Corrente naturale di ellephedre (/viewuser.php?uid=53532)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità ***
Capitolo 2: *** 4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno ***
Capitolo 3: *** Fine gennaio 1997 - Routine ***
Capitolo 4: *** Inizio febbraio 1997 - Corsa e cinema ***
Capitolo 5: *** 14 febbraio 1997 - San Valentino studiato ***
Capitolo 6: *** Marzo 1997 - Scoperte ***
Capitolo 7: *** Marzo 1997 - Litigio ***
Capitolo 8: *** Aprile 1997 - Questione di prospettiva ***
Capitolo 9: *** Maggio 1997 - Nostalgia ***
Capitolo 10: *** Maggio 1997 - Nella stanza da bagno ***
Capitolo 11: *** Giugno 1997 - Accoglienza e sorprese ***
Capitolo 12: *** Giugno 1997 - A ballare fuori ***
Capitolo 13: *** Luglio 1997 - Incontro con l'ex ***
Capitolo 14: *** Agosto 1997 - in vacanza al mare ***
Capitolo 15: *** Agosto 1997 - Di notte, nell'afa ***
Capitolo 16: *** Gennaio 1998 - Amici che vanno avanti ***
Capitolo 17: *** Febbraio 1998 - Lettera d'amore ***
Capitolo 18: *** Marzo 1998 - Bambini ***
Capitolo 19: *** Agosto 1998 - In estate la passione ***
Capitolo 20: *** Agosto 1998 - Effusioni ***
Capitolo 21: *** AU SPOILER - Makoto rivela a Gen che... ***
Capitolo 1 *** 1 gennaio 1997 - Makoto e Gen. Felicità ***
Corrente naturale 1
Note: in questo capitolo parlo di tante piccole tradizioni
giapponesi. Come l'importanza data alle prime volte del nuovo anno - la
prima visita al tempio, la prima alba - o la scrittura dei desideri su
una tavoletta di legno chiamata 'ema' - una cosa che in
realtà si fa un po' tutto l'anno. Una curiosità
che ho scoperto: in Giappone sembra che sia considerata musica da
capodanno la Nona Sinfonia di Beethoven. Per questo la nomimo :)
Corrente
naturale
di ellephedre
1 gennaio 1997 - Makoto e Gen.
Felicità
Le una del mattino del primo gennaio. Makoto non avrebbe mai
pensato di
passare Capodanno sdraiata su un divano, in una casa che non era la sua.
Sorrise quando sentì qualcuno che scendeva le
scale,
cercando di
non fare rumore. Sapeva chi stava venendo da lei, ma quasi non riusciva
a crederci.
Al buio l'ombra di Gen, imponente, entrò in salotto
e si
accucciò al suo fianco. «Stai
ridendo?»
mormorò.
«Sì!» sussurrò lei.
«Sei pazzo.»
«Perché?» Gen sussultava come
lei,
di un'allegria che quietarono insieme con un bacio morbido e innocente.
Makoto gli prese la testa tra le mani e tenne la fronte unita
alla sua. Era felice.
«Grazie per essere rimasta.»
Non erano necessari ringraziamenti. Si era divertita molto
durante il
piccolo torneo di Go che avevano fatto tutti insieme. Quando poi si
erano impegnati in una partita di sugoroku, le sorelle di Gen avevano
dato il meglio di sé inventandosi una battuta per ogni tiro
di dadi. Erano state capaci di farle venire i crampi per le troppe
risate. «Mi piace
la tua famiglia.»
«Tu piaci a loro. Hai visto che non avevi niente di
cui
preoccuparti?»
Non ne era tanto sicura. «Tua madre ti
avrà
sentito scendere. Chissà cosa starà
pensando...»
Lui non se ne curava. «Sa che passo le
notti da
te.»
«Sì, ma...» Preferì
avvertirlo. «Ora non possiamo fare
niente.»
Gli uscì un suono strozzato. Il movimento convulso
delle sue
spalle le fece capire che stava ridendo.
«Ehi!»
«Sono sceso solo a salutarti! Non sapevo che fossi
così perversa.»
Lo colpì sul petto. «Quello sei
tu!»
Soffocare le risate fu un esercizio di volontà per
entrambi.
Makoto si tirò su e lo abbracciò.
Era
stata una
serata
tranquilla e molto bella: aveva visto Gen ridere con sua madre e le sue
sorelle, sotto il tetto in cui lui era sereno. Le giornate da incubo
erano finite.
«Andrò via domattina» gli fece
sapere.
«Puoi venire al tempio con noi.»
Non era il caso. «È una cosa
vostra.»
Nella tradizionale visita al santuario del primo dell'anno
sarebbe stato inevitabile per loro avere in mente Akito Masashi, che li
aveva lasciati da soli
sei mesi. A ogni capodanno lei ricordava ancora la sua
famiglia, e
com'era stato passare le feste assieme a loro.
«Devo andare a sistemare casa mia. Dopo il tempio
puoi
passare
a trovarmi,
se vuoi.» Aveva reso la voce ancora più sottile,
forse per
un recondito senso
di pudore.
Per tutta la sera, in quella casa, aveva cercato di non
toccare troppo Gen. Si era vergognata quando gli occhi della madre di
lui
si erano soffermati sul contatto di mani che Gen continuava a cercare.
Le sembrava qualcosa di molto intimo tra loro, che la signora
analizzava con benevolenza, ma con tutta la consapevolezza di un
genitore. A Gen non era parso un problema: non c'era stato un solo
momento in cui lui si fosse sentito a disagio.
«Certo che passo.» Gen si
allontanò, per guardarla meglio in volto. «Intorno
alle
dodici?»
Come al solito era preciso. «Va bene.»
Vi fu un attimo di silenzio.
Lui mosse le mani sulle sue braccia, saggiando la sua
presenza.
«Non sarei riuscito a immaginarti a casa da sola questa
notte.
Sono contento che tu sia qui.»
Lei lo era di più. Quel giorno lo aveva scoperto
allegro,
rilassato e appagato. Incredibilmente, era stata lei a dargli pace.
Appoggiò la
bocca sulla sua. «Ora va' a dormire.»
«Ti vergogni sul serio.»
«Certo. Sapere che ci possono ascoltare mi
fa
sentire...»
Divertito, lui ricambiò il bacio e si
sollevò le
gambe.
«Domani non ci sentirà nessuno.
Buonanotte.»
Lei lo lasciò andare con una carezza.
«'notte.»
«Allora...» Shori Masashi entrò
in
cucina in
pigiama, i capelli scompigliati e uno sbadiglio in bocca. «Tu
e
mio fratello ve la siete spassata stanotte? La vostra prima volta
dell'anno?»
Makoto avvampò e controllò la porta. Non
c'era nessun altro ad ascoltare. «Non...»
balbettò.
«Non è
il...»
«Caso?»
Deglutendo, annuì.
«Ma l'avete fatto o no?»
«No!»
«Hm.»
Mentre la diabolica Shori Masashi meditava su una nuova
battuta, Makoto
sporse la testa verso il corridoio. La madre di Gen non era ancora
uscita dalla propria stanza.
Provò a essere diplomatica. «Almeno
abbassa la
voce, per favore.»
«È difficile farti arrabbiare,
eh?»
«Sono ospite in casa tua. Sto cercando di essere
educata.»
«Secondo me sei così di natura. Remissiva
e
modesta.»
Makoto si mangiò un sorriso. Solo un membro della
famiglia
Masashi poteva descriverla in quel modo.
«Anche ieri sera eri cauta»
continuò
Shori-san. «Come un gigante sgraziato in una casa di
nani.»
Già. Era stata attenta, per non rischiare di
rovinare in partenza il rapporto con la famiglia di Gen.
Comunque... «'Nani'? Tu sei alta quasi quanto me.»
«Non mi riferivo all'altezza.»
Il tono di Shori-san era allusivo. Makoto si
domandò cosa volesse dire.
Lei sciolse le braccia piegate.
«In ogni caso, mi vai a genio. Almeno finché vai a
genio a
lui.»
C'era qualcosa di incomprensibile nell'atteggiamento della
sorella di Gen.
«Anche tu non sei male. Però preferirei che non
mi
prendessi in giro.»
«Allora sciogliti un po'.» Shori
sorrise.
«O non farlo, non so. Scommetto che a Gen piace
stuzzicarti.»
Makoto evitò di rispondere, ma la sorella di lui
non ebbe
bisogno di sentirla parlare.
«Lo sapevo. Conosco mio fratello
e
le sue ragazze.»
Le sue ragazze?
Shori-san si appoggiò al bancone, per mettersi
comoda.
«Ero curiosa e a volte ne ho incontrata qualcuna. Alte,
basse,
sportive, studiose, belline, molto carine, veri e propri schianti,
altezzose, divertenti... lui le ha provate tutte. Ma avevano una cosa
in
comune: Gen le aveva conquistate. E a loro la cosa piaceva
molto.»
Il discorso le ricordava qualcosa.
Nella sua mente fece un
rapido
riepilogo del rapporto tra
lei e Gen, dal momento in cui era nato fino a quel giorno. Nella sua
testa si
insinuò un minuscolo dubbio.
Shori continuava a fissarla. «Ora sei
preoccupata?»
«... io e tuo fratello ci conosciamo da
poco.»
Anche se si amavano molto; di questo era sicura.
«Tu hai
qualcosa di diverso dalle altre.»
Makoto sorrise. «Che cosa?»
Shori-san fissò gli occhi su suoi, come
aspettandosi una sua
precisa reazione. Quando non la ottenne, non disse niente.
Infine, si
staccò dal bancone. «Be', lui ti ha presentata a
mamma. Vado a
farmi una doccia. Ci si vede, Kino-san.»
«... Ciao.»
La sorella di Gen era una
ragazza assai
particolare.
Hatsumode, la prima visita al tempio dell'anno.
Non avevano avuto scelta sul luogo a cui andare: Gen si era
informato e
sapeva che, in tutta Minato, esisteva un solo tempio accessibile con la
carrozzina.
Durante il tragitto verso il piazzale sopraelevato, lungo il
corridoio
adattato per i disabili, Shori e Miki non si erano allontanate da lui e
mamma, per non rischiare di perdersi tra la folla. Comunque sarebbe
stato impossibile per Gen non notarle tra la gente: indossavano un
kimono rosa e azzurro ed erano colorate come non le aveva viste da
molto tempo. Lo avevano fatto per creare allegria, supponeva, ma non
per se stesse.
«C'è più ressa del
solito.»
Shori aveva ragione. «Le persone sono qui per
paura.»
Mentre avanzavano, sua madre prese una mano a Miki.
«Sono
giorni incerti. Ma noi
siamo insieme, sani e salvi. Vostro padre ci veglia
dall'alto.»
Man mano che il tempo passava, Gen si rendeva conto di un
nuovo dolore,
non proprio: sua madre non era più parte di una coppia. Lei
guardava
avanti sapendo che avrebbe vissuto metà della sua esistenza
senza
la
persona che amava. Si faceva forza pensando a loro, ma lui aveva
già trovato qualcuno, e Shori e Miki stavano crescendo
lentamente, inesorabilmente. Come figli si sarebbero allontanati prima
o poi. E
lei... cos'avrebbe fatto? Sarebbe rimasta sola, o si sarebbe sposata di
nuovo?
Lui non voleva. Nella sua mente, i suoi genitori esistevano
solo l'uno
per l'altra. Per sua madre era ancora così, un'idea che
faceva male.
«Per cosa pregherai, mamma?»
A chiedere era stata Miki.
«Rivoglio le mie gambe.»
Causò un sorriso a tutti e tre, per una forza
d'animo che
non svaniva mai.
Sua madre piegò la testa all'indietro, per
guardarlo.
«Quest'anno mi impegnerò per tornare a camminare.
Poi
pregherò perché voi ragazze diate il meglio per
gli esami
di ammissione.»
«Manca un anno!» Fu un coro a due.
Sua madre picchiettò entrambe su un braccio.
«Non
è
mai troppo presto per cominciare. Sistemate voi figlie,
pregherò
perché Gen torni a studiare sereno
all'università. Al
resto dei suoi desideri lui ha già pensato da
solo.»
Miki ridacchiò. «Mi piace Kino-san! Non
lasciarti
con lei, vuole insegnarmi a cucinare!»
«Cosa?» Gen si divertì.
«Ha tentato di corromperti?»
Miki scosse la testa in direzione di Shori. «Voglio
fare le
torte come
lei. Gliel'ho chiesto io!»
«Fatica sprecata. Sta per aprire una pasticceria.
Non hai
capito
che avremo scarti a volontà sulla nostra
tavola?»
«Sbagliato» precisò Gen.
«Anche gli scarti si
pagano. Non saremo dei parassiti per un'impresa appena
aperta.»
Shori si indignò. «Scarti, Gen, scarti!
Non li
venderebbe
comunque. Ma non ha senso parlarne con te: basterà chiedere
a
lei, scommetto che non sa dire di no.»
«Secondo te io lascerò che te ne
approfitti?»
«Non intrometterti nella relazione tra due future
cognate.»
Gen chiuse la bocca. Meno parlava, meno forniva a sua sorella
materiale per
battute
improprie.
Miki si unì a Shori davanti alla carrozzina,
incrociando le
braccia con lei. «Hai visto che scenette ieri sera?»
«Certo.» In due dondolarono con le mani
unite.
«'Gen, no! La tua famiglia ci vede!'»
«'Figurati, Mako-chan! Su, incrociamo le dita sotto
il
tavolo. Ti voglio bene!'»
«'Anch'io! Non farmi arrossire!'»
Se solo lui avesse potuto investirle con la carrozzina...
Sua madre stava ridendo di gusto.
«Anche tu?» protestò Gen.
«Sono spassose! E poi è vero, era bello
guardarvi ieri. Lei era così timida...»
Adesso era Shori a interpretarlo, le mani sulla testa di Miki.
«'I
tuoi capelli sono così morbidi, Mako-chan...'»
«Basta!»
Le sue sorelle ridacchiarono e scapparono, quasi
scontrandosi
tra loro. Sarebbe stata una giusta punizione, ma erano arrivati al
torii posizionato all'ingresso del tempio.
Shori si portò dietro di lui. «Spingo io
la mamma, tu
cerca
di capire dove dobbiamo andare. Non si vede niente da qui!»
Con un po' di fortuna, individuarono prima l'altare e poi il
gazebo
dei
talismani. Per avvicinarsi a quelle postazioni c'erano lunghe code da
fare, perciò tutti insieme scelsero di fare prima
un giro lento dei dintorni.
Quando fu tempo, Gen recuperò un
ema in legno
per sua madre. Con lei si erano fermati sul ciglio del giardino che
circondava il santuario, minuscolo rispetto al boschetto del tempio
Hikawa. Miki e Shori erano in coda per comprare degli omamori e un paio
di omikuji.
Gen porse a sua madre il pennarello a punta grossa che si era
portato
da casa, proprio per scrivere sulle tavolette. «Ti lascio da
sola?»
«No. Ne hai un altro?» Gli
indicò il
pennarello.
«Sì.» Si era premunito, ne
aveva quattro.
«Allora scriviamo insieme i nostri
desideri.»
Lui tolse il tappo al suo strumento di scrittura. Per qualche
momento tenne la
punta
sospesa in aria.
Qualche settimana
prima, parlando con Makoto, le aveva detto che con riguardo a lei il
suo desiderio era quello di conoscerla di più. Dopo gli
ultimi
eventi, tutti i suoi auspici per il futuro potevano essere riassunti in
uno solo.
Abbassò il pennarello e scrisse.
'Voglio vita'.
Vita per sua madre, che era stata troppo vicina alla morte
quell'anno.
Vita per Miki, che doveva crescere ancora molto e diventare
adulta.
Vita per Shori, che lui doveva proteggere di più,
affinché lei potesse vivere serena.
Vita per Makoto, che doveva vincere tutte le proprie
battaglie,
uscendone sana e
salva.
Infine, vita per se stesso. Per avere ancora molti giorni da
passare
con la
sua famiglia e con la ragazza che gli stava cambiando l'esistenza.
«Cosa hai scritto?»
Mostrò l'ema a sua madre. Lei sorrise e gli fece
vedere la
tavoletta col suo desiderio.
'Ai'.
Amore.
Sua madre si spiegò. «Mi auguro che ci
sia
molto amore
nella
nostra famiglia. Tra di noi, ma non solo. Voi figli state trovando il
vostro amore lontano da casa ormai.»
«Siamo ancora con te, mamma.»
Lei lo tirò per un braccio, imponendogli di
inginocchiarsi.
«Tu ormai passi metà del tuo tempo
fuori, Gen.»
Aprì la bocca assieme a lui, facendogli capire che non aveva
finito di parlare. «Sono contenta. Kino-san mi piace come
futura nuora.»
Lui arrossì. «Veramente...»
«È presto? Certo, ma non togliere
la
speranze a una
madre che si illude. Sai, una volta ho parlato con una delle tue
ragazze.»
Ah, sì? «Chi?»
«Non ricordo il nome. Capelli vaporosi, ben
truccata...»
Scosse la testa. «Vi avevo visti da lontano. Mi sono
avvicinata
per un saluto dopo che vi siete separati. Per il modo in cui lei
rideva,
l'avrei strozzata.»
Gen ebbe l'impressione che stessero parlando di Chiyako Mizui,
una
ragazza che aveva lasciato per la facilità con cui rideva a
battute idiote. Lei aveva nascosto quel lato del suo carattere per le
prime due settimane in cui
si erano conosciuti, perciò lui non se n'era accorto prima.
Notando che aveva capito, sua madre annuì.
«Vedi? Da allora avevo il terrore su chi mi avresti portato a
casa. Il sospiro di sollievo che mi è uscito ieri ha fatto
vento in
Cina.»
Gen rise e sua madre gli afferrò la faccia con le
mani. Come
fosse un bambino, gli stampò un bacio sulla fronte.
«Continua a fare buone scelte, Gen, e la vita ti
sorriderà.»
«Oggi sei piena di massime.»
«È il primo dell'anno. Se non oggi,
quando?»
Dalla sua posizione in coda, Miki li salutò
agitando a ruota
la mano.
«Spero che compri un omamori per lo
studio» commentò
sua madre. «O per un ragazzo.»
«Meglio che Shori non lo faccia. Dovrebbe comprarne
tre o
quattro.»
Sua madre sospirò. «Quella
ragazza...»
In lei crebbe
una risata bassa, che si sciolse nel silenzio.
Tra il vociare della
gente si sentiva il frusciare del vento
tra le foglie.
«Tuo padre sarebbe felice.»
Gen non riuscì a commentare. In gola gli si era
formato un
blocco, pesante come pietra.
Era già passato mezzo anno.
Se cercava di ricordare la voce di suo padre, non era
più così semplice riportarla alla mente. Aveva
ancora la sensazione di lui in testa, ma vi si erano sopravvrapposti
nuovi ricordi. Più faceva come avrebbe voluto suo padre -
andare avanti - più lo lasciava indietro. Era arrivato a un
punto in cui non avrebbe più azzerato gli ultimi mesi pur di
parlargli un'ultima volta.
Sei davvero
qui, da
qualche parte?
Si apppoggiò allo schienale della carrozzina di sua
madre.
Posò la fronte contro la nuca di lei. Quando i loro respiri
si armonizzarono, seppe che stavano pensando a suo padre insieme.
Shori tornò indietro. Era riuscita a fare i suoi
acquisti.
Mostrò loro un foglietto. «'Grande
benedizione'» lesse, fiera. «L'ho aperta pensando a
tutti e quattro. Vado ad apprenderla all'albero!»
Gen fu felice per tutti loro.
«Sono dei dango.»
Sulla porta di casa sua, Gen le offriva un pacchetto.
«Non ho trovato nient'altro di aperto sulla
strada»
si giustificò lui.
Raggiante, Makoto ricevete il piccolo vassoio in cartone e lo
appoggiò sul bancone della cucina.
Lui gradì molto la sua reazione.
«Il primo sorriso dell'anno.»
Il primo? Era almeno il centesimo per lei.
«È solo il primo che
vedi
bene.» Ed era tutto per lui.
Gen fece un passo in avanti, entrando in casa.
«Questo
invece è il primo bacio.»
Lei non capì cosa intendesse finché lui
non
le separò le labbra con la bocca, cingendola per la vita
mentre la
assaggiava con la lingua, intensamente, facendole perdere forza nelle
gambe.
Riuscì a staccarsi da lui. «Il primo
bacio è
stato
ieri sera.»
Pochi secondi dopo la mezzanotte, Gen non aveva resistito e le
aveva
sfiorato la bocca con la sua davanti a tutta la sua famiglia - un
momento in cui Makoto si era sentita affogare in un mare di imbarazzata
felicità.
«Questo era il primo vero
bacio.» Lui si chinò a togliere le
scarpe. «Il primo di un migliaio, se teniamo un buon ritmo in
questo 1997.»
Ridendo, lei lo aiutò a spogliarsi della giacca.
«Grazie
del cibo.» Al pensiero, sospirò.
«C'è una cosa che non
potrò fare bene quest'anno: il primo pranzo. Ho la dispensa
vuota.»
Non aveva avuto il tempo di
passare in un supermercato.
Gen ricordò la ragione e scosse la testa, per non
pensarci. «Non importa. Mangiamo fuori.»
«I ristoranti saranno pieni.»
«Troveremo qualcosa. Nel frattempo, i dango terranno
tranquilla la fame.»
Non era una cattiva idea.
Gen captò i suoni nell'aria. «La nona di
Beethoven?»
«Sì, come da tradizione.»
L'aveva
ascoltata in
sottofondo a ogni capodanno quando viveva con i suoi genitori.
Conservava la musicassetta di quella melodia classica come un tesoro.
Mostrò a Gen la cucina. «Stavo cercando
di tirar
fuori una torta da portare a Rei.»
Lui si chetò. «Allora oggi hai sentito di
nuovo le
tue amiche?»
«Stanno tutte come ieri. Nessuna di noi
crollerà
all'improvviso, non preoccuparti.»
«Non temevo questo.»
Forse, ma lui le aveva guardate tutte come se
fossero bombe a orologeria
colme di
spavento, pronte a scoppiare a piangere da un momento all'altro.
«Siamo abituate. Abbiamo molta
esperienza.»
Gli lanciò un'occhiata e vide la stessa
espressione
che lui aveva
avuto sulla spiaggia di Yokohama, mentre osservava disperato la sua
gamba squarciata.
Makoto la agitò inconsciamente, come per accertarsi
che ci fosse ancora. «Stiamo
bene. Forse oggi Usagi vorrà parlare del matrimonio.
Comunque
avremo da lavorare.»
«Lavorare?»
«Be', il nonno di Rei ci ha ospitato per giorni, no?
Rei lo
aveva
convinto dicendo che lo avremmo aiutato al tempio per Capodanno. Oggi
sono carichi di lavoro.»
Lui si ricordò dell'incombenza e trinse i denti.
«Giusto.»
Makoto ridacchiò. «Non preoccuparti,
lavorerò io per
tutti e due. Hanno bisogno soprattutto di qualcuno che distribuisca i
talismani al tempio.»
Lui le sfiorò una ciocca di capelli, sull'orecchio.
«Indosserai un kimono?»
«Quello che mi darà Rei.» Quasi
si
vergognò.
«Non ho un bel kimono da mettere. Non pensavo
che...»
«Non ti sto criticando» rise lui, ma
Makoto si
appuntò di andare al più presto in un buon
negozio, a
prendere due kimono: uno per l'inverno, elegante e caldo, e uno per
l'estate, fresco e seducente. Finalmente aveva qualcuno per cui
agghindarsi. «Sono sempre andata al tempio con le mie amiche.
Pensavo di prendere un bel kimono per la festa dei
vent'anni...»
«Ti stai giustificando.»
Sì, non poteva farne a meno.
Sereno, Gen si sedette al tavolino, invitandola con
una mano a
riposarsi vicino a lui. «C'era una cosa che avrei voluto fare
con
te, oggi.»
«Hm?»
«Il primo sole dell'anno. Volevo andare da qualche
parte a
vedere la prima alba.»
A Makoto mancò il fiato. Era un'idea tremendamente
romantica, una
cosa
che aveva sempre desiderato fare col suo
ragazzo. «Tecnicamente, non si è ancora
visto il primo
sole.»
«Perché è nuvoloso?»
Esatto. «Se ti va - se puoi - magari
domattina...»
Il sorriso di lui conteneva una traccia di tenerezza.
«Non
chiedermelo come se potessi dirti di no.»
Ma lui poteva.
«Makoto, sì.
Andiamo domani, dove vuoi tu
se hai
in mente
un posto.» Fece una pausa. «Ah,
però...»
«Cosa?»
«Avevo pensato di recuperare l'appuntamento della
vigilia di
Natale. C'è quel posto che non ti ho ancora fatto vedere.
Be', possiamo tardare di un altro giorno se...»
«No!» lo bloccò lei.
«Voglio
andarci!»
Lui avvicinò il volto al suo. «Avevi
scritto
'felicità'.»
Makoto non capì.
«Sulla tua agenda. L'ho visto il giorno che ho
lavorato al
tuo negozio.»
Oh, sì. E in quel ventiquattro dicembre lei lo
aveva quasi
perso.
«La felicità dev'essere domani.» Non
voleva
più rimandarla. Ogni momento era prezioso e sfuggente.
Lui stava riflettendo. «Può essere una
felicità
completa. Se ti va un tour de force, possiamo svegliarci alle sei e
goderci l'alba delle otto. Poi torniamo in città e ti porto
a-»
Lei gli coprì la bocca con un dito. «Non
dirmelo.»
«Vuoi la sorpresa?»
«Sì.» Proprio come lui l'aveva
originariamente concepita.
Gen respirò contro la sua bocca.
«C'è
un problema con questo piano.»
«Quale?»
«Questa notte con te io non voglio
dormire.»
Quando la baciò, per un momento neppure Makoto
desiderò un
istante di sonno. Era passata una giornata intera da quando lo aveva
avuto in sé, tra le braccia, pelle contro pelle nel suo
letto.
In quelle ore aveva pensato a un mucchio di cose diverse, ma
quando lo aveva avuto accanto, la consapevolezza dei loro corpi vicini
le aveva causato fremiti continui, deliziosi in quanto intensi
e
brevissimi. Era in grado di controllarsi, ma ora che erano da soli,
senza nessuno a disturbarli...
Gli offrì il collo scoperto. Sentendo la mano di
lui sulla parte bassa della schiena, si lasciò trascinare
sopra
le sue ginocchia. C'era qualcosa che stava dimenticando,
qualcosa di
importante...
Se ne ricordò quando strofinarono tra loro i
bacini.
«Oh.»
«Cosa?»
«Non...» Fu travolta dalla delusione.
«Oggi non posso.»
«Non puoi?»
«Noi... Questo.»
Gen si allontanò un poco.
«Questo?»
Incredulo, la sfiorò sullo stomaco, sotto la maglia.
Addolorata, lei annuì.
«... perché?»
Vinse l'imbarazzo per parlarne. «Io... non
potrò per
qualche
giorno.»
Gen ebbe mille pensieri prima di trovare quello
giusto. Gli si deformò la faccia.
Lei riuscì a stento a evitare la risata. C'era una
parola giusta per descrivere la reazione di lui e non era delusione.
«Sei affranto.»
Il divertimento di Gen si mischiò alla
disperazione.
«Ridi di me?»
Makoto lo abbracciò. «Mi dispiace.
Il mio ciclo è
iniziato ieri.»
Lui esalò un sospiro di patimento. «...
fino a
quando?»
Lei si fece due conti.
«Altri tre
giorni, compreso oggi.»
«Quindi... per il quattro?»
«Sì.»
«È il mio compleanno.»
Makoto quasi cadde a terra. «Mi ero dimenticata! Non
ho
ancora
pensato al tuo regalo!»
Gen la strinse più forte. «Sistemato.
Sarai
tu il
mio regalo.»
«Ma figurati. Pensavo a un regalo serio.»
«Più serio di te? Magari con quella
vestaglia rosa
e niente sotto...»
Lo colpì giocosamente su una spalla. Le
morì la
battuta in gola quando si ricordò un altro particolare.
«Il quattro gennaio tu compi...»
«Ventidue anni» completò lui,
incerto.
Lei non ebbe nulla da dire.
«Non lo sapevi?»
No. Aveva intuito che lui avesse quell'età - per
via
dell'anno
che frequentava all'università - ma non ne era stata
sicura.
Non aveva chiesto.
Invece di trovarla una mancanza terribile, Gen si
intenerì.
«Abbiamo tante cose di cui parlare.»
Lei gli accarezzò una guancia.
«Sì.»
«E pensare che hai già conosciuto la mia
famiglia...»
Infatti era imperdonabile. «Tu hai ascoltato tante
cose di
me... Ho parlato più io, vero?»
Sotto le sue mani, lui scrollò le spalle.
«Se
vorrai sapere qualcosa di me, basterà chiedere.»
Be', di fronte a tanta apertura... «Secondo te, a
Shori io piaccio
davvero?»
«Hm?»
«Oggi sembrava che mi stesse ancora
valutando.»
Anche se,
la sera prima, avevano trovato una bella intesa durante la loro sfida a
Go. Makoto era partita con l'intenzione di perdere per entrare nelle
sue grazie, ma la determinazione di Shori l'aveva portata usare tutto
il suo ingegno per vincere. Alla fine aveva perso per una singola mossa
sbagliata, ma persino la sorella di Gen si era resa conto che la sua
era stata pura sfortuna. A fine gara si erano strette la mano.
«Ho sorpreso Shori portandoti a casa
nostra» spiegò Gen. «Lei fa
sempre
così: quando pensa di aver concesso troppo, fa un passo
indietro. Stamattina già andava scherzando sul fatto che eri
la sua
futura
cognata.»
In estasi, Makoto quasi non riuscì a crederci.
«Ti ha accettato» confermò Gen.
«È solo che le piace fare la misteriosa.»
Lei sperava che fosse così. Scese dalle
gambe di lui, per smettere di tentare entrambi.
«... hai avuto tante ragazze.» Lo sapeva
già, ma voleva avere una sensazione più chiara
del passato di lui.
Gen era confuso: non capiva cosa gli stesse chiedendo.
«È stata tua sorella a parlarne. Diceva
che... le hai
provate tutte.»
«Ah, ha detto così?»
Non era quella la parte importante. «Ti piace
conquistare.
Hai conquistato anche me.»
Lui provò a capire dove lei stesse andando a parare.
«Voglio essere io a conquistarti, Gen.»
Lo rallegrò. «Lo hai già
fatto.»
Sì, ma... «Voglio che ti affidi a me.
Voglio che
siamo pari nel nostro rapporto.»
«Lo siamo già.»
Come esempio di parità le veniva in mente
soprattutto il
loro piccolo scontro
accanto al fiume, e si era trattato solo di una dimostrazione di forza
fisica.
«Makoto. L'altra notte.»
«Che vuoi
dire?»
«Il modo in cui mi hai fatto...
abbandonare.» Lui faticò a usare quella parola.
«Non mi era mai successo con
nessun'altra.»
Rivivendo il momento, Makoto si riempì di un senso
di
vittoria
sottile, una sensazione di possesso che era dolce e lenitiva.
«Veramente?»
Gen annuì. «E visto che ti ho
già
offerto cuore e
anima, tanto vale lasciare che mi pialli fino alla fine. Hai lo
strumento adatto, sai? Il tuo viso, la tua voce, tu... Questa
è
la prima volta in tutta la mia vita che sono innamorato.»
Lei sentì il battito che accelerava. Dal
petto un
senso di
calore e leggerezza si diffuse alle sue mani, alla testa... Era come
volare, sapendo di essere a un passo dall'apice della
felicità. Per raggiungerla, rischiando di esplodere, le
bastava un unico
tocco.
Con un brivido, sfiorò un dito di Gen.
«Adesso mi
sto sciogliendo.»
Sorrisero con le guance vicine. Ancora una volta lei
trovò
incredibile che quella prossimità le permettesse di restare
intera.
Ma
con Gen andava così: era come disfarsi e ricompattarsi in
continuazione, sapendo di essere più forte con lui e al
contempo totalmente
scoperta, senza difese per ogni suo gesto, per ogni sua parola.
Lui le stava baciando sulla mascella. «Se
solo....»
«Cosa?» Si tenne alle sue spalle,
ancorandosi
per non ricadere sulla schiena.
«Vorrei essere in grado di farti sciogliere
completamente
già adesso.»
Bastava un po' di pazienza. «So cosa si
prova.» Ne ricordava ogni particolare.
«In realtà...» Gen scosse la
testa.
«Hm?»
«Ogni volta che è successo, mi
hai
distratto. Non ho fatto tutto quello che potevo per te.»
Lui era tornato al discorso precedente - molto dolce, ma non
veritiero.
«No. Mi sono davvero sciolta come neve al
sole.»
«Forse solo la volta che ho usato la
bocca.»
Perché lui doveva essere così
preciso? «Elimini il romanticismo.»
Gen la riportò sulle proprie gambe.
«È questo che voglio dire: è sempre
stato
molto piacevole. Per me troppo, ma... L'ultima volta tu non sei
nemmeno venut-» Si bloccò sulla parola.
«Cioè, non hai
provato quello che ho provato io.»
Lei non lo aveva trovato fondamentale. «Ho provato
qualcosa
di
altrettanto bello: averti tutto per me.» Lo strinse forte.
Per qualche attimo, Gen non disse
niente. «Devo
rimediare» decretò infine.
Makoto sospirò. «Dai troppa importanza
alle
sensazioni fisiche.»
«Ne parleremo dopo la prossima volta. Se tu sapessi
cosa puoi
provare, non diresti così.»
Lei si allontanò fino a guardarlo in faccia.
«Sei
condiscendente.»
«Sei testarda. Dopo il mio compleanno, avrai
cambiato
idea.»
«E se non succede?»
«Proveremo un'altra volta. E un'altra volta
ancora, poi di
nuovo, e infine...»
Risero.
Makoto gli accarezzò la testa. «Ti amerei
anche se
non mi toccassi mai.»
Lui soffrì. «Ne morirei. Tu sei fatta per
essere
toccata.»
Era una frase eccitante, che sembrava più adatta a
un film
che a
lei. Incoraggiata, Makoto provò un azzardo. «...
sono uno
schianto?»
La scelta del termine lo incuriosì.
«Tua sorella diceva che sei stato con ragazze
bellissime...»
«Io
sto con
una ragazza bellissima. Penso a te tutto il tempo.»
Rinfrancata, volle scusarsi. «Non sarò
sempre
insicura.
È
solo che, almeno una volta, volevo sentirti dire
che...»
Anche se fosse stato vero solo per lui, le sarebbe bastato.
«Non l'ho detto per farti contenta.» Gen
le sollevò il viso, per farsi guardare.
«Non dico cose a cui non credo. Ma se non ti dirò
abbastanza cose belle, picchiami, perché sarò
bugiardo
per omissione.»
«Parli sempre di violenza» sorrise lei,
commossa.
«Non sono ancora abituato a
lasciar uscire
altre
parole. Ma non le dirò per conquistarti, Makoto. Un tempo le
ho
dette con secondi fini, per uno scopo.» Incrociò i
suoi
occhi.
«Con te no. Ci sono cose che dico senza nemmeno voler
parlare,
perché mi sento quasi ridicolo quando...»
Lei capiva e non aveva bisogno di sentirlo andare avanti.
«In
fondo, non c'è bisogno di parlarne.»
Inspirò
dalla sua guancia. «So già tutto.»
«Ah, sì?»
«Parla il tuo odore. È penetrante,
piacevole. Dice
che
stai cercando di attirarmi, per stare abbracciati.»
Passò
le labbra sulla linea della sua tempia. «Mi fa sapere che ci
tieni tanto a essere bello per me, perché mi vuoi
disperatamente
vicina.»
«Quante cose vere...»
Lungo tutti i punti di contatto tra i loro corpi, Makoto
vibrò. Quella stava diventando una piccola e deliziosa
tortura.
«Saprò sempre cosa vuoi dirmi»
gli
disse.
«Forse ti sorprenderò lo
stesso.» Con la
punta della
lingua, Gen tracciò una scia lungo il suo collo, fin dietro
l'orecchio.
Ansimando, lei si staccò. «I
dango.»
Lui abbassò la mano, smettendo di toccarla.
«I
dango.»
Scoppiarono a ridere e lei si spostò verso la
cucina.
«La fame
sazierà gli altri appetiti.»
«Speriamo di no, o prenderò un quintale
prima del
quattro gennaio.»
Felice, Makoto canticchiò il ritornello della nona
sinfonia
di Beethoven e si mise al lavoro per servire i dolci.
«Allora non c'è più niente da
muovere?»
Yuichiro Kumada si pulì le mani dalla polvere.
«Niente. Grazie per avermi aiutato a spostare tutti i
pacchi.»
Gli scatoloni che avevano portato nel retro del gazebo erano
pieni di
amuleti. Gen ne prese uno. «Li venderete
tutti?»
«Oggi è giorno di grandi
affari.»
«Serve una mano?»
«Sì, ma non c'è più
posto
per un'altra persona che serva i clienti. Lo dirò al
maestro: il prossimo anno dobbiamo attrezzarci.»
Forse quell'anno i tempi erano più affollati solo
per via degli
incidenti su scala mondiale di due giorni prima.
Kumada osservò il suo silenzio. «Nel
bosco
c'è pace.» Gli indicò gli alberi dietro
le sue spalle, lontano dalla folla. «Io ci vado quando voglio
riflettere.»
Il consiglio era gentile. «Grazie.»
Mentre camminava sotto le fronde del bosco Hikawa - come lo
aveva
ribattezzato nella propria mente - Gen pensò.
Da quando aveva ritrovato Makoto a Yokohama,era la prima
volta che
stava da solo e si sentiva tranquillo. Come condizione gli pareva
anomala. Aveva la sensazione che ci fosse ancora qualcosa da fare, una
battaglia da combattere, un nemico a cui fare attenzione.
Se era tutto finito, la sua nuova vita gli sembrava ancora
più
strana: non voleva più stare da solo. Ogni suo pensiero,
ogni minimo progetto, includeva Makoto. Aveva pensato che fosse la
smania di rivederla, di avere un momento pacifico da solo con lei. Ma
avevano appena trascorso insieme tante ore e, se lui pensava a un
momento
qualunque dei prossimi giorni, si trovava ancora a chiedersi quali
programmi avesse fatto Makoto, per capire come far coincidere i
loro piani.
Era assurdo. Era innamorato di lei, voleva stare con
lei, ma adesso non
riusciva
più a esistere da solo?
Si era rimbecillito o era una cosa normale?
La sua sciarpa si era impigliata nella lampo della giacca.
Mentre
infilava
le mani per tirarla fuori, sentì qualcosa dentro la tasca
interna, all'altezza del petto.
Tirò fuori un pacchetto dimenticato di sigarette.
A Makoto non
piacerà se fumo.
Per sfida a quel pensiero, tirò fuori
l'ultima
superstite del pacchetto e cercò l'accendino.
Quando l'ebbe in mano, giocò con la miccia e
sospirò.
Probabilmente quella era l'ultima sigaretta che avrebbe mai
fumato.
L'accese e inalò. Piegando la testa all'indietro,
colorò il cielo di una piccola nuvola grigia - respiro caldo
che si condensava al gelo e vapori tossici che macchiavano l'aria.
Già, fumare non era una cosa salutare. Lui non era
mai
diventato
un fumatore abitudinario, ma una volta ogni tanto...
Tra gli alberi apparve Alexander -ovvero Golden Boy Foster in
tutta la
sua biondezza, bardato di un cappotto da sartoria con cui Gen si
sarebbe fatto vedere solo ad un prossimo funerale. Il peggio era che
Foster nemmeno lo faceva apposta: non si atteggiava come lui aveva
pensato inizialmente. Era nella sua natura andarsene in giro come se ci
fosse un fotografo pronto a immortalarlo a ogni angolo di strada.
Quando Foster lo vedeva, si impettiva, e almeno questa era una
cosa che
Gen riusciva a comprendere: in lui suscitava lo stesso tipo di
reazione.
«Fumi» furono le prime parole del ragazzo
di Ami Mizuno, un
rimprovero
contro cui Gen aguzzò i denti.
«Si muore di freddo.»
«Hanno inventato la lana. E le bibite
calde.»
Non sopportava quel tono di superiorità.
«Non ti
ho offerto di farti un tiro, Golden Boy. Tieni per te i tuoi
giudizi.»
Invece di rispondergli, Foster si chetò. Non lo
sfidò più con gli occhi e neppure con le parole;
esausto, si
allontanò di un paio di passi e rimase a fissare l'orizzonte
con una smorfia dolorante, appena nascosta. Aveva un po' di
colore sulle guance, come se fosse affebbrato.
Si era allontanato dal fumo e Gen si sentì in colpa.
Tirò fuori un fazzoletto e spense il mozzicone
semi-integro.
Con il primo argomento che gli venne in mente,
provò a fare conversazione. «Sai se Makoto ha mai
fumato?»
Foster non dovette nemmeno pensarci. «Compra verdure
biologiche.»
Già. Se n'era accorto persino lui, che la conosceva
poco. I suoi occhi erano fissi sul pugno in cui Gen teneva stretta la
sigaretta.
«Stai pensando di smettere?»
«Non è mai stata un'abitudine. Era solo
una cosa
che facevo ogni tanto.»
Sorrise tra sé, senza darlo a vedere. Il suo mondo
si
era
decisamente capovolto: trovava piacevole parlare con Foster, che nella
sua condizione malconcia gli inspirava un minimo di simpatia.
In fondo,
si trovavano in situazioni simili. Anzi, lui forse era l'unica persona
sul pianeta che stesse vivendo un problema simile al suo. Da quanto
aveva sentito, Foster era messo peggio: Mizuno lo
aveva lo
stretto attorno al mignolo e lui saltava solo quando lo diceva lei.
Le guerriere Sailor forse avevano capacità
particolari di
persuasione, o magari erano solo comuni ragazze - e loro dei
fortunatissimi malcapitati.
Inspirò aria pulita, fredda.
«È il
primo dell'anno.» Giorno di nuovi inizi e piccole rinunce per
un bene superiore. «E questa era l'ultima sigaretta che
fumavo.»
«Un proposito?»
«No, uno stato di fatto. Stavo pensando che non sono
più single.»
Foster lo guardò come se fosse stupido.
Gen ci passò sopra. «Mi sono reso conto
che non voglio più
essere single.» Terminando di dirlo, risentì la
frase e fu disgustato da se stesso: che discorsi faceva con uno
sconosciuto?
Aveva voglia di parlare con qualcuno che stesse vivendo la sua
stessa
esperienza, ecco la verità. Avrebbe scelto Kumada se non lo
avesse sentito
già lontano per ciò che era diventato -
più simile a Makoto e alle altre che a lui.
Foster lo osservò e aggrottò la fronte.
«Io non ho i tuoi blocchi emotivi.»
Ecco: provava a comunicare e si beccava un insulto.
«Dovevo
immaginarlo. Come una ragazzina, vivi felice l'idea
della favola eterna.»
«Con più palle di te, senza
lamentarmi.»
Gen lasciò perdere. Era stato uno stupido ad aprire
bocca. Marciò via.
«Ehi.»
Si voltò, solo per la stanchezza con cui Golden Boy
aveva
pronunciato la parola. C'era un'ombra di pentimento dietro quella
sillaba.
Per il freddo Foster si era stretto nel cappotto.
«La tua
vita non è un vizio che devi abbandonare. Non ti
sembrerà così in futuro.»
Parole di incoraggiamento.
«Ci si vede,
Golden
Boy.»
Gen tornò indietro rinfrancato, con una
destinazione in
mente:
il bagno di casa Hino. Al tempio chiese rapidamente il permesso a
Kumada.
«Certo» rispose lui, dandogli la chiave
per entrare nella loro abitazione.
Gen si rifugiò in bagno e con l'acqua e un po' di
sapone provò a
liberarsi
di tutte le tracce di fumo. Passò un fazzoletto bagnato
sulla giacca e si sciacquò la bocca. Uscì da casa
Hino profumato d'aria. Andò in cerca di Makoto.
La incontrò sul retro del santuario, che parlava
con Aino
mentre entrambe facevano una pausa dal lavoro.
Appena lo vide, lei si scusò e gli andò
incontro. «Ti stai
annoiando?»
«No.» Al freddo le labbra di Makoto erano
screpolate e i suoi occhi lucenti. Senza resistere, Gen le
umettò la
bocca con un bacio, poi la tastò sulla tunica, sopra le
tasche. «Niente burro cacao, oggi?»
«L'ho lasciato nella borsa.» Makoto
sorrise,
tenendosi vicina a lui, splendida nel trasporto che provava, identico
al suo.
Aino canticchiò. «Trovatevi una
camera!»
Lui e Makoto rotearono insieme gli occhi al cielo.
Ti amo,
pensò Gen.
Tenné per sé la dichiarazione: certe
cose non si
dicevano in pubblico.
Aveva davvero bisogno di conservare un po' della
virilità che aveva costruito in ventidue anni di esistenza,
altrimenti Makoto non lo avrebbe più voluto.
Lei gli strinse le mani. «Hanno bisogno di me
per
altre due ore. Se vuoi, puoi uscire dal tempio e tornare dopo. O torna
a casa; ci sentiamo per telefono più
tardi.»
«No, rimango nei paraggi.» Non avrebbe
resistito senza
vederla fino alla mattina dopo.
Makoto si colorò di felicità, guance
rosa
d'eccitazione e occhi che diventavano di un verde fiammante.
«Servirò più clienti che posso.
Finirò in fretta!»
Aino sospirò. «Se rimango qui
comincerò a cantare ballate d'amore.»
Rientrò nel retro del gazebo.
Furono soli e Makoto lo guardò negli occhi, i loro
respiri
che si mischiavano. «Alla fine è uscito il
sole...»
«Per quest'anno è andata. Ci
sarà
sempre il prossimo anno...»
La menzione del futuro la riempì di sicurezza.
Lui avrebbe
continuato a parlarne fino a che lei non avesse più avute
paure da dimenticare. «Ma se vuoi vedere un'alba insieme,
devi solo dirlo.»
«Domani voglio il nostro appuntamento speciale. Il
nostro
primo vero appuntamento dell'anno, per cominciarlo in grande
stile.»
Decisamente sì.
Come due pali della luce, rimasero coi piedi piantati nel
terreno, senza
trovare la volontà di staccarsi.
«Vado» disse lei.
«Vai» la incoraggiò Gen.
Makoto rubò un bacio prima di danzare via con un
piccolo
salto. Rientrò nel gazebo con un sorriso, chiudendo la porta
prima di ripensarci.
Gen tornò a far funzionare i polmoni e
sospirò.
Per la reazione, rise di se stesso lungo tutta la strada verso
la scalinata del
tempio. Infine, stiracchiò braccia e gambe, aprendosi al
mondo.
Se quello era l'amore, lui era pronto a metterci la firma vita
natural durante.
1 gennaio 1997 -
Makoto e Gen. Felicità - FINE
NdA:
Ho
scritto questa storia senza pensarci troppo. Ho voluto sentirmi come
Gen e Makoto, che sono due creature d'istinto. Quando sono felici, si
lasciano trasportare, non si creano tante paranoie. Be', Makoto un po'
sì, ma quando non c'è davvero motivo di
preoccuparsi, si lascia
trascinare volentieri da Gen.
Questo sarebbe stato un capitolo molto lemon se non fosse
stato per le
circostanze spiegate da Makoto. Ciò vuol dire solamente che
le scene che ho in mente da tipo un anno e passa per lei e Gen saranno
ambientate nel giorno del compleanno di lui. Spero di far fare la ola
ai fan di questa coppia :)
Grazie per aver letto.
Se amate questi due, spero di avervi già fatti un
po' felici
(loro lo sono di sicuro ;) ).
ellephedre
|
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Capitolo 2 *** 4 gennaio 1997 - Giornata di compleanno ***
corrente naturale 2
Corrente
naturale
di ellephedre
4 gennaio 1997 - Giornata di
compleanno
Ogni volta che guardava la rosa rossa, Makoto
sospirava. Ne accarezzava i petali e si avvicinava per
odorarne il
profumo.
Ricordava le labbra di Gen sulle proprie mentre tenevano insieme lo
stelo
del fiore, attenti e delicati per non pungersi, nascosti in un angolo
della serra.
Era stato un momento perfetto, romantico come lei non avrebbe
mai
potuto immaginare.
Tutto il loro appuntamento speciale di quel martedì
era
stato
magnifico. Avevano chiacchierato per ore camminando tra i
padiglioni della fiera a cui lui l'aveva portata, mentre rimiravano
piante e mobili. Makoto aveva osservato il mobilio incantata, Gen con
occhio più clinico. Lui si era portato dietro un blocchetto
in
cui
aveva riprodotto i pezzi che aveva preferito, discorrendo poi della
qualità di materiali e forme. Era attento quando si trattava
di
ciò che poteva creare con le mani; non c'era dettaglio che
lasciasse al caso.
Nella parte botanica dell'esposizione, la gioia era stata
tutta di lei,
ma Gen era stato contento di seguirla. Aveva azzeccato il posto in cui
portarla e la sua gioia si era mischiata a una buona dose di
fierezza.
'Ho scelto bene, sono stato bravo'.
Makoto glielo aveva letto
in faccia più volte e ne aveva sorriso senza farne un
segreto.
Preso in giro, Gen aveva scrollato le spalle e l'aveva baciata tutte le
volte che lei si era trovata in bocca una battuta.
Makoto amava i baci, soprattutto quelli che si erano dati quel
giorno.
Sfioramenti di labbra morbidi, con assaggi accennati che preludevano a
un'intimità a cui non si erano potuti lasciare andare in
pubblico. La sensazione di piacere era stata più intensa del
normale, il desiderio più dolce e languido nella sua mente.
Per
lei quell'eccitazione era rappresentata dalla rosa, che era riuscita a
mantenere sana e vivace da quando Gen gliel'aveva regalata.
Se solo avesse
avuto
più spazio sul davanzale della finestra, avrebbe comprato un
vaso intero di quei fiori.
Per il futuro, decise, voleva un appartamento con balcone. La
sua casa
le era sempre piaciuta, così come la sua vita, ma... Ora
era
diventata avida di felicità e voleva di più. Se
lo
sarebbe guadagnato con la pasticceria che avrebbe aperto. Con duro
lavoro, creatività e impegno, avrebbe raggiunto tutti i suoi
obiettivi.
I lavori nel locale erano ultimati, perciò era
tempo di
dedicarsi alla decorazione degli ambienti - una delle
attività
più divertenti che potesse immaginare. Le piacevano
gli
oggetti
carini e aggraziati. Quelli per il suo negozio dovevano dare un'idea
di accoglienza e semplicità. Avrebbe trascorso
molti
pomeriggi a
cercarli, dopo la scuola.
Sospirò.
Aveva ancora diversi compiti da completare prima della fine
delle
vacanze. Il giorno precedente era riuscita a finire solo la
metà
degli esercizi di inglese che le erano stati assegnati.
Concentrò l'attenzione sulla lama della forbice che
impugnava in mano e
lisciò l'intera lunghezza del nastro che aveva avvolto
attorno
al pacco, arricciandolo dalla base fino alla punta.
Perfetto. Aveva incartato il regalo di
Gen.
Il telefono squillò. Lei andò a
prendere il cordless, un occhio
puntato sul
tavolo
in cui aveva lasciato la scatola incartata. Non era sicura di aver
azzeccato il dono; poteva solo sperare in bene.
«Pronto?»
«Ciao.»
«Rei.» Sorrise riconoscendola.
«Tutto
bene?»
«Certo. Ti chiamavo per parlarti del compleanno di
Hotaru.»
Ah, giusto. «Quindi Hotaru-chan rimarrà
qui a Tokyo
per il
sei?»
«Sì. Ne ho parlato con suo padre e lui
è
d'accordo. Ci vedremo di mattina per festeggiare.»
«Dove andiamo?»
«In un parco giochi.»
Possibile? «È
un'idea di
Minako?»
«No, ci ho pensato io. Vorrei che ci divertissimo
tutti senza
pensieri, come ragazzini. Porterò personalmente Hotaru sulle
giostre più spericolate. Voglio che quella bambina si
liberi.»
Sembrava quasi un proposito da sorella maggiore.
«È una
bella idea. Ci sarà un posto dove potremo mangiare una
torta?»
«Ho organizzato tutto. C'è un
piccolo
chiosco che terrà in frigo un dolce portato da noi. Poi ci
offriranno
sedie e tavoli per mangiare in compagnia.»
Non avrebbe dovuto dubitare di Rei. «Ci saranno
anche Haruka
e Michiru?»
«Ho provato a convincerle, ma hanno un posto dove
vogliono
portare Hotaru di sera. Una cosa da ragazze grandi, hanno
detto.»
Erano le solite. «Potrebbero fare anche una cosa da
ragazze
piccole e
venire con noi
di mattina.»
«Non dirlo a me; per Michiru la mia
idea è
infantile. Avresti dovuto sentire come ha sorriso quando gliel'ho
detto...»
Lo immaginava: Michiru Kaiou sorrideva sempre degli altri,
come se
fossero tutti bambini a cui poteva dare un colpetto di
incoraggiamento
sulla testa. La sua non era superbia, solo una condiscendenza buona, di
cui non poteva fare a meno.
«Secondo me non vuole rischiare»
proseguì Rei.
«Te la immagini Michiru su un ottovolante? Tutta la sua
compostezza si scioglierebbe come neve al sole.»
Makoto ridacchiò.
«Usagi l'avrebbe convinta a venire, ma in questi
giorni ha in
testa solo il suo matrimonio. Ancora non ne ha parlato ai suoi
genitori.»
Ahia. «Più Usagi-chan tarda,
più
sarà difficile.»
«Già, ma lei e Mamoru hanno fissato una
cena con i suoi per questo sabato. Ne parleranno allora.»
«Non la invidio.» Makoto aveva avuto a che
fare da
poco solo
con la madre di Gen. Nonostante il buon carattere della signora, ne era
ancora terrorizzata. Temeva ciò che era e il modo in cui lei
poteva influenzare la visione che Gen aveva del loro rapporto. Da quel
che sapeva,
il padre di Usagi covava istinti omicidi nei confronti del povero
Mamoru.
«A te come va?» domandò Rei.
«Domani è il compleanno di Gen, no?»
Già. «Sono preoccupata. Gli ho
comprato un regalo, ma non so
se è quello giusto.»
«Che cos'è?»
«Un kit di matite da disegno. Al negozio mi hanno
detto che
sono le più quotate tra i professionisti.»
«... Gen disegna?»
«Sì, per hobby. Fa anche schizzi di
progetti
architettonici, però... Forse ha già matite come
queste.
O magari avrebbe preferito qualcosa di più sportivo, per
esempio roba per la corsa o per la boxe. Ma non so quali attrezzi ha in
casa. O se parliamo di abbigliamento, non so che numero di
scarpe
porta,
né la sua taglia di vestiti...»
«Sarà XXL.»
«Ha le spalle larghe, ma non è
grasso.»
Infatti si
chiedeva come lui riuscisse a trovare degli indumenti da mettersi.
«Scherzavo. Ma perché la scelta del
regalo ti mette in
ansia?»
«Gen è istintivo, ma valuta tutto. Forse
questo
regalo
così artistico gli farà pensare che io lo
ritengo...
troppo
artistico?» Non aveva un gran vocabolario, continuava a
ripetersi.
«Perché sarebbe un male?»
«Non è un male, ma lui ci tiene a non
apparire
troppo...» Come poteva dirlo?
«Sensibile?»
Esatto! «Ci tiene a sembrarmi un duro.»
Rei si lasciò sfuggire una risatina.
Makoto quasi si risentì.
«Non
prenderlo in giro.»
«Andiamo. Il tuo ragazzo ha sempre quest'aria da
'spacco il mondo'...
È
il suo modo di essere. Un po' come Yu, che se gli chiedi una cosa
è già pronto a servirti per
l'eternità. Pensi di
riuscire a manipolarlo?»
«Eh?»
«Gen. Se trovi il modo giusto di trattarlo, lo rendi
felice e
al
contempo gli fai fare quello che vuoi tu quando ti serve.
Così tutti contenti.»
Quel ragionamento era proprio da Rei. «Non penso di
avere
tanta presa
su di lui.»
«Non fare l'ingenua. Quando vi ho visti insieme, lui
ti
seguiva
come un Akita fedele. Sono animali possessivi ed esigenti, ma
completamente leali.»
Era una buona descrizione per Gen. «Hai dei consigli
da
darmi?»
«Biancheria intima.»
Lei avvampò sulle guance. «Eh?»
«Uno come lui sarà sicuramente una
persona molto
visiva e fisica.»
«... Come fai a dirlo?»
«Quando eravamo a casa di Mamoru e tu eri mezza
inferma e in
pigiama, il tuo Gen ti guardava la scollatura.»
Makoto volle morire d'imbarazzo.
«Sfrutta i tuoi punti di forza, Mako-chan. Non
vederla come
furbizia da parte tua; alla fine, sarai tu quella che si
sentirà
soggiogata. Piacevolmente, si intende.»
Le uscì un sospiro incredulo.
«Wow.»
«Che cosa?»
«Stiamo parlando dei nostri fidanzati. Mi
sentivo un
po'
esclusa sapendo che lo facevi solo con Usagi ed Ami.» Ora
anche
lei era come loro, finalmente.
«Con Ami non si parla molto di queste cose. Anche se
alcune
volte
quella ragazza se ne viene fuori con certe osservazioni... Con Usagi
stai attenta: è così candida su quello che accade
tra lei
e Mamoru che finirai col volerle dire tutto anche tu.»
«Tutto cosa?»
«Capirai poi. Comunque io sono la regina per quel
che
riguarda le
strategie amorose. Chiedi a me ogni volta che vuoi un
consiglio.»
«Lo farò.»
Rei ne fu soddisfatta. «Allora
domani
passerai tutta la giornata con Gen?»
«Quasi tutta, sì. Per la festa di Hotaru,
sai
già
l'ora?»
«Ci troviamo davanti al parco di Ueno alle dieci, va
bene?»
«Certo.»
«Ah, un'ultima cosa. Con gli uomini funziona anche
la
strategia dell'attesa.»
Già. Lei l'aveva messa in atto involontariamente.
«Non sono molto brava a frenare Gen.»
«Lo so, sei capitolata in meno di un mese. Ma puoi
sempre
esercitarti.»
Makoto si divertì. «Non
arriverò mai ai
tuoi quattro anni.»
Rei ringhiò. «Questa battuta è
vecchia.»
Ma era ancora uno spasso. «Devi imparare a riderne
come Yuichiro. Ci vediamo sabato.»
«Sì» sospirò Rei.
«A sabato. 'Notte.»
«'Notte. E grazie.»
Makoto riattaccò e guardò il
soffitto,
raccogliendo le idee. Ora le rimaneva solo da preparare le torte.
Aveva fatto due passi verso la cucina quando il telefono
squillò di nuovo. Provò a indovinare chi era, un
giochetto
mentale in cui si dilettava di tanto in tanto.
Questa
è
Minako.
Almeno, avrebbe voluto che fosse lei, poiché in
quei giorni
la sentiva distante. «Pronto?»
«Ciao.»
La voce maschile la fece sciogliere sulla moquette di casa.
«Ciao.»
Aveva davvero usato quel tono da gattina smielata?
All'altro capo del telefono, Gen rise piao. «Stai
per
andare a
dormire?»
«È presto, sono le dieci. Mi preparo a
farti una
torta per domani.»
«Hm. Non farla per tutta la mia famiglia. Mia madre
ne
comprerà una.»
«Be',
non voglio scavalcarla, però... Mi
ingrazio lei e le tue sorelle se
vi offro un altro dolce, giusto? Avevo pensato di fare una piccola
torta
per me e per te, poi una torta grande da
farti portare a casa. La tua famiglia potrà mangiarla con
calma; non ci metterò su panna o altre cose che vanno
facilmente a male.»
«Shori si è
messa a dieta.»
«Ah.»
«Apposta per il mio
compleanno. Ha detto di dover far spazio per la torta che tu avresti
sicuramente preparato.»
Makoto scoppiò a ridere.
Udì il sorriso sereno
di Gen, un suono quieto che le fece desiderare di averlo con lei
già quella sera.
«Domani pranzi con la tua famiglia» gli
disse. «La
sera sarà per noi?»
«Sì. Non vedo l'ora.»
Anche lei, a tal punto che volle essere audace. «Io
e te,
domani... Recupereremo il tempo perso.»
«Non è stato tempo perso.
Ma questo
proposito
mi vede
in prima linea, con un'armata di impazienza alle spalle.»
Lei poteva descrivere nello stesso modo il proprio entusiasmo.
«In realtà,
già oggi...
Ma sono solo ventiquattrore in più di attesa.»
Lui fece una pausa. «Già oggi,
cosa?»
«Ehm...» Non seppe come spiegargli.
«Voglio dire che non ci sono più ostacoli. Sono
spariti questa
mattina.»
Gen non parlò e Makoto pensò di avergli
fornito troppi
dettagli. «Gen?»
«Sono le dieci e cinque.»
«Sì»
mormorò perplessa, guardando l'orologio.
«Se corro, sono a casa tua in mezz'ora.»
Eh?
«Non hai sonno, vero?»
No, ma... «Non ho ancora fatto la torta.»
«Ho più foga che fame.»
Makoto esplose in una risata così forte che dovette
coprirsi la
bocca.
Gen non era stato da meno con le risa. «Vado ad
avvertire mia
madre. Sarò lì tra poco.»
Cosa?
Lui avrebbe detto a sua madre che stava uscendo alle
dieci di
sera per
venire da lei?
La signora l'avrebbe creduta
una ragazza promiscua, o
troppo facile, sicuramente molto innamorata, ma...
«Gen.»
Tu-tu-tu.
Sospirando, Makoto chiuse la chiamata e fece dei calcoli
mentali. Doveva
essere come Creamy Mami e compiere un prodigio: preparare una torta,
farsi il bagno e cambiarsi in mezz'ora.
Al lavoro!
Trentotto minuti dopo era davanti al cassetto della biancheria
a
rimuginare, coi capelli appena asciugati. Squillò
il
citofono.
«Ahhh!»
Corse a rispondere. «Sì!» si
limitò a dire,
premendo il pulsante di apertura. Tornò al cassetto e
afferrò le prime mutandine carine che si trovò
davanti. Solo quando le ebbe indosso notò che il reggiseno
coordinato non
era in vista, probabilmente disperso nella cesta delle cose da lavare.
Udì i passi di Gen fuori dall'appartamento, che per
la
fretta
colpivano lo zerbino mandandolo a sbattere contro la porta.
Dato che non c'era più
tempo, annodò la
vestaglia alla vita, provando a coprire con le braccia le punte dei
seni ben visibili sotto la stoffa. In quello stato era praticamente
seminuda, ma lei avrebbe
voluto essere sensuale, non sfacciata. Mesta, si diresse alla
porta.
Poteva chiedere a Gen il tempo per terminare di cambiarsi?
Lui lo avrebbe trovato inutile, considerato che si sarebbero
spogliati di
lì
a
poco. Lei voleva farlo - bramava di farlo - ma...
Si nascose dietro la porta mentre gli apriva.
«Ciao...»
Gen entrò. La sua felicità si
attenuò quando notò che di lei poteva
vedere solo la testa.
«Ciao» la salutò.
«Tutto a posto?»
«Non ho finito di vestirmi.» Tenne le
braccia
intorno al torso mentre si appoggiava con la schiena alla porta, per
chiuderla.
Lui tolse le scarpe e fece scattare la serratura.
«Okay.» La osservò, confuso ma non
smanioso quanto lei aveva pensato.
Si guardarono per qualche istante.
Togliendo la giacca, Gen
sollevò le sopracciglia, divertito. «Puoi
vestirti, sai? Non ti mangio.»
Lei voleva essere mangiata, solo che...
Lui agitò le narici e guardò verso la
cucina.
«Sei
riuscita a preparare la torta.»
«Sì, è in forno. Per questo
non ho
avuto il tempo di...»
«Non hai avuto tempo perché sono arrivato
troppo
in fretta.»
Già. «Non ti sembra sciocco se vado in
bagno a mettermi qualcosa? Anche se dopo...»
Lui non rispose a voce. Si limitò a contemplare la
sua esitazione, adorandola.
Coi dubbi dissolti, Makoto fece un passo avanti e lo
abbracciò.
L'odore del collo di lui, il respiro che le sfiorava la
tempia, le
braccia che la stringevano, il seno senza costrizioni contro il suo
petto... Non
voleva più altri vestiti, ne voleva di meno. Desiderava
stringerlo senza più smettere.
Gen le aveva preso la testa in una mano. Stava affondando il
naso nei suoi capelli.
«Così diventa difficile aspettare.»
Lei inspirò, sorridendo contro il suo orecchio.
Non disse
niente; cercò di provare invece di pensare, l'unica cosa
giusta da fare quando erano insieme.
Notò un taglietto
fresco e
minuscolo sulla guancia di lui. «Oh.»
Sfiorò la pelle su quel punto.
Gen capì. «Colpa del rasoio. L'ho usato
in fretta
stasera.»
Immaginarlo di corsa mentre si sistemava per venire da lei la
riempì di dolcezza. «Vieni.» Si
separò da lui senza incontrare proteste - i loro due corpi
in sintonia nell'essenza, a discapito della distanza.
Tenendolo per
mano, lo condusse verso il comodino accanto al letto, dove
girò la manopola che regolava
l'intensità della
lampada. La accese.
«Tira la tenda» disse a Gen, riferendosi
al
pannello rigido che separava la zona del letto da quella della cucina.
Non lo usava spesso, ma a volte era bello creare atmosfera dividendo
gli ambienti. Avevano almeno venti minuti prima che la torta finisse di
cuocere.
Quando lui ebbe dispiegato per intero il
pannello semi-trasparente, lei spense la luce sul soffitto e
allargò le braccia, invitandolo ad avvicinarsi.
Nella penombra trovare Gen sotto le proprie mani fu prezioso,
importante. Rispose al bacio che lui cercò. Lo
accarezzò sulle spalle, sul petto, tracciando i contorni di
ogni rilievo. Aveva
desiderio di lentezza, di scoperta.
Senza fretta, cominciò a spogliarlo della felpa,
lasciando salire l'indumento sopra lo stomaco di lui e tirandolo su,
oltre le braccia.
Era
lei a guidare i loro movimenti; Gen la lasciava fare nonostante il
respiro spezzato e veloce, visibile nei suoi muscoli tesi.
A torso nudo, lui le cercò il ventre con
la mano,
infilando le dita nell'apertura della vestaglia.
«No» protestò lei, serena.
«Ho poche cose addosso.»
Gen non capì perché quello fosse un
problema, ma Makoto lo fece sedere sul letto. Armeggiò
delicatamente con la
zip dei pantaloni che lui indossava, stuzzicandolo con
un'unghia sullo stomaco
rigido. Gen si tenne a stento dritto sulle braccia - una
reazione adorabile, sensuale, che le suscitò una vampata di
calore al basso ventre.
Gli aprì la patta dei pantaloni e lo spinse ad
andare ancora più indietro. Si appoggiò con le
ginocchia sul materasso, sopra di lui,
dove si tenne ferma per un istante.
Gen provò a toccarla, ma lei gli prese le mani,
stringendole.
In quel momento lo possedeva: possedeva i sensi di lui,
nonché il
corpo che la bramava e la cercava. Aveva l'amore di Gen,
così
come la bocca calda a pochi centimetri dalla sua, che con un bacio
era capace di stordirla.
Non resistette. Chinò la testa e mischiò
i loro respiri. A labbra schiuse si trovarono con un assaggio
veloce, che
strappò a entrambi il respiro.
Lei non comandò più, si
offrì.
Si
beò delle mani di lui tra i capelli, che le
scioglievano la coda. Aderì al suo corpo languida,
abbandonata, in attesa di sentirlo aumentare la pressione tra di loro
con
i palmi aperti sui fianchi, che forti la afferravano.
In due si sdraiarono lentamente, prima di lato e poi lui sopra
di
lei, la
bocca di Gen che la percorreva sul petto mentre le scioglieva il
nodo della
vestaglia.
Con le palpebre abbassate, tremanti, Makoto non
guardò lui,
ma la
parete tenue della stanza. La vide sfocarsi mentre il suo corpo
ribolliva
e Gen la trovava su un seno nudo, prendendone la punta in
bocca. Lui
esclamò qualcosa, un suono debole che uscì
anche a lei nell'ardore del momento, mentre si contorceva per la
delizia.
Si
strofinò a lui
con le gambe, col bacino, scivolandogli con le dita sulla
schiena. La sua mente si
annebbiò. Cercò un bacio necessario e vi
affondò
dentro. Si mosse con Gen mentre sospiravano e continuavano a premere
l'una sull'altro le labbra, affamati di sapore.
Non notò quando terminarono di spogliarsi: le
sembrò solo che i vestiti di entrambi fossero d'un tratto
spariti.
Il proprio corpo non ebbe più senso come entità
unica
finché lui non la trovò con una mano tra le
gambe e, alitandole sul collo, leccandola sui capezzoli,
iniziò a
muovere su di lei un dito in un minuscolo cerchio, premendo dove il
piacere le accendeva tutti i nervi.
Makoto vibrò, tenendosi ferma a forza, in offerta
per la mano di lui, incantenata. Interruppe l'estasi solo quando fu
giusto
incastrarsi a Gen, stringendogli le spalle con le mani e annullandosi
insieme. Durò tanto, o così le parve. Il
tempo si mosse in una realtà diversa
dalla loro.
Ogni bacio umido,
ogni dondolio intenso, ogni affondo dentro il suo corpo... Ne volle
sempre
uno di più,
anche quando si riempì e si saziò di lui,
rimanendo a stento con le forze per accarezzargli un braccio.
Adagiati l'uno di fianco all'altra, in pace, riposarono.
Il sonno non la prese. Girandosi, respirò
contro il
petto di Gen,
sistemando pigramente l'orecchio dove gli batteva il cuore. Il ritmo
del suo battito la cullò.
Sveglio, lui la tenne contro il petto a lungo prima di
abbassarsi,
sorridere e baciarla di nuovo.
Makoto lo fece sdraiare sulla schiena, delicatamente. Lo
guardò, lo adorò.
Non poteva esserci momento più bello,
più
perfetto, in una singola vita umana.
DRIIINN!
Sussultò assieme a lui.
«Il forno» disse, esplodendo in una
risatina.
Scivolò via dal letto, afferrando per un lembo la
vestaglia e scostando il pannello rigido. Si diresse in cucina.
«Ah...» Per un momento faticò a
ricordarsi cosa doveva fare con la torta. Si coprì
malamente il corpo e, afferrando una presina, aprì l'anta
del
forno.
Il profumo del dolce si librò
nell'aria. L'odore era
ricco e invitante. «È venuta
bene» informò Gen.
«Lo sento da qui.»
Proteggendo l'altra mano con un guanto,
Makoto tirò fuori
la torta e la sistemò sul bancone.
Trovandosela davanti,
rifletté: aveva pensato di rimanere sveglia
finché la torta non si fosse raffreddata, ma... Prese
l'orologio da polso che aveva sul tavolino, settò l'ora e
coprì la torta con un telo. «Domani la
decoro.»
«Cosa hai fatto?»
«Devo metterla in un contenitore quando si
è raffreddata.»
Tornò indietro, verso il letto. Appena
riuscì a toccarla, Gen le tolse la vestaglia.
«Ancora?» commentò lei, senza
riuscire a mettere forza nella protesta.
Lui scrollò le spalle. «Mi piaci senza
niente
addosso.» La fece sdraiare accanto a sé, sotto le
coperte, e
la guardò. Era felice.
A lei sfuggì uno sbadiglio.
Prima che fosse riuscito a riderne, Gen l'aveva imitata.
«Ecco il sonno» disse Makoto, andandogli
più vicino.
«Succede quando si fa bene l'amore.»
Lei sorrise in silenzio. Amava sentirlo parlare in quel modo.
Quello
che avevano condiviso non era stato solo sesso; si era trattato
di un'esperienza completa, la prima di moltissime
altre.
Appoggiò la testa nell'incavo del suo collo.
«Buonanotte.»
«... ti sveglierai tra poco? Non farlo.»
«Lasciami il mio lavoro di cuoca.»
Sorrisero e Gen si rassegnò. «Allora
buonanotte, per ora.» La baciò sui capelli.
Dormirono.
Era molto tempo, pensò Gen, che non si svegliava
con la luce
del sole così forte sugli occhi.
Si era fatto tardi, forse erano già le nove.
Voltò la testa.
Cauto, liberò il polso intorpidito dalla
testa di
Makoto, prendendosi un momento per far sparire il formicolio.
Prima di ripensarci, rotolò su un fianco e ricadde
in piedi
sul pavimento, alzandosi. Aveva bisogno di andare in bagno.
Vagò nudo per l'appartamento, entrando
nell'unica altra stanza della casa.
Tra le quattro mura di piastrelle, rabbrividì per
il gelo: di mattina quel
bagno era ghiacciato.
Mezzo addormentato, si risvegliò quando ebbe finito
e si sistemò davanti al lavabo. Girò la chiave
del
rubinetto, cominciando a lavare le mani e sciacquando
la bocca. Alzando la testa, si osservò allo specchio e
stiracchiò
soddisfatto le braccia.
Era stata una grande notte.
Non gli era dispiaciuto nemmeno essere svegliato dall'orologio
che Makoto aveva settato. Quando l'aveva riavuta tra le braccia, dopo
pochi minuti, il calore dei loro corpi uniti lo aveva fatto
riaddormentare in un momento.
Uscì dal bagno e nel tragitto verso il letto
raccolse i
pantaloni che
erano finiti a terra. Li piegò in due su una sedia, poi
cercò la felpa e le calze.
A Makoto non piaceva il
disordine. Con un appartamento tanto piccolo era naturale: non c'era
molto
spazio per muoversi.
La osservò. Ancora profondamente addormentata, lei
era sdraiata a pancia in su, le labbra aperte e le
braccia
allargate libere, infreddolite. La pelle d'oca si interrompeva
sulle spalle, ma Makoto doveva sentire freddo anche sul petto,
fino a dove era scoperta.
Lui tornò a sdraiarsi nella parte di letto in cui
si era svegliato. Cercò di non spostare
troppo il peso sul materasso, ma lei ricadde ugualmente con la testa
verso una
spalla. Immobile, lui attese il respiro successivo.
Le narici di lei si erano mosse appena. Makoto non ebbe altre
reazioni: il suo sonno era rimasto profondo.
Gen osservò lo sfarfallio delle ciglia scure
sulle
sue guance. Erano delicate e folte, belle come le labbra semiaperte
che di mattina sembravano più paffute e carnose. Con quel
colore rosa scuro, invitavano a morderle piano, leccandole.
Piegando la testa Makoto aveva esposto all'aria un lato del
collo, una parte che lui sapeva sensibile e morbida. Le spalle di lei
terminavano con la sottolineatura del deltoide, le linee del muscolo
visibili sotto la pelle, persino a riposo. Le clavicole
erano...
Be', non aveva
mai badato a delle clavicole, ma voleva riempire di
baci l'avvallamento tra quelle ossa.
Poi... poi il corpo di lei finiva lì. La trapunta
le
proteggeva i seni, una situazione a cui lui pose rimedio
tirando
un poco l'ammasso di stoffa verso il basso,
fino a scoprire le punte di carne turgide che svettavano sul suo
petto. A bocca aperta, rimirò i due
personali doni divini che gli aveva concesso il cielo.
Incredibile. Non aveva mai visto due tette tanto
perfette, gonfie e sode
anche da sdraiate.
Al contatto con l'aria i capezzoli di Makoto iniziarono a
diventare ancora
più duri, facendogli venire l'acquolina in bocca. Avevano
una dimensione ideale: sui due monti di carne non erano
bottoni troppo piccoli che gli sfuggivano dalle dita,
bensì estremità deliziose che si adattavano ai
suoi
polpastrelli quando lui le stuzzicava.
L'areola... Gen ne aveva viste di
grandi, piccole, normali, belle. Quelle di Makoto erano una
corona, che gli indicavano dove toccarla per farla
gridare. Non che lui l'avesse fatta urlare fino a quel
momento, non per
davvero.
Lei inspirò di nuovo e Gen le
lanciò
una rapida occhiata.
Makoto dormiva ancora.
Lui riabbassò gli occhi: quei seni gli riempivano
le mani.
Per tutta la vita aveva pensato di preferire seni di
dimensioni ridotte,
che
non cadevano mai e rimanevano alti senza aiuto, ma nel corpo di Makoto
si era compiuto un miracolo: lei aveva due globi rotondi che si
adagiavano sul petto fieri e svettanti, creando una scollatura che con
certi reggiseni... Fortunatamente, a lei non piacevano gli scolli a
triangolo, o lui non avrebbe avuto pace immaginandola in giro
vestita in quel modo.
«... cosa stai guardando?»
Colto sul fatto, sorrise impenitente.
«Te.»
«Io sto più sopra»
mormorò lei.
Divertito, lui la guardò negli occhi verdi.
«Sì.» Appena sveglia, lei era una
visione. «Sei anche qui.»
Makoto si adagiò su un fianco, coprendosi il petto
con un
braccio. Col movimento creò involontariamente due
curve talmente provocanti, talmente belle...
«Ehi» lo chiamò.
«Hm?»
«Ma guarda quanto ti piacciono.»
Non lo avrebbe negato. «È vero.»
Mangiandosi un labbro, Makoto si coprì anche con
l'altro braccio.
«Anche io li trovo belli, però...» Rise
piano. «Sembra che appena mi
giro, tu li guardi.»
«Non è così.» Si
concentrava
anche su altre parti del corpo di lei: la rientranza dei fianchi verso
la
vita,
le gambe lunghe, il magnifico sedere... Ma se a pochi
centimetri dal viso aveva quei due bei seni nudi, la sua attenzione
era
tutta per loro.
Makoto lo osservava, muovendo le dita sul proprio sterno,
indecisa.
«Se questa è la tua parte preferita...»
Non era
così. «È
sempre stata
il fondoschiena» confessò. «Sei tu
quella che mi sta
facendo cambiare idea.» Sotto la trapunta la
trovò sulla curva del fianco.
«Ti piace il sedere?» Makoto
voltò la
testa, per guardarsi.
«Non lo tocchi mai.»
Lui la smentì in quel momento, facendola saltare
sul letto.
«Ehi!»
Gen trattenne i singulti di divertimento.
«Hai visto come
reagisci?»
«Mi hai sorpreso! Dev'essere una cosa più
tranquilla, dolce...»
Be', ma così c'era un problema. «Col tuo
sedere non mi
vengono in
mente idee molto dolci.»
In Makoto il rossore partì dal petto e
risalì
veloce lungo il collo, invadendole le guance.
Lui abbassò la testa, baciandola sul collo, usando
la lingua
per assaggiarle la pelle salata. Il retrogusto dolce invase tutte le
sue papille gustative. Cominciò a scendere oltre la linea
delle clavicole. «Tanti auguri a me.»
Makoto sobbalzò. Lui si
sentì afferrato per le spalle. Si
ritrovò atterrato - schiena contro il letto, inerme come un
pupazzo.
«Me n'ero
dimenticata!» Da novella Ercole, Makoto divenne un
concentrato
di
arti morbidi e leggeri, che calarono su di lui assieme a una carezza
sulla fronte. «Buon compleanno.» Lo disse
con
un sospiro, baciandolo sulla tempia, sulla guancia, sulle labbra.
Ti amo da
impazzire,
pensò Gen.
Era tempo di dimostrarglielo.
La strinse per la vita, portandola ad appoggiarsi su di lui
col
petto. La sensazione dei capezzoli duri contro i suoi
pettorali
fu paradisiaca.
«... ti piace?» gli domandò lei.
Lui la guardò negli occhi. Muto,
annuì.
Usando le braccia per sostenersi, Makoto si morse un labbro
prima di
decidere come procedere. Scivolò su di lui verso l'alto,
sfiorandolo con la punta dei seni sulla faccia. Rise
quando lo sentì rilasciare un
sospiro. «Sono la mia arma segreta?»
«Ne hai tante» confermò lui.
Poi si
assicurò di avere una buona presa sulla sua vita e
ribaltò entrambi, facendola sdraiare sulla schiena.
Makoto era curiosa. «Cosa fai?»
«Realizzo una fantasia.»
Armeggiò con le gambe di lei, aprendole e piegandone una di
lato.
«... quale?»
Le si spezzò il respiro quando lui si
appoggiò contro
la sua apertura, senza entrare. Voleva essere certo che lei fosse
abbastanza bagnata, ma soprattutto voleva far fremere entrambi per
l'anticipazione. Con una coscia aveva spinto un ginocchio di
Makoto verso l'alto.
Vi incastrò sotto il braccio.
«Così è...» Makoto
interruppe il mormorio quando con le dita lui tracciò delle
linee sul suo stomaco, fino al basso ventre. Infine, inarcò
verso
l'alto l'intero bacino.
«Funzionerà bene» le
spiegò lui.
«... Come?»
«Tra poco lo scopri.» Scese con
la mano. Con le nocche la sfiorò tra le
pieghe del sesso, insistendo, cercando del fluido fresco.
Makoto fece forza con le braccia e lo attirò sopra
di sé, per avere la sua bocca. Mentre la baciava lui la
chiudeva col corpo in una gabbia. Sperimentò ancora una
volta che lei non aveva alcun problema di flessibilità, ma
cercò di non pesarle troppo sulla coscia. Per
uscire da quella posizione, separò le pieghe tra
le gambe di lei con le dita, accarezzando. Makoto si
tese.
Lui le appoggiò un bacio sotto la mascella.
«Voglio che sia più intenso.»
Riuscì ad allontanarsi, tornando dritto.
Makoto lo strinse per un avambraccio, cercando di trattenerlo.
«Ma mi piace quando mi stai sopra.»
Lui raggiunse la massima durezza in un secondo.
«Lo so.» Le prese un seno in mano, incapace di
resistere. «Questo sarà
meglio.» Dondolando coi fianchi, si strofinò
contro il centro di lei, la carne
calda e soffice che non gli opponeva resistenza. La consistenza in quel
punto era divina: non c'era niente di più liscio, setoso,
tenero di...
Tornò a respirare. La vista non lo aiutava a
ricordarsi di prendere aria. Sdraiata, Makoto si agitava dolcemente,
graffiando con una mano le lenzuola.
Lui sentì la sensazione di umido che aveva cercato,
solo un goccio, ma si ritrasse quanto bastava
e afferrò
Makoto per la vita. Quando trovò l'incastro, fece
forza
sulla presa e scivolò, affondò - la stretta
rovente che gli strappava un suono dalla gola.
Aprì gli occhi.
Sembrava sempre la prima volta - con le gambe
di lei aperte, il
suo viso travolto, conquistato, e l'interno di quel corpo che lo
spremeva inconsciamente, troppo energico e femminile per starsene
inerme ad aspettarlo.
Lui represse l'istinto di gettare la testa all'indietro e
spingere
come un forsennato. Guardò gli occhi di Makoto, il colore,
la
pupilla nera e larga.
Non chiuderli.
Si ritrasse ed entrò di nuovo, modellandola attorno
a sé, premendo.
Lei abbassò le palpebre, tentando il
controllo del respiro. Il suo petto era irrorato di sangue, i suoi
capezzoli gonfi.
Lui ne sfiorò uno con due dita.
«Okay.» Non seppe perché lo disse.
Andava tutto bene, era ovvio. Con
l'altro
braccio spinse sotto il
ginocchio piegato di lei, raddrizzandolo fino ad avere un polpaccio
sulla spalla.
«Aspetta...»
Scosse la testa. Chiuse come poteva la connessione tra
cervello e nervi del basso ventre, e con la spinta dei fianchi
iniziò a
imporre un ritmo.
Piano, ma non
troppo. L'importante era la costanza, la resistenza. Era
proprio quella che faceva fremere Makoto di disperazione.
«Gen...»
Lo so, lo so.
Anzi, no.
Si fermò e, sollevando il bacino unito di entrambi,
prese l'altra gamba di lei e la spostò sotto di
sé. In quella posizione non poteva sedersi e doveva
appoggiarsi completamente sulle ginocchia, ma non aveva importanza.
Erano incastrati
come due forbici. Sconvolta, Makoto piegò il torso di lato.
Lui le strinse una coscia contro lo stomaco, riprendendo a
entrare dentro di lei, trovando profondità nuove e ancora
più bagnate.
«Ah!»
gemette Makoto. Provò a coprirsi la bocca con le dita, poi
rinunciò a farlo e serrò i denti.
Lui tremò. Non l'aveva mai avuta tanto
completamente, tanto bene...
Rallentò il movimento e si impose un ordine. Costanza, ritmo. E
attenzione, perché appena riprese a immergersi nel corpo di
lei provò a capire dove fosse il punto giusto che-
Makoto ricadde con la testa sul letto, ansimando.
Lui capì di aver trovato la zona che cercava e,
concentrato, la
tormentò con perseveranza e forza contenuta.
Makoto spalancò gli occhi. Mise un palmo sulle
proprie labbra,
senza premere abbastanza da coprire i suoni. Con l'altra mano
stava per strappare la federa del cuscino.
Su di sé Gen cominciò a sentire la morsa
di
muscoli spugnosi
che si stringevano. Cambiò l'angolazione, di pochissimo, per
provare a sfiorarla sul clitoride col pube.
Makoto sobbalzò col bacino, gridò. In
risposta il suo ventre lo attanagliò con una tale forza
che... Il nodo di
muscoli si sciolse e pulsò forte intorno a lui. A occhi
chiusi Gen
seguì l'estasi di quel ritmo, serrando i denti, provando a
non perdere.
Solo un altro po', resisti!
Lo aiutò ad andare avanti l'incredulità
dei gemiti di lei, che Makoto stava provando a tenere bassi in mezzo
alla corrente di follia. Erano suoni di abbandono totale, di
rapimento.
Lei ne ruppe uno più alto, capitolando di nuovo, e
Gen seppe che poteva lasciarsi andare. Le sue anche non gli
appartennero più: cercarono più
frizione, più pressione, e altro calore in lei, premendo.
Dentro Makoto erano
sensazioni massime: non c'era nessuna plastica a impedirgli di sentire
che lei era la cosa più perfetta e assoluta, la
più magnifica che...
Aprì gli occhi mentre si liberava. La vista di
Makoto sdraiata su un fianco, che ancora tremando lo guardava, fu il
pugno
definitivo per lui, o forse la carezza finale. In lei
rilasciò tensione, controllo,
volontà. Se ne andò tutto quanto, salvo la
soddisfazione immensa di sentire quanto di umido e denso le stava
immettendo in corpo.
Con le membra prosciugate di forze, faticò a
districarsi dalle sue gambe senza schiacciarla. Si
aiutò con
le braccia per spostarsi di lato e sdraiarsi sulla schiena.
Lo invase la più grande
sensazione di benessere che avesse mai conosciuto.
Inerme, per lunghi momenti, respirò beatitudine.
Accanto a lui Makoto ansimava forte.
Qualcosa gli toccò un braccio: lei si stava
spostando sul materasso.
Lui trovò la forza di voltare la testa.
Makoto lo
guardava, in ansia.
«... cosa?» le domandò.
Riuscì a
rotolare
su un fianco.
Lei aderì al suo corpo, abbracciandolo.
Gen la coprì con una mano sulla schiena.
«Cosa?» domandò di nuovo. Mosse le dita
sulla pelle di lei, cercando un
brivido, una risposta.
«... niente.» Makoto appoggiò
la
guancia contro il suo petto e gli circondò un fianco con la
gamba, cercando...
Lui ebbe un dubbio. «Non ti è
piaciuto?» Non aveva senso.
«No, certo. Ma mi mancava...
questo.»
Stare abbracciati?
Comprese. Quella
era una reazione normale: le donne
volevano spesso essere abbracciate alla fine, soprattutto quando il
rapporto era stato intenso.
«Certo» le disse all'orecchio, combattendo
contro un attacco di sonno.
Strofinò la guancia contro la
tempia di lei, riempiendosi le narici del suo profumo, ora mischiato a
quello di un
lieve sudore. Era stato lui a causarlo.
Makoto sollevò la testa. Aveva ancora uno sguardo
che si
attendeva qualcosa.
Gen glielo diede con un bacio leggero, che
lei
continuò e aprì in un sorriso felice, finalmente
appagato.
Era quella la contentezza che lui voleva vedere nel suo
viso. «Ti
amo» le disse.
Avendo sentito tutto quello di cui aveva bisogno, Makoto si
rifugiò contro di lui. «Anche io.»
Riposarono.
Makoto terminò di versare lo strato di cioccolato
sopra la torta che aveva preparato per la famiglia Masashi. Le mancava
da aggiungere una
spruzzata di palline bianche per creare un disegno e la
scritta, "Buon compleanno,
Gen!"
L'idea la faceva fremere di gioia.
In bagno l'acqua smise di scorrere. Gen aveva terminato di
farsi la doccia.
Lei si era fatta il bagno solo la sera prima, ma aveva dovuto
ripeterlo quella mattina. Due sessioni di soddisfacente
intimità
tendevano ad avere degli effetti sul fisico di una persona. Di uno si
era resa
conto solo di recente: la volta che lei e Gen avevano usato il
preservativo, non aveva dovuto curarsi di cosa sarebbe... be', di cosa
sarebbe uscito
da lei
dopo essere entrato. Come una sciocca, si era autoconvinta che il suo
corpo avrebbe assorbito qualunque inconveniente.
C'erano altre cose che non sapeva?
Magari poteva parlarne con Rei, e
soprattutto con Usagi. Forse Ami avrebbe saputo consigliarle un buon
libro in merito.
Di certo Gen aveva esperienza - troppa per lei. Non
si era ancora fatta un'idea chiara di cosa aveva provato
con lui un'ora prima, su quel letto.
Due orgasmi, ovviamente. O forse era stato uno solo con
due picchi, ma
comunque l'esperienza era stata...
Strofinò le cosce tra
loro, sentendole molli. Ricordava ancora
l'intensità delle contrazioni del ventre, la ferocia della
stretta ritmica dei muscoli.
Chiuse gli occhi.
Aveva urlato. Le mura del suo appartamento non erano
spesse, i vicini
potevano averla
sentita.
Sprofondò nella vergogna.
Se una cosa simile si ripeteva, lei doveva... Be',
innanzitutto doveva far capire a Gen come si era sentita.
Provare
tanto piacere era una cosa buona, sconvolgente, meravigliosa, ma...
Qualcosa in lei - una parte forte di lei - aveva preferito l'esperienza
quando c'era stata meno tecnica e più sentimento. Forse per
Gen
c'era stato tanto sentimento comunque, ma a lei erano mancati gli
abbracci,
guardarlo negli occhi, baciarlo mentre non pensavano a niente nel
diventare una cosa sola, stando in completo contatto.
Invece quella mattina lui era rimasto molto concentrato.
Più
che su di lei, sulla posizione dei loro corpi, su cosa fare e quando
farlo. Era riuscito molto bene nel suo intento, ma... Non
era
così che lei voleva fare l'amore con lui. Quelle
erano situazioni che potevano riproporre tra loro tra qualche tempo,
qualche
volta.
Guardò la porta del bagno.
Non voleva scontentarlo, ma ci teneva a fargli
capire quanto avesse apprezzato le loro esperienze precedenti. Lei non
aveva bisogno
di sforzidi grandi tecniche. Trovava importante avere l'abbandono
di lui, tutta la sua testa, senza immaginare nemmeno per un istante che
Gen stesse consciamente usando arti che aveva imparato con altre
persone.
Voleva averlo tutto per sé. Voleva essere
speciale
e unica ai suoi occhi, in ogni modo.
La porta del bagno si aprì. Gen uscì con
un asciugamano in testa. «Anche oggi i miei
capelli hanno un profumo da donna.»
La connessione la intenerì. Avere qualcosa
di suo
su di lui. «La prossima volta posso comprare uno
shampoo da uomo.» Si bloccò.
Aveva appena detto che gli avrebbe preso qualcosa da tenere
nel suo appartamento, di fatto legandolo a quella casa.
Lui non comprese i suoi dubbi. «Prendo io lo
shampoo. Se c'è un buco in quell'armadio, ti lascio un
cambio di
emergenza, così posso venire a passare la notte qui senza
troppi piani.»
Lei si alleggerì di un peso. «Pensavo
che... Di solito a un ragazzo non piace quando lei cerca di parlare di
cose come spazzolini, o vestiti da tenere in casa...» Gli
uomini si
sentivano ingabbiati.
Strofinando la testa umida con l'asciugamano, Gen rise.
«Tu guardi
troppi drama.»
Eh no, non era così ingenua. Quelli non erano
concetti che esistevano solo negli sceneggiati. «Tu non ti
sei
mai sentito così?»
Gen prese la domanda sul
serio. «Sì. Ma questa volta ho chiesto io
un posto
nell'armadio.» Si avvicinò e la
baciò velocemente sulla bocca. «Se cominci a
sentirti
intrappolata, dimmelo.»
Felice, lei si allungò a prendergli il phon.
«Ecco.»
«Grazie.» Lui fece per tornare
in bagno, poi si fermò. «Ascolta... hai tempo
prima di
pranzo?»
Naturalmente sì, quella giornata era dedicata a
lui.
«Per cosa?»
«Vorrei andare al cimitero, a trovare mio
padre.»
Makoto lo guardò negli occhi. Gen
abbassò i suoi verso il pavimento. «Ho
pensato...
Voglio andarci oggi, prima di tornare a casa. Con te, se
non è una cosa pesante.»
«Certo» disse lei.
Aspettò di vederlo alzare la testa per sorridere.
«Vengo sicuramente.»
Sollevato e ancora incerto, Gen si diresse verso il bagno.
«Asciugo i capelli.»
Lei annuì e lo lasciò andare via.
«L'anno scorso ho ricevuto una moto per il mio
compleanno» le raccontò Gen, in macchina.
«Era da parte di entrambi i miei genitori, ma era mio padre a
sapere quanto ci tenessi. Stavo risparmiando per comprarla. Lui mi
aveva detto che dovevo farcela da solo. Poi quella mattina mi porta
sulla strada fuori casa, mi dà delle chiavi in mano e mi
indica la moto. Pensavo che stesse scherzando. Mi sono sentito...
Come un bambino, credo. Sai, quando sei ancora sicuro che possono
arrivare sorprese
enormi che non ti aspetti? Man mano che passano gli anni, ti rendi
conto che devi lavorare per ottenere quello che desideri,
però,
a volte, chi ti vuole bene riesce a farti ricordare il
passato.»
Makoto annuì. Le si spezzò cuore pensando che
lui aveva dovuto vendere quella moto pochi mesi dopo, per racimolare il
denaro necessario per mantenere la propria famiglia. Ma a Gen
non
sembrava importare. Di prezioso gli era rimasto quel
ricordo. Lui sorrideva pensandoci, guardando oltre il
parabrezza.
«I miei hanno litigato a marzo. Erano in
una fase di
stagna: mia madre si lamentava che non uscivano mai, perché
mio padre era
sempre
stanco per fare tutto quando tornava dal lavoro... Era vero, a volte
lui era in coma
e trovava le energie solo per mettersi davanti alla tv. Ha
lavorato tanto per finire di pagare la casa. Mi ricordo di quanto i
miei genitori fossero
tesi allora e poi di come abbiano fatto pace. Non so in che
modo.»
Rise.
«A partire da aprile, papà ha rallentato il ritmo.
Si
è preso più giorni liberi. A giugno lui e mia
madre hanno
fatto una vacanza di due settimane. Io sono rimasto a casa a
occuparmi di
Shori e Miki. Mi sentivo così adulto e
responsabile.» Il suo nuovo sorriso fu amaro,
ironico.
Gen divenne quieto. «Gli ultimi mesi sono stati
buoni per papà.» Si immise nella strada
di ingresso al parcheggio del cimitero.
Makoto non disse niente quando trovarono posto e iniziarono a
scendere calmi, senza fretta.
Fece il giro del furgone. Gen l'aveva aspettata per cominciare
ad avanzare.
«Tornerò questa domenica»
continuò lui. «Con mamma, Shori e Miki. Ma prima
volevo...»
«Oggi è una giornata speciale.»
Gen annuì. La guardò e si accese un
poco. «Tante
cose sono cambiate nella mia vita.» La prese per mano.
«Volevo che lui vedesse la più
importante.»
Le indicò con la testa la direzione su cui
incamminarsi e Makoto lo
seguì.
Il cimitero era un posto vasto, sobrio e calmo. Era simile -
pensò lei - al luogo in cui erano
stati seppelliti simbolicamente i suoi genitori, nella prefettura in
cui
avevano vissuto insieme. Sua nonna riposava in un cimitero
più
piccolo invece, proprio lì a Tokyo.
Makoto non andava spesso a trovarla. Davanti alla
lapide il vuoto che aveva sentito era stato feroce in passato, ma a
nonna Junko era sempre piaciuto vederla sorridente. Makoto pensava a
lei
quando le cose andavano bene; le sembrava il modo più giusto
per ricordarla e onorarla.
Le mancavano i suoi genitori. Nonostante tutti gli
anni che erano passati, la loro
morte non era ancora un evento chiuso nella sua testa. Forse
perché non c'era stato un saluto, né
un'avvisaglia di
quello che sarebbe successo - un orribile incidente aereo. Ricordava i
loro abbracci, quando poteva. Sempre più spesso immaginava
di
poter tornare indietro e dire loro addio, per fissarsi in testa i loro
volti mentre le trasmettevano con una sola espressione quello che
avevano
provato per lei in dieci anni di vita.
Con Gen camminarono lungo stradine ordinate, su un percorso
che lui conosceva a memoria.
«Ecco» disse infine lui, lasciandola
andare e
ponendosi in
piedi da solo davanti a una lapide circondata da piccoli fiori
colorati. La contemplò.
Makoto rimase indietro, a leggere la scritta.
Akito Masashi
Data di nascita e di morte. Poche cifre che racchiudevano una
vita colma di
esperienze: amori, dolori, errori, vittorie, impegno, lavoro. L'intera
esistenza di una persona che
era riuscita a circondarsi di una famiglia.
Padre e marito amato
Fece un passo verso Gen e lui incrociò il braccio
col suo,
senza chiudere la stretta. Lei gli sfiorò le dita.
«Makoto» mormorò
lui. Non si era rivolto a lei, stava facendo un discorso silenzioso.
Makoto lo sentì emettere un sospiro debole e adagiò
la
testa contro
la sua spalla, accarezzandogli il braccio con entrambe le
mani. Lui piegò la faccia verso i suoi capelli.
Lei non lo sentì piangere, ma seppe che lui lo
stava
facendo, che stava ricordando e sentendo, ancora una volta, il dolore
per
tutto quello che non avrebbe mai più vissuto con suo padre.
In piedi su quel prato, lei lo accompagnò nella sua
sofferenza.
Di pomeriggio Makoto si ritrovò da sola, con una
nuova piccola torta già preparata e
Gen che era tornato a casa a festeggiare con la sua famiglia.
Era giusta la breve separazione, per poi rivedersi solo quella
sera. Nemmeno Gen aveva capito di aver bisogno di un po' di spazio, ma
Makoto lo aveva intuito al posto suo: lui aveva già fatto
molto nel soffrire con lei per una perdita tanto personale.
Prese il comunicatore Sailor.
Aveva voglia di parlare con... «Usagi?»
Il volto di lei apparve sul piccolo schermo.
«Mako-chan! Come stai?»
Era contenta di non averla allarmata.
«Scusa se sto usando il comunicatore per chiamarti,
ma...»
«Figurati! Sono utili, no? Poi non mi avresti
trovata in casa. Sono in giro a fare shopping!»
Oh. «Dove?»
«Qui a Juuban! Vuoi raggiungermi? Mi sto prendendo
una fetta di torta al Crown.»
Non avrebbe potuto chiedere di meglio.
«Sarò lì tra poco.»
«Magnifico, ti aspetto!»
Entrando nel locale, Makoto avvistò Usagi ed ebbe
la
sensazione
di vedere al contempo la ragazza che conosceva e una persona nuova.
Usagi Tsukino sorseggiava un frappé da una cannuccia - un
gesto
usuale per lei - ma guardava fuori dalla finestra, assorta e grave in
volto. Aveva preoccupazioni ed esperienze che non poteva più
permettersi di dimenticare.
Era passato tanto
tempo da quando erano venute per la prima volta in quel posto, entrambe
ragazzine delle medie oppresse da un destino più grande di
loro, ma ancora spensierate.
«Usagi-chan.»
Lei la vide e si illuminò.
«Makoto!» Balzò in avanti.
«Che bello
che tu sia qui!»
Usagi la faceva sempre sentire come se fosse un regalo alla
sua giornata. «Siamo fortunate ad essere entrambe libere
oggi.»
«Eh, già.» Usagi si sedette al
suo fianco.. «Uno
penserebbe che durante le vacanze ci sia solo tempo libero, ma Rei si
sta buttando sullo studio per l'esame di ammissione, Minako
è in
giro a diventare una stella ed Ami... hai sentito? È in Italia.»
Quello sì che si chiamava un uso intelligente dei
loro poteri sovrannaturali.
Usagi sospirò. «Peccato che Mamo-chan
stia già
lavorando, altrimenti tutti insieme avremmo potuto... Sai, nascosti in
un angoletto del bosco Hikawa» si avvicinò fino a
sussurrare, «noi trasformate in guerriere Sailor e pam!
Teletrasporto! Ci saremmo trovati tutti nel posto dei
nostri
sogni.»
Makoto sorrise. «Non saremmo stati d'accordo su un
solo luogo.»
«Hai ragione. Io in questi giorni ho voglia di
spiaggia!»
Usagi era senza dubbio una creatura estiva. «A me
invece non sarebbe
dispiaciuta una baita in montagna. Magari in
Europa...»
Tra alte vette innevate, al caldo davanti a un camino...
Usagi rilasciò un sospiro felice.
«È così
bello sognare, ma soprattutto sapere di poter rendere quei sogni
realtà.» Riflettendoci, lei si intristì.
«Cosa c'è che non va? Il tuo
matrimonio?»
Usagi glielo confermò con un cenno della testa.
«Non è una
felicità completa
finché sono costretta a nasconderla. Sabato ne
parlerò a
mamma e
papà. So già che mio padre non reagirà
bene,
ma anche
mamma ha cominciato a farmi strani discorsi... Mi ha parlato
dell'importanza di
aspettare e darsi tempo quando una coppia
è giovane.»
Era naturale. «Non scoppieranno di
felicità
all'annuncio, Usagi, ma è meglio che lo sappiano comunque.
Come mai
state aspettando per dirglielo?»
«Mamo-chan non riesce a tornare a casa a un'ora
decente in questa settimana. Lo stanno uccidendo di lavoro.»
Giusto. E, se ricordava bene, in quell'ufficio Mamoru aveva
già
ottenuto tutta
la comprensione possibile nell'ultima settimana di dicembre -
durante le battaglie - con assenze o uscite anticipate. Non
c'erano alternative, dunque. «Rei mi ha detto che cenerete a
casa
dei tuoi sabato.»
«La sera della verità»
annuì Usagi.
«Mi innervosisce non poter dire niente prima. Devo
stare attenta a togliere e a rimettere l'anello.» Ci
giocò
in quel momento, accarezzando i due piccoli diamanti.
«Inoltre...
Mi sembra di avere dentro questa cascata di felicità da
tenere
bloccata a tutti i costi. Oggi ho provato a sfogarmi con gli
acquisti.»
Giusto, Makoto aveva visto i sacchetti.
«Che cosa hai
comprato?»
Usagi li aprì senza entusiasmo. «Cose
carine, ma non
speciali.» Le mostrò una camicia bianca, con un
bello
scollo a V, decorata con un filo rosa sul colletto. «Poi
c'è questa gonnellina.» Era un capo bordeaux, la
tinta
unita e scura inusuale per Usagi.
«Hai bisogno di idee?» tentò
Makoto. Provò
a darle la sua. «Io stavo pensando di andare...» si
guardò attorno, controllando che fossero sole,
«ehm, in un
negozio di biancheria intima.»
Usagi spalancò gli occhi. «Oh,
ah! Aspetta! Dov'è Gen?»
«Ehm...» Naturalmente era stata
individuata subito la ragione della sua idea.
«Voglio dire, perché non sei con lui?
Oggi non è il suo compleanno?»
«Sì, siamo già stati insieme
questa mattina.
Adesso Gen è con la sua famiglia, ci rivedremo questa sera.
Ceniamo fuori.»
Usagi rilasciò un sospiro. «Per fortuna!
Pensavo che aveste litigato.»
Davano quell'impressione?
Usagi sbatté una mano in aria. «Nahh,
sono io che di
solito mi innervosisco in queste occasioni! Sai che non do mai il
tormento a Mamo-chan, ma quando arriva il mio compleanno...»
Sì, lo sapeva. Usagi tendeva a crearsi molte
aspettative, ma soprattutto a pretendere che Mamoru le indovinasse
tutte.
Makoto sorrise. «Va tutto bene tra me e Gen. Solo
che...»
Usagi si sporse verso di lei. «Solo che,
cosa?»
Usagi sarebbe stata la voce dell'esperienza. «Ecco,
ti
è mai capitato che Mamoru...» No, non voleva
immaginare lui, solo attingere dalla conoscenza di Usagi in
fatto di relazioni. «Ti sei mai sentita come se voi due
aveste
vissuto insieme una cosa bella ma che ti ha lasciata...
stranita?»
Serafica, Usagi sbatté le palpebre, in attesa di
sentirla elaborare.
Makoto si rannicchiò nelle spalle, imbarazzata.
«Mi riferisco a una cosa....
sessuale.»
Usagi spalancò la bocca, incredula.
Ehi, stava ridendo di lei!
«No, no!
Non rido
perché...» Usagi si fece
ancora più vicina. «Wow. Così
presto?»
Makoto ebbe l'impressione che si fossero comprese benissimo
sull'argomento. «Già.»
«Per forza. Gen saprà tante di quelle
cose...»
Era
stata Usagi a chiedergli assieme a Rei quante ragazze lui avesse avuto
in passato, durante una specie di terzo grado che Gen aveva accettato
solo perché aveva fatto a sua volta domande sulla loro
condizione di Sailor.
Usagi rimuginò. «Ma cosa ti ha
fatto?»
Makoto combatté con tutte le proprie forze per
frenare
il
rossore. «Non è... cioè, tutti e due...
Era solo
una posizione strana.»
«Da dietro?»
Non avrebbe mai immaginato Usagi tanto diretta su
certe questioni. «Veramente...»
«La prima volta che Mamo-chan l'ha fatto, non sapevo
cosa
pensare. Perché era stato quasi impersonale,
però-»
Sì! «Impersonale! Come se fossimo
più due corpi invece che io e lui.» Ma come
stava
parlando?
«Ma certo.» Usagi era comprensiva.
«Però,
allo stesso tempo, è stato più intenso di tutte
le volte
precedenti, no?»
Lei non voleva pensarla così. «Intenso
come
sensazioni, ma come sentimenti...»
«Sei solo confusa, Mako-chan. Quando non lo guardi
negli occhi, non sai
cosa sta pensando lui e sei sola con te stessa. Per questo le
sensazioni
sono più forti: niente ti distrae. Se non lo conosci ancora
bene, può sembrarti che sia solo un esercizio fisico,
però... Mamo-chan mi ha detto che era come un regalo, per la
fiducia che gli stavo dando. Quindi per lui c'era ancora più
emozione.»
Sorpresa, Makoto valutò la nuova
prospettiva.
«Ma se Gen avesse aspettato qualche altra
settimana»
continuò Usagi, «tu non ci staresti pensando
tanto. Almeno
ne
è valsa la pena?»
Per il modo in cui sorrideva, Usagi
sembrava già conoscere la risposta.
Makoto sentì un gran
caldo al viso. «Sì, anche se non
è stato...
da dietro.»
«Oh. Cioè?»
Sotto la linea del tavolo, Makoto usò le dita di
due mani per dimostrare.
Usagi si era sporta in avanti. «Ah, sì!
Lo
abbiamo fatto!»
Makoto avvampò. Dubitava che in due anni e mezzo ci
fosse qualcosa che Usagi e Mamoru non avessero fatto insieme.
«In quella posizione c'è molta pressione
su...»
Usagi smise di parlare e rise. «Dài, ti prendo in
giro! Non scenderò così nel dettaglio. Comunque
non fare
quella
faccia: ormai sei entrata anche tu nel club di noi pervertite. Manca
Minako, poi devo solo convincere Ami a lasciarsi andare e...»
Il capo di quel club sembrava proprio Usagi.
Usagi le sparò con una mano, imitando la loro amica
venusiana. «Ehi, è
stata tua l'idea del negozio di biancheria intima! Ed è
ottima!
Ecco dove posso prendere qualcosa di speciale! Magari proprio per il
matrimonio.» Occhieggiò le proprie buste.
«Hai
fame?»
«No, ma...»
«Allora andiamo! Ti offro qualcosa per strada, ho
deciso cosa voglio prendere!»
Ridendo, Makoto si ritrovò trascinata fuori
dal Crown.
Era entrata una sola volta in quel negozio. L'aspetto
sofisticato le aveva fatto
pensare a prezzi elevati, ma soprattutto a uno stile lontano da lei: in
passato non le erano serviti capi sensuali, fatti
per attirare l'attenzione. Solo di recente aveva provato qualche
acquisto azzardato in fatto di biancheria, una scelta vincente: almeno
aveva
avuto qualcosa da indossare durante la sua prima notte
con Gen.
Oltrepassò le porte, curiosa, ammaliata dai colori
tenui e dalla disposizione ordinata degli indumenti. Ogni modello aveva
il suo stand e perciò risultava ancora più
prezioso
alla vista. Provò a guardare qualche etichetta, controllando
le taglie. Le sue speranze si
infransero contro un muro di delusione. Si era dimenticata del
suo
solito problema: non era semplice trovare biancheria intima della sua
misura.
«Coppa D?» La commessa fece una smorfia
davanti alla domanda.
«Non abbiamo molto qua fuori, ma forse in
magazzino...»
Quasi sicuramente neanche in retrobottega avevano qualcosa, ma
Makoto volle tentare comunque.
«Se potesse aiutarmi...»
«Vedo cosa posso fare.» Solerte, l'addetta
al negozio sparì.
Makoto si unì a Usagi. Deliziata, lei toccava tutti
i modelli; poteva permettersi di indossarli.
«Ah!» Usagi teneva tra le mani un
reggiseno di pizzo azzurro. «Com'è carino
questo!»
«Sicuramente ti sta.» Makoto era invidiosa.
Usagi notò il suo sospiro. «Come mai
questa voce?»
«Scusami, è solo che... mi piace tutto,
ma non mi entra
quasi niente. La commessa è andata a vedere se trova
qualcosa
per me.»
«Ohhh.» La delusione di Usagi fu quasi
pari
alla sua. Poi le guardò il seno.
«Be', pensandoci, non è facile
compatirti.»
Makoto si imbronciò. «Non ha senso che
sia bello se non posso vestirlo bene.»
«Su, ogni
donna ha
qualcosa per cui
soffrire! A me stanno tutti questi» Usagi le
indicò con
la mano
larga
ogni reggiseno del negozio, «ma continuo a desiderare che
mangiando mi cresca la ciccia sul petto. Poi ci sei tu che non hai
bisogno
di altro volume, ma desideri ardentemente modelli che ti donino e che
non
trovi.» Usagi si accese come una lampadina. «Chiama
Ami!»
«Eh?»
«All'estero la tua taglia non è
più comune? Chiedile di prenderti qualcosa come
souvenir!»
Oh.
Magari non come souvenir, ma se avesse detto ad
Ami che le
rimborsava la spesa... Già, l'idea di Usagi era geniale.
«Hai ragione!» Lo avrebbe fatto una volta tornata a
casa.
Usagi stava già pensando ad altro. «Hai
visto se c'è una parte dedicata ai corredi da
sposa?»
Le sembrava di aver visto molto bianco su una parete.
«Là sul retro.»
Usagi sgusciò via proprio mentre tornava la
commessa.
«È il suo giorno fortunato!»
Makoto non credette alle proprie orecchie.
«Davvero?»
La signorina annuì. «La nostra nuova
manager ha deciso
di variare il campionario. Ha la sua stessa taglia, sa? Ha
pensato di specializzare il nostro negozio offrendo una maggiore
varietà nella dimensione delle coppe.»
Oh! Se le avesse fatto vedere qualcosa che non fosse di cotone
e a
tinta unita, avrebbe fatto di lei una loro cliente per la
vita!
La commessa la condusse al bancone. «Sono solo una
decina di modelli, ma spero che siano di suo gusto.»
Per Makoto dieci era come dire mille.
Quando avvistò
il modello in seta nera con fili d'argento, seppe di aver trovato
quello che
faceva al caso suo.
«È proprio bello» Usagi
guardava con aria sognante il suo sacchetto chiuso.
«Lo so.» Raramente Makoto era stata tanto
soddisfatta di un acquisto. «Anche il completino che hai
preso tu è bellissimo.»
«È solo il primo di una lunga
serie.» Usagi sollevò il pugno in aria, poi si
sgonfiò come un palloncino. La sua andatura perse la cadenza
del salto e Makoto seppe che stava per sentire qualcosa di serio da lei.
«Tutti i soldi che ho vengono da qualcun
altro, sai?» Usagi guardò mesta il marciapiede.
«Se
li finisco, l'unica scelta che ho è chiederne altri. Non li
ho guadagnati.»
Era normale, lei era ancora giovane.
«Mi sto per sposare, Mako-chan. Dovrei essere in
grado di mantenermi da sola almeno per le piccole spese.»
Questo era vero. «Stai pensando di trovare
un lavoro?»
«Luna dice che non è una buona idea
adesso. Sarò impegnata a organizzare il matrimonio,
però...» Usagi scosse la testa. «Non lo
so, ci
devo pensare. Mi sembra importante cambiare la mia
situazione.»
«Quando andrai all'università, avrai
più tempo.»
«Hai ragione.»
Makoto ebbe voglia di abbracciarla. «Sei matura
già nel capire l'importanza di
lavorare.»
«Ma è giusto che stia pensando solo a me
stessa?
Dopo tutto quello che è successo?»
Aveva davanti una futura regina ora.
«Hai sacrificato tanto. Hai bisogno di riconquistare un po'
di serenità.» Le massaggiò la schiena.
«Non c'è qualcosa che adesso tu possa fare per il
mondo,
perciò non c'è niente di male se pensi a
rilassarti
e
al matrimonio che sogni da sempre.» Guardò Usagi
negli occhi e per un momento, ancora una volta, non le parve vero.
«Usagi-chan. Stai per sposarti.»
Riaccese la gioia di lei. «Ti ricordi?»
Usagi
tremò col sorriso. «Quella volta abbiamo comprato
una rivista per spose; abbiamo commentato le pagine tutto il
pomeriggio!»
Makoto aveva in mente quella giornata lontana come se fosse
ieri.
«Adesso per te è un desiderio che sta diventando
realtà.» Chiuse Usagi in un
abbraccio forte. «Te lo meriti. Tra qualche giorno
penserai al resto, ma per ora... permettiti di essere felice.»
«Non farmi piangere!»
Si staccarono ridendo, con Usagi commossa. «Non
voglio essere la sola che sta bene! Ci ho pensato e ho capito meglio
cosa volevi dirmi prima.»
Oh? Si riferiva al discorso a...?
«Imponiti, Mako-chan!»
«Eh?»
«Scommetto che stai cercando di essere tanto dolce e
carina con Gen. È il tuo solito blocco, ma tu sei
più di questo! Non frenarti, mostrati come sei. Vedrai che
così ti sentirai padrona
della situazione. Farai cose ancora più perverse senza
vergognartene!»
Makoto controllò disperata i loro dintorni.
«Shh!»
Usagi ridacchiò. «Mi
ascolterai?»
«Ah...» Se l'aveva capita bene,
sì, ma... «Non è che mi freni di
proposito.»
«Certo, certo. Lui ha più esperienza, ma
tu
hai forza di volontà. Inoltre, ora sai quanto possa essere
piacevole essere sopraffatta dalle sensazioni. Fallo a lui.»
Makoto ebbe un ricordo e si leccò un labbro.
«In realtà...»
Usagi spalancò gli occhi. «Lo hai
già fatto?»
Be', sì. «Durante la prima
notte.»
La risatina di Usagi fu deliziosa. «Ti ho
sottovalutata!»
Nelle vene Makoto sentì scorrere una sensazione di
potenza quasi dimenticata. «Hai ragione. Ascolterò
il tuo consiglio.»
«Ascolta solo la tua natura. Stanotte vinceranno le
donne!»
Makoto preferì non chiederle cosa volesse
dire. Rise e continuò la sua passeggiata con lei.
Rivedendo Makoto quella sera, Gen rimase senza parole.
Sotto il capotto nero, che sottolineava la vita, non vedeva niente del
corpo di lei, ma nella luce della sera risaltava il
rossetto
rosso che Makoto aveva messo sulle labbra. Lei aveva sciolto i
capelli e
i suoi occhi verdi sembravano più accesi e brillanti
circondati com'erano di scuro.
Quando fu a pochi centimetri da lui, Gen si
aspettò di vederla arrossire e abbassare lo sguardo, ma
Makoto
lo fissò in aperta contemplazione. Gli mise una
mano sulla spalla e lo fece chinare, per baciarlo
su una guancia. Il colore della sua bocca
sottolineò il suo sorriso.
«Ho portato una cosa» gli sussurrò.
Lui non smise di guardarla in faccia.
Lei gli mise davanti agli occhi un piccolo panno. Glielo
appoggiò sulla guancia, strofinando piano la superficie
umida contro la sua pelle.
«Per pulirti quando servirà.»
Makoto tirò fuori anche un piccolo tubo
decorato, il rossetto incriminato. «Questo invece
è per sporcarti.»
Gen si fece rigido nei lombi. «Ah-ha.»
Makoto sorrise, tornando se stessa. «Dove
andiamo?»
«Di sopra?»
Lei scosse la testa. «Dopo.»
Sollevando le braccia, gli fece vedere i sacchetti di carta voluminosi
che lui non aveva neanche notato.
«Qui ci sono il
tuo regalo e la nostra torta. Andiamo a scartarli in un
ristorante.»
Infatti lui ne aveva scelto uno, ma in quel momento... Chiuse
gli occhi e provò a far funzionare il cervello.
«Va bene, andiamo.»
Mentre si voltava per fare il giro del furgone, Makoto lo
afferrò per un braccio. «Ti ho colpito?»
Lui adorò quella domanda.
«Sì.» Si chinò per avere un
bacio, ma Makoto si ritrasse.
«Pazienza.» Lei risplendeva.
«Sarà tutto migliore con un po' di
attesa.»
Incredulo, Gen le aprì la portiera. Makoto stava
cercando di... conquistarlo.
Cercando di non farsi vedere, sorrise felice mentre si
dirigeva dalla propria
parte della macchina.
«Sei tu a tuo agio qui» le disse, seduti
al tavolo del ristorante. Era un posto tranquillo, che fino a quella
sera lui aveva visto solo dall'esterno. L'atmosfera del luogo gli era
parsa
giusta quando un pomeriggio, fermo a un semaforo, aveva visto due
tavoli dalle finestre, entrambi occupati da coppie diverse in
età e aspetto, simili solo nell'atteggiamento
casuale
con cui si concentravano sul partner che avevano davanti. Un posto per
coppie, aveva pensato, e gli era venuta subito in mente Makoto.
Aveva provato a descriverle sommariamente il tipo di
ristorante. Lei ora si adattava al luogo meravigliosamente con il
vestito
semplice, nero, che le avvolgeva il corpo.
«Sembra che sia a mio agio?»
ripeté Makoto, tagliando con delicatezza la carne sul
piatto. «Mi piace sentirmi diversa a volte.»
Più che diversa, lei gli sembrava solo nuova. Ogni
volta che
credeva di averla capita, e di essere contento di quello
che aveva trovato, veniva sorpreso con la visione di un altro lato di
lei che ancora non comprendeva.
La luce negli occhi di Makoto non era cambiata. «Non
sembra che io stia recitando?»
Gli piaceva sedare quell'insicurezza.
«No.»
«Non ho avuto molto a che fare col mondo degli
adulti... Ma poi penso, 'Sono adulta anche io ormai'. Quindi oggi ho
voluto
mettermi queste cose che mi fanno sentire... come sono quando mi trovo
con te. Grande.»
Lui si riempì. Di cosa non lo seppe, ma 'amore' era
una parola troppo blanda. «Lo sei.»
Makoto sorrise. «Lo vedo quando mi guardi.»
Lei passava dall'incertezza a un tono da seduttrice nata che
gli stava facendo venire voglia di chiedere velocemente il conto.
Guardò il proprio piatto mezzo pieno e si
affrettò a terminare di mangiare.
«Oggi mi sono vista con Usagi.»
La ascoltò.
Makoto rifletté tra sé. «Lei
sta
cercando di pensare ai problemi di tutti i giorni, al suo matrimonio...
Ma si sente in colpa per non preoccuparsi di cose
più serie.» Makoto sapeva già che i
tavoli
accanto a loro erano occupati, perciò non entrò
nei dettagli. «Mi ha fatto pensare. Forse c'è
qualcosa di sbagliato nel modo in cui voglio affrontare i prossimi tre
anni della mia vita.»
Gen la fissò.
«Aprirò la pasticceria» gli
confermò Makoto. «Ma non so ancora di preciso
cos'altro
fare per prepararmi a quello che verrà dopo. Non
vorrei continuare ad agire come se, dimenticandomene, sarà
tutto a posto alla fine.»
Non c'era un commento che lui avesse da offrire su quella
faccenda.
Makoto studiava la sua reazione. «Non ne
parlerò molto
con te in futuro. So che...»
«Non hai bisogno di evitarlo.» Lui non era
così debole.
Makoto comprese la sua disposizione sull'argomento.
«Ci
penserò ogni tanto. A volte vorrò parlarne.
Siccome non avrò il ruolo di Usagi e non ho
capacità di comando come Rei, o l'intelligenza di Ami... non
sarà una cosa che entrerà tanto nella mia vita.
Non ho neanche la presenza di Minako, perciò...
dovrò trovare un mio posto all'interno di questo futuro.
Questo
non cambierà la mia esistenza di tutti i giorni, per adesso.
Forse sarò solo una ragazza che comincerà a
leggere molte riviste e a guardare programmi politici noiosi e
complicati.»
«Posso subire questa tortura con te.»
«Avrò paura di
opprimerti, Gen. Ma mi sembrava giusto parlarne, almeno una
volta.»
Se serviva a tranquillizzarla, lei aveva fatto bene.
«Non mi sottovalutare.»
«Non è così.» Makoto
scosse la
testa. «È solo una cosa che volevo dire. Io
sarò anche tutto questo in futuro, nel
bene e nel male.»
«Nel bene» precisò lui.
Lei fu felice. «E tu? Stai finendo il terzo anno.
Comincerai a cercare un lavoro nel tuo campo?»
Makoto stava cambiando argomento. Gen lo accettò.
«Col rimborso dell'assicurazione la mia famiglia
è al sicuro ora. Ma c'è la ditta di mio padre.
Ci sono Watanabe, Sato e Nakamura. Devo trovare qualcuno che mi
rimpiazzi nel gestirli.» Il pensiero non era piacevole come
aveva pensato
un tempo.
«Ti sei affezionato al lavoro? A loro?»
«Li conosco da una vita. È strana
l'idea di lasciar andare... questo.» Un altro pezzo di suo
padre, la ditta che lui aveva tirato su dal nulla e gestito per
vent'anni.
«Datti tempo.»
Sì, aveva bisogno di capire cos'era meglio fare.
Voleva sentire di prendere la decisione giusta per le persone di cui si
era reso
direttamente responsabile. «Devo pensare a loro.»
Makoto si incuriosì. «A loro tre va bene?
Non
ti hanno mai
visto come un bambino? In questi ultimi mesi, voglio dire.»
No. «È successo in fretta. Sono andato a
sostituire mio padre quattro giorni dopo che lui se n'era andato.
Non c'era nessuno che sapesse posare un parquet e io avevo bisogno di
qualcosa da fare. Loro, di qualcuno che li guidasse.
Andava bene chiunque a quel punto: mio padre non era solo il loro
datore di lavoro,
erano amici da anni. Serviva normalità. Senza parlarne, ho
presto il suo posto e abbiamo provato ad andare avanti come se nulla
fosse cambiato.» Loro lo avevano sostenuto, senza
saperlo.
«Sei stato molto bravo.»
Avrebbe dovuto suonargli banale come complimento, ma gli
sembrò di sentirlo dire da un'altra voce - maschile e
più adulta - e si ritrovò con un groppo duro alla
gola.
Addolorata, Makoto cercò il suo sguardo. Lo
incrociò e provò a sorridere.
«Ho un negligée sotto il vestito.»
Gli sfuggì una risata incredula.
«Cosa?»
Lei arrossì. «Non so se si chiama
così perché è corto, comunque... l'ho
comprato oggi. L'ho indossato.»
I pensieri di Gen virarono in una direzione
completamente nuova.
«Ah-ha.»
Makoto afferrò la confezione in cui aveva chiuso il
suo regalo, usandola per coprirsi il petto. «Prima devi
aprire questo. E dobbiamo mangiare la torta.»
«Non sto dicendo niente» sorrise lui.
Lei era divertita. «Non hai bisogno di
farlo.» Appoggiò il regalo sul tavolo.
«Spero che ti piaccia. Ma se ho sbagliato, la prossima
volta farò meglio.»
«Non hai sbagliato.»
«Come fai a saperlo?»
«Quel regalo fa il rumore di matite che sbattono
l'una contro l'altra. A meno che non sia un set per
colorare...»
Lei si disperò. «Non è giusto!
Hai già capito!»
Non era un problema. «Farò la faccia
sorpresa quando lo apro. Tu tieni pronta una di quelle salviette,
dovrai pulirmi la bocca. Non sto bene col rossetto.»
Makoto ridacchiò e lui fu contento. Quello
era davvero uno dei migliori compleanni che avesse
mai trascorso.
Non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio.
Nella strada verso casa, con Makoto fecero un gioco: sulla
bocca
non erano
permessi baci, solo sfioramenti e respiri. Il collo invece era
territorio
libero. Fuori dalla porta di lei, Gen le massaggiò la
base della nuca con le dita, solleticando con le labbra la pelle sotto
il suo orecchio. «Perché non apri la
porta?»
Makoto non stava girando la chiave. «Mi
distrai.»
Lui rinnovò i propri sforzi.
Lei riprese il controllo della mano e fece scattare la
serratura. Entrando in casa, lo tenne lontano con le dita
aperte sul petto,
accendendo la luce. Si sfilò il cappotto, appendendolo
veloce alla
parete. Non smetteva di guardarlo e di sorridere
mentre toglieva le scarpe coi tacchi, perdendo quei pochi
centimetri che
l'avevano resa ancora più accessibile per lui.
Gen tolse a sua volta la giacca e si liberò dei
mocassini in cuoio.
L'attesa era migliore quando stava per essere annullata.
Avanzò mentre Makoto indietreggiava.
«Fino a dove scapperai?» le
domandò.
Lei scrollò le spalle. Rise nell'abbraccio con cui
lui la prese e
il bacio che
seguì... Gen si sporcò di rosso tutta la faccia,
volentieri. La cosa che lo eccitò di più non
fu il
sapore, ma i suoni che fece Makoto - respiri spezzati, gemiti sommessi
che
trasmettevano tutto il desiderio di lei. Il suo corpo era
morbido, perfetto contro di lui. Si focalizzò sulle
gambe
di lei - che non aveva mai
dimenticato - e con due mani cercò l'orlo della sua
gonna,
sollevandolo piano, accarezzando la carne nella salita.
Makoto si allontanò di nuovo, con una
macchia di colore sbiadita sulla bocca.
Sfatta di passione, lei era tremendamente bella.
Camminando all'indietro Makoto salì sul letto e lo
invitò ad avvicinarsi. Lui non se lo fece ripetere due volte
e la
raggiunse.
«Usa solo le mani» gli disse lei.
Un piccolo ordine che lo infiammò ancora di
più.
Acconsentendo a tenersi distante, riportò
le dita sulle sue gambe,
tirando su la gonna, lentamente. Voleva godersi il momento.
Gli venne un infarto
alla vista delle autoreggenti. Makoto si frenò dal
dire
qualcosa
- una giustificazione, forse. Ma quelle erano calze
normali e lui non avrebbe mai pensato che finissero sotto la coscia,
dove erano la cosa più sexy ed eccitante che...
Cambiò
idea quando le alzò il vestito oltre la vita, scoprendo
degli
slip di seta neri, con un piccolo gioiello sul ventre. Il tessuto era
identico sul negligée che dal petto si apriva a
metà sul suo stomaco, in due lembi volanti.
Makoto terminò di spogliarsi da sola,
sostituendosi
alle mani che lui aveva lasciato ferme sulla sua
vita. Accettò una carezza sul ventre,
rimanendo ferma.
Travoltò, Gen provò a farla
sdraiare, ma lei si oppose. «No.» Premette sulle
sue
spalle e li tenne entrambi dritti. «Prina togliti i
vestiti.»
Lui si liberò di camicia, cintura, pantaloni e
calze in
un tempo inferiore ai sette secondi.
Makoto rise di gusto. «Così va
meglio.» Aprì le braccia e lo accolse.
Sul letto ribaltò la loro posizione e gli cadde sopra.
Lui respirò l'odore dei suoi capelli.
«Sei così buona.»
«... come persona?»
«Buona da mangiare.»
Makoto rise e si sollevò su di lui, seduta.
Allungandosi di lato, accese la lampada e spense la luce sul soffitto.
Gen le accarezzò il ventre; l'ombelico era
incorniciato
da quel meraviglioso indumento aperto agganciato alle spalle da due
fili
neri, i seni sostenuti da un reggipetto nero. Makoto
portò un braccio dietro la schiena e fece saltare il
gancio. «Con questo negligée bisognerebbe
dormire»
mormorò, abbassando delicatamente le spalline del reggiseno,
facendo attenzione a non lasciar scendere la camiciola. «Ma
non
potevo andare in giro senza niente sotto.»
Il pensiero di lei seminuda gli tolse il fiato. La
afferrò forte
sui fianchi mentre Makoto si gettava alle spalle il reggiseno scuro.
Lei si abbassò e i suoi seni liberi lo
sfiorarono sul petto. Solo quel che le rimaneva addosso del
negligée separava
le loro carni.
Makoto gli passò le dita tra i capelli.
Sospirò mentre le mani di lui la percorrevano lungo il
torso,
salendo. «Aiutami a
togliere le calze.» Seduta su di
lui, portò le
gambe verso le sue spalle, appoggiandosi con tutto il peso del bacino
proprio sul suo basso ventre.
Lei notò la sua reazione.
«È piacevole?» Dondolò coi
fianchi sul rigonfiamento di lui.
Per Gen parlò la bocca aperta.
Senza dire niente, lei portò le mani alla fascia
scura della calza sulla gamba destra; cominciò a srotolarla
verso il ginocchio.
Lui la aiutò con l'altra gamba, passandole le mani
sulla coscia, scendendo sul polpaccio. A piede libero le
massaggiò la
pianta col pollice, causandole un sorriso.
«Soffri il solletico?» le
domandò.
Ricordò
l'ultima volta che l'aveva toccata in quel modo, per guarirle la ferita
causata da un coccio di ceramica.
«Non lì.» Makoto ritrasse la
gamba e si sollevò in ginocchio su di lui. Per la
prima volta, sembrò incerta. «Voglio fare una
cosa.»
Gen teneva le dita sull'elastico dei suoi slip. Lei
poteva pretendere il mondo in quel momento. «Cosa?»
«Questa volta voglio essere io quella che si
muove.»
Se l'aveva capita bene, l'idea era geniale.
«Certo.»
«Guidami, ma con le parole.»
Makoto infilò un dito sotto l'elastico dei propri slip,
trovando il proprio centro. A gola
secca lui si unì a quella carezza, lei che sospirava e
cominciava a muoversi contro la sua mano, facendosi sentire per intero,
bollente e già un poco umida. Makoto si adagiò
piano
sopra di lui, provando a togliersi confusamente le mutandine.
Gen non
la aiutò, continuando ad accarezzarla tra le gambe.
Con un sorriso spezzato, lei imprigionò la sua
mano accanto alla testa. «Faccio io.»
Lo baciò. Lui affondò nel calore delle sue
labbra, della sua lingua, finché il palmo di lei non lo
trovò sull'erezione e massaggiò. A occhi
aperti
sentì che Makoto passava a baciarlo
sulla guancia, strofinandoglisi addosso con tutto il corpo mentre non
smetteva di stimolarlo.
Lei cominciò ad abbassargli i boxer.
«Tira su il
sedere.»
Divertito, lui eseguì e cooperò con lei
per sfilare l'indumento, finché giunti alle
ginocchia ci pensò da solo.
Makoto si sollevò sulle braccia. Era
nervosa, ma
non disse una parola mentre si sbilanciava all'indietro e lo prendeva
in
mano, aprendosi per trovare il punto giusto di contatto, la propria
apertura - in quel momento il regalo più intimo che potesse
fargli.
Qualunque cosa
farai,
andrà bene. Lo avrebbe detto a voce in
un'altra occasione, ma la vide
così determinata che non le fece il torto di
rassicurarla o darle consigli. Makoto era dotata di un istinto
naturale
che doveva solo scoprire.
Anche lei resistette all'uso delle parole. Lo accolse nel
proprio ventre, abbassandosi piano.
Entrambi strinsero i denti.
Makoto aveva pensato che si sarebbe sentita al comando, forte,
ma in quella posizione era più scoperta e disarmata che mai.
Va bene?
Una donna sensuale, che conquistava, non lo avrebbe chiesto.
Studiò la sensazione di avere Gen in sé,
col peso del proprio corpo che premeva su entrambi. Non riusciva ancora
a racchiuderlo completamente; per quel minimo di esperienza che aveva
acquisito, sapeva che ci voleva più insistenza per trovare
un'unione completa.
Si sollevò su di lui e scese di nuovo. Era
eccitante vedere come Gen la guardava.
Ora ci riesco.
Con una terza spinta verso il basso
fece aderire completamente i loro bacini, una scoperta che la sconvolse.
Si era sentita come punta.
Forse, se andava avanti col peso...
Lo
strofinio sulla parte alta tra le gambe le fece sfuggire un ansito.
Aprì gli occhi.
Aveva il controllo di quel piacere, ma anche di Gen che
quieto, appassionato, la osservava. Per lui quell'ultimo movimento non
era stato altrettanto sconcertante.
«Fallo ancora» le disse lui.
Poiché le aveva chiesto di guidarla, Makoto
obbedì,
dondolando coi fianchi.
Serrò le palpebre mentre la mano di Gen la aiutava
a sostenere il peso del torso premendo su un suo seno, le altre dita
che la
cercavano sullo stomaco. Sorrise e gemette quando lui la
stuzzicò sull'ombelico.
«Qui invece provi solletico?»
Lei annuì a bocca aperta, spostandogli la mano.
Portò il suo palmo alle labbra, baciandolo.
Incapace di fermarsi, assaggiò la delizia estrema
dello sfregamento tra i loro corpi, dentro e fuori, trovando
un ritmo con le ànche.
Guardò Gen. Osservandolo in viso
trovò la volontà per smettere.
«Perché?» domandò
lui.
Lei appoggiò le mani sul suo stomaco.
«Non sono io che devo impazzire.»
Si sollevò e scese su di lui. Come premio
ebbe il
modo in cui Gen si tese. Inglobandolo di nuovo, fu attenta a
stringerlo
forte coi muscoli. Lui scattò ad afferrarle i fianchi, ma
lei
proseguì senza sosta, aumentando il ritmo quando lo vide
gettare
all'indietro la testa. Bramosa, si sporse in avanti e lo
mordicchiò sul
collo.
Gen la prese per la vita, per capovolgerla, ma Makoto
usò la propria forza e mantenne entrambi dove stavano, lui
soggiogato e a sua completa disposizione. «Senti
com'è»
mormorò, stringendolo dentro di sé, per
fargli capire quanto potere avesse su quello che lui provava. Quelle
sensazioni erano sue; lei poteva esaltarle, comandarle, per non farlo
più pensare a niente.
Non lo fermò quando iniziò ad
agitare i
fianchi, sollevandosi a ritmo con lei. Fu una reazione istintiva,
naturale, che la fece fremere in risposta.
Provò a chiudere gli occhi.
Sentì le mani di Gen sul torso, che prendevano
quella specie di negligée di seta, sollevandolo
fino a toglierglielo da sopra le braccia. Lui riprese a dondolare con
lei,
le mani strette sui suoi seni.
Makoto riuscì a mantenere un minimo di manovra, ma
erano in due a muoversi ora e gli strofinii contro il proprio bacino si
trasformarono in piccoli colpi, mentre le dita di lui sui capezzoli...
Invece di opporsi, si abbandonò e fece
pressione su ogni spinta.
Sentì la tensione di Gen, che sotto di lei
diventava rigido come una tavola prima di afferrarle i
fianchi e muoverla scompostamente assieme a lui.
L'orgasmo la
colpì feroce, rapido. Trovò immensa soddisfazione
nella possibilità di cavalcare al massimo ogni ondata di
piacere, con quasi totale libertà di movimento.
Le spinte si quietarono.
Gen era... stravolto. Tremava, ma lei non ebbe
pietà e continuò a strofinarsi su di lui, per
spremere gli ultimi brividi. Senza fiato, lui accennò a
ridere.
Lei si sollevò dal suo corpo. Senza accorgersene
gli cadde accanto, più stremata di quanto aveva pensato.
Sorrise contro la sua spalla, impossibilmente appagata.
«Sei una potenza»
fu il complimento di Gen.
Lei cominciò a sussultare per le
risate.
Lui si adagiò sul fianco.
«Dico sul serio.»
«Lo so.»
«Quando ti dai da fare...»
Non c'era bisogno di lodarla tanto. «Anche
tu.» Lo baciò leggera sulla bocca e
cercò un abbraccio, ubriaca di
felicità. Con due dita gli scostò i
capelli dalla fronte
lievemente umida.
Sedato, Gen la studiava. «Perché
stamattina non eri così?»
«Mi hai sorpreso.»
Adorava il modo in cui stavano parlando, a bassa voce, chiusi
in un mondo loro.
«Era solo questo?»
indagò Gen.
Mentre lo aveva davanti, lei esplorò la
profondità di dubbi che aveva cercato di non vedere dentro
se stessa. Confessò.
«Voglio che tu mi stringa e che mi guardi. Sempre.»
«Ti guardavo, Makoto.»
«Devi perderti con me quando siamo
insieme.» Come succedeva a lei. «Non pensare tanto,
non usare tecniche... Non troppe» sorrise. «Amami
quando sei con me.»
Gli causò una smorfia di sofferenza.
«L'ho fatto. Tutte le volte.»
«Stamattina... amavi quello che stavamo
facendo.» Naturalmente ne era innamorata anche lei, ma...
«Non sono ancora pronta per...»
«Okay. Ma ho sbagliato a non farti capire, non
a...» Gen intrecciò gli occhi coi suoi e
concentrato parlò.
«Adesso, che respiriamo. Prima, mentre ci muovevamo.
È come non smettere mai di ballare con te. Sono cosciente di
quello che fai, di quello che senti. Nella mia testa non ci sono
più solo io, è sempre una cosa... doppia. Tienilo
a
mente.»
Era finita in un mare, pensò Makoto, una landa
mobile
di felicità che la cullava nelle proprie onde. E non era
sola.
Abbassò le palpebre e appoggiò la fronte
contro quella di lui.
Il freddo della stanza cominciò a farsi sentire. Si
abbracciarono per tenersi al caldo.
«Non ho tanto sonno.»
«È presto» sbadigliò
lei. «Abbiamo mangiato da poco.»
«Tu hai
sonno.»
«No. Questo è... rimbambimento.»
«Cosa?» sorrise lui.
«Ha un nome? Lo conosco da poco, perciò
lo chiamo
così.»
«Non so se ha un nome. Quello che gli hai dato
è
buono.»
Makoto lo guardò in faccia e scoppiò in
una risatina.
«Cosa?»
«Il rossetto.»
Lui le strofinò una guancia. «Anche
tu ce l'hai.»
«Aspetta, prendo lo struccatore.»
«Non ti alzare.»
«Solo un attimo.»
Quasi saltellando, Makoto andò in bagno. Prese il
liquido struccante, dei dischetti di cotone e infine... Felice,
annodò attorno al polso l'elastico per capelli.
Tornò indietro. «Non è stato facile
evitare di farmi una coda stasera.»
«Stai bene.»
«Sono abituata a tenere i capelli legati.
Inoltre...» Gli mostrò la banda con le due sfere
verdi. Era stato lui a regalargliela, un mese prima. «Mi
piace ancora di più farmi la coda da quando ho
questo laccio.»
Gen soffrì, diviso tra tenerezza e rimorso.
«Devo farti regali migliori.»
«Era il primo.» Terminò di
pulirlo sulla bocca,
poi passò a togliere le tracce di colore dal proprio
viso. Tornò a
sdraiarsi accanto a lui. «Rimarrà un regalo
speciale.»
Lui provò a ricordare. «Mi sentivo in
colpa. Stavo cercando di non farti pensare che ero stato un
idiota.»
Perché l'aveva gettata a terra in combattimento?
Inconsciamente, era stato allora che lei aveva cominciato a
considerarlo come un potenziale fidanzato. «Io stavo cercando
di non
pensare che eri
giusto per me. Non volevo accorgermene.»
«Ah, sì?»
«Sei stato bravo a insistere.»
«Modestamente...»
Makoto appoggiò la testa sul suo petto. Sul cuore
di lui aprì una mano che Gen prese.
Con le dita danzarono un lento privo di ritmo, colmo d'intesa.
"È come non smettere mai di ballare con te."
Al ricordo di quelle parole, innamorata, si
addormentò.
4 gennaio
1997 - Giornata di
compleanno - FINE
NdA: in ritardo, ho finito questo episodio. Mi piace,
è venuto come volevo, come lo immaginavo da tanto tempo,
quasi da quando Makoto e Gen si erano appena messi insieme.
Dedico questa storia a chi ha amato questa coppia come me. In
particolare ricordo Rox, thembra, Morea. Ma sento che sto dimenticando
qualcuno (perdonate, è l'ora, l'una del mattino) e se
è
così sappiate che voglio
citarvi tutti quanti. Questi due sono insieme, con questo entusiasmo e
questa passione, anche grazie a voi, perché da principio con
Gen
ero convinta di aver creato un personaggio maschile semi-stereotipato,
che ho imparato ad amare anche grazie a come me lo avete fatto vedere
voi.
Un bacio.
ellephedre
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corrente naturale 2
Corrente
naturale
di ellephedre
4 gennaio 1997 - Giornata di
compleanno
Ogni volta che guardava la rosa rossa, Makoto
sospirava. Ne accarezzava i petali, si avvicinava per odorarne
il
profumo.
Ricordava le labbra di Gen sulle proprie mentre tenevano insieme lo
stelo
del fiore, attenti e delicati per non pungersi, nascosti in un angolo
della serra.
Era stato un momento perfetto, romantico come lei non avrebbe
mai
potuto immaginare.
Tutto il loro appuntamento speciale di quel martedì
era
stato
magnifico. Avevano chiacchierato per ore camminando tra i
padiglioni della fiera a cui lui l'aveva portata, mentre rimiravano
piante e mobili. Makoto aveva osservato il mobilio incantata, Gen con
occhio più clinico. Lui si era portato dietro un blocchetto
in
cui
aveva riprodotto i pezzi che aveva preferito, discorrendo poi della
qualità di materiale e forme. Era attento quando si trattava
di
ciò che poteva creare con le mani; non c'era dettaglio che
lasciasse al caso.
Nella parte botanica dell'esposizione, la gioia era stata
tutta di Makoto,
ma Gen era stato contento di seguirla. Aveva azzeccato il posto in cui
portarla e la sua gioia si era mischiata a una buona dose di
fierezza.
'Ho scelto bene, sono stato bravo'.
Makoto glielo aveva letto
in faccia più volte e ne aveva sorriso senza farne un
segreto.
Preso in giro, Gen aveva scrollato le spalle e l'aveva baciata tutte le
volte che lei si era trovata in bocca una battuta.
Makoto amava i baci, soprattutto quelli che si erano dati quel
giorno.
Sfioramenti di labbra morbidi, con assaggi accennati che preludevano a
un'intimità a cui non si erano potuti lasciare andare in
pubblico. La sensazione di piacere era stata più intensa del
normale, il desiderio più dolce e languido nella sua mente.
Per
lei quell'eccitazione era rappresentata dalla rosa, che era riuscita a
mantenere sana e vivace da quando Gen gliel'aveva regalata.
Se solo avesse
avuto
più spazio sul davanzale della finestra, avrebbe comprato un
vaso intero di quei fiori.
Per il futuro, decise, voleva un appartamento con balcone. La
sua casa
le era sempre piaciuta, così come la sua vita, ma... Ora
era
diventata avida di felicità e voleva di più. Se
lo
sarebbe guadagnato con la pasticceria che avrebbe aperto. Con duro
lavoro, creatività e impegno, avrebbe raggiunto i suoi
obiettivi.
I lavori nel locale erano ultimati, perciò era
tempo di
dedicarsi alla decorazione degli ambienti - una delle
attività
più divertenti che lei potesse immaginare. Le piacevano gli
oggetti
carini, aggraziati. Quelli per il suo negozio dovevano dare un'idea
di accoglienza e semplicità. Avrebbe trascorso
molti
pomeriggi a
cercarli, dopo la scuola.
Sospirò.
Aveva ancora diversi compiti da completare prima della fine
delle
vacanze. Il giorno precedente era riuscita a finire solo la
metà
degli esercizi di inglese che le erano stati assegnati.
Concentrò l'attenzione sulla lama della forbice che
impugnava in mano e
lisciò l'intera lunghezza del nastro che aveva avvolto
attorno
al pacco, arricciandolo dalla base fino alla punta.
Perfetto. Aveva incartato bene il regalo di
Gen.
Il telefono squillò.
Makoto andò a prendere il cordless, un occhio
puntato sul
tavolo
in cui aveva lasciato la scatola incartata. Non era sicura di aver
azzeccato il regalo; poteva solo sperare in bene.
Premette sul tasto di risposta. «Pronto?»
«Ciao.»
«Rei» sorrise. «Tutto
bene?»
«Certo. Ti chiamavo per parlarti del compleanno di
Hotaru.»
Ah, giusto. «Quindi Hotaru-chan rimarrà
qui a Tokyo
per il
sei?»
«Sì. Ne ho parlato con suo padre e lui
è
d'accordo. Ci vedremo di mattina per festeggiare.»
«Dove andiamo?»
«In un parco giochi.»
Possibile? «È
un'idea di
Minako?»
«No, ci ho pensato io. Vorrei che ci divertissimo
tutti senza
pensieri, come ragazzini. Porterò personalmente Hotaru sulle
giostre più spericolate. Voglio che quella bambina si
liberi.»
Sembrava quasi un proposito da sorella maggiore.
«È una
bella idea. Ci sarà un posto dove potremo mangiare una
torta?»
«Ho organizzato tutto. C'è un
piccolo
chiosco che terrà in frigo un dolce portato da noi. Poi ci
offriranno
sedie e tavoli per mangiare in compagnia.»
Non avrebbe dovuto dubitare di Rei. «Ci saranno
anche Haruka
e Michiru?»
«Ho provato a convincerle, ma hanno un posto dove
vogliono
portare Hotaru quella sera. Una cosa da ragazze grandi, hanno
detto.»
Erano le solite. «Potrebbero fare anche una cosa da
ragazze
piccole e
venire con noi
di mattina.»
«Non dirlo a me. Per Michiru la mia
idea è
infantile. Avresti dovuto sentire come ha sorriso quando gliel'ho
detto...»
Lei lo immaginava: Michiru Kaiou sorrideva sempre degli altri,
come se
fossero tutti bambini a cui poteva dare un colpetto di
incoraggiamento
sulla testa. La sua non era superbia, solo una condiscendenza buona, di
cui non poteva fare a meno.
«Secondo me non vuole rischiare»
proseguì Rei.
«Te la immagini Michiru su un ottovolante? Tutta la sua
compostezza si scioglierebbe come neve al sole.»
Makoto rise.
«Usagi l'avrebbe convinta a venire, ma in questi
giorni ha in
testa solo il suo matrimonio. Ancora non ne ha parlato ai suoi
genitori.»
Ahia. «Più Usagi-chan tarda,
più
sarà difficile.»
«Già, ma lei e Mamoru hanno fissato una
cena con i suoi per sabato. Ne parleranno quella sera.»
«Non la invidio.» Makoto aveva avuto a che
fare da
poco solo
con la madre di Gen. Nonostante il buon carattere della signora, ne era
ancora terrorizzata. Temeva ciò che che lei era e il modo in
cui
poteva influenzare la visione che Gen aveva del loro rapporto. Da quel
che sapeva,
il padre di Usagi covava istinti omicidi nei confronti del povero
Mamoru.
«A te come va?» domandò Rei.
«Domani è il compleanno di Gen, no?»
Già. «Sono preoccupata. Gli ho
comprato un regalo, ma non so
se è quello giusto.»
«Che cos'è?»
«Un kit di matite da disegno. Al negozio mi hanno
detto che
sono le più quotate tra i professionisti.»
«... Gen disegna?»
«Sì, per hobby. Fa anche schizzi di
progetti
architettonici, però... Forse ha già matite come
queste.
O magari avrebbe preferito qualcosa di più sportivo, per
esempio roba per la corsa o per la boxe. Ma non so quali attrezzi ha in
casa, o se parliamo di abbigliamento, che numero di
scarpe
porta,
né la sua taglia di vestiti...»
«Sarà XXL.»
«Ha le spalle larghe, ma non è
grasso.»
Infatti si
chiedeva come lui riuscisse a trovare dei vestiti da mettersi.
«Scherzavo. Ma perché la scelta del
regalo ti mette in
ansia?»
«Gen è istintivo, ma valuta tutto. Forse
questo
regalo
così artistico gli farà pensare che io lo
ritengo...
troppo
artistico?» Non aveva un gran vocabolario, continuava a
ripetersi.
«Perché sarebbe un male?»
«Non è un male, ma lui ci tiene a non
apparire
troppo...» Come poteva dirlo?
«Sensibile?»
Esatto! «Ci tiene a sembrarmi un duro.»
Rei si lasciò sfuggire una risatina.
Makoto quasi si risentì.
«Non
prenderlo in giro.»
«Andiamo, il tuo ragazzo ha sempre quest'aria da
'spacco il mondo'...
È
il suo modo di essere. Un po' come Yu, che se gli chiedi una cosa
è già pronto a servirti per
l'eternità. Pensi di
riuscire a manipolarlo?»
«Eh?»
«Gen. Se trovi il modo giusto di trattarlo, lo rendi
felice e
al
contempo gli fai fare quello che vuoi tu quando ti serve.
Così,tutti contenti.»
Makoto si divertì. «Non penso di avere
tanta presa
su di lui.»
«Non fare l'ingenua. Quando vi ho visti insieme, lui
ti
seguiva
come un Akita fedele. Sono animali possessivi ed esigenti, ma
completamente leali.»
Era una buona descrizione per Gen. «Hai dei consigli
da
darmi?»
«Biancheria intima.»
Makoto avvampò sulle guance.
«Eh?»
«Uno come lui sarà sicuramente una
persona molto
visiva e fisica.»
«... Come fai a dirlo?»
«Quando eravamo a casa di Mamoru e tu eri mezza
inferma e in
pigiama, il tuo Gen ti guardava la scollatura.»
Makoto volle morire d'imbarazzo.
«Sfrutta i tuoi punti di forza, Mako-chan. Non
vederla come
furbizia da parte tua; alla fine, sarai tu quella che si
sentirà
soggiogata. Piacevolmente, si intende.»
Lei rilasciò un sospiro incredulo.
«Wow.»
«Che cosa?»
«Stiamo parlando dei nostri fidanzati. Mi
sentivo un
po'
esclusa sapendo che lo facevi solo con Usagi ed Ami.» Ora
anche
lei era come loro, finalmente.
«Con Ami non si parla molto di queste cose. Anche se
alcune
volte
quella ragazza se ne viene fuori con certe osservazioni... Con Usagi
stai attenta: è così candida su quello che accade
tra lei
e Mamoru, che finirai col volerle dire tutto anche tu.»
«Tutto cosa?»
«Capirai poi. Comunque, io sono la regina per quanto
riguarda le
strategie amorose. Chiedi a me ogni volta che vuoi un
consiglio.»
«Lo farò.»
Sentì Rei annuire al telefono.
«Allora
domani
passerai tutta la giornata con Gen?»
«Quasi tutta, sì. Per la festa di Hotaru,
sai
già
l'ora?»
«Ci troviamo davanti al parco di Ueno alle dieci, va
bene?»
«Certo.»
«Ah, un'ultima cosa. Con gli uomini funziona anche
la
strategia dell'attesa.»
Già. Lei l'aveva messa in atto involontariamente.
«Non sono molto brava a frenare Gen.»
«Lo so, sei capitolata in meno di un mese. Ma puoi
sempre
esercitarti.»
Makoto si divertì. «Non
arriverò mai ai
tuoi quattro anni.»
Rei ringhiò. «Questa battuta è
vecchia.»
Ma era ancora uno spasso. «Devi imparare a riderne
come Yuichiro. Ci vediamo sabato, allora.»
«Sì» sospirò Rei.
«A sabato. 'Notte.»
«'Notte. E grazie.»
Makoto riattaccò felice e guardò il
soffitto,
raccogliendo le idee. Ora le rimaneva solo da preparare le torte.
Aveva fatto due passi verso la cucina quando il telefono
squillò di nuovo. Provò a indovinare chi era, un
giochetto
mentale in cui si dilettava di tanto in tanto.
Questa
è
Minako.
Almeno, avrebbe voluto che fosse lei, poiché in
quei giorni
la sentiva distante. «Pronto?»
«Ciao.»
La voce maschile la fece sciogliere sulla moquette di casa.
«Ciao.»
Aveva davvero usato quel tono da gattina smielata?
All'altro capo del telefono, Gen sorrise. «Stai per
andare a
dormire?»
«È presto, sono le dieci. Mi preparo a
farti una
torta per domani.»
«Hm. Non farla per tutta la mia famiglia. Mia madre
ne
comprerà una.»
Oh. «Be',
non voglio scavalcarla, però... Mi
ingrazio lei e le tue sorelle se
offro loro un altro dolce, giusto? Avevo pensato di fare una piccola
torta
per me e per te, e una torta grande da
farti portare a casa. La tua famiglia potrà mangiarla con
calma; non ci metterò su panna o altre cose che vanno
facilmente a male.»
«Shori si è
messa a dieta.»
«Ah.»
«Apposta per il mio
compleanno. Ha detto di dover far spazio per la torta che tu avresti
sicuramente preparato.»
Makoto scoppiò a ridere.
Udì il sorriso sereno
di Gen, un suono quieto che le fece desiderare di averlo con lei
già quella sera.
«Domani pranzi con la tua famiglia» gli
disse. «La
sera sarà per noi?»
«Sì. Non vedo l'ora.»
Anche lei, a tal punto che volle essere audace. «Io
e te,
domani... recupereremo il tempo perso.»
«Non è stato tempo perso. Ma per questo
proposito
mi vedi
in prima linea, con un'armata di impazienza alle spalle.»
Poteva descrivere nello stesso modo il proprio entusiasmo.
«In realtà,
già oggi...
Ma sono solo ventiquattrore in più di attesa.»
Lui fece una pausa. «Già oggi,
cosa?»
«Ehm...» Non seppe come spiegargli.
«Voglio dire che...
Non ci sono più ostacoli. Sono spariti questa
mattina.»
Gen non parlò e Makoto pensò di avergli
fornito troppi
dettagli. «Gen?»
«Sono le dieci e cinque.»
«Sì»
mormorò perplessa.
«Se corro, sono a casa tua in mezz'ora.»
Eh?
«Non hai sonno, vero?»
No, ma... «Non ho ancora fatto la torta.»
«Ho più foga che fame.»
Makoto esplose in una risata così forte che dovette
coprirsi la
bocca.
Gen non era stato da meno con le risa. «Vado ad
avvertire mia
madre. Sarò lì tra poco.»
Cosa?
Lui avrebbe detto a sua madre che stava uscendo alle
dieci di
sera per
venire da lei?
La signora l'avrebbe creduta
una ragazza promiscua, o
troppo facile, sicuramente molto innamorata, ma...
«Gen.»
Tu-tu-tu.
Sospirando, Makoto chiuse la chiamata e guardò
l'ora. Doveva
essere come Creamy Mami e compiere un prodigio: preparare una torta,
farsi il bagno e cambiarsi in mezz'ora.
Al lavoro!
Trentotto minuti dopo era davanti al cassetto della biancheria
a
rimuginare, coi capelli appena asciugati. Squillò
il
citofono.
«Ahhh!»
Corse a rispondere. «Sì!» si
limitò a dire,
premendo il pulsante di apertura. Tornò al cassetto e
afferrò le prime mutandine carine che si trovò
davanti. Solo quando le ebbe indosso notò che il reggiseno
coordinato non
era in vista, probabilmente disperso nella cesta delle cose da lavare.
Udì i passi di Gen fuori dall'appartamento, che per
la
fretta
colpivano lo zerbino mandandolo a sbattere contro la porta.
Dato che non c'era più
tempo, annodò la
vestaglia alla vita, provando a coprire con le braccia le piccole
protuberanze sul petto. In quello stato era praticamente
seminuda, ma avrebbe
voluto essere sensuale, non sfacciata.
Mesta, si diresse alla porta.
Poteva chiedere a Gen il tempo per terminare di cambiarsi?
Lui lo avrebbe trovato inutile, considerato che si sarebbero
spogliati di
lì
a
poco. Lei voleva farlo - bramava di farlo - ma...
Si nascose dietro la porta mentre gli apriva.
«Ciao...»
Gen entrò. La sua felicità si
attenuò quando notò che di lei poteva
vedere solo la testa.
«Ciao» la salutò.
«Tutto a posto?»
«Non ho finito di vestirmi.» Tenne le
braccia
intorno al torso mentre si appoggiava con la schiena alla porta, per
chiuderla.
Lui tolse le scarpe e fece scattare la serratura.
«Okay.» La osservò, confuso ma non
smanioso quanto Makoto aveva pensato.
Si guardarono per qualche istante.
Togliendo la giacca, Gen
sollevò le sopracciglia, divertito. «Puoi
vestirti, sai? Non ti mangio.»
Lei voleva essere mangiata, solo che...
Lui mosse le narici e guardò la cucina.
«Sei
riuscita a preparare la torta.»
«Sì, è in forno. Per questo
non ho
avuto il tempo di...»
«Non hai avuto tempo perché sono arrivato
troppo
in fretta.»
Già. «Non ti sembra sciocco se vado in
bagno a mettermi qualcosa? Anche se dopo...»
Lui non rispose a voce. Si limitò a contemplare la
sua esitazione, adorandola.
I dubbi dissolti, Makoto fece un passo avanti e lo
abbracciò.
L'odore del collo di lui, il respiro che le sfiorava la
tempia, le
braccia che la stringevano, il seno senza costrizioni contro il suo
petto... Non
voleva più altri vestiti, ne voleva di meno. Desiderava
stringerlo senza più smettere.
Gen le aveva preso la testa in una mano. Stava affondando il
naso nei suoi capelli.
«Così diventa difficile aspettare.»
Lei inspirò, sorridendo contro l'orecchio di lui.
Non disse
niente; cercò di provare invece di pensare, l'unica cosa
giusta da fare quando erano insieme.
Notò un taglietto
fresco e
minuscolo sulla guancia di lui. «Oh.»
Sfiorò la pelle sopra quel punto.
Gen capì. «Colpa del rasoio. L'ho usato
in fretta
stasera.»
Immaginarlo di corsa mentre si sistemava per venire da lei la
riempì di dolcezza. «Vieni.» Si
separò da lui senza incontrare resistenza, i loro due corpi
in sintonia nell'essenza, a discapito della distanza.
Tenendolo per
mano, lo condusse verso il comodino accanto al letto, dove
girò la manopola che regolava
l'intensità della
lampada. La accese.
«Tira la tenda» disse a Gen, riferendosi
al
pannello rigido che separava la zona del letto da quella della cucina.
Non lo usava spesso, ma a volte era bello creare atmosfera dividendo
gli ambienti. Avevano almeno venti minuti prima che la torta finisse di
cuocere.
Quando lui ebbe dispiegato per intero il
pannello semi-trasparente, lei spense la luce sul soffitto e
allargò le braccia, invitandolo ad avvicinarsi.
Nella penombra trovare Gen sotto le proprie mani fu prezioso,
importante. Rispose al bacio che lui cercò. Lo
accarezzò sulle spalle, sul petto, tracciando i contorni di
ogni rilievo. Aveva
desiderio di lentezza, di scoperta.
Senza fretta, cominciò a spogliarlo della felpa,
lasciando salire l'indumento sopra lo stomaco di lui e tirandolo su,
oltre le braccia.
Era
lei a guidare i loro movimenti; Gen la lasciava fare nonostante il
respiro spezzato e veloce, visibile nei muscoli tesi.
A torso nudo, lui cercò il suo ventre con la mano,
infilando le dita nell'apertura della vestaglia.
«No» protestò lei, serena.
«Ho poche cose addosso.»
Gen non capì perché quello fosse un
problema, ma Makoto lo fece sedere sul letto e armeggiò
delicatamente con la
zip dei pantaloni che lui indossava, stuzzicandolo con
un'unghia sullo stomaco
rigido. Gen si tenne a stento dritto sulle braccia - una
reazione adorabile, sensuale, che le suscitò una vampata di
calore al bassoventre.
Gli aprì la patta dei pantaloni e lo spinse ad
andare più
indietro ancora. Si appoggiò con le ginocchia sul materasso,
sopra di lui,
dove si tenne ferma per un istante.
Gen provò a toccarla, ma lei gli prese le mani,
stringendole.
Lo possedeva in quel momento: possedeva i sensi di lui, il
corpo che la bramava, che la cercava. Aveva l'amore di Gen,
così
come la bocca calda a pochi centimetri dalla propria, che con un bacio
era capace di stordirla.
Non resistette. Chinò la testa e mischiò
i loro respiri. A labbra schiuse si trovarono con un assaggio
veloce, che
strappò loro il respiro.
Lei non comandò più, si
offrì.
Si
beò delle mani di lui tra i propri capelli, che le
scioglievano la coda. Aderì al suo corpo languida,
abbandonata, in attesa di sentirlo aumentare la pressione tra di loro
con
i palmi aperti sui fianchi, che forti la afferravano.
In due si sdraiarono lentamente, prima di lato e poi lui sopra
di
lei, la
bocca di Gen che la percorreva sul petto mentre le scioglieva il
nodo della
vestaglia.
Con le palpebre abbassate, tremanti, Makoto non
guardò lui,
ma la
parete tenue della stanza. La vide sfocarsi mentre il suo corpo
ribolliva
e Gen la trovava su un seno nudo, prendendone la punta in
bocca. Lui
esclamò qualcosa, un suono debole che uscì
anche a lei nell'ardore del momento, mentre si contorceva per la
delizia.
Si
strofinò a lui
con le gambe, col bacino, scivolandogli con le dita sulla
schiena. La sua mente si annebbiò. Cercò
un bacio necessario; vi affondò
dentro. Si mosse con Gen mentre sospiravano, e continuavano a premere
l'una sull'altro le labbra, affamati di sapore.
Non notò quando terminarono di spogliarsi; le
sembrò solo che i vestiti di entrambi fossero d'un tratto
spariti.
Il proprio corpo non ebbe senso come entità unica
finché lui non la trovò con una mano tra le
gambe e, alitandole sul collo, leccandola sui capezzoli,
iniziò a
muovere su di lei un dito in un minuscolo cerchio, premendo dove il
piacere le accendeva tutti i nervi.
Makoto vibrò, tenendosi ferma a forza, in offerta
per la mano di lui, incantenata. Interruppe l'estasi solo quando fu
giusto
incastrarsi a Gen, stringergli le spalle con le mani, annullarsi
insieme.
Durò tanto, o così le parve. Il tempo si
mosse in una realtà diversa
dalla loro.
Ogni bacio umido,
ogni dondolio intenso, ogni affondo dentro il suo corpo... Ne volle
sempre
uno di più,
anche quando si riempì e si saziò di lui,
lasciandola a stento con le forze per accarezzargli un braccio.
Adagiandosi l'uno di fianco all'altra, in pace, riposarono.
Il sonno non la prese. Girandosi, respirò
contro il
petto di Gen,
sistemando pigramente l'orecchio dove gli batteva il cuore. Il ritmo
del battito la cullò.
Sveglio, lui la tenne contro il petto a lungo prima di
abbassarsi,
sorridere e baciarla di nuovo.
Lei lo fece sdraiare sulla schiena, delicatamente. Lo
guardò, lo adorò.
Non poteva esserci momento più bello,
più
perfetto, in una singola vita umana.
DRIIINN!
Sussultò con lui.
«Il forno» disse, esplodendo in una
risatina.
Scivolò via dal letto, afferrando per un lembo la
vestaglia e scostando la tenda rigida. Si diresse in cucina.
«Ah...» Per un momento faticò a
ricordarsi cosa doveva fare con la torta. Si coprì
malamente il corpo e, afferrando una presina, aprì l'anta
del
forno.
Il profumo del dolce si liberò
nell'aria. L'odore era
ricco e invitante. «È venuta
bene» informò Gen.
«Lo sento da qui.»
Proteggendosi l'altra mano con un guanto,
Makoto tirò fuori
la torta e la sistemò sul bancone.
Trovandosela davanti,
rifletté: aveva pensato di rimanere sveglia
finché la torta non si fosse raffreddata, ma... Prese
l'orologio da polso che aveva sul tavolino, settò l'ora e
coprì la torta con un telo decorato. «Domani la
decoro.»
«Cosa hai fatto?»
«Devo metterla in un contenitore quando si
è raffreddata.»
Tornò indietro, verso il letto. Appena
riuscì a toccarla, Gen le tolse la vestaglia.
«Ancora?» commentò lei, senza
riuscire a
renderla una protesta.
Lui scrollò le spalle. «Mi piaci senza
niente
addosso.» La fece sdraiare accanto a sé, sotto le
coperte, e
la guardò. Era felice.
A lei sfuggì uno sbadiglio.
Prima che fosse riuscito a riderne, Gen l'aveva imitata.
«Ecco il sonno» disse Makoto, andandogli
più vicino.
«Succede quando si fa bene l'amore.»
Lei sorrise in silenzio. Amava sentirlo parlare in quel modo.
Quello
che avevano condiviso non era stato solo sesso; si era trattato
di un'esperienza completa, la prima di moltissime
altre.
Appoggiò la testa nell'incavo del collo di
lui.
«Buonanotte.»
«... ti sveglierai tra poco? Non farlo.»
«Lasciami il mio lavoro di cuoca.»
Sorrisero e Gen si rassegnò. «Allora
buonanotte, per ora.» La baciò sui capelli.
Dormirono.
Era molto tempo, pensò Gen, che non si svegliava
con la luce
del sole così forte sugli occhi.
Si era fatto tardi, forse erano già le nove.
Voltò la testa.
Cauto, liberò il polso intorpidito dalla
testa di
Makoto, prendendosi un momento per far sparire il formicolio.
Prima di ripensarci, rotolò su un fianco e ricadde
in piedi
sul pavimento, alzandosi. Aveva bisogno di andare in bagno.
Vagò nudo per l'appartamento, entrando
nell'unica altra stanza della casa.
Tra le quattro mura di piastrelle, rabbrividì per
il gelo: di mattina quel
bagno era ghiacciato.
Mezzo addormentato, si risvegliò quando ebbe finito
e si sistemò davanti al lavabo. Girò la chiave
del
rubinetto, cominciando a lavare le mani e sciacquando
la bocca. Alzando la testa, si osservò allo specchio.
Stiracchiò
soddisfatto le braccia.
Era stata una grande notte.
Non gli era dispiaciuto nemmeno essere svegliato dall'orologio
che Makoto aveva settato. Quando l'aveva riavuta tra le braccia, dopo
pochi minuti, il calore dei loro corpi uniti lo aveva fatto
riaddormentare in un momento.
Uscì dal bagno. Nel tragitto verso il letto
raccolse i
pantaloni che
erano finiti a terra. Li piegò in due su una sedia, poi
cercò la felpa e le calze.
A Makoto non piaceva il
disordine. Con un appartamento tanto piccolo era naturale: non c'era
molto
spazio per muoversi.
La osservò. Ancora profondamente addormentata, lei
era sdraiata a pancia in su, le labbra aperte e le
braccia
allargate libere, infreddolite. La pelle d'oca si interrompeva
sulle spalle, ma Makoto doveva sentire freddo anche sul petto,
fino a dove era scoperta.
Lui tornò a sdraiarsi nella parte di letto in cui
si era svegliato. Cercò di non spostare
troppo il peso sul materasso, ma lei ricadde ugualmente con la testa
verso una
spalla. Immobile, lui attese il suo respiro successivo.
Le narici di lei si erano mosse appena. Makoto non ebbe altre
reazioni, il suo sonno era rimasto profondo.
Gen osservò lo sfarfallio delle ciglia scure
sulle
guance di lei. Erano delicate e folte, belle come le labbra semiaperte
che di mattina sembravano più paffute e carnose. Con quel
colore rosa scuro, invitavano a morderle piano, a leccarle.
Piegando la testa Makoto aveva esposto all'aria un lato del
collo, una parte che lui sapeva sensibile e morbida. Le spalle di lei
terminavano con la sottolineatura del deltoide, le linee del muscolo
quasi visibili sotto la pelle, persino a riposo. Le clavicole
erano...
Non aveva
mai badato a delle clavicole, ma voleva riempire di
baci l'avvallamento tra quelle ossa.
Poi... poi il corpo di lei finiva lì. La trapunta
le
proteggeva i seni, una situazione a cui lui pose rimedio
tirando
un poco l'ammasso di stoffa verso il basso,
fino a scoprire le punte di carne turgide sul petto. A bocca
aperta, rimirò i suoi due
personali doni divini.
Incredibile.
Non aveva mai visto due tette tanto perfette, gonfie e sode
anche da sdraiate.
Al contatto con l'aria i capezzoli di lei iniziarono a
diventare ancora
più duri, facendogli venire l'acquolina in bocca. Avevano
una dimensione ideale: sui due monti di carne non erano
bottoni troppo piccoli che gli sfuggivano dalle dita,
bensì estremità deliziose che si adattavano ai
suoi
polpastrelli quando lui le stuzzicava.
L'areola... Gen ne aveva viste di
grandi, piccole, normali, belle. Quelle di Makoto erano una
corona, che gli indicavano dove toccarla per farla
gridare.
Non che lui l'avesse fatta urlare fino a quel
momento, non per
davvero.
Makoto inspirò di nuovo e Gen le lanciò
una rapida occhiata.
Lei stava ancora dormendo.
Riabbassò gli occhi: quei seni gli riempivano le
mani.
Per tutta la vita aveva pensato di preferire seni di
dimensioni ridotte,
che
non cadevano mai e rimanevano alti senza aiuto, ma nel corpo di Makoto
si era compiuto un miracolo: lei aveva due globi rotondi che si
adagiavano sul petto fieri e svettanti, creando una scollatura che con
certi reggiseni... Fortunatamente, a lei non piacevano gli scolli a
triangolo, o lui non avrebbe avuto pace immaginandola in giro
vestita in quel modo.
«... cosa stai guardando?»
Colto sul fatto, sorrise impenitente.
«Te.»
«Io sto più sopra»
mormorò Makoto.
Divertito, lui la guardò negli occhi verdi.
«Sì.» Appena sveglia, lei era una
visione. «Sei anche qui.»
Makoto si adagiò su un fianco, coprendosi il petto
con un
braccio. Col movimento creò involontariamente due
curve talmente provocanti, talmente belle...
«Ehi» lo chiamò lei.
«Hm?»
«Ma guarda quanto ti piacciono.»
Sorrise. «È vero.»
Mangiandosi un labbro, Makoto si coprì anche con
l'altro braccio.
«Anche io li trovo belli, però...» Rise
piano. «Sembra che appena mi
giro, tu li guardi.»
«Non è così.» Si
concentrava
anche su altre parti del corpo di lei: la rientranza dei fianchi verso
la
vita,
le gambe lunghe, quel suo magnifico sedere... Ma se a pochi
centimetri dal viso aveva quei due bei seni nudi, la sua attenzione
era
tutta per loro.
Makoto lo osservava, muovendo le dita sul proprio sterno,
indecisa.
«Se questa è la tua parte preferita...»
Non era
così. «È
sempre stata
il fondoschiena» sorrise. «Sei tu
quella che mi sta
facendo cambiare idea.» Sotto la trapunta la
trovò sulla curva del fianco.
«Ti piace il sedere?» Makoto
voltò la
testa, per guardarsi.
«Non lo tocchi mai.»
Lui la smentì in quel momento, facendola saltare
sul letto.
«Ehi!»
Gen trattenne i singulti di divertimento.
«Hai visto come
reagisci?»
«Mi hai sorpreso! Dev'essere una cosa più
tranquilla, dolce...»
Be', ma così c'era un problema. «Col tuo
sedere non mi
vengono in
mente idee molto dolci.»
In Makoto il rossore partì dal petto e
risalì
veloce lungo il collo, invadendole le guance.
Lui abbassò la testa, baciandola sul collo, usando
la lingua
per assaggiarle la pelle salata. Il retrogusto dolce invase tutte le
sue papille gustative. Cominciò a scendere oltre la linea
delle clavicole. «Tanti auguri a me.»
Makoto sobbalzò. Lui si
sentì afferrato per le spalle e si
ritrovò atterrato schiena contro il letto, inerme come un
pupazzo.
«Me n'ero
dimenticata!» Da novella Ercole, Makoto divenne un
concentrato
di
arti morbidi e leggeri, che calarono su di lui assieme a una carezza
sulla fronte. «Buon compleanno.» Lo disse
con
un sospiro, baciandolo sulla tempia, sulla guancia, sulle labbra.
Ti amo da
impazzire,
pensò Gen.
Era tempo di dimostrarglielo.
La strinse per la vita, portandola ad appoggiarsi su di lui
col
petto. La sensazione dei capezzoli duri contro i pettorali
fu paradisiaca.
«... ti piace?» disse lei.
Lui scattò a guardarla negli occhi. Muto,
annuì.
Usando le braccia per sostenersi, Makoto si morse un labbro
prima di
decidere come procedere. Scivolò su di lui verso l'alto,
sfiorandolo con la punta dei seni sulla faccia. Rise
quando lo sentì rilasciare un
sospiro. «Sono la mia arma segreta?»
«Ne hai tante» confermò lui.
Poi si
assicurò di avere una buona presa sulla vita di lei
e
ribaltò entrambi, facendola sdraiare sulla schiena.
Makoto era curiosa. «Cosa fai?»
«Realizzo una fantasia.»
Armeggiò con le gambe di lei, aprendole e piegandone una di
lato.
«... quale?»
Le si spezzò il respiro quando lui si
appoggiò contro
la sua apertura, senza entrare. Voleva essere certo che lei fosse
abbastanza bagnata, ma soprattutto voleva far fremere entrambi per
l'anticipazione.
Con una coscia aveva spinto un ginocchio di Makoto verso
l'alto.
Vi incastrò sotto il braccio.
«Così è...» Makoto
interruppe il mormorio quando con le dita lui tracciò delle
linee sul suo stomaco, fino al bassoventre. Lei inarcò verso
l'alto l'intero bacino.
«Funzionerà bene» le disse.
«... Come?»
«Tra poco lo scopri.» Scese con
la mano. Con le nocche la sfiorò tra le
pieghe del sesso, insistendo, cercando del fluido fresco.
Makoto fece forza con le braccia e lo attirò sopra
di sé, per avere la sua bocca. Mentre la baciava lui la
chiudeva col corpo in una gabbia e sperimentò ancora una
volta che lei non aveva alcun problema di flessibilità;
cercò ugualmente di non pesarle troppo sulla coscia. Per
uscire da quella posizione, separò le labbra tra
le gambe di lei con le dita, accarezzando. Makoto si
tese.
Lui le appoggiò un bacio sotto la mascella.
«Voglio che sia più intenso.»
Riuscì ad allontanarsi, tornando dritto.
Makoto lo strinse per un avambraccio, cercando di trattenerlo.
«Ma mi piace quando mi stai sopra.»
Lui raggiunse la massima durezza in un secondo.
«Lo so.» Le prese un seno in mano, incapace di
resistere. «Questo sarà
meglio.» Dondolando coi fianchi, si strofinò
contro il centro di lei, la carne
calda e soffice che non gli opponeva resistenza. La consistenza in quel
punto era divina: non c'era niente di più liscio, setoso,
tenero di...
Tornò a respirare. La vista non lo aiutava a
ricordarsi di prendere aria. Sdraiata, Makoto si agitava dolcemente,
graffiando con una mano le lenzuola.
Lui sentì la sensazione di umido che aveva cercato,
solo un goccio, ma si ritrasse quanto bastava
e afferrò
Makoto per la vita. Quando trovò l'incastro, fece
forza
sulla presa e scivolò, affondò - la stretta
rovente che gli strappava un suono dalla gola.
Aprì gli occhi.
Sembrava sempre la prima volta - con le gambe
di lei aperte, il
suo viso travolto, conquistato, e l'interno di quel corpo che lo
spremeva inconsciamente, troppo energico e femminile per starsene
inerme ad aspettarlo.
Represse l'istinto di gettare la testa all'indietro e spingere
come un forsennato. Guardò gli occhi di Makoto, il colore,
la
pupilla nera e larga.
Non chiuderli.
Si ritrasse ed entrò di nuovo, modellandola attorno
a sé, premendo.
Lei abbassò le palpebre, tentando il
controllo del respiro. Il suo petto era irrorato di sangue, i suoi
capezzoli gonfi.
Lui ne sfiorò uno con due dita.
«Okay.» Non seppe perché lo disse.
Andava tutto bene, era ovvio. Con
l'altro
braccio spinse sotto il
ginocchio piegato di lei, raddrizzandolo fino ad avere un polpaccio
sulla propria spalla.
«Aspetta...»
Scosse la testa. Chiuse come poteva la connessione tra
cervello e nervi del bassoventre, e con la spinta dei fianchi
iniziò a
imporre un ritmo.
Piano, ma non
troppo. L'importante era la costanza, la resistenza. Era
proprio quella che faceva fremere Makoto di disperazione.
«Gen...»
Lo so, lo so.
Anzi, no.
Si fermò e, sollevando il bacino unito di entrambi,
prese l'altra gamba di lei e la spostò sotto di
sé. In quella posizione non poteva sedersi e doveva
appoggiarsi completamente sulle ginocchia, ma non aveva importanza.
Erano incastrati
come due forbici. Sconvolta, Makoto piegò il torso di lato.
Lui le strinse una coscia contro lo stomaco, riprendendo a
entrare dentro di lei, trovando profondità nuove e ancora
più bagnate.
«Ah!»
Makoto provò a coprirsi la bocca con le dita.
Rinunciò a farlo e serrò i denti.
Lui tremò. Non l'aveva mai avuta tanto
completamente, tanto bene...
Rallentò il movimento e si impose un ordine. Costanza, ritmo. E
attenzione, perché appena riprese a immergersi nel corpo di
lei provò a capire dove fosse il punto giusto che-
Makoto ricadde con la testa sul letto, gemendo.
Lui capì di aver trovato quello che cercava e,
concentrato, lo
tormentò con perseveranza, con
forza contenuta.
Lei spalancò gli occhi. Mise un palmo sulle proprie
labbra, senza premere abbastanza da coprire i suoni. Con
l'altra mano
stava per strappare la federa del cuscino.
Su di sé Gen cominciò a sentire la morsa
di
muscoli spugnosi
che si stringevano. Cambiò angolazione, di pochissimo, per
provare a sfiorarla sul clitoride.
Makoto sobbalzò col bacino, gridò. In
risposta il suo ventre lo attanagliò con una tale forza
che... Il nodo di
muscoli si sciolse e pulsò forte su di lui. A occhi chiusi
Gen
seguì l'estasi di quel ritmo, serrando i denti, provando a
non perdere.
Solo un altro po', resisti!
Lo aiutò ad andare avanti l'incredulità
dei gemiti di lei, che Makoto stava provando a tenere bassi in mezzo
alla corrente di follia. Erano suoni di abbandono totale, di
rapimento.
Lei ne ruppe uno più alto, capitolando di nuovo, e
Gen seppe che poteva lasciarsi andare. Le sue anche non gli
appartennero più: cercarono più
frizione, più pressione, e altro calore in lei, spingendo.
Dentro Makoto erano
sensazioni massime: non c'era nessuna plastica a impedirgli di sentire
che lei era la cosa più perfetta e assoluta, la
più magnifica che...
Aprì gli occhi mentre si liberava. La vista di
Makoto sdraiata su un fianco, che ancora tremando lo guardava, fu il
pugno
definitivo o forse la carezza finale. In lei rilasciò
tensione, controllo,
volontà. Se ne andò tutto quanto, salvo la
soddisfazione immensa di sentire quanto di umido e denso le stava
immettendo nel corpo.
Con le membra prosciugate di forze, faticò a
districarsi dalle sue gambe senza schiacciarla. Si
aiutò con
le braccia per spostarsi di lato e sdraiarsi sulla schiena.
Lo invase la più grande
sensazione di benessere che avesse mai conosciuto. Inerme, per
lunghi momenti, respirò beatitudine.
Accanto a lui Makoto ansimava forte.
Qualcosa gli toccò un braccio: lei si stava
spostando sul materasso.
Gen trovò la forza di voltare la testa.
Makoto lo
guardava, in ansia.
«... cosa?» le chiese. Riuscì a
rotolare
su un fianco.
Lei aderì al suo corpo, abbracciandolo.
Gen la coprì con una mano sulla schiena.
«Cosa?» domandò di nuovo. Mosse le dita
sulla pelle di lei, cercando un
brivido, una risposta.
«... niente.» Makoto appoggiò
la
guancia contro il suo petto e gli circondò un fianco con la
gamba, cercando...
Lui ebbe un dubbio. «Non ti è
piaciuto?» Non aveva senso.
«No, sì. Ma mi mancava...
questo.»
Stare abbracciati?
Ah. Quella
era una reazione normale: le donne
volevano spesso essere abbracciate alla fine, soprattutto quando il
rapporto era stato intenso.
«Certo» le disse all'orecchio, combattendo
contro un attacco di sonno.
Strofinò la guancia contro la
tempia di lei, riempiendosi le narici del suo profumo, ora mischiato a
quello di un
lieve sudore. Era stato lui a causarlo.
Makoto sollevò la testa. Aveva ancora occhi che si
attendevano qualcosa.
Gen glielo diede con un bacio leggero, che
lei
continuò e aprì in un sorriso felice, finalmente
appagato.
Era quella la contentezza che lui voleva vedere nel suo
volto. «Ti
amo» le disse.
Avendo sentito tutto quello di cui aveva bisogno, Makoto si
rifugiò contro di lui. «Anche io.»
Riposò.
Makoto terminò di versare lo strato di cioccolato
sopra la torta che aveva preparato per la famiglia Masashi. Le mancava
da aggiungere una
spruzzata di palline bianche per creare un disegno e la
scritta, "Buon compleanno,
Gen!"
L'idea le faceva fremere le mani di gioia.
In bagno l'acqua smise di scorrere. Lui aveva terminato di
farsi la doccia.
Lei si era fatta il bagno solo la sera prima, ma aveva dovuto
ripeterlo quella mattina. Due sessioni di soddisfacente
intimità
tendevano ad avere degli effetti sul fisico di una persona. Di uno si
era resa
conto solo di recente: la volta che lei e Gen avevano usato il
preservativo, non aveva dovuto curarsi di cosa sarebbe... be', di cosa
sarebbe uscito
da lei
dopo essere entrato. Come una sciocca, si era autoconvinta che il suo
corpo avrebbe assorbito qualunque inconveniente.
C'erano altre cose che non sapeva?
Magari poteva parlarne con Rei, e
soprattutto con Usagi. Forse Ami avrebbe saputo consigliarle un buon
libro in merito.
Di certo Gen aveva esperienza; troppa per lei.
Non si era ancora fatta un'idea chiara di cosa aveva provato
con lui un'ora prima, sul letto.
Due orgasmi, ovviamente. O forse era stato uno solo con
due picchi, ma
comunque l'esperienza era stata... Strofinò le cosce tra
loro, sentendole molli. Ricordava ancora
l'intensità delle contrazioni nel ventre, la ferocia della
stretta ritmica dei muscoli.
Chiuse gli occhi.
Aveva urlato. Le mura del suo appartamento non erano
spesse, i vicini
potevano averla
sentita.
Sprofondò nella vergogna.
Se una cosa simile si ripeteva, lei doveva... Be',
innanzitutto doveva far capire a Gen come si era sentita.
Provare
tanto piacere era una cosa buona, sconvolgente, meravigliosa, ma...
Qualcosa in lei - una parte forte di lei - aveva preferito l'esperienza
quando c'era stata meno tecnica e più sentimento. Forse per
Gen
c'era stato tanto sentimento comunque, ma a lei erano mancati gli
abbracci,
guardarlo negli occhi, baciarlo mentre non pensavano a niente nel
diventare una cosa sola, stando in completo contatto.
Invece quella mattina lui era rimasto molto concentrato.
Più
che su di lei, sulla posizione dei loro corpi, su cosa fare e quando
farlo. Era riuscito molto bene nel suo intento, ma... Non
era
così che lei voleva fare l'amore con lui. Quelle
erano situazioni che potevano riproporre tra loro tra qualche tempo,
qualche
volta.
Guardò la porta del bagno.
Non voleva scontentarlo, ma ci teneva a fargli
capire quanto avesse apprezzato le loro esperienze precedenti. Lei non
aveva bisogno
di sforzi, di grandi tecniche. Trovava importante avere l'abbandono
di lui, tutta la sua testa, senza immaginare nemmeno per un istante che
Gen stesse coscientemente usando arti che aveva imparato con altre
persone.
Voleva averlo tutto per sé. Voleva essere
speciale
e unica ai suoi occhi, in ogni modo.
La porta del bagno si aprì. Gen uscì con
un asciugamano in testa, sorridente. «Anche oggi i miei
capelli hanno un profumo da donna.»
La connessione la intenerì.
Avere qualcosa di suo
su di lui... «La prossima volta posso comprare uno
shampoo da uomo.» Si bloccò.
Aveva appena detto che gli avrebbe preso qualcosa da tenere
nel suo appartamento, di fatto legandolo a quella casa.
Lui non comprese i suoi dubbi. «Prendo io lo
shampoo. Se c'è un buco in quell'armadio, ti lascio un
cambio di
emergenza, così posso venire a passare la notte qui senza
troppi piani.»
Lei si alleggerì di un peso. «Pensavo
che... Di solito a un ragazzo non piace quando lei cerca di parlare di
cose come spazzolini, o vestiti da tenere in casa...» Gli
uomini si
sentivano ingabbiati.
Strofinando la testa umida con l'asciugamano, lui rise.
«Tu guardi
troppi drama.»
Eh no, non era così ingenua. Quelle non erano cose
che esistevano solo negli sceneggiati. «Tu non ti sei
mai sentito così?»
Gen prese la domanda sul
serio. «Sì. Ma questa volta ho chiesto io
un posto
nell'armadio.» Si avvicinò e la
baciò velocemente sulla bocca. «Se cominci a
sentirti
intrappolata, dimmelo.»
Felice, Makoto si allungò a prendergli il phon.
«Ecco.»
«Grazie.» Lui lo prese e fece per tornare
in bagno. Si fermò. «Ascolta... hai tempo prima di
pranzo?»
Naturalmente sì, quella giornata era dedicata a
lui.
«Per cosa?»
«Vorrei andare al cimitero. A trovare mio
padre.»
Makoto lo guardò negli occhi. Gen
abbassò i suoi verso il pavimento. «Ho
pensato...
Voglio andarci oggi, prima di tornare a casa. Con te, se
non è una cosa pesante. Se vuoi.»
«Sì» disse lei.
Aspettò di vederlo alzare la testa per sorridere.
«Certo che vengo.»
Sollevato e ancora incerto, Gen si diresse verso il bagno.
«Asciugo i capelli.»
Lei annuì e lo lasciò andare via.
«L'anno scorso ho ricevuto una moto per il mio
compleanno» le raccontò Gen, in macchina.
«Era da parte di entrambi i miei genitori, ma era mio padre a
sapere quanto ci tenessi. Stavo risparmiando per comprarla. Lui mi
aveva detto che dovevo farcela da solo. Poi quella mattina mi porta
sulla strada fuori casa, mi dà delle chiavi in mano, mi
indica la moto... Pensavo che stesse scherzando. Mi sono sentito...
Come un bambino, credo. Sai, quando sei ancora sicuro che possono
arrivare sorprese
enormi che non ti aspetti? Man mano che passano gli anni, ti rendi
conto che devi lavorare per ottenere quello che desideri,
però,
a volte, chi ti vuole bene riesce a farti ricordare che...»
Makoto annuì. Le si spezzò cuore pensando che
lui aveva dovuto vendere quella moto pochi mesi dopo, per racimolare il
denaro necessario per mantenere la propria famiglia. Ma a Gen
non
sembrava importare. Di prezioso gli era rimasto quel
ricordo. Lui sorrideva piano pensandoci, guardando oltre il parabrezza.
«I miei hanno litigato a marzo. Erano in
una fase di
stagna: mia madre si lamentava che non uscivano mai, che mio padre era
sempre
stanco quando tornava dal lavoro... Sì, a volte lui era in
coma
e trovava le energie solo per mettersi davanti alla tv. Ha
lavorato tanto per finire di pagare la casa. Mi ricordo di quanto i
miei genitori fossero
tesi allora e poi di come abbiano fatto la pace. Non so in che
modo.»
Rise.
«A partire da aprile, papà ha rallentato il ritmo.
Si
è preso più giorni liberi. A giugno lui e mia
madre hanno
fatto una vacanza di due settimane. Io sono rimasto a casa a
occuparmi di
Shori e Miki. Mi sentivo così adulto e
responsabile.» Il nuovo sorriso fu amaro, ironico.
Gen si fece quieto. «Gli ultimi mesi sono stati
buoni per papà.» Si immise nella strada
di ingresso al parcheggio del cimitero.
Makoto non disse niente quando trovarono posto e iniziarono a
scendere calmi, senza fretta.
Fece il giro del furgone. Gen l'aveva aspettata per cominciare
ad avanzare.
«Tornerò questa domenica»
continuò lui. «Con mamma, Shori e Miki. Ma prima
volevo...»
«Oggi è una giornata speciale.»
Gen annuì. La guardò e si accese un
poco. «Tante
cose sono cambiate nella mia vita.» La prese per una mano.
«Volevo che lui vedesse la più
importante.»
Le indicò con la testa la direzione e Makoto lo
seguì.
Il cimitero era un posto vasto, sobrio, calmo. Era simile -
pensò lei - al luogo in cui erano
stati seppelliti simbolicamente i suoi genitori, nella prefettura in
cui
avevano vissuto insieme. Sua nonna riposava in un cimitero
più
piccolo invece, proprio lì a Tokyo.
Makoto non andava spesso a trovarla. Davanti alla
lapide il vuoto che aveva sentito era stato feroce in passato, ma a
nonna Junko era sempre piaciuto vederla sorridente. Makoto pensava a
lei
quando le cose andavano bene; le sembrava il modo più giusto
di
ricordarla, di onorarla.
Le mancavano i suoi genitori. Nonostante tutti gli
anni che erano passati, la loro
morte non era ancora un evento chiuso nella sua testa. Forse
perché non c'era stato un saluto, né
un'avvisaglia di
quello che sarebbe successo - un orribile incidente aereo. Ricordava i
loro abbracci, quando poteva. Sempre più spesso immaginava
di
poter tornare indietro e dire loro addio, per fissarsi in testa i loro
volti mentre le trasmettevano con una sola espressione quello che
avevano
provato per lei in dieci anni di vita.
Con Gen camminarono lungo stradine ordinate, su un percorso
che lui conosceva a memoria.
«Ecco» disse infine Gen, lasciandola
andare e
ponendosi in
piedi da solo davanti a una lapide circondata da piccoli fiori
colorati. La contemplò.
Makoto rimase indietro a leggere la scritta.
Akito Masashi
Data di nascita e di morte. Poche cifre che racchiudevano una
vita colma di
esperienze: amore, dolore, errori, vittorie, impegno, lavoro. L'intera
esistenza di una persona che
era riuscita a circondarsi di una famiglia.
Padre e marito amato
Fece un passo verso Gen e lui incrociò il braccio
col suo,
senza chiudere la stretta. Gli sfiorò le dita.
«Makoto» mormorò
lui. Ma
non si era rivolto a lei, stava facendo un discorso silenzioso.
Makoto lo sentì emettere un debole sospiro.
Adagiò la
testa contro
la sua spalla, accarezzandogli il braccio con entrambe le
mani. Lui piegò la faccia verso i suoi capelli.
Lei non lo sentì piangere, ma seppe che lui lo
stava
facendo, che stava ricordando e sentendo, ancora una volta, il dolore
per
tutto quello che non avrebbe mai più avuto con suo padre.
In piedi su quel prato, lo accompagnò nella sua
sofferenza.
Di pomeriggio Makoto si ritrovò da sola, con una
nuova piccola torta già preparata e
Gen che era tornato a casa a festeggiare con la sua famiglia.
Era giusta la breve separazione e poi rivedersi solo quella
sera. Nemmeno lui aveva capito di aver bisogno di un po' di spazio, ma
Makoto lo aveva intuito al posto suo: Gen aveva già fatto
molto nel soffrire con lei per una perdita tanto personale.
Prese il comunicatore Sailor.
Aveva voglia di parlare con... «Usagi?»
Il volto di lei apparve sul piccolo schermo.
«Mako-chan! Come stai?»
Era contenta di non averla allarmata.
«Scusa se sto usando il comunicatore per chiamarti,
ma...»
«Figurati! Sono utili, no? Inoltre, non mi avresti
trovata in casa. Sono in giro a fare shopping!»
Oh. «Dove?»
«Qui a Juuban! Vuoi raggiungermi? Mi sto prendendo
una fetta di torta al Crown.»
Non avrebbe potuto chiedere di meglio.
«Sarò lì tra poco.»
«Magnifico, ti aspetto!»
Quando, entrando nel locale, Makoto avvistò Usagi,
ebbe la
sensazione
di vedere al contempo la ragazza che conosceva e una persona nuova.
Usagi Tsukino sorseggiava un frappé da una cannuccia - un
gesto
usuale per lei - ma guardava fuori dalla finestra, assorta e grave in
volto. Aveva preoccupazioni ed esperienze che non poteva più
permettersi di dimenticare.
Era passato tanto
tempo da quando erano venute per la prima volta in quel posto, entrambe
ragazzine delle medie oppresse da un destino più grande di
loro, ma ancora spensierate.
«Usagi-chan.»
Lei la vide e si illuminò.
«Makoto!» Si alzò. «Che bello
che tu sia qui!»
Usagi la faceva sempre sentire come se fosse un regalo alla
propria
giornata. «Siamo fortunate ad essere entrambe libere
oggi.»
«Eh, sì.» Usagi si sedette con
lei. «Uno
penserebbe che durante le vacanze ci sia solo tempo libero, ma Rei si
sta buttando sullo studio per l'esame di ammissione, Minako
è in
giro a diventare una stella ed Ami... hai sentito? È in Italia.»
Quello sì che si chiamava un uso intelligente dei
loro poteri sovrannaturali.
Usagi sospirò. «Peccato che Mamo-chan
stia già
lavorando, altrimenti tutti insieme avremmo potuto... Sai, nascosti in
un angoletto del bosco Hikawa» si avvicinò fino a
sussurrare, «noi trasformate in guerriere Sailor...
Teletrasporto! Ed ecco che ci saremmo trovati tutti nel posto dei
nostri
sogni.»
Makoto sorrise. «Non saremmo stati d'accordo su un
luogo solo.»
«Hai ragione. Io in questi giorni ho voglia di
spiaggia!»
Usagi era senza dubbio una creatura estiva. «A me
invece non sarebbe
dispiaciuta una baita in montagna. Magari in
Europa...»
Tra alte vette innevate, al caldo davanti a un camino...
Usagi rilasciò un sospiro felice.
«È così
bello sognare, ma soprattutto sapere di poter rendere quei sogni
realtà.» Riflettendoci, si intristì.
«Cosa c'è che non va? Il tuo
matrimonio?»
Usagi annuì. «Non è una
felicità completa
finché sono costretta a nasconderla. Sabato ne
parlerò a
mamma e
papà. So già che mio padre non reagirà
bene,
ma anche
mamma ha cominciato a farmi strani discorsi... Mi ha parlato
dell'importanza di
aspettare e darsi tempo quando si è una coppia
giovane.»
Era naturale. «Non scoppieranno di
felicità
all'annuncio, Usagi, ma è meglio che lo sappiano comunque.
Come mai
state aspettando per dirglielo?»
«Mamo-chan non riesce a tornare a casa a un'ora
decente in questa settimana. Lo stanno uccidendo di lavoro.»
Giusto. E, se ricordava bene, in quell'ufficio Mamoru aveva
già
ottenuto tutta
la comprensione possibile nell'ultima settimana di dicembre -
durante le battaglie - con assenze o uscite anticipate. Non
c'erano alternative, dunque. «Rei mi ha detto che cenerete a
casa
dei tuoi. Sabato?»
«La sera della verità»
annuì Usagi.
«Mi innervosisce non poter dire niente prima. Devo
stare attenta a togliere e a rimettere l'anello.» Ci
giocò
in quel momento, accarezzando i due piccoli diamanti.
«Inoltre...
Mi sembra di avere dentro questa cascata di felicità da
tenere
bloccata a tutti i costi. Oggi ho provato a sfogarmi con gli
acquisti.»
Giusto, Makoto aveva visto i sacchetti.
«Che cosa hai
comprato?»
Usagi li aprì senza entusiasmo. «Cose
carine, ma non
speciali.» Le mostrò una camicia bianca, con un
bello
scollo a V, decorata con un filo rosa sul colletto. «Poi
c'è questa gonnellina.» Era un capo bordeaux, la
tinta
unita e scura inusuale per Usagi.
«Hai bisogno di idee?» tentò
Makoto. Provò
a darle la sua. «Io stavo pensando di andare...» si
guardò attorno, controllando che fossero sole,
«ehm, in un
negozio di biancheria intima.»
Usagi aprì gli occhi in due tempi. «Oh,
ah! Aspetta! Dov'è Gen?»
«Ehm...» Naturalmente era stata
individuata subito la ragione della sua idea.
«Voglio dire, perché non sei con lui?
Oggi non è il suo compleanno?»
«Sì, siamo già stati insieme
questa mattina.
Adesso Gen è con la sua famiglia, ci rivedremo questa sera.
Ceniamo fuori.»
Usagi rilasciò un sospiro. «Per fortuna!
Pensavo che aveste litigato.»
Davano quell'impressione?
Usagi sbatté una mano in aria. «Nahh,
sono io che di
solito mi innervosisco in queste occasioni! Sai che non do mai il
tormento a Mamo-chan, ma quando arriva il mio compleanno...»
Sì, lo sapeva. Usagi tendeva a crearsi molte
aspettative, ma soprattutto a pretendere che Mamoru le indovinasse
tutte.
Makoto sorrise. «Va tutto bene tra me e Gen. Solo
che...»
Usagi si sporse verso di lei. «Solo che,
cosa?»
Usagi sarebbe stata la voce dell'esperienza. «Ecco,
ti
è mai capitato che Mamoru...» No, non voleva
immaginare lui, solo attingere dalla conoscenza di Usagi in
fatto di relazioni. «Ti sei mai sentita come se voi due
aveste
vissuto insieme una cosa bella ma che ti ha lasciata...
stranita?»
Serafica, Usagi sbatté le palpebre, in attesa di
sentirla elaborare.
Makoto abbassò la testa. «Una cosa....
sessuale.»
Usagi spalancò la bocca.
Ehi, stava ridendo di lei!
«No, no!
Non rido
perché...» Usagi si fece
ancora più vicina. «Wow. Così
presto?»
Makoto ebbe l'impressione che si fossero comprese benissimo
sull'argomento. «Sì.»
«Giusto. Gen saprà tante di quelle
cose...»
Era
stata Usagi a chiedergli assieme a Rei quante ragazze lui avesse avuto
in passato, durante una specie di terzo grado che Gen aveva accettato
solo perché aveva fatto a sua volta domande sulla loro
condizione di Sailor.
Usagi rimuginò. «Ma cosa ti ha
fatto?»
Makoto combatté con tutte le proprie forze per
frenare
il
rossore. «Non è... cioè, tutti e due...
Era solo
una posizione strana.»
«Da dietro?»
Non avrebbe mai immaginato Usagi tanto diretta su
certe questioni. «Veramente...»
«La prima volta che Mamo-chan l'ha fatto, non sapevo
cosa
pensare. Perché era stato quasi impersonale,
però-»
Sì! «Impersonale! Come se fossimo
più due corpi invece che io e lui.» Ma come
stava
parlando?
«Ma certo.» Usagi era comprensiva.
«Però,
allo stesso tempo, è stato più intenso di tutte
le volte
precedenti, no?»
Lei non voleva pensarla così. «Intenso
come
sensazioni, ma come sentimenti...»
«Sei solo confusa, Mako-chan. Quando non lo guardi
negli occhi, non sai
cosa sta pensando lui e sei sola con te stessa. Per questo le
sensazioni
sono più forti: niente ti distrae. Se non lo conosci ancora
bene, può sembrarti che sia solo un esercizio fisico,
però... Mamo-chan mi ha detto che era come un regalo, per la
fiducia che gli stavo dando. Quindi per lui c'era ancora più
emozione.»
Sorpresa, Makoto valutò la nuova
prospettiva.
«Ma se Gen avesse aspettato qualche altra
settimana»
continuò Usagi, «tu non ci staresti pensando
tanto. Almeno
ne
è valsa la pena?»
Per il modo in cui sorrideva, Usagi
sembrava già conoscere la risposta.
Makoto sentì un gran
caldo in viso. «Sì, anche se non
è stato...
da dietro.»
«Oh. Cioè?»
Sotto la linea del tavolo, Makoto usò le dita di
due mani per dimostrare.
Usagi si era sporta in avanti. «Ah, sì!
Lo
abbiamo fatto!»
Makoto avvampò. Dubitava che in due anni e mezzo ci
fosse qualcosa che Usagi e Mamoru non avessero fatto insieme.
«In quella posizione c'è molta pressione
su...»
Usagi smise di parlare e rise. «Dài, ti prendo in
giro! Non scenderò così nel dettaglio. Comunque,
non fare
quella
faccia: ormai sei entrata anche tu nel club di noi pervertite. Manca
Minako, poi devo solo convincere Ami a lasciarsi andare e...»
Il capo di quel club sembrava proprio Usagi.
Usagi le sparò con una mano, imitando Minako.
«Ehi, è
stata tua l'idea del negozio di biancheria intima! Ed è
ottima!
Ecco dove posso prendere qualcosa di speciale! Magari proprio per il
matrimonio.» Occhieggiò le proprie buste.
«Hai
fame?»
«No, ma...»
«Allora andiamo! Ti offro qualcosa per strada, ho
deciso cosa voglio prendere!»
Ridendo, Makoto si ritrovò trascinata fuori
dal Crown.
Era entrata una sola volta in quel negozio. L'aspetto
sofisticato le aveva fatto
pensare a prezzi elevati, ma soprattutto a uno stile lontano da lei: in
passato non le erano serviti capi sensuali, fatti
per attirare l'attenzione. Solo di recente aveva provato qualche
acquisto azzardato di biancheria, una scelta vincente: almeno aveva
avuto qualcosa da indossare durante la sua prima notte
con Gen.
Oltrepassò le porte, curiosa, ammaliata dai colori
tenui e dalla disposizione ordinata degli indumenti. Ogni modello aveva
il suo stand e perciò risultava ancora più
prezioso
alla vista. Provò a guardare qualche etichetta, controllando
le taglie.
Le sue migliori speranze si
infransero contro un muro di delusione. Si era dimenticata del
suo
solito problema: non era semplice trovare biancheria intima della sua
misura.
«Coppa D?» La commessa fece una smorfia.
«Non abbiamo molto qua fuori, ma forse in
magazzino...»
Quasi sicuramente neanche in retrobottega avevano qualcosa, ma
Makoto volle tentare comunque.
«Se potesse aiutarmi...»
«Vedo cosa posso fare.» Solerte, l'addetta
al negozio sparì.
Makoto si unì a Usagi. Deliziata, lei toccava tutti
i modelli; poteva permettersi di indossarli.
«Ah!» Usagi teneva tra le mani un
reggiseno di pizzo azzurro. «Com'è carino
questo!»
«Sicuramente ti sta.» Makoto era invidiosa.
Usagi notò il suo sospiro. «Come mai
questa voce?»
«Scusami, è solo che... mi piace tutto,
ma non mi entra
quasi niente. La commessa è andata a vedere se trova
qualcosa
per me.»
«Ohhh.» La delusione di Usagi fu quasi
pari
alla sua. Poi le guardò il seno.
«Be', pensandoci, non è facile
compatirti.»
Makoto si imbronciò. «Non ha senso che
sia bello se non posso vestirlo bene.»
«Su, ogni
donna ha
qualcosa per cui
soffrire! A me stanno tutti questi» Usagi le
indicò con
la mano
larga
ogni reggiseno del negozio, «ma continuo a desiderare che
mangiando mi cresca la ciccia sul petto. Poi ci sei tu che non hai
bisogno
di altro volume, ma desideri ardentemente modelli che ti donino e che
non
trovi.» Usagi si accese come una lampadina. «Chiama
Ami!»
«Eh?»
«All'estero la tua taglia non è
più comune? Chiedile di prenderti qualcosa come
souvenir!»
Oh.
Magari non come souvenir, ma se avesse detto ad
Ami che le
rimborsava la spesa... Già, l'idea di Usagi era geniale.
«Hai ragione!» Lo avrebbe fatto una volta tornata a
casa.
Usagi stava già pensando ad altro. «Hai
visto se c'è una parte dedicata ai corredi da
sposa?»
Le sembrava di aver visto molto bianco su una parete.
«Là sul retro.»
Usagi sgusciò via proprio mentre tornava la
commessa.
«È il suo giorno fortunato!»
Makoto non credette alle proprie orecchie.
«Davvero?»
La signorina annuì. «La nostra nuova
manager ha deciso
di variare il campionario. Ha la sua stessa taglia, sa? Ha
pensato di specializzare il nostro negozio offrendo una maggiore
varietà nella dimensione delle coppe.»
Oh! Se le avesse fatto vedere qualcosa che non fosse di cotone
e a
tinta unita, avrebbe fatto di lei una loro cliente per la
vita!
La commessa la condusse al bancone. «Sono solo una
decina di modelli, ma spero che siano di suo gusto.»
Per Makoto dieci era come dire mille.
Quando avvistò
il modello in seta nera con fili d'argento, seppe di aver trovato
quello che
faceva al caso suo.
«È proprio bello» Usagi
guardava con aria sognante il suo sacchetto chiuso.
«Lo so.» Raramente Makoto era stata tanto
soddisfatta di un acquisto. «Anche il completino che hai
preso tu è bellissimo.»
«È solo il primo di una lunga
serie.» Usagi sollevò il pugno in aria, poi si
sgonfiò come un palloncino. La sua andatura perse la cadenza
del salto e Makoto seppe che stava per sentire qualcosa di serio da lei.
«Tutti i soldi che ho vengono da qualcun
altro, sai?» Usagi guardò mesta il marciapiede.
«Se
li finisco, l'unica scelta che ho è chiederne altri. Non li
ho guadagnati.»
Era normale. Lei era ancora giovane.
«Mi sto per sposare, Mako-chan. Dovrei essere in
grado di mantenermi da sola almeno per le mie piccole spese.»
Questo era vero. «Stai pensando di trovare
un lavoro?»
«Luna dice che non è una buona idea
adesso. Sarò impegnata a organizzare il matrimonio,
però...» Usagi scosse la testa. «Non lo
so, ci
devo pensare. Mi sembra importante cambiare la mia
situazione.»
«Quando andrai all'università, avrai
più tempo.»
«Hai ragione.»
Makoto ebbe voglia di abbracciarla. «Sei matura
già nel capire l'importanza di
lavorare.»
«Ma è giusto che stia pensando solo a me
stessa?
Dopo tutto quello che è successo?»
Aveva davanti una futura regina ora.
«Hai sacrificato tanto. Hai bisogno di riconquistare un po'
di serenità.» Le massaggiò la schiena.
«Non c'è qualcosa che adesso tu possa fare per il
mondo, perciò non c'è niente di male
se pensi a rilassarti e
al matrimonio che sogni da sempre.» Guardò Usagi
negli occhi e per un momento, ancora una volta, non le parve vero.
«Usagi-chan. Stai per sposarti.»
Riaccese la gioia di lei. «Ti ricordi?»
Usagi
tremò col sorriso. «Quella volta abbiamo comprato
una rivista per spose; abbiamo commentato le pagine tutto il
pomeriggio!»
Makoto aveva in mente quella giornata come se fosse ieri.
«Adesso per te è un desiderio sta diventando
realtà.» Chiuse Usagi in un
abbraccio forte. «Te lo meriti. Tra qualche giorno
penserai al resto, ma per ora... permettiti di essere felice.»
«Non farmi piangere!»
Si staccarono ridendo, Usagi commossa. «Non
voglio essere la sola che sta bene! Ci ho pensato, e ho capito meglio
cosa volevi dirmi prima.»
Oh? Si riferiva al discorso a...?
«Imponiti, Mako-chan!»
«Eh?»
«Scommetto che stai cercando di essere tanto dolce e
carina con Gen. È il tuo solito blocco, ma tu sei
più di questo! Non frenarti, mostrati come sei. Vedrai che
così ti sentirai padrona
della situazione. Farai cose ancora più perverse senza
vergognartene!»
Makoto controllò disperata i loro dintorni.
«Shh!»
Usagi ridacchiò. «Mi
ascolterai?»
«Ah...» Se l'aveva capita bene,
sì, ma... «Non è che mi freni di
proposito.»
«Certo, certo. Lui ha più esperienza, ma
tu
hai forza di volontà. Inoltre, ora sai quanto possa essere
piacevole essere sopraffatta dalle sensazioni. Fallo a lui.»
Makoto ebbe un ricordo e si leccò un labbro.
«In realtà...»
Usagi spalancò gli occhi. «Lo hai
già fatto?»
Be', sì. «Durante la prima
notte.»
La risatina di Usagi fu deliziosa. «Ti ho
sottovalutata!»
Nelle vene Makoto sentì scorrere una sensazione di
potenza quasi dimenticata. «Hai ragione. Ascolterò
il tuo consiglio.»
«Ascolta solo la tua natura. Stanotte vinceranno le
donne!»
Makoto preferì non chiederle cosa volesse
dire.
Sorrise e continuò la sua passeggiata con Usagi.
Rivedendo Makoto quella sera, Gen rimase senza parole.
Sotto il capotto nero, che sottolineava la vita, non vedeva niente del
corpo di lei, ma nella luce della sera risaltava il
rossetto
rosso che Makoto aveva messo sulle labbra. Lei aveva sciolto i
capelli e
i suoi occhi verdi sembravano più accesi e brillanti,
circondati com'erano di scuro.
Quando fu a pochi centimetri da lui, Gen si
aspettò di vederla arrossire e abbassare lo sguardo, ma
Makoto
lo fissò in aperta contemplazione. Gli mise una
mano sulla spalla e lo fece chinare, per baciarlo
su una guancia. Il colore della sua bocca
sottolineò il sorriso.
«Ho portato una cosa» gli sussurrò.
Lui non smise di guardarla in faccia.
Lei gli mise davanti agli occhi un piccolo panno. Glielo
appoggiò sulla guancia, strofinando piano la superficie
umida contro la sua pelle.
«Per pulirti quando servirà.»
Makoto tirò fuori anche un piccolo tubo
decorato, il rossetto incriminato. «Questo invece
è per sporcarti.»
Gen si fece rigido nei lombi. «Ah-ha.»
Makoto sorrise, tornando se stessa. «Dove
andiamo?»
«Di sopra?»
Lei scosse la testa. «Dopo.»
Sollevando le braccia gli fece vedere i sacchetti di carta voluminosi
che lui non aveva neanche notato.
«Qui ci sono il
tuo regalo e la nostra torta. Andiamo a scartarli in un
ristorante.»
Infatti lui ne aveva scelto uno, ma in quel momento... Chiuse
gli occhi e provò a far funzionare il cervello.
«Va bene, andiamo.»
Mentre si voltava per fare il giro del furgone, Makoto lo
afferrò per un braccio. «Ti ho colpito?»
Lui adorò quella domanda.
«Sì.» Si chinò per avere un
bacio, ma Makoto si ritrasse.
«Pazienza.» Lei risplendeva.
«Sarà tutto migliore con un po' di
attesa.»
Incredulo, Gen le aprì la portiera. Makoto stava
cercando di... conquistarlo.
Cercando di non farsi vedere, sorrise mentre andava dalla
propria
parte della macchina.
«Sei tu a tuo agio qui» le disse, seduti
al tavolo del ristorante. Era un posto tranquillo, che fino a quella
sera lui aveva visto solo dall'esterno. L'atmosfera del luogo gli era
parsa
giusta quando un pomeriggio, fermo a un semaforo, aveva visto due
tavoli dalle finestre, entrambi occupati da coppie diverse in
età e aspetto tra loro, simili solo nell'atteggiamento
casuale
con cui si concentravano sul partner che avevano davanti. Un posto per
coppie, aveva pensato, e gli era venuta subito in mente Makoto.
Aveva provato a descriverle sommariamente il tipo di
ristorante. Lei ora si adattava al luogo meravigliosamente con il
vestito
semplice, nero, che le avvolgeva il corpo.
«Sembra che sia a mio agio?»
ripeté Makoto, tagliando con delicatezza la carne sul
piatto. «Mi piace sentirmi diversa a volte.»
Più che diversa, lei gli sembrava solo nuova. Ogni
volta che credeva di averla capita, e di essere contento
di quello
che aveva trovato, veniva sorpreso con la visione di un altro lato di
lei che ancora non comprendeva.
La luce negli occhi di Makoto non era cambiata. «Non
sembra che io stia recitando?»
Gli piaceva sedare quell'insicurezza.
«No.»
«Non ho avuto molto a che fare col mondo degli
adulti... Ma poi penso, 'Sono adulta anche io ormai'. Quindi oggi ho
voluto
mettermi queste cose che mi fanno sentire... come sono quando mi trovo
con te. Grande.»
Lui si riempì. Di cosa non lo seppe, ma 'amore' era
una parola troppo blanda. «Lo sei.»
Makoto sorrise. «Lo vedo quando mi guardi.»
Lei passava dall'incertezza a un tono da seduttrice nata che
gli stava facendo venire voglia di chiedere velocemente il conto.
Guardò il proprio piatto mezzo pieno e si
affrettò a terminare di mangiare.
«Oggi mi sono vista con Usagi.»
La ascoltò.
Makoto rifletté tra sé. «Lei
sta
cercando di pensare ai problemi di tutti i giorni, al suo matrimonio...
Ma si sente in colpa per non preoccuparsi di... cose
più serie.» Makoto sapeva già che i
tavoli
accanto a loro erano occupati, perciò non entrò
nei dettagli. «Mi ha fatto pensare. Forse c'è
qualcosa di sbagliato nel modo in cui voglio affrontare i prossimi tre
anni della mia vita.»
Gen la fissò.
«Aprirò la pasticceria» gli
confermò Makoto. «Non so ancora di preciso
cos'altro
fare per prepararmi a quello che verrà dopo, ma... Non
vorrei continuare ad agire come se, dimenticandomene, sarà
tutto a posto alla fine.»
Non c'era un commento che lui avesse da offrire su quella
faccenda.
Makoto studiava la sua reazione. «Non ne
parlerò molto
con te in futuro. So che...»
«Non hai bisogno di evitarlo.» Lui non era
così debole.
Makoto annuì piano. «Ci
penserò ogni tanto. A volte vorrò parlarne.
Siccome non avrò il ruolo di Usagi e non ho
capacità di comando come Rei, o l'intelligenza di Ami... non
sarà una cosa che entrerà tanto nella mia vita.
Non ho neanche la presenza di Minako, perciò...
dovrò trovare un mio posto all'interno di questo futuro.
Questo
non cambierà la mia esistenza di tutti i giorni, per adesso.
Forse, sarò solo una ragazza che comincerà a
leggere molte riviste e a guardarsi programmi politici noiosi e
complicati.»
«Posso subire questa tortura con te.»
«Avrò paura di
opprimerti, Gen. Ma mi sembrava giusto parlarne, almeno una
volta.»
Se serviva a tranquillizzarla, lei aveva fatto bene.
«Non mi sottovalutare.»
«Non è così.» Makoto
scosse la
testa. «È solo una cosa che volevo dire. Io
sarò anche tutto questo in futuro, nel
bene e nel male.»
«Nel bene» precisò lui.
Lei fu felice. «E tu? Stai finendo il terzo anno.
Comincerai a cercare un lavoro nel tuo campo?»
Makoto stava cambiando argomento. Gen lo accettò.
«Col rimborso dell'assicurazione la mia famiglia
è al sicuro ora. Ma c'è la ditta di mio padre.
Ci sono Watanabe, Sato e Nakamura. Devo trovare qualcuno che mi
rimpiazzi nel gestirli.» Il pensiero non era piacevole come
aveva pensato
un tempo.
«Ti sei affezionato al lavoro? A loro?»
«Li conosco da una vita. È strana
l'idea di lasciar andare... questo.» Un altro pezzo di suo
padre, la ditta che lui aveva tirato su dal nulla e gestito per
vent'anni.
«Datti tempo.»
Sì, aveva bisogno di capire cos'era meglio fare.
Voleva sentire di prendere la decisione giusta per le persone di cui si
era reso
direttamente responsabile. «Devo pensare a loro.»
Makoto si incuriosì. «A loro tre va bene?
Non
ti hanno mai
visto come un bambino? In questi ultimi mesi, voglio dire.»
No. «È successo in fretta. Sono andato a
sostituire mio padre quattro giorni dopo che lui se n'era andato.
Non c'era nessuno che sapesse posare un parquet e io avevo bisogno di
qualcosa da fare. Loro avevano bisogno di qualcuno che li guidasse.
Andava bene chiunque a quel punto: mio padre non era solo il loro
datore di lavoro,
erano amici da anni. Serviva normalità. Senza parlarne, ho
presto il suo posto e abbiamo provato ad andare avanti come se nulla
fosse cambiato.» Loro lo avevano sostenuto, senza
saperlo.
«Sei stato molto bravo.»
Avrebbe dovuto suonargli banale come complimento, ma gli
sembrò di sentirlo dire da un'altra voce - maschile e
più adulta - e si ritrovò con un groppo duro alla
gola.
Addolorata, Makoto cercò il suo sguardo. Lo
incrociò e provò a sorridere.
«Ho un negligée sotto il vestito.»
A lui sfuggì una risata incredula.
«Cosa?»
Lei arrossì. «Non so se si chiama
così perché è corto, comunque... l'ho
comprato oggi. L'ho indossato.»
I pensieri di Gen virarono in una nuova direzione.
«Ah-ha.»
Makoto afferrò la confezione in cui aveva chiuso il
suo regalo, usandola per coprirsi il petto. «Prima devi
aprire questo. E dobbiamo mangiare la torta.»
«Non sto dicendo niente» sorrise lui.
Lei era divertita. «Non hai bisogno di
farlo.» Appoggiò il regalo sul tavolo.
«Spero che ti piaccia. Ma se ho sbagliato... la prossima
volta farò meglio.»
«Non hai sbagliato.»
«Come fai a saperlo?»
«Quel regalo fa il rumore di matite che sbattono
l'una contro l'altra. A meno che non sia un set per
colorare...»
Lei si disperò. «Non è giusto!
Hai già capito!»
Non era un problema. «Farò la faccia
sorpresa quando lo apro. Tu tieni pronta una di quelle salviette,
dovrai pulirmi la bocca. Non sto bene col rossetto.»
Makoto sorrise e lui fu contento. Quello era davvero
uno dei migliori compleanni che avesse
mai trascorso.
Non avrebbe potuto chiedere nulla di meglio.
Nella strada verso casa, lui e Makoto fecero un gioco: sulla
bocca
non erano
permessi baci, solo sfioramenti, respiri. Il collo invece era
territorio
libero. Fuori dalla porta di lei, Gen le massaggiò la
base della nuca con le dita, solleticando con le labbra la pelle sotto
il suo orecchio. «Perché non apri?»
Makoto non stava girando la chiave. «Mi
distrai.»
Lui rinnovò i propri sforzi.
Lei riprese il controllo della mano e fece scattare la
serratura. Entrando in casa, lo tenne lontano con le dita
aperte sul petto,
accendendo la luce. Si sfilò il cappotto, appendendolo
veloce alla
parete. Non smetteva di guardarlo e sorridere mentre si
toglieva le scarpe coi tacchi, perdendo quei pochi centimetri che
l'avevano resa ancora più accessibile per lui.
Gen tolse a sua volta la giacca, si liberò delle
scarpe.
L'attesa era migliore quando stava per essere annullata.
Avanzò mentre Makoto indietreggiava.
«Fino a dove scapperai?» le
domandò.
Lei scrollò le spalle. Rise nell'abbraccio con cui
lui la prese e
il bacio che
seguì... Gen si sporcò di rosso tutta la faccia,
volentieri. La cosa che lo eccitò di più non
fu il
sapore, ma i suoni che fece Makoto, respiri spezzati, gemiti sommessi
che
trasmettevano tutto il desiderio di lei. Il suo corpo era
morbido, perfetto contro di lui. Si focalizzò sulle
gambe
di lei - che non aveva mai
dimenticato - e con due mani cercò l'orlo della sua
gonna,
sollevandolo piano, accarezzando.
Makoto si allontanò di nuovo, il viso una
macchia di colore sbiadita sulla bocca.
Sfatta di passione, lei era tremendamente bella.
Camminando all'indietro Makoto salì sul letto e lo
invitò ad avvicinarsi. Lui non se lo fece ripetere e la
raggiunse.
«Usa solo le mani» gli disse lei.
Un piccolo ordine che lo infiammò ancora di
più.
Acconsentendo a tenersi distante, riportò
le dita sulle gambe di
lei,
tirando su la gonna, lentamente. Voleva godersi il momento.
Gli venne un infarto
alla vista delle autoreggenti. Makoto si frenò dal
dire
qualcosa
- una giustificazione, forse. Ma quelle erano calze
normali e lui non avrebbe mai pensato che finissero sotto la coscia,
dove erano la cosa più sexy, che... Cambiò
idea quando le alzò il vestito oltre la vita, scoprendo
degli
slip di seta neri, con un piccolo gioiello sul ventre. Il tessuto era
identico sui due lembi di indumento che cadevano, aperti, ai
lati
dello
stomaco di lei.
Makoto terminò di spogliarsi da sola,
sostituendosi
alle sue mani che erano rimaste ferme sulla
vita. Accettò una carezza sul ventre,
rimanendo ferma.
Travoltò, Gen provò a farla
sdraiare, ma lei si oppose. «No.» Premette sulle
sue
spalle e li tenne entrambi dritti. «Prina togliti i
vestiti.»
Lui si liberò di camicia, cintura, pantaloni e
calze in
un tempo inferiore ai sette secondi.
Makoto si divertì. «Così va
meglio.» Aprì le braccia e lo accolse.
Sul letto,
ribaltò la loro posizione e gli cadde sopra.
Lui respirò l'odore dei suoi capelli.
«Sei così buona.»
«... come persona?»
«Buona da mangiare.»
Makoto rise e si sollevò su di lui, seduta.
Allungandosi di lato accese la lampada e spense la luce sul soffitto.
Gen le accarezzò il ventre; l'ombelico era
incorniciato
da quel meraviglioso indumento aperto senza nome, agganciato alle
spalle da due fili
neri, i seni sostenuti da un reggipetto nero. Makoto
portò un braccio dietro la schiena e fece saltare il gancio.
«Con questo negligée bisognerebbe
dormire»
mormorò, abbassando delicatamente le spalline del reggiseno,
facendo attenzione a non lasciar scendere la camiciola. «Ma
non
potevo andare in giro senza niente sotto.»
Il pensiero di lei seminuda gli tolse il fiato. La
afferrò forte
sui fianchi mentre Makoto si gettava alle spalle il reggiseno scuro.
Lei si abbassò e i suoi seni liberi lo
sfiorarono sul petto, i due triangoli di seta l'unica cosa che separava
le loro carni.
Makoto gli passò le mani tra i capelli.
Sospirò mentre le mani di lui la percorrevano lungo il
torso,
salendo. «Aiutami a
togliere le calze.» Seduta su di
lui, portò le
gambe verso le sue spalle, appoggiandosi con tutto il peso del bacino
proprio su...
Lei notò la sua reazione.
«È piacevole?» Dondolò coi
fianchi sul rigonfiamento di lui.
Per Gen parlò la bocca aperta.
Senza dire niente, Makoto portò le mani alla fascia
scura della calza sulla gamba destra; cominciò a srotolarla
verso il ginocchio.
Gen la aiutò con l'altra gamba, passandole le mani
sulla coscia, sul polpaccio. A piede libero le massaggiò la
pianta col pollice, causandole un sorriso.
«Soffri il solletico?» le
domandò.
Ricordò
l'ultima volta che l'aveva toccata in quel modo, per guarirle la ferita
causata da un coccio di ceramica.
«Non lì.» Makoto ritrasse la
gamba e si sollevò in ginocchio su di lui. Per la
prima volta, sembrò incerta. «Voglio fare una
cosa.»
Gen teneva le dita sull'elastico dei suoi slip. Lei
poteva pretendere il mondo in quel momento. «Cosa?»
«Questa volta voglio essere io quella che si
muove.»
Se l'aveva capita bene, l'idea era geniale.
«Certo.»
«Guidami. Con le parole.»
Makoto infilò un dito sotto l'elastico dei propri slip. A
gola
secca lui si unì a quella carezza, lei che sospirava e
cominciava a muoversi contro la sua mano, facendosi sentire per intero,
bollente e già un poco umida. Makoto si adagiò
piano
sopra di lui, provando a togliersi confusamente le mutandine.
Gen non
la aiutò, continuando ad accarezzarla tra le gambe.
Con un sorriso spezzato, lei imprigionò la sua
mano accanto alla testa. «Faccio io.»
Lo baciò. Lui affondò nel calore delle sue
labbra, della sua lingua, finché il palmo di Makoto non lo
trovò sull'erezione e massaggiò. A occhi
aperti sentì che lei passava a baciarlo
sulla guancia, strofinandoglisi addosso con tutto il corpo mentre non
smetteva di stimolarlo.
Lei cominciò ad abbassargli i boxer.
«Tira su il
sedere.»
Divertito, Gen eseguì e cooperò con lei
per sfilare l'indumento, finché giunti alle
ginocchia ci pensò da solo.
Makoto si sollevò sulle braccia. Era
nervosa, ma
non disse una parola mentre si sbilanciava all'indietro e lo prendeva
in
mano, aprendosi per trovare il punto giusto di contatto, la propria
apertura - in quel momento il regalo più intimo che potesse
fargli.
Qualunque cosa
farai,
andrà bene. Lo avrebbe detto a voce in
un'altra occasione, ma la vide
così determinata che non le fece il torto di
rassicurarla o darle consigli. Makoto era dotata di un istinto
naturale
che doveva solo scoprire.
Anche lei resistette all'uso delle parole. Lo accolse nel
proprio
corpo, abbassandosi piano.
Entrambi strinsero i denti.
Makoto aveva pensato che si sarebbe sentita al comando, forte,
ma in quella posizione era più scoperta e disarmata che mai.
Va bene?
Una donna sensuale, che conquistava, non lo avrebbe chiesto.
Studiò la sensazione di avere Gen in sé,
col peso del proprio corpo che premeva su entrambi. Non riusciva ancora
a racchiuderlo completamente; per quel minimo di esperienza che aveva
acquisito, sapeva che ci voleva più insistenza per trovare
un'unione completa.
Si sollevò su di lui e scese di nuovo. Era
eccitante vedere come Gen la guardava.
Ora ci riesco.
Con una terza spinta verso il basso
fece aderire completamente i loro corpi, una scoperta che la sconvolse.
Si era sentita come punta.
Forse, se andava avanti col peso...
Lo
strofinio sulla parte alta tra le gambe le fece sfuggire un ansito.
Aprì gli occhi.
Aveva il controllo di quel piacere, ma anche di Gen che
quieto, appassionato, la osservava. Per lui quell'ultimo movimento non
era stato altrettanto sconcertante.
«Fallo ancora» le disse lui.
Poiché le aveva chiesto di guidarla, Makoto
obbedì,
dondolando coi fianchi.
Serrò le palpebre mentre la mano di Gen la aiutava
a sostenere il peso del torso premendo su un suo seno, le altre dita
che la
cercavano sullo stomaco. Sorrise e gemette quando lui la
stuzzicò sull'ombelico.
«Qui invece provi solletico?»
Lei annuì a bocca aperta, spostandogli la mano.
Portò il suo palmo alle labbra, baciandolo.
Incapace di fermarsi, assaggiò la delizia estrema
dello sfregamento tra i loro corpi, dentro e fuori, trovando
un ritmo con le anche.
Guardò Gen. Osservandolo in viso
trovò la volontà per smettere.
«Perché?» domandò
lui.
Lei appoggiò le mani sul suo stomaco.
«Non sono io che devo impazzire.»
Si sollevò e scese su di lui. Come premio
ebbe fu il modo in cui Gen si tese. Inglobandolo di nuovo, fu
attenta a stringerlo
forte coi muscoli. Lui scattò ad afferrarle i fianchi, ma
lei
proseguì senza sosta, aumentando il ritmo quando lo vide
gettare all'indietro la testa. Bramosa, si sporse in avanti e
lo mordicchiò sul
collo.
Gen la prese per la vita, per capovolgerla, ma Makoto
usò la propria forza e mantenne entrambi dove stavano, lui
soggiogato e a sua completa disposizione. «Senti
com'è»
mormorò, stringendolo dentro di sé, per
fargli capire quanto potere avesse su quello che lui provava. Quelle
sensazioni erano sue; lei poteva esaltarle, comandarle, per non farlo
più pensare a niente.
Non lo fermò quando lui iniziò ad
agitare i
fianchi, sollevandosi a ritmo con lei. Fu una risposta istintiva,
naturale, che la fece fremere in risposta.
Provò a chiudere gli occhi.
Sentì le mani di Gen sul torso, che prendevano
quella specie di negligée di seta, sollevandolo
fino a toglierglielo da sopra le braccia. Lui riprese a dondolare con
lei,
le mani strette sui suoi seni.
Makoto riuscì a mantenere un minimo di manovra, ma
erano in due a muoversi ora e gli strofinii contro il proprio bacino si
trasformarono in piccoli colpi, mentre le dita di lui sui capezzoli...
Invece di opporsi, si abbandonò e fece
pressione su ogni spinta.
Sentì la tensione di Gen, che sotto di lei
diventava rigido come una tavola prima di afferrarle i
fianchi e muoverla scompostamente assieme a lui.
L'orgasmo la
colpì feroce, rapido. Trovò immensa soddisfazione
nella possibilità di cavalcare al massimo ogni ondata di
piacere, con quasi totale libertà di movimento.
Le spinte si quietarono.
Gen era... stravolto. Tremava, ma lei non ebbe
pietà e continuò a strofinarsi su di lui, per
spremere gli ultimi brividi. Senza fiato, lui accennò a
ridere.
Lei si sollevò dal suo corpo. Senza accorgersene
gli cadde accanto, più stremata di quanto aveva pensato.
Sorrise contro la spalla di lui, impossibilmente appagata.
«Sei... una potenza»
fu il complimento di Gen.
Lei cominciò a sussultare per le
risate.
Lui si adagiò sul fianco, divertito.
«Dico sul serio.»
«Lo so.»
«Quando ti dai da fare...»
Non c'era bisogno di lodarla tanto. «Anche
tu.» Lo baciò leggera sulla bocca e
cercò un abbraccio, ubriaca di
felicità. Con due dita gli scostò i
capelli dalla fronte
lievemente umida.
Sedato, Gen la studiava. «Perché
stamattina non eri così?»
«Mi hai sorpreso.»
Adorava il modo in cui stavano parlando, a bassa voce, chiusi
in un mondo loro.
«Era solo questo?»
indagò Gen.
Mentre lo aveva davanti, lei esplorò la
profondità di dubbi che aveva cercato di non vedere dentro
se stessa. Confessò.
«Voglio che tu mi stringa. Che mi guardi. Sempre.»
«Ti guardavo, Makoto.»
«Devi perderti con me quando siamo
insieme.» Come succedeva a lei. «Non pensare tanto,
non usare tecniche... Non troppe» sorrise. «Amami,
quando sei con me.»
Gli causò una smorfia di sofferenza.
«L'ho fatto. Tutte le volte.»
«Stamattina... amavi quello che stavamo
facendo.» Naturalmente ne era innamorata anche lei, ma...
«Non sono ancora pronta per...»
«Okay. Ma ho sbagliato a non farti capire, non
a...» Gen mise gli occhi sui suoi e concentrato
parlò.
«Adesso, che respiriamo. Prima, mentre ci muovevamo.
È come non smettere mai di ballare con te. Sono cosciente di
quello che fai, di quello che senti. Nella mia testa non ci sono
più solo io, è sempre una cosa... doppia. Tienilo
a
mente.»
Era finita in un mare, pensò Makoto. Una landa
mobile
di felicità che la cullava nelle proprie onde. E non era
sola.
Abbassò le palpebre e appoggiò la fronte
contro quella di lui.
Il freddo della stanza cominciò a farsi sentire. Si
abbracciarono per tenersi al caldo.
«Non ho tanto sonno.»
«È presto» sbadigliò
lei. «Abbiamo mangiato da poco.»
«Tu hai
sonno.»
«No. Questo è... rimbambimento.»
«Cosa?» sorrise lui.
«Ha un nome? Lo conosco da poco, perciò
lo chiamo
così.»
«Non so se ha un nome. Quello che gli hai dato
è
buono.»
Makoto lo guardò in faccia e scoppiò in
una risatina.
«Cosa?»
«Il rossetto.»
Lui le strofinò una guancia. «Anche
tu ce l'hai.»
«Aspetta, prendo lo struccatore.»
«No, non ti alzare.»
«Solo un attimo.»
Quasi saltellando, Makoto andò in bagno. Prese il
liquido struccante, dei dischetti di cotone e infine... Felice,
annodò attorno al polso l'elastico per capelli.
Tornò indietro. «Non è stato facile
evitare di farmi una coda stasera.»
«Stai bene.»
«Sono abituata a tenere i capelli legati.
Inoltre...» Gli mostrò la banda con le due sfere
verdi. Era stato lui a regalargliela, un mese prima. «Mi
piace ancora di più farmi la coda da quando ho
questo.»
Gen soffrì, diviso tra tenerezza e rimorso.
«Devo farti regali migliori.»
«Era il primo.» Terminò di
pulirlo sulla bocca,
poi passò a togliere le tracce di colore dal proprio
viso. Tornò a
sdraiarsi accanto a lui. «Rimarrà un regalo
speciale.»
Lui provò a ricordare. «Mi sentivo in
colpa. Stavo cercando di non farti pensare che ero un idiota.»
Perché l'aveva gettata a terra in combattimento?
Inconsciamente, era stato allora che lei aveva cominciato a
considerarlo come potenziale fidanzato. «Io stavo cercando di
non
pensare che eri
giusto per me. Non volevo accorgermene.»
«Ah, sì?»
«Sei stato bravo a insistere.»
«Modestamente...»
Makoto appoggiò la testa sul suo petto. Sul cuore
di lui aprì una mano che Gen prese.
Con le dita danzarono un lento privo di ritmo, colmo d'intesa.
"È come non smettere mai di ballare con te."
Al ricordo di quelle parole, innamorata, si
addormentò.
4 gennaio
1997 - Giornata di
compleanno - FINE
NdA: in ritardo, ho finito questo episodio. Mi piace,
è venuto come volevo, come lo immaginavo da tanto tempo,
quasi da quando Makoto e Gen si erano appena messi insieme.
Dedico questa storia a chi ha amato questa coppia come me. In
particolare ricordo Rox, thembra, Morea. Ma sento che sto dimenticando
qualcuno (perdonate, è l'ora, l'una del mattino) e se
è
così sappiate che voglio
citarvi tutti quanti. Questi due sono insieme, con questo entusiasmo e
questa passione, anche grazie a voi, perché da principio con
Gen
ero convinta di aver creato un personaggio maschile semi-stereotipato,
che ho imparato ad amare anche grazie a come me lo avete fatto vedere
voi.
Un bacio.
ellephedre
|
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Capitolo 3 *** Fine gennaio 1997 - Routine ***
corrente naturale 3
Corrente
naturale
di ellephedre
Fine gennaio 1997 - Routine
Alla fine avevano trovato una loro routine.
Due o tre
volte a settimana, Gen cenava da lei la sera, seduti l'uno davanti
all'altra sul tavolo basso della cucina, con una scodella di cibo in
mano. Fino a quel momento Makoto non si era mai ripetuta col
menù: aveva un'inventiva illimitata in cucina.
«Come al solito, per te c'è un dolce
anche questa
sera.» Si alzò. «Le ragazze hanno
finito quello
di ieri, per cui, oggi...» Aprì
teatralmente il
frigo.
«Tiramisù!» Tirò
fuori un piccolo vassoio e lo posò
sul
tavolo.
«Grazie» sorrise lui. «Ma tu non
lo
mangi?»
«Magari domani a pranzo, o come merenda. Oggi sono
sazia.»
Lei lo era spesso dopo cena. Gen l'aveva notata servirsi
più volte porzioni piccole, che assaggiava con
lentezza.
«Non devi preparare dei dolci apposta per
me.»
Makoto scrollò le spalle. «A me fa
piacere. Mi piace
guardare mentre li gusti. E sentire i suoni di gradimento che ti escono
dalla
gola.»
«Ah, sì?» Il tono del discorso
era
appena cambiato.
Lei sorrise, un labbro incastrato sotto i denti. «Se
posso
darti simili soddisfazioni, sono felice.»
Lui strisciò intorno al tavolo. «Vieni
qui.»
Makoto si dimenò un poco nella sua presa, giocando
a
resistergli. «Dobbiamo finire di mangiare.»
«Il dessert non scappa. Un po' come la spalla di
questo
maglione.» La tirò su, riportandola al proprio
posto dal
punto in cui era caduta sul braccio, come aveva fatto Makoto
più
volte durante la sera. Si abbassò a baciare la
pelle che
ricopriva quel delizioso muscolo e lo sentì fremere sotto le
labbra. «Avevi freddo?»
«Hmn...» Makoto era concentrata
sulla sua bocca.
«Ti direi...» Gen leccò un
poco,
«che non devi
denudarti in pieno inverno per attirarmi. Ma vederti con questa spalla
mezza nuda mi ha fatto venire delle gran belle idee.»
«Veramente?»
Lui udì il tono di voce roco e sollevò
gli occhi. Le prese la nuca in una mano mentre Makoto abbassava la
testa. Si
baciarono a bocca aperta, voraci.
Lei gli circondò il collo con le braccia, poi gli
salì
sopra e urtò il tavolo con un ginocchio, quasi sbalzando
l'intero ripiano. Risero, poi lui cercò di nuovo le sue
labbra. Lei si scostò. «Aspetta...» Gli
regalò un piccolo bacio prima di tirarsi su.
«Prima metto
via il dolce.»
Lui non le lasciò la mano. «Fallo
dopo.»
«Ma si scioglie.» Makoto lanciò
un'occhiata al
lavandino e fu colpita da una nuova idea. «Meglio se
lavo velocemente i piatti, altrimenti si sentirà
l'odore
del cibo fino a domattina.»
Gen le lasciò la mano.
Rimase a pensare mentre, guardando il tavolo, notava i
bicchieri
sporchi e i piattini puliti - da dessert - che lei aveva
tirato
fuori da poco.
Capì il problema e si alzò. Mentre
Makoto riponeva
in frigo il dolce, lui portò i bicchieri verso il lavabo.
«Sto scombinando i tuoi ritmi, non è
vero?»
Quando Makoto cucinava, era metodica e molto ordinata. Come
una
professionista, la sua cucina era immacolata durante la preparazione
dei cibi. Appena lei terminava una pietanza - se i tempi di cottura
glielo permettevano - si dedicava alla pulizia degli utensili
impiegati durante la preparazione. Sul suo piano di lavoro, durante le
varie fasi, si vedeva a stento una briciola o una goccia di
sporco. Makoto teneva molto alla sua cucina, nonché
a lasciarla pulita.
Senza curarsi di ciò, lui quasi sempre pretendeva
la sua totale
attenzione dopo cena. Di frequente finivano a lavare i piatti
la
mattina dopo - o più spesso lo faceva Makoto da sola,
poiché si svegliava per prima, senza che lui nemmeno se ne
accorgesse.
Lei aveva iniziato a far scorrere l'acqua.
«Sì, preferisco lavare
i
piatti appena finito. A
volte, in queste sere, ho faticato a rimanere sdraiata a letto con te
senza pensare alla cucina sporca.»
Incredibile. «Potevi dirlo.»
«Non sempre avevo voglia di farlo. Spesso ero
stremata e troppo felice per muovere un muscolo.»
Lui le accarezzò la coda, sfiorandole la base del
collo.
«Sono io quello che si sta prendendo uno spazio che era solo
tuo
in questa casa. Spazio e tempo. Aiutami a capire se sto
esagerando.»
Lei fece un passo verso di lui, per strofinare la nuca contro
la sua
mascella. «No. A volte vorrei che fossi qui tutti i giorni,
per
questo non dico nulla. Vorrei ancora di più di quello che mi
stai dando. Quando penso queste cose, mi fermo a riflettere e mi
do
un paio di schiaffetti.» Rise. «Sai
com'è... In
fondo mi servono anche dei momenti liberi per studiare, per pulire la
casa, per fare la spesa, per farmi bella per te...»
Lui mise la mano sotto il getto dell'acqua e le
passò le
dita bagnate sulle labbra. «Ancora di
più?»
Il respiro di lei accelerò.
«Ah....» Ad
un
centimetro dalla sua bocca, si risvegliò.
«Prima i
piatti!»
Ridendo, Gen fece un passo indietro. «Ne
approfitto per andare in bagno.»
Adocchiò da fuori lo spazzolino che aveva
comprato per quella casa. Spesso finiva per utilizzarlo solo di
mattina:
lavarsi i denti dopo cena non era sempre una priorità. Per
lui
e Makoto non era ancora terminata la fase in cui a entrambi
bastava guardarsi negli occhi per saltarsi addosso.
Erano passate più di tre settimane da quando
avevano la
libertà di dedicarsi l'uno all'altra in quel modo. Ormai non
c'erano più guerre, non c'erano più pericoli.
Si voltò.
Con in mano un piatto e una spugnetta, Makoto
inclinò la testa di fronte alla sua attenzione.
«Fa molto rapporto domestico»
dichiarò
lui.
«Hm?»
«Nonostante le mie intenzioni, passiamo la maggior
parte del
nostro tempo insieme qui a casa tua.»
«Si risparmia per il cibo. Inoltre, dopo il lavoro
tu sei
stanco.»
«Anche per te è più comodo non
uscire.»
«Certo. Studio mentre cucino.»
Davvero? Quando ne aveva il tempo, se preparava cose sempre
nuove e
complicate? «Mi piace stare con te, Makoto, ma non voglio che
ti
occupi di me come se io abitassi qui.» Gli sovvenne un
aspetto
di
quella situazione. «Mia sorella ha detto che da qualche tempo
a
questa parte c'è più cibo nella nostra dispensa.
Per
metà della settimana ormai non mangio più a
casa.»
Tornò verso il salotto e si diresse alla scrivania, tirando
fuori un blocchetto. «Farò la spesa per te qualche
volta.
Segna
quello di cui c'è bisogno.»
«Gen... non è necessario.»
«Non stai spendendo di più in cibo da
quando
stiamo insieme?»
«Sì, ma è un
piacere.»
«Lo sarà anche per me.
Comprerò il cibo
con cui ci preparerai le cose deliziose che cucini.»
Makoto arrossì. Abbassò lo sguardo sul
bicchiere
che stava lavando. «Posso dirti una cosa?»
«Certo.»
«Mi piace da morire parlare di queste cose con te.
Come se
fossimo una coppia che...» Non ebbe il coraggio di terminare.
«Non sentirti in colpa se non mi porti fuori. La
verità è che a me piace tantissimo accoglierti la
sera,
qui a casa mia.»
Addolorato, lui strinse i denti. «Non parlare
così
mentre lavi i piatti.»
«...
perché?»
«L'idea era quella di frenarci col sesso per cinque
minuti.
Ma se parli in questo modo...»
Lei mimò il segno di una cerniera
chiusa sulle
labbra. «Capito. Silenzio.»
«Per cinque minuti» le ricordò
lui.
Soddisfatto nel vederla annuire, andò in bagno.
Guardandosi nello specchio sopra il lavandino,
spalmò felice
il dentifricio sopra lo spazzolino.
Chi aveva bisogno di uscire? La perfezione era
già in quel posto.
Fine Gennaio
1997 - Routine - FINE
NdA: scena breve, ma più o meno è
così che - una volta raccontate le vicende principali -
vorrei esprimermi nelle varie raccolte dedicati alle coppie di cui mi
scrivo. Non sempre avrò una storia precisa da sviluppare;
l'idea è quella di trasmettere l'essenza della
quotidianità e del rapporto che si viene a instaurare tra i
personaggi, quando mi viene in mente la scena giusta da descrivere.
Spero che questa vi abbia detto qualcosa di più su
Makoto e Gen. Oggi non pensavo affatto di scrivere di loro. Sapete come
mi è venuta l'idea?
Ho visto un episodio della terza serie in cui Makoto aveva un
maglione rosa con uno scollo un po' largo e ho pensato che a Gen un
indumento simile sarebbe proprio piaciuto.
Da qui questa scenetta :)
Se avete una parola di commento, sarò felicissima
di sentirla :)
Grazie di aver letto!
ellephedre
|
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Capitolo 4 *** Inizio febbraio 1997 - Corsa e cinema ***
makoto_gen_cinema
Corrente
naturale
di ellephedre
Inizio febbraio 1997 - Corsa e cinema
Correre in inverno, la mattina. Makoto si riempì d'aria i
polmoni, aumentando l'ampiezza della falcata. Mancava solo un angolo e
avrebbe raggiunto il parco e l'albero sulla piccola collina. Era il suo
obiettivo di metà percorso.
Coraggio!
Mai come nell'ultimo mese si era lasciata andare con gli
esercizi. Si
era concentrata molto su Gen: uscire con lui, preparargli da
mangiare, passare del tempo insieme... Occupazioni soddisfacenti che
le portavano via tempo. Per non perderne troppo, nelle ultime settimane
si era limitata a qualche esercizio di rafforzamento muscolare dentro
casa.
Con la corsa era fuori forma e lo sentiva nella fatica con cui
il suo
cuore pompava il sangue. Cominciava ad avere il fiatone, ma non le
dispiaceva: faticare era nel suo DNA, la rinvigoriva.
Arrivò nella piazzola del parco, il torso madido di
sudore
sotto la felpa di cotone leggera.
Ancora un centinaio di metri...
Avvicinandosi al tronco dell'albero, notò un
corridore che
proveniva dalla direzione opposta.
Incredula, spalancò la bocca.
«Gen!»
Lui la notò. Senza smettere di correre, esplose in
un sorriso.
Lei accelerò il passo, fiondandosi come un razzo su
di lui.
«Ciao!!» Si aggrappò alle sue
spalle.
In volteggio fecero un mezzo giro.
Lui era estasiato. «Ciao! Cosa ci fai
qui?»
«Ci corro!»
«Non ti ho mai vista!»
«Ah...» Si strinse nelle spalle,
staccandosi e
ridacchiando. «Negli ultimi due mesi non ho avuto
tempo!»
Gen capì subito.
«Così si
spiega. Io ho scoperto questo posto solo da poco.»
Lei si illuminò. «Ci passi spesso? Fa
parte del
mio percorso!»
Lui non riuscì a credere alle propre orecchie.
«Allora
magari ci vedremo anche di mattina. A che ora passi di qui?»
«Alle sette, a giorni alterni.»
Gen strinse i denti. «Io alle sette e
mezza.»
Lei gli diede una pacca sulla spalla.
«Dài, non
importa! È un
caso incredibile che ci piaccia lo stesso posto per correre!»
Lui sollevò un braccio, indicando un punto dietro
le proprie
spalle. «Da qui sono cinque chilometri a casa mia.
Li ho
calcolati con questo strumento.»
Lei osservò il moderno contapassi che lui stringeva
al
polso. «Misura le distanze percorse?»
Gen annuì. «Volevo fare dieci chilometri,
per questo mi sono spinto fino a qui.»
Lei era solo felice di rivederlo. Anche se...
Gen terminò di recuperare il fiato.
«Magari passo a fare la doccia a casa tua, dopo.»
Di sabato? «Pensavo che oggi fossi occupato con la
spesa per
tua famiglia e le pulizie di casa.»
«Sì» concesse lui, osservandola
per
capire la ragione della sua ritrosia. «Posso
ritardare di un paio d'ore... A meno che non ti stia
interrompendo.» Rise. «Hai altri piani per la
giornata, vero?»
Esatto. «C'è un film.»
«Vai a vederlo con le altre?»
Non proprio. «Minako ormai non può
più
stare in
pace per strada. Rei ed Ami accompagnano Usagi a dare un'occhiata a
negozi per il suo gran giorno. Io mi unirò a loro appena
finita la proiezione.»
Gen s'incuriosì. Appoggiandosi contro il tronco
dell'albero,
iniziò a fare stretching con le gambe. «Pensavo
che non ti
perdessi queste gite per nulla al mondo.»
Tranne che per il nuovo film d'amore coi suoi attori
preferiti. Aspettava di vederlo da quando ne avevano
annunciato l'uscita, perciò non
voleva attendere un giorno di più.
Piegò la
pianta del piede verso la natica, stirando i muscoli
della coscia. «Tarderò di poco per Usagi.
È
tutto
programmato, vado al primo spettacolo.»
Gen stava pensando. «Sapevi di dover
andare da
sola al cinema e non mi hai chiesto di accompagnarti?»
Lo aveva fatto apposta. «Non è il tuo
genere di
film.»
«Niente azione, quindi. Niente sport...»
Gen terminò
il suo rapido elenco. «È un film per
donne» comprese.
«È da vedere con delle ragazze»
confermò lei.
«Ma vai da sola?» Gen la scrutò
in
volto.
«Ah. È un altro modo per non
infastidirmi.»
Non c'era bisogno di riderne, lei stava cercando di fare del
proprio meglio.
«Continui a stare sulla difensiva, Makoto. Non hai
idea di
quante
ragazze mi costringessero a vedere film di questo tipo dopo
nemmeno due settimane che uscivamo insieme.»
Appunto. Per loro si era trattato sicuramente di una specie di
test che
lei non
aveva alcuna necessità di fare: non aveva bisogno di sapere
cosa Gen fosse disposto a fare per lei. «Ci
sarei andata con le mie amiche, ma in loro mancanza non è
necessario torturare
te.»
Lui rifletté, stiracchiando le braccia
sopra la testa. «Be'... non mi piace saperti sola al
cinema.»
«Guarda che non è pieno di
molestatori.»
«Se ci fossero, tu spaccheresti a tutti le
ossa.» Gli uscì una risata
«Mi riferivo al fatto che è strano andarci da
soli. Vengo con
te.»
Era una concessione che sapeva di sacrificio. Inoltre, saperlo
annoiato
accanto a lei sulla
poltroncina del cinema non era la sua idea di divertimento.
«Veramente...»
Lui alzò le mani, interrompendola.
«Ora torno a casa e completo le pulizie con Miki e Shori,
così ho il pomeriggio libero.»
«Ma la spesa?»
«Questa settimana le mie sorelle si sono arrangiate
con
piccole compere. Al massimo facciamo la spesa più grossa
domani.»
Makoto non ebbe più scuse da sfornare.
Divertito, Gen cominciò a correre sul posto.
«Ti
sento dubbiosa. Ne parliamo questo pomeriggio?»
Rassegnata, lei annuì. «Il cinema
è...» Gli disse
il luogo e l'orario dello spettacolo. «Buona corsa.»
«Altrettanto. Niente bacio?»
Contenta per la richiesta, lei gliene schioccò uno
sulle labbra.
«A
dopo!»
«A dopo.»
Corsero via, ognuno in direzione di casa.
Makoto - notò Gen - lo attendeva davanti alla
biglietteria
del cinema con due ingressi in mano. «Non ti
piacerà.»
«Il film?» Le indicò i
biglietti.
«Quanto è costato il mio?»
«Offro io. Poi non dire che non te l'avevo
detto.»
Lei si stava preoccupando troppo. «Guarda che riesco
a
reggere
una commedia romantica. Di solito è la parte comica che la
rende
sopportabile.» Provò a farsi una risata, ma Makoto
non si divertì.
«È un dramma» lo
informò.
Ahi.
«Muore qualcuno?»
Lei sussultò.
«No, non
c'entra mio padre. Non
mi dà fastidio vedere una storia di morte.» Con
tutto quello che aveva passato, non lo colpiva più nulla.
«Voglio solo capire
che tipo di film è.»
«Dal trailer non è chiaro come va a
finire.
C'è di mezzo una malattia grave...»
Fantastico, un drammone strappalacrime. Cercò di
non far
trasparire il proprio orrore. «Okay.»
«Se ti annoi, possiamo uscire.»
Così era troppo. «Non sono mai uscito da
un cinema
a metà film.»
Al massimo, aveva dormito. «Inoltre, non sei qui
perché volevi vederlo?»
Infelice, lei rimuginò. «Questo tipo di
storie mi
fanno commuovere. Non prendermi in giro se piango.»
Non era un mostro. «So che se ti commuovi
fai sul
serio.»
Lei cercò di capire se stava scherzando.
«Makoto. Questo è il tuo film e io mi
sono
invitato da solo. Non ti rovino l'esperienza.»
Lei volle dargli fiducia. «Va bene.
Allora
andiamo a comprare i pop-corn ed entriamo.»
Peggio di una commedia romantica mal fatta, pensò
Gen, c'era
solo un dramma romantico ben fatto che costringeva a
riflettere.
Il film raccontava la storia di un tizio che, suo malgrado, si
innamorava
di una ragazza affetta da una malattia neuro-degenerativa senza
possibilità di cura. La protagonista femminile era forte:
non si
piangeva addosso e meritava rispetto.
Chissà come mai, si domandò, esisteva
gente che provava un perverso
piacere nel
guardare storie tragiche come quella.
Aveva un senso cercare apposta il
dolore? Per lui
era una tortura.
Al suo fianco Makoto era rannicchiata nella poltroncina del
cinema. Si asciugava le lacrime con il dorso della mano.
"Non voglio la
tua
pietà!"
"Non te la sto
dando!
Voglio solo che rimaniamo insieme!"
Gen si estraneò di proposito dalla pellicola,
alzando gli
occhi al soffitto della sala.
Udì un debolissimo singhiozzo di Makoto.
«Ehi» mormorò, ma fu certo che
lei non
l'avesse udito. La circondò con un braccio. È solo un film.
Lei strofinò la guancia contro la sua spalla,
aggrappandosi
alla sua maglia. Si calmò con un lungo sospiro.
Rimasero in quella posizione fino alle ultime scene della
pellicola.
Non veniva raccontata una fine vera e propria. Si
terminava
con una carrellata di immagini di vita quotidiana dei
due protagonisti, momenti felici che lasciavano capire che era quello
il modo in cui
i due avevano deciso di affrontare il tempo che rimaneva loro da
passare
insieme.
Sulle note di una melodia struggente, partirono i titoli di
coda.
Makoto lasciò passare qualche momento prima di
tornare alla
realtà. «Mi è piaciuto
tantissimo.»
Sì, era chiaro.
«A te?»
Per fortuna col buio lei non poteva vederlo. «Era
una
storia... dura.»
«Già. Molto triste.»
Non poteva negare che il film gli avesse lasciato una
sensazione di
peso alla bocca dello stomaco, ma non la gradiva. Non avevano
già
vissuto abbastanza tragedie reali?
Makoto si girò sulla poltrona, abbracciandolo
forte.
«Vedere storie tanto
terribili, e come le persone riescano comunque a essere
felici...» Lo baciò alla base del collo.
«Non lo so. Mi rende ancora più felice pensare che
io invece posso toccarti,
abbracciarti... A noi non deve più
accadere niente di così brutto.»
Brutto no. Ma c'erano delle grosse difficoltà nel
loro
avvenire.
Come diceva lei, anche lui aveva imparato che esistevano
eventualità
peggiori nella vita. Solo la morte bloccava una persona dal cambiare il
proprio futuro. Per parte sua, aveva la libertà di plasmare
i propri giorni ed era l'unica cosa che voleva.
Il nodo sgradevole dentro di lui iniziò a
sciogliersi.
«Per questo volevi vederlo?»
«Hm?»
Si accesero le luci in sala.
«Ti piace sentirti triste per come poi
ti senti
felice?»
Makoto glielo confermò rannicchiandosi nelle
spalle. «È una fissa.»
Era una fissa tenera e un poco comica.
Lei cominciò ad alzarsi; aveva gli occhi lievemente
arrossati.
«Prima che si faccia troppo tardi, vado dalle ragazze. Non ti
dispiace se ti lascio solo?»
«Era previsto.»
«Ma ti sento più scosso di quello che
vuoi farmi
notare.»
«Cosa?»
Makoto recuperò la giacca.
«Ridi, ridi.
Ma
secondo me stanotte non ti dispiacerà venirmi a
trovare.»
Lui si alzò a sua volta. «Da quando mi
dispiace?»
«Allora diciamo che ti piacerà di
più.»
«Questo film non c'entra niente.»
Makoto infilò sopra la testa la tracolla della
borsa. «Quando uno protesta
troppo...»
Gen smise di parlare: se le andava bene pensarla in quel modo,
che facesse pure.
Lei gli prese il viso tra le mani, tenendolo fermo per un
bacio.
«Scusa. Qualunque sia il motivo, stanotte
voglio starti molto vicina. Ti piace come idea?»
«Certo.»
Lei si ritrasse con una smorfia colpevole.
«La prossima volta vengo a vedere questi film con le
ragazze.» Cominciò ad andare. «Ciao,
tesoro!»
Si fermò dopo due passi, sorpresa
quanto lui
per il termine che aveva usato.
«Ah... forse non ti sta bene come soprannome. Ne
troverò
uno migliore.»
Meglio così. «Nel caso, Gen-chan non mi
piace
molto.»
Makoto capiva. «Non
è
abbastanza virile.»
Lui studiò il suo tono. «Mi stai
prendendo in
giro?»
«Mai! Ci vediamo stanotte!»
Lo lasciò in mezzo alla sala, divertito, a
contemplare una
possibilità.
Mako-chan?
Era un nome dolce da usare per lei, forse troppo. Non gli
rendeva
l'idea di Makoto
nella sua complessità.
Mako,
provò.
Ci giocò per qualche secondo e soddisfatto
immagazzinò il
nome.
Lo avrebbe usato quando gli fosse risultato naturale, come
aveva appena
fatto lei.
Al ricordo, uscì dal
cinema con un sorriso a trentadue denti.
Inizio febbraio 1997 - Corsa
e cinema - FINE
NdA: niente, quando uno ha la mano per scrivere e un minimo di
ispirazione, le cose vanno :D Avevo in mente da un po', per Gen e
Makoto, la questione corsa - loro due che si incontrano in uno stesso
posto - e la questione 'film da donne'. Come dicevo nella pagina
Facebook in risposta a una fan della coppia, questi due li ho
raccontati troppo a casa di lei (e a fare sesso :D) Volevo
vederli in contesti più vari.
Sono soddisfatta di questa piccola storiella perché
penso che mi sia riuscita corta e nonostante ciò bene, ma
questo potete essere solo voi a dirlo davvero :)
Grazie per aver letto!
Elle
|
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Capitolo 5 *** 14 febbraio 1997 - San Valentino studiato ***
corrente naturale 5
Note: questo capitolo era in origine presente nella raccolta
'San Valentino'. L'ho revisionato leggermente per questa
ripubblicazione nella raccolta giusta e mi sono stupita enormemente nel
constatare che per la maggior parte era già scritto bene,
senza troppi orrori :D
Corrente
naturale
di ellephedre
14 febbraio 1997 - San Valentino
studiato
È il giorno dell'amore,
canticchiò tra
sé Makoto. Giorno di cioccolatini a forma di cuore.
Terminò di disegnare con la panna sulla torta di
cioccolato
fondente. Aveva scritto un solo numero sul dolce, in deliziose nuvole
di bianco gustoso.
1
Assaggiò la coda di panna rimasta attaccata al
beccuccio del
sacco decoratore. Era densa al punto giusto e pronta a
sciogliersi sulla
lingua, semplicemente perfetta. La torta del primo mattino era
pronta. La fece roteare sul piano girevole e corse a
prendere il
telefono.
Tornando in cucina col cordless già
attaccato all'orecchio, rimirò la propria crezione.
Dall'altra parte della linea immaginò Gen che
recuperava il cellulare dove lo aveva abbandonato, dentro il borsone da
lavoro.
«Ehi...» le rispose lui a bassa voce,
languido.
«Ciao,
Mako.»
«Buongiorno.» Erano le sette e mezza e lei
lo
aveva
svegliato: il tono di Gen era tanto roco e lussurioso solo di mattina,
quando lui era ancora
innamorato del sonno appena abbandonato.
Lo sentì rilasciare uno sbadiglio rigenerante.
«Buongiorno
anche a te» le disse.
Makoto lo vide nella propria mente con gli occhi gonfi, che
stiracchiava le
braccia con movimenti che da lenti diventavano energici, il pigiama
ancora caldo del letto. Si pentì di non
aver imparato a
teletrasportarsi. «Scusa per l'ora, ma ero impaziente di
sentirti. Sai cos'ho qui per te?»
«Hmm... no.»
«Un dolce al cioccolato. Vorrei che iniziassi la
giornata
assaggiandolo, quindi mi chiedevo... Posso portartelo all'incontro col
gruppo di studio, vero?» Verovero? Aveva
imparato
che se concludeva in quel modo una frase, Gen non riusciva a dirle
di no.
«Eh?»
Lui non era ancora sveglio. «Oggi. So dove vi
incontrate per terminare il
progetto. Porto questa torta, ce n'è un po' anche per i tuoi
compagni di studio.»
«Ah... certo.» Il suono di
un
sorriso le
confermò che era tutto a posto. «Sei capitata a
proposito
con la chiamata, sai? Stavo lasciando suonare la sveglia, sarei
arrivato in ritardo. Vado a farmi una doccia, ci vediamo
là.»
«Okay!»
«Sono contento che vieni.»
Era naturale. «A dopo!»
Riattaccarono insieme.
Lei sarebbe stata stra-felicissima di incontrarlo di persona
nel giro di
un'oretta.
Era il
14 febbraio, San Valentino: stava insieme a Gen insieme da poco
più di due mesi. Avevano mancato di festeggiare a dovere il
secondo mesiversario per mancanza di tempo, ma si sarebbero rifatti
quel giorno. Lui non conosceva ancora il dettagliato programma
di sorprese che lei aveva in mente.
Ridacchiando inscatolò la
torta.
Nessun progetto di architettura l'avrebbe fermata!
«Davvero? Veramente oggi lui ha detto di non
essere
impegnato.»
Bastò quella dichiarazione a mettere in forse la
giornata di Makoto.
«Come?»
Posò la torta sul
tavolo della biblioteca dell'università, nell'angolo del
grande salone dedicato ai gruppi di studio e discussione.
Gen le aveva
fatto sapere che si sarebbe incontrato lì con i due compagni
di corso assieme a cui doveva terminare il progetto
necessario a superare l'esame; aveva menzionato che uno di loro
era una ragazza. Adesso Makoto l'aveva davanti, ma non
riusciva a ricordare il suo nome.
Prima le aveva detto... 'Ciao, io sono Makoto'. E
l'altra aveva ribattuto, 'Ciao, io sono Kimura' - ecco
il nome -
'Tu sei...?'
Per Makoto la risposta era stata immediata e felice. Io
sono la
ragazza di Gen Masashi.
In quel momento era arrivata la risposta che non capiva,
perciò se la ripeté in testa.
Veramente lui oggi ha detto di non essere
impegnato.
Cercò di dare un senso alla frase.
La ragazza - Kimura - le offrì un sorriso
interrogativo.
«Hajima si incontrerà con la
sua
fidanzata stanotte, ma per Masashi non c'erano problemi, lui
era libero.
Ha detto che dovevamo finire entro stasera e che poteva
restare tutto il tempo che ci voleva.» Scrollò le
spalle.
«Mah... si sarà dimenticato, no? A volte gli
uomini
sono
così.»
Makoto avrebbe sorriso malamente assieme all'estranea se non
avesse
notato il
modo in cui lei era tornata a sedersi, il gomito appoggiato sullo
schienale della sedia e le gambe incrociate sotto la gonna corta.
Kimura-san era una studentessa universitaria con la linea
degli occhi accentuata di nero e le labbra velate di un rossetto
chiaro. Lo sguardo era il suo punto di forza, intenso e sfrontato.
«O forse ha mentito di proposito»
continuò soddisfatta. «A volte gli
uomini fanno anche questo.»
Makoto era un'avida consumatrice di sceneggiati televisivi sin
dall'età di dodici anni, quando la sua cara nonna le aveva
fatto scoprire 'Amore per sempre', un drama di mezz'ora con cui si
intrattenevano durante la cena. Nelle puntate dell'ultima settimana la
protagonista Arisa aveva
cominciato a temere un tradimento da parte del fidanzato. Il
sospetto si era insinuato in lei nella puntata del lunedì e,
arrivato venerdì, Arisa aveva fatto di tutto - complottato
alle
spalle di lui per coglierlo in flagrante, spettegolato con mezza
famiglia allargata, contattato un'agenzia investigativa per
indagare sulla faccenda - senza venire a capo di niente.
Makoto preferiva metodi più
diretti. Aprì
la confezione della torta.
«Desideri un
po' di dolce?»
La sua avversaria rimase interdetta. Sbatté le
ciglia
ricoperte da due strati di mascara.
Makoto armeggiò tranquilla con piattini e posate di
plastica,
fino a servire una fetta di dolce già tagliata: era una
ragazza
previdente e organizzata. «Favorisci pure, è uno
dei miei
dolci migliori. L'ho preparato per tutti e tre.»
Kimura lanciò una lunga occhiata alla torta di
cioccolato,
poi cedette alla tentazione. Dopo averne assaggiato un po', fu
certa che non contenesse alcuna dose di veleno e lanciò
un'occhiata
affamata al resto del dolce - un grosso cuore a cui ora mancava un
pezzo.
Le sarebbe piaciuto che
quell'immagine
corrispondesse a come si sentiva lei, ma niente da fare.
«Buono, vero? Sto per aprire una
pasticceria.»
Si
accomodò sorridente davanti all'estranea, a braccia
incrociate.
«Ho conquistato Gen prendendolo per la gola.»
Alla menzione di lui, Kimura la fissò.
«Che dire? Gli piacciono le ragazze dolci che sanno
fare i
dolci.
A
volte mi fa i complimenti dicendo che profumo di panna e
fragola.
Di te
direbbe che hai il sapore di... un'insalata. Con tanto
aceto.»
Sorrise. «Ovviamente nei sogni in cui finite insieme e che
fai
solo
tu.»
Kimura aprì la bocca piena di cioccolato.
«Aspetta aspetta, ecco un'altra cosa che gli piace
di me: so
far uso di
violenza. Nell'ultimo anno sono arrivata al livello di un quarto dan di
karate. Pratico judo, mi diletto di kung fu... Mi piace menare le mani.
Mi permette di sfogare la rabbia, ho un problema di controllo. Un
attimo sono tranquilla e quello dopo...» Scosse la testa.
Kimura non si muoveva più, neppure sbatteva le
palpebre.
«Riesco a buttare a terra persino lui, capisci?
Tutti quei
muscoli e io» schioccò le dita, «lo
stendo come
niente. Ehh, ma gli
piace, è un tipo di particolare.» Si
alzò e
allegra indicò il dolce. «Penso che ci siamo
capite. Adesso
mi porto via un pezzettino della torta, va bene?»
La sua ex avversaria si limitò a boccheggiare.
Makoto non le badò più e
recuperò per
davvero una fetta del cuore di cioccolato, la più
grossa. La appoggiò su un fazzoletto pulito, quindi
sistemò per bene la borsa sulla spalla e si diresse verso
l'uscita.
Si fermò poco fuori le porte scorrevoli e attese,
paziente.
Gen arrivò un paio di minuti dopo.
«Ehi!» Allargò le braccia
felice e le
venne incontro.
«Ciao» gli rispose lei, mostrandogli il
palmo
aperto. «Guarda cosa ti
avevo portato.»
Lui adocchiò la torta, confuso. Con un
passo in avanti lei gliela spalmò tutta sulla
faccia.
Godette nel vederlo soffocare di cioccolato.
«I fazzoletti sono di là.»
Marciò via lapidaria,
rifiutandosi di ascoltare richiami attutiti da strati di pan di spagna.
Da bravo testardo Gen si pulì con una manata e
cominciò a inseguirla di corsa, ma, da guerriera
professionista, lei lo seminò con un unico salto laterale.
Dilettante.
Lo osservò prendere la direzione sbagliata.
Soffocando
uno stupido groppo alla gola, scese dall'albero in cui si era nascosta
e se ne andò.
Rispondi.
Col telefono attaccato all'orecchio Gen massaggiò
l'apertura
delle narici. Gli veniva da starnutire, nel naso gli era rimasto
del cioccolato. Afferrò il fazzoletto e si pulì
velocemente.
Il telefono dell'appartamento di Makoto continuava a squillare
a vuoto.
Hajima era arrivato in tempo per vederlo mentre tornava
indietro,
diretto verso il bagno degli uomini. Non aveva ancora smesso di ridere.
«Dimenticarsi di San Valentino... Come hai fatto
a non
vedere
le
pubblicità in giro?»
Gen strinse i denti. «Tu pensa al progetto, dobbiamo
finire oggi.
Io non ho pensato che a questo durante tutta la settimana, non ho visto
nessuna pubblicità. Oggi per me era mercoledì, il
14 del mese,
mancano ancora tre settimane al primo esame. Lavoravo di giorno,
studiavo di notte. Non mi ricordavo del dannato San
Valentino!» Si
zittì mentre premeva il bottone di fine comunicazione sul
telefono. Reinoltrò in automatico la chiamata.
Rispondi.
Makoto non poteva essere andata a scuola se era venuta a
trovarlo così presto di mattina, e senza uniforme. Dov'era
finita?
Hajima lo guardava solidale. «Non se la
sarà
presa tanto.
O si sarà sfogata con la torta.»
Kimura ebbe la decenza di guardare per terra. Le era
già mancato il buon senso di astenersi dal chiedere
una nuova fetta di dolce, oltre che il cervello per comportarsi con
dignità. Quando
all'inizio lo aveva visto entrare col collo striato di cioccolato,
aveva commentato 'Ma è un mostro!' e Gen aveva capito di non
avere due sorelle per niente: riconosceva puzza di guai da una sola
frase.
Si era fatto raccontare parola per parola tutto quello che
Kimura aveva
detto a Makoto. Non aveva nemmeno dovuto buttare minacce sul piatto: si
era sporto in avanti, le mani piantate sul tavolo, e Kimura aveva
confessato tutto tremando.
Il problema era più grave di una semplice
dimenticanza,
benché si trattasse del giorno San Valentino. Makoto era
convinta che lui avesse cercato di rendersi disponibile per un'altra
donna. O
no? Lei non poteva credere sul serio a una storia tanto ridicola.
Inoltre si
era fatta valere da dio - da dea - con Kimura.
Ma ora non rispondeva al
telefono, né a casa sua né al negozio, dove aveva
appena fatto installare la linea.
Gen non poteva muoversi da lì - doveva
terminare quel dannato progetto, dato che il giorno dopo ne aveva un
altro
ancora da portare avanti, con un altro gruppo di lavoro. Ma anche se
avesse potuto muoversi, cosa avrebbe risolto? Sarebbe andato in giro
per Tokyo a cercarla a vuoto?
Non esisteva un metodo per localizzarla senza sapere...
Fermò il pensiero e si alzò in piedi.
A volte essere legato a Giove aveva suoi vantaggi.
Fece scorrere sul tavolo i fogli che aveva tirato fuori, verso
Hajima
e Kimura. «Qui c'è la mia parte di lavoro,
studiatevela e
dite se vedete problemi. Vado a fare una chiamata.»
«Pronto?»
Gen tirò un sospiro di sollievo. «Ciao,
Kumada.
Puoi farmi
parlare con Hino?»
Ci fu un momento di silenzio. «Gen?»
«Sì.» Gli aveva detto che
preferiva
essere chiamato Masashi,
ma Yuichiro Kumada non lo ricordava mai.
«Ciao» disse lui.
«Ah...
perché?»
«Devo trovare Makoto.» Venne colpito da
un'idea.
«Non è
lì, giusto?»
«Non è qui. Voglio dire, non lo so. Anzi,
non
è
possibile che sia a casa. In realtà nemmeno io ci
sono.»
Aveva bevuto? «Stai rispondendo al
telefono.»
Kumada liberò una risata. «Sì!
Abbiamo
installato un aggeggio che direziona le chiamate da me quando in casa
non c'è nessuno. Basta premere un bottone, è
ingegnoso. Ha insistito Rei per comprarlo, dice che servirà
adesso che anche lei sarà sempre fuori. Per via
dell'università.»
Gen non aveva capito niente.
«Se sto ricevendo la chiamata io»
spiegò
Kumada,
«significa che il maestro sta meditando e Rei è
uscita.
Quindi Makoto non può essere a casa nostra. Hmm, l'hai
persa?»
«Sì.» Forse Makoto era con Hino?
«È San Valentino.»
«Ormai lo so.»
Kumada scoppiò a ridere. «E io che
pensavo
di
essere
l'unico ad
avere dei problemi. Comunque, per risolvere chiama Alexander.»
«Che me ne faccio di Golden Boy?»
«Niente, ma è San Valentino.
Sarà
assieme ad Ami.
Ed Ami ha-»
«Il suo computer. È vero,
grazie.»
Riattaccò.
Solo qualche secondo dopo si ricordò di non avere
il
numero di Alexander Golden Boy Foster.
Ritelefonò a Kumada e tre minuti dopo stava chiamando il
ragazzo di Mizuno.
«Pronto?»
«Sono Gen, mi servirebbe parlare con Ami.»
Da parte di Golden Boy vi fu un momento di silenzio.
«Chi
ti ha dato
questo
numero?»
«Kumada» strinse i denti Gen.
«Per
parlare con Mizuno. Di
Makoto.»
Altri due attimi muti.
«Se vuoi parlare con Ami, prima parli con
me.»
Dannazione. «Mizuno non è con te,
giusto?»
«No e per questo sono di cattivo umore. Noto che
sei nella
stessa
condizione, salute compare. Ora, vuoi continuare a perdere tempo o mi
dici cosa vuoi da lei?»
«Voglio che mi dica dov'è
Makoto.»
«Saltato l'appuntamento?»
Gen detestava dipendere dalle persone. Dipendere da Foster,
poi...
«Mi
ha frainteso su una cosa e ora ho bisogno di trovarla.»
«Questa è divertente. Che le hai fatto di
tanto
grave da
dover ricorrere a poteri Sailor per recuperarla?»
«Non sono affari tuoi.»
«Allora nemmeno il numero del telefono portatile di
Ami
sarà
affare tuo.»
Giusto, anche Mizuno ne aveva uno. Ormai era prezioso.
«Occhio per
occhio. Che le hai fatto tu?» Non si sarebbe umiliato da solo.
«Io niente, ci siamo imposti di
studiare
da settimane.
Sto studiando, sta studiando anche lei. Ci vedremo solo
stasera.»
Lo studio era una maledizione comune. «Makoto pensa
che io abbia
detto a
un'altra ragazza che non sono fidanzato. Credo. E si è
arrabbiata
perché mi sono dimenticato che era San Valentino.
Forse.»
«Cosa?»
La risata gli provocò un battito sordo dentro la
testa.
«Fuori il numero di Mizuno.»
«O hai detto a un'altra donna che non eri impegnato
o non
lo hai
fatto, non
ci sono vie di mezzo.»
C'erano! «Ho usato proprio quella parola,
'impegnato'! Mi
riferivo a
oggi, ho detto che non era impegnato oggi e
perciò avevo del tempo per studiare,
solo per questo. Sono stufo di parlarti della mia vita.»
«Sono sadico quando sono triste e solo. Uno che dice
di non
avere impegni
nella giornata di San Valentino sta sostenendo di essere
single.»
Gen si impose calma. «Sì. Ma Makoto non
ci crede
veramente.»
«Perché?»
Gli spiegò sinteticamente quello che lei aveva
detto a
Kimura, solo per non perdere altro tempo e ottenere il dannato numero
di Mizuno.
«Non hai ancora capito perché Makoto
è
arrabbiata?»
Golden Boy se la stava spassando.
«Non mi interessa quello che pensi.»
«Le hai rovinato San Valentino. Ti aveva preparato
una torta,
è venuta a portartela alle nove di mattina e ha trovato
un'altra tizia
che ti ronzava attorno e tu che nemmeno ricordavi che giorno
era.»
Gen fu costretto a riflettere.
«Il numero di Ami è... Hai da
segnare?»
«Sì.» Prese nota delle cifre.
«Grazie» bofonchiò
alla fine.
Seguì un sospiro. «Che l'amore sia con
te.»
Gen rimase con la cornetta attaccata al telefono.
«Per tutto
il tempo
hai
parlato come una ragazza. Quando sei depresso, perdi anche le
palle?»
Al telefono Golden Boy sorrise. «Fottiti.»
Ecco una conversazione da uomini, rise Gen.
Riattaccarono.
Alla fine si rivelò tutto inutile: Mizuno si
limitò a dirgli che Makoto era arrivata al negozio.
Gen scelse un approccio telefonico: se fosse andato di persona
avrebbe
perso due ore tra andata, spiegazioni e ritorno, col risultato di
togliere due ore alla serata che poteva ancora trascorrere insieme
assieme a Makoto.
Avrebbe finito entro le sette, lo giurò a se stesso.
Lo squillo della chiamata si interruppe e lei
rispose. «Ciao. Ho dato solo
a te questo numero.»
Gen l'aveva già sentita arrabbiata e Makoto non era
mai stata
tanto
tranquilla e... letale. «Ciao. Hai fatto bene a terrorizzare
Kimura. Era un'illusa.»
«Mi chiami per parlarmi di un'altra
ragazza?»
Era partito col piede sbagliato. «Mi ero
dimenticato che
giorno era
oggi, per questo ho detto a quei due che questo mercoledì
non avevo
impegni.»
«Va bene.»
«La torta era... buona.» Anche in
faccia a lui.
Makoto fece silenzio «Ci avevo
scritto sopra 'uno'.
Era il primo dei quattro dolci che volevo darti oggi. Sto mangiando il
numero due, sono dei biscotti. Te li avrei portati per merenda al
pomeriggio.»
Makoto che faceva fuori un dolce era all'apice della propria
ira - o
delusione. «Mi dispiace.»
Lei emise un suono confuso.
«Dispiacerà a
te. Il quarto dolce era solo crema di cioccolato. Pensavo di
lasciartela
mangiare dal mio stomaco.»
... cosa?
Makoto sbatté una mano contro una superficie dura.
«Sono
arrabbiata!»
«Sai che è tutta la settimana che ho in
testa
solo lo studio.»
«Lo so! E non mi interessa se non è colpa
tua, ma
oggi - a San
Valentino - non dovevo trovarmi davanti una stupida che mi
dice che ti sei dimenticato apposta di che giorno
è!»
«Lasciala perdere, l'ho messa al suo posto! Mi dispiace
se ti sei arrabbiata, non volevo-»
«Avevo tanti piani!» Makoto
abbassò di
colpo il tono della voce. «Avevo
preparato... tante cose. Era il nostro primo San Valentino...»
Oh no, non così. Non con quel tono affranto, quando
lui era
lontano e non poteva fare altro che usare le parole per farsi
perdonare.
«Abbiamo la serata, mi
libererò in
tempo. È una promessa.»
Il silenzio di lei non fu incoraggiante. «No, non
lavorare di
fretta.
Il resto non conta.»
Quella conversazione stava diventando come lo schianto di un
treno al
rallentatore. «Per favore, torna qui al pomeriggio, come
avevi
programmato.»
Makoto non disse niente.
«Se non fosse per questo dannato progetto, verrei io
da te e
staremmo
insieme ogni minuto che manca da qui e mezzanotte. Torna, voglio
vederti.»
«Gen... Non ti preoccupare. Pensa al progetto, ci
vediamo
stasera.»
Lei non lo aveva capito. «Non lo sto dicendo per te,
Makoto. Torna
indietro più tardi, seguiamo i tuoi piani. Se
è San Valentino, è anche il nostro
giorno.»
La breve risata di lei fu un suono di salvezza.
«Guarda che
non ti
lascio lo
stesso leccare il cioccolato via da me.»
«In pubblico? Anche io sono contrario.»
Il fragore della sua allegria mise tutto a posto.
«Nemmeno dalla bocca?» insistette lui.
«Neppure da quella» ribadì
Makoto, la
sua voce un invito a
provarci. «Allora...» Tornò insicura.
«Vengo
dopo?»
«Sì.»
Al telefono Gen udì un sospiro rapido, sollievo e
impazienza.
«Ciao.»
«Ciao.»
«Questo» Makoto baciò il
biscotto,
«è l'ultimo
rimasto.» Lo appoggiò sulla bocca di Gen, decisa a
salutarlo
solo in quel modo. I contatti erano vietati.
Lui addentò un pezzo della massa di farina e
cioccolato e le
prese la mano prima che lei potesse spostarla. Riuscì a
farle fare un passo nella sua direzione, ma Makoto
si ritrasse in tempo per evitare l'abbraccio.
Si trovavano in un angolo nascosto dell'ingresso del salone
studio,
dove quella mattina gli aveva macchiato il viso di cioccolato.
«Sei ancora arrabbiata?»
«No.» Adesso pensava a un gioco, una
sorta di
prova
di forza per
se stessa. Per tutti e due. «Mi dispiace per la
torta.»
Aveva esagerato. Si sarebbe scusata anche dieci volte se fosse stato
necessario.
«Te l'ho detto, era buona.»
«In faccia?»
Gen scrollò le spalle. «Era anche meglio
della
violenza con cui hai
minacciato Kimura.»
Sorrisero insieme.
«Non ho mai visto una rissa tra donne a causa
mia»
fantasticò lui.
«Non ci sarebbe stata nessuna rissa. Avrei vinto io
per
K.O. al
primo
colpo.»
«È vero.»
Makoto si ritrovò abbracciata, il respiro di Gen
sulla bocca e il
proposito della distanza svanito come neve al sole.
«L'avresti
distrutta» le surrussò lui.
Lei allontanò le
labbra in
tempo per evitare il bacio, ma non abbastanza in fretta per impedire un
contatto leggero che le infiammò i nervi della bocca.
Femminuccia. Va
bene essere dolce, ma non diventare così
malleabile.
Gen la guardò per un momento e capì
tutto quanto.
Le tenne ferma la testa con le mani - le dita che volevano scioglierle
i
capelli - e si prese quello che volevano entrambi.
Fu un bacio caldo, umido,
intenso come una carezza su tutto il corpo,
così piacevole da farla sciogliere.
Tirandosi indietro, Makoto quasi si pentì.
«Vado a
casa.» Si liberò dall'abbraccio e gli
lanciò un sorriso veloce.
Gen stava assaggiando il gusto rimasto sulle labbra.
«Va bene.
Arrivo alle
otto.»
«Al negozio, passa da lì.»
Si salutarono con uno sguardo.
Il problema era un non problema, concluse in serata Makoto.
Non ce
l'aveva con Gen per aver
attirato una piattola, né per essersi dimenticato di San
Valentino. Non ce l'aveva più con lui, semplicemente: capiva
le
circostanze, quanto lui fosse stato impegnato e con la testa
occupata durante l'ultima settimana.
Le era rimasto solo da chiedersi
perché fosse pronta a cadere ai
suoi piedi nel giro di pochi secondi, dopo appena qualche parolina
giusta - bella, certo, ma che non richiedeva molto sforzo.
A Gen piaceva che lei fosse dolce, ma anche forte. Anche lei
si piaceva di più quando si conquistava da sola
qualcosa.
Perciò, San Valentino mio, piani cambiati:
non
sarai un giorno di concessioni, ma di conquista.
Terminò di accendere la seconda candela rosa, il
fusto lungo
coordinato allo stile dei due piatti già serviti.
Il tavolo di
casa sua avrebbe creato un'immagine più romantica rispetto
al
tavolino nuovo del negozio, semplice e leggero, ma nel suo appartamento
sarebbero stati pericolosamente vicini al letto - un luogo troppo
invitante dopo
che aveva parlato a Gen della sua idea con la crema al cioccolato. Non
gli aveva detto che intendeva usarla anche su di lui, ma
quella
sarebbe stata solo un'altra delle esperienze che intendeva prendersi e
assaporare a tempo debito.
Il campanello nuovo del negozio suonò.
Dietro la porta di vetro Gen aveva inclinato la testa, le mani
infilate
in un paio di pantaloni diversi da quelli che aveva indossato durante
il pomeriggio, scuri e ben stirati. Anche la camicia e la giacca erano
spuntate fuori dal nulla.
Dove hai preso questi vestiti? Doveva
averglieli
portati all'università una delle sue sorelle; erano ragazze
generose e disponibili quando si chiedeva loro una mano.
Lei voleva esordire chiedendo a Gen com'era andato il
progetto, ma
quella era una domanda da Makoto quotidiana e aveva tanto tempo
per trovare risposta.
A sua volta indossava qualcosa di diverso dal solito,
un abito rosa pallido che le fasciava il corpo, bello da vedere anche
abbandonato a terra. Più tardi, da
un'altra parte.
Aprì la porta, appoggiandosi all'anta. «Benvenuto.»
Gen guardò il suo viso, poi tutto il resto di lei.
«Ciao» disse con riverenza.
Makoto gli indicò il tavolo. «La cena
è
servita.» Per
evitare il tocco della sua mano si mosse lungo un immaginario
cerchio, rimanendo inaccessibile e misteriosa.
Il tintinnio della porta che si chiudeva
regalò una nota di atmosfera alla penombra.
Spostò una sedia, invitandolo a
prendere
posto.
Lui sorrise. «Sei la padrona del
ristorante?»
Lei annuì. «Sei il primo ospite
stasera. Voglio
trattarti
molto bene.»
«Il primo?» Gen si accomodò,
seguendola con lo
sguardo come se la stesse già toccando - come se la stesse
già stringendo tra le braccia.
Makoto sentì un formicolio lungo tutta la schiena.
«Ci sono altri
pretendenti. Ma ho scelto di averti per primo, e se sarai il
migliore...»
Lui aveva appoggiato il mento sul palmo della mano.
«Lo sarò.»
Per concentrarsi Makoto guardò il cibo.
«Oggi la
casa offre
roastbeef inglese, purè di patate e insalata come contorno.
Una cucina esotica per un ospite speciale.»
Sistemò il
tovagliolo sulle gambe e usò il telecomando della
saracinesca, chiudendo
l'entrata. «Per un po' di privacy»
sorrise. «Il locale è
aerato da una finestra aperta nell'altra stanza.»
Lui guardò senza motivo il pavimento.
«Chiedo
scusa, mi
è caduta una cosa.» Si chinò di lato e
sparì col busto sotto al tavolo.
Makoto si sentì accarezzare su una gamba e
soffocò
una risatina.
Gen tornò su. «Recuperata»
sussurrò.
Lei cercò di mantenersi seria. «Cosa
avevi
perso?»
«Una persona. Sapevo che era ancora lì,
ma dovevo
sentirla.»
«Non ti preoccupare.» Strappò
delicatamente un petalo dalla
rosa rossa che svettava dentro il vaso sottile al
centro del tavolo. «Qui hai tutto
quello di
cui hai bisogno.» Soffiando forte fece volare via il petalo,
nella sua direzione.
«Ah, è arrivata la mia ragazza.
Ciao.»
Makoto sorrise. «Ciao.»
«Decorazioni rigide» commentò
Makoto,
mostrandogli i
risultati dei suoi sforzi pomeridiani, disposti su tutto il bancone nel
locale cucina.
Candele anche lì, notò Gen.
Makoto gli stava indicando delle formine bianche.
«Mi
serviranno
per i dolci
che esporrò in vetrina. Saranno quelli a presentarmi ai
miei clienti. Ho iniziato a fare qualche prova con questa pasta bianca
di
zucchero che si chiama Satin Ice. Oggi l'ho usata per
costruirci fiori e colombelle.»
A Gen venne da pensare: c'era qualcosa di sbagliato se trovava
sexy la
parola 'colombelle'? Forse era il modo in cui si erano mossi i capelli
di lei mentre parlava: la ciocca ondulata accanto alla sua
guancia gli chiedeva di intrecciarla attorno al dito e non
lasciarla più andare.
Makoto si chinò in avanti, donandogli la vista
della
schiena, il tessuto rosa e morbido che aderiva al suo corpo
abbracciandole le natiche rotonde.
Lei scoprì un vassoio al
centro del bancone. «Questa invece è la torta
numero tre,
quella che ho preparato per noi due. Da mangiare durante la
settimana»
sorrise. Non gli diede il tempo di commentare: afferrò uno
dei cuori rosa della decorazione e glielo infilò in bocca.
«Buono, vero?»
Vero sì. Vero tutto quello che
le sarebbe
uscito dalle labbra.
Makoto gli causò un lamento assaggiando il dito con
cui gli
aveva porto il dolce.
Districandosi senza sforzo dall'abbraccio che lui
cercò, fece un passo indietro.
«Non mi hai parlato del
tuo
progetto. Ora
l'hai finito?»
«Sì.» Dovette concentrarsi per
ricordare
i dettagli.
«Abbiamo mantenuto la struttura a stella. Romantico,
hm?»
Makoto sgranò gli occhi.
«Abbiamo?»
«Kimura non c'entra niente. Neanche Hajima. Ho
detto abbiamo
perché mi hanno corretto sui dettagli, ma il progetto
è mio.»
Lei sembrò stranamente sollevata.
«Struttura a
stella,
hm?»
«Dovevamo immaginare una città del
futuro. Tanto
valeva
essere creativi e audaci. È
stata una buona idea quella di riprendere il mio vecchio
disegno.»
Continuava a dirselo da solo, ma era fiero di quel lampo di genio.
«Pagherà in sede di valutazione finale.»
Makoto sorrise al nulla. «Sì, per
l'esame.»
«Cos'hai da ridere?» indagò
lui.
«Niente.» Makoto lo toccò sulle
spalle, indugiando nella carezza. «Mi
piaci molto con questi vestiti.»
Finalmente avevano finito di rincorrersi. Era stato un bel
gioco, ma il
premio
finale era migliore. «Mi stai facendo dire qualcosa di cui mi
pentirò, ma... amo il rosa. Su di te, almeno - è
la mia unica scusa.» Fece
scorrere la mano sulla gamba di lei, tirando su il tessuto.
Invece di socchiudere gli occhi, Makoto si morse un labbro.
«Attento,
è delicato.»
«Lo so.»
«No, è veramente delicato.
L'ho cucito
io, non
molto
bene.»
L'aveva fatto lei?
Makoto indicò l'abito.
«Era
più
lungo» sussurrò. «Liscio. Aveva uno
scollo diverso.» Si
toccò con reverenza il seno. «In questa
settimana
l'ho accorciato per creare queste piccole onde, poi mi sono messa a
pensare a come tagliarlo sul petto. Ho scelto di tenerlo su con una
spalla sola. Ne è valsa la pena, solo che...»
Finì col sorridere a bassa voce. «Poi rovino tutto
raccontandoti questi particolari e annoiandoti a morte.»
Costruttrice. Quando Makoto aveva un'idea,
buttava
giù le fondamenta e costruiva da sola quello che le serviva.
Se ancora non andava bene, lei la cambiava a piacimento.
Le accarezzò la parte nuda della schiena.
«Oggi non
abbiamo cenato a casa tua.»
Makoto esitò nel rispondere, poi gli concesse uno
spiraglio.
«Ho pensato che potesse essere diverso... qui.»
«Perché qui dobbiamo
aspettare?» Lei sapeva benissimo a cosa si
riferiva.
«Forse.» La vide scrollare le spalle,
trattenendo un sorriso
sull'angolo della bocca, dove sapeva di rossetto, cibo, zucchero e
Makoto.
Era furba, riconobbe lui. Geniale.
La intrappolò tra sé e il tavolo.
«E se
aspettiamo prima di rientrare a casa tua?»
Makoto comprese solo quando lui iniziò a spostare
via
gli
strumenti di lavoro dal bancone, dietro la sua schiena. Aveva
contribuito lui stesso al montaggio di quel piano da cucina,
perciò sapeva che
era solido e in grado di reggere il peso di entrambi.
«Hai avuto
l'idea di questo
posto, hai
preparato la cena, hai creato l'atmosfera... Lascia che
ora contribuisca.»
«Non hai pazienza.» Ma lei aveva
ricambiato la
sua stretta e ora stava cercando di sedersi sul tavolo.
«Non ti ho mai fatto vedere quanto posso andare
piano.
Sarà
questo il giorno.»
Le uscì un sorriso soffice.
Lui rimaneva conquistato quando lei non lo prendeva
sul serio: la loro esperienza era molto diversa nei numeri, ma identica
quando stavamo insieme. Ogni volta che voleva
spogliarla, toccarla dappertutto e privarla di ogni
ragione, cadeva
dentro la sua stessa trappola. Era la cosa migliore che gli fosse mai
capitata.
Makoto stava lasciando una scia di baci lenti lungo la sua
gola.
«Sai
che mi sono dimenticata di accendere una cosa?»
Accendere?
Lei afferrò un telecomando e
puntò un angolo della stanza. Partirono dei
suoni.
Musica. Altra atmosfera.
Gen fissò lo stereo posato sopra il piano cottura.
Makoto ridacchiò a bassa voce. «Ho
esagerato? Ma se mi dimostri che ci sai
fare anche in
quest'occasione, hai vinto tu.»
Gen abbassò lo sguardo su di lei. Makoto aveva le
guance
arrossate
nonostante l'audacia dimostrata. Era allegra, viva di fronte ad una
serata piena
di possibilità.
L'aveva giocato. «Sapevi che sarebbe finita
così.»
«Oh, no. Ma conosco i miei polli, i miei dolci e i
miei Gen.
So che
effetto possono farmi. Sono venuta preparata.» Lei si
sdraiò, i
capelli sparsi sul tavolo, gli occhi che brillavano.
Domani
ti dirò quanto sei bella.
«Sono al plurale?» le chiese. Si
chinò su
di lei.
«Sei tanti e uno solo.» Makoto lo
baciò.
«A
volte non ti ricordi di San
Valentino e sei insensibile. Spesso dici di non essere
romantico.» Gli diede un secondo bacio. «Ma mi
assecondi nelle mie sciocchezze. Dici di
essere
pratico e poi immagini città a stella.» Altro
bacio e una
risata. «Domani scoprirò una cosa nuova di te,
vero?»
«Vero sì.»
«Ora puoi amarmi?»
«Lo faccio già.»
Non parlarono più.
14 febbraio 1997 - San Valentino studiato - FINE
NdA originali del 16/02/2012 :
Olè, non sono finita nel rating Rosso! Forse
alcuni di voi lo avrebbero preferito :D Per questa storia dal titolo
originalissimo ho voluto provare a concentrarmi sul romanticismo
più puro.
Forse lo avrete intuito dalle conversazioni di Gen con
Yuichiro e
Alexander, ma avrei altre idee per questa giornata di San Valentino.
Sono ancora vaghe, quindi per ora dichiaro la storia chiusa. Quando
avrò tempo e ispirazione, dopo aver scritto cose
più importanti (Verso l'alba, cough) scriverò
perché Alexander è sadico e depresso e
perché Yuichiro
sente di avere problemi con Rei. Gli episodi avranno un sapore simile a
questo. Per Usagi e Mamoru è meglio che prima scriva la
fine di Verso l'alba, capirete in seguito ;)
Dimenticavo: qui ho inserito un importantissimo indizio futuro
che ho
in mente da un trilione di anni. Avrete ulteriore delucidazioni con
l'epilogo di Verso l'alba :)
Grazie di aver letto! Se avete un pensiero su questa storia
sarà un premio enorme per me!
ellephedre
|
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Capitolo 6 *** Marzo 1997 - Scoperte ***
corrente naturale 6
Corrente
naturale
di ellephedre
Marzo 1997 - Scoperte
Sdraiata, stremata, appagata. E abbracciata da
qualche minuto
- sorrise Makoto - alla persona con cui era capitolata per l'estasi.
Lei e Gen riposavano in silenzio, uno dei suoi momenti
preferiti. Sotto
l'orecchio che aveva appoggiato al petto di lui pulsava un battito
calmo, rilassante. Se provava a non fiatare, si rendeva conto di come
l'aria passava attraverso il corpo di Gen sollevandogli il
torace. Allargò il palmo sul suo stomaco. Lui non
reagì, la lasciò fare. Makoto si
beò
dei propri capelli sparsi sul suo torace.
Questa è
intimità.
Sciolse i nodi dei fili scuri con le dita, lisciandoli sul
corpo di
Gen - un modo per pettinarsi e coccolarlo.
Sbadigliò e pensò di dormire, ma la
tenne sveglia
la bellezza del momento. Arricciò le dita dei piedi,
solleticando le gambe di lui. Lo immaginò sorridere - sapeva
che Gen lo stava facendo - ma non sentì il bisogno di
controllare. Era un bel gioco.
Lui iniziò a muovere la mano. A volte lo faceva
sulla sua
nuca, altre volte sulla schiena, sulla vita.
Col polpastrello del
pollice Gen disegnò una linea, poi un cerchio, regalandole
piccoli brividi. Era un'esperienza di cui lei non si sarebbe
mai stancata.
Gli sfiorò il petto con le labbra, baciandolo e
stringendosi a lui. Lo sentì inspirare forte e il modo in
cui la strinse suggerì una reazione che lei
provò a controllare abbassando gli occhi.
Trattenne a stento una risata. «Sei insaziabile!»
Gen non provò nemmeno a negarlo.
Lei si sollevò su un braccio e gli
strinse il naso
tra due dita. «Non era un complimento.»
Lui agitò la testa, per liberarsi. «Per
me
lo
è. Non vedi quanto mi piaci?»
Nel sentire quelle frasi lei si
eccitava
e al contempo roteava gli occhi al cielo.
Perché caricare di
un doppio senso erotico ogni parola?
«Gen...» Si sedette sulle ginocchia.
«Mi piace farti
venire
questi pensieri, ma mi fa anche sorridere.»
Lui si preparò ad ascoltarla, o forse a prenderla
in giro
dall'alto delle proprie conoscenze.
Makoto non si lasciò più
intimidire: stava acquisendo sicurezza. «Cosa ti ha eccitato
adesso? Che ti abbia abbracciato? O
il bacio?»
«Tutti e due. Mi schiacciavi i seni contro il
fianco.»
Avrebbe dovuto immaginarlo. Abbassò lo sguardo sui
due
globi di
carne che aveva sul petto e li prese in mano, sollevandoli.
«Queste sono solo
parti del corpo, sai?»
«Oh, sì.
Lo so.»
Incorreggibile.
«Non eccitarti di più,
ascolta.» Spostò i palmi sul petto di lui.
«Non siamo così diversi. Esattamente in questi due
punti io ho solo un po' di ciccia
che tu non hai.»
Lui scoppiò a ridere.
Makoto cercò di non imitarlo.
«Andiamo!»
Bussò alla sua nuca.
«Non è un'immagine che mi
piace!»
Uff.
«Non sto cercando di...»
«Togliermi l'eccitazione?»
Esatto. «Ma tu pensi troppo al
sesso, anche
nei momenti più tranquilli.» Si afferrò
di nuovo i seni. «Questi sono belli, ma-»
«Non ci sono 'ma' mentre me li
punti
addosso.»
Per ostinazione, lei insistette. «Anche se ti
piacciono-»
«Ci muoio dietro.»
Makoto soffocò una risata. «Non sono nati
per il
sesso, altrimenti non farebbero questo.» Portò le
mani su una sola mammella, schiacciando forte da due lati, in modo da
fare pressione sull'interno. Ottenne ciò che aveva
cercato, una goccia di liquido biancastro che fuoriuscì
lentamente dal capezzolo.
«Uhò!» Gen si tirò
su. «Cos'è quello?»
«Una specie di latte. Un liquido che lubrifica
l'interno.»
Gen si piegò in due dal ridere. «Non
avevo mai
visto una cosa simile!»
Lei sospirò e cercò di
scuoterlo per le
spalle. «Oggi sei proprio sciocco!»
«No, scusa!» Lui le prese i polsi.
«È solo che... Ora devo assaggiare.»
«No!» Makoto unì di corsa le
braccia, ma Gen non
la lasciò andare.
«Ti prego. Mentre lo faccio puoi parlare.»
Il modo in cui lo disse fu talmente sentito e comico che lei
cedette.
«Ehi, è sparito.»
Abbassando lo sguardo, Makoto constatò la
situazione. Si era
agitata
troppo. «La punta è ancora umida,
però...» Provò a strizzare forte
l'altro seno. Non sempre usciva qualcosa, ma in quel caso fu fortunata.
Gen la guardava affascinato. «Mi sembra di essere in
un
documentario. O in una fattoria.»
Adesso lo
ammazzava.
Lui le bloccò strategicamente le mani.
«Lascia che
ti dica che sapore ha.»
Avvampando, Makoto provò a ricomporsi.
«Non
è latte vero.» Si tese col torso quando
sentì il passaggio veloce della lingua di lui sul capezzolo.
«Ho scoperto anni fa che usciva qualcosa quando premevo molto
forte,
solo una goccia. Non avevo nessuno a cui chiedere, perciò ho
dovuto- Cosa stai
facendo?!» Si ritrasse dalla bocca di lui, che
aveva cominciato a succhiarla. «Non esce
così!» Esplose in una risata.
«Dovevo
provare. Per
la scienza.»
Quasi le mancò il respiro per gli spasmi di
divertimento.
«Okay, okay. Facciamolo per il sesso
allora.»
«Basta!» Stava morendo!
Ridendo, Gen le coprì la bocca con un bacio a
stampo.
«Ci sei? Riprenditi!»
«Sì, sì...» La
risata
morì mentre cercava di seguire il ritmo dei piccoli baci che
lui le dava sulle labbra.
«Stavi dicendo? Ascoltavo.»
Lei inspirò una bella boccata d'aria.
«Dicevo
che ho dovuto cercare nei libri. Ero preoccupata, avevo tredici
anni. Ma è una cosa normale per alcune donne. Quella che
esce è solo una sostanza che tiene lubrificati i canali
interni al seno.»
«Da cui un giorno uscirà del latte. Era
questo che
volevi dimostrarmi?»
Lui era ancora divertito.
«No» disse lei. Quasi,
pensò. «Dicevo che i seni hanno questa forma per
uno scopo. Così come le gambe si piegano per aiutarci a
saltare, o cose simili.»
«Tutto con lo scopo di non eccitarmi.»
Makoto aveva imparato a capire quando lui scherzava,
perciò non disse niente.
Gen scosse la testa. «Mi dispiace, non ha
funzionato.»
Sorrisero nel baciarsi di nuovo.
Senza fretta lui si
tirò
indietro. «Ti dimostro che sono intelligente. Ho capito il
significato nascosto di tutto questo discorso.»
Ah,
sì?
Gen annuì. Si sdraiò di lato
e le
prese la testa tra le mani, rallentando ogni movimento. Le
sfiorò il labbro inferiore con la lingua, indugiò
su ogni centimetro della sua bocca. Scivolò con le mani tra
i suoi capelli.
Accesa, fu Makoto a cercare un abbraccio. Tremò nel
toccarlo, nel ricevere le sue carezze. Le cercò, ne diede.
Amò con tutto il suo essere il modo in cui aderirono l'uno
all'altra su ogni
parte del corpo. Non potevano sopravvivere separati, non
volevano.
Andavano lenti perché l'istante non finisse.
Prolungarono l'unione con ogni bacio, con ogni piccola e
profonda spinta.
Lei ballò molto piano con lui nella massima
intimità
che conoscevano insieme, esaltando dal nulla sensazioni che divennero
deliziose, irrefrenabili.
Infine si lasciò andare, affondando il viso nel suo
collo,
il
respiro di Gen contro l'orecchio.
Dopo molti minuti di pace, nel secondo momento di torpore
esausto di
quella
sera, domandò. «Che cosa volevi
dimostrarmi di aver
capito?»
Si era sdraiata con gambe e braccia distese accanto a lui,
senza
toccarlo. Dopo tanto contatto la separazione era benefica,
tenera.
Ognuno si stava riappropriando del proprio fisico.
«Volevi questo, no?»
Lei voltò la testa per guardarlo.
Gen teneva gli occhi chiusi. «Volevi qualcosa di
romantico e mentale.»
Incredula, osservò il soffitto.
Ragionò su
quello che gli aveva detto, su come poi aveva reagito e giunse a una
conclusione.
«Sei... bravo.» La conosceva
davvero bene.
«Già. Ogni tanto ti va un po' di sesso
selvaggio,
mentre altre volte sei in vena di qualcosa di più
calmo.»
Lo colpì senza voglia su una spalla.
Lui sorrise. «Devo solo decifrarti bene.»
Come se facesse tutto da solo. «A volte ti butto
io sul letto. In quei casi non puoi fraintendermi.»
«Lo ammetti.»
Lei scrollò senza vergogna le spalle.
«Ti fai più problemi a dirmi quando ti va
qualcosa
di dolce.»
«Solo quando tu parti in quarta.»
«Colpa mia, allora. O del tuo bellissimo e
funzionante
seno.»
Lei sospirò. «Non smetterai
più di
prendermi in giro, vero?»
Lui appoggiò la testa su un braccio. «No,
mi
hai... educato. Meglio di un libro di anatomia. L'assaggio ha
aiutato.»
Makoto si coprì la faccia con le mani.
Gen si avvicinò al suo orecchio.
«C'è un altro posto in cui hai un sapore
più buono.»
«Eh, no!» Dovette prendere il controllo.
«Quello la
prossima volta.
Ora si dorme!»
Gen si stiracchiò e rise. «Agli
ordini!»
Sdraiato, allargò le braccia per accoglierla.
Lei si sistemò contro il suo fianco, sazia di
sensazioni.
«'Notte» la salutò lui.
In risposta lei lo baciò sul petto. Soddisfatta,
dormì.
Marzo 1997 -
Scoperte - FINE
NdA: la storia è praticamente nata in diretta,
questa sera, sul gruppo Facebook dedicato alle mie storie (Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre).
E' stato strano scrivere così di getto, vincendo la
mia
naturale resistenza a rileggere mille volte tutte. La versione
pubblicata qui su EFP è quella definitiva.
Non so bene come giudicarla, o come giudicare la storia.
Ditemi voi,
per favore (sto con le manine unite)
ellephedre
P.S. Dato che ho preoccupato leggermente una mia
lettrice
quando ho parlato in uno spoiler dettagliato del fenomeno fisiologico
di cui narra Makoto, vorrei andare un po' sul medico.
Ecco una citazione:
"Succede talvolta che schiacciando leggermente il capezzolo si
abbia
una secrezione. Quando il fatto riguarda entrambe le mammelle la causa
è generalmente fisiologica e, quindi, non preoccupante. Nel
periodo premestruale, nella fase che precede la menopausa e durante la
gravidanza questo evento può capitare."
Riassumendo tutto quello che ho trovato sul web, in lingua
italiana e
non, c'è da preoccuparsi principalmente se la fuoriuscita
è spontanea, dolorosa, se c'è presenzi di noduli
nel seno, se il colore del liquido è diverso dal bianco,
ecc... Naturalmente, un dottore risponde meglio a qualunque
domanda.
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Capitolo 7 *** Marzo 1997 - Litigio ***
corrente naturale 7
Corrente
naturale
di ellephedre
Marzo 1997 - Litigio
La tv era accesa. Le espressioni sul volto di Makoto mentre la
guardava erano
impagabili.
«Kasumi! Non posso credere che tu lo abbia fatto!»
«Hiromi, ascoltami! Io e Hiroyuki credevamo che tu
fossi andata via per sempre! Stavo solo cercando di...»
«Di consolarlo? Che bel modo hai scelto! Pensavo fossi mia
amica!»
«Sei stata tu ad andare via! Hai lasciato sia lui che
me!»
La bocca di Makoto era aperta in una O di sorpresa. Seguiva rapita ogni
parola dello sceneggiato tv, soffrendo assieme ai
protagonisti. Sullo schermo
volò uno schiaffo e lei sobbalzò, scandalizzata.
Partì la pubblicità. Gen si concesse una risata
smorzata.
Makoto stava scuotendo la testa. «Che situazione!»
Come faceva lei a immedesimarsi tanto? «È
tutto inventato.»
«Sì, ma sono cose che capitano. Quella
ragazza, ad
esempio: doveva andare a
studiare lontano e ha troncato la sua relazione perché non
voleva
far
soffrire il suo fidanzato. Lo avrebbe fatto aspettare per anni se non
avessero rotto. Lei lo amava tanto e stava cercando
di non essere egoista. Poi, con la lontananza, si
è accorta di non poter stare
senza di lui. Altri ragazzi la cercavano, ma lei aveva in mente solo la
persona che amava davvero. È tornata indietro, ma nel
frattempo il ragazzo e la sua
amica...»
«Se la sono spassata.
Lui non ha
protestato, no?»
Makoto lo guardò con occhi nuovi.
«Conosci la trama?»
Purtroppo sì, ammise Gen.
«Anche in casa mia guardano questo drama all’ora di
cena.»
Makoto si sentì compresa. «È
appassionante!»
I gusti di lui viravano in altre direzioni, ma lo
sceneggiato era
divertente proprio per le
reazioni che causava in Makoto, così come in sua madre e
nelle
sue sorelle. A Gen sembrava che in quelle storie loro cercassero
emozioni che nella realtà le facevano rabbrividire. Makoto
detestava l'idea del tradimento, ma in tv era una
situazione che la attraeva morbosamente.
Lei stava ancora pensando. «Mi fa molta rabbia
Kasumi, l'amica, però comprendo le sue ragioni. Si
è sentita abbandonata da
Hiromi. Lei e Hiroyuki stavano cercando di farsi forza a vicenda e,
passando tanto tempo insieme...»
Come se fosse inevitabile. «Perciò se tu
mi
abbandoni per studiare
all’estero, io sono autorizzato a consolarmi con una delle
tue
amiche?»
Makoto gli tirò contro il tovagliolo, ridendo. «Io
non
vado da nessuna parte!»
Allora anche lei la trovava una cosa ridicola. «Ma
se andrò
via io, starò attento agli amici maschi che ti ronzano
intorno.
Ormai ho capito come andrebbe a finire.»
L'allegria di Makoto si sciolse in una punta di dolcezza,
più
seria del solito. Lei si alzò e, dopo aver fatto il giro del
tavolo, si
appollaiò accanto a lui, le braccia attorno al suo collo e
una
gamba sopra la sua. «Io non penserei mai a nessun
altro.»
Posò un bacio lungo e leggero sulla punta del suo naso - una
rassicurazione affettuosa che per lui era un concentrato di
sensualità.
Le spostò una ciocca dei capelli dietro
l'orecchio.
«Perché guardi queste storie di tradimenti?
Non ti
capiteranno mai.»
Lei lanciò un'occhiata al televisore.
«Hmm... Mi piace sentirmi travolta da queste emozioni
dolorose. Sono situazioni che hanno a che fare con la
realtà . anche se non mi succederanno
mai,
come dici tu. Perché sono fortunata.» Aveva
avvicinato il
viso al suo per sorridere e Gen ne approfittò per un bacio.
Aveva appena iniziato a renderlo profondo quando la
pubblicità
terminò.
Makoto si staccò da lui in un
lampo. «Ricomincia!»
Gen tornò a mangiare, sospirando. Ma
Makoto non aveva distolto completamente l'attenzione dal suo
volto. Gli prese
le
bacchette
di mano e lo imboccò con uno spaghetto.
«Ahh-!»
Lui rise e mangiò. Invece di tornare al proprio
posto, lei trascinò la propria scodella sul tavolo, per
rimanergli seduta accanto.
Dopo cena riassettarono insieme, la radio a far da sottofondo
alle
loro faccende. Mentre cambiava la lenzuola, Makoto mormorava la melodia
della canzone in onda.
Una volta lei aveva avuto il coraggio di chiedergli
perché
lui venisse a trovarla le notti del mese in cui, per
via del
suo ciclo, erano impossibilitati ad avere rapporti sessuali. Gen le
aveva quasi riso in faccia. La sua risposta si trovava in quei momenti:
era bello starle intorno, anche quando non parlavano e nemmeno si
guardavano. Makoto era Makoto, in tutto. Nel profumo che lasciava
nell'aria, nel
modo in cui muoveva, persino nel tipo di ambiente di cui si circondava
- un luogo ordinato come la sua cucina, organizzata con metodo e
decorata nei dettagli.
Gen non poteva fare a meno di sorridere mentre asciugava il
bancone.
«A cosa pensi?»
«Alla volta in cui mi hai chiesto perché
venivo
a casa tua se non potevamo fare sesso.»
Lei arrossì. «Non l'ho detto
così.»
Lui scrollò le spalle.
«Stavo solo cercando di non darti false speranze.
Fino a quel
giorno tutte le volte che eri venuto da me eravamo stati a letto
insieme.»
Sì, non aveva torto. «Però
sappiamo
fare anche altro quando siamo soli.»
Makoto rimase in silenzio, senza dire più nulla.
Be'?
Le sfuggì un sorriso. «A me piacciono
tanto questi
giorni. Però quando non ci sono - ehm - ostacoli, tu pensi a
una
sola cosa. Come quella volta che abbiamo giocato a carte: è
diventata una partita di strip-poker. O quando ci siamo messi
a vedere
un film: la trama horror mi ha fatto venire i brividi e tu ne hai
approfittato per consolarmi a modo tuo. Quando ci mettiamo a
pulire
la casa prima
o poi ti strusci addosso a me e-»
«Ehi.» Quanto era lunga quella lista?
«Come se fosse solo un'idea mia.»
Il sorriso di Makoto si allargò. «Adoro tutto
quello che facciamo. Ma... amo anche questi momenti tranquilli.
Perciò questi
giorni mi piacciono particolarmente.»
Gen pensò di non menzionare il fatto che l'ostacolo
fisico non gli impediva di voler fare sesso con lei. Si tratteneva
più che altro per il suo confort, per non infastidirla.
Comunque non era ossessionato. Ci sarebbe stato un problema tra loro
solo se lui non
avesse voluto fare sesso. E
nonostante
le sue
dichiarazioni, anche Makoto era entusiasta nell'incoraggiarlo.
Provò comunque a riflettere sul discorso di lei.
Makoto picchiettò il cuscino con una mano.
«Il letto è pronto. Ora vado a farmi
un bagno.»
Lui annuì. Era un peccato non poterla accompagnare
dentro la vasca, ma non disse niente mentre lei si chiudeva nell'altra
stanza.
Nell'attesa
di
poter fare a
sua volta una doccia, si sdraiò sul letto e
guardò il
telegiornale.
Più tardi, stringendosi a Gen sul materasso, per la
prima volta Makoto
notò un problema. «Il letto affonda troppo,
vero?»
«Hm?»
Quello di Gen era stato un mormorio. Lui stava per
addormentarsi; la doccia serale lo rilassava.
«Il materasso non è abbastanza
rigido» chiarì Makoto. «A volte, quando
mi sveglio, sento fastidio alla schiena.»
Lui strizzò gli occhi, per guardarla meglio.
«Hm... già. Quello che ho in casa è
più
duro.»
Oh. A lei piaceva molto la morbidezza del suo
materasso - ci aveva
sempre dormito benissimo da sola - ma in effetti, da quando era
arrivato
lui... «Forse per questo, ogni tanto, ti fanno male le
spalle.»
Gen sbadigliò. «Magari.»
Quel giorno lei aveva visto una telepromozione
sull'importanza del
materasso nel garantire un adeguato riposo. Per via del suo fisico
magico non aveva mai malanni duraturi, ma aveva massaggiato
più volte le spalle rigide di Gen. Lui attribuiva i
dolori alla
postura sbagliata che assumeva mentre studiava, ma... se si fosse
trattato del
materasso?
Gli toccò una spalla, per farlo voltare.
«Domani andiamo in qualche negozio?»
«Va bene.»
Accettò l'abbraccio di lui e non disse altro. Il
materasso affondava sotto il loro peso, ma per lei
dormire accanto a
Gen era come al solito celestiale.
Il giorno seguente Gen alzò lo sguardo verso
l'insegna del
negozio a cui Makoto lo aveva portato. «Perché
vuoi
guardare dei materassi?»
«Voglio scoprire se ne esistono di più
comodi.» Lei lo prese per una mano e impresse abbastanza
forza
nella
stretta da trascinarlo di peso oltre la porta d'ingresso.
Stava pensando di comprare un materasso nuovo? Era
un'idea folle secondo lui: lei non aveva idea di quanto costavano.
«Salve!» Makoto salutò
la commessa del
negozio e le spiegò subito cosa stava cercando: un prodotto
di
qualità, abbastanza morbido da offrire un sonno comodo ma al
contempo rigido a sufficienza da sostenere le loro schiene.
«Oh sì, è
importante!» le fece eco la donna.
«Fa bene a preoccuparsene. Ha già in mente una
marca?»
Mentre parlavano, Gen lanciò un'occhiata ai
cartelli coi prezzi. Adocchiandone un paio,
deglutì. «Makoto?»
Si voltò anche la commessa, ma con un cenno della
testa lui
indicò di volere un momento di privacy. Portò
Makoto in
un angolo del negozio. «Stai solo indagando o vuoi davvero
comprarne uno?»
«Prima proviamoli. Se troviamo quello che
fa per
noi, varrà la pena comprarlo.»
Lui non era d'accordo. «Hai visto quanto
costano?»
Lei non si sorprese nel vedere le
cifre. «I prezzi sono
uguali a quando ho comprato il mio. Mi avevano detto che non era niente
di che, infatti era in promozione. Ora capisco perché
costava
così poco.»
Ma di che parlava? «Il tuo materasso va
benissimo.»
«Ti fa venire il mal di schiena.»
«È per il lavoro, sollevo cose. E sto
piegato quando studio. Questa storia c'entra con la domanda che mi hai
fatto ieri?» Proprio mentre si stava per addormentare. Lei lo
aveva
colto alla sprovvista, in un istante di debolezza.
Makoto era piccata.
«Senti, non ti sto
chiedendo il permesso di comprare un nuovo materasso per casa mia. Ho
intenzione di farlo e basta.»
Gen non gradì né il tono né
l'argomentazione.
«Non compreresti il materasso per te stessa. Lo prenderesti
perché dormo con te e insieme affondiamo al
centro.»
«Vedi che te ne sei reso conto? Il materasso
che ho in casa è scomodo.»
Non era un buon motivo per spendere tanti soldi.
«I materassi non sono cose che si comprano su due
piedi, devono durare per anni. Il tuo è quasi
nuovo!»
«Ma non è adatto. Perché ti
scaldi tanto?»
Lui identificò il motivo. «È
un acquisto troppo
importante. Mi sento come se mi stessi regalando un
televisore, o
un armadio. Non si fa.» Prese una decisione che lo fece
sentire subito meglio. «Comprerò io il
materasso. In fondo
serve a me.» Lei non risentiva nemmeno della
scomodità:
non aveva mai avuto dolori di alcun genere.
Makoto era stizzita. «Il materasso
starà a casa mia. Devo comprarlo io.»
Non voleva dire niente. «Non ne vorresti uno nuovo
se non fosse per me.»
«Non c'entra. Andrà sul mio letto,
sarò io che ci dormirò sopra tutte le
notti.»
A quello scopo lei poteva usare il vecchio materasso,
senza
bisogno di cambiarlo. «Makoto... Non mi farò
regalare una cosa simile da te. È troppo.»
Lei sgranò gli occhi, incredula.
«Perché
stai facendo queste storie? Ho solo deciso che voglio prendere un nuovo
materasso per casa mia, per tutti e due. Perché ti
dà
fastidio?»
«Un materasso non è una cosa che si regala.»
Al
massimo si comprava insieme, ma regalarlo stabiliva una sorta di...
rapporto di forza. Già lui viveva a casa sua per quasi
metà mese, senza partecipare alle spese se non per quel poco
di
cibo che gli veniva permesso di comprare. Ma un materasso? Non aveva
bisogno di essere mantenuto. «Posso prenderlo io per
entrambi.»
Makoto fece un grosso respiro. Si voltò
verso la
commessa, accennando un sorriso. «Io e il mio ragazzo
dobbiamo
parlarne meglio. Torneremo un'altra volta.»
Uscirono dal negozio, con grande sollievo di Gen.
Appena girato l'angolo, Makoto si girò di scatto.
«Non
lo prenderai tu. Comprerò io questo nuovo
materasso.»
Lui separò le labbra per ribattere,
ma lei
non lo lasciò nemmeno cominciare. «Quello che dici
non ha senso! Prima sostieni che un materasso non si regala,
poi vuoi prenderlo tu? Per casa mia?»
Ma lui non glielo aveva offerto senza un motivo! «Tu
vuoi comprarlo per me. Hai sempre amato il tuo materasso!»
Glielo aveva sentito dire! «Che c'è di male se per
una
volta
compro io una cosa? Tanto non pago nient'altro!»
Makoto si indignò. «Perché
dovresti pagare qualcosa? Sei mio ospite!»
Ospite!
«Sto a casa tua per metà settimana. Mi
dà fastidio non contribuire, ma tu insisti a-»
«'Fastidio'? A me piace poterti offrire la mia casa!
Mi piace
quando stai con me.» Le si spezzò la voce, ma
l'irritazione vinse sulla tristezza. «Come può
scocciarti una cosa del genere? Per me è bella.»
Gen si calmò. «Mi piace che tu sia
felice, ma... non
arriviamo a questo. Un materasso è un'esagerazione. Non
voglio
questo regalo.»
Makoto si sforzò di respirare lentamente.
«Un giorno
avrei avuto comunque bisogno di un materasso nuovo, visto che questo
non è adatto a due persone.»
«Stai aprendo una pasticceria. Non è il
momento di investire su un oggetto che ha il prezzo di un
mobile.»
Makoto spalancò la bocca. «Non iniziare a
gestire le
mie finanze! Io... io ero
venuta qui pensando che fosse una cosa carina, che potevamo fare
insieme!»
Ma lui alla fine non aveva detto di no!
«Torniamo
al negozio, allora. Lascia che compri il materasso.»
Makoto si impettì ancora di più.
«Se ti sembra
assurdo che lo prenda io
perché costa
tanto, non ha senso che lo prenda tu per una casa che non è
tua!»
Lei doveva decidersi. «Vuoi che passi il mio
tempo
con te, ma non che sia casa mia.»
Makoto si indignò. «Ti ho offerto
un cassetto. In bagno hai uno spazio tuo!»
Sì. E lui non pretendeva di avere diritti neppure
su
un metro quadrato
di quell'appartamento solo perché aver iniziato a
contribuire in maniera
più
attiva alla gestione economica, ma l'esclusione lo infastidiva. Sentiva
che gli veniva proibito di dare qualcosa che per lui era naturale
offrire. Prendere il materasso sarebbe stato... giusto. Avrebbe avuto
qualcosa di suo là dentro, qualcosa che aveva dato a
entrambi a
sua volta. «Voglio acquistare io il materasso.»
Makoto si irrigidì. «Non
posso accettarlo. Sarà il mio materasso, rimarrà
sul mio letto.»
«Che differenza fa?» Tanto lo usavano
insieme. E anche
se lei lo avesse usato da sola, lui era contento di poterle regalare
una
comodità.
«È casa mia, Gen. Se mi aiuti per una
cosa come il materasso, è come se non potessi farcela da
sola.»
Che storia era quella? «Non ho mai pensato
che-»
«E il giorno in cui lo userò con qualcun
altro, come mi sentirò?»
... cosa?
Makoto perse colore in viso. «Voglio dire... un
materasso
è per sempre. Non è un regalo che si fa in una
relazione
iniziata da poco, se non c'è la certezza
che...»
«Che un giorno non lo userai con un
altro uomo?» Gen si sentì ribollire. «Se
ci
stai
già pensando, compratelo da sola.»
«Aspetta-!»
Allontanò di scatto la mano di lei, per non farsi
toccare. «Non voglio più parlarne.»
«Volevo solo dire che non so niente del futuro!
Nemmeno tu
vuoi pensarci e... e all'improvviso parli di comprare addirittura un
materasso! Come se...»
Era stata lei ad aver dato il via a tutta quella storia. Aveva
detto
tutto lei, anche le cose sbagliate.
Makoto aveva smesso di ribattere e Gen non
dovette parlare per comunicare quanto quella conversazione fosse finita
per lui.
In silenzio, si voltò e se ne
andò per
la propria strada.
«Che
cosa
gli hai
detto?!»
Makoto chiuse gli occhi, costernata. «Non so come mi sia
uscita. Anche
Usagi mi ha sgridata.»
«Aspetta. Ripetimi tutta la scena.»
Nel raccontarla di nuovo a Rei al telefono, Makoto rivisse il
momento nei più piccoli e dolorosi dettagli.
«Perché all'improvviso hai tirato fuori la
possibilità di un altro ragazzo?»
«Non intendevo farlo! Non ci stavo nemmeno
pensando!» La
frustrazione la vinse di nuovo. «Pensavo solo a Gen. Ogni
volta
che io e lui finiamo a parlare di un futuro lontano, ci interrompiamo,
passiamo oltre. È... normale. Lo capisco. Ma non
ha
senso che poi lui voglia comprare un materasso al posto mio se non mi
dà la sicurezza che... be', che rimarrà assieme a
me per usarlo.»
Il solo pensiero che ci fosse un futuro in cui Gen non faceva
parte della
sua vita le causava sofferenza. Non voleva immaginarlo. Era d'accordo
con
lui
nell'andare avanti piano piano, coi loro tempi. Tuttavia,
finché non
avesse avuto certezze su loro due, non voleva pensare all'avvenire, in
alcun
modo.
«Sei stata tu a tirare fuori la storia del
materasso.»
«Lo so!»
«Lui si è solo offerto di comprartelo.»
A parte tutto il resto - motivazioni che continuavano a sembrarle
giuste - era consapevole della buona volontà dietro le
intenzioni di Gen. «Mi ha spiazzato.» Era quella la
verità.
«Perciò hai reagito dicendo sciocchezze.»
Sì, come suo solito.
«Era molto arrabbiato?»
Oh, sì. Gen non si era fatto nemmeno sfiorare da
lei. Non
aveva potuto
sopportare la sua vista. «Non so quando vorrà
parlarmi di
nuovo.»
«Dovrai costringerlo ad ascoltarti. Ma vai da lui solo quando
avrai le cose giuste da dire.»
Era per questo che cercava supporto.
«Mako-chan, forse non sono la persona giusta per
darti consigli. Io sarei scoppiata quando lui ha detto che aveva il
diritto di regalarti il materasso, ma tu non potevi fare altrettanto.
Che
maschilista!»
Esatto! «Per questo mi sono arrabbiata!»
«E quando ti ha ricordato che stai aprendo la
pasticceria? Come se tu non fossi capace di decidere da sola in cosa
spendere i tuoi soldi!»
Giusto, proprio così! «È stato
talmente... arrogante!»
«Supponente.»
«Pensa di sapere tutto lui!»
«Sì, be'... per questo non mi va a
genio. Ma credevo che a te piacesse questo suo modo di fare.»
Solo per certe cose. «Gen non è
perfetto.» Come
lei d'altronde. «Ma non avevamo mai litigato in questa
maniera.»
«Prima o poi una discussione forte è
inevitabile. In
questo caso hai avuto la sfortuna di essere tu quella che l'ha conclusa
male.»
Già, e ne era sempre più profondamente
pentita.
«Ne hai parlato con Ami?»
«Ehm... no.» Si vergognava al pensiero di
raccontare ad
Ami quella storia. Era stata molto immatura.
Rei comunque pareva capirla. «Ami prenderebbe le
parti di
Gen. Darebbe ragione
anche a te,
ma sarebbe più obiettiva nell'assumere il punto di vista di
lui.
È quello che ti serve.»
Ami non era la sola a saper decifrare le persone.
«Gen ti
sta così antipatico?»
Rei sospirò. «No, ma il tipo di
relazione che avete ti rende troppo vulnerabile a
lui.»
Makoto non comprese. «In che senso?»
«A me sembra che tu ti faccia guidare da Gen in
tante cose.
Capisco che questo ti piaccia, solo che... mi sento strana ad affidarti
a lui. Non so come funziona la vostra relazione; non so se ti tratta
come meriti. Per ora mi fido solo perché ti
ama.
È l'unica cosa di cui sono sicura.»
Makoto si intenerì. «Ti preoccupi per
me.»
«Certo.»
Seppe che dall'altra parte Rei stava facendo una smorfia
noncurante,
cercando di nascondere l'imbarazzo anche se nessuno la stava guardando.
Volle rassicurarla. «È solo una
finta, sai?»
«Cosa?»
«L'impressione che lui mi guidi. Glielo lascio fare.
Glielo
chiedo. Ma permetto che mi porti solo dove voglio io. Non lo avrei
scelto se non capisse che cosa desidero ogni volta, senza
parole.»
Rei rimase in silenzio.
«Davvero questo ti sorprende?»
«No, ora che me l'hai detto. Solo che è
una cosa così... romantica. E passionale.»
Già, sospirò Makoto. Voleva ritrovare
quell'intesa. «Come posso farmi perdonare?»
«Digli la verità.»
«Eh?»
«Lui risponde bene ai confronti diretti. Digli la
vera ragione per
cui sei ancora costretta a pensare che dovrai trovare un altro ragazzo
un
giorno. Digli che hai paura.»
«Non posso. Sarebbe come chiedergli di prendere ora
una decisione. È un
impegno che lui non è ancora disposto a...»
«Ma è davvero così? Ha detto
di voler comprare
il materasso per entrambi. Forse non sa ancora bene cosa
vuole in futuro con te, ma gli uomini si comportano in questo modo.
Più
che parlare, agiscono secondo quello che provano. Vuole regalarti il
materasso e ha detto di voler contribuire maggiormente alle spese
della
casa. Questi sono già impegni. Si sta muovendo in quella
direzione con te.»
Anche Makoto se n'era accorta. Ne era molto contenta e non le
sembrava giusto chiedere a Gen di spingersi oltre.
Rei emise uno sbuffo. «Basta che ti decidi.
Probabilmente se
chiedi scusa in maniera molto contrita e poi ti butti tra le sue
braccia, lui ti perdonerà lo stesso, senza bisogno di
ragioni.»
Le sfuggì un sorriso. «Dovrei
lasciar passare qualche giorno.»
«Non esageriamo. Da persona gelosa ti assicuro che,
se Yu avesse
detto a me quello che tu hai detto a Gen, io ci starei pensando ogni
minuto della giornata.»
Il pensiero la fece soffrire fisicamente. «Allora
vado
da lui stasera.»
«Però avvicinalo solo se non ti sembra
nero di rabbia. Io non ti ascolterei se fossi di
quell'umore.»
Makoto ebbe un'illuminazione. «Sai, penso di aver
capito perché Gen ti urta.»
«Che c'entra ora?»
Ridacchiò. «Voi due vi somigliate. A
presto, Rei, grazie!» Riattaccò prima di
essere travolta dalle proteste.
Quel pomeriggio Gen andò ad allenarsi. In
palestra, davanti al sacco di sabbia, sistemò
con decisione i guantoni sulle mani.
«Gen!»
Rispose con un cenno della testa all'amico che lo aveva
chiamato.
«È da un po' che non ti vedo qui nel
weekend!»
Già.
Kato, compagno di tanti allenamenti, lo guardò
meglio in faccia. «Hm. Non hai voglia di parlare,
eh?»
Iniziando a riscaldarsi, Gen fece entrare in contatto i
guantoni.
«No.»
Kato annuì. «Va bene, ci si vede. Picchia
duro!»
Scagliandosi contro il sacco, fu proprio quello che Gen fece.
Alle nove di sera Makoto si presentò alla porta di
casa Masashi.
Alla fine aveva parlato anche con Minako del suo dilemma.
L'aveva
chiamata soprattutto per risentirla - Minako le mancava - ma era stato
utilissimo per lei avere qualcuno a difenderla con
spensieratezza,
permettendole di sfogare tutti quei piccoli risentimenti che doveva
cancellare prima di parlare con Gen.
«Presuntuoso, so-tutto-io, non sa accettare una
gentilezza, non ti lascia spiegare...»
Minako aveva preso le sue parti al punto da imporle di
rispondere
a nome di Gen.
«Visto? Ti ho dato
argomenti per capirlo!»
Makoto aveva riconosciuto la strategia. «So di
essermi
comportata peggio. Andrò a cercarlo dopo cena.»
Per dargli
il tempo di sbollire, senza lasciarlo penare troppo.
«Queste litigate mi fanno tenerezza. Amatevi!
È l'unica cosa che conta!»
Aveva salutato Minako con un sorriso dipinto sul volto.
Davanti alla porta della casa di Gen era meno felice e
più incerta. Suonò il campanello.
«Apro io!» udì e seppe dalla
voce che non stava per vedere Gen sull'uscio.
Shori Masashi scostò la porta. Vedendola, la
squadrò da capo a
piedi. «Ah, è quella che ci ruba il
fratello.» Aveva
parlato a voce bassa e sorrideva. Non aveva intenzione di farsi sentire.
«Ciao» la salutò Makoto.
«Ciao. A momenti Gen vive più da te che
da noi.»
Makoto si sentì in colpa. «Mi
dispiace.»
Shori Masashi fece svolazzare una mano per aria.
«Qua non abbiamo bisogno di lui, altrimenti Gen
non
andrebbe via. È un bene che non ci stia più
addosso come
un tempo.»
Fu un discorso che Makoto comprese solo a metà.
«Avete litigato? Oggi lui ha una faccia...»
Makoto inspirò. «Puoi chiedergli di
uscire?»
«Figurati! Se non fosse in bagno sarebbe
già alla porta!»
Udirono una chiave che girava nel corridoio.
«Eccolo, sta arrivando. Saluto mamma e Miki da parte
tua.»
Makoto si rese conto di essere stata una maleducata.
«Entrerei per farlo personalmente, solo che...»
«Certo, certo, situazione tesa. Se va tutto bene,
domani vieni a pranzo. Mamma voleva invitarti da un po'.»
Makoto offrì un inchino della testa.
«Grazie.»
Gen comparve in corridoio. Senza disturbarli, sua sorella
Shori tornò al piano di sopra.
In silenzio, lui fece gli ultimi passi che li separavano,
fermandosi
davanti a lei senza parlare. La guardava in faccia, in attesa di una
sua dichiarazione.
«Mi dispiace per oggi.»
Lui non ebbe reazioni.
Makoto si fece forza. «Vorrei spiegare, se
vuoi
ascoltarmi. Possiamo uscire un momento?» Indicò il
giardino alle proprie spalle.
Lui non aveva ancora detto nulla, ma prese la giacca.
«Ci vorrà più di un momento.»
Prima di
uscire di
casa, controllò di avere le chiavi. Infine tornò
indietro, dirigendosi verso il salotto.
Makoto lo sentì spegnere la televisione, poi seppe
che lui stava andando a salutare sua madre. Se fosse stata una
giornata qualunque, lei avrebbe gridato
'Buonasera' alla signora. Sospirò, nervosa, torturandosi le
mani. Quando Gen tornò alla porta, gli
lasciò
spazio per
passare, dirigendosi verso il cancello. Stavano per andare
nel suo appartamento, era chiaro. Gen voleva parlare, quindi potevano
sistemare il
problema
già quella sera stessa.
Si mossero verso il furgone. Makoto salì nel sedile
del
passeggero e attese che Gen montasse alla guida. Lui entrò
nell'abitacolo, poi non mise le chiavi nel motore. Rimase muto,
immobile, in attesa.
Oh. Aveva intenzione di ascoltarla in macchina.
«Io... non ho detto quella cosa
per ferirti.»
Lui persistette in un silenzio risoluto. Lei seppe di non
poter continuare se non abbassando gli occhi sulle proprie
mani. «L'ho detto perché un
materasso mi ha fatto pensare agli anni che verranno. Non ho menzionato
un altro
ragazzo per ripicca, solo che... mi rende triste la
possibilità
di
non stare più
insieme a te un giorno. Siccome ci stavo pensando, ne ho
parlato.»
Stava
sfiorando il discorso che si era ripromessa di
non fare per intero, ma un cenno era necessario per permettergli di
comprendere da dove le fosse uscita un'idea tanto infelice.
«Lo dicevo più a
me stessa che a te. Non mi sono resa conto di cosa mi usciva dalla
bocca.»
«Lascerai che compri il
materasso?»
... tutto qui quello che lui aveva da dire?
Il silenzio di Gen esigeva una risposta.
Makoto represse a stento il fastidio. «Quella
è
un'altra faccenda.»
Lui strinse le mani sul volante, guardando fuori dalla
finestra. «È di questo che abbiamo
discusso.»
Invece no. «Possiamo parlarne ancora, se
vuoi.»
Gen batté il pollice sul clacson, irritato.
D'improvviso si tirò
indietro con la schiena e fece partire il motore.
«Sì» fu tutto ciò che
disse.
Makoto non aggiunse altro mentre col furgone andavano verso
casa sua.
Per Gen la faccenda era semplice: aveva bisogno di comprare
quel
materasso. Se Makoto non aveva avuto intenzione di dire quello che
aveva detto - se davvero non pensava già di ospitare in casa
sua, un giorno, un altro ragazzo, e di usare con lui il letto che ora
occupavano insieme - allora doveva permettergli di prendere il
materasso. Doveva lasciare che fosse suo, come il posto che aveva in
quel letto e nella vita di lei.
Salirono le scale del suo palazzo, senza parlare. Gen le
lasciò aprire la porta dell'appartamento ed entrò
in
casa. Makoto chiuse l'anta con un tonfo. «Perché
è
così importante?»
E glielo chiedeva pure? «Hai parlato di un altro
uomo.»
«Ma ti ho spiegato perché!»
«Allora dimostrami che è vero. Lascia che
il materasso sia mio.»
Makoto ebbe un momento di comprensione, poi
corrucciò la
fronte. «Ti eri intestardito prima che io finissi la
discussione.»
«Perché ci sono tanti altri buoni motivi
perché sia io a comprarlo.»
«Allora parliamo di quelli.»
Adesso per lui non contavano più. «Non
serve. Ho
già detto la mia ultima parola su questa storia. Lo
prenderò io.»
Makoto si indignò. «Questa è
mancanza di fiducia! Tu non mi credi!»
Esatto. Era stata lei a dargliene motivo.
Makoto tremò dalla rabbia. «Come se fosse
colpa mia! Io
ti darei tutto se solo tu mi dicessi che...!»
Inorridì, ma non
per essersi lasciata sfuggire una stupidaggine. Scosse la testa e si
zittì, ma Gen sapeva cosa
era stata sul punto di chiedergli. Lo sentì come un peso
sul
petto.
Makoto guardò il pavimento. «Tu devi credere in
quello che ti dimostro ogni volta che siamo insieme. Io mi fido di
quello che tu provi ora per me. Se tra noi non c'è
fiducia...»
'Cos'altro abbiamo?' Gen detestò le parole non
dette. «Per crederci ti serve regalarmi un
materasso?»
Makoto sbottò. «Se ti dà tanto
fastidio, non lo compriamo! Era solo un regalo che tenevo a
farti!»
Lui si sentì in colpa. «Non si tratta di
voler rifiutare un regalo...»
«Ma è la tua ultima parola.»
No, dannazione, per lei poteva cambiare idea. «Tu mi
dai troppo,
Makoto. Mi lasci usare questa casa come se fosse mia. Mi prepari le
cene e i bento, pulisci prima che sia riuscito a pensarci da solo.
Cuci, stiri, riordini...» Aveva perso il conto delle cose che
lei
faceva. Neanche sua madre aveva mai fatto tanto.
«Mi piace prendermi cura di te.»
La sua voce sottile gli fece male. «Allora lascia
che ti
dia almeno un materasso.»
«Perché? Non voglio niente in
cambio.»
Diavolo. «Un regalo così grande mi fa
sentire come un
ragazzino che non è capace di comprarsi queste cose da
solo!»
«Non voglio farti da mamma!»
Infatti era peggio. «Divento parte di una coppia in
cui ricevo tanto senza aver preso alcun impegno.»
Makoto si irrigidì. Gen
sentì di aver detto qualcosa di sbagliato, ma Makoto
parlò prima di lui.
«Ho capito. Ti fa sentire a disagio
che io faccia la mogliettina senza che tu mi abbia chiesto
né promesso
niente.»
Dannazione, no!
Il viso di Makoto si deformò in una smorfia.
«Non lo faccio per ottenere qualcosa da te!»
«Non era quello che volevo dire!» Gen
coprì la distanza tra loro in due passi.
Le spalle di lei scivolarono via dalle sue mani.
«Allora cosa?»
«So che tu fai tutto per gentilezza. Non era un
problema finché non ci hai aggiunto il materasso.»
«Lo faccio per amore, non per gentilezza.»
Gen si zittì. Come erano arrivati a quel punto?
«Lo so.»
«Non ti ho chiesto alcun impegno. So che tu non ne
hai
presi con me.»
«Non è vero.» Si era impegnato
con
tutto il suo essere in quel rapporto. «Volevo dire che un
materasso non si regala dopo tre mesi di relazione. È una
cosa che si fa quando si sta per comprare casa insieme, o quando ci si
fidanza, o...»
Makoto si stava deprimendo sempre di più.
«Non vuoi che te lo regali perché non vuoi farmi
credere che arriveremo mai a quel punto.»
«No!» Ma se voleva regalarle lui
il materasso!
Si trattenne dal mettersi le mani nei capelli. «Sento che ti
sfrutto, Makoto. È solo questo. Mi
offri cose che si dovrebbero dare dopo anni di relazione e io non ho ti
ancora dato niente che abbia altrettanto valore.»
Finalmente lo aveva detto bene. Ma non aveva terminato.
«Voglio
prenderti quel materasso perché mi è sembrato
giusto appena ci ho pensato. Se è per entrambi e resta qui,
c'è qualcosa di mio, per te, in questa
casa.»
Makoto abbandonò la tristezza. Prese una delle
mani con cui lui
aveva cercato di toccarla. «Era quello che pensavo anche io.
Un
oggetto così è per tutti e due e... volevo tanto
che
ce ne
fosse uno nel mio appartamento.»
Tornare a comprenderla gli diede enorme sollievo.
«Va bene.»
Lei aveva una preghiera negli occhi. «Compriamolo
insieme, Gen. Sarà una cosa che prenderemo in due, per
noi.»
... suonava ancora più giusto di quello che aveva
pensato lui. Fu un'illuminazione. «È
perfetto.»
Lei esplose in un sorriso. Gli gettò le braccia al
collo e lo strinse talmente forte da fargli male - un
dolore
piacevole, benvenuto.
Gen sentì ancora il bisogno di chiarire.
«Non penso che fai cose per me con secondi fini...»
Makoto si allontanò piano, per guardarlo in faccia,
senza
smettere di stringerlo. «Io invece voglio dire una cosa
sulla tua gelosia. Ci tenevi a lasciare il segno col
materasso?»
Be', non lo avrebbe negato.
Makoto sorrise del suo imbarazzo, poi divenne seria.
«Non avrò
bisogno di
un oggetto per ricordarmi di te, Gen. Ci saranno parti fondamentali di
me
che saranno per sempre tue.» Si assicurò di
avere i
suoi occhi, affinché capisse. «Per
l'eternità.»
Lui le prese la nuca e chiuse gli occhi con lei
nell'incontrare la sua bocca. Spense il cervello.
Usò le
mani, il corpo, per riempirsi e riempirla di sensazioni. Tutto, pur di
non
pensare al fatto che lui non aveva alcuna eternità da
offrire.
Ma ora erano ancora in
una piccola casa, lei non era millenaria e lui poteva ancora darle
tutto quello che era, senza trasformarsi in qualcosa che...
Non so se riuscirei.
Provò a dimenticarlo.
Makoto si addormentò per ultima dopo che ebbero
fatto l'amore. In lei aleggiava ancora una consapevolezza, un senso di
colpa.
Aveva quasi chiesto a Gen di decidersi - di dirle, ora e
subito, che l'amava con tanta sicurezza da voler passare con lei
secoli e secoli, anche se questo avrebbe trasformato la sua vita, anche
se avrebbe significato perdere la sua famiglia, la sua natura.
Perché
le mie amiche hanno questo e io no?
Perché Gen
non l'amava abbastanza?
Si sentiva meschina nell'avere quei pensieri. Covava desideri
così egoisti perché più
passava
il tempo, più non riusciva a immaginare di vivere la propria
vita senza Gen. Voleva persino litigare ancora per cose come quelle
- per un materasso, per scegliere una casa, una macchina, se prendere
un cane... Ed era stupida. Nella sua testa stava immaginando una vita
normalissima.
Neppure da sola riusciva ancora a concepire come sarebbe
cambiata la sua esistenza di lì a poco. Non sapeva cosa
avrebbe fatto, quando, a novant'anni, non fosse stata una vecchia
nonnina circondata da una famiglia numerosa, pronta a spegnersi. Lei
sarebbe rimasta giovane, una ragazza, con secoli di tempo da
riempire davanti a sé - una vita enormemente lunga. E voleva
trascinare Gen in quell'abisso di incertezza?
Non lo biasimava.
Non lo incolpava.
Voleva solo che quel loro presente si allungasse all'infinito.
Molto piano, lo abbracciò più forte.
Non gli aveva mentito.
Ricorderò per
sempre quanto sei caldo quando ti stringo. La sensazione dei tuoi
capelli sulle mie dita. Il tuo respiro sulla mia guancia.
Tutto era già parte di lei. Voleva solo... un
giorno in più. Ogni giorno, giorno dopo giorno, voleva solo
un
altro domani con lui.
Per quella sera, si accontentò di quella notte
e si
addormentò.
«È il migliore! Avete scelto benissimo!
Questo materasso ha il suo prezzo, ma si ammortizzerà negli
anni, con un riposo confortevole e sereno che vi lascerà
soddisfatti!»
Gen sorrideva. «Ce lo ha già
venduto. Lo prendiamo.»
La commessa del negozio saltellò verso la
cassa. «Da questa parte!»
Makoto era allegra. «L'abbiamo fatta
contenta.»
«Immagino la sua commissione. Ma è stata
una buona idea
unire le nostre finanze. Quando si tratta di comprare cose come queste,
non mi va di risparmiare. Infatti ho intenzione di prendere questo
fantastico televisore...»
Makoto sussultò. «Non per casa
mia!»
Gen rise. «Per la mia famiglia. Il televisore che
abbiamo è vecchio, è ora di cambiarlo.»
Coi soldi arrivati dall'assicurazione ora lui non doveva
più
risparmiare. Era più rilassato sul denaro e lei ne era
felice.
Gen le rivolse un sorriso furbo. «Se farai la brava,
ne prenderò uno anche a te.»
Per rimetterlo al suo posto, lei aprì una mano
sul suo fondoschiena e gli strizzò un gluteo.
Lui sobbalzò.
Makoto si concesse una risatina. «Comportati
bene.»
La commessa sbatteva gli occhi, ignara. «Tutto a
posto?»
«Certo» rispose Gen, diplomatico.
Makoto se la rise tra i denti per tutto il tempo che furono
alla cassa.
Marzo 1997 -
Litigio - FINE
NdA: Torno a farmi viva con questa storia e con questa coppia,
perché quando mi ispirano devo ascoltarli e scrivere di loro
:)
Volevo dedicare una menzione speciale e Eleonora, che sul
gruppo Facebook Verso
l'alba e oltre
ha disegnato a fumetti alcune scene di questa storia (la prima gita al
negozio di Makoto e Gen) solo dopo averne visto l'anteprima. Sono cose
che mi commuovono ç_ç
Inoltre volevo citare anche Simona/ggsi, che continua a
ricordarmi
che Gen è un micione, al punto da avermi quasi indotto a
mettere
questo sottotitolo al capitolo: 'La storia di come Gen voleva comprare
una cuccia per sé e la padrona' :D
Grazie a tutti voi che mi leggete di esserci e seguirmi :)
ellephedre
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Capitolo 8 *** Aprile 1997 - Questione di prospettiva ***
corrente naturale 8
Corrente
naturale
di ellephedre
Aprile 1997 - Questione di
prospettiva
Per gran parte della sua vita Makoto aveva pensato che le sue mani
fossero troppo grandi. Le dita avevano qualche centimetro di
troppo sulla punta per
essere
davvero belle e sul dorso spuntavano delle venuzze. Le giunture erano
allungate, snelle. Erano mani allenate da combattente.
Lei le guardava e pensava, 'Se solo...' Sognava mani
piccole dalle linee morbide, come quelle di una
ragazza
carina e dolce che tutti gli uomini volevano proteggere.
Ma io non
voglio essere
protetta.
Rifletteva in continuazione su quella
contraddizione. Voleva sentirsi come una principessa delle
favole - adorata,
amata, con
qualcuno che provasse il bisogno di tenerla lontano da tutti i mali del
mondo. Al contempo, desiderava il ruolo di cavaliere. Nella sua testa
la
fiaba perfetta era quella in cui contribuiva al proprio salvataggio al
fianco dell'eroe senza paura, alla pari con lui.
Perché
io non
sono indifesa. Sarebbe bello curarci l'uno dell'altra insieme.
Quel sogno ogni tanto la deprimeva. Viveva in un
mondo in cui non suscitava quel tipo di
sentimento nei ragazzi, solo a causa dell'aspetto con cui era nata.
Io non sono
brutta.
Non in viso - per quanto non fosse neppure bellissima - ma era
il suo
corpo il problema. Era nata nel paese sbagliato, forse nel mondo
sbagliato. Del sesso
sbagliato? No, a lei piaceva molto essere una ragazza, ma
il suo fisico... Qualunque pregio potesse avere, i ragazzi
vedevano
solo che lei era troppo grande e grossa, con caratteristiche maschili
persino nella posa - spalle dritte e decise, mai piegate. La
ragazza perfetta era piccolina, gracile e fine, una
bambolina. Non era previsto che fosse attraente essere alte,
avere
muscoli
visibili e arti importanti, tutt'altro che delicati.
Lei avrebbe potuto smettere di allenarsi, ma a cosa sarebbe
servito?
Sarebbe rimasta sempre alta. Aveva le spalle larghe come alcuni uomini
- le sue erano persino più definite della media maschile. I
suoi polsi non erano sottili e gentili, avevano una circonferenza che
era... be', erano normali e proporzionati al resto di lei. Quindi erano
grandi,
proprio come le sue ginocchia o i suoi piedi. Tolti seno e
fianchi, avrebbe potuto tranquillamente essere
scambiata
per un uomo.
Non riusciva a vivere pensandoci in
continuazione. D'altronde - si ripeteva - il suo aspetto era
un problema solo
quando
pensava a una storia d'amore. Per il resto del tempo, il suo corpo le
piaceva
molto.
Non me ne
vergogno. Essere alta e grande le permetteva di
fare cose impossibili
per una
ragazza comune. Picchiava bulli a mani nude. Batteva anche
quelli
più grossi
di lei - era facile, erano così lenti.
Le piaceva svettare sopra le folle. Voi siete bassi
e io no, non conoscerete mai il mio vantaggio.
Adorava essere più veloce degli altri nella corsa.
Le
ragazze non potevano competere con la lunghezza delle sue gambe e la
maggior parte dei maschi aveva meno muscoli di lei nelle cosce. Per
questo in fondo lei li compativa. Come
potete essere meno forti di me?
Essere agile era parte del suo essere, la
galvanizzava. Non avrebbe saputo esistere nei panni di una
ragazzina goffa
che aveva
continuamente bisogno dell'aiuto di un maschio quando capitava di
menare un po' le mani.
Era combattuta.
Poi aveva conosciuto Usagi e le altre.
"Mako-chan, tu sei molto carina!"
Erano state le prime a farla sentire tanto femminile.
"Che seno!" aveva commentato Minako.
Makoto si era vergognata. "È troppo grosso, vero?"
Sgraziato
e fuori luogo in una ragazzona come lei.
Minako aveva riso. "Per gli uomini non esiste un seno troppo
grande!"
Makoto aveva sorriso al complimento, ma in cuor suo aveva
saputo
diversamente.
Per i ragazzi c'erano caratteristiche che, per quanto buone, potevano
passare in secondo piano se una donna non si adeguava a canoni di
bellezza standard - irraggiungibili per una come lei.
Una volta era andata a fare compere con Ami. In due erano
state
impacciate ed esistanti nello scegliere i vestiti, in attesa
dell'arrivo delle altre. Vedendola guardare giacche e pantaloni, Ami
aveva commentato innocentemente, "Ti piace stare comoda."
Makoto aveva scrollato le spalle. "Non penso che mi stiano
bene abiti
troppo femminili."
"Perché no?"
Non aveva saputo come rispondere alla domanda,
perché Ami
pretendeva risposte serie e articolate. Quella volta Makoto si era
resa conto che in testa aveva solo tante scuse. Si era
buttata: aveva provato un top aderente e una gonna lunga -
abbastanza coprenti per farla sentire a suo agio, pur essendo capi che
sottolineavano le sue forme.
Allo specchio si era piaciuta molto.
Ami le aveva fatto i complimenti. "Stai benissimo."
Anche Rei aveva contribuito alla sua autostima.
"Perché
porti sempre i pantaloncini invece di una minigonna?"
"Mi muovo meglio."
"Dài, non devi sempre prepararti a combattere
mentre sei
con noi.
Una minigonna ti starebbe bene, ti ho vista col costume Sailor."
"... non so se è adatta a me."
"Guarda che fai vedere le gambe come con quei pantaloncini.
Su, provane
una delle mie!"
"No! La tua taglia è troppo piccola!"
"Esagerata, parli come se fossi enorme rispetto a me. Ti
starà
giusto un
po' cortina, ma tanto siamo tra amiche."
Anche le altre l'avevano incoraggiata e così Makoto
aveva
scoperto di non essere tanto più grossa delle sue amiche -
piuttosto, si vestiva come se lo fosse. La minigonna di Rei le cadeva
sulle cosce tre o quattro centimetri troppo in alto per essere decente,
ma per il resto... "Mi piace."
Con un pollice bene in alto, Rei aveva annuito. "Hai visto?
Rendi giustizia a quella mini!"
Da allora Makoto aveva iniziato a valutare con
più
benevolenza il proprio corpo. Era alta, ma aveva le sue buone
qualità. Anche lei
poteva
indossare abiti molto femminili, per valorizzare la
bella rientranza dei fianchi, il sedere alto - merito dell'allenamento
- e tutto il resto: braccia e cosce sode, arti forti, ginocchia
ben formate. Non era brutta: era solo... grande.
Vivo in un
mondo di
uomini troppo piccoli, è questo il problema.
Ogni tanto si godeva un po' di sport in tv, ma come una
sciocca aveva
sempre ritenuto che i giganti di certe discipline fossero scherzi della
natura, un po' come lei.
Siamo fuori
dalla norma,
ma non è una cosa negativa. Abbiamo una 'nostra'
norma. Rispetto a certi nuotatori, professionisti
dell'atletica o
boxeador,
lei era persino piccola. Era un peccato che la maggior parte di quegli
uomini vivessero in paesi lontani.
Non si era scoraggiata. A differenza degli uomini giapponesi,
in fondo
lei non dava tanta importanza all'altezza.
Non voleva un ragazzo che fosse a tutti i costi più
alto di lei:
riusciva a immaginare senza problemi di abbassarsi per un bacio o un
abbraccio. Non trovava svilente l'idea di camminare fianco a fianco con
un uomo che fosse più basso - anche se avere qualcuno
alto almeno quanto lei era il suo ideale. In realtà le
bastava
una persona che la apprezzasse per quello che era e che non la facesse mai sentire male
per le dimensioni del suo fisico.
Se possibile, voleva di più. Se solo
avesse incontrato qualcuno che avesse trovato bello il fatto che
le sue gambe fossero lunghe e le sue braccia forti. Qualcuno che non
dovesse passare oltre quelle caratteristiche, ma che ne fosse attratto.
Era un bel sogno.
Nel
tempo si era invaghita di diversi ragazzi che l'avevano snobbata, ma
aveva imparato a smettere di sentirsi male a causa loro. Era fastidioso
e lei viveva meglio quando si sentiva forte, carina e felice
di essere nel proprio corpo. Se un ragazzo non la guardava con
lo stesso interesse,
scrollava le
spalle e lo dimenticava subito. Minako aveva insistito su quel punto,
convincendola: non valeva la pena di struggersi per qualcuno che,
evidentemente, non era la persona che l'avrebbe fatta felice.
Lui era là fuori, da qualche parte.
Non importa
se non mi
considererai minuta, ma considerami giusta, desiderabile.
Si era attesa di aspettare molti e molti anni per avere
qualcosa di
lontanamente simile.
Era stata più fortunata.
«Stai facendo qualcosa di strano.»
Makoto ridacchiò in silenzio, la guancia appoggiata
contro
la tovaglia che lei e Gen avevano steso sull'erba del
parco. «Cosa intendi?»
Sdraiato, lui aprì un occhio. «Stai
confrontando
la misura delle nostre mani?»
Lei tenne l'avambraccio incrociato con quello di lui, i loro
palmi appoggiati l'uno contro l'altro, le dita aperte.
«Sì.»
Lui non disse niente e Makoto non provò a
spiegargli.
Era un
discorso
lungo, che si era trascinato per anni.
Era guarita dalla sua bassa autostima prima di
incontrarlo, ma con lui aveva scoperto un piacere nuovo,
banalissimo. «Mi piace essere più piccola
di
te.»
Se ne beava: la stazza di Gen le ricordava in continuazione
che non era
sola nell'essere più grande e alta della gente comune. La
loro era una meravigliosa differenza in cui lui le faceva compagnia.
Inoltre... Non ne avrebbe avuto bisogno, ma era un di più
sentirsi minuta accanto a un altro essere umano. Rafforzava l'idea che
lei non fosse mai stata veramente troppo alta, ma che si fosse solo
paragonata alle
persone sbagliate.
«Un giorno potremmo andare in Europa del
Nord. O in
Russia. Ami mi ha detto che lì le persone sono tutte molto
alte.» Loro si sarebbero sentiti normalissimi in quei paesi.
Gen si divertì. «È questo il
problema?
Ti senti troppo grande?»
Non più. «Mi sento normale. Ma quando mi
conviene,
mi piace essere più grossa del prossimo.» A spalle
dritte e braccia incrociate intimidiva ancora la maggior parte dei
prepotenti che incontrava sul proprio cammino, bassi o alti che fossero.
Gen stava ridendo tra sé. «Non sei
grossa.»
«Non sono piccola.»
«Per fortuna.»
Makoto si incuriosì. «In che
senso?»
«Quando mi abbasso a baciarti non mi viene il
torcicollo.»
Ah.
«Sono felice di essere una scelta
conveniente.»
Lui glissò sul discorso. «Come fai a
definirti
grossa?»
Makoto sospirò. «Rispetto alle altre
ragazze.»
«Hm. Io ne ho conosciute tante. Non c'è
molta
differenza
di dimensioni tra te e loro.»
Lui aveva una prospettiva tutta sua.
«È più l'idea che per essere davvero
carina bisogna essere piccoline e fragili.»
«Quelli sono gli standard della massa di uomini
bassi e privi
di muscoli. Si vergognano a confrontare le loro braccia scheletriche
con quelle di una persona in forma.»
Makoto esplose in una risata. Solo con Gen poteva fare quel
tipo di
discorsi.
Lui si girò su un fianco, per circondarla con un
braccio.
«Se tu fossi minuta e fragile, mi vengono in mente tante cose
che non potremmo fare insieme...»
«Lottare?»
«Diciamo così.»
Makoto affondò con la testa nella sua spalla.
«Che
perverso che sei!»
Risero insieme, cercando di non attirare troppo l'attenzione.
Lei gli diede un bacio sulla guancia, spingendolo a tornare
sdraiato. Gli salì sopra con metà del corpo e
sospirò di gioia, tornando a rilassarsi.
Dopo un bel pic-nic all'aperto era bello riposare.
«Tra te e una ragazza piccolina e delicata,
avrei scelto
mille volte
te, solo per l'aspetto.»
Questo la rendeva molto felice. «Grazie.»
«Non devi ringraziarmi. Piuttosto, sai una cosa?
Anche se
essere così alto mi ha fatto sbattere con tante porte, e
certe stanze sono claustrofobiche, sono contento di non essere basso.
Ti avrei voluta lo stesso, ma sarebbe stato più difficile
attirarti.»
Quante sciocchezze. «Ci saremmo scelti lo stesso, a
vicenda.» Lo abbracciò forte. «Ora basta
parlare di dimensioni. Coccoliamoci.»
Lo sentì ridere per il termine, ma sulla sostanza
Gen non
protestò.
Con me non lo
fai mai.
Contenta, Makoto appoggiò la testa sul petto di lui.
Aprile
1997 - Questione di prospettiva - FINE
NdA: questa storia è nata dopo un mio piccolo
studio sui canoni di bellezza giapponesi (ho letto diversi articoli e
alcune testimonianze dirette). I loro canoni sono molto diversi da
quelli occidentali. Qui considereremmo un'amazzone come Makoto una
ragazza molto bella, mentre invece per occhi giapponesi la bellezza
femminile sta nell'avere occhi grandi, un corpo piccolo (se formoso
meglio, ma che sia delicato e infantile nelle dimensioni è
il top), una pelle lattea. Una ragazza che esce da questi canoni non
sarà apprezzata per la sua diversità - almeno non
generalmente. Non è previsto.
Qui in Occidente ci sono limiti su cose diverse - potremmo definirli
canoni meno stringenti, ma in fondo non è vero.
La bellezza è una questione di prospettiva, naturalmente. La
contraddizione per me stava nel fatto che una persona che qui
giudicheremmo bella - come Makoto - in un altro paese potesse sentirsi
brutta proprio per le caratteristiche per cui altrove sarebbe
apprezzata. Un po' in tutte le versioni di Sailor Moon si indicava che
lei aveva problemi col suo fisico, ma non ne ho capito la portata -
credevo che stesse esagerando - finché non ho approfondito
la questione. Ne ho parlato in Verso l'alba, se non sbaglio - i
concetti di base non mi erano nuovi, li avevo già. Suppongo
che sia stato leggere le testimonianze che mi abbia fatto dare vedere
la
questione secondo un approccio più personale e sentito.
Quindi ho voluto scriverne.
In ogni dove, alla fine, il gioco è imparare ad apprezzare
se stessi, quindi ho voluto dedicare un piccolo pezzo a questo percorso
in Makoto. Ricordo vagamente che nella prima serie vestiva abbastanza
maschile, ma non ci metterei la mano sul fuoco. Mi piace immaginare che
le sue amiche abbiano avuto su di lei l'influenza che ho descritto.
Poi, appunto, non penso che Gen abbia risolto tutti i suoi problemi.
Lui è un 'di più', per una ragazza che era
già contenta di se stessa. Ma naturalmente è
sempre bello veder soddisfatti piccoli desideri che uno credeva
irrealizzabili. A Makoto ho voluto dare questo da molto tempo :)
Spero che la storia vi sia piaciuta.
Elle
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Capitolo 9 *** Maggio 1997 - Nostalgia ***
corrente naturale 9
Corrente
naturale
di ellephedre
Maggio 1997 - Nostalgia
A tavola suo padre rideva. Era sempre lui a scherzare in
famiglia, rendendo allegre le loro riunioni. Di fianco a lui
il viso di sua madre era acceso, quello delle
sue sorelle estasiato. Amavano tutti ascoltarlo. Poi era Gen a
parlare della sua giornata. Suo padre gli
prestava attenzione mentre mangiava, così come sua madre,
Shori e Miki. Ridacchiavano per una battuta che era riuscito a fare, si
scambiavano racconti personali. Era bello cenare insieme.
Poi Gen sbatteva gli occhi e suo padre era sparito dal proprio
posto. Non era più a tavola, se n’era andato.
Perché?
Dentro di sé lo sapeva, lo
temeva.
Aprì gli occhi. Al buio, capì di essere
nella realtà di un lungo incubo: suo padre era morto
l’estate scorsa.
Ebbe voglia di scendere al piano di sotto, per controllare che
lui davvero non fosse più nella sua stanza, a dormire con
sua madre. Era stupido, illogico: si trovava a casa di Makoto.
Era passato tanto tempo da quando suo padre se n’era
andato per sempre.
Nella sua testa erano recenti il sogno, i ricordi.
Solo ieri avevano cenato tutti e cinque a tavola, con sua
madre e le sue sorelle. Solo ieri era andato da suo padre quando aveva
voluto approvazione per qualcosa. Gli aveva raccontato dei suoi
progetti all’università, di come andavano bene.
Suo padre annuiva, lo spronava come al solito. Tra loro, ogni tanto, si
prendevano una birra e parlavano sul patio, tra uomini. I loro sport
preferiti erano la boxe e il baseball. Ne parlavano solo loro due,
tranquilli, le domeniche o le sere davanti alla tv.
Gen voleva farlo ancora. Ma era impossibile, non aveva
più un padre.
Un groppo gli attanagliò la gola. Accanto
a lui, sul letto, Makoto dormiva. Sentiva il respiro
di lei, la sua presenza.
Scivolò di fianco e la strinse. Lo fece stare
meglio avere il suo corpo contro il petto, persino udire il
mormorio di protesta.
Ricordarsi che era passato tanto tempo - tutti i mesi in cui
l’aveva conosciuta - non cambiò nulla nella sua
testa. Sembrava ancora solo ieri che poteva dire
‘papà’ e avere una risposta.
Non voleva sentirsi così. Non voleva stare
male.
Affondò la testa contro il collo di Makoto,
provando a riempirsi il naso del suo profumo. C’era,
era
un odore caldo e buono, così vivo.
Lo baciò. Fammi
dimenticare.
Non resistette, dovette esagerare e
scendere. Dimenticava meglio con i seni di lei premuti sulla
faccia, ma
non abbastanza. Era come un bambino che si rifugiava, si nascondeva. E
singhiozzava, dannazione.
No.
Prese un capezzolo di lei in bocca, provando ad
eccitarsi. Sentì il corpo di Makoto che si tendeva, una mano
che si muoveva confusa sulla sua spalla. Udì un suono - un
lamento eccitato - e tra
le labbra ebbe un nocciolo che si induriva. Era rosso nella sua mente,
turgido, saporito contro la sua lingua.
Questo,
pensò, e portò la
mano sull’altro seno di lei, per non smettere. Usò
il pollice e l'indice sull’altra punta, stimolando allo
spasimo
anche quella.
Ecco l’oblio, la normalità. L'essere vivo.
Makoto sollevava il bacino, dimenandosi piano
nel suo abbraccio. La mano di lei si era svegliata tra i
suoi capelli.
«Gen…» Fu un gemito e una
richiesta - anche di parole.
Lui non voleva dirne nessuna, non voleva pensare.
Scese lungo lo stomaco di lei, baciò. Quella di
Makoto era
una pelle paradisiaca, quasi salata, talmente ricettiva…
Le infilò la lingua nell'ombelico, giocandoci. Ottenne una
serie di meravigliosi brividi, tutto il ventre di lei che si
sollevava contro la sua bocca. Tenerle le braccia ferme con le mani era
giusto, era uno scambio. Dovevano perdersi insieme nelle sensazioni
invece di combatterle.
Di più, vero?
Si spinse oltre sotto le coperte; sentì che gli
mancava l’aria, ma non ci badò. Makoto
provò a spostarsi con le gambe, ma lui sistemò la
testa tra le sue cosce. Tenendole aperte leccò - peli, la
prima volta, ma sentirli ruvidi sulla lingua, intrisi di sapore, lo
portò solo ad abbassarsi di più col naso, per
trovare la carne morbida e liscia. Il secondo assaggio fu centrato:
scivolò tra tante piccole pieghe
umide. Sobbalzando, Makoto emise un suono di involontario
godimento.
Il suo odore era diverso dal solito, molto più
intenso. Erano l'aroma e il sapore pungenti del sesso che
avevano fatto prima di dormire - col fluido di lei che ancora non si
era seccato sulla sua carne. Gli venne da ridere alla
possibilità di stare
assaggiando anche se stesso, ma si limitò a non scendere
oltre e non smise di premere la lingua contro il bottoncino duro che
aveva trovato. Le era venuto dentro, perciò là
fuori c’era solo Makoto, solo lei e il modo in cui stava
agitando piano le ànche contro la sua bocca, sempre
più a ritmo.
Così,
pensò lui, sentendo dentro di sé
il tremore che le provocava con un movimento giusto della punta della
lingua, il dondolio trattenuto del bacino contratto e smanioso-
Makoto trafficò veloce con le mani, buttando via le
coperte e permettendogli di respirare. Disse il suo nome due volte, in
ansiti consecutivi, veloci, prima di afferrargli la testa con tutto un
palmo e iniziare a ondeggiare al ritmo delle sue leccate, senza
più ordine. Sobbalzò all'improvviso e in
quell'orgasmo si perse anche lui. Si inebriò
della sua voce spezzata, femminile e deliziosa, e del pulsare lieve che
sentiva sotto le labbra.
Lei era così giusta - perfetta da amare, la persona
migliore in cui perdersi.
Appoggiò il viso contro il suo ventre e per un
attimo respirò.
Volevo così
tanto che lo conoscessi anche tu.
Sentì di nuovo il petto che si stringeva. Non lo
sopportò. Sollevò il torso e nel buio, con la
mano, allineò la propria erezione all’entrata di
lei,
senza aspettare. Affondò.
Makoto gli afferrò i
polsi. «Gen!» Non cercò di
spostarsi, ma bloccata com’era non avrebbe potuto.
Non dirmi di smettere, per
favore.
Cercò di trattenersi dall’assecondare la
forza della stretta scivolosa di lei. Riuscì a stare
fermo.
Makoto smise di tenergli forte le mani. Spinse di rimando
contro il suo bacino - un tentativo la prima volta, una scelta la
seconda.
Senza fiato, lui la prese per la vita. Da seduto
iniziò a spingere ed ebbe tutto il controllo che lei gli
aveva dato. Privo di ostacoli, cominciò a premere con
sempre maggior intento.
Sentì come Makoto gli rispondeva e si lasciava
andare. Con l'intero corpo lei divenne un concentrato di istinto -
allargò le gambe, inarcò la schiena per favorire
gli affondi, graffiandogli i gomiti.
Lui abbandonò i pensieri. Si riempì del
piacere di entrare nel suo ventre, tenendola bloccata, controllata.
Poteva farle tutto quello che voleva, al ritmo da lui deciso,
con la forza che più gli andava - la soddisfazione
più grande sapere che lei lo desiderava quanto lui e con
ogni movimento lo incitava, godeva.
Lo spasmo con cui iniziò a liberarsi nel suo corpo
lo fece diventare rigido su tutta la schiena. Fu talmente forte e
intenso che… Non controllò le ultime spinte,
furono
loro a comandarlo.
Infine, sentì un indolenzimento alle mani quando
allargò le dita, per la forza con cui aveva tenuto contratti
i muscoli.
Si preoccupò, massaggiando la pelle che aveva
afferrato, in cerca di reazioni di dolore. Ma Makoto gli
trovò
le mani con le sue, le chiuse nelle proprie. Prese lei il comando,
costringendolo
con gran facilità a sdraiarsi sul suo corpo, poi su un
fianco. Tenne il volto contro il suo collo. Non stava
cercando conforto, voleva offrirlo. Gli accarezzò la
schiena, ascoltando il respiro che lui non riusciva a calmare.
«Cosa c’è?» gli
domandò.
Lui non
trovò la forza di stare zitto. «Mi manca
mio
padre.»
Non lo infastidì il sussulto, il silenzio.
«… hai fatto un sogno?»
Gen annuì al nulla, contro la testa di lei.
Makoto tremò e lo strinse forte. Soffrì
con lui.
Contro i suoi capelli Gen provò a trattenersi.
«Fa male, hm? Farà sempre male.»
Già. Perché suo padre non sarebbe mai
più tornato.
Ansimò, iniziò a piangere. Si
vergognò.
A denti stretti odiò la sofferenza, la nostalgia.
Quando Makoto gli accarezzò la nuca piano, come se fosse
piccolo e solo, odiò solamente che suo padre non ci fosse
più.
Avevo ancora bisogno di te.
Non glielo avrebbe mai detto se fosse stato vivo, non lo
avrebbe mai pensato. Ma avrebbe avuto bisogno di lui tra dieci
anni, tra
trent’anni.
… gli sarebbe mancato per il resto della sua
esistenza.
Rassegnato, pianse ancora un po’, fino al silenzio.
Sentendo le lacrime calde di Makoto contro la guancia, si
sentì meno solo e si
addormentò.
Maggio
1997 - Nostalgia - FINE
NdA: ... ho pensato che uno come Gen verrebbe invaso da queste
idee, di tanto in tanto. Suo padre era molto importante per lui.
Vedevo Gen che reagiva nel modo che ho descritto, cercando di
dimenticare in una maniera fisica, per spazzare via il dolore
rimpiazzandolo con sensazioni che più di tutte, nella sua
testa, gli danno l'idea di essere vivo, acceso. Gli si è
ritorto contro? Non proprio. Aveva davvero bisogno di
lasciarsi andare ancora, anche se riteneva insensato che la nostalgia
fosse ancora così forte dopo tanto tempo.
Niente, spero di aver reso bene ciò che volevo
trasmettere con questa storia.
Elle
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Capitolo 10 *** Maggio 1997 - Nella stanza da bagno ***
Corrente Naturale - maggio 1997
Corrente
naturale
di ellephedre
Maggio 1997 - Nella stanza da bagno
La sua era una vasca piccola.
Quando faceva il bagno Makoto si
rannicchiava su se stessa, sdraiandosi sulla schiena. Immergeva i
capelli finché
l'acqua quasi non le entrava nelle orecchie.
Nell'istante in cui i
suoni si attutivano, sentiva di entrare in un mondo differente, privo
di peso: il suo corpo galleggiava, lei stessa non aveva
più responsabilità o preoccupazioni. Le fatiche
della giornata
si scioglievano assieme ai suoi muscoli.
Soffiò sulla superficie dell'acqua,
osservando le
increspature create dall'aria. Si
voltò di lato, sostenendosi con un gomito, senza scopo,
semplicemente perché poteva. Emerse con metà
della
gamba. Sporse il piede oltre il bordo della vasca,
stiracchiando
le
dita
stanche, provate da una giornata trascorsa senza quasi sedersi.
Il citofono di casa suonò.
... Gen era arrivato in anticipo.
Uscendo dall'acqua, lei si passò velocemente un
asciugamano sul corpo, per non bagnare il pavimento. Passò
dal bagno alla stanza principale della casa, fino a
raggiungere il citofono sulla parete. Premette il tasto che apriva il
portone al piano sottostante e tolse la sicura all'entrata.
Tornò indietro, con calma.
Quando Gen entrò nel suo appartamento, un minuto
dopo, si
era già reimmersa in acqua.
«Makoto?»
«Sono qui.»
Sentì i passi di lui, poi lo vide sulla porta.
«Ehi.»
Rivederlo con un sorriso, la sera, era un premio.
«Ciao!» Caricò il saluto di
felicità.
«Fai un bagno?»
Annuì mentre lui si avvicinava, fino ad accucciarsi
accanto
alla vasca.
«Volevo stare dentro per un po'» gli
spiegò, «così poi
ti
lasciavo il posto. Sei arrivato prima.»
Quieto, lui appoggiò il mento sul bordo in
ceramica.
Lei lo graziò con un piccolo bacio, causandogli un
sorriso.
«Sei stanco?»
«Sì.»
Makoto intuì che non era questo che lo turbava.
Lui era rimasto a guardarla. Diversamente da quando era
spensierato,
negli occhi con cui stava osservando il suo corpo nudo c'era una
riflessione, che non includeva lei.
È
successo
qualcosa?
Fu paziente. Invece di domandare allungò una mano,
inumidendo la fronte di lui con una carezza.
Per la beatitudine, Gen chiuse gli
occhi. «Se solo la tua vasca fosse più
grande...»
Lei aveva pensato la stessa cosa. «È un
peccato
che per un bagno ci entriamo solo uno alla volta.»
Inumidì le palpebre di lui con le dita, piano,
accarezzandole.
Gen emise un sospiro flebile. «Oggi è
andata bene al negozio?»
«Mi hanno
commissionato tre torte per la prossima settimana. Gli affari stanno
decollando.»
«Certo. Sei la migliore in cucina.»
Lei si voltò a pancia in giù
nell'acqua,
tenendosi all'altezza di lui con le braccia. «A te
com'è andata? Avete finito di lavorare sul piano di quel
palazzo?»
Lui tardò un momento a rispondere.
«È andata bene, erano soddisfatti. Ottime
rifiniture,
hanno detto. Ho passato i complimenti a Sato.»
«Ne sarà stato contento.»
Gen annuì. «Mi hanno offerto di fare
altri lavori
insieme.»
Oh? Non era una cosa cattiva. Stavano parlando di una
buona
società di costruzioni, con una ventina di dipendenti e
molti contratti all'attivo, su locali di grandi dimensioni. Eppure, Gen
non sembrava felice. «Non ti piace come
idea?»
«Il proprietario ha detto che tra qualche
tempo potevamo
parlare di unirci. Fondere le ditte, sai? Loro che assorbono
noi.»
Makoto iniziò a comprendere la ragione
della sua incertezza.
Gen si era seduto completamente sul pavimento, una gamba
allungata sulle piastrelle.
«Non sei tenuto ad accettare.»
«Quando me l'ha detto, il
mio primo
pensiero è stato... Sì.
Come se finalmente mi stessi liberando di un peso.»
Makoto capì subito cosa stava provando lui, da cima
a fondo.
Si sporse in avanti, uscendo col torso dall'acqua per adagiare la
guancia alla sua. «Non sentirti in colpa.»
Lui non disse nulla.
«Ti sei sempre preoccupato per Sato,
Nakamura e
Watanabe. È un sollievo sapere che potresti non avere
più la
responsabilità del loro futuro.
È normale.»
«Non mi ero reso conto di essere
pronto a
sciogliere la ditta. Anche se sapevo che un giorno sarebbe
successo.»
La ditta era stata creata da suo padre. «Non lo stai
lasciando andare solo perché non continui il suo
lavoro.»
Gen emise un lungo sospiro. «Non mi dispiaceva come
occupazione. Si
guadagna
bene. Essere autosufficiente senza spendere la mia parte del
risarcimento è... una cosa buona.» Si
voltò verso di lei. «Per il futuro pensavo di
tornare a farlo, di tanto in tanto, quando avessi avuto bisogno di
denaro. Per avere un'entrata in più, magari durante le
vacanze. Finché faccio solo l'assistente.»
Certo, era un'idea sensata.
Ma nel guardarla Gen stava avendo un'esitazione.
Makoto capì solo in quel momento che avevano
parlato di un
futuro distante nel tempo. Lui sarebbe diventato assistente in uno
studio di architettura appena avesse terminato
l'università, e per allora la nuova vita di lei sarebbe
già cominciata.
Lavorare durante le vacanze per avere più soldi era
un
progetto che apparteneva a una vita comune e semplice, che non sarebbe
mai stata quella che loro due avrebbero avuto insieme.
Non gli permise di pensarci troppo. «Se cedi la
ditta e
rimani in buoni rapporti con loro, magari chiameranno te per una mano
in più, quando ne avranno bisogno.»
Come lei, Gen scelse di non affrontare un problema per cui
ancora non
avevano soluzioni. Annuì. «Mi
sembra lo stesso di lasciar andare una parte di mio padre.»
In silenzio, Makoto condivise la sua nostalgia, la sua
sofferenza. Si
allungò con un braccio fuori dalla vasca, prendendogli la
mano e portandola alla bocca. «Lui sapeva qual era il
tuo sogno. Avrebbe voluto che tu seguissi la tua strada.» Lo
baciò sul dorso delle dita, forte. «Comunque
non succederà subito. Ti abituerai all'idea. E se non
accadrà... non dovrai fare niente. Potrai tenere la ditta
per sempre.»
Strappargli un sorriso la rese felice.
Quando respirò di nuovo, Gen si era liberato di un
pensiero opprimente.
Makoto scivolò all'indietro nell'acqua. Pur piegata
com'era,
riuscì a mettersi con lo stomaco all'insù.
Poiché non aveva rinunciato a tenergli la mano, quasi
sprofondò con la testa.
«Attenta.» Gen la tenne sollevata.
«Fai
la
sirena?»
«Nel mio piccolo stagno. Poi l'acqua sarà
tutta per te.»
Lui la lasciò andare e sollevò la
maglietta sopra
la testa. «Cominciò a pulirmi.»
Oh, sì. Era sempre un piacere osservarlo senza
vestiti.
«Quando vuoi ti lavo la schiena.»
Lui stava già slacciando il bottone dei jeans.
«Dopo lo faccio io a te. Quel bastone di spugna non
funziona bene come le mie mani.»
Era una verità tanto grande che lei non lo
contraddisse.
Gen stava sorridendo.
«Cosa?»
«Mi è venuta un'idea.»
«Quale?»
Lui aprì la bocca e... non parlò.
«Sarà una sorpresa.»
Divertita, Makoto si rassegnò.
«Okay.»
«Una sera di questa settimana»
continuò
lui. «Preparati.»
«Come?»
«Comportati come al solito. Poi un giorno,
quando
meno te lo aspetti...»
Ormai se lo aspettava, ma non voleva rovinargli la festa. In
fondo, era come diceva lui: la prospettiva di qualcosa di
nuovo e diverso già la allettava. Le sorprese di Gen erano
così, quando gli venivano in mente: spezzavano la routine.
Spesso erano esperienze comuni con un pizzico di novità,
capaci di cambiarne la prospettiva.
Una mattina per esempio si erano svegliati molto presto, per
correre
insieme. Non l'avevano fatto nel solito parco. 'Solo per cambiare
scenario'
aveva detto Gen, ed erano andati alla scoperta di un altro quartiere,
lontano mezz'ora di macchina.
Un'altra volta ancora erano andati in un ristorante
thailandese - una
cucina
che nessuno dei due aveva mai provato. Di proposito avevano ordinato
le portate più strane che avevano incontrato nel
menù.
A lui piaceva la quotidianità, ma occasionalmente
gli
piaceva
anche uscirne e la portava con sé in quegli esperimenti.
Lei era avventurosa soprattutto dal punto di vista culinario.
«Oggi ho trovato una ricetta interessante su un libro. Sta
cuocendo nel forno.»
«Che cos'è?»
«Una cosa completamente nuova.»
«Carne, pesce, verdure?»
Il sorriso di Makoto si allargò.
«Sorpresa.»
Senza vestiti, Gen si inginocchiò davanti a lei.
«Ti sei fatta furba.»
Si scambiarono un bacio caldo, delizioso, poi lui si
allontanò verso il manico della doccia appeso al muro
opposto. Si sedette sullo sgabello, facendo partire il getto
dell'acqua sopra la testa.
Makoto tornò a rilassarsi nel suo bagno,
lanciandogli
occhiate
ogni volta che le andava.
Sprofondò volontariamente nella vasca.
Che serata fantastica.
Maggio 1997 - Nella stanza
da bagno - FINE
NdA: Solo una nota, sulle abitudini di pulizia dei
giapponesi. È una cosa che devo sottolineare meglio in Verso
l'alba, ma da quel
che ho capito, hanno tutti, nel bagno, una postazione che fa scorrere
l'acqua direttamente sul pavimento. Lì, seduti su uno
sgabello, si insaponano per bene e si risciacquano. A
differenza nostra intendono il bagno non come un momento di pulizia, ma
di totale relax. Quindi bisogna entrare nell'acqua della vasca
già puliti.
Sul resto della storia... niente, mi piacerebbe sapere che ne
pensate :)
Grazie di aver letto!
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 11 *** Giugno 1997 - Accoglienza e sorprese ***
Corrente Naturale - giugno 1997
Nota bene: c'è una premessa a questa
storia. Bisogna leggere il capitolo 'Biancheria
intima Sailor' in Plenilunio per capire :) Questa scena segue
quel pomeriggio tra ragazze.
Corrente
naturale
di ellephedre
Giugno 1997 - Accoglienza e sorprese
Wow, pensò Makoto, con gli occhi fissi sul proprio
petto. Il completino intimo Sailor in due pezzi faceva apparire il suo
seno ancora più voluminoso! Grazie alle coppe imbottite, le
sue tette erano più enormi che mai. Con la
vestaglia aperta si rimirò nello specchio
del
salotto, mettendosi di profilo.
Gen sarebbe rimasto secco alla prima occhiata!
Ridacchiò e, coprendosi, tornò alla
preparazione
dei suoi cupcake. Quel giorno aveva pensato a una nuova decorazione di
stelline con piccoli pianetini, per creare un effetto stellare.
Sentì girare la chiave di casa e
saltellò
in
avanti, entusiasta.
Aprendo la porta, Gen mise piede nel suo appartamento.
Scorgendola
sorrise d’istinto, poi la sua allegria divenne sospetta.
«Ciao. Perché fai quella
faccia?»
«Devi vedere una cosa!»
Mentre toglieva le scarpe, lui la
squadrò da capo a piedi.
«Okay.» Aveva
già intuito il tipo di sorpresa.
«Prima togliti la giacca!»
L’ordine lo
divertì. «Va bene. Fatto.»
Appena lui ebbe le mani libere, Makoto sciolse il nodo della
vestaglia e spalancò i
lembi. «Ta-daa!»
Gli occhi di Gen volarono fuori dalle orbite. Anche la
mascella gli era caduta a terra. Appena si ricompose,
Makoto
attese di udire un commento sagace, ma lui fece silenzio, mordendosi le
labbra per non ridere.
Lei strinse gli occhi.
«Be’?»
«Cosa?»
«Non hai niente da dire?»
Lui soffocò
un suono. «Che reazione vuoi
che
abbia?»
Lei non ci cascò. Si piegò in avanti,
unendo le
braccia, per schiacciare in avanti il seno. «Non ti piace il
mio nuovo completino?»
Gen riusciva a frenare le parole, ma non il movimento degli
occhi:
aveva le pupille fisse sulla sua scollatura.
«È il
tuo primo costume Sailor» commentò.
Uh? «Be’,
sì. Da allora ho fatto un bel
power-up.»
«Ah-ha. Già.»
Oh, insomma!
Perché diavolo si stava trattenendo? Non si era mosso
dall’ingresso!
Lei tornò dritta e tirò fuori il petto,
sollevando un
braccio
dietro la testa. «Quindi non apprezzi?»
Lui finse pure di pensarci.
«Be’…»
Era credibile come un gatto davanti a una scodella di
latte. Balzando in avanti lei gli si avvinghiò addosso,
le
gambe
intorno ai suoi fianchi. «Certo che ti piace!»
Gen scoppiò a ridere, afferrandola. «Mi
sei
saltata
addosso tu!»
«Uh?»
Lui la strinse meglio sotto
le
natiche, per impedirle di cadere. Sfiorando un nastro, si
sporse a guardare.
«Ah, dietro c’è pure il
fiocco?»
Lei iniziò a comprendere. «Non volevi
essere tu
a fare il primo passo.»
Lui iniziò a camminare
verso il letto, annuendo. «Ti ho già dato troppo
potere. Penserai che con la giusta biancheria intima puoi farmi fare
quello che ti pare.»
Oh, ma lei non lo pensava, lo sapeva. La sua era una certezza
assoluta.
Gen le lesse nel pensiero. «Stai chiedendo una
punizione.»
Tanta audacia fece partire le sue
sopracciglia verso l'attaccatura dei capelli.
«Che vuoi fare? Sculacciarmi?»
Lui assaggiò l’idea con troppo gusto.
Makoto si
divincolò tra le risate, cadendo sul materasso.
Gen le fu addosso. «Dove vai?»
Venne
afferrata per
il fiocco rosa sul fondoschiena e voltata in un secondo.
Di fronte alle risata vittoriosa di lui,
incrociò le
mani davanti alla faccia. «Sparkling
wiideee…»
Gen le bloccò le mani. «Se mi incenerisci
col tuo fulmine, mandi a fuoco
anche il
tuo regalo.»
Le sfuggì un ansito. Spinse Gen
all’indietro,
tastandolo sulle tasche dei pantaloni.
«Dove,
dove?»
Lui rimuginò.
«Allora, è lungo,
duro…»
Lei non credette alle proprie orecchie.
«Che volgare!»
Lui scoppiò a ridere e cercò nella tasca
del fondoschiena. «Oppure è piccolino,
brillante…»
A brillare furono gli occhi di lei, appena videro la piccola
scatola.
«Che cos’è?!» Si
coprì la bocca con le mani.
«Un ciondolo.» Lui glielo fece vedere. Era
una
fogliolina, legata a una sottile collana d’argento.
«Perché sono passati più di sei mesi da
quando stiamo insieme.»
Ohh!
Lei si sciolse in una pozza di
tenerezza. «Me n’ero scordata!»
«Speravo di sentirtelo dire. Ora il potere
è nelle
mie mani: sono quello che si è ricordato del mancato
mesiversario-»
Makoto lo picchiò su una spalla e
si appropriò del regalo. Rimirandolo, fremette di
gioia.
Gen la stava accarezzando sullo stomaco, finalmente beandosi
del suo
corpo. «Vuoi dire che questa roba non è per
un’occasione speciale?»
«Certo che
no.»
Lui le fece mettere da parte la scatolina.
«Sono proprio fortunato.»
Makoto lo accolse tra le braccia, sdraiandosi.
«Vediamo di
dimostrarti quanto.» Appoggiò la bocca su quella
di lui e cancellò ogni pensiero.
Giugno 1997 - Accoglienza e
sorprese- FINE
NdA:
Questa storiella di 700
parole è nata da una semplice domanda che mi è
stata posta nel gruppo FB: 'Vero che farai vedere
come reagisce Gen al completino Sailor?' Pensavo di aver già
fatto sapere come reagiva lui di fronte a Makoto che si mostra in
queste vesti, ma dal nulla mi è venuta in mente questa scena
che
mi sembrava dire cose nuove, quindi... Ta-daa! Eccola ;P
Vi soddisfa?
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 12 *** Giugno 1997 - A ballare fuori ***
Corrente Naturale - giugno
Corrente
naturale
di ellephedre
Giugno 1997 - A ballare fuori
Makoto camminava per strada, di sera, spalancando le braccia
come per abbracciare il crepuscolo. La vita era bella.
Durante quella giornata il suo negozio aveva registrato un
nuovo
record
di incassi. Le banconote erano letteralmente straripate dalla cassa,
rendendole difficile la chiusura. Trasportava il gruzzoletto
che si era guadagnata nella borsa. Il giorno dopo lo avrebbe depositato
nello sportello automatico della banca. Le veniva la
tentazione di trattenere qualcosa per sé, ma voleva essere
precisa: prima avrebbe ripianato i debiti che aveva contratto per
aprire
la pasticceria, poi avrebbe speso a volontà. In prospettiva,
stava risparmiando per assumere
un aiuto che la affiancasse al bancone. Incredibilmente non
riusciva più a gestire
tutto da sola ad appena due
mesi dall'apertura del locale. Se le cose continuavano così,
avrebbe potuto permettersi solo delle vacanze striminzite in estate.
Non andava bene: nelle ultime settimane aveva visto poco Gen e voleva
passare con lui più giorni possibile in agosto.
Pensando al suo ragazzo, accelerò il passo. Era
possibile che lo trovasse a casa quella sera. Gli aveva dato le chiavi,
per comodità.
Appena giunse davanti al portone del condominio
suonò il citofono, per darsi la gioia di sentire la voce di
lui.
Gen non la deluse. «Sì?»
Il timbro ovattato che uscì dall'interfono le
causò un fremito. «Sono io!»
esultò.
Lui le aprì con una risata.
Makoto percorse i due piani di scale a passi larghi, arrivando
sulla porta con un salto pieno di energia.
Gen la attendeva con l'uscio aperto. «Ehi! Sei
allegra!»
Lei gli gettò le braccia al collo, riempiendogli di
baci il viso. «Tanto!»
Mentre si spogliava delle scarpe e della borsa, gli
raccontò la propria giornata. «Non
ho fatto conti precisi, ma dovrei essere in attivo
sul leasing delle
attrezzature in cucina. Naturalmente ho da ripianare l'acquisto dei
mobili e la
ristrutturazione del locale...»
«Così mi fai sentire in colpa.»
Risero, con lui che la seguiva verso l'armadio incastrato
nella parete.
«Mi hai già fatto pagare
pochissimo e di
questo passo coprirò presto tutti i miei debiti. Non riesco
a
crederci! Vale la pena alzarsi all'alba tutte le mattine.»
Lui la aiutò a togliere l'elastico dai capelli.
«Ti sei scelta un lavoro impegnativo, ma non ti lamenti
mai.»
«Non si può essere infelici quando si fa
qualcosa che si ama.»
Mentre si spogliava, Gen piegò i vestiti
recuperò i
vestiti che stava mettendo da parte, portandoli nella cesta dei panni
sporchi.
«Perché non vai a farti una doccia? Ti
rilassi un
po'. Ti faccio un massaggio se vuoi.»
Era un'offerta così gentile. «Mi
piacerebbe, ma devo preparare qualcosa di veloce
per cena.»
«Ecco... sapendo che non ti aspettavi molto, ci ho
pensato io.»
Lei sgranò gli occhi. Lui guardò
imbarazzato il
soffitto. «Non è niente di che. Hai troppa
fame per preoccuparti del gusto, vero?»
Commossa, lo strinse a sé con entrambe le braccia.
Gen le massaggiò la schiena con fare fin troppo
amichevole
per
lo stato di semi-nudità che la caratterizzava. Doveva avere
proprio
un aspetto esausto, pensò Makoto. Invece di tentare un
approccio, lui la stava accudendo. Gen iniziò un massaggio
che
sciolse i muscoli contratti delle sue spalle, poi passò alle
tempie, disegnando piccoli
cerchi.
Trattenendo gli ansiti di godimento, Makoto si sostenne a lui
per non riversarsi come un budino sul pavimento. «Sei troppo
buono con me. Non riusciamo più a uscire insieme come
prima.»
«Non mi serve uscire. Mi basta vederti
qui.»
La loro vita era molto cambiata rispetto a qualche mese
addietro. Nell'ultimo mese lui aveva deciso di collaborare sempre di
più con l'impresa che voleva assorbire la ditta di suo padre
e di fatto nelle ultime due settimana aveva lavorato solo un paio di
giorni.
«Ora tu esci un sacco senza di me. All'università
vedrai
tante ragazze...»
Il commento gli generò una risata bassa di
divertimento. «Sei gelosa?»
«Non di loro. Solo della possibilità che
hanno di vederti e
di passare del tempo con te nella tua aula, o
all'università durante il giorno...» Era l'unico
motivo per cui le
dispiaceva non essere diventata una studentessa universitaria come
Usagi, Ami e Rei. Loro avevano più tempo da trascorrere con
i fidanzati e le amiche.
Gen intuì la sua tristezza e la sfiorò
con le labbra
sullo zigomo. «Quando sono in classe io penso sempre a quando
tornerò qui a vederti.»
Era una frase così dolce da risultare strana in
bocca a lui. «Ti manco tanto.»
«Hm?»
«Stai dicendo cose tenerissime.»
Lui esibì un sorriso largo. «Quando non
le dico me lo
rinfacci, e quando le dico mi fai notare che non sembro io.»
«Dài, no! Mi piace tanto sentirti parlare
così.» Fece una mezzagiravolta con lui,
prendendogli il volto tra le mani, quasi danzando mentre lo baciava.
«Mi manchi tanto anche tu. E dopo tutte queste coccole e
massaggi,
sono pronta a farmi toccare come ti piace di solito.»
«Secondo me preferisci dormire.»
Affatto. «Voglio fare l'amore, anche se magari
poi crollerò dal sonno.»
Lui la prese in parola e le passò una mano sotto le
ginocchia, sollevandola.
«Proviamo.»
Makoto si svegliò poco dopo il loro amplesso - o
almeno fu la
sensazione che ebbe notando che la luminosità della stanza
non
era cambiata. Gen era seduto a tavola, a mangiare distrattamente
mentre leggeva una rivista. La televisione e la radio erano spente, per
non disturbarla.
«Mi sono addormentata.»
Lui si sorprese di vederla con gli occhi aperti.
«Ehi. Ti è venuta fame?»
Aveva un certo appetito, ma a non farla cadere in un sonno
profondo era
stata la sensazione di incompiutezza del loro momento. Era stato
lui a dedicarsi a lei, estrapolando sensazioni intense dalle sue membra
stanche, con carezze mirate. L'ondata dell'orgasmo era stata
rigenerante e al contempo
contundente per il suo cervello stanco. Non era riuscita a rimanere
sveglia abbastanza da ricambiare.
Scostò da sé la trapunta con cui era
stata coperta. «Cos'hai preparato?»
«La mia specialità. Katsudon.»
Adorava quel piatto: le ricordavano le cene casalinghe di
quando
era stata bambina. Mentre lui si alzava a servirle il cibo, lei
andò rapidamente in bagno a pulirsi, poi tornò a
sedersi
a tavola. Per non restare nuda recuperò una vestaglia,
stringendola sulla vita.
Assaggiò il primo boccone della cena, gradendo il
gusto ricco dell'impanatura che si dissolveva sulla lingua.
Gen la osservava,
appagato. «Ti è bastato un quarto d'ora di sonno
per
sembrare più fresca.»
Lei si toccò il viso. «Avevo occhiaie
così brutte?»
«No. Se non ti avessi conosciuta bene non avrei
saputo che eri spossata.»
Meglio. Al negozio non poteva avere l'aspetto di uno zombie.
Forse doveva comprare del fondotinta, controllandosi allo specchio
durante la giornata.
«Ho avuto un'idea.»
Mentre mangiava assaporando ogni morso, Makoto attese di
sentire cosa gli fosse venuto in mente.
«Come premio per i tuoi
successi di pasticciera e negoziante, ti porterò fuori, per
una cosa che non abbiamo ancora fatto insieme.»
Oh?
«Ballare.»
Lei si accese in ogni terminazione nervosa.
«Sì!» Lo desiderava da tanto e non
aveva avuto ancora
il coraggio di
chiederglielo.
Lui rimuginò. «Magari posso farti
conoscere alcuni dei compagni della palestra che frequento...»
Fu difficile trattenere la smorfia. Sarebbe stata
un'uscita di gruppo?
Gen scosse la testa. «Solo se li troviamo per caso.
Di solito si muovono sempre negli stessi locali.»
Allora sì. «Sono curiosa di conoscerli se
ci saranno,
ma mi piacerebbe che la serata fosse soprattutto per noi.»
«Certo. Mi metterò in tiro, come immagino
non veda l'ora di fare anche tu.»
Al solo pensiero le mancò il fiato. «Ti
ho visto
vestito bene solo a San Valentino. E per il matrimonio di Usagi e
Mamoru!»
Gen non si vergognò del suo essere molto casual.
«Sarò più come a San
Valentino.»
Al solo pensiero lei si eccitò. Decise in quel
momento che
dopo il pasto non le sarebbero mancate le energie per concludere
ciò che avevano interrotto prima.
Gen la guardava con un luccicchio nelle pupille.
«Anche tu metterai qualcosa di speciale?»
Assolutamente sì. Per l'occasione era disposta a
farsi un
regalo. «Questa volta non mi cucirò da sola il
vestito, lo
comprerò. Voglio un bell'abitino da sera stretto, magari un
po' provocante. E dei
tacchi!» Aveva in mente il paio giusto, lo aveva visto in un
negozio sulla strada per il lavoro.
Gen stava cercando di non salivare, fingendo indifferenza.
Lei giocò a stringergli il naso. «Ti
piacerò tanto!»
Felice, lui scostò il viso per sfuggire alla
presa.
«Facciamo una sera del fine settimana? Da giovedì
a
sabato, un
giorno che sei poco stanca. Basta che mi fai sapere verso l'ora di
pranzo.»
Lei aveva già deciso la data. «Facciamo
questo venerdì, il 25!»
La precisione lo stupì.
«Perché quel giorno?»
«Ecco... non ridere, ma mi piace considerarlo il
nostro vero mesiversario.»
Lui ricordava bene di averle fatto un regalo per quella
ricorrenza appena qualche giorno prima. Inoltre aveva in mente alla
larga cos'era successo nel dicembre precedente.
«Ci siamo messi insieme poco dopo il tuo
compleanno. Era passata meno di una settimana.»
Sì. «Era l'11 in realtà.
Ma...» Si vergognò un poco
a parlarne. «Mi piace pensare che la nostra
relazione sia iniziata quando tu... quando ho capito che...»
Lui si ricordò cos'era successo il venticinque
dicembre - un
Natale al contempo tragico e rivelatorio per entrambi.
«Quando
hai capito che ti amavo?»
Makoto si intenerì al ricordo. «Quando ho
capito che
saresti
rimasto con me anche se ti avevo mentito su chi ero. Era una cosa che
non pensavo sarebbe mai successa. Per questo per me la nostra storia
è iniziata idealmente a Natale. È romantico,
no?»
Era dolce, pensò Gen. «Vada per
venerdì
25.» Avrebbe scelto un posto dove il deejay
proponeva spesso
dei lenti per le coppie. Makoto lo avrebbe adorato.
Lei proseguì a mangiare giocando a imboccarlo, poi
si
sbarazzò del piatto prima di aver finito. Spostò
il
tavolino basso di lato mentre scioglieva il nodo della vestaglia,
sedendosi a gambe aperte su di lui. Alla vista del suo corpo da
amazzone,
coi seni turgidi e un sorriso eccitato, Gen smise di connettere le
sinapsi.
«È il mio turno»
mormorò Makoto, poi gli coprì la bocca con la
propria.
In previsione del loro appuntamento speciale, Makoto aveva
comprato
una nuova piccola insegna per il negozio - un cartello da apprendere
dietro la porta che permetteva di indicare una chiusura anticipata.
L'aveva
appeso con tre giorni di anticipo, per far sapere ai nuovi clienti
abituali che quel venerdì non
avrebbero
trovato la pasticceria aperta fino alle
sette e mezza di sera. Alcuni si erano dispiaciuti - uscivano dal
lavoro tardi, non sarebbero arrivati in tempo per comprare qualcosa -
ma
quando Makoto aveva raccontato di voler festeggiare una ricorrenza
importante
col suo ragazzo, erano stati tutti solidali.
«Certo, chiudi prima! Sei giovane,
divertiti!»
«Ti comprerò il doppio di questi dango
oggi,
così ne avrò qualcuno per domani. Scatta una foto
del tuo
ragazzo e appendila sul muro, vogliamo vederlo!»
Era diventata amica di molti dei suoi avventori. Le piaceva
chiacchierare mentre incartava i loro ordini. La gente gradiva: la
trovavano simpatica e calorosa e le raccontavano volentieri delle loro
vite. Makoto ormai conosceva molti dei loro nomi.
Sarebbe stato sfacciato appendere una foto di Gen in
negozio?
Glielo avrebbe chiesto. Magari poteva far incorniciare alcune di quelle
che si era fatta
scattare con lui durante l'inaugurazione.
Rientrando in casa, non ci pensò più.
Doveva
prepararsi. Finalmente poteva indossare il
bellissimo paio di sandali alla schiava che si era regalata. Li
tirò fuori dalla scatola, tenendoli in equilibrio sui palmi.
Erano neri, con un tacco di dieci centimetri e un gioco di lacci in
cuoio che le avvolgeva i piedi, denudandoli e slanciandone la forma.
Senza ancora aver indossato il vestito, si guardò
allo
specchio, a figura intera, con indosso solo la biancheria intima e i
sandali. Girò su se stessa, squadrandosi da dietro,
ammirando
il modo in cui le calzature mature rendevano più
lunghe e sinuose le sue
gambe. Per quanto riguardava il sedere... Per fortuna non aveva perso
tonicità
nonostante il poco esercizio, ma quelle mutandine di cotone non la
valorizzavano.
Frugò nel cassetto e trovò degli slip in
pizzo neri, adatti alla serata. Erano comodi e al contempo
sexy, ma non era riuscita a recuperare il reggiseno coordinato. Andare
in giro con la biancheria spaiata in un'occasione come quella era
triste. Pensando al vestito che aveva comprato, si illuminò.
Andò a prenderlo e lo infilò da sopra la
testa, provando a indossarlo
senza
reggiseno. Il tessuto aderente le premeva contro la pelle.
Accennò un passo di danza e
verificò di
persona che il suo petto non ballonzolava. Le spalline dell'abito
sostenevano il suo davanzale, ma... guardò meglio e
rilasciò una smorfia. In rilievo si vedevano i capezzoli!
Così era indecente.
Le venne in mente il reggiseno senza spalline che aveva
nascosto in
fondo al cassetto. Non era mai riuscita ad utilizzarlo,
perché
da solo non sosteneva nulla, ma con quell'abito si rivelò la
soluzione ideale: le sollevava un po' troppo la scollatura, ma almeno
così non sembrava uscita da un manga erotico. Più
o meno.
Provò a sporgersi in avanti, di fronte allo
specchio, unendo le braccia.
Be', la decenza era questione di punti di vista, ma Gen e le
altre persone che l'avrebbero vista se ne sarebbero fatti una
ragione. Per una volta - una volta nella vita - lei voleva
permettersi di
apparire sexy senza avere paura di essere volgare. Non lo era,
vero? Anche con quei seni troppo grandi e
la gonna corta.
Passò al trucco, scegliendo un rosa delicato per le
labbra e un mascara nero per le ciglia. Il velo di ombretto verde che
applicò sulle palpebre fece risaltare il colore dei suoi
occhi.
Optò per non legare i capelli, lasciandoli ricadere
morbidamente sulle spalle. Stava dando loro un po' di volume quando Gen
suonò al
citofono. Gli aprì il portone cliccando sul pulsante, poi si
dedicò alla ricerca del paio di orecchini a pendente che
aveva
acquistato per l'occasione. Dal bagno lo sentì entrare in
casa.
«Sei pronta?»
«Sì, ho persino messo le scarpe. Guarda
quanto sono alta.»
Gli andò incontro. Sulla porta del bagno si
fermò, rimanendo a bocca aperta. Gen stava
benissimo! Quando si metteva una bella camicia e dei pantaloni
in tessuto non lo batteva nessuno.
Lui era inebetito quanto lei. La squadrò due volte
da capo a piedi, senza
sapere come commentare il suo aspetto.
Makoto gli passò accanto, diretta al
piccolo
specchio dell'ingresso, con in mano gli orecchini. «Sto
bene?» Gli permise di ammirare il movimento del suo
fondoschiena
mentre camminava.
«Uh...»
Col passare dei minuti si era convinta di essere
bellissima, ma
così lui faceva risorgere i suoi dubbi.
«È esagerato? Sembro...
un'accompagnatrice?»
«No! E se qualcuno lo pensa, lo ammazzo.»
Lei rabbrividì per la
carezza che
ricevette lungo la schiena. «Ho letto su una rivista
che
i vestiti neri e corti ora non sono più considerati volgari
se
li si porta bene.»
«Tu non sei volgare, sei... Sembri quell'attrice dai
capelli
rossi, di quel film che ti piace tanto.» Gen rifiutava di
ammettere che ricordava bene il titolo della pellicola.
«Pretty Woman? Julia Roberts?»
Lui rammentò troppo tardi a quale mestiere si era
dedicata la protagonista. «Sì, ma non nel senso
che sembri
una
escort.»
Makoto scoppiò a ridere. «Se parli del
vestito nero che
le comprava Edward, a quel punto ormai
lei era una signora di classe! Davvero le somiglio?»
Coi capelli mossi e il sorriso capace di illuminare un
palazzo, agli occhi di lui Makoto era mille volte più bella.
Col fisico
messo in
risalto da quel vestito era imparagonabile all'attrice di Hollywood,
solo perché era infinitamente più provocante.
Aveva
acquistato un'altra taglia di reggiseno? E i suoi fianchi erano
diventati
più formosi.
Lui stava ancora cercando di non guardarla troppo, per non
farsi
venire un infarto al pensiero di portarla fuori abbigliata in quel modo.
Il suo silenzio stava generando altre incertezze in Makoto.
«Sei perfetta. Andiamo?»
Lei terminò di allacciare un orecchino e prese
in mano una
piccola borsa a tracolla. Vederla avanzare di nuovo permise a
Gen di
focalizzarsi sui suoi piedi fasciati dai tacchi. Per poco non gli
scappò un altro brontolio.
«Che c'è?» gli
domandò lei.
«Niente.» Aveva la tentazione di chiederle
di restare in
casa, non solo per spogliarla pezzo per pezzo, ma soprattutto per non
permettere al resto della popolazione maschile di gettarle
un'occhiata quella sera. L'avrebbero immaginata nuda a ogni passo.
Sulla porta guardò l'espressione speranzosa di lei, che
non
vedeva l'ora di uscire.
«Peccato avere solo il furgone, non è
adatto a portarti in giro stasera. Vuoi che prendiamo un
taxi?»
«Ma no, esagerato!»
Uscirono dall'edificio, continuando a scherzare. Nella propria
testa Gen decise la linea d'azione.
A che serviva apparire palestrato ed essere in grado di
mettere
su un grugno
spaventoso, se non a far pentire gli estranei dei loro pensieri impuri?
Se qualcuno si fosse fatto sfuggire un fischio o un commento che
avesse fatto sentire Makoto a disagio, prima si sarebbe beccato un
pugno sul naso, poi si sarebbe pentito di essere nato.
Per Makoto entrare in un locale per adulti era un'esperienza
nuova.
Fino a quel momento era andata solo al ballo della palestra,
all'università.
Gen le aveva detto di aver scelto un posto non troppo
chiassoso,
dove si riusciva a fare un minimo di conversazione. C'erano anche dei
tavoli comodi a cui sedersi.
Mentre si muovevano nella folla, fu piacevole per lei notare
che il suo
abbigliamento era consono al luogo. C'erano ragazze molto
più
svestite di lei. Avevano meno roba da mostrare, ma a scoraggiare
sguardi troppo lascivi nella sua direzione sarebbe bastato il broncio
assassino adottato da
Gen, nonché la mano che lui aveva posato in pianta stabile
intorno ai suoi
fianchi.
Al bancone lei ordinò un drink analcolico.
Meglio non
iniziare la serata annebbiandosi la testa. Gen, che era più
abituato a bere, ordinò una semplice birra.
Mentre aspettavano, lui le indicò un angolo
nascosto della
sala. «Di là c'è meno gente. Sono
appena le
nove, sicuramente c'è posto.»
Makoto si sentì sciocca. «A causa dei
miei orari siamo
venuti troppo presto, vero? La serata si animerà
più
tardi.»
«Meglio così. Quando questo posto si
riempie non si riesce nemmeno a respirare, si balla tutti
attaccati.»
Oh. «Lo frequentavi di notte?»
Lui non cercò di negare. «All'inizio. Poi
io e i miei
amici abbiamo capito che si riusciva a parlare meglio se si veniva
prima delle dieci. Ci si poteva stravaccare sui divani e stare
comodi.»
Makoto interpretò la frase. «Riuscivate a
rimorchiare più facilmente.»
Gen non la prese come una frecciata, ma scosse la testa.
«Non ti permetterò di immaginarmi con altre donne,
Mako.»
La sua era stata solo curiosità.
Sciolto, lui avvicinò la bocca alla sua, beandosi
del suo
profumo. «L'esperienza guadagnata mi è
servita a
rimorchiare la
ragazza più bella che abbia mai incontrato. Se adesso stessi
con
un'altra donna, la mollerei subito dopo averti vista.»
Lei lasciò che le sue parole la riempissero di
piacere,
permettendogli di scivolare con le labbra lungo la linea della
sua mascella. Quel tocco intimo, in pubblico, la faceva sentire come se
fossero una coppia rodata, ancora più in sintonia.
Ricevettero i loro drink e andarono alla ricerca di un
tavolo. Procedendo verso l'angolo che Gen aveva in mente,
vennero
fermati da una voce maschile tuonante.
«Gen!»
«Yoshi!»
Gen e il ragazzo corpulento, con un fisico da boxeador
massiccio, si scambiarono una gomitata cameratesca.
«Da quanto non ti vedo? Pensavo che-»
Il tipo la notò al fianco di Gen
e si interruppe. «Oh, wow, guarda qui. Non sei venuto da
solo.»
Gen non si fece problemi a massaggiarle la vita con una mano.
«Lei è la mia ragazza, Makoto Kino.»
Makoto chinò la testa.
«Piacere.»
«Piacere mio! Lo hai accalappiato, eh?»
Lei non capì cosa intendeva, ma non ebbe il
tempo di chiedergli nulla: il ragazzo li stava già
sorpassando.
«Corro in bagno. Gen, gli altri sono di
là, al solito tavolo. Torno subito!»
Gen non smetteva di sorridere. «È uno dei
miei
compagni di
palestra. Non ci becchiamo più spesso come una volta, ma se
vuoi
possiamo spostarci da un'altra parte.»
«No, andiamo a salutare i tuoi amici.»
Al tavolo che Gen aveva frequentato c'erano
quattro ragazzi. Quando intravidero Gen si alzarono tutti
insieme, scambiandosi saluti con pugni chiusi e pacche energiche sulla
spalla.
«Allora sei vivo!»
«Hai ripreso ad uscire! Ti sei forse mollato
con-?» Un'occhiata di Gen bastò a far notare la
presenza di Makoto.
Lei era rimasta in disparte ma avanzò di un
passo, tenendo
le spalle serrate, molto più di quanto avesse inteso. Si
sentiva così impacciata.
«Buonasera. Io sono Makoto Kino.»
Uno degli amici di Gen apprezzò parecchio la sua
vista. «Ah, be'! Ah, be'!
Ora capisco perché Gen non esce più con
noi!»
Un altro dei ragazzi le fece posto sul divano. «Non
stare in piedi, mettiti comoda!»
Gen intercettò il movimento, ponendosi tra lei e il
suo
amico. «Fatti in là. Credi davvero che te la
metterei
vicino?»
Ci fu una risata generale.
«Sei geloso! Ma ti capisco!»
A Makoto sembrò una compagnia inoffensiva. Si
stavano
comportando tutti in maniera spavalda, ma nessuno di loro la stava
fissando più di tanto sotto la linea del collo.
Un altro dei ragazzi - il più basso, con uno
sguardo da
cagnolone inoffensivo - si sporse in avanti sul divanetto in pelle.
«Tu sei quella con cui Gen sta insieme da dicembre?»
«Sì» confermò lei.
«Ce lo hai portato via!»
Gen non rimase più in silenzio. «Non
uscivo con voi già da un po'.»
«Perché eri sempre triste per via dei
tuoi problemi,
poi lavoravi troppo. Speravamo che quando ti fossi ripreso saresti
tornato a conquistare ragazze insieme a noi, invece niente! Hai
incontrato lei e zac! Hai perso la testa, sei
capitolato, sei diventato un desaparecido per gli amici!»
Makoto rilasciò una grassa risata.
«Riusciamo a parlargli solo in palestra! E
anche lì ormai viene poco.»
«Hai perso tono» lo redarguì
uno dei suoi compari, tastandogli un braccio.
«Ho cambiato orari. Ora studio e
lavoro meno di prima. Penso di riuscire a
inserire un'altra sessione alla settimana.»
Makoto era troppo curiosa per rimanere zitta. «Si
univa a voi per conquistare ragazze? Quando venivate qui?»
«Oh, sì! Ma adesso che bisogno ha,
giusto? Guardati un po', sei uno schianto!»
Il complimento la fece arrossire. Era strano
sentirsi riempire di lodi da una compagnia di ragazzi.
«Grazie.»
«Macché grazie! Mollalo e mettiti con
me!»
Gen spinse di lato la testa al suo amico, stando attento a
fargli un
po'
male. «Non potrebbe mai stare con un maleducato come te. Non
le
hai nemmeno detto il tuo nome. Lui è Taro Kanata.
Qquest'altro
è Shiro Kurumi...»
Il terzo ragazzo si presentò da solo. «Io
sono Hideaki
Sato e lui è Isamu Kazushita. Adesso dovrebbe tornare un
altro
nostro amico, Yoshi Harada.»
«Lo abbiamo incontrato venendo qui» li
informò
Gen. «Questo è solo un saluto, non posso rimanere
a questo
tavolo con voi che sbavate dietro alla mia ragazza. Su, fate pena,
andate a parlare con qualcuna invece di stare qui tra voi
uomini!»
«Che palle, non possiamo nemmeno farci una
bevuta?»
«Non sei venuto qui di venerdì sera per
l'alcol. Se non mettete qualche donna a questo tavolo, la mia ragazza
rimane tutta sola mentre vi parlo.»
«Ah, è una sfida?» Isamu
Kazushita si
alzò, sistemando la cintura dei pantaloni allentata.
«Adesso vado e torno vincitore con una femmina!»
«Vai!» fu il coro d'incoraggiamento
generale.
Con più posto sul divano circolare, gli altri si
spostarono per offrire loro più spazio.
Makoto disse la sua. «Gen pensa che mi annoi a
parlare con voi, ma non
è vero.»
«No, no, vuole che non ti guardiamo
troppo!»
Una risata
corale si librò in aria mentre Gen scuoteva la
testa.
Shiro-san batté le mani sulla ginocchia.
«Al posto di Gen non starei mica qui. Adesso che ci penso
è per questo che non usciva più di
casa!»
I loro discorsi facevano continuamente riferimento al sesso,
ma in
una maniera cameretesca che Makoto supponeva fosse tutta maschile.
«Gen mi ha aiutato a mettere in piedi il mio negozio. Ci
siamo
conosciuti mentre me lo ristrutturava.»
«Hai capito! Perché non ho fatto il
muratore!?»
Uno dei ragazzi, Hideaki-san, la smise con le battute.
«Hai un negozio tuo? Cosa fai?»
«È una pasticceria. Sono una
cuoca.»
Taro-san si portò una mano al petto, colpito
mortalmente.
«Cucina persino, come la mia mamma! Makoto-san,
sposami!»
Gen allungò una gamba sotto il tavolo, calciandolo
scherzosamente.
Makoto si rannicchiò contro il braccio che lui le
aveva messo
sulle spalle, deliziata: era stranissimo e piacevole vederlo in mezzo
ai suoi amici.
Hideaki-san era interessato a fare conversazione.
«Sembri una sportiva.»
«Sì. Pratico il karate e qualche altra
arte marziale.»
I ragazzi la presero d'improvviso sul serio.
«Uhò! Che cintura sei?»
«Cintura nera» rispose Gen con fierezza.
«Grande, davvero?!»
«Non ho mai incontrato una donna cintura
nera!»
«Sarebbe in grado di farti arrancare»
sottolineò Gen.
«Ora le stai sparando!»
«Per niente.»
Al tavolo tornò Yoshi-san. «Avete
conosciuto la ragazza
di Gen! Sono rimasto indietro!» Spinse di lato uno dei suoi
compari, per sedersi con poca grazia.
Gen aveva una domanda per lui. «Tu non ti stavi
vedendo con una?»
«Sì, cavolo, ma è finita.
Pensi che sarei qui con questi se avessi una donna con cui
uscire?»
«Ti sei fatto mollare?»
«Nahh, la storia non stava andando da nessuna parte.
Eravamo troppo diversi. A lei piacevano le mostre di quadri.»
Un brontolio generale gli fu solidale.
Yoshi-san inquadrò Makoto. «Per certe
cose
voi donne siete più cerebrali.»
Lei non era d'accordo. «Io non ne so niente di arte,
a meno che non
parliamo di cinema o libri.»
«Vedi? Tu però leggi!»
«Anche Gen legge.»
«Voi donne di più!»
Forse perché lei non faceva che divorare romanzi
rosa, ma...
«Devi solo trovare il genere giusto. Prova con gli
horror. O i polizieschi.»
L'amico di Gen scosse la testa. «Io preferisco
guardare la tv. Voglio riposare la testa dopo il lavoro.»
«Anche quella può essere arte. Hai fatto
bene a non stare con una ragazza che ti faceva sentire in colpa per
quello
che ti piace.» Si ricordò di avere un drink e lo
sorseggiò. «Ci sono tante donne che
guarderebbero la tv
con te. Per esempio ho quest'amica che quando sta davanti al
televisore si rilassa e
non pensa ad altro. Guarda di tutto.»
«È single?»
«Hm, è sposata da
poco.»
«Vedi la iella?!»
Makoto si unì alla risata del gruppo.
La conversazione continuò su quel tono per qualche
altro minuto, poi nel locale alzarono il volume della musica. Qualche
coppia iniziò a ballare, facendo fremere Makoto. Nella
penombra del posto i gioielli delle ragazze catturavano la luce mentre
le avventrici si dimenavano assieme ai loro compagni, alcune
persino col drink ancora in mano.
Gen notò la direzione del suo sguardo.
«Andiamo?»
Lei non se lo fece ripetere. «Sì. A dopo,
ragazzi!»
Gli amici di Gen, rimasti soli al tavolo, ebbero la
possibilità di osservarla di spalle mentre andava via. Non
temendo più la decapitazione, parlarono
liberamente tra loro.
«Fiuuu! Una sventola!»
«Sembra a posto.»
«Che bocce!»
«Che culo! In tutti i sensi, anche per
Gen!»
Yoshi Harada rise mentre beveva la propria birra.
«Lui
si meritava un po' di fortuna dopo quello che ha passato.»
«La ruota giro, amico! Un anno si piange, l'altro si
ride!»
L'alcol li aveva resi filosofici. «Vero! Brindiamo
a... a trovarci una ragazza come Makoto-san!»
Gli altri non si unirono al brindisi, scoppiando a ridere.
«Sarò più fortunato se chiedo
un unicorno agli dei!»
«Voi non ci credete abbastanza! Per questo vi
accontentate della prima che passa! Ci vuole sicurezza! È
questo che piace alle donne!»
«Io ho ricevuto tre due di picche in un quarto
d'ora. Va' in pista e dimostraci che basta crederci! Su, alzati e fai
l'uomo!»
Yoshi Harada non se lo fece ripetere, saltando in piedi.
«O donna, o morte!» Si gettò nella
mischia.
Makoto si muoveva al ritmo della musica concitata, felicissima
dal
fatto che Gen fosse capace di starle dietro. «Sai ballare
anche la dance!»
«Te l'avevo detto!»
«Pensavo che al massimo facessi
così.» Si
mosse con fare robotico, spostando il peso da un piede all'altro,
dondolando come una marionetta. Imitava la maggior parte degli uomini
che danzavano nel locale.
Gen era fiero di essere diverso. «Per tirare
di boxe bisogna avere un buon gioco di gambe.» Lui la
catturò per la vita, volteggiando. «Sai che gli
uomini capaci di ballare sono anche bravi a letto? Dovresti sapere che
è vero.»
Makoto scoppiò a ridere contro il suo orecchio. Lui
si stava facendo sfuggire un sacco di frasi fatte quella sera, come se
trovarsi in quel posto lo avesse fatto tornare al passato. Conoscerlo
in quella veste era strano e al contempo elettrizzante: si sentiva come
se lui stesse cercando di conquistarla daccapo, mettendo in atto tutte
le mosse a cui era abituato per conquistare una donna.
Si separarono un poco quando la canzone terminò,
preparandosi al nuovo brano.
La voce calda del deejay dietro la consolle si fece sentire
per la prima volta. «Ora qualche minuto dedicato
alle coppie. Signori,
cercate una dama speciale. Le signore smaniano per queste due
canzoni.»
Appena udì le prime note del nuovo disco, Makoto si
portò una mano al petto. «Ohhh!»
Era il brano del film Labyrinth! Quello
romanticissimo che faceva da sfondo al ballo magico di Sarah col re
degli gnomi!
Gen non riconobbe la canzone, ma Makoto gli si
attaccò al collo. «Per favore, la
balliamo?»
«Sì, sì...»
Divertito, lui dondolò piano stringendola a sé,
aguzzando le orecchie per tentare di capire perché quella
musica fosse tanto speciale.
There's such a sad love
Deep in your eyes A kind of
pale jewel
Open and closed Within your
eyes
I'll place the sky
Within your eyes
Makoto aveva mormorato a memoria ogni parola, sorprendendo Gen.
«Dove l'hai sentita?»
«Viene da un film, te lo farò vedere.
C'è questa ragazza con un vestito bianco meraviglioso, da
favola. Danza con un re malvagio che la desidera tanto ed
è una cosa così romantica...» Fu lei
a prendere in mano le redini del loro ballo, imponendo a lui di
spostarsi lungo una curva aggraziata, come se scivolassero sul
pavimento.
As the pain sweeps through,
Makes no sense for you
Every thrill is gone
Wasn't too much fun at all,
But I'll be there for you
u-u
As the world falls dooown
Gen capì presto la base del movimento, adattandosi
alla musica e improvvisando nel momento in cui ripartì una
strofa simile alla prima. Esaltata, Makoto allungò un
braccio di lato posando l'altro sulla spalla di lui, come se stessero
danzando un valzer. I loro piedi si muovevano senza esitazioni,
conoscevano il percorso. Nell'istante in cui la voce del cantante si
addolcì, Gen la guidò in un volteggio liscio,
elegante, che la fece diventare la principessa di un piccolo sogno.
Between the stars
I'll leave my love
Between the
stars
Riunendosi a lui Makoto gli prese la testa tra le mani,
cercando un bacio sentito. Stretta al suo corpo, proseguì la
danza ad occhi chiusi.
Era una serata magica - una serata perfetta.
Prima di tornare in macchina fecero una passeggiata nel
quartiere,
godendosi la brezza notturna dell'inizio dell'estate.
Makoto si era alzata alle quattro e mezza di mattina quel
giorno, ma non era
stanca. Camminava tenendosi per mano con Gen alla ricerca di qualcosa
che incorniciasse adeguatamente le sue sensazioni. Lo trovò
nelle vicinanze di un minuscolo laghetto artificiale, in un piccolo
parco. Posò la testa sulla spalla di lui, ammirando lo
specchio d'acqua.
«I tuoi amici mi sono piaciuti.»
«Tu sei piaciuta un po' troppo a loro.»
Lei si lasciò sfuggire una risatina.
«È
stato bello capire com'eri prima che ti incontrassi.»
«Ero... diverso. Davo troppe cose per
scontate.»
Come la sua presenza di suo padre e il fatto che lo avrebbe
avuto accanto per decenni a venire.
Makoto strinse un po' più forte il tessuto della
sua camicia. «Non era colpa tua.»
Gen premette le labbra contro la
sua fronte.
Lei chiuse gli occhi, per godersi il contatto.
Riuscì a
reprimere uno sbadiglio. «Usciremo altre volte come
stasera?»
«Hm-mh. Tante.»
Tante, infinite volte.
Il mesiversario si sarebbe trasformato in anniversario, almeno
uno.
Poi... Ma per il momento erano insieme e lei straripava di una
felicità che non voleva contenere. «Ti amo come il
primo
giorno» gli disse.
Lui la trovò una dichiarazione scioccamente tenera.
«Perché questo discorso?»
«Perché è vero.» E
non voleva perdere l'occasione di dirglielo, finché
poteva.
Gen lo accettò. «Sai che potrai dirmelo
anche domani?»
«Sì.»
«E dopodomani.»
«Hai ragione.»
Lui la guardò negli occhi, senza respirare.
«Ricorderò questo - adesso - per sempre, Mako.
Ogni
momento con te è così.»
Nessuna promessa avrebbe potuto darle più pace. Lo
baciò e lo strinse, con un pizzico di disperazione e tutta
la
pienezza della propria anima.
Gen la accarezzava i capelli. «Su, ora andiamo a
casa. Stai morendo di sonno.»
Makoto fece di sì con la testa. Allacciata al suo
corpo si avviò insieme a lui verso il furgone.
Giugno 1997 - A ballare
fuori - FINE
NdA:
Era da una vita che
volevo scrivere questo episodio, ma nella mia testa non aveva
abbastanza corpo e veniva fuori molto più superficiale di
come
in effetti l'ho trasposto ora. Sono soddisfatta <3 (col cuore
perché ci vuole per i sentimenti che mi hanno suscitato
questi
due).
Questo è il video
della canzone che
Makoto e Gen hanno ballato in quel locale. Si tratta di 'As the world
falls down' di David Bowie, colonna sonora del film del 1986, Labyrinth.
Bramo di sentire i vostri commenti su questo capitolo, se
è riuscito ad emozionarvi o a dirvi qualcosa.
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 13 *** Luglio 1997 - Incontro con l'ex ***
Corrente naturale - luglio 1997
Corrente
naturale
di ellephedre
Luglio
1997 - Incontro con l'ex
Al negozio era una di quelle giornate che Makoto avrebbe
rivissuto
dieci volte. Stava vendendo tantissimi dolci. La mattina studenti e
mamme casalinghe avevano fatto incetta dei mochi e manju appena
sfornati. Ormai era pomeriggio e da venti minuti era entrato un
gruppetto di studentesse universitarie. Una di loro era una cliente
abituale, che aveva pensato di far conoscere la pasticceria alle sue
amiche. Per Makoto non c'era nulla di più soddisfacente del
passaparola.
Le ragazze chiacchieravano allegramente al loro tavolo,
gustandosi le
ultime briciole di pasticcini e una fetta di torta. Era un
momento
di pausa, ideale per dare una pulita al bancone.
«Shizuka, non girarti.»
«Perché?»
«Ho appena visto il tuo uomo ideale. È
proprio
come piace a te.»
La ragazza si divertì a sufficienza da stare al
gioco. «Cioè?»
«Grosso, sensuale... con un che di
animalesco.»
«A questo punto voglio vederlo.»
Anche Makoto alzò gli occhi sulla strada, per
curiosità, guardando
oltre la vetrina del negozio. Quello che vide le impose di
soffocare una risata. Parlavano di qualcuno che lei conosceva molto
bene.
«Ma quello è Gen!»
Sentire il suo nome nella bocca di un'estranea le tolse il
fiato.
La ragazza stava radunando le amiche intorno a sé,
accovacciandosi sul tavolino. «Presto, giratevi!»
«Non penso che verrà qui, sta smanettando
nel
retro del furgone. Chi sarebbe questo Gen?»
«Un mio ex.»
«Uh, racconta!»
«Siamo stati insieme per un po' in seconda
superiore. Non ha
funzionato.»
«Te lo sei fatta scappare? Non posso credere che
sia stata tu a lasciarlo: è proprio il tuo tipo.»
«Invece sbagli, l'ho mollato io. Era un po' troppo
serio.»
«Da quando questo ti ha mai fermata?»
«Da quando mi dà fastidio ricevere
ordini. Anche
se in
certe situazioni, se capite cosa intendo, il suo essere autoritario
mi piaceva tantissimo.»
Il cumulo di risatine depositò del gelo nello
stomaco di
Makoto.
«Forse dovresti riprovarci, Shizuka-chan. Guarda,
sta venendo
da questa parte.»
Makoto non seppe cosa le prese, ma scappò in
cucina. Rimase
nell'altra stanza, con un orecchio teso, chiedendosi cosa aspettava di
sentire. La porta del negozio si aprì, agitando il
campanello
sulla cima. Per un momento lei maledì la musica di
sottofondo
che aveva diffuso nel locale: non avrebbe sentito quasi nulla se
avessero parlato piano. Forse doveva andare di là e...
Fece un saltello all'indietro quando Gen spinse l'anta della
cucina, entrando.
Lui sorrideva, ignaro. «Ehi, sei qui.»
«Ehi» deglutì lei. Si
ritrovò
con la vita circondata dalle sue mani.
«Sono passato a trovarti.»
Gli sorrise, ma si ritrasse inconsciamente quando lui si
chinò per un bacio.
Gen se ne accorse. «Che c'è?»
«Io... Penso che di là ci sia una ragazza
che
conosci. Sapeva chi eri prima che entrassi nel locale.»
«Ah, sì?» Gen girò
la testa,
poi tornò
a concentrarsi su di lei. «Non l'ho vista, magari dopo la
saluto.
Come va oggi?»
«Io... bene. È una buona giornata. Ho
venduto
quasi tutto quello che avevo preparato per la colazione.»
Lui ne era felice. «Te l'avevo detto.
Andrà sempre
meglio.»
«Già...»
La sua poca voglia di comunicare non mancò di
confonderlo. «Quella tipa ha detto qualcosa di
strano?»
«No. Solo che un tempo stavate
insieme.»
«Ah.» Gen la lasciò andare,
comprendendo
la fonte
del suo fastidio. Senza dire altro, tornò nella parte
anteriore
del negozio, oltrepassando l'anta bassa che chiudeva l'area del
bancone.
Makoto non avrebbe potuto essere più a disagio.
«Shizuka?»
«Gen!» La ragazza finse sorpresa.
«Quanto
tempo che non ci vediamo.»
«Già. Come va?»
«Bene, bene... Hm, sono qui con le mie amiche,
abbiamo
scoperto questo posto. Ma vedo che lo conosci anche tu.»
«Diciamo che sono di casa.»
«Ah, okay... Senti, cosa fai adesso?
Lavori?»
«Ogni tanto, mentre frequento Architettura alla
Todai.»
«Todai? Complimenti!»
«Grazie.»
Makoto non poté fare a meno di notare che lui non
ricambiò i convenevoli al punto da chiedere alla tipa cosa
stesse facendo lei al momento.
«Torno di là. È stato un
piacere
rivederti, Shizuka.»
«Anche per me. Hmm, senti...»
La sedia andò a stridere sul pavimento. La ragazza
si era
alzata in piedi.
«Se ti va di risentirci, io ho sempre lo stesso
numero.»
«Temo di averlo perso.» Nella
voce di Gen vi era una nota di palese divertimento. «Ne ho
persi parecchi da quando sto con la mia
ragazza. Una cosa seria.»
«Ah... be', ci ho provato.»
«Lo so, sei la solita. Ciao!»
«Ciao!»
Gen tornò nel retro del negozio, fiero dello
scambio.
Makoto invece era in imbarazzo e non sapeva per cosa. «Cosa
volevi dimostrare?» bisbigliò.
«Che non avevi niente di cui preoccuparti.»
«Perché non le hai detto che ero io la
tua
ragazza?»
«Pensavo di farlo, poi mi sono ricordato che non era
il caso di
farti
perdere clienti. Ma se vuoi che mi corregga, torno di
là.»
«No, no.» Per istinto
femminile seppe che
il
gruppetto di
amiche smaniava per andare via. Infatti, quando tornò alla
cassa, si stavano tutte alzando, dirette a pagare. Grazie a Gen che non
aveva detto nulla della loro relazione, poté guardare in
viso
l'ex di lui senza sentirsi troppo a disagio. Si trattava di una tipa
bassa
molto carina, con capelli vaporosi e trucco appariscente. Su altre
ragazze il
rossetto rosa shocking sarebbe apparso fuori luogo e volgare,
mentre
su di lei era solo... vivace e femminile. Provò un poco di
invidia per la sua bellezza da fatina.
«I dolci erano tutti buonissimi»
dichiarò l'amica
dell'estranea - la cliente abituale. «Tornerò
senz'altro.»
Mentre ringraziava, Makoto notò che la signorina
Shizuka
non si
univa al complimento. Era stata respinta e, sapendo che Gen era 'di
casa', probabilmente non si sarebbe più fatta rivedere nei
paraggi.
Era un sollievo.
L'intero gruppo uscì nel giro di pochi secondi,
salutando.
Quando furono soli nel negozio, Gen uscì dal retro.
«Soddisfatta?»
«Per cosa?»
«Hai guardato in faccia com'era una delle ragazze
con cui
sono stato. Sei sempre stata curiosa.»
Makoto non sapeva come commentare.
«Non ti somiglia» continuò lui.
«Non somigli a nessuna delle mie ex.»
Era questo che gli aveva fatto pensare? «Non mi
interessava
essere diversa da loro. O uguale.» Semplicemente, aveva dato
un
volto al passato di lui - anche se il passato di Gen aveva decine di
volti.
«Voi donne fate sempre il confronto.»
Ecco, lui aveva appena detto la cosa sbagliata.
«Forse le tue
precedenti ragazze erano gelose e si paragonavano a
quelle venute prima. Io no.»
«Non ne hai motivo infatti. Sai quella cosa che le
ho detto,
dei
numeri di telefono? Prima di incontrarti, non li avevo mai
eliminati.»
Lei ne fu assurdamente felice, ma dopo un momento si
indignò.
«Vuoi dire che prima pensavi di tradire la ragazza con cui
stavi
con quelle precedenti?»
«No.» Lui scoppiò a ridere.
«Ma non mi era venuto
in mente di mettere mano alla rubrica telefonica. Non avevo tempo da
perdere. Invece, quando mi sono messo con te, mi è sembrato
importante dare un taglio con ciò che era stato.»
Okay, così la storia le piaceva molto di
più.
Si sporse a dargli un bacio. «Grazie per essere
venuto a
trovarmi.»
«Posso chiederti qualche avanzo? È da
quando ho
finito il pranzo che ho voglia di qualcosa di dolce.»
«Ah, sei qui per questo.»
«No, per questo.» Lui le prese la nuca a
coppa e
la impegnò in un lungo e passionale bocca a
bocca. «Ma se ci aggiungi il dessert, mi fai
felice.»
Per farlo felice, avrebbe fatto qualunque cosa. Lo
portò davanti alla
vetrina
colma di leccornie. «Scegli quello che vuoi.»
Di sera Makoto era arrivata alla consapevolezza di essere una
bugiarda.
Sì che si paragonava alla ex di Gen. Il fatto che fossero
così diverse avrebbe dovuto renderla felice, ma sin dal
primo
pomeriggio le era rimasto in testa un particolare dell'incontro con il
gruppetto di ragazze.
Al momento del pagamento, nessuna di loro -
compresa la fatina Shizuka - aveva pensato che lei potesse essere la
fidanzata di Gen. L'avevano adocchiata e avevano visto... la cuoca
della pasticceria. La commessa al bancone. Una tipa anonima con la coda
a cavallo e una cuffietta in testa che non avrebbe mai potuto catturare
l'attenzione di un ragazzo come lui.
Per la frustrazione infilò la tuta e si
dedicò a
una
routine di respirazione combinata ad arti marziali. Da quando aveva
aperto il negozio aveva poco tempo per allenarsi al parco ed era
diventata brava a farsi bastare uno spazio di due metri per due per i
suoi esercizi. Tirando calci controllati in aria perse la cognizione
del tempo e trasalì quando il citofono sulla parete
squillò.
Gen era già arrivato.
Gli aprì e iniziò a far scorrere l'acqua
nella
vasca.
Tornò indietro per girare la serratura della porta
d'ingresso,
in modo da lasciarla aperta, poi andò a rifugiarsi in bagno.
Mentre si spogliava, si guardò allo specchio. Sulla fronte
aveva
una leggera patina di sudore. Il suo viso privo di trucco era
arrossato e sulla testa qualche capello si ergeva dritto in aria, come
attraversato da una corrente elettrica.
Un maschiaccio, inutile negarlo.
Si infilò nella vasca. Sotto il getto rigenerante
della
doccia
tirò la tendina, per evitare di creare un lago sul pavimento.
Quando riaprì gli occhi, un minuto dopo,
trovò
Gen che la
guardava sereno da uno spiraglio, appoggiato con un fianco sul
lavandino. «Lavorato tanto?»
Lei annuì, allungando le membra sotto il massaggio
dell'acqua.
«Avrei dovuto portarti qualcosa di pronto da
mangiare invece
di farti cucinare.»
Ma ormai la cena era il pasto più importante della
sua
giornata. «Mi rilassa trafficare con le pentole.»
Lui guardò in direzione della cucina.
«Tra quanto
sarà pronto?»
Le era venuta voglia di qualcosa di elaborato.
«Un'altra
mezz'ora.»
«Perché non riempi la vasca con l'acqua
calda?
Riposati con un bel bagno.»
«Ormai sto sporcando tutto lavandomi qui.»
Aprendo la tenda, lui interruppe la sua doccia senza chiedere.
Prima
che lei potesse protestare la trascinò fuori con un braccio,
bagnandosi tutti i vestiti.
«Dài!» La risata le era uscita
dal cuore.
Gen recuperò un asciugamano e le tamponò
i
capelli
bagnati, prendendone un altro per avvolgerglielo intorno al corpo.
«Sei pulita. Ora riempiamo la vasca.»
«Che prepotente.»
«So di cosa hai bisogno.»
«Non avevo ancora usato lo shampoo.» Ma la
sua era
una protesta priva di mordente.
Gen girò le manopole sulla parete per far uscire
l'acqua dal
rubinetto inferiore. «Laverai la testa dopo.»
Regolò
la temperatura.
Makoto andò a sedersi sul water chiuso, osservando
i propri
piedi nudi. Almeno quelli erano carini, nonostante la sua altezza.
Lui notò il suo silenzio e si sedette sullo
sgabello
lasciato in
giro per la stanza, di fronte a lei. Non parlò: la
contemplò, godendosi la sua compagnia. Infine le prese un
piede,
schiacciando col pollice l'interno della pianta. Makoto emise un gemito.
«Male?»
«È.. un dolore buono. Eppure uso scarpe
basse.»
«Ma stai in piedi tutto il giorno.»
Gli lasciò continuare il massaggio, concentrandosi
sui
muscoli che si scioglievano.
«Quando riuscirai a prendere un'aiutante?»
«Non lo so. Devo ancora fare i conti...»
«Dovresti potertelo permettere. Un negozio con un
afflusso di
clienti così alto non può essere gestito da una
sola
persona.»
«Sono solo agli inizi.»
«Ma lavori tredici ore al giorno.»
Guidata com'era dall'entusiasmo, non le sembrava tanto.
Tuttavia, col
passare delle settimane, il peso della stanchezza iniziava a farsi
sentire. La sera non si era mai addormentata tanto in fretta come in
quei giorni. «Si vede tanto che sono stanca? In
faccia.»
«Hai le palpebre pesanti.»
Fantastico. E non era neppure truccata o carina come una
studentessa
universtaria che scorrazzava libera da mattina a sera.
Sobbalzò nel sentire le labbra di Gen sulla pianta
del piede.
«Che fai?»
«Mi dedico a un fetish. Potrei farlo anche mentre
sei nella
vasca da bagno, col piede fuori tutto da agguantare.»
La risata le emerse dal petto. «C'è una
parte del
corpo femminile che non ti piaccia?»
«Del tuo corpo? No.»
Un'ondata di piacere si diffuse lungo tutte le sue membra.
Allungò la gamba e agitò le dita del piede contro
la sua
maglietta. «È mezza fradicia. Toglila.»
Lui obbedì senza aspettare.
Ecco, pensò Makoto. Le altre ragazze potevano
essere ninfe
aggraziate e delicate principesse, ma creature simili non
erano
adatte a contenere la prestanza del fisico possente di lui. Liberandosi
dell'asciugamano lo raggiunse e gli salì in braccio, animata
non
dal desiderio, ma dalla semplice voglia di stringerlo. Gen non si
lamentò per come gli stava bagnando i pantaloni:
recuperò
l'asciugamano piccolo che le era quasi caduto dalle spalle e le
massaggiò con cura le spalle ancora umide, poi la
base della nuca.
«Cos'hai?»
«Non lo so» rispose lei.
Lui decise che non aveva senso insistere. Ricambiò
l'abbraccio e
poco dopo cominciò a far scorrere le labbra lungo il suo
collo,
soffiando piano. Al primo brivido, posò la bocca sulla sua
pelle, ispirando. «Profumi anche senza
bagnoschiuma.»
Lei non sarebbe mai stata paga di quei complimenti.
«Che
profumo ho?»
«Odori di buono. Di te.» Salì
con le
mani verso
i suoi seni. Accarezzò i due capezzoli con le dita, nello
stesso
momento. Il modo in cui lei si tese accelerò
l'intensità
delle sue attenzioni.
«Se fossi cieco, ti starei addosso solo per come
profumi.»
Scese con la mano tra le sue gambe, cercando tra i petali della sua
carne le prime gocce fluide di piacere. Makoto tremò,
aggrappandosi alla sua schiena. Le giunse un sussurro
all'orecchio.
«Ti rilasserebbe venire?
Ancora e ancora...»
Quasi incapace di annuire, lei serrò le palpebre e
si
abbandonò completamente alle sue carezze.
Fece il suo bagno in uno stato di catalessi, adagiata nella
vasca piena
di acqua calda come una bambina priva di forze. Per quanto era alta - o
per quanto era piccola la vasca - i suoi piedi sporsero dal bordo,
dando a Gen qualcosa con cui giocare. Una decina di minuti in
immersione le ridiedero energia. Quando riaprì gli occhi,
dopo
un breve sonno, trovò Gen con la guancia adagiata contro la
sua
caviglia, che guardava un punto imprecisato del muro di
piastrelle.
«Ti ho lasciato solo.»
Gli causò un sorriso. «Non mi sono
sentito
solo.»
Finito il bagno, mangiarono semi-nudi - lei in slip e
maglietta e lui
solo coi pantaloni. Tra loro l'atmosfera era ancora carica e a pasto
finito lei non perse tempo: girò attorno al tavolo e
gli dimostrò fisicamente la sua gratitudine.
Mezz'ora dopo erano sdraiati sul letto, con lei rivolta verso
la tv, i
piedi dal lato della testa di lui. Gen apprezzava mentre facevano
zapping tra i canali, senza prestare troppa attenzione allo schermo
acceso.
Una mano di lui era chiusa sulla rotondità di una sua natica
e
di tanto in tanto, col mignolo, accarezzava il bordo che separava i due
globi, causandole un brivido.
Avevano terminato da dieci minuti di rotolarsi tra le coperte,
ma di
quel passo avrebbero ricominciato molto presto.
Makoto rabbrividì in seguito ad un'altra
leggerissima
stimolazione, smettendo di fingere di guardare la televisione. Col
dito, dopo essere affondato, Gen
era salito invece di scendere. Non era la prima volta quel
giorno,
o
in generale: non si faceva problemi a toccarla in quel punto, specie
quando gli capitava di afferrarla per il sedere, per qualunque motivo.
Non le
era sembrato che ci fosse dietro un'intenzione precisa, ma il fatto che
lui non avesse mai spostato - o non spostasse - la mano da
quell'apertura era significativo.
«Hai mai...?» La domanda le era uscita di
bocca
prima di sapere come formularla.
Il silenzio di lui era attento e quando lei si
girò, lo
trovò che la stava guardando, in attesa di sentirla
terminare.
Ricalibrò la frase. «Hai mai pensato di
farlo in un altro modo?»
«In un altro modo?»
Arrossì, perché lui non la stava
prendendo in
giro: non
l'aveva proprio capita. Si era espressa come una sciocca.
«Hai
mai desiderato entrare... dall'altro lato, in una ragazza? Vicino a
dove stai toccando» chiarì.
Gen sollevò le sopracciglia, immobilizzando la mano.
Makoto deglutì l'imbarazzo. «Come
ipotesi.»
«Hmm...» Lui non sapeva come rispondere.
Per lei
era chiaro
che aveva una risposta precisa in testa, ma stava decidendo
come
comunicargliela.
«Mi interessa» dichiarò infine.
«Ma non a tutti a costi.»
«In che senso?»
«Nel senso che non devi sforzarti di considerarlo se
non ti
piace l'idea.»
Lei rimase con la testa appoggiata sul braccio, guardando nel
vuoto.
«Potremmo provare, una volta.»
Non udì alcuna replica. Non aveva bisogno
di
guardarlo in
faccia per sapere che reazione stava avendo: un misto di choc ed
euforia.
Preferì non incontare i suoi occhi, per non
ritrattare.
Stava compiendo un passo importante per una coppia stabile.
Non resistette a una seconda domanda. «Sarebbe la
prima volta
per te?»
Il silenzio di lui cambiò umore.
Gen era sospettoso. «Perché lo
chiedi?»
«Io... Per sapere.»
Lui ritrasse la mano. Non era un buon segno.
Lei cercò di spiegarsi. «È
carino pensare
che sarei la tua prima volta, almeno per questo.»
«Sei già stata la prima per tante
cose.»
«Quando si tratta di sentimenti»
puntualizzò.
Gen abbandonò il cuscino, mettendosi a sedere.
«Sei stata la prima per quello che conta. Mako... con questo
discorso
c'entra il fatto che oggi hai incontrato una ragazza con cui sono
stato?»
«No...» Si rese conto che era una menzogna
solo
quando la pronunciò.
Gen si risentì e lei dovette sollevarsi, per
toccarlo.
«Sarebbe così strano? Tu sei stato il
primo per
me. Per me
essere la prima a farti provare una nuova esperienza fisica
sarebbe... bello.»
«Sarebbe sbagliato. Stiamo parlando di una
pratica che può
provocare dolore. Tu saresti capace di sopportarlo, costringendoti,
solo
per... cosa? Superare le mie ex?»
Non riuscì a venirsene fuori con una risposta che
non
suonasse
patetica. Anche se le piaceva pensare che non sarebbe stata tanto
stupida, forse lo sarebbe stata - come durante la loro prima volta,
quando non aveva detto niente di fronte alle fitte che lui le aveva
provocato.
Gen era a un passo dall'irritazione, ma si calmò.
«Sai
cosa mi stai dicendo? Che non sono riuscito a farti capire quanto
è importante il modo in cui mi fai sentire. Come se ogni
cosa
che ti ho detto l'avessi ripetuta con facilità ad
altre.»
Lei non lo credeva, ma... «Non so com'eri con
loro.»
«Non andavo a dichiarare in giro che mi scuotevano
l'anima.
Non le
cercavo in continuazione. Non dicevo 'ti amo' ogni due per tre. Anzi,
non lo dicevo mai, non ricordi?»
Riportare alla mente il dettaglio le aprì un mondo
di
comprensione. Si sentì idiota. «Hai ragione.
Scusa.»
«Non farmi più proposte del genere per
superare rivali
inesistenti. Se un giorno ti verrà
di
nuovo in mente... che sia perché ti piace l'idea
di
provare, non per altro.»
«Ma in verità...»
Lui scosse la testa. «Adesso non posso
crederti.»
Lei lo accettò. Per farsi perdonare, gli prese il
volto tra
le mani. «Hai davvero tanto pazienza con me.»
Gen soffiò via il fastidio. «Ne
vale la pena.»
Lei gliene era molto grata. Si sentì abbracciare.
«Vieni qui.»
Lui fu così
buono da ripeterle all'orecchio le decine di modi in cui lei era stata
la prima - nella sua vita, nel suo cuore, nella sua anima.
A Makoto non restò che chiedersi perché
fosse stata così sciocca quel giorno.
Aveva la determinazione a non esserlo più, ma non
la certezza che ci sarebbe riuscita.
Luglio 1997 - Incontro con
l'ex - FINE
NdA:
Io vado avanti e poi torno indietro nel tempo. È possibile
che lo faccia ancora con Corrente Naturale, visto che non ho mai
dedicato un capitolo all'apertura della pasticceria di Makoto.
Ho voluto inserire in questo mese di luglgio 1997 l'incontro
con una ex ragazza di Gen per rendere più logica
l'irritazione che lui proverà, un mese dopo, nel sentire che
Makoto è ancora gelosa del passato. Potete leggerlo nel
capitolo successivo, se non lo ricordate.
Ma prima siate buoni e lasciatemi una recensione :P
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 14 *** Agosto 1997 - in vacanza al mare ***
Corrente Naturale - agosto 1997
Corrente
naturale
di ellephedre
Agosto 1997 - In vacanza al mare
La sabbia dorata, l'acqua cristallina, l'orizzonte
azzurro... Trovarsi sulla spiaggia con Gen era un sogno
diventato realtà.
Makoto spremette la
crema solare sulla mano e iniziò a spalmarla sulle
braccia.
Gen era seduto accanto a lei, con i piedi affondati nella
sabbia.
Appena erano arrivati, dopo aver sistemato le loro cose e l'ombrellone,
lui era entrato in mare per una rapida nuotata di riscaldamento.
Dai suoi capelli continuavano a cadere piccole gocce d'acqua che
scivolavano lungo la sua schiena, indugiando sui rilievi dei muscoli
come minuscole perle
prima di evaporare al sole.
Lei allungò una mano verso una sua spalla, solo
per avere
il piacere di toccarlo. Ricevette in cambio un sorriso.
«Ti aiuto?»
«Dopo.» Quel giorno era decisa a
conseguire una
bella
abbronzatura. Aveva comprato un
due pezzi privo di spalline, per non ritrovarsi i segni del costume.
Voleva una pelle delicatamente bronzea, senza arrivare a scottarsi.
L'aiuto di una buona
protezione solare era indispensabile.
Gen la osservò durante la sua accurata opera
di
applicazione della crema, stringendo gli occhi senza volerlo.
«Sei un
testardo. Perché non porti degli occhiali da
sole?» Gli aveva detto di prenderne un paio a Tokyo, ma lui
aveva dichiarato che non gli servivano.
«Sbiadiscono i colori. La luce non mi dà
fastidio.»
«Ma se tieni le palpebre socchiuse.»
«Sto bene così.»
Lei si rassegnò a perdere quella battaglia.
«Dài, vieni più vicino. Metto questa
crema anche a te.»
Almeno per quello, Gen non protestò. Appena ebbe le sue mani
sulla schiena, lui piegò la testa all'indietro, rilasciando
un
lamento di piacere.
«Paradiso: sole,
mare, e le mani di una bella ragazza sulla pelle.»
Il complimento le causò un sorriso. Ma lui
aveva scelto un modo particolare di descrivere quella
beatitudine. «Era una cosa comune per te?»
Rilassato, Gen tenne gli occhi chiusi, offrendo il viso alla
furia diretta del sole del primo pomeriggio. «Cosa?»
Lei gli girò la testa nella sua direzione, per
avere modo di spalmargli
la
protezione anche sulla faccia. «Avevi spesso una ragazza
che
ti metteva la crema solare?»
Lui corrugò la fronte, senza allontanarsi dalle sue
mani. «Parlavo di te, Mako.»
L'uso
del nomignolo quasi la distrasse, ma non aver ricevuto una
risposta alla sua domanda la spinse a indagare.
«È successo
ogni estate?»
Gen sollevò le palpebre.
«Perché stiamo parlando del passato?»
Per una sorta di... masochistica curiosità, che era
cresciuta nelle ultime settimane ma che covava da tempo. Gestiva meglio
l'idea di ciò che era stato quando conosceva i fatti per
intero,
soprattutto quando si trattava di lui e delle sue ex.
Gen comprese che ragionamenti stava facendo. «Gli
anni scorsi
andavo in vacanza in gruppo, tra amici.»
Per Makoto fu un sollievo sentirlo. «Allora
non sei mai
stato in vacanza con una ragazza, da solo?»
Gen fece una pausa.
Oh.
«Una volta.»
«Per quanti giorni?»
In volto lui aveva scritto un rifiuto. «Sai
già
che ho avuto delle relazioni
che sono durate più di qualche settimana. Vuoi solo
torturarti.»
Forse.
Il suo problema era che faticava a capire come fosse possibile entrare
tanto
in
intimità con altre persone senza che questo lasciasse degli
strascichi, o dei ricordi importanti. Voleva comprendere fino a che
punto
quelle esperienze avessero plasmato Gen - sesso a parte. Su
quell'ultimo aspetto non aveva dubbi.
Vedendo
che quel pensiero non le passava, lui rese la bocca
una linea
severa. «È stato due anni fa. La vacanza
è durata cinque giorni. Ho
rotto con quella ragazza appena siamo tornati a casa.»
Brutale.
Gen valutò la sua reazione, poi si
alzò. «Se mettermi quella roba addosso ti
mette di
cattivo
umore, ne farò a meno.» Tornò verso
l'acqua, lasciandola sola, seduta sul loro asciugamano.
Lei balzò in piedi. «Gen!»
Di malavoglia, lui rallentò.
Era la prima volta che lo irritava tanto. Lo raggiunse di corsa,
toccandolo su un braccio.
«Non
volevo farti arrabbiare.»
Gli uscì un sospiro che suonò esausto.
«Stiamo insieme da otto
mesi, Makoto. Non dovresti più confrontarti con le mie
precedenti ragazze.»
Una vocina nella testa le disse, 'Tu però le hai
frequentate
per otto anni.' La ignorò.
Gen era ancora rivolto verso il bagnasciuga. «Senti,
non è la prima volta che ti confronti con loro. Non
risolveremo la cosa oggi. Siccome abbiamo appena iniziato
la
nostra vacanza, preferisco andare in acqua finché non ci
pensi
più.»
Quel rifiuto di parlare l'avrebbe fatta arrabbiare se non
fosse
stata subito in grado di capirne la ragione: Gen era scocciato e,
visto
che era una persona calma, quella reazione non era nata da un giorno
all'altro. Evidentemente su quel punto negli ultimi mesi lui era stato
molto
più paziente di quanto le avesse dato a intendere. L'ultima
uscita di lei sul tema, circa un mese fa, non doveva aver aiutato il
suo umore.
Lo sfiorò su una mano, prima che potesse andarsene.
«Tesoro.»
Lui si voltò, colpito dall'appellativo.
«Non ti farò più nessuna
domanda se ti dà
fastidio. Però, senza discutere, mi piacerebbe farti capire
che la mia
non è solo gelosia.»
In lui l'irritazione sparì.
«Okay.»
Mentre si sedevano sulla sabbia bagnata, Makoto
cercò le
parole giuste. «Penso che il problema sia che non ho mai
avuto
una vera relazione prima di incontrarti. Forse riuscirei a capire
meglio
come una persona può dimenticare tutto ciò che
c'è stato un tempo. Diventa sempre così poco
importante,
dopo?»
Quando udì Gen sospirare, si rese conto che, senza
volerlo, aveva fatto una domanda che riguardava loro due.
«Mako, se tu avessi avuto altri ragazzi prima di
me... Be', penso che
giudicheresti ancora importanti quelle storie. È
fondamentale la
ragione per cui si entra in una relazione. Fin dall'inizio tu cercavi
l'amore. Tanti anni fa io volevo solo... passare un
po' di tempo in compagnia. Volevo sperimentare, imparare.
Giocare» ammise. «Non sceglievo la nuova ragazza
con cui
stare cercando quella giusta. Mi importava solo che lei avesse qualcosa
d'interessante per me in quel
momento. La relazione durava
finché il mio interesse reggeva.» Si
assicurò che
lei avesse compreso prima di continuare. «Visto che per me
iniziava in questo modo, e non sceglievo con troppo criterio, non ci
mettevo molto a scoprire che io e la
ragazza eravamo incompatibili in qualcosa di fondamentale. Non
lo trovavo un problema. A volte, se lei era gentile e accomodante,
continuavo a starci insieme ugualmente. Per questo non ho rimpianti o
grandi
ricordi. Non sceglievo qualcuno di cui potermi innamorare.»
Era il punto che la lasciava più incredula.
«Non
è mai successo? Non hai mai iniziato a provare qualcosa di
più?» Com'era possibile? Come si poteva
fare
l'amore tante volte, con la passione che lui ci metteva, e
non sentire di entrare in intimità con un'altra persona,
cominciando a provare almeno un po' di affetto?
«Alcune mi stavano più simpatiche di
altre. Ho iniziato
a tenere a qualche ragazza, ma... Quando pensavo che le
avrei fatto male lasciandola, capivo che era finita. Perché
anche se ero dispiaciuto, lo avrei fatto comunque prima o
poi.»
Non era la storia completa. «Qualche volta sei stato
mollato, no?»
Lui annuì. «Avevano capito prima di me
che non ero abbastanza coinvolto.»
... perciò era tutto così semplice?
Gen aveva rammentato qualcosa, con riluttanza. «La
ragazza con
cui sono andato in vacanza al mare. È stato un grosso
errore.
C'era intesa tra noi, e quella volta mi ero convinto a provarci sul
serio. Per questo sono partito solo con lei e non più in
gruppo:
mi sembrava un passo avanti. Dopo tre giorni passati insieme mi
sentivo intrappolato. Avrei
anticipato il rientro, ma non mi andava di pagare due volte il viaggio
di ritorno. E sarebbe stato maleducato, no? Mi sono costretto a
rimanere cercando ragioni per non ammettere di essermi
sbagliato così tanto. È stato uno
smacco.»
Le sfuggì un sorriso.
Gen le dedicò un lungo sguardo. «Nemmeno
io so come si esce da una relazione seria.»
Una relazione come la loro. «Perciò... io
non
diventerò qualcosa che vuoi dimenticare?»
Era stata una domanda molto stupida.
Seppe che Gen non avrebbe risposto e abbassò gli
occhi. Si ritrovò col fiato di lui sulla bocca.
Il bacio fu il punto che Gen decise di mettere su quella
faccenda.
«Te l'avevo detto.»
Di sera Makoto si stava prodigando a spalmargli del latte
doposole
sulla schiena provata.
Chi aveva inventato il nome 'latte', si
domandò Gen, per un prodotto come quello? Fino a prova
contraria, non si mangiava.
La voce di lei era cantilenante e dolce mentre lo
rimproverava.
«Domani mi ascolterai quando ti dico che la crema va rimessa
ogni
due ore, come minimo, e ogni volta che esci dall'acqua.»
Qualcuno gliel'aveva spiegato in passato - forse sua madre.
Lui
sapeva
anche che nelle estati precedenti aveva già imparato quella
lezione, eppure, con l'arrivo del primo sole estivo, gli sembrava
puntualmente ridicolo doversi ricoprire di crema per difendersi dalla
forza del sole. Come avevano fatto gli antichi, senza quei rimedi?
Erano sopravvissuti comunque, no? Era un fastidio sopportabile, a suo
modo di vedere. Anche se quella roba
lenitiva
era fantastica sulla pelle. «Mettine ancora.»
«Oltre il primo strato non si assorbe. Ti vedo
stanco. Dormi.»
«Dovevamo uscire.» Era la loro prima
serata in quella località di mare. Sbadigliò.
«Ci saranno le prossime sere. Riposa, su. Le
scottature sono come ferite da cui il corpo deve riprendersi.»
Gen strizzò gli occhi. «Sto
bene.»
Makoto gli massaggiò la nuca. «Fai
ugualmente un pisolino.»
Avrebbe obiettato a sentirsi trattato come un bambino se non
avesse
cominciato a sentire la magia delle dita di lei sulla testa. Si
rilassò.
Il sonno incombette su di lui e lo prese.
Riaprì gli occhi nel buio.
Cercò Makoto nello spazio sul letto accanto a lui,
ma lo trovò vuoto.
Dov'era lei? Quanto aveva dormito?
Si alzò, squadrando l'area del monolocale che
avevano
affittato mentre i suoi occhi si abituavano alla mancanza di luce.
La porta della veranda era aperta e lasciava filtrare aria
fresca.
Insonnolito, si diresse fuori.
Era una notte senza luna. La sagoma scura di Makoto era
accucciata sul prato.
Fece rumore avanzando e lei si voltò prima che lui
potesse parlare. «Ehi» lo salutò.
«Cosa fai qui?»
Makoto si spostò sul telo da mare che aveva disteso
a terra, per fargli posto. «Mi godevo la nottata.»
Gen si sedette vicino a lei, sbadigliando. Impiegò
un momento a focalizzare il cielo.
Makoto appoggiò la testa contro la sua spalla.
«Quante stelle, vero? Abbiamo fatto bene a venire
qui.»
Già. Avrebbero potuto optare per
località più
frequentate e vicine a Tokyo, ma a entrambi era piaciuta l'idea di un
luogo isolato, magari vicino a qualche bosco o montagna. Makoto non
aveva optato per un campeggio solo perché preferiva avere
una
cucina.
Lui percepì il silenzio di lei.
«Il cielo era così nel posto in cui
abitavo da bambina.»
«Coi tuoi genitori?»
Lei mosse la testa, per annuire. «Quando sono andata
a vivere
con la nonna, Tokyo non mi piaceva perché non c'erano le
stelle.
Troppa luce. Troppa gente.»
Gen la lasciò parlare.
«Mentre stavo seduta qui, mi sono ricordata una
cosa. Da
piccolina, l'unica cosa di cui avevo paura era il buio. Quando non
c'era
la luna non volevo andare fuori la sera, neppure a prendere un gelato.
Ero sicura che sarebbero arrivati tanti mostri a mangiarmi.»
Gli sfuggì una risata bassa.
Makoto lo picchiò sul braccio, senza energia.
«Avrò avuto quattro anni, non ricordo bene. Una
notte
papà e mamma mi hanno messo davanti una candela. 'Facciamo
un
gioco' hanno detto. Invece di mettermi a dormire, papà mi ha
preso in braccio e siamo andati in giardino, con mamma, mentre lei ci
faceva strada col lume. Mi ricordo che stringevo forte mio padre,
cercando di non nascondere la faccia nel suo petto. Non volevo vedere
nulla, soprattutto il buio. Mi hanno incoraggiato ad aprire gli occhi.
'Ci siamo noi con te.' Poi mamma ha soffiato forte la candela. Io ho
urlato. Credo di aver cominciato a piangere, ma loro mi hanno
consolato. Mi
massaggiavano la schiena. 'Abbiamo solo spento la candelina che avevamo
in mano' hanno detto. 'Guarda quante ce ne sono ancora là
sopra.' Ed era vero.
C'erano tante candele nel cielo. Mamma e papà si sono seduti
con
me, su un telo come questo. Si sono messi a inventare storie su ogni
singola stella. Io stavo in mezzo a loro e ascoltavo. Alcune storie
erano così appassionanti che mi sono messa a saltare, a
ridere.
Poi cadevo in mezzo ai loro corpi e mi sentivo afferrare. Ricevevo
tanti baci.»
Makoto smise di raccontare.
Lui la massaggiò sulla spalla, stringendola con
attenzione, senza troppa forza. Comprendeva la forza di quei ricordi,
la loro importanza.
Lei strofinò un occhio contro il suo pigiama.
«Me n'ero scordata, sai?»
«Eri una bambina.»
«Sì, ma... quel giorno ero
così felice, e ho dimenticato lo stesso.»
«No, qualcosa è rimasto. Non hai
più avuto paura del buio, giusto?»
Lei chinò la testa talmente a fondo che Gen seppe
che stava piangendo.
«Già.»
Non erano solo lacrime di tristezza.
«Andiamo. Hai ancora tante stelle da
guardare.»
Makoto gli gettò le braccia al collo, premendo
involontariamente
sulla scottatura. «Sono sempre più
belle.»
A lui non importò del dolore, ricambiò
l'abbraccio.
Lentamente, il silenzio si portò via la sofferenza
di lei.
Infine, Makoto si pulì il viso e alzò di nuovo
gli occhi al
cielo. «Forse non ci ho pensato più per tutto
quello che
vedo adesso là sopra.»
«Cosa?»
«... ricordi ancora più
lontani.»
Gen non seppe se era perché si
era svegliato da poco, o
perché Makoto gli aveva appena raccontato di quando era una
bambina normale e impaurita, ma non provò disagio nel
sentirla parlare della sua antica vita. Era rilassato. Era in pace, nel
posto
giusto e con la persona giusta. «Cosa ti accadeva a
quel tempo?»
Lei rilasciò la tensione. «Non a me. A
Giove.
Percepivo
l'immensità del mondo in cui viveva. Ogni stella per lei era
una
sorella che metteva ordine nel cosmo. La loro grandezza e forza non la
spaventavano. Pensava... 'Un giorno sarò come loro.
Lascerò
il mio segno in questo universo'.»
Parole in cui c'era talmente tanto di Makoto, che per
la prima
volta lui sentì un equilibrio in ciò che lei - e
loro -
potevano essere nella realtà che fino a quel momento si era
rifiutato di esplorare.
«... ti fa paura?» si sentì
domandare.
«No.» Voleva saperne di più.
«Cos'altro hai sognato?»
Da Makoto sgorgarono racconti maestosi, imprecisi, lontani.
Gen li
ascoltò finché lei, stremata, non si
addormentò
sul telo sopra il prato, sotto le stelle da cui proveniva la sua stessa
essenza.
Lui guardò il cielo con occhi nuovi.
Riuscirò
mai
a farne parte?
Agosto 1997 - In vacanza al
mare - FINE
NdA:
Prima che mi
azzanniate: ho intenzione di raccontare anche a voi cosa ha
sognato/ricordato Makoto in relazione al suo antico passato. E' molto
tempo che mi limito ad accennare alla cosa. In questo frangente mi
interessava di più parlare della reazione di Gen. Per lui,
più che il dettaglio di queste storie, è
importante la
reazione che ora prova nell'ascoltarle. Ma desidero includere in questa
raccolta anche i ricordi di questo passato, per legarla di
più
alla saga in generale, e perché tutto ciò fa
parte di
Makoto. Ora che lei e Gen hanno iniziato a parlarne, è
finita la
fase del 'non voglio sentire, meglio rimandare' di lui. Si è
aperta una domanda finale per Gen. Questo farà evolvere la
loro
relazione.
Ogni vostro commento è graditissimo :)
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 15 *** Agosto 1997 - Di notte, nell'afa ***
correntenaturale - calura
Corrente
naturale
di ellephedre
Agosto 1997 - Di notte, nell'afa
Alle undici di sera facevano trenta gradi a Tokyo. Le
finestre dell'appartamento di Makoto erano spalancate, ma non correva
un filo d'aria. Per
dormire Gen aveva indossato solo un paio di boxer e stava valutando se
toglierli. L'aria condizionata di casa sua gli mancava da
morire. «Makoto.»
«Sì?» fece lei dal
bagno.
«Compriamo un condizionatore portatile.»
Non udì risposta, solo il fruscio di uno spazzolino
da denti.
Mesi prima con Makoto avevano litigato per l'acquisto del
nuovo
materasso e da allora Gen aveva imparato a non imporle grossi regali
per la casa. Anche se l'idea del condizionatore era sua, era meglio
proporre di dividere la spesa, per non irritarla.
Lei terminò di sciacquare la bocca. «Va
bene, ne prenderemo uno facendo a metà. Grazie.»
«Non ringraziarmi, il condizionatore
servirà anche a
me.» Tra l'altro, non avrebbe pagato lui la corrente
elettrica
per farlo funzionare. Avrebbe voluto dividere anche quella spesa, ma
Makoto era testarda.
Lei uscì dal bagno. «Non ricominciamo con
questo
discorso. Il condizionatore lo vuoi tu, ma starà qui e in
fondo
farà bene anche a me. Quindi è giusto che ne
paghi la
metà.»
Lui scelse di non dire più nulla. D'altronde era
concentrato
sul nuovo pigiama di Makoto, dallo scollo squadrato largo,
così
ampio che le cadeva completamente da una spalla, stando a malapena in
equilibrio sull'altra.
«Non è della tua taglia.»
Lei lisciò il tessuto bianco e leggero sullo
stomaco, fiera.
«Era di mia nonna. È l'unico pigiama che non mi fa
sudare
in serate come questa.»
Be', a lui non sembrava la migliore qualità di
quell'indumento. Mentre Makoto si muoveva per controllare che la porta
di casa fosse chiusa, il pigiama le era sceso fino a metà
braccio. Lei non fece nulla per rimetterlo a posto, tornò
indietro con mezzo seno di fuori,
comoda. Avvicinandosi, notò la direzione
del suo sguardo. «Lo so, mi cade.»
Lui non aveva da lamentarsi.
Makoto rimase a posto la spallina. Nel salire sul materasso
tirò su l'orlo del pigiama - semi-trasparente alla luce
della
lampada. A Gen venne un colpo quando lei portò l'indumento
sui
fianchi, lasciandogli intravedere una natica nuda.
«... non porti gli slip?»
Makoto sbadigliò, sdraiandosi. «L'estate
scorsa ho
scoperto che sto più fresca senza. Con tutto questo caldo,
almeno tra le gambe mi arriva un po' d'aria.»
Tanto valeva non mettersi niente, allora.
Lei si stiracchiò, preparandosi a dormire.
«Comunque...» volle dire lui.
Makoto aprì un occhio.
«Ti sta bene. Il pigiama.» Sembrava quasi
una camiciola
d'ospedale, innocente con quel paio di ricami piazzati sul petto. Il
modo in cui la denudava a caso, senza secondi fini, era... eccitante.
La combinazione del corpo favoloso di lei, a malapena coperto,
accessibile da talmente tanti punti... «È
sensuale.»
«Era di mia nonna.»
Lui preferiva non ricordarlo. «Adesso lo indossi
tu.»
Makoto aveva girato la testa, per guardarlo.
«Gen.»
«Hm?»
«Il solo pensiero che mi sfiori mi fa venire
caldo.»
«... Ah.»
«Buonanotte.»
Lei spense la luce dell'abat-jour. Furono al buio.
Gen rimase a guardare il soffitto. L'obiezione di Makoto era
sensata
e fino a cinque minuti prima anche lui aveva avuto sonno. Solo che...
Magari avrebbe fatto più fresco di mattina;
mancavano solo sei o sette ore. Cinque, se svegliava Makoto in
anticipo, quando lei era intorpidita dal sonno e molto ricettiva.
Il lampione in strada mandava un po' di luce nella stanza.
Quando i
suoi occhi si abituarono alla penombra, Gen riuscì a vedere
una
gamba piegata sul letto, morbida e delicatamente curvata, sicuramente
soffice al tocco.
Sospirò, sentendo un'ondata di calore al
bassoventre.
Prese una decisione. Si mise in piedi, muovendosi verso la
cucina.
«Cosa fai?»
Invece di rispondere, terminò di staccare il
ventilatore
dalla sua posizione sul ripiano. Lo portò in braccio fino al
comodino di Makoto, muovendosi a memoria nella poca luce.
Posò a
terra l'abat-jour per fare spazio, staccò la spina e
riuscì a inserire al suo posto quella del ventilatore, non
senza
fatica. Le pale cominciarono a ruotare veloci.
Makoto non commentò mentre lui spostava un poco
all'indietro
il mobile, così che il soffio fosse abbastanza distanziato
dal
letto.
«Ora fa meno caldo» le disse.
Per intuito, seppe che lei stava sorridendo.
«Mi viene il mal di gola se quello resta acceso
tutta la notte.»
«Mi alzerò a spegnerlo.» Gen
fece il giro del letto, tornando al proprio posto.
«Quando?»
Scrollò le spalle. «Dopo.»
«Dopo... cosa?»
Non le rispose, godendosi il venticello che arrivava su di
loro.
La risatina di Makoto fu improvvisa. «Hai un
pensiero fisso!»
«Avevi detto di avere caldo.»
Makoto continuò a ridere, poi espirò
rassegnata.
«Gen... Sai che suderemo tanto. Vuoi davvero dormire tutto
appiccicaticcio?»
In bocca a lei quella parola suonò divinamente
erotica. «Se me lo dici in questo modo...
Sì.»
Makoto si stava ancora divertendo. «Hm... non mi va
di rendertela così facile. Usa l'inventiva.»
«Hm?»
«Con questa afa un po' d'aria non ci salva. Dimostra
di essere bravo... con pochissimo contatto. Una sola mano.»
Gen si sentì diventare più duro.
«Bravo a...?»
Makoto si voltò di lato, rivolta verso di lui. Sul
suo corpo
la stoffa del pigiama creava pieghe leggere, lasciando intravedere in
controluce la linea dei suoi fianchi.
«Fammi venire. Solo con cinque dita.»
Per lui fu un colpo di piacere al bassoventre.
'Nessun problema', 'certo', 'ai tuoi ordini'.
Pensò a molte frasi fatte in risposta, ma alla fine
non disse
niente. Approfittò della spallina che era di nuova scesa dal
suo
posto e si limitò ad abbassare il tessuto sul petto di
Makoto.
Liberò un seno e giocò col capezzolo.
Lo sentì inturgidirsi contro l'unghia.
Disegnò il contorno dell'areola, il petto di lei
che si tendeva al tocco.
Mormorò. «È ancora fresco
questo pigiama?»
«... sì.»
«Sicura? Meglio toglierlo.» Lo
tirò giù,
lungo il torso di lei. Makoto sollevò la schiena per
facilitarlo.
Gen fece scendere il tessuto fino alla vita, dove le
massaggiò a mano aperta lo stomaco.
«Il palmo è concesso?» Lo
allontanò,
lasciando solo i polpastrelli sulla pelle di lei. Solleticò
l'entrata dell'ombelico. «Faccio come vuoi tu.»
«Il palmo...», Makoto respirava forte,
«va bene.»
«Uno strappo alla regola?»
Insinuò le dita sotto
quello che era rimasto del pigiama, sfiorandole il monte di Venere.
Ritrasse la mano e Makoto inspirò un'enorme boccata d'aria.
«Per quello che mi hai chiesto, ci vuole
pazienza.»
Tornò al suo seno, pizzicando una ad una le punte. Smise di
parlare e fece con le dita ciò che avrebbe voluto farle con
la
lingua. Proseguì fino a farla tremare, il torso di Makoto
che si
sollevava smanioso, per cercare altra stimolazione. Lui
sollevò
la mano, portandogliela alle labbra.
Lei regalò un bacio soffice al suo pollice, poi
accolse in bocca il suo indice, accarezzandolo con la lingua.
Gen si sentì bruciare. «Sai cosa mi aveva
eccitato?»
«... no.»
Il mezzo gemito fu molto appagante.
Abbassò la mano lungo il suo corpo.
«Dormire senza slip. Se lo fai... Non posso
resistere.»
Makoto inarcò i fianchi, invitando la discesa delle
sue dita.
Gen arrivò tra le sue gambe, si
immobilizzò. La pelle di lei era completamente liscia.
Makoto stava ansimando. «Io... Col caldo
è igienico.»
Dalla gola gli uscì un suono. Si trattenne,
accarezzò.
Non era la prima volta che viveva quell'esperienza al tatto, ma era la
prima volta con lei. Sulla linea del'inguine, sulla giuntura tra le
gambe, Makoto era... era seta, le dita di lui scorrevano come
su
nessun'altra parte del suo corpo.
Si godette quei lembi di pelle, aumentando l'attesa.
Makoto lo sfiorò sul collo con una carezza. Lui la
ricompensò con una mano sulle pieghe, umide al
primissimo tocco.
«Allora non avevi troppo caldo.»
«Sì, ma il ventilatore-»
Entrò in lei con un dito, prima lentamente e poi
per intero,
togliendole la parola. Manovrò con la mano, per spostare il
suo
liquido in una scia più in alto, dove uno sfregamento di
pollice
l'avrebbe fatta gridare.
Al contatto Makoto scattò coi denti, frenando
l'ansito.
«Goditela.» E ondeggiò con la
mano sulla parte
più intima e calda di lei, imparandone di nuovo la risposta,
la
fremenza.
Scorse il viso di Makoto nel buio mentre le si avvicinava
sempre di più, trattenendosi dal baciare la bocca aperta.
Una mano gli afferrò la spalla.
«Gen!»
Un gemito, l'inizio dell'escalation. Makoto si
abbandonò al
ritmo dei propri fianchi, pretese più pressione e
velocità, maggiori affondi. Lui la accontentò con
due
dita unite e il pollice che da fuori roteava rapido sul suo clitoride.
Colse il primo spasmo, ne seguì il pulsare,
assecondandone il
ritmo. Da capo a piedi, con le braccia di lei che si allungavano sopra
la testa e le gambe che si piegavano, vide un metro e settanta di
orgasmo e desiderò baciarne ogni punto.
Tremò con lei, senza smettere di muovere la mano,
fino alla fine.
Quando allontanò le dite fradicie, dovette
domandare. «Sei sudata?»
Makoto stentò a recuperare il fiato.
«S-sì.»
«Peccato.»
Si spostò verso i piedi del letto, aprendole le
ginocchia. Non poteva avere pietà.
«Aspetta-...»
Mise la testa tra le sue cosce. «Non volevi essere
pulita?»
Fu attento e delicato per non sovrastimolarla, ma non la
lasciò bagnata neppure su un centimetro. O meglio, la
bagnò di saliva, ma era inevitabile: niente avrebbe potuto
impedirgli di sentirla con la lingua senza ostacoli, in ogni insenatura
e rilievo, ma soprattutto di assaggiare ciò che si era
guadagnato.
Quando finì, seduto tra le sue gambe aperte, volle
essere chiaro. «Devo...» Aveva un concetto
in mente, ma gli mancò la parola giusta da farle ascoltare.
«Scoparmi?»
Spalancò gli occhi.
Makoto emise una risatina flebile. «'Fare l'amore'
è troppo poetico adesso.»
Sì. «Devo entrare dentro di te fino a
smettere di
ragionare.» Gli parve più adatto. L'altro
termine...
Non era contrario, ma sentiva ancora qualcosa, quando la
guardava,
che non c'era in quella parola. Tenerezza, per il modo in cui le si era
scompigliati i capelli e per come lei lo stava accarezzando sul braccio.
«Ti abbraccerei se non facesse così
caldo.»
Gli piacque il suo sorriso.
«Eviterò troppo
contatto, non preoccuparti.» Abbassò i boxer e
incastrò il bacino al suo. «Sarà un
po'...
animalesco.»
Makoto aveva tirato la testa all'indietro. «Va
bene.»
Lui non aveva avuto dubbi sulla risposta e in un angolo della
mente
cercò di ricordarsi di domandarle che cosa fosse cambiato
negli
ultimi due giorni, per le piccole prove d'audacia dimostrate quella
sera. Sul momento, dimenticò tutto nell'unirsi al suo corpo.
Tenendola per la vita, spinse ripetutamente in lei che lo
riceveva,
con forza, mentre Makoto si adeguava naturalmente al ritmo.
Sobbalzarono insieme, si inarcarono, la parte più bollente
del
ventre di lei che lo stringeva, lasciandosi plasmare, prendere. Non
fece attenzione alla sua voce, ma gli entrò in testa un
grido
sottile, acuto, e i suoi muscoli si contrassero tutti insieme. Venne
sferzato da un piacere violento, assoluto. Lo alimentò con
spinte calcolate, profonde, spremendosi fino all'ultima goccia.
Inerme, non rispettò l'intento inizialmente di
distanza e le cadde lentamente addosso.
Makoto lo circondò con le braccia, esausta.
«Resta fermo.»
Incapace di rispondere, lui rimase a sentire il soffio del
ventilatore sulla schiena. L'aria asciugò piano la patina di
sudore sui loro corpi.
Portò una mano alla tempia di Makoto, scostando
fili di
capelli ondulati. «Di questo passo ci ammaliamo
davvero.»
Trovò la forza di alzarsi, o così credette:
mettendo il
piede a terra, la sua gamba cedette.
Makoto lo afferrò per un braccio.
«Ehi!»
Lui riuscì a non cadere.
«Idiota.» Rise con lei mentre spegneva il
ventilatore.
Sul letto, Makoto stava srotolando sulle gambe il pigiama.
«Tanto vale dormire senza niente.»
Proprio come aveva pensato lui. Si disfece a sua volta dei
boxer,
camminando impacciato finché non riuscì ad
abbandonarli a
terra. Si gettò a pancia in giù sul letto.
Abbracciò il cuscino.
«Che romantico.»
«Se vuoi che ti stringa, devi solo dirlo.»
Dalla mancanza di una risposta capì il dilemma di
Makoto e
rise. «Col condizionatore, domani. O sotto una
doccia.»
Lei si stiracchiò di nuovo, chiudendo gli occhi.
«Belle idee.»
Guardandola, Gen non riuscì a resistere e si sporse
per rubare il bacio della buonanotte.
Makoto si rannicchiò nelle spalle, felice.
«È calda anche la tua bocca!»
«Ma ne è valsa la pena.»
«Tanto.» Lei si soffermò a
osservarlo. «Dormi bene, amore mio.»
A lui si bloccò in gola la risposta. Non gli
importò dell'afa: le prese una mano e la tenne stretta.
Mentre il sonno li avvolgeva, la teneva ancora tra le dita, i
loro palmi sudati, disposti al sacrificio.
Dormì senza lasciarla andare.
Agosto 1997 - Di notte,
nell'afa - FINE
NdA:
Uh. Ehm, uh, cough-cough. In questo capitolo sono stata spudorata :D
Ho una mezza idea di cosa abbia portato Makoto a tali livelli
di
disinibizione. In un capitolo della raccolta di Rei, 'Di fiamme e
quiete', parlavo di Makoto che lodava un romanzo rosa che a suo dire
conteneva del 'gran sesso'. Immagino che la ragazza abbia continuato su
tale strada, spingendosi verso letture ancora più erotiche
:P Ce
la vedo Makoto a farsi influenzare da una lettura simile, per due
motivi.
Uno: nel primo anime c'era questo episodio della quarta serie
in cui
lei diceva di essere una buona lettrice. Makoto non sente i libri a
livello di Ami, che li usa per apprendere nozioni e assimilare
esperienza. Makoto li sente col cuore e i sensi, non è mai
paga
di emozioni.
Due: in fondo la vedo come una persona priva di pudori. Per
lei non
averli non esclude il romanticismo, come ho cercato di far vedere in
questo capitolo. Sono due parti complementare di lei.
Makoto è forte, audace, anche nella sfera intima
insomma.
Ormai con Gen stanno insieme da otto mesi, ora c'è molta
confidenza tra loro. Questo non significa che lei disdegnerà
sessioni più tranquille, dolci. Ne avrà sempre
bisogno.
Hm. Mi chiedo se sono riuscita a trasmettere tutto questo,
più che con le mie parole qui, con ciò che ho
raccontato
finora di lei. Fatemi sapere :)
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 16 *** Gennaio 1998 - Amici che vanno avanti ***
correntenaturale - calura
Corrente
naturale
di ellephedre
Gennaio 1998 - Amici che vanno avanti
Dopo l'incontro di quel pomeriggio con le ragazze, in
celebrazione del ritorno in Giappone di Ami, Makoto era riuscita a
riprendere in mano il libro che aveva abbandonato. Appoggiarlo sul
comodino, un paio di giorni addietro, era stato al contempo un sollievo
e una
sofferenza. Amava quell'autrice di storie romantiche, ma l'incipit
del suo ultimo romanzo aveva toccato in lei corde
scoperte. Come
poteva leggere di un amore tormentato, che non aveva
speranza di realizzarsi?
Nella storia una giovane nobile si invaghiva di uno stalliere,
nell'Inghilterra del 1800. Il loro amore era segnato fin dalla nascita:
due persone così diverse non avevano alcuna
possibilità di stare insieme, in nessun modo e da nessuna
parte. Questo non aveva impedito ai due ragazzi di desiderarsi con
ogni goccia del loro spirito. Erano cresciuti insieme, avevano giocato
insieme... e d'improvviso, diventati grandi, avevano iniziato a
desiderarsi. Era il primo amore che avessero mai conosciuto, ma se solo
il ragazzo
avesse provato ad avvicinarsi alla protagonista, sarebbe stato
allontanato per sempre - forse persino ucciso dalla famiglia di lei,
per la grave onta arrecata. Eppure, anche in quelle condizioni, i due
giovani non riuscivano a separarsi. La ragazza, in particolare, si
tormentava. Come poteva vivere, immaginando
che lui un giorno si sarebbe sposato con un'altra? Che senso aveva per
lei
respirare, esistere, se lui non era vicino a lei? Ma tenendolo con
sé lo condannava a una vita di servitù che lui
non meritava. Era tutto sbagliato, ma nessuno dei due voleva rinunciare
a quell'amore.
Veder espressa la propria sofferenza a parole aveva
tolto il fiato a
Makoto. Aveva chiuso il libro e si era raggomitolata sul letto,
cercando di non farsi travolgere da pensieri cupi.
Lei e Gen avevano resistito per un anno. Avevano festeggiato
da poco
il loro primo anniversario ed erano più uniti che mai.
Tuttavia, ancora, nessuno dei due si azzardava a parlare di
futuro.
Era una conferma continua della distanza che esisteva tra i loro
propositi sull'avvenire. Gen non aveva cambiato idea su quello che
voleva nella vita e lei non si sentiva di biasimarlo.
Cercava di non pensarci e di godersi il presente. Lui era un
fidanzato che non si risparmiava nell'amarla. Era qualcosa di prezioso
e per ora tutto ciò che Gen poteva darle.
Rivedere Ami aveva rasserenato Makoto. Si era informata
periodicamente
su come stesse la sua amica durante la lunga assenza di Alexander.
Vedere Ami
triste e sola, tra settembre e ottobre, l'aveva depressa. Aveva voluto
credere con tutta se stessa che una storia bella come quella che Ami e
Alex non potesse finire in maniera tanto misera.
Se fosse andata così sarebbe
stato... orribile. Desolante.
Le sue paure erano svanite col sorriso di Ami, a inizio
novembre,
appena lei aveva risentito Alexander. Lui non si era mai
dimenticato di lei. Non avrebbe potuto, per quanto lontano fosse
andato, per quanto tempo fosse passato da loro ultimo incontro.
Makoto aveva versato una piccola lacrima di
felicità per
loro, tutta sola, sentendosi una sciocca per il sollievo da cui era
stata
invasa.
Ami era poi andata a trovare Alexander in America, per le
vacanze di fine anno. Erano tornati a Tokyo solo da un giorno, con
grandi novità: avevano deciso di andare a vivere insieme.
Inoltre, incredibilmente, la giudiziosa e riflessiva Ami aveva deciso
di buttarsi nell'ignoto: era intenzionata ad avere subito un bambino.
Ami madre.
Era una pazzia, ma Ami
era sicura di quello che faceva. Entro il duemila sarebbe diventata
planetaria come lei e Minako e non
avrebbe più potuto avere bambini con Alexander. Ami stava
correndo
per non perdere l'unica opportunità che le rimaneva.
Incredibilmente, non aveva paura.
Per Makoto era come assistere a una seconda favola.
Prima Usagi e
Mamoru - principi che si erano amati in un altro tempo e che ora si
erano ritrovati, vincendo gli ostacoli del destino, fino a sposarsi. E
ora, Ami e Alexander, due ragazzi
più normali, che avevano deciso di rischiare e costruire una
vita insieme fin da subito, pur sapendo dei cambiamenti
epocali che li avrebbero
visti protagonisti in futuro.
Galvanizzata dalla felicità che la circondava,
Makoto aveva dato un'altra possibilità al suo libro
romantico. Ora sentiva di avere la forza di affrontare righe dolorose
su un amore che non si sarebbe mai realizzato. Dopotutto, stava
leggendo un romanzo rosa: il lieto fine era assicurato.
Era sdraiata sul letto, immersa nella lettura, quando Gen
entrò in casa sua con la chiave.
«Ciao!»
Abbandonò il libro di lato e corse da lui che le veniva
incontro, coinvolgendolo in un lungo
abbraccio. Non poté esimersi anche da un affettuoso bacio a
stampo.
Il calore dell'accoglienza sorprese Gen.
«Ciao anche a te. Come mai così
allegra?»
Guardò dietro le sue spalle e rilasciò una
smorfia.
«Ah, stai leggendo uno dei tuoi libri. Anche questa volta lo
preferirai a me?»
Sentirlo geloso di un insieme di pagine la divertì.
«Finisco di leggere il capitolo e sono tutta per
te.»
Gen tornò all'ingresso, per togliersi la giacca.
«Oggi hai rivisto Ami?»
«Sì! Alexander ancora no, per caso ti ha
chiamato?»
«No, ma me lo aspettavo. Mi chiamerà
quando
avrà tempo, adesso sarà occupato. Sta cercando di
convincere Ami a trasferirsi da lui, giusto?»
«Non ci sarà bisogno di convincerla. Ne
parlano oggi
con la madre di Ami. Lei potrebbe trasferirsi già
domani.»
Gen approvò in pieno. «Finalmente! Mizuno
si sta dando una mossa!»
«Ehi, non prenderla in giro. Lei era solo...
prudente.»
«Però la lontananza è servita
a mettere in chiaro le sue
priorità. Golden Boy aveva ragione ad attuare la sua
strategia.»
Quello era un discorso nuovo per Makoto. «Quale
strategia?»
«Non è stato calcolatore come stai
pensando, questa è una mia interpretazione. Quando
mi ha detto che lui e Mizuno non si stavano sentendo, non ho pensato
bene di lei.»
«Be'... anche io ho avuto dei dubbi. Ami stava
sbagliando, ma alla fine ha capito da sola che errore stava
commettendo.»
«Infatti. Se ora sta correndo per andare a convivere
con lui, vuol dire che la terapia d'urto le ha fatto bene.»
Tornando seduta, Makoto incrociò le gambe e finse
di tornare a guardare il suo libro mentre completava la
notizia. «Lei e Alex hanno deciso di fare anche un'altra
cosa.»
«Hm?» Gen si era tolto le scarpe e l'aveva
raggiunta sul letto, premendo la faccia contro i suoi capelli. Adorava
il profumo del suo shampoo.
Makoto cercò di assegnare un'inflessione comica
alla novità. «Vogliono avere un bambino.»
Non era nella posizione per guardarlo in faccia, ma
sentì che Gen smetteva di respirare.
«Cosa?» bofonchiò lui dopo
diversi secondi.
Makoto si sdraiò su un fianco, continuando a
fingere che
fosse un discorso come un altro. «Che follia, vero?
Però... Ami è convinta. Ha detto che lei e Alex
ci
stavano pensando da tempo. Ora che andranno a vivere insieme non ha
più senso aspettare.» Non resistette e si
girò verso di lui.
«Presto noi ragazze diventeremo zie!»
Gen racimolò un briciolo di entusiasmo nel
ritrovarsi davanti la sua faccia. «Già.»
Makoto non diede al senso di disagio tra loro il tempo di
concretizzarsi. «Non
essere cattivo con Alex quando gli parlerai di questa cosa. Se lui ha
deciso... Congratulati e basta.»
Gen se la prese per essere stato giudicato un insensibile.
«Non gli importerebbe certo del mio parere. Comunque... ci
avranno pensato parecchio.»
«Due come loro? Senza dubbio.»
Per qualche secondo nessuno dei due seppe cos'altro dire.
Alla disperata ricerca di un argomento, Makoto si
focalizzò sul libro che teneva tra le mani, sollevnadolo a
mezz'aria. «Adesso mi odierai...»
«Oh, no. Stai di nuovo per paragonarmi agli uomini
delle tue storie?»
Lei si morso un labbro. «Solo un pochino.
Sai che tu non mi hai mai scritto una lettera?»
«Una lettera? Con dentro cosa?»
«Frasi. Frasi carine.» Rise vedendo la
faccia stranita di lui.
«Nemmeno nel libro la protagonista aveva ricevuto una lettera
dall'uomo che amava. Ma le sarebbe piaciuto. E sai cosa mi è
venuto in mente? Tu non mi hai mai scritto lettere, ma hai fatto quel
disegno di me nella pasticceria. È stata una cosa
tremendamente
romantica.»
«Romantica? Era un regalo.»
«Mi ha fatto capire che pensavi a me. Era
come una lettera d'amore. Forse quello è il momento in cui
ho
iniziato a innamorarmi seriamente di te.»
«Col disegno?» Gen era incredulo.
«Sì. Un giorno me ne farai un
altro?»
«Se vuoi...»
Makoto baciò un angolo della sua bocca, adorando la
sua confusione. «Credevi di avermi fatto innamorare per
qualcos'altro?»
«Hm, sì. Per esempio, per aver aspettato
a baciarti.»
«Anche quello è stato tremendamente
dolce, però...»
Come poteva spiegargli? «Il disegno comunicava che riempivo
così tanto i tuoi pensieri che non potevi fare a meno di
fare
qualcosa per esprimere quello che provavi. E mentre disegnavi il mio
viso, lo ricordavi; significava che ti ero rimasta
impressa nei dettagli... Mi avevi guardato desiderandomi, magari senza
neppure accorgertene.»
Lui sorrideva. «Ho capito, ho capito. Sei
soddisfatta solo quando invadi ogni angolo della mia mente.»
Makoto gli salì sopra, a cavalcioni.
«Esatto!»
Mentre veniva abbracciata, appoggiò il mento sulla
sua spalla e si permise di comunicargli
un piccolo desiderio. «Un giorno mi scriverai due righe?
Qualcosa di
semplice....»
«Va bene.»
Oh, avrebbe conservato quelle parole come un cimelio prezioso,
per l'eternità. Per secoli interi.
«Tu non hai intenzione di scrivermi
qualcosa?»
Si lasciò travolgere da un sorriso. «Ti
piacerebbe?»
«Qualcosa di hot sarebbe stuzzicante. Con tutte le
cose che leggi...»
«Perverso!»
«Ho i miei gusti, Mako!»
«Hm...» Si tirò lievemente
indietro, ispirata. Tracciò
un dito lungo il suo stomaco. «Vuoi che ti descriva cosa ti
farei quando sei a mia disposizione, come ora?»
«Oh, sì.»
Makoto si lasciò prendere dalla vena letteraria.
«Allora... »
Alla fine, più che raccontare, mise in pratica, ma
Gen non trovò nulla di cui lamentarsi.
Gennaio 1998 - Amici che
vanno avanti
NdA:
Lo stallo di questa raccolta si è momentaneamente
interrotto, perché ho già in mente l'episodio di
febbraio. Finora, come sottolineato anche qui, i due ancora soffrono in
silenzio e non parlano di quello che sarà il loro futuro. Ma
nel febbraio del 1998 le cose cambieranno. In meglio o in peggio? Lo
scoprirete nel prossimo capitolo.
Per spingermi a scriverlo presto ditemi che pensate di questo
;)
Elle
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e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 17 *** Febbraio 1998 - Lettera d'amore ***
Corrente naturale
Corrente
naturale
di ellephedre
Febbraio 1998 - Lettera d'amore
«Un ragazzo ti ha mai scritto qualcosa,
Shori?»
Sua sorella stava sistemando i capelli davanti allo specchio e
si
fermò nell'atto di allacciare la coda, alta sulla nuca.
«Perché me lo chiedi?»
«Per sapere» rispose Gen. Si stava
scervellando da giorni su cosa scrivere a Makoto, faticando
non solo a scegliere le parole, ma persino gli argomenti.
Shori era sospettosa, non era da lui farle simili domande.
«A che ti serve?»
Confessare era l'unica opzione. «Sto
cercando di
capire cosa vuole leggere Makoto. Mi ha chiesto di scriverle
una
lettera.»
Il sorriso di sua sorella si allargò fino a
tagliarle in due la faccia. «Scriverai una lettera d'amore
per San
Valentino?»
Lui cercò di non imbarazzarsi: non era certo il
primo a fare qualcosa di sciocco per la propria ragazza.
«Allora?
Da donna, cosa vorresti leggere in una lettera del
genere?»
«Be', i tuoi sentimenti.»
Era un suggerimento troppo generico. «Makoto li
conosce
già. In che modo dovrei infiocchettarli? Serve che parli di
episodi specifici o...?»
«Se pensi che dire cose romantiche equivalga a
infiocchettare,
parti già col piede sbagliato.» Shori
incrociò le braccia, dandosi l'aria di donna saggia. Adorava
mettersi sul suo stesso piano, le volte che Gen lo concedeva.
«Mi piacerebbe istruirti, ma non sono la
persona adatta: io sono come te, mi vergogno persino a
sentire 'mi piaci'. Chiedi a Miki. Lei ha già
ricevuto qualche
lettera d'amore.»
Lui cercò di non trasalire. Stavano parlando di sua
sorella di quindici anni, che la sera indossava
ancora il pigiama con gli orsetti?
Shori capì il proprio errore. «Ops. Non
dovevo dirlo?»
Nessuno lo aveva informato di possibili pretendenti, di sicuro
di proposito. Sospirò e prese la via delle scale, diretto al
foglio bianco
che lo attendeva sulla scrivania.
Shori lo chiamò dal basso. «Non rovinare
la festa a Miki! Ha dei piani per San Valentino!»
«Non farò niente»
dichiarò rassegnato.
Non si sarebbe neppure confrontato con Miki sulle sue
preferenze in materia di lettere d'amore. Aveva già fatto un
grande sforzo per parlarne con Shori, davanti a sua sorella minore si
sarebbe sentito
troppo stupido. Doveva conservare un minimo di
autorità. Restava il problema: mancavano un paio di
giorni a San
Valentino. Forse doveva andare in qualche biblioteca, a cercare esempi
di missive romantiche.
Nella sua stanza ricadde col sedere sulla sedia, abbandonando
la testa
all'indietro.
Tutti quegli sforzi stavano rendendo l'intera
operazione troppo costruita. Ormai non aveva problemi
a dire a Makoto 'ti amo', tutte le volte che lei voleva
ascoltare quella
dichiarazione. Ma si
sentiva
ridicolo a scrivere su carta simili parole, per di più
elaborando sul concetto. Aveva provato ad andare a braccio, ma
ne era saltato fuori un
testo penoso.
"Da quando ti conosco, sto bene ogni giorno con te.
Ti scrivo questa lettera per farti un regalo di San Valentino,
perché voglio farti felice.
Non so bene cosa dire, ma... mi piaci. Mi piace tutto di te.
Ti amo - ormai riesci a farmelo dire senza problemi -
al
punto che te lo sto scrivendo in una lettera..."
Rileggendo le quattro righe, si era reso conto che sembrava
venisse costretto a buttare giù quel testo, come se non ne
avesse alcuna voglia. In parte era la verità, ma persino lui
capiva che non era il caso che trasparisse. Perché
poi si stava impegnando tanto?
Probabilmente Makoto si era già dimenticata della piccola
promessa che gli
aveva estorto. Di certo non se la aspettava come regalo di San
Valentino. In teoria lui avrebbe potuto rimandare, ma... tergiversare
era contro la sua natura. Non serviva a nulla e non faceva che
nascondere il pensiero che aveva rimandato in un angolino della
mente. Poi se lo
ritrovava in testa nei momenti più inaspettati, a
ossessionarlo. Meglio
liberarsene e basta.
... liberarsene? Era proprio l'emblema del romanticismo.
D'impulso iniziò una nuova lettera. "Non sono un
romantico" scrisse.
Alla nuova riga rimase con la penna sospesa per aria, non
sapendo come proseguire.
Shori aveva detto che una ragazza in una lettera voleva
leggere i suoi sentimenti. I suoi veri sentimenti - lasciando stare
l'imbarazzo che lui provava all'idea di metterli per
iscritto. Pertanto la domanda che doveva farsi era solamente... 'Cosa
provo per Makoto?'
Aveva una risposta ben definita in testa, articolata in impeti
ed
ansie che non erano adatti ad una lettera
d'amore. Chissà
come mai Makoto voleva vedere i suoi pensieri impressi in un
foglio. Forse per leggerli, rileggerli e... Intuendo la
verità, Gen
appoggiò la punta della penna sulla carta.
Le parole aleggiavano nell'aria, transitorie. Gli scritti
invece rimanevano eterni, ad imperitura memoria. Dunque, era
questo? Makoto continuava a pensare a un
periodo in cui non
sarebbero più stati insieme?
Avrebbe potuto andare da lei a dirle di smetterla con quelle
paure, ma non ne aveva diritto. 'Per sempre' era una promessa che non
riusciva
a esprimere a fronte della vita che Makoto avrebbe condotto. A volte
si convinceva che, se si fosse trattato solo di lui...
Ma aveva delle
persone per cui era responsabile. Sua madre, Shori e Miki. In
qualunque cosa si fosse invischiato rimanendo con Makoto, avrebbe
trascinato la sua famiglia con sé - anche se si fosse
allontanato da loro. Non poteva prendere una simile decisione per altre
tre persone.
Inoltre lui amava Makoto - da morire
- ma non era sicuro che avrebbe amato l'esistenza eterna e impostata in
cui lei lo avrebbe costretto a vivere. Non era nemmeno certo che
l'avrebbe amata Makoto stessa, ma... se era Giove, col tempo lei si
sarebbe
adattata.
Quindi la lettera poteva servirle come ricordo?
Se lui fosse stato codardo - o sensato, doveva ancora capirlo
- un giorno lontano, molti anni dopo che si fossero separati, Makoto
avrebbe riletto quella lettera, ricordandosi del ragazzo che tanto
aveva
amato in passato. Solo pensarci gli comprimeva il petto.
Non voglio lasciarti.
Con quelle parole lui avrebbe espresso un sentimento
onesto,
ma
contraddittorio se in futuro avesse finito con l'interrompere
la loro relazione.
O magari sarebbe stata Makoto a mollarlo. Era innamorata di
lui,
ed
era estremamente paziente con la sua indecisione, ma tra qualche tempo
poteva stufarsi di non avere un responso chiaro sul loro
futuro insieme.
Il foglio con un'unica riga lo guardava di rimando, carico di
significati che solo lui poteva assegnargli.
Non gli andava più di partire con 'Non
sono un romantico'. Appallottolò quell'ennesima
prova e fece scivolare sulla scrivania un
foglio nuovo, intonso, deciso a scrivere poche affermazioni chiare -
senza contesto, giusto per cominciare.
Ti amo.
Banale, ma vero.
Amo ogni giorno che passo
con te.
Sempre banale e ancora più sdolcinato, ma
altrettanto vero.
Cercò di farsi venire in mente dei momenti a cui
fare
riferimento, delle sensazioni... Qualcosa che gli permettesse di
scrivere ciò che provava senza esprimere concetti
conflittuali.
Non potevano esserci 'se' o 'ma', né promesse che non era
certo di poter mantenere o
cose dette a metà.
Adoro i tuoi occhi verdi.
... era uno scrittore patetico. Ma già che c'era...
Vorrei guardarli per il
resto della mia vita.
Rileggendo, rallentò il respiro. Quel
desiderio non era una specie di
promessa? No. Se
voleva guardare gli occhi di Makoto per il
resto della sua vita, non gli bastava chiederlo a lei. Era
possibile che un giorno Giove non
avrebbe più voluto essere legata a un misero
essere umano.
Lui non si figurava in testa una Makoto
crudele, che di punto in bianco gli diceva che tra loro era finita. Lo
immaginava accadere lentamente. Lei che si prendeva sempre
più
responsabilità di governo. Lei che si occupava di
cose più
grandi di loro, accorgendosi col tempo che un ragazzo che voleva solo
una vita comune non era la persona adatta a stare al suo fianco.
Nel proprio futuro Gen aveva immaginato la rincorsa verso il
sogno di diventare
architetto. Col tempo, una famiglia. Quando si fosse sentito pronto,
dei figli, perché no? Tutto ciò mentre
continuava a lavorare ai propri
progetti. In quello scenario riusciva a vedere Makoto accanto a
sé, con la sua pasticceria. Ma lei avrebbe
abbandonato il negozio tra non più
di tre anni. Avrebbe
detto addio a tutti gli sforzi che stava facendo in quei mesi per
dirigersi verso una vita che le richiedeva responsabilità
immani. Lei non lo stava mettendo in dubbio: era serena,
sicura. Il problema era solo suo, che non riusciva a capire
la
determinazione con cui lei era disposta a rinunciare a tutto quanto.
Tuttavia, proprio per questo...
"Adoro i tuoi occhi verdi.
Vorrei guardarli per il resto della mia vita."
Era vero, no? Non era una promessa, era semplicemente quello
che provava.
Se avesse potuto, avrebbe scelto di guardare Makoto negli
occhi ogni giorno, per quel che rimaneva della sua semplice esistenza.
Makoto non stava più nella pelle: era arrivato San
Valentino! Lei e Gen erano in strada, davanti a un cinema, in fila per
comprare i biglietti di una pellicola che smaniava di vedere da
settimane. «Sicuro di voler vedere questo film
proprio oggi?»
Gen la teneva a braccetto, stringendosi nel cappotto nero che
aveva indossato - il più elegante che possedeva.
«Sono sicuro, ne parli
da settimane. Non
troviamo mai il tempo - o la voglia. Nel weekend ti ho fatto restare a
casa troppe volte.»
Come se lei avesse protestato. «Anche io ero stanca,
non mi
andava di uscire.» Nel giorno di pausa dal lavoro dedicava
volentieri quel poco di energia che aveva a lui.
«Di questo passo» ragionò Gen,
«il film sarebbe andato fuori programmazione.»
A lei non sembrava. «Titanic continua a incassare
tanto.
Sono curiosa! Ha fatto piangere persino Ami - e Rei, che è
un
cuore di pietra glaciale per queste cose. Dice sempre che non si fa
incantare
dalle sdolcinatezze, ma se questo film l'ha commossa...»
«Siamo già qui, non devi
convincermi.»
In un certo senso aveva cercato di convincere se stessa.
Adorava l'idea di vedere un film romantico col suo ragazzo, ma San
Valentino
per quanto la riguardava era un giorno dedicato a tutti e due. Voleva
che Gen se lo godesse almeno quanto lei e non le sarebbe dispiaciuto
troppo se lui avesse deciso di farla uscire da quella
fila, magari per portarla in una bella camera d'albergo. Lei avrebbe
pagato volentieri la metà, non era questione di soldi. San
Valentino era una notte magica. Ovviamente stare con Gen era
un'esperienza preziosa in ogni momento - soprattutto in frangenti come
quelli, in cui lui faceva di tutto per accontentarla.
Aggrappandosi al suo braccio lo tirò a
sé, per stampargli un bacio sulla guancia.
«Grazie.
Prometto che
dopo
non sarò troppo stanca per passare altro tempo insieme.
Domani
non
apro il negozio, ormai lo sanno tutti i miei clienti.»
«Fino ad oggi hai fatto gli straordinari.»
Tremava al solo pensiero dell'orda di San Valentino che aveva
appena terminato di affrontare.
«È finita. Piuttosto, mi dispiace di non essere
riuscita a
prepararti un dolce più elaborato...»
Lui digrignò i denti. «Visitando il tuo
negozio mangio cioccolato da settimane. Sono pieno.»
Le uscì una risatina. «L'anno scorso
sono stata più brava.
Quest'anno il
nostro San Valentino è incentrato su te che mi porti a
vedere un
film che voglio io, ma il prossimo anno...» Si interruppe,
senza
volerlo. Presumere che sarebbero stati insieme tra dodici mesi era
azzardato.
Gen aveva voltato la testa nella sua direzione.
Legò gli occhi scuri ai suoi per qualche interminabile
secondo, senza sbattere le palpebre. Poi prese una
decisione. «Il
prossimo anno
organizzerò io qualcosa di speciale.»
Nel cuore di Makoto si diffuse un calore corroborante,
dilagante. Gli bastava una parola, un'intenzione, per renderla
completa, viva, una supernova di felicità e commozione.
«Va bene.» Nascose la faccia contro la sua spalla.
Gen la conosceva abbastanza da capire cosa stesse cercando di
nascondere. «Non piangere prima che sia iniziato il
film. Non ho portato abbastanza fazzoletti.»
Aveva ragione lui, non era tempo di lacrime. «Ne ho
portati io. Magari ne servirà qualcuno anche a
te.»
«Per il film? Non penso.»
Capiva la sua perplessità, ma... «Ami ha
detto che Alex si è
commosso.»
«Golden boy non fa testo.»
Oh, era il solito! «Anche Yuichiro è
rimasto colpito. E
Usagi ha detto che secondo lei persino Mamoru era strano dopo il
film.»
Messo davanti all'evidenza, Gen mostrò i primi
dubbi.
Lei era ansiosa di sapere come avrebbe reagito. Si sarebbe
girata a guardarlo in continuazione, per tutta la durata della
pellicola. Non
vedeva l'ora di entrare in sala.
Tre ore e mezza più tardi, la notte era calata su
Tokyo e il
viso di Makoto era rigato di lacrime appena asciugate. Tanta commozione
metteva Gen a disagio: gli faceva venire voglia di abbracciarla e
rattristarsi insieme a
lei. «Dài»
la incoraggiò, mentre si
muovevano verso la
macchina. «Quei due si sono ricongiunti nella morte,
no?»
Invece di consolarla, le sue parole la confusero.
«Ma Rose non
era morta.»
«Come no? Si addormentava e sognava il
tizio mentre
tornava giovane. Non è possibile solo
nell'aldilà?»
Makoto si perse in una breve riflessione. «Secondo
me era solo un sogno. Rose
ha
rivisto Jack da giovane perché si trovava sopra il Titanic,
nel
mare. Dopo il racconto che aveva fatto agli altri, i ricordi
erano freschi nella sua mente. Chissà quante volte era
tornata
indietro nel tempo, nei suoi sogni, con la speranza di rivivere quei
giorni lontani. Presto potrà ricongiungersi con Jack
nell'aldilà,
ma...
non so. Non mi era venuto in mente che fosse morta proprio in quel
momento, addormentata su quel letto. È troppo
deprimente.»
Gen non voleva rattristarla di
più, perciò non insistette con un'idea di cui
continuava a rimanere convinto.
Nell'aria frizzante di metà febbraio, Makoto rimase
aggrappata al suo braccio. «Sai che ti amo come Rose
amava Jack? Anzi, come
Jack amava Rose.»
Simili tenerezze erano proprio da Makoto. «Lo so.
Hai fatto l'impossibile per salvarmi
la
vita, mettendoti a rischio.»
Lei si sorprese, come se non si fosse aspettata un
riferimento
preciso al loro passato. «Già. Ma volevo dire
che...» Lo guardò in volto. «Mi rende
felice la sola
idea che tu sia vivo. Ora ti sono vicina, però... se fossi
lontano da me, mi
basterebbe sapere che tu stai bene. Penserei a te anche da morta,
vegliandoti.»
Abbozzò
un sorriso, rendendosi conto dell'esagerazione che le era uscita di
bocca. «Ti aleggerei intorno come un fantasma invadente!
Rimarrò viva, non preoccuparti, così non ti
infesterò la vita.»
Gen la strinse con più forza, involontariamente.
Non poteva
immaginarla morire prima di lui. «Tu vivrai per mille
anni.»
Makoto smise lentamente di camminare. «Me ne
basterebbero
altri cento.» Fece una pausa, più pregnante di
quello che
aveva inteso. «Anzi, me ne basterebbero cinquanta se
significasse che non vivrei un solo giorno più di
te.»
Come faceva a mandargli sempre in pezzi il cuore? Per rimanere
integro
Gen la strinse con entrambe le braccia, baciandola.
Continuò a respirare solo per l'ardore con cui
lei rispose
a ogni suo gesto, tenendogli la testa tra le mani, mentre lui affondava
le dita nei suoi capelli.
Non poteva darle proprio ora le tre righe strimizinte che
aveva
scritto
nella sua patetica lettera. Alla fine non era riuscito ad aggiungere
altro e le sue misere dichiarazioni sembravano ancora più
povere
dopo tutto il
romanticismo del film.
Staccandosi, Makoto respirò contro le sue labbra.
«Portami a casa prima che San Valentino finisca.»
A letto, dopo aver dissetato la loro passione, Gen non
riuscì a
rimanere sdraiato sulla schiena come suo solito. Avevano spento la luce
e avrebbe dovuto dormire, ma rimaneva sdraiato su un fianco,
con
una
mano che sfiorava la schiena di Makoto e l'altra che, dall'alto, le
muoveva indolentemente qualche filo di capelli. Lei aderiva al suo
corpo in
pace, le gambe intrecciate alle sue senza emettere suono.
Gen si concentrò sul calore della pelle sotto le
sue mani e a non
più
di un centimetro dalla bocca. L'odore dolce e inteso di Makoto
gli penetrava nelle narici. Non avrebbe potuto
percepirla maggiormente nemmeno se fosse riuscito a guardarla in
faccia, alla luce. Appoggiò le labbra sulla sua
fronte, piano. Scese sul naso, donando anche lì un
bacio. Lei emise un sospiro beato.
Fermandosi, lui le scostò la frangetta.
«Non smettere.»
Era un ordine che lo rendeva felice. «Se fosse per
te,
dovrei baciarti sempre.»
«Hm-hm.»
Accontentarla era un piacere. Procedette con più
calma, quasi
cercando di infliggerle una piccola tortura. O forse, era
semplicemente bello prendersi il tempo di percepire appieno
ogni singolo
contatto di labbra, dal momento in cui appoggiava la bocca sulla
sua pelle fino a quando produceva quel piccolo suono bagnato,
separandosi
da lei.
«Gen?»
«Hm?»
Per lunghi secondi Makoto non proseguì, privando
l'aria persino del suono del suo respiro.
«Non lasciarmi andare finché
proprio non potrai.»
Lei doveva smetterla: con una sola frase era capace di
mandarlo in paradiso o gettarlo negli inferi della disperazione.
«Cosa vuol dire?»
«Solo... avrò sempre bisogno di un altro
di questi
baci.» Makoto si mosse contro il suo corpo, allungandosi,
baciandolo
sul mento, sulle labbra, con delicatezza infinita. Lo
abbracciò con la stessa cura.
«Non lasciarmi senza l'ultimo bacio. Mi farebbe male non
averlo
ricevuto.»
Il solo pensiero già gli generava dolore.
«E dopo
l'ultimo?»
Vi fu un lungo silenzio.
«Non lo so. A volte parlo senza pensare.»
A Gen non riusciva. Proprio perché non
sapeva cosa
dire - o promettere - riempì Makoto di baci e amore
disperato.
Nei due giorni successivi Gen percepì che Makoto si
comportava in maniera anomala. Strano, pensava che la loro serata di
San Valentino si fosse conclusa
bene. Alla fine si era lasciato sfuggire persino qualche dichiarazione
particolarmente romantica: era arrivato a citare il testo della
canzone finale di Titanic, traducendolo per Makoto, che non aveva la
sua stessa padronanza dell'inglese. Lei gli era parsa
serena la mattina dopo, ma nelle ultime due chiamate che si erano
scambiati aveva avuto poco tempo per parlargli e sempre
qualcos'altro da fare. A lui non sembrava casuale.
La chiamò di nuovo quella sera, per avvertirla che
sarebbe passato a trovarla al negozio, all'ora di chiusura. Lei lo
fermò subito. «Oggi ho una cosa da fare a casa di
Ami.»
«Ah... okay.»
«Possiamo vederci dopo?»
Rasserenato, lui annuì. «Passo a
prenderti,
fammi sapere
quando.»
Alle otto si trovava sotto casa Foster. Makoto era appena
uscita dal portone e stava correndo verso il suo furgone, raggiante.
L'ondata di allegria lo stranì. «Tutto a
posto?»
«Sì!»
«Come mai ridi in quel modo?»
Makoto si moderò. «Ecco... abbiamo
parlato del matrimonio di Ami! Ho avuto la conferma che farò
io la torta! Realizzerò anche delle statuine, come per
Usagi. Cercherò di farle ancora più carine e
precise ora che ho tempo!»
Se il suo entusiasmo era dovuto a quello, era comprensibile:
Makoto adorava creare con le mani, nei piccoli lavoretti metteva tutta
se stessa. Lui la
capiva: quando realizzava i propri disegni si impegnava allo stesso
modo.
Nel tragitto verso casa Makoto gli parlò per esteso
dei progetti che aveva per la torta. «Con cinquanta invitati
ci vorranno almeno cinque strati. Magari potrei fare una composizione
variegata... Sai, non una torta classica a piramide. Devo
chiedere cosa preferiscono.»
Arrivarono davanti al condominio in cui abitava.
«Sali?» gli chiese lei.
Gen si era dimenticato di precisare. «Domani devo
essere
in un posto alle sette e mezza. E mi sono dimenticato di portare
vestiti di ricambio.»
Lei si rammaricò con lui. «Sono a casa
tua, vero?»
Già. «Vorrei salire, ma se mi addormento
nel tuo letto...»
«Poi non ti svegli più.
Non preoccuparti, guarda che viso
stanco che hai. Cos'hai fatto oggi?»
«Gli altri mi hanno chiesto una mano per una
ristrutturazione.
Ne ho approfittato, mi hanno pagato bene.»
Makoto conosceva il vero motivo dei suoi sforzi. «Lo
hai fatto perché ti è piaciuto, non per i
soldi.»
Ebbene sì. Gli mancava il lavoro manuale. Ogni
tanto aveva bisogno di costruire qualcosa.
Sorridendo, lei decise di intrattenerlo con qualche
chiacchiera prima di salutarlo. «Ti confesso una
cosa. Andrò a rivedere Titanic con le ragazze.»
Gen cercò di non fissare il soffitto con troppa
esasperazione. «Ancora?»
«Tutte vogliamo guardarlo di nuovo, questa volta
insieme! Minako ha un sacco di commenti da fare ed Ami vuole vederlo al
cinema per la prima volta. Sullo schermo di un aereo non
rende.»
Titanic era proprio il film per ragazze perfetto: anche le sue
sorelle
ne erano state conquistate.
«Rei» gli raccontò Makoto, «ha
avuto l'ispirazione per un'altra canzone romantica.
Non
venderà come quella di Celine Dion, ma ho sentito qualche
strofa
ed è stupenda! Rei è bravissima con le parole,
butta lì tutti i sentimenti romantici che normalmente
nasconde.»
A proposito di quelli.... Gen ricordò che in
macchina
aveva ancora la busta con la lettera che
non era riuscito a consegnarle. Anche se era incompleta, magari a lei
avrebbe comunque
fatto piacere leggerla. «Senti...» Si
sporse ad
aprire il vano nel cruscotto, dal suo lato. «L'altro giorno
mi sono ricordato di una
cosa che mi
avevi chiesto. La stavo preparando per San Valentino, ma alla fine il
risultato non mi ha convinto. Non è una lettera
nel vero
senso della parola, sono appena tre righe... Prendila come una
prova, okay? Dammi dei suggerimenti, così potrò
scrivertene
una migliore.»
Comprendendo cos'aveva in mano, Makoto sussultò.
«È una lettera d'amore?»
Sentir associate a lui quelle parole lo imbarazzò.
«Più o meno. È una bozza.»
Senza perdere tempo, lei estrasse il foglio dalla busta e
lesse.
"Ti amo
Amo ogni giorno che passo con te.
Adoro i tuoi occhi verdi.
Vorrei guardarli per il resto della mia vita."
Il silenzio che si diffuse nell'abitacolo durò a
lungo. A
disagio, Gen deglutì. Makoto
non stava reagendo in alcun modo. Guardava le parole della lettera e
non
diceva nulla.
Mantenendo un certo contegno, lui evitò di
incalzarla e si
mise a fissare il volante, in attesa. Non le avrebbe domandato se era
stato troppo sdolcinato. Non avrebbe denigrato ulteriormente la propria
incapacità di scrittura, né avrebbe detto o fatto
qualunque altra cosa
che lo facesse passare per uno stupido più grande di quello
che
già era.
Udì un rapido inspirare. Gli occhi di Makoto erano
diventati lucidi.
«Mako, non...»
A lei tremarono le labbra. Un singhiozzo improvviso la
costrinse a coprirsi la faccia.
«È bellissima! È perfetta
così,
la terrò per sempre!»
... quindi era come aveva creduto: la lettera era
pensata per diventare un ricordo.
Non riuscì a frenarsi; non ce la
fece proprio più. «Ci sarò io a dirti
queste cose di persona. Per sempre.»
Scoppiando a piangere, lei si arrampicò oltre il
cambio, salendogli in
braccio.
Lui cercò di non farsi travolgere dalla stessa
infelicità, o l'avrebbe stritolata. La consolò
strofinandole la schiena,
parlando anche a se stesso. «Basta. Basta.»
Lei annuì contro il suo collo, deglutendo e
tentando di respirare.
«Domani» le disse. «Domani
andiamo insieme da Ami, okay? Le chiediamo di studiarmi
col
suo computer. Così cominciamo a capire come funziona
questa cosa del... dell'immortalità.»
Con un sussulto, lei smise del tutto di singhiozzare.
«... Veramente?»
Sì, pensava di sì. E al diavolo
tutto il resto, almeno per il momento. Andando avanti con
quella incertezza si sarebbe distrutto da
solo.
Nemmeno la sua famiglia avrebbe voluto vederlo in quello
stato.
Makoto non si era ancora scostata per guardarlo. Dopo un po'
appoggiò il viso contro il suo collo. «Adesso non
credo di
riuscire a lasciarti andare.»
Andava bene lo stesso. «Dormo da te e mi sveglio
alle
cinque. Mi inventerò qualcosa.»
Le braccia di lei lo strinsero energicamente, con quell'ardore
che lui non si era concesso, per non scoppiare.
«Non so
se ti merito.»
Certo che sì. Dio, certo che sì.
Makoto avrebbe dovuto sentirsi felice. Era immensamente
felice, ma al
contempo era preoccupata. Cos'aveva fatto promettere a Gen?
In quei giorni, con tutti i suoi piagnucolii, lo aveva fatto
sentire in colpa. 'Non lasciarmi senza l'ultimo bacio' di qui,
'ti
amerò anche
da morta' di là... Lui teneva moltissimo a lei, per forza si
era
sentito in dovere di replicare a modo e di farla sentire
meglio. Makoto sapeva di esagerare riducendo le sue intenzioni in quel
modo
- c'era la lettera, dopotutto - ma...
Nel buio della notte, guardò il viso di lui senza
riuscire a
dormire.
Le sembrava di essere un'enorme egoista. Stava andando tutto
come
voleva lei: avrebbe avuto il suo potere, il suo destino Sailor e un
ragazzo che la amava così tanto da sacrificarsi pur di
starle accanto per l'eternità che doveva affrontare.
... non era giusto.
Dov'era il lieto fine di Gen? Non poteva incentrarsi
completamente su di lei, lui non era quel tipo di ragazzo.
Gen sarebbe stato felice rinunciando al suo sogno di
diventare
architetto? Oh, un giorno lontano avrebbe finito col progettare la
nuova Crystal Tokyo, ma ci sarebbe voluto molto tempo.
Come avrebbe
potuto acquisire esperienza rimanendo a fianco di una persona che
avrebbe messo in pericolo la sua vita? Sarebbe stato in grado di
trovarsi un lavoro? Sarebbe stato sicuro per lui muoversi per il mondo
senza un qualche tipo di protezione? Delle guardie del corpo lo
avrebbero soffocato. Magari, tutti insieme, sarebbero riusciti a
inventarsi uno scudo magico o qualcosa di simile per proteggere le
persone che amavano, ma non era una soluzione che poneva fine
a tutti i problemi. La
loro presenza sarebbe
stata ingombrante nelle vite di coloro che si sarebbero trascinati
dietro.
A Gen per esempio non sarebbe piaciuto quando, presentandosi
a
qualcuno, gli altri avessero visto prima di tutto il suo collegamento
con lei. Non sarebbe stato Gen Masashi, architetto, bensì
Gen, il compagno di Giove.
Per non parlare di tutto il resto. Per lui sarebbe stato
devastante
perdere
la sua famiglia. Sua madre, le sue sorelle... Miki e Shori,
lentamente, sarebbero diventate più vecchie di lui. Un
giorno
Gen sarebbe stato come lei, solo al mondo. Guardandosi attorno si
sarebbe accorto di
essere circondato unicamente di ricordi. Ecco cosa significava
per loro parlare insieme di
immortalità.
Per non svegliarlo, Makoto cercò di non
accarrezzarlo con troppa energia.
Voleva passare il resto della sua vita con lui, ma non avrebbe
mai dovuto accettare alcuna promessa da parte sua.
Il giorno dopo, l'aiutò molto che Gen avesse da
lavorare.
Avrebbe dovuto essere un giorno di riposo per lei, ma siccome
la
sua testa era piena di pensieri, nulla le serviva più che
impegnare le mani, per distrarsi.
Pulì la casa da cima a
fondo,
in appena una mattinata. Il pomeriggio si diresse al negozio, decisa a
dare una pulita generale anche al locale. Lei e la sua assistente -
Eleonora-san - erano scrupolose in cucina, ma magari si erano fatte
sfuggire qualche angolino impolverato nella zona in cui sostavano i
clienti. Aveva dato una controllata al meteo: si prevedeva bel tempo,
pertanto avrebbe dato una ripassata alla vetrina esterna. La
sera
sarebbe tornata a casa in tempo per preparare a Gen una buona cena. Era
da un po' che non mangiavano qualcosa di elaborato.
Non si erano accordati per cenare insieme, ma dopo il loro
ultimo discorso era certa che lui sarebbe passato, per
discutere di quando andare trovare Ami. Lei però era sempre
più certa che fosse meglio aspettare.
Alle tre del pomeriggio, mentre era fuori dal negozio con
secchio e
stracci, fece un incontro che non si aspettava.
«Ami!»
La sua amica era avvolta in un cappotto rosso, un colore
inusuale per
lei. Al collo portava una sciarpa bianca e in testa indossava un
berretto di lana molto femminile, con una decorazione floreale. In mano
teneva un pacchetto. «Ciao, Mako-chan. Scusa la
sorpresa.»
«Come facevi a sapere che ero
qui?»
Con un po' di imbarazzo, Ami picchiettò la borsa
che le
pendeva dal braccio. «Ho controllato la tua posizione col
computer.»
Makoto cercò di non ridere troppo forte.
«Mi pedini!»
Ami accolse lo scherzo. «Non volevo disturbarti, ma
ero in giro e
volevo darti questo.» Allungò
nella sua direzione il pacchetto,
attendendo che
lei avesse le mani libere per riceverlo.
«Che cos'è?»
«Un libro di quelli che piacciono a te. Ho fatto
delle
ricerche, è un titolo valido. Se ce l'hai già
dimmelo,
ho conservato lo scontrino.»
Makoto non si era attesa un regalo. «Non
è il mio compleanno.»
«È solo un pensiero» si
giustificò Ami. «Per quello che hai
fatto per me e
Alex l'altro giorno. È grazie a te se ora posso parlare con
tutti del mio stato, senza ansie.»
La stava ringraziando per la previsione che lei aveva chiesto
a
Usagi
e Rei, con riguardo al suo futuro con Gen. Il rischio era stato quello
di ricevere una risposta che non le sarebbe piaciuta, ma per Makoto ne
era valsa la pena. Il suo scopo era stato quello di
capire se le loro amiche fossero in grado di vedere il futuro quando si
trattava di questioni molto personali, che riguardavano proprio i
membri del loro gruppo. Usagi e Rei avevano confermato di
non riuscire a prevedere se Gen sarebbe rimasto nella sua vita per
sempre e Makoto aveva avuto la prova che Ami poteva
raccontare a tutte della sua recente gravidanza, senza il timore di
ricevere brutte notizie
con riguardo al suo bambino.
Makoto era felicissima di essere stata d'aiuto e non si
pentiva di
nulla. Forse però quell'esperimento l'aveva resa
più
vulnerabile alle proprie paure, facendo reagire Gen di conseguenza.
Accarezzò il libro ancora avvolto nella carta da
regalo.
«Non dovevi.»
«Mi ha fatto piacere.» Ami notò
il palo lavavetri
che stringeva tra le dita. «Stai pulendo il negozio? Ti do
una
mano.»
«Oh no, ho praticamente finito! Sai, in
verità capiti a proposito.»
«Hm?»
Caricandosi del secchio, invitò Ami ad entrare nel
locale.
«Ieri
Gen è tornato a interessarsi al mio potere. Sai, a come
può influenzarlo per il futuro.»
Ami comprese subito. «Ykèos?»
«Già.» Cercò di
apparire noncurante, o almeno non eccessivamente preoccupata.
«Tu poi hai studiato più a fondo questo
legame?»
«No, ho solo le informazioni di base. Ti interessava
qualche aspetto in particolare?»
Non voleva che prendesse la domanda per il verso sbagliato,
ma...
«Mi chiedevo se secondo te esiste la possibilità
di...
rescindere l'ykèos.»
Ami sbatté più volte le palpebre.
Makoto agitò le mani in aria. «Amo Gen.
Lo amo
così tanto che vorrei lasciargli la
possibilità di scegliere.»
«Ma certo» comprese finalmente Ami. Si
sedette e
dedicò
grande attenzione al suo problema, riflettendoci su mentre Makoto
andava a
svuotare il secchio con l'acqua sporca.
Quando lei tornò nella parte anteriore del negozio,
Ami
aveva
elaborato una prima riflessione. «Non so se sia possibile
rescinderlo
volontariamente, se non smettendo di amare una persona. Ma non credo
che
questo legame sia stato pensato per essere una costrizione, sai? Se
qualcuno non volesse questo 'dono',
è
possibile che esista un meccanismo per non imporlo.»
Era una speranza. «Anche continuando ad amare la
persona?»
L'espressione di Ami non lasciò presagire una
risposta
positiva. Nel suo sguardo entrò una nota di pena. Stava
immaginando ciò che Makoto aveva in mente: lasciare libero
Gen, se necessario, pur faticando a dimenticarlo per anni - decenni
persino.
Makoto cercò di spiegarsi. «È
solo un'ipotesi, non so ancora cosa voglio. Cioè, so che vorrei
passare il resto della mia vita con Gen, come tu con Alexander.
Ma ci sono aspetti del nostro futuro su cui lui non ha
ancora riflettuto a sufficienza e...»
Nel volto di Ami si aprì un mondo di comprensione.
«So cosa vuoi dire.»
Giusto. «Avevi paura anche tu, per Alex.»
Ami sorrise, come se il riassunto fosse un eufemismo. Smise di
preoccuparsi
di se
stessa e tornò a pensare a lei. «Non mi sono mai
concentrata sull'ykèos però. Pensavo che, col
tempo, se
Alexander avesse deciso di allontanarsi da me, avrei smesso di
trasmettergli una parte del mio potere.»
«Lo avresti dimenticato?»
Ami non disse niente.
«Avresti messo di amarlo?»
La sua amica diede voce alla desolazione che lei gli stava
trasmettendo. «Temi di non riuscire a dimenticare Gen anche
se
non lo vedessi mai più.» Non fu una domanda.
Sentire quelle parole ad alta voce mise Makoto in ansia.
«Sto solo ipotizzando, davvero. Non mi
piace l'idea di intrappolare Gen. Vorrei potergli dire che sarebbe
libero
di vivere una vita normale se scegliesse... un'altra strada, lontano da
me.»
Ami tirò fuori il computer della borsa.
«Non sono in
grado di dirti niente finché ne parliamo solo in teoria.
Inizio
ad immagazzinare dati.»
Era sensato, ma non mancava uno dei protagonisti principali
della ricerca? «Gen non è qui.»
«Oh, ecco io...» Ami dibatté
con se stessa prima
di parlare. «Non volevo farti preoccupare, ma dopo quello che
abbiamo scoperto su Yuichiro - e dopo che Alexander è stato
molto
male quel paio di volte, l'anno scorso... non ho voluto correre rischi
con Gen. Ho creato una scheda per lui sul computer, quindi adesso sono
in grado di rintracciarlo e studiarlo ovunque si trovi.»
«Oh.» Cielo, quanto era stata ingenua.
Si era
preoccupata solo del futuro, ma avrebbe potuto causare problemi a Gen
persino nel presente. «La volta che l'hai
studiato, cos'hai visto?»
Ami teneva gli occhi bassi, come se ancora si vergognasse
della
propria iniziativa. «Non l'ho propriamente studiato. Ho solo
impostato il computer affinché emettesse un suono di
avvertimento se gli fosse successo qualcosa. Una febbre alta per
esempio, come ad Alexander.»
Makoto rabbrividì in silenzio.
Ami digitò più lentamente sulla
tastiera. «Ho
creato una scheda per Gen verso la fine dell'estate, ma adesso che ci
penso...»
«Cosa?»
«Il tuo potere non aveva ancora dato via
all'ykèos allora.»
Makoto boccheggiò. «Ancora
no?»
«Ho pensato che fosse perché... c'era
ancora un pizzico di incertezza tra voi...»
Una nuova idea le entrò in testa a Makoto,
causandole
un
piccolo buco nel cuore. «Pensi che sia possibile per una
persona non accettare il legame, se non è convinta di volere
l'amore che sta ricevendo?»
«Non credo.» Ma nella voce di Ami si era
insinuato il
germe del dubbio. Tornò a dedicarsi al computer.
«Senza
fare altre ipotesi, basta vedere che invece ora...» Si
interruppe mentre il computer emetteva un suono.
Seduta accanto a lei, Makoto si mise sull'attenti.
«Cosa?»
Ami guardava lo schermo e rispose solo dopo aver trovato le
parole per comunicarle la notizia. «Su Gen non
c'è alcuna parte del potere
di
Giove.»
... non c'era?
Sotto choc, Makoto cercò di trovare la forza di
deglutire, di respirare.
Perché stava reagendo in quel modo?
... non era forse ciò che aveva
voluto? Gen era ancora libero di prendere tutte le decisioni
che voleva, in autonomia.
Ma perché non si era instaurato alcun
ykèos tra loro? Forse lei lo amava abbastanza da
non volerlo
ingabbiare? O magari il suo amore era sempre stato monco,
per paura. O forse ancora, nonostante tutto, la
verità era
solo che Gen aveva la
possibilità di rifiutare quel legame.
Inconsciamente, senza
neppure rendersene conto, magari lui aveva tenuto Giove lontano da
sè.
Oh, lei non lo avrebbe biasimato. Non lo avrebbe biasimato
affatto.
Di sera, Gen era più determinato che mai ad avere
delle risposte. Se Makoto non aveva già cucinato qualcosa,
pensava di portarla fuori a cenare, così magari
dopo potevano passare a casa Foster. La chiamò per
non intralciare i suoi piani. Lei rispose al primo squillo.
«Pronto?»
«Ciao, sono in macchina. Pensavo di stare insieme
anche
stasera - sono passato a prendere dei vestiti da casa. Vuoi mangiare
fuori per caso?»
«Ho già preparato qualcosa. Vieni da
me.»
«Okay. Senti, per quello che ho detto
ieri...»
«Dài, non al telefono!» Il
tono,
allegro all'improvviso, gli suonò... tirato. «Ne
parliamo durante la cena.»
C'era qualcos'altro di cui parlare? «Va bene. Arrivo
tra mezz'ora.»
«Ti aspetto.»
Trentacinque minuti dopo era nel suo
appartamento. Entrò in casa, deciso ad affrontare
subito
l'argomento, ma il profumino speziato della cena lo distrasse. Oh.
Ramen e tempura fumanti! Il suo stomaco cantò un inno alla
gioia.
La serenità di Makoto lo convinse che la
conversazione
poteva aspettare.
«Bentornato» lo salutò lei,
aiutandolo a togliere la giacca come una mogliettina premurosa.
Lui non riuscì a trattenersi dall'afferrarla in un
abbraccio
giocoso. Appoggiò sul suo collo un paio di baci veloci, che
la
fecero ridacchiare.
«Lasciami, altrimenti non riesco a servire la
cena!»
Gen tornò sull'ingresso, a liberarsi delle scarpe
Per
amor di ordine, aprì il borsone che aveva portato con
sé
e andò a riporre i vestiti nella parte di
cassetto che Makoto gli aveva offerto. Era meglio occuparsi subito di
quella piccola incombenza, così non ci avrebbe pensato lei.
Makoto era il genere di persona che accettava un po' di disordine in
casa, ma per via del poco spazio a disposizione aveva imparato a non
lasciare in giro neppure un po' di caos, pena l'esserne piano piano
sommersa.
Gen mangiò con gusto la cena di tre portate.
Durante il pasto
finì col notare il modo in cui lo sguardo di Makoto vagava
nel
nulla.
«Pensi che Ami e Alexander» le
domandò, «siano tipi da accettare una piccola
visita serale?»
La frase focalizzò l'attenzione di lei.
«Gen.»
Lui rimase in attesa.
«Oggi Ami è passata a trovarmi al
negozio, per caso.»
«Ah.»
Il silenzio lo portò a formulare un'ipotesi.
«Le hai domandato di...?»
«Sì.»
... c'era un motivo per cui, invece di parlarne, lei esitava?
«Cosa ti ha detto?»
Makoto teneva gli occhi fissi sul tavolo. «Sappiamo
troppo
poco del legame di potere che fornirà la vita eterna alle
persone che scegliamo. Ora come ora, l'unica certezza è che
tra
noi due... non si è ancora formato.»
... cosa?
Lei incontrò il suo sguardo, con una
determinazione che
gli lasciò pensare che avesse riflettuto a fondo sulla
faccenda.
«È positivo. Non significa che io non ti ami - non
può
essere così - ma, se ancora non ti influenzo col mio
potere...
è meglio. Credo a quello che mi hai detto ieri. Non
c'è bisogno che me lo provi adesso, prendendoti degli
impegni.»
Come avrebbe potuto prenderne, se per lui fosse stato
impossibile
vivere mille anni? «Ci sono delle alternative? Usagi potrebbe
fare qualcosa?»
«Può darsi. Non stiamo a preoccuparcene
ora.»
Come poteva parlare così? «Non
è strano che le
altre tue amiche abbiano creato questo legame con i loro compagni, e tu
ed
io no?»
Makoto evitò a stento una smorfia.
«Magari dipende dal
fatto che loro non sono planetarie come me. Forse il mio potere
è
troppo forte per te e quindi... non so, magari ti sto proteggendo
evitando di apporlo sul tuo corpo. Inconsciamente» aggiunse,
come per
non fargli pensare che da parte sua vi fossero incertezze che potevano
avere causato il fenomeno.
Gen memorizzò l'istante di disagio. «Non
sei preoccupata?»
Makoto scosse piano la testa, affondando le bacchette nel
ramen che
non aveva ancora terminato. «Ieri sono stata una sciocca a
piangere in quel modo per la tua lettera. La faccio troppo tragica, per
tutto. So che sistemeremo in qualche modo se un giorno vorrai
vivere sempre con me. Ci penseremo quando sarà necessario.
C'è tempo.»
La tranquillità con cui lei stava accettando la
situazione gli fece pensare che, chissà come, ci avesse
ripensato.
... non aveva apposto quell'ykèos su di lui.
Significava che, nel profondo di sé, forse aveva dei dubbi.
Gen umettò le labbra secche.
«Ieri non ho detto quelle cose solo per far felice
te.»
Makoto si commosse - in una maniera compostae adulta.
«Lo
so.» Fece il giro del tavolo e si sedette sul pavimento, per
racchiudergli la testa tra le braccia. «Qualunque cosa ci
voglia
- Usagi o tutto il potere di Giove - io troverò il modo di
darti
una vita lunga mille anni, se vorrai. Ma ieri, anche se all'inizio ero
tanto felice, poi ho cominciato a pensare a che sacrificio sarebbe
stato
per te.»
Sapere che stava pensando a lui lo rilassò e lo
irritò
al contempo. «Sono decisioni che posso prendere da
solo.»
«Certo. Non arrabbiarti.»
«Non sono arrabbiato.» Era desolato.
Dopo che aveva finalmente trovato la forza di fare quel salto,
si ritrovava catapultato di dieci passi indietro, nel mare di
incertezze che
aveva deciso di ignorare per amore.
Si scostò lievemente, per cercare risposte nel viso
di lei.
Makoto non sfuggì al suo sguardo. «Non
importa cosa
dica il computer. Se dipendesse solo dai miei sentimenti,
egoisticamente ti avrei
già legato a me per il resto della nostra vita.»
Era ciò che lui aveva bisogno di sentire.
«Non
devo dare troppo peso a questo ykèos che non c'è,
quindi?»
Lei cercò di non implorare troppo.
«Sì, per favore.»
Non le avrebbe mai rifiutato nulla. Ricambiò il suo
abbraccio
con più forza, con Makoto che saliva sulle sue
gambe.
Ebbe sulle labbra un'altra promessa - una dichiarazione del
valore
che gli aveva offerto lei - ma non riuscì a farla.
Finché
non aveva la sicurezza di una vita lunga, non poteva promettere
niente.
Forse tutto sarebbe andato a posto, ma se non fosse stato
così...
Sarebbe finito dentro una tomba mentre Makoto era appena
all'inizio
della sua millenaria vita. A quel punto, qualunque frase, per quanto
bella e sentita, sarebbe stato solo il ricordo di una promessa che non
era riuscito a mantenere.
Febbraio 1998 - Lettera
d'amore - FINE
NdA:
Se avete seguito la
pubblicazione delle anteprime sul gruppo Facebook, avrete visto come
abbia faticato a venirmene fuori con l'ultimo pezzo del capitolo. Nella
mia testa era chiaro il sentimento che volevo trasmettere, ma dopo una
rilettura completa della prima parte mi sembrava che ci fossero troppe
smancerie. In seguito che lo stile fosse troppo povero. Ieri, grazie a
qualche lettura interessante, nella mia testa è spuntata
d'improvviso la consapevolezza di avere in mano gli strumenti
linguistici per terminare. Ho quindi aggiunto qualche dettaglio a
livello di descrizione - che arricchisse il testo - e sono riuscita a
terminare il capitolo senza colpo ferire.
Adoro sentirmi così, continuerò a
leggere il libro che
ho attualmente in mano - "Leggere Lolita a Teheran" di Azar Nafisi -
sperando che mi vengano nuove ispirazioni. Ma credo di sì, a
volte mi manca davvero, solamente, la sensazione di essere capace di
trasmettere adeguatamente le idee che ho in testa.
Fatemi sapere come vi ha fatto sentire questo
capitolo!
Le tribolazioni di Makoto e Gen sono solo agli inizi.
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 18 *** Marzo 1998 - Bambini ***
Corrente naturale
Corrente
naturale
di ellephedre
Marzo 1998 - Bambini
Un bambino, gioì Makoto. Un altro bambino nel loro
gruppo dopo il figlio di Ami e
Alexander. Rei e Yuichiro avrebbero avuto una deliziosa femminuccia e
Makoto lo sapeva da neppure qualche ora.
Incapace di resistere oltre, comunicò alla sua
assistente
Eleonora che lasciava il negozio prima della chiusura.
Invece di dirigersi a casa, fece una deviazione verso una merceria,
dove si rifornì di gomitoli di lana colorati.
A casa provò a consultare un manuale prima di
inforcare i
ferri, ma per l'entusiasmo partì troppo veloce.
Combinò un piccolo disastro, ma non si scoraggiò:
erano anni che non lavorava a maglia.
Quando ebbe preso la mano, iniziò a pensare alla
dimensione
dell'oggettino che voleva creare: un paio di scarpine deliziose da
neonato. Le stava facendo gialle per il momento, per decidere in
seguito a chi donarle per prima tra Ami e Rei.
Provò a calcolare la dimensione del piedino che
intendeva
ricoprire. Non sarebbe stato più
grande del suo palmo.
Misurando l'ampiezza con la punta delle unghie, si
ritrovò a
immaginare un piede con dita minuscole che si dimenavano. Sarebbe stato
un piedino caldo, con piccolissime rughe, liscio e profumato. Le veniva
già voglia di baciarlo.
Canticchiò: chi avrebbe ospitato per primo a casa
sua? Visto
il poco entusiasmo di Rei, probabilmente si sarebbe trattato della sua
piccola. Sarebbe stato bellissimo farle da babysitter! Adorava i
bambini piccoli e non aveva quasi mai occasione di averci a che fare.
Decise di accendere la radio, per dare un sottofondo musicale
al suo
lavoro. Durante l'inizio della prima pubblicità la toppa
della porta d'ingresso fece un primo giro. Sorpresa, Makoto rimase a
fissare l'uscio fino a che Gen non entrò in casa.
«Ciao!» lo salutò.
«Non ti aspettavo.»
«Lo so. Anche io pensavo che fossi al negozio. Sono
passato di
lì, volevo farti una sorpresa.»
«Ti sei liberato prima?»
«Ah-ha, oggi il professore era malato...»
Gli occhi
di lui erano scesi sulle sue mani indaffarate. «Che fai? Ora
lavori anche
a maglia?»
«In effetti sono molto meno brava a fare questo che
a cucire,
però l'occasione lo richiedeva. Preparati per la
novità!»
«Quale novità?»
«Oh, forse devo aspettare che te lo dica Yuichiro.
Lo hai
sentito oggi?»
«Kumada? No. Cosa dovrebbe dirmi?»
Studiando il suo entusiasmo Gen iniziò a produrre una
risata. «Non
avrà mica chiesto a Hino di sposarlo.»
«Ma se erano in crisi fino a una settimana
fa.»
«Sarebbe proprio da lui risolvere in questa
maniera.»
«In effetti mi sa che tra poco lo farà
comunque. Sta per diventare papà.»
Gen quasi mancò il materasso nel sedersi.
«Cosa?»
«Non ci credevo nemmeno io!» A momenti
saltellava sul letto. «Lui e Rei stanno per avere una
bambina!»
«Ma... Eh?»
Non le sfuggì il motivo dello scombussolamento del
suo ragazzo.
«Lo so, non avrebbero dovuto essere in grado di procreare
insieme - non adesso, almeno -
ma a quanto pare qualcosa non ha funzionato nelle precauzioni di
potere. La loro piccola ne ha un po'.»
«Potere?»
Makoto annuì. «E non è quello
di Rei.
È molto strano a pensarci bene e nemmeno lei sa spiegarselo.
Ovviamente adesso ha altri pensieri per la testa. La sua vita
è sottosopra.»
Gen ancora non aveva smesso di sgranare gli occhi.
«Le tue amiche si
stanno riproducendo senza controllo.»
«A noi non succederà, non
preoccuparti.»
Percepì l'improvvisa rigidità di lui e
desiderò non aver detto nulla. «Voglio dire... Ami
e Rei non sono pianeti come me. Io sto su un'altra barca.»
Gen non disse nulla. Quando alzò gli occhi per
controllare,
Makoto vide che lui stava lisciando le coperte del letto con un dito.
«Credo» le disse, «che sia
comunque meglio cominciare ad usare dei
preservativi.»
Per non rischiare di avere bambini insieme.
Per un attimo le parve un segnale chiaro del fatto che
Gen non desiderasse avere figli con lei, ma si disse immediatamente di
smetterla.
Era ridicolo, lui voleva solo
essere prudente. Lei aveva talmente tanto da fare che non voleva
bambini in quel momento. Li voleva un giorno... e per un istante si era
quasi dimenticata che comunque il problema per loro non sussisteva.
«Se preferisci usare precauzioni»
chiarì, «per me va bene. In ogni
caso pare che i poteri di previsione di Rei siano tornati in forze. Se
lo desideri chiederò a lei conferma del fatto che non avremo
problemi
in questo senso.»
Il cenno di assenso di lui fu rapido e distratto.
Makoto riprese a muovere i ferri tra le dita.
«Cosa stai creando?»
«Delle scarpine da bebé. Mancano tanti
mesi, ma
non sono riuscita a trattenermi. Sono piena di amore materno per i
bambini di Ami e Rei!»
Il sorriso di lui si accese solo a metà.
Le venne in mente di dirgli qualcosa per fargli capire che non
c'era
motivo di sentirsi a disagio, ma, mentre continuava a intrecciare i
fili
di lana, si rese conto che c'erano molte ragioni per essere straniti e
confusi dalle novità che stavano coinvolgendo persone vicine
a entrambi.
Li costringeva a confrontarsi con una realtà che
era
così lontana dalle loro esperienze attuali da essere in
genere relegata
di solito a un angolino della mente - insieme ai pensieri su come
sarebbero stati tra vent'anni e su cosa avrebbero fatto da grandi.
Gen si alzò, dirigendosi verso il tavolo al centro
della
stanza. Si mise comodo facendo scricchiolare le dita dei piedi. Dopo
essersi sgranchito, iniziò a sfogliare indolentemente una
delle riviste aperte sul
ripiano.
Non sfogliava mai riviste.
Makoto parlò prima di pensare, sentendo che stava
per porre
una delle domande più importanti della propria vita.
«Tu vuoi dei bambini?»
Gen sobbalzò con le spalle.
«Cosa?»
Lei evitò di ripetere la domanda solo per non
balbettare. Con ogni istante che passava però stava
prendendo coraggio.
Per qualche secondo lui mosse la bocca senza produrre suono.
Sapeva
benissimo cosa avrebbe significato risponderle. «Non lo
so» dichiarò alla fine. «Non
adesso.»
«Ma un giorno?» insistette lei.
Gli lasciò il tempo di formulare le parole e,
quando lo
sentì esitare, alzò gli occhi. Gli
comunicò con lo sguardo che non desiderava risposte di
circostanza o altre ipotesi. Neppure parole che servissero solo a farla
contenta.
«Immagino di sì»
confessò infine lui.
Lei non si era aspettata nulla di diverso. Gen era fatto per
diventare un
padre. Aveva un piglio autoritario e tanto amore da riversare su
persone di cui poteva prendersi cura.
«Io adotterò»
affermò lei, mentre tornava
ad agitare i ferri. Si rese conto di cosa stava sottointendendo su loro
due non includendolo nel discorso, ma quello era un momento di
verità assoluta che
meritava rispetto. Deglutì. «I nenonati mi
piacciono, ma non
sarà importante che si tratti di bambini piccoli.
Un bambino con cui poter già parlare
sarà comunque bello. Sento che avrò tanto da
dargli.»
Lui cercò di dire qualcosa, ma non
riuscì.
Lei avrebbe tanto voluto dirgli che ovviamente quei bambini
sarebbero
stati figli di tutti e due, ma sarebbe stata un'imposizione e forse una
falsità. L'unica certezza che aveva nella vita
erano i secoli per cui sarebbe
vissuta ed era sicura che, almeno ogni cento anni, avrebbe adottato un
bambino. Sarebbe stato troppo solitario stare senza. Dopotutto, non le
sarebbe toccato un piccolino tutto suo, dai piedi minuscoli, per altri
nove secoli e anche in quel caso... Quella bambina, l'erede
di Giove, non sarebbe stata figlia di Gen. Nemmeno il potere di Usagi
poteva piegare in quel modo un'energia planetaria.
Capiva come questo potesse ferirlo. Capiva perché
fosse
più allettante e semplice la prospettiva di una vita
normale, con un bambino del proprio sangue da concepire nei prossimi
dieci anni.
Un bambino col viso di Gen era qualcosa di cui il mondo aveva
bisogno, a prescindere dalla madre da cui fosse nato.
Mosse più velocemente i ferri, cercando di smettere
di pensarci. «Scusa. Ho pensato
troppo a questi bambini che nasceranno; fare queste scarpine mi ha
fatto
sragionare! È che sono carine, no?» Gli
mostrò la dimensione che
aveva in mente.
Lui guardava lo spazio che lei aveva segnato con le dita. Era
calmo, quieto al punto da essere
spento. «Sarai una zia grandiosa.»
Esatto, per ora questo le bastava. «Scusa di
nuovo.»
«Non chiedere scusa.»
«Ma mi dispiace.»
«Perché tieni a me.»
Lei non ebbe bisogno di annuire velocemente; non c'era
nervosismo nella sua risposta. «Con tutta l'anima che
ho.»
«Con tutta l'anima che ho io, Mako, voglio che nella
vita tu abbia tutto quello che desideri.»
La comprensione la riempì di un'ondata di
malinconia. «Grazie.»
Dopo un sorriso lui non disse più nulla. Mentre lei
lavorava ai ferri sbagliando metà punti e lui fingeva di
leggere, non parlarono per più di un quarto d'ora.
Marzo 1998 - Bambini - FINE
NdA:
Rieccomi con questi due! In una maniera triste, ma vi avevo avvertito:
ora inizia la loro grande scalata. Non sarà un percorso
semplice.
Siate buoni, fatemi sapere che pensate di questo aggiornamento!
Elle
- Per ricevere le notifiche di tutti gli aggiornamenti,
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Moon, Verso l'alba e oltre per leggere i pezzi dei vari
capitoli in anteprima.
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3
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Sailor Moon, da me gestita
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Capitolo 19 *** Agosto 1998 - In estate la passione ***
correntenaturale - calura
Corrente
naturale
di ellephedre
Agosto 1998 - In estate la passione
La beatitudine era un concetto effimero finché non si riposava sdraiati
su una spiaggia, sotto il sole, con un venticello fresco che solleticava
la pelle. A pochi metri di distanza lo scroscio delle onde gli cullava
la mente. Gen sapeva che non sarebbe stato lo stesso senza Makoto
accanto: la schiena di lei era morbida sotto le sue dita, setosa come un
frutto maturo. Gli bastava aprire gli occhi per trovarsi davanti le sue
natiche rotonde che tendevano il tessuto elastico di un bikini verde. Se
avesse saputo cogliere l'inquadratura, avrebbe fotografato la
propria mano baciata dal sole che aleggiava sulla colonna vertebrale di
lei, a pochi centimetri dal costume, coi polpastrelli che giocavano coi
minuscoli peluzzi visibili solo alla luce diretta del giorno. L'immagine
gli avrebbe ricordato un momento di pace assoluta, di contatto. Quando
toccava Makoto si sentiva vicino a lei come in nessun altro modo.
«Mi rimarrà il segno della tua mano sulla schiena...»
Il mormorio lo fece sorridere. «Per via dell'abbronzatura?»
«Già. Mi vuoi marchiare?»
«No. Adesso trovo un altro posto da accarezzare.»
Makoto si stiracchiò e si voltò su un fianco. «Sento che allarghi il
palmo quando passa qualcuno, come per coprirmi.»
«Non per coprirti, per ricordare che ci sono. Lo faccio solo quando
passano dei maschi.»
«Siamo sdraiati vicini. Sanno già che stiamo insieme.»
«Non riesco a trattenermi, è un istinto. Ti guardano perché non possono
farne a meno, ma un'occhiata di un secondo è tutto quello che permetto.
Se vogliono sbavare su un sedere da favola, è meglio che si comprino una
rivista.»
Appagata dal complimento, Makoto si sedette sulle ginocchia. «Mi viene
voglia di fare una cosa, per stuzzicarti.»
«Cosa?»
«Potrei slacciare il reggiseno sulla schiena. Sai, per ottenere una
bella abbronzatura.»
Sarebbe stata una bella idea in una spiaggia privata. «Così farai
diventare uomo il ragazzino di tredici anni a tre ombrelloni di
distanza. Quando sei arrivata e ti ha visto il seno, gli stavano
scoppiando gli occhi.»
«Sei un perverso! È solo un bambino.»
Meglio che non le dicesse a che età aveva scoperto la masturbazione.
Makoto si chinò a baciarlo sulla bocca. «Vado a cucinare il pranzo.
Raggiungimi dopo, okay?»
Perché mai? «Vengo con te, non devi servirmi.»
«Ma a me piace.»
Gen si alzò e si sporse verso il suo orecchio. «Non sono questi i
servizi che amo ricevere da te.»
Makoto rabbrividì e mentre raccoglieva le loro cose sussurrò, «In quel
campo non amo solo dare.»
Lui fece per darle una pacca sul sedere, ma lei scappò veloce in
avanti, ridendo, diretta al promontorio che portava all'uscita dalla
spiaggia.
Entrando nell'appartamento che avevano affittato, Gen si lasciò
sfuggire una smorfia. In casa l'aria era densa e calda, afosa. Si stava
peggio dentro quelle quattro mura che fuori. Il sole del primo
pomeriggio picchiava dritto su di loro.
«Meglio chiudere le ante» commentò Makoto, appoggiando borsone e
asciugamano sulla sedia più vicina.
«Faccio io» disse lui, e andò a serrare le finestre di tutta la casa.
Per provare a recuperare un po' di fresco trafficò col telecomando del
condizionatore attaccato alla parete. Non era un aggeggio moderno, ma
secondo l'agenzia immobiliare faceva il suo lavoro. Nel tempo che
impiegò a farlo funzionare, Gen sentì scorrere l'acqua della doccia.
«Fai un bagno?» domandò.
«Mi risciacquo dal sale» rispose Makoto.
Hm, poteva farlo anche lui. Si mosse per raggiungerla, ma appena arrivò
sulla soglia del bagno si fermò, imbambolato.
Makoto aveva lasciato la porta aperta. Sotto lo spruzzo della doccia,
voltata di schiena, indossava solo gli slip del costume, il viso
sollevato verso il getto d'acqua che le infradiciava la testa,
scivolandole sul corpo.
Lei possedeva la curva dei fianchi più perfetta che lui avesse mai
visto. Dai suoi capelli l'acqua viaggiava lungo la schiena, indugiando
nella piccola rientranza delle fossette che davano inizio al suo sedere.
Il lycra bagnato del costume le abbracciava le natiche. In controluce la
sua pelle ricoperta da rivoli e gocce appariva dorata, più scura. Per
essere più divina Makoto doveva solo essere nuda.
Gen levò la maglietta che indossava, gettandola sul pavimento.
Arrivando alle spalle di lei le cinse la vita con le mani.
Con un piccolo sussulto Makoto voltò. «Vuoi risciacquarti anche tu?»
Vederla gli aveva mozzato il respiro. Il suo viso era...
«Cosa c'è?»
«Ti sei abbronzata.»
«Davvero?»
Annuì. Dentro casa si notava di più. Le labbra di lei erano più rosate
e accese, i suoi denti apparivano più bianchi, i suoi occhi più verdi.
L'acqua che continuava a scorrerle sul volto aveva tirato indietro la
frangia, liberandole la fronte.
Makoto era bella in una maniera che si era quasi scordato di aver visto.
L'immagine usciva direttamente dall'estate precedente, quando erano
andati in spiaggia per la prima volta. Come aveva potuto fare a meno di
vederla così?
Lei rideva. «Vieni sotto la doccia. Quest'acqua dolce è una delizia!»
Gen si avvicinò per baciare la vera delizia - lei - ma appena ricevette
il getto dell'acqua in viso, gemette. Tirò indietro la testa e si lasciò
sfuggire un ansito di godimento.
«È fantastica, vero?»
Lui bevette a bocca aperta gli spruzzi, beandosi del gusto fresco.
Sulla pelle la sensazione era rigenerante: non aveva sentito il sale del
mare addosso finché non era stato lavato via dal suo corpo.
Makoto gli causò un brivido posando un bacio sul suo collo.
«Anche tu hai preso un po' di colore, sai?»
Non era in grado di focalizzarsi sulle parole se sentiva i suoi
capezzoli duri che gli premevano contro il torso.
Makoto lo distrasse ancora di più percorrendolo con le mani dal petto
sino allo stomaco. Chinò la testa, sfiorando con le labbra il contorno
di un pettorale.
«In spiaggia c'erano momenti in cui volevo leccarti dalla testa ai
piedi.»
Gen trovò la forza di respirare. «Bastava dirlo. Tornavamo qui in meno
di un minuto.»
«Ma io volevo rimanere vicino all'acqua. Sulla sabbia, sotto il
sole...»
Come la capiva. «Senza il costume avrei potuto farti questo.» Le prese
i seni a piene mani, usando i pollici per stuzzicare in piccoli cerchi
due delle parti che preferiva in lei. Erano rosate, più scure dei monti
pallidi e gonfi che gli rimpievano i palmi. Chissà come sarebbe stato
vedere anche quelle punte baciate dal sole, leggermente bruciate...
Makoto aveva abbandonato la testa all'indietro, tornando a baciare e
assaggiare lo spruzzo della doccia.
«Preferisci l'acqua a me.»
Lei gli offrì un sorriso beato. «Vi voglio tutti e due. È perfetto
stare così.»
Oh, sì. Era l'estate al suo massimo. Come stare sotto una piccola
cascata tutta loro.
Aprì la bocca su quella di Makoto, per sentire il sapore della sua
lingua. Gemettero insieme nel piccolo spazio del bagno, avvolti da una
nuvola di vapore fresco. Si gustarono con lentezza, riscoprendo daccapo
il sapore che avevano dopo una giornata sotto il sole, mentre l'acqua si
insinuava tra le loro bocche. Bevvero e si baciarono, respirando a
fatica, continuando a cercarsi senza saziarsi.
Gen non aveva alcuna intenzione di smettere di adorare la bocca di
Makoto, ma sentiva il bisogno fisico di averla nuda contro di sé. Trovò
l'elastico del suo bikini, tirandolo giù lungo i fianchi. Spogliarla era
erotico quasi quanto stringerla senza più nulla addosso.
Aggrappata a lui, Makoto insinuò le dita nell'elastico dei suoi boxer
fradici. Trovò la sua erezione e la accarezzò con intento.
Per il piacere Gen serrò gli occhi.
Makoto gli sfuggì dalle braccia, scivolando coi seni lungo il suo corpo
fino a fargli sentire un capezzolo contro la coscia. Vi si strofinò
contro lussuriosamente mentre si inginocchiava meglio sul pavimento,
accanto allo scarico. Posò baci aperti sul muscolo più basso del suo
ventre mentre gli abbassava il costume.
Gen cercò di tirarla su per un braccio, ma il bollore della bocca di
lei contro l'asta della sua erezione gli fece cambiare idea.
Si morse le labbra, gemendo in silenzio, diviso tra il piacere che
Makoto gli stava donando e la vista del suo corpo, troppo parziale per
soddisfarlo. Chinata com'era ad adorarlo Makoto era splendida, ma in
quella posizione lui poteva toccarle solo il viso e se lei continuava
così... Strinse i denti quando lei raccolse tra le mani i suoi
testicoli. Se continuava così tutto quanto sarebbe finito in fretta,
troppo in fretta.
La sollevò di peso, scuotendo la testa.
«No?» gli domandò Makoto.
«Non ora.»
Le strattonò via il bikini fino a levarglielo da sotto i piedi. Makoto
cercò di aiutarlo a fare lo stesso coi boxer, ma lui ci pensò da solo.
Lei gli si schiacciò contro, baciandolo dove capitava - sotto
l'orecchio.
«Non mi vuoi in ginocchio per te?»
Il membro di Gen arrivò alla massima erezione.
«Non mi vuoi dentro di te?»
Gli occhi di Makoto si annebbiarono. «Contro la parete della doccia?»
Era un'idea stupenda, considerato che avevano posto. Pensandoci, era la
posizione ideale anche per altre idee.
Makoto lo aiutò nel farsi sollevare fino ad avere la schiena contro le
piastrelle del bagno. La presa delle sue gambe era salda e forte intorno
alla sua vita, tanto che non aveva quasi bisogno di sostenerla. La
schiacciò comunque contro la parete: aveva intenzione di farle perdere
ogni concentrazione.
Invece di penetrarla, trovò il suo sesso con le mani. Makoto aprì le
labbra, sorridendo di godimento mentre la doccia le bagnava con violenza
le palpebre chiuse. Lo credeva un mero preliminare.
Lui giocò con la sua carne calda, percorrendo ogni insenatura, guadagnandosi
mugolii e e carezze sulle spalle. Poi usò le dita per entrare nel corpo
di lei. Dopo la morbidezza stretta degli inizi trovò una zona in rilievo
ruvida, a poca distanza. La conosceva, sapeva cosa causava a Makoto. La
massaggiò coi polpastrelli, causandole piccoli sussulti.
«Gen...»
Makoto si allontanò dall'acqua per respirare e lui rimase concentrato
sul suo viso. Poteva baciare quelle labbra rosse. strofinare e
accarezzare quelle guance, farsi guardare supplicante da quegli occhi
verdi...
Andando più a fondo trovò il centro del corpo di lei con le dita,
facendola irrigidire sino alla punta dei piedi. Stava toccando una
protuberanza larga e rotonda, dura, che in quel momento era bassa nel
ventre di Makoto. Era una parte di lei che chiedeva contatto e tanta
attenzione. Lui non si fece pregare e glieli offrì.
Le provocò un sospiro di tale abbandono che il suo corpo prima si
sciolse, poi iniziò a dondolare, cercando da solo altro piacere. Lui non
glielo negò, ma proseguì apposta con lentezza.
Makoto iniziò a picchiarlo piano sulla spalla, girando con la testa da
una parte all'altra. «Basta! Non voglio le dita...»
«Fa male?»
«No...»
Allora avrebbe subito. Gen trovò col polpastrello il piccolo foro della
sua cervice, strofinandolo piano. «Ricordi quando ci baciamo in questo
punto?»
Makoto ansimò in risposta, veloce. Era sempre più tesa ed eccitata.
Lui continuò a parlare al suo orecchio. «Mi muovo per incontrarti
esattamente qui, perché se solo potessi entrare più a fondo dentro di
te...»
Stimolò l'intera corona di quel piccolo organo, poi estrasse le dita da
lei.
«No!»
Agitandosi nelle sue braccia, Makoto cercò di unire i loro bacini. Fu
una lotta bloccarla dall'impalarsi su di lui e Gen la vinse solo
arrivando a stimolarla sul clitoride.
Makoto trattenne a forza un grido.
Gen la schiacciò tra sé e il muro, senza smettere di muovere con
insistenza le dita sulla sua piccola cresta. «Lasciati andare.» Affondò
il naso nel suo collo e inebriato non riuscì a smettere di baciarla su
quei lembi di pelle. Rigida, lei muoveva convulsamente le mani sulle sue
spalle, rabbrividendo dappertutto.
«Lasciati venire. Fammelo sentire.»
Gli spasmi dei muscoli di Makoto raggiunsero un picco e deflagrarono,
perdendosi in un ritmo incontrollato.
Il gemito lungo e acuto che le sfuggì dalla gola fu di immensa
soddisfazione per lui. Seguì le ondate dell'orgasmo di lei passo per
passo, guardandola in viso e rispondendo con la mano al movimento
bramoso dei suoi fianchi.
La osservò di nuovo da capo a piedi mentre si dimeava - un premio per
lui - poi fissò meglio i suoi seni e si ritrovò a boccheggiare. I
capezzoli le erano diventati più appuntiti, gonfi e duri. Ne catturò uno
in bocca, causandole un singulto che seppe di piccola protesta. Ma il
ventre di lei era di altro avviso.
«Sai cosa farò adesso, vero?»
A corto di fiato, Makoto recuperò forza nelle gambe, tornando a
sollevarsi su di lui. «Muoviti.»
Gen avrebbe riso se la sua erezione non fosse già affondata in lei.
Quasi gridò lui stesso: Makoto era bollente e vellutata, la perfezione
fatta corpo femminile. Spinse in lei coi fianchi, forte, a ripetizione,
udendo un mugolio in risposta a ogni movimento. Si spostò di lato, di
poco, solo perché l'acqua smettesse di colpirli.
Si appoggiò meglio contro il muro e riprese a martellare col bacino.
Makoto aveva cercato di guardarlo, ma smise, gettando la testa
all'indietro.
Lui decise di afferrarle le natiche, per tenerla ferma mentre cercava
di posizionarsi nel modo che gli avrebbe concesso di...
«Ahh!»
Ecco. Premette in modo che la punta del suo membro incontrasse il
rilievo più intimo e sensibile del corpo di lei, così puro da rimanere
sempre chiuso. Poteva toccarlo solo quando Makoto era molto eccitata,
baciarlo in quella maniera, e sentire l'effetto che le faceva.
Se lo godette appieno, cercando senza remore di aprirla ancora di più
mentre gemendo lei sussultava e lo stringeva.
Venne mentre la faceva venire più forte che mai, non seppe nemmeno lui
quante volte.
Quando smisero di muoversi, spossati, Makoto rilasciò un lamento.
Con una mano Gen serrò la doccia. «Ti... ti porto sul letto?»
«... riesci?»
Lui impiegò diversi secondi a muoversi. Si riprese solo quando Makoto
fu sul punto di scendere, abbracciandola più forte per impedirglielo.
«Non ti faccio cadere.»
Si sentì accarezzare la testa mentre barcollava verso la stanza.
Makoto era riuscita ad afferrare un asciugamano nel percorso, ma
bagnarono comunque le lenzuola quando vi finirono sopra, spaparanzati su
tutta la superficie.
Dopo un po', lui trovò la forza di allungare una mano per toccarle lo
stomaco. «Non ti ho fatto male, vero?»
Makoto si sollevò su un braccio e con più energia di quanto dovesse
essere possibile, apparve col viso sorridente sopra il suo. «È successo
una sola volta. Ti ho quasi slussato una spalla, ricordi?»
In effetti...
«Invece adesso sei ancora tutto intero» concluse lei, chinandosi a
baciarlo.
Completamente stremato e appagato, Gen accettò ogni singolo gesto di
riconoscenza e affetto, senza muoversi.
Quando ebbe abbastanza forze si sollevò e la fece sdraiare, piegandosi
in avanti per posare un bacio sonoro dritto sopra il suo pube.
«E questo?» sorrise Makoto.
«Ringraziavo. Se non fosse per lei...»
«Lei?»
«Sì. Lei che è imprevedibile, dolce, accoglientissima. Cambia di giorno
di giorno, non è mai la stessa. Scoprirla è sempre una sorpresa. E
regala a tutti e due di quegli orgasmi...»
Makoto stava avendo un attacco di risa. «Stai trattando la mia vagina
come se fosse una persona?»
Lui la tenne stretta per i fianchi, per posare da fuori un altro bacio
su quel fantastico organo. «Ma quale persona, è una dea. Non sminuirla.»
Ricadde divertito sul letto mentre Makoto si dimenava sull'altro lato,
tenendosi lo stomaco per i sussulti.
Lui si stiracchiò, recuperando l'asciugamano e portandolo ai capelli.
Iniziò a strofinare.
Makoto si colpì forte il petto prima di riuscire a parlare. «Anche io
ho qualcosa da dire sul tuo coso.»
'Coso'?
Lei gli tappò la bocca con le mani, per non udire le sue risate.
«Io penso» dichiarò seria, «che lui abbia una cotta per me.» Gli liberò
il viso.
«Una cotta, eh?»
Makoto annuì. «Si mette sull'attenti appena gli mostro un minimo di
attenzione. Basta che io lo guardi, ma funziona anche fargli vedere la
scollatura, o il sedere. A quel punto va in estasi ed è pronto a tutto.
Il bello è che si comporta così solo con me.»
Gen le passò l'asciugamano sulla schiena, avvolgendole con delicatezza
la testa. «Sì, il signor Coso prima era meno discriminante. Ma adesso è
innamorato.»
Makoto diede una pacca al suo basso ventre. «Perché ha incontrato
qualcuno alla sua altezza. Io riesco a sfinirlo e gli do tutto quello
che vuole.»
Come non essere d'accordo? «Per oggi gli manca giusto la parte con te
in ginocchio.»
Makoto gli rubò l'asciugamano. «Così impari a fermarmi.» Scappò in
bagno e gli lanciò un altro telo con cui asciugarsi. «Vado a cucinare!
Sono piena di energia!»
Lui invece voleva dormire su quel letto per almeno mezz'ora.
«Gen?» lo chiamò Makoto dalla cucina.
«Sì?»
«Ti faccio un dolce! Quale vuoi?»
Un dolce? «Non hai gli strumenti.»
«Mi arrangerò con quello che trovo! Sarà divertente.»
«E gli ingredienti?»
«Andiamo a comprarli, faccio il dolce stasera! Tutto per te!»
Gen non riuscì a rimanere sdraiato sul materasso. Quando lei gli
parlava in quel modo il suo petto si espandeva, minacciava di scoppiare.
«Il pranzo invece sarà una sorpresa, okay? Ti leccherai i baffi.»
Lui si avvolse l'asciugamano intorno alla vita e la raggiunse
nell'altra stanza. Rise. «Cucinerai nuda?»
Lei alzò un dito. «Giusto! Me n'ero dimenticata!»
Andandole incontro l'avvolse nel suo asciugamano, baciandola su una
guancia - il punto che le piaceva di più quando si sentiva romantica.
Gen voleva confessare più che mai che in quei momenti era il bacio che
preferiva anche lui.
«Non cucinerai senza di me» le disse infine.
«Perché?»
Scrollò le spalle. «Prima o poi devo imparare altre ricette.»
«Ci sono già io che cucino bene.»
Certo, e non sarebbe mai arrivato ai suoi livelli, ma se preparandole
un dolce un giorno aveva la speranza di farla sorridere come capitava a
lui... «Lasciami fare da assistente.»
Lei se lo meritava.
Makoto si riempì di un sorriso. «Andiamo a vestirci.»
La seguì in camera.
Voleva imparare a fare tante cose per lei. Tante, troppe.
Aveva solo bisogno di tempo e di un mondo che non cambiasse troppo
presto tutto ciò che erano.
Così, forse, tra loro non sarebbe cambiato niente, anche quando fosse
cambiato tutto.
Le strinse la mano, ma Makoto non seppe mai perché.
Agosto 1998 - In estate la
passione - FINE
NdA: Ecco la lemon promessa sul
gruppo FB, con un mesetto di ritardo. Spero che ne sia valsa la pena,
fatemi sapere :)
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni e
curiosità, è Sailor
Moon, Verso l'alba e oltre...
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Capitolo 20 *** Agosto 1998 - Effusioni ***
correntenaturale - calura
Corrente
naturale
di ellephedre
Luglio 1998 - Effusioni
Di lunedì mattina, Makoto passò una mano
sul vetro offuscato del bagno, per guardare il proprio riflesso.
Abbozzò un sorriso, sollevò le sopracciglia, fece
un paio di smorfie carine. Soddisfatta, lanciò un bacio alla
propria immagine. Era uno di quei giorni in cui si trovava
più bella del solito. La sua pelle appariva più
luminosa, le sue labbra più piene e le sue ciglia
più lunghe. Probabilmente era merito della doccia.
Quale modo migliore di iniziare una calda giornata estiva, se non
rinfrescandosi da capo a piedi?
Ora, se voleva
mantenersi fresca, doveva scegliere bene cosa mettersi.
Era
un bel dilemma. Da
un po' non aveva tempo di fare acquisti. Era sempre così
difficile trovare capi che non si appiccicassero alla pelle con
l'arrivo dell'afa.
Seminuda, coi capelli ancora bagnati sulle spalle, si
inginocchiò sul pavimento, aprendo l'ultimo cassetto del suo
guardaroba. Era quello che controllava meno di frequente. Forse
lì dentro c'era qualcosa di utile.
Tirò fuori una magliettina sbiadita, un paio di
pantaloncini
jeans sdruciti e una marea di calze spaiate. In fondo al cassetto
recuperò un vestitino. Lo allargò tra le mani,
tirandolo
su.
Era proprio minuscolo. Quand'era l'ultima volta che lo aveva
messo?
Prima che le crescesse il seno, poco ma sicuro. L'abitino era bianco,
con due spalline molto sottili che sorreggevano due triangoli che
avrebbero dovuto coprirla sul petto.
Valeva la pena di fare un esperimento. Portò
l'indumento sopra la testa, calandolo sul corpo. Per farlo calzare
dovette fare un secondo tentativo, allungando le spalline che - ora
rammentava - fungevano come quelle di un reggiseno. Bei tempi quelli in
cui si sarebbe potuta permettere di non indossarne uno.
Andò allo specchio posizionato accanto
all'ingresso. Nel vedersi, spalancò la bocca. Ora
ricordava perché non aveva mai messo quel vestito! Era
delizioso, ma semi-trasparente. Il tessuto lasciava intravedere il
colore delle sue areole. Purtroppo era il minore dei problemi: i
triangoli di stoffa le coprivano appena metà seno,
lasciandole mezzo petto di fuori. Sembrava una specie di gravure model,
pronta per un servizio fotografico per soli uomini.
Udì un sibilo. Ahh, l'acqua nella teiera stava
bollendo!
La versò nella sua tazza da colazione preferita,
canticchiando mentre sceglieva la variante aromatica di té
da
gustare quella mattina.
Era bello avere una giornata libera, di tanto in tanto. Per la
pasticceria aveva assunto due collaboratrici, ma era sempre necessaria
la sua presenza negli orari di apertura. Inoltre aveva spesso
commissioni speciali per matrimoni o altre ricorrenze - faccende che
non poteva delegare. Forse doveva smettere di accettare nuovi ordini.
Il suo piccolo business era abbastanza cresciuto. Anche
assumendo una terza persona, sarebbe stato difficile stare dietro alla
crescente popolarità della sua pasticceria. Doveva puntare a
essere un servizio familiare, molto esclusivo. In fondo, aveva
giusto
un altro annetto pieno prima di dover dire addio a tutto quanto.
Scosse la testa, tornando al presente. Non aveva senso
focalizzarsi
su ciò che sarebbe stato. In quel momento aveva una
casa da pulire.
Si diresse al cesto dei panni, per scegliere i vestiti con cui
caricare la lavatrice.
Una gocciolina d'acqua le cadde dai capelli lungo la schiena,
ricordandole del vestito che indossava.
Certo che era proprio fresco. Non le arrivava neppure a
metà
coscia, lasciandole le gambe completamente libere. I triangoli di
tessuto le sostenevano il seno, a modo loro. Non dover portare
due strati di stoffa sul petto era una cosa nuova.
Per quel giorno il meteo prevedeva una massima di 34°.
Con
qualunque altro indumento era destinata a sudare, ma forse con
quell'abitino... Si decise. Sarebbe rimasta così, tanto
nessuno
poteva vederla.
Saltellò verso il bagno e recuperò la
spazzola,
rimirandosi allo specchio mentre pettinava i capelli bagnati.
Afferrando i lembi volanti della gonna, accennò due passi
graziosi di danza.
Sì, era proprio carina quel giorno. E aveva deciso
il suo prossimo
acquisto: avrebbe scandagliato i negozietti di Tokyo cercando quello
stesso tipo di tessuto leggero, in un'altra variante di colore.
Rosa, magari. Si sarebbe cucita un abito identico a quello, con le sue
attuali misure. Ne sarebbe venuto fuori qualcosa di delizioso e
abbastanza decente da essere indossato fuori casa.
Il silenzio del suo appartamento cominciò ad
annoiarla. Era
ora di mettere su un po' di musica! Non c'era niente di meglio di un
buon canale radio per conciliare le faccende domestiche.
Si mise all'opera.
Quel giorno Gen si sentiva fortunato. L'incontro con Shimazaki
presso il sito di nuova costruzione si era concluso prima delle nove di
mattina. Il committente non si era presentato a causa di un
imprevisto. Irritato, l'architetto Shimazaki aveva mandato tutti a casa
per mezza giornata.
Dirigendosi verso la propria moto, Gen tirò fuori
il
telefono. Non si trovava lontano dall'appartamento di Makoto, poteva
fare un
salto da lei. Erano tre giorni che i loro orari non coincidevano.
Chiuse il cellulare. Le avrebbe fatto una sorpresa. Lei
credeva che non si sarebbero visti fino a mercoledì.
Erano in una di quelle pause alle visite notturne su cui ogni
tanto
Makoto insisteva. 'Tua madre inizierà a chiedersi
perché
non ti trasferisci qui, visto che stai sempre da me.'
Lui non poteva darle torto. Non si sentiva ancora a suo agio
all'idea di lasciare la casa della sua famiglia. Ogni volta che stava
lì, Shori, e soprattutto Miki, lo travolgevano coi loro
racconti
e con richieste di consigli. Volevano la sua approvazione e attenzione.
Anche sua madre era serena e appagata quando lui era in casa. Tutti
desideravano ancora un po' di quell'unità familiare in cui
avevano vissuto per tanti anni, prima che suo padre se ne andasse. Ogni
cosa era cambiata da allora, ma Gen le avrebbe fatte cambiare ancora di
più avesse deciso di trasferirsi.
Con sua madre avevano affrontato il discorso, qualche
settimana prima.
'Puoi andare, se vuoi.'
'Io e Makoto non abbiamo ancora parlato di questo, mamma.' Era
la verità.
La perplessità di sua madre era stata evidente.
'Lei è
una ragazza e state insieme da un po'. Con tutto il tempo che passi a
casa sua, avrà iniziato a farsi delle idee.'
Gen aveva cercato di buttarla sul ridere. 'Mi stai cacciando?'
'Sto cercando di darti dei consigli da mamma. Mi sarebbe
piaciuto
che restassi sotto il mio tetto ancora per tanto tempo, ma sarebbe
stato possibile solo tu non avessi già trovato la
ragazza giusta. Lei vive e si mantiene da sola, è un'adulta.
Tu
passi un sacco di tempo a casa sua. Sto solo dicendo che è
normale che ci siano delle aspettative da parte sua. Non fare lo
sciocco se non vuoi perderla.'
Non si era aspettato di sentir dire cose simili a sua madre.
'Guarda che va tutto bene tra me e Makoto.'
'E spero che vada bene ancora a lungo. Anche tu sei maturo per
la
tua età, Gen, ma devo ancora incontrare un ragazzo di
ventitré anni che non si faccia venire i brividi all'idea di
impegnarsi seriamente con una donna. Ti sto avvertendo: non fare
sciocchezze. Anche se Makoto-san è arrivata presto nella tua
vita, sarà molto difficile incontrarne un'altra come lei.'
L'approvazione di sua madre per Makoto lo riempiva sempre di
soddisfazione, per cui si era concentrato su quella parte del discorso.
'Grazie per preoccuparti, mamma. Le dirò che l'apprezzi.'
'Lei lo sa già.'
Era vero anche quello. Makoto e sua madre andavano
straordinariamente d'accordo. Miki la adorava e Shori la trovava molto
simpatica. Era tutto... perfetto. O lo sarebbe stato, se lui e Makoto
avessero potuto fare piani che andassero oltre l'anno.
Gen non era così convinto che Makoto lo volesse
sotto il suo
tetto in pianta stabile. Lei lo desiderava, nel profondo, ma... Da
qualche tempo, lui aveva provato ad accennare al futuro. Puntualmente,
lei cambiava discorso. Gen pensava di sapere perché. Lui
non le aveva detto, 'Ti seguirò, ti
starò accanto
per l'eternità, mentre tu difendi e governi la Terra.' Aveva
semplicemente menzionato piani che prevedessero lui e lei, nelle loro
rispettive esistenze, per quel che ne sapevano adesso. Lui stava
facendo un apprendistato presso un architetto, il suo sogno di sempre.
Non era disposto a mettere in pausa la sua vita, firmando
come lei carta bianca. Non ne vedeva la necessità. Voleva
rimanere se stesso negli anni a venire, e continuare ad amare Makoto
mentre lei diventava ciò che sentiva di dover essere. Quando
avessero capito come sarebbe stata la nuova realtà di lei,
di
Giove - quella destinata a proseguire per mille anni
- avrebbero
deciso cosa fare della loro relazione.
Non era una questione di amore.
Se si fosse trattato solo di amore...
Lui non possedeva l'abnegazione totale di Yuichiro,
né era
come Alexander, che senza una sola preoccupazione per l'avvenire stava
costruendo persino una famiglia con Ami Mizuno.
Quel pensiero non lo atterriva. Figli, matrimonio,
convivenza... Fossero stati quelli il problema.
Voleva solo assicurarsi di non vivere il resto dei suoi anni
in una
gabbia. Voleva poter decidere che cosa essere, che cosa diventare.
Essere noto per sempre come 'il compagno di...' sarebbe stato
fastidioso, ma mai quanto l'essere incatenato a un ruolo delineato,
delimitato, in qualità consorte di una
personalità
politica e probabilmente militare come non se ne erano mai
viste
sulla Terra.
La sola idea di mettere in pericolo sua madre, Shori e
Miki... Non ci voleva nemmeno pensare, o la sua decisione
sarebbe stata devastante, ma chiara.
Le rimanenti conseguenze bastavano a coltivare i suoi dubbi.
Lui compativa
profondamente i miseri consorti dei comuni regnanti ancora esistenti
sul pianeta - persone senza voce e con un'agenda fitta di impegni di
rappresentanza su cui non avevano controllo. Manichini, per la maggior
parte. Usagi e Mamoru avrebbero
comandato sul nuovo regno terrestre, ma era facile immaginarsi almeno
mezzo secolo di tumulti che avrebbero impegnato a pieno titolo ogni
singola guerriera Sailor - loro e le loro famiglie.
Lui voleva plasmare il proprio futuro da solo. Non
sentiva di poter
resistere in una vita in cui fosse stato privato di quella scelta.
Non avrebbe dovuto nemmeno pensarci, dannazione. Le persone
comuni
non erano costrette a prendere simili decisioni. A Makoto chiedeva
solo un po' di... normalità.
Al momento lei voleva la stessa cosa,
perciò... il tempo avrebbe sistemato quella questione, no?
Con
lentezza e pazienza lui le avrebbe fatto capire di cosa aveva bisogno e
che in nessun modo questo significava che volesse rinunciare a lei.
Era rimasto seduto sul sellino della moto, in silenzio.
Strinse i manubri tra le mani, accedendo il motore.
Quando pensava al futuro spesso gli veniva mal di testa.
Si trovavano ancora nel presente. Tanto valeva viverlo appieno.
Partì.
Makoto occhieggiò la cesta di panni puliti. Doveva
stirare.
Il solo pensiero di essere sommersa dal vapore del ferro da
stiro
generò una gocciolina di sudore dietro il suo
orecchio. Andò al
rubinetto della cucina e si bagnò il collo con dell'acqua
fredda.
Non poteva rimandare quell'incombenza per tutta l'estate; i
vestiti non perdevano le pieghe da soli.
Coraggio, si disse. Avrebbe potenziato di una tacca il
ventilatore e
con un po' di televisione avrebbe superato anche quella sfida.
Andò all'armadio a muro accanto alla porta
d'ingresso. Dietro
le giacche e gli ombrelli aveva trovato un buco per l'asse da stiro. Lo
caricò tra le braccia e lo portò in mezzo alla
stanza,
aprendolo tra il clangore ferroso dei tubi di sostegno.
Suonò il citofono.
Chi poteva essere? Un venditore porta a porta, o forse un
vicino che aveva dimenticato le chiavi del portone.
Prese in mano il ricevitore.
«Sì?»
«Indovina chi è.»
Il cuore le balzò in gola.
«Gen!»
«Apri» rise lui.
Piena di gioia, Makoto gli obbedì immediatamente.
Si
voltò lesta per controllare lo stato della casa. Corse a
rimettere l'asse da stiro al proprio posto e mise via un paio di panni
che aveva lasciato distrattamente sul tavolo. Stava per preciparsi in
bagno a darsi una sistemata, ma sentì bussare alla porta -
due
tocchi allegri.
Ridendo, aprì l'anta con energia.
«Ciao!»
Sulla bocca di Gen rimase bloccata una parola. Lui
calò con gli occhi sul suo seno.
Makoto si ricordò di quel poco che la
copriva. Si schiaffò le braccia sul petto.
«Non guardare!»
«Ahh....» Gen entrò in casa,
chiudendo piano la
porta dietro di sé. Serrò le labbra spalancate.
«Hm.»
«È solo una cosa che ho messo per non
morire di caldo.»
«È così che ti vesti quando
non ci sono?»
Lei iniziò a ridere.
«Devo non esserci più spesso.»
Smettendo di fare la sciocca, Makoto abbassò le
braccia. Non
era niente che lui non avesse già visto. «Oggi sei
riuscito a liberarti?» Portò le mani intorno al
suo collo,
ma Gen continuò a non guardarla in viso, gli occhi chini.
«Hmm...» mugugnò.
Lo aveva anche reso incapace di parlare.
Rassegnata e divertita, si allontanò da lui,
dirigendosi
verso la cucina per sistemare gli ultimi piatti sparsi.
«È
un vestito di quando avevo tredici anni.»
Lo sentì soffocare un'imprecazione.
«Cosa?» Si voltò.
«Niente.»
Non gliela raccontava giusta. «Non sapevo
che venivi,
altrimenti avrei messo su qualcosa di normale. Così
almeno ti saresti ricordato di salutarmi.»
Gli diede la schiena e pochi attimi dopo sentì le
mani di lui sulla vita, come aveva voluto.
«Ciao.»
Col bacio sulla tempia Gen si fece perdonare tutto quanto.
Makoto si girò tra le sue braccia, accarezzandogli
le spalle. «Come mai non sei al lavoro?»
«Il cliente non si è presentato. Sono
libero fino a dopo pranzo.»
Era fantastico. «Mi mancavi.»
«Anche tu.»
Indugiarono in un bacio lento, profondo. Le mani di Gen
scesero sui
suoi fianchi. Makoto lo conosceva abbastanza da sapere che stava
trattenendo un tocco più audace, per il modo in cui sfregava
le
dita sul suo vestito. Lo aveva eccitato con due miseri scampoli di
stoffa.
Desiderosa di giocare, si separò da lui.
«Stavo per mettermi a stirare. Preferisci
uscire?»
Gli lesse in faccia un 'Non scherziamo', ma Gen fu
più diplomatico. «Rimaniamo qui.
Tranquilli.»
La radio era ancora accesa. Per l'ennesima volta in quelle
settimane partirono le note della sua canzone preferita.
«My heart will go on!»
Gen alzò gli occhi al cielo.
Smettendo per un istante di badargli, Makoto si
concentrò
sulla melodia iniziale, attendendo trepidante le prime parole. La voce
dell'interprete era dolcissima sulla frase d'esordio.
"Every night in my dreams, I see you, I feel you"
Lei capiva con tutta la sua anima la profondità di
quel
sentimento. Avere tanta nostalgia di una persona amata e ormai persa,
ritrovandola continuamente nei propri sogni... «Voglio andare
a
rivedere il film.»
Sarebbe stata la terza volta e Gen non nascose la smorfia di
dolore. «Non è fuori programmazione?»
«Lo riproporranno per due settimane al cinema di
Juuban. Non
metterti le mani nei capelli, non ti ci trascino di nuovo.»
Sorridendo per lo scampato pericolo, lui si
accomodò al tavolo. «Ci vai con le
ragazze?»
«Ci pensavamo da un po'. So che a te è
piaciuta la parte
dell'affondamento, ma la storia d'amore è la cosa
più
importante. Voglio piangere insieme alle mie amiche.»
«Masochiste.»
«Ti sei commosso anche tu!»
«Moriva tanta gente innocente. La mamma coi bambini,
quei poveri musicisti...»
Makoto si lasciò sfuggire una risata. Nemmeno
cambiando
discorso Gen riusciva a smettere di lanciare occhiate alla
sua scollatura.
Seduta dall'altra parte del tavolo rispetto a lui, si
sollevò sulle mani, mettendo in risalto i seni uniti.
«Mi
passi quella rivista dietro di te?»
Lui impiegò due secondi a connettere, poi
tastò con la mano dietro la propria schiena, senza voltarsi.
«Che esagerato!» scoppiò a
ridere a lei.
Lui non finse di non capire. Sorrise impenitente.
«Quei bottoncini stanno per scoppiare.»
Makoto abbassò lo sguardo. Oh, era vero: due dei
bottoncini
bianchi all'altezza dello sterno erano usciti dalle asole.
Provò a rimetterli al loro
posto, ma si sentì stringere troppo il petto e
lasciò perdere.
Gen stava praticamente sbavando. «È una
specie di sogno che si avvera.»
Senza capire, lei prese il telecomando dello stereo e spense
la
radio. «Mi sono fatta vedere in capi più
sexy.»
«Sì, ma... questo dovrebbe essere un
vestito normale.
Con la taglia sbagliata e il modo in cui incastona i tuoi
seni,
stringendoti il corpo...» Emise un soffio.
«È
così innocente da essere quasi... pornografico.»
«Cosa?»
Udendo il suo tono, lui strinse i denti. «In senso
buono.»
«Esiste un senso buono?»
Gen deglutì. «Nel senso che, visivamente,
mi ecciti da impazzire.»
Nei momenti più disperati lui se ne usciva con
mosse da campione.
Respirando con lentezza, per farsi ammirare, lei
accarezzò
il tavolo con un dito. «Allora è un bene che
abbiamo tutta
la mattina a disposizione.»
Gen iniziò ad alzarsi.
«Ah-ha. Chi ha detto che puoi muoverti?»
Alzando un sopracciglio, lui si immobilizzò.
«Non mi pare giusto che tu sia l'unico a goderti
questi piaceri... visivi. Ho i miei diritti.»
Gen sollevò gli angoli delle labbra.
«Cosa posso fare per te?»
Makoto lo osservò sul torso, la camicia a maniche
corte
aperta sul collo fino alla linea dei pettorali. Per lavoro lui era
stato costretto a indossare pantaloni lunghi. «Avrai caldo
con
tutta quella roba addosso.» Scivolò all'indietro
sulle ginocchia,
senza alzarsi dal pavimento. Picchiettò il bordo del letto.
«Vieni a metterti comodo.»
Lui si mosse con calma deliberata, il respiro carico, quasi
affannoso. La ragione era evidente nel rigonfiamento dei suoi pantaloni.
Era potente essere capace di ridurlo in quello stato. Makoto
sentiva
forte, in una maniera deliziosamente femminile, quando era in grado di
farlo muovere ai propri comandi con la sola promessa di una carezza.
Sedendosi sul letto, lui si appoggiò all'indietro
sulle mani, rabbrividendo quando lei gli accarezzò un
ginocchio.
Makoto si sistemò tra le sue gambe.
«Povero tesoro.
Costretto a stare così coperto.» Si
sollevò
leggermente, allungando le mani per sciogliergli i bottoni
della camicia. A
ogni asola liberata, sfiorò la sua pelle col dorso delle
unghie.
Gen era immobile, teso.
Makoto appoggiò un bacio sul suo sterno,
sfiorandogli il bacino rigido con lo stomaco.
Lui inspirò veloce.
«Fosse per me» sussurrò lei,
«dovresti
andare in giro sempre a torso nudo.» Sotto il venticello del
ventilatore, senza fretta e con un poco di crudeltà,
indugiò con le labbra a pochi centimetri dai suoi
addominali,
aspettando di sfilare il bottone dal proprio alloggio prima di
abbassarsi a
baciare di nuovo. Gen ritrasse lo stomaco involontariamente,
rabbrividendo.
«Mako...»
Il sospiro spezzato la scaldò. A mano aperta, lo
percorse dal collo fino all'addome - una carezza unica con cui
indugiò su ogni rilievo dei suoi muscoli.
Stuzzicò il
bordo dei suoi pantaloni e le palpebre di lui tremarono. Con
gusto, per far crescere l'attesa, lei appoggiò la bocca
sull'ultimo lembo di pelle scoperta, tre volte. Si godette il gemito
sordo e salì di nuovo con le mani, per stuzzicargli i
capezzoli
piatti. Se solo fossero stati sensibili come i suoi... Sollevandosi, li
baciò ugualmente, con ardore.
Alzò la testa per guardare il volto di Gen.
Seguì i suoi occhi mentre tornava a muoversi, leggendovi
dentro.
«Avrai caldo anche qui.» Gli
sfiorò la patta dei
pantaloni con una mano, facendogli stringere i denti. Smettendo di
torturarlo, sciolse a memoria la cintura di cuoio, appoggiando i gomiti
sulle sue ginocchia. Gen era talmente eccitato che sulle sue guance era
comparso un velo di colore, adorabile in lui.
Makoto percorse i suoi fianchi sotto l'orlo dei pantaloni. Non
furono necessarie parole: Gen sollevò il sedere,
permettendole
di far scivolare l'indumento oltre i suoi glutei, lungo le cosce
ruvide. Lei proseguì fino ai polpacci, poi con una carezza
sulla pianta di un piede nudo, gli fece capire che doveva alzare le
gambe. Terminò di spogliarlo delicatamente dei pantaloni,
come
fosse al suo servizio. Li piegò con cura, godendosi il
ruolo. Si stava comportando... da ancella.
Appoggiò i pantaloni sul tavolo e tornò
a concentrarsi su Gen, posando le mani sulle sue
ginocchia. «Mi vuoi senza slip?»
Mangiandosi l'aria, lui deglutì.
«Sì.»
Maliziosamente, lei sollevò la gonna solo sui
fianchi, per non permettergli di vedere. Fece scendere il pezzo di
cotone sottile lungo le gambe, muovendosi con grazia, fino a liberarsi
completamente. Ansiosa, tornò da lui. «Sai...
Vorrei essere la
tua più sfrenata fantasia.»
Gen agitava il petto nello sforzo di respirare. «Lo
sei già.»
Audace, lei infilò una mano nell'apertura dei suoi
boxer,
accarezzandolo. Lui si morse un labbro, senza mai chiudere gli occhi.
Per
il suo piacere la vista era molto importante.
«Potrei tirarlo fuori, e baciarne la
punta.»
Per Gen l'ossigeno stava diventando un bene sopravvalutato.
«Ma preferisco avere tutto» concluse
Makoto, insinuando
una mano nei suoi boxer all'altezza del sedere, per tirare via
quell'ultima barriera.
Lui la aiutò al meglio delle proprie
possibilità, anche col cervello mezzo
fritto. Quando fu finalmente nudo, invece di abbassare il viso
sul suo
membro, Makoto si spinse in avanti col corpo, creando uno spazio
per la sua erezione esattamente tra i suoi seni gonfi.
Per un momento lui vide bianco, per il sangue che gli era
esploso in testa.
Makoto gli lanciò un sorriso - tremendamente dolce,
e per
questo così sensuale. «Le tue parti preferite,
insieme.»
Lui riuscì ad articolare una frase.
«Manca la tua bocca.»
Dandogli ragione, lei chinò la testa, avvolgendolo
con le labbra.
Gen sentì di essere morto e andato nel Nirvana.
Gemette,
trattenendosi dall'afferrarle la nuca, andando invece a stringere le
lenzuola tra le dita.
Makoto gli fece sentire il bollore umido e ruvido della
propria
lingua, poi spostò le mani, andando a raccogliere i seni
così che sembrassero più pieni attorno alla sua
asta.
Lui picchiò il materasso col pugno.
Lei si lasciò sfuggire un rapido sorriso, senza
smettere di rendere omaggio alla sua erezione.
Lui stava per esplodere. E non voleva, aveva bisogno di
vederla continuare, di sentirla
continuare.
Conoscendolo quasi meglio di se stesso, Makoto lo
massaggiò
sulla base, stringendo, per mettere un freno alla sua
eccitazione.
«Sei... divina.»
«Di più.» Lei si
adoperò a dimostrarlo,
donandogli con la bocca piaceri che lui fu sicuro di non avere mai
provato.
Per poco non arrivò al culmine quando un capezzolo
roseo le
sfuggì dal vestito, strofinandosi contro il suo
bassoventre.
Makoto lo frenò di nuovo. «Scelgo io
quando. Tu goditela.»
Gen lo fece senza alcuna riserva, infilandole le dita tra i
capelli
per farle capire quanto gli piacesse una suzione intensa,
regolare. Si ridusse ad ansimare come un animale.
Makoto gli strappò il culmine con un grido. Col
bacino teso Gen si morse le labbra fino a quasi tirare via
sangue.
Lei non si perse neppure una goccia del suo orgasmo.
Incurante della dignità, lui si
abbandonò sul letto,
occhi chiusi e braccia distese. Aveva visitato l'aldilà di
ogni
religione esistente. Era in pace con l'universo.
Sentì che la pressione sul letto variava. Makoto si
stava
sistemando accanto a lui, girando intorno... alla sua testa?
Aprì gli occhi e si ritrovò a guardare
il viso sereno di
lei, capovolto. Col corpo, rannicchiata, Makoto aveva creato una specie
di guscio sopra di lui. Ora lo contemplava.
I suoi occhi erano del colore dell'erba, il verde intenso che
i fili assumevano dopo essere stati bagnati dalla pioggia. Gen
trovò la forza di sollevare un braccio, per sfiorarla sul
mento. Lei aveva una pelle così morbida... Makoto
abbassò le palpebre, sorrise. Sulle sue guance crebbe
un'ombra
di gioia, una sfumatura tenera di rosa.
Come era riuscito ad avere qualcuno di così
perfettamente puro nella sua vita?
Non gli piaceva sentirsi romantico perché gli
faceva male.
Era un dolore fisico per lui rendersi conto di quanto fosse forte
quello che
provava per lei, consapevole che un giorno poteva non averla
più accanto. Gli veniva voglia di urlare, distruggere
qualcosa,
disperarsi. Ma non era quel tipo di persona. Era calmo, con la testa
sulle spalle.
E pieno di speranza.
Trascinò una mano di Makoto sotto la bocca, per
baciarla.
Gratitudine, amore, reverenza. Erano buoni sentimenti da
provare.
Lei gli passò le dita sulla fronte, quasi facendolo
addormentare.
Era così felice. Senza fare troppo rumore, Makoto
sgattaiolò in bagno. Stare con Gen era indescrivibile
perché un
minuto lei poteva sentirsi una sirena ammaliatrice, priva di
inibizioni, e
quello dopo una ragazzina alla prima cotta, emozionata all'idea di
ricevere un bacio.
Sotto il getto del rubinetto, sciacquò bene la
bocca. Gen
aveva ancora la fissa di esitare a baciarla troppo profondamente appena
dopo che si era liberato tra le sue labbra. Stranamente, non concepiva
che
lei potesse provare lo stesso fastidio a parti invertite. Ovviamente
per lei non c'erano problemi. Si trattava in entrambi i casi di
semplici fluidi corporei. Grazie alla loro buona alimentazione tutti e
due avevano un sapore mite, lievemente salato e affatto
spiacevole.
Quando gli parlava così, lui scoppiava a ridere.
Quel giorno lo aveva rivoltato come un calzino. Se
quell'esperienza
non finiva nella personale top ten di lui, lei non era più
degna
di chiamarsi Makoto Kino.
Tornò in camera, a passi felpati.
Senza muoversi, ancora voltato, Gen parlò.
«Dov'eri andata?»
«Sei resuscitato?»
«Ce l'ho fatta.»
Le scappò una risata. Fece il giro del letto, per
potervi
salire guardandolo in faccia. Come se non lo avesse appena stremato,
lui si concentrò di nuovo sul suo petto.
«Mi sa che due bottoni si sono
sacrificati.»
«Come? Oh, no!» Li cercò con lo
sguardo sul pavimento.
Gen le prese una mano. «Li ritroverai.»
«Speriamo. Comunque, ne è valsa la
pena.»
Lui chiuse gli occhi, rivivendo l'esperienza. «Come
ti è venuto in mente?»
«Ho i miei segreti.»
«Non vuoi dirmeli?»
Preferiva di no. «Così rimarrai sorpreso
la prossima volta che ne sfodero uno nuovo.»
Gen annuì. «Ragionevole.» La
tirò piano verso di sè. «Ma ora tocca a
me.»
Makoto abbassò gli occhi sul suo bacino, dove il
suo organo
sessuale giaceva sfinito. «Non per deluderti, ma...»
Lui liberò una risata alta. «Non ho solo
quello, sai?»
Ah, no?
«Mi pareva di ricordare che ti fossi spogliata di un
paio di slip. Non vorrei che fosse stato per nulla.»
«Hm» assentì lei, incuriosita e
già un
poco accaldata. La sua pelle stava ancora traspirando per lo sforzo di
qualche minuto addietro, ma non le importava.
Con le mani alzate, Gen le indicò di venire avanti
- un gesto
veloce, provocatorio nella sua arroganza. Gli calzava a pennello in
quel
momento.
Sostenendosi con le braccia, Makoto gli fu sopra. «E
ora?»
Lui scosse la testa. «Vieni più
avanti.»
Muovendo le gambe ai lati del suo torso, lei salì
fino all'altezza del suo petto. «Così?»
«Più avanti ancora.»
Makoto comprese e avvampò, già
pregustando le sensazioni. «Sei sicuro?» Anche
mentre lo chiedeva stava
muovendo le gambe, per posizionare le ginocchia oltre le spalle di lui.
«Non ti... soffoco?»
«Sono capace di spostarti.» E per
dimostrarglielo, con
le mani lui la posizionò, a gambe aperte, direttamente sopra
il
suo viso, quasi facendola cadere in avanti.
Makoto provò un minimo di vergogna. Per via della
gonna non riusciva più a vederlo in faccia. «Forse
dovrei andare a lavarmi.»
«Vediamo.»
Una leccata lungo tutta la sua carne le fece spalancare la
bocca.
«Sei perfetta.»
Lei scoprì di non avere niente a cui aggrapparsi.
«Gen... spostiamoci, così non...» Fu
costretta a
stringere i pugni, tenendosi sollevata a mezz'aria sulle cosce mentre
lui la stimolava.
Sarebbe scivolata in avanti, o indietro, senza alcuna
possibilità di... Raddrizzò la schiena di colpo,
stringendo le mani sui capelli di lui.
Come poteva dirglielo? Come poteva confessargli che, a volte,
la
sensazione della sua lingua le provocava un piacere più
acuto,
più intenso, di qualsiasi altra cosa, di qualunque altro
momento...
Perse di nuovo la facoltà di pensare.
Quando lui iniziò a frugare più in
basso, lontano dal
suo punto più sensibile, Makoto capì,
ricordò.
Quell'atto non era esattamente migliore, bensì
diverso dagli altri. Non c'era niente come quella stimolazione diretta
che potesse
portarla al culmine tanto in fretta, ma se solo pensava a quando si
univano, e a quando lo sentiva entrare a fondo dentro di
sé...
Ondeggiò contro la sua faccia, con attenzione quasi dolorosa
per
il bisogno di muoversi.
Gen le strinse il sedere, affondando le dita nei suoi glutei.
«Non pensare. Goditela.»
Makoto mugolò, sentendo che le labbra di lui si
chiudevano
attorno all'apice delle sue pieghe, succhiando via l'aria.
Cercò
di calmarsi, per cavalcare al meglio l'ondata dei sussulti crescenti.
Gen
rallentò a sufficienza da permetterglielo, poi, senza
pietà,
la costrinse a vivere di piccoli spasmi deliziosi, accendendoli e
sedandoli con baci e brevi leccate.
Lei iniziò a tirargli i capelli. Per smettere
affondò le dita nella propria chioma, afferrando a piene
mani
delle ciocche. Il ventilatore le fece aria sul petto, dove il vestito
si era ormai disfatto.
«Sì!» mugolò.
Gen la premiò con una passata di lingua insistente,
che le causò un altro sussulto.
Aveva una voglia pazza di mettersi a gridare.
«Ti prego!»
Erano sfoghi, lamenti, ma si rivelarono la chiave per
incitarlo. Lui le regalò una serie continua di baci e
assaggi
celestiali, divini. Era lui il dio, lei al confronto...
Senza chiudere per un attimo la bocca, tenendosi muta a
fatica, Makoto si
mantenne in un equilibrio infinito sull'orlo dell'orgasmo. Quando perse
il controllo, il gemito le uscì come un pianto.
Liberata, si lasciò travolgere dall'assolutezza del
piacere fisico,
sentendo che il piacere raggiungeva ogni fibra del suo corpo.
Alla fine si accorse di aver smesso di sostenere da
sola il proprio peso. Gen la stava aiutando con le mani.
Si sollevò da lui, ricadendo sul letto con la
schiena. «Wow.»
Gen le fu sopra, a baciarla sullo stomaco, sullo sterno,
sollevandole la gonna fino alla vita. «Non puoi essere
stanca.»
«Invece sì.» Nella pace dei
sensi, non
trovò la forza di aprire gli occhi.
«Perché?»
Comprese la ragione senza bisogno di una risposta a voce - una
ragione dura, insistente e di nuovo vitale.
Gen la stava abbracciando, mordendola piano sui capezzoli.
Lei
lo tenne per le spalle. «Non penso di poter...» Ma
le sue parole si
persero in un ansito quando lui si insinuò nel suo corpo.
L'unione
diviene magia, pura perfezione, quando furono intrecciati da capo a
piedi, in grado di baciarsi mentre ondeggiavano, dondolavano,
spingevano.
Quello
era il meglio. Era il meglio ogni volta che ricominciavano, tutte le
volte che lei poteva stringerlo tra le braccia.
Si
abbandonò all'esperienza, all'amore. Con dita e mani, bocca
e gambe,
occhi, ventre, gli offrì ogni senso che aveva, per
percepirlo in tutto
ciò che ora - odore, voce, peso, la consistenza stupenda del
suo corpo
e la ruvidezza della sua guancia contro il viso. E il calore,
intenso
dentro di lei e tra i loro bacini madidi di sudore.
Appagati, si separarono appena il ventilatore tornò
a direzionarsi verso di loro.
Mugugnarono insieme, di godimento. Con quel poco di forza che
avevano, risero.
Rivolti al soffitto, rimasero ad attendere il nuovo getto
d'aria.
Non c'era momento in cui Makoto si sentisse più
romantica. «Un giorno balliamo quella canzone?»
«Hm?»
«Quella di Titanic.»
Non sentendo risposta, strinse gli occhi per l'imbarazzo,
arrossendo.
Udì la risata bassa di Gen.
«Non prendermi in giro!»
«Non ho detto di no!»
Prendendo coraggio, lei rotolò di lato, fino ad
appoggiarsi su un gomito. «Non hai detto di
sì.»
«Mi fa ridere che ti vergogni.»
«Perché devo essere io a chiederti queste
cose.»
Lui sollevò una mano, toccandole il viso.
«Sii paziente con me. Alla fine dirò sempre
sì.»
«Ad un ballo in pubblico?»
Gen provò con tutte le sue forze a non deformare il
viso in una smorfia.
Makoto crollò a ridere contro la sua spalla.
Lo sentì tremare mentre lui la imitava.
Appoggiò
un bacio contro la sua clavicola. «Scusa per queste
sciocchezze. A
volte con te vorrei fare qualcosa di così... Non lo so.
Qualcosa che
fosse in grado di far uscire questa forza che mi preme sul petto.
Qualcosa che fosse capace di...»
«Tornare a farti respirare?»
Si
sollevò. «Sì. Qualcosa che non sia
sesso, perché fare l'amore non
basta.» Si chinò, le mani a racchiudere il suo
viso. Lo baciò sulla
fronte. «Anche se non voglio smettere di provarci.»
«Vieni qui.» Gen la strinse a
sé con le braccia, incurante del
caldo. «Restiamo così»
mormorò. «Un giorno basterà. E se non
sarà mai sufficiente...»
«Possiamo rimanere abbracciati per sempre.»
«Hm-hm» annuì lui.
E Makoto si sentì completa in ogni angolo della sua
anima.
Luglio 1998 - Effusioni -
FINE
NdA:
I'm back! O meglio,
Makoto e Gen sono tornati, alla massima potenza. Come spiegavo nel
gruppo Facebook, ho avuto l'idea di saltare un anno della loro vita
perché era tanto che volevo scrivere questa lemon su loro
due - è
partito tutto dall'idea di quel vestito di lei. Rileggendo la raccolta
fino al capitolo ambientato nell'agosto del 1997, mi pareva che non
fosse necessaria, per il ritmo dell'intera storia, un'altra lemon, ma
ovviamente questo capitolo non poteva che essere ambientato in estate.
Come fare dunque? Ho saltato un anno :P Così
potrò tornare più in là a
raccontare cos'è successo tra la seconda metà del
1997 e il 1998, e ho
anche avuto a che fare con una Makoto e un Gen in un diverso punto
della loro relazione. Si comprendono meglio, penso siano più
in
sintonia. Al tempo stesso iniziano a farsi più concreti i
problemi che
il futuro sta per creare ad entrambi. Ed è su questo tema
che si
svilupperà la fine del 1998 e l'inizio del 1999 in questa
raccolta.
Continuate
a seguirmi se volete sapere e soprattutto fatemi sapere cosa ne pensate
di questo capitolo :) E dell'amore di Makoto per Titanic :D
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
|
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Capitolo 21 *** AU SPOILER - Makoto rivela a Gen che... ***
correntenaturale - calura
Corrente
naturale
di ellephedre
AU SPOILER - Makoto rivela a Gen
che...
NdA: In questa storia mi diverto a immaginare come
reagirà Gen
quando Makoto gli rivelerà di essere incinta. E' una storia
AU perché le circostanze in cui avverrà questa
rivelazione nella storyline ufficiale saranno completamente diverse. Ma
mi veniva spesso domandato come si sarebbe comportato Gen
nell'occasione e siccome manca ancora tanto tempo per saperlo, ho
voluto descrivere un modo in cui la cosa potrebbe succedere in un mondo
più semplice per i nostri protagonisti.
Makoto sgranò gli occhi davanti alle due linee rosa
sullo
stick di plastica. Crebbe in lei un sorriso.
Appoggiò
con reverenza il test di gravidanza sulla mensola dello specchio,
osservandolo, rimirandolo.
Portò le mani alla bocca e pianse di gioia.
Sarebbe diventata mamma!
Avrebbe avuto un bambino! Lo avrebbe
cresciuto e gli avrebbe insegnato tutto quello che... Ripensare ai suoi
genitori e a sua nonna, la famiglia che aveva perduto, le
causò
dolore. Loro sarebbero stati così felici di sapere
di quel giorno. Ma non
erano lì per ascoltarla.
Ma se ci fossero stati... Avrebbero sorrisero e
l'avrebbero
abbracciata, contenti: finalmente
anche lei stava formando una famiglia sua e aveva sempre più
persone che
la amavano a circondarla.
La malinconia lasciò il posto alla
felicità
più assoluta. Doveva dirlo a Gen!
Non
ebbe bisogno di guardare l'orologio per ricordarsi che erano solo le
dieci del mattino. Lui quel giorno era occupato fino a tarda sera.
Meglio così, poteva rivelarlo prima alle ragazze!
Anzi,
doveva correre subito da Ami!
Afferrò il comunicatore. «Ami-chan?
Ciao!»
«Mako-chan? Ciao.»
«Posso venire a casa tua? Con tutte le
ragazze!»
«Eh?»
«So che mi sto autoinvitando, ma ne varrà
la pena!
Le chiamo, va bene?»
«Ehm... Okay.»
«A tra poco!»
Makoto chiuse la chiamata e premette subito il pulsante per
parlare con
Usagi.
«Sono
curiosa!» Usagi batteva le mani. Erano sedute tutte nel
salotto di Ami,
attorno al tavolo, Iria-chan e Adam-chan sistemati insieme nel recinto
giochi di lui.
«Come mai ci hai convocate qui? Cos'è
successo?»
Usagi rilasciò un ansito. «Ahhh! TI
SPOSI!»
Makoto
non fece in tempo a chiarire che Usagi le aveva già
afferrato la mano.
«Dov'è l'anello, fammelo vedere! Quando te l'ha
dato?!»
Rei tirò via Usagi per le spalle. «Vuoi
calmarti?!
Lasciala parlare!»
Makoto
era imbarazzata. «No, Usagi-chan, non mi sposo.»
Non ancora almeno. Si
sorprese lei stessa: non avrebbe mai pensato di avere un bambino prima
del matrimonio. Ridacchiò. «Però la
notizia che voglio darvi è
altrettanto bella. È una cosa meravigliosa.»
Usagi non stava più nella pelle. «Che
cos'è, che cos'è?»
«Aspetta, Ami deve aiutarmi.» Si
avvicinò a lei, parlandole in un orecchio.
Usagi
rilasciò un grido muto. Si batté le mani sulla
bocca aperta, mentre
anche Rei e Minako spalancavano le labbra. Saltarono sulle ginocchia
quando Ami tirò fuori il suo computer, sorridendo
perché sapeva già
cosa cercare.
Usagi piagnucolava per la commozione. «Non ci
credo!!»
Rei le afferrò un braccio. «Non dirlo!
Lascia che
parli Makoto!»
Makoto stava di nuovo per mettersi a piangere di
felicità.
Si
trattenne, nell'attesa di vedere sullo schermo di Ami la conferma.
Il
cuore cominciò a batterle nel petto mentre l'analisi del
computer si
focalizzava sulla parte centrale del suo corpo. Smise di respirare,
finché un 'bip' accese in lei un universo di luce.
«Ecco...» Ami
voltò verso di lei lo schermo con delicatezza, mentre le
altre
scattavano in piedi, per guardare da dietro le sue spalle.
Minako la circondò con le braccia.
«Mako-chan...»
Usagi
urlava senza voce. Le prese la testa, per schioccarle un bacio su una
guancia. Ami asciugava una lacrima col dorso della mano libera.
«Sono
così contenta per te!»
Rei le strinse forte i polsi. «Sei felice,
vero?»
«Certo!»
Rei appoggiò la fronte contro la sua, gli occhi
chiusi.
«Già, tu sei nata per fare la mamma. Sarai
grandiosa.»
Makoto la abbracciò, sopraffatta. Da sopra le
spalle di Rei
vide
l'incertezza negli occhi di Ami, mentre lei ancora guardava lo schermo.
«Cosa c'è?»
«Ehm... Mako-chan...»
Makoto ebbe un sussulto. «C'è qualcosa
che non
va?»
«No, è solo che...» Ami si
sporse piano
sul tavolo, facendosi spazio tra
le altre, mettendo di nuovo il computer al centro dell'attenzione.
«Qui non c'è un solo punto. Ce ne sono
due.»
«Una doppia energia?» ipotizzò
Minako.
«No, significa che sono...»
Usagi rilasciò uno strillo.
«GEMELLI!»
Makoto venne assordata dalla verità.
Afferrò il
computer
di Ami, sotto choc. «Fammi vedere! Ingrandisci
l'immagine!»
Ami trafficò con le dita sulla tastiera,
confusamente,
finché lo schermo non zoomò ulteriormente sulla
parte
bassa dell'addome di Makoto, facendo distinguere con chiarezza la
presenza di
due punti separati, che venivano identificati come due diverse
entità.
Makoto schiacciò il computer di Ami così
forte
che quasi lo incrinò. «AHHHH!»
«AHHH!» gridò con lei Usagi. Le
gettò le
braccia al collo e saltarono insieme sul pavimento, mentre Ami si
riprendeva il computer con un grosso sorriso. Intorno a loro Minako
ballava. «Come hai fatto?!»
Rei rideva. «Solo tu!»
Makoto si coprì la bocca con le mani.
«Due! Non
riesco a crederci!»
Ami guardava intenerita il computer. «Hanno ventidue
giorni.
Vuoi sapere anche il sesso?»
«No!» la fermò Makoto.
«Dovrà esserci anche Gen! Prima devo
dirglielo!» Le girò la testa. Come l'avrebbe presa
lui? Un
solo bambino già cambiava tutto, ma due...
Minako le appoggiò una mano sulla schiena.
«Troppa
eccitazione, sediamoci. Andrà tutto bene, Mako-chan.
Anche se sono due.»
«Lo so, solo che...» Non riuscì
a
concretizzare una
sola obiezione. Era piena di dubbi e incertezze che venivano
schiacciati dalla gioia che stava provando. «Sono
contenta!»
Minako riconobbe che era passato il suo momento di debolezza e
le diede
una pacca energica sulla spalla. «E brava Makoto! Non fai mai
le
cose a metà!»
Usagi smise di saltellare e si sedette davanti a lei.
«Due,
Mako-chan! Ti compreremo un mucchio di cose!»
Rei annuiva. «Io ed Ami abbiamo già
abitini da
passarti. Sia da maschio che da femmina.»
Usagi batteva di nuovo le mani. «Non vedo l'ora di
scoprire
cosa
saranno! Dopo che l'hai detto a Gen devi chiamarci subito! Anzi, voglio
essere presente domani!»
Rei si scandalizzò.
«Impicciona!»
«Dopo che avranno avuto il loro momento, per chi mi
prendi?!» Usagi era fuori di sé dalla gioia.
«Ohh,
sono così invidiosa! Quando si decide ad arrivare
Chibiusa?» Strinse un pugno. «Io e Mamo-chan
dobbiamo darci
dentro!»
Makoto rideva. «Ti farò sapere cosa sono
appena
possibile. E vedrai che Chibiusa arriverà presto!»
Minako era pronta a scherzare. «Troppi bambini,
ragazze! Qua
sono l'unica che si è salvata!»
Giocosamente, Rei tirò fuori la lingua.
«Nel mio
caso
è stato un incidente, ma se non ti muovi finirà
che anche
in questo sarai l'ultima del gruppo!»
Minako si indignò, ma Usagi proseguì.
«Eh,
sì. Io non ho intenzione di rimanere indietro con
Mamo-chan!»
«Ma senti queste! Io e Shun ce la stiamo prendendo
comoda! Ma
quando arriverà il mio turno ne sfornerò come
minimo tre
tutti d'un colpo!»
Scoppiarono a ridere, ma Rei mosse un dito in aria.
«Attenta.
Quando ci sono in gioco poteri come i nostri non bisogna mai esprimere
desideri troppo strani.»
«Che vuoi dire?»
«Be', Makoto desidera da sempre una famiglia e
guarda
cos'è successo: due allo stesso tempo. Ed Ami? Quando si
è decisa ad avere un bambino ha fatto centro al primo
colpo.»
Minako aveva una luce furba negli occhi. «Quindi in
fondo
anche tu volevi un bambino dal tuo Yu?»
Prima che Rei potesse inalberarsi, Usagi emise un versetto di
gioia.
«Com'è successo, Mako-chan? Se i tuoi bimbi hanno
ventidue
giorni, sai quando è capitato, no?»
Nel sentirli chiamare in quel modo Makoto si sciolse.
Minako guardava per aria. «Il 'come' è un
film
vietato ai minori.»
«Non sei romantica, Minako! Io sono sicura che sia
sempre un
momento speciale! Ami mi ha raccontato il suo!»
Tutti gli occhi furono su Ami. Lei arrossì.
«Ha
insistito...»
Usagi decantò le circostanze. «Si erano
appena
ritrovati
dopo settimane di lontananza. La passione li ha travolti!»
Ami si coprì gli occhi con le mani.
Minako rise sguaiatamente. «Ma che arrossisci a
fare! Il
frutto del tuo misfatto è là che gioca!»
Si voltarono tutte verso i bambini. Tra minuscoli grugniti,
Adam stava
strattonando Iria per la tutina, mentre lei si ribellava.
Ami e Rei scattarono in piedi, per fermare la rissa.
Makoto sorrideva. «Sono così
teneri.»
«E birbanti!» le ricordò
Minako.
«Guarda cosa
combinano quando sono insieme. Tu ne avrai due da gestire!»
«Non terrorizzarla!» Rei aveva preso in
braccio
Iria, che
si dimenava per tornare nel recinto, a combattere. «Sono
problemi
a cui si pensa a tempo debito. Questo è il momento di
festeggiare.»
«Esatto!» concordò Usagi. Prese
le mani
di Makoto,
supplicante. «Ti prego, dimmi che li avete concepiti in un
momento speciale.»
«Ehm...» Makoto cercò di fare
mente
locale. Farsi
strada tra i ricordi risultò più complesso del
previsto.
«Devo pensarci.» Magari con davanti un calendario,
ma
non era sicura di riuscire a identificare l'occasione. «Io e
Gen
facciamo l'amore così spesso che-» Si
zittì,
arrossendo.
Rei aveva stampato in volto un sorriso diplomatico.
«Diciamo
che
questi bambini sono stati concepiti all'interno di un generale quadro
di romanticismo.»
«O ninfomania» aggiunse Minako. Makoto la
colpì su
una spalla, strappandole una risata. Il suono venne sovrastato da un
urlo di Iria, che non riuscendo a tornare a terra stava dando voce al
proprio malcontento. Rei la appoggiò sulle spalle e
provò a
consolarla, senza successo. Pochi secondi dopo Adam si unì
al
suo pianto disperato.
Minako aprì una mano sulla scena. «Ed
ecco come il
romanticismo di una relazione vola via dalla finestra.»
Usagi era imbronciata. «Non dire così! I
bambini
non sono facili da gestire, ma-»
Gli strilli di Iria toccarono nuovi massimi di decibel e
Makoto fece
una smorfia.
Non la aspettavano tempi semplici.
Dopo aver lasciato le sue amiche, Makoto non si
scoraggiò.
Voleva
preparare qualcosa di molto carino per dare a Gen la notizia.
Desiderava essere originale e tenera. Nella strada verso il suo
appartamento le venne l'idea giusta.
Lo avrebbe detto con un dolce.
Una torta? Era fattibile e con la decorazione giusta poteva
creare un
capolavoro, ma... voleva più attesa. I biscotti facevano al
caso suo.
Avrebbe composto la frase chiave che avrebbe rivelato a Gen la
verità con più biscotti.
Sapeva anche quali parole scegliere! Gen avrebbe stentato a
capire, ma
poi... Ridacchiò. Sarebbe stato un momento unico!
Si abbracciò lo stomaco.
Due!
Due bambini tutti suoi!
Due maschi, due femmine? Un maschio e una femmina?
Non vedeva l'ora di vederli giocare insieme, di vestirli, di
assistere
ai primi sorrisi... Lei amava i neonati!
Li adorava anche quando piangevano. Temeva
solo di perdere troppo sonno e naturalmente doveva decidere come
gestire la pasticceria, ma... ci avrebbe pensato poi! Quello era il
giorno suo e di Gen. Il giorno della loro nuova famiglia.
Chiuse gli occhi.
Ti prego,
reagisci bene.
Sapeva che Gen sarebbe stato vicino a lei e ai bambini nei
mesi che
sarebbero seguiti, ma sul momento la notizia poteva sconvolgerlo.
Quella gravidanza sulla carta era sembrata a entrambi impossibile,
quindi lui non aveva
mai pensato che loro potessero avere una famiglia. Non era preparato.
Forse lei doveva iniziare con un discorso introduttivo?
Così però gli avrebbe rovinato la
sorpresa.
... forse non c'era un modo ottimale per dirlo. Doveva
semplicemente
buttarsi e... sperare.
Non deludermi,
per
favore. Sii assurdamente felice, come me.
Gen sbadigliò. Era sabato sera. Anche quel giorno
aveva
lavorato
fino a tardi. L'internato che stava facendo gli piaceva molto, ma non
gli lasciava molto tempo libero, neppure nei weekend. Aveva creduto di
conoscere il duro lavoro quando si era occupato della ditta di suo
padre, ma allora - in qualità di titolare - aveva avuto
margini
per scegliere i suoi orari. Come stagista appena assunto doveva uscire
dal lavoro per ultimo ed entrare per primo. Sarebbe andata avanti
così per un po' - almeno sei mesi, forse un anno. In seguito
le sue mansioni sarebbero diventate più interessanti
e il suo stipendio sarebbe cresciuto.
Aveva un progetto: andare a
vivere ufficialmente insieme a Makoto, in una casa più
grande.
L'appartamento di lei era accogliente ma piccolo. Per due persone ci
volevano più stanze, magari uno studio per lui e una stanza
degli hobby per lei. Era un sogno da persone adulte.
Ah, e Makoto voleva un cane. Era un animale che richiedeva
tempo, ma
appena il suo lavoro si fosse stabilizzato, lui aveva intenzione di
accontentarla.
C'era solo bisogno di qualche
altro sacrificio. Tra qualche tempo avrebbe traslocato insieme a Makoto
e
avrebbero iniziato per davvero una vita insieme. Magari con un anello
di mezzo, come insisteva a dire Alexander.
"Che aspettate a sposarvi?"
"Che bisogno c'è?"
"Praticamente vivete già come se foste sposati.
Anche se tu
per metà del tempo stai ancora a casa di mamma."
Gen aveva lasciato perdere la frecciata. "Devo occuparmi anche
della
mia famiglia. Comunque, il matrimonio ha senso solo con una casa."
"Allora ci hai già pensato."
"Alla casa? Certo, quella di Makoto è troppo
piccola."
Alexander aveva roteato gli occhi al cielo. "Okay, sei
pratico. Ma se
continui ad aspettare, Makoto sarà
costretta a scriverti col neon che vuole una proposta. Non
sarà
contenta."
Perché tanta insistenza? "Lei è a posto
come
stiamo ora."
Alexander gli era parso perplesso. "Ami dice che quando viene
da noi fa
sempre i complimenti per la casa, e passa tutto il suo tempo addosso
ad Adam."
Be', i bambini erano fuori discussione e non per sua
volontà. "So che a
Makoto un giorno piacerebbe sposarsi, ma non è un progetto
semplice."
Era convinto che lei concordasse. "Voi altri avete creato false
aspettative."
"Che significa?"
"Per sposarsi ci vogliono i soldi e una buona posizione
lavorativa." O
quantomeno delle minime certezze su una carriera. "Mamoru lavora da
quando aveva diciassette anni e ha ricevuto in eredità
abbastanza da
comprarsi un grande appartamento. Kumada è ricco di famiglia
e adesso è
soddisfatto facendo il padre, e tu... Tunon
sei un esempio da seguire. Hai guadagnato una sicurezza economica
vendendo foto del tuo sedere.»
"Era una
foto di schiena."
Sì,
ma la pubblicità di quei jeans lo faceva ancora sganasciare
dalle
risate. Non l'avrebbe fatta dimenticare a Golden Boy per il resto dei
suoi giorni.
"La pianti?"
Gen smise di ridere tra sé. "Comunque
solo ora la pasticceria di Makoto è ben avviata, mentre io
sono agli
inizi. Riesco a stento a tornare a casa la sera." Non era
così che si
iniziava un matrimonio. Ci voleva più
tranquillità, più stabilità.
E loro non avevano fretta, no? In verità avevano
dieci vite
davanti a sé.
Golden Boy aveva sorseggiato la sua bibita. Si incontravano di
tanto in
tanto a pranzo, lavorando vicini.
"Ti farò un favore. Chiederò ad Ami di
scoprire
cosa vuole Makoto."
Come se lui ne avesse bisogno. "Lo so meglio delle sue amiche."
Golden Boy aveva sorriso. "Su questo argomento Makoto non ti
dirà mai niente."
"Quando lei vuole qualcosa, me lo dice chiaramente."
"Non in questo caso" aveva insistito Alexander. "Il silenzio
è d'oro per le donne."
Sì, e Golden Boy le capiva un po' troppo bene. "Io
mi
preoccupo per come funziona la tua testa. Te lo dico da anni."
"Ridi, ridi. Sto cercando di evitare che tu ti riduca
all'ultimo
momento, come è successo a me."
Le
loro situazioni erano completamente diverse. Nel caso suo e di Makoto
non ci sarebbe mai stata di mezzo una gravidanza che li avrebbe
costretto ad accelerare i tempi. "Perché oggi parli di
queste cose?"
"Perché credo che Ami abbia cercato di farmele
intuire."
"Eh?"
"Non
perché te le dicessi - anzi, non vorrebbe che te ne
parlassi, mai. Ami
pensa che a Makoto manchi qualcosa. Se se n'è accorta lei
significa che
non te ne sei accorto tu."
... anche in questo si sbagliava. Gen
sapeva bene che Makoto desiderava una famiglia, e che vedendo quella
delle sue amiche la voleva ancora di più.
Alexander lo aveva scrutato. "Se non puoi darle tutto, dalle
il meglio
che puoi."
Era quello che lui stava cercando di fare. "Vuole una casa con
giardino. Costerà molto" nemmeno i soldi che aveva ricevuto
in eredità
da suo padre sarebbero bastati, "per questo dobbiamo lavorare."
Alexander aveva masticato il suo riso con calma e Gen aveva
considerato
chiuso il discorso.
"A volte vorremmo regalare una Ferrari quando basterebbe
un'utilitaria,
ma data con amore."
Gen si era lasciato sfuggito un sospiro. "In un'altra vita sei
stato
una donna. Per forza."
Quella
conversazione lo aveva fatto riflettere nei giorni successivi. Potevano
volerci anni per risparmiare abbastanza da comprare il tipo di casa che
desiderava senza che lui e Makoto si svenassero. Forse rimandare tutto
quanto non era necessario.
A malincuore, doveva ammettere che Golden
Boy aveva ragione: anche se avessero dovuto aspettare del tempo per
sposarsi, Makoto sarebbe stata felice di ricevere quel tipo di
proposta. Non le sarebbe nemmeno importato dell'anello - non tanto,
almeno: per lei contavano il valore di un gesto, di un sentimento.
Sarebbe
stata contenta anche se lui si fosse trasferito a vivere
permanentemente nel suo monolocale, per quanto ci fosse poco spazio,
anche senza avere la certezza che un giorno ne avrebbero avuto di
più.
Ma
sarebbe stato così. E un giorno si sarebbero sposati. Nella
sua testa
era talmente chiaro che forse aveva tralasciato l'importanza che aveva
ribadirlo.
Hm.
Mentre saliva le scale del condominio di Makoto, fece
scriocchiolare le
spalle.
Doveva cominciare a guardare degli anelli?
... non ne aveva voglia. Aveva così poco tempo
libero che
dedicarlo a fare shopping gli pareva uno spreco.
Ma
doveva iniziare a farsi un'idea dei prezzi per capire se il progetto di
una proposta aveva senso nell'immediato. Makoto era modesta nei gusti,
ma in una gioielleria facevano pagare anche la modestia.
Un'altra cosa a cui pensare.
Sospirò, scocciato con se stesso. Era felice al
lavoro ma
desiderava più tempo. Tutto quello che lo faceva stare bene
era...
Makoto gli aprì la porta di casa, colma di
felicità. "Bentornato!"
Ecco.
Lui non desiderava nient'altro.
Dopo
una settimana di lavoro Gen era esausto. Per preparare al meglio il
campo per la notizia, Makoto lo coccolò con un massaggio
alle spalle,
un asciugamano caldo da passare sul viso e un'ottima cena.
Era arrivato il momento del dessert.
Lui era stranito. «Oggi sei allegra.
Cos'è
successo?»
«Una cosa» sorrise lei. Danzò
verso il
frigo.
«Che cosa?»
«Te
lo dico con due dolci!» Alla fine non era riuscita a
contenersi. Tirò
fuori dal frigorifero la torta che aveva preparato, strategicamente
nascosta da un coperchio scuro. Dalla credenza recuperò le
tre
scatoline decorate in cui aveva posizionato i suoi biscotti.
«Quanta roba.»
«C'è da festeggiare.»
Gen guardò i dolci con sospetto, divertito dal suo
entusiasmo. «Okay.»
Makoto gli mise davanti le tre scatoline - il primo passo
della
più grossa sorpresa della vita di lui.
«Aprile.»
Gen
sciolse i fiocchi sulle scatole. Makoto sorrise di fronte alla sua
calma: lui non si limitava a scostare di lato i nastri
perché sapeva
quanta attenzione lei avesse messo su quel particolare.
Gen guardò dentro la prima scatola. Prese tra le
dita il
primo biscotto. «C'è scritto sopra il mio
nome.»
«Esatto. Dentro c'è un'altra
parola.»
Lui
stava iniziando a incuriosirsi. «È una sorpresa
elaborata.» Posizionò i
biscotti sul piatto che lei gli aveva messo davanti, in ordine. L'altro
biscotto indicava la particella del soggetto.
«L'occasione lo richiede. Ora prendi la seconda
scatolina.»
Lui la aprì e scoprì il secondo di
cinque
biscotti. «'Presto'» lesse.
Makoto annuì, mentre lui leggeva l'altra parola.
«'Sarai'.»
Impaziente, lei si affrettò a posizionare i
biscotti con le
particelle che davano un senso alla frase.
Gen era perplesso. «'Gen, presto
sarai...?'»
Makoto strinse tra le mani l'ultima scatolina. Non spaventarti. Fu
sul punto di dirlo, ma si trattenne. Con mani tremanti,
avvicinò la scatola a lui.
Gen aveva colto il suo nervosismo, ma non sembrava credere che
dentro
quella confezione potesse esserci nulla di sconvolgente.
Tolse
il coperchio e prese tra le dita i due biscotti che si trovavano
all'interno, insieme. Lei li aveva decorati apposta con maggior cura.
«Pa-pa.» Gen corrugò la fronte.
Rifletté. «Papà?»
Nel leggere la parola con l'accento giusto lui
sgranò gli
occhi. Si voltò a guardarla.
Makoto fremette, in attesa di sentire la sua prima reazione.
«... hai adottato un cane?»
Lei spalancò la bocca. «No!»
Gen si guardò intorno, come cercando tracce di un
cucciolo.
«Allora... sei andata a sceglierlo?»
A Makoto venne quasi da piangere. «No.»
Lui continuava a guardarla, senza capire.
Makoto non riuscì a credere di doverlo dire ad alta
voce.
«Sono incinta.»
Gli entrò in testa il significato della parola. I
suoi occhi
si aprirono un poco. «In che senso?»
Incredula, Makoto boccheggiò.
Gen la osservava senza sbattere mezza palpebra.
«Ho fatto un test di gravidanza.»
Lui le era parso immobile prima, ma ora non respirava nemmeno.
«È positivo.»
«È sbagliato.»
«Sono andata da Ami. Lei me li ha-... l'ha
confermato col
computer.»
Nel volto di Gen iniziò a diffondersi il terrore.
Makoto non poté essere clemente. «Sono
incinta.
Davvero.»
Lui finalmente comprese. «Avrai un bambino?»
Non le importò ancora di correggerlo sul numero.
«Avremo.»
Gen balbettava. «Ma non- Tu non- Non doveva
essere-» Inghiottì aria. «Sei
INCINTA?!»
Makoto avrebbe riso se non avesse sentito nel suo tono
un'accusa.
«Non l'ho fatto apposta.»
«No,
non-» Gen non riuscì a dire più niente.
Passò dallo sgomento alla
comprensione, di nuovo allo spavento, scivolando verso la
preoccupazione senza mai smettere di guardarla in faccia. Sciolse i
muscoli del volto. «Un bambino?»
Makoto annuì, in apprensione. «Il
nostro.»
Gen tornò a respirare. «Mako...»
Non deludermi,
non
deludermi-
Gen
allungò un braccio verso di lei. Makoto salì
sopra il tavolo per
raggiungerlo, gettandosi tra le sue braccia, per non guardarlo in
faccia.
«Com'è possibile?»
domandò
lui.
«Non lo so. Ma sono incinta da ventidue giorni
esatti.»
Lo sentì assorbire il numero e smettere di nuovo,
per un
momento, di inghiottire aria. Faticava ad accettare la
realtà.
'Non pensavo che fosse possibile', 'Non sono pronto', 'Non
avevi detto
che...'
Si
preparò ad ascoltare quelle obiezioni, reazioni a caldo che
doveva
perdonare. Si affidò all'abbraccio con cui lo stava
percependo e su cui
stava imprimendo forza soprattutto da sola.
Sentì d'improvviso la stretta di lui che aumentava.
«Mako...»
Voltò la testa, incontrando i suoi occhi.
«Veramente?»
Ma questa volta l'indecisione conteneva una traccia di
felicità.
Lei si permise di far trasparire la propria gioia mentre
annuiva.
Gen
schiacciò la bocca sulla sua. Le prese la testa tra le mani,
con
disperazione. Quando si staccò, stringeva forte gli occhi.
Si passò una
mano sulla faccia. «Ce la faremo.»
Makoto iniziò a sorridere.
Gen parlava per metà a lei, per metà a
se stesso.
«Non importa come. Sono qui con te.»
Anche io sono
qui per te.
Lui iniziò a farle tenerezza. «Allora sei
contento?»
«Credo di sì. Cioè,
sì!» Strofinò il volto contro il suo,
forte, sfiorandola con baci. «Incredibile!»
Makoto volle fargli da àncora. «Lo so. Ti
amo
tantissimo.»
Gen si riprese. «Anche io.» Si
staccò
dal bacio in cui lei lo aveva coinvolto. «Da quanto lo
sai?»
«Da stamattina. Ho un ritardo di sei
giorni.»
Lui boccheggiò. «Perché non me
l'hai
detto prima?»
«Perché
non- Pensavo che ci fosse qualcosa che non andava. O forse che il mio
ciclo fosse andato via per sempre, dato che il mio corpo è
strano. Non
ero sicura di niente, perciò ho fatto il test.»
Per scherzo, per
speranza. Non ci aveva creduto nemmeno lei finché non aveva
visto le
due strisce rosa che si materializzavano sullo stick. Andò a
prendere
il test dal cassetto in cui lo aveva nascosto.
Gen lo ricevette in mano, per controllare con i suoi stessi
occhi.
«E dopo sei andata da Ami?»
Makoto annuì.
Lui comprese. «Lo hai visto.»
«Ecco...»
Gen
non la guardava più, pensava. D'un tratto abbassò
gli occhi sul suo
corpo. Allungò la mano verso il suo ventre, toccandola col
palmo aperto.
«Allora c'è.»
Makoto gioì della soddisfazione di lui.
«Com'è?»
«Brilla.» Brillavano tutti e due.
Lei e Gen si strinsero di nuovo. Dondolarono insieme,
cullandosi.
«Domani vengo a vederlo anche io»
mormorò lui. Ebbe un sussulto. «Maschio o
femmina?»
«Non ho voluto scoprirlo.»
Lui rilasciò un sospiro. Le regalò un
primo
sorriso disteso. «Dovevi dirmelo. Dovevo venire con te
già oggi.»
«Volevo
essere sicura. E volevo guardare la tua faccia mentre te lo
dicevo.»
Avrebbe conservato quel ricordo per tutta la vita. Scoppiò a
ridere.
«Non dimenticherò mai che hai pensato a un
cane!»
«Volevi un cucciolo!»
Oh, lo voleva ancora, da far crescere coi loro bambini.
«C'è un'altra cosa che devo dirti...»
«Dopo
aver scoperto di essere incinta sei andata ad adottare un
cane.» Gen
sorrideva e si allungò sul tavolo. «Sento che
è questo. Prendo una
fetta di torta per assorbire la notizia.»
Makoto non riuscì a fermarlo in tempo: lui aveva
già sollevato il coperchio.
Sulla torta campeggiava una scritta. 'Sono due!'
Gen la lesse. «In che senso?»
«Ehm...»
«Due cosa? Due...» Collegò la
frase
all'evento. Sbiancò.
Makoto si sentì in colpa. «...
Gemelli.»
Fu come se avesse trapassato il cervello di Gen con un fulmine.
Si azzardò a continuare. «C'erano due
puntini
sullo schermo del computer di Ami. Non ci credevo nemmeno io.»
«Gemelli?!»
Stava per venirgli un infarto. «Ehm, non so se ci
sia qualche
precedente in famiglia, ma...»
Il torso di Gen virò pericolosamente di lato. Lui
riuscì a non cadere appoggiandosi al tavolo.
«Due.»
Makoto annuì, timida. «Sì.
Avremo due
bambini.»
Gli uscì una risata, un suono semi-inquietante.
«Gen?»
La risata virò verso il singhiozzo.
«Quando becco
il bersaglio...»
Eh?
«I miei ragazzi sono stati troppo
efficienti.»
Makoto capì e gettò la testa
all'indietro.
«Sono io che ho prodotto due ovuli!»
Lui sobbalzò e la raggiunse. «Allora sono
diversi?»
«Cosa?»
«Due ovuli non sono gemelli diversi? I bambini non
avranno la
stessa faccia.»
Oh! Non ci aveva pensato! «Non sono sicura. Ho solo
visto che
i puntini non erano vicini.»
«Allora magari saranno di sesso diverso.»
Makoto
si pentì di non essere stata la prima a pensarci.
«Hai ragione.» Volle
prenderlo in giro. «Ma potrebbero comunque essere due
bambine.»
Lui rimase interdetto solo per un secondo.
«Forse.»
Annuì, sempre più convinto. «Tre
principesse.»
Makoto si sciolse di tenerezza. «Tre?»
Lui la attirò a sé per la vita.
«Hai
ragione. Una regina e due principesse. Sarò molto
contento.»
Makoto lo baciò su una tempia, stringendolo
fortissimo.
«Per farti ancora più felice, ti farò
un regalo.»
«Un altro?»
«Un cane. Ho capito che lo desideri tanto.»
Gen esplose in una risata. «Prima ci vuole la casa
con
giardino. E un'altra cosa.»
«Hm?»
«Quella sarà la mia sorpresa. Non ne fai
solo
tu.»
Makoto non chiese. Si godette la felicità, il
momento. Era
piena d'amore. E di fame. «Mangiamo la torta.»
«Giusto, ora mangi per tre.»
Ma no.
«Niente nausee?»
«Sono fortunata per ora.» Stava benissimo.
Gen adocchiò la torta con sospetto. «Hai
bisogno
di nutrienti.»
«La torta mi nutre.»
«Hm. Come eccezione non farà danni. D'ora
in poi
avrai bisogno di riposare di più.»
«Non sono stanca.»
«Non dovrai diventarlo. Niente stress. Non dovrai
sollevare
pesi.»
Diceva una cosa del genere a
lei? «I bambini sono al sicuro. Hanno tre
settimane e sono più piccoli di un'unghia.»
«Sono minuscoli, perciò bisogna
proteggerli.»
La tenerezza vinse sull'irritazione. Quasi.
«Gen.»
«Hm?»
«Se
vogliamo sopravvivere a questi nove mesi, devi lasciarmi fare. Sono io
la mamma, so come comportarmi.» Lo avrebbe imparato. Si
sarebbe
informata.
Lui non la stava contraddicendo, ma aveva qualcosa da dire.
«E io sono il papà. Ho anche io i miei
compiti.»
Di
nuovo intenerita, Makoto ebbe un'immagine improvvisa di come sarebbero
stati i mesi della sua gravidanza assieme a Gen: un momento avrebbe
voluto strozzarlo, l'altro baciarlo.
«Perché sorridi?»
«È un segreto.»
«Ne hai tenuti troppi.»
«D'ora in poi insisterai per sapere tutto,
vero?»
«La conoscenza è la base di una buona
gestione.»
Makoto prese una cucchiaiata di torta e gliela
infilò
in
bocca. «Mangia.»
E lo zittì col dolce.
«Potremmo
fare così» disse Gen il giorno dopo a Ami Mizuno,
mentre lei ancora non
aveva acceso il computer per studiare di nuovo i suoi figli.
«Rivelerai il sesso a me. Così Makoto
dovrà aspettare per scoprirlo.»
«Vuoi ancora vendicarti per ieri?»
Erano seduti a tavola, di prima mattina. Alexander
faceva
colazione accanto a loro. «L'ha presa male, eh?»
Nel volto di Makoto brillò un sorriso. Si
apprestò a raccontare, ma Gen intervenne. «E' una
faccenda privata.»
«L'hai presa male» fu sicuro Alexander.
«Un giorno saprò
tutto.»
Ami sollevò gli occhi dal computer. «Tu
non l'hai
presa meglio. Ed eri preparato.»
Gen la adorò per il suo insperato aiuto.
«Comunque ti ho superato, Golden Boy. Due al prezzo
di uno.
Visto che potenza?»
Mentre
Makoto ed Ami roteavano gli occhi al cielo, Alexander si
lasciò
sfuggire un ghigno. «Sì, bravo. Hai fatto tutto
doppio. Doppi turni di
poppate, doppie crisi di pianto, doppi cambi di pannolini, doppie notti
insonni-»
«Sii gentile» lo fermò Ami.
Gen stava deglutendo.
Sapeva tutto quanto - aveva visto quanto gli altri fossero stati
devastati nel fisico da un solo bambino nei primi mesi - ma aveva
bisogno di concentrarsi sulle cose positive.
Alexander aveva preso
in braccio Adam. «Non preoccuparti. Poi arriva il momento in
cui ti
chiamano 'papà' e passa tutto. Vero, Adam?»
Portò il bambino davanti
alla faccia. «Dì 'papà'.
Pa-pà, pa-pà!»
L'importante era non diventare altrettanto scemi,
pensò Gen.
Makoto lo sfiorò su una manica. «Su.
Scopriamo
cosa saranno i nostri bambini.»
Gen annuì. Era pronto.
AU SPOILER - Makoto rivela a
Gen
che... - FINE
NdA:
Ecco! Gli estratti
hanno avuto un certo successo nella pagina Facebook, ma sono troppo
curiosa di sapere che ne pensate della storia completa :) E se avete
notato gli indizi che ho disseminato in merito a cose che ci saranno
anche nella storyline ufficiale, hehe.
Elle
Il gruppo Facebook dedicato alle mie storie, con anticipazioni
e curiosità, è Sailor Moon, Verso l'alba e oltre...
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