Archangelus

di Recchan8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Auxilium ***
Capitolo 2: *** Absurditas ***
Capitolo 3: *** Conventus ***
Capitolo 4: *** Ave ***
Capitolo 5: *** Vindicta ***
Capitolo 6: *** Balteum ***
Capitolo 7: *** Cognata ***
Capitolo 8: *** Agoraphobia ***
Capitolo 9: *** Non humana ***
Capitolo 10: *** Medicus ***
Capitolo 11: *** Daemon ***
Capitolo 12: *** Exsecratio ***
Capitolo 13: *** Faciem ***
Capitolo 14: *** Nomine ***
Capitolo 15: *** Veritas ***



Capitolo 1
*** Auxilium ***


Memore di ciò che gli era stato detto, entrò nell'edificio attraverso la porta sul retro. Si guardò furtivamente intorno e, sperando di non essere intercettato da una delle cortigiane, si avviò il più velocemente possibile ai piani superiori, dove sperava di trovare una camera libera. I cinguettii sempre più vicini delle ragazze lo indussero ad accelerare il passo.
-“Che cosa stai facendo?”- domandò improvvisamente una voce dietro di lui.
Il ragazzo incappucciato si girò di scatto, facendo vacillare il peso morto avvolto negli stracci che teneva in braccio. Guardò il suo interlocutore e pensò che, probabilmente, quella non fosse la sua giornata migliore.
-“Madonna Claudia...”- disse con un cenno del capo a mo' di saluto. -“Siete venuta a trovare Matrona Paola?”-.
-“Proprio così”- annuì la donna.
Il ragazzo notò le strane occhiate di Claudia e si affrettò a eclissarsi.
-“Con permesso...”-.
Fece per andarsene quando la donna dai capelli castani si schiarì la voce e lo guardò male. Non doveva avere più di trent'anni, ma quando si comportava così era come se ne dimostrasse molti di più. Una donna saggia e matura, ecco cos'era.
-“E' una fanciulla quella che ti stai portando dietro?”- domandò inarcando un sopracciglio.
-“...Esattamente”- confermò.
-"Non pensavo che l'Arcangelo avesse problemi del genere"- disse Claudia trattenendo una leggera risata.
Il ragazzo sbuffò e, incurante degli sguardi curiosi delle cortigiane che avevano raggiunto Claudia, cominciò a salire la scalinata di marmo.
-"Madonna Claudia, permetettemi di dirlo: siete una donna molto perversa"-.
Le tre cortigiane risero dietro ai loro ventagli variopinti.
-"Allora, Arcangelo, dimmi cosa intendi fare con quella ragazza. Una partita a carte? Un dialogo filosofico?"-.
-"Donne maleducate, non mi offrite nemmeno accoglienza? Fuori sta piovendo e voi non vi preoccupate minimamente della salute dei vostri ospiti? Che razza di bordello è mai questo?"- domandò ironicamente il ragazzo mentre saliva lentamente le scale.
Le risate delle cortigiane si interruppero di botto, e l'Arcangelo sentì un brivido corrergli lungo la schiena.
-"Non cercare di cambiare discorso. Fino a prova contraria questo bordello è gestito da me ed è sotto la mia responsabilità; perciò mi sembra il minimo sapere perché sei entrato tenendo in braccio una ragazza priva di sensi"- disse Paola seria, affiancando Claudia Auditore.
-“Matrona Paola... Anche voi qui?”- domandò il ragazzo con una punta di nervosismo nella voce.
Dal momento che continuava a non ricevere una risposta soddisfacente, Paola congedò le cortigiane ordinando loro di tornare immediatamente a occuparsi dei propri affari, e salutò Claudia dicendole che l'avrebbe raggiunta una volta sistemata la questione col giovane. Una volta rimasta sola con l'Arcangelo, si tirò su un lembo del vestito rosso e, con passi rapidi, raggiunse il ragazzo sulla scalinata principale. Nonostante fosse alquanto più alto di lei, lo afferrò per una spalla, costringendolo a voltarsi.
-"Quanto ti ci vuole a dire che hai trovato questa ragazza ferita per strada e che hai pensato di aiutarla?"- gli disse sottovoce.
Sentì il ragazzo irrigidirsi e sussultare.
-"Certe volte sai essere davvero infantile!"- lo rimproverò.
-"Matrona Paola... Sta sanguinando"-.
Paola notò gli stracci sporchi di sangue e, annuendo, disse al giovane incappucciato di portare la ragazza ferita nella prima stanza che trovava libera al secondo piano. Poi chiamò una cortigiana e le ordinò di seguire l'Arcangelo e di occuparsi della ragazza.
Qualche minuto dopo il ragazzo scese la scalinata di marmo.
-"Dì un po', dove l'hai trovata?"- gli domandò la matrona intercettandolo in fondo alle scale.
-"In un vicolo vicino al Palazzo della Signoria"- le rispose.
Paola notò i vestiti fradici del ragazzo e lo invitò a restare al bordello per qualche ora, ma lui rifiutò. Nonostante la pioggia l'avesse bagnato completamente, non gli importava di cambiarsi d'abito e di riposarsi; voleva andare via dal bordello e liberarsi dalle grinfie di Paola il prima possibile. La donna capì quello che passava per la testa al ragazzo e con un cenno della testa lo congedò.
-"Mi ricordi molto Ezio quando ti comporti così, sai?"- disse Paola all'ultimo.
-"Ne sono onorato, Matrona Paola"- sorrise l'altro.
Agile, furtivo e silenzioso come un'ombra, l'Arcangelo Michele scomparve tra le vie di una Firenze colpita da un violento temporale.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Absurditas ***


Quando riprese i sensi, si trovò sdraiata su un letto di una stanza di un bordello. Con orrore credette di essere stata scambiata per una prostituta; ci ripensò quando notò che qualcuno le aveva ripulito il taglio al braccio e glielo aveva fasciato con delle bende pulite: un trattamento che di solito non veniva riservato a una prostituta. Si alzò dal letto e vide che i suoi vecchi abiti, sporchi e stracciati, erano stati gettati con noncuranza in un angolo. Qualcuno aveva posato sulla cassapanca ai piedi del letto un vestito pulito. Non ci pensò su molto e lo indossò. Si guardò poi allo specchio accanto alla finestra: doveva assolutamente trovare il modo di legarsi i capelli, conciata in quel modo si sentiva davvero una "donna di facili costumi".
-"Come vi sentite?"-.
Lidia si girò di scatto e indietreggiò istintivamente, fino a scontrarsi contro il vetro della portafinestra.
-"Per caso non vi siete accorta del mio ingresso?"- le chiese una donna dai capelli mori e un vestito rosso rubino.
Lidia scosse vigorosamente la testa e deglutì.
-"Mi presento: sono Paola, la matrona"- disse la donna con un gesto che comprendeva tutto l'edificio. -"Voi siete...?"-.
Lidia non aveva nessuna intenzione di rivelare la sua identità. Era passato quasi un mese da quando la sua vita era stata distrutta, e tutt'ora si cercava l'assassino di Vincenzo Aloi. Il motivo per il quale la notizia dell'omicidio di un comune cittadino avesse fatto tanto scalpore era che diversi testimoni avevano sostenuto che l'assassino fosse una donna. Che qualcuno l'avesse riconosciuta e l'avesse denunciata? Forse era per quel motivo che si trovava in quel bordello e non più in strada.
Stanno cercando me, eppure nessuno si è preoccupato di rintracciare gli assassini della mia famiglia...”, si era trovata più volte a pensare Lidia.
-"Beatrice..."- mentì Lidia.
-"Colei che porta beatitudine!"- esclamò Paola rivolgendole un sorriso. -"Vi fa ancora male il braccio? Ho mandato a chiamare il dottore per controllare che non..."-.
-"Oh, non ce n'è davvero bisogno, avete già fatto fin troppo per me"- la interruppe Lidia sorridendo di rimando.
-"Ne siete sicura?"-.
Andarsene da lì. Era la cosa che la premeva più di tutte. Temeva che ci fosse qualcosa sotto e non aveva la minima intenzione di rischiare di venire arrestata e condannata al patibolo per omicidio. Era disposta anche a uscire per strada vestita da prostituta.
-"Ecco... C'è qualcosa che posso fare per sdebitarmi?"- chiese sbrigativa.
Paola inclinò un poco la testa di lato e, giocherellando con la sottile catenella d'oro che portava al collo, guardò la ragazza come se non avesse capito la domanda; poi sorrise lievemente.
-"Avete fretta di tornare alle vostre faccende?"-.
Lidia arrossì e gettò lo sguardo a terra, imbarazzata.
-"Però, se proprio sentite il dovere di fare qualcosa... Mi basta che ringraziate la persona che vi ha portato qui. Vi ha offerto un riparo dal temporale e una medicazione per la vostra ferita"-.
Lidia avrebbe accettato di tutto pur di abbandonare il prima possibile quel bordello e di ritornare al suo anonimato nei bassifondi della città.
-"D'accordo, mi sembra giusto” - annuì. -“Posso sapere il suo nome?"-.
La donna socchiuse gli occhi e le rivolse un sorrisetto compiaciuto.
-"Perché non rendere il tutto un po' più... divertente? Non mi avete detto il vostro cognome, quindi vi dirò solamente il nome del vostro salvatore. Si chiama Michele"-.
Lidia alzò un sopracciglio e mise su un'espressione scettica. La donna la vide e capì subito a cosa stesse pensando la ragazza coi capelli color cannella.
-"Probabilmente starete pensando di ignorare la mia richiesta, visto che rintracciare il Michele giusto a Firenze sarebbe come cercare un ago in un pagliaio; però vi invito a farlo ugualmente. Sapete, lui si chiama davvero Michele..."-.
Detto ciò si avviò verso la porta, lasciandosi alle spalle Lidia con gli occhi verdi spalancati.
-"In ogni caso sarete sempre la benvenuta qui"-.
Uscì dalla camera e chiuse la porta. Lidia si accasciò a terra e si concesse qualche secondo per riprendersi dallo shock emotivo subito. Quella donna aveva scoperto la sua bugia, e niente escludeva la possibilità che sapesse anche il suo nome, quello vero. Si portò una mano al petto, fece qualche respiro profondo e poi si alzò in piedi. L'unica cosa da fare al momento era trovare quel Michele e ringraziarlo; poi tutto sarebbe tornato alla normalità, e Lidia avrebbe potuto nuovamente svanire nella caotica vita di Firenze.
Spalancò la porta e si affacciò per le scale, ma non riuscì a vedere Paola da nessuna parte.
-“Cercavate me?”- le domandò Paola alle sue spalle. -“Sapevo che avreste accettato la mia richiesta”-.
-“Come fate a sapere che ho mentito?”-.
Paola alzò le spalle e strinse le labbra piene color porpora.
-“Sesto senso femminile, suppongo. O forse no. Chissà...”- disse divertita. -“Ad ogni modo, vi auguro una buona ricerca”-.
-“Aspettate!”- la fermò Lidia. -“Datemi almeno un indizio sul suo aspetto!”-.
-“Vent'anni, alto, porta una spada da lato e l'abito che indossa è prevalentemente bianco e rosso. Non posso dirvi altro; l'ultima volta che ho visto il suo viso è stata circa sei anni fa”- disse Paola. -“E con questo, mia cara fanciulla, non mi resta che augurarvi buona fortuna”-.
Lidia guardò la matrona scendere le scale e sentì lo sconforto e la disperazione impadronirsi di lei. Prima di trovare il Michele giusto sarebbero passati decenni.
-“E' assurdo...!”- mormorò scuotendo il capo.

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Capitolo 3
*** Conventus ***


Le acconciarono i capelli in una crocchia alla base della nuca, lasciando che alcune ciocche le ricadessero sul viso; la truccarono e le sistemarono il vestito blu cobalto dall'ampia scollatura che aveva trovato sulla cassapanca.
-“E' la tua prima giornata di lavoro?”- le chiese una cortigiana squadrandola da capo a piedi.
-“No”- si intromise un'altra, quella che l'aveva truccata. -“O almeno, non ancora”-.
Lidia si guardò allo specchio in camera e sussultò. Adesso sembrava davvero una prostituta.
Le due cortigiane la accompagnarono al piano terra e la fecero uscire dal portone principale, secondo le indicazioni di Paola. Lidia si trovò così in mezzo alla strada, vestita e truccata da prostituta. Abbassò lo sguardo a terra, arrossendo, e si affrettò a trovare riparo in un vicolo lontano dalla via e dagli sguardi della gente. Aveva smesso di piovere, e ciò aveva portato alla fuoriuscita degli abitanti fiorentini dalle loro abitazioni.
Mi riconosceranno! Qualcuno mi riconoscerà!”, pensò allarmata.
Si guardò intorno; fortunatamente il vicolo era deserto. Col cuore che le martellava nel petto all'impazzata, si fece coraggio e uscì in strada, percorrendo la via a passo spedito. Prima avrebbe trovato Michele e prima avrebbe potuto tornare alla sua vita, nascosta da tutto e da tutti. Si recò in Piazza della Signoria e si appostò sotto al Palazzo, osservando i passanti nella vana speranza di trovare qualcuno che corrispondesse alla scarna descrizione di Paola. Attraversò il Ponte Vecchio e girò per Piazza del Duomo, i luoghi in cui, a suo avviso, avrebbe potuto trovare più facilmente un ragazzo di vent'anni.
Fu quando due donne la guardarono con aria molto preoccupata che interruppe la ricerca e si nascose nuovamente in un vicolo.
Mi avranno riconosciuta?!”.
Alzò una mano per sistemarsi i capelli e un'improvvisa fitta le attanagliò il braccio sinistro. Con orrore si accorse che la ferita si era riaperta e il sangue le aveva macchiato la manica dell'abito. Non poteva continuare la sua ricerca in quello stato, ma non poteva nemmeno tornare alla Rosa Colta, il bordello di Paola, senza aver trovato il famoso Michele. Decise di provare a resistere ancora per una mezz'ora, almeno finché il campanile non avrebbe segnato le sei del pomeriggio.
-“Ehilà!”- esclamò un uomo all'ingresso del vicolo.
Lidia si voltò di scatto e si pietrificò dal terrore. L'uomo, seguito da tre scagnozzi, avanzò con un sorriso sinistro sulle labbra. Si avvicinò a Lidia e si massaggiò il mento coperto da un'ispida barba bruna. Dai suoi abiti Lidia intuì che dovesse trattarsi di una persona molto ricca.
-“Sei libera al momento?”- le domandò soffermando gli occhi sulla scollatura della ragazza.
-“N-no. Sto aspettando il mio cliente”- rispose con voce tremante.
Gli scagnozzi dell'uomo scoppiarono a ridere, ma l'uomo li zittì con un gesto della mano.
-“Quanto ti pagherà il tuo cliente? Io posso darti di più”-.
Lidia non aveva la più pallida idea di quanto potesse costare un “servizio” di una cortigiana, così, trovatasi impreparata e con le spalle al muro, non rispose. Fece appello a tutte le sue forze per non crollare a terra; intanto il braccio continuava a sanguinarle.
-“Ho capito...”-.
L'uomo la afferrò per il braccio ferito; Lidia urlò di dolore e cercò di liberarsi dalla rude presa.
-“Vi prego!”- lo implorò con le lacrime agli occhi. -“Lasciatemi stare!”-.
-“Perché dovrei?”-.
-“Sono ferita!”-.
-“Non mi importa”-.
La afferrò per le spalle e la spinse verso i suoi tre scagnozzi.
-“Assicuratevi che stia zitta e che nessuno metta piede qui dentro”- ordinò loro.
Le gambe di Lidia cedettero al suo peso e la ragazza finì a terra. La testa aveva preso a girarle, sia per la paura che per il sangue perso.
Dio, perché?”, domandò al cielo mentre le strappavano l'abito di dosso tenendole un pugnale puntato alla gola. “Non ti bastava rovinarmi la vita? Merito io la morte? Ti prego, salvami!”.
Nessuno si accorse della figura incappucciata che era comparsa alle spalle dei tre scagnozzi, tranne quando, uno dopo l'altro, i tre uomini caddero a terra in un lago di sangue. Non diede nemmeno il tempo all'uomo di domandarsi cosa fosse appena successo che lo trapassò con la sua spada.
Lidia, ancora tremante, si alzò lentamente in piedi, reggendosi al muro. La persona di fronte a lei seguì i suoi movimenti e le tese una mano inguantata. Lidia la afferrò e la figura incappucciata la sorresse.
-“State bene?”- le domandò la voce di un ragazzo.
Lidia scoppiò a piangere e scosse la testa.
-“Grazie...! Grazie infinite!”- esclamò tra le lacrime.
Il ragazzo incappucciato notò il braccio sanguinante di Lidia; senza troppi complimenti la prese in braccio e uscì dal vicolo, dirigendosi verso La Rosa Colta.
-“Posso sapere... il vostro nome...?”- domandò Lidia con un fil di voce.
-”L'Arcangelo”- rispose il ragazzo.
Lidia, sorridendo debolmente, chiuse gli occhi e perse i sensi.
La sua preghiera era stata accolta.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Ave ***


Entrò nella Rosa Colta attraverso la porta sul retro, come aveva fatto qualche ora prima. Fortunatamente in quel momento le cortigiane erano quasi tutte impegnate, così l'Arcangelo riuscì a raggiungere la scalinata di marmo senza farsi vedere. Salito al primo piano, sulla scalinata che conduceva al secondo piano, la figura snella ma prosperosa di Paola gli si parò davanti, le braccia incrociate al petto e un sopracciglio alzato.
-“Il lupo perde il pelo ma non il vizio...”- commentò scuotendo la testa.
-“A quanto pare...”- borbottò l'Arcangelo.
-“Maria, Fabiana!”- alzò la voce Paola battendo le mani.
Due giovani cortigiane la raggiunsero di corsa con delle bende e una bottiglia di liquore piena a metà.
-“Provvidenti come sempre”- si complimentò la matrona prendendo le bende e la bottiglia.
Dopo averle congedate, con un cenno della mano Paola ordinò al ragazzo di seguirla al secondo piano, fino alla stanza dove l'Arcangelo e una cortigiana avevano lasciato la ragazza della Piazza della Signoria. Paola aprì la porta e, dopo che l'Arcangelo fu entrato, se la chiuse alle spalle e posò gli oggetti che aveva chiesto alle giovani prostitute sul ripiano della toeletta.
-“Lasciala pure sul letto”- gli disse, come se stesse parlando di un pacco.
L'Arcangelo obbedì; poi si guardò intorno e strinse le labbra.
-“Cos'hai?”- gli chiese Paola incuriosita.
-“Non vedo la ragazza di stamani”-.
Paola aprì il ventaglio e scoppiò a ridere.
-“Come pretendi di vederla se continui a portare il cappuccio?”-.
L'Arcangelo, in tutta risposta, si abbassò ancora di più il cappuccio a becco d'aquila e si strinse nelle spalle.
-“Dobbiamo portarlo così”- si giustificò.
-“Vero, ma non sempre”- sospirò Paola. -“Sono anni che non vedo il tuo volto; nessuno l'ha più visto. Perché ti ostini a nasconderlo?”-.
L'Arcangelo non rispose. Si avvicinò alla portafinestra e la spalancò, preparandosi a scavalcare il balcone.
-“Dove pensi di andare? Devi aiutarmi a medicare la ferita della ragazza”- lo fermò Paola afferrandolo per una spalla.
-“Io non...”- provò a protestare, ma dovette arrendersi quando si ritrovò con il liquore in mano.
Sospirò e si avvicinò al letto. Paola osservò il vestito sgualcito e arricciò il naso. Con non poco rammarico strappò la manica sinistra per poter medicare il braccio della giovane.
-“Era uno dei miei preferiti...”- mugugnò prendendo il liquore dalle mani guantate dell'Arcangelo.
-“Avevo visto giusto, allora”- commentò il ragazzo dietro Paola.
Paola si voltò, la fronte corrugata.
-“Ovvero?”-.
-“E' una vostra cortigiana”- rispose l'Arcangelo indicando Lidia.
Paola alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Aprì la bottiglia di liquore e versò il liquido ambrato sulla ferita di Lidia.
-“Tu e la tua fissazione per il cappuccio...”- borbottò.
Improvvisamente Lidia spalancò gli occhi e si tirò su a sedere, stringendo i denti per non urlare dal dolore; il braccio sinistro le stava bruciando tantissimo.
-“Bentornata, mia cara”- la salutò Paola con un sorriso. -“Permettetemi di sistemare la vostra ferita”-.
-“Matrona Paola...”- iniziò Lidia agitata.
Paola la zittì con un cenno della mano e prese le bende, prontamente bagnate di liquore dall'Arcangelo. Fasciò il taglio di Lidia e strinse forte le bende, sperando che la ferita non si aprisse nuovamente.
-“Abbiamo finito”- proclamò Paola. -“Adesso, mia cara, raccontatemi cosa vi è successo”-.
Mentre Lidia raccontava a Paola di come fosse stata aggredita durante la ricerca “di quella persona”, l'Arcangelo si diresse verso la portafinestra col chiaro intento di andarsene.
-“Mi dispiace non essere riuscita a trovarlo...”- concluse Lidia con le lacrime agli occhi.
-“Arcangelo!”- lo richiamò Paola.
Il ragazzo sussultò e si voltò lentamente.
-“Pensavo che il mio compito fosse finito”- si giustificò.
-“Nient'affatto. Mia cara”- si rivolse poi a Lidia. -“Avete ringraziato questo ragazzo?”-.
Lidia annuì con vigore. Paola sorrise compiaciuta e spinse dolcemente l'Arcangelo verso il letto.
-“Arcangelo, ti presento la fanciulla che hai salvato due volte: Beatrice. E Beatrice, vi presento colui che vi ha salvata due volte: Michele”-.

 

 

 

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Capitolo 5
*** Vindicta ***


Nei giorni successivi, Lidia rimase a letto, ospite della Rosa Colta e sotto le cure di un medico “di cui ti puoi fidare ciecamente”. La ragazza notò che Paola non le dava più del voi, ma del tu; non che le importasse qualcosa, era una pura e semplice constatazione. Lei invece continuava a rivolgersi alla matrona dandole del voi; del resto era stata cresciuta in una famiglia nobile.
Ogni notte sognava l'aggressione al suo palazzo e alla sua famiglia, svegliandosi di soprassalto e piangendo. Quell'esperienza l'aveva segnata profondamente, talmente tanto da farle giurare vendetta contro coloro che avevano rovinato la sua vita.
Una settimana dopo, quando la ferita al braccio guarì miracolosamente, Paola comparve sull'uscio della camera. Entrò, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
-“Stai bene, Beatrice?”- domandò alla ragazza.
Lidia si tirò su le coperte e annuì; si vergognava a farsi vedere da qualcuno in veste da notte.
-“Non voglio sembrare... rude, ma sono costretta ad andare dritta al punto”- disse Paola seria. -“Hai un posto in cui fare ritorno?”-.
-“Sì”- rispose d'istinto Lidia.
Paola la fissò negli occhi verdi per qualche secondo, poi scosse la testa e sorrise, piena di compassione.
-“Hai di nuovo mentito. I tuoi occhi parlano”-.
-“Nient'affatto”-.
-“L'hai fatto di nuovo”- le fece notare Paola indicando i suoi occhi.
Lidia abbassò lo sguardo sulle coperte e si morse il labbro. Che la matrona fosse venuta a conoscenza della sua identità e stesse collaborando con gli assassini della sua famiglia?
-“Beatrice”- disse Paola rompendo il silenzio.
Lidia si irrigidì e si preparò a scappare; aveva tutti i muscoli in tensione e stava sudando freddo.
-“Puoi restare qui, se vuoi”-.
Le parole della donna mora spiazzarono Lidia, che la guardò sorpresa.
-“Ho fondato La Rosa Colta per dare una casa alle povere ragazze abbandonate in strada. Perché non dovrei accogliere tra le mie ragazze una fanciulla senza casa e con un passato burrascoso alle spalle? Non mi guardare così, Beatrice, ti si legge negli occhi che hai subito un forte trauma piuttosto recente. Io voglio solo aiutarti. Puoi fidarti”-.
Tutta la tensione che Lidia aveva accumulato finora fuoriuscì sotto forma di lacrime. Lidia scoppiò a piangere e si arrese ai ricordi e alle sue emozioni. Paola le accarezzò i capelli color cannella con fare materno.
-“Hanno ucciso la mia famiglia!”- esclamò Lidia tra i singhiozzi. -“Li hanno uccisi tutti!”-.
-“Stai tranquilla, mia cara”- la rassicurò Paola abbracciandola. -“Adesso sei al sicuro. E' tutto a posto”-.
-“Non è vero! Non è assolutamente vero!”- ribatté Lidia liberandosi dall'abbraccio e asciugandosi gli occhi col dorso della mano. -“Non sarà tutto a posto finché non avrò trovato coloro che mi hanno rovinato la vita e non li avrò uccisi con le mie mani!”-.
L'improvviso moto di rabbia della ragazza sorprese non poco Paola. La guardò intensamente, e si stupì di non essersi resa conto prima del potenziale che Lidia possedeva. Con solo un po' di allenamento...
-“Beatrice”- disse Paola con un tono di voce improvvisamente serio. -“E' davvero la vendetta ciò che tu cerchi?”-.
-“Sì”- rispose Lidia decisa.
-“Davvero saresti disposta a uccidere?”-.
-“L'ho già fatto”-.
La sicurezza negli occhi verdi della ragazza fece prendere alla matrona un'importante decisione.
-“Ascoltami bene, Beatrice: io e le mie cortigiane, oltre a svolgere il nostro compito da prostitute, lavoriamo per una confraternita formata per lo più da persone che, come te, hanno subito un... torto del quale vogliono vendicarsi. Unisciti a noi e potrai placare la tua sete di vendetta”-.
Lidia si fece attenta.
-“Ditemi di più”-.
-“Non posso. Potrò descriverti tutto nei dettagli solo se deciderai di fare parte delle mie cortigiane”-.
-“Cosa fate per questa confraternita?”-.
-“Principalmente raccogliamo informazioni. A qualunque costo”-.
Lidia scosse la testa. Paola la guardò con aria interrogativa.
-“Non mi basta”- spiegò Lidia. -“Io... Io cerco vendetta. Vendetta immediata. Matrona Paola, io desidero unirmi alla confraternita di cui mi avete parlato”-.
-“Non è così semplice...”-.
-“Non mi importa. Io voglio vendetta, e l'avrò a tutti i costi, dovessi pure andare all'Inferno”-.
-“Benissimo”-.
Paola uscì dalla camera, le parole di Lidia che le risuonavano ancora nelle orecchie. La vendetta era diventata l'unica ragione di vita di quella ragazza all'apparenza molto fragile; il suo spirito ardente l'aveva profondamente impressionata. Scese per la scalinata di marmo, non riuscendo a smettere di sorridere. Aveva sempre ammirato la tenacia della gioventù.
Dovessi pure andare all'Inferno”, aveva detto.
Paola scosse la testa, sospirando.
Potrai scendere all'Inferno tutte le volte che vorrai; l'Arcangelo riuscirà sempre a riportarti indietro”.

 

 

NOTA DELL'AUTRICE:
Salve a tutti! Questo è l'ultimo capitolo che avevo già pronto; volevo perciò avvisarvi che gli altri capitoli, in quanto devono essere ancora scritti, non verranno pubblicati con la stessa rapidità della quale sono stati dotati gli altri ><
Grazie per aver letto anche questo capitolo e per seguire la storia ^^ Lasciate qualche recensione per farmi sapere le vostre opinioni :D
Alla prossima!

 

 

 

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Capitolo 6
*** Balteum ***


La determinazione di Lidia convinse Paola a intercedere tra la ragazza e la Confraternita. Il Gran Maestro approvò l'unione della ragazza dai capelli color cannella, e un mese dopo Lidia Mormorai si unì agli Assassini col nome di Beatrice Sernigi; non poteva rivelare a nessuno la sua identità, neppure alla sua nuova famiglia. Le marchiarono l'anulare sinistro e le fecero giurare fedeltà al Credo.
La novizia, totalmente inesperta, venne affidata agli insegnamenti di Alfonso Calandri. Grazie a quell'uomo, Lidia imparò le basi delle tecniche degli Assassini: il combattimento corpo a corpo e il parkour.
-”Bice, non stai facendo una sfilata per il Granduca! Stai correndo sui tetti, ricordatelo!”- era solito dirle Alfonso. Lidia, essendo nata e cresciuta in una nobile famiglia, possedeva un portamento e delle maniere talmente eleganti da saltare subito agli occhi degli Assassini più esperti.
-”S-scusatemi!”- esclamava sempre Lidia in risposta.
-”E smettila di darmi del voi!”-.
Le abilità di apprendimento di Lidia sorpresero Alfonso. Un mese dopo l'Assassino si reputò soddisfatto delle sua allieva e la affidò alle “cure” di un altro membro della Confraternita perché imparasse a utilizzare le armi da taglio. Alfonso si rivolse alla persona ritenuta la più capace all'interno della Confraternita: l'Arcangelo.

 

 

Lidia, seduta sotto a un cipresso sperduto nella campagna fuori Firenze, si guardò le mani guantate e strinse i pugni. Si osservò i vestiti, storcendo la bocca con disappunto. Stava indossando dei pantaloni, un tipico capo d'abbigliamento maschile. Se suo padre l'avesse vista conciata in quel modo l'avrebbe diseredata seduta stante; ma suo padre non poteva vederla, non più, ed era proprio per lui e per la sua famiglia che li stava indossando. La fascia rossa arrotolata attorno ai fianchi, invece, le piaceva molto, così come il cappuccio bianco a becco d'aquila; con quello addosso nessuno l'avrebbe riconosciuta.
La notte prima, seduti sui tetti di un palazzo che si affacciava sull'Arno, il fiume di Firenze, Alfonso le aveva detto che dal giorno seguente avrebbe avuto un nuovo istruttore. Lidia se ne dispiacque un poco; si era affezionata a quell'uomo dalla barba fulva.
-”Devi proseguire il tuo addestramento. Sai maneggiare le armi da taglio?”- le aveva domandato.
Se si stava riferendo alle posate, sì, Lidia le sapeva usare perfettamente; la ragazza però intuì che con “armi da taglio” Alfonso intendesse tutt'altro, così aveva scosso la testa.
-”Appunto”- aveva detto Alfonso alzando un sopracciglio. -”Domani a mezzogiorno recati al cipresso che ti ho mostrato una settimana fa. Lì ti incontrerai col tuo nuovo istruttore”-.
Spero solo che sia un uomo dotato di tatto”, pensò Lidia tirandosi su a sedere; aveva visto un'ombra lontana avvicinarsi a cavallo. Appena la figura fu abbastanza vicina, Lidia la riconobbe subito. Solo una persona portava la fascia rossa a mo' di sciarpa invece che attorno ai fianchi. Il ragazzo scese elegantemente da cavallo e legò il destriero al tronco del cipresso. Si pulì le mani sugli abiti, lanciando un'ultima occhiata all'animale, e si voltò verso Lidia.
-”Michele...!”- disse la ragazza sorpresa. Non si aspettava minimamente che il suo nuovo insegnante sarebbe stato proprio il suo salvatore, specialmente dopo non aver avuto sue notizie per due mesi.
L'Arcangelo guardò le mani di Lidia e si accigliò. Lidia non poté vedere la sua espressione a causa del cappuccio che copriva buona parte del volto del ragazzo.
-”Non avete un'arma con voi?”- le domandò. Era l'unico che si rivolgeva a Lidia dandole ancora del voi.
-”Ah, no...”- disse guardando la cintura che avrebbe dovuto sostenere i foderi della spada e dei coltelli.
-”Prendete quello”- le ordinò indicando un bastone abbandonato sul ciglio della stradicciola dissestata. -”E' della lunghezza giusta”-.
Lidia, titubante, eseguì. Michele la osservò in silenzio mentre si posizionava davanti a lui. Non le disse di calarsi il cappuccio sugli occhi perché pensava che non fosse ancora pronta per combattere con una parte della visuale oscurata, ma il modo in cui la novizia stava impugnando il bastone... Era come se le facesse ribrezzo.
-”Stringetelo”- le disse.
Lidia spalancò gli occhi verdi.
-”Scusatemi...?”-.
-”Così perderete l'arma”-. Come a dimostrazione di ciò che aveva appena detto, l'Arcangelo sguainò la spada e fece volare via il bastone con un colpo secco. Lidia trattenne a stento un grido di spavento e si portò la mano destra al petto.
-”Inizieremo dalle basi”- proclamò Michele. Ripose la spada dalla lama lucida nel fodero e si posizionò dietro Lidia, afferrandole con decisione la mano destra. Lidia sussultò. Michele guidò la mano della ragazza, facendole estrarre la spada.
-”Queste sono le basi: estrazione, impugnatura e rinfodero. Se la vostra presa è debole e indecisa, verrete sopraffatta in un attimo”-.
L'Arcangelo si allontanò da Lidia e si slacciò la cintura, ordinando alla novizia di fare altrettanto.
-”C-come?!”- esclamò Lidia con voce stridula. Arrossì di botto e indietreggiò di qualche passo. Cosa voleva fare l'Arcangelo? Slacciarsi la cintura? E doveva farlo anche lei? A quale scopo?
Oddio, no!”. La sua mente venne affollata dalle più assurde immagini e la ragazza, istintivamente, puntò la lama della spada contro il giovane Assassino. Michele, non capendo cosa le fosse preso, si avvicinò a Lidia, deviando la lama con la placca metallica protettiva di cui era dotata la lama celata, e con un rapido movimento le slacciò la cintura, la prese e le porse la sua.
-”Avrete bisogno della cintura col fodero per esercitarvi con le basi”- disse pacato.
-”Ah”- fu tutto quello che Lidia riuscì a dire. Si sentì una completa idiota. Abbassò lo sguardo a terra e si mise la cintura di Michele, borbottando, imbarazzata, parole incomprensibili persino a sé stessa.
-”Siete pronta?”- le chiese Michele una volta che Lidia ebbe finito. -”Estraete, impugnate e rinfoderate cinquanta volte. Non perdete il conto o dovrete ricominciare dall'inizio”-.
D'accordo”, si disse Lidia, e cominciò. L'Arcangelo, dopo aver camminato intorno a Lidia un paio di volte, andò a sedersi sotto al cipresso dove il suo cavallo stava pascolando. Osservò la ragazza; attorno alla ventesima estrazione avrebbe dovuto iniziare ad accusare il peso della spada.
Infatti”, pensò Michele annuendo.
-”Numero?”- le domandò.
-”Trentadue”- mentì Lidia senza incrociare lo sguardo di Michele; non che ciò fosse possibile, dato il cappuccio costantemente calato sugli occhi.
-”Ricominciate”- disse Michele piatto.
Lidia tentò di ribattere ma si arrese subito, abbassando il capo e sospirando. Non pensava che Michele si sarebbe messo a contare per verificare che non barasse. Facendo leva su tutta la sua forza di volontà, Lidia ricominciò da capo, questa volta intenzionata a non imbrogliare.
Michele vide la determinazione sincera negli occhi verdi della ragazza e si rilassò; sapeva che, per quel giorno, non avrebbe più mentito.
Ce la posso fare”, pensò Lidia con convinzione.
Non ce la farà”, pensò Michele.

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti! ^^ Questo è il primo capitolo di "Archangelus" che scrivo dopo quasi due anni dalla stesura dei capitoli precedenti. Spero non si noti troppo la differenza di stile, è una cosa che temo particolarmente D: Ho "tirato via" (come si dice dalle mie parti) sulla cerimonia di Lidia perché non è una cosa di cui dobbiamo preoccuparci u.u Finalmente Lidia reincontra Michele dopo ben due mesi!
Non vi aspettate aggiornamenti frequenti perché i prossimi capitoli sono da scrivere da zero e la sottoscritta è in sessione d'esami D: Aiut- *muore* 
Nella speranza che anche questo capitolo vi sia piaciuto, vi ringrazio per star seguendo la fic e per le recensioni che state lasciando :>
Alla prossima! :D

 

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Capitolo 7
*** Cognata ***


Il giorno seguente, nello stesso luogo e alla stessa ora, Lidia e Michele si incontrarono per proseguire l'addestramento della ragazza. Michele, previdente, aveva portato con sé un'altra spada destinata a Lidia, la quale, proprio come l'Arcangelo aveva immaginato, si era presentata completamente disarmata.
Errore fatale”, pensò Michele consegnando la spada a Lidia.
-”Noto che oggi siete provvista di fodero”- disse indicando la cintura della ragazza. -”Allora mostratemi ciò che avete imparato ieri”-.
Lidia non se lo fece ripetere due volte e, dopo aver messo nel fodero la spada, la estrasse, la puntò contro il suo istruttore e la rinfoderò; compì tutte le azioni con decisione e destrezza, impressionando un poco Michele, il quale si vide costretto a rimangiarsi il pensiero negativo avuto il giorno prima.
-”Adesso possiamo passare alla fase successiva?”- domandò Lidia emozionata.
-”Direi di sì”- si arrese Michele sotto lo sguardo supplichevole della giovane. Estrasse la sua spada e ordinò a Lidia di imitarlo. Si posizionò di fronte a lei, il busto ruotato di profilo e il piede destro avanti.
-”Siete pronta?”-.
-”Da tempo”-.

 

 

Lidia si sdraiò sull'erba e chiuse gli occhi, godendosi la brezza proveniente dall'Appennino Toscano. Aveva sentito dagli altri Assassini che Michele era uno spadaccino formidabile, ma non credeva lo fosse così tanto. I movimenti di quel ragazzo erano talmente precisi, fluidi ed eleganti che ogni suo assassinio sarebbe potuto apparire come una danza. La fascia rossa arrotolata dolcemente attorno al collo, poi, era terribilmente ipnotica.
Lidia, i muscoli doloranti e il respiro spezzato, si domandò come facesse Michele a combattere con la visuale in parte coperta dal cappuccio a becco d'aquila. La ragazza aveva provato a imitarlo, ottenendo però imbarazzanti risultati.
-”Beatrice, quello è il tronco del cipresso, non sono io”-.
Davvero, come ci riuscirà?”, si domandò guardando il suo istruttore intento a dar da mangiare al cavallo. “Ma soprattutto, come sarà il suo viso?”.
Paola le aveva detto che l'ultima volta che aveva visto il volto dell'Arcangelo era stato sei anni prima, quando il giovane aveva appena quindici anni. Era passato talmente tanto tempo che la matrona non ricordava più di che colore fossero i suoi occhi e i suoi capelli. C'era un motivo per il quale Michele aveva smesso di mostrarsi a volto scoperto? Lidia voleva saperlo, ma non era abbastanza sfacciata da chiederglielo; la sua nobile educazione aveva ancora influenza su di lei.
Esattamente nell'istante in cui Lidia aveva deciso di riprendere gli allenamenti, una figura a cavallo con indosso una divisa da Assassino abbandonò la stradicciola e e galoppò nella direzione dei due ragazzi. Michele si avvicinò a Lidia.
-”Mettetevi il cappuccio e strigliate il mio cavallo”- le ordinò a bassa voce. -”Qualunque cosa accada, non mostrate il vostro volto”-.
Lidia guardò l'Arcangelo con aria interrogativa, non capendo quale fosse il motivo delle sue assurde istruzioni. Non aveva nemmeno la più pallida idea di come si strigliasse un cavallo; era un lavoro che lei e la sua famiglia destinava alla servitù.
Titubante, eseguì gli ordini di Michele. Si alzò in piedi, si calò il cappuccio sugli occhi e si avvicinò al cavallo, il quale sbuffò rumorosamente.
Perché non dovrei mostrare il mio volto? Chi è la persona che sta arrivando?”, si domandò Lidia allarmata. Istintivamente portò una mano all'elsa della spada e si preparò a sguainarla in caso di bisogno.
Il nuovo Assassino scese agilmente da cavallo e si stiracchiò, posando poi pesantemente una mano sulla spalla di Michele.
-”Sono tornato!”- proclamò allegramente. -”Ti sono mancato, Angioletto?”- gli chiese scoppiando in una fragorosa risata.
-”Non proprio...”- bofonchiò Michele.
-”Oh, avanti, fai un sorriso a tuo cugino!”-.
Cugino? Quel ragazzo sarebbe il cugino di Michele?”, pensò Lidia sorpresa.
Il ragazzo in questione tirò una spallata amichevole all'Arcangelo e si tirò su il cappuccio bianco, rivelando una chioma nera e leggermente mossa e degli occhi color nocciola dal taglio allungato; un bellissimo sorriso a trentadue denti sembrava onnipresente sulle sue labbra. Lidia non poté fare a meno di immaginare il viso di Michele basandosi su quello del cugino.
-”Com'è andata la missione a Venezia?”- domandò l'Arcangelo.
-”Splendidamente!”- rispose l'altro passando un braccio attorno alle spalle di Michele e avanzando verso il cipresso sotto al quale Lidia stava fingendo di strigliare il cavallo del suo istruttore. -”Voglio tornarci per il Carnevale! E' una città meravigliosa!”-.
Michele sospirò e tentò di non soccombere sotto le continue chiacchiere del cugino Tancredi. Figlio del fratello di suo padre, Tancredi aveva tre anni più di Michele e aveva sempre trattato il cugino come un fratello minore bisognoso di protezione. Mentre tutti gli Assassini della Confraternita chiamavano Michele “Arcangelo”, Tancredi ricorreva spesso all'appellativo “Angioletto”, in una sorta di polemica ironica verso il soprannome tanto pomposo. Tancredi, al contrario del cugino, era un ragazzo solare e perennemente col sorriso sulle labbra; era facile capire cosa gli passava per la testa in un determinato momento, i suoi occhi, esattamente come quelli di Lidia, erano un libro aperto. Il punto debole di Tancredi erano le belle donne: appena ne vedeva una di suo gradimento si fiondava a corteggiarla. Michele, temendo per l'incolumità di Lidia e nella speranza che il cugino non si accorgesse di lei, le aveva detto di nascondere il proprio volto.
-”Angioletto, e quello chi sarebbe?”- domandò Tancredi indicando Lidia.
Merda!”, pensarono sia Lidia che Michele.
L'Arcangelo era già pronto a rispondere con la bugia che si era inventato, ma suo cugino si separò da lui e raggiunse Lidia a grandi passi. La ragazza sussultò e si lasciò cadere la spazzola per strigliatura dalle mani. Tancredi si chinò su di lei e, con un gesto rapido e deciso, le scoprì il volto.
Ciò che si mostrò agli occhi di Tancredi lo lasciò per un istante senza parole: una giovane ragazza dalla pelle candida e i lunghi capelli color cannella; due grandi occhi verdi da cerbiatta gli trapassarono il cuore in men che non si dica, e in quel momento Tancredi si considerò perduto per sempre.
Le afferrò le mani e se le strinse al petto, provocando nella ragazza una reazione di sorpresa.
-”Come vi chiamate, madonna?”- le domandò emozionato.
Lidia lanciò un'occhiata alle spalle di Tancredi, in cerca di aiuto da parte di Michele, ma l'Arcangelo le fece spallucce e si voltò dall'altra parte.
-”B-Beatrice...”- rispose Lidia titubante, maledicendo Michele per non essere venuto in suo soccorso.
-”Beatrice...”- mormorò Tancredi. -”Beatrice, sappiate che da questo momento in poi voi sarete mia”-.
-”Prego?!”- esclamò Lidia incredula.
Michele incrociò le braccia al petto e scosse la testa, rassegnato.





NOTA DELL'AUTRICE
Prima che qualcuno si scervelli sul significato del titolo del capitolo, sappiate che, secondo Google Traduttore, "cognata" significa "cugino" in latino. Ho i miei dubbi, ma ho deciso di fidarmi >w<
Alla prossima! :D

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Capitolo 8
*** Agoraphobia ***


Quegli smeraldi che la ragazza si ritrovava come occhi erano talmente limpidi e trasparenti da mostrare a chiunque li guardasse la sua anima, in tutte le sue molteplici sfaccettature.
Paola se n'era accorta subito, fin dal primo sguardo fugace che si erano scambiate: Beatrice era una bugiarda. Una bugiarda ingenua, a essere precisi; una giovane dedita alle così dette “bugie bianche”, quelle raccontate a fini non spregevoli. Che avesse perduto la propria famiglia era vero, Paola glielo aveva letto negli occhi, così come il suo desiderio di vendetta; ma il suo nome, Beatrice Sernigi, era falso come un genovese generoso. La matrona della Rosa Colta aveva però tenuto per sé le sue osservazioni, senza rivelarle al Gran Maestro. Era curiosa di assistere all'evolversi della storia.
Perché si evolverà, ne sono certa”.

 

 

Domenica, esattamente quattro giorni dopo aver fatto la conoscenza di Tancredi, Michele concesse a Lidia un giorno di riposo; la invitò comunque a non tralasciare del tutto gli allenamenti, ma Lidia si fece entrare le parole dell'istruttore da un orecchio per poi farle uscire immediatamente dall'altro. Si meritava una giornata di puro svago. Le sue nobili origini le imponevano di recarsi a messa la domenica mattina, ma da quando le era accaduta quella cosa aveva smesso di andarci: troppe persone vicine alla sua famiglia avrebbero potuta riconoscerla e vedere in lei l'assassino di quel tale Vincenzo Aloi.
-”Madonna!”- esclamò Tancredi spalancando la porta e piombando nell'umile casa che Paola aveva dato in affitto a Lidia. -”Ho saputo del vostro giorno libero!”-.
Quanto urla...”, pensò Lidia infastidita.
Da quando si erano conosciuti, Tancredi aveva avanzato ogni tipo di proposta a Lidia, dalla più poetica alla più sconcia. La ragazza dai capelli color cannella aveva sempre cercato l'aiuto di Michele, ma quest'ultimo, spesso e volentieri, faceva finta di niente. Paola l'aveva messa in guardia sulla sua natura schiva.
-”Ovunque vogliate andare, vi accompagnerò!”-.
-”Siete gentile, ma preferirei la mia sola compagnia”-.
Detto ciò, si calò sugli occhi il cappuccio bianco, fece spostare il ragazzo e uscì in strada. La luce del mattino la colpì in pieno, facendo brillare il simbolo della Confraternita che ogni Assassino aveva appuntato sulla cintura. La via era insolitamente affollata; persone di ogni età e di ogni rango sociale percorrevano la strada baciata dal sole. Lidia si pietrificò di colpo.
Troppa... Troppa gente...”, pensò spaventata. La sua respirazione si accelerò all'improvviso e continui brividi presero a correrle lungo la schiena. Un forte senso di nausea le attanagliò lo stomaco. Lidia, con gambe tremanti, fece qualche passo indietro e finì con lo scontrarsi con Tancredi. Il ragazzo la afferrò per le spalle e guardò il corpo di Lidia tremare violentemente.
-”Agorafobia...”- commentò con un sussurro.
Tancredi non poteva sapere del modo in cui quella fobia fosse nata e cresciuta in Lidia; d'altro canto, Lidia stessa non credeva che la sua paura di essere riconosciuta e rintracciata dagli assassini della sua famiglia potesse arrivare fino a quel punto.
Tancredi si sporse oltre Lidia e chiuse la porta con un gesto deciso. Il tonfo riecheggiò nella stanza.
-”Non sapevo soffriste di tale fobia”-.
-”N-nemmeno i-io...”- confessò la giovane.
Il ragazzo invitò Lidia a sedersi e si adoperò per portarle un bicchiere d'acqua. La guardò mentre, le lunghe ciglia abbassate, prendeva dei piccoli sorsi dal bicchiere che le aveva appena porto.
Potrebbe essere un bel problema”, pensò. “Un Assassino degno di questo nome non può permettersi di avere fobie”.
Doveva esserle successo qualcosa; le paure non nascono dal nulla. Possibile che suo cugino non se ne fosse mai accorto?
-”Madonna”- esordì Tancredi dopo aver osservato Lidia riprendersi. -”Come avete fatto fin'ora?”-.
Il viso di Lidia si accigliò. Non aveva capito la domanda. Tancredi se ne accorse e la formulò in modo più chiaro.
-”Se la vostra fobia si è manifestata solo adesso in modo così evidente, significa che nelle situazioni precedenti c'è stato un fattore che ha impedito alla paura di... mostrarsi”- spiegò il ragazzo moro.
Lidia abbassò lo sguardo sul pavimento e iniziò a ragionare, aiutata dalla constatazione di Tancredi. Prima dell'incidente Lidia stava bene, era in grado di uscire di casa da sola e di frequentare luoghi affollati anche da sola. L'uccisione della sua famiglia era quello che la psicologia moderna definisce “trigger”, ovvero un improvviso evento che comporta un cambiamento psicologico nell'individuo. La continua ansia di venir riconosciuta aveva sviluppato in lei l'agorafobia.
-”Negli ultimi tempi non sono più uscita di casa da sola...”- disse Lidia esponendo ad alta voce il suo ragionamento. -”Quelle rare volte in cui con me non c'era nessuno le strade erano molto poco frequentate”-.
-”Si spiega tutto”- commentò Tancredi.
-”Mi dispiace”- mormorò Lidia con una nota di frustrazione nella voce. Si morse il labbro e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Tancredi rimase colpito dalla visione di quella giovane ragazza dispiaciuta ma al tempo stessa ferita nell'orgoglio, e il suo cuore venne stretto da una morsa.
-”La supereremo insieme, madonna!”- esclamò gettandosi in ginocchio ai suoi piedi.
Lidia gli lanciò un'occhiata imbarazzata e sorrise debolmente, ringraziandolo. In cuor suo avrebbe preferito che al posto di Tancredi ci fosse stato Michele.

 

 

-”L'assassino di Aloi è il sopravvissuto”-.
-”La sopravvissuta”-.
-”Esattamente. Dobbiamo rintracciarla o...?”-.
-”No, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio. Non conosciamo nemmeno il suo volto. Lasciamo che sia lei a rintracciare noi; la vendetta è in grado di fare grandi cose...”-.

 

 

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Capitolo 9
*** Non humana ***


Lidia si alzò in piedi di scatto facendo spaventare Tancredi, ancora inginocchiato in adorazione della ragazza. Per superare la sua fobia doveva innanzitutto scoprirne l'origine e neutralizzarla, e per fare ciò doveva parlare con qualcuno che sapesse la verità sul suo conto, anche se non tutta.
-”Tancredi, vi prego, accompagnatemi alla Rosa Colta”-.
-”Prego?”- disse Tancredi guardandola con perplessità. Lo sapeva che la Rosa Colta era un bordello?
-”Devo parlare con Matrona Paola”-.
Oh, sì, lo sapeva. Tancredi si passò una mano tra i capelli e distolse lo sguardo dagli occhi verdi di Lidia. Di tutto si sarebbe aspettato da quella ragazza, ma non che volesse andare a parlare con Paola. Certo, anche lei era un'Assassina, ma per qualche motivo quella avvenente donna mora non gli andava a genio; sembrava che fosse sempre un passo avanti rispetto agli altri e che fosse disposta a tutto pur di mantenere il proprio vantaggio.
-”Come desiderate, madonna”- chinò il capo Tancredi.
Entrambi gli Assassini si tirarono su il cappuccio e uscirono dalla casa di Lidia, dirigendosi a passo spedito in un vicolo poco distante da lì per poter salire sui tetti senza essere visti.
-”Tutto bene?”- domandò Tancredi, già sul tetto. Si chinò e tese una mano a Lidia per aiutarla a salire.
-”Abbastanza...”- rispose la giovane accettando l'aiuto. Afferrò la mano di Tancredi e fece leva sul proprio braccio. Compì un piccolo balzo e atterrò in piedi al fianco del ragazzo moro, il quale aveva seguito estasiato le sue mosse.
-”La vostra grazia ed eleganza mi sbalordisce ogni volta, madonna! Mi domando se anche a letto voi sia...”-.
Lidia arrossì di botto e non ci pensò su due volte a tirargli una gomitata nello stomaco. Tancredi emise un rantolio soffocato e si chinò in avanti, incrociando le braccia all'altezza dello stomaco.
-”S-stavo s-s-scherzando, ma-madonna...!”- riuscì a dire con un fil di voce.
-”Sarà meglio”- disse Lidia gelida.
Quella ragazza era diventata rapida e forte; Tancredi si complimentò con Alfonso Calandri per aver compiuto un ottimo lavoro. Il ragazzo dagli occhi color nocciola non voleva essere da meno: sarebbe riuscito a trovare il modo di guarire Lidia dalla sua paura, a qualunque costo.
Tossicchiando imbarazzato, Tancredi si massaggiò lo stomaco e lanciò un'occhiata a Lidia, la quale si voltò subito dall'altra parte con fare altezzoso.
-”Andiamo, madonna”- si limitò a dire con un sorrisetto sulle labbra. -”Mostratemi cosa Alfonso vi ha insegnato”-.

 

 

-”Tancredi!”- esclamò una cortigiana in abito verde salvia. Si lanciò il ventaglio alle spalle e si gettò tra le braccia del ragazzo moro.
-”Ah, Caterina!”-.
Un'altra giovane dai lunghi capelli castani abbandonò le sue faccende per correre incontro a Tancredi, il quale la salutò con un sorrisone.
-”Fiammetta, sono tornato!”- disse accogliendola tra le sue braccia insieme a Caterina.
Lidia osservò la scena in disparte, sbalordita dal numero di cortigiane che stavano accorrendo alla notizia dell'arrivo di Tancredi. Non ci mise molto a capire che il cugino di Michele era un assiduo frequentatore della Rosa Colta.
-”Ti mancavano le mie labbra, vero?”- domandò maliziosa una ragazza che rispondeva al nome di Bona.
-”Non puoi immaginare quanto...”- rispose Tancredi accarezzandole una guancia.
Dio, ti prego, aiutami!”, pensò Lidia roteando gli occhi. Decise di abbandonare Tancredi alle proprie faccende e si addentrò nel palazzo alla ricerca di Paola. La trovò nel cortile interno intenta a potare un cespuglio di rose. Non appena vide Lidia, la matrona posò le cesoie ai piedi della pianta e si alzò in piedi, andandole incontro.
-”Mia cara, che piacere rivederti! Quanto tempo è passato dall'ultima volta che ci siamo viste?”-.
-”Quasi due mesi”- sorrise debolmente.
-”Ho notato una certa agitazione tra le mie cortigiane”- disse riducendo gli occhi a due fessure. -”E' per caso tornato Tancredi?”-.
Lidia spalancò gli occhi verdi, sorpresa dalla giusta deduzione della matrona. Paola si coprì la bocca col dorso della mano e rise.
-”Le mie ragazze stravedono per lui”- spiegò con una punta di malizia. -”Siete giunti insieme?”-.
-”Sì... A questo proposito, Matrona Paola, avrei bisogno di parlarvi di una certa questione”-.
Paola vide il turbamento negli occhi di Lidia e la fece accomodare su una delle panchine di marmo bianco che si trovavano nel cortile. Dopo aver affidato le cesoie a una cortigiana che passava di lì per caso, la matrona andò a sedersi accanto a Lidia e la esortò con un lieve cenno della mano a spiegare.
-”Io... vivo nel terrore di essere riconosciuta dagli assassini della mia famiglia”- mormorò Lidia, lo sguardo abbassato sulle sue mani intrecciate.
-”Questo perché hai poca fiducia nelle tue capacità, mia cara. Alfonso mi ha parlato bene di te, e non ho ancora sentito l'Arcangelo lamentarsi di qualcosa...”-.
A udire quel nome, la testa di Lidia scattò verso l'alto e i suoi occhi si puntarono in quelli della matrona.
-”Vi ha parlato di me?! Cosa vi ha detto?”- domandò Lidia con voce stridula.
Paola sorrise enigmaticamente e distolse lo sguardo.
-”Assolutamente niente. Bice, ricorda: l'Arcangelo non è una persona comune; non puoi trattarlo come se fosse un semplice ragazzo. C'è un abisso dentro di lui, ma nessuno ha mai ottenuto il permesso di calarsi al suo interno, nemmeno quel bel bocconcino di suo cugino, Lascialo perdere... Gli angeli non sono umani”-.
Lidia perse tutto il suo entusiasmo e si mosse a disagio sulla panchina, prendendo a contorcersi dall'imbarazzo le dita delle mani. Paola, portandosi i lunghi capelli neri su un lato, accarezzò con dolcezza la spalla della ragazza. Non era la prima volta che qualcuno mostrava interesse per l'Arcangelo; nonostante tendesse alla misantropia e il suo volto fosse perennemente nascosto, quel giovane misterioso sembrava essere in grado di far cadere facilmente le persone ai suoi piedi. A lui, però, questa sua particolare abilità innata non interessava. Proprio come un arcangelo, Michele era quasi del tutto estraneo ai piaceri terreni.
-”La paura è tutta nella tua testa”- riprese la matrona dopo un po'. -”Non c'è alcun pericolo che tu venga riconosciuta. Se coloro che hanno ucciso la tua famiglia conoscessero il tuo volto, ti avrebbero eliminata già da tempo, credimi. Purtroppo so bene come funzionano queste cose. Non temere, col tuo bellissimo nome nessuno sarà in grado di risalire alla tua vera identità”-.
Lidia sorrise impacciata, colpita in pieno dalla frecciatina della matrona. Ringraziò Paola per le parole di conforto e si congedò. Passò per l'androne del palazzo e strappò Tancredi alle sue ammiratrici; se non fosse stato per l'agorafobia lo avrebbe volentieri lasciato dov'era. Alzando la voce per tentare di sovrastare le lamentele delle cortigiane, Lidia domandò al ragazzo moro se potesse riaccompagnarla a casa. Ovviamente Tancredi non rifiutò. L'immagine del viso buio e pensoso di Lidia lo seguì per tutto il giorno, anche dopo che si separò da lei per tornare a svolgere i suoi affari. Chissà di cosa aveva parlato con la matrona della Rosa Colta e qual era la causa del suo turbamento...

 

 

Finalmente sola, Lidia si liberò della divisa da Assassino e si sdraiò sul proprio letto. Con lo sguardo fisso sul soffitto, la ragazza dai capelli color cannella fece un respiro profondo e prese una decisione: dopo aver vendicato la morte dei suoi genitori avrebbe fatto il possibile per scoprire la storia che si celava alle spalle di Michele.



 

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Capitolo 10
*** Medicus ***


Tancredi gli parlò dell'agorafobia di Lidia e della sua preoccupazione per il futuro della ragazza. Michele comprese la situazione e sospese gli allenamenti per permettere al cugino di trovare un modo per aiutare Lidia. La giovane era a buon punto, le mancava poco per lasciarsi alle spalle il titolo di Novizia; non poteva farsi mettere i bastoni tra le ruote da una stupida paura.
Trascorsero quattro giorni.
Michele, appollaiato sul tetto di un maestoso palazzo, venne a un tratto affiancato da Tancredi. Il giovane moro, non vedendosi degnato di uno sguardo, tirò uno scappellotto a Michele, il quale per poco non cadde giù in strada.
-”Che c'è?”- domandò senza scomporsi.
Tancredi alzò gli occhi al cielo blu-aranciato della sera e si trattenne dal sospirare esasperato. Non si era recato lì per litigare con Michele.
-”Angioletto, mi è stata affidata una missione a Ferrara. Partirò domani”- gli comunicò.
-”D'accordo”- rispose Michele piatto, come se l'avvenimento non lo tangesse minimamente.
-”Ti affido Bice”-.
-”D'accordo”- ripeté l'Arcangelo.
Tancredi strinse i pugni lungo i fianchi. Quando suo cugino si comportava in quella maniera risultava tremendamente odioso. E pensare che un tempo non era così apatico...
-”Domani ha un appuntamento da Vittorio per ritirare l'ultima dose di calmanti. Dovrai accompagnarla tu”-.
Non appena le labbra di Tancredi pronunciarono quel nome, il corpo di Michele si irrigidì di colpo. L'Arcangelo si voltò lentamente verso il giovane moro, il quale gli lanciò un'occhiata perplessa.
-”Che c'è?”-.
-”Niente”- tagliò corto Michele. -”D'accordo”-.
Tancredi sbuffò.
-”Come sei monotono... Non so quando tornerò, perciò stammi bene! E guai a te se succede qualcosa a Bice!”- esclamò salutando il cugino con un cenno della mano ed effettuando un Salto della Fede.
Michele si alzò in piedi, la lunga sciarpa rossa che ondeggiava appena mossa dal vento. Ripensò al nome appena udito e si trovò a pregare con tutto se stesso che il medico non lo riconoscesse.

 

 

Un lieve ma insistente bussare alla finestra fece aprire gli occhi a Lidia. La ragazza si tirò di scatto su a sedere, balzando fuori dal letto e impugnando uno dei tre coltelli da lancio che portava sempre con sé nell'astuccio legato attorno alla sua coscia destra. La figura incappucciata di un Assassino fece capolino dalle tende semiaperte e la salutò titubante.
Ma cosa...?”, pensò Lidia confusa.
La sciarpa rossa dell'Assassino la fece riprendere immediatamente. Era Michele! Rinfoderò il coltello e si precipitò ad aprire la finestra, dimenticando di indossare solamente una vestaglia da notte. Michele non sembrò fare caso all'abbigliamento poco decente della ragazza; si sedette sul davanzale della finestra e riportò a Lidia quanto Tancredi gli aveva comunicato la sera precedente.
-”Preparatevi”- le ordinò in conclusione.
Lidia non se lo fece ripetere due volte. In meno di cinque minuti fu pronta per uscire. Michele, dopo averle lanciato una rapida occhiata, le volse le spalle e si calò giù dalla finestra, imitato poco dopo da Lidia. Scesero in strada e, camminando con nonchalance, si diressero verso la bottega del medico.
-”Vi ringrazio per esservi adattato ai miei orari”- gli disse Lidia dopo un po'.
Michele non rispose. Le tirò su il cappuccio e annuì. La giovane dai capelli color cannella arrossì un poco per lo strano gesto del compagno.
La bottega del medico Vittorio si trovava dall'altra parte dell'Arno in una viuzza poco frequentata nei pressi di Piazza Santa Croce. Michele, lanciandosi delle occhiate furtive intorno, spinse con delicatezza Lidia dentro la bottega. Nel locale, un piccolo ambiente dalla pianta quadrata, spiccavano le alte credenze appoggiate ai muri, il bancone posto di fronte all'ingresso e, dietro a questo, un uomo vestito di nero con indosso una maschera bianca dotata di un lungo becco adunco.
-”Madonna, siete venuta a ritirare l'ultima dose?”- disse il medico. La voce proveniente da sotto la maschera suonava ovattata e lugubre.
Lidia si avvicinò al bancone e iniziò a parlare con Vittorio, aggiornandolo sullo stato della sua fobia e su quanto i suoi calmanti la stessero aiutando. Michele si tenne in disparte, in piedi vicino all'uscio, e fece di tutto perché la sua presenza non venisse notata, ma la sua figura e il suo tentativo di tenere un profilo bassissimo non sfuggirono agli occhi del medico.
-”Voi non siete il giovane che è solito accompagnare questa fanciulla”- osservò Vittorio dopo aver consegnato a Lidia un sacchettino contenente un miscuglio di varie erbe.
L'Arcangelo non rispose. Affondò il viso nella sciarpa e incrociò le braccia al petto. Lidia si sentì in dovere di scusarsi con Vittorio per il comportamento di Michele, ma il medico la interruppe con un gesto della mano. Aggirò il bancone e si avvicinò a Michele, il quale fece lentamente scivolare una mano sull'elsa della spada.
-”Madonna, vi sarei immensamente grato se aspettaste fuori il vostro compagno”- disse Vittorio lentamente.
Lidia, stupita dalla richiesta del medico e dalla tensione che il corpo di Michele lasciava trapelare, dopo qualche attimo di incertezza e di esitazione uscì dalla bottega. Prima di aprire la porta lanciò una rapidissima occhiata a Michele, preoccupata per ciò che sarebbe potuto accadere.
-”Vi aspetto”- gli disse congedandosi.
Rimasti soli, Vittorio si tolse la maschera dal viso, rivelando il volto solcato da rughe di un cinquantenne; negli occhi dal taglio cadente brillava un barlume di curiosità e di divertimento. Vittorio si portò una mano al mento coperto da un velo di barba grigiastra e sorrise.
-”Potrei giurare di avervi già incontrato”-.
-”Ne dubito fortemente. Io non vi ho mai visto”- ribatté Michele, la mano ancora posata sull'elsa della spada e pronta a sguainare l'arma in qualunque momento.
Vittorio posò la maschera sul bancone e tornò alla sua posizione dietro di questo. Si sedette sullo sgabello e intrecciò le dite sotto al mento, tentando di intravedere il viso del giovane.
-”Voi Assassini credete che basti un cappuccio per salvaguardare la vostra identità. Oserei dire che con le persone comuni funziona, ma... Sapete, noi medici non siamo persone ordinarie. Tentando di salvare vite umane sfidiamo costantemente la volontà del Nostro Signore. Egli decide chi accogliere tra le sue schiere e noi glielo impediamo. Qualcuno ci paragona a Lucifero... Voi, invece, cosa siete?”-.
-”Seguaci del Credo”- rispose prontamente l'Arcangelo. -”Niente di più”-.
-”Eppure io vi conosco”- insistette l'uomo. Tirò fuori dal cassettone del bancone un vecchio registro e lo aprì, iniziando a sfogliarne le pagine ingiallite dal tempo. A un tratto puntò con l'indice una riga e la lesse, facendo scorrere il dito lungo questa. -”Proprio come pensavo... Voi siete Michele Adimari, il giovane che sei anni fa...”-.
L'Arcangelo abbandonò la sua posizione e balzò sul bancone, minacciando Vittorio con la lama celata. Il medico, lo sguardo fisso sulla lama puntata alla sua gola, chiuse lentamente il registro e lo rimise al suo posto.
-”Non un'altra sola parola”- mormorò Michele.
-”Come... desiderate”-.
L'Assassino ritrasse la lama e scese dal bancone. Si sistemò la sciarpa rossa e uscì dalla bottega. Lidia era rimasta fedelmente in sua attesa. La giovane, curiosa, gli domandò per quale motivo il medico avesse voluto parlare in privato con lui, ma Michele non rispose.
-”Vi accompagno a casa”- si limitò a dire, eludendo la domanda di Lidia.
Michele non pensava che Vittorio fosse ancora vivo; fino al giorno prima sarebbe stato pronto a giurare di averlo visto morire per mano di un Templare. L'idea che Vittorio potesse raccontare a qualcuno il suo passato lo allarmò.
Già, perché Vittorio era colui che sei anni prima aveva salvato la vita di Michele e aveva assistito a ciò che aveva privato l'Arcangelo della sua umanità.

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Daemon ***


Nei giorni seguenti Lidia non poté non notare la freddezza e il distacco col quale Michele la trattava. Certamente l'Arcangelo non era mai stato un giovane caloroso e loquace, ma Lidia non aveva mai visto in un essere umano così tanta indifferenza e apatia.
Grazie alle medicine di Vittorio, Lidia era pian piano riuscita a tenere sotto controllo la propria agorafobia; nel mentre, le lezioni di Michele si erano fatte più dure e difficili. L'Arcangelo le insegnò in pochi giorni a combattere usando vari tipi di spade, coltelli da lancio, alabarda, pugnale e, ovviamente, la lama celata. Lidia era contenta, sapeva di aver fatto dei passi da gigante e di essere pronta a dare inizio alla sua missione della vita, ma il comportamento di Michele, ogni volta che tentava di renderlo partecipe della propria gioia, la trascinava in un mare di sconforto.
Il culmine venne raggiunto quando, a una settimana dall'ultimo incontro col medico, l'Arcangelo, con una voce piatta e priva di alcuna emozione, le comunicò la fine del proprio compito da istruttore e del suo stato di Novizia; Lidia era felice, si sentiva realizzata, ma Michele, da quel giorno, non si fece più vedere.

 

 

-”Non sei contenta, Bice?”-.
Paola e Lidia, tenendosi a braccetto, stavano passeggiando per il cortile interno della Rosa Colta. Per festeggiare la “promozione” di Lidia, Paola aveva stappato una bottiglia di ottimo vino rosso toscano. Nonostante lei c'entrasse poco, era orgogliosa dei risultati ottenuti dalla giovane dagli occhi da cerbiatta, quasi come se fosse stata lei stessa a istruirla.
-”...Ovviamente”- rispose Lidia, un sorriso tirato stampato sul volto.
Siamo alle solite”, pensò Paola stringendo le labbra carnose.
Il viso di Lidia poteva anche essere sorridente, ma i suoi occhi verdi stavano manifestando tutt'altra emozione. Le lanciò un'occhiata di rimprovero e la ragazza fece un lieve sospiro. Lidia odiava come Paola riuscisse sempre a capire i suoi veri pensieri e, puntualmente, glielo facesse notare.
-”E' l'Arcangelo, vero?”- si azzardò a domandare la matrona.
Il braccio di Lidia si irrigidì e la ragazza gettò lo sguardo a terra per evitare che Paola vedesse i suoi occhi lucidi. La donna si fermò e posò le sue mani ben curate sulle spalle della giovane Assassina. Si guardò furtivamente attorno e le calò il cappuccio sugli occhi; non voleva che qualche sua cortigiana pettegola la vedesse piangere.
-”Mia cara, ti avevo avvisata”- le disse tristemente. -”Perché non mi hai dato ascolto?”-.
Lidia, senza scomporsi, lasciò che una lacrima silenziosa le scivolasse lungo la guancia. Era un'Assassina, e gli Assassini non potevano permettere alle emozioni di prendere il sopravvento. Forse la condotta di Michele non era così sbagliata come aveva sempre creduto.
-”Ci sono cose che non possono essere decise, Matrona Paola...”- sussurrò.
-”Purtroppo hai ragione”-.
-”...E cose che, invece, lo possono essere”-.
Il tono di voce della ragazza, improvvisamente fermo e deciso, fece aggrottare la fronte alla matrona. Lidia si tolse il cappuccio a becco d'aquila, si asciugò gli occhi e alzò un poco il mento. Paola non riuscì a nascondere quel debole sorriso che le aveva incurvato verso l'alto gli angoli della bocca. Aveva sempre adorato la determinazione di quella ragazza dai capelli color cannella.
-”Matrona Paola, ho intenzione di fare luce sul passato di Michele”- proclamò.
-”E' un abisso molto profondo e pericoloso, mia cara; come pensi di calarti al suo interno?”-.
Lidia sorrise e nei suoi occhi verdi passò un lampo di risolutezza.
-”Non mi ci calerò. Mi ci butterò con un Salto della Fede”-.

 

 

Lidia ne era quasi certa: l'unica persona che poteva essere in grado di fornire le risposte alle sue domande era Vittorio. Michele era cambiato dopo aver parlato in privato con lui; doveva per forza essere successo qualcosa.
Lidia fece il suo ingresso nella bottega, e nonostante il medico indossasse la sua caratteristica maschera, capì che non era molto contento di vederla: il suo corpo si era irrigidito non appena l'aveva vista entrare e i suoi movimenti si erano fatti più lenti e cauti. Era stato Alfonso a insegnarle a fare caso al linguaggio del corpo. Vide Vittorio mettere sotto il bancone il registro che stava sfogliando e incrociare le dita sul tavolo.
-”Buon pomeriggio, madonna”- la salutò chinando lievemente il capo. -”In cosa posso esservi utile? Avete bisogno di una dose in più dei vostri calmanti?”-.
-”In verità necessito solamente che voi rispondiate a qualche mia domanda”- disse Lidia avvicinandosi al bancone e appoggiandovi una mano inguantata.
Lo sguardo di Vittorio si posò sulla mano della ragazza per poi salire lungo il braccio e piantarsi sul suo viso nascosto dal cappuccio a becco d'aquila. Il medico non impiegò molto tempo a capire quale fosse l'argomento sul quale Lidia volesse delle risposte.
-”Madonna”- iniziò con voce pacata. -”Mi state forse chiedendo di venir meno al segreto professionale?”-.
-”Esattamente”- rispose Lidia sinceramente. -”Da quando il mio compagno ha parlato con voi, sette giorni fa, è cambiato. Io ho la sensazione che abbiate parlato di qualcosa che riguarda il suo passato”-.
-”Se parlerò mi ucciderà”- disse Vittorio dopo qualche secondo di silenzio. Ricordava ancora la sensazione della fredda lama celata di Michele puntata contro il proprio collo, ed era un'esperienza che non teneva a ripetere. La giovane sembrava molto determinata nel suo intento ma non intenzionata a ricorrere alle minacce.
-”Avete ragione, non lo sono”- disse Lidia sorprendendo il medico. -”Non ho alcuna intenzione di minacciarvi o di ferirvi; vorrei solo che mi parlaste di Michele”-.
Vittorio ringraziò il cielo che il suo viso fosse nascosto dalla maschera dal becco adunco, altrimenti Lidia avrebbe visto chiaramente l'indecisione stampata sul suo volto. Era la prima volta in sei anni che qualcuno sembrava veramente determinato ad aiutare Michele Adimari. Vittorio si era sempre chiesto per quale motivo nessuno avesse mai voluto scavare nel suo passato; forse quella ragazza era l'unica a essere riuscita a intravedere una breccia nelle mura che circondavano l'Arcangelo.
Lentamente, la mano di Vittorio scivolò sotto il bancone e prese il registro. Dopo qualche attimo di esitazione lo consegnò a Lidia.
-”Qualcuno dovrà pur salvarlo dai suoi demoni”- disse stringendosi nelle spalle. -”Vi chiedo di prestare attenzione a ciò che sto per raccontarvi, perché non ripeterò una sola parola...”-.

 

 



NOTE DELL'AUTRICE
Eh... Scusate se c'ho messo tanto ad aggiornare, ma, come ho scritto nell'ultimo capitolo pubblicato di "Defeat me", le mie due fanfiction su JoJo della serie "Deep Memories" mi avevano completamente assorbita, talmente tanto da non avere più ispirazione per le altre storie >w< Non preoccupatevi, nessuna delle mie storie è interrotta. Le aggiornerò tutte, con calma, ma le aggiornerò :>
Come penso abbiate intuito, nel prossimo capitolo scopriremo (finalmente) il passato dell'Arcangelo >:)
Alla prossima! ^^ (E scusate ancora ><)

 

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Capitolo 12
*** Exsecratio ***


[Sei anni prima]

 

 

 

 

Questo posto fa schifo.

Non è casa mia.

Dove sono? Dov'è Lorenzo?

Ah, fratello mio, anche tu qui.

Vieni, no, non fare così. Va tutto bene.

Ah, non è vero, chi voglio prendere in giro?

Lorenzo, dai, non fare così, non ci hanno abbandonati. Nessuno ci ha abbandonati.

Va tutto bene, davvero.

Vuoi forse far piangere anche tuo fratello?

No, io sono forte, io non piango.

Ti ricordi cosa ci dice sempre nostro padre? Che piangere è da deboli vigliacchi?

No Lorenzo, non lo fare.

Cos'è questo suono?

Perché siamo incatenati? Non riesco a liberarmi.

No, non ti agitare, ti faresti soltanto del male.

Non vedo niente, Lorenzo.

Lorenzo, parlami, altrimenti non posso sapere se sei ancora...

Ne usciremo entrambi vivi, stai tranquillo.

Guarda, la porta si sta aprendo, adesso entreranno mamma e papà e ci porteranno via.

Hanno sbagliato persone, non volevano noi, stai tranquillo.

 

 

 

 

Quell'uomo ha detto che non c'è stato alcuno sbaglio, che gli obiettivi eravamo proprio io e mio fratello, i figli di quell'ingrato e stronzo di Enrico Adimari, di quel verme che non aveva intenzione di restituire i soldi alla sua nobile e potente famiglia.

Non siamo messi molto bene economicamente, era ovvio che mio padre non sarebbe riuscito a restituire quell'ingente somma in così poco tempo!

L'uomo ha detto che non gli interessa e che il capofamiglia non tollera ritardi.

Enrico Adimari ha ritardato e non è stato perdonato.

I suoi figli, noi, ne pagheranno le conseguenze.

I Templari sono tutti degli infami.

Ci terranno qui incatenati al buio finché nostro padre non estinguerà il debito.

Ma io so che è impossibile, è una richiesta impossibile.

Ci tortureranno.

Soffriremo, e con noi nostro padre.

Mi dispiace Lorenzo, ma moriremo qui.

 

 

 

 

Lorenzo, guardami.

Ti prego, guardami.

Perché sei così magro?

Perché ti muovi appena?

Su, Lorenzo, non farmi questi scherzi. Sono passati solo sette giorni...

Come dici? Ne sono trascorsi di più?

Scempiaggini.

Va tutto bene, ormai nostro padre avrà trovato tutti i soldi necessari al nostro riscatto.

Lo so, anche io non voglio più essere torturato.

Vorrei abbracciarti, dico davvero, ma non riesco a farlo.

Ho le ossa a pezzi.

Vuoi che ti racconti una storia? Come faceva nostra madre.

No, Lorenzo, non piangere.

Andrà tutto bene, quante volte devo ripetertelo?

Dio è dalla nostra parte, dalla parte dei giusti.

Noi siamo nel giusto, ricordatelo.

Adesso chiudi gli occhi e lascia che ti racconti una favola.

La tua preferita, sì.

Fammi un sorriso, Lorenzo.

Sii forte, sii un orgoglioso Adimari.

Non possiamo morire qui.

 

 

 

 

Tutti i giorni prego affinché Nostro Signore possa vendicare me e Lorenzo.

Noi non abbiamo più le forze per farlo.

Io lo so, ormai Lorenzo mi lascerà.

L'uomo sembra provare più divertimento a infierire sul suo debole corpo che sul mio.

Il suo sangue riveste le pareti e il pavimento dell'angusto luogo nel quale ci troviamo esiliati da mesi.

Il piccolo Lorenzo...

Fratello mio, non posso più assistere a questo spettacolo.

So che un giorno, dall'alto dei Cieli, saprai perdonarmi.

Lo faccio solo per il tuo bene.

Sia maledetto nostro padre.

Sia maledetto Nostro Signore per non aver esaudito le mie preghiere.

Siano maledetti i Templari.

Sia maledetta l'umanità tutta.

Rinnego il mio nome e il mio essere umano.

 

 

 








NOTE DELL'AUTRICE:
Come avrete notato dall'allineamento del testo, questo è un capitolo molto particolare. Ho voluto sperimentare una tecnica simile allo "stream of consciousness"; il risultato non mi entusiasma più di tanto ma non mi ha nemmeno delusa. Lascio a voi lettori la sentenza. 
Michele e suo fratello minore Lorenzo, a causa di un debito non risanato da loro padre Enrico, furono rapiti, isolati e torturati da una potente famiglia fiorentina che fu purtroppo in grado di insabbiare la faccenda e di nascondere l'accaduto. Enrico non riuscì a estinguere il debito e i suoi due figli furono tenuti in ostaggio dalla famiglia templare finché Michele non compì quel "famoso" gesto che lo privò per sempre della sua umanità. Mi dispiace essere così misteriosa (non è vero :>) ma per scoprire di quale azione si tratta dovrete attendere il prossimo capitolo che, ahimé, non so quando uscirà a causa della già citata sessione d'esami >w<
Vi ringrazio per la pazienza :)
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 13
*** Faciem ***


Quando Lidia, con un impeto simile a quello di un'onda che si infrange sugli scogli, lasciò la bottega di Vittorio, il cielo si era tinto di un cupo grigio scuro; presto si sarebbe scatenato un temporale. Il racconto di Vittorio non era stato molto chiaro ed esaustivo, ma ciò che Lidia era riuscita a sapere e a capire le era bastato per decidere di mettersi subito alla ricerca di Michele. L'avrebbe trovato, fermato e obbligato a parlarle.
Non è giusto che un singolo essere umano debba sopportare un dolore così grande”.
La suola dei suoi stivali di cuoio scivolava silenziosamente sui sampietrini. Le vie, prima affollate e chiassose, si erano ridotte a lande desolate. Lidia, il cappuccio bianco a becco d'aquila calato sul viso, pareva un fantasma. Si sentiva persa, spaesata; il cuore le batteva a mille, sentiva il petto tentare di resistere ai continui martellamenti del muscolo involontario.
Perché Michele non si era mai aperto a nessuno? Davvero Tancredi non ne sapeva niente? Com'era possibile?
Il cielo plumbeo venne rischiarato da un lampo accecante e pochi attimi dopo il rombo di un tuono si propagò nell'aria. Lidia interruppe la sua corsa disperata e si guardò forsennatamente attorno. Come avrebbe fatto a trovare Michele in una città grande come Firenze? Mesi e mesi prima ci aveva già provato, fallendo miseramente. Alla fine era stato lui a trovare lei... Sfruttando i davanzali delle finestre di un piccolo edificio all'angolo della strada, Lidia si arrampicò sul tetto e si rannicchiò sulle tegole, portandosi le ginocchia al petto. Con Tancredi fuori città, l'unica persona che poteva avere una minima idea di dove potesse essere Michele era Paola. Lidia non ci pensò su due volte: scattò in piedi e corse sui tetti, mettendo in pratica gli insegnamenti e i consigli del maestro Alfonso Calandri. Dopo una ventina di minuti i piedi della ragazza toccarono terra, esattamente nello stesso momento in cui la prima goccia di pioggia precipitò dal cielo. La porta sul retro della Rosa Colta, situata nel vicolo dietro l'elegante edificio, era sempre aperta per permettere ai membri della Confraternita di muoversi liberamente evitando gli sguardi indiscreti dei frequentatori del bordello. La giovane dai capelli color cannella si introdusse all'interno della Rosa Colta; la sua mano inguantata si posò sulla spalla nuda della prima cortigiana che le passò davanti. Avvicinò le labbra al suo orecchio, sussurrando un nome. La cortigiana si coprì il volto col vistoso ventaglio vermiglio e le indicò con un cenno del capo il piano superiore. Lidia si separò dalla ragazza e salì in fretta la scalinata di marmo. I continui chiacchiericci delle cortigiane e le profonde voci dei clienti riecheggiavano nell'ambiente, rimbalzando da una parete all'altra e amplificando le sconce avances degli uomini. In quel lussurioso Paese dei Balocchi solo il temporale che si stava scatenando al suo esterno pareva reale.
Al primo piano la maggior parte delle stanze era chiusa. Passandoci accanto, le orecchie di Lidia catturarono suoni poco consoni a una nobildonna del suo calibro. Le venne incontro una giovane castana dallo svolazzante abito viola che con nonchalance le mise in mano un ventaglio verde smeraldo. La cortigiana si dileguò rapidamente e Lidia aprì il ventaglio; un bigliettino di carta finissima fuoriuscì dalle sue pieghe e svolazzò verso il suolo. Lidia lo afferrò prima che potesse toccare terra. La frase scritta sul bigliettino era più che chiara: Dove Beatrice è nata”. Nonostante la gravità della situazione, le labbra di Lidia si incurvarono in un sorriso divertito; dovette ammettere di ammirare molto l'ironia pungente di Matrona Paola. Accartocciò il foglietto e se lo infilò tra le pieghe della fascia rossa che portava arrotolata attorno ai fianchi, si liberò del ventaglio, tornò sui suoi passi, raggiunse la scalinata e salì al secondo piano, dirigendosi poi a passi spediti verso la stanza in cui lei e Paola si erano conosciute.
La trovò in piedi di fronte alla finestra spalancata, le mani intrecciate dietro la schiena e i lunghi capelli neri abboccolati sulla spalla destra. Paola, non appena udì la porta aprirsi cigolando, si voltò verso Lidia.
-”Non pensi che la vita sia alquanto bizzarra, Bice?”- le domandò.
Lidia si chiuse la porta alle spalle e si tirò giù il cappuccio. Un lampo squarciò il cielo e per un momento la figura di Paola si tinse completamente di nero, in netto contrasto con l'istantaneo bianco del cielo temporalesco.
-”Io credo che la vita sia ingiusta, Matrona Paola”- ribatté.
La donna mora spalancò un poco gli occhi e scoppiò a ridere, coprendosi la bocca col dorso della mano. Adorava quella ragazza, non poteva farci niente. La guardò in volto e solo allora si accorse del velo di tensione e ansia che ricopriva i suoi bei lineamenti. Il viso di Paola si fece d'un tratto serioso.
-”Come penso tu abbia intuito, ti stavo cercando, mia cara. Volevo conversare un po' con te, chiederti qualcosa riguardo alle tue indagini sull'Arcangelo, ma... Evidentemente c'è qualcosa che ti turba”-.
-”Sapete dove potrei trovarlo?”- le chiese Lidia diretta.
Paola si accigliò. Possibile che Bice fosse riuscita a scoprire qualcosa su Michele in così poco tempo? A quali potenti forze oscure aveva fatto ricorso?
-”Non saprei...”- mormorò la matrona pensosa. Si portò un indice alle labbra carnose e fece vagare lo sguardo per la stanza. -”Non conosco nemmeno l'ubicazione della sua dimora...”-.
-”Deve esistere un luogo che frequenta spesso!”- insistette la ragazza.
Paola, colta da una folgorante illuminazione, senza proferire parola superò Lidia e spalancò la porta. Si affacciò al parapetto del secondo piano e guardò giù.
-”Una giovane!”- ordinò a gran voce.
-”Eccomi, Matrona!”- rispose prontamente una cortigiana dal primo piano.
-”Vai a chiamare Bona! E' una questione importante!”-.
-”Sì Matrona!”-.
Lidia, che dall'interno della camera aveva sentito tutto, corrugò la fronte. Se non ricordava male, Bona era una delle cortigiane che avevano mostrato un forte interesse per Tancredi...
La giovane in questione si presentò qualche minuto dopo coi capelli scompigliati, i lacci del corsetto sciolti e il fiatone. Fece un breve inchino e tentò di darsi una veloce sistemata, ma Paola le fece intendere con un gesto della mano che non importava.
-”Bona, Tancredi ti ha mai parlato della sua infanzia trascorsa con suo cugino?”-.
-”Certamente!”- trillò la ragazza, per niente sorpresa dall'insolita domanda della matrona.
-”Ricordi qualche luogo in cui i due fanciulli erano soliti giocare assieme?”-.
-”Certamente!”- esclamò nuovamente. Lidia sussultò e si avvicinò all'uscio della porta, rimanendo comunque nascosta dietro lo stipite. -”Risalendo l'Arno, superando Ponte Vecchio, c'è una spiaggia in cui spicca un pino dal tronco attorcigliato. E' inconfondibile!”-.
Paola ringraziò Bona e fece per riferire a Lidia le informazioni ottenute, ma quando si voltò trovò la stanza vuota: la giovane Assassina non aveva esitato un momento a lanciarsi fuori dalla finestra, correndo all'inseguimento dell'Arcangelo.
Spero tu riesca a salvarlo, Bice”.

 

 

La pioggia cadeva fitta dal cielo, creando un velo grigiastro tra gli occhi di Lidia e la città. La popolazione fiorentina, salvo qualche rara eccezione, era svanita, rinchiudendosi nelle proprie abitazioni, nei saloni, nelle case del piacere. L'insistente ticchettio della pioggia che colpiva il lastricato delle strade costituiva l'unica compagnia per Lidia. I forti e potenti rombi dei tuoni, invece, parevano feroci fiere sguinzagliate al suo inseguimento.
E se Michele non si fosse trovato nel luogo indicato da Bona? Cosa avrebbe fatto a quel punto? Chi altri avrebbe potuto aiutarla a rintracciarlo?
Da oggi non sei più una Novizia. Felicitazioni” erano state le ultime parole che Lidia aveva sentito pronunciare a Michele. Nessuna allegria, nessuna sincerità; solo un pesantissimo velo di apatia.
Superò Ponte Vecchio, scavalcò le spallette e iniziò a correre lungo le sponde sabbiose del fiume; non si sarebbe fermata finché non avrebbe individuato il pino descritto da Bona. Nonostante la sabbia fosse bagnata, i suoi stivali affondavano nella sporca rena dell'Arno, impedendo a Lidia di mantenere la velocità voluta. Le acque del fiume, alla sua sinistra, di un orribile colore fangoso, imperversavano e scorrevano in direzione del ponte.
Michele doveva trovarsi per forza sotto quel pino: la mente di Lidia non ammetteva alternative. E se non si fosse trovato lì? Lo avrebbe aspettato. Lo avrebbe aspettato per ore, giorni e settimane; avrebbe aspettato di vedere comparire quella meravigliosa e brillante spada che il giovane teneva sempre al suo fianco; avrebbe aspettato di vedere comparire quella fascia rossa come il sangue che Michele portava a mo' di sciarpa, uno strumento in più per nascondere il suo volto.
Lidia avrebbe aspettato, se tutto questo non fosse stato abbandonato ai piedi del pino dal tronco attorcigliato.
La corsa folle della ragazza dagli occhi verdi si fermò di colpo; i suoi piedi scivolarono sulla sabbia e per poco Lidia non perse l'equilibrio. Si tolse dal capo il cappuccio fradicio e con una mano si asciugò frettolosamente il viso bagnato. Un nome stava tentando di risalire lungo la sua gola, di raggiungere le labbra e di fuoriuscire da esse, ma Lidia era talmente sconvolta da non riuscire neppure a muovere un dito. Si fece forza, lottò contro il proprio schock, strinse le mani a pugno lungo i fianchi; non riusciva a capire se ciò che le bagnava il viso era la pioggia o il suo pianto silenzioso. Un improvviso lampo serpeggiò nel cielo e l'immediato rombo del tuono la rianimò miracolosamente.
-”Michele!”- gridò Lidia per sovrastare i rumori del temporale.
Lidia se ne accorse solo quando Michele si voltò nella sua direzione; il temporale era talmente irruento che la visibilità era fortemente ridotta. Si tappò la bocca con entrambe le mani e le ginocchia cedettero al suo peso, facendola accasciare sulla sabbia.
Lidia si ritrovò a fissare l'Arcangelo negli occhi.
Il viso di Michele era scoperto.

 

 

 




NOTE DELL'AUTRICE
Oddio, era da una vita che non aggiornavo "Archangelus" :O Chiedo scusa >w<
Siete curiosi di avere delucidazioni sul passato di Michele?
Siete curiosi di sapere che aspetto ha l'Arcangelo?
Ebbene sì, adesso posso dirvelo con certezza: saprete tutto nel prossimo capitolo! *musichetta da vincitore della lotteria (?)*
E' un capitolo importante, per cui ho deciso che mi ci metterò subito al lavoro. 
LAGGENTE DEVE SAPEREH! 
Fatemi sapere quanto siete in hype ;)
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 14
*** Nomine ***


Grigi come il quarzo lodolite.
Quelli erano gli occhi di chi era stato in grado di possedere il mondo ed era stato costretto a vederlo sgretolarsi sotto ai propri piedi; erano gli occhi di chi era stato tradito dalla vita, di chi aveva perso fiducia in tutto e in tutti; erano gli occhi di chi aveva toccato il più alto dei cieli con un dito ed era poi stato trascinato verso le fiamme dell'Inferno.
Quelli erano gli occhi di un angelo caduto.
I suoi capelli biondo cenere, lievemente e dolcemente mossi, erano legati da un nastro azzurro sulla nuca; parte di questi gli ricadeva sul viso.
-”Non avvicinatevi!”- ordinò a Lidia alzando un braccio nella sua direzione e coprendosi il volto con una mano. -”Non osate guardarmi!”-.
La giovane, dopo un tempo che le parve interminabile, strinse i pugni lungo i fianchi e si morse il labbro inferiore. Mosse un passo in avanti, poi un altro, e un altro ancora, prima con tremante esitazione, poi con sempre più forza e decisione, finché la sua divenne una corsa disperata. L'Arcangelo, istintivamente, si voltò verso il fiume in piena e tentò di scappare, ma Lidia riuscì a raggiungerlo e le sue esili braccia si strinsero attorno ai fianchi di Michele.
-”Perché?”- domandò, il volto piangente premuto contro la schiena del giovane biondo. -”Siete un codardo, messer Adimari”-.
-”Lasciatemi andare”- ribatté piatto.
-”Ho parlato con Vittorio. So tutto”- vuotò il sacco Lidia. -”So del rapimento vostro e di vostro fratello, so del piccolo Lorenzo che ha perduto la vita, so...”-.
Le mani di Michele si posarono su quelle di Lidia. Per un attimo la giovane dai capelli color cannella credette di aver finalmente fatto breccia nel cuore dell'Arcangelo, ma si sbagliava. Michele aumentò la presa e con un movimento forte e deciso le fece spalancare le braccia. Lidia, colta alla sprovvista, non riuscì a difendersi. L'Arcangelo, la schiena sempre rivolta verso Lidia, la strattonò in avanti per un braccio, la colpì con una ginocchiata nel costato e la gettò nel fango. Rapido, le si sedette sopra a cavalcioni, impedendole così di rialzarsi.
-”Voi non sapete niente”- disse a denti stretti. Le bloccò i polsi sopra la testa e si chinò sul suo viso. -”La vedete questa cicatrice? Ditemi, ditemi come me la sono procurata”- la incitò.
Il cuore le batteva all'impazzata; se avesse continuato, nel giro di poco tempo le sarebbe scoppiato il petto. Il gelo stava pian piano penetrando nelle sue ossa. Gli occhi grigi di Michele, bui e tristi come il cielo sopra di loro, le tolsero il respiro. L'orribile cicatrice che attraversava diagonalmente il bel volto dell'Arcangelo era profonda e dai bordi insolitamente precisi; sembrava essere stata fatta da una affilatissima arma da taglio.
-”Parlate”- la esortò con un tono di voce apatico.
-”Non lo so”- ammise Lidia in un sussurro.
L'Arcangelo si chinò su di lei ancora di più e le sfiorò l'orecchio con le labbra inumidite dalla pioggia. Il contatto fece rabbrividire la ragazza.
-”E' stato mio fratello a farmela, poco prima che io lo uccidessi”-.
Lidia spalancò gli occhi verdi e serrò le labbra. Michele posò la fronte su quella di Lidia, un'espressione indecifrabile sul volto. Attorno alle due solitarie figure, intanto, imperversava il temporale.
-”State peccando di tracotanza. Sostenete di conoscere tutta la storia, ma in verità non sapete assolutamente niente”-.
-”Perché? Perché avete ucciso vostro fratello?”- domandò Lidia con voce spezzata.
Gli angoli della bocca dell'Arcangelo si incurvarono lievemente in quello che a Lidia parve un mezzo sorrisetto forzato.
-”Questo, madonna, non è affar vostro”- la freddò. Si alzò, senza porgere la mano alla ragazza stesa nel fango, e si incamminò verso i suoi averi abbandonati sotto al pino.
-”Dove state andando?!”- gli gridò dietro Lidia. Aveva gli abiti e i capelli sporchi di melma e completamente zuppi, ma per un attimo mise da parte il suo animo da aristocratica per tentare di comprendere il suo interlocutore.
-”Anche questo non è affar vostro”-.
Vide Michele sguainare la spada e controllare la lama. Subito capì quali fossero le sue intenzioni e si precipitò verso di lui. Estrasse la spada e la puntò contro Michele. La sua presa e le sue mani erano incerte e tremanti.
-”Non osate”- disse la giovane, più in una supplica che in un ordine.
L'Arcangelo alzò un sopracciglio biondo.
-”Madonna, noto che siete un po' dura di comprendonio. Ho detto che questo non è affar vostro”-.
-”Non vi permetterò di uccidere Vittorio”- ribatté, questa volte con voce ferma.
-”Era stato avvertito”-.
-”Andrete contro il Credo”-.
Michele strinse le labbra, fissò negli occhi Lidia per un po', poi rinfoderò la spada e si voltò verso l'Arno. Lidia esalò un sospiro di sollievo e imitò l'Arcangelo, rinfoderando la spada. Lo affiancò e gli posò una mano sulla spalla. Michele sussultò per l'inaspettato contatto, ma non si mosse.
-”Ciò che Vittorio ha fatto era in buona fede. Non vi è stata alcuna malizia o scherno nelle sue parole. Desiderava solamente che qualcuno vi aiutasse”-.
Lidia attese una risposta dall'Arcangelo che, purtroppo non arrivò. Il giovane dagli occhi grigi teneva lo sguardo fisso di fronte a sé, perso nelle acque irruenti dell'Arno. Le mani erano strette a pugno lungo i fianchi e si stava mordendo con forza le labbra; un rivolo di sangue stava scendendo dal suo labbro inferiore. Preoccupata, Lidia allungò una mano verso il suo viso. Quando Michele se ne accorse, scostò la mano della ragazza con poco garbo. La fissò negli occhi e fu allora che Lidia intravide finalmente una traccia umana nell'Arcangelo: terrore.
-”Volevo solo aiutarvi...”- si scusò subito.
Michele fece un respiro profondo e, dopo aver lanciato un'ultima occhiata al fiume in piena, si voltò, incamminandosi verso la risalita del Lungarno.
-”Michele!”- lo richiamò indietro la giovane.
-”Voi non potete aiutarmi”- disse secco.
-”Sì che posso!”- ribatté ingenuamente.
Michele piantò i piedi per terra, si voltò e tornò sui suoi passi con grandi e iraconde falcate. Afferrò Lidia per il bavero della camicia e le diede uno strattone. La ragazza chiuse gli occhi e incassò il capo nelle spalle, preparandosi al peggio. Sicuramente le avrebbe messo le mani addosso.
-”Voi siete l'ultima persona sulla faccia della Terra che potrebbe porgermi aiuto”- sibilò. La fissò negli occhi per qualche secondo, poi la spinse via e la guardò incespicare nel fango e riuscire miracolosamente a reggersi in piedi. Lidia mandò giù il groppo che le si era formato in gola e si spostò i capelli che le erano finiti sul viso. Quel maledetto temporale non accennava a voler smettere.
-”Non potete parlarmi in questo modo!”- disse con voce acuta. Le sue nobili origini stavano riemergendo. Michele se ne accorse e fece un sorriso di scherno. Lidia, indispettita, partì in quarta verso Michele, ma le parole di quest'ultimo la bloccarono dopo qualche passo.
-”Avrei dovuto uccidervi quando ne ho avuto l'occasione. Fate un buon ritorno a casa, madonna Lidia”-.
Lidia si pietrificò. Il cuore smise di battere per qualche secondo, così come il suo respiro si bloccò. La testa prese a girarle, e Lidia dovette ricorrere a tutte le sue forze per non accasciarsi al suolo. Una forte morsa le attanagliò lo stomaco, provocandole un'incredibile nausea. La bianca schiena di Michele, nel frattempo, si faceva sempre più distante e indistinguibile in mezzo alle grosse e fitte gocce di pioggia.
Lui sapeva.
Era lui a sapere tutto, non lei.
L'aveva chiamata per nome, quello vero, quello maledetto.
L'aveva chiamata “Lidia”, non “Beatrice”.
Doveva inseguirlo, e subito.
Tentò di corrergli dietro, ma il suo corpo sembrava non obbedirle più. Il giramento di testa si fece più forte e il mondo attorno a lei prese a vorticare pericolosamente. Lidia, una lacrima che le scendeva silenziosamente dall'angolo dell'occhio destro, chiuse le palpebre.
E cadde, come corpo morto cade.

 

 

 




NOTE DELL'AUTRICE
Ci stiamo avvicinando alla conclusione della storia; secondo i miei calcoli, mancano più o meno tre o quattro capitoli :O 
La fitta nebbia che avvolge il passato di Michele viene diradata poco per volta. Riuscirà Lidia nel suo intento? Salvare il proprio salvatore non si sta rivelando cosa facile.
Michele ha ucciso il proprio fratello. Se rileggete attentamente il capitolo "Exsecratio", capirete per quale motivo l'ha fatto.
Vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare mesi e mesi per questo capitolo :( Purtroppo ho il blocco dello scrittore facile :/
Grazie a tutti per il supporto e la pazienza!
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 15
*** Veritas ***


Il peso della missiva che portava nella sacca sembrava sovrastare perfino la forza di gravità: più pesante, più potente, più opprimente. Sentiva il proprio petto serrato da una morsa d'acciaio e il cuore stritolato dalle lunghe dita affusolate di un demone dagli occhi verdi.
Tancredi cavalcava, una rapida figura solitaria nel mezzo della notte, lungo la via per Firenze. Ancora un giorno e mezzo e avrebbe finalmente fatto ritorno nella sua amata città.
La lettera che gli era stata affidata doveva essere consegnata al Gran Maestro, o per lo meno al suo vice. I piani alti dovevano sapere che i Templari stavano organizzando un attacco in grande stile a Firenze. I nomi delle persone e delle famiglie coinvolte erano scritti sulla candida carta della lettera, così come un piccolo appunto preceduto da un “P.S.”. Tancredi lo aveva letto, lo aveva visto incidere sulla carta con dell'inchiostro nero; la punta della penna aveva graffiato il foglio, opponendo resistenza alla scrittura, quasi in un gesto di protesta e di rammarico; lo aveva visto coi suoi stessi occhi, e allora si era sentito morire.
Nessuno aveva mai visto il presunto volto angelico della primogenita di quella famiglia. Il padre, il capofamiglia ser Pietro, era molto geloso della gemma della sua corona: era una pietra preziosa la cui contemplazione era permessa esclusivamente a una cerchia ristretta di pochi eletti. Adesso quei fortunati erano intenzionati a reclamarne la proprietà.

 

 

Erano stati i suoi piedi a riportarla a casa. Erano riusciti a imporsi sul caos che imperversava nella sua mente e l'avevano guidata fino alla stradina in cui era situata la sua umilissima dimora, una casa completamente diversa dalla villa in cui abitava, il luogo in cui era nata e in cui si era vista portare via tutto, il teatro degli orrori.
Davvero pensava che la sua identità sarebbe stata al sicuro? Che sarebbe bastato un nome falso per proteggerla? La sua maschera era caduta ai piedi di colui che, mesi prima, le aveva donato una nuova vita; Michele l'aveva salvata e adesso teneva in mano il potere per annientarla.
Lo avrebbe fatto?
Di cosa era capace un angelo caduto?

Quomodo cedicisti de caelo?

L'acqua di cui erano impregnati i suoi abiti da Assassina era stata assorbita dal letto. Lidia, una volta rientrata in casa, si era buttata a peso morto sul materasso e aveva affondato il viso nel cuscino. Il fatto di essere bagnata fradicia non l'aveva minimamente disturbata. La sua testa, la sua mente, i suoi pensieri... Erano tutti focalizzati sull'Arcangelo e sulle sue possibili future mosse.
Avrei dovuto uccidervi quando ne ho avuto l'occasione”, le aveva detto. Una frase pronunciata con un tale tono di rimpianto da poter spezzare il cuore a qualcuno. In effetti, era esattamente l'effetto che aveva sortito sul cuore di Lidia. Lo aveva spezzato, rotto a metà, calpestato e frantumato. La luce alla fine del buio tunnel non solo si era spenta, ma l'aveva trascinata in un'oscurità ancora più profonda. Michele le aveva voltato le spalle e l'aveva abbandonata.
Avrei dovuto uccidervi quando ne ho avuto l'occasione”.
Quando, precisamente? Quand'è che Michele si era trovato in una situazione del genere? Da quando si erano conosciuti l'Arcangelo non aveva mai mostrato degli intenti omicidi nei suoi confronti, neppure per un secondo; era solito trattarla con un certo distacco, era innegabile, ma pur sempre in maniera educata e rispettosa.
Avrei dovuto uccidervi quando ne ho avuto l'occasione. Fate un buon ritorno a casa, madonna Lidia”.
Aveva sentito bene, ne era sicura: l'aveva chiamata col suo vero nome. Come aveva fatto a scoprirlo? Possibile che lo avesse da sempre saputo?
Finalmente riesco ad ammirare il volto di Lidia Mormorai!”.
Quelle maledette parole che con tanta fatica era riuscita a dimenticare, a nascondere nelle sue memorie più profonde, erano d'un tratto riemerse dai meandri dei suoi ricordi. Le aveva pronunciate l'uomo che, per qualche assurda concessione divina, Lidia era riuscita a uccidere, salvando così la propria vita: Vincenzo Aloi.
Pietro Mormorai, il defunto padre di Lidia, aveva deciso di attenersi in maniera quasi fanatica al Reggimento e costumi di donna” di Francesco Barberino, facendo vivere alla figlia un'apparente vita felice in cui nessuno, senza l'autorizzazione del capofamiglia, poteva entrare in contatto con Lidia stessa; per questo motivo pochissime persone erano in grado di rispondere alla domanda “Qual volto possiede Lidia Mormorai?”. Vincenzo Aloi non rientrava tra queste; per questo motivo le sue prime parole di fronte a Lidia furono Finalmente riesco ad ammirare il volto di Lidia Mormorai!”.
Lidia si rannicchiò contro il muro e si premette le mani contro le orecchie. Il suono della voce al tempo stesso divertita e sprezzante di Vincenzo Aloi aveva preso a risuonarle in testa, in un atroce e sofferente loop infinito. Strinse gli occhi, cercando di ricacciare indietro i ricordi e le lacrime, ma fu tutto inutile.
Un'altra voce, sempre all'interno della memoria, riaffiorò come aveva fatto la prima: esile e flebile, poco chiara, ma presente: Lei no”. Qualcuno non molto lontano da Vincenzo Aloi gli aveva detto “Lei no”. Lidia si portò le mani tremanti al petto e sbarrò gli occhi verdi nel buio della stretta camera da letto. Vincenzo Aloi era stato distratto da quella voce; si era voltato nella sua direzione e allora Lidia, l'adrenalina che scorreva nel suo corpo, gli aveva sfilato la spada dal fodero e gliela aveva conficcata nello stomaco. Vincenzo Aloi aveva urlato dal dolore, gridato qualche insulto, cercato di afferrarla per i capelli, ma era inciampato e caduto in avanti, infilzandosi la propria arma ancora più in profondità; il suo corpo ormai privo di vita era scivolato addosso a Lidia, e allora la fanciulla, tra le fiamme che avevano iniziato a divorare la sua villa, alle spalle di Vincenzo Aloi, reputandola una semplice visione, aveva intravisto qualcosa danzare e serpeggiare dietro l'angolo: la coda di una sciarpa rossa.
Per lunghissimi mesi Lidia aveva pensato che si fosse trattata di un'allucinazione, e per questo la sua mente ne aveva archiviato il ricordo; ma adesso, alla luce dei fatti, alla luce del doloroso scontro verbale con Michele, Lidia aveva accettato la realtà: quella sciarpa rossa era reale, e con lei lo era anche il suo portatore.
Boccheggiò. Il respiro le si era mozzato, quasi, autonomo e dotato di proprio libero arbitrio, a volerla ammazzare per non procurarle altro dolore, per evitare che scoprisse la verità; ma se l'esistenza della verità aveva uno scopo, quello poteva essere solamente uno: essere scoperta. Aveva la gola secca ma la salivazione a mille, le veniva da vomitare. Desiderava che tutto ciò a cui aveva pensato fosse solamente una stupida congettura, che si trattasse di calunnie e maldicenze.
C'è un solo modo per scoprirlo, e tu lo sai bene”, pensò rivolta a se stessa con le lacrime che le rigavano le guance.

Ad infernum detractus es, in profundum laci.

 

 

Il notaio Montanelli, fervente sostenitori della Confraternita, si occupava di tenere in ordine l'Archivio degli Assassini, catalogando in maniera impeccabile i resoconti che gli Assassini stessi dovevano compilare al termine delle missioni importanti. Accedere all'Archivio significava poter mettere le mani sul passato della Confraternita, venire a conoscenza delle azioni compiute dai membri, del numero delle vite tolte, della quantità di “Requiescat in pace” sussurrati. Lidia era sicura che in quel luogo avrebbe trovato una risposta al suo interrogativo assillante.
La giovane dai capelli color cannella bussò al grande portone della dimora del notaio. Strinse la mani a pugno lungo i fianchi mentre attendeva che la serva socchiudesse il portone e la scrutasse da capo a piedi. La donna riconobbe la divisa che gli ospiti del padrone erano soliti portare, e fece accomodare Lidia all'interno.
-”Come posso aiutarvi, madonna...?”-.
-”Bice”- le suggerì Lidia. -”Sono Beatrice Sernigi. Desidero parlare con ser Montanelli”-.
-”Vado a comunicare il vostro arrivo”- disse la donna congedandosi in poco tempo. Lidia la seguì con lo sguardo e pregò che la sua attesa non dovesse essere troppo lunga. L'impazienza e il timore la stavano rodendo dall'interno.
La sua preghiera fu ascoltata e il notaio Montanelli si presentò pochi minuti dopo. Fece una breve riverenza e si sfregò le nodose mani sporche di inchiostro.
-”Madonna Sernigi! Ho sentito parlare di voi! State molto simpatica a Paola, avete avuto come maestri messer Calandri e l'Arcangelo... Siete una fanciulla molto fortunata, sapete? E anche molto affascinante”- iniziò l'uomo gesticolando molto.
-”Ser Montanelli, siete lusinghiero”- rispose Lidia con un sorriso tirato. -”Ma avrei una richiesta da farvi: vorrei chiedere il vostro permesso per consultare l'Archivio”-.
Montanelli si zittì di colpo e si schiarì la voce.
-”Il motivo?”-.
-”Ho un resoconto da consegnare il più presto possibile, il mio... primo”- spiegò la giovane cercando di essere molto convincente. -”E' la mia prima volta e non ho idea di come si compili un resoconto. Vorrei poter guardare qualche esempio”-.
Montanelli corrugò la fronte e fece per ribattere, ma Lidia lo batté sul tempo.
-”Avrei potuto chiedere aiuto ad Alfonso, certo, ma ho preferito non scomodarlo”-.
-”E così avete invece scomodato me”- le fece notare il notaio. Montanelli vide l'espressione spiazzata sul volto di Lidia e scoppiò a ridere. -”E' diritto di ogni Assassino accedere all'Archivio, non lo sapevate? Prego, seguitemi”-.
Lidia sospirò di sollievo e seguì a ruota Montanelli in una sala chiusa da un portone a doppia serratura. Le chiavi erano appese al collo del notaio da una sottile catenina d'oro. La prima serratura si aprì senza fare storie, la seconda, invece, oppose un po' resistenza.
-”Prego, madonna”- le disse aprendo l'anta destra del portone. -”L'Archivio è a vostra disposizione. Farò venire Maddalena ad attendervi qua fuori. Quando vi sarete reputata soddisfatta, potrete farvi accompagnare all'uscio. Vi auguro una buona e fruttuosa ricerca”- la salutò sparendo dietro al portone e chiudendosi l'anta alle spalle.
Lidia tese le orecchie e aspettò di perdere il contatto coi passi pesanti di Montanelli prima di spostarsi al centro della sala, vicino al grande tavolo di legno lucido. Si guardò attorno, osservando con gli occhi verdi spalancati gli alti scaffali tappezzati di fascicoli, ognuno ordinato secondo l'anno e il mese della missione a cui il resoconto faceva riferimento. Lì, in quella sala rettangolare illuminata da un'ampia finestra, si trovava la verità. Un brivido le corse lungo la schiena e Lidia si cinse il petto con le braccia. Per un attimo avvertì l'impulso di tornare sui suoi passi, di scappare e di raggomitolarsi sotto le coperte del suo letto, sicuramente ancora bagnate.
Devo farlo”, si disse mordendosi il labbro inferiore. Devo!”.
Si avvicinò allo scaffale di fronte a lei e scelse a caso un fascicolo: la data riportata su di esso era 1506.
Troppo presto”.
Lo rimise a posto e iniziò a perlustrare lo scaffale a destra, supponendo una progressione all'occidentale, da sinistra verso destra. Nessuna data corrispondeva a quella dell'attacco alla sua famiglia. Che si fosse sbagliata? Che i suoi ricordi le avessero giocato un brutto scherzo? Il viso nascosto da un fascicolo, Lidia di si ritrovò a sorridere, un sorriso tirato e nervoso.
La data corrente non è ancora stata raggiunta. Non dovrei cantare vittoria”.
1509. Eccolo, lo aveva trovato: il ripiano dello scaffale relativo all'anno presente, il millecinquecentonove. Il mese? Il giorno? Lidia li ricordava bene, come se qualcuno glieli avesse impressi a fuoco sulle pareti interne del cervello; una ferita mai del tutto rimarginata che le procurava un dolore atroce. All'interno del fascicolo che riportava quella data c'era un solo resoconto. La scrittura era elegante, ordinata e quasi ipnotica. Non vi era alcuna macchia d'inchiostro, e ciò poteva significare che l'autore era una persona precisa e attenta.
 

xxxxxxxxxxxxxxx AD 1509
Luogo: Villa Mormorai

Esito missione: positivo.
 

Lidia lasciò subito la presa sui fogli, come se si fosse appena scottata col fuoco. Lanciò un'occhiata carica di terrore e di odio al fascicolo e si accasciò per terra. Il castello sicuro che aveva tanto faticato a costruire negli ultimi mesi le crollò addosso. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e un forte senso di nausea attanagliarle lo stomaco. Doveva continuare a leggere, era ben conscia di doverlo fare, ma più soffermava gli occhi sul resoconto maledetto e più provava l'impulso di chiudersi in se stessa, di sparire e di non fare più ritorno. Le persone di cui si era fidata, le persone che si erano offerte di aiutarla nella propria vendetta, erano le stesse che le avevano tolto tutto, rovinandole la vita.
Erano stati gli Assassini a distruggerla.
Ma perché? Per quale motivo? Chi di preciso aveva deciso di eliminare i Mormorai? Le risposte stavano lì, a pochi centimetri da lei.
Devo farlo per la mia famiglia, pensò allungando una mano tremante e scossa dai singhiozzi.
 

La famiglia dei Mormorai è stata eliminata. Le informazioni da me raccolte si sono rivelate utili al successo della missione. In quanto membro capo della spedizione e ideatore della missione stessa, mi assumo la responsabilità di ogni eventuale “effetto collaterale”.

 

Era il mandante! Colui che aveva ordinato lo sterminio dei Mormorai si era poi ritrovato a dover compilare il resoconto della missione. Un Assassino aveva ottenuto il permesso dalla Confraternita di...
Un momento”.
Lidia si asciugò gli occhi col dorso della mano e rilesse attentamente quelle poche righe. Le ultime due parole non le erano molto chiare. “Effetto collaterale”. Che cosa intendeva l'Assassino? La giovane scorse il testo rapidamente fino ad arrivare alla firma finale, quella che le avrebbe rivelato il nome della persona su cui la vendetta di Lidia si sarebbe presto abbattuta.
 

L'Arcangelo

 












NOTE DELL'AUTRICE:
Ci tengo che sappiate che voglio a tutti voi un bene dell'anima e che spero di non aver spezzato il cuore di qualcuno con questo colpo di scena (spero non scontato, ahahah!) <3
Il già incrinato rapporto complicato tra Lidia e Michele subisce un'ulteriore e, oserei dire, profonda e irrecuperabile frattura. Non vi anticipo niente per evitarvi spoiler, ma colgo l'occasione per ricordarvi che il nostro bel sciupafemmine, alias Tancredi, sta facendo ritorno in città :> 
Per la prima volta ho due note "serie" da fare: 
1) Il "Reggimento e costumi di donna" di Francesco da Barberino non è quello che Wikipedia vi descrive: non si tratta di un manuale per insegnare alle madri come allevare bene i figli, ma è una sorta di galateo e di codice di regole sociali rivolto alle donne di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali (fonte: il mio professore del corso universitario di Letteratura Italiana).
2) I due versi in latino che fanno riferimento a Lucifero e alla sua caduta dal Paradiso appartengono al Libro di Isaia
Ringrazio tutti per il vostro supporto, vi chiedo scusa per il costante ritardo negli aggiornamenti, e mando un kissone a tutti (anche se forse arrivati a questo punto mi odierete Ciao e alla prossima! ^^

 

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