La pistola straniera.

di Corvo_Nero
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Agente a terra ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - In manette ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Agente a terra ***


Un'altra giornata lunghissima volgeva al termine, il sergente Steven Warden risaliva i gradini del palazzo aggrappandosi stancamente al corrimano; non aveva più il fisico scattante di un tempo, i capelli grigi tirati all'indietro iniziavano a divenire sempre più radi, mentre una vecchia ferita alla coscia duoleva nelle giornate di pioggia invernali. Infilata la chiave nella toppa si accorse che la porta era solamente socchiusa, una scarica di adrenalina lo fece mettere sul chi vive, impugnò istintivamente la pistola e penetrò nell'androne del palazzo, avvicinandosi all'ascensore e notando che si trovava al quarto piano... Il suo piano.
Decise di salire a piedi per non allertare l'intruso, una mano con la pistola e l'altra armeggiando col cellulare per chiamare Dingo, il suo collega e avvisarlo della situazione. Erano entrambi consapevoli che si erano addentrati in un caso estremamente spinoso, le tracce dei trafficanti d'armi li avevano condotti fin nel distretto di polizia, avevano raccolto sufficienti indizi per stabilire che una talpa (o peggio) nel dipartimento stesse ostacolando le indagini. Da giorni ormai non dormiva, viveva con il dito perennemente sul grilletto, anche se non saldamente come in quel momento.
Ogni passo, su ogni gradino, faceva accelerare il battito del suo cuore tanto che pensò che potesse sentirlo rimbombare nel corridoio del palazzo. Arrivato al quarto piano vide una scia di sangue partire dall'ascensore e dirigersi verso il suo appartamento.
Il cellulare di Dingo squillava a vuoto e più si avvicinava al suo uscio, con la pistola puntata davanti a sé, più gli pareva di sentire una cantilena a lui ben nota...
"La sua suoneria, è nell'appartamento...!"
Raccogliendo tutte le sue forze e concentrazione spalancò la porta del suo appartamento e si diresse immediatamente nella stanza alla sua destra, la camera da letto... Deserta. Proseguì nel corridoio e si diresse nel salone con cucina da cui proveniva la suoneria del cellulare di Dingo, le chiazze di sangue aumentavano.
E lo vide, con la schiena poggiata sul frigorifero, sangue dappertutto, la camicia imbrattata di sangue e vari fori di proiettile, Raphael "Dingo" Martins, suo collega da 10 anni, morto. Con una rabbia che lo stava divorando, Warden completò il controllo dell'appartamento, chiuse porte e finestre con un fazzoletto e si avvicinò al cadavere del suo collega. Le macchie di sangue erano ormai brunastre, non si vedevano dalla sera prima, probabilmente doveva essere successo in tarda mattinata, inutile controllare se avesse battito.

L'ultima volta che si parlarono al telefono su una linea sicura, Dingo era completamente fuori di sé, disse che doveva solo pagare in anticipo un suo informatore e avrebbe ottenuto prove schiaccianti. Le cose non erano andate come previsto. Per colpa della sua mania di fare di testa sua ora Dingo si sarebbe presto ritrovato sul freddo tavolo metallico del medico legale.

Warden iniziò a guardarsi attorno, doveva cercare di ricostruire gli ultimi momenti del suo collega. Martins aveva ancora in mano il suo cellulare, probabilmente  stava per chiamare qualcuno quando ha perso i sensi, ferito a morte.. è possibile che il suo assalitore lo avesse seguito e avesse colpito nel momento più opportuno, ma che non fosse riuscito a freddarlo immediatamente; aveva una copia della chiave, è probabile che fosse stato colto di sorpresa ed avesse provato a rifugiarsi qui; lo stabile era in periferia ed era quasi del tutto disabitato, più tardi avrebbe provato a interrogare gli odiosi vicini sperando di cavar loro fuori qualcosa, ma dubitava fortemente che avrebbe ottenuto risultati soddisfacenti, tra tossici e ex membri delle gang, non poteva sperare in molto senso civico.
Il fatto che nessuno avesse ancora chiamato la polizia gli fece pensare che la sparatoria si fosse svolta altrove e che Dingo si fosse trascinato, morente, nell'appartmento, l'unico luogo sicuro che gli sarà venuto in mente.

Mentre Warden stava vagliando numerose ipotesi, in lontananza, iniziò a sentire le sirene delle volanti avvicinarsi rapidamente. uscì nel corridoio e, scortato da due agenti in divisa, vide il Tenente  Michael Jacobson, degli Affari Interni; da secoli lo braccava come un segugio, intenzionato a strappargli il distintivo, stavolta avrebbe avuto più argomenti del solito.

"Vedo che ogni volta che ci sono casini tu sei nei paraggi, 'Steve'. Chissà perchè però sono stupito di trovarti sulla scena di una aggressione." disse col suo inconfondibile ghigno strafottente fissando negli occhi Warden, impietrito e preoccupato.

"Abbiamo ricevuto una chiamata anonima, sergente, dobbiamo ispezionare il suo appartamento." disse calmo uno degli agenti. Warden non aveva nulla da nascondere dopotutto, fece loro strada e li introdusse in cucina, nessuno proferì parola quando videro il cadavere, con la schiena appoggiata ai mobili della cucina, una pozza di sangue rappreso.

"L'ho già trovato così, Mike e se fossi abbastanza intelligente chiameresti la scientifica e ti toglieresti dai piedi per far fare il lavoro ai poliziotti veri."

"Per te Tenente Jacobson e non dimenticartelo" Evidentemente non gradiva schermaglie e provocazioni tanto quanto non gradiva la persona di Warden e lui lo sapeva bene ma non resistette alla tentazione di punzecchiarlo, come faceva spesso insieme al suo defunto compagno; glielo doveva, avrebbe apprezzato sicuramente. "Vedremo quanto avrai da ridere nella sala degli interrogatori, ammanettatelo."

"Mike, andiamo, lascia perdere un attimo queste stronzate e rifletti, ero tutto il giorno reperibile alla radio e stamattina ero al dipartimento con decine di testimoni, stai facendo l'ennesimo errore e stavolta non ci sarà il capo a pulirti il sedere!" Ma non volle sentire ragioni, i solerti agenti eseguirono l'ordine e Warden uscì, ammanettato, dal suo appartamento; fuori aveva iniziato a piovere.

La notte sarebbe stata lunga, molto lunga...

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - In manette ***


Gli agenti scortarono Warden, ammanettato, fuori dall'edificio, aiutandolo a salire sulla volante; i sedili anteriori erano occupati dagli agenti Rowe e Roberts due sbarbatelli appena usciti dall'accademia di polizia, lavativi ma innocui, almeno apparentemente.
Mentre la pioggia picchiettava sul tettuccio dell'auto, Warden iniziò a riflettere sugli ultimi avvenimenti: Dingo che improvvisamente sparì dal dipartimento per degli "affari urgenti", ogni volta che diceva così sapeva che si incontrava con degli informatori, era sempre stato paranoico ma nell'ultima settimana era peggiorato notevolmente, aveva smesso di usare il telefono dell'ufficio e si era procurato un cellulare che, gli aveva confidato, aveva fatto modificare per renderlo a prova di intercettazione. 
"Quando inizi a conoscere della gente, se riesci a conquistare la loro fiducia con piccoli favori, ti presentano altra gente, e il bello di questa città è che c'è sempre qualcuno che è disposto a presentarti qualcun'altro." E a modo suo, Dingo era un tipo molto socievole, e paradossalmente era molto geloso dei suoi cosiddetti amici. Sarebbero stati i primi della lista per indagare sulla sua morte.

Questo tragico evento è il culmine di una storia iniziata solo un mese prima, quando un convoglio corazzato della Federal Bank venne assaltato da un gruppo di rapinatori armati fino ai denti, riuscirono a colpire in meno di cinque minuti e sparirono senza lasciare traccia. Una settimana dopo toccò a una banca minore in periferia, un testimone riuscì a prendere la targa di uno dei veicoli, un furgoncino bianco rubato poco tempo prima. Numero e modus operandi degli assaltatori sembravano combaciare tra loro, era molto probabile quindi che i due colpi fossero opera della stessa banda. Tuttavia le indagini ordinarie non sembravano ottenere risultati, gli indizi scarseggiavano, soprattutto la rapidità e la destrezza con cui riuscivano a seminare le volanti, che mai riuscivano a intervenire tempestivamente, fecero subito pensare a Warden a una banda estremamente addestrata in questo genere di operazioni. Ma il dubbio che avessero anche accesso a informazioni riservate si fece strada nella sua mente a seguito di un altro avvenimento: lui, Dingo e una squadra Speciale, si diressero in un magazzino abbandonato che, secondo una soffiata, poteva essere il nascondiglio della banda. Fu un'operazione rapida, ma totalmente infruttuosa: l'edificio era stato svuotato poco prima che arrivassero sul posto, i caloriferi erano ancora accesi, ma dei criminali nessuna traccia. Era chiaro che sapevano del loro arrivo. Durante l'ispezione Dingo prese da parte Warden e lo condusse in una delle stanze dell'edificio, gli fece vedere cosa aveva rinvenuto, una cassa vuota, con caratteri in cirillico stampati sul coperchio, l'odore acre di olio misto a polvere da sparo riempiva il locale. Armi di contrabbando.

Warden e Dingo non si unirono alla squadra, per il viaggio di ritorno al dipartimento. Si tolsero l'uniforme e Dingo chiamò un taxi per portarli nella periferia della città. Strofinandosi nervosamente i capelli ricci e biondi, Dingo rifletteva ad alta voce su quanto era accaduto. "Solo io ho la fastidiosa sensazione di essere seduto su una bomba? Abbiamo a piede libero una banda di rapinatori armati fino ai denti, ogni volta ci sgusciano di mano come saponette, ma ora abbiamo una pista europea che può permetterci di fare qualche passo in questa palude che ci arriva alle ginocchia. Ma se non dovesse portare a nulla, il fango ci arriverà al collo. Amico, io devo parlare con la mia gente, conosco qualcuno che lavora al porto e forse posso decifrare quegli scarabocchi, tu faresti bene a tornare al Dipartimento e fare finta di nulla, se il Capo ti chiede qualcosa, divaga, inventa, impreca se necessario ma tienimi coperto."
Warden aveva preoccupazioni ulteriori da condividere con il collega: "La cosa peggiore di tutto questo è che se i nostri sospetti sono fondati, la talpa potrebbe essere uno qualunque del Dipartimento, siamo isolati. Io mi limiterò a compilare il rapporto omettendo la faccenda della cassa, tu vedi di scoprire qualcosa però o rimarremo con le braghe calate davanti al Capo della Polizia."

Le ore passarono lente e di Dingo nessuna notizia, Warden aveva fatto in tempo a stilare il rapporto dell'operazione,  sbrigare pratiche arretrate inerenti i giri di pattuglia della settimana scorsa (un mucchio di scartoffie sparse sulla sua scrivania che finalmente aveva il tempo di riordinare) e si era beccato una lavata di testa dal Capo per le continue assenze improvvise del suo collega, di cui era responsabile in quanto agente anziano. La grossa mano d'ebano chiusa a pugno, sbattuta sulla scrivania del suo ufficio, se la ricordava bene. Il Capo Howard dirigeva il Dipartimento da vent'anni, aveva più o meno la stessa età di Warden, il suo fisico da gigante, l'espressione dura e il portamento imponente gli avevano fatto guadagnare il soprannome "Rushmore"; ed eccolo lì, Warden, di fronte a una montagna di muscoli e nervi che gli tuonava contro: "Non mi interessa minimamente se dice di avere affari urgenti, dì a quel piccolo idiota di Martins di attenersi alle regole del dipartimento se tiene al distintivo, e soprattutto se tiene alla sua spina dorsale. Se continuerà con le sue bravate, e se continuerai a coprirlo impunemente, come se non lo sapessi che siete in combutta, vi beccherete una sospensione e una indagine disciplinare, sono stato chiaro? Ora fuori dai piedi!"

Poco prima di finire il turno, Warden ricevette finalmente un messaggio da Dingo, poche parole che lo gettarono ancor più nella confusione: "Vieni al parco vicino casa mia, STACCA la batteria del cell!!". Il tono del messaggio era alquanto allarmato, ma Warden diede retta al suo amico, spense il terminale, si infilò il cappotto e uscì nel parcheggio, dove lo attendeva la sua volante di servizio. La casa di Dingo era un appartamento nei pressi di un piccolo parco, dove era solito andare a fare jogging ogni mattina, Warden lo invidiava, la sua ferita alla coscia non gli permetteva più di fare grossi sforzi in certe giornate. Parcheggiò di fronte l'entrata e cercò con lo sguardo il suo collega, ma nessuna traccia, forse ha avuto un contrattempo, ma senza telefono come lo avrebbe potuto contattare? Improvvisamente si sentì tirare una giacca, un senzatetto si era avvicinato probabilmente per chiedergli l'elemosina. "Che vuoi amico? Non ho spiccioli mi spiac..." Warden sgranò gli occhi quando lo riconobbe e gli fece cenno di fare silenzio. Sotto il cappuccio logoro scorse un ciuffo di capelli biondastri, volto sporco di polvere e abiti logori. I due si diressero nei bagni pubblici e chiusero la porta semi scardinata alle spalle. Warden osservò il collega guardarsi in giro come un animale braccato, era irriconoscibile. Dopo essersi calmato, finalmente prese la parola: "Hai... hai fatto come ti ho detto? Hai staccato la batteria? Dammela, dammela!" Dingo gli strappò il cellulare dalle mani e lo buttò nel gabinetto. "Ehi che diavolo fai?" Dingo non lo ascoltò e gettò la batteria a terra e la calpestò fino a fracassarla. "Zitto e ascoltami, la cosa è più grossa di quanto pensassimo, ho trovato abbastanza materiale per far saltare una bomba gigantesca ma ancora non ho prove tangibili, capisci?? E il Dipartimento non è più sicuro, o sono materialmente sotto controllo o è proprio la tana della talpa, ancora devo capirlo, ma di certo è per quello che non siamo mai riusciti ad arrivare in tempo, È ovvio no!? Sapevano sempre dove e quando colpire e sapevano quando stavamo per arrivare, sapevano troppo, Steve!". Gli era venuto il fiatone dal nervoso, Warden cercò di calmarlo ma era fuori di sé. "Una cosa alla volta comunque, ora che si fa? E perché questa mascherata?" Dingo si sedette sul water per riprendere fiato. "Oggi dovevo incontrarmi con uno fidato, quello che mi ha spifferato il possibile nascondiglio della banda, e indovina un po'? Non si è presentato all'appuntamento, e non ho idea di come possa rintracciarlo, il telefono è staccato. Credo che siano arrivati a lui, e potrebbero risalire anche a me. Ah, questo è per te." Porse al collega un pacchetto di giornali contenente un cellulare. "Ne ho uno identico, me lo sono fatto spedire per posta dal Bureau, attrezzatura militare. Useremo questo per comunicare. C'è un solo numero in rubrica ovviamente." A Warden non dispiaceva non ricevere per un po' telefonate dall'avvocato della sua ex moglie, ma l'atmosfera da film di spionaggio non lo rendeva certo di buon umore. Non aveva mai visto il suo collega così spaventato in dieci anni di lavoro. Lo vide controllare l'ora sul suo orologio da polso più volte. "A ogni modo non mi hai risposto, come ci muoviamo? Dammi più informazioni, maledizione, o devo pensare che non ti fidi neanche di me??" Per tutta risposta Dingo gli porse il suo portachiavi, con un'unica piccola chiave di metallo rossa. "È la chiave della mia scrivania, tienimela tu fino a che non sarà tutto finito, è estremamente importante. Ora meglio che prendiamo due strade, io ho da fare, ci vediamo domattina in ufficio, tieni il cellulare acceso, non si sa mai." Si scambiarono due pacche sulle spalle, uscì prima Dingo, Warden lo seguì immediatamente ma era già scomparso nell'oscurità del parco.

Il mattino dopo non si presentò in ufficio, il Capo Howard, stranamente, era più calmo e silenzioso del solito, lo incrociò nel corridoio con la fronte sudaticcia, doveva aver parlato con qualcuno più temibile di lui perché si rivolse a Warden quasi sottovoce: "Hai notizie di Martins? Appena lo vedi mandalo da me per favore." Il vecchio sergente rimase fulminato a quelle parole. << Per favore? Ma che diavolo sta succedendo qua dentro? >>
Dopo pranzo decise di muoversi di sua iniziativa, si incontrò con un suo informatore (e grande amico), un ex spacciatore che ora rigava dritto, aveva perso quasi del tutto l'udito in un incidente ma gli occhi gli funzionavano alla grande. Eppure, neanche lui riuscì a fornirgli informazioni di rilievo. Seduti a una tavola calda, davanti a due tazze di caffè fumanti, Warden gli disse lo stretto necessario, come risposta ottenne ancor meno. "Tutto ciò che posso dirti, Steve, è che state dando la caccia a dei fantasmi, non sono comuni rapinatori questi, non hanno contatti con l'usuale criminalità locale, sono autosufficienti, oppure hanno aiuti di altro tipo, è proprio l'assenza di notizie secondo me a essere la notizia più grossa per te." << Ciò confermerebbe i sospetti di Dingo, ma senza di lui ho le mani legate. >>. Sfilò una banconota da cento dal cappotto e la avvicinò all'informatore, che gliela restituì. "Stavolta ho fatto cilecca amico, ma grazie del caffè; cerca di guardarti le spalle comunque, il tuo collega sta facendo troppo rumore, è ancora un pivello dopotutto."

E alla fine della giornata, la scoperta del corpo di Dingo a casa sua. Ragionandoci su, riteneva che fosse l'ultimo luogo sicuro alla sua portata. I lampioni sulla strada per il dipartimento illuminarono il volto rigato di lacrime di Warden, furioso per l'accaduto. Gli agenti parcheggiarono la volante nel parcheggio del Dipartimento e lo condussero nell'edificio, ancora ammanettato. Osservava gli sguardi sorpresi e incuriositi dei suoi colleghi mentre entrava con Mike Jacobson nella sala degli interrogatori, dove rimasero soli. C'era stato innumerevoli volte in quella stanza, ma mai ammanettato alla sedia; fissava lo sguardo di ghiaccio del suo ex compagno, che lo squadrava con totale indifferenza.
La stanza era nell'ala più recente dell'edificio, a differenza delle altre sale interrogatori aveva un sistema di videosorveglianza al posto del più antiquato falso specchio. Mike non disse una parola, sbattè un fascicolo sul tavolo e lentamente si incamminò alla parete per spegnere la videocamera. E riavvicinandosi al tavolo sussurrò: "Abbiamo molto di cui parlare, Steve."

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