Song for Someone

di LunaMoony92
(/viewuser.php?uid=536263)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tell me baby, what's your story? ***
Capitolo 2: *** C'mon girl ***
Capitolo 3: *** Meet me at the corner ***
Capitolo 4: *** Your eyes, girl ***
Capitolo 5: *** Otherside ***



Capitolo 1
*** Tell me baby, what's your story? ***


“Ecco, adesso puoi aprire gli occhi. Siamo arrivati.” mi dice Giovanni, togliendomi finalmente la benda con cui mi ha costretta a camminare per non so quanti isolati e che nessun: “Ti prego, sono già cecata di mio, toglimi quest’affare!” ha scosso minimamente dal fargli cambiare idea.
“Spero tu mi abbia portato a casa della Rowling, solo così riuscirò a perdonarti per tutte le storte che mi hai fatto prendere!” gli dico sbuffando, mentre mi porge gli occhiali. Sta sorridendo.
Metto gli occhiali e il mondo torna ad essere più chiaro: siamo in un teatro,  un bellissimo teatro. Chiudo gli occhi e ne respiro a pieni polmoni il profumo. Siamo in quel teatro, siamo al National Theatre!
Gli salto al collo e inizio a urlare di felicità.
Giovanni da qualche mese ha iniziato a lavorare qui per la messa in scena del Coriolanus e mi aveva promesso che prima o poi mi avrebbe fatta assistere alla prove. Sono un’appassionata di cinema, teatro e regia da sempre e per me è davvero un sogno essere qui. Non smetto di abbracciarlo e di ridere, anche lui è felice. Noi due abbiamo solo noi,  in questa città siamo da soli, ma cerchiamo di bastarci. Lui è il mio migliore amico e io la sua. Non riuscivamo a vederci da un’eternità e questa sorpresa è per entrambi. Un po’ di tempo per condividere le nostre passioni, magari una pizza e il mondo sembra subito meno cattivo.
La voce di Giovanni mi riporta sulla terra.
“Adesso datti una calma e siediti qui. Stanno per arrivare Mark Gatiss, Alfred Enoch e Deborah Findlay per le prove. Ti prego, non farti sentire, sennò mi buttano fuori. So quanto puoi essere molesta.”
Mi sfiora la guancia con un bacio e sento la sua risata mentre scappa via.
Sono seduta  abbastanza in alto rispetto al palco, così da poter avere una visione globale. Non posso ancora credere di essere qui e di avere l’opportunità di vedere alcuni dei miei attori preferiti in scena. Se riesco ad ottenere un autografo da Mark, credo che sverrò.
Sorrido tra me e me, e mi viene in mente il giorno in cui sono arrivata in città. Passata la sferzata di adrenalina per la partenza, la paura aveva iniziato a fare da padrona. Non riuscivo a trovare casa di Giovanni, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Adesso è diverso, adesso va meglio, adesso sono qui e questo è ciò che conta.
 
 
 
E’ quasi tutto pronto, stanno per iniziare le prove. Vedo Giovanni che si arrampica su di una scala per sistemare un faro che ha deciso di non funzionare. Visto da qui sembra così piccolo, riesco a distinguerlo solo grazie alla sua inseparabile camicia a scacchi di flanella.  Non ho una vista da falco, si sa, e forse ho sbagliato a sedermi così in alto. Mi guardo intorno, la sala sembra deserta, se non fosse per la miriade di tecnici del suono e delle luci che corrono  a destra e a manca.
La prima è tra due settimane, la pressione inizia a salire. Ripensare ai tempi delle rappresentazioni al liceo, mi fa rivivere l’agitazione prima di una prova, gli imprevisti continui, le battute dimenticate, ma soprattutto la passione che ci mettevo per dare il meglio di me. E’ un peccato  io abbia rinunciato, ma ormai fa parte del passato e io il passato non lo voglio più rivivere.
Trovo un posto un po’ più in basso, adesso addirittura riesco a vedere Giovanni in faccia, mentre con fatica rimette a posto l’enorme faro e salta giù dalla scala. Le luci si abbassano, il regista urla qualcosa che non riesco a capire bene e inizia la magia. Sono solo prove, continuo a ripetermi per calmarmi, ma non riesco a smettere di sorridere e a fermare le lacrime che stanno iniziando a scendere dai miei occhi, quasi senza che io me ne accorga.
Entra in scena Mark ed il palco è suo. Adoro Mark come sceneggiatore, ma dopo la sua performance posso dire che dal vivo mi ha emozionata tantissimo. Ha prima provato le battute con il regista e poi insieme agli altri attori. Una presenza scenica fantastica. Il regista urla “Cinque minuti di pausa”  e il teatro si riempie di luci. La sala non è così deserta come pensavo. Qui e la ci sono gruppetti di persone che presumo, come me, si stanno godendo le prove di questo fantastico spettacolo. Anche se oggi non è giorno di prova per il protagonista, Tom Hiddleston, siamo tutti molto emozionati.
Giovanni mi fa un cenno da lontano, sembra allarmato, ha gli occhi spalancati, ma allo stesso tempo sembra stia ridendo. In un moto di italianità, muovo le labbra per urlargli: “Che cazzo sta succedendo?” ma fortunatamente mi blocco. Le luci stanno di nuovo calando e qualcuno sta cercando un posto a sedere proprio vicino a me. In sala è quasi tutto buio, solo un faro sul palco illumina Mark e Alfie.
“Scusi, è libero questo posto?” sento dire da una voce maschile accanto a me. Mi prende in contropiede, quindi farfuglio impacciata “No, si, certo. E’ libero.”
Sono felice che le luci siano così basse, sento la temperatura delle mie guance salire. Come direbbe Giovanni, sto pericolosamente diventando il cosplay di Heidi.  Non riesco a vedere quasi nulla, ma sento il mio vicino di posto ridacchiare un po’, poi si siede nel posto accanto al mio. Non passa molto tempo, che inizia a ripetere le battute a memoria. Ha una voce bellissima, un accento impeccabile.
E’ sicuramente inglese e sicuramente un grande estimatore del teatro. Se dovesse farmi qualche domanda specifica, andrei in corto circuito al 100%. Abito qui da circa 6 mesi e certe volte ho ancora paura a parlare con gli inglesi. L’inizio per me è stato terribile. Parlavo pochissimo, se non per le cose di ogni giorno, come fare la spesa o a lavoro. Se mi trovavo incastrata in una conversazione un po’ più lunga, iniziavo ad agitarmi e a mescolare parole a caso. Tutto questo era abbastanza frustrante e stavo quasi decidendo di tornare indietro. Ma ogni volta che questo pensiero mi sfiorava, grazie al cielo, interveniva Giovanni che, che con un gelato e un mega cazziatone, mi riportava sulla retta via.
 
 
 
Il mio vicino adesso ha preso a ripetere anche le battute che sta leggendo il registra al posto dell’attore principale, Tom Hiddleston. E’ parecchio bravo, il mio vicino.
Mi viene quasi voglia di complimentarmi con lui. Potrebbe quasi salire sul palco e sostituire Tom, che, a quanto mi ha detto Giovanni, si trova oltre oceano. Ovviamente gli avevo chiesto di poter assistere alle sue, di prove. Ma, a quanto pare, sono prove blindate e a nessuno, oltre che agli addetti ai lavori, è permesso l’ingresso. Per me, comunque, l’importante è  essere qui. Sicuramente tornerò a vedere la rappresentazione nei mesi in cui sarà in programma. Probabilmente anche più di una volta, se le mie finanze saranno un po’ più in sesto di adesso.
Do un occhiata all’orologio. Sono già passate quasi due ore da quando sono arrivata. Odio l’idea di dover uscire fuori da questo angolo di Londra così perfetto e di dover tornare a lavoro.
Adesso stanno provando degli attori con parti minori, a me è venuta fame. Avevo portato dei biscotti da dividere con Giovanni prima di andare via, ma lui è ancora molto  impegnato.
Sto addentando il mio primo biscotto, ed ho come la sensazione di essere osservata, ma le luci sono sempre molto basse, così mi rilasso. Forse il mio vicino mi stava guardando perché ha sentito il rumore del sacchetto. Magari dovrei offrirgli un biscotto.
Sospiro e con un po’ di coraggio gli chiedo: “Le andrebbe un biscotto?” Il mio vicino ride, la mia pronuncia deve fare proprio schifo oppure lo fa ridere il fatto che una sconosciuta spacci biscotti agli sconosciuti in un teatro. Peccato non che non riesco a vederlo in viso, mi sarei potuta fare un’idea di con chi ho a che fare, ma ormai è fatta. Immagino stia ancora sorridendo quando mi dice: “Con piacere, la ringrazio.” e la sua mano sfiora la mia mentre si avvicina al sacchetto per prendere un biscotto. Ho un brivido.
Non passa molto tempo, complici le mie buonissime Gocciole italiane, che iniziamo a parlare. A bassa voce, cercando di non disturbare gli attori che stanno provando.
“Sono davvero buonissimi” mi dice, “Non li ho mai mangiati qui”.
“Sono italiani” gli rispondo io, con orgoglio.
“Interessante, quindi anche lei  è italiana?”
“Si, sono italiana.” dico un po’ incerta. “Si sente l’accento?”
Il mio vicino fa una pausa, poi lo sento ridere e dire: “No.. Non molto. Sembri quasi inglese.”
Io sbuffo un po’ contrariata, ma poi mi metto a ridere anche io. So di avere un accento pessimo, inutile nasconderlo.
“No, davvero. Ho sentito di peggio. Va bene così il tuo accento.”
Poi, resosi conto che io non ho intenzione di rispondere, continua: “Da quanto tempo abiti qui?”
Non amo molto parlare di me, soprattutto quando sono sola, senza Giovanni che mi fa da spalla. Sarà il buio in cui siamo immersi, sarà che sono stanca di non parlare con nessuno, che decido di rispondere.
“Ormai sono 6 mesi. E non ho fatto tanti progressi. Sarà perché non amo molto parlare con la gente.”  butto lì, forse  leggermente caustica.
Il mio interlocutore non si fa scoraggiare, perché mi chiede subito: “Dunque, qual è la tua storia?”
Io resto perplessa. Siamo in teatro, quasi al buio, e uno sconosciuto, con cui parlo soltanto da dieci minuti e con cui ho condiviso dei biscotti, mi sta chiedendo di raccontargli la mia storia. Non ha alcun senso, perché mai dovrei? La mia storia la conosce solo Giovanni, il mio migliore amico. E anche raccontare tutto a lui all’inizio non è stato mica semplice. Avevo paura di cosa avrebbe pensato….
Ma ormai ho deciso che posso lasciarmi andare, per una volta, che parlare con qualcuno che non conosco del casino che ho dentro, forse è qualcosa che devo fare, così inizio a raccontargli tutto. Ogni cosa.
 
 
 
La mia storia? Ho 25 anni e vengo da un paesino della Sicilia. Un bel giorno, ho detto a mia madre che stavo andando all’Università e sono uscita da casa. Avevo soltanto uno zaino con me. Ho preso l’ autobus e sono andata all’aeroporto. Avevo già prenotato il volo da mesi. Sono salita sull’aereo e sono arrivata qui. Appena arrivata ho cercato una cabina telefonica e ho chiamato casa. Ha risposto mia mamma.
“Ma che fine hai fatto?” mi ha chiesto.
“Sono a Londra, mamma. Non tornerò indietro.”
Questa è stata la nostra conversazione.
Ricordare quei momenti, a distanza di tempo, mi da sensazioni strane. Mi sento bene perché sono riuscita a farlo, ad andare via, a ricominciare, eppure, allo stesso tempo, fa ancora male.
“Ho un amico che vive qui da prima che io arrivassi, così ho iniziato a cercare casa sua. Mi sono persa più e più volte, ma avevo paura a chiedere informazioni. Così alla fine l’ho chiamato ed è  venuto a prendermi.”
Faccio una pausa, ma il mio vicino non dice una parola, così continuo la mia storia. Dopotutto, me l’ha chiesta lui.
“Perché non ho detto nulla al mio amico? Avevo paura che non capisse.”
“Quando mi ha chiesto perché l’ho fatto, cosa ho risposto? Sono scappata perché non riuscivo più a respirare.”
“Questa è la mia storia. Vivo qui da 6 mesi e, tra alti e bassi, posso dire che sono stati i 6 mesi migliori della mia vita. Perché le scelte che ho fatto sono mie, quello che ho ottenuto l’ho ottenuto grazie a me e poi ho trovato il lavoro dei miei sogni che mi ha portata sempre più vicina a…”
E’ solo a questo punto che il mio vicino mi prende una mano tra le sue e mi interrompe per farmi una domanda. Al  tocco, sussulto. Non sono abituata a fare invadere i miei spazi personali. Attorno a me ho costruito un muro, ma il mio vicino sembra riesca ad attraversarne le pareti.
“Qual è il lavoro dei tuoi sogni?”
Sono un po’ frastornata e anche sorpresa. Inevitabilmente un sorriso fa capolino sul mio viso.
“Lavorare in una libreria.”
Il mio vicino fa una pausa, sembra abbia qualche dubbio in merito.
“Davvero? Solo questo? Ho l’impressone che ci sia dell’altro…” mi dice. Un lieve barlume di luce investe i suoi occhi, così si incontrano con i miei per la prima volta. Sono bellissimi.
Non so cosa l’abbia portato a capirlo, ma devo dire che ha fatto centro.
“Beh, si. Il mio sogno è diventare una scrittrice.” rispondo, mentre ancora lo sto guardando negli occhi, nonostante la luce sia andata via.
“Wow, questo si che è un sogno!”  immagino stia sorridendo. “Hai già scritto qualcosa?”
Se ho scritto qualcosa? Oddio. Giovanni ogni volta che mi chiede a che punto sono con la mia “opera prima” si pente subito di averlo chiesto. Ne parlerei per ore ed ore, ma non posso fare spaventare questo povero vicino, si vede che è gentile e vuole solo fare un po’ di conversazione per ingannare il tempo.
Diciamo che ho qualcosa per le mani” decido di rispondere, un po’ vaga.
“Davvero? Mi piacerebbe tanto leggerlo, questo libro.”
“Ehm… Mi dispiace, ma è un libro scritto in italiano.”  gli dico, mentre mi accorgo che la sala si sta illuminando, piano piano.
“Peccato, mi sarebbe piaciuto leggerlo.” Il mio vicino si sta alzando, adesso è di spalle, la sala adesso è completamente illuminata. Strizzo un po’ gli occhi per abituarmi la luce, poi mi gito verso di lui, suppongo sia arrivato il momento di salutarci.
Lui si volta verso di me e io rimango a bocca aperta.
“Potrei aiutarti a tradurlo, magari. Mi piacerebbe imparare un po’ di italiano.” mi dice porgendomi la mano per salutarmi.
Io non riesco a muovere un muscolo. Piego la testa in segno di assenso e meccanicamente allungo la mia mano per stringere la sua.
“Perfetto allora, solo.. Conosco la tua storia ma non so ancora il tuo nome.” Sta sorridendo e ha un sorriso bellissimo. Io lo conosco quel sorriso, l’ho visto tante volte sui giornali, in tv, al cinema e adesso lui sta sorridendo a me, proprio a me.
Deglutisco e cerco di schiarirmi la voce. Non so se riuscirò a parlare, mi sento svenire.
“Mi chiamo Angela” riesco a dire.
“Piacere Angela, alla prossima allora. Ci vediamo qui domani se vuoi. Aspettami fuori, così entriamo insieme.” Prende la mia mano tra le sue, mi guarda negli occhi e fa il baciamano. Poi va via.
La mia mano è ancora sospesa nel vuoto. La fisso incredula, come se non appartenesse a me. E’ successo davvero? Mi sono addormentata e la suggestione di essere al teatro ha fatto tutto il resto? Io non riesco a capire. Sto ancora cercando di capire se sono sveglia quando sento Giovanni che mi chiama.
“Angie, ma ti rendi conto di chi c’era seduto vicino a te??!”
“Chi c’era?” mi volto verso di lui, ancora con la mano a mezz’aria.
Giovanni vedendomi in quello stato scoppia a ridere.
“Mi sa che ti rendi conto. Cazzo, che fortuna! Con tutti i posti liberi, Tom viene a sedersi accanto a te!”
Si avvicina a me, mi prende la mano e la abbassa delicatamente. Devo sembrare davvero un’idiota in questo momento.
“Allora è successo davvero” quasi sussurro. “E’ successo davvero!!” “E’ successo davvero!!”  
Ci ritroviamo a gridare mentre ci abbracciamo e tutti iniziano a guardarci, ma a noi non importa. E’ successo davvero, e io sono terribilmente felice.
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** C'mon girl ***


Sono già le 4pm ed il mio tempo in Paradiso è scaduto. Ho solo mezz’ora per arrivare nella libreria in cui lavoro, quasi dall’altra parte della città. Non ce la farò mai. Sarei dovuta andare via prima dal Teatro, ma non ci sono riuscita. Anche dopo che Giovanni è andato via con la promessa di una telefonata prima di andare a dormire, sono rimasta dov’ero, seduta, con un sorriso stupido stampato in faccia. Ancora adesso, aspettando la  metro che mi porterà a lavoro, non riesco a togliermi questa espressione dalla faccia.
Salgo sul convoglio e il riflesso sul vetro stuzzica la mia attenzione. Sono davvero io quella ragazza? Sono stata davvero io ad aver stretto la mano a Tom Hiddleston, in un teatro meraviglioso e ad avere un “appuntamento” con lui? Beh, tecnicamente non è un vero appuntamento, è più un “ci becchiamo in giro”...
Però, cavolo, non succede certo tutti i giorni.
Finalmente riesco a trovare un posto a sedere, ho ancora un po’ di tremarella alle gambe. Il rumore costante della metro mi rilassa, così cerco di riordinare gli eventi ed i pensieri. Nemmeno in uno dei miei sogni più sfrenati avrei potuto immaginare di conoscere, un giorno, Tom. E’ uno dei miei attori preferiti e avrei dato un braccio anche solo per avere un suo autografo (cosa che avevo già chiesto a Giovanni e che lui adesso simpaticamente ha chiesto a me). Invece il mio braccio l’ha toccato lui, con le sue mani, ha stretto la mia mano, ha guardato i miei occhi. Sono così immersa in questi pensieri, che quasi manco la fermata.
Riesco a scendere per un pelo, poi mi blocco di colpo. Proprio vicino alle scale che faccio tutti i giorni, dove ieri non c’era, adesso troneggia una gigantografia di Tom, pubblicità per lo spettacolo del Coriolanus.
Inizio a ridere come una bambina e come una bambina mi ritrovo a fare la strada quasi saltellando.
“Buon pomeriggio!” dico entrando in libreria e poi mi fiondo tra le braccia del mio capo, nonché amica, nonché mentore, Wistrid.
 
 
 
Wistrid è una signora di 60 anni che da 40 anni si occupa della “BooksColemanLibrary” e che da 5 mesi ormai ha iniziato ad occuparsi anche di me. Non si è mai voluta sposare, non ha avuto figli, e quando qualche signore la guarda e le sorride, glielo faccio notare, lei sostiene che ci sono io e che le do già abbastanza pensieri .
Nelle mie prime settimane di ricerca del lavoro, ho girato ogni angolo della città. La ricerca si era rivelata subito infruttuosa. Non volevo stare molto a contatto con la gente, non ne ero capace, anche volendo. Conoscevo già l’inglese avendolo studiato  per anni, ma avevo  il terrore di parlare per più di dieci minuti consecutivi.
Non trovavo nulla, soltanto lavori poco pagati o per cui il livello di conoscenza dell’inglese richiesto era troppo alto. E poi, all’angolo della strada ho visto l’insegna di questa libreria e mi sono sentita già meglio. Ho pensato che avrei dovuto comprare qualche libro in inglese, giusto per prendere più familiarità con i dialoghi. E poi, appena dentro, Wistrid mi è venuta incontro.
“Finalmente è arrivata! La aspetto già da venti minuti. Cominciamo male, signorina!”
“Signora, deve esserci un equivoco. Io non la conosco, stavo solo entrando a comprare qualche libro.” Evidentemente mi aveva scambiata per qualcun’altra.
“Non è lei la signorina Mannoy?”
“No, io mi chiamo Angela Irato. Sono italiana.”
La signora Wistrid mi squadrò dalla testa ai piedi, cosa che poi col tempo appresi fosse una sua abitudine.
“Stavo aspettando una ragazza per un colloquio, odio i ritardatari. Beh, la sua occasione ormai è sfumata. Non è che per caso, tu stai cercando un lavoro?”
E da quel momento sono diventata la commessa della piccola libreria di Notting Hill, uno dei posti che adoro di più al mondo, e, oltre ad un lavoro, ho trovato una guida e un’amica.
 
 
 
 Wis, presa in contropiede dal mio buon umore, quasi fa cadere il volume che ha per le mani.
“Ma cos’è tutta questa allegria, Angel? (Lei mi ha sempre chiamata così)
Non sembri nemmeno tu!”
 Mi dice infatti, squadrandomi da capo a piedi, come a voler controllare se ho ancora la testa attaccata sulle spalle.
“E’ successa una cosa fantastica! Sono  stata a teatro!” inizio a raccontare, sparendo nel retrobottega a cambiarmi. Lei butta gli occhi al cielo e mi segue.
“Anche io sono stata a teatro tante volte, cara. E’ davvero bello, certo. Ma dev’essere successo qualcos’altro, visto che stai indossando la tua maglietta al contrario.” 
La guardo, sta sorridendo. Poi guardo la mia maglietta e vedo che ha ragione.
“Ho incontrato Tom Hiddleston”  le dico tutto d’un fiato, incapace di trattenermi oltre.
Wis sgrana gli occhi e mette da parte tutto il bon ton inglese che la contraddistingue e inizia ad urlare.
“Cooooosa?? Mi stai prendendo in giro?” La guardo e le dico che no, non sto scherzando affatto.
“O Mio Dio!! Non posso crederci!”
Corre ad abbracciarmi e le racconto tutto, mentre iniziamo a sistemare tra gli scaffali i nuovi arrivi della settimana.
“E così vuole leggere il tuo libro?” Sa a cosa va incontro?” Mi punzecchia.
“Ha detto così, ma credo stesse solo scherzando. Non so nemmeno se domani andrò..” butto lì, mentre cerco di incastrare un volume particolarmente pesante in uno scaffale forse troppo piccolo per contenerlo.
“Stai scherzando, vero?” Il suo sopracciglio ha iniziato ad alzarsi fino all’invero simile. Mi fa sempre ridere quando lo fa.
“No, sono seria. E’ stato bello conoscerlo, stringergli la mano, parlare con lui. Ma non andrò domani, non credo riuscirei a guardarlo in faccia. Potrei svenire, potrei dire qualcosa di stupido, potrei non capire qualche parola che dice e fraintendere. Potrei..”
Win mi ha fatto cenno di scendere dalla scala su cui sono salita per riporre i volumi più in alto. La sua faccia è estremamente seria. Prende il libro che ho in mano e lo appoggia sulla scala, poi prende le mie mani tra le sue.
“Ragazza mia” inizia a dire, e a me quelle parole, riempiono già il cuore.
“Tu ci devi andare. E’ una bellissima occasione, puoi conoscere uno dei tuoi idoli. Non tutti hanno questa possibilità e tu vuoi fartela scappare. Non fare la stupida. Non costringermi a portartici con la forza. Fallo per te, tesoro. Tu sei coraggiosa. Hai lasciato tutto e sei arrivata fin qui solo per aiutare una vecchia signora in una vecchia libreria?” Mi guarda con il suo sorriso gentile e di certo non le sfuggono i miei occhi lucidi, ma lascia correre. Wistrid è la persona più simile ad un genitore che io abbia mai avuto. Le getto le braccia al collo e le prometto che ci andrò.
“Ecco qui, anche questa è risolta.” dice, lisciandosi la gonna.  “Adesso finisci di sistemare questi libri,  altrimenti domani niente giornata libera.”
 
 

Sono già le 7.30 pm ed è ora di chiudere il negozio. Wistrid è già andata via, così chiudo la porta a chiave e resto ancora un po’ nel resto bottega. E’ qui che ho iniziato a scrivere la bozza di quello che vorrei fosse il mio primo libro. E’ stata proprio Wistrid a spingermi ad iniziare e a darmi consigli, correzioni e anche bacchettate.
Eccolo lì, il mio libro. Una pila di fogli stropicciati, stipati nel secondo cassetto della scrivania. Li raccolgo dal fondo del cassetto e cerco di dargli una sistemata. Chissà perché ho questa fissazione di scrivete tutto a mano. Giovanni mi rimprovera continuamente, dicendo che potrei perdere delle pagine per strada o che qualcuno potrebbe confonderlo con della carta straccia e buttarlo via. “La gente normale usa i Pc! Ah già, tu non sei normale!” Mi dice sempre.
Per questo lo tengo qui, dove sono sicura nessuno lo toccherà. Aggiungo semplicemente nel cassetto le pagine nuove che ogni tanto scrivo, quando l’ispirazione viene a farmi una visita. E’ da qualche settimana che non torna però… Chissà, forse stasera, dopo tutte le emozioni della giornata, riuscirò a buttare giù qualche idea.
Chiudo il cassetto e saluto il mio sogno.
 
 
 
La mia casa consiste nel minuscolo monolocale sito  proprio sopra la libreria. Nei primi mesi della mia vita qui a Londra, ho vissuto con Giovanni. Dividevamo un mini appartamento a Clerkenwell, ma le sue numerose conquiste non gradivano la mia presenza e mi mettevano parecchio in imbarazzo, così quando ho raccontato a Wistrid che cercavo casa, mi ha messo in mano le chiavi del monolocale, salvandomi per la seconda volta.
Non ho fame, non ho sonno, mi sento iperattiva. Non ho nessun programma per la serata, tanto per cambiare, ma purtroppo non riesco a distrarmi con nulla. Apro e chiudo la Tv un paio di volte, leggo le mail, giro un po’ su Facebook. Niente, non riesco a non pensare a domani.
Cosa mi metterò? Cosa dirò, farò, cosa penserà?
 E’ una situazione troppo surreale per me, devo parlare assolutamente con Giovanni, ma è ancora presto, sarà sicuramente a cena con qualcuna.
Decido di  buttare giù qualche pagina, gli eventi eccezionali della giornata devono aver risvegliato la mia ispirazione. E’ già mezzanotte quando metto il punto all’ultima frase e il telefono squilla.
“Sei ancora tra noi o ti sei già montata la testa?” mi dice ridendo Giovanni.
“Ma che simpatico che sei. Forse staccherò la telefonata…” lo minaccio, ridendo.
“Ehi! Dove credi di scappare? Devi dirmi cosa hai intenzione di fare domani. Non pensare minimamente a non venire! No, perché vengo a tirarti per i capelli.”
“Ma cos’è questa fissazione che dovete portarmici con la forza?” dico ridendo.
“Ci vengo, ci vengo. Anche se so che sarà un tremendo fiasco e che me ne pentirò non appena lo vedrò e dirò qualcosa di stupido.”
“Ehi, ma tu sei Angela Irato, futura autrice di best sellers, come potresti mai dire qualcosa di stupido?” mi punzecchia.
Già  è vero, non sono stata io a fare gli auguri invece che le condoglianze alla moglie di quel tizio che è morto il mese scorso. O a precipitare giù dalle scale al pub del tuo amico Alex, tirandoti giù insieme a me, o a sbagliare ogni volta i nomi delle tue frequentazioni, creando sempre momenti imbarazzanti. No, io non sono un tipo distratto e che fa facilmente brutta figura, hai ragione.”
“Ok, sarò sincero. E’ probabile che tu faccia qualche brutta figura, ma può capitare. Magari lo fai ridere come con la storia dei biscotti. Anzi, ne esigo un pacco intero,, visto che i miei li ha mangiati lui.” dice, fingendosi offeso.
“Giovanni. Incontrerò Tom Hiddleston.”
“Oh si, Angie. Tu lo incontrerai.”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Meet me at the corner ***


E’ già mattina.  La luce del sole filtra da una delle finestre sopra al letto, ieri sera ho dimenticato di tirare le tende. Odio quando mi sveglio prima del suono della sveglia. La giornata comincia male.
Stanotte ho dormito pochissimo, continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto, senza trovare pace. Alla fine non ce l’ho fatta più e mi sono alzata. Ho preso dei fogli e ho iniziato a scrivere. Ho scritto tanto, senza sosta, come se un fiume di parole si stesse riversando fuori da me, come se quelle parole le avessi trattenute dentro per anni. Forse, in qualche misura, è stato davvero così.
Ho preso sonno alle 4 del mattino. Mi sento come se una mandria di elefanti mi fosse passata addosso.
Non appena riesco ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco, mi giro a guardare la sveglia. Sono soltanto le 7 del mattino e oggi ho tutta la giornata libera. Mi butto il cuscino sulla faccia, voglio dormire, lo voglio davvero. Con gli occhi mezzi chiusi, mi alzo sul letto per chiudere la tenda, rischiando di cadere rovinosamente.
Provo a chiudere gli occhi, a contare le pecore, ma ormai  il momento è passato, così decido di alzarmi. Mi trascino verso il bagno strisciando i piedi, gli occhi ancora mezzi chiusi. Quando mi guardo per un secondo allo specchio, trasalisco. Ho una faccia spaventosa, non che gli altri giorni sia meglio, ma stamattina mi faccio paura. Credo che non uscirò di casa.
Il mio telefono squilla da qualche parte, sepolto sotto gli strati di coperte. Per trovarlo impiego il tempo di sentire quasi la fine del ritornello di “I want to break free”. E’ Giovanni.
“Ma cosa vuoi a quest’ora del mattino?” biascico incazzata, ancora prima che lui riesca a dire pronto. Non sono un tipo a cui la mattina piace parlare. E per mattina intendo almeno fino alle 10.
“Complimenti, hai raggiunto un nuovo livello di acidità! Ti darei il tuo premio in buoni sconto da un vaffanculo, ma oggi sarò buono. E’ un giorno speciale per te!” dice, tutto mieloso. Non capisco una parola di ciò che sta dicendo.
“Un giorno speciale? Ma che stai dicen… O CAZZO! Non avevo ancora carburato!”
La realtà mi colpisce come una doccia gelata. Oggi devo incontrare Tom , QUEL TOM! Come ho fatto a non pensarci subito??
“Non è per questo che sei sveglia a quest’ora? Che è successo allora, è crollato il palazzo?”
Giovanni ride come un pazzo. Sa che per me la mattina lasciare il letto è una tragedia.
“Credevo ti fossi svegliata per darti una restaurata, visto l’importantissimo incontro di oggi. Ma, a quanto pare, ti era passato di mente. Tu, donna di mondo, non hai tempo per ricordare che hai un appuntamento con Tom Hiddleston, dimenticavo!”
“Ma stai un po’ zitto? Mi scoppia la testa.” piagnucolo. “Stanotte non ho dormito per niente, non avevo ancora realizzato. O mio Dio, ho davvero bisogno di una restaurata, hai ragione!”
“Smettila di fare l’idiota. Stavo scherzando. Soltanto, magari, datti una sistemata ai capelli, ieri sembravi un cespuglio. Ma da quanto tempo non li tagli?”
Non li taglio da quando sono partita dall’Italia per venire qui, torno in bagno a dare un’occhiata. Sono orribili, davvero. In questo momento è come se avessi in testa un nido di un’ aquila reale.
“Non so nemmeno dove andare qui. Ho paura di ritrovarmi con la pettinatura di un barboncino.”
“Chiedi a Wistrid, magari lei conosce qualche posto dove non rischi ti facciano la toelettatura!” Ormai nemmeno fa lo sforzo di trattenere le risate.
“Ma Wistrid ha 60 anni, Gio! E dai!”
Sono troppo demoralizzata, così gli stacco la telefonata in faccia.
Non avrebbe dovuto dirmi dei capelli. Adesso non riesco a togliermi dalla testa che devo sistemarli, che devo fare qualcosa per non sembrare un arbusto di Hyde Park, ma so di non poterci fare nulla. Sono negata con spazzola e phon.  Non voglio andare da una parrucchiera, non conosco nessuno che possa aiutarmi. Mi butto sul letto e nascondo la faccia sotto le coperte.
Ieri è stato così facile parlare con lui. Il buio è stato il complice perfetto. Non avevo idea di chi fosse, sono riuscita a raccontargli dettagli privati della mia vita, senza nemmeno fare tanti errori di pronuncia (credo), non ero in imbarazzo, non dovevo preoccuparmi dei miei capelli. Mi avrà guardata si e no per qualche minuto, magari non li ha neppure notati. Ma certo che li ha notati, maledetto Giovanni!!!
Mi alzo come se avessi una molla in corpo e inizio a vuotare l’armadio. Cosa mi metto?
Non sono il tipo di ragazza che segue le mode, che si preoccupa di essere sempre truccata o in ordine. Sono un tipo pratico, jeans e felpa, al massimo un maxi pull e sono pronta ad uscire. Non voglio apparire per quella che non sono, non voglio farlo assolutamente. Sarà anche Tom Hiddleston, ma anche lui ieri era in tuta e scarpe da tennis. E devo dire che stava benissimo. Probabilmente starebbe bene anche con un sacco dell’immondizia addosso.
 
 
Sento la tensione salire, così decido che devo distrarmi. L’appuntamento è fuori dal teatro, ma non ci siamo detti a che ora di preciso. Ieri sono arrivata in sala alle 2pm, lui poco dopo. Fosse per me, partirei già adesso, oppure non partirei affatto. Mi sento decisamente bipolare al momento.
Per tenermi occupata, decido di scendere in libreria, nonostante oggi sia la mia giornata libera.
Appena Wistrid mi vede entrare, mi scocca un’occhiataccia.
Cosa ci fai tu qui, a quest’ora? Soprattutto oggi!”
“Ho bisogno di tenermi occupata per un po’. Sto avendo un crollo nervoso. Ho appena scoperto che i miei capelli sembrano uno dei cappelli delle guardie della Regina.”
Wistrid non riesce a trattenersi e scoppia in una risata fragorosa.
“Credevo ti piacessero così, selvaggi e indomabili.” il mio sguardo frustrato la fa intenerire, così mi dice:
“Non ti preoccupare, più tardi se vuoi ti faccio una bella treccia, così li teniamo a bada.” Si avvicina a me e mi da un bacio in fronte. Cosa farei io senza questa donna?
Tra un cliente e un altro, è già arrivata l’ora della chiusura. Lavorare mi ha fatto bene, quanto meno fino adesso sono riuscita a non dare di matto.
“Va a cambiarti, pranzi da me oggi, così ti faccio la treccia che ti ho promesso. Inoltre, casa mia è più vicina al teatro, così non rischi di fare tardi.”
Rimango per qualche secondo con le mani tra le mani, torturandomele. Sento gli occhi pizzicare, si stanno riempendo di lacrime. Non posso fare a meno di reagire emotivamente ogni qualvolta Wistrid ha verso di me questi slanci materni. Mi fa sentire bene e male allo stesso tempo. Mi sento amata, e per me questo ha un sapore dolce/amaro.
Wistrid accenna un sorriso. “Dai su, non abbiamo tutto il giorno, bambina. Dobbiamo  sbrigarci!”
Mi sveglio dalla mia momentanea trans e inizio a salire le scale facendo gli scalini a due a due.
Mi cambio velocemente, ho optato per un jeans un po’ più stretto, maxi pull verde scuro e stivali bassi. Lascio perdere completamente i capelli, butto giusto un rossetto nella borsa e sono pronta ad andare.
 
 
 
Facciamo la strada per arrivare alla fermata della metro quasi di corsa, Wistrid mi tiene per mano.
Mi sento davvero riconoscente verso Wistrid, così le propongo di cucinare la pasta.
“Sai che non dirò di no, mi conosci bene! Dovresti passare più spesso da me, bambina.”
Decido di cucinare una semplice pasta al tonno, sono già le 1pm quando ci sediamo a tavola.
Inizio a sentire di nuovo la tensione salire e, quando prendo in mano il bicchiere per riempirlo, noto che queste hanno preso a tremare. Wistrid se ne accorge, prende la mia mano tra le sue e la stringe.
“Di cosa hai più paura?” mi dice semplicemente.
Io la guardo, non saprei da dove iniziare la mia lista. 
Ho paura di dire qualcosa di sbagliato, di non fargli una buona impressione, di sembrare sciocca, di infastidirlo, di metterlo in imbarazzo. Ho paura di tante cose, ma quando apro bocca è questa la frase che esce fuori: “Ho paura che non verrà. E io sarò lì, all’angolo del teatro ad aspettarlo come una stupida ragazzina che ha creduto che fosse tutto vero.” Ecco, l’ho finalmente detto a voce alta. Non sono riuscita a dirlo nemmeno a Giovanni, non riuscivo nemmeno ad ammetterlo con me stessa.
Wistrid si intenerisce e si avvicina ad abbracciarmi.
“Non devi avere paura, bambina. Non conosco il signor Hiddleston personalmente, ma so che è un gentiluomo inglese, e se ha detto che verrà, sono sicura che lo farà.”
In questo momento vorrei dirle tante cose. Vorrei dirle grazie, per il fatto che riesce ad esserci sempre per me, per tutte le cose che ha fatto per me sin dal primo giorno che ci siamo incontrate in quel modo così strano, grazie per essere per me la mamma che avrei voluto avere, ma non riesco a dire nulla. Non voglio piangere, non voglio rintristirla.
“E adesso vieni con me, facciamo qualcosa per questi capelli.”
 
 
Sono le 13:40 e sono appena uscita da casa di Wistrid. Mi ha sistemato i capelli in una bellissima treccia laterale e ha insistito perché mi truccassi un po’.
Scendo di corsa le scale della metro e anche qui noto il cartellone pubblicitario con la pubblicità del Coriolanus. “Una rappresentazione che vi lascerà senza fiato.”
Io sono già senza fiato adesso, chissà quando arriverò a teatro.
Il convoglio della metro sembra non voler arrivare mai, così ho tutto il tempo di perdermi nei miei pensieri.
Cosa dovrei dirgli appena lo vedrò?
“Buongiorno signor Hidlleston?” “Ciao Tom” “Ehi?” Non so come comportarmi, davvero non ne ho idea.  Il convoglio arriva e in quindici minuti arrivo a destinazione.
Lotto contro la parte di me che vorrebbe scappare e tornare a casa e mi costringo a salire tutti i gradini che mi separano dal teatro, dove forse troverò Tom.
Sono quasi fuori, quando mi squilla il telefono. E’ un messaggio di Giovanni.
“Non sei ancora arrivata? Qui stiamo per iniziare, lui non c’è.”
Sono troppo frastornata per rispondere anche solo con un “ok”, così decido di mettere via il telefono.
Sto ancora trafficando con la borsa per chiudere la cerniera, quando sento qualcuno che mi chiama.
“Angel?”
Alzo gli occhi e il mio cuore salta un battito.
E’ lui.
E’ già qui.
Mi sorride e mi porge la mano.
Mi sento le gambe di burro, andrà tutto a rotoli. Ma lui è qui, non mi ha dato buca. E’ davvero qui e si ricorda il mio nome. Beh, almeno prova a pronunciarlo. Involontariamente mi scappa un sorriso.
“Hiii.” Alla fine è questa l’unica sillaba che riesco a dire, forse stirando un po’ troppo la vocale.
“Buon pomeriggio.” saluta lui, sempre con il sorriso sulle labbra. Poi mi prende la mano e leggermente sfiora con la sua bocca le mie nocche. Sento che sto per avere un mancamento. Devo darmi un contegno.
“Ho ricevuto un messaggio dal mio amico che lavora qui, mi ha detto che stanno per iniziare.” dico, un po’ troppo frettolosamente. Ho necessità  assoluta della penombra del teatro, magari riesco mascherare il colorito delle mie guance, adesso in fiamme.
“Oh, certo. Entriamo subito.” mi dice, facendomi strada.
 
 
Le luci sono già state abbassate, così trovare un posto a sedere non è la cosa più facile di questo mondo. Ho il terrore di calpestare i piedi a qualcuno o di ruzzolare a terra, quindi cammino lenta come una lumaca. Lui in due falcate è già arrivato, adesso mi fa cenno con una mano, ha trovato dei posti che lo soddisfano.
C’è meno confusione di ieri, solo un gruppetto di circa dieci persone, sedute proprio in prima fila.
“E’ la stampa”  sussurra Tom, non appena mi siedo accanto a lui. Sembra quasi abbia letto la mia domanda inespressa direttamente dalla mia testa.
“Oh, certo.” dico soltanto. Ho perso l’uso della parola, probabilmente.
Le prove sono già nel loro pieno svolgimento. Mi giro più volte a destra e a sinistra, cercando di trovare Giovanni, ma proprio non lo vedo.
Mi sento in imbarazzo. Entrambi sembriamo concentrati sulla rappresentazione, ma ogni tanto mi sembra di scorgere del movimento con la coda dell’occhio. Forse si sente in imbarazzo anche lui, visto che siamo seduti qui, l’uno accanto all’altro, ma non diciamo niente. Non sono mai stata brava a sopportare la tensione, così decido di rompere il ghiaccio.
“Non sapevo la stampa fosse autorizzata ad assistere alle prove. Immagino siano qui per lei.”
So che in inglese è come se io gli stessi dando del tu, ma nella mia testa sto cercando di mantenere un profilo basso e leggermente distaccato.
Tom trasalisce, probabilmente era assorbito dalle prove. Lo immagino mentre, nel buio, ripete le battute a mente muovendo solo le labbra.
“Scusami, mi sono lasciato distrarre. Si, alla prima pausa entro in scena io. Mi dispiace doverti lasciare qui da sola. Mi sento in colpa per averti invitata e dover andare via per un po’. Forse dovrei offrirti dei biscotti.” Lo sento ridere. La sua risata è così cristallina, sembra quasi un bambino. La cosa mi intenerisce. Poi lo sento rovistare nelle tasche, e poco dopo ho due biscotti in mano. Scoppio a ridere anche io.
“Non deve dispiacersi, è il suo lavoro. E’ stato molto gentile ad invitarmi e grazie mille per i biscotti.”
“Oh, i biscotti sono il minimo. Dovrò lasciarla qui da sola per più di un’ora. Non è proprio questo che avevo in mente quando ieri le ho chiesto di venire qui insieme a me.”  dice, mettendo altri due biscotti nelle mie mani.
Cosa aveva in mente? Cosa sta succedendo qui?
Nella penombra noto che sta distendendo le gambe, calandosi un po’ sul sedile, come a volersi nascondere.
“Abbiamo ancora qualche minuto per parlare. Raccontami qualcosa del tuo libro.” Aggiunge poi, addentano anche lui un biscotto.
Mi sento in imbarazzo a parlare del mio libro, che libro ancora non è. E’ solo un abbozzo di idee confuse, pagine sovrapposte senza un ordine logico. Forse non avrei dovuto parlargliene ieri. Ma ieri non sapevo con chi stessi parlando, credevo fosse uno sconosciuto che non avrei mai più rivisto.
Sospiro e addendo anche io un biscotto per prendere un po’ di tempo.
Beh, in realtà non posso dire che sia un vero è proprio libro. Diciamo che, più che altro, è una raccolta di pensieri che vorrei diventassero una storia.”
“Sono sempre più curioso di leggerlo.” mi dice lui e mentre lo fa, sento il peso del suo sguardo su di me.
Tutto il sangue che ho in corpo decide di affluire alle mie guance, le tocco con le mani, sono roventi.
“Non credo le potrebbe piacere. In realtà ultimamente non piace troppo nemmeno a me.”
“Per questo dovrei leggerlo. Per poter avere il piacere di smentirti.” E, così dicendo, si alza, cercando di non essere visto.
“E’ arrivato il momento di andare. Aspettami qui, non andare via.” mi dice poi e si allontana a passo svelto.
 
 
 
Adesso che sono rimasta da sola, posso tornare a respirare. In realtà, sto iperventilando. Non mi ero resa conto di essere così tesa, fino a quando non è andato via. Il mio insano terrore di sbagliare qualcosa mi ha portata a  parlare come un robot. Probabilmente si è già pentito di avermi chiesto di venire e fa solo il gentile.
Ad un tratto le luci riempiono la sala, è arrivata la pausa. Non faccio nemmeno in tempo ad abituarmi alla nuova luminosità, che qualcuno mi si fionda addosso.
“Angie, sei arrivata!!” E’ Giovanni, che mi spupazza come se fossi un pelouche. Credo proprio non si aspettasse di vedermi qui e, se non fosse stato per Wis probabilmente sarebbe stato così.
“Sono qui, sono qui. Non ti agitare.”
“E lui dov’è?”
“E’ già andato dietro le quinte, tra poco tocca a lui.”
“Ti rendi conto dell’onore che hai? Stai per assistere a delle prove blindatissime!! E lui ha mantenuto la promessa!”
Lo guardo negli occhi e scuoto la testa. Sembra una ragazzina ad un concerto degli OneDirection.
Non posso fare a meno di sorridere. So perché è così felice, perché sa che anche io lo sono, dopo tanto, tantissimo tempo.
“Goditi questa giornata, Angie. Te lo meriti.” mi dice poi abbracciandomi, prima di tornare a lavoro.
Me lo merito? Non so se sia così. Quello che so è che è tutto inaspettato e che mai avrei pensato di vivere questa giornata.
Le luci tornano ad abbassarsi. Il regista da il segnale e un solo faro inizia a schiarire il buio in cui siamo immersi.
Al centro del cono di luce che questo proietta, c’è Tom. Il regista gli sussurra qualcosa all’orecchio e poi inizia la magia.
Tom non è più Tom, è diventato Caio Marzio, nel momento in cui viene condannato all’esilio.
Sono completamente rapita dalla sua interpretazione. Vorrei scattare qualche foto, ma è severamente vietato, così apro e chiudo gli occhi, immaginando di scattare le mie foto direttamente con gli occhi, sperando che questi momenti rimangano impressi per sempre nella mia memoria.
 
 
Lo scorrere del tempo acquista tutto un altro senso e in un attimo, non so come sia possibile, le luci si alzano di nuovo ed è tutto finito.
Tom salta giù dal palco e inizia a guardarsi intorno, probabilmente sta cercando una via di fuga, ma in un attimo la stampa lo sommerge, chiedendo a gran voce un’intervista.
Giovanni  si è arrampicato su di una scala altissima, dall’alto mi sorride e mi saluta con la mano.
Lo saluto anche io e gli mando un bacio volante. E’ proprio grazie a lui se ho potuto vivere questa bellissima esperienza.
Mi sento un po’ in imbarazzo, adesso con  luci accese. Sono l’unica persona seduta in questa immensa sala, qualcuno prima o poi si chiederà cosa ci faccio qui e probabilmente mi caccerà via. Nessuno sa insieme a chi sono arrivata e non c’è motivo per cui, anche se lo dicessi, dovrebbero credermi. Sono la prima a cui sembra tutto un sogno.
Invio un messaggio veloce a Wistrid dicendole che va tutto bene, poi mi alzo e sto per andare via.
So che Tom mi ha chiesto di rimanere, ma sto iniziando a sudare per l’imbarazzo, ho bisogno di una boccata d’aria.
Per uscire dalla sala, devo necessariamente passare vicino all’orda di giornalisti che adesso si è spostata accanto all’uscita laterale del teatro. Non voglio scappare senza nemmeno dirgli “ciao”, è stato così gentile con me, non mi sembra giusto. 
Non sono altissima, quindi non riesco a vederlo dietro i testoni dei giornalisti che lo sovrastano. Sbuffo infastidita e crollo su una sedia, messa un po’ in penombra. Potrei andare via, se volessi e vorrei, forse. Ma lui mi ha portato i biscotti, è venuto all’appuntamento, si è ricordato il mio nome. Non posso andare via e basta, chiuso finito, è passato tutto. Devo almeno salutarlo, almeno dirgli grazie.
Dopo qualche minuto, vedo che è salito di nuovo sul palco. Si congeda dai giornalisti, da un’occhiata alla sala ormai vuota e sparisce dietro le quinte.
I giornalisti iniziano ad accalcarsi verso l’uscita, i tecnici delle luci spengono gli ultimi fari puntati sul palco e il sipario viene chiuso.  Mi alzo e inizio a passeggiare tra le prime file, alzando di tanto in tanto gli occhi verso l’alto, notando i fari che, ad uno ad uno si spengono. Cammino così, sovrappensiero, quando ad un tratto sbatto contro  qualcosa, o qualcuno.
“Credevo fossi andata via.” dice una voce, ormai conosciuta, alle mie spalle.
“Mi scusi.” dico di riflesso. Spero di non avergli schiacciato un piede.
“Non ti ho visto nella sala, così ho pensato di non trovarti più.” Continua lui, lo sguardo un po’ malinconico.
“No, io non… Mi sono solo messa un po’ da parte, per non farmi notare…”
Sto iniziando a balbettare di nuovo. Lo so, sono patetica.
“Mi dispiace averti fatta aspettare.” mi dice guardandomi negli occhi e le sue parole sono sincere. Sono solo cinque parole, ma mi colpiscono in un modo inaspettato.
“Si figuri. Grazie per avermi dato questa bellissima possibilità oggi. E’ stato davvero emozionante.”
“Volevo raccontarti anche io un pezzo della mia storia. E questa è una delle parti della storia che preferisco. Il teatro.”
Sorride e la malinconia di prima sembra pian piano andare via.
Non so come, non so perché, ma questa non è più la storia di una ragazza che per caso incontra un tizio famoso e viene invitata a vedere delle prove in un teatro. Non è più una storia che inizia e finisce così, per caso, com’è iniziata. Una parte di me crede sia un’enorme cazzata, ma l’altra parte mi dice che è il momento di mettere da parte l’imbarazzo e le mie paure,  è il momento di essere me stessa, di parlare, come parlerei ad un amico.
 “Sarei interessata a sentire il resto della storia, se volesse raccontarmela.”
Lui mi guarda e ride, arriccia il naso.
“Non aspettavo altro.” dice senza esitare, e mi prende la mano.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Your eyes, girl ***


Quante volte ho sentito dire: “Il cuore mi sta uscendo dal petto dall’emozione” e ho storto il naso. La gente esagera sempre quando si tratta di raccontare episodi del proprio passato, pensavo. Lo dicono solo per farsi notare, pensavo.
Pensavo, appunto.
 Fino a quando non ho provato per la prima volta questa emozione, fino a quando Tom non ha preso la mia mano tra la sua e l’ha stretta dicendomi : ”Allora andiamo”.
Per lui, magari, sarà stato un semplice gesto automatico, un modo per indicarmi la strada da seguire e permettermi di andargli dietro.
Per me è stato come fare andata e ritorno dalla Luna, in due secondi.
Ho il cuore in gola e credo di essere diventata rigida come uno stoccafisso, ma mi impongo di fingermi calma e serena, probabilmente con risultati pessimi.
Vorrei dire qualcosa, per  alleviare la tensione, ma le parole proprio non mi vengono.
Non voglio iniziare a balbettare qualcosa senza senso, forse questo mutismo temporaneo è provvidenziale.
Siamo usciti fuori dal teatro e abbiamo preso la metro. Saliti sul convoglio, Tom ha lasciato la mia mano, come a dire: “Ecco, siamo arrivati”.
Non so dove stiamo andando, vorrei tanto  chiederglielo ma non oso farlo. Sto evitando il suo sguardo, me ne rendo conto, ma ho un po’ paura di cosa potrei leggerci dentro. Chissà cosa sta pensando di me. Un automa senza l’suo della parola, ecco cosa gli devo sembrare. Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Come ho già detto, non sono brava a sopportare la tensione. Mi faccio coraggio, ma proprio quando mi decido ad aprire bocca, il suo telefono squilla.
Segni dal Cielo, forse?
Tom guarda lo schermo del suo Iphone e fa una smorfia, forse non è una telefonata gradita.
Mentre lui sta parlando al telefono, mi soffermo ad osservarlo meglio. Anche da seduto, è così alto.
Accanto a lui devo sembrare davvero uno scricciolo. Sono “alta” solo 1,52 m…  In pratica, gli arrivo all’altezza del petto.
I suoi capelli, dopo la drastica colorazione in nero per interpretare Loki, sono tornati dorati e formano dei piccoli riccioli vicino alle orecchie. Le sue labbra sono ferme in una linea dritta, severa. Probabilmente cattive notizie. Mi dispiace un po’, è così bello quando sorride. Ai lati dei suoi occhi compaiono queste piccole rughette e il suo naso si arriccia un po’. Mi fa tenerezza.
Sono ancora così, a guardarlo con gli occhi sognanti, che una vampata di calore improvviso mi avvisa che probabilmente sono diventata color ciliegia. Mi sta guardando. E’ straordinario come il corpo colga i segnali ancora prima del cervello ed è straordinario anche come il cervello non collabori completamente nella creazione di un diversivo per  distrarlo dalla faccia da pesce lesso che si è ritrovato a guardare.
Grazie al cielo, lo sguardo dura solo pochi secondi, poi si volta a chiudere la telefonata. Io ho il tempo di tornare a respirare e cercare di mantenermi lucida.
 
 
 
“Scusami per la telefonata. Non avrei voluto rispondere, ma era lavoro, quindi…”
“Figurati, non ti preoccupare. Davvero, non c’è problema. E’ normale che devi rispondere, ma ti pare?”
Ok, forse avrei potuto fermarmi dieci parole fa, ma lo sproloquio è una delle tecniche che utilizzo quando sono nel panico, come adesso. E’ come se mi stessi scavando la fossa da sola.
Se ci fosse Giovanni qui, non la smetterebbe di prendermi in giro. Non sono certo una persona a cui, almeno nella sua lingua madre, mancano spesso le parole.
Ricordo che, durante gli anni al liceo come compagni di banco, le professoresse tentavano in ogni modo di dividermi da lui, perché non la smettevo di parlare. Vincevano facile, perché non avevo confidenza praticamente con nessun altro in classe,dunque, quando riuscivano a cambiarci di posto, mi rifacevo nel pomeriggio, con buona pace del mio povero amico.
Forse dovrei mandargli un messaggio, ho davvero bisogno di una sua battuta sarcastica che mi faccia rilassare un po’.
Tom si passa la mano tra i capelli, sembra nervoso. Lo noto dalla tensione del suo collo, la posizione che hanno assunto le sue spalle, deve essere successo qualcosa. Non sopporto più di stare zitta, così, al diavolo le brutte figure, mi arrischio ad aprire finalmente bocca.
“E’ successo qualcosa? Sembri nervoso.”
“No, è solo che… Questa telefonata mi ha infastidito. Quando finalmente ho un ò di tempo libero, ricevo queste notizie e i miei piani vengono scombinati. Mi dispiace tediarti con questi discorsi, scusami ancora.”
Posso dire con certezza che Tom Hiddleston non è certo uno che lesina scuse. Mi fa tenerezza, sta cercando un modo carino per dirmi che deve andare via, ma gli dispiace troppo farlo, così lo anticipo io, facendogli un favore. Dopotutto, è così gentile che se lo merita davvero.
“Non preoccuparti, lo capisco se devi andare via. Dopotutto, non dovevamo fare niente di importante. Via tranquillo.” gli dico, sforzandomi di sorridere.
Mi sforzo si, perché anche se continuo a ripetermi che già aver avuto la possibilità di parlare con lui, tenergli la mano e vederlo recitare è stata un’opportunità grandiosa, un po’ mi dispiace che il nostro tempo insieme debba finire qui.
Tom fa un mezzo sorriso enigmatico, un misto tra "che gentile questa ragazza” e “ non hai capito proprio un cavolo” e io non so che pensare.
Ho sbagliato? Ho indovinato? Di base sono una persona che si fa mille problemi con la gente che non conosco, (difatti tendo ad evitare di conoscerla, quando posso, tranne casi rari come questo) ma questa  mio Dio, è l’uscita più stressante della mia vita.
“Ho un incontro improvviso con il mio publicist. Solo lui riesce a farmi innervosire così. Gli avevo detto che non volevo essere disturbato e lui…” Tom chiude gli occhi, come per cercare di ritrovare la calma. Poi continua: “Se vuoi… Puoi venire con me. Non dovrei metterci molto.”
Credo che i miei occhi si siano talmente sgranati da rischiare la fuoriuscita della pupilla. Tom non manca di notarlo e aggiunge: “Se vuoi, senza nessun impegno. Solo pensavo, così avremmo potuto continuare la nostra discussione.  Avevo proprio voglia di raccontarti la mia storia.”
Aveva proprio voglia di raccontarmi la sua storia? A me? Spacciatrice di biscotti/libraia con i capelli orrendi/ aspirante scrittrice? Credo di non aver immaginato una situazione più surreale neanche nelle stesure più fantasy che io abbia mai provato a scrivere. Il problema è che mentre mi dice questo, sembra così sincero, così vero.
O Dio, non lo so.
Wistrid probabilmente mi ucciderebbe se mai io dovessi dire di no, la stessa cosa Giovanni. Non posso deluderli… (che bel modo di autoconvincersi)
“Ok..” dico, quasi sussurrando. “Credo che vada bene per me, cioè si. Verrò con te.”
“Benissimo, almeno ci sarai tu a fermarmi dall’uccidere Luke.”
 
 
 
Credo sia arrivata la nostra fermata, perché Tom si alza e mi porge la mano per invitarmi  a fare lo stesso. Probabilmente non scoprirò mai la destinazione iniziale che aveva in mente, mi riservo di chiederlo in un momento di particolare coraggio, se mai ne avrò uno.
Ci troviamo dalle parti del Battersea Park, fuori ha iniziato a piovigginare e io, come al solito, ho dimenticato l’ombrello a casa. Una delle cose a cui è più difficile abituarmi da quando mi sono trasferita,  è proprio l’estrema mutevolezza meteorologica. Probabilmente non mi ci abituerò mai.
Percorriamo due isolati a piedi, poi arriviamo di fronte ad un palazzo molto moderno rispetto a tutti gli altri del quartiere, l’etichetta sul campanello recita “Prosper Pr London.” Siamo arrivati.
Tom suona il campanello due volte prima che qualcuno ci apra il portone. Non so cosa farò una volta entrata dentro, credo mi accuccerò in un angolo, fingendo di non esistere.
Appena arriviamo nella sala d’aspetto, mi rendo conto di quanto questo mi risulterà difficile. Nella stanza ci sono un sacco di persone. La metà di queste è costituita da ragazze con tubini neri, tacco 12, perfettamente truccate, in fondo ci sono anche numerosi uomini in completo elegante. E io per una volta vorrei aver ascoltato Giovanni, le innumerevoli volte in cui mi ha detto: “Comprati un cazzo di vestito, qualche volta. Potrebbe servirti”
Mi servirebbe proprio adesso quel cazzo di vestito, ma ormai non c’è niente che io possa fare.
Non passa neanche qualche secondo dalla nostra entrata, che tutti iniziano a riconoscere Tom.
“Come va, signor Hiddleston?” subito chiede una delle ragazze con il tubino.
“Bene, grazie Natalie. Luke è già qui?” chiede lui, con una nota di urgenza nella sua voce.
“Si, certo. La sta già aspettando nel suo ufficio.” risponde questa Natalie, con la voce tutta latte e miele.
Mi da la nausea, spero solo non trasparisca troppo dai miei occhi. Purtroppo sono una frana a nascondere ciò che provo.
Tom mi guarda per un secondo, poi distoglie lo sguardo.
Con passo deciso, inizia ad avviarsi verso l’ufficio di Luke, probabilmente dimenticandosi di me. Io non so che fare, così guardo  destra e a sinistra, alla ricerca di una sedia libera. Sto iniziando a non sopportare più gli sguardi dei presenti in sala che vorrebbero essere discreti, ma per me sono decisamente insistenti. Tom si ferma e si volta indietro, la sua faccia è piena di sorpresa.
“Angel, non vieni?” mi dice infatti.
Che faccio, non vado?
Le signorine con il tubino hanno ripreso a fare il loro lavoro, qualunque esso sia e gli uomini in completo continuano a parlottare tra loro, ogni tanto gettando un’occhiata nella mia direzione.
Vado, sì. Decisamente vado.
Lo sguardo inquisitore di una sola persona è sempre meglio di questo covo di pettegoli.
Mi affretto a raggiungere Tom e insieme varchiamo la soglia dell’ufficio di Luke. E’ una stanza ampia quasi quanto la sala d’aspetto, ma libera da tutta la confusione di quella, sembra  grande almeno quanto il mio monolocale. Si guadagna bene a fare il manager, ho sbagliato carriera.
“Luke…” dice Tom, e nel contempo sposta la sedia così che io mi possa sedere. Il publicist è di spalle, credo  si stia versando un drink.
“Tom, grazie al cielo sei qui. Mi dispiace per il poco preavviso, ma è una notizia….”
Le parole di Luke muoiono sulle sue labbra, non appena si gira verso di noi. Dire che la sorpresa nei suoi occhi è evidente sarebbe un eufemismo.
“E lei chi..”
Tom lo blocca con una mano e mi presenta.
“Lei è Angel, una mia amica.” sembra che i due stiano cercando di incenerirsi a vicenda con lo sguardo. Io mi sento morire, non sarei mai dovuta venire qui. Mai e poi mai.
“Puoi parlare di fronte a lei tranquillamente.”
Luke è visibilmente irritato, ma prova comunque a mascherarlo.
“Una tua amica? Ok. Non voglio sapere. Se garantisci per lei…”
Tom non gli da neanche il tempo di finire la frase.
“Ovvio che garantisco. Dimmi che succede, così posso andare via.”
Vogliosparirevogliosparirevogliosparire.
Luke incassa il colpo e continua.
“Ok. Hai ricevuto un’offerta molto interessante, Tom. Hai un po’ di tempo per pensarci. Diciamo che ti impegnerà qualche giorno a inizio Ottobre e qualcuno a Novembre. Da Febbraio inizieranno le riprese. ”
Tom si agita un po’ sulla sedia, di sicuro c’è qualcosa che non va. Io cerco di mantenere lo sguardo basso, evitando di incrociare sia il suo, che quello di Luke.
“So che a Dicembre inizierai con il Coriolanus, ma è un’occasione da non perdere. Puoi certo perdere due giorni di prove per andare a Toronto, di tanto in tanto.”
“Non mi hai ancora detto di cosa si tratta e già stai prenotando il mio volo? Sai quanto ci tengo al Coriolanus, non manderò tutto all’aria per una stupidaggine.”
“Si tratta di Guillermo del Toro. Ti vuole per il suo nuovo film. Crimson Peak. La Chastain e la Wasikowska sono già dentro. Sta cercando il protagonista maschile e vuole te.”
Credo mi sia scappato un urletto, anche se ho cercato di coprirmi la bocca con entrambe le mani.
Tom sembra sorpreso quanto e più di me. Mi guarda per un attimo e sorride, devo avere messo su una faccia assurda.
“Allora, che ne pensi? E’ abbastanza buono per te?” lo incalza Luke, ormai sa di averlo convinto.
Poi succede una cosa che mai mi sarei aspettata.
“Tu che ne pensi, Angel?”
“Io? Che ne penso?” Brutto cervello idiota, smettila di farmi  ripetere le stesse cose che detto lui. Mannaggia te!
“Si, credi sia una buona occasione?” La faccia di Luke in questo momento è tutta un programma, non credo sia abituato a vedere queste scene nel suo ufficio. Probabilmente Tom dovrebbe chiedere a lui se è una buona opportunità, non certo a me.
“Beh, io credo di si. Cioè, Guillermo del Toro è un ottimo regista…” cerco di dire.
Cervello, perché mi vengono in mente solo “Kung Fu Panda” e “Il Gatto con gli stivali” come film che ha diretto?
Poi credo tu debba innanzitutto leggere il copione e soprattutto chiedere a Luke. Io non sono certo la persona più preparata sull’argomento.”
Luke mi guarda per la prima volta negli occhi e colgo nei suoi un lampo di gratitudine. Forse adesso mi odia un po’ di meno. Una piccola conquista, visto il pessimo inizio.
 
 
 
Tom e Luke si scambiano un lungo e silenzioso sguardo, che nessuno dei due sembra voler interrompere. Luke è il primo a cedere.
“Allora? Vuoi dirmi qualcosa? Mi stai facendo diventare matto! Capisco che ti ho fatto incazzare perché avevi un appuntamento, ma parla, dimmi qualcosa!”
Un appuntamento? Cioè, Tom l’ha detto al suo publicist? Non so più nemmeno che faccia fare, che cosa pensare, sono  sconvolta.
Tom inizia a sghignazzare.
“Ok, ok. Te l’ho fatta pagare abbastanza” dice fra le risate. “Fammi avere il copione, gli darò un’occhiata e poi decideremo insieme. Ok?”
“Oh, finalmente.” sospira Luke. “Ti mando il copione per e-mail, non ti trattengo oltre. Esci da qui  e continua in pace il tuo appuntamento.
Simpatico il fatto che parli di me come se non fossi nella stanza, ma è carino da parte sua il fatto che si preoccupi che io non gli svenga nell’ufficio.
Si alzano insieme e di scatto mi alzo anche io.
“Non chiamarmi prima di domani mattina. Sei avvisato.” gli dice Tom, strizzandogli l’occhio.
 
 
Tom è già uscito e io sono quasi arrivata davanti alla porta, quando Luke mi raggiunge.
“Mi dispiace per prima, Angel. Mi ha colto alla sprovvista, non sapevo avrebbe portato qualcuno, non l’ha mai fatto. E’ solo che sono notizie riservate, non deve uscire niente da questa stanza. Scusami se ho fatto un po’ lo stronzo.”
“Non preoccuparti, è del tutto comprensibile. Non ho intenzione di parlarne con nessuno, tranquillo. Mi chiamo Angela, comunque. Tom continua a chiamarmi Angel…”  “Forse non dovrei lasciarglielo fare”  aggiungo poi, nella mia mente.
“Ok, Angela. Amici?” mi dice porgendomi la mano.
“Amici” rispondo io, stringendo la sua. Luke mi tira leggermente verso di se e mi dice all’orecchio: “Credo tu gli piaccia.”
Io resto di sasso ed esco dalla stanza il più velocemente possibile. Tom è così vicino alla porta che finisco per sbattergli contro, per la seconda volta in un giorno. Spero solo non abbia sentito quello che ha detto Luke.
“Siamo finalmente liberi,  che ne dici di mangiare qualcosa?” mi dice Tom, sorridendo del mio imbarazzo dopo lo scontro.
Annuisco e abbasso lo sguardo, ho bisogno di aria.
Una tizia con il tubino ci insegue per aprirci la porta. Credo sia la Natalie di prima.
“Arrivederci, signor Hiddleston.” dice poi con la sua vocetta stridula.
Si, è lei. Lui si limita a fare un cenno con la mano, decisamente strano per uno per cui ringraziamenti, saluti e scuse non sono mai abbastanza.
Credo abbia visto la sorpresa nei miei occhi, perché mi dice: “Non credo ti stia tanto simpatica Natalie. Era scritto nei tuoi occhi, prima.”
Si, questo è decisamente l’appuntamento emotivamente più impegnativo che io abbia mai avuto.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Otherside ***


POV TOM.
 
 
Quando ho ricevuto la telefonata di Luke, ho giurato a me stesso che gliel’avrei fatta pagare. Ero stato chiaro durante la nostra conversazione della sera prima, ma evidentemente non abbastanza.
“Domani non mi disturbare per niente al mondo. Ok?”
“Cos’è, hai un appuntamento?”
“Ho da fare, ti basta sapere questo. Non chiamarmi.”
“E come si chiama lei?”
Siamo andati avanti così per un’altra ora, bevendo scotch e insultandoci amichevolmente.
Adesso che conosco il motivo della sua insistenza, non posso più avercela con lui. E’ un’occasione d’oro per me. Adoro Jessica e ancora di più Mia e non vedo l’ora di rivederle. Se dovessi accettare, so che saranno mesi bellissimi quelli che passeremo insieme, anche se sarò lontano da Londra, da casa mia.
Probabilmente non ne sapranno niente neanche loro, mi avrebbero scritto altrimenti.
Devo leggere il copione al più presto… Sono così curioso. E se questo progetto mi portasse via troppo tempo? E se dovesse interferire con il Coriolanus? Devo pensarci bene. Domani tornerò da Luke per uno dei nostri infiniti incontri e ne verremo a capo insieme, come sempre, anche se dovrò sorbirmi il terzo grado su Angela.
Sorrido. Forse non mi dispiace, dopotutto.
Adesso basta pensarci però, ho altro da fare. Adesso c’è lei con me e si aspetta di sentire una storia da me.
 
Abbiamo attraversato i due isolati che ci separavano dalla metro in silenzio, ognuno perso dentro se stesso.
“Dove vuoi mangiare?” le chiedo. Mi viene facile parlare con lei, la sua timidezza mi solletica il cuore.
Non risponde subito, è ancora persa nei suoi pensieri, dove mi è capitato di ritrovarla spesso nel poco tempo che abbiamo passato insieme. Chissà che mondo complicato e intricato deve aver creato per sé, nella sua immaginazione. Lo si vede dagli occhi che è una ragazza che sogna.
Forse Luke le ha detto qualcosa quando ho lasciato la stanza, oltre alle scuse, appositamente scandite a voce alta per farsi sentire da me e scaricarsi la coscienza. Oppure si sente ancora in imbarazzo per quegli uomini poco gentili che non hanno fatto altro che squadrarla per tutto il tempo, in sala d’attesa.
E’ una ragazza fragile, anche un soffio di vento potrebbe spezzarla.
Mi devo scusare.
Angela sta come scuotendo via dalla sua mente un pensiero e sta per rispondermi, ma il mio telefono squilla di nuovo. Chiudo gli occhi e prendo un respiro. Se è di nuovo Luke io..
E’ Luke, un messaggio. Ma cosa c’è che non va in lui? Non riesce proprio a tenere lontane le sue manacce dal telefono? Non può lasciarmi in pace un pomeriggio?
Vorrei tanto non leggerlo, ma lo faccio. Potrebbe essere importante.
“Un paparazzo ti ha visto uscire dal teatro mano nella mano con la tua AMICA Angela. Ti ha seguito fino qui. Che cazzo fai Tom? Chiamami subito.”
 
 
 
POV ANGELA
 
 
Tom mi ha chiesto qualcosa, ma persa nel flusso dei miei pensieri com’ero, me la sono persa e ora farò l’ennesima brutta figura. Cosa c’è di sbagliato in me? Non posso staccare per un momento e concentrarmi sul qui e adesso? Cervello, sei sempre il solito sfaticato.
Scuoto la testa e mi volto a guardare Tom. Mio malgrado, come una vecchietta con problemi all’udito, dovrò chiedergli di ripetere cos’ha detto.
Sto quasi per aprire la bocca, ma mi blocco. Il suo telefono squilla, di nuovo.
Se qualcuno, nei piani alti, ha qualcosa da dire contro questo “appuntamento”, lo dica chiaramente e la smetta di usare il telefono.
Tom mi guarda con una faccia colpevole, quasi non vorrebbe controllare chi è, ma poi lo fa. Dopotutto, potrebbe essere importante.
Continuo a guardarlo si sottecchi, cercando di memorizzare le sue espressioni, ma poi, all’improvviso sbianca. Deve essere successo qualcosa di brutto davvero, questa volta. Quasi ho paura di sapere cosa.
 
 
 
 
POV TOM
 
 
Scrivo velocemente a Luke di stare tranquillo e stacco il telefono. Cerco di mantenere la calma, ma non credo di riuscirci, visto che lo sguardo di Angel si sta facendo preoccupato. Forse non dovrei dirle niente e disdire semplicemente. Non voglio metterla in imbarazzo, non voglio che domani mattina si ritrovi sulle maggiori testate giornalistiche additata come quella che non è. I paparazzi sanno essere davvero cattivi con chiunque mi stia intorno, questo l’ho imparato ormai. Lei è così dolce, gentile. Non si merita questo, nessuno lo merita. Ma no, non me la sento di mentirle, non se merita neanche questo. Lei è la ragazza dei biscotti, con l’accento italiano, che vuole scrivere un libro e l’ha detto a me, al buio in un teatro, con estrema sincerità e semplicità. Glielo devo.
 
 
 
 
POV ANGELA
 
 
Tom sembra stia ingoiando un rospo, tanto è sofferente la sua faccia. Sto iniziando a preoccuparmi, che cosa mai è potuto succedere? Cerco di frenare la mia immaginazione che, altrimenti, galopperebbe fra gli scenari di distruzione più impensabili. Così, prendendo il coraggio a due mani, decido di chiederglielo e basta.
“Cos’è successo?
“Era Luke. Mi ha detto che qualcuno della stampa ci ha visti uscire dal teatro mano nella mano e poi entrare insieme all’agenzia.”
 
In Italia, siamo soliti esclamare “che culo” quando qualcosa di simile ci succede, ma, siamo onesti, una cosa così non ci succede mai, dunque un “che culo” mi sembra riduttivo. Non ci posso credere.
La mia faccia potrebbe finire su un qualche tabloid perché, per una volta, mi sono goduta il momento senza pensarci troppo. E sarebbe poco, rispetto a quello che toccherebbe a Tom. Devo andare a casa. Devo farlo subito. Non voglio che per colpa mia, debba affrontare tutto quello che potrebbe seguire ad un titolo sbagliato di uno stupido giornalista a caccia di scoop.
Tom è agitato anche se cerca di mascherarlo come meglio può. Si sta torturando le mani e uno strano istinto mi spinge a volerle stringere tra le mie, ma mi fermo. Qualcuno potrebbe essere proprio lì, con una fotocamera, per catturarne il momento.
Faccio un bel respiro e prendo il mio ombrello dalla borsa, che per la prima volta ho ricordato di portare con me e lo porgo a Tom.
Lui mi guarda un po’ stranito, starà pensando che sono strana davvero, ma lo prende comunque.
Sono felice del tempo passato insieme…” inizio a dire, a bassa voce.
Non voglio che nessuno senta e non ho neanche la forza per essere più incisiva. Ogni parola mi costa parecchio e la cosa mi turba.
“Ti ringrazio per i biscotti e per avermi ascoltata quando ho iniziato a raccontarti la mia vita al teatro. Per avermi portata con te da Luke, nonostante fosse ovvio che non sarei mai dovuta essere lì e per essere stato così gentile con me. Non preoccuparti per il tuo segreto. E’ al sicuro con me.” faccio una pausa per prendere fiato e coraggio, poi continuo.
“Non voglio essere un problema per te. Sono una ragazza abbastanza anonima, non ti preoccupare per me, non troveranno niente da usare contro di te. Non sanno nemmeno il mio nome e stai sicuro che nessuno mi conosce in città, a parte Giovanni e la mia datrice di lavoro. Salutiamoci qui e prendiamo strade diverse. Seguiranno me, non te. Andrò a casa di Giovanni per qualche giorno.”
Ecco, ce l’ho fatta, più o meno. La mia voce ha tremato per tutto il tempo, ma ho fatto del mio meglio.
Tom non dice niente, ha ancora con l’ombrello in mano e mi guarda fisso negli occhi. Non riesco a sostenere quello sguardo.
“Dimenticavo. L’ombrello è per nasconderti.” aggiungo per toglierlo dall’impasse e distolgo lo sguardo.
 
 
 
POV TOM
 
 
Sono rimasto qui, con un ombrello in mano, incapace di dire alcunché, lasciando ad Angela tutto il lavoro sporco. Ha agito come Luke mi avrebbe sicuramente suggerito di fare durante la telefonata che non ho mai fatto. A questo punto, sempre seguendo questa scia di buon senso, mi potrei anche limitare a dire “Ok” e tutto finirebbe bene, più o meno velocemente. I pettegolezzi si spegnerebbero ancor prima di venire a galla, solo poca polvere a cui nessuno da troppa importanza. Non avrei alcun fastidio, io. Mi lascerebbero in pace e Luke dormirebbe sogni tranquilli, senza dover rispondere a cento telefonate al minuto in cui tutti aspirano a conoscere un pezzetto della mia vita privata. Sono tentato dal farlo, dal fare quella che comunemente viene definita la cosa “giusta”, ma poi la guardo negli occhi e capisco perché  tutto questo mi sembra così sbagliato.
Angela è qui, con me ed è così vera. Mi ha offerto una soluzione che le renderebbe la vita un inferno, braccata a vista, la sua privacy  invasa, per essere lasciata in pace solo quando i paparazzi si sarebbero resi conto di non avere nulla in mano, infondo.
Lei, con i suoi sogni, le sue debolezze ma anche la sua forza, che mi ha mostrato adesso, quando io non sono stato capace di dire niente, se non esporre i fatti. Eppure c’è paura in lei e sofferenza malcelata che mi spinge a volerla conoscere, a volerla vedere sorridere.
 
 
 
POV ANGELA
 
 
Sto per girare i tacchi e andare via, quando…
“Angel...”
Il mio cuore salta un battito, come se mi fossi catapultata in uno di quei libri che tanto amo, in cui il protagonista ferma la sua amata dall’andare via, quando tutto sembra perduto. Vorrei credere sia così. Ma io non sono né l’amata di nessuno, né la protagonista di un libro. Sono solo una ragazza che ha avuto fortuna ad incontrare uno dei suoi idoli, di conoscerlo un po’ e di vivere un po’ di felicità, ma che adesso ha bisogno di tornare alla realtà, adesso che è ancora in tempo. Così continuo a camminare.
“Angel, aspetta.” mi chiama di nuovo, quasi sussurrando e anche se il mio cervello mi dice di andare via, qualcosa di più forte mi blocca il passo e mi costringe a fermarmi ad ascoltare cosa ha da dire.
 
 
 
POV TOM
 
 
“Adesso chiamo Luke, sistemerà tutto. Non preoccuparti. Potremmo andare a casa mia, ma di sicuro ci sarà già  qualcuno ad aspettarmi, sarebbe così ovvio.”
Mi rendo conto di parlare a macchinetta, con il telefono all’orecchio. Sorrido per tranquillizzarla, probabilmente è confusa su cosa stia succedendo. Passa qualche minuto e finalmente Luke risponde.
“Dove cazzo sei?” mi dice, senza preamboli e non è certo una sorpresa.
“Sono ancora nei paraggi. Cos’è venuto fuori?”
“Perché hai staccato il telefono? Sei impazzito o cosa?” Luke è fuori di sé, devo cercare di farlo ragionare.
“Dimmi cosa devo fare.” gli dico, cercando di riportare la sua attenzione al problema più urgente.
“Non puoi tornare a casa. Ci sono troppi giornalisti. Dammi l’indirizzo e ti mando una macchina. Fai andare lei a piedi…”
“Ma…” cerco di controbattere, ma lui mi blocca sul nascere.
“Niente ma, Tom. Non voglio sentire una parola, ascolta e basta. Sai cosa ti dico solitamente in questi casi e, che Dio mi perdoni, non ti sto chiedendo di farlo adesso, ma devi ascoltarmi. Ok?”
“Ok, grazie.” e gli sono grato davvero. Solitamente mi direbbe cacciala via e digli di dimenticarsi della tua esistenza. L’agenza, in un secondo tempo, l’avrebbe spacciata come una qualche cugina, venuta in visita a Londra, mettendo a tacere ogni pettegolezzo.
“Chiedile se può darti un indirizzo sicuro in cui andare.”
Metto Luke in attesa e, in imbarazzo come poche volte, le chiedo: “C’è qualche posto in cui potremmo andare?”
Lei ha come un guizzo improvviso negli occhi. Prende di corsa il telefono e invia un messaggio.
“Se vuoi possiamo andare da un’amica.”
 
 
 
POV ANGELA
 
 
La telefonata a Luke mi ha spiazzata, ma ancor più la richiesta di Tom.
“C’è qualche posto in cui potremmo andare?”
Era così in imbarazzo, mi ha fatto tenerezza.
Non ho dato al mio cervello i tempo di controbattere e ho agito d’impulso. Ho inviato un messaggio veloce a Wistrid per avvertirla.
Andremo in libreria.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3242516