Specchi magici

di _The story at the End_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 Tutto era cominciato quando, mentre facevo un giro in santa pace sulla mia fidata bici, vidi Bertold e gli altri che farfugliavano su una casa stregata. Subito frenai, la bici si impenò in avanti ed io mi misi a ficcanasare. "Di che parlate?"
"Quella stupida palla è finita nella casa stregata" disse Rosso, un ragazzo alto, anzi, altissimo e più magro di uno stecchino; con la pelle bianca come il latte e i capelli rossi,  da lì il soprannome.
Una palla. Una casa stregata. Tutto mi era molto familiare..
 " Quindi..?" Dissi, anche se avevo capito dove volevano andare a parare.
" quindi ora qualcuno deve prenderla... e... visto che dici di essere tanto in gamba; perché non ci fai vedere quanto sei brava,  scavalchi l'inferriata e ci vai a prendere la palla? "disse Bertold, capace di farmi imbufalire solamente sorridendo. Fece un ghigno di superiorità e io quasi non gli scoppiai a ridere in faccia. Quando rideva gli si vedevano i denti gialli, troppo distanti gli uni da gli altri e potevi star certo che, tra lo spazio chilometrico che c'era tra i due davanti, vi era rimasto incastrato qualcosa.
"Eh Clara, che ci dici?" Fece eco Rosso, visto che non rispondevo.
"Che c'è Betty -Bertold al femminile- tu hai troppa paura per andarla a prenderela?" Perché erano quelle le parole non dette e io lo sapevo.
Bertold faceva il duro, e così diceva il suo aspetto. La giacca di pelle, il coltellino svizzero (a mio parere patetico) che gli usciva dalla tasca e i capelli neri gellati all'insù davano l'impressione del duro e tutti lo rispettavano. Ma io non  mi lasciavo ingannare perché, per quanto fosse più grande di me, in fondo era solo un fifone. Ero l'unica, e anche l'unico, che gli teneva testa in quel modo e una volta lui provò anche a farmela pagare ma dopo quella volta non ci provo più. Dico solo che, per caso, quel giorno avevo un bel coltello da caccia, impugnatura in legno e lama dentellata in lega d'acciaio in mano e, dopo averlo usato, ho dovuto dissuadere Bertold dal denunciami. Prima di morire in Afghanistan, mio padre mi regalò quel coltello e mi insegnò ad usarlo e a lanciarlo quindi non vado mai in giro senza perchè mi fa sentire protetta, come se ci fosse ancora lui.
" Non credo proprio. Forse sei tu qui quella che ha paura, mia cara Clara"  la sua voce mi riportò al presente e, non riuscendo più a trattenermi, un sorriso involontario mi spuntò sulle labbra.
"Ti piacerebbe..." dissi io.
E lì fu pronunciata la fatidica frase: "Certo. È una femmina è ovvio che non ci entra. In quella catapecchia, potrebbero esserci i ragni! "Disse rivolto all'amico e tutti si misero a ridere.
Fu allora che urlai "Okay! Okay, ci vado" non per le risate. Quelle non mi toccarono minimamente. Non mi sentivo in imbarazzo di fronte a quattro idioti.  Ma per questione di orgoglio.

***

E fu così che mi ritrovai, prima arrampicata al cancello di ferro arrugginito che scavalcai con agilità, e poi davanti all'entrata di quello che doveva essere un vecchio negozio. La palla era riuscita ad infilarsi nell'unico posto in cui il vetro era rotto. Il buco era troppo piccolo per passarci...
"Non ci passo..." dissi a Bertold che mi osservava da dietro il cancello.
"Troverai un  modo " disse con cattiveria.
In realtà c'era più di un modo ma non erano dei bei modi...
Avrei potuto rompere il vetro allargando il buco: troppo rumore e i vetri avrebbero potuto ferirmi.
Oppure dovevo scassinare la porta.
Provai con la seconda opzione. Presi la tipica forcina dai capelli e il chiavemastro (un fil di ferro abbastanza resistente da non piegarsi, fatto apposta per scassinare, lo avevo rubato, cioè, preso in prestito ad un fabbro) e mi misi a lavoro ma dopo 10 minuti gettai la spugna, esasperata. Come diceva sempre mia nonna: " le cose vecchie sono sempre quelle di qualità migliore. Se sono ancora qui a funzionare, vuol dire che fanno bene il loro lavoro."
L'unico modo per entrare era rompere il vetro. Presi il coltello, lo girai dalla parte del manico e iniziai a colpire i bordi del buco. Appena si fu allargato abbastanza per passate posai il coltello e mi infila dentro.
Prima le braccia. Spostai con le mani i pezzi di vetro e appoggiai i palmi per terra. Infilai  anche il busto ma, data la mia avventatezza non feci in tempo ad entrare completamente che sentii un acuto dolore alla schiena. Abbassai la spina dorsale e feci entrare anche le gambe. Finalmente ero dentro.
Aspettai qualche momento seduta sul pavimento per far abituare gli occhi al buio e rimasi in ascolto di rumori sospetti. Non perché mi aspettavo uscisse un fantasma da dietro l'angolo ma per evitare spiacevoli incontri con ratti e animali vari. Ero troppo agitata per concentrarmi e captare i più piccoli rumori così mi alzai facendo attenzione ai vetri rotti e controlli la ferita alla schiena. Bruciava ma visto che quando ritirai la mano era solo leggermente macchiata da una lacrima rosso chiaro mi dissi che era una sciocchezza. Il giubbotto non era neanche lacerato.
Doveva essere un vecchio negozio di oggetti di seconda mano oppure una scecie di mercatino dell'usato perchè, tra gli scaffali impolverati, si poteva trovare qualsiasi stranezza immaginabile; da vecchi olorogi a bambole di poscellana, fino ad arrivare a servizi da te e mobili che profumavano di muffa. Dopo una breve passeggita tra le stranezze di quel posto mi concentai sulla palla. Guardai per terra ma non vidi niente poi la mia attenzione fu rapita da una parete interamente coperta di armi. Utensili atrugginiti ed inutilizzabili, balestre ancora cariche puntate nel nulla, giavellotti che sembravano aver messo radici, spade che davano l'aria di aver combattuto tante battaglie...
La cosa cosa strana era che vi erano esposte "armi" di ogni epoca, tutte divise in settori: denti enormi e artigli, pietre levigate e clave, lance primitive, spade e balestre, baionette e palle di cannone fino ad arrivare alle pistole, ai fucili di precisione e ai più moderni  M 16.
Poi alla fine della stanza li vidi. Se fossimo stati in un film sarebbe partita una colonna sonora tipo what i've done  dei Linkin park.
Una fila di specchi vecchi e impolverati. Non riflettevano la luce perché c'è n'era troppo poca e, a causa dello strato di polvere, non riuscivo a vedere neanche il riflesso di me stessa. Ci passai la mano sopra e mezzo metro di polvere volo via facendomi lacrimare gli occhi.
Era un'intera fila di specchi che occupava la parete. Uno accanto all'altro, da parte a parte del muro. Erano specchi deformanti,  come quelli che si vedevano al luna park.  Di tutte le stramberie che avevo visto era quella che mi attirava di più.
Non so perché ma mi venne l'impulso di pulire la superficie degli specchi,  cosa assolutamente assurda, come tutto li, del resto. La mia camera era il regno del caos. Vestiti per terra, polvere da vendere, resti di cibo e mai una volta mi venne in mente di pulire. eppure presi una pezza e inizi a passarla sul vetro coprendomi  la bocca e chiudendo gli occhi.
 Appena arrivai all'ultimo specchio successe la cosa più assurda e terrificante che mi fosse mai capitata. E di cose assurde e terrificante me ne erano capitate molte...

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La mia mano venne risucchiata dallo specchio e per la sorpresa caddi in avanti.
Stranamente, tra tutto ciò su cui potevo soffermarmi a ragionare, la  prima cosa che diede la necessità a gli occhi di collegarsi con il cervello fu la palla. Quella stupida, stupidissima palla, brutta, sporca e scuoiata si trovava a pochi centimetri dalla mia faccia.
Mi venne voglia di calciarla con tanta forza da farla finire su Giove.
Mi alzai. Ero caduta su un suolo polveroso e le mie mani erano sporche di terra. Mi facevano male i polsi per la caduta. Mi accorsi che la terra era bagnata. Bagnata da un liquido rosso: sangue.
Ebbi appena il tempo di formulare il pensiero "Dove diamine sono...?" e guardarmi in  giro che sentii una voce tirata e stanca che diceva "Ciao." Per poco non mi venne un infarto.
Mi voltai e vidi un ragazzo. Era poco più grande di me con i capelli neri sudati e appiccicati al volto sporco di fango. La maglietta bagnata era attaccata alla pelle e lasciava intravedere una possente muscolatura. Abbassando lo sguardo vidi la sua sua gamba o quello che ne rimaneva. sulla stoffa del pantalone, ormai ridotta a pezzi, si distinguevano alcuni brandelli di pelle. Al polpaccio mancavano cinque centimetri di fasce muscolari e il bordo frastagliato della ferita rivelata che lo strato epiteliale era stato strappato; capii all'istante che era un morso, un morso enorme.
" vuoi rimanere li a fissarmi finché non muoio?".
Morire. Quella parola mi riaccese il cervello. Caddi in ginocchio e ringraziai il cielo di aver portato con me lo zaino.
Era uno zainetto di tela che mi portavo sempre dietro e c'era tutto quello che mi seviva: acqua, cibo, il coltello e l'acqua ossigenata. Mi sembrava un miracolo. La portavo con me perché mi facevo spesso male e visto che, quando ero piccola, stavo per morire per una brutta infezione ho imparato a disinfettare le ferite.
Quando la tirai fuori il ragazzo fece un sorriso tirato. Ruppi con il coltello la stoffa rimanente e spruzzai la soluzione sulla ferita e in particolare dove c'era l'ombra di un'infezione. Subito il ragazzo si contorse dal dolore, irrigidendo i muscoli e digrignando i denti ma senza urlare. Avevo fatto un corso di pronto soccorso qualche anno fa e devo dire che mi è sempre piaciuto curare le ferite e osservare com'è fragile il corpo umano così le mani andavano col pilota automatico. L'acqua ossigenata inizio a fare le bolle e a sfrigolare.
"Come odio quando da bambino mi dicevano che non brucia". Disse il ragazzo, ancora inriggidito dal dolore. Rriuscì a farmi scappare un sorriso, cosa non da poco; e mentre sorridevo lo guardai più attenta mente: aveva le lentiggini ed era stranissimo visto che aveva i capelli neri; ancora più inusuali però erano i suoi occhi. Due pozzi di un blu inchiostro che pareva nero. Un blu così scuro, ma accesso e vivace allo stesso tempo, che poteva spiazzare chiunque e che mi lasciò senza fiato. E il suo sorriso, nel mezzo di quel viso stanco e sporco, era come l'unica stella che splendeva nel cielo, capace di illuminati.
"Mi hai salvato la vita" disse lui. Non sapevo come interpretare quel ringraziamento visto che aveva un tono di voce amareggiato, come se fosse stato costretto da qualcuno a ringraziarmi.
"Non è ancora detto" incalzai io mentre abbassavo lo sguardo sulla ferita. Ormai ciò che mi stava in torno aveva perso consistenza e rimaneva solo la ferita. Dipendeva tutto da me.
L'emorragia si era fermata grazie al laccio emostatico che aveva improvvisato il ragazzo con un lembo della sua camicia. Potevo fare di meglio. Ci misi un po a slacciare il doppio nodo poi slegai lentamente la stoffa perché so che in questi casi bisogna far attenzione a non togliere velocemente il laccio o l'emorragia sarebbe refluita. Lo riallacciai più in alto, questa volta raccolsi un legnetto e lo usai come manopola per stringere meglio ma non feci più di un giro per paura di fermargli la circolazione, non me lo sarei mai perdonato se avesse perso una gamba a causa mia. Finito quello mi dedicai a lavare la ferita. Con la stoffa della mia felpa pulii la pelle martoriata e tolsi i granelli di terra. Avevo le mani che tremavano, ora che la vedevo meglio mi venne quasi da vomitare  e ansimavo per  lo sforzo di fargli meno male possibile ma lui non batté ciglio né protestò. Tirai fuori la bottiglietta d'acqua ma prima che potessi versarne il contenuto sulla fetita il ragazzo mi urlò di non farlo e me la strappò dalle mani.
"L'acqua è troppo preziosa" quindi bevve avidamente e finì in pochi secondi la metà dell'acqua contenuta nella bottiglia .
Quell' informazione mi fece riflettere perché se quell'acqua era preziosa voleva dire che non c'è n'era altra...
Mi guardai intorno per la prima volta, con una crescente consapevolezza.
Eravamo in una grotta e al di fuori di quella, il deserto. Avrei dovuto provare una terrore puro eppure ero curiosa, ansiosa e meravigliata. Troppe emozioni in un solo momento, quasi mi spuntò un sorriso sulle labbra. Era impossibile tutto questo.
"D-dove siamo?"

 

***

"Benvenuta nel paese delle meraviglie". lo disse senza ridere, con una nota di malinconia.
"Dove siamo?" Ripetei con più determinazione.
"Scusa."  Disse a disagio, capendo che la battuta non era piaciuta.
Si schiarì la gola e poi parlò " senti... probabilmente non ci crederai... come te lo dico... io...non..."
"Dove siamo?". Era in difficoltà ma non chiedevo molto. io ero agitata e avrei voluto con tutte le mie forze uscire da quella grotta ma qualcosa dentro di me lo impediva. In quel momento la terra iniziò a tremare.
"Forse non ci sarà bisogno che te lo spieghi".
Il terremoto si intensificò,  sembrava si  stesse avvicinano,  anche se non è possibile. A quel punto non mi trattenni più e uscii.
"Non è per niente una buona idea. Aspetta!" Mi girai  e lo vidi.
I miei occhi lo vedevano? Si.
 Il cervello ci credeva? No.
I muscoli reaggivano?  I muscoli erano partiti per qualche meta esotica, probabilmente, perché rimasi impalata li anche se sarei voluta scappare. Ciò che osservavo a bocca aperta era un dinosauro.
"Okay. Okay. Ora torna dentro." Disse lui urlando per sovrastare il rumore provocato dallo spostamento dell'enorme animale. Non reagivo e allora lui si alzò,  sembrava impossibile nelle condizioni in cui era; mi prese il viso con modi per niente gentili e mi urlò in faccia: " Se ti vede sei spacciata, lo capisci? TI AMMAZZA! Torna dentro." Pronunciò le parole scandendole come si fa con gli stranieri che non parlano la tua lingua. A quel punto annuii distrattamente e tornai nella grotta. Mi sedetti in un angolo a guardare un punto fisso, senza pensare a niente, senza riuscire a elaborare. Lui mi si sedette accanto, trascinando dietro la gamba inerme.
"Ora... ora calmati." Disse un pò impacciato.
"Sono calma" ed era vero. Era come se il mio cuore non battesse. Avevo il gelo nelle vene. Il problema era che non credevo a quel che vedevo mente lo vedevo. Ero calma. Ed era questo che più mi spaventava.
"Ci è andata bene" Disse lui sentendo i passi allontanarsi.
"Non è un sogno vero? Cioè era davvero un... ho visto davvero quello che credo di aver visto?"
"Mi dispiace" disse a mò di affermazione. Annuii e rimasi a fissare il nulla ancora per un po. Lui appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi come se non fosse accaduto niente.

 

***

"Perfetto!" Risposi qualche minuto dopo mettendo su un sorriso isterico. "Ora. Tu mi spiegherai com'è possibile tutto questo. " dissi rivolgendomi a lui. "E io ti ascolterò." aggiunsi alzandomi. Lo guardai aspettando una risposta. Ero arrivata ad una conclusione: "è  inutile continuare a ragionare. Ormai qualsiasi cosa succederà me la lascerò scivolare addosso." Annunciai come risposta al suo sguardo sorpreso.
"Wow. L'hai presa bene la faccenda del dinosauro." Ma già al suono di quella parola la mia convinzione scemò, pronunciarla aveva significato confermare che era reale. Non era una cosa che potevo farmi scivolare addosso. Era una cosa che poteva farmi scivolare la vita dalle mani.
"Come ti chiami". Cos'è voleva flirtare?
"Clara, e tu?" Dissi un pò scocciata.
"Hunter."
"Hunter. Sai che non è questo quello che voglio sapere da te."
" Okay. Ti faccio un quadro generale di come funziona." Fece un bel respiro e iniziò: pratico e coinciso." è un gioco."
"Ti sembra un gioco, questo? "
"Non interrompere! Un orribile gioco. Se tocchi la superficie del decimo specchio, come hai fatto tu,  vieni risucchiato qui ." Dieci specchi, come quelli sulla parete, me li ricordavo bene. Quando passai la mano sull'ultimo venni trasportata qui. Sì alzò e andò zoppicante all'entrata della caverna. "Guarda Lì.  C'è un riflesso." Misi le mani a cannocchiale e vidi ciò che mi stava indicando. Era il riflesso di qualcosa di luccicante. Annuii. "10 km. La distanza dallo specchio. Dobbiamo attraversare questa distanza e arrivare a quel riflesso, che poi sarebbe lo specchio che dobbiamo attraversare. Questo specchio ci servirà per passare nell'altro mondo, come ha fatto quello che ti ha portata qui. Lo scenario che ci ritroveremo davanto sarà più vicino nel tempo ai giorni d'oggi. dieci specchi, dieci mondi da attraversare senza morire."
"E se muori...?"
"Menomale che non dovevi interrompere. Se muori prima di aver oltrepassato l'altro specchio ritorni a zero. Devi riattraversarli tutti e dieci. Se muori e non hai ancora attraversato il primo specchio, ovvero nella nostra situazione attuale... beh... sei morto sul serio... non ricomincerai la partita. Questa è la nostra prova d'ingresso. Dobbiamo dimostrare di essere  capaci di proseguire."
"Quindi dobbiamo arrivare lì. "
"Sì ma non ho finito. Quando attraverseremo gli specchi tutte le ferite scompariranno. L'importante è arrivare dall'altra parte ancora vivi. Solo che dall'altra parte c'è un campo di battaglia ancora peggiore."
"Quindi se riesco a portarti fin lì la tua gamba... puff... e guarirà".
"La fai facile. I dieci mondi non presentano mai scenari uguali, ad esempio ora siamo nel mesozoico, se ritorniamo al primo specchio potremmo  ritrovarci nel  triassico".
"Ma ci saranno sempre i dinosauri o..? "
"Ci sono alcuni schemi che si ripetono. I primi due specchi sono mondi abitati solamente da animali. I primi tre si trovano nella preistoria e negli ultimi tre ci sono dei conflitti con armi da fuoco".
"In cosa dovrebbe aiutarmi?"
"Non lo so! Per prepararti? Sei tu che volevi sapere tutto! Ora fammi finire. Nei mondi popolati da uomini saremo in mezzo a un campo di battaglia, tra due linee di fuoco. Il più delle volte abbiamo entrambi gli schieramenti contro, altre volte dobbiamo scegliere contro chi combattere. "
"Passando in mezzi ai fuochi incrociati? Nelle cosidette terre di nessuno?"
 "Già. Un'ultima cosa: Se mi uccidi non morirò. "

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


"Non credo di aver recepito". lo guardai come se gli fosse spuntato un'occhio in più.
" Noi possiamo morire solo a causa delle prove. Se ci uccidiamo a vicenda, o tentiamo di farlo noi stessi, non vale. Quindi se tu mi uccidi io... Bhè, guarirei completamente"
"Se ti ammazzassi poi guariresti completamente." Ripetei. Non era la prima cosa insensata che mi capitava in quella giornata così pensai, perché no.
"Esatto." confermò lui.
"Come fai a saperlo?". Gli chiesi. Guardò in basso come se ricordasse qualcosa."È già accaduto".
Presi il coltello e glielo puntai al cuore per vedere se faceva sul serio. Non si tirò indietro né aprì bocca.
"Mi stai chiedendo di ucciderti." dissi guardandolo negli occhi.
"Ti sto implorando di farlo. E ti giuro che non ricordo l'ultima volta che ho implorato qualcuno. È l'unico modo". All'improvviso mi accorsi di quello che mi chiedeva di fare. Qualche minuto prima ero a casa e ora mi ritrovavo a puntare un coltello contro uno sconosciuto. Non riusvivo a metabbolizare gli eventi. Tutto questo era troppo.
Il mio braccio rimase alzato. Capii che non avrebbe fatto un passo indietro se lo avessi ucciso in quel momento, su due piedi. Nei suoi occhi non c'era ombra di dubbio. Ero io quellache esitava. Stavo per uccidere una persona. Non ferire, ma toglierle la vita. All'inizio pensavo fosse facile, dopo tutto me lo aveva chiesto lui, ma poi mi sconcertò la facilità con cui avevo preso quella decisione e provai disgusto per me stessa. Insomma, stavo per uccidere una persona! All'improvviso immaginai il suo sangue che mi macchiava le mani e che non si toglieva più come se mi volesse marcare a vita come "assassina".
"Non ci riesco." Dissi abbassando il coltello e scuotendo velocemente la testa.
 "Se non lo fai moriremo entrambi". Constatò semplicemente lui.
"Non è una questione di sopravvivenza. Mi stai chiedendo di dar via la mia umanità". Era come se gli anni passati in quel posto avessero tolto a quel ragazzo la compassione; mi guardò con occhi freddi e distaccati.
"Quale umanità avrai da cadavere?" Disse calmo.
"Okay. Okay. Dammi del tempo." Dissi girandomi e camminando avanti e indietro come un animale in gabbia.
"No. Non ci devi pensare su. Devi aggire; fallo e basta." Disse afferrandomi la mano che teneva il coltello e portandosela al petto. Io tentai di strattonarlo per allentare la morsa ma la sua presa era salda.
"Non mi stai uccidendo. Ci stai salvando". Altra semplice constatazione che  era di nuovo solamente la realtà.
Con quella frase mi convinse. Non potevo pensare ai miei dilemmi morali e non potevo permettermi queste debolezze. Dovevo farlo.  Caricaii indietro il braccio e lo colpii con tanta forza che cademmo entrambi a terra. La lama entrò nel suo torace fino al manico e fu come se avessi ricevuto il colpo in prima persona. Rigirai il coltello per essere sicura che non soffrisse più.
Tirai fuori la lama e il rumore che ne scaturì fu agghiacciante. Mi girai dall'altra parte. Ancora una volta ero stizzita dalla mia insensibilità. Sarei dovuta scappare via terrorizzata da un pezzo eppure ero lì e alle mie spalle c'era un uomo morto, che io stessa avevo ucciso. E non provavo nulla. Quella calma inquietante che mi pervadeva quando si metteva in mezzo la morte era tornata. Il gelo  mi scorreva nelle vene mentre con la testa china osservavo il coltello sporco di sangue nella mia mano. Sapevo cosa avevo fatto ma non riuscivo a sentirne il peso. Rimasi con la fronte attaccata al muro della grotta a vagare nel nulla più assoluto finché una mano forte non mi strinse la spalla.
Fu la seconda volta che rischiai un infarto. Era lui.
"Grazie, di nuovo".
Mi catapultai d'istinto fra le sue braccia ma mi staccai di colpo qualche secondo dopo per potergli dare un pugno in pieno petto. Non sapevo perché o con chi ma ero arrabbiata e quando sono arrabbiata mi metto a piangere. Tutta la tensione che si era accumulata da quando ero arrivata mi scivolò via dagli occhi. Odiavo piangere. Lui fece una cosa che non mi sarei mai aspettata. Mi asciugò una lacrima. Le sue mani erano ruvide e callose ma sorprendentemente delicate. Mi girai dall'altra parte e mi pulii con rabbia il viso bagnato. Mi sedetti il più lontano possibbile da lui e rimasi in quella posizione per il resto della giornata. Lui non proferì parola per tutto il tempo e gliene fui grata.

***

Ormai il sole cominciava a tramontare. Sul tetto della grotta Hunter aveva ammassato, nel tempo, della legna che usammo per fare un fuoco. Ci avrebbe riscaldato e avrebbe tenuto lontani i dinosauri.
 Mangiammo un panino e una porzione di Saikebon; erano nel mio zaino perché sarebbero dovuti essere il mio pranzo e la cena. Mi figurai a mangiarli a casa da sola, un un libro tra le gambe e una coperta sulla schiena...
" I tuoi capelli sono rossi."
"Come?" Dissi con la bocca ancora piena.
"Questa mattina avevi i capelli castani e ora sono rossi".
"Si, cambiano colore a seconda della luce..." balbettai, ad un tratto interessata al fuoco. Cercai di immaginare i miei capelli in quel momento: sporchi, bagnati, arruffati. Insomma, il solito.
"Sorprendente"
"Come no." E aggiunsi timidamente "I tuoi occhi sono sorprendenti". Poi mi ritrovai a pensare: che cosa stupida da dire.
Dopo quale minuto di silenzio rispose "grazie".
Mentre rispondeva iniziai a tremare. L'escursione termica era letale. Di giorno c'era un caldo asfissiante e la notte si congelava.
Stavo tremando come una foglia con tutto il giubbotto. Poi notai che lui era solo in maglietta a maniche corte. "Com-come fai?"
"Sono abituato credo". Disse un po a disagio. Aprì le braccia come se volesse che io lo abbracciassi "Vuoi..."
"No!" Mi afrettai a dire distogliendo lo sguardo.
"Oh tranquilla, non ci tengo tanto neanche io...".
Una cosa era certa: non avrei dormito tra le braccia di uno sconosciuto.
Qualche secondo dopo sbuffò e mi si avvicinò, come se fosse costretto. Mi abbracciò da dietro e io cercai di di dargli una gomitata ma, quando lui fermò il colpo a mezz'aria, avevo troppo freddo per rispondere. Alla fine ci distenndemmo a terra e io dormii tra le braccia di uno sconosciuto.
Per qualche minuto riuscii a rilassarmi abbastanza da addormentarmi ma quando mi svegliai non riuscii più a prendere sonno. Mi girai verso di lui. Aveva gli occhi chiusi e sembrava stesse dormendo profondamente. Per la prima volta lo vidi con i lineamenti del viso rilassati e i muscoli riposati. Mi accorsi di quanto poco sapevo di lui. Mentre lo guardavo aprì gli occhi. Credo che quando si è abituati a vivere con la morte che ti fiata sul collo si impara a svegliarsi con il minimo rumore.
"Mi sento osservato." Non risposi. La luce del fuoco che giocava con le ombre del suo viso lo rendeva davvero bello. Non che mi piacesse, era solo una constatazione oggettiva.
"Non riesci a dormire?"
"No". Risposi consapevole di dover sembrare una bambina di 4 anni che andava a sveglieare i genitori perché aveva paura del buio.
"Neanche io ho molto sonno".
"Ma prima dormivi."
" E ora sono sveglio"
"Quanti anni hai?" Tanto valeva conoscere lo sconosciuto con cui avevo dormito, no?
Probabilmente non riuscii mai a perdonarmi quella debbolezza: avevo avuto bisogno di lui per riscaldarmi.
"16 credo, forse dovrei compiere a breve 17 anni, o forse li ho già compiuti. Che giorno era quando sei arrivata?"
"Il 25 novembre"
"Sì, ho 17 anni".
Poi mi sembrò un dovere completare la data con l'anno.
"2015."
Voi dire che vieni dal 2015?"
Annuii.
"Fammi gli auguri, sono diventato maggiorenne. Ho appena scoperto di avere 18 anni".
"Come hai fatto a perdere così il senso del tempo?"
"Perché quando attraversi gli specchi non è lo stesso orario dell'altro mondo. Ora siamo in primavera. Lo capisco dalla durata delle ore di sole. Quando entreremo nello specchio potremmo trovarci in inverno e ancora, se lo attraversiamo di pomeriggio dall'altra parte potrebbe essere mattina, oppure notte notte".
"Voi dire che sei bloccato qui da due anni?".
"Hai capito male. Sono arrivato qui nel 2011. Quindi sono passati quattro anni". Disse con leggerezza. "E in questo arco di tempo non ho mai visto una ragazza."
"Non c'erano altre persone con te? "
"Tutti uomini".
"Com'è possibbile!"
"Ho una teoria." Disse facendo dei cerchi per terra con il dito. Mi accorsi in seguito che stava disegnando una ciambella.
"Prima ti ho detto che questo è un gioco.  Ciò vuol dire che qualcuno ci sta giocando. Si diverte. Chi ha creato gli specchi ci  sta guardando".
"Mi sento molto osservata ...ma questo non spiega il perché..."
"Ci sarà una volta in cui mi farai finire di parlare?!" Sbuffò, quindi riprese.
"Probabilmente non trova divertente delle femminucce isteriche che rimarrebbero in un angolo a disperarsi senza reagire."
"Quindi... non so, ora dovrei sentirmi fiera di essere abbastanza coraggiosa per poter venire qui ed essere fatta a pezzi."
"Se vuoi, ti faccio un applauso."
"No, è già troppo deprimente così".
Ormai stavano spuntando le prime luci dell'alba ciò sigificava che tra poco saremmo usciti e avremmo tentato di arrivare allo specchio. Hunter si alzò, si pulì le mani sui jeans e disse "è ora".
Dopo trenta minuti buoni passati a guardare Hunter che creava un'arma di fortuna limando il legno non stavo più nella pelle.
 "Quando partiamo?". Dissi guardando fuori.
"Dopo il mezzogiorno".
"Perché? "
"È il momento in cui sono meno attivi".
"Quindi non dovrebbe essere troppo difficile"
Rise mentre si rigirava nelle mani una corda vecchia e sfilacciata "Già sono solo quattro anni che ci provo. Non dovrebbe essere difficile." Poi mi diede le spalle.
"Le vedi queste linee?". Non me ne ero accorta prima ma ora le vedevo chiaramente. Sulle pareti della roccia vi erano tanti piccoli graffi fatti con la lama di un coltello; piccoli, orizzontali e molto vicini che ricoprivano le pareti, era difficile trovare un punto vuoto. Potevano essere migliaia.
"Ogni volta che uno di noi ritorna in questa grotta facciamo un segno. queste sono tutte le volte che ci abbiamo provato e non ci siamo riusciti.  Queste sono tutte le volte che ci siamo ritrovati qui e abbiamo ricominciato da zero. Ancora e ancora." Disse passando il dito sulle scalfiture. Si intuiva che molte di quelle erano sue.
Di tutta risposta presi il coltello, tracciai un segno più grande e profondo degli altri, mi voltai e gli dissi: "questo è il mio primo e ultimo segno, è una promessa" non sapevo da dove venisse quella determinazione ma una cosa era certa: avrei fatto di tutto per arrivare alla fine.
"Sei una ragazza coraggiosa e determinata". Disse. Poi chinò il capo e continuò "ma non promettere cose che non puoi fare". Riuscì a spegnere quella scintilla di entusiasmo che si era accesa mentre pronunciavo quelle parole. Alcune volte era proprio un isensibile ma almeno non nascondeva quello che pensava.
"Anche io quando sono finito qui avevo la tua stessa determinazione."
"Ma noi due possiamo farcela."
"Sono felice che tu ci metta così tanto entusiasmo." Finì di infilare tutto quello che avevamo nello zaino (un po d'acqua,  due coltelli, una corda, una torcia, una barretta di cioccolata e un mp3 che dubbito ci sarebbe servito) e uscì dalla grotta.
"Cerchiamo solo di arrivare vivi alla fine di questa giornata." Uscimmo dalla grotta e subito la luce del sole mi ferì gli occhi, il vento caldo e secco mi sferzò il viso come a darmi il benvenuto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Il percorso era chiaro: sempre dritto verso nord e, avanzando fino ad arrivare ai piedi della la formazione rocciosa che delimitava l'orizzonte, avremmo trovato il primo dei dieci specchi.
 Eravamo in cammino da pochi minuti, ma Hunter era già irrequieto.
 "Che ti prende?" Dissi senza riuscire a trattenermi.
 "Niente. Un presentimento." Continuava ad annodare e snodare la corda fra le mani.
 Camminavamo a passo spedito, nessuno osava proferire parola.
 Il paesaggio era magnifico. Dovevamo trovarci sul fondo di un lago ormai prosciugato da tempo poichè, tutto intorno, vi erano pareti di roccia altissima e il suolo, precedentemente sommerso dall'acqua, era sabbioso e desertico. Di tanto in tanto si vedevano delle piante secche e solitarie; altrettanto rari si incontravano anche resti di ossa. Oltre questi c'eravamo solo noi.
Sarebbe stata una  piacevole scampagnata, se il vento non avesse trasportato granelli di sabbia, che mi seccavano  le  labbra e non fossimo stati in pericolo di vita. Avevo sempre desiderato vivere un'avventura simile a quele che leggevo nei libri.  Reputavo  la mia vita troppo noiosa e desideravo mi succedesse qualcosa di meraviglioso un giorno o l'altro: un mistero da risolvere, uno strano libro in cantina che nasconde verità su altri mondi, un portale che arrivava ad un regno fatato, la visita di qualche simpatico alieno...
  Avevo anche in progetto di arruolarmi  nell'esercizio o nella marina militare, mi immaginavo come una donna costantemente in viaggio e in cerca di avventure.
 Un giorno ne parlai con un'amica e quello che lei mi rispose fu "e non progetti di avere un marito e magari mettere su famiglia?" Mi stupii di quella risposta perché non avevo neanche sfiorato l'idea. Nella mia mente mi figuravo da sola. Risposi che non volevo figli e che sarebbe stato difficile, se non impossibile trovare un uomo con la mia stessa voglia di farsi ammazzare.
 "Beh, eccomi accontentata." Dissi fra me e me, ma non era come lo immaginavo... nella mia mente non sentivo lo stomaco bruciare per la sensazione di irrequietezza e non c'era la tensione che provavo adesso; non mi sentivo come un elastico teso, pronto al lancio.
 "Cosa?" Disse Hunter dietro di me in tono distratto. Probabilmente mi aveva sentito bisbigliare.
 "Niente. Dicevo..." Trova qualcosa da dire di intelligente, pensai. "almeno ho saltato la verifica di matematica" Appunto, qualcosa di davvero astuto. Anche se in effetti avrei preferito farmi sbranare che fare quella verifica. Era buffo immaginare che in quel momento sarei dovuta essere a scuola.
 "Mh, mh." Rispose, guardandosi intorno.
 "Che ti succede?" Ripeteii convinta che ci fosse qualcosa che non andava.
 "Niente... Sai, la stramaggioranza dei novellini muore la prima volta che esce dalla caverna." in quel momento l'ultima cosa che volevo era essere chiamata novellina.
 "Beh, ti ringrazio, ma non ci tengo a farmi uccidere" mi irritava il fatto che non mi credesse in grado di arrivare allo specchio.
 "Non agitarti, non è un insulto. È solo... Un avvertimento.  Non sai cosa ti aspetta. Solo questo: rimani dietro di me." poi aggiunse a voce più bassa, quasi bisbigliando " non voglio che ti succeda niente."
 Ero sempre più arrabbiata. "Preoccupati della tua incolumità, io so badare a me stessa."
 "Okay." Disse lui, un po' divertito. "Promettimi solo questo, è importante: se ti chiedo di fare o non fare qualsiasi cosa tu ascoltami, anche se non ne capisci il motivo. Potresti cacciarci in guai alquanto spiacevoli."
 Mi dava ai nervi. Chi credeva di essere? "Non te lo garantisco".
 Lui sbuffò accennado un sorriso, e accellerò il passo.
 Qualche minuto dopo, senza preavviso, si girò di scatto e mi urlò di abbassarmi. Lo feci e contemporaneamente mi girai a guardare nella direzione in cui guardava lui giusto in tempo per vedere l'ombra di uno Pterodattilo che mi sorpassava e che ci atterrava davanti tagliandoci la strada.  Lo riconobbi dalle illustrazioni sul libro di storia; solo che sul libro non sembrava così terrificante. L'apertura alare misurava quanto l'altezza di noi due insieme e, quando aprì le fauci, un verso agghiacciante simile a quello dello stridere di un gesetto sulla lavagna risuonò nella valle.
 Prima che potessi reagire Hunter gli corse incontro con il pugnale sguainato che gli conficcò nella spalla. Non era un punto vitale, perché attaccare lì? Poi lo capii. Usò il pugnale per issarisi in groppa al dinosauro poi, con l'altro, gli perforò la membrana alare. Una mossa geniale: così il dinosauro non avrebbe potuto prendere il volo. Infatti quando quest'ultimo provò a planare, muovendo velocemente il collo per disarcionare Hunter, la membrana perforata lo fece cadere di lato. Solo allora Hunter gli tagliò il collo con un movimento netto e deciso e saltò giù dalle spalle dell'animale, atterrando con una capriola pochi secondi prima che la bestia iniziasse a dimenarsi in preda ad un attacco epilettico per poi accasciarsi a terra. Morto.
 "E il primo è andato." commentò Hunter raccogliendo il pugnale ancora dentro la spalla dell'animale.
 Erano tutte delle mosse studiate. Lo aveva già fatto molte volte. I movimenti erano sicuri e sapeva perfettamente ciò che doveva e non doveva fare. Sorprendente. Anche per me. Ero rimasta in piedi a fissarlo, non aveva bisogno del mio aiuto;  la convinzione che avevo  di sapermela cavare da sola però era ancora salda. Mi convinsi che, in un modo o nell'altro, la prossima volta non sarei rimasta a guardare.
 "Andiamo. Il rumore ne attirerà altri." A quel punto si mise a correre e lo seguii. Nella mia mente si ripeteva la scena al rallentatore per analizzare le sue mosse. Procedemmo spediti per molto tempo prima di vedere un Velociraptor venirici in contro. Subito impugnai il coltello. La mossa mi era familiare e quindi, sembrava stonare in quella situazione.
 "Non mangiano solo uova e cadaveri?" Dissi io.
 "Infatti" mi rispose afferrandomi il polso e frenando il coltello che mi apprestavo a tirare."Guarda".
 Il dinosauro ci passò davanti ignorandoci.
 "Qui si tratta di difendersi, non di attaccare."Mi disse lui accennando con la testa al massiccio coltello che avevo in mano. " Se tu lo avessi colpito,  il resto del branco ci avrebbe attaccato."
 "Quale branco?" Provai a chiedere, ma non mi lasciò finire che mi tirò per il braccio.
 "Abbassati." Mi ordinò quando ci avvicinammo ad una grossa pietra. Ecco quale branco... Una decina di Velociraptor andava nella stessa direzione in cui si avviava quello che avevamo visto.
 "Il primo corre 500 metri più avanti degli altri. Così, se succede qualcosa a lui, il resto del branco sa che c'è un pericolo." Quel Velociraptor si sacrificava per l'incolumità del gruppo. SACRIFICIO. Era una parola importante. Mi rimase impigliata tra i pensieri.
 "Dove vanno?" Ma nello stesso momento in cui formulai la frase lo capii da sola. "Al cadavere dello Pterodattilo." Mi risposi. " tu sapevi che sarebbero arrivati."
 " Sì. E ora muoviamoci." Adesso capivo cosa intendeva con la frase: Se ti dico di non fare una cosa ascoltami. E capii anche che senza di lui non ne sarei mai uscita viva. Non potevo permettermi mosse false.

***
Partimmo di corsa senza guardarci indietro. Eravamo a metà strada. Correre. Solo questo macchinava la mia mente. Correre. I pensieri si erano congelati nel gelo che avevo dentro e l'unico obbiettivo era lo specchio. Quando chiudevo le palpebre mi ritornava in mente l'immagine del Velociraptor che si sacrificava per il branco. Le mie labbra si muovevano formulando la parola sacrificio.  Non avevo idea del perché ma sapevo che era importante.
 Hunter rallentò. Si chinò e perlustrò il suolo in cerca di qualcosa "Dove diamine...?" Il suo viso si illumino quando trovò cosa cercava. Coltelli da lancio. Me li porse e fu subito amore. "Non sono molto efficaci con i dinosauri ma ti aiuteranno molto con gli uomini. Lì sai usare vero?"
 "Riuscirei colpire un colibrì a cento metri di distanza." Dissi con orgoglio; poi mi rivolsi direttamente ai coltelli. "Oh, si." Ottima calibratura, lunghezza perfetta, non troppo pesanti, appuntiti, lama a doppio taglio. Tre coltelli da lancio degni di quel nome."Siete meravigliosi". Dissi aprendoli a ventaglio.
 Come chiamati dalla sfida da me mutamente lanciata spuntarono tre tirannosauri. Otto metri di altezza.
 "Io gli corro in contro così i primi due prenderanno di mira me. Il terzo starà a te..." disse lui partendo con uno scatto.
 Ero pronta. Quella volta non mi servì neanche il tempo di pensare. I dinosauri adottarono la formazione prevista da Hunter e quando il terzo mi caricò senza timore, io gli lanciai  il primo coltello in mezzo al petto, più per avverrimento che per altro, ma non sembrò neanche notaro.  Dovevo ragionare e in fretta. Lanciai un coltello in orizzontale sul legamento della zampa. Se fosse caduto non avrebbe potuto rialzarsi; ma non successe, ovviamente. Questi lamentò un ruggito e si voltò per usare la coda come frusta. Riuscii per grazia divina a salvarmi la pelle saltandola e atterrando con un salto mortale. Dovevo cambiare tattica. Mi stava caricando di nuovo e aveva intenzione di azzannarmi. Aspettai che si avvicinasse. Aspettai ancora. Attimi che sembravano anni.  Riuscivo a stento  a stare fema sul posto senza tremare per la tensione. Quando fu a pochi centimetri di distanza, mi appigliai con il coltello al collo dell'animale e gli salii in groppa. La pelle era scivolosa. Mi mantenni con tutte le forze, mentali e fisiche, mentre cercavo di tagliare con il coltello da caccia la spina dorsale dell'animale come se fosse il ramo di un albero.
 Un attimo prima la creatura si dimenava per disarcionarmi  e l'attimo dopo mi ritrovavo a cadere da 8 metri di altezza. Atterrai di schiena e un dolore lancinante mi percorse da capo a piedi; la mia visuale era appannata da puntini neri.
 Rimanedo distesa a terra osservai Hunter che finiva il suo secondo aggressore aprendogli lo stomaco come si farebbe ad un pesce, ne uscirono quelle che sembravano le interiora. In mezzo c'era qualcosa che pulsava: il cuore. Lo perforò e il dinosauro morì un secondo dopo.
 Hunter si pulì le mani sui pantaloni e si voltò verso di me. Mi corse in contro preoccupato. "Stai bene?"
 "Così, il cuore è nello stomaco?" Mi informai io.
 "Sì. Riesci ad alzarti? " Mi porse una mano e accettai il suo aiuto, sollevandomi da terra con un gemito. Andai a recuperare i coltelli e tornai da lui.
  "Hai fatto proprio un buon lavoro. Impari in fretta." Disse arruffandomi i capelli, cosa che mi irritò non poco. Diedi un'occhiata al suo lavoro: il primo era praticamente fatto a fettine e il secondo era... Mi venne un conato di vomito  che repressi a stento piegandomi in avanti. Il secondo era stato letteralmente
 sventrato. Neanche se Hunter avesse avuto a disposizione una motosega avrebbe fatto un lavolo migliore.
 " La prossima volta, però, con meno interiora".
 "Già... fanno sempre questo effetto." Disse mettendomi un braccio sulle spalle e sorridendomi.

***
Solo pochi minuti per riprendere fiato e poi ingaggiammo una corsa sfrenata. Non sapendo se stavamo fuggendo o rincorrendo. Sempre dritto. Fino allo stremo delle forze, facendo di tutto per raggiungere un obbiettivo. Tra tutte le domande che avevo, la meta era la mia unica certezza. Eravamo quasi arrivati.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ormai la stanchezza si iniziava a sentire: mi cedevano le gambe, mi girava la testa e, dopo tutte le percosse che avevo subito, mi faceva male la schiena in modo tremendo.
"Possiamo fermarci? " dissi appoggiandomi sulle ginocchia.
"Cosa!? No! Proprio ora che siamo quasi arrivati. No. Non puoi resistere un altro po'?" Disse lui nel pieno delle forze. Non era neanche sudato mentre ora io avevo il fiatone. Dopotutto era pomeriggio inoltrato e avevamo passato l'intera giornata a correre.
"Io... solo cinque minuti. Il tempo di riprendere fiato". La fame era devastante e mi provocava un senso di nausea; come se ci fosse un mostro che mi graffiava le pareti dello stomaco. Presi la barretta di cioccolata che avevo nello zaino, la divisi a metà e la ingurgitai  in un nano secondo ma servì solo a farmi venire più fame. Mi distesi per terra per riprendere fiato. I muscoli,  per la prima volta da quella giornata, si rilassavano.  Mi misi comoda e seppi da quel momento che sarebbe stato difficile rialzarsi.
Chissà come sarebbe finita se fossi rimasta lì, abbandonando  tutto. Era un bel posto dove morire. Magari alcuni archeologici si sarebbero sorpresi nel trovare  dei fossili umani in quell'epoca. Sarei stata sulle copertine di tutti i giornali e mi avrebbero assegnato un nome orribile tipo Lucy...
La voce di Hunter mi fece ritornare alla realtà (sempre che tutto quello che mi stava accadendo non fosse solo un sogno. Ipotesi che non avevo completamente abbandonato). "Adesso dovremmo proprio andare". Disse lui inquieto.
Mi baluginò nella mente l'idea di rimanere lì, lo ammetto, ma anche se detestavo l'idea di dover continuare a scappare per salvarmi la pelle contai fino a tre e mi tirai su. Ormai era una questione personale, dovevo dimostrare a me stessa di essere abbastanza forte da sopravvivere. Forse perché io sono così: scelgo la via più tortuosa e impervia, forse solo per divertimento, forse perché è più stimolante... Sta di fatto che non avrei mai scelto quella più comoda: morire, la via dei codardi, di chi si lascia abbattere dalle difficoltà, di chi si arrende. E io non mi arrendo così facilmente. Sbuffai, mi schermai gli occhi con le mani e ripresi a camminare, più decisa di prima.
"So a cosa stavi pensando". Disse Hunter guardandomi di sottecchi.
"Si?"
"Anche a me è venuto in mente di mollare tutto e smettere di combattere, sarebbe più facile. Ma ormai per me è diventata una sfida".  Aveva avuto il mio stesso pensiero, chissà quante volte...
"Hai ragione" dissi semplicemente, senza sapere cosa aggiungere.
" lo so."
"Sì, sì.  Non te ne vantare troppo."
"Ho ragione ma questo non ci salverà la vita,  guarda."

***

Ma perché si accorgeva delle cose sempre prima di me?
Rimasi talmente atterrita da ciò che vidi che per poco non mi cedettero le ginocchia.
Un orda di dinosauri copriva come un tappeto di ombre tutta la zona. Venivano da est ed erano ancora lontanissimi ma si muovevano ad una velocità allucinante.
" Ma non hanno niente di meglio da mangiare?" Era strano che un gruppo tanto numeroso si concentrasse su un'unica preda ma non era neanche la cosa più strana che vedevo da quella giornata. Sembrava che tutti i dinosauri della radura si fossero riuniti per un party. E noi eravamo il buffet. "Idee ?" Chiesi.
"Corri." E io non melo feci ripetere.
Me la diedi a gambe levate, dimenticandomi della stanchezza. Correvo talmente veloce che i contorni delle cose in torno a me sfumavano, più veloce anche di quella volta ad una maratona in cui ero l'unica femmina; tutti erano certi di potermi superare al primo giro. Quando però mi piazzai tra i primi tre il più grosso mi spinse in un burrone e ruzzolai per un po'. Perdevo tanto sangue dal ginocchio che la scarpa era ormai zuppa ma ripresi la corsa, lo superai e arrivai seconda. A fine gara ritrovai il ragazzo che mi aveva spinto e gli sputai in faccia. Gesto poco fine ma comunque consono alla situazione.
Stavano prendendo terreno e ora potevo sentire la terra tremare sotto i loro passi. Mi sembrava impossibile che degli animali tanto grossi potessero muoversi con quell' agilità.
Ormai potevo vederlo. Lo specchio era proprio sotto i piedi di una formazione rocciosa. Stonava tra la polvere e le pietre come un rubino in mezzo alla spazzatura; la speranza di raggiungerlo mi impediva di crollare. La cosa strana: fremevo dalla voglia di scoprire cosa avrei trovato dall'altra parte dello specchio. Ancora una volta la curiosità superava la mia paura.
Quando ormai credevo di avercela fatta Hunter mi saltò addosso, buttandomi a terra. Sentii uno stridore acuto provenire dall'alto e capii immediatamente che eravamo spacciati.
Pterodattili. Se non fosse stato per lui non avrei avuto più la testa sul collo. Un rettile volante aveva tentato di decapitarmi, cose che succedono ogni giovedì sera insomma. Ormai avevo perso il conto di tutte le volte che Hunter mi aveva salvata.
Erano su tutti i fronti. Gli Pterodattili ci attaccavano dall'alto atterrando alle nostre spalle; a destra e a sinistra dei Triceratopi e degli Stegosauri si mischiavano ad altra marmaglia; davanti c'erano gli immancabili tirannosauri, pronti ad un attacco diretto e tutto in torno, a fare cornice i Velociraptor, per finirci quando la situazione si sarebbe calmata. Erano talmente tanti che alcuni salivano sopra gli altri per raggiungerci; altri si avventavano sulle prede più piccole e le dilaniavano, creando piccoli capanneli,  come se fosse una rissa nel corridoio della scuola.
E come se la situazione non fosse già tragica la terra cominciò a tremare sempre di più ma questa volta non per colpa dei dinosauri. Una nuvola di polvere che prima non avevo notato oscurava il cielo e il vulcano dove era incastonato lo specchio, che prima mi sembrava una montagna, era in procinto di eruttare.
" Una perfetta scena apocalittica. Cosa potrei chiedere di più?" Fece Hunter con un sorriso sbilenco, facendosi scrocchiare le dita.
"Ti sembra il momento per fare ironia?".
"È sempre il momento dell'ironia" Hunter sguainò il coltello e quel rumore riportò l'attenzione dei dinosauri su di noi. "Una battaglia finale in piena regola " Dichiarò guardandosi intorno.
I primi a farsi avanti furono i T-Rex. Hunter gli corse in contro e dopo un attimo  di smarrimento scattai avanti e lo seguii.
Passai sotto le zampe del primo dinosauro e gliele tranciai una in modo che cadesse in avanti. 
Prima che questo morisse ero già occupata ad ucciderne un'altro che già mi veniva addosso. Tenendo entrambi i coltelli in mano cavai gli occhi a quest'ultimo poi gli ficcai il coltello direttamente in gola. 
Probabilmente se questo fosse stato un film thriller sarebbe partita una canzone come Animal i have become dei three days grace.
Con quella canzone in mente mi gettai all'attacco di un terzo dinosauro.
L'adrenalina era in circolo ma ciò non mi impediva di ragionare in modo logico. Mi sentivo bene, i miei movimenti erano sciolti e decisi, era come se fossi nata per questo. Ero concentrata su tutti gli spostamenti del mio corpo e allo stesso tempo avevo un'incredibile percezione di ciò che avevo in torno a me e della posizione di Hunter.
I miei sensi, estremamente acuti, mi salvarono ancora una volta. Mi appiattii al suolo e rotolai a destra qualche secondo prima che la coda di un'altro dinosauro mi passasse a qualche centimetro dal viso. La tranciai a metà proprio mente ritornava indietro. Fronteggiavo contemporaneamente tre dinosauri ma non era niente in confronto a quello che stava affrontando Hunter. Copriva le mie e le sue spalle massacrando tutto ciò che gli passava davanti o si avvicinava a me. Uccisi anche i tre dinosauri che mi erano di fronte giusto in tempo per vederne spuntare un'altro.  Arrivavano a flotte. Ogni volta che ne abbattevi uno, c'è n'era un'altro che prendeva il suo posto. E come se non bastasse, la lava aveva iniziato a colare. Ad un tratto la mia intera visuale venne occupata dell'enorme muso osseo di un triceratopo.  Mi caricava con la testa china in avanti, come se fosse un rinoceronte. Quando mi fu ad un palmo dal viso usai il muso per issarmi e con una mezza capriola gli atterrai in groppa. Allacciai le gambe al collo e mi godetti il giro arpionandomi con il coltello per non cadere. Se c'era una cosa che avevo sempre desiderato fare era cavalcare un toro e ora potevo toglierlo dalla mia lista dei desideri. Il problema ora era scendere. Aveva la pelle ricoperta da una spessa corazzata e avrei potuto continuare ad accoltellarlo per giorni prima che morisse.
Il suggerimento mi arrivò da Hunter "il corno".
Mi piegai in avanti e segai il corno del dinosauro. Era meno resistente del previsto e si sfaldò facilmente come se fosse di cartongesso. Appena arrivai alla parte più interna e dura iniziò a sgorgarne del sangue e il triceratopo-rinoceronte gettò un verso straziante di dolore. Si dimenò in preda alla disperazione e così facendo mi disarcionò, quindi scappò via disorientato.  Ebbi un attimo di respiro e potei guardarmi in torno. Decisi di essere ottimista,  potevamo farcela. Il gruppo di dinosauri si stava sfoltendo e la zona era tappezzata da carcasse di animali. Mi permisi di sperare e fu allora che andò tutto per il verso sbagliato.

***  

"Clara! " Mi urlò Hunter, indicando freneticamente in direzione dello specchio. La lava era colata velocemente dalle fiancate ripide del vulcano e ora stava per ricoprirne la superficie. Avevamo pochi minuti per attraversarlo oppure non sapevo neanche cosa sarebbe successo. Mi voltai dall'altra parte e iniziai a ripiegare,  aprendomi una  strada per avvicinarmi ad  Hunter. Così facendo diedi le spalle ad un Velociraptor che mi gettò per terra.
L'ultima cosa che avvertii fu un forte strappo al braccio, poi vidi tutto nero.

***

Quando mi risvegliai fu a causa delle urla di Hunter che mi chiamava. Ero distesa a terra e provavo ovunque un pulsante e persistente dolore.  La luce mi accecava gli occhi e mi ci volle qualche secondo per ricordarmi di essere distesa su un campo di battaglia di cui mi giungevano alle orecchie solo alcuni suoni ovattati. Quando provai ad alzarmi,  un'intensa fitta di dolore si diramò dal braccio sinistro, o quel che un tempo era il mio braccio sinistro.  Dal gomito pendevano brandelli di carne e il sangue che ne sgorgava mi aveva inzuppato i vestiti. Non faceva male, era come se l'intero braccio si fosse addormentato, infatti mi risultava difficile muoverlo. La parte martoriata pulsava come se possedesse un'altro cuore di cui ne sentivo l'eco fin dentro le orecchie. Tutto ciò rendeva la situazione irreale, come se la guardassi accadere a qualcun'altro. Fissavo l'arto amputato senza sapere come avrei dovuto reagire quindi ci pensò Hunter a reagire per me.  Si precipitò sul posto cadendo in ginocchio e si  strappò di dosso la camicia già a brandelli. Pressò sulla ferita e fu allora che cominciò il dolore. Partiva dal gomito e si propagava ovunque, come delle minuscole schegge di vetro che perforavano la pelle e viaggiavano nelle vene a velocità spaventosa.  Mi bastò appena il tempo per urlare che lui aveva già concluso l'operazione. In quel momento ero talmente stordita, frastornata e dolorante che quello che successe dopo fu addirittura troppo perché il mio cervello potesse recepirlo.  

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Arrivò da destra. L'artiglio di un dinosauro più grosso degli altri, quasi il doppio, colpì Hunter, che era di spalle, e lo scaraventò dieci metri più avanti. Il corpo cadde a terra in una posizione scomposta e innaturale con un rumore agghiacciante, di ossa rotte, che mi si stampò a fuoco nelle orecchie. Non si muoveva e, questo, mi fece salire le lacrime agli occhi perché sentivo che non si sarebbe mosso mai più. Fu come se il tempo si fosse fermato e tutti i dinosauri stessero guardando la scena.
L'unica cosa che volevo fare in quel momento era correre da lui ma questo non mi fu possibile. L'enorme dinosauro che si trovava tra noi aveva perso interesse per il suo corpo senza vita e ora si era voltato verso di me. I suoi occhi guardavano dritti nei miei e nel suo sguardo mi parve di cogliere dell'intelligenza. Se si fosse messo a discutere di genetica non ne sarei stata sorpresa poichè i suoi penetranti occhi neri mi ispiravano saggezza. Il suo manto era verde smeraldo e si scuriva fino a diventare nero sulle possenti zampe.
Con enorme sorpresa capii che non era un dinosauro, ma un maestoso drago. Ormai avevo perso di vista ciò che si definiva anormale perché di cose "impossibili" me ne capitavano ogni volta che schioccavo le dita...
Parlò direttamente nella mia mente. "Raccogli il coltello. Questa è la tua prova." E la sua voce mi riportò ai tempi arcani, alle origini. Il vento che mi muoveva i capelli sembrava portare con se dei segreti preziosi e intorno a me si respirava un'atmosfera di sacralità. "Dimostrati all'altezza" disse, prima di volare via.
Il silenzio fu rotto da un ruggito e io andai con passo deciso a recuperare il coltello; mi fermai vicino al corpo di Hunter e con un fremito gli premetti due dita sul collo. C'era ancora battito. Mi sembrava impossibile ma era ancora vivo. Questo mi bastò per farmi spuntare un sorriso spensierato sul viso e mi girai verso la battaglia con più determinazione. Ebbi appena il tempo di prendere posizione che l'intero gruppo di dinosauri attaccò, come se fosse guidato da un'unica mente. Quando il primo dinosauro fu nel mio raggio d'azione mi fiondai sul suo collo e lo finii prima che quello poté accorgersi di essere morto. Il secondo fu sfortunato perché con un mezzo giro su me stessa gli mozzai la testa. Hunter era vivo, e doveva rimanere tale, ma questo dipendeva da me.
Procedendo così, falciai la prima linea ma questo non mi diede il tempo nemmeno per tirare un sospiro di sollievo perché il ritmo con cui i dinosauri attaccavano era sfiancante. E allora anche io aumentavo la velocità e la potenza dei miei colpi. Mi sentivo sopraffatta, schiacciata da quegli enormi corpi ammassati e andavo avanti solo con la forza della disperazione. Ma prorpio quest'ultima mi infondeva più forza di quanta avrei mai sospettato di avere.
Mentre infilzavo, schivavo e squartavo, però, la mia mente era altrove. Pensavo a quel Velociraptor che si esponeva ai pericoli per proteggere il branco e, senza volerlo, ripetevo all'infinito una parola, come se fosse una litania: sacrificio. Sapevo che in qualche modo era importante e mi accorsi che, inconsciamente, era proprio quello che avevo intenzione di fare, fin da quando avevo sentito il flebile battito del suo cuore e avevo capito che non era finita. Sacrificarmi perché Hunter ne uscisse vivo. Non sapevo perché volevo farlo, insomma, era un perfetto sconosciuto e, in tutta sincerità, non sono mai stata così eroica fino a rischiare la mia vita per un mio ipotetico prossimo. E invece per lui lo avrei fatto. Non mi sentivo affatto un'eroina per questo, in fondo lo facevo per me: non me lo sarei mai perdonato se lo avessi abbandonato lì.
Avere un obbiettivo mi fece sentire più sicura. Ora restava solo una cosa da fare: portarlo dall'altra parte dello specchio.
***
Una goccia di sudore mi scese dalla fronte. Ogni muscolo del mio corpo era stremato, mi mancavano le forze e i miei movimenti erano sempre meno precisi ed efficaci. Il braccio ferito mi provocava un dolore sordo e persistente e sembrava pesare una tonnellata. Potevo sentire il battito del mio cuore anche dentro le orecchie, ansimavo come se non ci fosse abbastanza aria intorno a me.
Guardai in alto e mi accorsi che iniziava a fare buio. Dovevo mettere appunto una strategia ma non potevo fare niente da sola. Mi sentivo in gabbia. Scartai di lato per schivare l'artiglio di un Velociraptor e mentre lo abbattevo mi venne un'idea talmente folle da poter essere catalogata tra le più folli illuminzaioni dell'umanità. Non sapevo quali sarebbero state le conseguenze delle mie azioni ma, se non fossi morta attuando il piano che avevo in mente, saremmo stati salvi. Non potei fare a meno di sorridere alla mia idea e ringraziare la mia immaginazione.
Con un possente gancio atterrai un dinosauro di piccole dimensioni e lo sorpassai con un salto. Andai di corsa da Hunter e presi dal suo zaino delle corde. Con una creai un cappio e con la seconda arrangiai un imbragatura per Hunter, che mi caricai sulle spalle. Il suo peso mi lasciò spiazzata e per poco non caddi in avanti. Fu un'operazione difficile poiché dovetti creare i nodi con una sola mano e contemporaneamente proteggermi dagli attacchi.
Aspettai che un quadrupede massiccio e ben piantato mi corresse incontro per saltargli in groppa e avvolgergli il cappio intorno al collo. Rimasi aggrappata con le gambe e con una buona dose di fortuna non caddi rovinosamente. In qualche modo assicurai Hunter al guinzaglio del mio nuovo animaletto da compagnia e usai una terza corda come redini. La cosa più assurda fu che tutto andò come doveva e l'animale si diresse esattamente dove volevo che andasse.
Ci avvicinavamo velocemente allo specchio e fu allora che mi ricordai che era ricoperto di lava. In quell'esatto momento il dinosauro si impenò e io caddi a terra, Hunter però, rimase impigliato nelle corde.
Guidata dall'istinto, lanciai l'ultimo coltello che mi era rimasto e tranciai di netto la corda che teneva Hunter legato al collo dell'animale. Presi al volo il suo corpo e cademmo entrambi a terra. Ci trovavamo pochi centimetri prima del muro di lava e quindi esattamente davanti lo specchio. Ormai era fatta. Grazie alle ultime forze che mi rimanevano mi passai il braccio di Hunter dietro il collo e lo sollevai da terra. Con due grosse falcate mi trascinai fino allo specchio e mi gettai direttamente nel rivolo di lava.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Per meno di una manciata di secondi sentii il mio corpo sciogliersi nel calore ma non ebbi neanche il tempo di provare dolore che un senso di vuoto mi avvolse completamente per poi terminare con una sensazione di benessere. Potevo sentire ogni parte del mio corpo che ritrovava vigore.
Ad un tratto una potente spinta mi gettò a terra e mi ritrovai in una grotta, o almeno così pareva. La luce era inesistente e fuori era notte fonda. La prima cosa che mi sorprese fu ritrovare il mio braccio al suo posto.
"Clara?" Mi sentii chiamare. Era uno strano momento per ridere ma fu proprio quello che feci.
"Non posso credere che tu sia ancora vivo." Pochi secondi prima Hunter puzzava già di cadavere e ora sentivo i suoi occhi che mi scrutavano nel buio.
"Mi dicono che sono duro a morire". Mi avvicinai alla direzione da cui proveniva la sua voce e lo abbracciai. Lui fece lo stesso ma si staccò pochi secondo dopo schiarendosi la gola.
"Va fuori a prendere della legna. È ammassata sul tetto. Lì troverai anche una scimitarra,  portamela." Non mi aspettavo che, dopo quello che era successo, smettesse di guardare le cose con carattere tecnico e calcolatorio quindi non rimasi sorpresa della freddezza nella sua voce. Mi alzai per recuperare la legna e mi accorsi che una fitta foresta oscurava la luce della luna. Eravamo completamente al buio.
Quando ritornai inciampando nella grotta lui non si mosse dalla sua posizione accovacciata vicino la parete. Solo quando accesi il fuoco potei notare il suo sguardo triste e assente. Ma fu solo per un attimo perché impostò immediatamente l'espressione di sempre, quella sfacciata e irritante.
Mi avvicinai a lui e mi abbassai alla sua altezza."Non vuoi sapere cosa ho fatto per salvarci?"
Lui rispose "mi dispiace."
"A me no. Non devi..."
" Clara?"
"Cosa?"
"Posso finire di parlare?" Sbuffai e mi sedetti a gambe incrociate.
"Mi dispiace di averti lasciato sola e di essere stato inutile, sul serio. Mi sento in colpa per non averti aiutato."
"No! È stato un drago a metterti fuori combattimento. Era una prova per me. Era tutto calcolato."
"Drago?"
"Sì! È la prima volta che ne senti parlare?"
"No... Ci sono dei disegni di draghi e... Mi hanno raccontato delle storie."
"Ed è una buona cosa?" Non mi rispose. Rimase per molto tempo con lo sguardo perso a rimuginare su chissà cosa poi, dopo svariati minuti, mi chiese come avessi fatto a portarci entrambi oltre lo specchio e io gli raccontai ogni avvenimento dopo la sua perdita di coscienza.  Mentre raccontavo non riuscii a non toccare il braccio che mi era stato tracciato di netto e che ora era in perfetta salute.
"Ci sai fare con i nodi..." Non poté non constatare lui.
"Facevo scout".
"Si?" Disse lui come se non gli importasse minimamente.
Finita la storia Hunter prese due coperte ammuffite e puzzolenti dall'angolo della grotta. Mi ci avvolsi comunque e mi distesi vicino al fuoco.
"Partiamo all'alba." Mi sussurrò lui da dietro. Non ero fisicamente stanca ma mi addormentai comunque quasi subito.

***

Mi svegliai che era ancora buio. Il fuoco si era quasi spento e Hunter aveva in mano la torcia che avevo nello zaino al mio arrivo.
"Non si spreca la batteria se la accendi in momenti come questi?". Lui mi guardò un pò sorpreso di trovarmi sveglia. 
"Quando dormi sbavi" Disse senza spegnere la torcia e puntandomi il fascio di luce in faccia.
"Si, bhè dovresti proprio spegnerla." Risposi, senza sapere che altro dire.  La mise via con qualche esitazione poi si avvolse nella coperta e cercò di ravvivare il fuoco, aveva qualcosa di strano. Cercai di cambiare discorso. "Quindi... hai capito in che periodo ci troviamo?"
Lui guardò fuori come se ritornasse in sé solo in quel momento. "Si... penso di sì. Le piante risalgono all'era quartenaria. All'inizio dell'era... Non ci sono esseri umani quindi... Cenozoico. Era da tanto che non capitava."
Il nome non mi diceva niente ma mi sentivo più sicura sapendo dove mi trovavo.
"Il cielo si sta schiarendo, è quasi l'alba. Vogliamo iniziare ad incamminarci?"
"No!" Disse allarmato.  Poi si guardò intorno e si corresse. "Cioè,  prima partiamo e meglio è." E iniziò a fare i bagagli.
Mentre infilavo il giacchetto nello zaino non potei fare a meno di chiedermi cosa gli fosse successo.

***

Quando ci inoltrammo nella foresta mi sorpresi nel trovarla estremamente diversa da quella che avevo imparato a conoscere. Avevo sempre trovato conforto nei boschi tanto che, nei momenti di noia o di tristezza, mi rifugiavo nella vegetazione vicino casa mia e mi arrampicavo il più in alto possibile, sugli alberi. Questo però era un luogo del tutto diverso: ispirava soggezione.
Camminavo dietro Hunter che, con la scimitarra, si faceva strada in mezzo alla fittissima vegetazione. Ormai avevo perso l'orientamento, tutto in torno scorgevo solo dell'intricato fogliame verde acceso. Procedevamo lentamente in mezzo al fango, alla terra e all'acqua stagnante, trascinando i piedi e proteggendo il viso dai numerosi insetti. Tutto in torno si udivano innumerevoli rumori, la foresta brulicava di vita.
Non potei non notare che Hunter era agitato. Procedeva speditamente, anche troppo; come se avesse voglia di scappare. Si guardava in torno come se fiutasse un pericolo imminente.
Non aprii bocca per molto tempo finché non ci fermammo per mangiare.
"Mi spieghi cosa ti succede?" Dissi tutto d'un fiato.
"Perché pensi che mi sia successo qualcosa?"
"Devo sul serio risponderti? Non negare che c'è qualcosa che ti preoccupa."
"E che non dovrebbe preoccupare te. Non è niente di importante." In quel momento i cespugli davanti a me frusciarono e Hunter saltò in piedi voltandosi di scatto come se fosse successo proprio ciò che temeva, per poco non inciampò e cadde a terra. Dal cespuglio però, uscì solo un tenero animaletto simile ad un armadillo.
"Tu hai paura!" Osservai io. "Ma di cosa?" Aggiunsi.
Di tutta risposta lui si risedette sul masso dove stava mangiando e lanciò una pietra in direzione dell'armadillo che scappò via.
"Non farmi più domande, non ti risponderò." Mi disse guardandomi con sguardo truce. Non so cosa lesse lui, nei miei occhi, ma io ci vidi tristezza, e paura.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Camminavo ormai da circa due ore e il paesaggio era sempre lo stesso: non c'erano punti di riferimento e non avevamo una bussola.
 Tutto ciò mi lasciava tanto tempo per riflettere e questo era il primo problema. 
"Posso sapere se sai dove stiamo andando?"
"Lo so. Non posso vedere il sole ma ci sono alcuni fiori rampicanti che si trovano solo nel lato Sud del tronco degli alberi. Noi siamo diretti a Nord, quindi basta andare sempre avanti."
Ma di fiori ne avevo visti ben pochi e Hunter procedeva per la sua strada a testa bassa e senza meditare troppo sulla direzione da prendere da troppo tempo ormai e questo era il secondo problema.
"E poi sono già stato qui." Aggiunse a bassa voce.
Solo adesso la fitta foresta iniziava via via a diradarsi, lasciando posto ad una palude. Il tanfo e l'umidità la rendevano molto invitante, ma solo per rospi e rettili. Accanto allo stagno vi era un enorme albero con i rami piegati verso il basso che coprivano la zona come una tenda di liane.
"Siamo sulla giusta strada." Sentenziò Hunter, ma non sembrava per niente sollevato. Le mie preoccupazioni, invece, si concentravano soprattutto sulle strane bolle che fuoriuscivano dall'acqua putrida.
"Dimmi che non vuoi guardarlo, ti prego." Non ci tenevo ad immergermi nel fango.
Mi guardò come se fossi pazza. "Non voglio morire."
"Neanche io, ovvio. Come lo avete attraversato l'ultima volta?".
 Le sue mani ebbero un sussulto nel rispondermi ma poi disse con voce ferma: "non finì bene l'ultima volta." Si schiarì la gola quindi riprese tranquillo: "L'acqua è alta più o meno un metro e venti ma il fondo è costituito da sabbie mobili. Il posto, poi,  è infestato da alligatori e le linee sono inutilizzabili, quindi non provare ad arrampicarti. Sembra la via più semplice ma, non ci pensare neanche; quell'albero ha qualcosa di strano."
Il modo in cui guardava la sagoma dell'albero mi mise inquietudine. Si preoccupava di più di quello che degli alligatori nella palude.
"E quindi che facciamo?" Mi guardò per studiare la mia espressione poi si voltò di nuovo verso la palude. Si prese qualche minuto per pensare e per torturarsi le mani poi sospirò e disse: "Guadiamo lo stagno."
"Cos… Ma... Perché? Lo hai detto tu che non era fattibile. Se lo aggirassimo..."
"No. Non c'è tempo."
"Tempo per fare cosa? Abbiamo tutto il tempo!"
"Dobbiamo andarcene da qui prima che faccia buio."
"Cosa succede quando fa buio?"
"Basta con le domande! Fa come dico." Sbraitò Hunter. Per un attimo avrei voluto fargli sanguinare le gengive con un pugno -alcune volte era davvero intrattabile- poi sbuffai e mi misi a  ragionare sui suoi motivi. Doveva essere successo qualcosa di veramente brutto l'ultima volta, qualcosa successa di notte. E questo spiegava i sui timori.
"E come vorresti guadarlo, lo stagno?"
"Tu sai nuotare, vero?"
"Sì ma... è diverso!"
Non mi rispose perché si era già incamminato.
"È una follia!" Gli urlai mentre si allontanava.
Appena arrivammo in prossimità delle sponde lui mi prese per le spalle, mi fece voltare per guardarlo in faccia e disse: "Togli il cibo dallo zaino, lancialo in acqua e usa lo zaino come galleggiante. Non toccare mai il fondo con i piedi e non alzare schiuma quando nuoti." Mi diede un coltellino ripiegabile e iniziò a svuotare il suo zaino.
"Cosa ti passa per la testa? Come pensi di attraversare il fiume senza essere sbranato?!"
"Ascoltami. So quello che faccio. Non possiamo semplicemente aggirare la prova, feriremo un animale e lo getteremo in acqua per attirare l'attenzione degli alligatori. Noi ci teniamo lungo le sponde e ce la svigniamo. " Entrò di nuovo nel fitto del bosco e si mise in ascolto.
Ero totalmente sicura che fosse uscito di senno eppure lo assecondai comunque. Forse perché non avevo piani migliori, forse perché mi sentivo di farlo, non so spiegarlo. Sta di fatto che, dopo un paio di minuti, si sentì frusciare l'erba e uscì allo scoperto una animale simile ad una lontra. Hunter lanciò un coltello e inchiodò l’animale al suolo; gli spezzò una zampa e lo portò nello stagno.
"L'unico modo per ferire seriamente un alligatore è colpirlo al ventre o sul muso."
"Dovrei ferirlo con questo?" Gli dissi sventolando il misero coltellino ripiegabile.
"Ce la faremo." Disse lui ammiccando prima di entrare in acqua. Lo seguii anche se la mia parte razionale mi gridava di non farlo.

***

Al contatto, l'acqua era calda e viscida e il peso dei vestiti mi rendeva difficile rimanere a galla. Quando Hunter gettò l'animale sanguinante al centro dello stagno molti alligatori lo seguirono ma alcuni rimasero con lo sguardo fisso sul nostro.
Nuotavo il più velocemente possibile ma qualcosa mi tormentava; sentivo che sarebbe successo qualcosa di brutto. Mentre mi guardavo in giro mi ritrovai a fissare dritto negli occhi uno degli alligatori. Aveva uno sguardo vuoto e dalle orbite proveniva una luminescenza rossa. Continuai a fissarlo e un brivido freddo mi risalì la schiena, facendomi provare una paura irrazionale. Procedemmo ancora e mi costrinsi a fare un respiro profondo per smorzare l'ansia.
In quel secondo successero diverse cose contemporaneamente: l'alligatore che mi fissava scatto per saltarmi addosso, Hunter lo bloccò e lo accoltello al ventre e subito dopo tutti gli animali presenti in quello stagno ci si rivoltavo contro.
Per qualche attimo fu il caos. Molti alligatori mi circondarono e mi allontanarono da Hunter.
Io mi dimenavo e cercavo di aprirmi un varco a colpi di coltellino ma nel frattempo dovevo impegnarmi per rimanere a galla e cercare di uscire viva da quella folla di corazze squamate che mi strascinavano a strattoni. Mi ricordai le metro affollate che prendevo quando avevo voglia di un’avventura in centro. Quelle volte dovevo sopportare la marmaglia di gente sudata e stressata che si curava ben poco della persona con cui condivideva il vagone e vivevo quegli attimi di claustrofobia come i minuti di prigionia che precedevano l’apertura della gabbia e il dispiegarsi delle mie ali. Ma stavolta, quel finale non era assicurato e dovevo guadagnarmelo.
 Hunter invece lottava come una furia cercando di raggiungermi. Dopo attimi di puro panico mi accorsi che gli alligatori non provavano a ferirmi ma cercavano solo di allontanarmi. Guardai nella direzione in cui mi spintonavano  e capii che volevano portarmi alle pendici di quell'albero che tanto mi aveva incuriosito.
"Non ti avvicinare all'albero." Mi urlò Hunter, ormai lontano. "Non come l'ultima volta."
 Spostai lo sguardo sul tronco dell'albero e notai con mia grande sorpresa due fessure che mi riportarono alla mente degli occhi che conoscevo bene, occhi che probabilmente non avrei mai dimenticato. Incastonati trai tralci vi erano gli occhi del drago che annunciò la mia prova, nel primo specchio.  Quei pozzi neri di saggezza stavano guardando con freddezza Hunter, ormai coperto di sangue e ghermito dagli aguzzi denti di quei mostri. Sentivo le sue urla mentre tentava di salvarsi disperatamente e quel grido andava di pari passo col senso di impotenza che provavo guardandolo senza poterlo aiutare. In quel groviglio di squame e pelle distinguevo solo alcune coltellate e dei movimenti a scatti.
"Hunter. Io non posso aiutarti. È la tua prova questa." Dissi con voce roca maldicendomi in silenzio per non essere in grado di intervenire.
Di tutta risposta lui mi guardò disperato e disse: "Attenta!"
Qualcosa mi bloccò da dietro con una forza tale che non riuscii neanche a fargli resistenza. Una liana con una volontà propria mi stritolava il petto e mi strattonava velocemente tanto che potevo sentire i miei organi interni che facevano i salti mortali. Riuscii a tranciarla  ma prima di cadere in acqua un altro ramo mi afferrò al volo e mi trascinò in aria. Lo colpii con forza senza curarmi dell'altezza, sfogando la mia rabbia e la mia frustrazione sul malcapitato, finché non allentò la presa. Caddi dolorosamente a terra in una posizione innaturale, gravando il peso del mio corpo su un unico ginocchio che si spezzò nell'impatto.
Il dolore arrivò subito dopo; mi travolse come un onda e io svenni.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Quando rinvenni, Hunter era scomparso ed era calato il buio. Per un attimo rimasi pietrificata dalla paura al solo pensiero che potesse essere morto e che io mi trovavo inerme sul terreno, in mezzo alla foresta più letale che potesse esistere, per di più in piena notte. Ero distesa a pancia in giù e il dolore alla gamba mi teneva inchiodata al suolo; non potendo sollevarmi nemmeno sulle braccia, usai la voce e lo chiamai disperatamente. Al secondo richiamo, contro ogni aspettativa sentii la sua voce ma senza vederlo "zitta stupida, ci fai ammazzare" cercai di muovere il collo nella direzione da cui proveniva il suono ma subito arrivò l'ammonizione "no! non ti muovere, neanche di un centimetro". Cessai ogni tentativo di spostamento che già mi costava molte energie, avevo una stanchezza mortale nelle vene, come se la gambe malata stesse infettando il resto del corpo con la sua pesantezza di pietra. "Hunter, dove sei?" Avevo paura e freddo, mi sentivo esposta e indifesa. "Sono nascosto in un cespuglio, tranquilla". Ricordai che l'ultima volta che lo vidi era impegnato a lottare contro una ventina di alligatori senza poter toccare il fondo dello stagno a causa delle sabbie mobili. Non mi chiesi com'era possibile che fosse ancora vivo perché sapevo di cosa era capace ma chiesi "sei ferito?" Ricordando le brutte ferite che aveva riportato durante lo scontro. "Sopravvivrò".
La consapevolezza che lui avesse superato la sua prova mi fece sperare di essere salva almeno per un po' e quindi riuscii ad addormentarmi
***
Più che essermi addormentata suppongo di essere entrata in uno stato quasi comatoso, dovuto alle condizioni in cui riversava la mia gamba: non era visibilmente grave ma l'osso della rotula puntava in una direzione diversa dal solito e questo mi provocava un dolore lancinante. Quando aprii gli occhi era giorno inoltrato e Hunter era disteso vicino a me, a pancia in su. Si accorse che ero sveglia qualche attimo dopo, forse dalla variazione del mio respiro, sì girò di lato, con qualche mugolio e mi accarezzò la guancia "come stai?"
"Ho una gamba rotta" dissi seccamente. "Tu?" Aggiunsi poi sostenendo il suo sguardo, a pochi centimetri dal mio viso. 
"Sono messo maluccio anch'io, perdo sangue da ore. Dobbiamo leccarci le ferite prima di ripartire". Non mi serviva guardare le sue ferite per capire che si stava dissanguando; aveva un colorito cadaverico. “potresti uccidermi e dopo io lo farò con te” Dissi ricordandomi lo strano evento del giorno prima.” Ma lui fece cadere ogni mia aspettativa “Questo funziona solo per la prova iniziale, altrimenti sarebbe troppo semplice”. Mi venne da chiedere “come sai queste cose?”, e lui rispose semplicemente “si procede per tentativi”. Non volli soffermarmi troppo a pensare a quell’affermazione. Capii che se non ci fossimo mossi in fretta saremmo morti lì, dovevo trovare un modo per ricucirlo e per fare ciò dovevo mettermi a sedere. La consapevolezza che le nostre vite fossero attaccate ad un filo e dipendevano dal fatto che dovevamo agire tempestivamente, mi fece trovare la forza necessaria per puntare le braccia a terra e sollevarmi nella posizione del cobra. Solo questo movimento mi faceva venire voglia di urlare ma mi morsi forte il labbro e iniziai a roteare il busto inserendo la mano sinistra sotto quella destra che faceva da perno. Alla fine con qualche movimento del bacino riuscii a trovarmi a pancia in su e mi misi a sedere. Mi sentivo impotente, neanche riuscivo a stare in piedi, ma sapevo che quelle sofferenze sarebbero finite se avessimo in qualche modo raggiunto l'obbiettivo. "Hunter dov'è lo specchio". Lui sembrava esserci trasformato nel suo fantasma, era come se sentissi la morte aleggiare intorno, era svuotato e completamente coperto di sangue. Mi indicò col braccio una direzione ma sapevo con le mie gambe non ci sarei mai arrivata. Dovevo ricucirlo e strapparlo dal regno dei morti. Ago e filo: dovevo procurarmeli. Fatti furba Clara. Sfilai l'orlo di una maglietta e adattai una piccola spilla da balia che avevo trovato grazie a un colpo di fortuna sul fondo di una tasca dello zaino e procedetti col rammendare e bendare tutto quello che era possibile. Lui soffriva visibilmente mentre bucavo e tiravo i lembi di pelle frastagliata ai bordi della ferita così pensai di distrarlo facendolo parlare. "Come  hai fatto ad uscire dallo stagno?" Cercai di individuare le ferite più gravi e chiuderle per prime in caso il filo non bastasse.
"Li ho uccisi tutti"
La più difficile da richiudere era quella al petto, un alligatore ci aveva affondato i denti e adesso era costellato di solchi sanguinolenti. Lo immaginai mentre lottava come una furia sperando che non fossi morta.
"E cos'era quell'albero?"
"Sei viva solo grazie al fatto che sei svenuta, probabilmente l'albero ha smesso di attaccare perché non ti muovevi più. Per qualche motivo attacca solo di notte."
"Cos'è successo l'ultima volta?" Lo chiesi perché sono una persona curiosa, era un tentativo, non pensavo mi rispondesse perché era evidente che non ne volesse parlare, invece lo fece "l'albero fece a pezzi il mio migliore amico. Gli strappò gli arti uno per uno mentre ero costretto a guardare". Mi bloccai senza saper rispondere poi mi chiami per finire il lavoro, sapevo che il mio sguardo compassionevole lo avrebbe solo irritato e nessuna parola avrebbe potuto esprimere vicinanza nel modo in cui lo volevo, quindi non dissi niente. Ci misi tutto il mio impegno e alla fine riuscii a chiudere molte delle ferite sanguinanti e a disinfettarne e bendarne altre. Alla fine gli diedi la barretta di cioccolata rimasta, anche se morivo di fame, dopo lo mandai a raccogliere dei rami resistenti. Lui barcollava e camminava a testa china come se non avesse la forza per sostenere il suo peso, figuriamoci il mio.  Quando tornò cercai di steccarmi la gamba con due bastoni ai lati e qualche corda ma nonostante il bastone che usavo per sorreggere il peso non sarei comunque riuscita a proseguire se lui non ce l'avesse fatta. Mi diede una mano ad alzarmi, lui mi teneva per i fianchi e io avevo le mani sul suo collo, mi strinsi a lui per paura di perdere l'equilibrio, eravamo molto vicini così, d’impulso lo baciai. Non so perché lo feci, mi venne naturale e forse volevo infondergli un po' della mia forza, sembrava così debole e mal ridotto... Fu come aver accesso il fuoco, lui ricambiò appassionatamente tenendomi sollevata da terra, era come se i suoi muscoli fossero tornati a funzionare e il suo corpo a produrre calore.

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