Sehnsucht »calum.☀

di Sommersadaoceani
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sehnsucht ***
Capitolo 2: *** In my veins ***
Capitolo 3: *** Just a kiss ***
Capitolo 4: *** you'll be okay ***
Capitolo 5: *** I won't give up ***
Capitolo 6: *** skipping stones ***
Capitolo 7: *** i'm a mess ***
Capitolo 8: *** ecos de amor ***
Capitolo 9: *** for the first time ***



Capitolo 1
*** Sehnsucht ***


Sehnsucht è un termine tedesco intraducibile, normalmente si indica 'un forte desiderio per qualcuno o qualcosa che non riusciamo ad ottenere'.

Ognuno di noi si strugge per la propria Sehnsucht.

Skylynn ne ha una, riuscirà ad ottenerla?


 

sommersadaoceani-2015

Vietata la copia.

Contenuto un pochino pesante, se vai molto sul leggero o su storie scritte da bambine, non fa per te. Leggi a tuo rischio e pericolo.

 

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Capitolo 2
*** In my veins ***


In my veins- Andrew Belle

Sospirai ancora alzandomi dalla panchina, sistemando il vestito nero con le mie mani minute e pallide. Gli occhi lucidi non mi facevano vedere le ballerine che portavo ai piedi e il gonfiore del mio ventre era quasi invisibile. La treccia che avevo era ancora posata sulle mie spalle, scompigliata. Taylor l'aveva abbellita con qualche margherita, ma ormai erano cascate quando corsi per sedermi perché già sentivo che stavo per crollare.

Il vento asciugava le mie lacrime e il freddo di metà autunno si faceva sentire sempre più spesso. 
Inconsapevolmente, la mia mano si poggiò sul rigonfiamento e soffocai un urlò con un singhiozzo. Tirai il cappotto ancora di più verso di me, sentendo sempre più freddo e sapevo che non doveva essere così.
Incolpavo me stessa per tutto, sentivo di non avere altre speranze nella mia vita. Perché lui era andato via per sempre e non sarei riuscita a sopportare tutto quel dolore da sola. 

Camminai per il triste cimitero ricoperto di nebbia, le lapide incise sorgevano una dietro l'altra man mano che camminavo sulla stradina contornata da alberi maestosi.
Quando arrivai verso la sua lapide tutti ormai se ne erano andati. Parenti, amici, tutti quelli che l'avevano acclamato erano scomparsi come il nulla. Era così facile andarsene e voltare pagina, perché per me non lo era? Sentivo l'incessante voglia di scappare, ma perché non lo facevo? 
Con il tempo mi sono data una risposta a questa domanda che mi ha tormentata fino alla fine dei miei giorni.
Era perché lo amavo e dimenticare quel sorriso era troppo doloroso per me. 

Due migliori amici non si dovevano amare così tanto come l'avevamo fatto noi, dovevano solo supportarsi nel male e nel bene. Ci impadronimmo di quello che non doveva essere nostro. Di un amore sbocciato da lacrime che non dovevamo versare. Eravamo due tornado di emozioni diversi, lui triste e arrabbiato con il mondo e io solamente con tanta voglia di vivere e scoprire ciò che c'era fuori. Dovevo influenzarlo, ma alla fine... Mi influenzò lui con la sua tristezza perenne. E in quel momento capivo cosa significasse perdere una persona a cui avevi donato la tua vita.
Io e Calum eravamo solo amici, spinti dalla voglia irrefrenabile di salvarci a vicenda. Salvare lui dal baratro e salvare me dal fuoco con cui potevo scottarmi.
Io e lui, nessun altro contava quando eravamo insieme. Avvicinandoci ci rovinammo entrambi, accecati dalla voglia di riemergere e conquistare il mondo con le nostre armi migliori. 
Ma a cosa serve combattere da sola quando tutto rema contro di te?

Smisi di provarci quando vidi la sua bara vuota calarsi nella terra per essere seppellita. Perché che mondo era senza di lui? Nessuno che valeva la pena vivere.
Ma io avevo qualcuno dentro di me, qualcuno che ci apparteneva, forse l'unico testimone dell'amore mio e suo che nessuno aveva documentato. Non era un amore degno di favole e neanche di racconti, ma era la nostra storia, l'unica di cui non mi sono mai pentita.
Il petto era in fiamme, scottato dal fuoco che l'amore fra noi due aveva sprigionato. Le mie vene ardevano perchè lui era dentro di esse.
Dovevo andare avanti senza nessuno, perché in questo mondo tutti si salvano da soli.

 

 

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Capitolo 3
*** Just a kiss ***



Just a kiss- lady antebellum

Io e Calum ci incontrammo in un bar, fuori città. Mi sedetti vicino al ragazzo corvino che guardava i suoi polsi incessantemente perché avevo voglia di farlo. La mia intraprendenza era così sconvolgente a volte.
Non lo conoscevo neanche, ma quegli occhi mi catturarono dal primo istante in cui mi scrutarono smettendo di guardare quei suoi dannatissimi polsi. Aveva un'ossessione. Guardarli diceva che lo manteneva su questa terra perché vedeva che ancora non li aveva tagliati.

Scoprì un mondo dietro quelle pupille opache e entrai senza fare rumore, fino a rimanere nel suo cuore e lui fece lo stesso con il mio, si insediò, rimanendoci per sempre.
Per questo era così difficile dimenticarlo.

Quel bar divenne centro di tanti altri incontri fra me e lui, vederlo sorridere mi faceva stare bene. Per questo eravamo amici, per aiutarci a vicenda. E diventammo migliori amici, senza un perché. Ci raccontavamo cose sul suo letto a casa sua, dove ognuno era steso con un'auricolare nell'orecchio mentre gruppi Metal di alternavano di tanto in tanto.
Odiavo così tanto quelle canzoni, ma lui diceva che esprimevano così bene il suo stato d'animo. Era una combinazione di urla e suoni martellanti.

Forse lo sentì tacere solo quando ci baciammo sotto quel pino del parco dove ci eravamo dati appuntamento quel primo settembre. Eravamo stesi sulla tovaglia a quadretti rossi che avevo portato per quell'occasione. Il cesto da picnic era fra le sue gambe mentre sceglieva che panino mangiare. Lo guardavo di sottecchi perché era troppo bello e volevo baciargli così tanto quella mascella così marcata. Mi scoprì quando girò la testa con il suo panino al burro di arachidi e mi chiese cosa stessi guardando così intensamente.
Impulsivamente lo baciai a stampo, le sue labbra erano così fottutamente soffici e mi venne voglia di farlo ancora, ma lui si spostò guardandomi interrogativo.

«Non è niente di male» gli intimai, avvicinandomi ancora.

«L'amore rende le persone deboli, lo sai?»

«Lo hai mai provato per dirlo?» domandai e fu lì dove mi ritrovai le sue labbra sulle mie ancora. Le mie braccia circondarono il suo collo e lui mi prese dai fianchi, avvicinandomi ancora e iniziò a far entrare la lingua nella mia bocca.
Sorrisi mentre cademmo uno sopra l'altro perché eravamo troppo impegnati su quel bacio passionale che ci stavamo scambiando. Qualcuno tossicchiò un po' e ci consigliò di non scambiarci certe effusioni in pubblico. Mi fece ridere così tanto che anche Calum mi seguì a ruota e fu la prima volta che lo sentì ridere e mi sentivo così piena.

Si stese vicino a me, intrecciando le nostre mani. Avevo il cuore che batteva a mille e una voglia irrefrenabile di dargli tutto il mio amore. Ma il mio cuore perse un battito quando lui tolse la mano dalla mia dopo un po' e si alzò, inventandosi una scusa per volare via da quella situazione che per lui era diventata così imbarazzante.
Ero stata la prima a baciarlo con tanta passione e fargli capire che qualcuno lo poteva amare nonostante i suoi difetti colossali. Ma non aveva apprezzato quel gesto così affrettato da parte mia.

Lo rincorsi per tutto il parco, il suo passo era alto e veloce, non so con che forza lo rincorsi, ma scappò dalla mia stretta forte e lo lasciai andare, mentre tante lacrime scorrevano sul mio viso.
Fu la prima volta che sentì le mie gambe cedere e il mio cuore frantumarsi. Ma era stato l'unico a rimettere i pezzi a posto quella sera, sotto casa mia, mentre lanciava pietre alla mia finestra. 
Sembravamo Giulietta e Romeo e lui sapeva che era la mia opera preferita.

«È mezzanotte, domani abbiamo scuola. Cosa vuoi Calum?» domandai scocciata, uscendo con il mio pigiama rosa con gli orsacchiotti.

«Scendi, idiota» disse velocemente. Feci come chiese perché ormai ero follemente innamorata dell'illusione che il nostro amore mi dava.

«Volevo chiederti scusa per l'altro giorno» iniziò, mentre incrociai le braccia. «Mi dispiace okay?» sbottò, alzando le mani al cielo e passandole fra i capelli. «Ma io non so cosa sia l'amore, non voglio darti stupide illusioni che non so mantenere»

«Se non ci provi come fai a saperlo?»

«Sono una persona ferita e facile da ferire, stare con me ti porterebbe più problemi che altro.» si avvicinò ancora, prendendomi le mani «Skylynn, sei una persona troppo solare per me, opacherei la tua luce.»

«Potrei illuminarti» lo fermai subito dopo.

«Potrei spegnerti»

L'urlo di mia madre mi ordinò di rientrare in casa e svogliatamente guardai Calum, che aveva ancora le mie mani fra le sue, accarezzandole con il suo pollice.

«Dammi il bacio della buona notte»

«Dovremmo andarci piano, non voglio rovinare tutto» si affrettò a rispondere.

«È solo un bacio» sorrisi innocentemente.

Quel bacio arrivò piano, mentre lo aspettavo con ansia. E solo dopo capì che sarebbe stato l'inizio della rovina.
 

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Capitolo 4
*** you'll be okay ***


You'll be okay-Michael Schulte

Le immagini di quel bacio mi annebbiarono la vista mentre facevo avanti e indietro per la veranda aspettando che la madre di Calum aprisse. Il freddo era l'unica cosa che percepivo e la felpa di Calum emanava calore, ma non abbastanza per riscaldare il mio corpo.
Quando sentì il cigolio della porta, mi piombai dentro la casa accogliente del mio fidanzato. La madre era in piedi di fronte a me, mentre mi squadrava con il suo sguardo triste.

«Lo hanno trovato?» domandò, con gli occhi pieni di lacrime.

«Perché continui ancora a sperare che sia vivo? Sai meglio di me che lui è...» non riuscì a finire la frase e abbassai la testa, guardando il pavimento.

«Per la vita che porti in grembo continuo a sperare!» esclamò la donna, indicando la mia pancia.

«E tu come sai che sono incinta?» chiesi incredula, spalancando i miei occhi celesti.

«Cosa credi, che io non abbia mai portato un figlio dentro di me? So benissimo i sintomi e tu li dimostri tutti, cara»

«Sapevi che stavamo insieme?» mi scese una lacrima.

«Prima o poi le vostre strade si sarebbero incontrate. Lo sapevo dalla prima volta che ti presentò come la sua migliore amica.» sospirò. «Me lo ricordo come se fosse ieri»

«Anche io» soffocai un singhiozzo e questo provocò la caduta di altre lacrime. Le sue braccia strinsero il mio corpo minuto e sentì il calore per la prima volta da quando lui se ne andò.

«L'aereo è disperso» proferì, mentre la mia testa era nell'incavo del suo collo. «Le possibilità che si ritrovi qualcuno vivo è bassissima»

«Tutto andrà per il meglio» mi tranquillizzò, accarezzandomi la schiena.

«Non sono sicura che possa andare peggio di così, ma è facile dire che starò bene quando neanche io so se sopravvivrò domani.» mi staccai, asciugandomi con la manica le lacrime.

«Devi solamente aspettare, il tempo farà la sua parte e piano piano starai meglio»

«Mentre il tempo va avanti, una vita cresce dentro di me e non sono sicura se tenerla sia l'idea migliore per la mia salute mentale» titubai.

«È l'unico ricordo che ti rimane di quello che siete stati. Lo rimpiangeresti per sempre» mi raccomandò.

«Sì, ma sono sola. Le cose si fanno in due e io sono l'unica ad essere rimasta in vita» piansi istericamente.

«Sei grande abbastanza da farcela»

«Grande quanto? Ho diciotto anni, devo iniziare il College e non ho sostegno economico. Con che cosa dovrei mantenere questa vita? I miei genitori mi hanno già cacciata di casa quando l'hanno saputo» presi la sedia da vicino al tavolo e mi sedetti sopra. Poggiai le braccia sul tavolo e la testa fra di esse.

«Da chi vivi?» domandò, sedendosi anche lei.

«Taylor, ma devo andarmene perché lei e il suo fidanzato vogliono convivere e mi sento in imbarazzo vivendo nella loro casa»

«Vieni qui, ti ricorda Calum questo posto, no? Non pensi sia meglio rimanere qua?»

«Potrei sul serio?» chiesi incredula.

«Certo» sorrise, passando il suo braccio sulle mie spalle. «Ti aiuterò con la gravidanza. La compagnia aerea mi deve un risarcimento grossissimo e quei soldi servono più a tuo figlio che a me»

«Grazie Joy» la strinsi a me, mentre mi cullai con le sue carezze fra i miei capelli.

E in quell'istante capì che forse da sola da sola in quel mondo non lo ero, dovevo solo stare con compagnie che mi aiutassero a trovare la speranza da me perduta.

 

Spero si sia capito, useró scene flashback e scene contemporanee per accentuare meglio il carattere della protagonista e far capire meglio la storia con il suo ragazzo.
So che é corto, il prossimo vi soddisferà di più. Ma comunque voglio sapere cosa secondo voi succederà nel prossimo capitolo! c:

grazie per leggere c;

 

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Capitolo 5
*** I won't give up ***


I won't give up-Jason Mraz

Nessuno aveva niente da dire, neppure io che avevo sempre la parola pronta per tutto. 
Lui era così enigmatico e mi batteva così forte il cuore temendo che questo potesse finire dopo poco.

«Sky» il mio nome era così dolce pronunciato con la sua voce così soave. Alzai la testa, appoggiandola sul cuscino e girandomi verso di lui. «Non so se stiamo facendo uno sbaglio, ma voglio stringerti a me» proferì, mettendo una mano sul mio fianco e intimandomi di girarmi dall'altra parte. Così feci e il suo respiro caldo batteva contro il mio collo.

«Stai andando contro un qualcosa che non riuscirai a reggere» gli sentì dire.

«Non voglio essere qualcuno che si ritira facilmente, sono qui per rimanere e fare la differenza che posso fare» citai le parole della canzone che stavano scorrendo fra le auricolari che avevamo nelle orecchie.

«Alla fine, sei ancora mia amica. Almeno abbiamo intenzione di andare d'accordo, non ci siamo spezzati, non ci siamo scottati» proseguì lui, accarezzandomi il braccio. «Ma potremmo esserlo» interruppe le parole del cantante.

«E se lo saremo cosa c'è di male? Bisogna vivere ogni istante, Calum. Perché non rischi?»

«Ho già rischiato troppo e mi sono fatto troppo male» rispose soltanto.

«Sarò l'unica a non farti del male»

La canzone ripartì di nuovo e mi girai verso di lui, i suoi occhi nei miei. Quel colore così scuro e il mio così chiaro si mischiarono e continuavano ad intingersi fra loro più e più volte.

«Quando guardo dentro i tuoi occhi è come vedere il cielo di notte o una bellissima alba. C'è così tanto in loro possesso» soffiai sulle sue labbra.

«Non pensi tutto questo, è solo la canzone che ti detta ciò che devi dire» quando lo disse, lo baciai subito, unendo quelle labbra flebili con le mie.

Mi sentivo così completa sentendolo così vicino a me e per un attimo persi l'uso della ragione. Baciarmi con lui mi faceva scappare dalla realtà e aprire l'immaginazione. E io amavo scoprire cose di cui non sapevo l'esistenza. Il suo mondo era così magico e fatto di così tanti demoni, volli entrarci sapendo i rischi perché oramai lo amavo in ogni modo umano possibile.
Si trovò sopra di me poco dopo, mentre si manteneva sui gomiti e cercava di non pesarmi. Io sorrisi vedendolo scomodo in quella posizione. Aprì le gambe, per farlo stare più a suo agio. Ma lui intese tutt'altra cosa e le sue mani vagarono anche sotto la mia maglietta.

Cercai di fermarlo, di dirgli di fermarsi, però mi intimava di stare tranquilla. E fu lì quando piansi e lui si fermò. Si alzò immediatamente, sedendosi sull'altro estremo del letto matrimoniale. La sua testa si trovava fra le sue braccia incrociate, mentre le sue spalle erano contratte.
Mi alzai di poco per scrutarlo e mi ordinò di andarmene.

«Vai via!» esclamò quando persistevo con l'idea di rimanere.

Presi la mia borsa da terra e la mia dignità e con esse me ne andai dalla porta, mentre urla straziate provenivano dalla sua stanza così remota.

Non era colpa sua, era colpa mia. Era così facile per me essere felice, non pensavo alle vicende successe, a quello che poteva avvenire, vivevo solo il momento. Ma tutto quello mi fece ricordare un episodio del mio passato che avevo completamente rimosso.

Tutto ritornò quando Calum si stese su di me, come un flash. Le mani su di me, sui miei slip e poi dentro e fuori incessantemente. Mi ricordai di quel porco di mio zio, quando fece ciò che non doveva fare ad una bambina. E mi vennero le lacrime agli occhi. Calum non doveva saperlo, era troppo imbarazzante vivere sapendo che qualcun altro fosse a conoscenza del mio più terribile segreto.

Non lo rividi più per un po', forse era giusto così, forse no. Ma le nostre strade erano fatte per rincontrarsi e l'avrebbero fatto.

Quando mi sentì pronta ad affrontare tutto, suonai al citofono di casa sua. Lo spinsi nella sua camera e la chiusi a chiave.

Gli dissi di non parlare e ascoltare la storia senza nessun pregiudizio, che mi sentivo in colpa per quello che era successo.

Mi cullò dopo, zittendomi e cantandomi la riga della nostra canzone.

«Anche se i cieli si fanno difficili ti sto dando il mio amore che sto continuando a cercare»

E cercava, senza sosta, ma non era abbastanza.
 

 

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Capitolo 6
*** skipping stones ***


Skipping stones- Claire de Lune

Camminai per quelle camere che ormai conoscevo come le mie tasche e mi fermai di fronte alla porta della stanza. La sua stanza. 
Presa dalla paura, strinsi la maniglia più forte, ma decisi di abbassarla e sentire quell'odore di menta che sempre lo accompagnava. Menta e tabacco si alternavano in quel covo di ricordi così importanti per noi due. Ma in quel momento ero sola, con un bambino e voglia di andarlo a cercare fra l'Oceano Atlantico.

Ma lui non c'era più in questo mondo, dovevo incominciare a respirare con i miei polmoni e sentire il cuore battere per qualcun altro che non era lui.

La mia stanchezza era visibile dalle occhiaie che i miei occhi si portavano dietro e l'unica voglia che avevo era stendermi su quel letto a me tanto caro. 
Trascinai le due valigie per la camera e le posai sulle sedie che c'erano sotto la scrivania. Mi stesi piano piano, nel mezzo. La sinistra era la sua parte, la mia la destra. Ed era così straziante sentire che quella parte sarebbe stata vuota per sempre. 
Stare in mezzo mi ricordava che c'era stato, ma non sentivo il senso di pienezza che si creava quando lo avevo al mio fianco. 
La mia mano si posò gentilmente su quel gonfiore strano mentre lo accarezzavo.

«Ehi piccolo, siamo a casa di papà» sussurrai sorridendo come un'ebete. Dopo risi, dandomi della scema. «Sto parlando con una pancia, non ci posso credere. Non mi può neanche sentire. Sto impazzendo»

Ero sola e mi accorgevo di quanto mi mancava quella risata così pura. Chiusi gli occhi, ricordandomi di tanti altri momenti, mentre le lacrime scendevano. Ma dovevo rimanere forte, in questo mondo ti schiacciano se ti fai vedere debole e io lo sapevo bene. Ero sempre quella che riusciva ad andare avanti dopo le batoste che prendevo per strada, ma in quel momento niente riusciva a distogliermi da quel dolore. Il mondo girava e io ero ferma in quella posizione rimangiandomi tutti quegli scusa che dovevo ancora dirgli insieme alla notizia del bambino che gli avevo così arduamente nascosto. Mi pentivo di non averglielo detto prima nonostante la paura, lui ci sarebbe stato, ne ero sicura.

Sentivo come se stessi nell'oceano dove lui annegò settimane prima. L'acqua mi sommergeva, fino ad annullare i miei sensi. Le emozioni erano fermate da quel fischio nelle orecchie che era troppo forte. Il mio cervello non rispondeva, così come i miei arti. Cercavo di andare su, salire a galla, ma qualcosa mi tirava verso il fondo e sono sicura che era la sua mano. Non voleva affondare solo, dovevo farlo io con lui.
Il respiro diventava flebile ogni volta, sentivo l'aria venir meno e le mie braccia che si dimenavano.
Tutti i suoni diventarono secondari, solo ascoltavo dei rumori provocati dalla cadute di pietroline, come se una ad una costruissero il muro che volevamo alzare intorno a noi, per rimanere soli e non essere feriti dagli altri.

Una fitta alla pancia mi fece ritornare di nuovo in me. Mi girai più volte, non c'era acqua, nessuna pietra sopra l'altra. Ero nella stessa posizione di prima, da sola. Senza lui.
Mi alzai di scatto quando sentì l'impulso di andare a vomitare. E sentì di cedere la mia anima con quei conati.
Gli effetti secondari della gravidanza si sentirono in quel poco tempo, mentre la mia faccia pallida veniva riflessa nello specchio.
Mi alzai strisciando sui muri, per ritornare in quella camera impregnata di tabacco. 
Mi sedetti sulla sedia, poggiando una mano sulla mia fronte e guardando il vuoto in avanti quando un libro catturò la mia attenzione. Era buttato lì senza pudore, con pagine aperte, sottolineate con gli evidenziatori di più colori.

Non capivo di cosa parlasse fin quando non lessi il nome, letteratura tedesca. Corrugai la fronte, non sapendo che il mio fidanzato studiasse quella lingua. Anzi, sapevo che l'odiava, soprattutto quando la parlavo con il mio accento nativo troppo forte.
Il segnalibro era alla pagina centodieci, aperta da caratteri cubitali che citavano la letteratura romantica del tempo. Il termine Sehnsucht era sottolineato più volte e vicino c'era un post-it verde con la sua scrittura pasticciata.

"Il mio Sehnsucht è Skylynn. Non riuscirò mai ad averla come vorrei perché sono troppo codardo da allontanarla"

Arricciai il naso, leggendo la data risalente a quattro anni prima. Non stavamo insieme ancora, lui era sempre così tristemente amareggiato in quei tempi. Sorrisi sapendo che gli interessavo prima che tutto iniziasse.

La parola mi colpì e ricordai vagamente ciò che significava leggendo fra le righe macchiate di giallo.

"Forte desiderio di qualcuno o qualcosa che non si può ottenere".

Alzai lo sguardo, fuori dalla finestra. Gli uccelli volavano, il sole splendeva e io ero spenta, chiusa in una casa piena di ricordi per una sola persona.

E in quel momento realizzai che la mia Sehnsucht era la speranza, quella cosa che non avrei mai più riottenuto indietro. Che mi era stata tolta.

Calum, l'aveva lui, mi promise un per sempre non duraturo, abbiamo camminato su un filo sottile fino a quando è ceduto. Mi accorsi allora che mi stavo accasciando sul fondale insieme a lui e speravo di non svegliarmi di nuovo perché un'altra tempesta stava arrivando e la pioggia non sarebbe riuscita a lavar via quel sentimento di estremo smarrimento nella vita che stavo conducendo.

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Capitolo 7
*** i'm a mess ***


i'm a mess- Ed Sheeran

Rientrai a casa, buttando le chiavi sul comodino di fronte all'attaccapanni e m'incamminai verso il corridoio stretto che sfociava con la grande sala.
Ero in piedi, sull'uscio della porta quando una voce mi prese in contropiede.
«Sono un casino, scusami» sentì mormorare dal divano. Mi avvicinai di più per poi scorgere la figura di Calum piegata in avanti, con una bottiglia in mano. La luce del fioco pomeriggio che entrava dalla finestra, rifletteva il nome della marca del rum che stava bevendo in quel momento. 
Sussultai quando si alzò e venne verso di me, impaurita.
«Ho combinato un casino, ti giuro non volevo» sentì le sue lacrime sulla mia spalla poco dopo, mentre mi stringeva a sé e respirava velocemente.
«Cosa è successo?» chiesi in ansia mentre il mio stomaco si contorceva al pensare cattive cose.
«Non importa ti giuro» ribattè velocemente. «Dio, ti voglio bene Sky, non mi lasciare. Mi sento senza una casa se non ti ho. Ho provato a starti lontano ma semplicemente non ci riesco e ho fatto un casino, non volevo, non volevo farlo. Sei la ragazza più bella che abbia messo piede su questo maledettissimo mondo. Dio santo Sky baciami come non hai mai fatto prima, fammi provare quest'amore che desidero da tempo che nessuno mi ha fatto mai provare. Fammi innamorare prima di stasera, prima che tu mi chiamerai trad...» lo fermai, unendo le nostre labbra.
La bottiglia cadde per terra frantumandosi in mille pezzi, ma non ci badammo più di tanto. Le sue mani mi strinsero i fianchi e le mie braccia finirono fra i suoi capelli già scompigliati. Approfondì il bacio, toccandomi una guancia con le sue dita delicate.
Il sapore di alcool si impadronì della magia, così come il forte odore di tabacco. Essi mi fecero ragionare per un momento, mi staccai mentre mi guardava interrogativo.
«Cosa hai fatto, amore mio?» domandai, accarezzandogli il viso, con un'espressione amareggiata.
«Ti prego, perdonami» sussurrò sommesso, mentre chiudeva gli occhi e qualche lacrima scappava. «Ti ho tradita»
Quelle parole mi colpirono come una lama nel petto, il sangue usciva a fiotti dal mio cuore straziato e le gambe tremavano. Mi sedetti sul divano, nella stessa posizione in cui si trovava Calum prima. Ma la mia testa si sentiva pesante e mi accovacciai, mentre le mie gambe spingevano contro il mio petto. Sentì il peso di Calum sprofondare nel divano e mi raggomitolai ancora di più, con la paura che mi facesse ancora del male.
«Sai, ho bevuto troppo, me ne rendo conto» rise da solo. «Nel locale in cui sono andato c'era questa tipa dai capelli rossi, era carina. Si è avvicinata, era da tanto tempo che non avevo rapporti con una ragazza. Ho cercato di allontanarla, Dio lo giuro Sky. Non farei nulla per farti del male.»
«Mi stai facendo male in questo preciso istante» la mia voce si ruppe alla fine, scoppiando in un singhiozzo che fece cadere tante lacrime una dopo l'altra.
«Si è messa su di me, ero così tanto ubriaco. Non ragionavo. Mi ha portato in una di quelle case vicine, forse era la sua, e l'ho toccata in modi con cui avrei dovuto toccare solo te. Non riesco a togliermi dallo stomaco questa sensazione che mi sta logorando dentro» continuò guardando il vuoto, senza rispondere alla mia frase.
«In tutto questo tempo hai voluto solo una cosa da me e l'hai trovata in altre» gli rinfacciai, alzandomi e puntandogli il dito.
«No Sky, non ti ho mai voluta per quel maledettissimo scopo.» si alzò, guardandomi dritto nei miei occhi lucidi. «Perché avrei dovuto farlo?»
«Perché voi uomini nella vita pensate e volete solo quello»
«Mi stai paragonando a tuo zio in questo momento? Non ti costringerei mai a fare qualcosa che tu non vorresti.» si difese, alzando le mani sul suo petto.
«Mi stai facendo così tanto male in questo momento» abbassai la testa, guardando le mie scarpe bordeaux.
«So di averti causato tanto di quel dolore, piccola e te ne causerò ancora. Sono così: faccio del male a me stesso e agli altri. Non so darmi una calmata e tu ci sei dentro fino al collo. Non riuscirai a scappare via così facilmente.» spiegò. «sono un bugiardo, sono un traditore» si incolpò.
«Mi stai intrappolando nel tuo circolo vizioso e ho bisogno di te per sentirmi completamente piena» gli rinfacciai.
«Per favore, riempimi.» mi pregò.
«Forse è meglio se tu te ne vada via» mi alzai, percorrendo il corridoio e aprendogli la porta.
«Non posso andarmene via» sentenziò. «Non è arrivata stasera e già sento di amarti. Cosa mi hai fatto Sky?»







spero che vi stia interessando la storia, ci tengo tantissimo a sapere il vostro parere (critica o complimento che sia, li accetto entrambi) c:
Solo io li shippo troppo?
 

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Capitolo 8
*** ecos de amor ***


ecos de amor- Jesse y Joy

«Stai dormendo? Hai delle occhiaie odiose, Skylynn» mi rimproverò Taylor, portando in soggiorno due tazze di tisana fumante.

«Non molto, appena mi addormento o mi fermo a pensare mi ritorna sempre un suo ricordo... Io non ce la faccio più» dissi tristemente, avvolgendo le mani intorno alla tazza calda. Ma il freddo che avevo dentro nessuno poteva riscaldarlo. Scossi le spalle, facendo cadere i capelli sulla mia schiena.

«Penso che sia stata stupida l'idea di andare a vivere da Joy» sentenziò la mia migliore amica.

«Credo che mi faccia bene» abbassai lo sguardo, giocherellando con le mie unghia ormai troppo lunghe. «Mi sento più vicina a lui, non voglio dimenticare ciò che abbiamo passato. Non sono pronta a dirgli addio.»

«Ti apri troppo poco con me, lo sai? Dovresti dire tutto quello che pensi. Ti aiuterà.» mise la sua mano sulla mia, incoraggiandomi con quel suo bellissimo sorriso e i suoi occhi vispi, incessantemente preoccupati per me.

«Tay, cosa vuoi che ti dica?» domandai frustrata, sbuffando. Presi la tisana e feci scendere quel liquido bollente giù per la mia gola velocemente, come se questo potesse alleviare l'ansia perenne che avevo addosso.

«Come ti senti. Voglio che tu mi dica sul serio come ti senti.» proferì. «Ho sentito troppi "sto bene" da parte tua e neanche uno era vero»

«Hai ragione» incominciai a dire. «Non sto bene, mi sento persa. Lo vedo dovunque, il mio corpo sente la sua mancanza. È come svegliarmi al buio ogni mattino e la luce che entra è quella del suo viso illuminato dal mio ricordo. Cerco la sua ombra o almeno la forma della sua testa sul cuscino, ma lo vedo completamente vuoto. La stanza urla ricordi.» ridacchiai con le lacrime agli occhi «Non so come sia possibile, ti giuro. Ma ogni volta mi guardo allo specchio e vedo la sua immagine che mi abbraccia da dietro, come faceva un tempo. Oppure lo vedo rannicchiato come un bambino sulla parte sinistra del letto che mi chiede di abbracciarlo perché si sente incredibilmente vuoto. Sento la sua voce in ogni canzone, come se mi parlasse. E sono tutte canzoni tristi, nessuna dice di andare avanti. Ed è perché io non posso andare avanti. Non ho speranza per farlo. Nel mio petto sento il cuore piano piano morire, sento come ogni pezzo cade e non mi abituo al fatto che lui non ci sia per rimetterlo in sesto. Sono sola. Senza lui. Era tutto e ancora lo è. Ma non mi è vicino e non so con che forza devo andare avanti con questo bambino. È una cosa che si fa in due. Uno è venuto a mancare, come si può tirare avanti?» finì con le palpebre chiuse, mentre con la manica della mia felpa asciugavo quelle gocce che ormai avevano fatto la forma per quante volte le avevo versate.

«Eri la ragazza più speranzosa che io avessi mai conosciuto»

«Tutti mi dite la stessa cosa. Ma io non mi sono mai vista così. Mai. Mi spezzavo a qualsiasi cosa, era lui che me la faceva ritrovare. Adesso lui mi ha spezzata e con sé si è portato tutto quello che ero. La speranza è qualcosa che non ritroverò più. Ormai è difficile ottenerla e per quanto ci provi sento che è scappata via nel momento in cui mi hanno telefonata per dirmi che lui...» scoppiai in lacrime, singhiozzando, perché quel dolore che passava per tutto il mio corpo era impossibile da controllare e voleva essere scaricato. «Sai cosa è la cosa più difficile?» le chiesi, guardandomi i piedi.

«Cosa, Sky?» si avvicinò più a me.

«Che in quella casa sento gli echi che il nostro amore ha lasciato.» spiegai. «Tutti i ti amo sussurrati, o quelle canzoni che mi cantava prima di andare a dormire tramite cellulare. Quella camera parla di lui, è come se io stessi invadendo il suo posto e mi sento completamente estranea ad esso anche se lo conosco da tantissimo tempo»

«Da quanto non esci? Dico, prima di adesso» chiese Taylor, facendo scivolare un braccio fra le mie spalle, stringendomi a sé.

«Quasi un mese» sentenziai. «Sono stata tutto il tempo con Joy. Non sono stata per niente bene. Ho avuto nausee mattutine veramente micidiali» raccontai, scuotendo la testa. «E ho trovato a volte qualche macchia di sangue, ma non penso sia grave.»

«Lo potrebbe essere!» esclamò. «Dobbiamo andare dal tuo ginecologo» si alzò in piedi, prendendo la borsa dal divano e il cappotto dalla sedia dietro di noi. «Come si chiama?» chiese, ma dinanzi al mio silenzio si fermò, guardandomi attentamente. «Non hai mai visto il tuo bambino?»

«Non ho avuto tempo» sospirai amareggiata, bevendo la tisana ormai troppo fredda.

«Allora andiamo in ospedale, dicono che sia veramente brava. Vedrai il tuo bambino per la prima volta, sei pronta?» la guardai di sottecchi, scuotendo la testa, ma lei solamente mi trascinò fuori sino alla sua macchina blu che le avevamo regalato al compleanno.

Arrivammo poco dopo in quell'ospedale dove la puzza di alcool e disinfettante si faceva strada ad ogni corridoio che sorpassavamo. La dottoressa Morris era libera in quel momento, come se fosse un segno del destino.
Mi fece stendere sul lettino e mi mise quel gel che tanto odiavo sul mio ventre, mentre armeggiava con lo scanner. Io rimasi lì, senza alzare la testa, come se quello non mi appartenesse.

«Puoi sentire il suo battito, a quanto pare ha due mesi e mezzo di vita» dichiarò la Morrison con un sorriso.
Quando il suo cuore palpitò per la prima volta sentì un'altra eco d'amore, lasciata da qualcuno frutto del nostro legame così intenso con l'altro. E sorrisi dopo tanto tempo, alzandomi sui gomiti e scrutando quella figura così minuscola che mi avrebbe accompagnata per il resto della mia vita, prendendo il posto di quel dolore incombente che Calum aveva lasciato in me.





 
 

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Capitolo 9
*** for the first time ***


For the first time- the Script

La coperta arancione logora copriva le mie gambe mentre una tazza di the alla vaniglia si trovava fra le mie mani. La televisione di fronte a me dava repliche del film più triste che avessi mai visto ed era l'ideale per come mi sentivo in quel momento. Avevo sperimentato il mio primo cuore rotto e mi sentivo come se un camion mi fosse passato più volte sopra, sotterrandomi. Mi sentivo debole e afflitta dalla tristezza che percepivo ogni qualvolta vedevo lo schermo illuminarsi, ma non era con il suo nome. Ma avevo ancora la speranza che potesse suonare al mio campanello e non la persi fino all'ultimo minuto.

Non sapevo perché mi sentivo così quando ero stata io a dare un taglio ai nostri incontri per pensare ancora a ciò che lui aveva fatto. E mi stava dando lo spazio necessario per rielaborarlo. Ma il problema era che non riuscivo a farlo e mi sentivo sempre più vuota non avendolo accanto.
Misi pausa al film, presi il mio telefono e chiamai il suo numero che ormai sapevo a memoria. Rispose dopo poco, pronunciando il mio nome sorpreso. E dio quanto lo amavo quando lo diceva.

Gli dissi di venire a casa, che non ce la facevo più e avevo bisogno di sentire tutta la sua versione. Sentivo come svoltava con la sua auto per venire a casa mia grazie al vivavoce del suo telefono e dopo chiuse rendendosi conto della chiamata ancora aperta.
Mi alzai dal divano con i pantaloni della tuta e una felpa gigante che usavo per andare a dormire. I miei capelli erano legati disordinatamente e la mia faccia era pallida, coperta da quei grandissimi occhiali che usavo per via dei gradi che mi mancavano.
Mentre posai la tazza sulla penisola della mia cucina, il campanello suonò incessantemente. Andai ad aprire e la sua figura snella entrò piano, senza fare rumore con una bottiglia di vino rosso in mano.

«E quella?» la indicai interrogativa.

«Un po' di alcool prima di parlare toglie la tensione. Non è forte, tranquilla» spiegò, alzando le spalle e andando in sala, sedendosi sulla vecchia poltrona mentre io lo seguivo, chiudendo la porta. «Ti sei vista Titanic? L'hai presa veramente male» constatò.

Per risposta, presi il telecomando e spensi la tv, sedendomi a gambe incrociate sul di vano difronte a lui.

«Cosa vuoi che ti dica? Ti ho già detto tutto quella sera anche se non ricordo molto» si grattò la testa imbarazzato, prendendo un sorso dalla bottiglia verde per poi passarmela.

«Perché lo hai fatto?» chiesi solamente. «Io non ti capisco, da quando sta succedendo tutto questo fra di noi non mi parli più di te. Sei assolutamente chiuso nei miei confronti.» bevvi un po', facendo una smorfia per quanto fosse amaro.

«Perché tu con me come sei? Prima mi raccontavi dei tuoi ideali, i viaggi che volevi fare, cosa credevi che sarebbe successo nel tuo futuro. Ora sei chiusa» mi sgridò, cercando di addossarmi la colpa. «In tutti i sensi» ridacchiò.

«Calum!» esclamai, facendo scappare un risolino. «Sento che siamo più distanti, io ti voglio ancora come migliore amico.»

«Dimmi come ti senti dopo quella sera che mi hai cacciato da casa tua» disse, prendendo la bottiglia di vino.

«Incazzata» brontolai. «Beh, adesso non più. Mi sento solo delusa. Mi hai delusa.»

«Mi sento un completo stronzo. Ti giuro, non volevo farlo. Quando si è ubriachi non si capisce più nulla» scosse la testa.

«Cosa ci hai fatto con quella rossa?» domandai, abbassando la testa. Sentendomi una vittima, intrappolata nella sua ragnatela d'amore.

«Ci ho scopato» sputò controvoglia. «Mi sento così sporco per averlo fatto. Doveva essere una cosa che avrei dovuto fare solo con te.»

«Mi avresti solo scopata?» chiesi interessata, incrociando le braccia sotto il seno.

«Ti avrei fatto l'amore piano, facendoti sentire benissimo in quel momento» si alzò, inginocchiandosi difronte a me. Mi spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi sorrise. «Ti avrei trasmesso tutto l'amore possibile che ti meriti. Perché tu sì hai bisogno di sapere quanto vali. E vali tantissimo per me, piccola» pronunciò dolcemente, dandomi un bacio sulla guancia.

«Sei solo parole, ma non dimostri nulla» lo sgridai sull'orlo delle lacrime.

«Potrei farlo in questo preciso istante» iniziò a baciarmi il collo, mentre mi scioglievo ad ogni movimento che faceva spostando quelle labbra così morbide.
«Questi sono tempi duri, amore mio. Tutto questo ci rende pazzi, ma non rinunciare a me. Cercherò di farti felice in qualche modo. Ce la faremo insieme, nessuno di noi ha mai avuto relazioni, impareremo insieme ad andare avanti nel modo giusto» sottolineò, mentre saliva sulla mia mascella per poi lasciare un tenero bacio sulle mie labbra screpolate.

«Non mi sento pronta, Cal» confessai, senza vergogna.

«Aspetterò fin quando mi dirai che potrò farti sentire l'unica per me.»

E lo fece, aspettò tanto tempo, senza ripeterlo più volte. Mi sentivo così agiata ad avere qualcuno come lui al mio fianco anche se questo mi faceva vivere brutte emozioni durante la mia crescita. Ma la vita è così, o si cade o ci si rialza. E noi ci rialzammo piano, mano nella mano mentre gridavamo per le strade con i nostri urli muti tutto l'amore che entrambi sperimentavamo per l'altro.






 

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