato una guerra, come può non importarti di tutte quelle persone che stanno per morire o sono morte lasciando soli figlie e figli» «Oramai la guerra è cominciata. Se solo mostrassimo a Robert il perché, se dicessimo la verità forse si sistemerebbe tutto».
Le posò la mano su una spalla e i due continuarono a guardarsi negli occhi.
Le avevano sempre detto che in lei c’era il sangue del lupo, indomabile e imbattibile. Ma allora perché faceva così male?
Rhaegar tirò in giù la spallina, snudandole la spalla.

Lyanna Stark avrebbe voluto alzarsi per fermare tutto, ma era ormai priva di forze.
Quando il clangore di armi e armature cessarono, qualcuno salì le scale. Era lui, era lì.
Eddard Stark, suo fratello, la guardava come se fosse già tutto perduto. «Ned» disse lei con voce tremolante, ma senza versare una lacrima.
Ned si avvicinò, e prese un neonato. Un piccolo uomo era dietro di lui.
«Jon». Disse. Ned la guardò triste. «Il suo nome è Jon… Lei… Per lei non ho ancora deciso». Erano due i bambini. Due gemelli, femmina e maschio. Il piccolo uomo prese la bambina con delicatezza facendole un cenno di capo.
«Lyanna, tu…» «Perdonami, Ned» disse ormai cominciando a piangere: «Sono tutti morti, tutti per colpa nostra, per colpa mia! Ora sei solo ed è colpa mia!» urlò di furore come si urlava ad un assassino, e urlava e inveiva contro sé stessa: «Avrei dovuto fermarlo» «Non è colpa tua, Lyanna». Ned poggiò il bimbo al letto e le strinse la mano. «Sì, invece. Mi ha rapita ma se io gli avessi chiesto di lasciarmi… No, non mi ha rapita, Ned, mi ha portata via, e io l’ho amato. Dove ho sbagliato? Perché altri hanno dovuto pagare…».
Suo fratello la baciò sulla fronte e la strinse in un forte abbraccio. Lyanna emise un gemito di fatica e un po’ ironico: «Sai, avevo detto a Brandon che i lupi… Che i lupi non piangono» cominciava ad essere affaticata.
«Noi non siamo veramente dei lupi, Lyanna. Possiamo averne qualche goccia di sangue, ma saremo sempre umani, e poi lo sai, i lupi randagi amano di più degli animali addomesticati… Non affaticarti».
Le posò cautamente la testa sul cuscino, si sentiva male, più debole: «Ned…». Lui le prese la mano: «Shh, riposa, Lyanna» «Non credo che tu l’abbia capito, fratellino, ma io sto morendo… Ascolta… Se Robert, se Robert dovesse venire a conoscenza dei mie figli li ucciderebbe… Devi, devi tenerli al sicuro e proteggerli, ti prego Ned, puoi mentire per me? Inventati qualcosa, qualunque cosa pur di salvarli». Eddard Stark, nuovo lord di Grande inverno, annuì. «Promettimelo Ned, promettimelo».
Ned Stark la baciò sulla fronte: «Te lo prometto».

I suoi respiri si fecero sempre più deboli, ma a lei non importava. Suo fratello aveva promesso. E mentre Lyanna Stark esalava gli ultimi respiri una certezza le si insinuava nelle ossa: Anche se Ned ora era solo, gli Stark sarebbero sopravvissuti perché l’inverno stava arrivando, e i lupi si sarebbero risorti dalle proprie ceneri. L’inverno stava arrivando.

Lo so, lo so, sono in ritardo e chiedo scusa ai venticinque che mi seguono, ma ero incastonato tra il libro che sto tentando di pubblicare tra un imprevisto e l’altro e l’assenza di internet per problemi di linea. Giuro sul mio onore che non prenderò esempio da certi altri autori (E questa sì che è una dichiarazione di guerra in stile Nozze rosse <3). Inoltre scusate davvero il casino dello spostamento dei capitoli ma non avevo previsto di mettere né Jon (sono torcie e forconi quelli che vedo in lontananza?) né Lyanna, né tantomeno Ned (Il prossimo di cui tratterò e penultimo nella lista che mi sono ora prefissato).

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Capitolo 2
*** Eddard Stark ***


Eddard Stark

Aveva appena sceso i gradini della Torre della gioia. I corpi erano ancora lì, quelli di Ser Arthur Dayne, Gerold Hightower, di Oshell Whent e dei suoi compagni.
Ned guardò il cielo azzurro e limpido e sospirò alla brezza, prima che una lacrima solitaria si formò sul viso dell’uomo.
«Tornerai a Grande inverno?» «C’è altro posto in cui dovrei andare?» «Il re…» «Il re ha i suoi amici Lannister a cui rivolgersi» la risposta di Ned tuonò come un fulmine a ciel sereno ma Howland Reed non si scompose, consapevole che non era con lui che il nuovo Lord di Grande inverno era arrabbiato.
«Hai già deciso come la chiamerai?» chiese Ned per cambiare argomento. «Con il tuo permesso, mio signore… Penso di affidarle un nome delle nostre parti» «È a te che la bambina è stata affidata: Non hai bisogno del mio permesso» «Meera, mio signore…» «Meera Snow…». L’erede di casa Reed lo affianco scuotendo negativamente la testa: «Sarebbe troppo intuibile. Mia moglie ha appena perso il bambino, lo posso rimpiazzare e far credere che sia lei nostra figlia» «Sei sicuro?» «Assolutamente» «Meera.. Reed… Non suona male» «Per niente, e tu? Sei sicuro di volerlo lasciare Snow?» «Mia moglie non approverebbe» disse Lord Stark pensando a come l’avrebbe presa Catelyn alla notizia del bastardo. «E poi Robb è già nato, sarebbe impossibile pur volendolo» «Capisco. Andiamo?». Il neo lord guardò Howland e poi la torre. «No» disse: «Prima devo fare una cosa» «Cosa?» «Un tumulo».

E ora era lì, Ned Stark. In ginocchio sulla fredda pietra davanti al tempio di Bealor il Benedetto mentre l’illegittimo re impostore che sedeva sul Trono di spade aveva decretato e condannato.
“Chi emette la sentenza deve essere colui che cala la spada, vigliacco”. Ser Ilyn Payne si mise il cappuccio, pronto al suo lavoro. La mente di Ned vagò verso la moglie.

Non ricordava il giorno in cui i due avevano cominciato ad amarsi, lo avevano fatto e basta. Nonostante il “figlio bastardo”, nonostante la freddezza di lui e l’iniziale distacco di lei alla fine quelle due anime predestinate avevano rotto la barriera che li separava e, non ricordava bene come, erano stati in grado di superare le difficoltà che la vita offriva, restando sempre uniti anche nel momento del dolore, dalla malattia che per poco non portò via Jon alla caduta di Bran, dai litigi di Sansa e Arya ai capricci di Rickon e alla rivalità tra Jon e Theon.
“Déi proteggetela”.

I suoi pensieri andarono a Robb, l’erede, colui che ben presto, prima del suo tempo, sarebbe diventato il nuovo Lord di Grande inverno e Protettore del Nord.
Ancora gli sembrava di sentire i colpi dei legni che lui e Jon davano per fronteggiarsi. Quel ragazzo non era più un ragazzo, era un uomo al comando di un esercito partito per liberarlo.
“Non prendertela con te stesso Robb, hai fatto il possibile, ti prego non prendertela con te stesso”.
Cosa avrebbe fatto senza di lui? Quale sarebbe stata la reazione di Robb oltre al dolore? L’unica cosa che Ned Stark poté sperare fu nella saggezza del figlio e che questo non si fosse lanciato alla carica.
“Déi proteggetelo”.
Pensò a Jon, e al voto di giuramento che aveva preso nei Guardiani della notte, rinunciando, a sua insaputa, al Trono di spade. Era lui il legittimo re dei Sette regni.

Lo ricordava solo, il piccolo Jon, cupo e triste come suo padre Raeghar. Quante volte deve essersi sentito solo, il piccolo Jon, preso dal complesso di inferiorità che legava lui all’ormai perso fratello Brandon. Chissà, magari tra i confratelli avrebbe trovato una famiglia migliore.
“Perdonami Jon, se non ti ho difeso, ma avevo fatto soffrire troppo Cat per mettermi contro di lei. Perdonami per non averti detto la verità”. Ned sospirò pesantemente: “Déi proteggetelo”.

Pensò automaticamente anche a Meera, sua nipote, a cui Howland aveva già confidato la verità. Stando a quanto diceva Lord Reed, La ragazzina era vivace e allegra, e Ned non poté non pensare a quanto potesse somigliare a Lyanna.
“Déi proteggetela”.

Sansa, lei era proprio lì, ad assistere ciò a cui nessun figlio dovrebbe assistere. Lei era così fragile e ancora impreparata a quel mondo crudele, non era colpa sua. Ned si pentì di non averle insegnato che il mondo era sì una ballata, ma non come lei credeva: Era una ballata macabra dove a vincere non era il più onorevole, ma il più potente.
“Déi proteggetela”.

Pensò ad Arya, la piccola Arya, che non vedeva più sotto il tempio di Baelor.
E subito gli vennero in mente i mille litigi con Sansa e i mille dispetti che faceva come il “Gioco della pecora” o le mille battaglie a palle di neve. E quando Ned li vedeva tutti coperti di bianco dall’alto di un corridoio aperto o di una finestra gli si apriva il cuore in una maniera impressionante, provando nel suo profondo una lontana briciola d’invidia e di nostalgia per i fratelli perduti.
Ora quella stessa bambina era in fuga e a Lord Stark, padre prima di lord, non restava che sperare nel ritorno della piccola a Grande inverno. “Déi proteggetela”.

Ser Ilyn sfoderò Ghiaccio mostrandola all’ingrato pubblico riunito sotto che aveva ben presto dimenticato chi lo aveva liberato dal giogo del Re folle.

La corrente dei pensieri lo portò naturalmente al piccolo Bran, caduto, piegato ma non spezzato, questo no! Lui era uno Stark di Grande inverno e non avrebbe ceduto per colpa delle gambe, avrebbe trovato il suo posto nel mondo e avrebbe combattuto le sue guerre come chiunque era chiamato a fare nella sua vita. Sì, Bran ce l’avrebbe fatta. “Déi proteggetelo”.

Ghiaccio andò giù una volta vicino a lui, il boia stava prendendo la mira e presto lui sarebbe stato baciato dalla lama di Ghiaccio.

Il piccolo Rickon, chissà cosa avrebbe fatto il piccolo Rickon una volta cresciuto.
“Possa imparare lui dalle sue sofferenze e essere un uomo migliore di me un domani”.

La spada si alzò sopra di lui, tra le urla ovattate e distanti di Sansa. Sì, avrebbero protetto tutti loro, perché l’inverno avrebbe portato gli Stark alla vittoria. E l’inverno stava arrivando.

“Déi proteggetelo”. E Ghiaccio calò, strappando un lord, un marito, un padre.

(Sta per sporgersi ma gli arriva addosso di tutto) Okay, scusate davvero il ritardo ma ormai la pubblicazione del mio libro è vicina e ho ancora un sacco di cose da fare: Devo rileggerlo un’ultima volta e correggerlo (Per la terza volta ma non si sa mai) ed eventualmente aggiungere qualcosa, inoltre dovrei fare lo scanner di qualche immagine da inserire e sto aspettando che un mio compagno di classe finisca di disegnare la copertina. Principalmente per questo ho lasciato da parte la ff non solo qua ma anche quella di Manga.it e la lettura della fic Got/Hunger games di Gleek.
Per chi volesse dare un’occhiata a questo libro s’intitola “The story of the song of Harsen” (Nome ciclo) “I guerrieri del ghiaccio e del fuoco” (nome libro) sul sito Lulù.com, quando lo pubblicherò (spero fine Novembre) vi farò sapere. Ciao a tutti e al prossimo -e ultimo- capitolo.

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Capitolo 3
*** Robb Stark ***


Robb Stark

Da quanto tempo era in guerra? Troppo, di questo ne era sicuro e più guardava la mappa più gli sembrava di non essere arrivato nemmeno a metà. Fissava la mappa come se fosse lontana da lui, il suo sguardo era perso nel vuoto.
    “Pensavano potessi diventare un lupo” gli aveva detto Talisa. D essere onesti, una parte di lui avrebbe voluto veramente potersi trasformare per porre fine ad una guerra che non sembrava avere fine. Accarezzò Vento grigio che gli poggiava il muso sulle gambe quasi automaticamente, senza vederlo.
La mappa. Doveva guardare solo la mappa e restare concentrato per evitare di pensare alla ragione per cui era sceso in guerra… E nel momento in cui il suo subconscio glielo suggerì il volto di un uomo dai capelli e dalla barba color arancio tornò nella sua mente e Westeros cominciò ad avere la forma dell’uomo per cui era lì a combattere ogni giorno.
    «Sei seduto lì da ore». La voce di Talisa lo raggiunse dalle spalle, nemmeno si era accorto della sua presenza, né che il meta-lupo si fosse spostato all’ingresso. «Tua madre è preoccupata. Non hai toccato cibo oggi» «Mia madre può evitare di preoccuparsi. Sono grande abbastanza per cambiarmi le brache da solo» «Robb». Il Giovane lupo si girò per guardarla interrogativo, nemmeno si era accorto di quello che aveva detto. Lannister, c’erano i Lannister nella sua mente, c’erano la regina e lo Sterminatore di re che ridevano, il sorriso beffardo e vittorioso di Lord Tywin e il sorriso celatamente crudele del Folletto. «Sei stanco, dovresti riposare, domani ci metteremo in marcia per il matrimonio di tuo zio Edmure». Robb annuì con un sorriso: «E con l’aiuto di Casa Frey, conquisteremo Castel granito» «Almeno per ‘stanotte...» Talisa sembrava stanca: «... Almeno per ‘stanotte puoi non pensare alla guerra?». Robb sorrise, era il Re del Nord, era il comandante del suo esercito e la guida del suo popolo, ma era anche un marito ed aveva dei doveri nei confronti della moglie, già, lui era uno Stark e non poteva mancare al suo dovere. La strinse baciandola, ricordandosi per la prima volta dopo tante notti il sapore di una donna, della sua donna.

L’esercito stava smontando le tende per caricarle alcune sui carri e altre sui cavalli. Robb li fissava dall’alto di una collina, affiancato da Grande Jon e Brynden Pesce nero. Vento grigio alzò il muso e Robb si girò. Sua madre stava di fronte a lui, lo guardava, senza dire una parola. Grande Jon fece un inchino per poi andarsene seguito dal Pesce nero. Lady Catelyn continuò a guardarlo incerta… Scorsero secondi interminabili prima che Robb cogliesse la palla al balzo. In un attimo, madre e figlio erano abbracciati e tutto l’attrito fino ad allora creato si dissolse come se mai fosse esistito. «Puoi farmi incatenare…» sussurrò sua madre all’orecchio: «… E puoi anche tenermi d’occhio. Ma sarai sempre mio figlio, e alla fine di questa guerra… Non voglio pentirmi di non averti detto abbastanza. Io ti amo Robb, e come madre non potrei essere più orgogliosa e… Di a Talisa che ormai comincia a piacermi, io… Hai scelto una moglie fantastica». Le lacrime apparvero sul volto di entrambi. No, Robb Stark non era un lupo, non sbranava le persone e in fondo non era così duro come voleva far credere. «Non temere madre» Robb sciolse l’abbraccio e le prese le spalle. «Quando il matrimonio sarà ultimato e la nostra unione con i Frey consolidata, i Lannister non avranno alcuna possibilità di vittoria. Porteremo Sansa e Arya al sicuro, torneremo a Nord e libereremo Bran e Rickon, te lo prometto» «Già…» disse Lady Catelyn in un sorriso: «Quando il matrimonio sarà ultimato». Robb Stark inspirò profondamente, l'inverno stava arrivando.

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Capitolo 4
*** Jon Snow ***


Jon Snow

L’aria fredda gli si insinua nelle ossa, ma cosa si sarebbe dovuto aspettare? Aldilà dell’ultimo confine del mondo l’unica vera fonte di riscaldamento erano i confratelli, ma a Jon Snow, bastardo di Grande inverno, questo non andava più bene.
Avrebbe voluto confidarsi di più con Sam, o con Grenn, o con Pyp, ma nessuno di loro era veramente suo fratello, no, i suoi fratelli erano o morti o scomparsi. Quando stette per riperdere coscienza ed entrare nel mondo dei sogni, una voce gli ricordò di non essere più tra i Guardiani della notte, no, la voce femminile lo rimise con la mente alla realtà.
«Dormi sempre così tanto Jon Snow?». Jon aprì gli occhi rivolgendole un sorriso, e di nuovo fu colto dalla paura senza darlo a vedere. «L’assenza di sonno può causare problemi al cervello» glielo aveva insegnato maestro Luwin. «Sì??» Ygritte emise uno sbuffo divertito: «Anche dormire può causare problemi al cervello nel mentre se qualcuno ti spappola la testa con un martello».
Jon si rimise a sedere per poi allungare la mano verso Lungo artiglio. Si rialzò e allacciò il cinturone. Il lupo bianco sul pomo gli ricordò Spettro, il meta-lupo albino trovato vicino al fiume.
«Jon?». Ygritte era ancora seduta ma lo stava guardando perplessa: «Che hai?» “Perché ti preoccupi per me, non devi” ma non lo disse, pronunciò invece: «Non ho niente» «Oooh, andiamo» disse Ygritte alzandosi e prendendolo per il braccio: «Con quell’aria da bel tenebroso… Vuoi dirmi che non hai nemmeno un segretuccio?? Nemmeno uno piccolo piccolo?» «Se te lo dicessi…» Jon la prese tra le braccia e disse con voce suadente, avvicinando le sue labbra a quelle di lei: «…Non sarebbe un segreto». Ygritte mise l’indice tra le loro labbra (eee… Ci speravate, eh?): «Ma un segreto è più divertente se condiviso» «Non saprei, prima tu» «Io non ho segreti» «Tutti hanno dei segreti» «Tu non sai niente Jon Snow, a Nord delle Barriera non servono segreti, non servono segreti in casa propria. Allora, perché hai sempre quel fac…». Un corno risuonò in lontananza richiamando l’attenzione dei due giovani che si guardarono per poi scambiarsi un bacio fugace. Lei andò avanti, si girò e lo guardò negli occhi: «Non te la caverai con così poco, Jon Snow». Jon si limitò a sorriderle, e pensare che all’inizio nemmeno l’aveva amata.
Quel pensiero lo perseguitò durante tutto il viaggio. Come aveva potuto disprezzarla? Certo non la conosceva, ovvio, e mai avrebbe pensato che potesse succedere una cosa del genere.

Ora era lì su, in cima alla Barriera, di notte. La scalata era stata un’esperienza che mai avrebbe voluto ripetere in vita sua ma almeno lo aveva tenuto distratto.
«… Io vado a dormire» «Ti raggiungo più tardi». Ygritte lo guardò male: «Com’è possibile che in te, cresciuto in un castello, ci sia così tanta tristezza mentre noialtri scherziamo?» «A volte crescere in un castello non è positivo» disse il celato Guardiano della notte mentre nella sua mente l’immagine di Lady Catelyn Stark cominciava a farsi presente. Ygritte sorrise: «Visto? Sei nel posto giusto. Non farmi aspettare troppo».
Jon continuò a fissare l’oscurità della notte. Non era a Lady Stark che pensava, era a tutti gli altri: Arya, la sua sorellina a cui amava scompigliare i capelli, Robb e i mille allenamenti, Bran e la sua ostinazione nel voler andare sempre con i fratelli più grandi e di voler scalare a dispetto di quello che imponeva la Lady sua madre, Rickon e i suoi capricci da bimbo qual’era… Perfino Sansa con i suoi “Fratellastro”… E lui, Lord Eddard Stark, che come un padre lo aveva cresciuto e lui come un figlio lo aveva tradito. Li aveva traditi tutti, Robb, Arya, Bran, Rickon, Sansa, Ned… Tutti! TUTTI! Il suo tradimento? L’amore. Perché lui amava veramente Ygritte.
Jon strinse i pugni. “Com’è possibile che in te ci sia tanta tristezza?” gli aveva chiesto. Già, c’era chi diceva che i bastardi erano tutti esseri malvagia, ma allora perché stava così male?
In realtà lo sapeva, lo sapeva e aveva paura… Paura della scelta perché sì, erano arrivati alla Barriera e presto avrebbe dovuto scegliere: Tradire la famiglia e i suoi confratelli e rinunciare al suo onore o tradire e rinunciare per sempre a Ygritte.
Jon aveva paura di scegliere, ma in realtà lo aveva già fatto. Nella sua mente le immagini dei fratelli e delle sorelle si fece vivo, poteva quasi sentire le loro risata e grida di gioia nel cortile di Grande inverno, della sua vera casa.
Avrebbe fatto ciò che andava fatto. Si alzò ed andò da Ygritte, donando ad entrambi l’illusione di un futuro unito, e l’amarezza si riversò nelle sue lacrime che cercò di trattenere.
«Jon?» «Va tutto bene» «Non temere Jon Snow…» disse stringendosi a lui: «Io sono con te, ora e per sempre».
Quella frase lo distrusse interiormente ancora di più: «Sì, Ygritte. Ora e per sempre».

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Capitolo 5
*** Sansa Stark ***


Sansa Stark

Lei non era un lupo randagio, tutt'altro. Sansa Stark era graziosa e aggraziata in tutto quello che faceva, questo le dicevano. Effettivamente era così, lei sapeva cantare, recitare, ballare e ricamare. I suoi toni e l’impostazione della voce erano sublimi, le sue espressioni mimiche-facciali veritiere, i suoi movimenti fluidi e sicuri, i suoi punti perfetti.
Sansa Stark sembrava perfetta, Sansa Stark era perfetta… Come aveva potuto essere così cieca?
Fissava il vuoto dalla sua stanza, c’erano persone ma non le vedeva, non vedeva nessuno che non fosse importante vedere. C’era stato qualcuno di importante, in passato, ma erano tutti fantasmi di un tempo che non tornerà mai più, di un padre perso per colpa di quell’infame alto, bello dai capelli biondi e dagli occhi azzurri. Di una madre e un fratello perso per colpa del signore freddo e spietato di Castel granito e del viscido Lord delle Torri gemelle che aveva giurato fedeltà al Re del Nord; Di una casa e di due fratelli persi per colpa di una piovra che non era stata grata della sua vita… “Tutto per colpa tua”.
Sì, poteva dare la colpa a chi voleva ma era lei la vera responsabile, era lei che aveva tradito suo padre e mentito a Re Robert. Lady tornò alla sua mente, il cucciolo di meta-lupo e quella sua grazia, quel suo pelo così perfetto. “Oh, Lady, dove sei?”… Sansa scoppiò in lacrime di nuovo, non era giusto! Perché la sua famiglia ha dovuto pagare la sua stupidità al posto suo? Perché lei doveva pagare così tanto per uno sbaglio che aveva commesso quando era ancora poco più di una bambina? Mamma, papà, Robb, Arya, Bran, Rickon, Lady, Grande inverno… Tutti, tutti avevano dovuto pagare per lei. Perché!?! Perché non era morta insieme agli altri? “È la mia punizione” pensò. Doveva vivere nel rimorso… Ora sapeva cosa fare! Se avesse lasciato che il rimorso la distruggesse, se gli avesse lasciato vincere la partita forse avrebbe pagato i suoi debiti.
La porta si apre dietro di lei. Si gira, non perché le interessasse veramente sapere chi fosse entrato, ma perché non c’era altro da fare, e chissà, forse era lo Sconosciuto venuto in visita.
No, era semplicemente suo marito, un altro Lannister: «Sansa…». Lei si rigira, a che scopo ascoltarlo?

Sansa Stark era perfetta, Alayne Stone era realista. Le persone l’adocchiavano con sguardi maliziosi e mentre Sansa si sarebbe esasperata, Alayne si limitò ad abbassare lo sguardo, nessuno poteva toccarla, se pur bastarda, rimaneva la figlia di Lord Baelish come Jon era il figlio di Eddard Stark (Seee, come no! R+L=J+M, lo sanno tutti).
Già, ora sapeva come si sentiva Jon, e poteva solo immaginare quanto lo avesse ferito ogni volta che lo chiamava “Fratellastro”. Non lo avrebbe fatto più, questo si ripromise, Se avesse ritrovato Jon, avrebbe mostrato l’amore di una sorella e non quello freddo di una sorellastra stupida quale era stata.

Era a casa, finalmente era di nuovo a Grande inverno. In quel posto, lei, sua sorella e i suoi fratelli, Jon incluso, avevano mosso i loro primi passi. Anche suo padre e gli Stark venuti prima.
Era ancora repressa nella sua stanza, con i lividi sulle braccia ma nemmeno ci faceva caso. La violenza non era certo una novità oramai. Inspirò, carica di speranza e di quella fiducia che avevano caratterizzato la sua infanzia. Ma non avrebbe più sbagliato, non avrebbe tradito di nuovo la sua famiglia. Bran e Rickon erano lì fuori da qualche parte e lei li avrebbe trovati perché a differenza dei leoni che tanto dicono di lottare per la famiglia e poi si accusano a vicenda e si sbranano, per i lupi di Grande inverno la famiglia era tutto. Lei lo aveva imparato nel modo peggiore ma il destino le aveva finalmente concesso la possibilità di riscattarsi. Sarebbe fuggita e avrebbe trovato i suoi fratellini, a qualsiasi costo.
“Nessuno farà loro del male” pensò la fanciulla degli Stark. No, gli Stark sarebbero risorti per la loro famiglia, l’inverno stava arrivando.

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Capitolo 6
*** Arya Stark ***


Arya Stark

Era sdraiata sul fianco, il sole si stava già levando oltre all’orizzonte e un braccio le circondava la vita… Un braccio le circondava la vita?
Arya si spostò bruscamente facendo svegliare l’idiota di fianco a lui che doveva averla per forza scambiata per una bambola… O una ciambella: «Ma quante diavolo di volte te lo dovrò dire di starmi alla larga». Il ragazzo a cui si rivolgeva sbuffò mugugnando qualcosa di incomprensibile per protesta. «Mica decido come muovermi nel sonno» si lamentò lui, la giovane Stark mise le braccia conserte lanciando uno sguardo fulminante a Lommy che se la stava ridendo sotto i baffi (chiaramente in senso figurato). «Senti, Frittella…» disse Arya inarcando un sopracciglio (Qualcuno stava forse pensando a Gendry, vero Rossa? XD): «La prossima volta va’ a sdraiarti vicino al tuo amico Mani verdi».
«Forza scarti!» era la voce del confratello in nero che la stava portando a Grande inverno dai suoi fratelli. «Dobbiamo già camminare? È ancora mattino» Frittella non faceva altro che lamentarsi ogni mattina, che astio! Mai avrebbe immaginato che le sarebbe mancato così tanto.

Una lacrima solitaria scese da un occhio.
«Arya?». La ragazza si girò verso il ragazzo castano dagli occhi azzurri. «Stai…?» «Mi è entrato qualcosa nell’occhio» si affrettò a rispondere lei passandosi una mano sulla guancia con forza: «Io sono un lupo e i lupi non piangono». «Beh» disse Gendry: «Almeno sappiamo dov’è». Arya non rispose: Prima Yoren, poi Lommy e ora Frittella. Uno ad uno il suo branco la stava lasciando. Gendry fece accelerare il cavallo per parlare con Thoros di Myr e lei fissò il ragazzo castano, l’unico del branco rimasto: “Lui è diverso dagli altri” si convinse: “O non sarebbe ancora qui”. Era una prova vuota, lo sapeva, ma era l’unica che aveva.

«Potrei essere io la tua famiglia» disse con un tono che cominciava quasi a rompersi nel pianto. Era stata una frase azzardata ma oramai Gendry era l’unico del suo branco… No, Gendry era diventato molto di più e senza che lei se ne accorgesse prima di allora. Stupida ragazzina!
«Arya…». Gendry era dietro di lei, aveva un tono quasi colpevole. Ci era riuscito, era forse il primo dopo sua sorella ad averla fatta piangere. Niente cose nell’occhio, non aveva scuse questa volta, le lacrime erano copiose e gli occhi arrossati. Stette per andarsene quando Gendry la strinse così forte che l’intenzione di Arya nel dibattersi fu spazzata via da quelle fortissime braccia e da quella sicurezza che mai era stata del Toro, non riguardo a lei.
«Non è giusto» disse Arya, rotta dal pianto, contro il suo petto: «Non è giusto che io debba sempre perdere tutto!» «Non mi hai perso, Arya…» tentò di rassicurarla stringendole la testa contro il petto: «… Quando la guerra sarà finita verrò a farti visita» «Non voglio una visita!!». Il pianto scoppiò ma non le importava più nulla. Se non poteva essere sincera con lui con chi altri avrebbe potuto esserlo (ignoro il lettore che ha pensato o detto: “Jon”)? «Quando questa guerra sarà finita» disse Gendry: «Ci sposeremo davanti a tutti gli déi, Arya, te lo prometto». Arya si staccò guardandolo sorpresa: «Tu…» «Io ho detto che non saresti stata la mia famiglia… Ma che saresti stata la mia lady, e se tu lo vorrai, io non mi tirerò certo indietro». Arya rise e si ripoggiò contro il di lui petto: «Sono un’idiota!» «È vero». Arya avrebbe voluto tirargli un pugno ma le sue mani erano tra i due petti. «Dovrai fare ammenda, testa da toro che non sei altro!» «Cosa?» «Hai fatto piangere un lupo». Gendry emise uno sbuffo divertito: «Tu non sei un lupo, Arya, sei una ragazza che ha perso molto. Non mi sembra strano che tu cerchi amore». “Amore”. Quella parola detta ad alta voce la faceva sentire strana, ma non stupida e, difatti, la parola non la ricollegò neanche lontanamente a Sansa. No, quello non era una cotta per il cavaliere belloccio di turno e Sansa non aveva mai pianto per Ser Loras, o per Jeoffrey o per chiunque altro che non fosse della sua famiglia. No, quello era amore, nel più puro e semplice significato. Era pace e tempesta insieme, gioia e sofferenza, qualcosa di indefinibile e troppo forte per le parole affidate dai comuni mortali. Amore.
E ora stava fissando il vuoto del soffitto della sua stanza nella Casa del bianco e del nero al ricordo di quel ragazzo che forse aveva perso per sempre, portato via da una strega rossa che, se solo conoscesse il suo nome, sarebbe nella lista anche lei.
Arya sorrise. No, Gendry le aveva promesso che si sarebbero incontrati e così doveva essere. Gendry era vivo, lei lo sapeva. E il buio sembrò prendere le sembianze del ragazzo che non aveva mai smesso di amare. Arya sorrise piena di speranza, e finché c'era la speranza e lei sarebbe tornata, perché con l'inverno arrivano i lupi. E l'inverno stava arrivando.

Okay, so che sicuramente c’è almeno una persona che avrà passato notti insonne aspettando questo capitolo, dico bene? ;-)…
E questo capitolo lo dedico proprio alla prima autrice a cui abbia mai recensito e che ha ricambiato la prima recensione (nei miei confronti).
Quindi alziamo il corno per l’autrice Arya Rossa, per le sue lunghe attese negli aggiornamenti e i suoi puntuali ritardi XD.

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Capitolo 7
*** Bran Stark ***


Bran Stark

Stava aspettando la cacciatrice che era rimasta indietro. Non la vedeva ma poteva sentire il suo odore, e l’odore delle prede che aveva trovato. Senza che se ne accorgesse, lei riuscì a superarlo ma subito lui corse per distaccarla di nuovo ed arrivare per primo.
Vedeva il suo corpo spezzato, Rickon stava dormendo con al suo fianco Cagnaccio, intento a fare da guardia, Osha pulendo il suo coltello e Jojen era al suo fianco.
«Bran» disse con voce atona e priva di qualsiasi emozione. Bran aprì gli occhi, i suoi occhi, e lasciò quelli di Estate.
«Non vale!» disse Meera Reed con un sorriso e l’affanno di una corsa troppo lunga: «Mi hai atterrata» come faceva ad essere sempre così allegra? Bran non poté sottrarsi a quel sorriso contagioso e per la prima volta da giorni, forse settimane, sorrise: «Non è affatto vero» protestò: «Ti sono solo venuto davanti e tu hai perso l’equilibrio» «”Venuto davanti”? Mi hai spinto con il corpo» «Non è vero ed Estate lo sa, vero Estate?». Il meta-lupo si spostò verso Meera che guardò vittoriosa l’erede di Grande inverno.
«Ricordati chi ti da’ da mangiare, traditore!» disse scherzosamente. Estate andò subito vicino a lui. «Ah è così?» chiese lei retoricamente: «E allora ricordati chi caccia il pranzo» «Può benissimo cacciarlo da solo il pranzo» disse Bran sicuro della risposta. Meera lo attaccò subito, l’aveva messo nel sacco: «Quindi nemmeno tu gli dai da mangiare». Bran aprì la bocca per ribattere ma tentennò un poco prima di rispondere con un insicuro: «Però lo facevo quando eravamo piccoli» «Facevi. E poi tu sei ancora piccolo» disse prima di fargli la linguaccia che lui le rimandò.

Erano su una collinetta e il sole stava ormai svanendo dietro le valli all’orizzonte lasciando posto alla tetra notte e Bran stava ammirando il cielo seduto su un sassone enorme, che affacciava subito alla discesa, dove il gigante buono lo aveva lasciato.
«Osha» Rickon le tirò la manica: «Devo fare…» si accostò all’orecchio di lei: «Devo fare la pipì». La donna dei bruti che tanto bruta nei modi non sembrava, almeno non quando si trattava di lui o Rickon, si alzò e porse la mano al bimbo di sette anni. Per un fugace momento, Bran poté intravedere Jojen guardarlo per un momento: «Vengo anch’io» disse. «Estate, va’ con loro» il meta-lupo obbedì.
Bran guardò l’ultima rimasta a parte Hodor. La ragazza doveva essersene accorta perché girò la testa e, tanto per cambiare, gli sorrise, ancora lui sorrise a lei come sempre faceva quando la vedeva allegra. «Che c’è?» chiese lei avvicinandosi e portandosi al limite della discesa voltandogli le spalle per ammirare anche lei il panorama (Non prese il giornale se è questo che vi state chiedendo). Ora era lui a poter guardarla dall’alto e senza l’aiuto di Hodor: «Niente, solo mi chiedevo come facessi ad essere così felice anche quando stiamo andando… A nord della Barriera» «E a cosa gioverebbe essere sempre tristi?» disse girandosi e guardandolo dritto negli occhi, colpendolo dolcemente nelle viscere della sua anima. Una sensazione che mai aveva provato con nessuno.
«Niente, però ci si preoccupa comunque» «Hai paura?». A quella domanda non sapeva come rispondere: «Non lo so. Come posso aver paura di una cosa che non conosco?». In verità di paura ne aveva, ma aveva molta più paura ad ammetterlo a lei. «È questo il punto» disse Meera: «Se tu conoscessi una persona non ne avresti paura perché sai di cosa sarebbe capace». L’aveva beccato un’altra volta.
«La paura è naturale, quando ci troveremo di fronte a qualche nemico potrò avere paura, e poi gli staccherò la testa a morsi». L’idea di Meera che mangiava la testa di un bruto fece sogghignare il piccolo principe: «Comunque io non ho paura e con Estate le staccherò veramente le teste» «O chiedo scusa mio piccolo guerriero, non volevo certo offendervi» lo prese in giro lei.
Senza paura e senza la preoccupazione di quello che sarebbe successo, Bran si spinse con le braccia atterrando sopra a Meera. I due cominciarono a ruzzolare sul fianco della collina, insieme, l’uno sopra l’altra, l’altra sopra l’uno.
Quando atterrarono, Meera rotolò ancora un po’ volontariamente per poi lanciarsi su Bran e cominciare a fargli il solletico sulle costole come quelle battaglie, ricordò lui in una frazione di secondo, che faceva con Arya e Rickon un paio di anni addietro.
Almeno nelle braccia, fortunatamente, Bran era ancora forte. Riuscì infatti a capovolgere la situazione e decise, o meglio l’istinto gli suggerì, di attaccare nello stesso modo, facendole il solletico alla pancia.
Purtroppo per lui la voce di Osha li raggiunse: «BRAAAAAN!!?». Subito la ragazza di Torre delle acque grigie colse l’attimo e riuscì a schizzare via.
«Siamo qui» disse un gemito di risata e l’altro. Osha si affacciò: «State bene? Cos’è successo?» «Niente» rispose Meera guardandolo: «Solo un chiarimento» disse per poi abbassare la voce e rivolgersi a lui: «Ma non è finita, sappilo» «Sicuro» disse facendole la linguaccia, mentre Estate e Hodor li raggiungevano.

Sentiva un vuoto nello stomaco, e non era per la fame. Più volte l’erede di Grande inverno si era chiesto come stesse o cosa facesse. Aveva fatto la cosa giusta, ma allora perché si sentiva così tanto in colpa?
Perché ora non poteva sapere, perché dopo un abbraccio durato troppo poco, il suo fratellino era sparito dalla sua vista e ora lui era lì, nel suo cupo silenzio, a pregare gli déi di suo padre affinché Rickon fosse al sicuro con Osha.
«Bran…». Senza che se ne fosse accorto, La giovane Reed gli si accostò accanto per cominciare ad accarezzarlo sulla testa tirandogli indietro i capelli come più volte aveva fatto in passato. Bran nemmeno ricordava come fosse cominciata, ma ogni volta che succedeva il suo corpo rispondeva allo stimolo: “Forse posso averli ancora, dei figli”.
«Non devi preoccuparti, Osha è la donna più forte che abbia mai incontrato» era già la terza volta che cercava di rasserenarlo ma dentro al nuovo Re del Nord c’era una tempesta, e se Rickon fosse morto?
«Morto o vivo, noi dobbiamo proseguire» disse Jojen interrompendo il momento. Meera interruppe il contatto alla solenne voce del fratello. «Dovresti dire qualcosa di più rassicurante» lo ribeccò lei. Era incredibile come quei due cambiassero il loro rapporto tutto d’un tratto.
Per essere diversi, erano diversi, su questo non c’era nulla da dire. Meera era allegra e Jojen solenne, i loro caratteri si contrastavano vicendevolmente.
«Va tutto bene» disse Bran per porre fine al loro battibecco: «Andiamo». Bran non capiva perché da quando avevano superato la Barriera Jojen sembrava molto più serio, non che prima non lo fosse, ma se prima era quantomeno solenne, ora sembrava proprio andare di fretta. Bran non voleva perdere anche lui, era l’ultimo amico che gli era rimasto.

Calò la notte ma in questa non sorrise nel buio, no. Meera era stata via quasi tutto il giorno mentre cercava di raccogliere delle prede e Bran, mentre la seguiva con Esate, capì un’atroce verità. Anche se avrebbe potuto avere figli, chi voleva sposare uno storpio sempre imbronciato? “Non Meera, lei è troppo solare per un bambino come me” e ora capì il significato della sua frase quando lei disse: “Non possiamo”. Lui non era Robb, o Theon, che giocavano con queste cose. Lui non avrebbe mai ricorso alle cortigiane, questo continuava a promettersi, ma ora Meera Reed gli sembrava più distante che mai, era più distante che mai da raggiungere quando prima sembrava veramente a portata di mano, si era veramente illuso così tanto? Possibile che il Nord oltre la Barriera lo avesse fatto crescere tutto d’un colpo? Ora aveva capito che non poteva avere una creatura così perfetta e faceva male, e bruciava dentro. E, quando calava il buio e il suo volto era coperto dal manto delle tenebre, lo faceva piangere.

I singhiozzi, quei maledetti singhiozzi! Bran non sapeva cosa fare. Era Jojen quello che sapeva, era Jojen che dava indicazioni ed era Jojen che ora era morto.
Era ormai una decina di minuti che stava seduto senza fare niente, basta! «Hodor, portami da lei» ordinò. «Hodor» rispose Hodor sollevandolo sulle braccia per iniziare ad incamminarsi.
Il gigante lo posizionò accanto a Meera che non disse una parola. Erano cinque giorni che la ragazza non diceva una parola, o che non mangiava. Bran cercò di farsi forza, non doveva farlo per sé o per il suo piacere, doveva farlo per lei, questo voleva dire amare, e lui di persone amate ne aveva perse anche fin troppe, non poteva… Non doveva lasciarla andare.
Le circondò le spalle e la tirò verso di sé. Meera non disse niente, e non mosse un muscolo. Semplicemente abbandonò la testa sulla spalla di lui. «Meera, devi reagire, io so cosa vuol dire perdere un fratello». E suo fratello Robb, lo aveva visto in sogno, era morto in un modo molto più atroce.
«Perché?» chiese Meera: «Perché non lo ha detto? MALEDETTO IDIOTA!!! Avrei potuto salvarlo! Avrei potuto…». Bran la strinse ancora più forte, come avrebbe fatto un uomo, ed era quello che lui era adesso, il cucciolo di lupo era cresciuto ed era diventato il capobranco. Ora era lui a dover dare la forza.
«È morto per proteggerci» disse. Meera negò con la testa e le sue lacrime erano aumentate: «Gli ho tagliato la gola, sono stata io…» «Non è colpa tua, sarebbe morto comunque... Tu... Gli hai risparmiato una morte più dolorosa». Le lacrime cominciarono a rigare anche il viso del ragazzino spezzato. No, non era affatto un lupo, era un maledetto bambino che non sapeva nemmeno consolare un’amica!
Eppure Meera sembrò essersi tranquillizzata e Bran fece un sospiro profondo: «Non lo riporteremo indietro» disse: «Possiamo solo onorare la sua memoria e possiamo farlo in un modo soltanto: Dobbiamo distruggere gli Estranei» «E perderò anche l’ultima persona che mi è rimasta» «Cosa vuoi dire? Tu hai ancora una famiglia nel Nord» stava veramente parlando di lui?
«Bran, quando ti ho detto che non possiamo non intendevo dire che non voglio… Io… Io sono tua cugina».
Bran non ci capì niente: «Cu-cugina?» «Tua zia Lyanna» «Fu stuprata» rispose velocemente Bran, intuendo quel che era successo veramente non era ciò che gli era sempre stato raccontato. «Non credo, ma se anche così fosse, generò due figli». «E chi è il secondo?». Meera sospirò: «Jon Snow».
Bran spalancò gli occhi: Quello che aveva visto dall’albero-diga era vero: «Eri tu l’altra bambina».
Cadde un silenzio improvviso: «E questo è importante?» un nuovo impeto prese il controllo di Bran: «Io ti amo Meera, te e solo te, perché la nostra parentela dovrebbe cambiare qualcosa?». Meera si staccò quando notò nuove lacrime sul volto del Re del Nord. Senza una parola in più, senza timori, le labbra dei due si incontrarono.
«Mi rimani solo tu» disse Meera: «Non voglio lasciarti». Bran la guardava dispiaciuto: «Resterò qui per sempre, lo sai, vero?» «E io sarò la tua guardiana» disse Meera avvicinando le labbra: «Ora e per sempre». Bran la strinse ancora, con una mano dietro la schiena e una dietro la testa: «Ora e per sempre». Si baciarono ancora.

Bran non lo sapeva, ma il destino (ovvero io XD) aveva altri piani in serbo per lui. Perché anche se non lo sapeva, lui era molto di più di un lupo e di una manciata di corvi. Lui era destinato a diventare il Re del Nuovo Inverno, e l’inverno stava arrivando.

Salve, non so se questa serie vi stia piacendo ma in caso affermativo vi volevo dire che una volta finito il progetto delle altre ff su Manga.it mi dedicherò a una vera storia cross-over tra il Trono di spade e un altro libro che di sicuro non avrete mai letto ma che penso vi possa piacere. Insomma continuerà… Al prossimo capitolo.

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Capitolo 8
*** Rickon Stark ***


Rickon Stark

Il freddo cominciava a penetrargli nelle ossa, ignorando i pesanti vestiti del piccolo Stark.
Cagnaccio, il grandissimo meta-lupo nero, cominciò a ringhiare all’isola a cui si stavano avvicinando provocando in Osha quell’ombra di paura che non l’aveva abbandonata dal giorno in cui era venuta a Grande inverno. «A Cagnaccio non piace questo posto! Andiamocene subito!» «Vorrei, mio piccolo principe…» rispose lei con voce soffice ma decisa, come quella della sua mamma: «…Ma hai visto anche tu quei soldati dei Bolton a Ultimo focolare… È diventato troppo pericoloso per noi». Rickon alzò la voce, non ne poteva più di quella situazione: «NON È VERO! Noi adesso torniamo a casa! Robb avrà già vinto la guerra e sarà già arrivato a casa. L’ha già ricostruita vedrai!». Ma Osha continuò a remare, gli fece un cenno negativo con la testa, triste. «Tu non lo conosci, mio fratello può fare tutto! E poi ci sono anche la mamma con Arya e Sansa! E scommetto che sono andati a prendere Bran e ora sono tutti a Grande Inverno col papà.
Dobbiamo andare lì!» disse risoluto. Ma Osha continuò a remare, avvicinandosi all’isola.

Quando sbarcarono, Rickon poggiò piede per terra sprofondando fino alla caviglia nella neve. «Qui fa troppo freddo. Non mi piace, e non piace neanche a Cagnaccio».
Osha si bloccò nell’andare avanti, forse lo stava finalmente ascoltando? Rickon alzò lo sguardo, un uomo vestito di sole pelli li stava fissando, sorridendo in modo cattivo.
Il piccolo Stark indietreggiò di un passo: «Osha, torniamo a casa…». L’uomo si avvicinò piano, seguito da altri quattro, ora cinque, ora sette mentre Cagnaccio si portò davanti al padroncino ringhiando furiosamente. Il piccolo Rickon si guardò indietro, sperando in un aiuto che non venne, quello della mamma e del papà: Dov’erano andati tutti quanti? Gli tramarono le gambe a una risposta che aveva tardato a venire: Non sarebbero arrivati.
I primi tre scattarono in contemporanea ad Osha, gli altri subito dopo, accerchiandola mentre uno di loro fu travolto da Cagnaccio e un altro… Da una creatura che non ricordava dove aveva già visto.
Qualcuno cominciò a crollare anche quando il bastone appuntito dell’amica bruta nemmeno li sfiorava.
Un uomo sorpassò l’amica diretto verso di lui. Crollò a terra, sulla sua schiena si ergeva un pugnale da lancio.
Rickon guardò Osha abbassarsi e trafiggere il bruto al cuore.
La ragazza lo guardò e si avvicinò di fretta: «Stai bene?». Il piccolo annuì guardando avanti, incuriosendo anche Osha che alzò lo sguardo verso un ragazzo incappucciato tagliare la gola ad un altro bruto.
«Una donna e un bambino… Skagos non fa per voi» disse sorridendo. Aveva una cicatrice che gli percorreva l’occhio sinistro e un’altra sulla guancia sinistra.
«Chi sei e cosa vuoi!» «Chi sono non ha rilevanza, e cosa voglio non vi riguarda… Sappiate solo che per adesso mi basta che voi viviate, ci servirà ogni guerriero prima della fine dei tempi» «La fine dei tempi? Di che diavolo stai parlando?». Il ragazzo spostò lo sguardo su di lui che si nascose dietro alla bruta.
«Buona fortuna» «Apsetta» lo fermò di nuovo Osha: «Non sei di Skagos». A quella frase il ragazzo fece una finta risata: «Se è questo che ti preoccupa, non sono nemmeno di Westeros… Anzi, non sono nemmeno del vostro mondo, andiamo Iseryax». La creatura nera dagli splendidi occhi gialli lo seguì.
«Che cos’era quella creatura?» doveva saperlo, non era bella come un meta-lupo ma era comunque bella. «Una pantera, una pantera che non doveva stare qui in questo freddo. Andiamo piccolo».

«Devi mangiare» «Voglio la carne!» protestò: «Voglio il filetto di montone» non aveva idea precisa di cosa fosse, né ricordava il suo sapore, ma lo aveva sentito una volta nominare dal papà e ricordò che gli era piaciuto. «Questa è l’unica carne che troverai qui, non troverai animali a parte Cagnaccio» -che era andato a caccia-. Rickon guardò la carne con disgusto e le lacrime cominciarono ad inondargli il viso: «Se ci fossero mamma e papà…» «Ma loro non ci sono!» disse Osha spazientita per poi pentirsi l’attimo dopo di aver alzato la voce. «Ascolta piccolo, mamma e papà non ci sono più, e neanche Robb e Grande inverno» «NO!» disse Rickon correndo via. Osha lo rincorse quasi subito ma fu atterrata da qualcosa e Rickon si fermò.
Un bruto era sopra di lei e le teneva i polsi: «Ora ti ammazzo, chissà quanto sei buona…». Senza pensarci due volte, il piccolo Stark estrasse la spada corta che si era portato dietro da Ultimo focolare e trafisse lo skagosi alla schiena, all’altezza del cuore.
Osha lo spostò di lato circondando con le braccia il piccolo Stark: «Dobbiamo restare uniti, Rickon?».
Ma lui non l’ascoltava, guardava la chiazza di sangue dell’uomo espandersi, dove rispecchiava l’immagine dei suoi genitori. Cosa avrebbe detto di lui la sua mamma e il suo papà adesso che aveva ucciso? E se lo avessero rifiutato? E dov’erano? Perché non c’era nessuno a riportarlo a casa!!?
Rickon cominciò a piangere, dicendo a bassa voce quella verità che l’ultimo briciolo della sua più pura innocenza si era sempre rifiutato di ammettere: «Loro non torneranno più».
Calò il manto della notte, con il freddo più atroce.
Appoggiato contro il petto della ragazza, il piccolo Rickon continuò a piangere per un passato remoto fatto di calore: Il calore della sua dolce mamma che gli dava un dolcetto a fine pasto e dell’abbraccio forte del suo papà che proteggeva la famiglia; Della guida protettiva di Robb e Jon, dei candidi sorrisi di Sansa e dei dispetti divertenti di Arya; Ma chi gli mancava più di tutti era il fratellone più vicino alla sua età, quello con cui aveva condiviso mille e più battaglie a palle di neve, d’estate e d’inverno.

Ora guardava a ovest, verso il Continente occidentale, e vedeva i gelidi venti alzarsi da Nord.
Non c’era più nessuno ad attenderlo lì, non una madre, non un padre, non dei fratelli e nemmeno le sorelle, che per quanto grandi e -nel caso di Arya- determinate, non potevano prevalere da sole in un mondo di crudeltà maschile.
Rickon sarebbe tornato per aiutarle, e guardava ora il Continente occidentale con Cagnaccio al proprio fianco, mentre una silenziosa promessa di morte fu lanciata dai loro sguardi.
Perché con i venti gelidi, sarebbe arrivato l’inverno e quando arriva l’inverno i lupi risorgono più forti che mai, perché solo i lupi sopravvivono alla lunga notte e il mondo doveva prepararsi: L’inverno era arrivato.

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