Homecoming

di mirtyla
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Lista capitoli:
Capitolo 1: ***
cap.1 ***

Capitolo 2: *** cap.2 ***
Capitolo 3: *** cap.3 ***



Capitolo 1
***
cap.1 ***



- Non posso crederci! -, esclamò Françoise de Jarjayes sollevandosi di scatto dalla consunta poltrona di velluto verde per precipitarsi ad aprire la finestra.
- Cosa diavolo sta facendo quell’uomo?
Black, il giovane cocker che se ne stava disteso ai suoi piedi, si drizzò con uno scatto altrettanto fulmineo abbaiando minacciosamente.
- Zitto, Black! -, gli ordinò lei, puntando i gomiti sul davanzale per vedere meglio.
Un tizio si sporgeva in equilibrio precario da una scala appoggiata al muro.
Françoise de Jarjayes si ritrasse dalla finestra e si precipitò fuori, seguita a ruota dal cane. Benissimo, ecco un altro cialtrone che cercava di rubare il poco che era rimasto! Due furti in quindici giorni erano davvero due furti di troppo, e questo a sole tre settimane dalla morte di suo padre. E per giunta quel tipo si stava comodamente muovendo alla luce del sole! Roba da non crederci...
Infuriata, Françoise de Jarjayes si lanciò sul prato che divideva la sua abitazione dall’edificio adiacente, la lunga chioma bionda che sfuggiva all’elastico con il quale l’aveva frettolosamente legata qualche ora prima. Inutile chiamare la polizia, ci avrebbero messo ore ad arrivare di domenica.
Anni di jogging avevano reso il suo fisico agile e scattante, e in breve tempo attraversò il prato con grandi falcate.
- Ehi! -, gridò minacciosa, appena giunta in prossimità della scala, - Se cerchi di rubare le lastre di piombo dal tetto sei arrivato tardi!
Black le faceva da contrappunto abbaiando e latrando, con le piccole zampe anteriori appoggiate ai primi pioli.
- Buono, Black! -, comandò lei. Il cocker si sedette ansimante, con la lingua penzoloni.
- Le hanno già prese tutte, chiaro?! -, gridò poi, rivolta verso l’estremità superiore della scala.
L’uomo guardò in basso con aria interdetta, il volto nascosto da un largo fazzoletto che gli lasciava scoperti solo gli occhi. Françoise de Jarjayes scosse la testa: solo un imbecille integrale poteva pensare che quel fazzoletto sulla faccia gli avrebbe consentito rubare tranquillamente in pieno giorno.
- Togliti dalle scatole, mi hai capito?! -, urlò, agitando il cellulare che teneva nella mano destra, - O chiamo subito la polizia!
L’uomo le lanciò un’occhiata interrogativa. In realtà soltanto uno dei suoi occhi era visibile, mentre l’altro rimaneva semicoperto da un ciuffo di capelli corvini.
- Cosa c’è?-, le domandò tranquillo.
Lei gli rimandò un’occhiata furibonda.
- Cosa c’è?! -, ripeté, incredula, - Me lo dica lei cosa c’è!
Lui si sporse dalla scala mentre un lampo di noia gli attraversava lo sguardo.
- Prego? -, ribatté.
- Mi dice cosa diavolo sta facendo sul tetto?! -, gli gridò lei, serrando i pugni. Era veramente assurdo, quell’uomo si permetteva anche di essere scocciato, quasi come se fosse lei quella che doveva scusarsi di averlo interrotto!
L’uomo si liberò dal fazzoletto, rivelando un’espressione irritata.
- Nient’altro che controllare la grondaia -, rispose alzando le spalle.
- Controllare la grondaia? -, ripeté ancora lei, con gli occhi sgranati, - Ma chi pensa di prendere in giro, eh? Scenda subito di lì, o....
Lui sospirò sollevando lo sguardo al cielo, poi scese rapidamente la scala. Black balzò nuovamente in piedi, pronto a difendere la sua proprietaria.
- Calmati -, gli intimò Françoise de Jarjayes, - Posso benissimo affrontare questa ridicola situazione da sola.
Il cane si ritrasse di malavoglia.
- Ridicola, sì -, confermò lo sconosciuto con voce seccata.
Era alto e snello, e indossava un paio di jeans sdruciti e una T-shirt che metteva in risalto il suo torso muscoloso. L’occhio scoperto dai capelli la fissava deciso, emettendo bagliori verdi.
Lei sostenne il suo sguardo contraccambiandolo con uno altrettanto deciso.
- Crede proprio di potersi permettere le battute? -, lo apostrofò, - Che spiegazione mi può dare per tutto questo, eh?
- E lei crede proprio di potersi permettere quel tono da maestrina? – ribatté lo sconosciuto, incrociando le braccia con aria di sfida.
- Cosa c’è che la turba tanto, me lo spiega?
Françoise de Jarjayes ebbe un attimo di esitazione. Si trattava davvero di un ladro? Sembrava così sicuro di sé, così calmo. Un ladro si sarebbe davvero comportato così?
Si portò una mano alle labbra e rimase per qualche istante in quell’atteggiamento, reclinando la testa di lato in un gesto che tradiva la sua insicurezza; poi, d’un colpo, sollevò la testa ben dritta sul collo: quel tipo stava bluffando, decise risoluta, ed era bene che capisse che non avrebbe potuto farlo con lei.
- Voglio sapere che scusa è in grado di inventarsi per giustificare questo furto in pieno giorno -, esordì con voce forte e chiara, - Fidandosi del fatto che oggi è domenica e il posto è deserto.
L’uomo scoppiò a ridere di gusto, gettando la testa all’indietro.
Françoise de Jarjayes non credeva ai suoi occhi: non solo quell’uomo non sembrava affatto turbato all’idea che lei potesse chiamare la polizia, ma addirittura sembrava essere perfettamente a suo agio e in più si comportava come se volesse prendersi gioco di lei. Se qualcuno le fosse venuto a raccontare una scena simile non ci avrebbe mai creduto.
Si schiarì la voce con fare plateale, decidendo di bluffare anche lei.
- Ammesso che non stesse cercando di portare via il piombo -, iniziò poi, inscenando un tono affabile, - Chi le ha dato il permesso di controllare la grondaia, se è vero che era quello che stava facendo?
L’altro scosse la testa con un sorrisetto divertito.
- Non devo chiedere il permesso a nessuno -, rispose, - L’edificio è mio.
Françoise de Jarjayes ebbe un rapido sussulto.
- Lei ha
comprato l’edificio? -, gli fece eco, incredula.
Questo era davvero troppo da ascoltare: o quell’uomo era uno psicopatico oppure era un delinquente la cui sfrontatezza andava oltre ogni limite della decenza, in ogni modo lei avrebbe avvertito subito la polizia.
- Non sia ridicolo, per favore! -, lo aggredì, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni, - Mio padre è morto da sole tre settimane e il testamento non è stato ancora aperto, e....
Di colpo l’espressione dello sconosciuto sembrò addolcirsi, e tutti i suoi lineamenti, fio a quel momento tesissimi, si distesero in una sfumatura di tenerezza.
- Françoise...-, cominciò, con un sorriso esitante sulle labbra.
Lei si bloccò, confusa.
- Un momento, come...?-, balbettò, - Come conosce il mio nome?
Lui si portò una mano alla tasca posteriore dei jeans e ne estrasse una busta piuttosto sgualcita che le porse delicatamente; Françoise l’afferrò prontamente, ma avvertì un lieve tremore alle mani mentre le sue dita sollevavano la linguetta e raggiungevano un foglio piegato in quattro.
Si trattava di due facciate scritte a computer, recanti l’intestazione di uno studio notarile di Parigi. La data risaliva a un anno e dieci mesi prima, e gli occhi le si velarono di lacrime mentre leggeva la formula iniziale:
io sottoscritto Philippe de Jarjayes, nel pieno delle mie facoltà mentali.....
Scorse rapidamente le righe, troppo turbata per soffermarsi sui dettagli, con il cuore che le batteva accelerato in un misto di ansia e di sorpresa; poi, d’improvviso, le sembrò arrestarsi nel petto quando i suoi occhi individuarono una dichiarazione inequivocabile:
...lascio al dottor André Grandier il centro medico di Arras e qualsiasi decisione sulla sua gestione futura, compresa l’eventuale vendita del...
André Grandier.
Françoise sentì il terreno franarle sotto i piedi e dovette appoggiarsi alla scala per timore di cadere.
Il cuore adesso aveva ripreso a batterle a una frequenza che non riconosceva, e lei dovette obbligarsi a respirare lentamente per impararne il ritmo.
Lui avvertì il suo stato d’animo e avanzò un passo incerto verso di lei.
- Françoise...-, disse piano, ma lei lo fermò con un debole gesto della mano, deglutendo pesantemente.
Immagini risalenti a tante estati prima si accalcavano confusamente nella sua testa, e premevano con urgenza affinché lei le mettesse a fuoco con chiarezza.
Il cielo della Normandia, azzurro come il mare.
I piedi nudi di due bambini, le loro impronte pasticciate sulla sabbia.
Gli echi delle risate che si confondevano con il vento.
E Marie, la cara, dolce Marie che si era sempre occupata di tutto.
André, Françoise! La merenda è pronta!
Françoise sollevò lievemente il mento per fissare il suo interlocutore negli occhi.
- André Grandier -, sussurrò, mentre a poco a poco ritrovava nei tratti dell’uomo adulto quelli del suo compagno di giochi d’allora.
- André....
Lui annuì lentamente.
- Già -, disse piano, - Il nipote di Marie.

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Capitolo 2
*** cap.2 ***



Françoise girava e rigirava il cucchiaino nella sua tazza di tè, fissando il liquido bollente con aria assorta senza vederlo veramente. In realtà cercava solo di procrastinare il momento in cui avrebbe dovuto sollevare gli occhi e rivolgersi a André.
Lui sedeva con la tazza tra le mani e di tanto in tanto si guardava intorno con aria fintamente disinvolta, cercando forse di trasmettere l’impressione di essere a suo agio.
Di certo non poteva essere favorevolmente colpito da quello che vedeva, pensò Françoise: la grande cucina era arredata con mobili di legno verniciati di bianco che le conferivano un’aria calda e accogliente, ma nell’intera stanza regnava la trascuratezza: i quattro mesi di malattia del padre con il suo progressivo aggravarsi non le avevano certo consentito di occuparsi della casa, considerando che nel frattempo aveva anche dovuto gestire il centro medico; e la signora Mallet, assunta dal padre come domestica dopo la morte di Marie, era oramai a sua volta troppo anziana per potersi dedicare alle occupazioni più pesanti, e il suo aiuto in casa si limitava soltanto ad alcuni lavori saltuari.
Ecco qua, si disse tra sé, il dottor Grandier torna ad Arras dopo venti anni come felice possessore di un centro medico, e ad accoglierlo trova la sua miserrima ex compagna di giochi, divorziata, sola, oberata di responsabilità e confinata in una casa che si trascina stancamente almeno quanto lei.
Sorrise tristemente tra sé e sé a quel pensiero, poi tornò di colpo presente a sé stessa e sollevò la testa: era il momento di parlare, non poteva più aspettare oltre.
- Mi spiace veramente -, cominciò, – Io non avevo idea...
Le mancò la voce e per un attimo fissò André con espressione desolata.
- Se tu... se tu mi avessi avvisato del tuo arrivo -, proseguì poi, - non sarei saltata subito alla conclusione che tu fossi un ladro quando ti ho visto in cima alla scala con quel fazzoletto sul viso. Ho avuto una tale quantità di furti che ho pensato che tu fossi solo un altro che...
Lui annuì, consapevole.
- Il fazzoletto serviva solo a proteggere i polmoni dalla polvere -, spiegò, - Ma penso che tu abbia ragione. Avrei dovuto avvisare di quello che avevo intenzione di fare, contattarti in qualche modo...
André fece una pausa, durante la quale prese un lungo sorso di tè che sembrava il pretesto ideale per prendere tempo e scegliere le parole. Non vista, lei si soffermò sull’ombra leggera che la lampada sospesa sul tavolo disegnava sullo zigomo di lui.



C’era un posto speciale, la casetta di legno in fondo al giardino.
Ci andavano insieme, reggendosi l’una al braccio dell’altro per non scivolare dopo la pioggia.
Camminavano piano, parlando, e Françoise non ricordava di cosa: ma era sicura che lo avessero fatto, perché attraverso il tempo sentiva ancora la voce di André, leggermente affannata per il movimento.
Di solito lui portava una specie di scialle di pesante lana scozzese, forse preso a sua madre: lo avrebbe usato per avvolgere entrambi, dopo. Lei teneva in mano un libro, lo vedeva come se in quell’istante ce lo avesse ancora davanti agli occhi.
Si sedevano vicini sul pavimento, con le ginocchia raccolte contro il petto, e quelle di lei lievemente inclinate per appoggiarsi alla coscia di lui.




- Ecco, è successo tutto così in fretta.... -, riprese poi lui, lentamente, - Non sapevo nemmeno che tuo padre fosse morto, sai? Erano anni che non ne avevo notizie....Sono stato contattato dall’avvocato Normand solo pochi giorni fa. Ieri mattina ho preso un volo da Marsiglia fino a Parigi e sono arrivato ad Arras solo in tarda serata. La notte scorsa ho dormito in un bed and breakfast in periferia, ma stanotte vorrei dormire qui vicino se c’è la possibilità di trovare una stanza...
Françoise lo fissò dritto negli occhi, obbligandolo a interrompersi. Uno scatto improvviso le serrava la mascella mentre le sue dita si stringevano in due pugni nervosi.
Qualcosa non tornava, no.
Qualcosa non era chiaro, non era ben delineato.
André arrivava da un passato più che remoto, dopo anni in cui avevano perso reciprocamente le tracce, e adesso pretendeva di fare come se fosse a casa sua: e tutto questo in base a un testamento del quale lei ignorava del tutto l’esistenza.
Aumentò la stretta dei pugni, avvertendo il dolore sottile delle unghie nella pelle.
Eccolo lì, l’ultimo scherzo del vecchio de Jarjayes.
Aveva agito come se lei neanche esistesse, l’aveva deliberatamente ignorata.
Del resto cosa poteva aspettarsi da uno come lui? Di certo non era stato un campione di presenza e comprensione come padre. Aveva recitato la parte dell’anziano genitore pentito solo perché gli aveva fatto comodo essere assistito, e poi, et voilà, l’aveva fregata.
- Come ha potuto farmi questo? -, sbottò, in un fiotto di rabbia, -Senza neanche avvisarmi, senza.....
André non fiatò, immobile.
- Sono venuta qui, ho congelato il mio incarico al Saint Antoine per assisterlo...-, proseguì lei, fissando il vuoto.
La sua voce era quasi incrinata da lacrime rabbiose.
- Avevo il diritto di sapere, André, di essere informata. Non...
- Aspetta, calmati! -, la interruppe lui, sollevando una mano in segno di tregua, - Non ho ancora deciso niente. Non si tratta di una decisione facile da prendere, sai? Dovrei lasciare il mio lavoro a Marsiglia, e...
- Forse non hai capito, André -, lo gelò Françoise. Adesso la sua voce era tagliente e sembrava non tradire più nessuna emozione.
- Non mi importa un accidente di dirigere quel maledetto centro medico, chiaro? Puoi prendertelo da oggi stesso.
Lui la fissava in silenzio. Françoise si era alzata in piedi e percorreva nervosamente la cucina, con passi lenti ma pesanti.
- Anch’io ho il mio lavoro, a Parigi -, continuò, - E questo posto è solo un buco che mio padre ha aperto con gli ultimi soldi che gli sono rimasti dopo aver dilapidato gli averi di famiglia con la sua passione per il gioco d’azzardo. Non è un caso che mia madre abbia deciso di mandarlo al diav...
André si alzò a sua volta e le si pose rapidamente di fronte.
- Aspetta, Françoise -, la bloccò, tenendole saldamente un braccio con la mano, - Dall’avvocato c’era dell’altro.
Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo.
- Un’altra lettera, per te –, proseguì lui.
- Per me? -, gli fece eco lei.
André annuì.
- Dammi solo il tempo di andare a prenderla nel mio bagaglio -, confermò, - Nella confusione ho lasciato tutto ai piedi della scala...
Si voltò e uscì rapidamente prima ancora che Françoise trovasse le parole per rispondergli.
Lei si avvicinò alla finestra e prese a sfiorare il vetro con le dita, senza realmente essere consapevole di quello che stava facendo.
I suoi pensieri erano confusi, contrastanti.
Provava una grande amarezza nel constatare che niente nel dialogo con suo padre si era alla fine ricostruito. Aveva pensato che quella richiesta di aiuto da parte di lui, dopo tanti anni di silenzio tra loro a seguito del divorzio dalla madre, fosse stato un segnale della sua volontà di ricucire i rapporti tra loro; e aveva pensato che rispondendo a quella richiesta anche lei avrebbe dimostrato di non volersi separare per sempre senza una mano tesa verso quella dell’altro. E invece...
- Ecco qua.
Non aveva sentito rientrare André, assorta com’era nelle sue riflessioni.
Adesso lui le era accanto e le allungava la lettera davanti agli occhi affinché lei potesse leggerla. Aveva un tremito leggero nella mano, notò Françoise, e sembrava quasi trattenere il fiato.
Lei prese la pagina con un movimento lentissimo, quasi volesse rimandarsi il momento della lettura; infine si decise a concentrarsi sulle righe scritte a mano.



Mia adorata Françoise,



“Mia adorata Françoise”? Voleva forse indorarle la pillola? Che ipocrisia.



So che tutto questo ti stupirà, e so anche che molto probabilmente sarai risentita con me. So anche quanto hai lavorato, e quanto lo hai fatto bene, per portare avanti il centro medico durante la mia malattia.



No, invece, suo padre non sapeva proprio niente.
Se avesse solamente tentato di sapere, si sarebbe accorto di cosa aveva rappresentato il centro per lei in quegli ultimi mesi. Non solo l’occasione di trovare una via comune con suo padre, ma anche di lasciarsi alle spalle Parigi e con lei tutto ciò che da due anni a quella parte non facevano che ricordarle il suo divorzio da Hans. Il suo lavoro in ospedale, le sue relazioni professionali che erano le stesse di lui, la sua casa...Era arrivata seriamente a pensare di mollare ogni cosa una volta per tutte e dedicarsi definitivamente al centro di Arras, dove si era sentita accolta e protetta e finalmente al sicuro. Dove aveva pensato di poter ricominciare sul serio.



So anche che sei una persona retta e onesta, Françoise, e so che per questo capirai. Sono legato a una promessa, una promessa fatta a Marie: e tu sai quanto lei sia stata a sua volta legata alla nostra famiglia, al punto di dedicarvisi con solerzia fino a quando Dio le ha dato la forza di poterlo fare.



- E’ pazzesco!! –, esclamò lei, gettando la lettera sul tavolo con fare sprezzante. Non si era accorta che André le si era seduto di fronte, e che aveva spiato con apprensione ogni singolo muscolo del suo volto durante la lettura.
- Cosa ci si aspetta che faccia adesso, eh? Dovrei mettermi a piangere di commozione per questa bella sorpresa?!
- Senti, Françoise...-, cominciò lui, di nuovo sollevando una mano in gesto conciliante.
- Senti, André -, sbottò lei, interrompendolo bruscamente, - Io non so chi sei, d’accordo? L’ultimo ricordo che ho di te risale a venti anni fa....
- Sono venuto per il funerale di mia nonna, sei anni fa -, replicò André, pacato, – Eri tu che non c’eri.
- Sei anni fa ero negli Stati Uniti, a seguito del mio ex marito che per due anni ha avuto un contratto al Massachusetts General Hospital -, lo fermò lei, - Ho appreso la notizia da mio padre ma non sono riuscita a tornare per il funerale.
Françoise aveva ripreso a camminare nervosamente per la stanza, misurandola con passi decisi.
- E comunque questo non cambia le cose, André. Arrivi dal nulla con una bella lettera di mio padre che ti nomina proprietario del centro medico e un altro scritto strappalacrime nel quale lui mi chiede di darti la mia benedizione... Tra me e lui non sono state rose e fiori per molti anni, ma sai una cosa? Pensavo che questi ultimi mesi avessero sanato un po’ di ferite, che qualcosa si fosse finalmente messo a posto tra noi...
Raggiunse la finestra e per qualche istante guardò fuori, seguendo Black che trotterellava sul prato; poi si voltò di scatto e fissò André in volto. L’azzurro dei suoi occhi sfumava in un grigio irato e cupo.
- Sai un’altra cosa?-, proseguì, - Ti ho detto una bugia, prima. Tengo molto a questo centro: è quel che rimane della mia famiglia, della passione di mio nonno che lo ha creato. Ho pensato che in qualche modo avrei potuto gestirlo anche da Parigi, o che tra qualche anno avrei potuto ritirarmi qui. Ho anche passato di lasciar perdere tutto per rimanere qui....
Sorrise tristemente, quasi a rimarcare quanto le sembrasse stupida adesso quell’idea.
- E in tutti questi ultimi mesi mio padre non mi ha fatto mai, mai pensare nemmeno per un istante che il centro non sarebbe stato mio. Ora lo capisci perché sono furibonda, eh?
Di nuovo lui annuì pesantemente. Era deciso a non interromperla, affinché il fiume di rancore che montava dentro di lei potesse avere libero sfogo; era una sensazione che anche lui conosceva bene e che aveva sperimentato molte volte: e sapeva quanto fosse inutile e dannoso tentare di arginarla.
Françoise si era fermata davanti a lui e lo scrutava con le braccia conserte e le spalle appoggiate alla finestra.
- E come ti ho detto, André -, continuò, - Io non so chi sei, e l’essere stati compagni di giochi non significa che noi due ci conosciamo ora.
Le sue parole sembravano fendere l’aria, e il tavolo che li separava aveva assunto adesso l’aspetto di una distanza incommensurabile.
- Hai vissuto nella casa accanto alla nostra fino a quando ho avuto sedici anni....eravamo inseparabili, ricordi? Poi tua madre ha improvvisamente deciso di trasferirsi e si sono perse le tue tracce senza tante spiegazioni. Sei sparito nel nulla da un giorno all’altro, e non sono più riuscita ad avere tue notizie.
Uno spasmo serrò la mascella di André, e d’improvviso lui si fece scuro in volto.
- Ho avuto le mie ragioni -, replicò, secco.
Lei si strinse nelle spalle.
- Indubbiamente -, ammise, con fare concessivo, - Ma diciamo anche che tutto questo non gioca molto a tuo favore. Come ti ho già detto, André, io non so chi sei né tantomeno che tipo di persona sei diventato. Dici di non aver avuto più notizie di mio padre da allora, ma chi mi garantisce che è davvero così?
Lui si irrigidì in una maschera di tensione.
- L’ho solo intravisto al funerale di mia nonna -, spiegò, con un accento nervoso nella voce, - ed erano venti anni che non tornavo qui. E...
- E chi mi dice invece che tu non abbia avuto qualche contatto con lui in tutti questi anni? -, incalzò lei, - E che in un modo o in un altro tu non ti sia accordato per....
André scattò in piedi, deciso a non concederle ulteriori spazi di parola.
- Ho detto che erano venti anni che non tornavo qui! -, sbottò, avvicinandosi a passi veloci alla soglia.
- E non voglio essere sottoposto a un interrogatorio, chiaro?! -, gridò, prima di sbattere violentemente la porta e uscire precipitosamente dalla casa.
Françoise rimase immobile per qualche istante, con i palmi appoggiati al piano del tavolo e il busto lievemente piegato in avanti. Sembrava sul punto di voler fare qualcosa, senza però sapere in quale direzione muoversi esatttamente; oppure, più semplicemente, sembrava si aspettasse di veder rientrare André da un momento all’altro.
Lentamente, poi, si sedette e allungò le dita verso la lettera, inspirando a fondo prima di proseguirne la lettura.
La calligrafia di suo padre, con le chiare lettere inclinate verso destra secondo quelle che erano le vecchie regole della bella scrittura, glielo riportava alla mente come lo aveva visto tante volte, seduto alla sua scrivania, con la testa piegata di lato e la mano sinistra che teneva ben fermo il foglio su cui appoggiava la penna.



Ho promesso a Marie di riportare André a casa, o almeno di provarci. Si è allontanato dai suoi luoghi volontariamente, tagliando i ponti con tutto quello che lo legava alla sua famiglia di origine. Marie non ne ha mai saputo il motivo, o comunque non lo ha mai voluto dire. Mi ha chiesto di metterlo davanti alla possibilità di tornare sui suoi passi, se lo vorrà. Di ritrovare quella parte di sé stesso che ha deciso di lasciare indietro, come mi disse lei una sera.
So che capirai, Françoise adorata.
E so che potrai dirigere il centro con André se è tuo desiderio. Marie è rimasta in contatto con lui in questi anni, e ne ha sempre parlato come di un uomo generoso e aperto al prossimo.
Io...




Françoise sollevò la testa e appoggiò le spalle allo schienale della sedia, socchiudendo gli occhi. Il tavolo a cui era seduta, e con esso la vecchia credenza di fronte a lei e la stanza stessa in cui si trovava avevano cominciato a girare a un ritmo talmente vorticoso da scomparirle dalla vista, lasciando spazio soltanto alla matassa indistinta e nebulosa dei suoi pensieri.



Arras, 10 settembre 1997

Ehi, questa è l’ultima lettera che ti mando, okay? E poi più che di una lettera stavolta si tratterà di un biglietto... Marie mi ha dato il vostro indirizzo a Marsiglia e non può certo avere sbagliato, ma allora perché non rispondi? E non solo, André: non rispondi al telefono, non rispondi ai messaggi, insomma non c’è modo di contattarti...
Ho chiesto a Marie ma lei mi dice che è tutto okay, che forse sei incasinato nella nuova città e che presto ti farai di nuovo sentire, ma io non ci credo e sono preoccupata.
Sono io che ti ho fatto qualcosa di male, ce l’hai con me? Ti prego, se leggi, di farmelo sapere: non c’è niente che non si possa risolvere se ne parliamo. Tua nonna ce lo ha sempre detto, ricordi? Fatti vivo. Altrimenti dovrò proprio pensare che non sono stata proprio niente per te e che la nostra amicizia era solo una mia illusione.
Fatti vivo, ti prego. Mi manchi.



Françoise

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Capitolo 3
*** cap.3 ***



André Grandier si asciugò vigorosamente dopo la doccia bollente, poi si mise l’asciugamano attorno al collo e cominciò a radersi con cura, guardandosi nello specchio appannato.
Capiva bene quello che doveva provare Françoise. Anche lui si sarebbe molto risentito se dal nulla fosse spuntato improvvisamente qualcuno che avesse avanzato pretese sul centro medico, a maggior ragione se accompagnato da una lettera del padre morto da poco. E a maggior ragione se questo qualcuno era scomparso dalla sua vita venti anni fa senza alcun motivo apparente.
Gli tornò in mente la figura di lei, rigida dalla rabbia, quando quel pomeriggio gli aveva ordinato di scendere dalla scala; e per qualche misteriosa ragione sorrise al ricordo dei suoi occhi azzurri che scintillavano esprimendo tutta la sua riprovazione. Non era una donna che accettava le cose facilmente Françoise de Jarjayes, niente affatto: e in questo André poteva dire che era rimasta la stessa che lui aveva conosciuto, indomita e fiera.
Si sentì prendere da un misto di rimpianto e tristezza per tutti quegli anni che si era perso e per tutto ciò che aveva lasciato dietro di sé ubbidendo a quell’impulso che lo aveva spinto a biasimare sua madre fino a rompere totalmente con lei e ad andarsene il più lontano possibile da tutto ciò che gliela ricordava. Eppure un tempo l’aveva amata con tutto il cuore, un amore che però era diventato odio; dopo tanti anni André poteva ancora percepire il risentimento e la disperazione che aveva provato quando tutto il suo mondo gli era crollato addosso.
Si passò una mano tra i folti capelli, pensando con tristezza che non avrebbe più potuto spiegarsi con sua madre.
All’improvviso provò un’invincibile stanchezza.
Gli ultimi giorni erano trascorsi come un sogno confuso.
Il viaggio da Marsiglia ad Arras gli era sembrato infinito, e anche l’intervallo di tempo tra la telefonata ricevuta dall’avvocato e il suo arrivo al centro medico gli appariva lunghissimo e allo stesso tempo avvenuto in un attimo.
Il letto della stanza gli sembrò estremamente invitante, quindi vi si distese rilassando ogni singolo muscolo. Pochi minuti dopo era caduto in un sonno profondo e senza sogni.





I colpi frenetici alla porta gli arrivarono attraverso la nebbia del sonno. André si girò di lato, cercando di ignorarlo per qualche minuto; poi, non potendo riuscirci, ruotò su sé stesso, mise i piedi a terra e si recò ad aprire la porta con passo rapido, rendendosi conto troppo tardi di essere vestito solo di un asciugamano avvolto attorno ai fianchi.
Lui e Françoise si fissarono per alcuni istanti, senza che nessuno dei due profferisse parola. Lei aveva un aspetto elegantemente sportivo, in jeans, stivali neri e ciclista rossa.
- Come mi hai trovato? -, domandò André, con la bocca ancora impastata di sonno. Subito dopo pensò che non era il massimo per aprire la conversazione dopo la scena della sera precedente, ma non gli era venuto in mente niente di meglio.
- Non siamo nel centro di Arras e non ci sono molti b&b qui -, spiegò Françoise, anche lei ostentando una finta disinvoltura, - Ho deciso di andare a caso, e ho avuto fortuna alla prima.
André abbozzò un sorriso imbarazzato.
- Be’...entra -, la invitò, facendosi di lato, - E scusa per come mi trovi, non....
Françoise lanciò un’occhiata allo snello corpo atletico che aveva davanti. André era un uomo davvero in forma, non c‘era niente da dire. Possibilmente l’età lo aveva migliorato, eliminando le sproporzioni dell’adolescenza per lasciar spazio a un fisico scolpito dalla sua stessa maturità.



- Guardami, Françoise! Adesso mi tuffo, guardami! >br>


Françoise si riscosse di colpo, stupendosi lei stessa di quelle considerazioni che le erano venute spontanee alla mente.
- Non è un problema, vedo pazienti tutti i giorni -, replicò piatta, stringendosi con noncuranza nelle spalle, - Ma se disturbo posso tornare più tardi.
Lui le rivolse uno sguardo intenso mentre il volto gli si distendeva in un leggero sorriso.
- Adesso va benissimo, Françoise -, rispose, - Se mi aspetti un attimo vado a mettermi qualcosa addosso. Intanto siediti.
Lei si accomodò in una delle due poltroncine di velluto verde, poi lo seguì con lo sguardo mentre attraversava la stanza per raggiungere la piccola cabina armadio. In cuor suo si rimproverò per averlo trattato come l’ultima delle canaglie. André sembrava essere esattamente il contrario, alla fine, e forse sarebbe stato giusto da parte di lei potergli offrire una possibilità di dialogo. Non era in fondo quello che le aveva chiesto suo padre? E non era questo, forse, l’ultima occasione di tendergli la mano, seppur attraverso la distanza della morte?
- Posso offrirti un caffè, un tè...? -, le domandò André, indicando il vassoio con il bollitore disposto accuratamente su un mobile accanto alla porta.
Françoise sobbalzò, ancora mezza assorta. Presa dai suoi pensieri non si era accorta che lui era tornato.
- Sì...sì, grazie-, ripose confusamente, - Un caffè, senza zucchero.
André preparò la bevanda con gesti precisi e le porse il bicchiere, quindi si sedette a sua volta. Françoise osservò il liquido scuro, poi sollevò di nuovo lo sguardo verso di lui: indossava un paio di jeans e una T-shirt simile a quella del giorno precedente, e sembrava del tutto incurante delle nuvole minacciose che, nonostante fosse ancora estate, promettevano pioggia e freddo. Lei, con quegli stivali, si sentì improvvisamente eccessiva e inadeguata.
- Volevo chiederti scusa per la mia reazione di ieri, Françoise-, cominciò lui, guardandola negli occhi, - Sinceramente.
-E io per la mia -, annuì lei, abbozzando un sorriso incerto, - Non parliamone più, vuoi?
Lui annuì a sua volta, sorridendo con un’espressione incoraggiante che rassicurò Françoise.
- Bene...-, decise quindi di cominciare, – Come hai intenzione di procedere?
André sollevò le spalle con fare dubbioso.
- A dir la verità, non so ancora -, le rispose, - Vorrei provare a dedicarmi al centro, sì. Certo ha bisogno di una bella ristrutturazione e dovrei trovare dei fondi, e poi ho ancora diverse cose da discutere con Normand....
- Spostarsi qui da una grande città non sarà facile-, obiettò lei.
André cambiò espressione.
- Una volta mi piaceva stare qui -, replicò, - Marsiglia mi piace molto, oramai la considero la mia città...Ma ci ho vissuto per molto tempo e non mi dispiacerebbe spostarmi.
Sollevò lo sguardo verso la finestra attraverso la quale si scorgeva il cielo plumbeo.
- E’ sempre bellissimo qua....-, commentò; Françoise fu certa di udire un tono di rammarico nella voce, e si affrettò a cambiare argomento nell’intento di stemperare la tensione.
- E...la tua famiglia è disposta a venire qua? -, cominciò, esitante, - Voglio dire, sei sposato, o....
Cretina, si disse nell’esatto momento in cui le parole le uscirono di bocca. Come diavolo le era venuto di fargli quella domanda? Di certo non era il modo di metterlo a suo agio, e comunque non erano affari suoi.
Lui scosse la testa.
- Nessun legame, no -, sorrise, - E tu? Sposata, figli...?
Françoise bevve un grosso sorso di caffè che le bruciò la gola.
- No, no -, rispose, cercando di assumere un tono leggero, - Nessun impegno nemmeno per me...Sono fin troppo impegnata a vivere la mia vita.
- Molto saggio -, rise André, - Molto saggio davvero...Ma ora pensiamo agli affari, ti va?
- Concordo -, approvò lei, prima di finire frettolosamente il caffè. Gli era grata per quel cambiamento repentino che lui aveva deciso di dare alla conversazione: in generale non aveva nessuna intenzione di parlare di relazioni sentimentali, e in particolare non aveva intenzione di parlare del suo matrimonio con Hans Fersen.
Tuttavia, per quanto André le sembrasse affidabile e propositivo, c’erano ancora tante cose da chiarire, e tante cose alle quali non riusciva a dare una collocazione. Decise quindi di essere diretta e di esprimergli tutte le sue perplessità.
- Devo confessarti, André -, iniziò, - che non sono sicura di essere entusiasta all’idea che tu piombi qui e diventi titolare del centro medico. Non sono certa che mio padre si rendesse conto fino in fondo de...
Andrè alzò entrambi le mani.
- Calma, Françoise -, la interruppe, - Ti è rimasta l’abitudine di saltare subito alle conclusioni, vero?
Lei non fiatò, turbata da quel commento.



-Tu sai sempre tutto, non è vero, Françoise de Jarjayes?
- Ma che diavolo dici, eh?
- La verità: tu sei testarda come un mulo e hai sempre ragione, e non c’è mai modo di farti cambiare idea. E...
- Smettila, stupido!
- Stupido a chi?!
- A te, André Grandier! E se non la finisci di insultarmi ti inseguo fino al pontile e poi ti butto in acqua, e....
- Ah sì? Provaci! Voglio proprio vedere se ne sei capace....




- Non ho intenzione di piombare proprio su niente -, continuò lui, - Ma se sono stato nominato proprietario della struttura dovrò prendermi le mie responsabilità...E se non ti dispiace le vorrei prendere alla pari con te.
La fissava dritta negli occhi, e Françoise si sentì invadere da un calore che non aveva mai avvertito prima.
- Io...-, balbettò.
André si sporse verso di lei e le premette una mano sul braccio.
-So che tuo padre accarezzava questo progetto -, proseguì, - E so anche che tu....
Françoise annuì, lentamente. La mano di lui era incandescente sul suo braccio.
Dagli una possibilità. Vuole meritarsela.
- Non...non so nulla di te, André... -, esitò.
Dagli una possibilità. Una sola.
- Intendo dire della tua esperienza lavorativa..-, si affrettò a precisare subito dopo: in alcun modo avrebbe voluto che riaffiorassero le polemiche del giorno prima.
Lui annuì comprensivo.
- Certo –, rispose - Mi sono specializzato in pediatria, ma ho una lunga esperienza anche nell’intervento d’emergenza. L’Hôpital Européen di Marsiglia potrà darti ottime referenze su di me...Ma ora che ci penso neanch’io so niente della tua esperienza, Françoise!
La guardava sorridendo, come se volesse farle capire che non c’era niente di accusatorio in quell’esclamazione; tuttavia lei non riusciva a restituirgli il sorriso. C’erano ancora troppe cose rimaste in sospeso, troppi punti oscuri.
- Sono medico chirurgo -, gli rispose senza troppa enfasi, - Tutto qui.
Non aveva voglia di ricordare quella specializzazione decisa con Hans e scelta insieme a lui perché era una passione che accomunava entrambi, e infine diventata motivo di rancore e rivendicazione come ogni altro aspetto che aveva riguardato la loro vita insieme.
- Ma perché lasciare Marsiglia così di colpo, André? -, domandò, decisa a riportare la conversazione su un territorio meno impervio.
- Voglio dire, anche se mio padre ti ha lasciato il centro...
André indugiò prima di rispondere, come se stesse cercando le parole adeguate.
- Alla fine ho sempre pensato che prima o poi sarei dovuto tornare qua -, esordì poi, - E forse questa è l’occasione giusta per farlo.
Che poi è quello che mi ha scritto mio padre, pensò Françoise.
E che voleva Marie.
- Bisognerà che tu impari qualcosa su come si esercita qui -, opinò, - Immagino sia molto diverso da Marsiglia...
- Penso che la gente soffra delle stesse malattie ovunque -, fu la replica di lui.
- Certo -, concordò Françoise, - Ma questa è una realtà differente. Qui, come sai, ci troviamo a Anzin-Saint Aubin, anche se mio nonno, in un accesso di megalomania, lo ha chiamato Centro Medico di Arras...Siamo abbastanza distanti dalla città e l’ospedale più vicino è il Centre Hospitalier d’Arras, ma noi ci occupiamo soprattutto di quelle persone che per un motivo o per un altro non possono raggiungerlo. Seguiamo anche le degenze post operatorie di chi vive in zone lontane e non ha nessuno che lo assista, e abbiamo anche una piccola sala operatoria che si occupa degli interventi più semplici.
- Molto bene -, annuì André, - C’è altro da sapere?
- Abbiamo moltissime chiamate d’urgenza da parte dei turisti, in estate -, gli rispose lei.
- Ho capito -, concluse lui, - Non credo che sarà difficile.
Françoise si concentrò per qualche istante sul fondo del bicchiere, poi sollevò di colpo gli occhi. - Dovremmo preparare una bozza d’accordo per la nostra collaborazione....-, obiettò, riluttante, - E quando pensi di poter cominciare, a proposito?
- Devo avere due settimane di ferie -, le rispose prontamente André, - Le userò come preavviso per congelare il mio incarico.
Lei scosse ripetutamente la testa in segno di approvazione.
- E... per il trasloco? -, chiese poi.
André fece un lieve sorriso.
- Non è che ci sia molto da portare -, replicò, - Sono uno che viaggia leggero, e ho con me quasi tutto quello che mi serve. Per il resto ho un collega che può spedirmi tutto con calma.
Lei si morse un labbro, poi si mise a picchiettare con l’indice sul bordo del bicchiere con aria pensosa.
Non era ancora sicura di essere disposta ad accogliere André a braccia aperte.
Però lui era lì, e lei aveva un bisogno disperato di aiuto per mandare avanti il centro medico.
Lui sembrò indovinare i suoi pensieri: rapidamente si alzò dalla poltroncina e le si chinò di fronte, appoggiando entrambi i palmi sulle ginocchia di lei.
- Concedimi sei mesi, Françoise -, le chiese con voce ferma, guardandola dritta negli occhi, - Sei mesi per lavorare insieme e per capire se possiamo farcela. Se non succederà, non sarai certo tu ad andartene.
Per alcuni secondi Françoise rimase immobile, con gli occhi fissi in quelli di lui.
- D’accordo -, acconsentì poi, riscuotendosi, - Nel giro di una settimana preparerò una bozza di contratto per una collaborazione di sei mesi.
Un brivido leggero, al quale non avrebbe saputo dare un nome, le correva lungo la schiena. Lei si alzò di scatto, confusa.
- Adesso devo scappare -, concluse, - La sera vado sempre a trovare mia madre.
- Vive da queste parti? -, domandò lui, alzandosi a sua volta.
- Ha un appartamentino nel centro di Arras -, gli rispose Françoise, - E’ riuscita a rifarsi una vita decente dopo aver lasciato mio padre.
André annuì senza rispondere, poi aprì la porta e le fece strada fino all’uscita del bed and breakfast. Fuori aveva preso a piovigginare e l’aria profumava di terra bagnata. Stava venendo l’autunno e presto le giornate sarebbero state scure e fredde. André pensò tristemente che sarebbe dovuto tornare prima se non avesse seguito la sua ostinazione.
Il cellulare di Françoise prese a suonare insistentemente, distogliendolo da quelle riflessioni.
- Il centro -, esordì lei dopo aver controllato il display, - Devo andare.

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