Over~Oltre il confine

di Arisu01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rimpianti ***
Capitolo 2: *** Visioni ***
Capitolo 3: *** Insieme ***



Capitolo 1
*** Rimpianti ***


Sta camminando avanti e indietro,mentre io sono comodamente seduta sul letto. A volte,si ferma e scuote la testa,poi riprende a camminare a passi pesanti,cosa che mi fa saltare i nervi. È mezz'ora che continua così,o almeno mi sembra,e io non ce la faccio davvero più. Di botto,si ferma,come se avesse capito qualcosa di veramente eclatante,ma che a me,sarebbe sembrata sicuramente una sciocchezza. «Allora?» chiedo io,spazientita. Lui sospira e mi guarda distrattamente. «L'ho trovata.» «E quindi?». Freme dalla voglia di sapere cosa avesse trovato di così tanto scervellotico da farlo camminare ininterrottamente da decenni. Quando entrò in camera mia,senza bussare,tra l'altro,e prima di farmi quel lungo discorso insensato sui valori famigliari e sul fatto che,essendo mio fratello,mi sarebbe sempre rimasto accanto,non mi aveva accennato minimamente del fatto che era preoccupato per qualcosa. Lo capii solo quando si alzò dal letto e si mise a camminare davanti a me,come ho accennato poco fa. Di solito,lo fa quando sta cercando di comprendere o trovare qualcosa a lui ancora sconosciuto,quindi,aspettai pazientemente. Rimane a fissarsi le scarpe per un pò e, proprio mentre sto per ripetere la mia precedente domanda,sospira ancora e alza lo sguardo su di me. «Zio Chuck ha una casa,a Boise.» risponde,finalmente,lui. «Starai lì finché non tornerò.» Zio Chuck? Cerco di capire chi fosse,vagando tra i miei ricordi d'infanzia. Non so molto di lui. È il fratello di mio padre, l'ho visto al massimo un paio di volte,e solo quando ero molto piccola. Forse mio fratello ne sa di più,ma non voglio chiederglielo. Non mi interessa più di tanto,in fondo,devo rimanere da lui al massimo qualche mese. Si rimette seduto sul letto accanto a me e mi guarda,come a scrutarmi. Odio quando mi fissano,specialmente in quel modo. Voglio che si parli chiaro se si dove dire qualche cosa. Inaspettatamente,mi abbraccia. È da giorni che non piango. Questa casa,mi sembra così vuota ora. Il primo giorno che io,mio fratello e mio padre abbiamo appreso la notizia,abbiamo agito in modi diversi. Io ho cominciato a piangere,dopo aver realizzato le parole del poliziotto sull'uscio di casa nostra,e mi sono coperta il viso con entrambe le mani. Mio fratello mi ha abbracciato,cercando di essere forte,ma ha pianto silenziosamente anche lui,lo so. Mio padre,invece,ha guardato incredulo davanti a sé,rigido come una statua. Non lo biasimo di certo,ma quel che ha fatto dopo mi ha scosso talmente tanto che non ho parlato,per giorni. La mamma mancava a tutti e tre,a me,a mio fratello e a nostro padre ma,forse,io non sarei mai arrivata a tanto. Per quanto voglio bene alla mamma,non mi sarei mai uccisa davanti ai miei figli,ancora troppo giovani per soffrire così tanto. Non l'avrei mai perdonato,per averlo fatto. Non lo perdonerò mai per averci abbandonato e aver pensato solo a sé stesso. Ora starà insieme a mamma. Starà ridendo e scherzando con lei. Invece noi siamo qui,a soffrire come cani bastonati,come due idioti che si preoccupano troppo per un egoista e vigliacco,come lo è stato mio padre. Nonostante questo,mi manca terribilmente. Mi mancano i momenti che passavamo insieme,a guardare la tv,mentre io e Jonatan combattevamo per il telecomando,mamma rideva e papà ci sgridava. Mi mancano quei momenti in cui giocavamo a i giochi da tavolo a Natale,quando,da piccola,papà ci faceva giocare a nascondino,quando la mamma ci coccolava ogni qual volta non riuscivamo a dormire. Ma si sa,il tempo allevia il dolore. Basta aspettare. Ora siamo solo noi due,io per lui e lui per me. Restiamo abbracciati per tanto tempo,ormai non so se da ore o semplici minuti. Jonatan è sempre stato forte e sorridente,anche durante questi giorni così strazianti,ma in fondo so che sta soffrendo quanto me,se non di più. Vuole portare questo peso da solo,senza condividerlo con me,nè con nessun altro. Mi manca anche il suo sorriso sincero,quello che riusciva a farmi smettere di piangere. Sta cercando di fare quel che ha sempre fatto,sta cercando di tirarmi su il morale,però,quel bellissimo sorriso che aveva prima,è scomparso,come ogni briciola di felicità in me. Come fa ad accettare questo peso sul cuore? Per lui,dev'essere anche più pesante del mio,sta sopportando anche il mio dolore. Non è già abbastanza il suo? Vorrei aiutarlo,vorrei poter riuscire a rassicurarlo come fa lui con me,vorrei poter avere almeno un pizzico di speranza di continuare che ha lui,da riuscire a mettere nelle mie parole abbastanza convinzione da convincere entrambi. Ha bisogno di sfogarsi,di essere compreso. Vorrei che piangesse davanti a me e che mi confessasse le sue paure,e io lo consolerei sorridendo. Ma come potrei,se ho bisogno io stessa di essere consolata? Non trovo più uno scopo in questa vita. Se mi lasciassi andare alla disperazione,è come se consegnassi mio fratello direttamente nelle mani del diavolo. Non lo potrei mai fare,non voglio perdere anche lui. Assolutamente no. Abbiamo perso tutto,tranne l'altro per noi stessi. Non ci resta che aspettare che il tempo rimargini le nostre ferite,se lo farà. E così,è deciso: arrivo,zio Chuck. Speriamo solo che lì da te non faccia troppo freddo.

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Capitolo 2
*** Visioni ***


La luce del sole mi sfiora dolcemente le palpebre,facendomi svegliare. Non mi sono ancora abituata a questo. Di solito,vengo svegliata da mia madre che minaccia di buttarmi un secchio d'acqua gelata in pieno viso. Questo risveglio mattutino è troppo tranquillo. Mi alzo stancamente e vado in bagno. Non c'è bisogno che vi dica cosa ho fatto lì dentro,penso che tutti sappiate cosa si faccia in un bagno. Subito dopo,mi fiondo in cucina,e trovo mio fratello che mi aspetta,seduto intorno al tavolo. Stranamente,la colazione è già pronta ed è tutto apparecchiato. Mi siedo anch'io,alternando lo sguardo da mio fratello,a i pan cake con succo d'acero sul piatto davanti a me. Jonatan ridacchia e mi fissa,come se stesse aspettando qualcosa da me. Sospiro,prendo lentamente il primo pan cake,e lo porto alla bocca,assaggiandone un pezzetto. Non mi fido molto del cibo che prepara lui. L'ultima volta che ha preparato qualcosa,è stato al compleanno della mamma,ma ha finito per bruciare la torta e mezza cucina. Questi pan cake sembrano invitanti,apparentemente. Siccome il pezzetto che ho appena ingoiato non mi ha ancora fatto rotolare dal volta stomaco,decido di mangiarne un altro. Jonatan,ora,mi sta fissando con un sorrisetto alquanto malizioso. Cosa vuole che faccia? Che salti di gioia e che vada ad urlare a tutto il quartiere che non sono ancora morta,dopo aver mangiato qualche cosa preparata da lui? «Beh?» sbotta. «Beh cosa?» rispondo io,mangiando il secondo pan cake. «Come sono?». Ed ecco la domanda fatidica. Non voglio immaginarmi la sua faccia quando sentirà quel che sto per dirgli,sarà epico. «Commestibili,direi...» rispondo,ridendo sotto i baffi. Bomba sganciata. Guardandolo con la coda dell'occhio,noto la sua espressione confusa. Mi sta fissando male,ma così tanto che persino Fuffy,il pitbull della signora Steven,scapperebbe a zampe levate. Finalmente,quando ormai sono giunta al penultimo pan cake,Jonatan riesce a parlare: «Commestibili? Tutto qui?! Mi sono svegliato alle 5:00 del mattino per prepararli,e tu che fai?! Mi dici solo "commestibili"?! Sei proprio una» dice,a raffica,mio fratello,ma prima che potesse finire,capendo già con quale insulto stava per concludere il discorso,lo interrompo. «Jo...» sorrido io,alzandomi e portando il piatto nel lavandino. «...sono buonissimi.» finisco. La sua precedente espressione sparisce,e lascia lo spazio ad una più sorpresa. «Oh...grazie.» dice,ricambiando il mio sorriso. Ora che mi viene in mente,lui oggi doveva lavorare,come mai è ancora qui? Guardo l'orologio: sono le 8:53,dovrebbe essere a lavoro già da due orette ormai. Mio fratello,come lavoro part time,fa il meccanico. Non può avere un lavoro in piena regola perché il suo altro "lavoro",se così possiamo chiamarlo,non glielo permette. «È inutile che ti preoccupi tanto.» esclama Jonatan,notando che sto controllando l'ora. Probabilmente,ha già capito cosa mi passa per la testa. «Non mi sto preoccupando,è solo che...» mi difendo io. Perfetto,non riesco mai a tenere a freno la lingua. Certo che sono preoccupata,il capo di mio fratello,oltre ad essere un pervertito,è anche uno vero bastardo. Anche per un ritardo di due minuti,gli diminuisce la paga e lo fa lavorare un'ora in più per tutta la settimana. Per fortuna,è successo solo una volta con Jonatan,è uno che capisce in fretta. Io,invece,sono una di quelle ragazze che anche se capisce al volo,ha la tentazione di dormire anche per dieci minuti in più pur di non sentirsi uno zombie appena sveglia. Se fossi stata al posto di mio fratello,in due anni,avrei raccimolato solo venti dollari,con un capo come Sanders. «...non dovevi andare a lavoro? Perché sei ancora in pigiama?» chiedo. «Mi sono preso un giorno libero.» risponde tranquillamente lui,come fosse la cosa più normale al mondo. Cosa? Un giorno libero? Quel bastardo del suo capo non glielo avrebbe mai permesso! Cosa gli ha fatto? Lo ha incatenato ad una macchina senza freni? Lo ha minacciato di morte,o lo ha ucciso direttamente? Nah,mi sta prendendo in giro. Quando vedo che se ne va,tutto sorridente,lo seguo e gli tiro la manica. «Non ti hanno licenziato...vero?» chiedo,con lo sguardo supplichevole. Lui si gira e mi mette una mano sulla testa,arruffandomi i capelli color ambra. «No,scema.» risponde,più calmo di prima. Corrugo la fronte. «E allora...» «Non ci crederai,ma quando gli ho spiegato la situazione,si è commosso e mi ha concesso la giornata libera. A dir la verità,mi ha dato tutta la settimana,ma non so se» «Assolutamente no.» lo interrompo io. Non mi sono accorta che siamo arrivati davanti la porta del bagno,ma non importa,prima deve ascoltarmi per bene. Non pensa altro che al lavoro e al dovere,non si diverte mai come dovrebbe fare un ragazzo di 19 anni. Mi sento male io per lui,ora sono stanca. «Ti rendi conto di quel che hai davanti?!» «Sì,una porta.» scherza lui. Mi avvicino e faccio la stessa espressione che ha fatto lui per i pan cake,solo,peggiore. «Ok...continua.» «Quel cretino di Sanders finalmente si è accorto di avere un cuore e ti ha lasciato non un giorno,ma un'intera settimana libera! Tu pensi sempre al lavoro,ti sei sempre preoccupato per tutti,meno che di te stesso. Finiscila di fare l'eroe,e sii egoista,ogni tanto. Divertiti,cavolo!» concludo. Poi,mi dirigo verso la mia camera,ma una mano mi blocca il polso. «Sei proprio una stupida...». Sta ridendo...? Sta proprio ridendo,allora mi sta prendendo in giro sul serio! Ma che cavolo ha da ridere?! Sono serissima! «Preparati,oggi staremo tutto il giorno fuori.» detto questo,entra in bagno e chiude la porta. Mi ha lasciata così,senza dirmi nient'altro? E ora che faccio? Che mi metto,se non so dove dobbiamo andare? Entro,sbuffando,in camera mia e tiro fuori dall'armadio dei jeans,una maglietta a righe viola e bianche,e un giacchetto marroncino. È estate: di sera,da queste parti,non fa molto freddo. Intanto che aspetto che mio fratello esca dal bagno,guardo fuori dalla finestra. Mi affaccio sulla strada,mezza affollata,del mio quartiere. Non mi piace questo posto,non mi è mai piaciuto. C'è troppa gente. Ho sempre voluto abitare in una casa in campagna,o vicina al mare. Alla fine,però,mi ci sono abituata. Il sole splende nel cielo azzurro,nessuna nuvola lo copre. Vedo la signora Steven e il panettiere parlare. La signora Steven sembra molto eccitata per qualcosa,e riesco a sentire la parola "festa". Ora ricordo! Oggi è il 4 Luglio,come ho fatto a dimenticarmene? Stasera c'è la festa in piazza! Potrei ricordarmi del colore della maglietta della prof. Jankins,ma non ricordo occasioni come questa. Non mi capisco proprio. Sento la porta del bagno aprirsi e mi dirigo verso di essa. Sarà una giornata movimentata. Se mio fratello ha deciso di uscire,allora lo sarà sicuramente. «Jamie! Cavolo,ti sbrighi?» urla mio fratello,dal piano di sotto. In realtà,io sono già pronta da un bel pezzo,mi sto solo rilassando un pò prima di affrontare quel che Jonatan sta per mostrarmi,qualsiasi cosa sia. «Arrivo!»,prendo la mia collana regalata dalla mamma per il mio decimo compleanno,e mi dirigo verso il piano di sotto,dove mi sta aspettando mio fratello. Ha preso le chiavi della macchina,quindi deduco che non andremo in un posto qui in città,o almeno,non nel quartiere. Salgo in macchina,e mi siedo sui sedili posteriori. Lo so,potevo tranquillamente sedermi davanti,solo che mio fratello è un pò troppo iperprotettivo,soprattutto da quando mamma e papà sono morti. Entrambi stiamo cercando di non pensarci, ma direi che è impossibile,dato che ce li ritrovavamo tutti i giorni per la casa,quindi,ora,è strano averla vuota. Mamma era una casalinga,perciò non usciva molto spesso,se non per fare la spesa o andare dal sarto qui accanto. Mio padre,invece,era il contrario,proprio come mio fratello. Pensava solo al lavoro e quello che esso produceva,cioè,i soldi. Più che altro,si preoccupava troppo del nostro bene: mio,di Jonatan e della mamma. Ecco da chi ha preso mio fratello,tale padre tale figlio. Sono passati quasi due mesi da quando i nostri genitori se ne sono andati,eppure sembra che siano passati appena due giorni. Vedo spesso Jo,con gli occhi lucidi o le lacrime agli occhi,e io non sono da meno. Non piangiamo mai davanti all'altro. Lui,forse,lo fa per non farmi star più male di così; io lo faccio un pò per la stessa cosa e un pò per orgoglio,non mi piace essere compatita. Dopo qualche secondo passato in silenzio,Jonatan prende parola,e guardando dallo specchietto retrovisore,fa partire la macchina. «Potevi metterti qualcosa di più carino,sai?» ridacchia. «Beh,caro il mio fratellone,ci sono due motivi: il primo è che tu non hai minimamente menzionato il posto in cui saremmo andati,quindi mi sembra ovvio che mi sia vestita in questo modo.» inizio io,cercando di essere il più diplomatica possibile. Svoltiamo a destra,poi tiriamo dritto. Stiamo andando fuori città,evidentemente. Cos'ha in mente il mio fratellone? «Il secondo è che mi sarei comunque vestita così,non mi piacciono i vestiti troppo 'fru fru' o tipo "ciao a tutti,sono miss scollatura". Chiaro?» e la mia diplomazia iniziale è sfumata con il mio solito tono acido. Non è colpa mia,ha iniziato lui. Lo sa benissimo che non sono come tutte le altre ragazze che conosce e conosciamo. Quasi tutte si mettono in ghingheri anche solo per andare al supermercato che hanno sotto casa. Per quanto mi riguarda,io potrei andarci in vestaglia e ciabatte. Quando tiravo fuori questo discorso,papà cominciava a parlare delle ragazze "complessate",senza un briciolo di autostima o dignità femminile,e finiva il suo improvviso discorso con: «E con questo,figlia mia,spero che tu ricordi sempre che niente e nessuno può toglierti la dignità». E cosa c'entrava questo con le ragazze vanitose che vanno in giro con i tacchi così alti da far invidia ad un grattacielo? Non lo capivo quando faceva così,ma non facevo domande,perché sapevo che non mi avrebbe risposto. Dopo due ore scarse di viaggio,arriviamo davanti un grandissimo cancello in vernice nera: il cimitero. Dovevo immaginarlo,quale altro posto si trova fuori Cheyenne se non il cimitero del paese? Oltre ai vari benzinai e autogrill,il cimitero è l'unico luogo "abitato" nel raggio di chilometri. Ed ecco che mio fratello scende dalla macchina,e io lo seguo a ruota. «Se me lo avessi detto prima avrei...» sussurro,mentre abbasso la testa. Bene,il classico: chi non piange davanti al cancello di un cimitero? Tutti,ecco chi. Le persone piangono DENTRO il cimitero,almeno credo. Mi sono sempre ritenuta strana,ma nonostante questo,mio fratello mi ha sempre detto che sono la ragazza più normale al mondo. Non so se dovrei prenderlo come un complimento. Ora Jo si è accorto di me,e si sta avvicinando qui,a passo spedito. Io mi limito ad asciugare le lacrime. «Jamie,ti ho portata qui perché pensavo che ti saresti sentita meglio...» sussurra anche lui,abbassandosi per arrivare alla mia altezza. Per avere 13 anni,sono abbastanza bassa. In confronto a mio fratello,sembro sua figlia più che sua sorella. Mi mette una mano su una guancia e la accarezza dolcemente. Ha gli occhi lucidi anche lui. È successo proprio quello che non volevo che accadesse,ora il suo sorriso si è spento,e tutto per colpa mia. I miei singhiozzi aumentano e scoppio in lacrime. Mi ritrovo tra le sue braccia,mentre,anche lui, piange silenziosamente. È tutta colpa mia,è sempre colpa mia. «Mi dispiace...» dico io. Non so se abbia capito quel che ho appena detto,i singhiozzi hanno camuffato la chiarezza delle parole. Comincia ad accarezzarmi la schiena e a ripetere che non è colpa mia,che andrà tutto bene. Invece sì che è colpa mia. Se non avessi cominciato a piangere non avrei fatto commuovere anche lui,e non si sarebbe preoccupato. Se non avessi preso quel 4½ in aritmetica, mamma non sarebbe morta mentre andava dal professore a farsi spiegare la situazione,e se questo non fosse successo,anche papà,a quest'ora, starebbe a casa a dormire o a leggere un giornale. E dire che,fino a qualche mese fa,mi lamentavo anche della mia vita monotona,anche se l'accettavo di buon grado. Adesso,preferirei mille volte ripetere lo stesso giorno,purché ci siano i miei genitori. Continuo a piangere e a chiedere perdono a mio fratello,che mi sta consolando chissà da quanti minuti. Sta ancora ripetendo che andrà tutto bene,forse per convincere più lui che me. Ora che mi sono calmata,Jonatan mi dà un'ultima occhiata,pet controllare che stia bene. Io annuisco,e insieme,entriamo nel cimitero. Avrei voluto prendere dei fiori,per poggiarli sulla tomba dei nostri genitori. So quanto mamma adorasse le margherite bianche,e ne avrei portate qualcuna,giusto per riuscire a ricordare il sorriso che aveva quando gliele regalavo. Siamo arrivati davanti alle loro tombe. Ormai è scontato quel che desidero: "voglio che i miei genitori tornino,voglio che tutto questo sia solo un brutto sogno." penso. Ma,si sa,l'erba 'voglio' esiste solo nel giardino del re,e anche se fosse nel mio,nessuno può riportare in vita i defunti. Quando mio fratello se ne andrà,io cosa farò? Con chi potrò sfogarmi? Chi mi consolerà quando ne avrò bisogno? Chi mi farà ridere quando avrei solo voglia di piangere? Eppure,mio fratello c'è sempre stato per me,vicino o lontano,non ha mai fatto differenza. So che rimarrà al mio fianco,qualsiasi cosa accada. In questo momento,però,non ne sono del tutto sicura,non perché non mi fidi di lui,non mi fido di me stessa. Sono troppo debole,ora,per riuscire a sperare,per questo mi appoggio sempre a Jo,senza cercare di farglielo pesare. È ancora troppo giovane per soffrire così e per prendersi tutte queste responsabilità,per questo penso sia meglio che me ne vada per un pò. Si sono fatte già le tre del pomeriggio,e ci incamminiamo verso l'uscita. Intanto,mi guardo attorno: è un cimitero come gli altri,anche se non sono stata in altri cimiteri oltre a questo,quindi,non saprei dirlo con certezza; mi sto solo basando su quel che ho visto in tv. È un'area molto grande,ricoperta da erba verde. Sono sicura che se la si guarda dall'alto,però,si presenterebbe come una distesa grigia. Con tutte le lapidi che ci sono non credo sia molto facile scorgere da lontano i ciuffi d'erba. Al centro di esso,c'è un grande albero ricurvo e spoglio. Sarà "l'atmosfera" del posto,ma questo albero è sempre rimasto così,negli anni non è mai cambiato. Stagione dopo stagione,anche ora che siamo in estate,è sempre stato spoglio,ricurvo e cupo. Mentre fisso l'albero,un brivido mi percorre la schiena. Ma perché mi spavento così facilmente? È solo un'albero,come tutti gli altri,o quasi. Strizzo gli occhi e, subito dopo,li spalanco: una sagoma nera,appesa al ramo più robusto dell'albero,sta dondolando lentamente. Una sagoma nera,informe,senza viso...un'ombra raggelante che sembra rappresentare un uomo impiccato. Stringo la mano di Jonatan,che non sembra essersi accorto di niente. Sto cominciando a sudare freddo,il mio battito cardiaco accellera,la mano libera mi trema,il mio passo rallenta. Per quanto vorrei ditogliere lo sguardo,non ci riesco. È come se una forza più potente di me attraesse i miei occhi a puntare su quella scena inquietante che,intanto,si fa più orribile. Infatti,intorno all'albero,altre ombre nere si stanno dirigendo verso quella appesa. Stanno avanzando lentamente verso di essa e la prima ad arrivare,comincia a squoiare con la bocca,seppur non sembra avercela,quella sagoma indifesa. Proprio in quel momento,arrivano le altre sagome che seguono l'esempio della prima. Quella impiccata emette un grido acuto,disumano,che potrebbe far rabbrividire le lapidi del cimitero. Mi sorprendo del fatto che non siamo ancora arrivati all'uscita. Questa scena continua,finché non mi accorgo di un piccolo ed importante particolare: per uscire di qui dobbiamo passare accanto all'albero...

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Capitolo 3
*** Insieme ***


All'improvviso si accende un fuoco attorno a quelle che, probabilmente,sono anime,rendendo il tutto ancor più irreale e fin troppo esagerato per il mio povero cuore. Mi fermo. Jonatan si gira e mi guarda con sguardo interrogativo. So cosa sta pensando,e vorrei rispondergli ma non riesco a spiccicare parola,a mala pena riesco a respirare. Possibile che mi stia immaginando tutto? Sono così tanto scossa emotivamente da vedere degli spiriti che fanno cose non del tutto normali anche per la loro natura? Sono davvero messa male,quindi. Fortuna che è solo frutto della mia piccola testa bacata. Beh,spero sia solo frutto della mia immaginazione... «Che ti prende? Ti senti male?» chiede mio fratello,allarmato. Non guardare me,guarda a destra! A destra,scemo! Credo di essere pallida come un lenzuolo,a giudicare dalla domanda di Jonatan,che mi sta toccando la fronte. La mia vista sta cominciando ad offuscarsi,ora quelle ombre sembrano aver finito il loro 'pasto' e stanno pian piano venendo da questa parte. Vedo mio fratello urlare qualcosa che non posso sentire,le mie orecchie sembrano fuori uso,così come la mia vista,le mie gambe. Non faccio in tempo a spaventarmi che sono già a terra. Buio. Sento un suono acuto provenire dal mio lato destro. Continua a fare 'bip' e già non lo sopporto. Sono troppo debole per aprire completamente gli occhi,o forse è questa luce bianca ed accecante che me lo impedisce. Non riesco a muovere un solo muscolo,mi sento così debole che ho paura di scomparire da un momento all'altro. Sono già morta? Altrimenti,da dove verrebbe tutta questa luce fastidiosa? E il fatto di sentirmi così leggera è una prova a favore per questa ipotesi. La cosa che non coincide,però,è questo 'bip',ancora più irritante della luce; ma c'è un flebile sussurro oltre a questo suono,un sussurro disperato. Chiunque sia direi che sta piangendo,seppur in un modo così mesto e silenzioso. Distinguo chiaramente le parole 'ti prego' e il mio nome,ripetute alternandole con dei 'no' piuttosto penosi. Ora riesco a riconoscere questa voce: è Jonatan,che probabilmente mi sta tenendo la mano visto che sento una stretta su di essa,abbastanza forte da scaldarmela. Poco a poco la vista ritorna e quella luce fastidiosa si rivela essere la lampada al neon sopra di me,insieme alla luce del sole ancora alto nel cielo: dev'essere mattina. Sono su un letto con le lenzuola bianche,che riprendono il colore delle pareti,anch'esse bianche. Perché sono in ospedale? Cosa è successo? Non ricordo nulla...vuoto totale,buio completo. Questa cosa mi irrita parecchio,anche se non ne so bene il motivo. Solo adesso mi accorgo di avere un dolore atroce alla testa e cerco di alzare la mano destra,quella che sta tenendo mio fratello,per massaggiarmi un pò le tempie,così quando la muoverò si accorgerà che sono sveglia,perché ha ancora la testa bassa e la mia mano intrecciata nella mia. Ci provo e,con grande rammarico,constato che,pur avendoci messo un grande sforzo,ho mosso lievemente solo le dita. Fortunatamente,Jo ha alzato di scatto la testa:ha gli occhi rossi e gonfi,avrà pianto per tutto il tempo in cui sono rimasta incoscente. Ha pianto due volte in un solo giorno,e la causa di entrambe qual è stata? Io,ovviamente. Non ne faccio mai una giusta,combino sempre guai. Dovrebbero vietarmi di uscire di casa,rinchiudermi da sola in una stanza bianca fino alla fine dei miei giorni,o spedirmi in Alaska senza cibo nè acqua. Jonatan mi fissa per qualche secondo,poi altre lacrime gli rigano il volto e mi abbraccia di slancio,urlando il mio nome e ripetendomi quanto mi vuole bene. Che esagerazione,stavo solo dormendo,in un certo senso,no? Quindi perché tutto questo baccano? Calmati o finiremo a terra tutti e due. Prima di riuscire a strozzarmi,entra in stanza un dottore di mezza età con indosso il solito camice bianco,che mi sorride. «Ben svegliata,Jamie. Come ti senti?» mi chiede il dottore,ma non riesco a muovere le labbra. Mi afferra una mano e dice: «Stringi la mia mano. Ci riesci?» beh,la risposta è no. Prende quell'apparecchio con due estremità che infila nelle orecchie e una che si appoggia sul petto,di cui non sono mai riuscita a capire il nome,e controlla il mio respiro. Ma a che serve se c'è quella macchina assordante accanto a me che...non riesco a finire questo pensiero,che il dottore mi risponde. Sembra mi abbia letto nella mente. «Nessun rumore polmonare...» fa una pausa e sposta quella ventosa fredda proprio sotto il collo,muovendolo nei d'intorni di tanto in tanto. «...o bronchiale. Perfetto,stai benissimo,Jamie.» esorta il dottore. Strano,a me non sembra di stare tanto bene. «Ma per sicurezza,facciamo altri controlli. Se tra un'ora non riesce a muoversi» dice,rivolgendosi a mio fratello. «penso sia meglio che per questa notte resti qui,per ulteriori accertamenti.»,mi sorride un ultima volta ed esce dalla stanza. Jonatan sospira,e si risiede sulla sedia vicino al letto. Ha i gomiti sulle ginocchia e le mani tra i capelli,che gli sorreggono la testa. Qualche goccia cade sui suoi pantaloni verde muschio: sta piangendo ancora. Va bene,mi correggo,sono tre volte in un giorno. Per risolvere il problema basterebbe sbattermi in galera e far ingoiare la chiave a Fuffy,per poi darlo in pasto ad una balenottera azzurra che pescheranno i giapponesi con cui faranno il sushi. Sì,lo so,gli animalisti verranno a cercarmi sotto casa...ma non sopporto sapere che qualcuno sta piangendo per colpa mia,soprattutto se quel qualcuno è mio fratello. Io adoro mio fratello,e ora che ci siamo solo noi due dovremmo sostenerci a vicenda,invece è lui che sostiene me. E questo non lo sopporto,mi sento inutile come un gatto sul divano. Ok,basta mettere in mezzo gli animali. Jo prende la mia mano e la guarda,accarezzandola per un pò. «Jamie,stringimi la mano...» dice, debolmente,mio fratello. Cerco di fare come ha detto,stringo più che posso. Beh,almeno sono riuscita a muovere tutte le dita anziché solo il pollice e l'indice,cone ho fatto appena sveglia. Jonatan alza lo sguardo e si avvicina a me,sorridendo. «Mi sei mancata tanto,non lo fare mai più...hai capito?» sussurra lui. «Va bene.» sussuro,ancora più flebilmente;sto riprendendo le forze,riesco persino a sorridere. Jo si avvicina ancora di più e mi dà un leggero bacio sulla fronte,come era solito fare papà quando mi dava la buona notte. Si abbassa e mi dà un altro piccolo bacetto sul naso,come se gli fossi davvero mancata così tanto. Oh,certo,non lo metto in dubbio ma...non è un pò esagerato? Adesso che lo guardo bene,non sembra molto in forma. Ha delle occhiaie sotto gli occhi color nocciola,i capelli ambra tutti arruffati. Pian piano,nella mia mente,si schiariscono delle immagini che prima erano completamente offuscate. Ricordo ogni cosa: le frittelle,la macchina,il cimitero,l'albero e quelle ombre...ancora ricordo quel grido acuto e disumano che quell'anima dannata emetteva. Quando è successo,però,ricordo che fosse già pomeriggio. «Jo...per quanto tempo ho dormito?» chiedo. «Due giorni.» risponde,alzandosi e stiracchiandosi,mentre guarda fuori dalla finestra. Tutto ha più senso adesso. Ritorno con lo sguardo sul muro bianco davanti a me,e noto che il mio stomaco sta reclamando. «Ho fame...» dico,accarezzandomi la pancia che non smette più di brontolare. Potrei mangiare qualsiasi cosa,basta che sia commestibile. D'altronde,due giorni senza cibo sono troppi,e poi per me,che mangio ogni due ore -o anche meno- è davvero inaccettabile una cosa simile,mio fratello dovrebbe già esserselo ricordato. Si gira e,come se se ne fosse appena accorto,prende un vassoio dal comodino accanto e mi fa segno di mettermi seduta. Io non voglio il cibo dell'ospedale! Sarà sicuramente una brodaglia per vecchietti con la dentiera! So cosa avevo affermato poco fa,e cioè che avrei mangiato qualsiasi cosa,ma non ce la faccio. Dò al vassoio un'occhiata fugace,che mi basta per capire cosa dovrò mangiare per non morire di fame: una tazza di ceramica bianca -perché in ospedale,ovunque guardi,c'è sempre qualcosa di bianco?- contiene una minestra acquosa. Ecco,la solita brodaglia per anziani. Più in là c'è un piatto -ovviamente bianco- diviso in sezioni: in una c'è della carne a fettine,così sottili che si può vedere la parte opposta. In un'altra sezione c'è del purè abbastanza consistente da poterlo definire tale. Nella terza ci sono dei piselli,anche loro piuttosto normali all'apparenza. E poi c'è una forchetta di plastica,di cui non c'è bisogno che vi dica il colore. Beh,mi immaginavo peggio,a parte quella sottospecie di minestra. Ah no,io quella non la tocco; mangerò tutto il resto. Prendo dalle mani il vassoio che mi sta porgendo Jonatan e afforchetto la prima fettina. In meno di dieci minuti ho finito tutto. Devo dire che non era male,almeno meglio di quel che prepara mio fratello,anche se i pancake di qualche giorno fa erano davvero buonissimi,come quelli della mamma...forse è per questo motivo che li aveva fatti,dopotutto,era per rallegrare me...mi sento più in colpa di prima. Entra un'infermiera con un carrello,su cui sono posti vari oggetti medici,dalle forme bizzarre. Non mi sono mai interessate la medicina,la scienza e via discorrendo,e forse è anche per questo che non ho mai capito nulla a scuola riguardo queste materie; è semplicemente una questione di interesse personale,tutto qui. È ora dei controlli che ha menzionato il medico. Speriamo che non abbiano niente a che fare con aghi o strane macchine inquietanti,sono ancora leggermente spaventata per quel che è successo due giorni fa...se è successo veramente. Dopo circa mezz'ora,io e Jo possiamo finalmente tornare in stanza,e io posso buttarmi sul letto e non alzarmici per le prossime dieci ore. In questa mezz'ora sento di aver recuperato un pò di energie,ma sono ancora debole e,soprattutto,sono stanca morta. So di aver dormito per due giorni interi,però è come se non avessi dormito neanche per un'ora. Per metà strada,mentre andavo a fare i controlli,mi ha dovuto sorreggere mio fratello,per l'altra metà ci sono andata sulla sedia a rotelle. È stato piuttosto stressante,in realtà,ma le gambe non reggevano e minacciavano di farmi cadere a terra. Per non parlare del gran mal di testa che,appena riuscivo a stare in piedi per qualche secondo,si trasformava magicamente in un giramento di testa che aveva la fastidiosissima capacità di farmi razzolare a terra. Come programmato,mi butto sul letto e mi copro tutta,cercando una posizione adatta per addormentarmi. C'è un pensiero,però,che mi affligge fin da prima. «Va' a casa.» dico,guardando mio fratello. Si avvicina a me e si mette sulla solita sedia,per poi sospirare. «No,sto bene. Resto qui.» «No che non stai bene. Ma ti sei visto?» gli rispondo. Scommetto che finiremo per litigare,ma non ho intenzione di arrendermi e, sicuramente,neanche lui. Entrambi siamo ugualmente testardi,se ci mettiamo in testa qualcosa è impossibile farci cambiare idea. Sospira ancora: deve aver capito anche lui come questa storia andrà a finire. Bene,io sono pronta. «Ti ho detto che sto bene. Non ho bisogno di nulla,adesso. Quella che sta male,qui,sei tu.» e fissò con sguardo vuoto dritto davanti a sé. «Ti sbagli fratellone,sono solo un pò stanca,e sono sicura che da i risultati dei controlli non risulterà niente.» esclamo. Lo vedo sospirare ancora e mettersi le mani sul viso,sembra disperato. «Jamie,ora basta,falla finita. Smettila di fingere,ok? Non sei per niente brava a dire bugie...» risponde Jo. Che cavolo gli prende? «Stiamo parlando della stessa cosa...vero?» chiedo io. Già,perché è strano il discorso che sta cominciando a fare...non sono sicura,in effetti,che stiamo parlando sempre sul fatto di riposarsi. «Che intendi dire?» aggiungo. Avvicina la sedia al mio letto,e solo ora mi accorgo che sta piangendo. Mi mette una mano sulla testa e la accarezza dolcemente. «Smettila di fare finta di niente...mancano anche a me,lo sai. Sono passati solo due mesi,non puoi pretendere di stare già bene...» successivamente mi abbraccia,più forte di quanto ha fatto prima. Gli occhi mi bruciano e comincio a piangere inspiegabilmente. Credo di aver capito cosa intendesse: ha cercato di dirmi che posso sfogarmi con lui ogni volta che ne avrò bisogno,che non devo fingere solo per non far sentire triste anche lui,che non c'è più bisogno di nascondere il dolore dietro finti sorrisi. E,tutto questo,l'ha detto senza troppi giri di parole e,allo stesso tempo,senza averne usate di specifiche come 'genitori','morte' e 'tristezza',che ci avrebbero fatto sentire peggio. È sempre stato così gentile,altruista e dolce con me; quando non c'era papà -e mancava spesso- mi ha fatto da padre,è sempre stata la mia figura di riferimento. È per questo motivo che odio vederlo piangere,mi fa sentire in colpa,il dolore mi sta lentamente consumando. Se non ci fosse lui accanto a me,direi che sarei caduta nel baratro insieme ai miei ricordi,alle mie debolezze e alle mie paure. I singhiozzi non si vogliono fermare,così come le nostre lacrime. Dicono che fa bene piangere,anche se a me non piace,e devo dire che dopo averlo fatto ti senti più leggera. Jo mi sta accarezzando la schiena e la testa con l'altra mano,mentre io stringo convulsivamente la sua maglietta fra le dita. «Non lo fare più. Non devi né svenire né fingere di stare bene,perché nessuno dei due sta bene.» singhiozza lui. «So che non vuoi piangere davanti a me...perché pensi di farmi del male,ma non è così. Fallo tutte le volte che vorrai. Ti voglio bene sorellina...non voglio perdere anche te.» «Ti-ti voglio bene anch'io.» rispondo,sempre singhiozzando. Non so come fa,riesce sempre a rallegrarmi,a sostenere entrambi anche con la poca speranza che ci resta. Jo si stacca dall'abbraccio e mi dà un altro bacio sulla fronte. «Dormi,adesso. Tra un pò torniamo a casa.» mi sorride e mi accarezza per un pò la guancia. Io mi sdraio e mi addormento,sperando di fare dei bellissimi sogni in cui,almeno lì,viviamo felici e soprattutto, insieme.

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