Angels & Devils

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hell ***
Capitolo 2: *** Way To The Purgatory ***
Capitolo 3: *** Inhuman ***
Capitolo 4: *** Target ***
Capitolo 5: *** Plans & Muffins ***
Capitolo 6: *** Day Off ***
Capitolo 7: *** Grey Again ***
Capitolo 8: *** Fade To Black ***
Capitolo 9: *** Last Night ***
Capitolo 10: *** Fall ***
Capitolo 11: *** Silence. Death. Life ***
Capitolo 12: *** Daylight ***
Capitolo 13: *** What About Now..? ***
Capitolo 14: *** Black. White. Gray. ***
Capitolo 15: *** The One I Belong To ***



Capitolo 1
*** Hell ***


Dove.. dove sono? Che.. che diavolo mi sta succedendo..?
 
Non riusciva a muoversi, come se un'invisibile forza lo stesse schiacciando a terra. Ed ogni respiro era una fitta di dolore contro il petto.
 
Provò a lasciar vagare attorno lo sguardo, scoprendosi circondato dalla penombra di quella che appariva tutto meno che il magazzino dove ricordava di essere stato.
Una stanza. Non grande, né piccola. Una finestra troppo in alto per essere quella di una casa. Sotto la schiena, qualcosa di meno rigido della sedia su cui ricordava di essersi appoggiato mentre minacciava la signorina Page.
 
No, non morirà per prima.. la sua famiglia, i suoi amici.. tutti quelli a cui tiene.. e quando non avrà più lacrime da versare.. allora..
 
Il cuore in gola, all'improvviso. Ricordava. Ricordava tutto, come se quella forza che lo teneva inchiodato al suolo avesse avuto il potere di rimettere insieme tutte le tessere di quel puzzle andato in frantumi.
 
Fiamme. Addosso. La spalla, poi il petto, in rapida sequenza.
Abbassò gli occhi quanto riusciva. Bende. Il torace era nudo, niente bianco della camicia a coprirlo. Solo bende, e macchie rosse.
 
Sangue.
Il suo.
 
Karen Page non era affatto la povera impaurita fanciulla che appariva dall'esterno.
L'aveva premuto, il grilletto. Non un colpo, d'istinto. Sei. Gli aveva scaricato addosso rabbia e paura, tutte insieme.
 
Il telefono trillava, insistente. E andava in fade.
 
E' sveglio.
 
Una voce. Una donna, di nuovo. Nessuna paura, nel vibrare delle sue corde vocali.
Poi, un'immagine sfocata dal dolore. Una mano a percorrere il perimetro delle fasce, premendo appena, come a voler infierire, più che verificare le sue condizioni.
 
- Situazione? - una seconda voce femminile risuonava nella stanza, poco più lontano.
- Migliorata. Funziona.- rispondeva la donna più vicina.
- Te l'avevo detto. Non ci resta che aspettare. Comunico alla base che il prigioniero ha ripreso conoscenza.
- Abbiamo fatto bene.
- Scusa?
- A controllare. Il vigilante, gli incendi. Tutto. A riperimetrare l'area in cui è successo. Anche se.. io continuo a chiedermi..
-..Come fa a sapere tutte queste cose, ed è solo una bambina? E' stato suo padre. E' lui, che ha iniziato tutto. Ti dice nulla, la battaglia di New York? E' stato proprio qui. Lei vede.
- Vede..?
 
L'ascesa di un nuovo mostro, un piccolo grigio uomo devastato dai propri demoni e deciso a vomitarli sulle strade. Convinto che l'unica via d'uscita per una città sia la sua morte.
Strano, il destino. Quello che tanto desiderava per la città era appena successo al suo più fidato e migliore amico..
 
Le parole della bambina le avevano portate a quel magazzino. Avevano dovuto aspettare, entrare per vie non conosciute, mentre l'esterno appariva controllato da almeno una decina di uomini armati.
Nat sapeva benissimo come muoversi in modalità stealth. A lei toccava solo seguire, ed imparare. Come aveva fatto Sara.
E poi, fondamentalmente, non aveva avuto alternative. Inseguita, circondata e con l'unica via di fuga ridotta alla certezza di morire.
 
Poteri o meno, dalla morte non poteva sfuggire neppure una come lei.
Un mostro. Un'inumana.
 
- Stella.
La voce della coach la richiamava, a risvegliarla dopo un volo di sei piani.
- Sì.
- Non pensarci più.
- A.. a cosa?
- A quello. Non pensarci più. Abbiamo una missione.
Annuì, spostandosi dalla propria linea d'ombra e comparendo nello schermo visivo del prigioniero.
- Procedo alla seconda dose?
- Sì.- Nat diede un'occhiata distratta all'orologio che portava al polso - le dodici ore sono passate.
 
Gli occhi del prigioniero la fissavano silenziosi, come stesse cercando di capire il perché dei suoi movimenti.
 
Perché quella donna stringeva il pugno dopo aver inserito un ago nel suo avambraccio.
Perché da quell'ago scorreva sangue, lungo quel minuscolo tubo collegato con il proprio, di braccio.
Perché quella cosa faceva male da levare il respiro.
 
Sei proiettili. Aveva smesso di combattere contro il Diavolo di Hell's Kitchen ed i suoi alleati.
Ed era finito all'inferno.

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Capitolo 2
*** Way To The Purgatory ***


Luce.
Luce, tutto intorno, a ferirgli gli occhi ad ogni tentativo di aprirli.
 
La stessa stanza, lo stesso letto. Mancava soltanto la figura in penombra di quella donna, a completare quel puzzle.
Al suo posto, ora c'era la luce. Bianca e tagliente e fredda.
 
Da quanto tempo sono qui..? E dove.. dove sono..?
Non sento più neanche dolore. Sono morto. Ecco, sì. Sono..
 
Voltò il viso, incontrando un'altra benda a stringergli la spalla destra.
Karen Page aveva iniziato da lì. Un colpo. Non gli aveva dato il tempo di alzarsi, di avvicinarla, di proseguire nel suo bluff.
 
Era la prima. La prima persona che non riusciva a spaventare con le proprie gelide minacce. La prima, a non avergli creduto. No, forse la seconda, se si escludeva il viso carico di rancore con cui l'aveva salutato Jessica, al parco.
 
L'unico suo punto debole. Una vita fa.
 
Chiuse gli occhi, cercando di non pensare. Era morto. Era morto e quello era il purgatorio, non c'era altro motivo per cui gli stesse tornando in mentre proprio ora, quello sguardo di cristallo.
Aveva infranto la promessa. L'aveva lasciata andare via.
 
Meglio così, il pensiero che l'aveva accompagnato dando le spalle a quell'angolo di mondo. Jessica era una distrazione. Una distrazione che non poteva permettersi.
 
Perché.. perché sto pensando a lei, ora? E' la mia punizione? Ho eseguito gli ordini, a lei ed al suo sorriso ho preferito diventare un assassino. Ho preferito dare la morte, piuttosto che ricevere la vita. E questa è la mia punizione.
 
Sei pallottole.
 
Restare qui sospeso a pensare.
 
Fa male. Fa un male orribile..
 
Un sibilo ruppe il silenzio, finissimo, quasi impercettibile. Continuo, poi interrotto dal rumore secco di passi. Passi decisi, in avvicinamento.
La donna compariva sulla porta ed aveva lo sguardo di Jessica.
 
La voce si ruppe in mille pezzi contro le sue labbra, sfaldandosi in un misero mugolio a cui lei non prestò alcuna attenzione, presa com'era da sfilare in lungo tubicino e ripetere l'operazione che le aveva già visto fare nella penombra.
Il dolore lo invase di nuovo, intenso, terribile. Ma solo per un brevissimo istante.
 
Jessica.. Jessica.. Jessica..
 
- Stella.- disse quella, in un sospiro, avvicinandosi quasi a contatto con la sua guancia - Jessica è morta. Come te.
 
Il cuore. In gola, senza fermate intermedie.
 
The real power of a man is in the size of the smile of the woman sitting next to him.
 
Non l'aveva quasi notata, la scritta lungo quella vetrina. Passo rapido, gli occhi divisi fra il controllare dati sul tablet e l'ora sul Rolex. Come in una bolla a cui appartenteva lui solo, quando doveva rispettare la tabella di marcia richiesta dai progetti del suo datore di lavoro.
 
Lavoro. Per questo, viveva, da un tempo ormai indefinito. Per compiacere il suo padrone, per anticiparne le mosse e comprenderne il linguaggio anche quando era fatto di minimi gesti, di impercettibili occhiate.
 
Il suo padrone.
Questo era diventato, Wilson Fisk. Per questo lui aveva combattuto fino a guadagnarsi una fiducia che poteva rasentare quella che esiste fra fratelli.
 
No. Non era un fratello, né tantomeno un amico. Era il padrone. Il capo, il superiore. In tutto, per tutto. Accontentare qualsiasi desiderio, sostenere qualunque progetto, il suo obiettivo.
Non aveva tempo né spazio, per pensare ad altro. Soprattutto non ora, che c'era in ballo la demolizione di ciò che la battaglia di New York aveva lasciato in piedi a Hell's Kitchen.
 
E non gli piaceva neppure, questa città.
 
Un sospiro, un'altra occhiata al tablet.
Bene; tutto era pronto, per togliersi definitivamente dai piedi i russi e prenderne il posto al controllo delle movimentazioni della cocaina di Madame Gao.
 
Tutto come da program-
 
Il suono stridente di un'inchiodata, le grida cariche di parole irripetibili dell'uomo al volante.
Una mano tesa che lo arginava, all'altezza del petto.
L'effetto del risveglio improvviso dopo un sonno profondo.
 
- Tutto ok?
La voce apparteneva ad una donna. La donna a cui apparteneva il braccio a cui apparteneva la mano che lo stava ancora premendo al centro del torace. Spostò lo sguardo dal tablet, senza riuscire ad articolare una risposta.
Una donna, un incrocio. Il semaforo rosso, il tassista che urlava, rincorso dai clacson delle auto rimaste in coda. Il rumore del motore che ripartiva.
 
- Tutto ok? - la donna ora piegava appena il viso ad indagare nel suo, ritraendo la mano ed allacciandola alla tracolla della borsa.
- Certo. Perché? - replicò, col tono secco e rancoroso di un non sono affari tuoi.
- Prego. Non c'è di che.- la donna piegò le labbra in una smorfia, staccando in avanti al comparire della luce verde ed allontanandosi a passi decisi.
 
Tacchi. Alti. Un paio di jeans aderenti quanto bastava per attrarre gli sguardi. Una lunga coda castana a danzarle oltre le spalle. Ne seguì la figura finché i suoi occhi riuscirono ad individuarla fra la gente, prima che un suv nero lo affiancasse e si aprisse la portiera posteriore.
 
Il tempo di salire, di ordinare all'autista di partire.
 
Un'altra occhiata oltre l'incrocio. E si ritrovò a deglutire a vuoto.

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Capitolo 3
*** Inhuman ***


Central Park era un'immensa distesa di colori, durante l'autunno. Il tepore residuo di quelle mattinate attirava persone di tutti i tipi, di tutte le razze ed età, in un groviglio che l'affascinava da sempre. O almeno, da quando era arrivata a New York con quella prospettiva di lavoro trasformatasi poi in un'inesorabile fregatura.
 
La città era stata semisfigurata dalle esplosioni, la gente appariva il fantasma di sé stessa, dopo lo chock di un'invasione aliena. L'unico punto a suo favore era stato un affitto ai minimi storici, per un buco di due stanze con quasi-vista fiume sulla cinquantaquattresima.
 
Poi, era successo tutto.
 
Le colleghe dell'Essen Café avevano due passatempi fondamentali per occupare il tempo libero: il passeggio selvaggio lungo la Madison, fra l'appartamento che condividevano come gemelle siamesi e il posto di lavoro, e la palestra.
Ora che Kristen s'era data alla Zumba non si parlava d'altro, fra un espresso ed un latte macchiato. Di quello e del favoloso nuovo olio di pesce che sembrava fare miracoli anche solo visto nel promo tv.
 
Gliene avevano rifilato un barattolo, giusto una manciata di giorni prima che Kristen scomparisse nel nulla e a lei succedesse quella cosa.
 
La cosa che conteneva tutte le spiegazioni.
 
Ne ricordava ogni istante, come una lunga sequenza di fotogrammi da incubo. Il barattolo, la capsula che andava giù un po' viscida come solo l'olio di pesce sa fare. La sensazione quasi immediata di formicolio, sempre più pungente. Come stesse perdendo velocemente l'uso delle gambe, delle braccia. Il terrore strozzato in gola, mentre quella specie di pietrificazione s'impossessava del suo corpo.
 
E il buio.
 
S'era risvegliata a terra, a pochi passi dal divano. Di quella pietra non restava che una manciata di polvere, accanto a lei.
 
Non aveva sognato.
 
E ora?
 
Da quella mattina non era stata più la stessa. Sì, respirava come prima, vedeva come prima, sentiva come prima. Ma qualcosa in lei non apparteneva più alla Stella che s'era abituata a conoscere dall'interno, da quasi trent'anni.
 
Una mattina s'era tagliata, cercando di sfamare la povera piantina che ribelle s'ostinava a non seccare nella bottiglia tagliata sul davanzale.
Maledizione.. - aveva infilato il dito tra le labbra, cercando di recuperare l'esanime verde senza creare ulteriori danni. E l'aveva vista.
 
La piantina rifioriva, al solo contatto con quelle due gocce di sangue colate via dal suo dito.
 
Il cuore che andava direttamente in gola, senza passare dal via.
Esattamente come quando, non più di una settimana dopo, aveva trovato quegli uomini vestiti di nero nel proprio appartamento ad Hell's Kitchen.
 
Corri, Stella. Corri, scappa!
 
Aveva corso fino a perdere tutto il fiato, ritrovandosi in un vicolo senza uscita, al buio quasi completo. Le voci di quegli uomini alle spalle, minacciose e neanche troppo velate.
 
Poi, quella figura. Nera, più di loro. Comparsa dal nulla direttamente fra lei ed i suoi inseguitori, s'era buttata a capofitto fra i tre, cominciando a picchiare alla cieca, fino al ridurli immobili a terra.
 
Tutto ok?
 
Un uomo.
La voce era quella di un uomo, giovane. La figura si avvicinava, non troppo alta ma abbastanza imponente, così fasciata di nero. Le schermava quel poco di luce che arrivava dal lampione all'angolo, tanto da non consentirle di leggerne i lineamenti.
- S-sì..- aveva replicato, piegata sulle ginocchia, la schiena compressa al muro.
- Non ti farò del male.- le aveva teso la mano, aiutandola a sollevarsi e sorreggendola per un istante. Ne aveva annusato il profumo, scoprendo note che non aveva mai sentito in nessun odore. S'era lasciata andare ad annuire, appena.
- Abiti lontano?
- S-sulla cinquantaquattresima..
- Conosci quegli uomini?
 
Aveva risposto facendo cenno di no con la testa, mormorando un debole:
- Erano nel mio appartamento..
Una smorfia aveva piegato le labbra dell'uomo, l'unica cosa che traspariva, insieme al mento leggermente ispido di barba, da oltre una fascia che gli copriva il viso.
 
Se l'era domandato quasi per istinto, come potesse vedere, con quella specie di maschera in quel buio.
 
- Non puoi tornare a casa, quindi. Chiunque siano, sanno dove trovarti. Hai un posto sicuro dove andare?
Ci aveva pensato un attimo, prima di annuire. Ed aveva estratto il cellulare. In tempo per vederlo scomparire.
 
Karen non aveva esitato un attimo, a dirle di sì. Non abitava lontana dal suo isolato, accelerando il passo l'avrebbe raggiunta in meno di dieci minuti.
- Puoi stare da me quanto vuoi..- le aveva detto, scortandola oltre la porta di casa - neppure io riesco più a stare da sola, da quando..
Aveva piegato il viso, rivolgendolo al bordo del tavolo attorno al quale s'erano accomodate. E spezzato la frase a metà.
Non poteva dire di conoscerla bene; si frequentavano da quando Karen aveva perso l'impiego alla Union Allied, una manciata di mesi prima. Da quando, viso in fiamme e respiro carico di singhiozzi, era comparsa al Cafè chiedendo un doppio espresso ben corretto.
Una roba che poteva esistere solo su un altro pianeta.
 
Le aveva teso la scatoletta di latta coi fazzolettini, preparato un big latte caricato di due generose cucchiaiate di miele. E l'aveva ascoltata piangere e raccontare per una buona mezz'ora.
Karen ne aveva passate di ogni, e solo nel giro di un mese. Era stata licenziata, minacciata, ricattata con una certa quota di denaro in cambio del silenzio, dopo aver scoperto movimenti finanziari contraffatti che avevano portato alla morte di un collega. Era finita in prigione con l'accusa di omicidio, dopo esser stata trovata sulla scena del delitto stordita e con l'arma del delitto fra le dita, senza ricordi di come avesse fatto a finire in quel posto, in mezzo a tutto quel sangue. Aveva trovato due avvocati che le avevano fatto da angeli custodi, l'avevano difesa, le avevano dato protezione, amicizia e lavoro. E quella mattina piangeva per rabbia piuttosto che per dolore.
 
S'era presentato un uomo, allo studio. Aveva chiesto di parlare con Matt e Foggy. Si era seduto fra loro ed aveva proposto la difesa di un assassino.
Conto terzi, senza citare né il nome di quello che definiva il mio datore di lavoro, né il proprio.
E senza evitare di rivolgere a lei una frase che le aveva mandato le guancie in fiamme, scatenandole addosso la voglia di alzarsi e schiaffeggiarlo a mano tesa.
 
Lavorano per voi tutte quelle che scagionate da un'accusa di omicidio, o solo le più carine..?
 
- Se l'avesse detto a me, credo l'avrei ucciso.- era stato il suo commento, da oltre il bancone.
Fra le lacrime, Karen aveva riso. Ed erano diventate amiche.
 
L'aveva vista sbiancare, la sera in cui le aveva medicato un taglio sulla mano passandoci sopra soltanto un pezzetto di cotone bagnato del proprio sangue.
 
Non c'era più neppure la cicatrice. C'era mancato poco di vederla svenire.
Siamo amiche. E io devo assolutamente dirlo a qualcuno, sennò esplodo. Non mi chiamo neppure Jessica, in realtà.
 
- Sicura che non ti cercassero per.. per quella cosa? - ipotizzava ora Karen, sedute una di fronte all'altra al tavolo di cucina.
- Non saresti l'unica con un segreto che scotta.- lei aveva provato a sdrammatizzare.
- Io sto semplicemente seguendo un'indagine, Stella. Tu.. tu sei..
-..Un mostro, con due identità e due nomi. Lo so.
- Ho sentito in giro. Ho un amico al Bulletin, mi sta aiutando con.. questa cosa.- Karen le aveva mostrato le carte abbandonate in un angolo - dice che si stanno moltiplicando le segnalazioni di persone.. che fanno cose strane. L'altro giorno hanno scritto un articolo su un tizio che scioglieva le cassette dei giornali col solo tocco delle dita, che è intervenuta una squadra governativa per catturarlo. Ed è successo qui, in città. E che è misteriosamente scomparso, dopo una cosa.. c'è stato come una specie di terremoto. Ma nessun sismografo l'ha rilevato. Secondo Ben c'entrano lo Shield, la Stark Tower..
- Dopo la battaglia di New York nulla è più lo stesso.
- E' quello che dice anche lui. Da una parte sorgono diavoli speculatori, e dall'altra..
-..Compaiono gli alieni.
- Non dirò mai nulla, su di te. Lo giuro.- Karen fece segno come a chiudersi le labbra con una zip - sei probabilmente la mia unica amica, oltre a Foggy e Matt. Ed Helena, ma lei ha un'età..
Avevano riso.
- A proposito, come sta? Si sa che fine farà, la sua casa?
- Le hanno aumentato la quota di risarcimento, per farla andare via. Lei non vuole. E' casa sua.
- Se la mia non fosse infestata dagli uomini neri, potrei portarla da me.
- Il problema è che quello è il suo nido, Stella. La sua vita è tutta lì. Non è giusto che un pezzo di merda come Wilson Fisk glielo porti via, per i suoi capricci tradotti in condomini a cinque stelle.- Karen adesso spostava lo sguardo verso le carte, e la sua voce si caricava di rancore, per poi tornare verso di lei - ah. E il bastardo che è venuto in ufficio il giorno in cui ci siamo conosciute è il suo braccio destro.
- Il che mi fa venire voglia di ucciderlo anche solo per empatia.
Avevano riso ancora, venando di leggerezza un'aria fin troppo pesante.
 
La mattina dopo, lungo la strada per il Cafè, aveva trovato la strada costellata di suv neri, circondati da uomini armati. Aveva voltato i passi e, prima che qualcuno la potesse intercettare, era volata nella direzione opposta.
 
Qualcosa era cambiato, in lei. E quegli uomini neri volevano quel qualcosa.
 
L'atrio vetrato della Stark Tower era apparso come l'unica possibile via di fuga.
Gli Avengers avevano salvato New York da un attacco violento quanto non convenzionale. Avrebbero potuto far qualcosa anche per lei, minuscola e misera mostriciattola che campava facendo la cameriera in un Cafè.
 
- Katie! Vieni qui!
La voce di una donna, alle proprie spalle. Indirizzata verso una bambina, non più grande di quattro anni e dai lunghi capelli corvini, che stava scappando verso la strada.
- Katie!!
 
Aveva teso un braccio e l'aveva acchiappata al volo, prima di farle avere la peggio contro un furgoncino. Sorpresa da quell'atto, la bambina s'era sbilanciata ed era caduta faccia in avanti, sbucciando le mani e le ginocchia sull'asfalto. Ed aveva cominciato a piangere a fontana.
- Quante volte ti ho ripetuto che non si corre in strada, e che non ti devi allontanare da me! - la madre l'aveva raggiunta, piegandosi al suo fianco e poi caricandosela in braccio, prima di rivolgersi alla ragazza - grazie..
- Di niente.- Stella aveva accennato un sorriso e trovato risposta, confrontandola in automatico allo stronzo che aveva salvato allo stesso modo pochi giorni prima, e che non l'aveva degnata neppure di un cenno.
- Eri.. sei la nuova tirocinante per l'agenzia? - la donna si soffermò per un attimo ad osservarla.
- Io..? Agenzia?
- Abbiamo una filiale immobiliare, alla Fondazione. Credevo di averti già vista.
Rispose facendo cenno di no con la testa.
- Lavoro all'Essen, sulla Madison. Forse.. forse ci siamo viste lì.
- Ah. Forse. Possibile, io sono la moglie del dottor Lawson, passiamo spesso da lì per la colazione, quando va al lavoro.
Di fronte a quella mano tesa, Stella esitò per un lunghissimo istante. Poi la strinse, ed avvertì un calore mai provato con nessun'altra stretta di mano mai data.
La donna aggrottò le sopracciglia, come l'avesse avvertita anche lei e stesse cercando di capire.
- Non sei qui per caso, vero? - le disse, sempre trattenendo la bambina fra le braccia.
- Io..
- Stella..- mormorò la piccola, lasciando sgranare gli occhi ad entrambe.
 
Era certa di non averla mai vista, prima. Come diavolo faceva, a conoscere il suo nome?
 
Inumani.
Così venivano definiti, quelli come lei. Quelli che, dopo una non ben precisata diffusione di un non ben precisato fattore infettante, avevano subito la sua stessa pietrificazione e ne erano sopravvissuti, subendo una mutazione. Tutti gli altri, non dotati di geni alieni dormienti, ne erano stati uccisi.
 
A lei era toccato quel sangue in grado di curare le ferite, insieme ad una straordinaria capacità di percepire la presenza di altri come lei in base alla quantità di calore generata dal loro corpo.
 
La chiave. Il suo sangue era la chiave.
 
- Allora.. mi state dicendo che sono un'aliena? - s'era indicata, stretta ad un tavolo fra sguardi indagatori - è.. per questo che questa mattina il Cafè era circondato? Mi.. degli uomini sono entrati nel mio appartamento, qualche sera fa. Ho provato a scappare. Mi ha difeso un uomo, li ha picchiati ed è scomparso. E'.. tutto per il mio sangue?
- Sono agenti del governo.- le spiegò un uomo sulla cinquantina, dopo essersi presentato come il direttore dello Shield ed averle messo di fronte una serie di carte in cui erano riportati il suo nome, il suo indirizzo ed una marea di dati che non conosceva neppure lei -..una sezione dedicata alla cattura di quelli come te. Il loro compito è rinchiudervi, mettervi in stasi, analizzarvi. Forse sacrificarvi, per studiare la mutazione.
- Il nostro è trovarvi, e difendervi.- era intervenuta la ragazza che poco prima le avevano indicato come Sara -..se possibile, inserirvi in team formato da persone con capacità speciali.
- Per giocare coi buoni..? - aveva piegato le labbra, tentando un sorriso.
- Più o meno.- una donna dai capelli rossi, fasciata in una specie di uniforme tattica che col proprio nero metteva ancor più in risalto la luce di quella chioma, le si appoggiò accanto incrociando le braccia - sappiamo che hai contatti con una persona che ci interesserebbe conoscere. Non sarebbe male reclutarvi entrambi.
 
Era rimasta a bocca aperta per un minuto buono, quando le avevano presentato l'equazione Matt Murdock-uguale DareDevil-uguale Vigilante che l'aveva salvata dai tizi neri del governo.
- No, non avete capito. Matt è cieco.- aveva osato obiettare, come a voler ribadire l'impossibilità del teorema.
- E tu sei una cameriera.- era stata la risposta, ovvia come il risultato di due più due.
 
Dopo la battaglia di New York nulla è più lo stesso..
 

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Capitolo 4
*** Target ***


Central Park era stupendo, nei suoi colori autunnali. Non troppo lontano dalle sue spalle rilassate su una panchina, oltre i cani al guinzaglio e le risa dei bambini, le ruspe stavano iniziando a demolire il primo isolato di Hell's Kitchen.
 
Per il capriccio privo di senso di un pezzo di merda carico di soldi sporchi, e dei suoi viscidi alleati.
 
Non poteva finire così.
 
Aveva bypassato qualunque protocollo e presentato Karen alla signora Stark, che dall'alto del proprio tacco dodici sfoderava un delizioso sorriso e pregava d'essere chiamata Pepper.
Più o meno invano, nel caso di Stella.
 
- Un che?? - l'amica aveva sgranato gli occhi, dopo aver probabilmente ascoltato le parole agente dello Shield in tutta la frase che includeva la fondazione Stark, la sua società immobiliare e la proposta a dir poco scandalosa che Wilson Fisk aveva recentemente fatto all'indirizzo della sua amministratrice delegata.
- Agente dello Shield.- le aveva risposto, non nascondendo il proprio disappunto - ma mi hai ascoltato?
- Mi fai orrore.
- Perché?
- Perché hai trovato più dettagli su quell'uomo tu in quarantott'ore che io in mesi!
- Che vuoi farci.. poteri magici.- aveva sollevato le spalle, lasciandole scuotere la testa - quando vuoi, puoi ottenere un appuntamento con la signora. Ti spiegherà un po' di cose, e credo sarà felice di conoscere quello che hai trovato.
 
All'appuntamento, Karen era andata scortata dalla migliore amica e dai due datori di lavoro.
Due piccioni con una fava.
 
A Tony Stark non era sembrato vero, e il direttore Coulson era apparso dello stesso parere.
Via una guerra, dentro un'altra, recitavano le loro facce, bypassando le camere di contenimento dei prigionieri ripuliti dal velo dell'Hydra, e dirigendosi verso la sala riunioni che occupava un'ala del ventesimo piano. Per effettuare una delle loro entrate ad effetto.
 
- Eh sì, è cieco.- aveva commentato Tony, comparendo a metà del discorso, portando una smorfia di disappunto sulle labbra del giovane avvocato ed uno sguardo assassino negli occhi di Pepper.
- Saresti così gentile da evitare, please? - gli aveva rimbrottato lei, incrociando le braccia.
-..E mette a terra tre uomini contemporaneamente, senza neppure indossare un'armatura o tenere in mano un martello.
Adesso l'espressione di Tony era mista fra l'orgoglio e l'ammirazione, e quella del giovane la stessa di un ladro colto in flagrante.
- Ci siamo accuratamente documentati sul suo operato, mister Murdock. O come preferiscono definirla.. il diavolo. No, non credo se ne sia accorto; i suoi sensi sono sviluppati, ma noi abbiamo a disposizione validi soldati pienamente stealth.
- Lei..?
- Non siamo noi, quelli da temere, avvocato. Al contrario. Vorremmo averla nella nostra squadra. Ed estendere il suo raggio d'azione, sempre che lei sia d'accordo.
- Io non ho scopi ad ampio raggio, signor Stark.- il giovane non aveva fatto una piega - la mia missione è rendere la città un posto più sicuro.
- Direi che è lo stesso problema che qui dentro ci poniamo da anni.
- Ma lei ha accettato proposte da Wilson Fisk.
- Possiede dati parziali ed inesatti, avvocato.
- La società immobiliare che fa capo alla vostra fondazione..
-..Ha presentato una controproposta di pianificazione per l'area che Wilson Fisk intende acquisire grazie ai soldi della cocaina e della mafia. Una proposta non di demolizione ma di risanamento delle strutture, con la creazione di un polo ospedaliero d'emergenza all'interno dei docks, l'area più degradata e da anni in completo abbandono. Proposta che per ora sembra stata accantonata dal senatore Cherryh a favore di quella del signor Fisk.
- Dovrei credere ad un uomo che vendeva armi..?
-..E che ora costruisce postazioni infermieristiche nei paesi del terzo mondo? Direi di sì.
- Che cosa vuole?
- Lei entri a far parte del team, e io le fornirò un metodo più efficace del vostro, per abbattere una volta per tutte Wilson Fisk.
 
Central Park era meraviglioso, quella mattina. Natasha compariva nel suo spazio visivo ogni tre minuti e mezzo, senza sgarrare un secondo.
Le scappò un sorriso, da dietro al libro che fingeva di leggere.
 
- Smettila, di sorridere, Stella.- la voce nell'auricolare le apparve un tantino affannata, nonostante l'assurda quantità di giri che la collega e coach aveva già fatto in corsa leggera - e volta pagina, ogni tanto.
- Lo vedo.- le aveva risposto, sollevando gli occhi ed individuando l'obiettivo.
 
Quando le avevano mostrato la foto dell'uomo da catturare, per un istante il cuore le era salito in gola. Senza passare dal via.
 
Lo stronzo dell'incrocio. Era lui, novanta su cento. A detta di Karen, lo stesso che le aveva fatto visita in ufficio la mattina in cui l'aveva conosciuta al Cafè.
 
Il braccio destro di Fisk.
 
Alto, portamento imponente e quasi inamidato in quel perfetto completo scuro da stronzo.
Se avesse scommesso sul Rolex al polso, avrebbe sicuramente vinto.
 
Scendeva da un suv nero, inoltrandosi nel parco, mentre l'auto lo attendeva oltre i cancelli in fila con altre due. Passi tranquilli, quasi leggeri. Quelli di un uomo altamente sicuro di sé.
Stella sollevò lo sguardo dal libro e glielo piantò direttamente, intensamente addosso. Come avesse voluto chiamarlo per nome. Lo vide bloccare per un istante, un solo brevissimo istante, i propri passi. Piegare le labbra, deglutire. E poi proseguire fino ad oltrepassarla, come se nulla di quell'istante fosse accaduto.
 
La ragazza chiuse il libro, lo ripose con attenzione nella borsa, si sollevò dalla panchina e, facendo perno sui piedi, si mosse ad un cauto inseguimento.
- Lo mantengo a vista.
- Quando oltrepassi il lago sgancialo, Stella.- replicò la voce nell'auricolare - la tua missione non è seguirlo. Non ora.
- Ricevuto.
 
Si avvicinava ad un uomo, sorprendendolo alle spalle. Un dialogo, una manciata di minuti in cui il linguaggio del corpo di entrambi non lasciava margine di dubbio su chi fosse il minacciato e chi l'aggressore. Aveva fermato i propri passi ed atteso, protetta da un albero e fingendo di telefonare.
L'uomo se ne andava, occhi stravolti e passo concitato. Le labbra dell'obiettivo si piegavano in un sorriso che sapeva di ghigno, mentre tendeva le dita a raccogliere un tablet e lo stringeva di nuovo al fianco.
 
Avrei dovuto lasciarti spiaccicare da quel taxi..
 
Lasciò che si sollevasse dalla panchina, per scivolargli accanto con nonchalance, fingendo d'ignorarlo e guardando dritto avantì a sé.
Le sembrò per un istante che quegli occhi la seguissero, intensi come a volerle scavare dentro.
Fredda, Stella. Devi solo fare in modo che s'incuriosisca, o che sospetti qualcosa. E ti segua.
 
Il Cafè. Il sorriso un po' spento di Mamie, quello che dopo la scomparsa di Kristen non aveva mai abbandonato le sue labbra. Le rispose sfiorandole un braccio, silenzioso segno di solidarietà ripetuto almeno mille volte da quel giorno.
Vestire il grembiule, regolare la radio in sottofondo su una rilassante base lounge. E scivolare fra i tavoli in cerca di ordinazioni o di un secondo giro di caffè.
 
Tre suv neri oltre la vetrina. L'auricolare troppo distante, nascosto nella borsa in fondo allo spogliatoio. Una parte di sé che annusava il pericolo, mentre la gemella ghignava il suo trionfo.
C'è cascato.
 
L'uomo scendeva dall'auto in centro e indirizzava ad un altro, sceso dalla prima auto e apparentemente armato, un impercettibile cenno con la mano.
Aspettami qui.
 
Stella continuò il giro delle ordinazioni senza battere ciglio, mentre l'obiettivo si chiudeva la porta del Cafè alle spalle, procedendo verso il bancone senza fretta e slacciando l'unico bottone della giacca.
- Desidera? - Mamie si voltava, dirigendo a lui il proprio sorriso a metà, ricevendo un gelido:
- Caffè. Macchiato freddo, a portar via.
Stella lo trovò in attesa all'angolo del bancone, e lo bypassò ignorandolo come prima, bloccata dalla sua voce all'altezza della vetrina delle brioches.
- Ci siamo già incontrati, per caso?
Mamie credette che la domanda fosse rivolta a lei, e posò il caffè sul bancone con un cortesissimo:
- Non mi pare..
- Dicevo alla sua collega.- quello tagliò la sua risposta, congelandola. E obbligandola a voltare lo sguardo, interrogativa.
- Non mi pare.- Stella le fece eco, osando percorrere la sua figura dall'alto in basso - me ne ricorderei.
- La ragazza dell'incrocio.- quello sollevò l'indice, riuscendo a congelare anche lei.
Aveva ignorato la sua presenza pochi minuti prima e si ricordava dell'incrocio?
 
- Non era mia intenzione spaventarla.- l'uomo piegò le labbra in un sorriso che sapeva di tutto tranne che di sincero - sì, l'ho vista un attimo fa, nei dintorni del parco. E ho avuto la sensazione di averla già incontrata. L'incrocio fra Madison e la cinquantaquattresima, se non sbaglio. Mi ha salvato da un taxi.- la vide infastidita, sul punto di negare, e proseguì, pagando il caffè e raccogliendolo - non l'ho neppure ringraziata. Posso fare qualcosa per farmi perdonare?
- Sì.- replicò lei, facendosi completamente di ghiaccio - la porta è lì, prego.
 
Il respiro si bloccò per un istante nella gola di Wesley.
Cosa?
 
- Mi.. mi scusi?
- Ha sentito bene. La porta è lì, prego.
- Signorina..
- Non desidero avere a che fare con persone ignoranti e scortesi, neppure se vestono Armani ed indossano un Rolex come il suo.
- Lei non sa-
- Viaggia con la scorta e si mostra in televisione, accanto ad una persona che ucciderei molto volentieri. Quindi, la porta è lì, prego.
- Vive a Hell's Kitchen? - quello aggrottò le sopracciglia.
- Non credo siano affari suoi.
- Il mio datore di lavoro-
- La porta.
 
Ora la donna tendeva la mano, e il suo non appariva più neppure un invito. Voltò le spalle, e rientrò oltre la barriera difensiva dei suv coi vetri oscurati.
 

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Capitolo 5
*** Plans & Muffins ***


Non riusciva a smettere di pensarci.
 
La porta. L'aveva messo alla porta, senza mezzi termini e strafregandosene del suo misero tentativo di lei non sa chi sono io.
La cinquantaquattresima. Se lavorava in quella caffetteria e viveva ad Hell's Kitchen -la sua reazione non l'aveva smentita- , abitava quasi sicuramente nel terzo blocco.
 
Avrebbero demolito anche la sua, di casa, per realizzare il prezioso progetto di Wilson Fisk.
 
La casa di una cameriera che trascorreva il tempo libero a leggere al parco, non in una costosissima palestra o in una spa.
 
Per un istante, un solo, lunghissimo istante, aveva provato una fitta al cuore.
 
I piani sono i piani. Nascerà qualcosa di nuovo e grandioso, a Hell's Kitchen. Qualcosa per cui vale la pena combattere, ingannare e prendere vite. Forse, compresa quella della donna che l'aveva salvato da un taxi.
 
Bel modo, di ringraziare..
 
Sciolse il nodo alla cravatta, dopo aver abbandonato svogliatamente la giacca sulla spalliera di una sedia a caso del soggiorno. Tolse le scarpe e le allontanò in malo modo, tolse le calze e diede loro lo stesso destino.
La vista della città, da oltre le vetrate dell'attico che gli aveva preparato Fisk al suo arrivo, valeva pienamente il prezzo del biglietto. E qui, solo e libero di muoversi come voleva, perdeva il controllo del cuore e lasciava che la testa vagasse lontano. Libera.
 
Quella cameriera non se la sarebbe mai potuta permettere, una vista del genere. Non con la cifra irrisoria che sicuramente le avevano proposto, le terze parti, per lasciare quello che magari era un nido conquistato con anni di sacrifici.
 
Uno squallido piccolo buco.
 
L'unico angolo di mondo in cui si sentiva al sicuro.
 
Un putrido appartamento circondato da schifosi malviventi.
 
Quelli che nutrivano loro, dall'alto.
 
Che cazzo ne vuoi sapere, James.
 
La prima idea che fece capolino nella sua testa fu quella di ripercorrere le carte contabili. Doveva esserci per forza, un collegamento con una residente sulla trentina impiegata in un Cafè del centro. Sapevano tutto di tutti, impossibile che fosse sfuggita.
Che aveva scritto, sulla targhetta del grembiule? Ah, sì.. Jessica. Cercava una Jessica residente nei dintorni della cinquantaquattresima, già contattata con la proposta. E che non l'aveva accettata, dato il rancore con cui gli aveva nominato Fisk.
 
Piedi nudi, camicia appena slacciata, si ritrovò seduto al bordo del tavolo di cristallo, con il mento sui polsi e circondato da una montagna di fogli.
 
Un imbecille. Sei un imbecille. Che te ne importa..? Il tuo dovere è contribuire alla realizzazione del progetto, costi quello che costi. Il tuo dovere è soddisfare i bisogni del tuo datore di lavoro.
 
Un sospiro, lento e profondo, lasciando che qualche foglio volasse a terra in ordine sparso.
Al diavolo.. aveva troppe altre cose, a cui pensare. E sinceramente al momento aveva solo voglia di una doccia.
 
L'acqua calda scivolava via lungo le spalle, lasciandogli chiudere gli occhi in quell'inebriante pausa di relax. Aromaterapia. Musica in sottofondo. Lounge classic.
 
Malediz-!
 
Uno sguardo intorno, sfuggendo anche al getto caldo e a quel momento privato. Il cellulare squillava, distante abbastanza da costringerlo ad infradiciare il pavimento di mezza casa.
- Sì, signore. Sarò lì in mezz'ora.
 
Non l'avrebbe mai fatto, non a voce aperta. Ma qualche volta l'aveva odiato, invidiato, e sì, forse anche un po' maledetto.
Il suo datore di lavoro era un uomo altamente generoso, in maniera esattamente proporzionale al quanto fosse facilmente infiammabile. L'aveva visto ribaltare tavoli, urlargli contro. L'aveva visto capace di delicatezze impensabili, soprattutto ora che aveva una compagna all'altezza.
Lo meritava. Tolto tutto, tolti i pregi ed i difetti, la meritava, un po' di felicità.
 
E tu? Non te la meriti, almeno una doccia senza dover per forza correre a cercargli il vino piuttosto che un ristorante o accompagnare la sua signora ad un evento di gala? Non te la meriti, una pausa che sia tutta, ma dico sul serio, tutta per te? Non conti davvero più niente, nella tua vita? Schiavi, li chiamavano, James..
 
Oh. Al diavolo.
 
Le dita a cercare il bottone della giacca, mentre oltre il finestrino scorrevano le luci della Madison.
 
Le luci dell'Essen Cafè.
 
Chissà se lei..?
 
Basta, James. Stai perdendo il controllo. Non-pensare-più-a quella-donna.
 
- Tutto bene? - la voce calda e cupa di Wilson Fisk gli raggiunse la nuca, quasi lasciandolo trasalire. Cosa che non aveva mai fatto, neanche per sbaglio.
- Sì.- annuì, distratto, continuando ad osservare la platea del teatro come in cerca di ordigni nascosti.
- Ti vedo irritato.- quello provò ad insistere, tendendo dal lato opposto la mano alla sua bellissima signora, e contemporaneamente depositandole un bacio fra i capelli.
- No. Tutto bene.- lui continuò a spostare lo sguardo, senza mai incrociare quello dell'uomo lì accanto - sembra non ci siano pericoli.
- Io intendevo per te, Wesley. Rilassati.
 
Abbassò appena il viso, piegando le labbra in una smorfia e precedendo il resto della scorta verso il palco prenotato dai signori.
 
Un balletto. Un grandioso e prezioso balletto, musica avvolgente e coreografie capaci di rapire Vanessa, togliendole ogni parola e forse quasi il respiro.
Bellissima. Aveva ragione, l'uomo al suo fianco. Forse troppo bella anche per meritarla.
 
Voltò lo sguardo, incrociando prima quello carico di tenerezza del compagno, poi il suo, rigido e scuro. Sorrise. Ebbe una risposta appena accennata. Gli fece segno di accomodarsi, che oltre la sua schiena una poltroncina era libera. Ne tastò il velluto, annuendo leggera.
Lui non raccolse l'invito, spostando lo sguardo ed irrigidendosi maggiormente.
 
- I tuoi pensieri sono foglie in balia del vento, Wesley.
Quella voce comparve improvvisa ad accarezzargli le spalle, sorprendendolo al bordo dell'ingresso al palchetto. La guardò come se non avesse capito.
- Non fingere. Questa sera sei qui, ma una parte di te è rimasta altrove.
 
Accidenti. Quella donna sembrava leggere nel pensiero. O forse era solo capace di interpretare il linguaggio del suo corpo esattamente come faceva con le opere d'arte.
Aggrottò le sopracciglia, ma non rispose.
 
- Sei il tipo di uomo che non è tranquillo se non quando ha la situazione sotto controllo. E questa sera hai una falla nella sicurezza. A me puoi dirlo. Sarà il nostro segreto.
- Sono semplicemente stanco.- lui scivolò lontano, provando ad ignorarla, approfittando del sopraggiungere del capo e del resto della scorta. Solo una volta all'interno del suv, fronte a fronte col sorriso della donna, si sentì completamente privato della propria barriera difensiva.
 
La via del ritorno. Di nuovo le luci dell'Essen Cafè. Di nuovo uno sguardo ad esplorarne le vetrine.
- E' un posto molto carino.- Vanessa sembrò di nuovo intercettare i suoi pensieri, oltre a quelle dita che s'intrecciavano impazienti sulle ginocchia del giovane. Poi si rivolse al compagno - mi andrebbe un caffè.
Sorrise maggiormente, delicata e maliziosa, spostando gli occhi su quelli di Wesley e trovandoli sgranati. Quasi terrorizzati. La cosa sembrava incuriosirla, deliziarla.
Non aveva mai visto il perfetto braccio destro del proprio compagno in un atteggiamento del genere. Il piccolo robot aveva perso completamente il controllo della situazione, e la lasciava sorridere.
Sembrava quasi un essere umano.
 
Wesley lanciò uno sguardo in direzione del proprio capo, quasi a chiedere cosa dovesse fare. Fisk rispose con un'alzata di spalle. Non aveva capito il senso dell'improvviso capriccio di Vanessa, ma l'avrebbe accontentato. Scivolò fuori dalla macchina ed al giovane non rimase che seguirlo.
 
Al Cafè aleggiava l'aria di tarda serata, quella ormai prossima alla chiusura. Solo un paio di clienti, sparsi ai tavolini, e quasi più nessuna pasta nella vetrina.
Vanessa avanzò piano, leggera come una libellula sul tacco dodici, stropicciando le labbra ed accennando ad piccolo vassoio in cui tre muffin solitari sembravano avere un'aria deliziosa.
- Che ne dite..? Una piccola pausa?
Fisk si voltò indietro, rivolgendo al proprio uomo di fiducia uno sguardo interrogativo. Lui rispose facendo cenno di no con la testa.
- Vuoi dire che tutti i muffin della città possono essere avvelenati? - rise lei, leggera - dai, rilassati.. James.
 
Sentirsi chiamare col proprio nome di battesimo non rientrava in nessuno dei suoi programmi.
 
Fece di nuovo cenno di no con la testa, catturato dalla presenza materializzata all'improvviso oltre il bancone.
Non era lei.
 
Per fortuna.
 
Vanessa vide i suoi muscoli rilassarsi, e continuando a sorridere si rivolse cortesemente alla cameriera, chiedendo per favore i muffin superstiti che sembrano davvero deliziosi, e la ragazza le rispose con un cortesissimo:
- Lo sono, signora.- e preparò con cura il pacchettino, tendendolo direttamente a lei, che ignorò a pié pari scorta e cavalieri.
- Li fate voi?
- Sì, signora. La mia collega, Jessica.
- Bene; se saranno davvero buoni come dice, tornerò di persona a chiederne ancora. Anzi..- uno sguardo verso il giovane alla sua sinistra, che a sentir pronunciare il nome Jessica aveva deglutito, senza neanche preoccuparsi di camuffare - manderò il mio uomo di fiducia a ritirarli per la colazione tutte le volte che avrò desiderio di qualcosa di speciale. La ringrazio.
- Grazie a lei, signora.- la morettina ricevette i soldi le la congedò con un brevissimo inchino.
 
Jessica dei muffin, allora?
 
Almeno aveva avuto il tatto di aspettare che fossero soli.
 
Scosse la testa, rassegnato, lasciandosi affiancare. La mano di Vanessa tendeva il pacchettino e il suo sguardo era totalmente complice.
- Questi sono per te. Voglio che tu stanotte ti rilassi, spenga il cellulare e te li goda. Direi che lo meriti.
- Signora..
- No, Wesley. Basta.- lei aveva teso l'indice, poco avanti le sue labbra - e ricordati che ti devo un favore.
- Io non..
- Jessica dei muffin.
 
Gli sfuggì un sospiro, pesante, roteando gli occhi verso il cielo.
- Ti ha detto di no? Ti sei presentato con l'aria da gorilla, per forza ti ha detto di no. A noi donne piace il lato tenero. Anche in voi duri.
- Non mi ha-
- Racconta, allora.
 
Lui scosse di nuovo la testa, lasciandola sorridere.
Gli sfilò gli occhiali, ne piegò le astine e glieli ripose nel taschino, osando muoversi a stropicciargli appena i capelli.
- Ecco.- tese le dita, e sotto il suo tocco cedette anche il nodo della cravatta - adesso dimostri decisamente la tua età. Stanotte ti rilassi, domattina passi al Cafè e ti godi una buona e lunga colazione. Cellulare spento. A lui ci penso io.- uno sguardo veloce verso il compagno in arrivo, un altro sorriso - Wilson.
- Sì, tesoro.
- Questo ragazzo ha decisamente bisogno di un giorno libero.
 
Entrambi la fissarono come stesse parlando una lingua aliena.
 
- Sì, un po' di libertà; fa sempre quello che vuoi tu, quando e come vuoi tu. Non è un manichino telecomandato, è un giovane uomo che ha bisogno anche di vivere la sua, di vita, ogni tanto. Quindi domani avrà un giorno libero. E tu non lo chiamerai ogni cinque minuti.
 
Fisk annuì, molto restio e poco convinto, mentre l'altro, oltre le spalle della donna, gli lanciava uno sguardo fra l'incredulo e il mortificato.
- Va bene. Come vuoi tu, cara.
 
L'ha detto.. l'ha detto davvero? Niente affari, per un giorno? Niente personaggi fastidiosi da gestire, niente Madame Gao, niente voce di Owlsley che ti ronza come una vespa nelle orecchie?
 
Un-giorno. Giocatela bene.
Vanessa lo congedò con un abbraccio che voleva dire un milione di cose, e lui rientrò a casa con il pacchetto dei muffin fra le dita e l'aria di uno che cade dal terzo piano e miracolosamente ne esce illeso.
 
Jessica dei muffin.
 
Ci voleva proprio tanto, ad ammettere che ti ha messo alla porta?
 

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Capitolo 6
*** Day Off ***


Central Park era stupendo, anche nei giorni di pioggia come quello. Stella decise che forse era ora di concedersi un day off e se l'era preso. Smorfia di Nat inclusa.
- Ma scusa, voi agenti dello Shield non ve la prendete mai una vacanza?
 
- Voi? Bella, ti ricordo che A: ci sei dentro anche tu. B: il crimine non va mai in vacanza e quindi noi dormiamo sempre con un occhio solo. C: day off, a casa mia, significa battuta di shopping sfrenato.
 
La risposta della VedovaNera era stata da incorniciare, mentre al suo fianco l'espressione di Clint parlava da sola. Dal suo angolo, intento a smontare e ripulire un'arma qualunque, Bucky si mordicchiava le labbra cercando di non ridere.
- Io non riderei tanto, se fossi in te.- quella l'aveva minacciato con l'indice teso - l'ultimo acquisto della tua donna sono state un paio di Louboutin, e i seicento dollari li ha scalati dalla tua Visa.
Quello sollevò le spalle:
- A me ha detto che le servivano per un'arma.
- Bah. Comunque, lady recluta.. ehi!
 
Troppo tardi. Stella era già lontana che le faceva ciao-ciao con la manina.
Day off, uguale niente Cafè, niente lavoro di copertura, niente missioni, niente allenamenti,  niente di niente. Poteva prendersi un bel libro in biblioteca e andarsi a rilassare sulla sua panchina preferita.
La giornata perfett-  Maledizione!


Quello scroscio di pioggia non le diede il tempo neanche di arrivare a pagina tre.
Va bé. Vorrà dire che affogheremo -letteralmente, direi- il dispiacere cucinando.- si disse, osservando lo stato pietoso in cui erano ridotti jeans e giubbottino - magari un bel dolcetto. Potrei portarlo per pranzo a Karen e fare felici anche i suoi due compari, che Matt sembra sempre fare lo schizzinoso ma poi sbafa di nascosto. Eh. Ottima idea, lady recluta.
 
Al confine con il portone, qualcuno sembrava aspettarla.
Niente divise strane, tute militari o altro di sospetto. Però aveva un'aria vagamente familiare. Fin troppo, familiare, si disse, man mano che il ridurre le distanze glielo lasciava inquadrare meglio. Mise su la maschera della regina dei ghiacci e finse di proseguire.
 
Ehi!
Quella voce era scura e la raggiunse alle spalle.
- Non abiti al-?
- Mi sembrava di aver detto..- lei puntò i piedi in mezzo al marciapiede, costringendo un ciclista allo slalom e l'uomo che la seguiva al tamponamento.
- Sì. Ma qui non vedo porte.- replicò lui, lasciandola voltare ed azzardando un sorriso in risposta alla sua aria incarognita.
- Se sei qui per alzare la posta, la risposta è la stessa. NO. Potete farmi quello che volete, anche ammazzarmi come tutti gli altri. Non cambierò idea.
- No; io..- per un istante, l'uomo le sembrò in seria difficoltà. Come fosse stato abituato a vestire in giacca e cravatta, indossare gli occhiali e saper gestire qualunque tipo di situazione.
Adesso non aveva dalla sua nessuna delle tre.
 
Un sospiro, pesante. Come avesse desiderato da morire aprire la bocca e dire qualcosa di completamente OOC, ma qualcosa glielo stesse vietando. Scosse appena la testa, voltando le spalle ed accennando ad allontanarsi.
-..E dì al tuo capo che è inutile che mandi il figlio prediletto. Farò come coi suoi profeti.
- Sei tu il vigilante? - dalle labbra dell'uomo spuntò un sorriso, ironico, mentre i passi si fermavano al bordo dell'incrocio.
- No. Ma se ti presenti di nuovo, Wilson Fisk avrà un cadavere, come spalla.
- Mi stai minacciando? - quello tornò indietro, arrivandole fronte contro fronte - dovresti fare muffin velenosi, allora.
 
EH?
 
La testa le elaborò quell'unico monosillabo, dotato di punto interrogativo. Sopracciglia aggrottate, lo fissava da sotto in su, cercando di capire il significato di quelle parole.
- Già.- replicò lui, leggero, sollevando le spalle - quelli di ieri sera erano buoni. La moglie del mio datore di lavoro-
 
All'improvviso, lo vide bloccarsi, tagliare la frase e spostare lo sguardo in un angolo, come avesse preso la scossa.
- Cosa?
- Niente.- quello mosse la mano come a dire: non è importante. - oggi day off.
- Scusa?
- Ho ricevuto l'ordine di tenermi lontano dal lavoro, e da tutto quello che lo riguarda.
- Esegui sempre gli ordini?
- Sì.
- Insulso ed inutile schiavo. Muffin sprecati.- lei voltò le spalle e riprese la strada verso il portone, fregandosene di un possibile essere seguita.
 
- Però potrei trovarti una casa migliore, del buco qualunque che occupi in questo stabile schifoso.
Quella voce, alle spalle. Di nuovo.
 
In trappola. Preso in pieno, e non sei neanche operativa. Natasha schiatterà d'invidia.
 
- Con trentamila dollari? Ne dubito.- si voltò, incrociando le braccia.
- Ti hanno offerto..?
- Trentamila dollari. Che dovrebbe sembrare un tesoro, per una povera morta di fame come me. Non fare quello che non sa niente; scommetto che i conti glieli hai tenuti tu, al paparino.
- Ci sono molti posti, in città, con cui per quella cifra-
- Sì. Li chiamano ghetti.- lei lo interruppe, brusca - oppure potrei sempre attuare il piano B. Spostare le mie chiappe plebee oltre il Jersey, meglio se torno da dove sono venuta. Che vuoi, vale più un fighetto dell'uptown griffato Armani anche nelle mutande, che cento inutili macchinette da muffin di provincia. Chissà perché, però, senza di noi non mangiate un cazzo.
 
Senza parole. L'aveva lasciato senza parole, neppure di riserva. Non poteva neanche risponderle qualcosa di OOC, o la prima cavolata che gli veniva in mente, come non faceva dai tempi dorati del college.
 
Addio, controllo situazione. Ci vediamo domani, quando avrò resettato tutto.
 
- Sicuramente costa meno una pistola.- adesso la voce della ragazza era totalmente amara, incrinata - ma siete troppi. Elimino te, ne spunterà un altro. Farà sparire qualche mio amico, o parente, per vedere se la cosa mi fa male. Scoprirà che ho meno persone a cui tenere io di quante ne abbia lui, non saprà dove sbattere la testa e verrà a darmi fuoco a qualcosa. Presa dalla rabbia, eliminerò lui con un paio di muffin all'arsenico e allora spunterà un altro suo socio, e così via all'infinito..- un sospiro, pesante, girando la chiave nella toppa senza neanche guardarlo - no. Decisamente più economico se la pistola la uso direttamente su di me. Non mancherò a nessuno.
La vena di sarcasmo era completamente scomparsa, e adesso all'uomo a due passi dal suo perimetro non restava che deglutire amaro.
Sollevò lo sguardo, raccolse la chiave stretta fra le dita:
- Non ti ho ancora detto di andartene?
 
Lui replicò facendo cenno di no con la testa.
- Inizieranno a demolire con la settimana prossima.- rispose, con la voce ridotta ad un filo.
- Non serviva mandasse te a dirmelo di persona. Come ti ho detto, non mancherò a nessuno.
- Se tu-
- Lasciami in pace.
- Ho una casa fin troppo grande. Potresti.. potresti occupare una stanza, avresti spazio a sufficienza. Finché non trovi una soluzione migliore.
 
Ecco. L'aveva detto, il qualcosa di completamente, inesorabilmente stonato con la maschera che si era attentamente costruito, giorno dopo giorno, per farsi strada alla corte di Wilson Fisk.
La stronzata galattica del millennio.
 
Ma che diavolo ti salta in mente, James? Lo chiami day off, questo? Da che, dal tuo cervello?
 
- Vattene..- mormorò la ragazza, accennando ad oltrepassare il portone. Tese una mano e la trattenne:
- Non mi sembra poco, per essere pari. Mi hai salvato da quel taxi.
Lei si scosse, liberandosi dalla presa.
- Vattene.
- Pensaci.
 
La pioggia oltre il portone aveva ricominciato a frustare l'asfalto; quell'uomo indietreggiava, voltava le spalle e s'allontanava lungo la strada senza che nessun suv nero arrivasse a dargli soccorso.
 
Cominciava a pensare che il braccio destro di Wilson Fisk soffrisse di sdoppiamento della personalità. Uno servile, freddo ed assassino. L'altro gentile, dotato di compassione. Tenuto chiuso a chiave da qualche parte, e che ora s'infradiciava all'angolo, mentre osservava il cellulare e cercava di capire se fosse arrivato il momento accenderlo o no. Se fosse arrivato il momento di chiamare qualcuno, chiedere che lo venissero a prendere e tornare alla propria invisibile prigione.
 
Un sospiro. Adesso non era l'obiettivo. Solo un essere umano messo sicuramente peggio di lei.
 
- Ehi.
Una mano gelida e piccolina gli strinse il braccio senza preavviso. Si voltò appena, aggrottando le sopracciglia.
- Vieni. Voglio che tu lo veda.
- Cosa?
- Quello che non vedete l'ora di portarmi via.
 
L'appartamento era veramente un buco, a confronto con il suo attico. Terzo piano senza ascensore, una scala piuttosto angusta. Niente vista spettacolare, solo una finestra che si apriva sulla strada da cui erano entrati, più un finestrino su un cortile da cui quasi non si vedeva il cielo.
 
Non ci vivrei neanche sotto tortura.- si disse Wesley, dopo una rapida occhiata intorno.
 
La ragazza accese lo stelo che occupava un angolo di quel minuscolo soggiorno, e il soffitto s'illuminò di centinaia di stelle.
- Succede a tutti.- sorrise poi, sfilandosi il giubbino ed appoggiandolo ad una sedia, lasciando che lui sollevasse il naso a seguire il movimento di quelle piccolissime luci.
- Come..?
- Come faccio a stare qui? Hai mai sentito parlare dei poveri..?
- Wesley.
-..Wesley. Ti hanno mai detto che esiste gente che, pur facendo sacrifici, non riesce a permettersi altro? Che il mondo non finisce con l'uptown e con le vetrine dei boulevards?
- Hell's Kitchen ha bisogno di risorgere, da questo.- lui aprì appena le mani, ad indicare quella stanza arredata solo dell'essenziale.
- Non nel modo in cui intendete voi. Ci avete buttato dentro ladri, tossici, il peggio del peggio. Perché muoia secondo il vostro comando. Guarda.- tese una mano, e il cielo stellato si spense all'improvviso - cosa vedi?
- Niente.
- Ecco. Questo è quello che volete voi. Niente. A noi basta il cielo stellato.- riaccese la lampada, incontrando una smorfia di disappunto - ma non c'è niente da fare, perché parliamo due lingue diverse. E la guerra la vinceranno come sempre i prepotenti coi soldi. Come te. A noi non resta che arrenderci e morire.
- Mi dispiace.- l'uomo abbassò il viso.
- Lo so. Ad una parte di te certamente sì. Ma è troppo piccola perché tu le dia ascolto.
 
L'uomo ora seguiva la sua figura esile e leggera verso il piccolo armadio a vetri che affiancava un misero fornello. La ragazza estraeva un piatto, andava ad appoggiarlo sul tavolo.
- Chissà se nel Jersey avrò successo, con i miei dolcetti.. dai, assaggia. All'arancia non li ho mai fatti, per il Cafè. Su. Non sono velenosi.
 
Ecco. Ora non se ne sarebbe più andato.
 
Quella casa era misera, in un posto misero e triste. Il suo interno però non rispecchiava affatto quello che conosceva di Hell's Kitchen; l'ambiente che lo circondava era essenziale, pulito. La lampada continuava a proiettare in giro le sue stelline, mentre la padrona trafficava canticchiando attorno ad un fornello definito la mia cucina da chef.
 
S'era lasciato andare ad un sorriso, tendendo le dita e raccogliendo uno di quei dolcetti.
 
Ecco, cosa intendeva. Il tepore. Alla sua casa di lusso, prototipo di quelle che sarebbero nate sulle ceneri di quel quartiere, non mancava nulla se non il tepore.
 
Quello che ti fa sentire protetto, mai solo.
 
E lui era soltanto questo.
Solo.
 
- Ehi..- le sue dita armate di teiera lo sorpresero con lo sguardo assorto verso un punto lontano, oltre il riflesso della finestra - tutto bene?
- Sì, grazie.
- Non hai neppure sfiorato il muffin; lo tieni in mano da cinque minuti.. non ti fidi?
- No.. sì, sì che mi fido. E' che..- la sua attenzione salì dalla teiera alle mani al viso della ragazza.
Non aveva mai notato quanto fossero limpidi quegli occhi di cristallo.
 
- Ok, allora assaggio io per prima, così vedi che non sono nocivi.- lei ne raccolse un altro, e lo addentò con la voracità di una bambina.
Sorrise, di nuovo, imitandola con cautela.
- Damerino.- lei gli allungò una minuscola patta sul braccio, lasciandolo aggrottare le sopracciglia - mangi tutto inamidato, tieni la schiena inamidata, le gambe incrociare come fossi dietro ad una scrivania. Rilassati!
- Hai promesso di farmi fuori.
- Questo era prima.
- Prima?
- Prima che mi facessi tristezza.
- Ti-ti faccio tristezza?
- Sì. Tanta tristezza. La tua vita dev'essere di un grigio tremendo, sempre inamidato a dire signorsì.
 
Merda.. domani sarà di nuovo così. Avrò di nuovo sul collo il fiato dei soci del mio capo, e non credo riuscirò a sopportare quel loro essere viscidi come sempre. Avrò di nuovo una pistola al fianco. Un suv con la scorta.
 
Fermate tutto, voglio scendere.
 
- Ehi..- la ragazza ora piegava il viso verso il suo, insospettita da quell'improvviso farsi silenzioso con gli occhi diretti al nulla - stai bene?
- Sì.. stavo solo pensando.
- Adesso sei nei casini, eh, Wesley?
- James.
- Scusa?
- Wesley è il cognome. Mi chiamo James.
- Jessica.- gli aveva teso la mano, lasciando che la stringesse appena - la tua peggior nemica.
- Già..
- Un altro goccio di tè?
- Devo.. devo andare.- lui si sollevò di scatto, allontanandosi dal tavolo. Come stesse cercando di fuggire - è tardi, e domani non sarà un giorno libero. Allora..- i passi per un istante fermi sull'ingresso, si voltò a guardarla - a presto.
- Non credo. Fra una settimana non esisterò nemmeno più.
- Non parlare così. La mia proposta è ancora valida.
- Così andrò in TV a proclamare quanto siano misericordiosi Fisk e i suoi uomini? No, grazie.
- Non lo verrà neanche a sapere.
 
Che diavolo hai detto, James? Ma, dico, sei impazzito? E' il tuo capo, il tuo tutto, non fai un passo senza il suo permesso! Prima o poi la cosa verrà fuori, e sentirai il dovere di ricevere la sua approvazione, e sarai obbligato a rigirarla a suo favore, perché lui vorrà conoscerla e Vanessa.. oh, no. Vanessa. Lei SA. Le manca solo di vederla, JessicaDeiMuffin, QuellaCheTiDistrae DalTuoDovere.. dillo. Dai, dillo.
Sei nella merda.

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Capitolo 7
*** Grey Again ***


- Tutto bene? - la voce della signora appariva un filo divertita, nel raggiungerlo alle spalle, ad una manciata di passi dalla vetrata del soggiorno - sembri.. non so. Ancora da qualche altra parte. Hai seguito il mio consiglio?
- No.- replicò, tornando a guardare verso il vuoto, dopo un'occhiata di sfuggita. Vanessa emise un leggero sbuffo.
- Cosa parlo a fare. Eppure, mi eri sembrato così sveglio, così attento anche ai particolari.. scegli il vino adatto per fare bella figura ad una cena impegnativa, il locale più intimo per conquistare una donna, il modo perfetto per creare un'occasione.. e tutto questo non è mai per te stesso.
- Signora-
- Sei stato l'unico, finora, a non considerarmi un intralcio, per Wilson.- lo vide abbassare lo sguardo, e gli si fece più vicina - guarda che lo so. Io ascolto, e vedo. Sei il nostro unico alleato, fin dall'inizio. Volevo solo esserlo anch'io con te.
- Non era al Cafè.- mormorò lui, pesante, tornando a fissare un punto all'infinito avanti a sé.
- Ah.. non hai fatto ricerche?
- E' una delle persone che finiranno in mezzo ad una strada, con la demolizione di Hell's Kitchen. E sì, le ho parlato. Mi ha detto che se oserò farmi vivo di nuovo, non farò rientro alla base.
- E tu non le hai offerto il tuo aiuto?
- Non vuole aiuto, da chi le sta distruggendo la vita.
- Potrei convincere Wilson a fare un'eccezione. A trovarle un posticino più adeguato, fra le proprietà della Silver & Brent. E magari offrirle un lavoro, lei-
- No.- lui la interruppe, categorico, alzando lievemente la voce.
 
Non l'aveva mai fatto. Con nessuno, tantomeno lei.
 
- Che succede? - adesso era la voce di Fisk, a fare da padrona della scena. Si voltarono entrambi nella sua direzione, la donna con un sorriso ed il suo braccio destro con il gelo sulle labbra - tutto bene? Di che discutiamo, di prima mattina? Non sembra che il day off sia stato di giovamento.
- Ho avuto modo di riposarmi. Grazie, signore.- replicò il giovane, intrecciando la mano al bottone della giacca.
Come quando era infastidito. Cosa che gli succedeva sempre più spesso, di recente.
 
- Desideri rivedere i termini della nostra collaborazione? - il capo lo sorprese con una domanda, una volta al riparo dei vetri oscurati del suv.
- No, signore. Perché me lo chiede? - replicò, indifferente, senza smettere di guardare oltre il finestrino.
- Questa mattina hai preferito le scale. Sembravi tranquillo, rilassato, immerso in altri pensieri. Vado a prepararmi ed ecco che ti trovo a discutere con la mia signora. Che è successo?
- Nulla. Nulla di rilevante. Vanessa ha espresso il desiderio di ricambiare un favore.
-..Un favore?
- Afferma che sono stato un prezioso alleato, per la vostra relazione.
- Lo sei.
- Vuole..
- Oh. Donne. Sta cercando di trovarti l'anima gemella, vero? Dovrebbe pensare un po' di più al cuore degli affari, invece che agli affari di cuore. Siamo sulla lama di un coltello.
 
Discorso sviato, altra metà di sé rapidamente incatenata in fondo ad un cassetto. I giapponesi creavano problemi. Owlsley creava problemi. Il tizio mascherato creava problemi.
 
Non aveva tempo per pensare anche a quelli che s'era creato da solo nel primo ed unico day-off.
 

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Capitolo 8
*** Fade To Black ***


Tremava.
Karen tremava come una foglia, e non c'era modo di farla smettere. La prima cosa che le era venuto in mente di fare era stato chiamarla, e lei non aveva potuto rispondere con un no.
 
Sette giorni, ed era accaduto tutto ed il contrario di tutto. I sigilli sulla sua misera casetta, le scatole a bordo strada. Perdeva metà della propria identità di copertura, giusto il giorno in cui l'amica le comunicava che Matt aveva avuto un incidente piuttosto sospetto.
Se solo sapessi..
 
Aveva sospirato, cercando di rassicurarla, evitando di dirle che era seduta su uno scatolone al bordo della cinquantaquattresima.
 
Per tutto il resto, c'è MasterStark..
Aveva fissato a lungo lo schermo fra le dita, cercato nella rubrica il nome di Nat.
Forse è ora che saluti anche il Cafè e che torni ad essere Stella il mostriciattolo una volta per tutte. Che la smetta di fingere e mi concentri sull'obiettivo. Ecco. Parli del diavolo..
 
Tre suv. Neri. Uomini armati, vestiti di un nero più nero di quello delle auto da cui erano scesi, in un sincrono quasi perfetto. Ne avrebbe riso, se solo non fosse stata seduta su uno scatolone, circondata da borse di plastica.
 
Non le avevano lasciato neanche la lampada con le stelline. Una squadra di operai era entrata, forte della prepotenza e del sovrannumero, ed aveva dato di mazza su qualsiasi cosa incontrava sul suo cammino.
Come avessero voluto infierire in particolar modo su di lei.
 
Non aveva potuto far altro che obiettare, poi alzare la voce, gridare, ribellarsi; ed era stato allora che l'avevano messa fuori di peso, concedendole di rientrare solo a devastazione compiuta, per raccogliere le poche cose rimaste intatte.
Tasha, sai se Tony ha ancora qualche granata, da parte? Non è che a Lucas è rimasto qualche potere, che so, per sbaglio? Come vorrei che quella schifezza mi avesse dato il potere di ucciderli tutti col tocco delle dita, invece di poter guarire le ferite..
 
Piccolo mostriciattolo patetico seduto su uno scatolone. Ecco come si sentiva, adesso. E non serviva a nulla, avere l'obiettivo che la raggiungeva, a passi decisi dietro al suo datore di lavoro, munito di faccia impassibile mentre quel ciccione di merda fingeva contrizione.
 
- Signorina..
- Non le interessa.- aveva replicato, gelida, sollevando lo sguardo senza muoversi dallo scatolone e senza accettare le sue mani tese.
- Scusi?
- Non le interessa. Non le interessa come mi chiamo, cosa faccio per vivere, cosa mi ha tolto per un capriccio. Non le interessa, e non le deve interessare.
- Sappiamo già tutto, su di lei, signorina Barlow. Jessica, se non sbaglio.
 
Oh, no, bello. Tutto proprio no.
 
- Avrebbe dovuto accettare la nostra proposta, come ragionevolmente hanno fatto molti suoi vicini di casa.- quello si piegò in un ossequio totalmente di facciata - ora non sarebbe qui, in mezzo ad una strada. Tuttavia..- si voltò appena verso il giovane, rimasto in disparte con l'aria di chi ha appena preso uno schiaffone - Wesley?
- Sì, signore.- quello aveva osato muovere una manciata di passi e raggiungerlo.
- Hai..?
- Sì, signore.
Una mano a cercare nella giacca, poi tesa verso di lei. Una busta.
 
Aggrottò le sopracciglia, senza perdere l'aria rabbiosa con cui li guardava da sotto in su.
 
- Un'opportunità, signorina Barlow. Con questi, potrà tornare a casa. Quella vera.
Biglietti. Del pullmann, per il Jersey. Se li vide sventolare sotto il naso, li raccolse lentamente ed allo stesso modo li strappò in mille pezzi.
- Non ho bisogno della vostra elemosina.
- Signorina..- quello piegò le labbra in un'espressione di totale contrarietà.
- E comunque ho una casa, una famiglia, un avvocato e non ve la farò passare liscia.
- Sta combattendo una battaglia persa, signorina.
- Non ho niente da perdere. E sarebbe delizioso vedervi sanguinare.
 
Adesso s'era alzata in piedi, lo fronteggiava come mai nessuna aveva osato fare.
Forse Vanessa.
 
Ma la ragazzina gli ispirava tutto meno che attrazione.
 
- Signore..- il giovane si mise di mezzo, tendendo un braccio e riuscendo ad evitare il contatto diretto - non mi sembra il caso. Pensi alla sua immagine.
- Piantala, di leccargli il culo, James. Scommetto che è stata un'idea tua. Povera piccola sfortunata ragazzina dei muffin..
Quello sguardo dritto addosso lo fece ritrarre, quasi avesse preso la scossa.
- James? E'.. è lei? - Fisk gli si rivolse, sorpreso, incontrando una maschera di cera - è quella per cui Vanessa ha insistito tanto..?
- Signore..
- Fatela sgombrare. Con le cattive, se necessario.
La sagoma del gigante voltava le spalle, tornando al suv.
- Non dovevi.- il giovane osò muoverle un rimprovero, con la voce che vibrava.
- Tu non dovevi. Sei solo una prostituta in giacca e cravatta.
- Avresti dovuto accettare l'offerta.
- Quale? - lei incrociò le braccia, in tono di sfida.
- La mia.- sussurrò lui, brevissimo, prima di staccarsi e seguire il proprio padrone.
 
Central Park era pieno di fascino, ora che il sole tramontava e la gente pian piano tornava alle proprie case.
Casa. Stella emise un sospiro, piegandosi ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia, seduta in quell'angolo di panchina. Nat le aveva trovato un posto provvisorio, una safe house usata dallo Shield in caso di emergenza. Le riserve del direttore erano state seppellite dalla sua richiesta a mani giunte con aria da bambina innocente; Coulson aveva finito per sospirare, tendendole le chiavi.
 
Lo scatolone ora faceva bella mostra di sé al centro di un soggiorno ancora più piccolo di quello che aveva lasciato.
 
- Pazienza; è comunque un rifugio..- aveva preso lentamente il respiro, ossevando con curiosità quella strana specie di cubo in muratura bianca entro cui chissà quale architetto fuori di testa aveva confinato il letto. Lì c'era proprio tutto, nonostante fosse in miniatura.
Anche il forno per fare due dolcetti in caso di crisi di tristezza.
 
Si alzò dalla panchina, con un leggero scatto. Sì, forse quello era proprio un momento di quelli giusti, per regalarsi un po' di dolce..
 
- Jess..
La voce era scura, oltre le sue spalle. E tremava leggermente, come avesse avuto paura di affrontarla. Si voltò di tre quarti, incontrando quel completo scuro e mantenendosi impassibile.
- Sapevo di trovarti qui.- l'uomo le arrivò di fronte, e non sembrava una maschera, l'espressione costernata che gli dipingeva il viso. Sollevò le spalle, svogliata, accennando ad allontanarsi.
- Aspetta.- quello le era arrivato addosso, osando trattenerle un braccio ma senza forzare troppo, costringendola comunque a fermarsi e voltarsi - io.. io ci ho provato.
- Non dovevi farlo.- replicò lei, grigia.
- La mia offerta è ancora valida.
- Non verrò a vivere a casa tua, James. Non la voglio, la vostra elemosina.
- Lui non lo sa. Non sa niente, di questa cosa. Ho.. ho accennato alla sua compagna soltanto che c'è una.. una persona che sarebbe rimasta senza un posto in cui stare, con le demolizioni. Una persona a cui tengo. Lei.. ha provato a smuovere le acque, ma nessuno fra i nostri contatti aveva intenzione di cedere gratuitamente una casa.. e..
-..Vi è venuta l'idea di rispedirmi nel Jersey. Come i pacchi postali. Un problema in meno, visto che non mi potevate comprare.
- Non ti.. non sto cercando di comprarti, Jessica! Lo capisci, o no? - lui alzò appena il tono della voce, tornando ad arginarla subito dopo e piegando lo sguardo da un lato prima di riuscire a riappoggiarlo su di lei - sei.. sei la prima volta in cui ho fatto di testa mia, ok? Non dovresti neanche esistere, sei una distrazione.
- Un motivo in più per lasciarmi in pace.
- Jessica..
- Non esisto, James. Non sono mai esistita, cancellami dalla tua vita e non provare più a cercarmi o a comparirmi davanti al Café.
 
Non gli aveva dato modo di rispondere, voltando i passi e congelandolo in quell'angolo di Central Park.
Il cellulare squillava, nella tasca della giacca. Un sospiro, prima di raccoglierlo e rispondere:
- Sì, signore.
 
Cancellami..
 
Perché.. perché non ci riesco, Jess? Che diavolo mi hai fatto?

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Capitolo 9
*** Last Night ***


Per tutto il resto, MasterStark c'era davvero. La safe house era piccola, ma ognuno dei componenti della sua nuova famiglia ci aveva voluto portare qualcosa, per farla apparire meno impersonale e fredda. E Sara si era premurata di farle trovare pure un lampada MilleStelline.
- Benvenuta alla dimora dei mostriciattoli.- aveva aperto le braccia, invitandola ad una pausa caffè. L'aveva accettata solo a patto che l'argomento del giorno fosse l'urgenza crescente della propria missione.
Che intendevano fare, nei confronti di quel bastardo mafioso speculatore che si credeva un buon samaritano? Come si sarebbe mossa la squadra, ora che i palazzi cominciavano a venire giù per davvero, e tutti quelli che si opponevano venivano soppressi senza mezzi termini?
 
Ho trovato una pista. Una pista solida.- le aveva detto Karen. Le aveva messo addosso i brividi anche solo all'ipotesi, di scrivere l'articolo che aveva deciso insieme a Ben.
- Non fare niente. Ci pensiamo noi.- le aveva risposto, sperando di tenerla al sicuro.
- Mi dispiace, Stella. Il tuo.. team di supereroi non ha ancora dato un risultato concreto. Ed è di quello, che abbiamo bisogno.
- Serve tempo, Karen. Non possiamo osare mosse azzardat-
- E vedere altri palazzi che scompaiono nella polvere come il tuo? Cristo, Stella! Parli come non avessi mai avuto niente da perdere! Sai chi è, che si muove? L'uomo mascherato! Hai provato a mandare i tuoi amici ad aiutarlo?
- Karen..
- No. Stella. Non m'importa. Porterò a fondo l'indagine, col tuo aiuto o senza. Grazie lo stesso.
 
Le aveva voltato le spalle, lasciandola in mezzo alla strada con addosso una voglia tremenda di dirle tutta la verità, almeno per farla smettere di tremare in quel modo quasi isterico.
 
La missione prevedeva la cattura del braccio destro di Fisk. Vivo, da usare come pedina da riscatto e da sottoporre a quella macchina dei ricordi che aveva già dato risultati apprezzabili contro L'Hydra.
 
Adesso doveva solo andarlo a prendere. Basta, rimandare.
 
Natasha s'era mostrata in completo accordo con lei, contro le esitazioni di qualcuno degli altri.
- La sua amica ha ragione. Più aspettiamo, più palazzi crolleranno, più gente perderà tutto quello che possiede, o la vita. Direi che possiamo metterlo in priorità. Sara?
- Ce l'ho a monitor.- la ragazza oltre le sue spalle mostrò l'inquadratura di un salone vestito a festa.
 
Avevano osato invitare anche Tony e il dottor Lawson, nonostante sapessero benissimo che nessuno dei due avrebbe mai appoggiato la causa.
Comunque, rendersi visibili accanto ad un magnate filantropo ed al medico più stimato della città non poteva che fare bene all'immagine d'insieme.
 
Lucas aveva spostato gli occhi in un angolo, emettendo un lunghissimo sospiro. E non avevano ancora varcato il portone.
- Ti vedo motivato.- gli aveva detto Tony, con un pizzico della propria ironia di serie.
- Come sempre.- aveva risposto quello, sistemandosi al collo l'ascot con lo sforzo che avrebbe fatto a liberarsi di un serpente.
- Stavolta non troverai coccodrilli con cui chiacchierare.
- Infimi midgardiani a iosa, invece.
- Non me la sento, di darti torto.- Tony era stato sorpreso dai convenevoli di un paio di tizi in livrea, Lucas da altri tre o quattro che non vedevano l'ora di presentare le proprie signore e dare inizio alle solite imbrodate sul suo lavoro all'ospedale.
 
C'erano giorni in cui rimpiangeva di essersi incatenato col sigillo. Questo ne era l'esempio perfetto.
 
- Siamo dentro.- una volta finalmente solo, aveva accettato un bicchiere di champagne e l'aveva trattenuto fra le dita, fingendo di partecipare con ammirazione al discorso di Wilson Fisk.
- Lo vedo, doc. - gli aveva risposto Natasha, dall'altra parte.
- La signorina?
- Temo non potrà entrare. Guardie dappertutto, neanche fosse il presidente.
- Più scorta, più paura.
- Tu non hai mai viaggiato coi gorilla, vero?
- No, di solito amo condividere questi momenti con uno scimpanzé.- la sentì ridere, e piegò appena le labbra all'indirizzo di Tony, che aveva deciso di mettersi a fare il caro buon vecchio Pagliaccio Stark giusto per distrarre i presenti dal suo comunicare con l'esterno.
Lo vide strizzargli l'occhio, scosse la testa in un sospiro.
 
All'improvviso, rumore di bicchieri infranti. Persone che cadevano a terra, senza alcun motivo ragionevole. L'istinto del medico che prevaleva sul resto, anche sul seguire i movimenti di Fisk e dei suoi uomini.
 
Avvelenamento. Sintomi più che chiari, la causa forse quel bicchiere di champagne che non aveva fatto in tempo a consumare.
Poco male. La sua natura di gigante di ghiaccio l'avrebbe reso comunque immune dalla triste fine che avevano fatto almeno in tre.
 
Una delle vittime del veleno sembrava essere la compagna del gigante speculatore; ecco il perché del fuggi fuggi del suo seguito e della scorta. Qualcuno iniziava ad ipotizzare che quella fosse stata un'azione terroristica volta a minare il suo progetto grandioso e caritatevole.
 
Lucas voltò le spalle a quella sala con l'ennesima smorfia, stavolta condita di dolore.
 
La notte era scura, senza stelle.
Cattivi presagi, si disse, una volta di nuovo entro le mura della propria casa. Avrebbe potuto scommetterci, che sarebbe stata una notte insonne per lui e la piccola Katie.
 
La poltrona rossa, i suoi minuscoli e silenziosi passi. La sua vocina nel buio.
- Un altro sogno, piccola mia..?

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Capitolo 10
*** Fall ***


Una corsa all'ospedale. Controllare la sicurezza, provvedere a tutto come un fedele ed efficientissimo robot.
Ho avvertito il dottor Rosenberg; è sul jet..
 
Lo sguardo del suo capo incollato al profilo della donna che amava, mentre veniva portata via in barella. Il suo respiro spezzato, carico di dolore e di apprensione. L'attesa.
Owlsley e il suo fastidiosissimo e continuo ronzare.
 
Gli rispose a monosillabi, per l'ennesima volta, cercando di toglierselo dai piedi con freddezza. Com'era possibile che, in un momento in cui si giocava bianco o nero, vita o morte, quello continuasse ad insistere solo sugli affari e sul dovere di non distrarsi di Fisk? Che senso avevano quei discorsi, in quel posto ed in quel momento?
 
Restare in pace. Il suo capo aveva, mai come adesso, bisogno di stare in pace. Di qualcuno che ne capisse i sentimenti invece che pungere sempre e solo sul denaro.
Che poi in fondo non è tutto, il denaro.. le cose più importanti non si possono comprare..
 
Staccò i passi dalla corsia, passò la porta a vetri e raggiunse la caffetteria, poco oltre l'area dedicata al reparto di pediatria.
Appoggiata in un angolo, una lampada proiettava verso il soffitto una scia di luminose e minuscole stelle.
 
Un sospiro, ringraziando appena il tizio del bancone e raccogliendo il suo caffè. Caldo, fra le dita. Ricordi e malinconia, mescolati con i suoi passi di ritorno.
Chissà che fine hai fatto, anche tu.. se sei al sicuro, o no. Magari sei al freddo, e avresti bisogno anche tu di un caffè. Come lui. Adesso è lui, quello che ha bisogno del mio aiuto. Forse lo rifiuterà, come hai fatto tu. Magari darà in escandescenze come quella volta in cui ha ribaltato il tavolo da pranzo. Forse no. Adesso ha comunque bisogno di me.
 
Tese il bicchiere, il suo capo lo rifiutò con la leggerezza di un cenno della mano.
- C'è stato un tempo in cui credevo di essere completo.. in cui pensavo di non aver bisogno di nessuno per capire veramente chi sono.- quella voce scura, spalla contro la sua spalla, s'interrompeva a vibrava - se lei muore..
- C'è Rosemberg. E lei è forte.
Gli era venuto d'istinto, intervenire. Com'era successo con quella ragazza, a due passi da quel minuscolo appartamento che presto sarebbe scomparso.
 
Come se di nuovo l'altro sé stesso, quello fatto di carne e sangue invece che di rocce e ghiaccio, fosse sfuggito alle catene.
 
Adesso non aveva davanti un superiore, l'uomo a cui obbedire, ma solo e semplicemente un amico. E lui non era la prostituta in giacca e cravatta.
Solo una spalla su cui contare.
 
Un'altra volta, ascoltato forse per metà. Fisk parlava del destino, poi di trasferire denaro e programmare la messa in salvo di Vanessa da qualche parte lontano da lì, quando e se fosse riuscita a sopravvivere.
 
La ragazza dei muffin gli aveva offerto un tè e gli aveva semplicemente detto di no.
 
Un istante, gli occhi distanti, ad ascoltare. Poi, quelle parole.
- Devi trovare il responsabile. Voglio guardarlo negli occhi.. quando concimerò la terra col suo sangue.
Aveva deglutito a vuoto, prima di rispondere:
- Ho capito.
 
Allontanare la donna che amava, l'unica soluzione per tenerla al sicuro. Adesso nella voce del suo capo c'era dolore, un dolore immenso.
- Dubito.. che sia quello che vorrebbe.
- Difficilmente otteniamo quello che vogliamo. Non in questo mondo.
- Ma.. alcuni di noi lo meritano.- gli venne d'istinto abbassare il viso a terra.
- Grazie.- mormorò Fisk, dopo aver lasciato morire chissà quali altre parole fra le proprie labbra. E s'era allontanato, verso il medico che gli portava buone notizie.
 
Vanessa era forte. Vanessa sarebbe sopravvissuta. Perché lo meritava. Perché era giusto così.
 
Un sorriso stirò appena le sue labbra. Raccolse i passi, li voltò verso l'uscita.
Aveva ancora troppe cose, da fare.
 
Un paio d'ore, movimenti monetari effettuati, documenti pronti. Aveva telefonato ad un paio di contatti, in cerca di tracce che potessero ricondurre i giapponesi o Madame Gao a quanto accaduto nell'hotel. Un movente, qualcosa. Quanto bastava per smuovere le acque e poter comunicare un risultato.
 
Adler era il più fidato fra i suoi informatori. Lavorava in polizia da trent'anni, conosceva palmo a palmo l'intero quartiere di Hell's Kitchen. Gli venne quasi naturale, provare a chiedergli qualcosa di più.
- Steven, un'ultima cosa.- aveva ridotto la voce ad un sottilissimo filo scuro, passeggiando lentamente lungo il corridoio del reparto - devi cercarmi una persona. Una donna, Jessica Barlow. Lavorava all'Essen Café, sulla Madison.
- Ha a che fare con gli avvelenamenti? - gli aveva risposto quello, prendendo nota.
- No. Altre questioni.
- Non è detto sia facile, specie se è incensurata. Comunque posso provare. Non ti prometto niente.
- Ti richiamo.. più tardi.- chiuse la telefonata, frettoloso. Il suo capo usciva da quella stanza, non c'era tempo per le questioni personali.
- Ha chiamato mia madre; puoi.. richiamarla per chiederle di cos'ha bisogno?
- Me ne occupo io.- aveva annuito. L'aveva lasciato rientrare, gli aveva tolto dai piedi Owlsley e quel suo fastidioso insistere con l'importanza degli affari. Ed aveva trovato un ritaglio di tempo per raccogliere il cellulare e fare quella telefonata.
 
Il destino.
 
Avrei dovuto scegliere una strada, altrimenti il destino.. l'avrebbe scelta per me.
 
- Marlene.. posso fare qualcosa per lei?
 
La signora non era più a posto con la testa, da molto tempo. Però qualcosa in lei era rimasto stranamente lucido, e quel qualcosa ora si traduceva nelle parole gentili e leggere che gli rivolgeva da oltre il telefono.
Aveva ricevuto una visita. Una visita che sembrava averle fatto piacere, dato che aveva appena chiamato il figlio per parlargliene.
 
La visita di due persone che sembravano conoscerlo.
Un uomo, non meglio descritto. E una donna. Una giovane donna bionda molto carina e gentile.
 
L'effetto di una fiamma che gli saliva lungo la spina dorsale.
 
Karen non se n'era neppure accorta. Quella triste serata l'aveva trascinata al solito bar, ad annegare in una bottiglia di scotch il dolore e la tristezza.
 
Stella s'era opposta a Fisk e la sua casa era andata in briciole. Helena si era opposta come lei ed era stata uccisa. I suoi migliori amici avevano litigato per un motivo a lei del tutto ignoto e non si parlavano più. Colpa anche quella di Fisk? Forse. L'unica certezza era che neanche quanto scoperto sul suo passato dalla voce di sua madre sembrava poter essere usato contro di lui.
 
Forse Stella aveva ragione. Aveva corso troppo, e questo era il risultato. Un unico, gigangesco e misero fallimento.
 
Destino.
 
Forse sarebbe carino se tu e Matt la piantaste con le vostre cazzate e trovaste il tempo per fare qualcosa.. prima che ad Hell's Kitchen non rimanga più nulla da demolire..
 
S'era sfogata, con la voce venata dal pianto. Foggy non aveva fatto molto più che annuire, con lo sguardo al bancone.
Aveva provato a telefonare all'altro, incontrando il gelo della segreteria telefonica. Aveva chiamato Ben, gli aveva chiesto scusa per averlo trascinato in quell'avventura. Aveva ascoltato la sua voce, ci aveva trovato quel pizzico di sollievo di cui aveva bisogno.
 
Non era riuscita ad oltrepassare il portone.

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Capitolo 11
*** Silence. Death. Life ***


- Io dico che non sarete più migliori amiche, quando lo verrà a sapere.
La voce di Nat non tradiva tutto il suo disappunto, accompagnando i movimenti sicuri di chi è abituato a guidare auto sportive.
- Non lo verrà a sapere.- sbuffò Stella, seduta al suo fianco, artigliando le dita alla maniglia di sicurezza ogni volta che il mezzo curvava. Le labbra della coach erano piegate in un sorriso al pepe.
- Oh, Nat! Non sai neanche il significato, della parola migliori amiche! Se anche lo venisse a sapere, che le ho installato una cimice nel tablet, ci passerà sopra. E' per una giusta causa, e poi.. e poi è lei, quella che mi ha rimproverato perché non prendiamo le sue indagini sul serio!
- Ma noi le abbiamo prese.. sul serio. Solo che il suo correre senza alcuna cautela non la porterà a nulla di buono.
- Su questo siamo d'accordo. Sono preoccupata per lei, è tutta la mattina che provo a chiamarla, ma il cellulare sembra andato.- il viso di Stella si fece scuro, rivolto oltre il finestrino.
- Avrà dormito in ufficio; non è la prima volta, che capita. Né la prima volta che subisce un lutto e ci beve su. Voleva bene ad Helena, come ne vuole a te. Fondamentalmente, quello che fa lo sta facendo per.. vendicarvi.
Le spalle di Nat si sollevarono appena, lei rispose con un lunghissimo sospiro. La ricetrasmittente emise un richiamo in codice.
 
Le due donne scambiarono una brevissima occhiata.
- Sara?
- Ho aggiornamenti.- rispose quella voce, spiccia, dall'altro capo.
- Hai trovato Karen?
- Meglio. Ho localizzato l'obiettivo. Avete l'ordine di procedere.
Nat annuì, come se la collega potesse vederla, prima di mormorare:
- Ok. Passo e chiudo.
 
Facile. Come bere un bicchier d'acqua.
La sua smorfia parlava chiaro, ora che restavano in attesa, appollaiate sul tetto di un magazzino dei docks, al riparo dalla vista delle almeno dieci guardie armate che circondavano lo stabile accanto.
- Credo che dovremmo chiamare i rinforzi.- Stella fece appena capolino, per poi tornare al riparo del parapetto.
- No. Niente rinforzi. Non dobbiamo fare rumore.
- E che facciamo?
- Aspettiamo.
 
Adesso qualcosa sembrava muoversi. Si sentiva la voce di un uomo gridare, ma non riuscirono a distinguerne più di tanto le parole. Una delle guardie veniva trascinata fuori a spalla da due colleghi, e caricata su uno dei suv sparsi nel piccolo piazzale.
 
Un istante interminabile, prima che dal magazzino uscisse la figura alta e nera di Wilson Fisk.
- Chiamate il signor Campbell.- disse, all'indirizzo di uno che poteva apparire come il capo della sua scorta.
- Signore.. dovrà essere avvertito anche il medico legale.
- Sì.
- Ha bisogno d'altro, signore?
- No. Solo una cosa..- indice teso, uno sguardo indietro quasi furtivo all'edificio - non lasciate che nessun altro si avvicini. Lasciatelo in pace.
 
Il suono secco di una portiera che si chiudeva, due. Un paio di suv si allontanavano, l'uomo vestito di nero faceva posizionare le altre guardie con semplici gesti.
Natasha spostò lo sguardo sulla collega, ed in quegli occhi Stella vide il gelo delle nevi di Russia.
- Andiamo. O preferisci restare qui?
- No.. arrivo.- la seguì a passi incerti, in cerca di un punto utile per aggirare la barriera di quegli uomini minimizzando i danni ed il rumore.
- Solo perché cominciava a diventarti simpatico, non puoi permetterti di esitare. E' l'obiettivo, ricordatelo.- Nat scavalcò una finestra con l'elasticità di un gatto, andando a poggiare i piedi in un angolo in cui si formava una specie di controsoffitto -..e comunque nessuno ci ha ordinato di ucci-
 
Silenzio. Il silenzio più cupo, intorno a loro. Neppure l'accenno di un respiro.
Nat le rivolse un'altra occhiata, intensa ma interrogativa.
 
Nel cercare una possibile presenza, il suo sguardo aveva incontrato quella sagoma.
 
Maschio, spalle coperte da una giacca scura. Completamente abbandonato su una misera sedia di plastica, a poca distanza da un vecchio tavolo rovinato. Nient'altro, entro lo spazio visivo. Nat scese per prima, forte dell'esperienza e dell'allenamento nel muoversi stealth; avanzò con cautela, fino a raggiungerlo e a scoprirne i lineamenti.
- Ecco. Adesso siamo nella merda per davvero.
 
Sangue. Macchiava quella camicia candida in un terribile disegno. Per un istante, Stella credette di essere sul punto di vomitare.
 
- E' andato.- con freddezza, Nat premette le dita sul collo dell'uomo. Nessun battito.- non ci sarà più utile, ora. A meno che..
 
La piantina era rifiorita. E i tagli sulle mani guarivano, al contatto col suo sangue di piccolo mostro. Sì, ma una piantina è una piantina, e due ferite da niente sono due ferite da niente, si disse. Non stava scritto da nessuna parte che il suo sangue potesse arrivare a tanto..
 
- Beh.. non credo sia impossibile.- dall'altro lato del tablet, il dottor Banner aveva accennato una minuscola smorfia - non abbiamo avuto modo di perfezionare le analisi sul tuo sangue, ma ha proprietà comuni con quello di Sara. Prova..- aveva abbassato gli occhi su qualcosa, poi li aveva risollevati su di lei - prova a somministrare dosi da 20 centilitri, ogni 12 ore. L'attrezzatura dovreste averla. Esegui due dosi; dopo la prima effettua le manovre di rianimazione. E domattina aggiornami. Se non dovessi avere riscontro..- la vide piegare il viso, sospirare pesante - mi dispiace, Stella. So quanto ci tenessi, a sostenere la causa della tua amica.
- Grazie lo stesso, Bruce. Ti terrò informato.
- Che facciamo? - Nat l'aspettava appoggiata allo stipite della porta, a braccia incrociate.
- Seguiamo le direttive. Non c'è altro da fare.
 
Sembrava dormire, steso al centro del letto accomodato in quel bizzarro angolo della safe house. Le mani appoggiate poco sotto le ferite, gli occhi chiusi. Gli occhiali lasciati sul comodino lì accanto, i capelli leggermente spettinati. Effetto collaterale del trasporto.
 
Non era stato per niente facile, portarlo via da quel posto senza che nessuno se n'accorgesse. Ma Nat era una donna dalle risorse pressoché infinite, e dotata di una forza che poco sapeva di umano.
Ne avrebbe riso, in un altro posto, un altro momento. Un'altra situazione.
 
- Dai; coraggio..- la chioma rossa della coach ondeggiava leggera, nel seguire il suo movimento attraverso il letto.
Innestare gli aghi sul braccio della vittima e su quello della donatrice. Fissare gli aghi. Provvedere al posizionamento del tubo conduttore.
 
Un lungo, interminabile istante, prima che il liquido scuro iniziasse a colare via dal braccio di Stella.
 
Arrivato alla dose prefissata, il microaggeggio collegato al suo braccio emise un -bip!-. Stella lo fece scivolare via da entrambi i lati, chiudendo i collegamenti degli aghi. Inginocchiata sul letto, subito oltre quel corpo, Nat sgranchì il collo, prima di tendere le mani ed iniziare col massaggio cardiaco.
Uno.. due.. tre.. quattro..
 
Una sequenza di pressioni, due. Asciugarsi la fronte col dorso delle dita, mentre la compagna pensava allo sgradito compito della respirazione.
Al terzo giro, fece un leggero scatto indietro, costringendo Stella a fare la stessa cosa, per riflesso.
- Che c'è? - quella aggrottò le sopracciglia.
- Ho sentito.. qualcosa.
- Qual-?
Nat le fece cenno di tacere, con un dito teso fra labbra e naso. Respirava. L'uomo steso sul letto respirava, impercettibile. Si piegò ad ascoltargli il petto.
 
Battiti.
 
Sollevò gli occhi, fissando la collega per un lunghissimo istante, a labbra schiuse.
- E brava la mia mostriciattola.- Nat si spostò, incrociando le gambe - adesso aspettiamo.

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Capitolo 12
*** Daylight ***


E' sveglio.
 
La voce appariva quella di una donna. No, erano due; si muovevano intorno al suo perimetro, parlavano di informazioni date da una bambina, di cimici, di obiettivo.
 
Socchiuse appena le labbra, raccolse il respiro.
L'effetto fu quello di risalire in superficie dopo interminabili attimi di apnea.
 
Dove.. dove sono? Che.. che diavolo mi sta succedendo..?
Il respiro si faceva più veloce, affannato. Ed ora subentrava una cosa che non ricordava di aver mai provato.
 
Panico.
 
Dolore.
 
L'immagine di Jessica che arrivava a due passi dal suo viso, gelida come il bianco di quella specie di stanza. Le labbra che provavano a lasciar uscire il suo nome.
 
Jessica è morta. Come te.
 
- Ti.. ti prego..- tese le dita quanto glielo permetteva il briciolo di forza che gli era rimasta.
La donna fermò i propri passi, gettò nell'immondizia il tubicino che aveva usato per ripetere l'operazione che gli mandava in gola il cuore.
- Devo farlo. Una ogni dodici ore, fino a quando non starai in piedi.- replicò, in un soffio, voltando le spalle ed accennando ad uscire.
- Perchè..?
- Perché i nemici ci servono vivi.
 
Un mugolio, soffocato, restando a guardarle le spalle fino al vederle scomparire oltre la parete.
E fu buio e poi di nuovo luce. La donna ritornava, ripeteva quell'operazione, le fitte di dolore diventavano sempre meno lancinanti, i suoi occhi e la sua testa sempre più lucidi.
 
Jessica. O come voleva che la chiamasse. Non sapeva perché lo facesse, se fosse reale o soltanto un'allucinazione. Non aveva la forza di parlarle, di muoversi, di fare nulla oltre all'osservarla in quei gesti meccanici.
 
Come avesse eseguito soltanto degli ordini.
 
Come aveva sempre fatto anche lui.
 
Era di nuovo luce, grigia di un mattino senza sole, quando osò qualcosa di più.
La lasciò fare, ma non appena ebbe il tubo legato all'ago sul braccio, provò a spostarsi e la donna gli tese le dita contro il petto:
- No.
- No..?
- Non devi muoverti. Non finché il ciclo non è completo.
- Perché..?
- Te l'ho già detto, il perché. Ci servi vivo; le informazioni che hai-
- No..
- Collaborerai, che tu lo voglia o no.
- Perché.. tu..?
- Eri il mio obiettivo, ed io sono un agente dello Shield.
- Questo..? - lui accennò al braccio.
- Inumani. Ci chiamano così.- lei si chinò appena, seduta sul bordo del letto, spostando lo sguardo su quello dell'uomo - non ci avrei mai creduto, solo un anno fa. Posso farlo.- sollevò appena il proprio, mostrando ago, fasce e tubicino - ti hanno ucciso. Ti hanno scaricato addosso un caricatore intero. Sono riuscita a farti tornare indietro.
A quelle parole, le sembrò perdere completamente il respiro, mentre la fissava allucinato.
- Un paio di dosi ancora, e dovresti sentire formicolio, invece che dolore. Significa che le ferite sono rimarginate.
- Jess..
- Stà tranquillo..- si piegò in avanti, quasi sfiorando quel viso col proprio - sei al sicuro. Presto starai meglio.
 
L'aggeggio legato al braccio della donna emise un leggerissimo -bip!-. Lei si allontanò, disconnettendo il sistema e fasciando con nuove bende le braccia di entrambi.
 
Tese di nuovo le dita, emettendo un lamento, leggero. Riuscì ad ottenere quello che voleva.
- Non devi muoverti.- la donna tornava al bordo del letto, e per un attimo gli sembrò di rivedere in lei la dolcezza di quella sera in cui l'aveva lasciato entrare nel piccolo nido che presto sarebbe andato in briciole.
- Mi.. mi dispiace..- mormorò, fioco.
- Eseguivi gli ordini.- sospirò lei, lasciandosi cadere sul bordo del letto - come me.
 
Le rispose facendo cenno di no con la testa, lentamente.
- Non hai sempre soddisfatto i desideri del tuo padrone? - quella voce si velò di grigio - ha finito per farti del male.
Lui ripeté quel cenno, spostando gli occhi lontano da lei:
- Sono.. stato io..
- Non ti sei sparato da solo. Angolazione e distanza non-
- Karen.. Page..
 
Vide la ragazza ritrarsi come un gatto davanti all'acqua, al solo sentir pronunciare quel nome.
 
Che le hai fatto?
 
Una manciata di colpi la fece trasalire, cercare la pistola. Qualcuno bussava alla porta, sempre più insistente. Tese le dita, come a volergli dire di aspettare, lo vide chiudere gli occhi. E lasciò la barriera protettiva di quello strano cubo bianco che Nat si ostinava a chiamare camera da letto di design.
Si avvicinò alla porta, silenziosa e mantenendosi laterale. E riuscì a sentire quella voce.
- Stella! Stella, ti prego..
 
- Che diavolo..?!
All'aprirsi di quella porta, Karen volò letteralmente fra le sue braccia.
- Ti prego.. ti prego, lasciami entrare, fammi stare qui..
- Karen, si può sapere che ti succede? - la spinse dentro, dopo aver dato un'occhiata lungo il corridoio ed essersi assicurata che non ci fosse nessuno - sono almeno quarantott'ore che ti cerco! Dov'eri finita?
- E'.. è successa una cosa.. ho bisogno di nascondermi; io.. se scopre cosa ho fatto..- la ragazza prese a muoversi, compulsiva, agitando le mani avanti a sé - è.. è stata una fortuna, incontrare qui sotto la tua amica; lei..
- Nat?
- Quella coi capelli rossi.. mi.. mi ha preso e spinto dentro il cancello; io..
- Se ti sei presentata con quella faccia, avrà pensato che ti stesse inseguendo l'Hydra, o qualcuno del governo.. oddio, hai mangiato quelle capsule anche tu? Ti avevo detto di non-
- L'ho ammazzato.- rispose quella, fissando il pavimento, tutto d'un fiato.
- Aspetta.- Stella tese le mani e le raggiunse le spalle - calmati. Respira. Hai ammazzato chi?
- Il.. il tizio che lavora per Fisk. Il suo vice, il suo braccio destro, chiamalo come vuoi. L'ho..
 
La voce ora le si rompeva in singhiozzi, e a Stella non restò che lasciarsela scivolare contro la spalla.
- Non.. Karen, siediti. Prendi un bel respiro e raccontami tutto, ok? Hai parlato con i ragazzi?
- No; io.. ha ucciso Ben, Stella.. l'ha ucciso perché ha saputo che siamo stati ad indagare da sua madre.. e poi ha mandato il suo uomo ad eliminare anche me.. lui.. lui mi ha minacciato, con una pistola.. ha detto che avrebbero ucciso tutte le persone a cui tengo, e poi.. i ragazzi non sanno nulla, non.. non ho avuto il coraggio di parlare con loro; è..
-..Complicato, quando all'improvviso ti trasformi in un mostro.
- Stella.. quell'uomo.. era.. era così.. poi è squillato un cellulare, lo ha distratto, e io..
 
Fruscio di passi, oltre le mani dell'amica che le trattenevano le spalle per calmarle il respiro, oltre la sua schiena. Una voce scura, che leggera come le foglie al vento pronunciava il suo nome. Quello usato per la copertura.
 
Karen sollevò lo sguardo, e per un istante, un solo e lunghissimo istante, sentì come se la terra si fosse aperta sotto i propri piedi.
 
Jess..
 
La ragazza spostò gli occhi da quelli totalmente sgranati dell'amica, torcendo il busto e trovando l'immagine del prigioniero, in piedi accanto al confine fra il cubo bianco della stanza da letto ed il resto del mondo.
- Che..? Che diavolo-? - si sollevò di scatto, abbandonando le spalle di Karen per andare a raccoglie le sue, prima che crollassero a terra.
- Jess..- mormorò quella voce, scura e ridotta ad un filo, contro il suo collo - sanguinano..
- Ti ho detto almeno mille volte che devi restare a letto, finché non sarai pronto per stare in piedi! Parliamo due lingue diverse anche in questa, di vita?
 
Lo sentì sorridere, nascosto contro di lei. Poi abbandonare totalmente quel briciolo di forza rimasta, e sciogliersi come neve al sole.
- James..! - l'unica cosa che riuscì a fare fu accompagnarne l'accasciarsi a terra, prima di rivolgersi all'amica - aiutami!

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Capitolo 13
*** What About Now..? ***


- Beh, vedila così. Nessuno ti accuserà di omicidio, stavolta.- Nat appariva sarcastica, braccia incrociate e spalle al muro, osservando il viso ancora rosso e sconvolto della biondina.
- Si può sapere che diavolo-?
- Ci serve vivo.- quella si staccò dalla parete, avanzando verso il letto e sospirando - non è vero che non stiamo facendo niente. C'è un'altra pista, contro Wilson Fisk, sai. Molto più sicura e più efficace. Serve più tempo per raccogliere tutte le prove, ma non seminiamo morti come hai fatto tu con questa stupida caccia alle streghe.
 
Karen abbassò il viso, mortificata, mentre Stella lanciava uno sguardo di rimprovero alla coach, completamente ignorato.
- Il progetto. E' la chiave di tutto quanto.- ora Nat era quasi al centro di quella strana e minuscola stanza, tratteneva le braccia salde al petto ma non appariva affatto ironica, osservando l'uomo che la ricambiava debolmente dal letto - la fondazione Stark è stata coinvolta, poco più di due anni fa, in un progetto di riqualificazione dell'area sventrata dalla battaglia di New York. Atto dovuto, probabilmente, dato il nostro piccolo contributo. Fatto sta che il progetto è partito, è stato lasciato avanzare, è stato illustrato e discusso, e poi è scomparso nel nulla per far posto alla demolizione incontrollata proposta da Fisk. Proposta.. beh, è improprio. Direi piuttosto.. imposta. Da lui, ma soprattutto dal senatore Cherryh. Fino ad ora, la documentazione in nostro possesso era praticamente inutilizzabile; ma oggi è un giorno nuovo.
Stella aggrottava le sopracciglia, aspettando una spiegazione.
- Giusto. Tu sei confinata qui dentro da settantadue ore, non lo sai.- Nat le si rivolse con una leggerissima alzata di spalle, indicando poi l'altra - il vostro amico bendato ha ridotto Fisk un colabrodo, e l'ha fatto arrestare. E' iniziata la mattina in cui abbiamo portato lui qui.- accennò all'uomo - il poliziotto ha parlato. Hoffmann. L'hanno trovato, ha parlato. Aveva un sacco di cose da dire. Ma la sua testimonianza potrebbe comunque non bastare, quindi.. lui ci serve vivo. Abbiamo un sacco di carte, da esaminare.
- Sai meglio di me che non ci darà il suo contributo volontariamente.
- Abbiamo sempre una macchina dei ricordi da parte, mia piccola mostriciattola. E poi tu sei la donna che gli ha salvato la vita..
 
Luce, di nuovo. Ancora grigia e carica di pioggia, sulla città.
 
Arrestato. Il suo datore di lavoro era stato arrestato, insieme a quanti erano rimasti, vivi, fra i suoi complici nell'ambizioso e folle progetto di risanamento della città.
 
Risanamento. Distruzione.
 
Provò a sollevarsi da quell'angolo di letto, muovendosi in modo da limitare le fitte di dolore contro il petto.
Glielo aveva vietato, fino alla fine del trattamento. Al diavolo, lei ed i suoi ordini.
 
Era finito tutto, per lui. Dall'istante in cui aveva messo piede in quel magazzino.
Avresti dovuto lasciarmi morire..
 
La donna non aveva risposto, ed in quel silenzio aveva letto più di un banale stavo eseguendo gli ordini, o sono un agente dello Shield. Gli aveva voltato le spalle, era scomparsa dal suo spazio visivo lasciando al suo posto un brivido.
Un lunghissimo istante, ad osservare le gocce di pioggia rigare la finestra. Poi aveva raccolto ciò che restava delle proprie forze ed era scivolato via dal tepore delle lenzuola.
 
Scappare? Non ne avrebbe avuto energia né coraggio. Non aveva più nulla, oltre quelle mura.
 
Aprì i palmi, appoggiandoli sul freddo dei vetri. Lì fuori, New York sembrava non essersi accorta di nulla; della fine di un uomo, della morte di un altro e di tanti come lui. Non importava perché o per mano di chi, o se fosse giusto o sbagliato.
 
Adesso era tutto finito, e non restava altro che il silenzio.
 
Il vuoto.
 
Avresti dovuto lasciarmi morire..
 
Si voltò appena; la casa appariva vuota, come se l'avessero lasciato libero di decidere, di andarsene e scomparire.
Sul tavolo, addossato al muro dello spazio che faceva da ingresso, cucina e soggiorno, fogli sparsi. Avanzò piano, leggero e a piedi nudi, con addosso la paura di leggere e la curiosità di sapere. Aveva condiviso tutto, con Fisk, per anni. I momenti di gloria e quelli più bui. La rabbia e la tristezza, le battaglie ed i trionfi. Ma quello..
Quello non c'era, nei dati in suo possesso. Non c'era, nel tablet che portava con sé dappertutto.
 
The real power of a man is in the size of the smile of the woman sitting next to him.
 
Un ricordo, apparentemente senza senso, gli affiorò alla mente, mentre raccoglieva alcune di quelle carte. Disegni. Il progetto.
Al posto delle perimetrazioni per le aree da smantellare e concedere ai giapponesi, un profilo e la scritta polo ospedaliero pediatrico. Poco sopra, non meno di due isolati, la casa di Jessica era indicata come ancora esistente; appariva solo perimetrata, come un'altra decina, di viola e con accanto la dicitura ristrutturazione. Altre case apparivano invece cerchiate di verde e indicate come risanamento. Due nuove costruzioni, all'altezza dei capannoni fatiscenti dei docks. Alloggi sociali provvisori. Ancora a lato, mensa dei poveri.
 
Quello era un progetto. Non lo schifo per cui aveva combattuto fino a quei sei proiettili.
 
Un peso, addosso, tremendo. Lo piegò e lo costrinse a sedersi, accanto al tavolo. Solo adesso si rendeva conto di non indossare altro che calzoni da pigiama ed una maglietta.
 
Freddo. Aveva freddo. E probabilmente la temperatura del locale c'entrava per metà.
 
Un sospiro, prima di tendere le dita ed osare raccogliere altri fogli. Conti. Spostamenti monetari, un ammanco nella cassa della Fondazione Stark, piuttosto consistente e legato al nome della Silver & Brent. Motivato come quota preliminare alla progettazione, in realtà fatto sparire con giroconti impossibili mentre il progetto veniva affossato.
 
Una truffa. Di proporzioni colossali, a cui aveva contribuito in prima persona. Per cui aveva dato tutto, ma proprio tutto, senza mai ricevere in cambio niente.
 
Niente.
 
- Una casa. Per una donna. Ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo?
La voce di Fisk risuonava, improvvisa, attirandolo verso il salone dove l'aveva convocato, e dove sicuramente lo stava aspettando per fare il punto della situazione. Quella mattina si sarebbe demolito il blocco 3.
E la voce con cui quella del capo stava duellando era quella, morbida e delicata, della sua compagna.
- Una ragazza che resterà in mezzo ad una strada, sola e senza niente, Wilson..
- Doveva accettare la nostra proposta.
- Per farne cosa, di trentamila dollari? Se non ti sembra giusto fare un'eccezione per lei, pensa alla tua immagine.. e a quanto ne gioverà, di fronte all'opinione pubblica. E' sola, com'eri tu alla sua età.
- La mia immagine non ha bisogno di una stupida cameriera. Vive in quel quartiere, è marcia come tutto e come tutti. Non c'è posto per queste-
- E allora fallo per Wesley.- la donna lo aveva interrotto, mandando a lui, fermo spalle al muro oltre l'angolo del corridoio, il cuore diretto in gola - sembra tenerci molto, a quella ragazza. Lui ha sempre dato tutto, per te. E' più che un dipendente, che un assistente. Non è venuto il momento di fare qualcosa per lui?
 
La risposta era arrivata dopo lunghissimi istanti di silenzio, in cui era rimasto ad aspettare, sempre nascosto dall'ombra e quasi trattenendo il respiro.
 
Certo, che lo farò, qualcosa per lui. Quella donna è una distrazione. E noi non possiamo permetterci distrazioni; non ora.
 
Aveva aspettato ancora, prima di entrare in scena fingendo di essere arrivato solo in quel momento, a conversazione conclusa.
 
L'aveva fatto, qualcosa, Wilson Fisk: biglietti per un autobus per il Jersey. Per togliersi quella donna definitivamente dai piedi. E forse no, non c'era solo un grazie, fra le parole da dire seduto al suo fianco sulle sedie dell'ospedale. Forse c'era anche un perdonami, ma gli era morto fra le labbra. E comunque adesso non contava più niente.
 
Lo scatto della porta che si apriva lo sorprese come un ladro con le mani nel sacco. Sollevò gli occhi, ed incontrò il sospiro sconfitto della sua agente di custodia. Le rivolse un cenno, osò un sorriso. Lei scosse appena la testa e si diresse al frigorifero, sganciandoci sopra in malo modo la borsetta che aveva con sé.
- Giurami che non mi punirai..- quella voce scura la raggiunse alle spalle.
- Mi sono rassegnata da un pezzo, James. E probabilmente non dovrei neanche prendermela più di tanto; se sei arrivato al tavolo, sei in grado di stare in piedi. Non hai più bisogno di me.
 
Stanca. Appariva stanca, debole. Come se con quelle dosi di sangue si fosse privata di un po' di vita per darla a lui.
 
Per darla a lui..
 
Arricciò le labbra in un minuscolo broncio, continuando a fissarla da lontano.
- Stai bene? - le chiese, all'improvviso.
- Io no; tu? - lei fu diretta, quasi brusca. Mise il cibo al proprio posto, chiuse il frigo e si diresse verso il letto, dopo un'occhiata distratta all'orologio che portava al polso - alzati; è ora della dose.
La raggiunse, la vide lasciarsi cadere sul bordo, prima di raccogliere l'attrezzatura. E non oltrepassò il confine di quella stanza improvvisata.
- No.
- OH. Adesso un prigioniero ha il diritto di decidere.- lei sciolse il tubicino e tolse le fasce dal braccio, senza nemmeno guardare l'uomo che le stava di fronte.
- No. Basta. Ora sei tu, che non stai in piedi. Questa cosa non è.. non è normale.
- Già. Sono un mostro, un'aliena. Ci sei arrivato anche tu.
- Jess..- lui osò sedersi al suo fianco, spalla a spalla, trovandola scura e più debole di quanto appariva da lontano - o come diavolo ti chiami. Basta.- tese una mano, le strappò il tubo dalle dita e lo gettò lontano - hai ragione, non ne ho più bisogno.
- Ok..- lei emise un sospiro, tendendosi a raccogliere il cellulare.
- Che diavolo-?
- Chiamo. Che vengano a prenderti.
 
Le tolse dalle dita anche il telefono, lasciandolo cadere oltre il letto, prima di chiuderle i polsi fra le proprie mani ed attirarsela addosso contro le lenzuola.
- Qui. Ferma. E' un effetto collaterale, vero?
- Co-cosa..?
- Questo. Sembra tu abbia trasferito la tua energia, col tuo sangue. Lo sapevi?
 
Gli rispose facendo cenno di no con la testa, lentamente.
 
- Da quando.. da quando sei così? Che cosa..?
- Quasi un anno. Non so se hai letto i giornali, ultimamente..- replicò lei, ironica, senza alcuna paura di sfidare il suo sguardo - a parte le pagine che riguardavano voi mafiosi, ovviamente.
Lui aggrottava le sopracciglia; non ricordava notizie che parlassero di donne dal sangue miracoloso. O alieni. Non dalla battaglia di New York.
- C'è qualcosa. Si diffonde tramite capsule di olio di pesce, infettate non si sa come. Allo Shield me l'hanno spiegato, ma ero in totale confusione, e..
- Quindi non sei nata così.
- Beh, come tu non sei nato stronzo arrivista.
Le labbra dell'uomo si contrassero in una minuscola smorfia, mentre le sue mani non mollavano la presa di quei polsi sottili e, ora che ci faceva caso, tendenti al caldo più dei propri.
- Cioè.. sì, sono nata così. O meglio, possiedo dei geni alieni dormienti. Credo. Non ho mai approfondito il discorso, ero troppo presa dal cercare un lavoro, dal sopravvivere in questo, di pianeta.. è stato.. come prendere uno schiaffo in piena faccia, hai presente?
 
Lui ora faceva cenno di no con la testa, e sorrideva, leggero, reggendo tranquillamente quello sguardo di ghiaccio.
- Non hai mai preso un ceffone. Oh, ma che parlo a fare. Sei il pupillo dell'uomo più potente della città; al massimo-
- Sei pallottole.- lui le tagliò le parole, sollevando appena le spalle - che vuoi che sia.
- Ok. Diciamo che l'effetto è quello lì. Una botta. Dolore. Per me è venuto dopo un gran formicolio ovunque. Poi.. panico: le gambe e le braccia stavano diventando.. come.. come di pietra. Credo di essere svenuta, perché mi sono risvegliata stesa sul tappeto. Normale, come prima. Solo un po'.. stanca. Ho pensato d'aver sognato. L'unica cosa che non mi tornava era tutta quella sabbia nera accanto a me.
- E poi?
- La piantina sul davanzale è rifiorita al solo contatto con un paio di gocce di sangue. E' lì che mi sono spaventata da morire. Forse più di quando mi sono trovata tre loschi figuri del governo in casa, che volevano la mia testa.
- La tua-?
- Non la mia testa nel senso letterale. Volevano me. Per fare.. degli esperimenti, credo. Anche su questo ho avuto da ragionare allo Shield.
- Come hai fatto a finire allo Shield?
- A dire il vero, io sono scappata alla Stark Tower. Lì ho incontrato una donna; la moglie di un medico.. Lawson, credo tu l'abbia sentito nominare - lo vide annuire di nuovo, però serio - ho.. ho impedito che sua figlia finisse sotto un furgoncino attraversando la strada; lei mi ha ringraziato, a differenza di qualcun altro.
- Io ti ho proposto il mio aiuto, in cambio. Hai detto no.
 
Stella fece cenno come a scacciare un moscerino.
- Lei.. mi ha stretto la mano e.. è come se avesse sentito in me uno strano calore. Io l'ho sentito in lei. Mi ha accompagnato alla Tower.
- Il calore che sento io adesso toccandoti?
- Perché, è strano? Io non..- lei si sollevò a sedere, senza però sciogliersi da quel legame.
- Sembra tu abbia la febbre.
- No; questo non è normale.- lei lasciò che lui le arrivasse a fianco - nessun altro lo può percepire; possiamo farlo solo..
 
Lo notò a malapena, il movimento improvviso degli occhi dell'uomo, da lei alla finestra. Un decimo di secondo, e l'aveva spinta a terra sotto il proprio peso, mentre intorno era tutto un rumore di vetri infranti ed un sibilare di proiettili.
- Malediz-! - provò ad opporsi, a divincolarsi, ma James la tratteneva continuando a lanciarsi occhiate intorno, come in cerca di una via di fuga.
- Chi sa di questa safe house?
- Nessuno..
- Non raccontare cazzate; chi sa della safe house? E di noi?
- Io.. Nat, il direttore.. Kate..
- Ecco.
- L'hanno..?
- L'avranno seguita, la tua amica. Ha il brutto vizio di..- lui si mosse appena, e nello spostarsi scoprì sul fianco della ragazza una ferita che sanguinava - merda. Ti hanno preso. No; non hai i riflessi. E' quella cosa del sangue, se lo cedi ad altri, alla lunga ti toglie energie.
- Sei-?
- No, niente laurea in medicina. Ma scotti; come se avessi la febbre. Dobbiamo uscire da qui.
 
Lo sguardo verso la porta, il rumore secco ed improvviso della serratura che cedeva sotto un calcio ben piazzato.
L'immagine di un uomo totalmente vestito di nero.
 
Viso coperto per due terzi da una mascherina, nera anche quella. Un orribile contrasto con occhi di ghiaccio, quasi nascosti sotto ribelli ciuffi castani.
 
Un braccio metallico.
 
Aveva dedicato loro un brevissimo sguardo, prima di rivolgersi alla finestra semidistrutta e completandone la triste sorte con una raffica di mitra. Solo allora, cessato ogni rumore, aveva levato il passo nella loro direzione.
 
La prima cosa che gli era venuta in mente era stata sollevare il braccio, quello ancora armato dell'ago. Tendere le dita come a volersi difendere, mentre col resto del corpo faceva da scudo alla donna. Mossa razionalmente inutile, Wesley. Questo ha un fucile.
 
- Tutto ok? - la voce dell'uomo in nero lo sorprese del tutto, spiazzandolo.
E non era neppure rivolta a lui.
 
- Sì, sergente.. grazie..- la ragazza provava a rialzarsi, bloccata a metà movimento da una fitta di dolore contro il fianco.
- Sanguini, bambina. Aspetta. - l'uomo s'era chinato, l'aveva raggiunta e sollevata fra le braccia come una piuma - lui..?
- Può camminare.
- La medicina ha funzionato.
- Non con me.- aveva replicato lei - mi..
- La indebolisce.
- E' il suo sangue. E' una donna, non un distributore automatico.- replicò quello, come fosse stato più che ovvio, prima di muoversi indietro verso l'ingresso - andiamo.
- Il.. il progetto.- il prigioniero ora sollevava lo sguardo, senza trovare sul tavolo più che una matita.
- L'ha salvato la Vedova. Andiamo.

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Capitolo 14
*** Black. White. Gray. ***


Li avevano separati, appena usciti dall'edificio, lasciandolo disorientato, quasi stordito.
 
Adesso non hai più punti di riferimento, Wesley.
 
Cosa.. cos'avete intenzione di fare, di me?
 
Tre suv, neri, in fila lungo una stradina secondaria. L'uomo col fucile -un militare? Un altro agente Shield?- appoggiava la ragazza dentro il primo, muovendosi poi intorno e salendo a bordo dall'altro lato.
Accennò a seguirlo, ma due paia di mani decisamente robuste glielo impedirono.
Altri uomini. Due, non meno neri e minacciosi. Forse più di quelli a cui era abituato come scorta, una vita fa.
Uno lo arginava, l'altro gli arrivò incontro e lo costrinse con un solo gesto del viso a prendere posto sul terzo ed ultimo veicolo. Con loro. Eseguì l'ordine implicito senza fiatare.
 
I tre suv seguivano lo stesso percorso, mantenendosi in fila a velocità neanche troppo sostenuta. Dovunque l'avessero portato, lì avrebbe ritrovato anche lei, prima o poi.
 
La corsa terminò oltre il perimetro di un parcheggio sotterraneo. Fu solo allora, dopo aver seguito i movimenti intorno agli altri due suv, che osò aprir bocca:
- Cosa volete?
Uno dei due uomini che l'avevano scortato fino a lì lo ignorò completamente, scendendo e facendo cenno a lui e all'altro di seguirlo. Il secondo lo degnò di un solo e leggerissimo sguardo, ripetendo il cenno.
- No. Non mi muoverò da qui finché non mi darete delle spiegazioni.
- Niente spiegazioni, ai nemici.- replicò quello, aprendo la portiera dal proprio lato.
- Credo che invece sia un mio diritto.
- Lo guadagnerai a seconda delle tue scelte, d'ora in avanti.
- Sei molto sicuro di te.
- L'ho imparato a mie spese.- il giovane piegò le labbra in un impercettibile sorriso, e ripeté il cenno non a mò di ordine ma di invito.
 
Wesley aggrottò le sopracciglia. I due uomini si allontanavano, lo lasciavano solo. Come se della sua presenza non importasse nulla a nessuno. Avanzavano verso l'ascensore, in cui il terzo, quello coi capelli lunghi ed il fucile a tracolla, aveva portato la ragazza.
Scivolò fuori dall'auto senza fare ulteriori domande, ma il tizio che gli aveva rivolto la parola lo trattenne mentre le porte si chiudevano.
- Perché? - osò protestare.
- Te l'ho detto; dipende dalle tue scelte.
- Cioè? Collaboro e la rivedo, non collaboro e cosa fate, mi rinchiudete in una gabbia?
-..Si chiama prigione, c'è già il tuo capo.
- Lui ha-
- Qualunque cosa abbia fatto..- quello lo interruppe, aspettando che le porte dell'ascensore si riaprissero per scivolare dentro - sei stato suo complice. Di tua spontanea volontà. Non fai parte di programmi fantasma dell'Hydra.
-..Scusa?
- E' una lunga storia. E comunque riguarda me, non te. Brutto vizio, il mio..- quello osservava il cambiare dei numeri nel display, sembrava interessato a tutto meno che al suo ospite.
 
Piano quarantesimo. Le porte dell'ascensore si aprivano, ed appariva una lussuosa lounge.
L'uomo lo invitò a precederlo, lo lasciò avanzare fino al centro del salone e guardarsi intorno, quasi sicuramente ridendo della sua aria quasi sperduta.
 
Bene arrivato, mr. Wesley. La stavamo aspettando.
 
La voce di un uomo, alle spalle. Si voltò, incrociando un viso ben noto.
- Signor Stark. Perdoni, se non le dirò che piacere.
- Il piacere non è mio.- replicò Tony, avanzando verso di lui, dotato di smorfia ironica di serie e bicchierino di scotch fra le dita - lei perdoni se non offro..- sollevò il bicchiere -..ma dobbiamo prima capire che effetto possono avere gli alcolici sul corpo di un ex-defunto.
- Che effetto vuoi che facciano.- ad una manciata di passi, ecco comparire un altro uomo, dall'aria piuttosto contrariata -..ubriacano. Ma che te lo dico a fare..
- Io lo reggo anche da vivo, Coulson.
- E' come faccia a reggerti tua moglie, il grande perché. Comincio seriamente a capire Loki; e se lo dico io, è grave.
 
Smorfietta di Stark, smorfietta di risposta del direttore dello Shield, che bypassò tutti congedando l'accompagnatore con un cenno del viso, prima di rivolgersi al nuovo arrivato con un pizzico di ghiaccio e cortesia in più rispetto al padrone di casa.
- Perdoni la pantomima, mr. Wesley. Credo saprà perché è qui.
- Perché avete bisogno di un'arma efficace contro il mio datore di lavoro.
- Beh-
- Che non sarò io. Mi dispiace.- Wesley voltò le spalle ed accennò a tornare verso l'ascensore.
- Non ha neppure dato una sbirciatina, al progetto?
 
Quelle parole lo bloccarono con le dita tese sulla tastiera di chiamata.
 
- Strano; secondo il nostro agente, non sembrava del tutto indifferente..
- Non l'ho incontrata per caso, vero?
- No.
- Quindi.. faceva tutto parte di un piano. Anche il suo sangue.- continuò Wesley, senza muoversi e continuando a dare le spalle ai due.
- Sul sangue abbiamo dovuto improvvisare. Il piano era quello di inserire la ragazza e catturarla al ricevimento, ma purtroppo..
- E' stata una vostra idea anche.. quello?
- No. Non abbiamo la mente calcolatrice e perfida di mr. Owlsley.
 
A sentire quel nome, il giovane voltò il viso di tre quarti, aggrottando le sopracciglia.
- Già. Non può saperlo; lei era alla safe house, impegnato a.. tornare a respirare. Ricorda cosa le ha chiesto, il suo datore di lavoro, all'ospedale?
 
Sposta i fondi necessari dove serve.
 
Dirò a Leland di-
 
No.. provvedi tu stesso.
 
Abbassò il viso, mordendo appena il labbro inferiore. Fisk sapeva? Sospettava? E cosa?
- Ha.. ha truffato anche lui, come voi, vero? I soldi dei progetti.. Owlsley. Ha fatto sparire qualcosa dai conti; l'ho visto nei documenti che erano alla safe house.
- Prima ha provveduto in accordo con il tuo capo per prelevare da me, con la scusa dell'accordo. E poi ha pensato bene di ripetere il giochetto anche con gli amici.- Tony adesso appariva cattivo, e seriamente innervosito. Il giovane si voltò e incontrò uno sguardo a dir poco nero.
- No.- rispose, provando ad opporsi.
- Il tuo padrino ha proposto un accordo alla Fondazione: il nostro progetto in commissione edilizia al posto delle sue demolizioni, dietro pagamento di un piccolo extra. Settecentomila. Non credo abbia capito il senso delle parole solidarietà, o fondazione no profit. E nemmeno il suo amore per la città c'entrava molto, col concetto di amore.
- Mr. Stark..
- Dovevi leggerli tutti, i documenti, cieca bambola in cerca di padrone. Non solo quelli che facevano comodo a te. Il tuo adorato capo l'ha incassato male, il mio vaffanculo. E così ha deciso di prenderseli da solo, i settecentomila. In accordo con il suo caro socio finanziere. I proventi della droga non erano abbastanza, quelli della tratta delle schiave non erano abbastanza; non lo erano quelli dell'accordo con Nobu né quelli della quota dei russi. Non è mai stato abbastanza. Gli servivano anche quelli destinati ai malati, ai vecchi ed ai bambini della città che dice tanto di amare! E per farci che? Eh, tu che gli pulivi la strada dove doveva camminare, lo sai? Non è possibile che tu non sappia niente! Che percentuale avevi??
 
Adesso Stark aveva azzerato le distanze, arrivandogli direttamente in faccia e sputando fuori tutto l'odio che covava da mesi. Coulson dovette arginarlo, prima che richiamasse un guanto dell'armatura e sfogasse qualche megatone sul petto del giovane: lo raggiunse, lo spinse indietro con cautela, anche per evitare reazioni su di sé.
- Tony.
- Gli è andata bene, che l'ha preso il vigilante. E a te è andata bene che ci servi vivo.- sibilò quello, prima di indietreggiare, lasciando Wesley congelato a due passi dall'ascensore.
- Tu non sapevi nulla, vero? - Coulson lo vide in quello stato, occhi sgranati e respiro rarefatto, e decise di metterci una pezza - fino a dove arrivava, il tuo livello di autorizzazione?
- Non.. non mi ha mai chiesto di controllare i conti, fino.. fino a quel giorno. Non era compito mio.
- E qual'era, il tuo compito?
- Io..
- Gli proteggevi le spalle. Facevi i passi più sporchi come contattare i russi o mediare fra i suoi soci. Un.. segretario speciale. Scommetto che gli facevi da scorta agli eventi mondani e gli davi consigli su come conquistare le signore. Che gli hai dato l'anima, che l'hai creduto un amico.
- Lui.. lui..
- Lo ha mai fatto, qualcosa per te?
 
Certo, che lo farò, qualcosa per lui. Quella donna è una distrazione. E noi non possiamo permetterci distrazioni; non ora.
 
Abbassò di nuovo lo sguardo, trovandosi a deglutire amaro. Vanessa. Solo Vanessa aveva provato a fare qualcosa per lui. Non per dare all'efficientissimo braccio destro denaro ed una vita agiata, la scorta o una casa con una vista mozzafiato.
 
Per dare ad un amico un pizzico di felicità.
 
Le labbra sanguinavano, a forza di premerci contro la punta dei denti. Ecco. Adesso si sarebbe messo volentieri ad urlare.
 
- Fuori da qui. - tuonò il padrone di casa, rivolto all'altro - fanne quello che vuoi, gettalo nell'Hudson, lascialo in mezzo ad una strada, levagli quel sangue di cui non è degno e restituiscilo a Stella. Non lo voglio rivedere.
- Tony..
- Fuori da qui!!
 
Il direttore Coulson tese una mano e la usò per spingere il giovane oltre le porte dell'ascensore. Premette un tasto e le porte si richiusero, lasciandoli soli.
- L'ho detto anche a lei, che doveva lasciarmi morire.- disse Wesley, in un soffio, continuando a fissare lo scorrere dei numeri dei piani nel display.
- Io credo che sia giusto com'è andata.- replicò quello, con un sorriso appena accennato sulle labbra - in fondo, abbiamo bisogno tutti di una seconda possibilità.
- Che devo fare?
Un sospiro.
- Ti spiegherò in breve la situazione. E poi sarai libero di decidere.
 
L'uomo lo guidò attraverso un corridoio illuminato da fioche luci azzurre. Una specie di corsia d'ospedale.
Una, due, tre stanze, tutte dotate di un vetro da cui poter controllare l'interno. Alla quarta, l'uomo fermò i propri passi e spostò lo sguardo oltre quel vetro, guidando anche il suo.
Nell'unico letto presente in quella stanza, Jess riposava circondata da tubicini e macchinari.
- L'intervento è stato molto semplice; la pallottola non ha fatto danni ad organi interni. Adesso ha bisogno di un po' di riposo e di recuperare le forze.- l'uomo sorrideva più aperto, ed appariva sinceramente sollevato - puoi restare, se vuoi.
- Ma..- Wesley accennò all'uomo rimasto ai piani alti, alle parole con cui l'aveva congedato.
- Oh. Non far caso a lui; gli passerà, soprattutto quando saprà che ci stai dando una mano.
- Ma io..
- Non serve che tu vada in tribunale a testimoniare. Solo una.. consulenza. Nessuno verrà a conoscenza del tuo lavoro, a parte me e te. E lui. Ma Tony sa tenere i segreti, l'essere chiacchierone non rientra nei suoi difetti.
- Io non..
- Lealtà. Ho capito. Se non vuoi farlo per te, prova a farlo per lei.
- E' stata tutta una bugia, anche lei.
- Già. Una bugia. E alla fine ti ha ridato la vita col suo sangue. Mentre chi credevi amico..
- Il mio capo non mi ha mai tradito.
- Lo so. E' anche fermamente convinto che quello che fa sia giusto. Un po' come faceva quello di sopra..- Coulson tese l'indice - quando vendeva armi. C'è dovuto passare in prima persona; ora guai a chi gli tocca i poveri, i bambini e la fondazione. Hai conosciuto il dottor Lawson?
- Solo di nome.
- Bene. Lui porta nel cuore macchie peggiori di quelle che avete tu e il tuo capo. Ha letteralmente cercato di strapparsi via la vita, per rimediare. Sei entrato a far parte di un gioco molto più grande di te, Wesley. Un gioco in cui non c'è bianco e non c'è nero, solo un'infinità di toni di grigio. Un gioco in cui Fisk è una goccia nel mare e tu poco più che una briciola. I giapponesi volevano uno specifico isolato di Hell's Kitchen: lo sai, il perché?
Il giovane fece cenno di no con la testa, perdendosi per un attimo con lo sguardo oltre il vetro, verso la ragazza.
- Hydra. C'è di mezzo l'apertura di un portale molto simile a quello che ha dato origine alla battaglia di New York. Se mettessero le mani su quell'area, non sappiamo che danno potrebbero fare e con chissà che arma. Ci stiamo lavorando. E il progetto della fondazione ha anche quello scopo, oltre alla rivalutazione sociale dell'area. Fermarli.
- Io.. non capisco.
- Come ti ho detto, è un gioco molto più grande di te. Gli uomini che vi hanno sparato attraverso le finestre della safe house non erano lì per te, ma per lei.
- Per.. lei?
- Non ti ha raccontato niente? Non ti ha detto cos'è?
- Mi.. ha detto di far parte dello Shield.
- E..?
-..Di come è successo. Il sangue, intendo. Un.. agente infettante, delle pillole, un.. un gene alieno dormiente. Io..
- Lo so. Tu sei umano, non puoi capire. Se fosse capitato a te, quella roba ti avrebbe ucciso. E' una cosa su cui stiamo indagando da quasi un anno, Stella è stata solo un caso fra i tanti. Ma il suo.. dono è molto particolare, e fa comodo a parecchi soggetti, alcuni dei quali non si farebbero alcuno scrupolo, a dissanguarla per i loro scopi. Tipo medicare i loro feriti o riportare in vita leader capaci di fare immensi danni. Senza problemi a prosciugarla ed ucciderla. Hai visto l'effetto che ha, su di lei, con dosi da 20 centilitri ogni dodici ore per quattro giorni.
- Una trasfusione.
- Credo sia stato un bene, scoprirlo nel tuo caso invece che con qualche soldato perfetto dell'Hydra.
- Dell-?
- E' un gioco molto più grande di te. E comunque grazie, Wesley.
- Continuo a non capire.
- Se fosse stata sola, in quel momento e priva di energia com'era, a quest'ora non sarebbe qui. Hai dato del tuo meglio, nonostante ti avesse fatto prigioniero con una bugia.
 
L'uomo levava i passi, dopo avergli posato una mano sul braccio con un paterno cenno d'approvazione.
 
No. Non hai perso proprio tutto, Wesley. E forse questa è meno bugia di quella in cui hai trascorso la tua prima vita..
 
Un sospiro, prima di decidersi a varcare quella soglia.
 
Jess dormiva, leggera, bella come una principessa di fiaba in attesa del bacio del principe.
E lui si sentiva tutto meno che un coraggioso principe dal bianco destriero, ora.
 
Un passo dietro l'altro, fino ad arrivare al bordo del letto. Piegarsi sulle ginocchia e poi sedersi, a terra accanto alle lenzuola, con le gambe incrociate ed i piedi ancora nudi come alla safe house.
Nessuno si era premurato di dargli scarpe o vestiti che lo tenessero più al caldo.
 
Si sentiva sporco, sporco da morire. E vestiti o scarpe non c'entravano nulla.
Aveva freddo, di nuovo. E per istinto tese una mano a cercare quella minuscola di lei, abbandonata sulle lenzuola. La raccolse e la strinse appena.
 
Un sospiro. Doveva tradire? Doveva dire addio alla propria lealtà verso l'uomo che gli aveva dato tutto ciò che aveva ritenuto giusto, nonostante la sua ottica fosse discutibile, guardata da un'altra prospettiva?
Ma poi.. quale prospettiva? E cos'era, giusto? Cosa sbagliato? Certo, da Wilson Fisk aveva avuto tutto quello che si poteva comprare. Ed in cambio s'era macchiato, falsificando, minacciando, uccidendo. Scendendo a compromessi che quella parte di sé rimasta sempre chiusa in un cassetto avrebbe faticato a digerire.
 
Una prostituta in giacca e cravatta..
Jess l'aveva chiamato così. E forse non aveva tutti i torti.
 
Al diavolo, con che coraggio sputavi sentenze, tu che neanche ti chiami Jessica? Tu che mi hai avvicinato solo per.. per servirmi su un piatto d'argento ai tuoi capi? Io sono un vigliacco, un assassino. Una bambola in cerca di padrone. E tu un mostro alieno. Se c'è qualcuno privo di cuore, quella sei tu.
 
Un altro sospiro, scendendo con la fronte a poggiare sul bordo del letto, ad un pizzico di spazio dalla sua spalla lasciata nuda dalle lenzuola. Poteva quasi sentire il calore della sua pelle.
Tese le dita a sfiorarla. Calda. Ancora dannatamente calda, e tutto..
 
Per colpa mia.
 
Questa volta il sospiro si faceva pesante, come avesse cercato disperatamente una boccata d'ossigeno.
 
Una sola verità, in fondo ad un mare di bugie.
 
La vita. Sarebbe finita in quel capannone, con la sua bella camicia firmata lavata nel sangue.
Sarebbe finita, senza di lei.
 
Apri gli occhi.. apri gli occhi, per favore..
 

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Capitolo 15
*** The One I Belong To ***


Lo risvegliò da quel torpore la sensazione di essere sfiorato dal tocco di una mano. Si scosse, aprì gli occhi, e la vide.
 
Jessica. O come diavolo si chiamava, neanche quello importava più. Lo guardava, in silenzio e con una dolcezza in cui era ormai capace di perdersi.
- Ehi..- piegò appena il viso, lasciando che quella manina continuasse leggera ad accarezzargli i capelli, poi scendesse lungo i suoi lineamenti.
- Ehi..- replicò lei, in un soffio, lasciando che l'uomo accanto al letto si sollevasse in ginocchio per arrivarle meglio addosso, le appoggiasse una mano sul fianco lasciato immune dalle ferite e le lasciasse un bacio sulla fronte.
- Ora sei al sicuro. Andrà tutto ok.
 
Stella aggrottò le sopracciglia, senza ribellarsi al calore di quel contatto.
- Erano.. erano lì per te.
- Mi dispiace..
- Non dirlo neanche per scherzo.
- Detesto.. darti ragione.. ma.. sono solo un mostro senza.. senza cuore..
- Ehi.- una mano dell'uomo lasciò la propria posizione per raggiungerle il viso, mentre l'altra continuava a massaggiarle lentamente il fianco - no. Basta. Fai come tutti gli altri; non mi ascoltare. Dico un sacco di stronzate, di recente.
- Dev'essere il sangue..
Gli strappò un sorriso, meritando un altro bacio. Più delicato ancora, ma sulle labbra.
 
Lo schiavo incatenato in un cassetto era riuscito a fuggire. Ed ora le sedeva accanto, scompigliato e trasandato, le braccia lasciate nude dalle maniche corte e rovinate di quella maglietta, ed un sorriso pieno di una luce mai vista, priva di ogni barriera compresa quella degli occhiali. Le sfiorava con le labbra le mani, poi tornava a donarsi alle sue labbra, aumentandole i battiti.
 
Non ti era mai successo, piccola mostriciattola.
 
Ed è un nemico.
 
- Riposa, adesso. Sei ancora troppo calda. Io.. sono qui in giro.
- Stai cercando un altro padrone..?
- No.- lui lasciò vagare lo sguardo un po' in giro, prima di tornare a lei - forse. Può darsi. Magari sto solo cercando un'altra prospettiva.
- Una..?
- Sei stata perfetta, miss Barlow. Dovevi solo catturarmi.. e invece sei riuscita a mandarmi in frantumi.
 
Il sorriso le morì sulle labbra. Cercò di trattenergli le dita, ma non ebbe abbastanza forza da impedirgli di scivolare via, e poté soltanto rimanere lì, stesa in quel letto, a guardarlo mentre si rialzava e si avviava verso la porta.
- James..
- Non hai toccato qualcosa, però. La mia lealtà non si discute.
- Non.. non lo fare, per favore..
- Non tornerò indietro, se è questo che temi. Posso solo andare avanti. E lo devo fare coi miei piedi, ok? Ci vediamo.. ci vediamo presto.
 
Essen Café, tre mesi dopo
 
Never mind, I'll find someone like you,
I wish nothing but the best for you, too,
Don't forget me, I beg,  
I remember you said,
Sometimes it lasts in love,
But sometimes it hurts instead..
 
La città appariva malinconica, avvolta in quella fitta pioggerellina di metà dicembre. Malinconica, grigia. Esattamente come si sentiva lei, adesso.
 
Non ci pensare più, Stella. Non lasciare spazio alle debolezze. Doveva essere il tuo obiettivo, hai lasciato che diventasse una distrazione. Dovresti essere più forte, più dura.
 
Sei un agente dello Shield. No, un mostro alieno.
 
Senza cuore.
 
James era scomparso. Nel silenzio e nel nulla di quel grigio invernale.
Le avevano detto che la sua era stata la migliore relazione finanziaria mai vista alla Stark Enterprises, che il tribunale l'aveva ammessa fra le prove. Che aveva fatto guadagnare a Wilson Fisk sedici anni di carcere, sommati a nove ergastoli, uno per ogni vittima del suo folle piano.
Tony aveva dovuto stringere la mano all'inatteso prezioso collaboratore, e masticando amaro aveva dovuto dar voce alla richiesta espressa da sua moglie, chiedendo all'uomo di restare.
 
James aveva semplicemente risposto di no.
 
Non sono la bambola in cerca di padrone che lei crede, mr. Stark. Sono in grado di ragionare con la mia testa e camminare coi miei piedi. Tutto quello che ho fatto finora era mia volontà, a qualunque sfumatura di grigio appartenga. La mia lealtà non si discute, e comunque non la devo a lei.
 
Aveva chiuso l'unico bottone della giacca, voltato le spalle. E poi più nulla, oltre il perimetro della grande vetrata dell'atrio.
 
A lei nessuno aveva saputo dare spiegazioni. Forse perché aveva già tutte le risposte.
 
Tre mesi. Le ruspe avevano lasciato il posto alle gru, entro il profilo di Hell's Kitchen, e forse ora anche Helena, Ben e tutti gli altri avrebbero trovato un po' di pace.
 
La pioggia continuava a bagnare tutto e tutti, leggera ed indifferente.
- Pausa caffè? - la voce di Sara provava a scherzare, dal sedile del guidatore.
- Non mi prendere in giro; mi hai voluto accompagnare tu.- rispose, piegando appena le labbra in una smorfia triste.
Licenziata. Sei settimane di malattia, poi il datore di lavoro le aveva fatto recapitare quella lettera. Poco male, fine di una vita ed inizio della prossima, piccola mostriciattola dal sangue curativo..
 
La cosa che le avrebbe dato più dispiacere sarebbero stati i ricordi.
 
Mamie era sempre lì, dolce e bella e triste, oltre il bancone. La salutò con un abbraccio che non sapeva di arrivederci ma di addio. Come se l'avesse saputo da sempre.
- Dai, Mam.. non piangere; lo so che ti mancheranno i miei muffin, ma..- aveva cercato di sdrammatizzare, indicando la vetrina dei dolcetti, ancora quasi piena - vedo che avete trovato un valido rimpiazzo.
- Non sarà mai come te, Jess.
- Eh, lo so..- le aveva strizzato l'occhio, donandole un minuscolo sorriso.
- Ti do le tue cose..- Mamie era scivolata via verso il retro, tornando con una borsetta - mi dispiace; non potrai tenere il cappellino e il grembiule, ma qui..
 
Sorrise, estraendo la targhetta. Quella con sopra inciso quel nome finto a cui ormai era affezionata. Un sospiro, un altro abbraccio, senza curiosare oltre.
- Devo andare, Mam. Ma ritorno. Da cliente: sarò esigentissima e ti porterò tutti i miei amici, ok?
- Volentieri. Ehi.. Jess! - la ragazza la richiamò indietro, fermandola quasi sulla porta - è.. è venuto qui un tizio, qualche giorno fa. Ricordi quella specie di inamidato banchiere che hai messo alla porta, quella mattina? Quello antipatico.- la vide aggrottare le sopracciglia, poi annuire - è venuto, non ha chiesto di te, ma.. si guardava intorno come se ti stesse cercando. Sempre inamidato, vestito perfetto. Però.. però era strano.
- In che senso.. strano?
- Sembrava.. diverso. Non strafottente. Sembrava avesse quasi timore di disturbare. Ha ordinato un caffè, un muffin all'arancia; ha pagato ed è andato a mangiare in quell'angolo là, contro la vetrina. Ha estratto un tablet ed aspettato un'immensità, prima di dare un morso al muffin. Quando ha finito, senza dire una parola si è alzato ed è andato via. Sembrava aspettare qualcuno, che però non c'è visto. Sono tre giorni, che fa così. Arriva intorno alle otto, ordina, si siede nell'angolo, aspetta una vita e poi consuma la colazione e se ne va. Forse.. non so. Domani prova a venire, se puoi. Magari puoi essergli d'aiuto.
- Magari.. sì. Vedrò se posso, Mamie. Grazie.
 
La salutò con l'ultimo abbraccio, prima di uscire.
Ora la borsetta fra le dita sembrava bruciare, ed il cuore aveva spiccato il volo verso un'altra dimensione.
 
Non disse a Sara più del necessario, inventando anche qualcosa. Le raccontò che Mamie le aveva detto che una persona s'era presentata al Café chiedendo di lei, che sarebbe ritornata alle otto il giorno dopo. Che le sarebbe piaciuto esserci.
- Ritornata o ritornato? - Sara aveva messo su una smorfietta da Lolita.
- Ritorna-to. Ok, m'hai beccato.- lei aveva incrociato le braccia, sospirando - mica la devi essere solo tu, una mostriciattola felice.
- Vuoi che t'accompagno?
 
Aveva accettato, salvo ripensarci dopo ventiquattr'ore, scendendo dal suv al bordo del marciapiede. Sara aveva scambiato con lei un'occhiata che voleva dire tutto, ed era rimasta con le dita salde al volante.
 
Ti aspetto qui.
 
Il Café era moderatamente animato, quella mattina, e la vetrina del bancone era piena di muffin di qualunque tipo che dicevano mangiami. Mancava solo Mamie; al suo posto una biondina dalla carnagione molto pallida.
Probabilmente è lei, il mio rimpiazzo.- pensò, avvicinandosi e chiedendo un caffé doppia panna e un dolcetto all'arancia.
Un sorriso, pagare e guardarsi intorno. Poi lo vide.
 
Era lui. Spalle protette dalla solita giacca scura di taglio sartoriale, solo un po' più curve, animate da lunghissimi e profondi respiri. Sollevava il viso a scrutare qualcosa oltre la vetrina, lontano. Come se cercasse, o aspettasse qualcuno.
Il muffin era ancora intero, accanto alle sue dita sul banco. All'arancia.
Sorrise, avvicinandosi leggera e sedendosi sullo sgabello al suo fianco.
- Ne deduco che non raggiungono l'assurda perfezione di quelli della cuoca precedente.- disse, accennando al dolcetto ancora inviolato.
L'uomo voltò appena il viso e sorrise.
- A dire il vero è molto più buono.
- OH. Sul.. sul serio?
Lui fece cenno di sì con la testa, depositando un'occhiata al tablet mentre la ragazza scartava il dolcetto e lo addentava dopo un'occhiata insospettita.
- Occacchio. Lo è davvero. Sono spacciata.- mugugnò lei, fra un morso e l'altro - non avrò mai un futuro, neanche nel Jersey.
- Dovresti pensare seriamente a cambiare mestiere.
- Già. Farò la spia.- lei appallottolò la carta e bevve un generoso sorso di caffè, prima di tornare ad esaminare il proprio vicino.
- Io pensavo l'infermiera.
- Anche.. ma con moderazione.
Il sorriso dell'uomo si fece più aperto. Lo vide chiudere il tablet, dedicarsi alla colazione in silenzio ma senza smettere di guardarla e sorridere.
- Dillo.
- Li fa meglio di te. Al centro percento. E anche il caffè.
- Non l'hai mai assaggiato, il mio caffè.- lei incrociò le braccia, mettendo il broncio.
- Vero; il caffè era della tua collega. Tu mi hai gentilmente indicato l'uscita.
 
Giocava. Stava giocando con lei, la cosa sembrava divertirlo un mondo e lei non aveva neanche la forza di mandarlo al diavolo.
- Senti, Wesley-
- James.- lui la interruppe, prima di un ultimo sorso al caffè e di lasciare lo sgabello - hai dimenticato il mio nome? O.. ritorniamo al formale?
- Perché vieni qui tutte le mattine? - lei lo seguì verso la porta.
- Per fare colazione.
- E aspetti una vita per-?
- La tua amica è una vera pettegola.
- Perché-?
- Perché aspetto. Non lo sai..- le aprì la porta, lasciandola uscire per prima - ma oltre che leale so essere anche molto paziente.
- Come i serpenti.
- Fai tu.- lui sollevò appena le spalle.
- E che aspetti?
- Perché fai domande di cui conosci già le risposte, agente Barlow?
 
Ecco. Adesso l'aveva proprio congelata. Domande? Che domande? E.. e che risposte?
 
L'uomo di fronte a lei sollevò appena le sopracciglia, scuotendo leggero la testa. Una sistemata agli occhiali sul naso, e scese col viso a sfiorare il suo.
 
Le labbra, sulle sue. La mano contro il fianco.
 
Sei stata perfetta.. Stella. Mi hai liberato dal fondo di quel cassetto, adesso appartengo a te.

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