Into The Scorch

di lostinpercyseyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Residenza ***
Capitolo 2: *** L'Uomo Ratto ***
Capitolo 3: *** Il Tatuaggio ***
Capitolo 4: *** Il Pass Verticale ***
Capitolo 5: *** La Botola ***
Capitolo 6: *** La Zona Bruciata ***
Capitolo 7: *** Gli Spaccati ***
Capitolo 8: *** Incontro Inaspettato ***
Capitolo 9: *** Agonia ***
Capitolo 10: *** Nubi ***
Capitolo 11: *** La Tempesta ***



Capitolo 1
*** La Residenza ***


Paura, un paura attanagliante e opprimente mi investì.
Strinsi il corpo caldo e familiare di mia madre, singhiozzando contro la sua spalla, spaventata all'idea di separarmi da lei. Ci eravamo preparate a questo momento, ma mentre cercavamo di farci strada tra la folla di persone deliranti mi sentii raggelare. Mi concentrai sulla sua mano, che mi stava accarezzando la schiena per tranquillizzarmi senza successo.
Quando giungemmo davanti alle griglie e alle innumerevoli guardie, mi mise per terra. La donna davanti a me, mia madre, si inginocchiò e posò le sue mani sulle mie spalle. Mi guardò con i suoi grandi occhi azzurri, i miei occhi, che adesso erano velati di lacrime. 
-Ti voglio bene, Anna. Ricordati che ti voglio bene.- Fu l'ultima cosa che mi disse prima che una delle guardie mi prendesse da sotto le ascelle e mi portasse via, lontano da lei.
-Mamma!- urlai invano, tendendo una mano verso di lei ed afferrando l'aria. Continuai a strillare senza sosta, finché i miei polmoni non ce la fecero più.
Poi, tutto cambiò. Una nebbia invase la mia mente per poi dissolversi nel nulla, facendomi ritrovare in un posto dove ero certa di non ricordare di essere stata. 
Ero seduta, ma avvertii che mi stavo muovendo. Mi guardai intorno e vidi altri ragazzi, tutti maschi, che dovevano avere all'incirca la mia età, otto anni. Seduta davanti a me, però, c'era una donna bionda e vestita di bianco che mi guardava e sorrideva in modo rassicurante, nonostante l'aria tetra che si respirava in quella che doveva essere una carrozza di un treno ad alta velocità. Gli altri mi guardavano; tra la folla notai un bambino dai capelli biondi, ma non come quelli della donna, era un biondo più scuro e naturale. Ci guardammo per un istante, poi abbassai gli occhi imbarazzata.
-Anna.- mi chiamò la donna, ottenendo così  la mia attenzione. -Va tutto bene.- continuò a sorridermi. 
Dopo le sue parole mi balenarono in testa molteplici immagini: un computer, degli schemi, il Labirinto, la Radura, il codice, la fuga, Chuck, Newt, Minho, Thomas, Wes, tutto quel sangue... 
Cambiò di nuovo, la nebbia mi portò in una piccola stanza di metallo che saliva velocemente verso l'alto: la Scatola. Alzai la testa e vidi il soffitto avvicinarsi in fretta. Troppo in fretta. Gridai a squarciagola, più forte che potei, finché prima di essere schiacciata tutto si fece buio.
Da un angolo remoto della mia mente sentii una voce chiamarmi. Cercai di concentrarmi su di essa, aggrappandomi a quella piccola luce che illuminava le tenebre...
-Anna, sveglia! Dobbiamo andare!- aprii gli occhi di scatto, ritrovandomi di fronte la faccia di Minho. Mi alzai in fretta e mi guardai attorno, notando che l'elicottero si era completamente svuotato; mi diressi verso l'uscita della piccola struttura di metallo inciampando più volte, dove Newt mi aspettava per aiutarmi a scendere. 
-Forza, forza, forza!- ci incitò uno degli uomini armati, brandendo il suo fucile contro l'oscurità della notte. -Potrebbero arrivare da un momento all'altro!- lo sentii dire ad un altro uomo, anch'esso munito di fucile.
I due ci scortarono lungo un sentiero illuminato da lampioni, guidandoci verso l'imponente edificio che si trovava di fronte a noi, e, notai, l'unico presente per chilometri di deserto. 
Quando arrivammo ad una grande entrata quadrata, gli uomini ci spinsero dentro e si voltarono verso l'esterno, continuando a tenere sotto tiro il nemico, presente o meno che fosse, fino a quando il portellone non si fu chiuso con un sonoro tonfo. 
Mi voltai verso l'interno e rimasi a bocca aperta: davanti a noi, in uno spazio enorme e pieno di gente che faceva avanti e indietro, si trovavano file e file di scatole. Osservai tutto con un silenzioso senso di stupore distante. Ormai non c'era più niente che potesse stupirmi o sopraffarmi di nuovo. 
Avevo difficoltà a provare gioia, come se facendolo avrei potuto tradire Chuck. Ma da qualche parte c'era qualcosa. Qualcosa.
Le guardie ci lasciarono nelle mani del personale, nove o dieci uomini e donne che indossavano pantaloni neri stirati e camicie bianche, i capelli impeccabili, i visi e le mani ben puliti. Erano tutti sorridenti. 
Percepii una felicità impossibile che cercava di erompere dentro di me. Tuttavia, vi si nascondeva un enorme abisso, una cupa depressione che forse non mi avrebbe mai abbandonato: il ricordo di Chuck e del suo brutale assassinio. Del suo sacrificio. Ma nonostante questo, nonostante tutto, per la prima volta da quando ero uscita dalla Scatola mi sentii al sicuro. 
Fummo condotti in una stanza completamente buia; quando entrammo richiusero immediatamente la porta, facendo scattare la serratura. Rimasi a fissare il debole bagliore proveniente dal piccolo rettangolo di vetro incastonato nell'entrata, battendo inutilmente i pugni sul freddo metallo. 
Poi, si accese una luce, seguita da un'altra e un'altra ancora. Mi voltai lentamente, notando che tutti i Radurai stavano fissando, increduli, un punto fisso al centro della stanza. Mi feci strada tra i ragazzi, finché arrivata in prima fila non lo vidi. Un tavolo pieno zeppo di cibo si trovava di fronte a noi: pollo, verdure, riso, acqua e molto altro. 
-Io voglio una coscia!- urlò Frypan, dirigendosi di corsa verso il banchetto. In pochi secondi gli fummo dietro; presi tutto quello che le mie mani potevano tenere ed iniziai a mangiare. Continuai ad ingurgitare cibo senza neanche sentirne il sapore. Non mi ero resa conto di quanti avessi fame fino a questo momento.
-È molto meglio di quelle porcherie che preparava Frypan!- disse Winston a bocca piena. Dal gruppo si levarono varie risate, qualcuno tirò del cibo e ben presto altri seguirono il suo esempio. Iniziò una vera e propria battaglia a suon di riso e patate. Riuscii finalmente a rilassarmi e a divertirmi, malgrado il corpo di Chuck marchiato nel cervello. Tirai qualche carota in faccia a Newt, mentre addentava un grosso pezzo di pollo dorato; rise e mi tirò un po' di piselli verdi in grembo. 
Finito di cenare, tornarono le guardie e ci scortarono in un enorme dormitorio con una serie di letti a castello allineati lungo una parete. Dal lato opposto c'erano cassettiere e scrivanie. L'assenza di finestre mi insinuò dei dubbi, ma cercai di scacciarli velocemente. 
-Al momento non abbiamo camere libere, perciò dovrai dormire con gli altri ragazzi.- mi disse una donna dai lunghi capelli neri. 
-Non c'è problema.- la rassicurai. A dire il vero, ero felice di non dovermi separare da loro, così saremmo rimasti tutti insieme.
Prima di andarsene, un'uomo parlò rivolgendosi a tutti i presenti. -Per stanotte riposatevi, domani potrete ripulirvi e cambiarvi. Poi, verrano a farvi il giro turistico della struttura e a spiegarvi come il mondo è cambiato negli ultimi anni.- detto questo si congedò.
Ritornai ad ammirare la stanza. Era coloratissima. Muri color giallo acceso, coperte rosse, tende verdi. Dopo il grigiore smorto della Radura, era come essere trasportati in un arcobaleno vivente. La vista di quell'insieme di cose, i letti, le cassettiere, tutto fresco e pronto all'uso, trasmetteva un senso di normalità quasi opprimente. Troppo bello per essere vero. Minho espresse questa sensazione al meglio: -Caspio, sono morto e sono finito in paradiso.- si fece strada tra i letti.
-Io dormo di sopra.- disse Frypan.
-Troppo lento.- disse Minho, che con un agile balzo, si era già accomodato.
Finii per dividere il letto a castello con l'ex Intendente dei Velocisti, prendendo posto sotto. Accanto a noi c'erano Newt e Thomas. Il biondo approfittò della vicinanza e venne a farmi compagnia; ci ritrovammo stesi sul mio letto, l'uno nelle braccia dell'altro.
-Hai i piedi freddi.- mi disse intrecciando le nostre gambe.
-Stupido.- gli tirai un piccolo calcio sul polpaccio.
-Se con 'stupido' intendi 'amore della mia vita e persona più intelligente e bella del pianeta' allora sì, sono stupido.- mi diede un bacio sulla fronte. Cercammo di ridere sottovoce per non dar fastidio agli altri Radurai. 
Mentre ci coccolavamo sul materasso morbido, fummo interrotti.
-Ehi, Anna.- disse Minho da sopra.
-Sì?- ero tanto concentrata sulle stupide battute del ragazzo che mi stringeva, che udii a malapena. Cercai di prestare attenzione, ma era difficile con Newt che non la smetteva di lasciarmi baci sul collo.
-Cosa pensi sia successo ai Radurai che sono rimasti indietro?- il sorriso sul volto di Newt si spense per qualche istante.
Non ci avevo pensato. La mia mente era stata occupata da Chuck. -Non lo so. Ma considerando quanti di noi sono morti venendo qui, non vorrei essere una di loro, adesso. Probabilmente ci sono Dolenti che li attaccano da ogni parte.- Non riuscivo a credere con quanta noncuranza lo stessi dicendo.
-Credi che con questa gente siamo al sicuro?- chiese Minho.
Riflettei per un istante sulla domanda. C'era solo una risposta a cui dovevamo aggrapparci. -Sì, credo che siamo al sicuro.-
Minho disse qualcos'altro, ma non sentii. Con la stanchezza che mi consumava, lasciai vagare la mente fino a ripensare al breve periodo trascorso nel Labirinto, ai giorni passati a fare la Velocista, a quanto avevo desiderato farlo. Sembrava che tutto fosse accaduto cent'anni prima. Come un sogno.
Nella stanza si udiva qualche mormorio, ma mi sembravano suoni di un altro mondo. Fissai il volto rilassato di Newt che mi sorrideva, sentendo arrivare il sonno. Ma volevo parlare con lui e lo respinsi. Ci guardammo negli occhi e ci fu una lunga pausa. 
-Mi dispiace tantissimo per Chuck.- disse infine.
Provai una fitta acuta e chiusi gli occhi, sprofondando ancora di più nella tristezza della notte. -A volte era irritantissimo.- dissi. Mi fermai un attimo, pensando alla notte in cui Chuck aveva spaventato a morte Wes, in bagno. -Però fa male. Mi sento come se avessi perso un fratello.-
-Lo so.-
-Gli avevo promesso...-
-Basta, Anna.-
-Cosa?- Volevo che Newt mi facesse sentire meglio, che dicesse qualcosa di magico per scacciare il dolore.
-Basta con questa storia della promessa. La metà di noi ce l'ha fatta. Se fossimo rimasti nel Labirinto, saremmo morti tutti.-
-Ma Chuck non ce l'ha fatta.- risposi. Il senso di colpa mi tormentava. 
-È morto per salvarti.- disse il biondo. -Lo ha scelto lui. Però non rendere inutile il suo gesto.- sentii le lacrime gonfiarsi sotto le palpebre. Una riuscì a sfuggire e gocciolò giù dalla tempia destra, fin nei capello.
Newt allungò una mano e mi asciugò la guancia, sorridendo per rassicurarmi. 
-Mi dispiace tantissimo per Alby.- gli dissi ripetendo le sue parole, ripensando al fatto che anche lui aveva perso un'amico, un compagno ed un fratello.
-Lo so.- continuò a sorridermi e ad accarezzarmi il volto. 
-Mi chiedo come sarà domani.- dissi nel dormiveglia.
-Lo scopriremo tra qualche ora.- mi mise una ciocca dietro l'orecchio.
-Già. Buonanotte.- Avrei voluto dire di più, molto di più. Ma non riuscii a dire nulla.
-Buonanotte.- disse lui, proprio mentre si spegnevano le luci.

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Capitolo 2
*** L'Uomo Ratto ***


Ero a letto con le coperte tirate su fino al mento. Vicino a me c'era una donna, seduta con le mani incrociate sul grembo. Aveva capelli castani, lunghi, e un viso che mostrava i primi segni dell'età. I suoi grandi occhi azzurri erano tristi. Li vidi, anche se la donna si stava sforzando di nasconderli con un sorriso.
Volevo dirle delle cose, farle delle domande. Ma non ci riuscii. Cominciò a parlare, un tono al tempo stesso dolce e duro che mi preoccupò.
-Non so perché ti abbiano scelto, ma una cosa la so. In qualche modo sei speciale. Non dimenticartelo mai. E non dimenticare mai quanto...- si interruppe a causa di un singhiozzo. Le lacrime le scorrevano sul volto. -Non dimenticare mai quanto ti voglio bene.- questa frase mi ricordò qualcosa.
-Diventerai pazza come tutte quelle persone alla tv, mamma? Come... Papà?- le chiesi.
La donna mi si avvicinò e mi passò le dita tra i capelli. Donna? No, non potevo chiamarla così. Questa era mia madre. La mia... Mamma.
-Non ti preoccupare, tesoro.- disse. -Tu non sarai qui per vederlo.- 
Il suo sorriso svanì.
Anna, sveglia. Siete in pericolo.
Mi raggomitolai, sistemandomi meglio tra le braccia di Newt, inspirando il suo profumo.
Anna, sveglia! Non fidarti di loro!
La sua voce sembrava così lontana, come se avesse parlato da un lungo tunnel. 
Anna!
Il ragazzo stava gridando. Un rumore acuto che mi martellava la testa. Ebbi il primo brivido di paura, ma era più simile a un sogno. Riuscivo solo a dormire. Mi rilassai di nuovo, sprofondando nel sonno. 
-Ehi.- un sussurro lontano. -Devi svegliarti.- qualcuno mi stava scuotendo dolcemente. 
Aprii gli occhi e vidi una mano, dita lunghe e sottili. Feci risalire lo sguardo lungo il braccio, fino a trovare il volto sorridente di Newt a pochi centimetri dal mio. -Buongiorno, bella addormentata.- il suo tono era basso, rilassato, riposato. 
-Buongiorno.- dissi sbadigliando e stiracchiandomi sopra di lui. Mi tirai su e vidi che i Radurai erano già in piedi, pronti ad affrontare un nuovo giorno.
Non feci in tempo a chiedere a Newt che ore fossero, che nella stanza riecheggiò lo scatto di una serratura. Calò il silenzio. Allungai il collo e vidi entrare un uomo dai capelli neri e radi pettinati sulla testa pallida, il naso era lungo, leggermente storto verso destra, e occhi castani. Sembrava rilassato e nervoso allo stesso tempo. E il completo bianco. Pantaloni, camicia, cappotto. Calze, scarpe. Tutto bianco, ad eccezione della giacca nera.
-Salve ragazzi.- disse l'uomo, con una voce nasale che si abbinava perfettamente alla carnagione pallida, i capelli radi e il corpo smilzo. E con il vestito. Quello stupido vestito bianco. 
-Chi è l'Uomo Ratto?- ci chiese Minho, che con un salto era atterrato sul pavimento.
-Sono qui per dirvi quello che ho... Ricevuto istruzioni di dirvi. E spero che ascolterete con attenzione, ma prima vi porto a fare una doccia e a cambiarvi. Mi dispiace dirlo, ma puzzate.- cercò di scherzare l'uomo.
Ci fece strada attraverso molti corridoi poco illuminati, finché non arrivammo davanti a due porte. L'Uomo Ratto, come l'aveva chiamato Minho, indicò quella alla sua destra. -Per i ragazzi, i bagni sono qui.- poi indicò quella alla sua sinistra. -Per le ragazze, di qua.- mi guardò in modo strano. -Avete circa mezz'ora. Quando avrete finito, aspettate qui. Verrò a riprendervi.- ci fece un cenno con la testa e si congedò. Mi separai dagli altri, aprendo lentamente la porta e ritrovandomi in una grande stanza fornita di panche di legno, ganci appendiabiti in plastica e tutto l'occorrente per un bagno di lusso.
Mi spogliai, lasciando i vestiti su una panca, e mi sbrigai a raggiungere le docce. Quando sentii l'acqua scorrermi sul viso e lungo il corpo, fui grata di potermi finalmente dare una pulita. Evitai di guardare quell'alone rosso che scompariva insieme all'acqua nelle tubature. 
Mettendo da parte le preoccupazioni, mi dedicai a recuperare un aspetto umano. Esaminai le braccia e le gambe, il ventre e i fianchi, scoprendoli pieni di chiazze violacee. Dopo essermi lavata dalla testa ai piedi almeno cinque volte, mi sentii rinata. Mi avvolsi in fretta nell'asciugamano e uscii, sorpresa nel trovare nuovi vestiti al posto dei vecchi. 
Una maglietta bianca e dei jeans. Scarpe da ginnastica proprio come quelle che portavo nel Labirinto. Calzini puliti, morbidi. 
Mentre finivo di abbottonarmi i pantaloni, notai che davanti a me si trovava una figura; mi avvicinai, stranita e confusa. Anche lei si avvicinò. 
-Chi s...?- le parole mi morirono in gola. Corsi verso di lei, finché non appoggiai le mani sulla parete. 
Non era un'estrania, era uno specchio: quella ero io. Mi toccai le guance, i capelli, le profonde occhiaie che avevo. Ogni movimento veniva riprodotto alla perfezione. Ero proprio come mi aveva descritta Chuck, quella volta, quando ancora era con me. Mi impressi nella testa questo volto tanto familiare quanto estraneo, così da non dimenticarlo più.
Rimasi fuori dalla porta del bagno, appoggiata alla parete, con le braccia incrociate, ad aspettare l'Uomo Ratto insieme agli altri. I Radurai, ora lindi e puliti, sembravano molto più riposati e giovani, con i volti rilassati. Newt, i cui capelli si erano schiariti notevolmente, indossava anche lui un paio di jeans e una maglietta azzurra. 
Smettemmo di parlare quando sentimmo dei passi, poi vedemmo la sagoma bianca da roditore svoltare l'angolo. 
-Beh, così è tutta un'altra cosa.- commentò, incurvando gli angoli della bocca in un sorriso che sembrava impacciato. -Adesso torniamo tutti al dormitorio, così potremmo parlare con calma.-
Mezz'ora dopo, ero seduta sul pavimento della stanza che ci aveva ospitato per la notte con il resto dei Radurai, Minho alla mia destra e Newt alla mia sinistra, tutti rivolti verso la porta e verso lo sconosciuto. 
Minho fu il primo a rompere il silenzio. -Ce ne stiamo qui ad aspettare il discorso dell'Uomo Ratto, come se fossimo in una specie di scuola.-
-Datti una calmata e ascolta.- disse Newt. -Magari è tutto finito.-
-Sì, come no.- replicò. -E Frypan avrà dei bambini, Winston si sbarazzerà di quella mostruosa acne, Thomas sorriderà davvero per una volta e tu riuscirai finalmente a baciare Anna.-
Presi il mento di Newt tra il pollice e l'indice e avvicinai il suo volto al mio, lasciandogli un piccolo bacio all'angolo della bocca, poi mi voltai verso Minho e gli sorrisi. -Ecco, contento?- 
-Non è questo che intendevo.- rispose. -Sei proprio una brutta pive.-
-Se lo dici tu.-
-Chiudete quelle fogne.- sussurrò Newt. -Credo di non stare bene...- si portò una mano al petto e sorrise come un idiota.
-Non era un bacio.- commentò Thomas da dietro, facendomi roteare gli occhi al cielo. -E io sorrido sempre.- aggiunse facendo quello che era più simile ad una smorfia che a un sorriso.
-Il mondo esterno è molto cambiato.- disse l'Uomo Ratto con la sua voce nasale, richiamando la nostra attenzione. -Io rappresento un gruppo che si chiama C.A.T.T.I.V.O....- non riuscì a finire che Minho si era già alzato in piedi. 
-Quindi siete ancora voi!- gli urlò contro avvicinandosi, ma a solo tre metri dalla porta sbatté contro un muro invisibile. Prima il naso, colpendo quello che sembrava una fredda lastra di vetro. Poi il resto del corpo seguì a ruota, andando addosso al muro che lo fece barcollare all'indietro. Istintivamente si sfregò il naso, mentre strizzava gli occhi per capire come avesse potuto non accorgersi della barriera di vetro.
Ma per quanto si sforzasse, non riusciva a vederla. E così io. Nemmeno il minimo bagliore o riflesso, né un alone da nessuna parte. Tutto quello che vedevo era aria. 
Mi avvicinai, più piano di come aveva fatto Minho, con le mani tese in avanti. Entrai presto in contatto con il muro fatto interamente di un invisibile... Cosa? Sembrava vetro: liscio, duro, e freddo al tatto. Ma non vidi assolutamente niente che indicasse che lì ci poteva essere qualcosa di solido. 
Frustrata, mi spostai a sinistra, poi a destra, continuando a toccare il muro trasparente eppure solido. Si estendeva per tutta la stanza; era impossibile avvicinarsi allo sconosciuto. Alla fine battei sul muro, producendo una serie di rumori sordi, ma non accadde nient'altro. Altri Radurai si erano alzati e avevano iniziato a tastare la lastra invisibile.
-Posso continuare adesso?- chiese l'uomo con un sorriso esagerato. Mi rimisi seduta al mio posto, sorpresa e delusa che il salvataggio fosse stata tutta una messinscena.
-Perché ti serve quel muro?- gridò Minho.
Newt si allungò passandomi dietro e gli diede un pugno sul braccio. -Chiudi il becco.-
L'Uomo Ratto proseguì come se gli ultimi cinque minuti non fossero mai esistiti. -Siete ancora tutti qui per via di un'inspiegabile volontà di sopravvivenza nonostante le circostanze, tra... Le altre ragioni. Circa sessanta persone erano state mandate nella Radura. Di tutte quelle persone, solo una parte è sopravvissuta ed è qui oggi. Suppongo che ormai lo abbiate capito, ma molte delle cose che vi succedono hanno il solo scopo di giudicare e analizzare le vostre reazioni. Ciononostante, non si tratta di un vero e proprio esperimento quanto della... Realizzazione di una cianografia. Stimolare la violenza e studiarne le conseguenze. Mettere insieme i risultati per raggiungere la più grande conquista nella storia della scienza e della medicina. Queste situazioni che vi vengono inflitte si chiamano Variabili, e ognuna è stata studiata meticolosamente. A breve ve lo spiegherò più a fondo. E anche se non posso dirvi tutto in questo momento, è indispensabile che sappiate questo: le prove che state per affrontare sono per una causa molto importante. Continuate a rispondere bene alle Variabili, continuate a sopravvivere, e verrete ricompensati con la consapevolezza che avrete contribuito a salvare la razza umana. E voi stessi, ovviamente.- 
L'Uomo Ratto fece una pausa, apparentemente d'effetto. Guardai Minho e Newt inarcando le sopracciglia.
-Questo tizio è rincaspiato nella testa.- sussurrò Minho. -Come si fa a salvare la razza umana fuggendo da un labirinto?-
-Come stavo cercando di dire prima che mi interrompeste, rappresento un gruppo che si chiama C.A.T.T.I.V.O.- proseguì. -So che sembra minaccioso, ma sta per Catastrofe Attiva Totalmente: Test Indicizzati Violenza Ospiti. Non c'è niente di minaccioso a riguardo, nonostante quello che voi possiate pensare. Esistiamo solo ed esclusivamente per uno scopo: salvare il mondo dalla catastrofe. Voi che vi trovate in questa stanza siete una parte fondamentale del nostro progetto. Disponiamo di risorse mai conosciute da nessun gruppo di nessun tipo nella storia della civiltà. Denaro e capitale umano quasi illimitati e tecnologia avanzata persino oltre i bisogni del più intelligente degli uomini. Durante il vostro percorso attraverso le Prove, avete visto e continuerete a vedere dimostrazioni di questa tecnologia e delle risorse che ci sono dietro. Se c'è una cosa che posso dirvi oggi, è che non dovreste mai, mai credere ai vostri occhi. Né alla vostra mente, peraltro. Sappiamo che a volte quello che vedete non è reale, e a volte quello che non vedete è reale. Possiamo manipolare il vostro cervello e le vostre terminazioni nervose al momento necessario. So che tutto questo vi confonde e forse un po' spaventa.-
Pensai che non avrebbe potuto minimizzare di più. E le parole 'violenza ospiti' continuavano a risuonarmi in testa. I pochi ricordi recuperati non riuscivano ad afferrarne esattamente il significato, ma le avevo viste per la prima volta nel Labirinto sulla placca di metallo, quella su cui erano scritte le parole che componevano l'acronimo C.A.T.T.I.V.O.
L'uomo fece scorrere lo sguardo su ognuno dei presenti nella stanza. Il labbro superiore brillava per il sudore. -Il Labirinto era una parte delle Prove. Non c'è una sola Variabile a cui siate stati sottoposti che non si sia rilevata utile per la nostra raccolta degli schemi della violenza. La vostra fuga. La battaglia contro i Dolenti. L'omicidio di Chuck. Il supposto salvataggio e il successivo viaggio in elicottero. Tutto. Parte delle Prove.-
Nel sentire il nome di Chuck, il petto mi si inondò dalla rabbia. Mi ero quasi alzata prima di accorgermi cosa mi fosse preso; Newt mi afferrò e mi tirò giù.
-Tutto questo faceva parte delle Prove, capite? Lo Stadio 1, per essere precisi. E siamo ancora estremamente lontani dall'avere tutto quello che ci serve. Perciò abbiamo dovuto alzare la posta, e adesso è arrivato il momento dello Stadio 2. È arrivato il momento che le cose diventino difficili.-
Sapevo che avrei dovuto essere sconvolta dalla considerazione assurda che fino a questo momento le cose per noi erano state facili. L'idea avrebbe dovuto terrorizzarmi. Per non parlare del fatto che potevano manipolare le nostre menti. E invece, la curiosità di scoprire ciò l'uomo stava per dire era così forte che quelle parole mi sfiorarono appena. L'Uomo Ratto aspettò per un'eternità. -Forse penserete, o potrebbe sembrarvi, che noi stiamo soltanto mettendo alla prova la vostra capacità di sopravvivenza. A una prima impressione, la Prova del Labirinto potrebbe erroneamente essere classificata in quel modo. Ma, vi assicuro, non è solo una questione di sopravvivenza e di volontà di vivere. Questa è solamente una parte dell'esperimento. Il quadro complessivo è  qualcosa che non capirete se non alla fine. Le eruzioni solari hanno devastato molte zone del pianeta. Inoltre, una malattia diversa da tutte quelle conosciute in passato dall'uomo sta minacciandola la sua sopravvivenza, una malattia chiamata Eruzione. Per la prima volta, i governi di tutte le nazioni, quelle sopravvissute, stanno collaborando. Hanno unito le forze per creare la C.A.T.T.I.V.O. allo scopo di combattere i problemi di questo mondo. Voi avete una grossa parte in questa battaglia. E avrete tutto l'interesse a collaborare con noi, perché, purtroppo, ognuno di voi ha già contratto il virus.- 
Sollevò le mani per arrestare il brusio che si era levato. -Calma! Calma! Non dovete preoccuparvi, l'Eruzione impiega tempo prima di svilupparsi e mostrare i sintomi. Ma al termine di queste Prove, la cura sarà la vostra ricompensa, e voi non conoscerete gli... Effetti debilitanti. Non sono in molti a potersi permettere la cura, sapete.-
Mi portai istintivamente la mano alla gola, come se il dolore che sentivo fosse il primo segnale che avevo contratto l'Eruzione.  Mi ricordavo fin troppo bene quello che ci aveva detto l'uomo sull'elicottero, dopo che eravamo scappati dal Labirinto. Di come l'Eruzione distruggesse il cervello, facendoti impazzire poco a poco, privandoti della capacità di provare le emozioni primarie dell'uomo, come la compassione o l'empatia. Di come ti rendesse peggiore di un animale. 
Questo tizio aveva ragione: avevamo tutto l'interesse a superare il prossimo stadio.
-Ma basta con questa lezione di storia, non perdiamo altro tempo.- proseguì l'Uomo Ratto. -Adesso vi conosciamo. Tutti. Non ha importanza quello che dico io o quello che c'è dietro alla missione della C.A.T.T.I.V.O. Farete qualunque cosa sarà necessaria. Su questo non abbiamo dubbi. E, facendo quello che vi chiediamo, salverete voi stessi, perché riceverete quelle stesse cure che così tante persone vogliono disperatamente.- 
Sentii Minho borbottare di fianco a me, ed ebbi paura che il ragazzo se ne uscisse con un altro dei suoi commenti da saputello, così lo azzittii prima ancora che potesse parlare. 
L'Uomo Ratto si schiarì la voce. -Stadio 2. Le Prove della Zona Bruciata. Comincerà ufficialmente domani mattina alle sei. Vi sveglierete in questa stanza, e sulla parete dietro di me troverete un Pass Verticale. Ai vostri occhi il Pass Verticale apparirà come un muro grigio brillante. Ognuno di voi deve attraversarlo entro cinque minuti dallo scoccare dell'ora stabilita. Perciò vi ripeto si apre alle sei e si chiude cinque minuti dopo. Avete capito?- lo fissai, immobilizzata. Mi sembrava quasi di osservare un registratore, come se lo sconosciuto non fosse davvero qui. Evidentemente gli altri Radurai avevano la stessa sensazione, perché nessuno rispose a questa domanda. E comunque, cos'era un Pass Verticale?
-Sono abbastanza sicuro che ci sentiate tutti.- disse l'Uomo Ratto. -A-ve-te ca-pi-to?-
Annuii; alcuni ragazzi intorno a me risposero a testa bassa. 
-Bene.- lo sconosciuto riprese a parlare. -A quel punto avranno inizio le Prove della Zona Bruciata. Le regole sono molto semplici. Trovate il modo di uscire all'aperto, poi proseguite per centocinquanta chilometri verso nord. Raggiungete il porto sicuro entro due settimane e avrete completato lo Stadio 2. Allora, e solo allora, riceverete la cura. Esattamente tra due settimane, a partire dal secondo in cui metterete piede nel Pass. Se non ce la farete, morirete.-
Nella stanza avrebbero dovuto echeggiare discussioni, domande, panico. Ma nessuno disse una parola. Mi sembrava di avere un pezzo di radice secca al posto della lingua.
L'Uomo Ratto parlò di nuovo. -In realtà è molto semplice.- disse, con una tale freddezza che sembrava avesse appena spiegato come usare le docce nel bagno. -Non ci sono regole. Non ci sono direttive. Gli avanzi della cena che consumerete oggi saranno le vostre provviste, e non ci sarà nessuno ad aiutarvi nel tragitto. Attraversate il Pass Verticale all'ora indicata. Uscite all'aria aperta. Percorrete centocinquanta chilometri verso nord, arrivate al porto sicuro. Se non ce la farete, morirete.-
I ragazzi cominciarono a parlare tutti insieme.
-Cos'è un Pass Verticale?-
-Come abbiamo fatto a prendere l'Eruzione?-
-Tra quanto cominceremo a vedere i primi sintomi?-
Un coro di domande, che una dopo l'altra si mischiarono fino a diventare un unico ruggito confuso. Dal canto mio, non ci provai neanche. Lo sconosciuto non avrebbe detto altro. Come facevano a non capirlo?
L'Uomo Ratto aspettò con pazienza, ignorandoli, con quegli occhi scuri che correvano da un Raduraio all'altro mentre parlavano. Il suo sguardo si posò su di me, che me ne stavo seduta, in silenzio, fissandolo a mia volta, piena di odio verso di lui. Piena di odio verso la C.A.T.T.I.V.O. Piena di odio verso il mondo. 
-State zitti, pive!- urlò alla fine Minho. Le domande si arrestarono all'istante. -Questa faccia di caspio non vi risponderà, perciò smettetela di sprecare il vostro tempo.- 
L'Uomo Ratto fece un cenno verso Minho come per ringraziarlo. Forse riconoscendo la sua saggezza. -Centocinquanta chilometri. A nord. Spero ce la facciate. Ricordatevi: adesso avete tutti l'Eruzione. Vi abbiamo infettato per fornirvi l'incentivo decisivo. E raggiungere il porto sicuro significa ricevere una cura.- Si voltò e si diresse verso la porta dietro di lui. Ma poi si fermò, girandosi nuovamente verso di noi. 
-Ah, un'ultima cosa.- disse. -Non crediate di poter evitare le Prove della Zona Bruciata decidendo di non entrare nel Pass Verticale tra le sei e le sei e cinque di domani mattina. Quelli di voi che rimarranno qui verranno giustiziati in un modo... Molto spiacevole. Meglio correre il rischio di affrontare il mondo esterno. Vi auguro buona fortuna.- E con questo si voltò e riprese a camminare verso l'uscita. -La porta del bagno è nascosta dietro l'ultimo letto a sinistra.- non si voltò neanche.
Ma prima che potessi rendermi conto di quanto stava succedendo, il muro invisibile che ci separava cominciò ad annebbiarsi, trasformandosi in una macchia bianca e opaca nel giro di pochi secondi. E poi sparì, rivelando di nuovo il lato opposto della sala. L'Uomo Ratto era sparito.
-Che mi prenda un caspio.- sussurrò Minho.

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Capitolo 3
*** Il Tatuaggio ***


Ancora una volta, le discussioni dei Radurai riempirono l'aria, ma me ne andai. Avevo bisogno di un po' di spazio e sapevo che il bagno era la mia unica scappatoia. Così, presi uno dei tanti ragazzi e mi feci aiutare a spostare il letto, scoprendo una porta colorata con la stessa tinta della parete; tirai piano la maniglia ed entrai cauta, scoprendo un bagno molto simile a quello in cui ci avevano portato prima.
Mi appoggio contro il lavandino, con le braccia  incrociate, a fissare il pavimento. Per fortuna, non mi aveva seguito nessuno.
Non sapevo come cominciare a elaborare tutte le informazioni.  
Adesso era chiaro che il salvataggio dal Labirinto era stato una montatura. L'Uomo Ratto aveva detto di non fidarci dei nostri occhio o della nostra mente. Come potevamo credere a qualunque cosa d'ora in avanti? 
Ma il fatto peggiore era che avevamo contratto l'Eruzione, e solo le Prove ci avrebbero fornito una cura...   
Chiusi forte gli occhi e mi sfregai la fronte. Nessuno di noi aveva una famiglia. La mattina dopo dovevamo cominciare una cosa ridicola chiamata Stadio 2, che, a quanto sembrava, sarebbe stata peggio del Labirinto. Come avremmo fatto ad affrontare tutto? All'improvviso pensai a Chuck e a quello che avrebbe detto se fosse stato qui. 
Qualcosa di semplice, probabilmente. Qualcosa come: -È uno schifo.- 
Avresti avuto ragione, pensai. Il mondo è un vero schifo. 
Erano passati solo due giorni da quando avevo visto il mio amico pugnalato al cuore. Il povero Chuck era morto tra le mie braccia. E adesso non riuscivo a fare a meno di pensare che, per quanto fosse orribile, forse per lui era stato meglio così. Forse la morte era migliore di ciò che ci aspettava.
Alzai lo sguardo verso lo specchio e notai che suol collo c'era qualcosa di nero, ma fui interrotta prima di riuscire a capire di che cosa si trattasse.
-Anna, quanto ci metti a fare le cose da signorina?- Era Minho. 
Lo vidi in piedi sulla porta. -Non ci riesco a stare lì fuori. Parlano tutti insieme come dei bambini dell'asilo. Che dicano quello che vogliono, tanto lo sappiamo cosa dobbiamo fare.-
 Minho mi si avvicinò e si appoggiò spalle al muro. -Senti, ognuno di noi attraverserà quel... Come cavolo l'ha chiamato?... Domani  mattina. Chi se ne frega se vogliono spaccarsi la gola a furia di parlarne?-
Roteai gli occhi. -Sono solo stufa si sentire la voce della gente. Compresa la tua.-
Minho fece una risatina. -Testa di puzzona, quando vuoi fare la parte della cattiva mi fai scompisciare.- 
-Grazie.- feci una pausa. -Pass Verticale.-
-Eh?-
-È così che il pive vestito di bianco ha chiamato quella cosa che dobbiamo attraversare. Pass Verticale.-
-Ah, giusto. Deve essere una specie di varco.-
Lo guardai. -È quello che penso anch'io. Qualcosa di simile alla Scarpata. È un passaggio, ed è verticale. Pass Verticale.-
-Sei una caspio di genietta.- 
A quel puntò arrivò Newt. -Cosa fate qui nascosti?-
Minho mi raggiunse e mi diede una pacca sulla spalla. -Non ci stiamo nascondendo. Anna si sta solo frignando addosso e vorrebbe tornare dalla sua mammina.-
-Anna,- disse il biondo, senza mostrarsi divertito -hai subito la Mutazione, hai recuperato parte della tua memoria. Quanto ti ricordi di questa roba?- 
Era una cosa a cui avevo pensato a lungo. Molto di quello che mi era tornato alla mente dopo essere stata punto dai Dolenti era diventato confuso. -Non lo so. Non riesco a visualizzare davvero il mondo lì fuori, o com'era il mio rapporto con le persone che ho aiutato a progettare il Labirinto. La maggior parte è ridiventata vaga o è semplicemente svanita. Ho fatto un paio di sogni, ma niente che possa esserci utile.- 
Poi cominciammo a discutere alcune delle cose che avevamo sentito dal nostro strano visitatore. Delle eruzioni solari e della malattia e di come tutto sarebbe stato diverso ora che sapevamo di essere sotto osservazione e di fare parte di un esperimento. Molti quesiti non trovarono risposta: era tutto offuscato da un sottofondo di paura latente per il virus che, a quanto pareva, ci avevano trasmesso. Alla fine rimanemmo in silenzio. 
-Beh, ci sono questioni da risolvere.- disse Newt. -E io ho bisogno di aiuto per fare in modo che il cavolo di cibo che ci daranno non finisca prima che ci mettiamo in viaggio domani. Qualcosa mi dice che ne avremo bisogno.- 
Non ci avevo nemmeno pensato. -Hai ragione.- 
-Oh, ma per favore.- disse Minho. -C'è una ragione se solo alcuni di sono sono riusciti ad arrivare fin qui. Tutti gli idioti a questo punto sono morti.- Mi guardò con la coda dell'occhio, come per timore che pensassi che includeva Chuck in questo giudizio.
Vari ragazzi erano venuti a cercare Newt ed erano rimasti in disparte ad aspettare il momento giusto per parlargli.
-Ehi.- disse uno dei Radurai che conoscevo a malapena, indicando Minho. -Cos'hai sul collo? Qualcosa di nero, proprio sotto il colletto.-
Il Velocista cercò di guardare in basso, ma non riusciva a piegare la testa in modo da vedere quella parte del suo corpo. -Cosa?-
Mentre si girava, notai che aveva una chiazza scura proprio sopra il colletto della maglietta, come quella che avevo intravisto allo specchio prima. Sembrava una riga spessa, che partiva dalla cavità della clavicola e arrivava alla schiena. Ed era interrotta, come se si trattasse di una scritta.
-Aspetta, fammi vedere.- si offrì Newt. Allungò un braccio e gli abbassò la maglietta per osservare meglio lo strano disegno.
-È un tatuaggio.- disse, strizzando gli occhi come se non credesse a quello che vedeva.
-Cosa c'è scritto?- chiese Minho, anche se si era già avvicinato allo specchio.
Ma, dato che il biondo non rispose subito, la curiosità mi spinse a posizionarmi di fianco al ragazzo ed allungare il collo per dare un'occhiata.
Quello che vidi stampato a lettere maiuscole mi fece sobbalzare il cuore.

PROPRIETÀ DELLA C.A.T.T.I.V.O. GRUPPO A, SOGGETTO A7. IL LEADER. 

-Che c'è scritto?- domandò Minho, mentre allungava la mano per toccarsi la pelle del collo e delle spalle. Newt glielo lesse.
La maggior parte degli altri Radurai si era accalcata dietro di noi, spingendo per dare un'occhiata. 
-Mi stai prendendo in giro, amico.- disse Minho. Corse allo specchio più vicino e si esaminò.
E poi la frenesia ebbe inizio. Vidi persone tirarsi giù colletti a vicenda per poi passare al Raduraio successivo. Cominciarono a parlare tutti insieme.
-Gruppo A.-
-Proprietà della C.A.T.T.I.V.O., come la sua.-
-Tu sei il soggetto A13.-
-Soggetto A19.-
-A3.-
-A10.-
Stavo girando lentamente su me stessa, stordita, mentre osservavo i Radurai scoprire l'uno il tatuaggio dell'altro. La maggior parte non aveva la designazione come Minho, solo la scritta di proprietà. Newt stava passando da un ragazzo all'altro, guardando con i propri occhi, impassibile, come se si stesse concentrando per memorizzare nomi e numeri. Poi, quasi per caso, ci ritrovammo l'uno di fronte all'altro.
-Il mio cosa dice?- chiese Newt.
Tirai di lato lo scollo della maglietta, poi mi allungai per leggere le parole incise sulla pelle. -Tu sei il soggetto A5 e ti hanno chiamato il Collante.-
Il biondo mi guardò sbigottito. -Il Collante?-
Lasciai andare la maglietta e feci un passo indietro. -Già. Probabilmente perché sei una specie di collante che ci tiene uniti. Non lo so. Leggi il mio.-
-Già letto...-
Notai che aveva assunto una strana espressione. Di esitazione. O di terrore. Come se non volesse dirmi cosa diceva il mio tatuaggio. -Allora?-
-Tu sei il soggetto A1.- rispose Newt. Poi abbassò gli occhi.
-E?- insistetti.
Il ragazzo esitò, poi rispose senza guardarmi. -La Vittima.-
Passarono diversi secondi prima che mi accorgessi di aver smesso di respirare. Inspirai profondamente e rimasi a fissare Newt a bocca spalancata, cercando di elaborare quello che mi aveva detto; non sapevo se essere più confusa o spaventata. 
-Non preoccuparti, non permetterò mai che tu...- iniziò a parlare, ma fu interrotto dall'arrivo di Thomas.
-Ehi ragazzi,- ci disse. -Cosa dice il vostro?-
-Il Collante. Il tuo?- gli domandò velocemente il biondo; lo ringraziai con lo sguardo. 
-Soggetto A2, il Partner.- la sua espressione si fece seria. -E il tuo, Anna?- si voltò verso di me.
-Non ha importanza.- dissi andandomene dalla stanza e ritornando al mio letto.
Più tardi passarono degli uomini a portarci vari pacchetti di cibo. Fu Frypan a prendere, sotto ordine di Newt, il comando della situazione e a far sì che la gente non divorasse tutto quello che gli capitava a tiro.
Mi ritrovai di nuovo accanto a Minho e a Newt, mentre cercavamo di elaborare un piano per il giorno seguente. Ad un nuovo commento sarcastico da parte del ragazzo asiatico sulla situazione in cui ci trovavamo, il biondo agitò le mani in aria, come se le parole del Velocista fossero moscerino. -Come vuoi, sto solo dicendo che da domani le cose cambieranno di sicuro e noi dobbiamo essere pronti ad affrontarle.-
Nonostante tutto questo discorso, ebbi l'impressione che Newt non fosse stato chiaro.
-Dove vuoi arrivare?-
Il ragazzo rimase in silenzio a guardarmi, poi Minho. -Dobbiamo essere certi di avere un vero leader prima di domami. Non possono esserci dubbi su chi comanda.-
-Questa è la cosa più ridicola e da faccia di caspio che tu abbia mai detto.- commentò Minho. -Tu sei il leader, e lo sai. Lo sappiamo tutti.-
Newt scosse la testa in modo deciso. -Hai per caso dimenticato quel tatuaggio? Pensi che sia solo una decorazione?-
-Oh, per favore.- replicò il ragazzo. -Credi davvero che vogliano dire qualcosa? Stanno solo giocando con la nostra testa!-
Invece di rispondere, il biondo si avvicinò all'ex Intendente e gli abbassò il colletto della maglietta per lasciare scoperto il suo tatuaggio. Non avevo bisogno di guardare, me lo ricordavo. Designava Minho come il Leader. 
Il ragazzo scrollò via la mano di Newt e cominciò con il suo solito sproloquio di frasi sarcastiche, ma mi ero già estraniata, mentre il ritmo del mio cuore aveva iniziato a battere forte una serie di colpi quasi dolorosi. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era ciò che avevo tatuato sul mio collo.
Che ero la vittima.
 Mi accorsi che si stava facendo tardi e sapevo che dovevamo riposarci questa notte per essere pronti per la mattina. Così passammo il resto della serata a fare dei fagotti alla buona con i lenzuoli, per trasportare le cose da mangiare e i vestiti puliti che avevamo trovato nelle cassettiere. Una parte del cibo era arrivato in sacchetti di plastica che vennero svuotati, riempiti d'acqua, e chiusi con delle strisce di tessuto strappate dalle fodere dei cuscini. Nessuno sperava che queste borracce improvvisate durassero a lungo senza gocciolare, ma era la soluzione migliore che fossimo riusciti a trovare. 
Newt aveva finalmente convinto Minho che doveva essere il Leader. Mi rendevo conto come chiunque altro che avevamo bisogno di qualcuno al comando, e così mi sentii sollevata quando il ragazzo accettò, anche se controvoglia. 
Attorno alle nove, ero sdraiata sul letto con Newt al mio fianco, a fissare per l'ennesima volta il materasso sopra di me. La stanza era stranamente silenziosa anche se sapevo che nessuno si era ancora addormentato. Di certo la paura li attanagliava quanto attanagliava me. Avevamo affrontato il Labirinto e i suoi orrori. Avevamo visto da vicino di cosa era capace la C.A.T.T.I.V.O. Se l'Uomo Ratto aveva ragione, e tutto quello che era successo faceva parte di un disegno più grande, allora quelle persone avevano obbligato Wes a uccidere Chuck.
Poi, come se non bastasse, ci avevano contagiati con una malattia terribile, e stavano usando la cura come esca per spingerci a continuare. Chi poteva sapere cosa era vero e cosa invece una menzogna. E i fatti continuavano a suggerire che per qualche motivo fossi la prescelta. Era triste pensarlo. Era stato Chuck a perdere la vita. 
La mia esistenza mi sembrava un buco nero. Non avevo idea di come avrei trovato la forza di andare avanti la mattina dopo. Di affrontare qualunque cosa la C.A.T.T.I.V.O. aveva in serbo per noi. Ma l'avrei fatto, e non solo per essere curata. Non mi sarei mai fermata, specialmente adesso. Non dopo quello che avevano fatto a me e ai miei amici. Se l'unico modo di fargliela pagare era superare tutti i loro test e le Prove, e sopravvivere, allora che così fosse. 
Che così fosse. 
-Cosa credi che ci aspetterà domani?- chiese il ragazzo, mentre ci posizionavamo per la notte, abbracciandoci per scaldarci data l'assenza di lenzuola. Come la sera precedente, mi sentii rassicurata e confortata dalla sua presenza. 
-Non lo so.- fui sincera. -Voglio solo che mi resti vicino.- rinforzai la stretta sui suoi bicipiti.
-Non chiedo di meglio.- Ci guardammo negli occhi per un tempo interminabile, poi mi avvicinai al suo volto e gli lasciai un bacio sullo zigomo. -Da ora in poi potremmo stare così solo quando il sole non sarà alto nel cielo.- avvertii un pizzico di tristezza nella sua voce.
-Non ci penso neanche.- dissi, facendolo ridere.
-Neanch'io.- con un gesto fulmineo ribaltò le posizioni, così da ritrovarsi sopra di me. -Non mi priverei mai del piacere di farti arrossire.- come richiamate dalle sue parole, le guance mi si tinsero di un leggero rossore. -È questo che intendevo.- sorrise e mi lasciò un bacio sul naso; poi, quando si fu riposizionato sul letto, mi avvolse nuovamente tra le sue braccia e pian piano ci addormentammo.

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Capitolo 4
*** Il Pass Verticale ***


Avevamo tutti puntato la sveglia sul nostro orologio digitale alle cinque della mattina. Mi svegliai molto prima e non riuscii più a riprendere sonno. Quando i bip cominciarono finalmente a riempire la stanza, appoggiai i piedi a terra e mi strofinai gli occhi. Qualcuno aveva acceso la luce e un bagliore giallo illuminò la mia vista. Strizzando gli occhi mi alzai e mi diressi verso le docce, seguita da Newt, che si offrì di tenermi chiusa la porta. Chissà quanto tempo sarebbe passato prima di potermi lavare di nuovo. Feci il più in fretta possibile, per poi lasciare agli altri Radurai il bagno.
Quando mancavano dieci minuti all'ora designata dall'Uomo Ratto, ogni Raduraio era seduto in trepida attesa, la maggior parte con un sacchetto d'acqua in mano, e di fianco il fagotto fatto con il lenzuolo. Avevo deciso, come gli altri, di tenere il sacchetto d'acqua in mano, per essere sicura di non rovesciarla o farla gocciolare. Lo scudo invisibile era ricomparso durante la notte al centro del salone, impossibile da attraversare, e ci posizionammo dal lato apposto, rivolti verso il punto in cui lo sconosciuto con il completo bianco aveva detto sarebbe comparso il Pass Verticale.
-Mancano tre minuti.- disse Minho, e per una volta la sua espressione era completamente seria. -Sempre tutti convinti di voler andare?-
Annuii, e notai che gli altri facevano lo stesso.
-Qualcuno ha cambiato idea durante la notte?- chiese di nuovo il ragazzo. -Parlate adesso o mai più. Una volta che andremo ovunque stiamo andando, se qualche pive decide di farsela sotto e cerca di tornare indietro, mi occuperò personalmente che lo faccia con il naso rotto e i gioiellino stritolati.- 
Guardai Newt, che aveva la testa tra le mani e si stava lamentando rumorosamente.
-Newt, c'è qualche problema?- chiese Minho, la sua voce sorprendentemente dura. Scioccata, aspettai la reazione del biondo.
Il ragazzo più grande sembrava altrettanto sorpreso. -Ehm... No. Ammiravo le tue cacchio di doti da Leader.-
Minho si tirò giù il colletto della maglietta e si chinò in avanti per mostrare a tutti il tatuaggio. -Cosa dice questo, testa di puzzone?-
Newt lanciò un'occhiata a destra e a sinistra, arrossendo. -Lo sappiamo che sei tu il capo, Minho. Datti una calmata.-
-No, tu datti una calmata.- ribatté il Velocista, indicando il biondo. -Non abbiamo tempo per questa sploff. Perciò chiudi quella fogna.-
Speravo solo che Minho lo stesse facendo apposta, per avvalorare la decisione che avevamo preso secondo cui lui doveva essere il Leader, e che Newt lo capisse. Se lo stava facendo apposta, di sicuro lo stava facendo bene.
-Sono le sei!- gridò uno dei Radurai.
Come se questa affermazione l'avesse innescato, lo scudo invisibile diventò di nuovo opaco, creando delle macchie bianche. In un nanosecondo sparì del tutto. Notai all'istante il cambiamento nella parete dall'altra parte della stanza: una grossa sezione si era trasformata in una superficie piatta e brillante di ombre grigio scuro.
-Forza!- gridò Minho mentre si sistemava il fagotto sulla spalla. Nell'altra mano stringeva la borsa d'acqua. -Non perdete tempo, abbiamo solo cinque minuti per attraversarlo. Io andrò per primo.- Indicò me e Newt. -Voi sarete gli ultimo, assicuratevi che tutti mi seguano prima di venire.-
Annuii, cercando di combattere il fuoco che mi bruciava i nervi; mi portai la mano sulla fronte per asciugarmi il sudore. 
Minho camminò verso il muro grigio, poi si fermò proprio lì davanti. Il Pass Verticale sembrava completamente instabile, per me era impossibile fissarlo. Ombre e mulinello di varie tonalità di scuro ballavano sulla superficie. Tutto l'insieme pulsava e tremava, come se potesse scomparire da un momento all'altro.
Il ragazzo si voltò per guardarci. -Ci vediamo dall'altra parte, pive.-
Poi lo attraversò, e il muro grigio lo inghiottì.
Newt ed io radunammo tutti gli altri dietro Minho. Non dissero nemmeno una parola, si scambiarono solo occhiate fugaci e spaventate, mente si avvicinavano al Pass Verticale e lo attraversano. Senza eccezione, ogni Raduraio esitò per un attimo prima di fare l'ultimo passo nell'oscurità del quadrato grigio. Li osservai uno per uno, dando loro una pacca sulle spalle per poi vederli scomparire. 
Due minuti dopo, eravamo rimasti solo io e Newt.
-Presto, dobbiamo sbrigarci.- gli dissi prendendogli la mano. 
Diedi un'occhiata in giro per un'ultima volta, ripensai al Labirinto e a tutta la sploff che avevamo passato. Sospirai più forte che potei, afferrai la borsa dell'acqua, il fagotto pieno di cibo fatto con il lenzuolo, ed insieme al ragazzo entrai nel Pass Verticale.
Una lama fredda mi attraversò la pelle, come se il muro grigio fosse un piano verticale di acqua gelida. Avevo chiuso gli occhi all'ultimo secondo e li riaprii per vedere solo buio completo e niente altro. Ma sentivo delle voci, oltre a stringere la mano di Newt.
-Ehi!- gridai, ignorando l'improvvisa esplosione di panico nella mia stessa voce. -Ragazzi...-
Prima che potessi finire la frase, inciampai su qualcosa e se non fosse stato per Newt che mi ritirò indietro all'ultimo secondo, sarei caduta, atterrando sopra qualcuno.
-Ahi!- gridò quel qualcuno, spingendo via la mia gamba. Dovetti fare una grossa fatica per non lasciar cadere la borsa d'acqua.
-Tutti fermi e zitti!- Era stato Minho a parlare, e provai un tale sollievo che mi misi quasi a gridare dalla gioia. -Newt, Anna, siete voi? Siete qui?-
-Sì!- gridammo all'unisono. Cominciai a tastare quello che avevo attorno con la mano libera, per assicurarmi di non andare a sbattere contro qualcuno un'altra volta. Sentii solo aria, non vedevo nient'altro che nero. -Siamo stati gli ultimi ad attraversare. Ce l'hanno fatta tutti?-
-Ci siamo messi in fila e ci stavamo contando finché ci siete piombati addosso come dei tori dopati.- rispose Minho. -Ricominciamo. Uno!-
Visto che nessuno diceva niente, urlai: -Due!-
-Tre!- continuò Newt.
-Quattro!- sentii Thomas poco più avanti.
Da qui in poi, tutti i Radurai si misero a contare finché toccò a Frypan che per ultimo gridò: -Diciassette.-
-Bene così.- disse Minho. -Ci siamo tutti, ovunque siamo. Non si vede un caspio di niente.-
Rimasi ferma, percependo gli altri ragazzi, sentendo i loro respiri, ma senza azzardarmi a fare un passo. -È un gran peccato che non abbiamo una torcia.- Mi avvicinai ancora un po' a Newt, e così fece anche lui.
-Grazie per aver sottolineato una cosa ovvia, Anna.- replicò Minho. -Va bene, ascoltate. Siamo in una specie di corridoio, sento i muri da entrambi i lati, e se non mi sto sbagliando, la maggior parte di voi è alla mia destra. Newt, tu sei insieme ad Anna nel punto in cui siamo arrivati. Non ci conviene correre il rischio di tornare per sbaglio indietro e riattraversare quel coso, il Pass Verticale, perciò seguite tutti la mia voce e venite verso di me. Non abbiamo molta scelta, dobbiamo dirigerci da questa parte e vedere cosa troviamo.-
Mentre diceva queste ultime parole aveva cominciato ad allontanarsi da noi. Il fruscio dei piedi trascinati e dei fagotti che sfregavano contro i vestiti mi disse che gli altri lo stavano seguendo. Quando capii che ero l'unica rimasta ferma insieme a Newt, e che non sarei andata di nuovo addosso a nessuno, mi mossi piano verso sinistra, allungando la mano che non era impegnata a stritolare quella del biondo, finché sentii la parete dura e fredda. Poi camminammo dietro al resto del gruppo, lasciando scivolare la mano sul muro per non perdere l'orientamento. 
Nessuno parlò mentre avanzavamo. Odiavo il fatto che i miei occhi non si abituassero al buio; non c'era nemmeno una minima traccia di luce. L'aria era fredda, ma puzzava di cuoio vecchio e polvere. In un paio di occasioni andai addosso alla persona che avevo davanti; non sapevo nemmeno chi fosse perché il ragazzo non aveva detto niente quando ci eravamo urtati.
Continuammo a camminare, la galleria proseguiva dritta senza mai curvare a destra o a sinistra. La mano contro il muro e il pavimento sotto i piedi erano le uniche cose che mi tenevano legata alla realtà e che mi davano la sensazione di movimento. Altrimenti, mi sarebbe sembrato di fluttuare nello spazio. Per tutto il tempo mi concentrai sulle carezze che il pollice di Newt lasciava sulla mia mano, marchiando quella zona e tracciando una striscia di fuoco.
Gli unici rumori erano quelli delle scarpe che grattavano contro il cemento duro del pavimento e qualche sporadico sussurro dei Radurai. Sentivo ogni battito del mio cuore mentre marciavamo nel tunnel infinito di oscurità. Non riuscivo a fare a meno di pensare alla Scatola, quel cubo senza luce di aria viziata che mi aveva consegnata alla Radura; era stata una sensazione molto simile a questa. Almeno adesso avevo recuperato una parte di memoria, avevo degli amici e sapevo chi ero. Ora capivo qual era la posta in gioco: avevamo bisogno di una cura e probabilmente avremmo affrontato situazioni terribili per ottenerla. 
Un'esplosione improvvisa di sussurri intensi riempì la galleria. Sembrava arrivare dall'alto. Rimasi paralizzata. Non proveniva da nessuno dei Radurai, di questo ne ero certa.
Minho dall'inizio della fila gridò agli altri di fermarsi. -L'avete sentito anche voi?-
Mentre diversi Radurai mormoravano dei 'sì' e cominciavano a fare domande, tesi l'orecchio verso il soffitto, sforzandomi di cogliere qualcosa tra quelle voci. I sussurri erano stati veloci come un lampo, solo qualche breve parola che sembrava pronunciata da un uomo molto vecchio e molto malato. Il messaggio era stato completamente indecifrabile. 
Minho azzittì di nuovo tutti, e ci ordinò di ascoltare.
Anche se era perfettamente buio e perciò inutile, chiusi gli occhi, concentrandomi sul senso dell'udito. Se la voce tornava, volevo afferrare quello che diceva.
Non trascorse nemmeno un minuto che la stessa voce vecchia e aspra sussurrò di nuovo, riecheggiando nell'aria come se sul soffitto fossero stati installati degli enormi altoparlanti. Sentii molte persone rimanere senza fiato, come se questa volta avessero capito e fossero scioccati da quello che avevano sentito. Ma io non ero ancora riuscita a isolare nemmeno una o due di quelle parole. Aprii di nuovo gli occhi, ma niente davanti a me era cambiato. Completa oscurità. Nero. 
-Qualcuno ha afferrato cosa dice?- gridò Newt. 
-Un paio di parole.-  rispose Winston. -Qualcosa tipo 'tornate indietro' nel mezzo.-
-Sì, è vero.- concordò qualcuno. 
Ripensai a quello che avevo sentito, e in effetti sembrava proprio che da qualche parte quelle due parole ci fossero. Tornate indietro.
-Datevi tutti una calmata e questa volta ascoltate bene.- esclamò Minho. Nel corridoio buio scese il silenzio. 
Quando la voce tornò, capii ogni singola sillaba. 
-È la vostra unica opportunità. Se tornate indietro adesso, non verrete fatti a pezzi.- 
Giudicando dalle reazioni, anche gli altri avevano capito, questa volta. 
-Non verrete fatti a pezzi?- 
-E questo cosa significa?-
-Ha detto che possiamo tornare indietro!-
-Non possiamo fidarci di un pive qualunque che sussurra nel buio!- 
Cercai di non pensare a quanto fossero minacciose le ultime cinque parole. Non verrete fatti a pezzi. Non prometteva niente di buono. E non riuscire a vedere niente peggiorava le cose. Stavo impazzendo. 
-Continua a camminare!- gridai a Minho. -Non resisterò ancora per molto. Vai e basta!- sentii la presa di Newt farsi più salda.
-Aspettate un attimo.- Era Frypan. -La voce ha detto che questa è l'unica opportunità che abbiamo. Dobbiamo almeno pensarci.-
-Già.- aggiunse qualcuno. -Forse dovremmo tornare indietro.-
Scossi la testa anche se sapevo che nessuno poteva vedermi. -Neanche per sogno. Ricordatevi quello che ci ha detto il tizio alla scrivania. Che se fossimo tornati indietro saremmo morti in modo orribile.-
Frypan insisté. -Beh, e perché lui dovrebbe contare più di questo tizio che sussurra? Come facciamo a sapere a chi dare retta?-
Sapevo che era una bella domanda, ma tornare indietro non mi sembrava proprio la cosa giusta da fare. -La voce è una specie di test, ci scommetto. Dobbiamo proseguire.-
-Ha ragione.- Questo era Minho dall'inizio della fila. -Forza, andiamo.-
Aveva appena finito di dire quell'ultima parola quando la voce sussurrò di nuovo come un sibilo nell'aria, questa volta con un tono astioso quasi infantile. -Siete tutti morti. Verrete fatti a pezzi. Morti e fatti a pezzi.- 
Mi si rizzarono i peli sulle braccia e un brivido mi percorse la schiena. Mi aspettavo di sentire altri appelli a tornare indietro, ma ancora una volta i Radurai mi sorpresero. Nessuno disse una parola, e ben presto avevamo ripreso tutti a camminare. Minho aveva ragione, le femminucce erano state eliminate, anche se io rimanevo pur sempre una donna. 
Ci addentrammo ancora di più nell'oscurità. L'aria si scaldò un po', sembrava più densa per via della polvere. Tossii diverse volte; morivo dalla voglia di bere ma non volevo rischiare di aprire la borsa con l'acqua senza vederci. Mi ci mancava solo quello, rovesciarla a terra. 
Avanti.
Più caldo.
Sete.
Buio.
Camminare. Il tempo che trascorreva lentissimo. 
Non avevo idea di come questo corridoio potesse essere reale. Dovevamo aver percorso almeno tre o quattro chilometri dall'ultima volta che avevamo sentito sussurrare quell'avvertimento raccapricciante. Dove ci trovavamo? Sottoterra? Dentro un gigantesco edificio? L'Uomo Ratto aveva detto che dovevamo uscire all'aria aperta. Come... 
Un ragazzo qualche metro piu avanti lanciò un urlo. 
Iniziò come un grido improvviso, di semplice sorpresa, ma si trasformò in puro terrore. Non sapevo chi fosse, ma il ragazzino adesso stava urlando a squarciagola, un lamento acuto e stridulo come uno degli animali nel vecchio Macello della Radura. Sentii dei rumori, come di un corpo che si dimenava a terra. 
Distinto corsi in avanti, senza mai lasciare la mano del ragazzo, facendomi strada tra i Radurai paralizzati dalla paura, in direzione di quei versi disumani. 
-Anna, aspettami.- mi chiamò Newt, mentre cercava di starmi dietro. 
Non sapevo perché pensavo di poter essere d'aiuto più degli altri, ma non esitai, non mi preoccupai nemmeno di dove mettevo i piedi mentre correvo nell'oscurità. Dopo la folle camminata alla cieca durata così a lungo, era come se il mio corpo avesse una gran voglia di agire.
Lo raggiunsi, intuii che il ragazzo era sdraiato proprio davanti a me, con le braccia e le gambe che sbattevano sul pavimento di cemento mentre lottava contro chissà cosa. Appoggiai con attenzione la borsa dell'acqua e il fagotto di lato, poi tesi timidamente le mani per cercare di afferrargli un braccio o una gamba. Sentii gli altri Radurai affollarsi dietro di me, una presenza rumorosa e caotica di grida e domande che feci di tutto per ignorare. 
-Ehi!- gridai al ragazzo che si contorceva. -Che ti prende?- Gli sfiorai i jeans con le dita, poi la camicia, ma il corpo si dimenava in ogni direzione, era impossibile tenerlo, e le urla continuavano a fendere l'aria. 
-Newt, aiutami.- Alla fine rischiai il tutto per tutto. Mi tuffai in avanti con tutto il peso sul corpo del ragazzino, seguita dal biondo. Con un salto che mi tolse il fiato, atterrai e sentii il busto sotto di me che si contorceva; un gomito mi si conficcò nelle costole, poi una mano mi schiaffeggiò in viso. Un ginocchio si alzò sfiorandomi l'interno coscia.
-Fermo!- gridò Newt dietro di me. -Che ti prende?!-
Si sentì un gorgoglio e poi le urla si arrestarono, quasi come se il ragazzino fosse stato trascinato sott'acqua. Ma le convulsioni continuarono. 
Misi il gomito e l'avambraccio sul petto del Raduraio per tenerlo fermo, poi mi allungai per afferrargli i capelli o il viso. Ma quando le mie mani scivolarono su quello che sarebbe dovuto esserci, persi l'ultimo barlume di lucidità.
La testa non c'era. Niente capelli né viso. E nemmeno il collo. Nessuna di quelle cose che sarebbero dovute esserci. 
Sentivo solo una grossa palla perfettamente liscia di metallo freddo.

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Capitolo 5
*** La Botola ***


Gli attimi che seguirono furono stranissimi. Non appena la mia mano entrò in contatto con la bizzarra palla di metallo, il ragazzo smise di muoversi. Le braccia e le gambe si calmarono, e la rigidità del busto contratto scomparve in un istante. Sentii un denso strato bagnato sulla sfera dura, che colava da dove sarebbe dovuto esserci il collo del ragazzo. Sapevo che era sangue, sentivo l'odore di rame. 
Poi la palla scivolò dalle mie dita e rotolò via, producendo un rumore cupo e stridente, finché andò a sbattere contro il muro più vicino e si fermò. Gli altri Radurai continuavano a gridare domande nel buio, ma li ignorai. 
L'orrore mi riempì il petto mentre immaginavo quel ragazzo, l'aspetto che doveva avere. Niente di tutto questo aveva un senso, ma non c'era dubbio che fosse morto, in qualche modo la sua testa era stata tagliata. O... Trasformata in metallo? Cosa diavolo era successo? Cominciai ad avere la nausea, e impiegai un momento prima di accorgermi che un liquido caldo mi scorreva sulla mano che avevo premuto contro il pavimento quando la palla era scivolata via. Fui assalita dal panico.
Indietreggiai da quel corpo sfregandomi la mano sui pantaloni, e mi misi a gridare, ma non riuscivo a formare le parole.
Newt, da dietro, mi strinse velocemente in un abbraccio e cercò di calmarmi, provando a capire perché avevo avuto questa reazione. 
-Shh, calma. Che è successo?- mi chiese dolcemente, accarezzandomi i capelli. Continuando ad urlare, gli saltai al collo e lo strinsi, cercando di respirare. Poi qualcuno ci si avvicinò di gran carriera.
-Anna!- era la voce di Minho. -Anna! Cos'è successo?-
Cercai di riprendermi. Mi si rivoltò lo stomaco; sentii una morsa al petto. -Io... Io non lo so. Chi era? Chi era che gridava?-
Rispose Winston, con la voce tremante. -Frankie, credo. Era proprio di fianco a me, stava facendo una battuta, e poi è stato come se qualcosa lo avesse trascinato via. Già, era lui. Decisamente lui.-
-Cosa è successo?- ripeté Minho.
Mi resi conto che mi stavo ancora sfregando le mani sui pantaloni. -Sentite.- dissi prima di prendere un lungo respiro. Fare tutto al buio era da pazzi. -L'ho sentito gridare, e sono corsa qui ad aiutarlo. Gli sono saltata sopra, ho cercato di immobilizzargli le braccia, per capire cosa c'era che non andava. Poi ho allungato le mani verso la testa per afferrargli le guance, non so nemmeno perché, e tutto quello che ho sentito è stato...- 
Non riuscivo a dirlo. Niente poteva sembrare più assurdo della verità. 
-Cosa?- gridò Minho.
-Piantala. Parlerà quando sarà pronta.- gli diede contro Newt. 
Gemetti, poi lo dissi: -La sua testa non era una testa. Era come una... Una grossa... Palla di metallo. Non lo so, ma è questo che ho sentito. Come se la sua testa di caspio fosse stata inghiottita da... Da una grossa palla di metallo!-
-Di cosa stai parlando?- chiese Minho.
Non sapevo come fare a convincerlo, o a convincere chiunque altro. -Non l'avete sentita rotolare via subito dopo che lui ha smesso di gridare? So che...- 
-È proprio qui!- gridò qualcuno. Thomas. Sentii di nuovo un forte rumore stridulo, poi il ragazzo grugnì per lo sforzo. -L'ho sentita rotolare da questa parte. È tutta bagnata e appiccicosa, sembra ci sia sangue.-
-Che sploff.- disse Minho sussurrando a denti stretti. -Quant'è grande?- Gli altri Radurai si unirono al coro di domande.
-Datevi tutti una calmata!- gridò Newt. 
Quando si azzittirono, Thomas parlò con tono secco: -Non lo so.- lo sentii maneggiare con attenzione la palla per farsi un'idea. -Di certo è più grande di una fottuta testa. È perfettamente rotonda, una sfera perfetta.-
Ero sbigottita, disgustata, ma tutto quello a cui riuscivo a pensare era uscire da qui. Dal buio. -Dobbiamo sbrigarci.- dissi. -Dobbiamo andarcene. Adesso...- 
-Forse dovremmo tornare indietro.- non riconobbi questa voce. -Qualunque cosa sia quella palla, ha tagliato la testa di Frankie, proprio come ci aveva avvisato il vecchio pive.-
-Non esiste.- rispose Minho arrabbiato. -Non esiste. Anna ha ragione. Basta cazzeggiare. Disponetevi a mezzo metro di distanza l'uno dall'altro, poi cominciate a correre. Tenete giù la testa, e se qualcosa vi si avvicina, massacratela.-  
Nessuno si oppose. Recuperai velocemente il cibo e l'acqua; poi una comunicazione tacita si diffuse nel gruppo e cominciammo a correre. Tutti abbastanza lontani l'uno dall'altro per non scontrarci. Non ero più in fondo alla fila, non volli perdere tempo tornando al mio posto. Corsi, corsi più velocemente di quanto mi ricordassi di aver mai fatto nel Labirinto. 
Sentivo l'odore di sudore. Respiravo polvere e aria calda. Le mie mani erano umide e appiccicose per via del sangue. Il buio completo. 
Corsi e non mi fermai. 
Una palla della morte prese un altro ragazzo.
Questa volta accadde vicino a me: si trattava di un ragazzo con cui non avevo mai scambiato una parola. Sentii un preciso stridore metallico, un paio di colpi secchi. Poi le grida soffocarono il resto. 
Nessuno si fermò. Una cosa terribile, forse. Di sicuro. Ma nessuno si fermò. 
Quando finalmente le grida si arrestarono con un gorgoglio, ci fu un forte tonfo mentre la palla di metallo andò a sbattere sul suolo duro. La sentii rotolare, la sentii sferragliare contro il muro e riprendere a rotolare.
Continuai a correre, percependo Newt al mio fianco. Non rallentai mai.
Mi batteva forte il cuore; mi faceva male il petto per i respiri affannati mentre ingoiavo con disperazione l'aria polverosa. Persi il senso del tempo, non sapevo quanto ci eravamo allontanati. Ma quando Minho gridò a tutti di fermarci, il sollievo fu quasi travolgente. Lo sfinimento alla fine aveva sostituito il terrore per quella cosa che aveva ucciso due persone. 
La gente ansimava riempiendo il piccolo spazio, e c'era puzza di alito cattivo. Frypan fu il primo a riprendersi abbastanza da riuscire a parlare. -Perché ci siamo fermati?-
-Perché mi sono quasi rotto gli stinchi contro qualcosa!- rispose Minho gridando. -Sembra una scala.- 
Il mio morale stava salendo, ma quando me ne resi conto lo spinsi subito giù. Mi ero ripromessa di non aspettarmi mai più niente di buono. Almeno finché tutto questo non fosse finito.
-Bene, saliamo!- Frypan fin troppo euforico. 
-Dici?- rispose Minho. -Cosa faremo senza di te, Frypan? Seriamente.-
Sentii Minho correre su per le scale con passi pesanti, producendo uno stridore acuto come se fossero fatti di metallo. Trascorse solo qualche secondo prima che gli altri passi li accompagnassero, e presto tutti stavano seguendo Minho. 
Quando raggiunsi il primo gradino, inciampai e caddi sul secondo, sbattendo il ginocchio. Misi giù le mani per recuperare l'equilibrio, quasi rovesciando la borsa con l'acqua, poi mi rialzai, saltando qualche gradino ogni tanto. Chissà quando sarebbe arrivata un'altra cosa metallica ad attaccarci, e, con o senza speranza, ero più che pronta ad andare in un posto dove non fosse buio pesto. 
Sentii un colpo dall'alto, un tonfo più profondo dei passi, ma che sembrava comunque metallico. 
-Ahi!- gridò Minho. Poi ci furono grugniti e lamenti mentre i Radurai si urtavano l'un l'altro prima di riuscire a fermarsi. 
-Tutto bene?- chiese Newt, la voce proveniente da un punto poco più avanti di me. 
-Contro cosa... Hai sbattuto?- gridai con il respiro affannato. 
Minho sembrava irritato. -Contro la caspio di cima delle scale, ecco cosa. Abbiamo raggiunto il tetto, e non c'è nessun'altra...- Lasciò la frase in sospeso, e sentii che faceva scivolare le mani sulle pareti e sul soffitto, per cercare qualcosa.
-Aspettate! Mi sa che ho trovato...-
Fu interrotto da un forte clic, poi il mondo attorno a me sembrò prendere fuoco. Lanciai un grido mentre mi coprivo gli occhi con le mani: una luce accecante, cocente splendeva dall'alto. Non potei evitare di far cadere la borsa. Dopo tutto questo tempo al buio pesto, il bagliore improvviso mi sopraffece, oltrepassando anche la protezione delle mani. Un arancione brillante mi attraversò con violenza le dita e le palpebre, mentre un'ondata di calore, come un vento caldo, si riversava verso il basso. 
Sentii un forte scricchiolio, poi un tonfo, e il buio tornò. Abbassai le mani con cautela e strizzai gli occhi; vedevo tanti puntini che ballavano. 
-Che caspio!- esclamò Minho. -A quanto pare abbiamo trovato una cacchio di via d'uscita, ma mi sa che dà direttamente sul sole! Cavolo, quello sì che era luminoso. E bollente.-
-Apriamo solo un po' e lasciamo che gli occhi si abituino.- disse Newt. Poi lo sentii salire le scale per raggiungere Minho. -Prendi questa maglietta, infilala lì. Chiudete tutti gli occhi!-
Obbedii e mi riparai di nuovo con le mani. Il bagliore arancione ritornò e il processo partì. Dopo un minuto circa, abbassai le mani e aprii lentamente gli occhi. Li tenni socchiusi, ma mi sembrava comunque di avere un milione di torce puntate contro, anche se era diventato quasi sopportabile. Un altro paio di minuti e, per quanto la luce fosse forte, la situazione migliorò. 
Riuscii a vedere che mi trovavo a una ventina di gradini da dove Minho e Newt erano accovacciati sotto la botola nel soffitto. Tre linee incandescenti segnavano il profilo della porta, interrotto solo dalla maglietta che avevano infilato nell'angolo destro per tenerla aperta. Tutto attorno a noi, le pareti, la scala, la stessa botola, era fatto di metallo grigio opaco. Mi voltai per guardare nella direzione da cui eravamo venuti, vidi i gradini scomparire nell'oscurità sotto di noi. Eravamo saliti molto più di quanto avessi immaginato.
-Qualcuno è diventato cieco?- chiese Minho. -Io ho gli occhi come due marshmallow arrostiti.- 
Per me era la stessa cosa. Mi bruciavano e prudevano, continuavano a lacrimare. Tutti i Radurai intorno a me si stavano strofinando gli occhi. 
-Allora, cosa c'è lì fuori?- chiese qualcuno. 
Minho scrollò le spalle e sbirciò attraverso la fessura della botola aperta, riparandosi con una mano. -Non saprei. Tutto che quello che vedo è un sacco di luce luminosa. Forse siamo davvero sul caspio di sole. Ma non credo che ci siano persone lì fuori.- Fece una pausa. -O persone infette.- 
-Andiamocene da qui, allora.- disse Winston, che era due gradini sotto di me. -Preferisco prendermi una scottatura piuttosto che farmi staccare la testa da una palla di acciaio. Andiamo!-
-Va bene, Winston.- replicò Minho. -Datti una calmata, volevo solo che prima i nostri occhi si abituassero. Adesso spalanco la porta per essere sicuro che è tutto a posto. Preparatevi.- Salì un gradino per appoggiare la spalla destra contro la lastra di metallo. -Uno. Due. Tre!- 
Distese le gambe grugnendo e spinse con forza verso l'alto. Quando la porta si aprì, con un terribile stridore metallico, la luce e il calore inondarono le scale. Abbassai velocemente lo sguardo e strizzai gli occhi. Questo bagliore non sembrava possibile, anche per noi che avevamo camminato nel buio assoluto per ore.
Lì sopra stavano trascinando i piedi e spingendo qualcosa. Sollevai lo sguardo e vidi Newt e Minho che uscivano dal quadrato di luce accecante proveniente dalla botola adesso aperta. Tutta la scala si scaldò come un forno. 
-Accidenti!- disse Minho facendo una smorfia. -Qualcosa non va, ragazzi. Mi sembra di avere già la pelle bruciata!-
-Ha ragione.- disse Newt, sfregandosi la nuca. -Non so se possiamo andare lì fuori. Forse dovremmo aspettare che cali il sole.-
Si sentirono mormorii di disapprovazione da parte dei Radurai, subito coperti dalle urla improvvise di Winston. -Ehi! Attenti! Attenti!- 
Guardai giù per le scale verso il ragazzo. Stava indicando qualcosa proprio sopra di lui, mentre indietreggiava di un paio di gradini.
Sul soffitto, a circa un metro dalle nostre teste, si stava formando una grossa goccia di liquido argentato, che colava dal metallo fuso come una grande lacrima. Mentre la fissavo, diventava sempre piu grossa, dando vita, nel giro di pochi secondi, a una palla tremolante di una sostanza appiccicosa e liquefatta la cui superficie si increspava.
Poi, prima che qualcuno potesse reagire, si staccò dal soffitto. 
Invece di spiaccicarsi sui gradini ai nostri piedi, la sfera d'argento sfidò la forza di gravità e volò in orizzontale, direttamente sul viso di Winston. Le sue grida orrende riempirono l'aria mentre cadeva e rotolava giù per le scale.
Mentre mi facevo strada giù per raggiungere Winston, non badando alle grida di Newt, ebbi un pensiero rivoltante. Non sapevo se ci stavo andando perché volevo aiutarlo o perché non riuscivo a frenare la curiosità nei confronti di quella mostruosa palla argentata. 
Alla fine Winston rimase con la schiena appoggiata su uno dei gradini; eravamo ancora molto lontani dal fondo delle scale. La luce brillante, che proveniva dalla botola aperta su in alto, illuminava tutto con una nitidezza perfetta. Winston aveva le mani sul viso e cercava di strappar via il liquido argenteo. La palla di metallo liquefatto si era già fusa con la parte superiore della testa, e gli stava consumando la punta delle orecchie. I lati stavano colando verso il basso, come uno sciroppo denso, coprendogli le tempie e le sopracciglia. 
Saltai oltre il corpo del ragazzo e mi girai per posizionarmi in ginocchio sul gradino subito sotto di lui; Winston tirava e spingeva la sostanza argentea e appiccicosa per tenerla lontana dagli occhi. Sorprendentemente, sembrava funzionare. Ma il ragazzo stava gridando a squarciagola, dimenandosi, scalciando contro il muro. 
-Toglimela!- urlava, con la voce così soffocata che fui sul punto di rinunciare e correre via. Non appena Winston ne spingeva una porzione via dagli occhi, un po' di quella sostanza gli scivolava dalle dita, pronta a fare un nuovo tentativo.  
Riuscii a vedere parti della pelle del viso, e non era un bello spettacolo. Era rossa e coperta di vesciche.
Winston urlò qualcosa di incomprensibile; le grida di agonia avrebbero potuto anche essere in un'altra lingua. Sapevo che dovevo fare qualcosa. Il tempo era scaduto. 
Mi tirai via il fagotto dalle spalle rovesciandone il contenuto; frutta e pacchetti si sparpagliarono a terra e rotolarono per le scale. Presi il lenzuolo e me lo avvolsi attorno alle mani per proteggermi, poi mi buttai. Mentre Winston lottava con l'argento liquefatto che aveva sopra gli occhi, lo afferrai dai lati che erano appena scesi sulle orecchie del ragazzo. Sentii il calore attraverso il tessuto e pensai che avrei potuto prendere fuoco. Puntai i piedi, strinsi quella roba più forte che potevo, poi tirai. 
Con un risucchio rivoltante, il metallo attaccato alla pelle si sollevò di diversi centimetri prima di scivolarmi dalle mani e piombare di nuovo sulle orecchie di Winston. Impossibile, il ragazzo urlava ancora più forte. Un paio di Radurai cercarono di intervenire, ma gli gridai di stare indietro, pensando che sarebbero solo stati d'intralcio. 
-Dobbiamo farlo insieme!- urlai a Winston, decisa questa volta a impugnarlo con più forza. -Ascoltami, Winston! Dobbiamo farlo insieme! Cerca di afferrarlo e di tirartelo via dalla testa!-
Il ragazzo non mostrò nessun segnale d'intesa, mentre il suo corpo si contorceva cercando di resistere. Se non fossi stata un gradino sotto di lui, di certo a questo punto sarebbe già rotolato giù. 
-Al mio tre!- gridai. -Winston! Al mio tre!- 
Ancora nessun segnale che avesse sentito. Urlava. Si dimenava. Tirava calci. Lottava con l'argento. 
La certezza che tutti gli occhi dei ragazzi fossero puntati su di noi mi metteva sotto pressione. Le lacrime mi riempirono gli occhi, o forse il sudore che mi colava dalla fronte. Ma bruciava. Ed era come se la temperatura dell'aria fosse aumentata di un milione di gradi. I muscoli si irrigidirono; fitte di dolore mi percorsero le gambe. Avevo i crampi.
-Fallo e basta!- gridai, ignorando tutto e chinandomi per riprovarci. -Uno! Due! Tre!- 
Afferrai l'argento che si allungava sulla pelle, sentii la strana combinazione di plastica resistenza, poi tirai un'altra volta verso l'alto e lontano dalla testa di Winston. 
Il ragazzo doveva aver sentito, o forse fu solo fortuna, ma nello stesso momento cercò di staccare la sostanza appiccicosa con il dorso delle mani, come provando a strapparsi la fronte. Tutto quel groviglio argentato venne via, una lastra tremolante spessa e pesante. Non esitai; scagliai le braccia in aria e tirai quella cosa sopra la mia testa e giù per le scale, poi mi girai sui talloni per vedere cosa succedeva. 
Mentre volava nell'aria, l'argento riprese velocemente la forma di una sfera, la sua superficie si increspò per un momento, per poi solidificarsi. Si fermò pochi gradini sotto di noi, indugiò per un attimo, come se stesse rivolgendo un'ultima lunga occhiata alla sua vittima, forse riflettendo su cosa fosse andato storto. Poi sfrecciò via, volando giù per le scale finché scomparve nel buio molto più in basso. 
Se n'era andata. Per qualche ragione, non era tornata all'attacco. 
Presi enormi boccate d'aria; ogni centimetro del mio corpo era madido di sudore. Appoggiai le spalle contro il muro, troppo spaventata per guardare Winston, che si lamentava dietro di me. Almeno le grida si erano placate. 
Alla fine mi voltai. Il ragazzo era in uno stato pietoso, ripiegato su sé stesso, tremava. I capelli erano scomparsi, al loro posto solo pelle scorticata e macchie di sangue. Le orecchie erano piene di tagli e lacerazioni, ma intere. Singhiozzava, di certo per il dolore, ma probabilmente anche per il trauma di quello che aveva appena passato. Nonostante l'acne, la pelle del viso sembrava liscia e vellutata in confronto alle ferite aperte sul resto della testa. 
-Stai bene?- gli chiesi, sapendo che doveva essere la domanda più stupida che avessi mai fatto ad alta voce. 
Winston scosse la testa con un movimento veloce; il corpo continuava a tremare. Guardai su e vidi Minho, Newt, Thomas e tutti gli altri Radurai un paio di gradini sopra di noi, che ci fissavano completamente sconvolti. Il riflesso brillante che arrivava dall'alto creava un'ombra sui loro visi, ma vidi comunque i loro occhi, spalancati come quelli di un gatto sorpreso dai fari di una macchina. 
-Cosa caspio era quell'affare?- mormorò Minho. 
Non riuscivo a parlare, scossi solo la testa senza più forze. 
Fu Newt a rispondere. -Un impiastro magico che mangia la testa della gente, ecco cosa diavolo era.- 
-Deve essere una specie di nuova tecnologia.- Questo era Thomas.  -Ho recuperato qualche ricordo. So che nel mondo c'è della roba tecnologica piuttosto avanzata, ma non mi ricordo di metallo liquefatto che vola e cerca di portarti via parti del corpo.-
Pensai ai miei ricordi vaghi. Di certo nemmeno a me veniva in mente niente di simile. 
Minho indicò con fare assente le scale alle mie spalle. -Quello schifo ti ricopre la faccia come un gel, poi si mangia la carne sul collo finché te lo taglia di netto. Carino. Davvero carino.-
-Avete visto? È venuta fuori dal soffitto!- disse Frypan. -Ci conviene andarcene. Subito.- 
-Non potrei essere piu d'accordo.- aggiunse Newt. 
Minho lanciò un'occhiata disgustata verso Winston, seguii il suo sguardo. Il ragazzo aveva smesso di tremare, e i suoi singhiozzi si erano ridotti a un lamento soffocato. Ma aveva un aspetto orribile, e di certo sarebbe rimasto sfregiato per sempre.
Non riuscivo a immaginare come sarebbero potuti ricrescere i capelli su quella testa rossa tutta scorticata. 
-Frypan! Jack!- gridò Minho. -Tirate su Winston, aiutatelo. Thomas, raccogli la sploff che gli è caduta, fatti dare una mano da un paio di ragazzi per portarla. Ce ne andiamo. Non me ne importa niente se la luce lì fuori è troppo forte o insopportabile. Oggi non ho proprio voglia di vedere la mia testa trasformata in una palla da bowling.-
Si voltò senza aspettare di vedere se la gente seguiva i suoi ordini. Per qualche ragione, questa mossa mi fece pensare che dopotutto il ragazzo sarebbe stato un buon leader. -Forza, Anna, Newt,- gridò senza girarsi -noi tre usciamo per primi.- 
Mi scambiai un'occhiata con Newt, che mi guardò un po' spaventato, ma più che altro pieno di curiosità. Impaziente di andare avanti. Per me era lo stesso, e odiavo ammettere che qualunque cosa mi sembrava meglio che affrontare le conseguenze di ciò che era successo a Winston. 
-Dai, andiamo.- disse Newt, scandendo bene la seconda parola, come se non potessimo fare altro che obbedire. Eppure il suo viso rivelava la verità: voleva allontanarsi dal povero Winston tanto quanto me. 
Annuii e passai oltre l'ex Intendente del Macello facendo attenzione a non calpestarlo, cercando di non guardare di nuovo la pelle sulla testa ferita. Mi stava venendo da vomitare. Mi spostai di lato per lasciare che Frypan, Jack e Thomas andassero a fare il loro dovere, poi cominciai a salire le scale, due gradini alla volta. Seguii Newt e Minho fino in cima, dove sembrava che il sole stesse lì ad aspettare fuori dalla botola aperta.

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Capitolo 6
*** La Zona Bruciata ***


Gli altri Radurai si scansarono, all'apparenza più che felici di lasciare a noi tre il compito di andare a vedere cosa c'era fuori. Strizzai gli occhi, poi li riparai con la mano mentre ci avvicinavamo. Era difficile credere che una volta attraversata questa porta potessimo sopravvivere in questo bagliore tremendo. 
Minho si fermò sull'ultimo gradino, proprio vicino alla linea diretta della luce. Poi allungò lentamente la mano in avanti finché entrò nel quadrato luminescente. Nonostante la carnagione olivastra del ragazzo, mi sembrava che la pelle di Minho splendesse come fuoco bianco. 
Dopo pochi secondi Minho tirò indietro la mano e la agitò come se si fosse schiacciato il pollice con un martello. -È veramente caldo. Veramente caldo.- Si voltò verso me e Newt. -Se vogliamo uscire, ci conviene coprirci con qualcosa o tra cinque minuti ci saremo beccati un'ustione di secondo grado. -
-Svuotiamo i nostri fagotti.- disse Newt, mentre si toglieva il suo dalla spalla. -Indossiamo i lenzuoli come un cacchio di accappatoio mentre diamo un'occhiata. Se funziona, possiamo infilare il cibo e l'acqua dentro metà del lenzuolo e usare l'altra metà per proteggerci.-
Avevo già svuotato il mio per aiutare Winston. -Sembreremo dei fantasmi. Faremo scappare tutti i cattivi lì fuori.-
Minho non ebbe la stessa cura di Newt; capovolse il suo fagotto e fece cadere tutto. I Radurai più vicini a noi si buttarono istintivamente sulla roba per impedire che rotolasse giù dalle scale. -Che spiritosa, questa Anna. Speriamo solo di non trovare qualche stupido omino malaticcio a darci il benvenuto.- disse, mentre cominciava a sciogliere i nodi che aveva fatto nel lenzuolo. -Non vedo come qualcuno potrebbe andarsene in giro con quel caldo. Magari ci saranno degli alberi o qualcosa del genere per ripararci.-
-Non lo so.- disse Newt. -Così potrebbero nascondersi, aspettare il momento per attaccarci o roba del genere, cacchio.-
Morivo dalla voglia di dare un'occhiata. Volevo smetterla di fare previsioni e vedere con i miei occhi cosa ci aspettava. -Non possiamo saperlo finché non indaghiamo. Forza.- Sbattei il lenzuolo, poi me lo buttai addosso e me lo strinsi forte intorno alla testa come una donna anziana con uno scialle. -Che te ne pare?-
-Non ti dona molto.- rispose Minho. 
-Sei bellissima, come sempre.- gli tirò una gomitata Newt. 
-Grazie.-  
Minho e Newt fecero come me, ma i due prestarono più attenzione, afferrando il lenzuolo con le mani da sotto per essere completamente coperti. E lo tenevano anche un po' più in avanti in modo da proteggersi il viso. Seguii il loro esempio. 
-Pronti pive?- chiese Minho, guardando prima Newt, poi me. 
-Abbastanza eccitato, in effetti.- rispose il biondo. 
Non sapevo se fosse proprio la parola giusta, ma sentivo lo stesso desiderio di passare all'azione. -Anch'io. Andiamo.- 
Come l'uscita di una vecchia cantina, i gradini rimasti arrivavamo fino in cima, e gli ultimi brillavano nel sole luminoso. Minho esitò, ma poi li fece di corsa, senza fermarsi finché scomparve, come se fosse stato assorbito dalla luce. 
-Vai!- gridò Newt, dandomi una pacca sulla schiena. 
Sentii una scossa di adrenalina. Espirando profondamente, corsi dietro a Minho; sentii Newt subito dietro di me. Appena uscii, mi resi conto che se ci fossimo coperti con della plastica trasparente sarebbe stato identico. Il lenzuolo non faceva niente per bloccare la luce accecante e il calore rovente che picchiava dall'alto. Aprii la bocca per parlare e un soffio caldo secco mi scese in gola. Cercai disperatamente di inspirare ossigeno, ma era come se qualcuno mi avesse dato fuoco al petto. 
Anche se i miei ricordi erano pochi e vaghi, non pensavo che il mondo dovesse essere così. 
Con gli occhi chiusi per via di questo bianco brillante, andai addosso a Minho e caddi quasi per terra. Dopo aver recuperato l'equilibrio piegai le ginocchia e mi accovacciai, sistemandomi il lenzuolo sopra come se fosse una tenda, mentre continuavo ad ansimare. Finalmente ripresi fiato, inspirando ed espirando velocemente cercando di riprendermi. Questo primo istante dopo essere uscita dalle scale mi aveva davvero sconvolto. Anche gli altri due Radurai respiravano a fatica. 
-State bene?- chiese alla fine Minho. 
Risposi di sì con un grugnito, e Newt disse: -Sembra proprio che siamo appena arrivati al maledetto inferno. Sempre pensato che ci saresti finito tu qui, Minho, ma non io.-
-Bene così.- rispose il Leader. -Mi fanno male gli occhi, ma direi che finalmente sto iniziando ad abituarmi alla luce.- 
Aprii leggermente i miei e guardai a terra, a una cinquantina di centimetri dal mio viso. Terra e polvere. Qualche roccia grigio-marrone. Il lenzuolo mi copriva completamente, ma era un bianco così nitido che sembrava uno strano pezzo di tecnologia futuristica. 
-Da chi ti nascondi?- chiese Minho. -Alzati, pivella. Io non vedo nessuno.- 
L'idea che pensassero che mi ero acquattata mi mise in imbarazzo; dovevo sembrare una bambina che piagnucolava sotto le coperte, per non farsi vedere. Mi tirai su e sollevai il lenzuolo finché riuscii a dare una rapida occhiata intorno.
Era una landa desolata. 
Davanti a me, una superficie piatta di terra arida e senza vita si estendeva a perdita d'occhio. Nemmeno un'albero. Nessun cespuglio. Niente colline o vallate. Solo un mare di polvere e rocce; correnti tremolanti di aria calda ribollivano all'orizzonte come vapore, fluttuando verso l'alto, come se qualunque forma di vita qui fuori si stesse fondendo con il cielo azzurro pallido e limpido. 
Feci un giro su me stessa e notai qualcosa di diverso solo quando mi voltai nella direzione opposta. Una catena di montagne frastagliate e sterili si innalzava in lontananza. Di fronte, forse a metà strada tra quelle montagne e il punto in cui ci trovavamo, un agglomerato di edifici accasciati gli uni sugli altri come una pila di scatoloni abbandonati. Doveva essere una città, ma era impossibile dire quanto fosse grande da questa distanza. L'aria calda tremolante rendeva confuso tutto ciò che era vicino al suolo. 
Il sole bianco e caldo sopra di noi era già sceso alla nostra sinistra, e sembrava affondare verso quell'orizzonte, il che significava che quello era l'ovest, e che la città in direzione di quelle rocce nere e rosse alle nostre spalle doveva essere a nord. Dove si supponeva dovessimo dirigerci. Il mio senso dell'orientamento mi sorprese, come se un pezzo del mio passato si fosse risollevato dalle ceneri. 
-Secondo te quanto sono lontani quegli edifici?- chiese Newt. Dopo che i suoni vuoti delle nostre parole avevano riecheggiato nel buio della lunga galleria e sulla scala, la sua voce sembrava un sussurro cupo. 
-Potrebbero essere centocinquanta chilometri?- non chiesi a nessuno in particolare. -Quello decisamente è il nord. Forse è lì che dobbiamo andare.-
Minho scosse la testa da sotto il cappuccio-lenzuolo. -Non esiste, Anna. Insomma, dovremmo andare in quella direzione, ma la distanza non si avvicina neanche un po' a centocinquanta chilometri. Al massimo cinquanta. E le montagne saranno a un centinaio di chilometri.-
-Non sapevo che riuscissi a calcolare la distanza così bene con il solo aiuto dei tuoi cacchio di occhi.- disse Newt.
-Sono un Velocista, faccia di caspio. Ci si prende la mano con questo genere di cose nel Labirinto, anche se le proporzioni erano molto ridotte.-
-L'Uomo Ratto non stava scherzando a proposito delle eruzioni solari.- dissi, cercando di non lasciarmi prendere troppo dallo sconforto. -Sembra un olocausto nucleare qui fuori. Chissà se tutto il mondo è così.-
-Speriamo di no.- rispose Minho. -Sarei contento di vedere un albero in questo momento. Magari un ruscello.-
-Io mi accontenterei di un po' d'erba.- disse Newt sospirando. 
Più guardavo, più la città mi sembrava vicina. Cinquanta chilometri forse erano persino troppi. Distolsi lo sguardo e mi voltai verso i due ragazzi. -Non potrebbe essere più diverso da quello che ci hanno fatto passare nel Labirinto, non vi sembra? Lì, eravamo intrappolati dai muri, e avevamo tutto quello che ci serviva per sopravvivere. Qui non c'è niente che ci rinchiuda, ma non c'è modo di sopravvivere a meno che non andiamo dove ci hanno detto. Non si chiama ironia della sorte o roba del genere?- 
-Qualcosa del genere.- concordò Minho. -Sei uno spettacolo quando ti metti a fare la filosofa.- Fece un cenno con la testa verso l'uscita delle scale. -Forza. Chiamiamo quei pive e incamminiamoci. Non perdiamo tempo a farci prosciugare dal sole.-
-Forse dovremmo aspettare che cali.- suggerì Newt. 
-E rimanere lì insieme a quelle caspio di palle di metallo? Non esiste.- 
Anch'io pensavo che dovessimo cominciare a muoverci. -Penso che ce la caveremo. Sembra che manchi solo qualche ora al tramonto. Possiamo tenere duro per un po', fare una sosta, poi percorrere più strada possibile durante la notte. Non resisto un altro minuto lì sotto.- 
Minho annuì convinto. 
-Mi sembra una buona idea.- disse Newt. -Per adesso, arriviamo solo fino a quella vecchia città polverosa e speriamo che non sia piena di matti.-
Questo commento mi provocò una morsa al petto. 
Minho ritornò verso il buco e si chinò in avanti. -Ehi, massa di signorine, senza offesa Anna,- si voltò verso di noi per poi riportare velocemente lo sguardo all'interno della botola -pive buoni a nulla! Prendete il cibo e venite su!-
Nessun Raduraio si lamentò del piano.
Li osservai uno per uno fare le stesse cose che avevo fatto io subito dopo essere uscita dalla botola. Ansimare per riprendere fiato, socchiudere gli occhi, rivolgere sguardi disperati. Ero pronta a scommettere che ognuno di loro avesse sperato che l'Uomo Ratto avesse mentito. Che i momenti peggiori fossero stati quelli trascorsi nel Labirinto. Ma ero piuttosto sicura che dopo l'esperienza con quelle assurde cose argentate divoratrici di teste, e dopo aver visto questa terra desolata, nessuno si sarebbe più fatto illusioni. 
In preparazione al viaggio facemmo delle modifiche: infilammo le borse del cibo e dell'acqua in metà dei fagotti iniziali; i lenzuoli avanzati vennero usati per coprirsi in coppia. Tutto sommato, funzionò sorprendentemente bene, persino per il povero Winston, e ben presto stavamo marciando sul suolo duro, cosparso di rocce. 
Dividevo il lenzuolo con Newt, ovviamente.  Tenevo sollevato un estremo del tessuto con la mano sinistra e portavo il fagotto sulla spalla destra, dal lato del biondo. Avevamo deciso di scambiarcelo ogni trenta minuti, visto che adesso era molto più pesante, ma se fosse stato per il ragazzo l'avrebbe tenuto lui tutto il tempo. Passo dopo passo, percorremmo il tragitto verso la città tra la polvere ed il calore che sembrava toglierci un giorno di vita ogni cento metri. 
Per molto tempo non parlammo, ma alla fine ruppi il silenzio. -Come ti senti?- sollevai lo sguardo verso di lui.
-Uno schifo.- ansimò. -Tu? Ti prego, dimmi che stai bene.- mi fece perdere nei suoi occhi.
-Sto zitta, allora.- tornai a guardare la polvere e le rocce per terra. 
-Pensi che sarà sempre così?- mi chiese dopo pochi minuti.
-In che senso?- era bello poter di nuovo parlare io e lui, soli. 
-Vale realmente la pena di vivere un amore così?- mi fermai di botto, vedendo il lenzuolo sorpassarmi, per poi ricadere lungo il fianco di Newt. Il ragazzo tornò subito indietro e mi risistemò il telo sopra la testa, assicurandosi che lo tenessi.
-Ehi, che c'è che non va?- portò una mano ad accarezzarmi la guancia. Ci eravamo fermati nel mezzo del sentiero immaginario che ci eravamo costruiti, mentre i Radurai ci osservavano di sfuggita, proseguendo lentamente. 
-Cosa intendevi? Che cercavi di dire prima?- Davvero lui pensava che questo amore non fosse destinato ad esistere? E tutto quello che avevamo passato? Tutto quello che il futuro ci riservava? Sarebbe dovuto finire tutto?
Gli occhi di Newt si illuminarono; evidentemente aveva compreso i miei pensieri. -Caspio, no!- esclamò. -Anna, sei la mia unica ragione di vita. Ogni passo che faccio in questa landa desolata lo devo a te. Come puoi anche solo pensare che intendessi... Non riesco neanche a dirlo.- spostò lo sguardo di lato, frustrato. -Intendevo solo dire che per noi vorrei qualcosa di diverso. Un posto tranquillo dove stare insieme. Tutto qui.- mi sorrise.
Non ce la feci, gli sorrisi a mia volta e, prendendolo per mano, ricominciai a camminare.
-Grazie per essere al mio fianco.- gli dissi quando fummo ritornati con il gruppo.
-Sempre.- intensificò la stretta.
Prima che potessi rispondere, Frypan cominciò a gridare. Stava indicando qualcosa.
Molto in lontananza, dalla direzione della città, due persone stavano correndo verso di noi, i loro corpi erano come oscure figure spettrali nel miraggio del calore, con delle piccole piume di polvere che si levavano dai loro piedi.

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Capitolo 7
*** Gli Spaccati ***


Fissai i due che correvano. Percepii che anche gli altri Radurai attorno a me si erano fermati, come se avessero ricevuto un tacito ordine di farlo. Tremai, qualcosa che sembrava assolutamente impossibile nel caldo torrido. Non sapevo perché provavo questo brivido freddo di paura sulla schiena, eravamo quasi dieci volte più numerosi dei due sconosciuti che si avvicinavano, ma questa sensazione era innegabile.
-State più vicini.- disse Minho. -E state pronti a combattere al primo sentore di un problema.-
Il miraggio del calore che saliva verso l'alto offuscò le due figure finché non si trovarono a un centinaio di metri. Quando riuscii a metterli a fuoco, sentii i muscoli di Newt irrigidirsi. 
Si fermarono a sette, otto metri da noi. Uno era un uomo, l'altra una donna, anche se lo capii solo dalle curve leggere del suo corpo. A parte questo, avevano lo stesso fisico: slanciato e scheletrico. La testa e il viso erano quasi completamente avvolti in un tessuto beige logoro, con dei tagli irregolari per vedere e respirare. I Pantaloni e la casacca erano un guazzabuglio di vestiti sporchi cuciti insieme, in alcuni punti legati da delle strisce lise di jeans. Fatta eccezione per le loro mani, che erano rosse, piene di ferite e di croste, nessuna parte del corpo era esposta al sole cocente.
I due se ne stavano ad ansimare mentre riprendevano fiato, producendo un suono simile a due cani malati. 
-Chi siete?- gridò Minho.
Gli sconosciuti non risposero. Il loro petto si alzava e si abbassava per l'affanno. Li osservai da sotto il cappuccio improvvisato: non riuscivo a immaginare come qualcuno potesse correre così a lungo e non essere stroncato da un colpo di calore. 
-Chi siete?- ripeté Minho. 
Invece di rispondere, i due si separarono e cominciarono a camminare in cerchio intorno a noi, senza avvicinarsi. Tenevano gli occhi, nascosti dietro alle fessure in quelle strane bende da mummia, fissi su di noi, mentre si muovevano in un grosso arco in direzione opposta, come se stessero studiando la preda. Sentii la tensione crescere dentro di me, non sopportavo di non vederli insieme nello stesso momento. Mi voltai e li osservai mentre si rincontravano dietro al gruppo, e ancora una volta ci fissavano, immobili.
-Siamo molto più numerosi di voi.- disse Minho, con la voce che tradiva la frustrazione. Minacciarli così presto sembrava un gesto disperato. -Parlate. Diteci chi siete.- 
-Siamo Spaccati.- 
Le due parole arrivarono dalla donna, un breve scoppio di irritazione gutturale. Per nessuna ragione comprensibile, indicò oltre noi, verso la città dalla quale erano arrivati correndo.
-Spaccati?- disse Minho; si era fatto strada tra il gruppo per avvicinarsi di nuovi agli sconosciuti. -Cosa significa?-
-Siamo Spaccati.- Questa volta fu il turno dell'uomo, la sua voce sorprendentemente più delicata e meno rauca di quella della donna. Ma non c'era traccia di gentilezza. 
Indicò oltre noi, proprio come aveva fatto la sua compagna. -Siamo venuti a vedere se siete Spaccati. Siamo venuti a vedere se avete l'Eruzione.-
Minho si voltò verso di me e poi verso qualcun altro, con le sopracciglia inarcate. Nessuno disse niente. Poi si voltò di nuovo. -Un tizio ci ha detto che abbiamo l'Eruzione, sì. Cosa potere dirci di questa malattia?-
-Non importa.- rispose l'uomo; le strisce di tessuto avvolte attorno al viso si muovevano a ogni parola. -Se ce l'avete, ve ne accorgerete molto presto.- 
-Bene, cosa cacchio volete?- chiese Newt, allungando un braccio e spostandomi dietro la sua schiena, così da ripararmi con il suo corpo. -Che ve ne frega se siamo Spaccati o no?- 
Questa volta fu la donna a rispondere, comportandosi come se non avesse sentito le domande. -Come siete entrati nella Zona Bruciata? Da dove venite? Come avete fatto ad arrivare qui?-
Fui sorpresa di constatare che erano creature intelligenti. Mi aspettavo degli esseri assolutamente privi di senno, delle bestie. Questi due erano abbastanza lucidi da accorgersi che eravamo comparsi dal nulla. Non c'era niente nella direzione opposta a quella della città.
Minho si piegò in avanti per consultarsi con Thomas, poi si voltò e fece qualche passo verso me e Newt. -Cosa diciamo a queste persone?-
Non ne avevo idea. -Non lo so. La verità? Non può far male.- 
-La verità?- disse Minho con tono sarcastico. -Che bella idea, Anna. Solitamente sei più geniale, cacchio.- Si rivolse di nuovo agli Spaccati. -Siamo stati mandati qui dalla C.A.T.T.I.V.O. Siamo usciti da un buco a poca distanza da qui. Dobbiamo percorrere centocinquanta chilometri verso nord passando per la Zona Bruciata. Questa roba vi dice qualcosa?- 
Ancora una volta, fu come se non avessero sentito niente di quello che aveva detto. 
-Non tutti gli Spaccati sono andati.- disse l'uomo. -Non tutti hanno superato l'Andata.- Disse l'ultima parola come se fosse il nome di un luogo. -Ce ne sono diversi, a livelli diversi. Vi conviene imparare con chi fare amicizia e chi evitare. O a uccidere. Vi conviene imparare in fretta se avete intenzione di proseguire nella nostra direzione.-
-E la vostra direzione qual'è?- chiese Minho. -Voi arrivate da quella città, giusto? È lì che vivono tutti questi Spaccati? Ci sono acqua e cibo lì?- 
Avevo la stessa voglia di Minho di fare mille domande. Ero quasi tentata di suggerire di prendere in ostaggio questi Spaccati e di farli rispondere. Ma per il momento i due non sembravano affatto intenzionati ad aiutarci; si separarono di nuovo per aggirarci e rimettersi di fronte a noi dalla parte della città. 
Dopo essersi rincontrati nel punto in cui avevano parlato la prima volta, con la città in lontananza che sembrava quasi fluttuare tra loro, la donna disse un'ultima cosa. -Se non ce l'avete ancora, ce l'avrete presto. Come l'altro gruppo. Quello che dovrebbe uccidervi.-  
Poi i due sconosciuti si voltarono e ricominciarono a correre verso gli edifici all'orizzonte, lasciandoci ammutoliti. Presto, qualunque traccia degli Spaccati si smarrì nella confusione di calore e polvere.
I Radurai proruppero in un coro di mormorii e varie domande. 
-L'altro gruppo?- disse qualcuno. Forse Frypan. Ero troppo in trance a fissare gli Spaccati che scomparivano e a pensare all'Eruzione per farci caso.
-Ehi!- Minho li mise subito a tacere. -Pronto? Chi se ne frega? Pensate forse che sia il caso di concentrarsi su quella piccola parte riguardo al fatto che dovrebbero ucciderci? E allora questa storia dell'Eruzione?-
Pensai al tatuaggio che avevo dietro al collo. A quelle semplici ma terribili parole. -Forse quando ha detto 'uccidervi' non intendeva tutti noi.- Feci ripetutamente segno con il pollice dietro alle mie spalle, indicando il marchio minaccioso. -Forse intendeva me in particolare. Non sono riuscita a vedere dove guardava.-
-Come fa a sapere chi sei?- ribatté Minho. -E poi, non ha importanza. Se qualcuno cerca di uccidere te, o me, o chiunque altro, tanto vale che provino ad ammazzarci tutti. Giusto?-
-Sei così dolce.- disse Frypan con un grugnito. -Vai pure a morire con Anna. Io credo che me la svignerò e mi godrò la vita con il senso di colpa.- Lanciò il suo sguardo speciale per far capire che stava solo scherzando, ma mi chiesi se se non avesse nascosto un po' di verità in quello che aveva detto.
-Bene, e adesso cosa facciamo?- chiese Jack, un ragazzo smilzo dai capelli neri. Aveva il braccio di Winston sulla spalla, ma l'ex Intendente del Macello sembrava aver recuperato un po' della sua forza. Per fortuna il lenzuolo copriva le parti martoriate della testa.
-Secondo te?- chiese Newt, ma poi fece un cenno a Minho.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. -Proseguiamo, ecco cosa. Sentite, non abbiamo scelta. Se non andiamo in quella città moriremo di fame o per un'insolazione. Se invece ci andiamo, troveremo un riparo per un po', magari anche del cibo. Spaccati o non Spaccati, è lì che andremo.-
-E l'altro gruppo?- chiese Thomas. -O chiunque siano quelli di cui parlavano quei due? E se vogliono davvero ucciderci? Tutto quello che abbiamo per combattere sono le nostre mani.-
Minho piegò il braccio destro. -Non sappiamo neanche chi sono quelle persone.-
-E se sanno combattere? Se sono armati, o se sono un migliaio di Spaccati?-
-Il Gruppo B...- sussurrai. Da quando i ragazzi avevano preso a parlare, i miei pensieri avevano iniziato a correre alla velocità della luce. Cercai un ricordo, qualsiasi cosa che potesse aiutarmi a far chiarezza in questa storia. Quando finalmente lo trovai, queste poche parole mi uscirono dalla bocca senza neanche pensarci.
-Come?- mi chiese Minho confuso.
-Il Gruppo B... Ora ricordo.- spostai lo sguardo da Newt a Minho. -È un gruppo di ragazze.- 
-Ragazze...?- il Leader sembrava poco convinto.
-Mi è venuto in mente adesso, ma non so altro.- Feci una pausa. -Solo che sono un gruppo analogo al nostro: stesse prove, stesse Variabili, il Labirinto... Ma tutte ragazze.- 
-Tutte ragazze...- Minho ci rifletté per qualche istante. -Se quelle persone sono davvero tutte ragazze non avremo problemi.-
-E come mai pensi questo? Vorresti dire che le ragazze non sono brave a combattere quanto i ragazzi?- gli diedi contro, facendo un passo in avanti.
-Okay, diamoci una calmata. Non voleva dire questo.- mi ritirò indietro Newt, stringendomi le braccia intorno alla vita e non spostandole neanche dopo.
-Anna... Anzi, tutti.- il Velocista fece un sospiro esasperato. -Volete chiudere la fogna e darvi una calmata? Basta con le domande. Se non avete un'idea che non comprende la morte certa, allora smettetela e cogliamo l'unica opportunità che abbiamo. Chiaro?-
In qualche modo, con queste poche frasi, Minho era riuscito a tirarmi su di morale, o almeno mi aveva dato un po' di speranza. Dovevamo solo andare, muoverci, fare. Tutto qui.
-Così va meglio.- disse il ragazzo con un cenno di soddisfazione. -Qualcun altro vuole farsi la pipì addosso e chiamare la mamma?-
Ci fu qualche risatina, ma nessuno disse niente.
-Bene. Newt, adesso vai avanti tu, anche se zoppichi. Anna, tu resti in fondo insieme a Thomas. Jack, fatti sostituire da qualcuno per aiutare Winston. Andiamo.-
E così facemmo. Cedetti il fagotto al biondo ed aiutai Thomas con il suo. Toccava a lui portarlo, e mi sentii quasi galleggiare. Ma presto iniziai a sentire la fatica di tenere il lenzuolo sollevato, con il braccio che diventava sempre più debole e indolenzito. Ma proseguimmo, un po' camminando, un po' correndo.
Per fortuna, il sole sembrava appesantirsi e abbassarsi sempre più velocemente man mano che si avvicinava all'orizzonte. Secondo il mio orologio, gli Spaccati se ne erano andati da solo un'ora quando il cielo si colorò di un arancione violaceo e il bagliore intenso cominciò a sfumare in una luce più piacevole. E dopo non molto, il sole scomparve del tutto dietro all'orizzonte, tirando la notte e le stelle sul cielo come se fossero una tenda.
Continuammo a camminare, diretti verso le deboli luci intermittenti che arrivavano dalla città. Adesso che non stavo portando il fagotto e che avevamo messo via il lenzuolo, riuscii quasi a godermi questo momento.
Finalmente, quando ogni ultima traccia del crepuscolo era svanita, il buio completo si posò come una nebbia nera.

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Capitolo 8
*** Incontro Inaspettato ***


Il nostro pasto era stato silenzioso e cupo, l'argomento centrale era stato quello che aveva detto l'Uomo Ratto riguardo alle Variabili, e al fatto che le nostre reazioni a esse erano l'unica cosa che contava. Riguardo alla realizzazione di una 'cianografia', all'importanza di esaminare la 'violenza' e le sue conseguenze. Nessuno aveva una risposta, ovviamente, solo speculazioni insignificanti. Che strano, pensai. Adesso sapevamo di essere in qualche modo esaminati, di essere sottoposti alle prove della C.A.T.T.I.V.O. In un certo senso c'era da aspettarsi che questo ci inducesse a comportarci in modo diverso. E invece continuavamo ad andare avanti, a combattere, a sopravvivere, e avremmo continuato a farlo finché non avessimo ottenuto la cura promessa; ne ero certa.
Dopo che Minho ci aveva fatto rimettere tutti in marcia, mi ci volle un po' prima che le gambe e le articolazioni si distendessero. Sopra di noi, la luna era un frammento, e insieme alle stelle, ci forniva poca luce. Ma non c'era bisogno di vedere molto per correre su questa terra piatta e sterile. E poi, a meno che non fosse frutto della mia immaginazione, vedevamo davvero avvicinarsi le luci della città. Adesso riuscivo a vedere che tremolavano, il che voleva dire che probabilmente si trattava di fuochi. E aveva un senso: le probabilità che in questa landa desolata ci fosse l'elettricità erano vicine a zero.
Senza rendermene conto, l'agglomeramento di edifici verso cui stavamo correndo apparve molto più vicino. E ce n'erano molti di più di quanti io o chiunque altro avesse pensato. Erano anche più alti. Più imponenti. Distribuiti e organizzati ordinatamente in file. A quanto ne sapevamo, un tempo questa poteva essere una città importante, devastata da chissà quale catastrofe fosse successa in questa zona. Le eruzioni solari potevano davvero provocare tutti questi danni? O erano state altre calamità a causarlo successivamente?
Stavo cominciando a pensare che avremmo davvero raggiunto i primi edifici il giorno seguente.
Anche se in questo momento non avevamo bisogno del lenzuolo, Thomas continuò a correre al mio fianco infondo alla fila, e aveva voglia di parlare. -Sai, non credo di averti mai detto che mi dispiace molto per la morte di Chuck.- 
Continuai a guardare dritto davanti a me, cercando di controllare le emozioni suscitate dal sentire il nome del ragazzino. Non gli risposi.
-Era anche mio amico e gli volevo bene.- continuò, come cercando di spronarmi a parlare.
-Non sembravate molto affettuosi nei suoi confronti.- sentii crescere dentro di me la rabbia che fino ad adesso avevo represso.
-Solo quei pochi che non capivano com'era realmente.- lo guardai per un istante, cercando di comprendere se pensasse davvero quello che stava dicendo. 
-Era unico.- nelle mie parole non nascosi la sofferenza che provavo. -Nessuno potrà prendere il suo posto.-
-Non succederà.- mi sorrise in modo rassicurante. Fui grata per le sue belle parole nei confronti di Chuck, significava che qualcuno si era occupato di lui prima di me. Significava che non era rimasto solo tutto il tempo. 
Scacciai via questi tristi pensieri prima che mi sopraffacessero. -Quando sei arrivato nella Radura?- gli chiesi senza un motivo in particolare. 
-Non ero nel gruppo che è stato mandato per primo, ma il mio turno è arrivato poco dopo.- mi rispose in modo secco. -Non ti ho mai neanche davvero ringraziato per tutto quello che hai fatto.- aggiunse poi.
-Che intendi?- ero seriamente confusa.
-Oh andiamo, lo sai! Senza di te probabilmente saremmo ancora rinchiusi nel Labirinto a correre come topi tra quegli immensi corridoi.- Fece una pausa. -Per non parlare di quello che hai fatto a Newt, grazie a te finalmente è felice.- 
-E non lo era anche prima?- 
-È complicato...- fece una pausa. -Non so come spiegartelo, gli hai acceso una luce negli occhi che prima non aveva. Credo che tu gli abbia restituito nuova vita con la tua unica presenza. Quando è accanto a te è sereno, tranquillo, rilassato.-
Fui quasi sul punto di dire qualcosa, ma nello stesso momento Minho gridò a tutti di fermarci.
-Pausa.- disse con le mani sui fianchi mentre riprendeva fiato. -Ci riposiamo quindici minuti, poi per un po' cammineremo soltanto. So che voi pive non potete tenere il ritmo di noi Velocisti.-
Diedi un'occhiata al luogo in cui ci eravamo fermati. Feci un profondo respiro, a pieni polmoni, e quando mi rilassai, i miei occhi notarono qualcosa. L'ombra scura di una figura a poche centinaia di metri davanti a noi, ma non esattamente nella direzione del nostro cammino. Un quadrato scuro contro il debole bagliore della città sullo sfondo. Spiccava in modo così netto che non potevo credere di non averlo notato fino a questo momento.
-Ehi!- gridai, indicandolo. -Quello sembra un piccolo edificio, a pochi minuti di distanza, sulla destra. Lo vedete?-
-Già, lo vedo.- rispose Newt, raggiungendomi. -Chissà cos'è.-
Prima che potessi rispondere, da dietro l'edificio scuro, comparve la sagoma di un ragazzo.
Dopo essere sbucato da dietro l'edificio, o più probabilmente essere uscito dall'interno, il ragazzo rimase fermo lì. Nonostante il buio lo oscurasse completamente, qualcosa sulla sua posizione indicava chiaramente che era girato verso di noi, che ci stava fissando con le braccia incrociate.
-Chi pensate che sia? Un'altro Spaccato o qualcuno dei loro?- chiese Minho.
-Non ne ho idea...- riflettei. 
Anna.
Annaspai, colta di sorpresa. Chiusi gli occhi e portai una mano alla fronte, scacciando dalla mia mente il pensiero che lui fosse presente.
Minho grugnì, poi batté le mani una volta. -Okay, allora, chi vuole andare a conoscere questo?- Come il Velocista potesse essere così allegro in momenti come questi mi lasciava del tutto sconcertata. 
Vieni sola.
Ignorai nuovamente il ragazzo, cercando di non far notare agli altri Radurai quanto dolore provassi.
Vieni.
Non so perché questa volta decisi di dargli retta, ma senza neanche accorgermene mi ritrovai a sussurrare: -Ci vado io.-
-Stavo solo scherzando, Anna.- disse Minho. -Andiamoci tutti. Potrebbe esserci un esercito di Spaccati ninja psicopatici in quella baracca.-
-Ninja psicopatici?- ripeté Newt, con la voce che mostrava quanto fosse sorpreso, se non infastidito, dall'atteggiamento del Leader.
-Già. Andiamo.- Minho cominciò a incamminarsi.
Devi venire da sola.
Reagii sotto un impulso improvviso e inaspettato. -No!- Abbassai la voce. -No. Voi restate qui. Ci vado io a parlare con lui. Potrebbe essere una trappola. Sarebbe da stupidi andarci tutti e cascarci in pieno.-
-E non è da stupidi andarci da sola?- chiese Minho.
-Beh, non possiamo proseguire senza controllare. Vado io. Se succede qualcosa di strano o di sospetto, vi chiamo.- il ragazzo voleva ribattere, perciò mi affrettai ad aggiungere: -Vedendo una ragazza si tranquillizzerà sicuramente, chiunque sia.-
Minho rimase in silenzio a lungo. -Va bene. Vai. La nostra piccola pivella coraggiosa.- Mi diede una pacca sulla spalla con la mano aperta facendomi male. 
-È un'idiozia.- ci interruppe Newt, facendo un passo in avanti. -Vado con lei.-
-No!- sbottai. -Lasciatemelo... Fare e basta. Qualcosa mi dice che dobbiamo stare attenti. Se mi metto a gridare come una femminuccia quale sono, verrete a salvarmi.- E prima che qualcuno potesse controbattere, prima che Newt potesse fermarmi e farmi rinsanire, mi incamminai velocemente verso il ragazzo vicino all'edificio.
Coprii la distanza in fretta. Le scarpe scricchiolavano contro la terra ghiaiosa e le rocce rompendo il silenzio. Annusai l'odore del deserto misto a quello lontano di bruciato, e mentre fissavo il profilo del ragazzo e il marrone dei suoi capelli iniziava a rivelarsi, di colpo non ebbi più dubbi.
Era lui.
Era il ragazzo che mi parlava attraverso il pensiero dai tempi della Radura. 
Quando mi trovai a pochi passi da lui, subito prima che la luce debole rivelasse il suo viso, si voltò e attraversò una porta aperta, scomparendo all'interno del piccolo edificio. Era un rettangolo, il tetto leggermente inclinato al centro. Da quello che potevo vedere, non c'erano finestre. 
La porta, una grossa tavola di legno, era spalancata e appoggiata al muro. Dentro era addirittura più buio che fuori. 
Mi mossi. Attraversai la porta e mi resi conto, nel momento in cui lo facevo, di quanto potesse essere avventato e stupido questo gesto. Ma per qualche strano motivo, dentro di me, sentivo la convinzione che non mi avrebbe fatto del male. 
L'aria all'interna era decisamente più fresca, quasi umida. Era meraviglioso. Feci tre passi, poi mi fermai e rimasi ad ascoltare nel buio completo. Lo sentivo respirare.
-Chi sei?- chiesi ad alta voce, sperando che non mi avrebbe parlato telepaticamente. 
Lui non rispose, ma lo sentii espirare profondamente, poi tirare su piano con il naso, come se stesse piangendo o semplicemente avesse un raffreddore.
-Dimmelo, per favore. Io...- 
Mi interruppi quando vidi una luce brillare con un bagliore improvviso che poi si ridusse a una piccola fiamma. I miei occhi si diressero istintivamente verso la mano che teneva il fiammifero. Lo osservai abbassarsi, piano, con attenzione, e accendere una candela appoggiata su un tavolino. Poi la mano scosse il fiammifero finché si spense, e finalmente alzai lo sguardo e lo vidi. 
Era pulito, da capo a piedi. Indossava un completo bianco e una giacca nera, proprio come l'Uomo Ratto. Dai tratti del suo volto si capiva che non doveva avere più di diciassette anni, malgrado la sua corporatura lo facesse sembrare più grande. I suoi capelli, di un colore marrone ramato, facevano da cornice a due luminosissimi e grandi occhi verdi. 
Ma aveva gli occhi lucidi per via delle lacrime, gli tremava il labbro, agitava le mani lungo i fianchi. Nonostante tutto, forse per come erano inarcate le sue sopracciglia, forse per la bocca leggermente rivolta all'insù, mi sembrò che non stesse piangendo per la paura o la disperazione. Mi sembrò quasi felice.
-Anna.- bisbigliò. -Ne è passato di tempo.- Non avevo dubbi, era la sua voce.
Non risposi. Non sapevo cosa dirgli o chiedergli. Non sapevo cosa fare. Forse venire qui non era stata una grande idea.
All'improvviso, senza una ragione in particolare, mi abbracciò. Restai immobile, sgranando gli occhi per la sorpresa. -Anna, ho pensato a te ogni secondo da quando ti hanno portato via. Tu...- non finì la frase, si scostò da me e mi prese per le spalle, costringendomi a guardarlo. -Non ti ricordi di me, vero?- mi chiese, nel suo tono di voce percepivo una cupa tristezza.
-Mi dispiace.- dissi allontanandomi, a disagio per questo contatto. 
-Sono Will.- Fece una pausa, probabilmente per vedere la mia reazione alle sue parole. -Lavoravamo insieme alla C.A.T.T.I.V.O. Ero con te quando ti hanno mandato nella Radura.- Restai impassibile davanti alla sua ultima affermazione.
-Non mi dice niente...- In qualche modo sentivo di avere un particolare rapporto con lui, ma nei miei ricordi non c'era niente che lo riguardasse.
-Capisco.- disse in fretta. -Loro non sanno che sono qui, ma io dovevo assolutamente vederti. Dovete stare attenti, la Zona Bruciata è tutt'altra cosa rispetto al Labirinto; qui siete in costante pericolo.-
Lo guardai confusa. -Questo ce l'ha già detto l'Uomo Rat... L'altro.- Dove voleva andare a parare dicendomi queste cose? 
-Sì, ma lui non vi ha detto tutto.- continuò. -E non posso neanch'io, non ho abbastanza tempo. Ci rivedremo, Anna. Molto presto.- mi guardò con uno sguardo carico di tensione. Allungò una mano verso la mia, stesa lungo il fianco, ma all'ultimo secondo la ritrasse, come scottato.
-Chi sei tu?- ripetei lentamente, scandendo bene le parole.
-Qualcuno che tiene a te e che vuole che tu sia al sicuro.- fece l'enigmatico.
-Chi sei tu?- avevo alzato la voce di un'ottava di troppo. Persi l'ultimo grammo di autocontrollo che avevo.
-Non mi crederesti mai.- si giustificò.
-Chi sei tu, Will?- pronunciare il suo nome mi fece uno strano effetto. La schiena venne percorsa da numerosi brividi e le mani iniziarono a tremare. Continuò a guardarmi con quei suoi grandi occhi verdi, facendomi sentire a disagio.
-Sono tuo fratello, Anna.- disse poi, la guancia destra solcata da una lacrima solitaria.
Non riuscii ad elaborare l'ultima frase, perciò pensai che evitare il problema sarebbe stato più semplice che affrontarlo.
Mi allontanai, barcollando all'indietro finché non andai a sbattere contro la parete, la porta alla mia destra. 
-Stai lontano da me.- dissi, facendo piccoli passi verso l'uscita. -Tutti voi dovete stare... Lontano... Da me... Da noi.- 
-Anna,- disse con gli occhi pieni di lacrime -io ti troverò.- 
Senza dire una parola, mi voltai e corsi via dall'edificio, lontano dalla C.A.T.T.I.V.O, lontana dalla verità, lontana da mio fratello.

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Capitolo 9
*** Agonia ***


Mi allontanai barcollando dall'edificio ormai sprofondato nel buio, sforzandomi di vedere attraverso gli occhi offuscati dalle lacrime. Tornai dai Radurai e mi rifiutai di rispondere alle loro domande. Dissi che dovevamo muoverci, correre, andarcene il prima possibile. Che glielo avrei spiegato più tardi. Che le nostre vite erano in pericolo. Scambiai un lungo sguardo con Newt, che mi guardava con occhi colmi di preoccupazione nei miei confronti. Mi voltai, non riuscendo a resistere al potere del suo sguardo.
Non li aspettai. Non mi offrii di portare il fagotto al posto di Thomas. Mi diressi verso la città, di corsa, finché dovetti rallentare a un passo più ragionevole, estraniandomi dagli altri, estraniandomi dal mondo intero. Fuggire da lui era stata la cosa più difficile e allo stesso tempo maledettamente facile che avessi mai fatto, non avevo dubbi. Arrivare nella Radura con la memoria cancellata, adattarmi a questa vita, restare intrappolata nel Labirinto, combattere contro i Dolenti, osservare Chuck morire: niente di tutto questo era paragonabile a ciò che provavo adesso.
Lui era qui. Era arrivato, mi aveva stretto tra le braccia e mi aveva detto di essere mio fratello. 
E adesso stavo andando via da lui, via dall'unica persona che poteva rispondere alla mie domande. In un certo senso lo stavo abbandonando.
Non riuscii più a soffocare i singhiozzi. Gemetti, sentii il suono infelice della mia voce rompersi. Provai un dolore così forte che fui quasi costretta a fermarmi, ad accasciarmi a terra e mollare. La tristezza mi stava consumando, e fui tentata di tornare indietro più di una volta. Ma continuai, riuscii ad andare avanti, mi aggrappai alla poca speranza che mi rimaneva. Non poteva semplicemente farsi vivo e pensare che gli sarei saltata addosso e gli avrei fatto le feste. 
Almeno era vivo. Almeno era vivo.
Era questo che continuavo a ripetere a me stessa. Era questo che mi permetteva di continuare a correre. Un membro della mia famiglia, o così sembrava, era vivo.
Lui era vivo.
Il mio corpo non ne poteva più. A un certo punto, dopo due ore che l'avevo lasciato, o forse tre, mi fermai, certa che il cuore mi sarebbe scoppiato dal petto se avessi fatto un altro passo. Mi voltai per guardare dietro di me e vidi delle ombre muoversi in lontananza: gli altri Radurai. Inspirando enormi boccate d'aria secca, mi inginocchiai, piantando gli avambracci su un ginocchio, poi chiusi gli occhi per riposarmi finché non mi avessero raggiunto.
Minho fu il primo ad arrivare. Non era per niente contento. Anche nella luce fioca, l'alba stava solo cominciando a illuminare il cielo a est, era visibilmente furioso mentre mi faceva tre giri completi intorno prima di dire qualcosa.
-Cosa... Perché... Che razza di testa di caspio sei, Anna?-
Non avevo voglia di parlarne. Di parlare di niente.
Continuai a stare in silenzio, così Minho si inginocchiò al mio fianco. -Come hai potuto farlo? Come sei potuta uscire da lì come se niente fosse e andartene in quel modo? Senza spiegarci niente? Da quand'è che facciamo le cose in questo modo? Testa di puzzona!- Fece un grosso sospiro e si buttò all'indietro per mettersi seduto a terra, scuotendo la testa.
-Scusa.- mormorai. -È stato piuttosto traumatico.-
A questo punto gli altri Radurai ci avevano raggiunto, metà chinata in avanti per riprendere fiato, l'altra metà stretta intorno a me e Minho per sentire di cosa stavamo parlando. Newt era al mio fianco, ma sembrava ben contento di lasciare a Minho il compito di indagare per scoprire cosa fosse successo.
-Traumatico?- chiese il Leader. -Chi hai visto lì dentro? Cos'hanno detto?-
Sapevo di non avere scelta, questo era qualcosa che non potevo né dovevo tenere per me. -Era... Era uno della C.A.T.T.I.V.O.-
Mi aspettavo sussulti, esclamazioni di sorpresa, accuse di essere una bugiarda. Ma nel silenzio che seguì, si sentì solo il vento del mattino soffiare sul terreno polveroso.
-Cosa?- disse alla fine Minho. -Stai parlando sul serio?-
Mi limitai ad annuire, fissando una roccia  di forma triangolare a terra. Negli ultimi cinque minuti il cielo si era rischiarato. 
Minho era comprensibilmente sconvolto. -E tu l'hai lasciato lì? Anna, devi cominciare a parlare e a dirci cosa è successo.-
Per quanto fosse doloroso, per quanto ricordare mi spezzasse il cuore, glielo raccontai. Gli dissi chi avevo visto, il suo nome, che tremava e piangeva, e dell'avvertimento che mi aveva dato. Gli dissi tutto, perfino che diceva di essere mio fratello, che voleva solo il mio bene. Decisi che la cosa migliore, in una situazione come questa, era essere sinceri.
-Wow.- disse Newt con voce tremante, riassumendo in qualche modo tutto in questa semplice parola.
Trascorsero venti minuti. Il vento secco graffiava il terreno, riempiendo l'aria di polvere, mentre la cupola arancione del sole sbucava all'orizzonte dando inizio al giorno. Nessuno parlò. Sentii qualcuno turare su con il naso, dei respiri e qualche colpo di tosse. Il rumore della gente che beveva dalle sacchette dell'acqua. La città sembrava essere cresciuta durante la notte, con gli edifici che si allungavano verso il cielo limpido azzurro-violaceo. Ci sarebbe voluto solo un giorno, forse due, per raggiungerla.
Minho si alzò. -Avremmo dovuto fermarci un paio d'ore fa per dormire un po'. Ma grazie a miss Velocista del deserto qui presente,- mi diede un buffetto in testa -ci siamo spompati finché è rispuntato il cacchio di sole. Sono ancora dell'idea che dovremmo riposarci un po'. Mettetevi sotto i lenzuoli, o come vi pare, ma proviamoci.-
Per me non fu affatto un problema. Mi voltai verso Newt e gli sorrisi, gli presi la mano e lo portai in un posto isolato dal resto del gruppo. 
-Stai bene?- mi chiese il biondo, accarezzandomi una guancia, probabilmente per asciugarla.
-Tutto bene.- cercai di convincerlo, di convincere anche me. Portai una mano sopra la sua e gliela strinsi.
-Mi dispiace che tu debba soffrire così tanto. Sono certo che ti voglia davvero bene come dice.- 
-Non mi avrebbe mai lasciato andare se davvero mi avesse voluto bene, intendo nella Radura. Io non l'avrei mai fatto.- avevo abbassato lo sguardo.
-Forse non ha avuto scelta, forse non era informato del fatto che tu...- cercò di difenderlo.
-Non arrampicarti sugli specchi. La realtà è una e una soltanto.- ricacciai indietro le lacrime che minacciavano di nuovo di uscire.
-Volevo solo farti sentire meglio.- Lo guardai ammaliata dalla sua bellezza, le guance leggermente colorate e il ciuffo biondo che dondolava alla brezza calda del mattino.
-E te ne sono grata, davvero, ma non mi serve lui per essere felice; ne ho fatto a meno fino ad adesso ed ho intenzione di andare avanti così. Tu sei più che sufficiente per rendere meravigliosa ogni mia giornata.- ci guardammo e sorridemmo.
Con il sole che iniziava a brillare, creando una tinta rosso scura macchiata di nero dietro alla mie palpebre, la presenza rassicurante del ragazzo che mi cingeva la vita e un lenzuolo sopra la testa per proteggermi dalle bruciature, e dai miei problemi, mi addormentai all'instante.
Minho ci lasciò dormire per quasi quattro ore. In definitiva, non doveva svegliare molta gente. Il sole che sorgeva acquistando forza riversava il suo calore sul terreno, diventando insopportabile. Mi svegliai con il viso di Newt a pochi centimetri dal mio, intento a guardarmi con un piccolo sorriso.
-Come fai?- sussurrò.
-Come faccio a fare cosa?- gli chiesi mentre mi stiracchiavo e stropicciavo gli occhi.
-A diventare sempre più bella ogni volta che ti vedo.- disse facendomi un buffetto sulla guancia.
-Ma smettila.- mi voltai nella direzione opposta, cercando di nascondergli il mio sorriso.
-Dico sul serio.- esclamò offeso. -Non c'è niente che non farei per averti sempre per un solo istante che non fosse niente.- disse serio, addolcendo il tono di voce.
Lo guardai per qualche minuto e poi, senza neanche pensare, dissi: -Hai dei bellissimi occhi marroni, lo sai?- 
Lo presi alla sprovvista, ma ci volle poco perché tornasse in sé. -Come possono degli occhi marroni competere con degli occhi celesti come il cielo in tempesta?- controbatté alla fine.
-I miei potranno anche essere un cielo in tempesta, ma io nei tuoi, malgrado siano marroni, ci vedo il mare.- E ce lo vedevo davvero: tumultuoso, vivace e feroce. Un mare profondo in cui sarei potuta annegare senza problemi.
-Direi che allora sei messa male.- si tirò in piedi e mi offrì una mano. La presi senza esitare e mi sentii sollevare all'istante; mi alzò con una forza tale che finii tra le sue braccia, come quando eravamo nella Radura. Posai le mani sulle sue spalle, mentre lui mi cinse i fianchi. Non parlammo, smisi perfino di respirare. Tutt'a un tratto ebbi il desiderio di protrarmi in avanti ed appoggiare le mie labbra sulle sue. Scossi la testa impercettibilmente, cercando di scacciare questi strani pensieri che si stavano insinuando nella mia mente; non capivo da dove saltassero fuori. Ci staccammo a malincuore per rimettere al proprio posto i lenzuoli e il cibo.
Rimanemmo in silenzio mentre ci preparavamo per il viaggio. Più ci pensavo, più mi rendevo conto che non c'era molto di cui essere contenta. Eppure, due cose mi spingevano ad andare avanti, e speravo che avessero lo stesso effetto anche sugli altri. Primo, una curiosità irresistibile di scoprire cosa c'era in questa stupida città, man mano che ci avvicinavamo sembrava sempre più una metropoli, e, secondo, la speranza che un giorno avremmo potuto vivere in pace, come dei normali adolescenti.
-Andiamo.- disse Minho quando tutti fummo pronti. Poi partimmo.
Camminammo sul terreno arido e polveroso. Non c'era bisogno che qualcuno lo dicesse, sapevo che stavamo tutti pensando la stessa cosa: non avevamo più l'energia di correre sotto il sole. E anche se l'avessimo avuta, non mi restava abbastanza acqua per sopravvivere a un passo più sostenuto. 
E così camminammo, con i lenzuoli sopra la testa. Visto che le scorte di cibo e acqua si erano ridotte, c'erano più fagotti a disposizione per proteggerci dal sole, e sempre meno Radurai dovevano camminare in coppia. Fui una dei primo a rimanere da sola, probabilmente perché nessuno voleva parlare con me dopo aver sentito la storia di Will e perché Newt doveva discutere di alcune cose con Minho e Thomas. Di certo non mi lamentavo. La solitudine in questo momento era una manna del cielo.
Camminare. Fermarci a mangiare e a bere. Camminare. Il calore, come un oceano prosciugato attraverso il quale dovevamo nuotare. Questo vento, che adesso soffiava più forte, e che portava più polvere e granelli che sollievo dal caldo, faceva sbattere i lenzuoli, rendendo difficile tenerli fermi. Continuavo a tossire e a sfregarmi gli angoli degli occhi dove si accumulavano grumi di sporcizia. Era come se a ogni sorso d'acqua mi venisse più sete, ma la nostra scorta aveva raggiunto livelli pericolosamente scarsi. Se in città non avessimo trovato acqua fresca...
Non c'era un bel modo per finire quel pensiero.
Continuammo ad avanzare, a ogni passo cresceva un po' l'agonia, e calò il silenzio. Nessuno parlava. Sembrava che dire anche solo un paio di parole mi avrebbe fatto spendere troppe energie. Riuscivo a malapena a mettere un piede davanti all'altro, ancora e ancora, fissando con lo sguardo perso il nostro obbiettivo: la città sempre più vicina.
Era come se gli edifici fossero vivi e crescessero davanti ai nostri occhi mentre avanzavamo. Dopo non molto riuscii a vedere qualcosa che doveva essere pietra, e delle finestre che luccicavano alla luce del sole. Alcune sembravano rotte, ma molte meno della metà. Dalla mia posizione strategica, le strade parevano vuote. Non c'era nessun fuoco acceso durante il giorno. Da quello che vedevo, non c'erano alberi né altri tipi di piante in quel posto. E come avrebbero potuto, in questo clima? Com'era possibile che ci vivessero delle persone? Come potevano coltivare qualcosa? Cosa avremmo trovato?
L'indomani. C'era voluto più di quanto avessi pensato, ma non avevo dubbi che l'indomani avremmo raggiunto la città. E anche se probabilmente sarebbe stato meglio aggirarla, non avevamo scelta. Dovevamo fare rifornimento di cibo e acqua. 
Camminare. Fare una sosta. Calore.
Stavo ancora riflettendo quando, nel giro di un secondo, mi ritrovai faccia a terra. La caduta contro la terra arida e polverosa generò un forte suono. Alzai la testa e vidi i piedi dei Radurai che si fermavano e si voltavano verso di me. Nessuno si mosse nella mia direzione. 
Mi misi a quattro zampe e tossii; poi, dal nulla, davanti ai miei occhi comparve una mano. Alzai lo sguardo e incrociai quello di Winston, il volto ancora pieno di piccoli tagli e la testa tutta arrossata. Fece un cenno con la testa verso la mano tesa ed alzò un angolo della bocca, come per sorridermi. Presi la mano, e, grazie al suo aiuto, mi rialzai a fatica.
-Grazie.- mormorai quando tutti riprendemmo a camminare.
-Se non ci aiutiamo tra di noi.- disse soltanto; forse era il suo modo per ringraziarmi di avergli salvato la vita.
Quando finalmente scese sera, mentre il sole scompariva dietro al lontano orizzonte a ovest con una lentezza esasperante, il vento si alzò ancora di più, e questa volta portò un po' di fresco. Me lo godetti, grata per qualunque momento di sollievo dal calore. 
A mezzanotte, quando Minho gridò finalmente di fermarci e di dormire ancora un po', e la città con i suoi fuochi adesso accesi era ormai vicinissima, il vento si era alzato ancora di più. Soffiava fortissimo, frustando e formando mulinelli con un'intensità sempre maggiore. 
Poco dopo esserci fermati, mi sdraiai di schiena, avvolta nel lenzuolo su fino al mento, a guardare il cielo. Il vento aveva quasi un effetto calmante, come se mi cullasse per farmi addormentare. Proprio mentre la mia mente si annebbiava per lo sfinimento, e le stelle sembravano scomparire, il sonno portò un altro sogno.

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Capitolo 10
*** Nubi ***


Ero seduta su una sedia. Avevo undici o dodici anni. Newt, così diverso e molto più piccolo, era seduto davanti a me, e in mezzo a noi c'era un tavolo con sopra una grande mappa che ritraeva il Labirinto. Aveva più o meno la mia età. Nella stanza non c'era nessun altro, era un posto buio con poca luce: un quadrato giallo opaco sul soffitto proprio sopra le nostre teste. 
-Newt, devi impegnarti di più.- dissi. 
-Ma mi sto impegnando.- ribatté il ragazzo, accigliandosi e spostando lo sguardo sul foglio davanti a lui.
-Probabilmente ci uccideranno se non riusciamo a farlo. Dobbiamo fare in modo che sia difficile, non impossibile.- 
-Lo so.-
-Allora provaci!-
-Lo sto facendo!-
-Hai proprio la mente da un'altra parte.- scossi la testa.
-Beh, non è colpa mia. Mi distrai...- disse continuando a tenere lo sguardo basso, cercando di nascondermi il lieve rossore che avevano preso le sue guance. Era carino quando era imbarazzato. 
-Adesso non dare la colpa a me!- mi piegai per osservare la mappa e cercare di risolvere l'enigma. 
-Non in quel senso...- mormorò. -È la tua presenza a distrarmi.- 
-Se vuoi chiamo Thomas o Sonya, così magari concludi qualcosa.- gli dissi rabbiosamente, facendo due passi verso la porta; perché ogni volta dovevamo sempre finire per litigare?
-No!- urlò svelto, spostando la sedia e dirigendosi verso di me. -Ti prego, resta. Ho bisogno di te.- 
Ci guardammo per qualche istante, rimanendo immobili. Poi, prima di tornare a sedermi, gli dissi: -Puzzi come un sacchetto di merda.-
Newt sorrise, facendo un passo indietro.
-Anche tu.-
Mi svegliai con il vento contro il viso, i capelli e i vestiti. Come se delle mani invisibili stessero cercando di strapparmi la vita. Era ancora buio. E faceva anche freddo, mi tremava tutto il corpo. Tirandomi su sui gomiti, mi guardai in giro, ma riuscivo a malapena a vedere le figure rannicchiate che  mi dormivano vicino, con i lenzuoli stretti al corpo.
I loro lenzuoli.
Mi lasciai sfuggire un grido frustrato, poi saltai in piedi: a un certo punto, durante la notte, il mio lenzuolo si era allentato ed era volato via. Con questo vento impetuoso, poteva essere a quindici chilometri di distanza ormai.
-Vaffancaspio.- bisbigliai; l'ululato del vento portò via la parola prima che potessi sentirla. Mi venne in mente il sogno, o era un ricordo? Doveva esserlo. Quel breve barlume di un periodo in cui io e Newt eravamo più piccoli, mentre stavamo cercando di trovare un modo per creare l'uscita dal Labirinto. Mi scoprii a sorridere, pensando a quanto sarebbe stato bello ricordare più spesso momenti come questi.
Guardai il cielo nero, poi inspirai velocemente mentre il ricordo del sole che scompariva dalla Radura mi tornò in mente all'improvviso. Quello era stato l'inizio della fine. L'inizio del terrore. 
Ma presto il buonsenso mi tranquillizzò. Il vento. L'aria fresca. Una tempesta. Doveva essere una tempesta. 
Nuvole. 
Imbarazzata, mi rimisi a sedere, poi mi sdraiai sul fianco e mi rannicchiai come una palla, circondando il corpo con le braccia. Il freddo non era insopportabile, solo un grosso cambiamento dal calore terribile degli ultimi due giorni. Esplorai la mia mente e ripensai a quello che avevo cominciato a ricordare. Potevano essere degli effetti persistenti della Mutazione? Stavo recuperando la memoria?
Questo pensiero mi provocò sensazioni contrastanti. Volevo recuperare la memoria una volta per tutte, volevo sapere chi ero, da dove venivo. Ma questo desiderio era smorzato dalla paura di ciò che avrei potuto scoprire su di me. Sul mio ruolo nelle stesse cose che mi avevano portato a questo punto, che avevano fatto tutto questo ai miei amici.
Avevo un disperato bisogno di dormire. Con il ruggito costante del vento nelle orecchie, finalmente presi sonno, questa volta senza sogni.
La luce mi svegliò in un'alba uggiosa, grigia, che rivelò finalmente lo strato spesso delle nubi che coprivano il cielo. La superficie infinita del deserto aveva un'aria ancora più desolata. La città era cosi vicina ormai, solo a poche ore di distanza. Gli edifici erano davvero alti; uno si allungava fino a scomparire nella nebbia bassa. E i vetri di tutte quelle finestre rotte sembravano denti di bocche aperte, in cerca del cibo che avrebbe potuto vorticare nel vento tempestoso.
Le raffiche continuavano a sferzarmi, e uno spesso strato di terra sembrava essersi solidificato sul mio viso per sempre. Mi grattai la testa e sentii i capelli induriti dal sudiciume seccato dal vento.
La maggior parte degli altri Radurai erano già in piedi, a osservare il cambiamento inaspettato del tempo, immersi in conversazioni che non riuscivo a sentire. Nelle mie orecchie c'era solo il ruggito.
Minho si accorse che era sveglia e si avvicinò; camminava piegato per resistere al vento, e i suoi vestiti sbattevano. -Era ora che ti svegliassi!- Stava gridando fortissimo.
Mi sfregai la terra incrostata dagli occhi e mi alzai in piedi. -Da dove arriva tutto questo!- gli urlai in risposta. -Pensavo che fossimo in mezzo a un deserto!-
Minho alzò lo sguardo verso la torbida massa grigia di nubi, poi lo riabbassò. Si chinò su di me per parlarmi direttamente nell'orecchio. -Beh, mi sa che deve piovere anche qui ogni tanto. Sbrigati e mangia qualcosa, dobbiamo muoverci. Forse riusciamo ad arrivare lì e trovare un posto per nasconderci prima che la tempesta ci conci per bene.-
Lo presi per le spalle e mi alzai in punta di piedi, così da farmi sentire. -E se arriviamo lì e un mucchio di Spaccati cerca di ucciderci?-
-Allora combattiamo!- il ragazzo aggrottò le sopracciglia come se fosse deluso dalla domanda stupida che gli avevo fatto. -Cos'altro vuoi fare? Siamo rimasti quasi senza cibo né acqua.-
Sapevo che Minho aveva ragione. E poi, se potevamo combattere contro decine di Dolenti, un mucchio di malati mezzi pazzi che muoiono di fame non avrebbero dovuto presentare un problema troppo grosso. -Va bene, allora. Andiamo. Mangerò una di quelle barrette ai cereali mentre camminiamo.-
Dopo qualche minuto, eravamo di nuovo diretti verso la città, con il cielo grigio sopra di noi pronto a esplodere e rovesciare acqua da un momento all'altro.
Mancavano solo tre o quattro chilometri agli edifici più vicini, quando incontrammo un vecchio supino sulla sabbia, avvolto in numerose coperte. Jack era stato il primo a notarlo, e poco dopo tutti lo avevamo accerchiato, fissandolo con curiosità.
Mi venne il voltastomaco a osservarlo da vicino, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo. Lo sconosciuto sembrava avere cent'anni, anche se era difficile dirlo: il suo aspetto poteva essersi deteriorato per via dell'esposizione al sole. Il viso raggrinzito, coriaceo. Croste e piaghe dove avrebbero dovuto esserci i capelli. La pelle scura, scurissima.
Era vivo, respirava profondamente, ma fissava il cielo con lo sguardo perso. Come se stesse aspettando che qualche dio scendesse a prenderlo per portarlo via, per porre fine alla sua miserabile vita. Non sembrava essersi accorto che ci eravamo avvicinati.
-Ehi! Vecchio!- gridò Minho, con il solito tono. -Cosa ci fai qui?-
Avevo fatto fatica a sentire le parole sopra il vento impetuoso; non riuscivo a immaginare come quell'anziano potesse capire qualcosa. Era anche cieco? Forse.
Thomas spinse via Minho con il gomito e si mise in ginocchio proprio di fianco al viso dell'uomo; seguii il suo esempio e mi misi al suo fianco. La melanconia di quest'uomo era devastante. Allungai la mano e la feci ondeggiare proprio davanti agli occhi del vecchio.
Niente. Non li muoveva, non sbatteva le palpebre. Fu solo dopo che ritirai indietro la mano che gli occhi dell'uomo si chiusero lentamente, poi si aprirono di nuovo.
-Signore?- dissi. -Signore?- Queste parole mi suonavano strane, tornate alla mente da ricordi offuscati del passato. Di certo non le avevo più usate da quando ero stata mandata nella Radura e nel Labirinto. -Mi sente? Può parlare?-
L'uomo chiuse di nuovo le palpebre lentamente, ma non disse niente.
Newt si inginocchio al mio fianco e parlò ad alta voce sopra il vento. -Questo tizio può essere una cacchio di miniera d'oro se riusciamo a tirargli fuori qualche informazione sulla città. Sembra inoffensivo, probabilmente sa cosa dovremo aspettarci quando ci arriveremo.-
Sospirai. -Già, ma si direbbe che non ci senta nemmeno, figuriamoci se è in grado di fare una lunga chiacchierata.-
-Insisti.- disse Minho da dietro. -Ti dichiaro ufficialmente la nostra ambasciatrice, Anna. Fai in modo che questo tizio si confidi con noi e ci racconti dei bei vecchi tempi.-
Per qualche strana ragione volevo dire qualcosa di altrettanto divertente, ma non mi venne in mente niente. Se nella mia vecchia vita ero una persona spiritosa, ogni briciola di umorismo era sicuramente svanita quando mi avevano cancellato la memoria. -Okay.- dissi.
Thomas fece due passi indietro, così che potessi avvicinarmi il più possibile alla testa dell'uomo, poi mi posizionai in modo da guardarlo negli occhi, a solo mezzo metro di distanza. -Signore? Abbiamo davvero bisogno del suo aiuto!- Non avrei voluto gridare, temevo che il vecchio se la prendesse, ma non avevo scelta. Il vento soffiava sempre più forte. -Abbiamo bisogno che lei ci dica se è pericoloso andare in città! Possiamo portarla lì se ha bisogno di aiuto. Signore? Signore!-
Gli occhi scuri dell'uomo erano rivolti dietro di me, verso il cielo, ma in questo momento si mossero, piano, fino a fissarmi. La consapevolezza li riempì come un liquido scuro versato lentamente in un bicchiere. Le labbra si aprirono, ma non uscì niente tranne che un piccolo colpo di tosse.
Mi rincuorai. -Mi chiamo Anna. Questi sono i miei amici. È da un paio di giorni che camminiamo nel deserto, e abbiamo bisogno di cibo e acqua. Cosa...-
Mi interruppi quando gli occhi dell'uomo cominciarono a guizzare di qua e di là, con un'improvvisa ombra di panico.
-Va tutto bene, non le faremo del male.- dissi subito. -Siamo... Siamo brave persone. Ma le saremmo molto grati se...-
La mano sinistra dell'uomo sbucò da sotto le coperte che lo avvolgevano e mi afferrò il polso, stringendolo con una forza molto maggiore di quanto sembrava possibile. Colta alla sprovvista, gridai, e istintivamente ritrassi il braccio cercando di liberarmi, ma non ci riuscii. Ero scioccata dalla forza di quest'uomo. Riuscivo a malapena a muovermi contro il suo pugno di ferro, era come se mi avesse ammanettato. -Ehi!!- gridai. -Lasciami andare!-
L'uomo scosse la testa, con quegli occhi scuri pieni di paura più che di qualunque genere di ostilità. Le sue labbra si aprirono di nuovo, e un sussurro roco, indecifrabile uscì dalla sua bocca. Non lasciò andare la presa. Smisi di dimenarmi per liberare il braccio; invece mi rilassai e mi chinai per avvicinare l'orecchio alla bocca dello sconosciuto. -Cos'hai detto?- gridai.
L'uomo parlò di nuovo, un suono aspro, inquietante, spettrale. Afferrai le parole 'tempesta', 'terrore' e 'gente cattiva'. Nessuna molto incoraggiante.
-Ripeti!- gridai, con la testa inclinata in modo da posizionare l'orecchio pochi centimetri sopra il viso dell'uomo.
Questa volta capii quasi tutto. -La tempesta sta arrivando... Pieno di terrore... Fa uscire... Gente cattiva.-
L'uomo si tirò su di colpo e si mise a sedere, con gli occhi spalancati e colmi di terrore. -Tempesta! Tempesta! Tempesta!- Non si fermava, continuava a ripetere quella parola; alla fine un rivolo di saliva colò dal labbro inferiore.
Lasciò andare il mio braccio, così mi tirai indietro di scatto atterrando di sedere. Proprio in quest'istante il vento si intensificò, sembrava essere passato da forti folate a vere e proprie raffiche potenti come un uragano, esattamente come aveva detto quest'uomo. Il mondo si perse nel ruggito e nelle grida dell'aria. Avevo la sensazione che da un momento all'altro mi si sarebbero strappati i vestiti e i capelli. Quasi tutti i lenzuoli dei Radurai volarono via, volteggiando nell'aria come un esercito di fantasmi. Il cibo si disperse ovunque.
Mi rialzai, un'operazione quasi impossibile con il vento che cercava di ributtarmi a terra. Feci diversi passi in avanti barcollando, finché piegai la schiena all'indietro; delle mani invisibili mi tennero in piedi.
Minho era qui vicino, si stava sbracciando freneticamente per cercare di attirare l'attenzione di tutti. La maggior parte lo vide e si radunò attorno a lui, me compresa, scacciando il panico che mi strisciava nelle viscere. Era solo una tempesta. Molto meglio dei Dolenti o degli Spaccati.
Il vecchio aveva perso le sue coperte nel vento, e ora si era rannicchiato in posizione fetale, con le gambe magre strette al petto, gli occhi chiusi. Per un attimo pensai che avremmo dovuto portarlo in un luogo sicuro, salvarlo per avere se non altro cercato di metterci in guardia dalla tempesta. Ma qualcosa mi diceva che l'uomo avrebbe lottato con le unghie e con i denti se avessimo provato a toccarlo o a sollevarlo.
Adesso eravamo tutti raggruppati. Minho indicò la città. L'edificio più vicino era a mezz'ora se procedevano a passo sostenuto. Visto il modo in cui il vento ci sferzava, in cui le nubi si addensavano, si agitavano e si scontravano, diventando di un colore viola scuro, quasi nero, la terra e i detriti volavano nell'aria, raggiungere quell'edificio sembrava l'unica scelta sensata.
Minho cominciò a correre. Gli altri lo seguirono, e io aspettai di essere l'ultima insieme a Thomas, sapendo che era questo che voleva Minho. Finalmente cominciai a correre a passo spedito, contenta che non stessimo andando dritti verso il vento. Solo in questo momento mi vennero in mente alcune delle parole che aveva detto il vecchio.
State lontani. Gente cattiva.

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Capitolo 11
*** La Tempesta ***


Più ci avvicinavamo alla città, più faticavo a vederla. La polvere aveva reso l'aria densa, trasformandola in una nebbia marrone, e lo sentivo ad ogni respiro. Mi si seccava sugli occhi, facendomeli lacrimare. Il grosso edificio verso il quale correvamo era diventato un'ombra minacciosa dietro alla nuvola di polvere, elevandosi sempre di più come un gigante.
Il vento si era fatto violento, scagliandoci addosso sabbia e polvere fino a farci male. Ogni tanto qualche oggetto più grande mi sfrecciava vicino, spaventandomi a morte. Un pezzo di tegola. E infiniti pezzi di carta che turbinavano nell'aria come fiocchi di neve.
E poi arrivarono i lampi.
Avevamo dimezzato la distanza dall'edificio quando i fulmini comparvero dal nulla, e il mondo attorno a me diventò un'esplosione di tuoni e luci.
Cadevano dal cielo a zig-zag, come barre di luce bianca, schiantandosi al suolo e sollevando enormi quantità di terra bruciata. Il suono devastante era impossibile da sopportare, e le mie orecchie cominciarono a perdere sensibilità, il rumore orribile scemò riducendosi a un ronzio lontano mentre diventavo sorda.
Continuai a correre, quasi alla cieca ormai, senza sentire, riuscendo a malapena a vedere l'edificio. C'era gente che cadeva e si ritirava su. Inciampai, ma mi mantenni in equilibrio. Aiutai Newt a rimettersi in piedi, poi Frypan. Li spinsi con quanta più forza avevo in corpo mentre continuavo a correre. Era solo una questione di tempo prima che uno dei lampi, simili a grossi pugnali, colpisse qualcuno e lo abbrustolisse riducendolo a un pezzo di carbone. 
Volevo gridare, volevo sentire la mia voce, anche se erano solo vibrazioni sorde dentro al cranio. Ma sapevo che l'aria piena di polvere mi avrebbe soffocato; era già abbastanza difficile fare piccoli e veloci respiri dal naso. Specialmente con la tempesta di lampi che si infrangevano al suolo tutto intorno a noi, strinando l'aria, diffondendo un odore di rame e cenere ovunque. 
Il cielo si fece ancora più scuro, la nube di polvere si addensò; mi resi conto che non riuscivo più a vedere nessuno. Solo quei pochi che erano dritti davanti a me. La luce dei fulmini lampeggiava contro di loro, una breve scarica di bianco brillante che li illuminava per un istante brevissimo. Tutto questo contribuì ad accecarmi ancora di più. Dovevamo raggiungere quell'edificio. Dovevamo arrivare lì o non avremmo resistito ancora a lungo.
E dov'era la pioggia?, mi chiesi. Dov'era la pioggia? Che tipo di tempesta era questa?
Un fulmine di puro bianco scese a zig-zag dal cielo ed esplose a terra proprio davanti a me. Gridai, ma non riuscivo a sentirmi, poi strinsi gli occhi quando qualcosa mi scagliò di lato. Caddi di schiena, e il colpo violento mi tolse il fiato, mentre una scarica di terra e rocce mi pioveva addosso. Sputai, mi pulii il viso e boccheggiai tirandomi su a fatica, appoggiando le mani e le ginocchia, per poi rimettermi in piedi. Finalmente l'aria riuscì a entrare, e potei respirare a pieni polmoni.
Sentii uno squillo, un ronzio acuto e costante, era come avere degli aghi nei timpani. Il vento cercava di mangiarmi i vestiti, la terra mi pungeva la pelle, il buio mi vorticava attorno come una notte vivente, interrotta solo dai lampi. Poi la vidi, un'immagine orrenda resa ancora più spettrale dalla fonte di luce intermittente.
Si trattava di Jack. Era sdraiato a terra, dentro a un piccolo cratere, e si contorceva mentre stringeva il ginocchio con le mani. Sotto non c'era niente: tibia, caviglia e piede strappati da un'esplosione di elettricità scagliata dal cielo. Il sangue era ovunque e si mischiava con la terra creando un impasto orrendo. Non aveva più i capelli. E sembrava che gli occhi fossero...
Mi voltai di scatto e mi accasciai a terra, tossendo mentre cercavo di non dare di stomaco. Non potevamo fare niente per Jack. Era impossibile. Niente. Ma era ancora vivo. Anche se mi vergognai a pensarlo, fui contenta di non sentire le grida. Non sapevo se sarei più nemmeno riuscita a guardarlo.
Poi qualcuno mi afferrò e mi rimise in piedi. Minho. Disse qualcosa, e mi concentrai abbastanza da riuscire a leggergli le labbra. Dobbiamo andare. Non possiamo fare niente.
Jack, pensai. Oh, cavolo, Jack.
Barcollando, con le orecchie doloranti per il ronzio e lo shock per aver visto Jack ridotto a brandelli dal fulmine, corsi dietro a Minho. Vidi delle ombre a destra e sinistra, altri Radurai, ma solo pochi. Mi chiesi dove fosse finito Newt. Era troppo buio per riuscire a vedere lontano, e i lampi apparivano e scomparivano troppo in fretta per rivelare qualcosa. Solo polvere e detriti e la sagoma minacciosa dell'edificio, quasi sopra di noi. Adesso era ogni Radurai per sé. Potevamo solo sperare che ce la facessimo tutti. 
Vento. Esplosioni di luce. Vento. Polvere soffocante. Vento. Fischio nelle orecchie, dolore. Vento. Continuai a correre, con gli occhi incollati su Minho a pochi passi da me. L'unica cosa che volevo era sopravvivere, riuscire a raggiungere quell'edificio, entrare lì dentro. Vivere. Guadagnare un altro giorno.
Una luce bianca accecante esplose davanti a me, sbalzandomi di nuovo in aria. Mentre volavo all'indietro gridai, cercando di ritrovare l'equilibrio. Lo scoppio era avvenuto proprio dov'era Minho. Minho! Atterrai con un tonfo violento, fu come se ogni articolazione del mio corpo si slogasse, per poi tornare al proprio posto. Ignorai il dolore, mi alzai, corsi in avanti, circondata dal buio completo, interrotto da immagini residue confuse, ambe di luce violacea. Poi vidi le fiamme.
Mi ci volle un secondo per elaborare quello che avevo davanti agli occhi. Lance di fuoco danzavano come per magia, viticci roventi che sbattevano verso destra spinti dal vento. Poi tutto crollò a terra, lingue di fiamme che si dimenavano. Le raggiunsi e capii.
Era Minho. I suoi vestiti avevano preso fuoco.
Con un grido che mi provocò fitte acute alla testa, gli caddi di fianco. Scavai nella terra, per fortuna smossa dall'esplosione di elettricità che l'aveva colpita, e gliela tirai addosso con entrambe le mani, raccogliendola freneticamente. Cercavo di soffocare le fiamme più luminose mentre Minho mi aiutava rotolandosi e colpendosi con le mani la parte superiore del corpo.
Funzionò. Nel giro di pochi secondi il fuoco si spense, lasciando dietro di sé vestiti carbonizzati e brutte ferite. Fui sollevata di non sentire le urla di agonia che sembravano provenire da Minho. Sapevo che non avevamo tempo per fermarci, perciò presi il capo e con non poche difficoltà lo rimisi in piedi.
-Forza!- gridai, anche se questa parola nella mia mente sembrò una vibrazione senza rumore.
Minho tossì, fece un'altra smorfia, ma poi annuì e mise un braccio intorno alle mie spalle. Avanzammo insieme il più velocemente possibile verso l'edificio.
Tutto intorno a noi, i lampi continuavano a cadere come frecce di fuoco bianco. Sentivo l'impatto silenzioso delle esplosioni, ognuna mi rimbombava nel cranio, scuotendomi le ossa. Bagliori di luce ovunque. Oltre l'edificio verso il quale barcollavamo con grande fatica, erano divampati altri fuochi. In un paio di occasioni vidi dei fulmini entrare in contatto diretto con la parte superiore di una costruzione, facendo piovere mattoni e vetro sulle strade sovrastanti.
Il buio cominciò ad assumere una tonalità diversa, più grigia che marrone, e mi resi conto che le nubi della tempesta dovevano essersi addensate ed essere scese al suolo, aprendosi il cammino tra la polvere e la nebbia. Il vento si era leggermente placato, ma i lampi sembravano più potenti che mai.
Vedevo alcuni Radurai intorno a noi, che si muovevano tutti nella stessa direzione. Il numero sembrava diminuito, ma non ci vedevo ancora abbastanza per esserne certa. Con mio grande sollievo individuai Newt, poi Frypan. E Thomas. Erano terrorizzati quanto me, e correvano con lo sguardo rivolto verso la loro meta, ormai poco distante.
Minho perse l'equilibrio e cade, scivolando dalla mia debole presa. Allora mi fermai e, dopo essermi voltata, lo tirai in piedi come meglio potevo e risistemai il suo braccio sulle mie spalle. Un arco di un lampo accecante passò proprio sopra le nostre teste e colpì la terra alle nostre spalle. Non guardai, continuai a camminare malgrado le gambe indolenzite dallo sforzo che facevo per dare sostegno e stabilità a Minho. Un Raduraio alla mia sinistra si accasciò; non sapevo di chi si trattasse, non sentii le urla che sapevo erano seguite. Un altro ragazzo cadde alla mia destra, poi si rialzò. Un lampo esplose proprio davanti a noi, poi un altro a destra. Un altro a sinistra. Uno a pochi passi.Dovetti fermarmi, sbattere con violenza le palpebre finché non recuperai la vista. Allora ripartii al fianco di Minho.
Alla fine arrivammo. Il primo edificio della città. 
Nella morsa buia della tempesta, la struttura era completamente grigia. Enormi blocchi di pietra, un arco di mattoni più piccoli, finestre rotte. Thomas raggiunse la porta per primo, e non si prese la briga di aprirla. Era fatta di vetro, ma ne era rimasto solo qualche frammento, perciò rimosse con cautela i pezzi rimasti compendoli con il gomito. Fece segno a due Radurai di passare, poi entrò lui, inghiottito all'interno. 
Arrivai nello stesso momento di Newt, e gli feci un gesto per farmi aiutare. Lui e un altro ragazzo presero Minho, lo trascinarono all'indietro oltre la soglia dell'entrata aperta. I suoi piedi sbatterono contro il gradino mentre lo tiravano dall'altra parte. 
E poi, ancora sotto shock per la potenza delle esplosioni, li seguii, entrando nell'oscurità.
Mi voltai appena in tempo per vedere la pioggia che cominciava a cadere, come se alla fine la tempesta avesse deciso di piangere per la vergogna di quello che aveva fatto. 

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