Non voglio fare
una spiegazione troppo lunga quindi …
All’inizio questa doveva essere una One Shot , ma
mi sono dilungata tantissimo, quindi forse la dividerò in
tre capitoli. L’ispirazione per questa fan fiction mi
è arrivata intorno alla fine di Ottobre e agli inizi di
Novembre, perché in quel periodo stavo aspettando
tremendamente il ritorno dei B.A:P, li stavo aspettando così
tanto che ho fatto un sogno sulla BangHim, e da quel sogno mi
è venuta in mente questa fan fiction.
Spero che non faccia , letteralmente, troppo schifo visto che mi ci
sono data davvero da fare per farla bene, inutile dire che è
la prima fan fiction che faccio. Se non capite qualcosa non abbiate
paura a chiedermi il significato.
Scusate per
eventuali errori.
Buona lettura
Anemone.
Non
ricordavo niente, nulla.
Aprii gli
occhi, una stanza, bianca, solo dei macchinari e un Bip poco
rassicurante nelle orecchie.
Ecco cosa sentivo solo
quel rumore e un forte mal di testa, nessuno era lì con me,
dove mi trovavo?
Provai …
provai ad alzarmi, ma giuro ero stanco, molto stanco, potevo chiamare
qualcuno, urlare che io ero qui, in un posto che non conoscevo, con
nessuno al mio fianco per spiegarmi la situazione, o solo per dirmi un
semplice e rassicurante :”Va
tutto bene”,
nessuno.
Non solo nessuno ma
soprattutto, niente, niente usciva dalla mi bocca, neanche un piccolo
suono per far sapere agli altri che ci sei , che sei ancora
lì ad aspettare qualcuno, ma niente, niente e nessuno.
A quel punto
pensai :”Non
ho un nome, non ho nessuno, allora chi sono io?”
Ero stanco quindi mi
misi a dormire, mi ero arreso, ci avrei pensato dopo.
Mi svegliai , ancora
lì, il bip c’era , il mal di testa,
anche, ma con me c’era qualcuno.
Una signora con la
divisa bianca mi si avvicinò piano, aveva un bel sorriso,
bei capelli, sguardo dolce, pelle lattea, ma a me non piaceva.
Era una sconosciuta,
poteva essere chiunque, la sua presenza non mi rassicurava per niente,
forse era meglio stare soli, la compagnia di una persona di cui non si
ha nessun legame o ricordo e come stare da soli, in un certo senso.
“Ciao.”
la sua voce era dolce proprio come il suo aspetto, ma priva di ogni
colore, se avrei dovuto scegliere un colore, per lei sarebbe stato il
bianco, come quello della stanza o del suo vestito, e se avessi dovuto
darle una forma, le avrei dato una linea retta, piatta e monotona,
nient’altro, solo una linea.
“Lo so che
sei confuso , ma lascia che ti spieghi. “mi disse, quasi
sussurrando.
Ricordo e come la
sensazione che provai quando mi raccontò perché
ero lì.
Tristezza e
smarrimento, dolore e un po’ di sollievo.
Tristezza e
smarrimento: a quanto pare ero sopravvissuto a un incidente in auto ”grazie” alla
cintura di sicurezza, i miei non la indossavano; avrei voluto non
averla indossata, il destino avvolte è davvero cattivo, anzi
malefico, ma, non sentivo come se i miei genitori mi avessero
abbandonato, più che altro sentivo come se io avessi
abbandonato loro, sarei dovuto rimanergli accanto, sempre, come tutti
dovrebbero fare coi loro genitori.
Da qui deriva lo
smarrimento, cosa avrei fatto adesso?
Il dolore,
perché non avrei potuto ricordare il loro volto, o un loro
sorriso rivolto a me, ecco la parte peggiore, avevo
un’amnesia, ma non solo ero diventato anche muto, bella
sfiga, è?
Da quello che ricordo,
la dottoressa non mi disse che mutismo era, ma i dottori pensavano che
avevo adottato un tipo di mutismo selettivo causato dal trauma della
perdita dei miei genitori, che il mio cervello non ricorda, ma che la
mia “psiche” sente.
Il non poter dire a
qualcuno il mio dolore e rivelare i miei sentimenti, non aiutava a star
meglio, per niente.
Il sollievo,
l’unico
sentimento “positivo” che
ho provato, era causato da una piccola cosa , ma per me molto
importante, il mio nome, Bang Yongguk.
Adesso che ci penso il
mio nome non è il nome più bello del mondo, ma in
quel momento ero felice di poter sapere che ero qualcuno, non una
persona senza nome che, non si ricorda il suo passato o che non riesce
a parlare, prima ero nessuno, ma adesso ero un “nessuno” con un
nome.
La dottoressa,
cercò di spiegarmi il tutto molto delicatamente, forse per
paura di urtare in qualche modo i miei sentimenti, ma non si
può non sentirsi tristi quando qualcuno ti dice una cosa del
genere e poi quanti anni avevo?
Mi disse anche questo,
sette, solo sette anni, come potevo non rattristirmi a una
così tenera età? Infatti, non si può.
“Yongguk,
adesso sei in un ospedale, ti terremo qui per un po’ per
accertarci che stai bene, poi ti porteremo in un posto
migliore.” mi sorrise e poi se ne andò.
Ed ero di nuovo solo,
in una stanza bianca, con il mal di testa e con quel fastidioso bip
nelle orecchie.
Avevo molto da
chiedere alla dottoressa come :”Quando
passerà questo mal di testa?” oppure un
innocente “Quando
si mangia? Ho fame” , ma la domanda a
cui ardevo di più ad una risposta era :”Come
si chiamavano i miei genitori?” , una cosa, almeno
una cosa di loro volevo ricordare, un nome da invocare quando si
è tristi, ma a me non era concesso questo svago.
I giorni
all’ospedale erano gli stessi, sempre, ormai sapevo ogni
dettaglio di quelle quattro mura bianche.
Rimanevo tutte e
giornate a letto a pensare :”Com’è
fuori di lì?” , ero sicuro che ci
fossero delle persone lì fuori come me, ma cosa facevano
loro?
A parte il pollo con
il purèe che mangiavo ogni giorno all’ospedale,
c’era qualche altra cosa di cui ci si può
nutrire? Qualcosa di più dolce e delicato,
qualcosa che appena messa in bocca ti fa dire :”
Wow, questo è il mio piatto
preferito!” . “E io? avevo un
piatto preferito? Cosa facevo ogni giorno? Avevo
degli amici?".
Domande diverse ma sempre la stessa risposta, non lo so.
Mi avevano detto, che
mi avrebbero portato in un posto migliore, ma comunque non potevo
sapere se davvero sarebbe stato un posto migliore visto che la mia
conoscenza sugli edifici si fermava all’ospedale.
Dopo giorni in quel
posto ero più che contento di dovermene andare, speravo
davvero di andare in un posto migliore e riscoprire cose che il mio
cervello aveva rimosso.
Il timore
c’era e no se n’era mai andato,
.
Vero, avevo voglia di
sapere ma avvolte le cose che si scoprono non sono come ci aspettiamo e
poi si rimane delusi “Io
non ho voglia di rimanere deluso”.
Uscii dalla mia stanza
d’ospedale accompagnato dalla dottoressa , era la prima volta
che mettevo piede fuori dalla mia stanza , era tutto bianco , non
potevo aspettarmi altro , quel posto era deprimente
Ero disorientato ,
c’erano moli corridoi e scale , non potevo far altro che
attaccarmi al fianco della dottoressa e seguirla in silenzio.
In quel momento il mio
timore era aumentato, guardandomi intorno vedevo persone di ogni tipo,
mi sentivo circondato, tutte quelle persone, non conoscevo nessuno,
tutte facce nuove, avevo paura.
Il mio sguardo cadde
su una signora piegata sulle ginocchia, mani tra i capelli e sguardo
perso nel vuoto, posso giurare di aver visto delle lacrime cadere da
quel viso apparentemente già stanco. Un ragazzo gli si
avvicinò abbracciandola forte, anche se non stava piangendo
potevo vedere benissimo che anche lui era triste.
“Il
mondo là fuori è così brutto che fa
piangere le persone?” Ero terrorizzato.
La dottoressa mi
potò verso la porta principale e in meno che non si dica mi
ritrovai fuori da lì, faceva freddo tutto ciò che
avevo sopra alla mia maglietta era una giacchetta di cotone perfetta
per quando fa freschetto, ma no per quando fa freddo.
Un signore
scese da una macchina parcheggiata davanti
all’ospedale, era abbastanza vecchiotto si potevano
intravedere i capelli bianchi, zoppicava un po’, mi
intimoriva , era robusto.
La dottoressa si
abbassò verso di me e mi prese una mano tra le sue, mi
guardò negli occhi e mi sorrise.
“Yongguk,
adesso devi andare con il signore, ok?. “
Annuii, ma
non volevo andarci.
“Bene,
adesso vai, non far aspettare il Signor Choi, tranquillo ti
porterà in un posto migliore.” disse alzandosi e
dandomi delle piccole pacche dietro la schiena per invogliarmi a
muovere.
Non potevo andarmene,
dovevo sapere ancora il nome dei miei genitori, lei li sapeva
sicuramente.
Feci dei passi in
avanti ma mi fermai subito per guardarla, la guardai con gli occhi
più supplicanti ch potessi fare, speravo che
capisse. Ma come può una persona capire
ciò che penso guardandomi negli occhi? Nessuno
può.
Il Signor Choi mi fece
sobbalzare, prendendomi per un braccio e tirandomi verso la sua auto,
non sembrava un uomo a cui piacciono i capricci.
La stretta era
forte, faceva male, ma anche se volevo lamentarmi del dolore,
non potevo.
Aprì la
portiera dell’auto e mi fece salire, puntai subito il mio
sguardo al di là del finestrino, la dottoressa era ancora
lì , guardava verso di me, mi venne in mente una
cosa, lei non mi aveva mai
detto il suo nome.
Lei è stata
l’unica persona affianco a me in questo periodo, infondo mi
mancherà, se avessi dovuto darle un colore adesso, sarebbe
stato un bianco però questa volta un bianco un pochino
più vivace e rosato.
Non era una persona
importante per me, ma comunque adesso il suo volto rimarrà
parte dei miei ricordi, perché lei è stata parte
della mia vita anche se è una piccola parte di essa.
“Yongguk.”
la voce dell’uomo era proprio come me l’aspettavo ,
bassa e profonda, così profonda da farti venire i brividi.
“Ti sto
portando in un orfanotrofio lì ci sono altri bambini messi
nella tua stessa situazione, non mi aspetto che tu mi risponda, ma ogni
volta che ti faccio una domanda dovrai annuire, chiaro?”
Annuii, sarebbe stato
un lungo viaggio.
Per tutto il tempo,
stetti ad ammirare il paesaggio fuori dal finestrino, c’erano
palazzi di tutti i tipi, alti, bassi, colorati, al altri abbastanza
vecchi.
Il mondo visto
così, sembrava molto bello.
Ormai eravamo usciti
dalla metropoli, tutto era più tranquillo ma comunque bello.
Gli enormi palazzi di
prima erano stati sostituiti da dei palazzi più piccoli, ad
uno, due o tre piani, per il resto era tutto quasi uguale alla
metropoli ad differenza che qui, in questa cittadina, c’era
meno fracasso.
L’auto si
fermò davanti a una casetta con il tetto spiovente non era
ridotta malissimo anzi era anche abbastanza grande, se ti sporgevi un
po’ potevi vedere il giardino, tutto sommato era carina.
Il Signor Choi venne
ad aprirmi la portiera, la sua mano si strinse di nuovo ai mie polsi,
tirandomi fuori dall’auto, facendomi quasi cadere.
Si fermò
davanti al portone ed incominciò a bussare. Vennero ad
aprire due signore, una abbastanza giovane capelli lunghi neri, mentre
l’altra decisamente più grande.
“Adesso ho
altri impegni tornerò sta sera, non aspettatemi. Se crea
problemi chiamatemi.” e così dicendo si
avviò verso la sua macchina.
Guardai le due
signore, la più giovane mi guardava sorridente , quella
più grande non mi guardava neanche ma lo stesso
riuscì a prendermi per il braccio e a tirarmi dentro
l’edificio, mentre a più giovane chiuse il portone.
“Seguimi.”
mi ordinò la più grande, mentre
incominciò a salire le grandi scale di legno seguita dalla
più giovane che prima di salire mi accennò ad un
sorriso.
Non avevo altra scelta
che seguire le due donne.
L’orfanotrofio
era grande, più volte ci capitò di salire diverse
scale e svoltare per diversi corridoi, pensai davvero di star girando
in tondo, era tutto uguale, anche il più esperto si sarebbe
perso.
“ Questa
è la tua stanza, ti chiameremo noi per il pranzo.
“ mi comunicò la più grande per poi
chiudersi la porta alle spalle.
Nella “mia” stanza non ero solo,
c’erano almeno un’altra decina di ragazzi, di cui
nessuno s ne fregò più di tanto di me.
Mi sentii di nuovo un
niente e nessuno, un niente e nessuno con un nome ovviamente, ma non
potevo dirlo, quindi, sì , in quel momento mi sentii niente
e nessuno per la seconda volta nella mia vita.
E come un completo
nessuno me ne andai verso l’unico letto vuoto,
l’ultimo, quello vicino alla finestra, guardai gli altri
giocare e divertirsi insieme, solo quello.
Rimasi così
, finché la signora più giovane venne a
chiamarci per il pranzo.
Vidi tutti i ragazzi
uscire di corsa dalla stanza, non mi avevano neanche aspettato
“E
adesso come faccio a trovare la mensa?”
Scesi dal mio letto e
mi avviai verso la porta , c’erano due rampe di scale , una
che portava a sinistra e una a destra.
Non so
perché ma la destra mi convinceva di più. Scesi
quelle rampe si scale e mi trovai in un salone, con divani e
poltroncine, alla fine della stanza c’era una porta, quindi
provai ad aprirla, poteva essere la porta che portava alla mensa.
Aperta la porta mi
ritrovai solo una cosa davanti, il muso rabbioso della donna
più grande di sta mattina.
Prevedevo guai in
vista.
“ Cosa ci
fai TU qui!?! I RIBELLI qui non sono TOLLERATI!” mi
afferrò e mi trascinò verso le scale da cui ero
venuto.
“ Si mangia
all’ora in cui si deve mangiare, tu sei fuori orario e
quindi.. NON MANGERAI! “ mi spinse dentro la mia stanza
facendomi cadere con le ginocchia per terra e chiudendo prepotentemente
la porta dietro di me.
Ero di nuovo in quella
stanza, ormai vuota, andai di nuovo sul mio letto, l’ultimo
vicino alla finestra, mi sedetti e mi misi a guardare fuori.
“Adesso,
capisco la signora che piangeva in ospedale, il mondo non è
poi così bello.”
Nel
pomeriggio ci era concesso di uscire e andare fuori n giardino a
giocare.
Se nella stanza in cui
stavo c’erano una decina di persone, in giardino ce
n’erano molte di più, e credo che non fossero
neanche tutte, alcune rimanevano dentro per avere le stanze a loro
disposizione.
Non volevo rimanere un
altro minuto in più in quella stanza, quindi me ne uscii
molto volentieri.
Ero sceso per non
rimanere di nuovo da solo, ma niente cambiò, tutti avevano i
propri gruppi di amici e io non facevo parte di nessuno di quelli.
La maggior parte dei
ragazzi era intorno alle altalene ad aspettare il loro turno, mentre
glia altri erano a giocare vicino le altre giostre.
Nessuna giostra mi
attirava. Ma il mio sguardo venne attirato in un angolo del
giardino pieno di fiori, non avevo ma visto così tanti
colori tutti insieme.
Giallo, blu ,rosa,
rosso, non capivo perché gli altri ragazzi non venivano
attirati anche loro da quei bei fiori, erano molto più belli
delle giostre.
Avrei tanto voluto
prendermene uno o due per portarmeli su in stanza, ne toccai uno blu
con delle sfumature sul viola, l’avrei portato con me.
“NON
FARLO!” urlò una voce, che dallo spavento mi fece
ritirare subito la mano dal fiore.
Mi girai
più volte per vedere chi aveva urlato , ma non vidi nessuno,
quindi pensai che fosse uno dei bambini più in là
che giocavano nel prato.
Feci per girarmi e
provare a prendere i fiori, ma davanti a me non c’erano
più i bei fiori di prima, ma mi si era piazzato davanti un
ragazzino con occhi neri, molto neri, profondi come un buco nero,
rimasi a fissarlo per un po’ , più rimanevo a
guardarlo negli occhi più mi sentivo cadere in quella
profondità, mi assorbivano, completamente.
“Mi dispiace
averti spaventato ma questa è una così bella
Anemone…” disse indicando il fiore che stavo
provando a prendere. “ Perché strapparla via dalla
sua casa? Morirebbe soltanto se tu l’allontanassi da dove
è nata.” fece una pausa e si mise a guardare il
fiore, “ Bè, poi, dipende, se il fiore
vuole andarsene da casa è una sua decisione , ma i fiori non
possono né parlare né muoversi, quindi
sì se la strappassi morirebbe.”
Annuii solamente, ma
quel ragazzo capì lo stesso, mi guardasti con fare
interrogativo, passò poco prima che riparlasse.
“Per caso il
cane ti ha morso la lingua?”
Annuii, in un certo
senso era vero, gli indicai più volte la mia gola.
“Ahhh…
Quindi tu sei come questa Anemone! Anche a lei è successa la
stessa cosa.” si abbassò verso la pianta e con un
cenno della mano mi incitò a fare lo stesso.
“ Vedi, a
questa Anemone manca un pezzo, la foglia gli è stata
strappata via da un cane randagio che era riuscito ad entrare , per
fortuna non è niente di grave!”
Il ragazzo si
girò verso di me, e mi guardò con occhi sognanti.
“Vuoi sapere
una cosa interessante?”
Annuii,
perché era l’unica cosa che potevo fare,
ma davvero volevo sapere cosa mi diceva e po era la prima persona che
mi parlava da quando ero in orfanotrofio.
“Non so se
lo sai, ma ogni fiore ha un significato, e per me l’Anemone
è un fiore triste. E tu ti starai chiedendo “perché”? “
E infatti era proprio
quello che mi stavo chiedendo, “perché
l’Anemone è un fiore triste? E poi i fiori possono
essere tristi?”
“Questo
fiore simboleggia l’abbandono, la desolazione,
l’amor tradito ma può simboleggiare anche la
speranza e l’attesa. Però per me questo,
è un fiore triste. Prima che ritornassi qui
all’orfanotrofio, ero stato affidato a una famiglia di
fiorai, avevano un bellissimo negozio, pieno di fiori! Il signore a cui
ero stato affidato mi ha insegnato un sacco di cose! Sfortunatamente,
poi, il negozio incominciò a fallire accumulando
così debiti, quindi non potevano più
badare a me e mi hanno riportato qui.” si
lasciò scappare un piccolo sospiro, ma poi si riprese e
continuò a parlare.
“So che le
Anemone si regalano a una persona quando gli si vuole dire “Mi
manchi” , “Torna
da me”,
non per forza al proprio amore, ma anche ad un amico o ad un parente.
Non so perché sai, ma , quando guardo nei tuoi occhi riesco
a leggere gli stessi sentimenti che esprimono queste Anemone.
“
Ed è
così che incontrai Kim Himchan.
Da quello che mi
raccontò Himchan, lui era stato portato in questo posto
all’età di 3 anni , mai visti i suoi genitori, sa
solo che lo hanno trovato davanti alla porta
dell’orfanotrofio, niente di meno niente di più.
Ma a quanto pare a lui
non importava essenzialmente, Himchan era speciale, viveva in un mondo
tutto suo e non se ne importava del pensiero degli altri, bastava che
lui fosse felice, per lui non era importante se
rimaneva da solo, questa era una delle tante differenze tra me ed
Himchan.
Un’altra
differenza era che lui parlava tanto, io non parlavo proprio, ma era
bello sentire la voce di qualcuno invece di stare da solo capace di
ascoltare solo i propri pensieri tutto il tempo, nella mia testa
rimbombava solo e sempre la mia voce, ma adesso nella mia mente si
poteva sentir rimbombare anche la voce di Himhan, molto più
bella della mia, mi faceva sentire vivo e non dimenticato, come la
maggior parte delle volte mi sentivo.
Himchan era stato
mandato in varie famiglie nel corso dei suoi anni
nell’orfanotrofio, ma lo avevano sempre rimandato in dietro
per vari problemi riguardanti Himchan stesso e il suo carattere
“troppo strano” per le persone.
Il tempo in giardino
con Himchan passò velocemente, dovevamo rientrare quindi mi
salutò con un grande sorriso per poi andare nella sua stanza.
Io non avendo capito
ancora la strada per la mia di stanza, mi
limitai a seguire la massa di ragazzini nell’orfanotrofio,
finché, dopo parecchi corridoi e dopo essere entrato in
varie stanze per poi uscirne imbarazzato perché non era la
mia, riuscii a ritrovare la mia stanza.
E di nuovo come prima
mi rimisi sul letto a guardare gli altri giocare, ma stavolta ero
felice, perché, forse avevo trovato una persona di
importante.
Stetti sul letto tutto
il tempo, finché la signora più
giovane ci venne a chiamare per la cena, e di nuovo
mi feci trovare impreparato, tutti i ragazzini erano corsi
giù per le scale senza di me, ovviamente.
Ma avevo davvero fame
non avrei permesso a quella signora cattiva di non farmi mangiare
un’altra volta, quindi mi sbrigai e scesi velocemente dal mio
letto.
Non ebbi neanche il
tempo per mettere il piede fuori dalla porta, che la faccia sorridente
di Himchan mi si parò davanti.
“Hey! Nei
primi giorni in cui mi hanno portato qui non riuscivo mai ad
orientarmi, quindi ho pensato che ti potesse servire una
mano.”
Mi allungò
un braccio ancora con un sorriso stampato in faccia, non ci pensai due
volte a dargli la mano.
“Su
sbrighiamoci.” Urlò mentre mi tirava
giù per le scale . “Siamo già in
ritardo, la Mechbeth si arrabbierà. Ah, ovviamente se non lo
sai la Mechbeth è quella signora vecchia e cattiva, mentre
la ragazza che la segue sempre, noi la chiamiamo “La
Dama” perché
gli sta sempre a fianco, ma se non mi sbaglio il suo vero nome
è Katrhin Lee.”
Eravamo arrivati, non
si sa come, sani e salvi alla mensa e Himchan continuava a trascinarmi
di qua e di là, alla ricerca di un tavolo libero.
“Eccoci
qua” disse mentre mi faceva accomodare su una sedia.
“ Siamo
stati fortunati a non aver incontrato la Mechbeth! “ si
fermò per riprendere fiato e poi ricominciò
“Vado a prendere qualcosa da
mangiar ritorno” mi sorrise per poi darmi
le spalle e avvicinarsi al tavolo pieno di cibarie.
Appena Himchan se ne
andò mi avvolse un profondo senso di sconforto, nessuno a
parte Himchan in quel posto mi aveva rivolto la parola , Himchan era
l’unico, sempre.
“Spero che
ti piaccia, non so i tuoi gusti quindi…” disse
Himchan raggiungendomi con de vassoi pieni di cibo.
Si era preoccupato per
me e per i miei gusti, riuscivo a vedere che gli dispiaceva non sapere
se il cibo che mi aveva portato mi sarebbe piaciuto. L’unica
cosa che potevo fare per rassicurarlo era un cenno affermativo con la
testa e un sorriso rassicurante.
Vidi Himchan
tranquillizzarsi e sedersi, per poi ritornare a parlare.
“Da quando
ci siamo incontrati, cioè oggi pomeriggio, non ti avevo mai
visto sorridere, mi piaci di più così.”
Quella sera andai a dormire felice finalmente avevo qualcuno al mio
fianco.
La mattina seguente
venne la dama a svegliarci per la colazione , il risveglio era stato
piacevole, la voce tranquilla della dama era molto più bella
di quella stizzita della Machbeth che sentivo urlare per svegliare gli
altri ragazzi che dormivano al piano di sotto.
Ma c’era
un’altra voce più bella di quella dama. Quella di
Himchan. Specialmente sentire la voce di Himchan sussurrare
:” Ehi..svegliati dai! Dobbiamo andare a fare
colazione!”
Bhe… la
frase in se non era nulla di così speciale, ma sentire la
sua voce a prima mattina mi faceva stare bene. Sentendola mi svegliai
subito, nella stanza non c’era nessuno se ne erano
già tutti andati a fare colazione. “Su,
alzati o faremo di nuovo tardi.” Mi
tirò giù dal letto, portandomi giù per
le scale verso la porta.
Arrivati in mensa
Himchan mi fece accomodare e mi prese qualcosa da mangiare come la sera
prima.
Per colazione quel
giorno
c’erano “pancake” accompagnati
da tipo una salsa che si mette sopra ad essi, anche se Himchan mi ha
ripetuto un milione di volte il nome non me lo ricorderò
mai. Stavo ancora mangiando quella delizia chiamata pancake quando Himchan si
alzò. “Vengo subito, devo chiedere un attimo una
cosa alla dama”
Vidi Himchan alzarsi
ed andare verso la dama, che era appoggiata allo stipite della porta
principale per controllare tutti i ragazzi.
Non mi misi a fissare
Himchan per tutto il tempo, avevo troppa fame per aspettare il suo
ritorno, ma notai lo stesso che ci stava mettendo un po’.
Quando finii di
mangiare alzai lo sguardo notai che Himchan aveva
appena finito di parlare e si stava avvicinando a me sedendosi al suo
posto affianco al mio. Una volta seduti notai, che non stava provando a
mangiare niente stava solamente lì a guardare il piatto e ad
giocare con la forchetta. Provai a scuoterlo un po’ per farlo
riprendere ed in effetti sembro riprendersi dal suo stato
di apparente "coma".
Mi guardò
timido per poi abbassare di nuovo lo sguardo.
“Mi
dispiace, Yongguk” questa frase mi arrivò come un
sussurro, ma riuscii a sentire benissimo che aveva pronunciato il mio
nome.
“Mi dispiace
… per i tuoi genitori, e-e per tutto quanto, volevo solo
sapere come ti chiamavi, quindi … sono andato a chiederlo
alla dama, ma mi ha raccontato un po’ di più di
quello che avevo chiesto…” era dispiaciuto ed
imbarazzato allo stesso tempo lo si poteva vedere da come si toccava le
dita ansiosamente, o da come teneva la testa bassa accennando a un
sorriso. Seguirono alcuni secondi di silenzio prima
che Himchan continuasse a parlare.
“Yonguuk…
per caso, vuoi un abbraccio?”
Non ero arrabbiato con
Himchan lui voleva solo sapere il mio nome, volevo tanto
dirgli “Non
ti preoccupare, io sto bene.”
Ma solo nel momento in
cui Himchan mi chiese un abbraccio capii, che io, non stava bene, e
sì, volevo quell’abbraccio.
Mi fiondai tra le
braccia di Himchan, in cerca di calore, e solo
quando lo trovai, mi calmai, solo quando le lunghe braccia di Himchan
mi circondarono, se prima avevo voglia di piangere, adesso quella
voglia era passata, ero al sicuro.
Me lo sentivo, con
Himchan sarei stato sempre al sicuro.
Nel pomeriggio Himchan
mi portò con tutta fretta in giardino, diceva che
aveva “una
cosa magnificamente poetica” da darmi.
Arrivati in giardino
Himchan si avvicinò al cespuglio pieno di fiori, dove per la
prima volta lo avevo incontrato, tutto uguale e perfettamente stupendo
e colorato.
A quel punto Himchan
incominciò a frugare tra il cespuglio abbassandosi verso di
esso, cercando qualcosa tra il terreno, sporcandosi le mani di terra.
Quando poi si
alzò felice, vidi che aveva qualcosa chiuso tra il pugno
delle sue mani .
“Trovato!”
urlò contento avvicinandosi a me porgendo in avanti il suo
pugno che una volta aperto rivelò una cosa molto piccola e
tonda ma un po’ schiacciata ai lati, non avevo la minima idea
di cosa fosse, ma titubante la presi la
stesso, Himchan era così felice.
“Lo so, lo
so ti starai chiedendo”:”cos’è
questo? un
attimo, che adesso te lo spiego. Questo è un seme”
disse indicando la minuscola pallina che avevo in mano.
“Non ti sei
chiesto come fanno i fiori a diventare così belli? Prima di
diventare così i fiori si preparano dentro alla loro camera
verde, scegliendo con cura i colori più belli da indossare,
poi pian piano spuntano i primi petali facendoti rimanere attonito,
perché i fiori non finiscono di crescere tutti in un giorno
ci vuole tempo si devono preparare, ma quando escono sono davvero
stupendi e pensi che ne è valsa la pena aver
aspettato. E tutto questo inizia partendo da questo
seme piccolo piccolo, incredibile, vero?
Lo si pianta nel
terreno, nutrendolo con acqua e amore ogni giorno, poi vedrai un
piccolo rametto verde uscire dal terreno, e tu incomincerai ad essere
già felice perché lo hai fatto crescere tu! Ma
dovrai continuare a dargli amore e acqua per farlo diventare un
bellissimo fiore. Esistono semi per ogni tipo di fiore o pianta perfino
per i frutti o le verdure. E tu, Yongguk, riesci a indovinare questo
seme in che cosa si trasformerà?”
I suoi occhi erano
presi dall’eccitamento aspettando ansiosamente la risposta,
risposta che non arrivava, ma come facevo a dargli una risposta?
1. Non potevo parlare.
2. Se esistono semi
per ogni cosa, come potevo mai indovinare?
Se non rispondevo
avrei rischiato di deluderlo, ma per fortuna il mio occhio cadde
proprio nel cespuglio pieno di fiori, dove Himchan aveva raccolto il
seme, quello era un cespuglio pieno di Anemoni, adesso non ci voleva di
certo un genio per capire che tipo di seme fosse.
Quindi indicai il
cespuglio con le Anemoni e in contemporanea a quel gesto vidi comparire
sulla faccia di Himchan un grande sorriso.
“Bravo! Lo
sapevo che lo avresti indovinato! Non so se ti ricordi ma ti avevo
detto che le Anemoni significavano, abbandono, desolazione e
l’amore tradito, tutte cose abbastanza tristi e io come ti ho
già detto in precedenza pensò che anche tu ti
senta in questo modo. Ma ti avevo anche detto che poteva simboleggiare
anche la speranza e l’attesa! Per questo ti ho dato il seme
dell’Anemone, che pianterai e lo farai crescere con amore.
Yongguk, ricorda le parole che sto per dirti.”
Si avvicinò
a me prendendo le mie mani tra le sue facendomi chiudere a pugno la
mano contenente il seme, facendomelo stringere ancora di più.
“Tu sei
questo seme. Devi ancora crescere e diventare una bella Anemone. Tu
crescerai insieme a questa Anemone. E insieme a te e
all’ Anemone crescerà la speranza, okay? Un giorno
crescerai e vedrai che tutti questi brutti sentimenti che ti senti
addosso se ne andranno, basta attendere e avere speranza. Quindi il tuo
compito è questo! Prenditi cura di questo seme e non farlo
morire.”
Si chinò
verso il basso prendendo da terra un bicchiere di plastica contenente
del terreno, poi tese questo bicchiere verso di me e con fare molto
teatrale disse:
“A
te l’onore”
Presi il bicchiere e
ci infilai dentro il mio seme, era il momento per me di far crescere un
po’ di speranza e c’è l’avrei
fatta, insieme ad Himchan.
5
Anni dopo.
Erano passati 5 anni
da quel giorno è in tutto questo tempo capii molte cose.
Ve lo ricordate il
Signor Choi? L’uomo che mi aveva accompagnato la prima volta
all’orfanotrofio? Ecco, ho scoperto che è sposato
insieme alla Mechbeth, ma non lo sembrano, non lo sembrano affatto, non
li o mai visti abbracciarsi o almeno tenersi per
mano.
Il Signor Choi e la
Mechbeth fondarono questo orfanotrofio insieme per i bambini come me,
ma è proprio da quel giorno che il loro matrimonio
incominciò ad andare male. Ed è per questo che il
Signor Choi non era mai qui, si dice, che si vedeva con qualcun'altra o
almeno e quello che mi ha detto Himchan.
Giusto, Himchan.
In cinque anni le
persone cambiano, Himchan, no, lui no, lui non è quel tipo
di persona.
Lui è
rimasto affianco a me, l’unico, non mi ha mai abbandonato, e
per questo lo ringrazio. Anzi, lui ha fatto molto, e sta facendo ancora
molto, tutt’ora, non avevo completamente superato il mio
mutismo, riuscivo solo a parlare con Himchan ogni tanto balbettavo un
po’ ma è un enorme passo avanti, ovviamente,
è un passo avanti se non pensiamo al fatto che non riuscivo
ancora a parlare con altre persone e quindi ogni volta che Himchan mi
costringeva a farmi provare a parlare con qualcuno il mio cuore batteva
forte e dalla mia bocca non usciva niente, ma a cosa serve parlare con
gli altri se io nella mia vita ho sempre e solo avuto Himchan e basta?
“Hey,
Gukkie!” urlò Himchan sedendosi affianco a me sul
prato del giardino.
“Dobbiamo
aggiungere al mio libro dei fiori anche il ciclamino!” disse
togliendomi da mano il suo libro dei fiori.
Perché
sì, Himchan aveva creato un quaderno con tutti i fiori con i
loro significati a sua conoscenza. Ne approfittò circa un
mese fa, quando una famiglia voleva adottarlo, inutile a dirlo che poco
dopo l’hanno riportato indietro ma nei pochi giorni fuori
dall’orfanotrofio è riuscito a farsi comprare un
quaderno abbastanza grande per tutti i fiori che conosce. Noi non
sapevamo scrivere ma ad Himchan bastava disegnare il fiore che vedeva e
riusciva a ricordarsi il nome e il significato di costui, Himchan aveva
una gran bella memoria.
“Guarda,”
mi disse facendomi vedere il bel fiore che aveva in mano.
“Questo
è un ciclamino! Me l’ha dato la dama! Bello
è? Anche questo è un fiore triste
chissà perché i fiori tristi sono anche quelli
più belli, la tristezza ha un suo fascino.” disse
rispondendosi da solo alla sua stessa domanda, rispondendosi quasi
sussurrando, lasciandosi sul volto un sorriso triste, mentre
incominciava a disegnare il ciclamino sul suo quaderno.
Himchan aveva ragione
la tristezza ha un certo fascino.
“Vero.”
Dissi confermando la sua teoria.
“Yonnguk,
secondo me tu eri muto solamente perché eri solo, era tipo
un auto-scudo che ti sei creato inconsciamente per non far avvicinare
nessuno perché infondo avevi paura di essere abbandonato di
nuovo. Ma adesso ci sono io, io non ti lascio.”
Sorrise, quello era il
sorriso raggiante di Himchan, sorrisi anch’io, mi contagiava,
non solo il suo sorriso ma anche la sua felicità mi
contagiava.
Himchan intorno a se
aveva come una bolla, una bolla piena di sentimenti, sia brutti che
belli, quella bolla lo isolava dal mondo ma non da me,
perché io ed Himchan abitavamo nella stessa bolla.
La sera era
scesa, buio circondava l’orfanotrofio e
gli altri palazzi circostanti.
Faceva freddo,mi
strinsi tra le coperte abbastanza leggere, l’orfanotrofio non
aveva tanti soldi ci dovevamo arrangiare. Al freddo
ci si abitua, ero stanco mi sarei addormentato lo stesso anche col
freddo addosso. Ma non tutto il mio corpo era freddo, sentivo calore
intorno alla mia mano, riscaldava, non era un calore forte, ma per quel
poco scaldava e a me bastava.
“Gukkie,
svegliati.”
Sentii la voce di
Himchan, stavo sognando? Aprii gli occhi, e no, non era un sogno,
Himchan era lì davanti a me che mi guardava con quei occhi
neri come la notte, che però al buio splendevano. Quel
calore che sentivo era la sua mano, era calda ed era
appoggiata alla mia per cercare di svegliarmi.
“H-Himchan?”
“Lo so che
è notte, e che non dovrei stare qui, e che se la Mechbeth mi
trova mi fa a fettine, ma voglio andare in giardino… a
vedere la luna.”
Mi fece alzare dal
letto di fretta, ma io sinceramente avevo troppo freddo, per uscire dal
letto, ma questo non fermò Himchan dal farmi uscire
facendomi morire letteralmente dal freddo.
“Sapevo che
avresti sentito freddo, tieni prendi la mia giacca.” La
giacca di Himchan era calda, era piacevole e odorava di lui, era
accogliente, mi piaceva.
Arrivammo in giardino
senza essere beccati. La luna era lì grande anzi enorme, era
splendente, non avrei mai pensato di poterlo dire ma forse, la luna,
era splendente quasi quanto gli occhi di Himchan. Ci sedemmo sul prato
davanti al cespuglio con i fiori l’erba
era fredda ma piacevole al contatto. Rimanemmo così, a
guardare il cielo per un po’, ma era bello, era un silenzio
bello, rilassante e da quanto capii non ero l’unico a
pensarla così.
“Sai, il
linguaggio è fonte di malintesi, non mi fraintendere non
è che adesso sto dicendo che voglio diventare muto,
perché so quel che hai passato e non è bello, ma
alcune volte il silenzio vale più di mille parole.”
E detto questo
ritornò il silenzio, il cielo era stupendo, in questi cinque
anni passati qui ho sempre visto il cielo notturno tramite la finestra
della mia stanza, non lo avevo mai visto così, senza un
vetro a separarmi. La prima volta che guardavo il cielo notturno senza
barriere , la prima volta in cui rimanevo con Himchan sotto un cielo
parzialmente stellato, solo noi, io e Himchan, dentro la stessa bolla.
Fu Himchan a rompere
quel silenzio.
“Yongguk,
come sta la tua Anemone?”
“Qui.”
indicai il cespuglio davanti a noi, la mia Anemone
era cresciuta, era diventata grande è bella,
l’avevo messa insieme alle atre piante tra i cespugli.
“Sono
felice, in questi anni ti sei preso cura della tua Anemone,
è cresciuta senza problemi, vuol dire che anche la tua
speranza è cresciuta vero?”
Da lì , mi
tornò alla mente il discorso tra me ed Himchan cinque anni
fa, me ne ero quasi dimenticato, ma Himchan no, non dimentica.
La mia speranza era
cresciuta insieme all’Anemone, o io ero rimasto indietro,
mentre la mia pianta no?
Non avevo dubbi sulla
mia risposta.
“Sì,
grazi a te.” Non o mai detto una frase così sicuro
di me da quando ne avevo memoria. Grazie Himchan, davvero."
“Adesso sono
ancora più felice. Non perdere la speranza Yongguk, non
perderla, mai.”
“Non la
perderò.”
“Ascoltami
bene, io non so se tra altri cinque anni staremo ancora insieme, la
vita è complicata possono succedere molte cose, in cinque
anni ma anche in cinque ore o cinque minuti. Il punto è che
se in futuro ci perderemo di vista, quando avrai 18 anni, aspettami
qui.” Tirò fuori dalla tasca del pigiama un foglio
di carta con diverse linee e disegni, con alla fine una croce.
“Questa
è una mappa, l’ho fatta io quando
l’ultima famiglia mi aveva preso in adozione, questa mappa
è molto precisa, il punto iniziale è qui,
all’orfanotrofio, basta che segui le linee, okay?”
“Ma...
co-“
“Questa
è solo per caso succedesse qualcosa che ci faccia dividere,
io non ti voglio perdere Yongguk per me sei molto importante, non sto
dicendo che adesso me ne vado, ma è meglio prevenire non si
sa mai…”
Presi il bigliettino,
non avevo ancora capito perché Himchan mi aveva fatto quella
mappa, e poi caso mai ci perdessimo di vista,come facevamo ad
incontrarci con una mappa? Non avevamo neanche un giorno preciso per
incontrarci, io… io solo non capivo.
“Yongguk, ti
prego, fidati di me, tu ti fidi, vero?”
“Certo,
Himchan, sempre!”
“Quindi…
me l’ho prometti che se ci perdessimo di vista tu seguirai
questa mappa?”
“Promesso.”
Sorrise, e
ritornò a guardare i cielo, mentre si stringeva tra le
ginocchia, tremava, aveva iniziato a tirare vento.
“Freddo?”
gli chiesi.
“Sì,
ma non ti preoc-“ Himchan aveva freddo e io non potevo farlo
stare lì a congelare, non esitai un istante a circondarlo in
un abbraccio, stringendolo al petto.
E già, io
ed Himchan eravamo in un unica bolla, insieme e adesso più
vicini che mai.
Stemmo lì
abbracciati per non so quanto tempo, potevano essere passati anche un
paio di minuti ma per me il tempo si era fermato.
Era tutto stupendo,
non mi sentivo più solo.
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