L'Accordeoniste

di SofiFlo
(/viewuser.php?uid=882218)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Vent'anni dopo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Si fissava il ricamo del vestito, senza interesse, nel tentativo disperato di scacciare i brutti pensieri. Aveva sempre saputo quale sarebbe stata la vita che l’aspettava, eppure fingeva di poter cambiare il proprio destino quando lo avrebbe voluto. Aveva sempre saputo di non essere forte abbastanza, di non avere il coraggio necessario a vivere senza farsi influenzare e, allo stesso tempo, di non poter vivere serenamente quella vita. Alzò lo sguardo, verso la finestra, ignorando il cornicione riccamente decorato, utile solo a ricordarle che non era mai stata capace di uscire da quella prigione dorata, e guardò il cielo. Nemmeno la luna ricambiava più il suo sguardo, quella compagna di tante notti in pensiero si era ritirata, vile, dietro un sottile ma continuo strato di nuvole grigie. Non che queste potessero in qualche modo peggiorare il suo umore, ma di sicuro non giovavano al suo sentimento di solitudine, alla sua tristezza e alla sua consapevolezza di essere l’artefice del proprio destino, nel bene e nel male. Per tutta la sua vita si era sentita esclusa dalla sua stessa esistenza, come se una parte  di lei non fosse altro che un fantasma incapace di comunicare con il mondo che la circondava, e tutto quel che restava non fosse altro che un burattino, un burattino in carne ed ossa, i cui pensieri, le cui emozioni, i cui sentimenti non erano altro che uno spettro che si presentava occasionalmente tra quelle membra. Le scelte che le erano state imposte fino a quel momento non le erano pesate:  aveva solo dovuto studiare quel che le era stato ordinato, dedicarsi a passatempi ritenuti adatti ad una dama e cavalcare come una signorina, secondo le precise istruzioni della madre. Cora aveva programmato tutto della sua vita, ma non le aveva mai detto cosa desiderasse per lei quando non era strettamente necessario che lo sapesse. E Regina si era comportata da brava ragazza, obbedendo e stringendo i denti e sopportando ogni punizione che si era, anche senza poterlo sapere, meritata.  Fino a quella sera, era sempre stata certa che tutto questo fosse per il meglio, che l’avrebbe portata ad una vita felice, che non sapeva immaginare come fosse, ma che desiderava con tutta sé stessa.  Quella sera si era resa conto di quanto fosse stata capace di nascondersi la verità. Non sarebbe mai potuta essere chi voleva e, nel contempo, essere quel che sua madre voleva che fosse. Fino a quella sera, si era creduta capace di grandi cose, si era creduta una persona incredibilmente importante, che avrebbe avuto modo di dimostrare il suo valore umano. Era bastato un attimo ad aprirle gli occhi. In meno di un secondo si era resa conto di quel che la circondava, di quanto falso fosse tutto quel che poteva vedere. E, per una volta, aveva fatto qualcosa che sapeva essere sbagliato. In piedi, di fronte alla madre, aveva urlato le proprie ragioni, gridato la propria libertà, ostentato la propria forza, giusto un attimo prima di trovarsi sospesa, immobile per una forza che non poteva vedere, incapace di far muovere anche solo uno dei suoi muscoli come desiderava. Neanche le lacrime, che a quel punto non era neppure necessario trattenere, riuscirono a farsi strada. Poi le era stato detto di ritirarsi nelle sue stanze, e i muscoli avevano ubbidito, nonostante il cervello cercasse di impedirlo. Chiusa in camera sua, incapace di uscire, si fissava il ricamo del vestito, evidente segno del legame che, suo malgrado, aveva con quel posto.
***
La persona comparsa quella sera in paese aveva attirato su di sé tanti di quegli sguardi che, se ognuno avesse potuto prendere una piccola parte del suo mantello, il suo volto sarebbe già stato rivelato. La giovane figura era però consapevole di attirare su di sé l’attenzione, e, nonostante l’età, seppe che era meglio trovare in fretta un luogo in cui passare la notte, lontana dalle occhiate degli abitanti locali. Entrata in una locanda, comprese subito che quello era il posto che cercava, e, avvicinatasi all’oste, in un sussurro, chiese se fosse necessario un musicista, nella squallida taverna gestita da lui solo. L’uomo, nonostante fosse intimorito da quella figura misteriosa, le disse che per quella sera avrebbe potuto fare una prova, ma che nulla gli avrebbe impedito di cacciare il musicista nel momento in cui la sua presenza fosse diventata superflua.  Pensò che fosse perfetto, erano esattamente quelli i suoi piani, fermarsi una decina di giorni, e poi scomparire, lasciando solo un misterioso ricordo di sé. Un altro tetto sarebbe stato la sua casa, nel villaggio successivo.  La sua vita era quella, uno spostamento continuo da un luogo ad un altro, e non le dispiaceva affatto questa libertà. Le piaceva, in un certo senso, conoscere così tante persone, guadagnare la loro fiducia, ma non diventare mai veramente parte delle loro vite. L’unica volta che aveva infranto la regola, aveva rischiato di perdere sé stessa, e in fretta si era ricordata chi era. Una ragazza sola, con il suo passato e il suo futuro, impegnata a vivere il presente. Ed era così facile non fare mai piani a lungo termine, ma continuare a progettare la propria vita un passo dopo l’altro, un pezzetto per volta. Emma Swan non amava avere confini o limitazioni. Viveva semplicemente l’attimo in cui era immersa. E, sfilata la fisarmonica dal mantello, prese un respiro profondo, prima di incantare tutti i presenti con il suono magico di quello strumento, unico compagno delle sue avventure.
***
["Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”
N.d.A.  Grazie a tutti quelli che hanno letto fino a qui, mi fa sempre piacere vedere che le mie storie sono lette da qualcuno. L’idea per questa storia mi è venuta ascoltando la canzone “L’Accordeoniste” di Edith Piaf, probabilmente è una fanfiction un po’ folle, ma cercherò di scriverla, aggiornando il prima possibile.
Consigli / opinioni / insulti sono sempre ben accetti. Grazie
•Sofia]
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ci volle meno di un giorno perché sua madre decidesse che tenere la figlia chiusa nella sua stanza fosse inutile. Cora era sempre stata più che sicura di sé e non considerava minimamente l’idea che Regina potesse aver pensato di aver ragione nell’opporsi alle sue decisioni. La mattina successiva fece chiamare la ragazza e le consegnò un libro voluminoso, ordinandole di studiarlo. I suoi progetti non sarebbero stati rovinati dalla scarsa preparazione della figlia. Regina, nonostante amasse i libri, non poté trattenere una smorfia di disgusto appena uscita dal campo visivo della madre. Sapeva che non poteva fingere ancora per molto, ma aveva bisogno di tempo per pensare a come risolvere la situazione, e sapeva di non averne, sapeva che avrebbe dovuto acconsentire – volente o nolente-  alla scelta della madre in breve tempo. Era necessario che lei esprimesse il suo accordo, ma questo non significava che si sarebbe atteso fino a quando l’idea le fosse piaciuta. Il libro finì sulla scrivania, chiuso e lontano da lei, e la sua mente vagò ben più lontano. E quell’attimo di pace, lontana dal mondo come lo conosceva e dalla vita che le era imposta si ricordò quel che lei – lei, e non sua madre- voleva dalla vita. Era giovane, e voleva esserlo per davvero, in modo semplice, senza riserve, voleva Vivere, sentirsi senza confini, e amare con la più sincera naturalezza tutto quel che il mondo dona a ogni uomo, donna e bambino. Regina voleva la libertà, una libertà che poteva quasi assaporare quando si immaginava a camminare su una spiaggia, i granelli fini tra le dita dei piedi, o su un muretto in campagna, con la possibilità di sdraiarsi da un momento all’altro in un campo, con una spiga di grano in bocca ed il sole che la baciava, o in una tempesta di neve, tremante per il freddo, bagnata, ma libera, voleva una libertà che la facesse sentire viva di una vita che nasce solo dalla felicità.
La ragazza non perse tempo e preparò tutto quel che le serviva. Prese una borsa e vi infilò il proprio libro preferito, alcuni vestiti semplici, qualche foglio, una penna, dell’inchiostro e un po’di denaro. Nascosta la prova della sua colpevolezza, della sua consapevole e deliberata scelta di ribellione, tornò ai suoi doveri, leggendo veramente il libro, per non destare sospetti ed evitare di essere punita e non poter fuggire perché rinchiusa.
La sera, essendo riuscita a sfuggire dalla cena silenziosa, andò a salutare il padre, senza accennare al saluto definitivo che stava dando, ma godendo soltanto per un po’ della dolce compagnia di quell’uomo semplice, pessimo governante, ma ottimo letterato, che da sempre si era escluso dal mondo per rintanarsi in uno studio buio e polveroso ad occuparsi di chissà cosa.
Poi, nella sua stanza, tutto ebbe inizio: indosso un abito rosso, elegantissimo, con un profondo scollo a V sia sul petto che sulla schiena e una gonna che si allungava progressivamente verso il basso e lo strappò, togliendo buona parte della gonna e rendendola più leggera e meno vistosa. Indossati degli stivali alti e comodi e un mantello enorme, che nascondeva interamente il suo corpo quando era chiuso, con un gigantesco cappuccio dentro al quale nascondersi, prese le tende e le legò insieme, e allungando la fune ottenuta con le lenzuola. Tese l’orecchio, per ascoltare che non ci fosse nessuno in corridoio, prese la borsa, poi si avviò alla finestra che si trovava lungo la scalinata della torre, sperando di trovarla aperta. Legata la fune che si era preparata ad una colonna, cominciò a calarsi, sentendo il brivido che quella discesa di dieci metri riusciva a darle. La sua fuga sarebbe stata scoperta, ma non in tempo per trovarla lungo l’unica via che conduceva al castello, dopo la quale avrebbe trovato quattro strade. E nessuno avrebbe saputo dove cercarla, neanche se lei avesse voluto, perché scelse la direzione a caso, e camminò per ore al limitare del bosco, fino a quando una ragazza su un carro non le offrì un passaggio. La giovane, che disse di chiamarsi Belle, aveva uno strano accento, Regina avrebbe detto che era francese, e le raccontò di essere in cerca di un uomo che aveva molto amato, ma che le difficoltà della vita avevano allontanato da lei. Regina quella sera pensò che il mondo al di fuori delle mura in cui aveva sempre vissuto era meraviglioso e affascinante, e che, se avesse lasciato un segno in lei, le ferite che avrebbe dovuto sopportare l’avrebbero resa migliore, le avrebbero aperto gli occhi, l’avrebbero portata lontano. Perché Regina sapeva di voler dedicare tutta sé stessa alla scoperta di quel mondo, di non voler permettere a nessuno di frenarla  e di non poter smettere di sognare, non ora, non solo perché si stava avvicinando alla realtà. Si fermò nel secondo villaggio che incontrarono, salutando Belle e augurandole buona fortuna, ed entrò in una locanda. Appena messo un piede nell’ingresso venne assorbita da una musica proveniente da non seppe quale strumento, che arrivava sicuramente da una figura, circondata da tantissime persone, seduta in un angolo del locale.
***
La seconda serata stava andando benissimo, Emma ricordava poche occasioni in cui la sua musica aveva avuto un tale successo. Intorno a lei tantissime persone danzavano, ridevano, bevevano e scherzavano. Probabilmente non avrebbe finito di suonare per ancora qualche ora. Stava persino guadagnando qualche soldo extra per mance che alcuni le avevano dato per suonare una canzone piuttosto che un’altra. Quella gente apprezzava la buona musica, c’era da dirlo, ma il fatto che conoscessero così tanti brani la sorprese. Non fece molto caso alla porta del locale che si aprì, ma non poté fare a meno di notare la figura che, titubante, si muoveva, a tempo con la sua musica, osservando insicura la folla. E non seppe impedire al suo sguardo di rimanere fisso per alcuni istanti quando la nuova arrivata si tolse il cappuccio. Credette di aver avuto una visione, dapprima, ma poi fu certa che quella non fosse altro che la, meravigliosa, realtà. Pensò a quei colleghi che nel sud aveva sentito elogiare la bellezza di donne dal viso chiaro, i capelli biondi, e gli occhi azzurri, e fu certa che se fossero stati con lei in quel momento avrebbero cambiato immediatamente la loro idea di bellezza. Dal cappuccio spuntò un viso, dolce, delicato giovane. Lunghi capelli neri incorniciavano quel volto meraviglioso, la carnagione scura, il naso un po’arrossato per il freddo. Occhi neri e profondi brillarono della stessa luce di quei capelli lunghi e perfetti, di cui non poteva vedere la fine, nascosta dal mantello che ancora la copriva dalle spalle in giù. E un sorriso candido, innocente e sereno completò la perfezione che emergeva da quella figura.
["Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”
N.d.A. Ecco il nuovo capitolo! Sono felicissima di pubblicarlo, mi è piaciuto tantissimo scriverlo, e spero che vogliate dirmi cosa ne pensate di quel che sto scrivendo.
Vorrei ringraziare tutti quelli che stanno leggendo,  e in particolare chi ha aggiunto la storia alle seguite/preferite/ ricordate (8 persone in tutto, che a qualcuno possono sembrare poche, ma che per me sono tantissime e che mi hanno davvero emozionata. Un grazie di cuore)
Spero di non aver deluso nessuno, e di non averci messo troppo a pubblicare (ho avuto una settimana scolasticamente infernale, perdonatemi).  Grazie a tutti, buona domenica
•Sofia]

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Rimase immobile, in quella stanza luminosa. I suoi occhi impiegarono qualche secondo ad abituarsi alla luce e al movimento che la circondavano, ma, appena le fu possibile vedere con chiarezza intorno a sé, non poté fare a meno di sorridere, ammirando quella magnifica danza che la circondava, caratterizzata da un’armonia non prestabilita, nata dalla compagnia e dalla buona musica, fatta su libera ispirazione, senza programmi o schemi.  L’ascoltava da pochissimo, e già l’amava. Sentiva il suo cuore, appesantito dai turbamenti che mai lasciavano veramente la sua anima, seguire quella gioia come un bambino che ammira per la prima volta una delle piccole meraviglie del mondo e se ne innamora. Stava semplicemente ferma in mezzo a quel trambusto e sentiva che si stava per commuovere. Una voce la interruppe dalla sua contemplazione, ed ella si trovò di fronte ad una signora che non doveva essere molto più anziana di sua madre, un po’ robusta e con i capelli grigi raccolti in uno chignon. “Benvenuta a Storybrooke, signorina! Non è di queste parti, vero? Beh, posso esserle utile in qualche modo?” Regina si fece dare una stanza da letto in quella locanda che le dissero chiamarsi Granny’s e sedette in un angolo, lasciandosi cullare da quella musica. Dopo poco, lasciate tutte le sue cose in stanza, scese di nuovo nella sala e si fece cullare da quel suono dolcissimo. Riusciva a malapena ad ascoltare quelle note stando ferma, e prima che potesse rendersene conto, stava ballando, a braccetto con un cavaliere o con una dama, trasportata in quell’allegria sorprendente che le canzoni le trasmettevano. Quasi finì in terra quando, sulle note dell’ultima canzone, attraversò la stanza girando su sé stessa, senza accorgersi di niente al di fuori del pavimento e della musica che la guidava. Arrossì violentemente, e cercò di evitare di stare nel bel mezzo del corridoio che si era formato, ma a quel punto tutti gli occhi erano puntati su di lei e dovette sorridere timida a quella curiosa folla che la ammirava senza giudicarla. Non credeva di poter ricevere tanti sguardi simili, catturati dal movimento, e gentili, ma del tutto privi di un’opinione negativa riguardo la sua esibizione, segno evidente che non era capace di stare al suo posto, come si sarebbe aspettata da sua madre. La proprietaria si avvicinò di nuovo a lei, offrendole un bicchiere d’acqua, e chiedendole come si chiamasse, per registrarla. “Sono Re—Jean, Jean Flag” Non sapeva come le fosse venuto in mente quel nome, ma certo era che non poteva presentarsi come la figlia della contessa che agiva come un tiranno su quelle terre: anche se nessuno avrebbe riconosciuto il suo viso, nascosto al mondo sin  da quando era piccola, anche nel popolo conoscevano certamente il suo nome, quello della ragazza che un giorno avrebbe posseduto quelle terre, e che certamente si sarebbe trovata in una posizione scomoda se il mondo fosse venuto a conoscenza del fatto che si trovava in una locanda in un piccolo paesino, vestita con solo un abito che lasciava scoperta buona parte delle gambe, della schiena, e del petto.
Un uomo visibilmente zoppo, probabilmente un abitante di quel paesino, che stava uscendo in quel momento dal locale si fermò un attimo, e la squadrò da capo a piedi. “Si goda la permanenza, Jean Flag.” Non seppe come fosse possibile, ma quegli occhi indagatori la congelarono per un istante, un istante soltanto, prima che la ragazza pensasse che probabilmente quell’uomo così inquietante non era altro che un anziano ubriacone, andato ad affogare i propri timori nell’alcol, come molti degli uomini di potere che aveva visto nella sua vita erano soliti fare.
***
Da quando aveva notato la ragazza, non aveva più saputo fermarsi. Era come se la musica nascesse da sola, rispondendo solo alle proprie esigenze di espressione, utilizzandola come un semplice ponte per arrivare nella realtà, per esistere. Il suo corpo le urlava di smettere di compiere quello sforzo che le causava dolore nelle dita, le chiedeva di fare una pausa, di prendere un respiro, di far rilassare i muscoli delle spalle. Non capiva come, ma aveva perso il controllo delle proprie azioni. Insieme a quel senso di impotenza dovuto alla tortura che era, per lei, perdere il controllo sull’unica cosa che sentiva di riuscire a controllare, quel furioso movimento portò in lei un senso di infinito che non riusciva a comprendere. Percepiva sé stessa come un tutt’uno con la musica, quella musica i cui confini non erano identificabili da nessuno, quella musica che riempiva la stanza e nessuno poteva dire che non impregnasse anche i cuori di tutti i presenti. Neanche se avesse potuto avrebbe impedito alla sua compagna più fedele di prenderla così, e renderla quel che voleva. Le note suonarono quella sera più dolci che mai, nonostante le canzoni fossero le stesse di sempre, ed Emma, in qualche modo, sentiva anche sé stessa più dolce, meno tesa e sola, più inserita nella folla che la circondava, più presente del solito nella vita di un paese che la circondava. E questo era davvero curioso per una persona  che era abituata a stare sola. Le ultime note, per quanto a tutti dispiacesse che fossero le ultime, furono un successo generale, e fecero scoppiare un applauso sincero, che, Emma si accorse, non era rivolto solo a lei. Era la prima volta che il suo sguardo si alzava, quella sera, dopo l’ingresso della ragazza, e per la seconda volta di fissò su quella fanciulla, che molti stavano fissando, arrossita in un angolo del salone. Era meravigliosa, in un abito rosso che lasciava ben poco da immaginare. Emma vide un paio di persone rivolgerle la parola, e poi volle avvicinarsi a quella ragazza, non avrebbe saputo dire davvero il perché.  Andò di fronte alla ragazza e la guardò un istante negli occhi, prima di rendersi conto di non sapere come iniziare una chiacchierata con la giovane. Prima che se ne potesse accorgere, le sue guance si tinsero di rosso, e la prima cosa che le venne naturale far fu un sorriso, sincero, dolce e, questo sarebbe stato chiaro a tutti, pieno di imbarazzo.
Per fortuna, Regina colse quelle sue emozioni e, sorridendo, esordì con un timido “Buonasera”.
["Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”
Buonasera, vorrei solo ringraziare chi sta leggendo questa storia, e  in particolare tutti quelli che l’hanno aggiunta alle seguite / preferite / ricordate. Mi scaldate sempre un poco il cuore.
Finalmente devo raccontare il primo incontro (non avevo idea che l’avrei tirata così per le lunghe) e sono felice di esserci arrivata. Scusate se l’ultima parte di questo capitolo è scritta un po’ male, l’ho scritta in questo infernale pomeriggio.
Se vi va, apprezzo sempre conoscere la vostra opinione. La casella per consigli, critiche, pomodori virtuali e insulti è quella in fondo alla pagina 
•Sofia]

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quella ragazza l’aveva sorpresa, con quel saluto spontaneo, ma non quanto si era sorpresa da sola, nell’essere andata ad attaccare bottone con una sconosciuta. Prese un respiro profondo, prima di iniziare, sorridendo, a parlare. “Buonasera. Ho…insomma, ho notato che sei entrata e…lascia stare. Ti posso offrire qualcosa da bere?” non sapeva neanche lei cosa esattamente avesse in mente.
“Certamente, grazie molte. Io sono Jean, è un piacere conoscerti.”
“Emma. Anche a me fa molto piacere, Jean.” Sedettero ad un tavolo e si fecero servire. Regina sedeva composta, leggermente a disagio, ma con un eleganza ammaliante. Emma, non potendo fare a meno di notarlo, sedette meglio che poté e iniziò a chiacchierare, sperando che la mora non notasse la sua postura scomposta. “Sei di queste parti?”
“Oh, più o meno. Non vivo in questo villaggio, ma non vengo da molto lontano. Sono in cerca di un lavoro, vorrei costruirmi una vita indipendente dalla mia famiglia. E tu? Lavori qui da molto?” Per quale motivo si stava aprendo così con una ragazza che conosceva da pochi minuti?  E come era riuscita a rivolgersi ad Emma con tanta spontaneità, una spontaneità che non sentiva veramente far parte delle emozioni che provava in quel momento. Regina si sentiva confusa, e una parte di lei voleva fuggire da quella conversazione, ma l’altra parte le diceva che sarebbe stato un errore, e che non c’era modo migliore di conoscere il mondo che conoscere persone diverse da quelle che l’avevano sempre circondata.
“Veramente, no. Sono arrivata ieri sera e penso di rimanere massimo una decina di giorni. Sono… solo una viaggiatrice solitaria. Mi fermo spesso, ma mai per più di quindici giorni. Lo faccio da dieci anni, oramai. Eh, non è noioso come può sembrare! È vero, è sempre la stessa routine, ma ogni volta si scopre qualcosa. Ho incontrato persone provenienti da tutto il mondo, alcuni viaggiatori come me, ogni sorta di artista, ho visto terre con i governi più differenti, e persone felici di cose completamente diverse. E c’è una sorta di magia nella scoperta delle vite altrui, nell’osservare mille facce diverse, ognuna con la propria storia, i propri demoni dal passato, i propri sogni. Credo che non esista persona a questo mondo che non ami viaggiare. Ops, magari tu lo odi…” Quella conversazione era già abbastanza imbarazzante anche senza che facesse qualche gaffe, come poteva presentarsi così sinceramente a qualcuno che non conosceva? Se non avesse capito quella ragazza, sarebbe esplosa a breve.
“Oh, no. Purtroppo, non ho viaggiato molto, ho avuto poche occasioni, e tutte poco lontano dal luogo in cui abitavo. Ho vissuto quasi sempre tra le stesse pareti, ho visto ben poco. Anch’io credo che piaccia a tutti, o, almeno, non posso escludere me da quelli a cui piacerebbe. Ho sempre sognato terre lontane, di quelle che si leggono nei romanzi di avventura, la mia mente è sempre fuggita in luoghi che non sono neanche sicura che esistano.” Lo sguardo di Regina era perso nel vuoto, mentre parlava, ma su quelle ultime parole si rivolse, improvviso e spaventato ad Emma. Come aveva potuto farsi sfuggire un dettaglio tanto importante della propria vita?
“Tu, sai leggere?”
“È una cosa tanto grave?”
“Oh, no, assolutamente, solo non molto diffusa, soprattutto da queste parti. La maggior parte della gente che vive qui non conosce neanche le basi della matematica, non avevo ancora incontrato qualcuno che fosse capace di leggere. Io stessa, mi spiace doverlo ammettere, sono un completo disastro. Non ho mai aperto un libro. Conosco cinque o sei alfabeti e le corrispondenti lingue, ma non sono capace di leggere più di un paio di righe, giusto quel che può servire in un annuncio appeso su qualche albero, o per qualche mappa, giusto per sapere dove andare.”
“Cinque o sei alfabeti? Dev’essere…meraviglioso, conoscere così tante lingue. Sono certa che non hai mai avuto problemi a capire qualcuno” Un sorriso dolce e carico di ammirazione comparve sul volto di quella giovane ragazza, il sorriso che caratterizzava i giorni in cui era più desiderosa di apprendere, in cui faceva scoperte chela affascinavano molto più della magia, un’arte che tutti amavano, temevano, ma della quale non sembravano notare i mille e più difetti.
“È, sì, stupendo. Ho sentito i più differenti racconti e scoperto le più diverse tradizioni con queste lingue.” Emma sembrava pensierosa, ma forse era solo un po’ di stanchezza, dovuta alla serata di lavoro e al fatto che ormai fosse già mattina, da alcune ore.
“Posso…essere un po’ indiscreta?” Regina si sorprese ancora per la confidenza che si stava concedendo nei confronti di Emma. La bionda mosse appena la testa in un cenno di assenso. “Di tutte queste storie, quale ti è piaciuta di più?”
“Facciamo un patto: io ti racconto la mia storia preferita, e tu mi racconterai una storia, una qualsiasi, a tua scelta.” Un sorriso timido e imbarazzato accompagnò il movimento titubante della testa di Regina nell’accettare. “ Ho sentito questa storia viaggiando verso Oriente, anche se non sono mai arrivata nei territori da cui la storia proviene. C’era una volta un anziano saggio, un uomo di cui tutti avevano sentito parlare, molto ammirato e noto anche a miglia dalla montagna sulla quale abitava. Sin da quando aveva iniziato a predicare, molti -giovani, anziani, uomini adulti che avevano abbandonato la propria vita quotidiana per cercare di capire i misteri di quell’uomo, e persino qualche bambino- avevano iniziato a seguirlo, fino a quando aveva deciso, ormai avanti con gli anni, di vivere in una capanna su un lato di una montagna. Gran parte dei suoi seguaci aveva raccolto materiali e aveva costruito una dimora gigantesca, riservandogli molte stanze e occupando un’altra area del palazzo che era sorto. Un giorno il maestro chiamò tutti e li fece raccogliere nel cortile. Quel giorno aveva nevicato, lui sedette in fronte a loro, osservò il manto bianco che ricopriva il terreno, lo sollevò con una mano, ci giocò, poi alzò lo sguardò e annunciò che avrebbe rivelato loro il suo più importante insegnamento, ma che avrebbero dovuto aspettare fino a quando lui non avesse ritenuto che fosse il momento adatto. Li tenne lì, ad aspettare, per un tempo che a tutti sembrò l’eternità, e il numero di quelli che rinunciavano a conoscere questo mistero cresceva ogni ora, molti lasciavano addirittura la casa del maestro, per ritornare alla vita che avevano fatto prima di averlo conosciuto. Dopo due giorni, seduti nella neve erano rimasti solo il saggio e un ragazzo giovane, che lo aveva seguito sin da quando era bambino. Il giovane si avvicinò al proprio maestro e lo guardò negli occhi, poi gli disse Era questo l’insegnamento, vero? Dovevamo capire che se si vuole ottenere una cosa non bisogna rinunciare al proprio fine, non bisogna cedere. Un sorriso illuminò quel viso anziano, mentre diceva al ragazzo che in quel giorno aveva capito qualcosa che gli sarebbe servito per tutta la vita, e che mai sarebbe stato sconfitto, perché il suo spirito era forte e la sua mente conosceva la strada per raggiungere la propria meta. E il ragazzo crebbe, tenendo quelle parole nel cuore, come guida in ogni momento della propria vita.” Gli occhi della giovane ragazza mora che aveva conosciuto quel giorno si stavano chiudendo per la stanchezza, ed Emma le sorrise, dandole la buonanotte.


***

[N.d.A. "Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”
Ecco il capitolo! Un po’ in anticipo risetto ai miei piani iniziali, ma devo avvisare che non so quando arriverà il prossimo, perché un’altra settimana infernale sta per cominciare. Grazie a tutti quelli che stanno leggendo, seguendo, aggiungendo alle preferite e alle seguite e recensendo questa storia, vi adoro.
Ci tengo a specificare, nel caso qualcuno abbia notato che ho cercato di tenere un linguaggio più sofisticato per Regina nei capitoli precedenti, e uno meno elegante per Emma, che qui ho dovuto mischiare i due stili, ma che sono stata ben felice di farlo, perché mi sembra di far notare il loro ingresso in contatto…magari è solo follia.
Per ogni recensione / critica / insulto / invito a ritirarmi / pomodoro da lanciare, la casella è sempre quella in fondo alla storia. Mi fa sempre piacere sapere cosa ne pensate. Se vi va, apprezzo molto anche suggerimenti riguardo la storia da far raccontare a Regina….
Buona domenica
A presto (spero)
•Sofia]

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Regina passò il giorno seguente a domandarsi dove fosse Emma. Si era svegliata molto tardi, aveva fatto colazione, ed era uscita dal Granny’s e aveva chiesto in paese se qualcuno aveva bisogno di un’aiutante in un lavoro, ma non vide mai la ragazza bionda.
Verso sera stava rientrando e sentì quella voce che già le era diventata familiare chiamarla (con un nome che, ancora, familiare non le era). La aspettò, per percorrere l’ultimo tratto di strada insieme, e le chiese dov’era stata, notando, mentre Emma si avvicinava, un foglia rimata in quei fili d’oro che incorniciavano quel volto angelico.

“Sono andata nella foresta” la bionda con un sorriso misto ad una ristata rispose come se non ci fosse niente di più ovvio al mondo “a suonare. Sto…cercando d cantare anche, mentre suono alcune canzoni, ma – ti rivelerò un altro mio difetto- non ho una bella voce. Credo che mi arrenderò, se provassi a cantare, penso che tutti inizierebbero ad odiare la mia musica…” Regina pensò, per un istante soltanto, che Emma era davvero una persona amichevole, e che non era strano che non avesse problemi a socializzare con le persone, nonostante si fermasse per pochissimo tempo nello stesso posto.
“Oh, non credo che tu ne abbia bisogno. La tua musica è eccezionale, sorprendente, capace di trasportare la mente umana lontano dai problemi quotidiani. E, ti prego, perdonami se ieri sera non mi sono complimentata con te, credo che il mio cervello ce ne sia dimenticato, annebbiato dalla stanchezza com’era.” Le sue guance si colorarono leggermente di rosso non appena si rese conto di essersi lanciata liberamente in una serie di elogi, ma anche di aver ammesso una così grave mancanza di controllo. Eppure, quel tenue colore si notò appena, nel tardo pomeriggio, almeno in confronto al volto di Emma che, invece, arrossì violentemente.
“Ehi, non esagerare, Jean, mi metti in imbarazzo. Io…suono e basta, rallegro un po’ le aerate, tutto qui.” Si sorrisero dolci, in quel rosso momento precedente la sera, e continuarono a camminare, fianco a fianco.

***

Regina era seduta a leggere, quando, all’improvviso, senti alcuni colpi alla porta, forti e in rapida sequenza. Spaventata, corse ad aprire, e si trovò una sorridente Emma che la guardava, senza smettere di saltellare, agitarsi e gesticolare un po’ fastidiosamente. Prima che Regina potesse anche solo salutarla o invitarla ad entrare, la bionda stava parlando, alla velocità della luce, e non sembrava intenzionata a farsi fermare “Ammettilo, lo hai pensato anche tu! È un’idea troppo geniale, è la soluzione perfetta a qualunque problema sia mai esistito, certo, ovviamente, se funziona. Forza, vieni, andiamo subito a provare!”
“Emma! Aspetta un minuto, non mi hai detto cos’hai intenzione di fare” Regina rise, nel pensare a quanto fosse tenera quella ragazza che, pur essendo sicuramente più grande di lei, aveva ancora un po’ di quella magia che avvolge i bambini, energia allo stato puro che dona entusiasmo anche a chi sta loro intorno. E si sentì per un attimo vuota, nel pensare a quanto velocemente lei avesse perso quell’aria, a quanto in fretta aveva imparato a sembrare un adulto in miniatura. “Emma! Non mi hai detto cos’hai in mente!” La bionda non si fermò e Regina non ebbe altra scelta che seguirla, perché sì, in teoria sarebbe potuta ritornare in camera, ma ormai era curiosa di sapere cosa passasse per quel biondo cranio. Appena prima di entrare in quella che, Regina pensò, fosse la sua stanza, Emma si voltò, le lanciò uno sguardo complice, e le fece segno di seguirla. Regina si ritrovò chiusa in quella stanza, con la ragazza che aveva conosciuto la sera prima già pronta a suonare. E poi un’idea, rapida e inaspettata, le passò per la mente, e le provocò un brivido, misto di stupore e sorpresa e, non lo ammise nemmeno a sé stessa, un po’ di timore. Emma voleva che cantasse, e Regina sapeva benissimo di esserne capace, ma cosa avrebbe dovuto fare? Si presentava come una qualunque abitante di quelle terre, non come la figlia della ricca e temuta contessa Cora, istruita sin da piccola in qualunque materia potesse studiare che la rendesse interessante a un qualunque sovrano in cerca di una semplice moglie da esibire come un trofeo. Era però lì, si trovava in quella stanza con quella ragazza affascinante e le veniva offerto tutto quel che stava cercando : qualcosa da fare. Così cercò di essere quel che raccontava di essere: non guardò gli spartiti, fingendo di non capirli, ma cantò con il cuore, non era nemmeno certa di quali fossero le parole che stavano uscendo dalla  sua bocca, ma sapeva che la facevano sentire lontana dall’unico posto che, suo malgrado, poteva chiamare “casa” e che la facevano sentire libera e felice. La musica uscì dalla sua bocca come se non avesse fatto altro nella sua vita, e Regina si rese conto che ad un certo punto Emma aveva perfino smesso di suonare, e si era fermata a guardarla con gli occhi spalancati, che la resero orgogliosa, ma allo stesso tempo la fecero sentire completamente in imbarazzo, consapevole com’era di essersi appena esibita, e che nulla le sarebbe stato rimproverato maggiormente nel mondo a cui apparteneva. Eppure dimenticò tutto questo quando un paio di braccia forti la strinsero e un bacio venne stampato sulla sua fronte dalle stesse labbra che stavano pronunciando alla velocità della luce parole di entusiasmo e che la stavano elogiando, facendola arrossire violentemente. Ad un certo punto Emma si fermò, immobile e la guardò negli occhi. “Jean. Tu, ragazza mia, hai del talento, e io non sarò così folle da permetterti di sprecarlo. Tu” e a questo punto un dito venne untato contro Regina “canterai questa sera, accompagnata dall’unica fisarmonicista presente in questo paese.”
["Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”
Grazie a tutti quelli che stanno leggendo questa storia, mi fa piacere sapere che ci sono ancora un po’ di visualizzazioni (anche se il fatto che siano diminuite incredibilmente di numero nell’ultimo capitolo mi preoccupa un po’, perché mi chiedo se ho sbagliato qualcosa, a parte il fatto che il mio modo di scrivere, già decisamente non molto buono, sta peggiorando drasticamente in questo periodo a causa dello stress….) e mi spiace per aver aggiornato così tardi. Scusate, ma è stata un’altra settimana infernale, dalla quale non mi riprenderò prima del prossimo anno.
Sono felice di essere arrivata a questo capitolo, perché la mia mente sta scrivendo cose che si allontanano non poco dall’idea iniziale, e quel che ho in mente ora per il prossimo capitolo mi piace. Non aspettatevi molto, il mio cervello è un po’ disagiato in questi giorni, ho dormito tipo 30 ore negli ultimi 5 giorni e sto in piedi solo grazie al Caffè. Comunque, buona domenica a tutti
•Sofia
P.S. opinioni / consigli / critiche sono sempre apprezzati ]
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


In un primo momento, Regina si era sentita davvero molto agitata. Non solo l’idea di cantare in pubblico la innervosiva molto, ma inoltre aveva l’impressione, per la prima volta da quando era arrivata a Storybrooke, che tutto quel che stava facendo fosse sbagliato. Mettersi in mostra, pensò, avrebbe fatto sì che corresse il rischio di essere riconosciuta, perché, nonostante nessuno la vedesse da anni, non dubitava del fatto che la madre avesse mandato le sue guardie a cercarla, e, se Cora avesse saputo quel che stava facendo, la sua vita sarebbe diventata un inferno sicuramente peggiore di quello che aveva vissuto fino a quel momento. Eppure Regina non aveva potuto guardare quegli occhioni verdi e negare la propria partecipazione a quel progetto che le era appena stato presentato.
Così appena dopo cena era andata nell’angolino di Emma e la bionda le aveva sorriso entusiasta. Non c’era stato bisogno di parlare, Emma aveva iniziato a suonare e lei aveva cantato. Sembrava che avessero provato insieme per giorni interi, erano in perfetta sintonia e potevano sentire di non essere sole, di essere unite come una persona sola, di essere vicine, ma allo stesso tempo di sentire che il legame invisibile che in quel momento era tra di loro non si sarebbe spezzato neanche a chilometri di distanza, neanche in migliaia di anni. Era un momento che non avrebbero mai saputo dimenticare, che non avrebbero rimpianto, ma che avrebbero guardato con affettuosa nostalgia, senza il desiderio di ritornarci, ma amando la possibilità di riviverlo nel cuore. Regina cantò divinamente,  tutti amarono quella serata e le ragazze ricevettero tantissimi applausi. la musica meravigliosa attirò più clienti del solito e in poco tempo il locale si riempì. Verso metà serata un uomo si avvicinò, aveva i capelli castani chiari e degli occhi azzurri stupendi, che sembravano illuminati di luce propria. Fece un inchino di fronte a Regina “Mi concede questo ballo, milady?”

Regina si voltò in direzione di Emma che le fece segno, con entusiasmo di andare a ballare. Il ragazzo, che si presentò come Robin, fece ballare Regina per un paio di canzoni. I due sembravano divertirsi molto, ed Emma non poté fare a meno di sorridere nel vedere Regina divertirsi. Quando però un anziano signore le chiese di poter suonare la sua fisarmonica, nonostante non fosse solita prestarla ad estranei, decise di fidarsi e andare a ballare con Regina. Rubò la mora dalle braccia del ragazzo e le sussurrò che non avrebbe potuto rifiutare un ballo alla sua fisarmonicista. Le prese le mani, sfilandole con delicatezza e un sorriso, da quelle di Robin, e la portò in mezzo alla pista. Ballare con Regina era, se possibile, anche  meglio che duettare con lei. Emma sentì ogni muscolo del proprio corpo muoversi in automatico, come se tutto quel che dovevano fare fosse già stato scritto nei loro muscoli, come se fosse già programmato nelle loro cellule, come se non ci fosse niente di così definito al mondo. Le due ragazze ballarono, e quel brano passato a volteggiare, quasi senza toccare il pavimento, sembrò loro durare poco più di un istante. Tornarono subito alla loro musica, a quell’esperienza di unione che solo chi ha provato può capire, e produssero musica fino a tarda sera, con entusiasmo, divertendosi nel senso pieno del termine, e osservando la gente intorno a loro e l’una gli occhi dell’altra, occasionalmente, dicendosi che era necessario per mantenere la coordinazione.

Quando furono davvero troppo stanche per continuare, la locanda era praticamente vuota. Emma fece segno a Regina di seguirla nella sua stanza, si fece aiutare a mettere a posto la fisarmonica e poi le chiese, in tutta sincerità, se fosse pronta a raccontare la storia che le aveva promesso. Regina era titubante, non avrebbe potuto narrare un qualunque racconto dei suoi libri, e, in fondo, sapeva di dover dire a Emma chi fosse veramente, perché le bugie di cui si era circondata cominciavano già a tormentarla e non poteva credere di aver pensato di essere in grado di tenere i propri segreti per sé e di restare una sconosciuta per chiunque.
Il sorriso sulle labbra della bionda la incuriosì, mentre questa la faceva uscire dalla finestra e le mostrava una strada che terminava nel bosco, in un piccolo prato illuminato dalla Luna e dalle stelle. Sdraiata su quel prato stupendo che le faceva apprezzare ogni differenza dalla sua vecchia vita, Regina cominciò a parlare, ed Emma non poté notare il rossore sulle sue guance, perché troppo impegnata a fissare quel cielo che stava condividendo con la mora. “C’era una volta una ragazza che viveva in un castello triste ed elegante, e pieno di quello sfarzo che solo chi ci è abituato sa quanto sia fastidioso. La giovane non era felice, non perché non sapesse apprezzare la vita, ma perché non si sentiva viva in quelle mura, sottomessa ad una serie infinite di regole e scelte fatte già da prima che lei venisse al mondo. Anche solo il suo nome esprimeva i piani di chi le aveva dato, ma mai veramente donato, la  vita. Si chiamava Regina, perché un giorno, volente o nolente, avrebbe sposato un re, e portato la corona. La giovane aveva passato tutta la sua vita ad essere la ragazza che sua madre voleva che fosse, ad essere ubbidiente e a cercare di evitare di meritare punizioni, a non fare neanche un pensiero riguardo quel che contava veramente, ad occuparsi solo di proseguire al meglio con la propria educazione . poi, una sera, lasciò che la sua anima pensasse. Non lasciò che la rabbia e il dolore sfumassero, ma cercò di capirli, di vederne l’origine. E in quel momento realizzò che la sua vita non sarebbe più stata quella. La sera successiva lasciò tutto alle spalle, cambiò nome, cambiò storia. E si dedicò solo a diventare la persona che voleva essere.”

Emma si girò verso Regina, che continuava ad osservare le stelle, e asciugò le lacrime da quel volto meraviglioso. E quando Regina si volto, imbarazzata e piena di sensi di colpa, fece scontrare le loro labbra, con tutta la dolcezza di cui era capace, pensando solo al fatto che la delicatezza di Regina aveva sempre impedito che lei, attenta ai particolari,  pensasse che la mora potesse veramente appartenere a quel mondo pieno di ombre in cui si era trascinata. E che entrambe amavano alla follia.

[Chiedo umilmente perdono per la rapidità con cui questo capitolo è stato scritto, e per la lentezza che ci è voluta per cominciare a scriverlo. Per ora le settimane infernali dovrebbero essere concluse, quindi potrei riuscire a concludere questa storia decentemente…
Sono un po’ di fretta, ma ci tengo a dirvi che mi fa sempre piacere vedere molti lettori, spero che la storia coinvolga un po’ di più ora, soprattutto perché devo avvisarvi che amo gli amori tormentati. Sono più reali.
Opinioni / consigli /insulti sono sempre apprezzati
Buon fine settimana!
•Sofia]

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Le due ragazze passarono insieme tutta la notte, parlarono di loro, delle loro storie, delle avventure che avevano vissuto o anche solo immaginato. Parlarono di tutto quel che venne loro in mente, di quel che amavano, di quel che odiavano, persino di qualche argomento che non aveva mai suscitato interesse in nessuna delle due, perché parlare, con la giusta compagnia, può essere meraviglioso. Si persero in fiumi di parole, in confidenze sincere, in sogni che potevano condividere, fantasie aperte solo alle loro due menti. Andarono a dormire all’alba, camminando come due ubriache e rischiando di inciampare ad ogni passo, e ridendo, ridendo di cuore, della loro sbadataggine. Presero sonno appena toccarono il letto (di Emma) e quando si svegliarono era già pomeriggio. Si sorrisero, e quel semplice gesto scacciò dalle loro menti qualunque pensiero negativo. Andava tutto bene.*

Quando stava per arrivare l’ora di cena, le ragazze, sapendo di avere un’altra serata di lavoro da cominciare a breve, decisero saggiamente di nutrirsi, sapendo che i loro corpi non potevano vivere solo delle parole che saziavano le loro anime.  Emma era raggiante, e tutti avevano potuto notarlo, Regina sprizzava felicità da tutti i pori, nonostante cercasse di non darlo troppo a vedere, più per abitudine, piuttosto che perché pensasse che fosse inadeguato. Avvolte in quella dolcezza da quell’aura da loro prodotta, entrarono nel salone della locanda, attirando sguardi curiosi, inteneriti dalla dolcezza tra le due, o invidiosi di un amore che non potevano avere. La cena durò troppo poco perché se ne potessero accorgere, la compagnia reciproca rendeva tutto simile ad un sogno, la loro vita sembrava immersa in una dimensione onirica che faceva sembrare tutto il mondo al di fuori di loro due immateriale, un po’ sbiadito, come separato da un telo bianco, e allo stesso tempo molto più luminoso, brillante e sfavillante, nuovo e da scoprire.

Inebriate dalla loro dimensione ultraterrena, stavano per iniziare la serata, Emma aveva già le mani sulla fisarmonica, Regina era per un attimo ferma ad ammirarla, prima di iniziare quella che entrambe sapevano sarebbe stata una delle loro migliori esibizioni, guidata solo dall’emozione, priva della razionalità di cui erano dotate, posta come ponte tra i due mondi che stavano abitando.
Sembrò quasi irreale l’istante in cui quella giornata fuori dal tempo e dallo spazio come li avevano conosciuti si spezzò, con violenza, senza riguardo, spazzando un universo di cui non ci si poteva accorgere. Cora entrò con passo deciso, i passi a tempo come un metronomo, veloci e sicuri, senza perdere un colpo, il volto inespressivo, gli occhi capaci di vedere solo la figlia. In un attimo le due ragazze si ritrovarono contro le due pareti opposte della stanza, tenute per la gola da una forza invisibile, e tutti i presenti vennero gettati sul pavimento, spazzati con un semplice gesto della mano. Per un istante, il mondo sembrò fermarsi ad ammirare, terrorizzato, la scena. Gli occhi di Cora puntarono, iracondi, quelli identici nel colore e nella forma, ma immobili, troppo sorpresi per manifestare altre emozioni, di Regina.

Un “Buongiorno, Madre” strozzato fu l’unico suono che si udì per alcuni minuti. Poi il corpo di Regina venne spostato in un singolo colpo di fronte alla contessa, e le sue mani vennero viste tremare, mentre si preparava a qualunque cosa sarebbe potuta succedere. Cora fece quasi sfiorare le punte dei loro nasi mente sibilava di fronte alla figlia, sputando le parole come fossero veleno. L’ira della donna era, in qualche modo, ancora più spaventosa, tenuta a bada e concentrata in suoni sottili. “Tu… tu. Non me lo sarei mai aspettate, da te. Un posto simile, una tale compagnia. Non voglio sapere, non oso nemmeno immaginare, quali possano essere state le tue indegne attività in questi giorni. Non mi fare pensare a come tutto questo sarebbe potuto andare a finire. La carrozza è qui fuori.” Sembrava avesse corso, da tanto fiato espelleva ad ogni parola.
Lentamente il corpo di Regina riprese a muoversi, verso la porta, dove Cora lo lasciò piombare a terra, sicura di non doversi preoccupare di dover osservare Regina perché eseguisse i suoi ordini. Tuttavia, non appena la porta si aprì da sola per fare uscire la bruna, un grido strozzato, un semplice “No!” attraversò la stanza. Era un “No” sicuro, un’affermazione quasi di sfida, e nessuno ebbe dubbi riguardo a chi avesse osato parlare con tanta autorità ad un tiranno. Il corpo di Emma era fermo, fissato da una forza che nessuno avrebbe saputo superare, ma era il corpo di un’anima forte, dell’anima di una giovane donna che non si lasciava fermare, che, anche se posta di fronte a difficoltà che la superavano, combatteva. Quegli occhi verdi bruciavano di una fiamma viva, della fiamma che solitamente sovrasta il sorriso dei folli, ma che in quel momento stava incendiando un volto severo, che nascondeva la disperazione e il terrore che la dominavano. Il terrore che per fortuna la dominava, liberando la sua anima da ogni paura terrena, costringendola ad essere coraggiosa.

“Non sono,  non sono molto brava a parlare. Soprattutto quando si cerca di togliermi l’aria dai polmoni” un sorriso beffardo, del tutto inadeguato, le attraversò per un istante il volto, “però so suonare la fisarmonica e detesto essere interrotta così. E sa cosa odio ancora di più? Odio che la gente prenda il poter senza chiederlo, odio che non si ascolti la volontà altrui nel prendere decisioni che non riguardano solo chi sta scegliendo e odio le imposizioni. Può anche stringere più forte, ma non mi farà tacere, perché, per la miseria, l’ho incontrata pochi minuti fa e già non la sopporto, signora!
Io non conosco lei, ma conosco quella ragazza là dietro, e, mi duole ammetterlo, ma Regina è una persona troppo fantastica perché non le si possa voler bene, e io sono abituata ad evitare di voler bene. Quindi, per cortesia, potrebbe lasciare un momento questa stanza come l’ha trovata, entrare di nuovo, e fare una pacifica con la ragazza di cui mi sono innamorata?” le parole di Emma erano ormai un soffio, ma tutti le potevano comunque sentire chiaramente. A Regina, suo malgrado, erano sfuggite delle lacrime; a Cora, solo un’espressione di disgusto, che venne in fretta sostituita da uno sguardo fiero e carico d’odio, e da una fuga, in una nuvola viola, che non lasciò traccia di Cora. E che portò con sé Regina.

***

[*è la frase con cui si conclude Harry Potter. Spero che nessuno si offenda per il fatto che ho preso in prestito queste tre parole.
"Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”
Chiedo perdono per averci messo tanto ad aggiornare, pensavo che durante le vacanze avrei avuto più tempo, invece sto passando un periodo decisamente poco bello per motivi personali e lo scarso successo della fanfiction non aiutava ad aumentare la mia voglia di scrivere. Penso di riuscire a tornare con l’inizio della scuola, forse un po’ prima, non lo so, ma non ho intenzione di abbandonare questa storia. A proposito dello scarso successo, vorrei chiedervi se avete suggerimenti da darmi, perché, non avendo ancora scritto i prossimi capitoli, se c’è qualcosa in particolare (o in generale, non mi offendo se mi dite che fa schifo) nella mia storia che posso migliorare, sono a completa disposizione, anche nei messaggi personali.
Grazie a chi ancora legge.
Buon 2016
•Sofia]
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Emma si ritrovò ansimante sul pavimento. L’aria era tornata nei suoi polmoni, ma si sentiva ancora meno in grado di respirare, le sembrava quasi che l’ossigeno se ne fosse andato con le due donne. Si alzò a fatica, e, senza guardare nessuno negli occhi, andò in camera da letto. Si sentiva confusa, ferita, ma anche terribilmente in colpa per aver parte delle responsabilità per le quali Regina era nei guai. Emma sentiva di dover fare qualcosa, ma provava un’emozione che credeva di aver dimenticato, che credeva di aver esiliato per sempre dalla propria vita. Emma aveva paura, e questo la faceva stare male perché si sentiva debole, si rendeva conto che solo quando si ha qualcosa da perdere si ha paura, e che si teme solo per coloro a cui si vuole bene. E lei aveva sempre detestato affezionarsi alle persone. L’amore, qualunque tipo di amore, era una debolezza, lo sapeva.

Si sentì come se la terra le tremasse sotto i piedi, mentre si dirigeva verso la porta. La testa le girava per la fretta con cui aveva preso la decisione, riusciva a malapena a vedere davanti a sé, ma non si sarebbe fermata. Perché sapeva di non doversi arrendere di fronte a qualcosa che riteneva giusto, di non dover accettare le ingiustizie, ma soprattutto di non poter lasciare che fossero altri a imporsi in alcune scelte. E  il coraggio di Emma soffocò la sua paura.

Aperta la porta di trovò di fronte la cameriera del locale, una ragazza giovane, con i capelli castani lunghi, e una mantellina rossa che Emma era certa non averle mai visto indossare. “Buongiorno signorina” esordì timidamente “noi crediamo che si debba andare a prendere Jean, e abbiamo pensato di diglielo perché crediamo che lei voglia essere dei nostri.” Emma le gettò le braccia al collo, notando solo in quel momento, alle sue spalle, sette nani, Robin, e una ragazza che si presentò come Mary Margaret. Le faceva piacere, in fondo, avere qualcuno pronto ad aiutarla.
***
Si fissava il ricamo del vestito, senza interesse, nel tentativo disperato di scacciare i brutti pensieri. Aveva sempre saputo quale sarebbe stata la vita che l’aspettava, eppure fingeva di poter cambiare il proprio destino quando lo avrebbe voluto. Si buttò all’indietro, sul letto, cercando di non pensare, cercando di non sentire. La finestra era aperta, lasciava entrare un po’ d’aria, ma on permetteva via d’uscita, essendo incantata per impedire a chiunque di uscire.  Era stanca di quell’unico contatto con il mondo, di quell’unica visione appena possibile di una foresta. Eppure sapeva di non poter fare altro. Si era arresa, ma non conosceva alternativa.

Stava per addormentarsi, quando sentì un rumore metallico alla finestra. Vide un arpione, chiaramente saldato al suo davanzale. Lo vide, lo osservò un attimo, e capì subito chi lo aveva lanciato, ma non mosse un dito. Passarono massimo cinque minuti prima che Emma entrasse nella sua stanza, e la trovò sdraiata sul letto, impegnata solo a respirare. “Regina!” il sospiro di Emma che urlava il suo nome era il rumore più forte che aveva sentito nelle ultime ore. Regina si mise a sedere. “Cosa ci fai qui?” sembrava spenta, priva di qualunque emozione. Emma, quasi come se non se ne accorgesse, la abbracciò. “Come facevi a sapere che ero qui?”
“Ho, ho lasciato qualche nano venire avanti e ti hanno vista alla finestra e ora siamo arrivati e sono salita. Non puoi uscire di qui, vero? Beh, sì, troveremo un altro modo, fa niente.” Gli occhi verdi incrociarono per un secondo lo sguardo della mora, rimanendo confusi “Cosa c’è che non va? Stai bene? Oh mio Dio, non ti ho neanche chiesto se è tutto okay, cosa è successo, Regina?”

“Cosa c’è che non va? Seriamente? Tu e non so chi arrivate sotto la mia finestra senza motivo e dopo quello che è successo. Come se non avessi sempre saputo che non avevo alternativa a questa vita, che non sarei rimasta a lungo. Come se non avessi sempre saputo che sarei diventata la moglie soprammobile da esibire a qualche ballo del primo principe che avrebbe chiesto la mia mano. Come se non sapessi che non conta quello che posso aver desiderato perché non posso volere qualcosa di diverso da questa vita. Sai. Chi. Sono. Sai cosa farò e sai benissimo che non dovresti essere qui, perché non farai altro che peggiorare le cose. Non posso neanche morire, Emma, non posso decidere neanche questo. Lasciami essere il burattino che sono nata, lasciami stare!” il tempo sembrò quasi fermarsi, Emma sentì la terra mancarle sotto i piedi, per un secondo. Quella Regina era una sconosciuta, quella ragazza in piedi di fronte a lei, con le lacrime agli occhi e rossa di rabbia era una sconosciuta, quasi un fantasma, pallida e irremovibile, rassegnata. Dovette prendere un respiro prima di rispondere.

“Davvero? Davvero non puoi nemmeno volere altro? Davvero accetti tutto quel che ti cade addosso, senza alzare un dito, senza nemmeno pensare di fare altro? Sei sicura di essere Regina Mills? Perché altrimenti dovrebbe farsi delle domande la ragazza che ho conosciuto al Granny’s, che forse è veramente un’altra persona, Jean Flag, o come preferisce chiamarsi. Perché io credo che tu sia Jean. E che tu decida di essere sempre e comunque anche Regina. E credo che questa non sia nessuna delle due. Di cosa hai paura? Credevo avessi smesso di temere, perché non avevi niente da perdere. Che cosa ti frena? Non pensavo fossi disposta a farti fermare ancora.” La prese per le spalle, in un abbraccio e in una stretta di mani che la spingeva, che la portò fino alla parete, con gli occhi puntati nei suoi. “Hai dimenticato tutto? Non esiste più la ragazza di cui mi sono innamorata?” Un attimo di pausa, guardando il pavimento. “Non ti sto chiedendo di amarmi, Regina! Ti sto chiedendo di vivere, perbacco! Non ti sto chiedendo di considerare che io esista, ma solo di uscire di qui, e fare tutto quel che sognavi. Cosa c’è di sbagliato in tutto questo? COSA?”

Regina stava piangendo, anche se mai avrebbe dato importanza alle lacrime che le rigavano il volto, anche se avrebbe sempre finto che non ci fosse niente che la turbava. “No. Esisto. E non conta assolutamente niente. Posso esistere finché voglio, ma questo non ha importanza. Credevo di non aver paura, credevo che non mi sarei fermata, ma io ho paura. Io sono ferma. E avere qualcuno da perdere non aiuta. Lasciami qui. Vai via. Esci subito, prendi il corridoio sulla destra, scendi le scale fino in fondo ed esci dalla finestra della cucina. Vai. E fingi di non avermi mai conosciuta.”

“Non chiedermelo. Sai che non lo farò. Non sto cercando di salvare la giovane donna di cui mi sono innamorata, ma la ragazza che ho visto aver terrore di sua madre. Non dovrebbe essere così. E non potrò mai vivere tranquilla, sapendo che è così. Regina ascoltami, per favore.”
“Ascolta tu! Ci tengo davvero a te, ma non posso permettermi di avere debolezze. Non posso cambiare quello che sono né la mia situazione quindi vai. Vai via!
“NO!”
“Non era una domanda. Non è il tuo corpo quello che stanotte ha sentito ogni centimetro della sua pelle infuocato, bruciato dall’acido, punto da migliaia di spilli e congelato allo stesso tempo. Non dire di non potertene andare, perché puoi farlo, e anzi, gioveresti solo, facendolo.” Sentì la testa di Emma cedere, abbandonata sulla sua spalla, e la voce della bionda implorarla di non restare lì. I loro corpi schiacciati contro la parete non avevano bisogno di parole per capirsi. Emma le prese la mano, e la guidò fuori da quella camera, senza voler sentire altre ragioni. “Fuggi con me.” Solo una stretta di mano fu necessaria, come risposta.
Regina guidò Emma dove le aveva indicato, ma sapeva che lei non sarebbe potuta uscire , non senza essere notata. Sapeva però altrettanto bene di avere qualcuno di cui potersi fidare, qualcuno che la amava in modo semplice, protettivo. “Emma, promettimi che correrai ed uscirai di qui se te lo dico.” “Non farmi fare promesse che non manterrò” Cercò di scherzare la bionda, ottenendo solo uno sguardo severo come risposta “Lo prometto, ma questo non significa che non tornerò.” E questa promessa non richiesta fece sorridere Regina, la fece sorridere davvero, perché per quanto desiderasse che Emma fosse al sicuro, non poteva negare di amare averla al suo fianco. Regina sorrise, prima di andare da suo padre.

[N.d.A. Buonasera a tutti! (E buon anno in ritardo) Mi spiace che il capitolo sia arrivato così tardi, soprattutto perché l’ho scritto quasi tutto una settimana fa, ma sono nel caos più totale, ho un sacco di impegni, di preoccupazioni, di delusioni e insuccessi che continuano a tormentare  la mia vita mortale. Paradossalmente, la scuola ultimamente è il meno peggio, perché nonostante mi impegni tanto da stressarmi e mi riempia di scocciature è l’unica a sembrare non volermi deludere e demoralizzare. Okay, la smetto di stressarvi.
Penso che il prossimo capitolo sarà l’ultimo, perché veramente credo che la storia stia per finire, anche se mi spiace non essere arrivata nemmeno a dieci capitoli (l’idea iniziale era di scriverne undici)
Ho cercato in questo capitolo di tener conto dei vostri consigli, mi hanno fatto tutti molto piacere, e spero di averli sfruttati al meglio. Se vi va, ditemi cosa ne pensate. 
Grazie di cuore a tutti quelli che leggono e a chi recensisce. Mi strappate sempre un sorriso.
•Sofia]
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Henry sedeva tranquillo nel suo studio e stava leggendo un libro, quando le due giovani aprirono la sua porta. Il padre di Regina era un uomo anziano, i capelli grigi in disordine erano radi e le rughe segnavano quel volto, tanto da scavare solchi nella pelle dell’uomo non appena questi sorrise alla figlia. Quel sorriso aveva sempre fatto sentire Regina un po’ meglio del solito, sin da quando era piccola, ogni volta che aveva bisogno di un rifugio, fuggiva tra le braccia di quell’uomo, a rifugiarsi,  per non sentire quel che la madre le strillava con arroganza. E corse anche in quel momento a rifugiarsi nell’unico luogo al mondo che per lei era casa. Si allontanò in fretta però, e bisbigliò nell’orecchio dell’uomo quello che voleva dirgli, perché nonostante tutto, aveva paura a pronunciare parole simili in quel palazzo. Henry sollevò lo sguardo su Emma, diede un bacio alla figlia dicendo “Ti voglio bene” e puntò il suo sguardo in quegli occhi verdi. Passò circa un minuto di fronte alla bionda, pensando a tutto quel che voleva dire, di tutte le raccomandazioni che voleva fare a quella ragazza che per sua figlia stava mettendo in pericolo sé stessa, e poi lasciò cadere lo sguardo, ringraziando mentalmente qualunque divinità potesse esistere per il fatto che sua figlia non fosse sola, in quella fuga che lo spaventava, perché aveva sempre saputo che la sua famiglia si sarebbe divisa, ma allo stesso tempo sapeva di non poter abbandonare nessuno dei due fronti.

Il Conte lasciò le due ragazze dov’erano, e andò a cercare l’unico oggetto che poteva in qualche modo porre rimedio a quella situazione. Era stato lui, nel momento in cui Cora aveva lanciato sul castello l’incantesimo, a chiedere che quella collana fosse creata. Non aveva potuto impedire a sua moglie di intrappolare la figlia con la magia all’interno del palazzo, non mentre era così arrabbiata, ma era riuscito ad ottenere una clausola, un ciondolo che permettesse a Regina di uscire anche senza che Cora autorizzasse il passaggio. Non aveva neanche sperato di aver successo, ma poi si era ritrovato a presentare a Cora l’idea che loro non erano immortali, e a ricordarle che, se fosse successo qualcosa alla contessa, Regina sarebbe stata intrappolata per sempre. E non avrebbe mai potuto governare senza uscire nemmeno di casa.
E anche se qualunque altra scusa non sarebbe importata a Cora, ma l’idea che la figlia non potesse prendere il suo posto e avere il controllo sui loro territori l’aveva convinta. Non c’era nulla che desiderasse per Regina più della strada del potere.

Ad Henry non aveva detto dove aveva nascosto l’unico punto debole di quel grande incantesimo, ma l’uomo non dubitava di poterlo trovare. Era sicuramente nella cripta nascosta sotto il caminetto in cui Cora teneva i cuori strappati a chiunque l’avesse infastidita, e che pensava veramente che suo marito non avesse mai notato.
Quel luogo gli dava la nausea, ma questo non lo fermò. E poté tornare da quel viaggio nell’Inferno nascosto sotto il suo salotto con quel che era andato a prendere laggiù.

Poi dovette spiegare tutto alle due ragazze. E vide ogni emozione sul volto delle due. Lo stupore di Emma per quello che si nascondeva in quelle mura, la rabbia nello scoprire quel che quella strega aveva fatto, la gratitudine nei confronti di quello sconosciuto, e un tentativo di apparire responsabile,  di meritare la fiducia di una persona che stava sperando che lei fosse la Salvatrice di sua figlia.
E  trattenne a stento le lacrime nel vedere la sua bambina, così cresciuta, guardarlo negli occhi e frenare smorfie di dolore nel sentirsi ricordare tutto quel che turbava la sua giovane vita. Poi vide in Regina la gioia sincera nel capire di poter cominciare un viaggio tanto atteso, la tristezza di doverlo lasciare, e la consapevolezza di dover essere un’adulta. E allora le lacrime rigarono anche quel volto rugoso. E un paio di braccia si appese al suo collo come aveva fatto mille altre volte.

Uscirono di soppiatto in corridoio. Non fecero neanche un rumore ed arrivarono alle cucine. Regina indossò il ciondolo, mentre si preparava a varcare per sempre quella soglia, ed Henry le sorrise, ammirando quel volto che gli sarebbe mancato ogni giorno. Poi la porta si aprì, senza che nessuno di loro l’avesse toccata. E in cucina, tra loro e l’ultima porta da attraversare, videro Cora, la mano sinistra sul fianco, l’altra tremante di rabbia.
Quella donna aveva un fascino particolare, una bellezza mai svanita, arricchita da quella sicurezza e da quell’autorità che ostentava avvolte in un velo di crudeltà. Senza la sua rabbia, non sarebbe stata nessuno.
Non ebbe neanche bisogno di parlare, mentre scaraventava i tre, che avevano varcato la porta, contro le pareti. Due coltelli infilzarono i vestiti del marito alla parete, inchiodandolo. Emma non si era neanche ripresa dalla botta.
Regina, invece, era in piedi di fronte alla madre solo un secondo dopo aver toccato il suolo, e guardava Cora con un folle sguardo di sfida dipinto in volto. E sorrise, lo sguardo puntato su Cora, ma intento ad ammirare qualcosa di più lontano e visibile solo a lei.

Poi tutto cambiò velocemente. Cora sospese Regina a mezz’aria, tenendola per il collo in una morsa invisibile, e la ragazza si sentì di nuovo persa, e debole, ma, questa volta, non perse la speranza. E mentre urlava a Cora, impegnata a minacciare di torturare Emma, di fermarsi, sentì della forza – forse rabbia, forse coraggio, forse amore per sé stessa e per gli altri – scorrerle nelle vene. Era una forza incredibile, superiore a qualunque altra avesse mai provato, e arrivava da lei, la sentiva uscire come un fiume in piena dal suo stesso cuore. E poi esplodere, lasciandola cadere a terra, e lanciando Cora contro un tavolo. Poi Henry si staccò dalla parete e le disse di andare, perché Cora si sarebbe ripresa in fretta.
Tutto quello che accadde dopo rimase nella mente di Regina poco chiaro. Tutto sembrava confuso e la ragazza si sentiva debole, i suoi occhi le mandavano immagini confuse.  Sapeva che c’erano stati dei saluti, rapidi, distratti, e una corsa, una corsa lunghissima, che l’aveva distrutta. Poi degli altri saluti, agli amici di Emma, quelle persone che ormai si era dimenticata che la stavano aspettando, e che probabilmente per un po’ avevano corso con loro. E poi ancora un po’ di corsa, non ricordava dove fosse diretta, ma era sicura di non aver seguito una strada, di essere andata nella foresta. Poi aveva dormito, di questo era certa, accanto ad Emma.

***

Si svegliarono ai piedi di un albero, una grandissima quercia, che doveva essere stata il loro letto, quella notte. Regina si svegliò per seconda, e trovò Emma ad aspettarla, con la sua colazione in mano. Tutte le cose che aveva lasciato nella locanda e tutto quello che aveva visto nella camera di Emma era sparso intorno a loro. Il sorriso di Emma era una delle cose più belle che avesse mai visto, incorniciato da quel viso e da quei capelli, e, poi, dalle fronde degli alberi immerse nella luce del mattino.
E Regina si fece spiegare tutto quel che la sera prima aveva vissuto come se non si fosse trovata veramente lì, e sorrise, sorrise, sorrise, guardando Emma impegnata a raccontare. E si fece raccontare mille altre storie, mentre riprendevano il cammino verso la vita che avevano iniziato insieme in un piccolo paesino chiamato Storybrooke, e che le avrebbe potate ad attraversare chissà quante altre città.

***

[ N.d.A. Buonasera a tutti! Sono ancora viva e sì, sono addirittura in grado di aggiornare. Mi scuso per aver fatto tardare tardi la conclusione a questa storia, non ho scuse, sono solo pessima nel concludere i racconti, ma porto una buona (o forse no) notizia. Anche se ora affermerò di aver completato questa storia, non penso che lo stato “completa” accanto a “9 capitoli” rimarrà per sempre.
Ho solo in mente un epilogo neanche troppo brillante che non voglio tenere per me, ma che non so quando riuscirò a scrivere.
Quindi sì, questo è un addio, per ora.
Grazie.
Grazie a chi, per sbaglio, ha aperto questa storia e poi ha richiuso velocemente perché in fondo non gli/le interessava leggerla.
Grazie a chi ha deciso che il modo migliore per farmi sapere che non gli era piaciuta fosse fermarsi al primo capitolo.
Grazie a chi si è annoiato prima della fine, a chi si è stufato di aspettare che aggiornassi, a chi dopo un po’ ha deciso di smettere di sprecare il suo tempo.
Grazie a chi ha letto ogni parola, dall’inizio alla fine.
Grazie a quelli a cui le mie parole sono piaciute.
Grazie a chi ha recensito.
Grazie a chi ha seguito questa storia.
Grazie a tutti, perché, anche senza saperlo, mi hanno fatto venir voglia di scrivere.
Grazie a chi è arrivato fino a qui.
Grazie a chi ha letto e a chi leggerà.
Grazie di cuore a tutti.
A presto, spero
•Sofia]
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Vent'anni dopo ***



Emma venne svegliata dalla luce della finestra che le arrivò in pieno viso, e pensò che dovevano aver dimenticato la finestra aperta la sera prima, quando erano andate a dormire. Le bastò una frazione di secondo per rendersi conto che qualcosa non andava: la stanza era troppo silenziosa, mancava un respiro lento e regolare che conosceva meglio del suo. Si alzò di scatto, capendo che Regina non era in camera con lei, e mentre sollevava le coperte una busta di pergamena sottile, con un dolce profumo di viole, scivolò sul pavimento.

Cara Emma, tesoro, immagino che tu ti sia svegliata tardi, questa mattina, altrimenti mi avresti vista partire, non appena la notizia è arrivata.
È stato bello guardarti dormire come una bambina mentre mi preparavo a partire. Rimani accovacciata su te stessa, e hai emozioni buffe…a volte vorrei chiederti a cosa pensi, ma forse è più divertente non capire quel che ti passa per la testa, e baciare quel broncio infantile per darti il buongiorno.

È passato così tanto tempo dalla prima volta che ci siamo incontrate, che quasi non ricordo chi ero prima di conoscerti: devo sforzarmi per riportare alla mente alcuni ricordi, e sempre giungo alla soluzione che prima di conoscerti, ero un’altra persona. Forse Regina è morta e hai fatto nascere Jean, forse Regina si è nascosta fino a quando non ha provato a diventare Jean. Non lo so, ma sono felice di chi sono diventata.

Tutti i nostri viaggi mi hanno fatta emergere un po’ alla volta, e sicuramente quel che conosco di me è meno di quel che sono, e meno di quel che conosci tu, ma mi basta, e mi rende felice, perché è tutto quel che ho visto attraverso i tuoi occhi. Se in tutti questi anni non sono mai tornata la ragazzina infelice che hai conosciuto, il merito è soprattutto tuo. Senza  di te, non avrei visto tutto quel che ho visto, non avrei conosciuto tutte le persone che ho conosciuto, non avrei sognato quanto ho sognato, e ti sono immensamente grata per ogni secondo che abbiamo passato insieme, per il nostro grande e meraviglioso universo, fatto di sogni, illusioni e delle piccole realtà che abbiamo visto ogni giorno. Ti sono grata perché quando sommo tutto quel che abbiamo vissuto so che la maggior parte di quelle esperienze non le avrei fatte senza te, e perché anche così manca sempre qualcosa per spiegare la bellezza della mia vita. E quel che manca in quell’addizione sei tu. Non voglio sembrare poetica o romantica, ma sai che in fondo non posso fare a meno di esserlo almeno un po’, ma devo dire che da sola non so chi sarei diventata. Non so se sarei stata felice. Non so cosa avrei fatto, ma non sarebbe stato questo. O forse lo so, ma non voglio ricordare, perché i ricordi precedenti a te fanno male, e temo lo faranno sempre (anche se devo ammettere che con te affianco il dolore si sente un po’ meno, perché la tua presenza addolcisce tutto).

Credo che anche se non ti avessi conosciuta, ora starei partendo. Oppure sarei già morta, ed è più probabile questa seconda opzione. Sapevamo che un giorno sarebbe successo, e so che per te non sarà un boccone facile da digerire, ma io ho dei doveri. Quasi ti posso sentire ricordarmi che ho anche dei diritti e che la mia felicità conta più di ogni altra cosa, ma credimi, Emma, non mi lasciar sola in tutto questo e non sarò infelice.

Mia madre è morta e non penso che piangerò al suo funerale, ma neanche lei avrebbe voluto che lo facessi. Non posso lasciare il potere a qualcun altro perché rischierei di costringere il popolo ad un’altra Cora, e so che alla mia morte il problema ci sarà lo stesso, ma voglio adempiere al mio dovere. E ti prego, governa con me. Sono un’egoista, ma ti amo, e non voglio dover lasciare quel palazzo e i compiti che ne derivano, anche se lo farei se fosse l’unico modo per stare con te.

Quelli che abbiamo passato sono stati gli anni migliori della mia vita, ma io credo che quelli che vivremo si potranno addizionare, e non saranno da meno, se saremo capaci di essere felici. Non potremo viaggiare quanto siamo abituate a fare e non potremo vestirci come ci pare, almeno non in pubblico, ma avremo anche la possibilità di spostarci in carrozza, e non fingere che non t’importi, perché lo vedo che inizi a far fatica quando dobbiamo percorrere lunghe distanze.
Posso quasi vederti mentre, offesa, cerchi di negare.
T
i aspetto a palazzo,
vieni in fretta, perché già mi mancherai

tua,

Regina


Il sorriso che comparve sulle labbra di Emma era il più ampio al mondo. Era comparso per un solo istante, ma avrebbe potuto illuminare un salone da ballo come quello in cui, anche se ancora non lo sapeva, si sarebbe trovata quella sera.
Emma partì il più in fretta possibile, e prima del tramonto era già nell’unico posto che poteva chiamare casa, nonostante avesse camminato tranquilla e avesse ammirato ogni dettaglio che era capitato nel suo campo visivo perché voleva ricordare quel viaggio, quel lento, meraviglioso viaggio che segnò il più grande cambiamento della sua vita. E si disse mille volte che avrebbe dovuto raccontare a Regina qualcosa, qualcosa di quel che aveva visto o di quel che le era appena tornato alla mente, e sorrise tra sé e sé immaginandola sorridere e guardarla con gli occhi spalancati, come una bambina che sente per la prima volta una favola.
Dimenticò però tutto nel momento in cui arrivò davanti a quei cancelli e vide la sua Regina che usciva per venirle incontro. In quel momento tutto sparì e rimasero solo due ragazze che vent’anni prima si erano incontrate in una taverna e che ora si stavano correndo incontro e che erano capaci, in un abbraccio, di far sparire il mondo.
***

“The End”


[N.d.A. Buongiorno a tutti! Mi spiace, ma non ho resistito e ho voluto scrivere questo capitolo perché:
1 Amo alla follia scrivere lettere
2Mi frullava per la testa
3 Non ero ( e non sarò mai) soddisfatta del finale di questa storia
In ogni caso, vorrei solo prendermi un minuto per ringraziare tutti quelli che sono arrivati a questo capitolo, perché mi fa immensamente piacere sapere che c’è chi dà anche solo un’occhiata a questa storia.
Mi ritiro, perché non sono neanche più in grado di pensare, figuriamoci di scrivere un ringraziamento degno di voi.
•Sofia

"Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di proprietà della ABC che ne detiene tutti i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e, viceversa, gli elementi di mia invenzione appartengono solo a me.”

Campagna di promozione sociale - Messaggio NoProfit.
Dona l' 8%o del tuo tempo alla causa pro recensioni; renderai felici centinaia di scrittori
(Chiunque voglia aderire al messaggio può copia-incollarlo dove meglio crede).]
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3319617