Diadème

di Cecile Balandier
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ricordo che volevo ***
Capitolo 2: *** Per te, per sempre ***
Capitolo 3: *** Polvere di diamanti ***
Capitolo 4: *** Specchio di ghiaccio ***
Capitolo 5: *** L'Ange ***
Capitolo 6: *** Sortilegio ***
Capitolo 7: *** Il vento fra i roseti ***



Capitolo 1
*** Il ricordo che volevo ***



Capitolo 1 

~ Il ricordo che volevo ~

Parigi. Vigilia di Natale, 1788
La gente di Parigi sfida il freddo oggi pomeriggio, lasciandosi intirizzire le mani e il naso dal gelo, pur di sentir incidere nei cuori parole come libertà e uguaglianza e diritti...
Parole grandi come montagne, certo, eppure oggi ho quasi l'impressione di vederle fluttuare leggere tra la neve e le voci. 
Ho qualche giorno di licenza e sono venuto in città per ascoltare un'adunanza rivoluzionaria e il conseguente lamento di un popolo che ormai nessuno, tantomeno il re, dovrebbe fingere di non udire. 
Spicca un uomo in particolare, tra i contestatori al centro della piazza. È carismatico ed accentratore, inoltre parla con veemenza e afferma a gran voce che il Terzo Stato ora chiede più potere, chiede di poter contare, per porre fine ad ogni tipo di discriminazione.
- Non è lontano il giorno in cui potremo vivere nell'uguaglianza!!! -
Riconosco la sua voce... è proprio lui!
- Ma quello è Bernard! - 
Esclamo in mezzo alla gente, mentre continua morbidamente a cadere sulle nostre teste qualche fiocco di neve, che copre di bianco le mie spalle e il mio mantello marrone. 
Cerco di farmi spazio tra gli uomini e le donne agitati e accalcati in questa piazza parigina, voglio raggiungere assolutamente Bernard.
Mi guardo attorno appena ho un po' di respiro e mi sembra di vederlo sul Pont Neuf con due uomini al seguito. 
- Bernard! Fermati, Bernard!! -
Lo chiamo appoggiando la mano sul parapetto ghiacciato del ponte. 
Si volta, riconoscendomi immediatamente.
- André! Ma tu sei André!! -
Esclama sorpreso, con una voce gioviale.
- Ti ho sentito parlare a quella gente, dici cose molto belle Bernard! -
Una risata amichevole in risposta alle mie parole.
- Sai, sono molto contento di rivederti! Ehi... perché non vieni a casa mia? È qui vicino... -
Dice avvicinandosi di qualche passo, sulla neve ancora fresca. 
- Vengo volentieri Bernard! -
Gli vado incontro e dopo una stretta di mano e una pacca sulla spalla ci dirigiamo a casa sua, in Rue de Rivoli.
È una palazzina semplice a tre piani, con le imposte verde scuro un po' scardinate, nell'insieme in buone condizioni rispetto ad altre abitazioni parigine, fatiscenti e poco dignitose. 
Mi fa accomodare in un salottino dalla carta da parati a piccole righe rosse e color crema, molto accogliente nonostante il mobilio semplice, in legno di larice.
Rimango piacevolmente sorpreso dal calore improvviso sul viso e dal tepore asperso nella stanza dal bel fuoco che troviamo già acceso nel caminetto di pietra grigia, decorato con un verdissimo e spoglio ramo di pino. 
- Vado a chiamare una persona... tu aspetta qui André! -
Si raccomanda grattandosi il mento e ridacchiando un po', dopo aver appoggiato su una sedia il mantello.
È rimasto un giovane uomo coraggioso e tenace Bernard. Proprio come me lo ricordavo dopotutto.
- D'accordo! Ti aspetto qui... -
Rispondo incuriosito mentre levo anch'io il mantello e lo abbandono su una poltroncina. Mi avvicino al fuoco per scaldarmi le mani, tremendamente intorpidite e screpolate per il freddo. 
Guardo la finestra, i fiocchi di neve si sono infittiti. Ho lasciato il mio cavallo al coperto e al sicuro, nella stalla di una locanda qui vicino, ma se continua così potrebbe arrivare una bella bufera di neve e sarei costretto a rimanere alla locanda per la notte.
Proprio un bella vigilia di Natale sarebbe... senza contare che sei rimasta in caserma per tutto il giorno e chissà quando e se potrai rientrare a Palazzo. 
È quasi una settimana che non ti vedo, tranne un saluto veloce giorni fa, per i corridoi della caserma. 
In quell'occasione mi era sembrato di vederti quasi illuminare in un lieve ma spontaneo sorriso, nel trovarmi improvvisamente davanti al tuo cammino, interrompendo il tuo incedere sicuro, salutandoti col tuo nome, in modo confidenziale, trovandoci soli. 
Ma quel piccolo sorriso, palpitante come un battito di cuore, si era rapidamente dissolto, come questi cristalli di neve, che scompaiono in fretta quando arrivano al suolo, senza fare rumore, come i pensieri o i sogni. 
Il cigolare della porta alle mie spalle mi riporta alla realtà. 
- André, André tu qui? -
- Rosalie! -
Esclamo colto dalla sorpresa, non mi aspettavo di vedere proprio lei. 
- Sono anni che non ci vediamo, non è vero André? -
Dice con dolcezza, accanto a Bernard, tenendo tra le mani un vassoio con del caffè fumante. 
- No, sono secoli! Ma perché non hai scritto? Perché non ci hai fatto avere tue notizie? Non capisco... come mai vi conoscete? Perché mi hai portato qui, Bernard? Oh... ma certo! Siete marito e moglie vero? -
La contentezza e la sorpresa mi confondono.
- Già, ci siamo sposati dopo la mia parentesi come Cavaliere nero... -
Bernard stringe la spalla di Rosalie con una mano. Un gesto intimo ma sicuro, che non lascia dubbi circa l'intensità della loro unione.
- Davvero? Sono molto contento, congratulazioni! -
La notizia mi scalda sinceramente il cuore.
- Grazie! Senti, cosa mi dici di Oscar, coma sta? -
Mi chiede con gli occhioni blu aperti e curiosi. È rimasta la stessa di sempre, nonostante il senso di completezza che non avvertivo prima in lei e che ora sento abitarla nel profondo, dal tono di voce, dallo sguardo, dalla sicurezza nei gesti, oltre che nell'aspetto in generale. 
- Ah, sta bene Rosalie... ma forse non sai che ha chiesto di lasciare la Guardia Reale e che adesso lei comanda i soldati della Guardia! -
Alle mie parole libera lacrime tenerissime, seppur con radici profonde, perché conosce molto bene tutte le difficoltà e i sacrifici insiti nella vita militare. Soprattutto nella vita militare per una donna. 
- No, non piangere Rosalie... ti garantisco che niente è cambiato da allora. Niente e nessuno... -
Rispondo con dolcezza, ma allo stesso tempo con sicurezza nelle parole. Almeno per quanto mi riguarda, certe cose non cambieranno mai e lo scopo della mia vita per primo. 
Bernard le si fa vicino col viso, forse le sussurra qualcosa. Lei annuisce facendosi raccolta con lui, poi appoggia il vassoio sul pulitissimo tavolo rotondo, di medie dimensioni. 
- Comunque ti sbagli André, io ho scritto il nostro indirizzo ad Oscar qualche tempo fa, dandole anche la notizia! Domani è Natale... ti prego, portale i nostri auguri, anche per il suo compleanno! -
Dice asciugandosi gli occhi con i palmi delle mani, finalmente libere, mentre Bernard mi porge la tazzina col caffè ancora caldo. 
- Ma certo Rosalie! Lo farò senz'altro! -
Le dico con un sorriso, cercando il suo sguardo, con quella punta di confidenza che deriva dall'aver condiviso molto in passato. Ricambia il mio sorriso mentre indossa una mantellina verde chiaro, forse un po' leggera per il freddo che si ritroverà là fuori, mi ritrovo a pensare.
- Io devo andare a lavorare André... Oh!! -
Sussultiamo tutti e tre, voltandoci verso la porta del salottino. Qualcuno bussa senza troppo vigore ma insistentemente al portone d'ingresso al piano di sotto. 
- Non aspettiamo nessuno... Strano! Vado a vedere di chi si tratta, André ti prego, stai con Rosalie! -
Poggio la tazzina sul vassoio e annuisco, facendomi vicino a sua moglie. 
So bene che Bernard fa parte di un gruppo di rivoluzionari considerati sovversivi e deve guardarsi le spalle come meglio può. 
Lascia la porta del salottino un po' accostata e in questo modo possiamo udire il rumore dei suoi passi leggeri mentre discende le scale e persino la sua voce nell'accogliere una persona gradita, data la risata di contentezza che arriva rassicurante alle nostre orecchie. 
Un'orgogliosa Rosalie mi sorride per poi voltare lo sguardo verso la finestra e sospirare di sollievo, credendo di non essere vista da me. Io ritorno accanto al fuoco, sono pronto a salutarli per ritornare a Palazzo. Anche tu da oggi sei in congedo, per qualche giorno, e io non posso, proprio non riesco a starti lontano...
Rientra Bernard con gli occhi che sfavillano.
- Guarda un po' chi è venuto a trovarci, Rosalie! -
Esclama ridacchiando, attirando l'attenzione di sua moglie. Io sorrido e mi dirigo verso la finestra, per riprendere il mio mantello, che ho lasciato su una poltroncina di velluto vecchio e sgualcito. Non voglio disturbare la loro intimità e inizio a sentirmi di troppo... ma la voce che, calda e levigata, arriva con eleganza a riempire la stanza, mi lascia immobile e senza fiato. 
- Rosalie! Come stai? -
- Non posso crederci! Oh mio Dio! Oscar!! -
Mi volto di scatto, con un gesto istintivo, e vedo Rosalie gettarsi tra le tue braccia. 
Il cuore accelera i suoi battiti, senza poterlo comandare. Sono in tuo potere, ancora una volta Oscar, e questa volta, senza alcun preavviso. 
Hai ancora i capelli e il mantello grigio coperti di fiocchi di neve, che sciogliendosi a contatto col calore della stanza ti lasciano diamanti tra le ciocche lunghe e sulle spalle, per poi scivolare svettanti lungo le pieghe della stoffa rigida. 
Sei bella. Troppo bella per non inchiodare il mio sguardo opaco su di te. 
Sempre. 
- Che sorpresa! Credevo che non ci saremmo più riviste! Oh... Oscar! -
Dice Rosalie staccandosi dall'abbraccio, asciugandosi di nuovo le lacrime, rossa in volto per l'emozione.
- Avevo un po' di tempo e... desideravo farvi finalmente le mie congratulazioni per il matrimonio e... gli auguri di buon Natale! -
Rispondi con dolcezza, accarezzando il capo di Rosalie. Hai pacatezza nella voce e le gote un po' irritate dal gelo. 
Io rimango in disparte, ammutolito, non mi aspettavo di vederti qui e tu non ti sei ancora accorta della mia presenza.
- È una sorpresa davvero avervi qui tutti e due! -
Bernard guarda nella mia direzione, posando con delicatezza la mano sulla spalla di Rosalie, che a sua volta mi cerca con lo sguardo. 
Ti vedo continuare a sorridere, poi corrugare la fronte e voltarti di scatto. 
Incroci il mio sguardo e sgrani i tuoi occhi trasparenti, ma solo per un istante, perché mai vorresti farti sorprendere da me senza il controllo della situazione. 
- André.... anche tu qui? -
Mi chiedi con lentezza, fissando un punto indistinto oltre le mie spalle, mentre io mi avvicino di qualche passo.
Sembri quasi indifferente, come il grigio vaporoso del cielo mentre nevica. Con la sua mestizia lascia frastornati i colori del cielo e delle strade. 
- Ho incontrato Bernard per caso e... mi ha portato a salutare la nostra Rosalie! -
Dico rivolgendoti un sorriso, perché sono felice di vederti Oscar, perché finalmente posso specchiarmi nel candore della tua pelle sottile sotto quel rossore acceso, che ti fa sembrare quasi una bambina in questo momento. 
Riprendi presto il dominio dei tuoi pensieri e ti volti verso Rosalie, prendendole la mano.
- Oscar... se avessi saputo che ci avresti fatto visita... Purtroppo devo andare a lavorare e sono già in ritardo! -
Dice con gli occhi lucidi, alzando il cappuccio della mantellina.
- Non preoccuparti Rosalie, ci saranno altre occasioni. Sono felice di sapere che state bene! -
Parli con un sorriso a mascherare un po' di malinconia, che forse soltanto io percepisco, perché soltanto io conosco ogni tuo dettaglio come fosse mio, quasi come un musicista esperto che conosce alla perfezione ogni nota della sua sinfonia preferita. 
Sinfonia che gli rende possibile toccare le illusioni, anche se dopo averlo fatto, ne rimane sempre più tormentato. 
- Accompagno mia moglie, vi prego, aspettatemi qui e scaldatevi con tutta la legna che vi serve... Sarò di ritorno tra poco! - 
Bernard non ci dà il tempo di replicare ed esce salutandoci con un gesto spiccio della mano, chiudendo la porta alle sue spalle, con Rosalie al suo seguito, che ci saluta agitandosi in un sorriso raggiante. 
Mi dai ancora le spalle quando ti levi lentamente e con grazia il mantello grigio, allargandolo un po' prima di poggiarlo sullo schienale di una sedia. 
Indossi ancora l'uniforme da comandante e hai le punte dei capelli ancora bagnate. 
- Sei uscita adesso dalla caserma? -
Ti chiedo mentre mi volto verso il fuoco, per guardarlo mentre divora, crepitante e guizzante nel suo color carminio, l'abbondante legna che Bernard ha disposto prima di uscire.
E ho l'impressione di essere divorato anch'io dall'emozione, per la tua presenza, per questa improvvisa intimità, per il tuo ostinato silenzio. 
- Si, poche ore fa. -
Rispondi a voce bassa, avvicinandoti inaspettatamente al fuoco e allungando le tue piccole mani, restando quasi al mio fianco. 
Sei vicina, ma mai abbastanza...
Guardo il fuoco insieme a te e vorrei che fosse facile parlarti e godere di qualcosa di semplice come una risata o una battuta di spirito, come quando eravamo ragazzi ed era naturale aprire i nostri cuori in parole immediate, spontanee.... e gli errori, il dolore e l'amore non avevano ancora devastato le nostre vite e le nostre anime. 
- Hai freddo? -
Ti chiedo osservandoti, perché qualche brivido ti scuote e ti stringi nella tua uniforme blu.
Mi guardi con la coda dell'occhio.
- No...tu? -
Sorrido, restando col viso voltato dalla tua parte. 
- No... -
Poi torna il silenzio, il distacco, il gelo, e io vorrei essere in grado di scioglierlo come fa il fuoco, con la sola forza del mio amore.
Nevica copiosamente ora e me lo fai notare, guardando distrattamente la finestra, forse per trovare qualcosa da dire. 
Con la neve e la tua presenza riaffiora all'improvviso un ricordo, molto lontano ma forse il più puro e intenso al tempo stesso della mia vita. 
E io ho voglia di ricordare... con te. 
- Lo sai vero, cosa mi ricorda la neve? -
Inspiri lentamente, ti guardo mentre sfreghi le mani e le porti alle labbra. 
Sono sul punto di credere che non mi risponderai, quando sussurri qualcosa, con la voce un po' soffocata dalle dita e con gli occhi puntati sulle fiamme.
- Il diadema di smeraldi... -
Ero certo l'avessi pensato anche tu. 
- Esattamente... -
Sorrido mentre parlo, poi ti lascio sola davanti al camino, per avvicinarmi alla finestra, consapevole di cosa ti sto portando a ricordare.
Mi lascio trasportare dal ricordo che volevo... perché è un ricordo che ti parlerà più di quello che posso fare io. 
- Era il 1767... vero, Oscar? -
Ti chiedo con il viso quasi attaccato al vetro un po' appannato della finestra. Il cielo è bianco, come ormai la strada e i tetti della bella Parigi.
- Si... -
Rispondi soltanto, ma ti avvicini e ti siedi su una sedia, attorno al tavolo, dove poggi comodamente un braccio e inizi a giocherellare con le dita su un segno d'intaglio del legno. 
- Stavi per compiere 12 anni, mentre io ne avevo già 13... -
Annuisci con la voce, ma non mi guardi. 
Sei fredda. E sei lontana. 
Eppure sei qui e mi stai ascoltando, come io sto ascoltando il tuo respiro leggero incresparsi un po'. 
Inizio a parlare, a raccontare, trasportato dalla mente a quel lontano pomeriggio dal cielo color oro e argento. 

Palazzo Jarjayes. Vigilia di Natale 1767 
Sul tavolo del salone grande erano stati riposti due candelabri d'argento appena lucidato, a sei luci ciascuno, in mezzo ad una ghirlanda fatta con il vischio trasparente e alcuni rami di agrifoglio, che colorava di rosso la composizione, per le sue bacche vivaci. 
Ricordo fiamme alte e sfavillanti nell'enorme camino, coperto da un parafuoco a rete per il troppo divampare. 
Un grande abete troneggiava al centro della stanza, gli aghi ancora ricoperti di piccoli cumuli di neve, che andavano lentamente a sciogliersi e a fondersi con il verde intenso dell'albero, rendendo lucidi i suoi ampi rami. 
"André, puoi rimanere un po' con il signorino Oscar! L'aiuterai ad addobbare l'albero di Natale con queste sfere di vetro. Poi tornerai alle tue faccende!"
Mi disse l'inflessibile Monsieur Dupuis, l'istitutore cui tuo padre affidò la nostra istruzione, identica in tutto. L'unica differenza, ben chiara anche a lui, era che io avevo anche dei doveri, in quanto servo. 
E lui non perdeva mai occasione per ricordarmi le mie origini. Umili origini. Ma a me non importava la sua presunzione o i pregiudizi su cui basava i suoi pensieri e le sue azioni, per te ero soltanto André, il tuo migliore amico. E questa era la cosa che più contava per me. 
La nonna se ne stava ad osservare l'abete, sfregandosi vistosamente le mani mentre ammirava compiaciuta l'enorme albero, quasi fosse tutto merito suo il fatto che fosse tanto alto e tanto verde. 
Tu eri seduta per terra, le ginocchia vicino al petto, un libro di latino aperto al contrario. Mi guardavi ridendo mentre annuivo mesto a Monsieur Dupuis. 
Indossavi culottes e gilet lungo di velluto azzurro e una camicia di seta bianca, con lo jabot di pizzo fermato da una spilla. Un rubino ovale rosso come le tue labbra. 
Eri una ragazzina smilza ma con due guance piene e rosate come peonie, bellissimi boccoli biondi fino alle spalle e gli occhi azzurri vispi e acuti.
Ti piaceva giocare, fare scherzi, ridere e spesso infrangere le regole. 
"Signorino Oscar, non a terra. Seduto come si confà ad un Conte, prego!"
Ti intimò, facendo rumorosamente segno di sederti al tavolo con la lunga bacchetta di legno, che non poggiava mai. 
Per nostra fortuna giunse il suo orario di riposo. Una pausa da lui finalmente e tornammo a respirare. 
"Era ora! Non lo sopportavo più!"
Sbottai non appena chiuse le porte color verde acqua del salone ed uscì seguito da mia nonna.
"Ti dai una mossa? Mica posso fare tutto da sola!"
Dicesti guardando perplessa le scatole di legno da cui ammiccavano luccicanti sfere di vetro e nastri di velluto in tutti i colori del mattino. 
Con un nastro blu legai i capelli scuri, più lunghi dei tuoi e mi rimboccai le maniche della camicia bianca, su cui avevo lasciato slacciato il gilet marrone, corto e semplice. 
Avevo tredici anni e mi affacciavo alla giovinezza con entusiasmo e curiosità, già lontano dal mondo dell'infanzia, anche nei pensieri. 
Tu invece avevi appena superato il trauma del cambiamento che fa di ogni bambina una donna. E mi era ben chiaro... 
Eri femmina... e non perché nonna Marie si prodigava ogni volta a spiegarmi tutto in tal senso. 
Eri femmina e basta, non lo dimenticavo mai. 
"Si... ma tu passami le sfere altrimenti non finiremo mai prima che torni il -Signorino Dupuis!- "
Dissi accennando un ghirigoro con le dita e piegandomi in un inchino oltremodo vistoso. 
Scoppiasti in una sonora risata. 
"E va bene... ma io metto il puntale!"
Continuando a ridere anch'io, balzai sullo sgabellino di legno, per arrivare ai rami più alti. 
"Oscar sbrigati... così possiamo andare un po' sulla neve! Ti devo dare una bella lezione! Una di quelle che non scorderai!"
"Io ti affosso nella neve, André!"
Mi minacciasti col puntale, alzando un angolo della bocca e strizzando gli occhi azzurrissimi. 
"Non credo proprio!"
Risposi io scuotendo piano la testa. 
"Stai attento a te! Oh... no... accidenti a me!!!"
Esclamasti dopo aver fatto cadere a terra il puntale, che sottilissimo si ruppe in mille pezzettini scintillanti. 
"Che cosa ti prende?"
"Ho rotto il puntale! Mia madre ci teneva, gliel'avevano regalato alla mia nascita, dannazione!"
Ti sfuggì uno sbuffo e mi guardasti mortificata, sgranando gli occhi. 
"Forse si può accomodare... fammi dare un'occhiata."
Dissi scendendo svelto dallo sgabello. 
"No... André guarda... l'ho frantumato... Andiamo in camera dei miei genitori, sono fermi dal Marchese de Lambert per via della neve... forse nei cassetti di mia madre c'è qualcosa! Forse possiamo camuffare!"
Non avevi paura di niente e ti muovevi libera e svelta come una gatta per la casa. 
"No Oscar... se mia nonna mi trova a girare per le camere padronali mi uccide! E poi se rompiamo qualcosa anche lì sono guai... guai seri! E ricordiamoci di Monsieur Dupuis!" 
Dissi preoccupato. 
"Ci penso io Cuor di leone!! Avanti spicciati!!"
Nemmeno il tempo di finire la frase che scivolasti verso il corridoio.
"Aspettami!"
Ti urlai dietro.
Entrammo così nella stanza da letto dei tuoi genitori.
Grande, elegante e gelata, poiché la finestra era stata lasciata spalancata. 
"Qui dentro si gela André! Oh... guarda... un pettirosso!"
Dicesti leggiadra, andando alla finestra. 
"Andiamocene Oscar... prevedo guai stavolta... te lo giuro..."
"Aspetta, fammi guardare nei cassetti... qui ci sono dei nastri, dei fiori di stoffa... e questo André... lo hai visto?"
Ti voltasti di scatto, i capelli biondi a seguire i tuoi gesti spavaldi. 
"Che cos'è?"
Mi avvicinai incuriosito dallo scrigno di forma ovale, di velluto color viola. 
"È il diadema di smeraldi che la Marchesa di Pompadour ha regalato a mia madre, prima di morire... Erano amiche. Mia madre lo indossa sempre per la festa di Natale alla reggia di Versailles.... Guarda! Vogliamo mettere questo sull'albero? Ah ah ah!!"
Lo sollevasti in tutto il suo magnifico splendore. Era meraviglioso... da regina! E per un attimo soltanto, desiderai di vedertelo indossare. 
"Oscar mettilo via... non scherzarci nemmeno!"
Dissi guardandomi attorno, stringendomi le spalle per il freddo e il disagio che quella situazione mi provocava. 
"Va bene... ora lo metto via! Voglio solo vedere alla luce il verde degli smeraldi... sono bellissimi!"
Ti avvicinasti alla finestra con impeto irrazionale e non potei far niente per impedirti di commettere quella leggerezza.
Scivolasti con le scarpe di vernice sulla neve entrata col vento e sciolta sul parquet. 
Vidi il diadema di smeraldi cadere nel vuoto, fuori dalla finestra, nella neve alta e soffice caduta durante tutta la giornata. 
"Dio mio Oscar! Il diadema!!!È caduto nella neve!!!"
Esclamai col cuore in gola, mentre ti aiutavo a rialzarti dal pavimento. 
Non parlasti, guardasti soltanto me e la finestra, pallida e mortificata perché già sapevi che la punizione sarebbe stata implacabile. 
"Cosa ci fate qui??"
Ci voltammo di scatto.
Tuo padre ci guardava dalla soglia della camera, mentre teneva in mano un candelabro la cui luce, dal basso, donava ombre cupe al suo volto severo. 
~ • ~


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Capitolo 2
*** Per te, per sempre ***



Capitolo 2 

~ Per te, per sempre ~


Parigi. Vigilia di Natale 1788

- GLI STATI GENERALI!!! VOGLIAMO GLI STATI GENERALI!!! -
La gente di Parigi si è raggruppata per la strada e scivola sulla neve come un fiume grigio e agitato.
Il mio pensiero si strappa improvvisamente da quel ricordo lontano per piombare su quello della paura più immobilizzante che abbia mai provato in vita mia. La paura di vederti linciata dalla folla esasperata, quella terribile notte che squarciò in due la mia gola, per quanto urlai il tuo nome, Oscar.
Oggi invece, la gente è scesa in strada per manifestare la volontà impellente di un cambiamento radicale. Un forza nuova, poter contare, poter parlare e ricevere ascolto. E tutto ciò potrà avvenire solamente con la convocazione degli stati generali.
Ho interrotto il mio racconto per l'irrompere improvviso di queste voci nel salotto di casa Chatelet, e non sono più sicuro che avrò l'opportunità di proseguire. Forse era ciò che volevi dopotutto. Silenzio tra noi, separati da un muro troppo alto, a volte anche per chi ama come me...
Ti alzi dalla sedia e ti avvicini alla finestra spostando di poco la tenda, con un movimento leggero delle dita. Ti vedo inspirare e sbattere le ciglia, mantenendo le labbra strette e lo sguardo fisso sulla strada. 
Sei un po' nervosa, forse perché anche tu a Saint Antoine hai avuto paura di morire. 
Ne hai avuta anche per me, Oscar? Ho sentito la tua voce chiamarmi disperatamente, arrivare al mio cuore in subbuglio, in ansia per te. Anche allora... tu per prima... sempre. 
Sollevi lo sguardo verso il cielo, che inizia ad imbrunirsi, mentre le grida dei manifestanti si allontanano con lentezza costante. 
Non commenti, ma credo che tu comprenda bene l'entità di questa richiesta da parte del popolo e la potenza distruttiva di una sua eventuale disattesa.
Sai già che i miei ideali riguardano il benessere dei più poveri di Francia e un miglioramento reale delle loro condizioni. 
Saranno mai anche i tuoi ideali Oscar? A volte lo spero e m'illudo che un giorno smetterai di essere un'ereditiera, un comandante dalla brillante carriera militare, per seguire i valori che, infondo, io so essere già germogliati nel tuo animo profondo e onesto. 
Ti sei fatta più vicina, le tue spalle quasi sfiorano il mio giustacuore. Hai le guance avvampate, sarai stata troppo vicino al fuoco... anche da bambina ti succedeva. Sorrido con dolcezza mentre ti guardo, inevitabilmente rapito da te e dal tuo odore discreto, che però si insinua fin sotto la pelle, divertendosi a torturare la mia ragione.
Le tue lunghe ciocche bionde si girano in boccoli deliziosi che coprono tutta la tua schiena. Quanto vorrei allungare una mano e regalarti tra i capelli la dolcezza che meriti, l'amore così profondo che sento per te.
All'improvviso parli, scuotendo il mio respiro, e mi sorprendi, perché le uniche parole che pronunci, continuando a seguire con uno sguardo imperscrutabile le povere anime disperate di Francia, non riguarda loro...
- Era... così arrabbiato... -
Mi volto completamente per guardarti bene. Vuoi che io continui il mio racconto e mi dai tu stessa il modo di farlo.
E allora io... io ti accontento Oscar.
- Si, era davvero infuriato! -
Parlo con un sorriso ad aggraziarmi la voce, anche se non mi guardi, anche se sembra che io quasi non ci sia, qui al tuo fianco, in questa umile stanza calda e profumata di pino.
Annuisci con un cenno veloce del capo e lasci andare la tendina, per poi andare a sederti sulla poltroncina di velluto vicino al camino, dove ho lasciato appoggiato il mio mantello. 
La spada, il cui fodero hai mantenuto legato alla cinta dell'uniforme, batte sul tuo fianco, ma tu non ti scomponi e rimani a fissare il fuoco tenendo i gomiti poggiati ai braccioli e le mani ferme, vicine alla bocca.
Sono alle tue spalle, torno a guardare il cielo scurirsi sempre di più, mentre lascia scivolare fiocchi bianchi e danzanti sempre più fitti.
~
Palazzo Jarjayes. Vigilia di Natale 1767
Il freddo in quella stanza, col suo gelo, attanagliava il nostro respiro e le nostre membra. 
E anche il tono di voce di tuo padre era glaciale. 
- Ho fatto una domanda!! Cosa sei venuto a fare qui con André, Oscar? -
Ti chiese lui, lasciando fuoriuscire, mentre parlava, una piccola nuvola di fumo.
Provavo sempre fastidio, lo ricordo bene, quando si riferiva a te al maschile. 
Si avvicinò a noi con due lunghe falcate, poggiando con stizza il candelabro sul mobiletto accanto al grande guardaroba color crema, profilato di oro. Si voltò a guardare il disordine che avevi lasciato a terra e lo sguardo cadde inevitabilmente sul cofanetto di velluto viola.
Vuoto.
Risucchiò le labbra fino a farle sparire e sgranò gli occhi quando capì che cosa avevamo osato toccare. 
- Come mai lo scrigno del diadema di smeraldi è vuoto?? -
I nostri respiri erano impalpabili, leggeri, eravamo piccoli al suo cospetto. Tu tremavi per il freddo e in quel momento ricordo di aver pensato soltanto ad un modo per scaldarti le mani. 
E per proteggerti...
- Chi di voi due vuole dirmi cosa e successo qui? -
Aggiunse raccogliendo dal pavimento lo scrigno e andando poi a chiudere le finestre, la sera stava scendendo ad ammantare di gelo ogni foglia, oggetto e respiro.
Serrai le labbra prima di parlare. Sapevo che era più naturale per un nobile dare la colpa ad un servo e l'unica cosa che desideravo, era che non ti toccassero... 
La mia amica, sorella, compagna di giochi, eri tutto per me.
Eri una famiglia intera, tu soltanto.
Tutto il resto, io stesso, non contavo più di quella neve entrata leggiadra nella stanza e divenuta acqua brillante di brina. 
L'importante era proteggere te, sempre. 
- Signor Generale... noi stavamo soltanto guardando! È la verità! Ecco... il diadema è... per sbaglio mi è precipitato giù dalla finestra, sulla neve fresca... basterà aspettare...che si sciolga, Signore! -
Non parlai a testa alta, ma chiaro e forte si!
Strizzò gli occhi in due fessure grigie e prese aria fino a riempire completamente i polmoni.
- No!! È stata colpa mia! André non c'entra nulla padre!! -
Esclamasti tu, coraggiosa nella tua voce soave, guardandolo dritto negli occhi, seppur contorcendoti le mani e mordendoti agitata il labbro inferiore. 
- Cosa?? Quello era un dono della Marchesa di Pompadour!! Tua madre lo deve indossare domani alla festa di Natale alla reggia di Versailles! Non voglio sentire una parola di più! -
Ci prese per il gomito, trascinandoci fuori dalla stanza.
- Padre... lui... lui non c'entra! Davvero! Sono stata io a perdere il diadema! Io!! -
Provasti a dire con enfasi, pur tra l'affanno di star dietro ai suoi lunghi passi, per lo scalone di marmo chiaro venato di grigio e lucido come una lama. 
- Zitto!! -
Ti rispose ancora adirato.
Ci trascinò fino alla sala centrale, dove ci attendeva l'enorme abete, ancora spoglio, e l'istitutore, Monsieur Dupuis, con un espressione di sgomento dipinta sul volto, lungo e grigio, come i pochi capelli che gli rimanevano, chiusi in un codino scialbo.
Tuo padre fermò i suoi passi, resi pesanti dalla rabbia, proprio davanti a lui. 
- Vi sono sfuggiti! Immagino sarete stato impegnato in quel preciso momento... -
Disse altero e sbrigativo.
- Signor Generale... io avevo l'ora di libertà! -
Monsieur Dupuis si affrettò a spiegare, chinando il capo con servilismo.
- André ha perduto il diadema della Contessa de Jarjayes! Voglio che insegnate un po' di educazione a chi commette certi errori... -
- Ma... vi ho detto che sono stata io!! André diglielo!! -
Mi guardasti con due occhi supplichevoli e la voce sottile come un filo di luna. 
- No, sono stato io! Punite me!! -
Tuo padre lanciò un'ultima fugace occhiata a Monsier Dupuis e si portò accanto alla porta, facendoti poi cenno di uscire con lui.
- No... non è giusto!! -
Scuotevi la testa con impeto, facendo danzare i boccoli biondi tutti intorno al tuo viso.
- Oscar!! Fuori!! -
Tuo padre ti chiamò con un tono che non ammetteva dissensi.
Ti sorrisi un po', mentre Monsieur Dupuis agitava la verga di legno. 
Vidi i tuoi occhi grandi riempirsi di lacrime sincere e le guance avvampare come due mele vermiglie. 
Poi le porte si chiusero e io potei soltanto ascoltare il rumore sommesso dei tuoi singhiozzi unirsi al mio respiro, veloce come i battiti del mio cuore. 
- Solleva le mani!! -
~
Parigi. Vigilia di natale. 1788
- Eccoci qua! Oh... perbacco... quanto nevica!! Siamo rientrati è impossibile camminare per strada, tra la neve e i manifestanti!! -
Bernard e Rosalie sono rientrati insieme, con i mantelli coperti di neve soffice, i nasi arrossati e le mani strette teneramente tra loro.
Non mi sono accorto che mentre raccontavo, tu ti sei alzata dalla poltroncina e ti sei messa in piedi, alle mie spalle. E ancora mi accorgo soltanto adesso che mi stai guardando con gli occhi pieni di malinconia e allo stesso momento brillanti di un ardore inaspettato.
Bernard e Rosalie forse si rendono conto di aver interrotto qualcosa e smorzano i toni del loro prorompente ingresso nella stanza.
- Oh... avete fatto bene a tornare... -
Dico in fretta io, interrompendo la mia frase, perché tu non ti decidi ancora a voltarti e mi guardi ancora con quello strano luccichio negli occhi, come un alito di vento caldo, estivo e avvolgente.
Poi abbassi lo sguardo, ti schiarisci la voce e ti volti a cercare i nostri amici. 
- Io e André stiamo andando a casa... Buon Natale amici e chissà che un giorno non ci potremo ritrovare ancora! -
Prendi il mantello, lo allacci al collo, silenziosamente, lo sguardo sul nulla, lasci una carezza al viso di Rosalie e un sorriso a Bernard, poi esci e scendi le scale, senza fretta alcuna.
Non indugio e indosso il mio mantello marrone, per seguirti, perché mi stai aspettando...
Saluto Bernard e Rosalie con affetto e ti seguo per le scale. Sei appena uscita dal portoncino d'ingresso e la neve ha già intrecciato i suoi cristalli ai tuoi capelli.
Il vento è molto più forte e la bufera sta iniziando il suo cammino.
- Dove hai lasciato Cèsar? -
Ti chiedo preoccupato, mentre gli stivali infilati nella neve ci impediscono di camminare agilmente.
- L'ho lasciato qui vicino... al riparo! Ma è impossibile proseguire a cavallo! -
Dici scuotendo la testa, coprendoti bene il capo col cappuccio del mantello grigio. Il freddo ci avvince, come il buio della notte, che tra poco tempo calerà solenne. 
- Tu dove hai lasciato Léon? -
- Ad una locanda a pochi passi da qui! Ci converrà passarci la notte Oscar! Avranno senz'altro due camere libere... è Natale! -
Dico con franchezza, ad alta voce, senza dubbio è l'unica soluzione possibile. Annuisci e mi segui senza indugio. Passare la notte all'aperto significherebbe morire e lo sai bene anche tu. 
Arriviamo alla locanda "Étoile" in pochi minuti, a capo chino e gli occhi strizzati, per evitare il vento tagliente. 
Chiedo se hanno disponibilità e ci danno senza problemi due camere attigue.
Saliamo in silenzio le scale, respirando profondamente il timido tepore che ammorbidisce lentamente le nostre mani e i nostri lineamenti.
Siamo sulla soglia delle camere quando ci fermiamo.
- Allora... buonanotte Oscar e... buon Natale! -
Ti sussurro sommessamente, in realtà, perché non vorrei per nulla al mondo separarmi da te, anche se sono abituato mio malgrado a farlo.
Abbasso gli occhi sulla serratura della mia camera, giro la chiave ed entro, senza ascoltare la tua risposta. 
Non riesco Oscar... 
Non riesco più a fingere... 
Non stanotte.
Dunque, è meglio così, per non sbagliare di nuovo, per non rischiare di perderti di nuovo... 
Non riuscirei più a tollerarlo e non potrei perdonarmelo stavolta. 
Ti sento girare la chiave ed entrare nella tua camera, dopo qualche minuto. 
Le stanze sono piccole e si compongono di un letto abbastanza grande, una sedia e un tavolino rotondo in un angolo, un piccola cassettiera e un caminetto, che il locandiere provvede ad accendere ad entrambi. 
Dopo essermi levato il mantello e il giustacuore e rinfrescato con dell'acqua davvero gelata, mi siedo a terra, di fronte al fuoco, prendendo con me una coperta di lana bianca.
- Davvero un bel Natale! -
Sorrido ironico e scuoto la testa mentre lo dico, passando una mano tra i capelli ancora un po' umidi.
Guardo la porta. 
È già notte ormai... 
Quanto vorrei correre da te, prenderti tra le braccia e sussurrarti tutto il mio amore, fino al mattino... senza stancarmi mai...
- Quanto lo vorrei Oscar... -
Bisbiglio tornando a guardare il fuoco, la mia unica compagnia, ma avverto un rumore debole ma rinnovato.
Un lieve bussare alla mia porta. 
- Avanti! -
Rispondo chiaro e forte, senza alzarmi, guardando la porta aprirsi lentamente e cigolante davvero, neanche mi trovassi dentro una storia di fantasmi...
O forse si... 
Sgrano gli occhi, entrambi stavolta. 
E non credo al mio povero e debole sguardo. 
Sei tu... che entri nella mia stanza, con indosso soltanto la camicia bianca, i pantaloni blu della divisa e una coperta di lana rossa e bucherellata sulle spalle.
Non riesco a parlare, soltanto ad osservarti, incredulo...
- Posso? -
Mi chiedi se puoi?
- Ma... certo! Entra Oscar! -
Solo la luce delle fiamme ti illumina, mentre ti siedi al mio fianco e io ti fisso con uno sguardo incredibilmente stupito.
- Avrai fame... -
Dici sottovoce, porgendomi un piatto con della carne secca e del pane, che probabilmente sei andata a chiedere al locandiere. 
Sorrido. 
- Ti ringrazio! In effetti stavo proprio morendo di fame!! -
Ti vedo sorridere finalmente, anche se non mi guardi. 
Però sei qui, ancora qui con me...
Noto che indossi ancora le calze bianche, un po' bagnate.
- Tieni, copriti un po' con questa, Oscar... -
Allungo su di te la mia coperta, senza pensare che questo è un gesto molto intimo. Ma tu fai esattamente come ti dico e finiamo entrambi sotto un'unica calda coperta. 
Senza sfiorarci, eppure il respiro inizia a tormentarmi. 
Mangiamo in silenzio e beviamo il latte che hai portato con il piatto di carne. Carne, latte... un privilegio raro di questi tempi, lo sappiamo bene entrambi, anche se siamo abituati alle migliori pietanze.
- Questa carne... è secca e dura come il legno! -
Dico scoppiando a ridere, accarezzandomi la mascella.
- Oh... hai ragione! -
Rispondi trattenendo una risata.
- Ma il pane... è buonissimo! Davvero! -
Ti dico fingendomi serio, addentando un tozzo di pane raffermo quasi fosse il miglior gratin di mia nonna.
Ridi anche tu un poco e poi finisci di bere il latte, con un'eleganza che lo fa sembrare vino.
Il fuoco inizia ad indebolirsi e il suo crepitio a smorzarsi.
Aggiungo un ceppo di legno più grosso a quelli che già ardono, mentre tu tiri fino al mento la coperta.
Ritorno anch'io sotto la coperta, abbastanza grande per entrambi, e non mi azzardo più a guardarti. Troppo, davvero troppo rischioso.
Sei di una bellezza sconvolgente e sei così femminile stanotte, con le guance così calde e le labbra così rosse e lucide, baciate da qualche ricciolo dorato sceso a coprire un po' il tuo volto rilassato.
No...
Non ti guardo Oscar. 
Già soltanto il tuo profumo e il tuo respiro, così vicino, ammorbano i miei sensi...
Non ti guarderò finché non dormirai. Allora ti poggerò sul mio letto e io resterò sul pavimento, grato comunque per questo raro momento, soltanto nostro. 
- André... -
Ma tu parli...
- Si... -
- Finisci il tuo racconto... -
Lo sussurri timidamente, anche tu lontana con lo sguardo.
- Meglio di no... -
Rispondo di getto, con una voce un po' arrochita per il freddo, lanciandoti solo un'occhiata veloce.
Sembri un'altra persona. 
Sembri quella ragazzina rossa in volto che voleva difendermi ad ogni costo...
- Perché no? Voglio che finisci di raccontare... ci sono cose... che voglio sapere... -
Non credo a quello che sto ascoltando. Davvero vuoi che ti parli dal profondo dei miei sentimenti, Oscar?
- Oscar... -
- Parla André, raccontami... -
Insisti, sospirando prima di parlare.
- E va bene... -
D'accordo Oscar, adesso saprai davvero tutto di me. Tutto...
Ma ricorderai e saprai molto anche di te stessa... 
Di qualcosa che io non sono più riuscito a scordare... e forse neanche tu.
~
Palazzo Jarjayes. Vigilia di Natale 1767
Dupuis non perse tempo.
Le labbra mi tremavano e per un attimo ebbi davvero paura.
Abbassai lo sguardo sulle trame e i fiori azzurrognoli dell'enorme tappeto pregiato sotto i miei piedi, poi sollevai le mani dalla parte del dorso. 
- Voltale. Voglio i palmi! -
Un respiro profondo, che sapeva di pino, di legna, di umiliazione... 
Ma anche di qualcos'altro, a cui non riuscivo a dare ancora nome.
Chiusi gli occhi. 
Un colpo, netto, poi un altro e un altro ancora. Ad ogni mano.
Non urlai e non mi lamentai. Ero un osso duro, avrei resistito, mordendomi le labbra, bagnate da qualche stupida lacrima.
Riaprii gli occhi quando ebbe concluso la punizione. Il suo sorrisetto sadico mi si affacciò per primo.
Mi voltai rapidamente e senza pensare corsi fuori, passando per la porta piccola, accanto alla libreria con i testi di studio.
Non volevo che tu mi vedessi in quel modo, allora iniziai ad affondare nella neve ormai alta, fino a raggiungere la fontana ghiacciata, illuminata soltanto dalla luna. Era una serata limpida e ghiacciata, ma io ero scosso da brividi di rabbia, non di freddo. Avevo le calze incollate alle gambe, bagnate fino al ginocchio. Ma non m'importava, volevo sbollire la vergogna, l'umiliazione cocente e volevo, con tutte le mie forze, cercare di capire che cosa fosse quella strana morsa dolce che aveva afferrato le mie viscere dal momento in cui ti cadde quel diadema dalla finestra, intuendo che ci sarebbe stata una punizione per uno di noi due. 
Non capivo perché, con i palmi delle mani segnati di rosso, così brucianti e doloranti, io riuscissi solo a pensare alla tua risata, alle tue ciglia lunghe, al tuo immenso coraggio.
Sentii improvvisamente dilatarmi il petto e, fermo in mezzo a tutta quella neve, sotto una luna bianca e lustra, capii...
Capii di amarti, Oscar...
Liberai il mio amore per te... 
Era leggero e arioso come una minuta farfalla dorata che le mani di un bambino liberano schiudendosi all'improvviso. 
Capii che l'avevo fatto non solo per proteggerti, perché eri l'unica mia famiglia.
L'avevo fatto per amore. 
E già sapevo che sarebbe stato così per il resto della mia vita e che l'amore per te sarebbe stato naturale come respirare.
Piangevo lacrime gelate, mentre sentivo ardermi tutto, corpo, testa e mani. 
Poi arrivasti tu, senza fare il minimo rumore, come sempre agile e felina nel muoverti, anche sulla neve.
- Non hai freddo? -
Mi chiedesti, la voce strozzata. 
- No... sto bene! -
Cercai di nascondere le mani, come un ladro, quando eri stata tu invece a rubare il mio giovane cuore.
- Dammi le mani André! -
Accompagnasti quella richiesta accorata con un sospiro. 
- Lasciami stare Oscar, vattene! Voglio restare solo! -
L'orgoglio ferito parlava al mio posto. Ero solo un ragazzo e non avevo nessuna intenzione di lasciar trapelare anche solo un minimo, pallido bagliore di tutta quella luce che illuminava in quel momento la mia anima. 
Ma tu eri già dannatamente testarda e acciuffasti le mie mani, da dietro la mia schiena.
- Ahi! -
Mi sfuggì un lamento.
- Scusa... fammi dare un'occhiata... -
La tua voce si fece dolce e piccola nella notte. 
Mi lasciai guidare dalle tue attenzioni e ti mostrai i palmi delle mani, un po' sanguinanti.
- Gli combinerò un guaio che... che non scorderà più André! Te lo garantisco!! Lo giuro! Lo giuro!!! -
Eri furibonda con Dupuis e gli occhi ti si imperlarono di diamanti azzurri, che scesero a cascata sulle tue guance, bagnate come le mie.
- Non importa Oscar... -
Dissi piano, mentre tu ti mordevi il labbro e prendevi svelta una manciata di neve da mettere sulle ferite.
- Così si... si rinfrescheranno... -
Parlavi con piccoli bisbigli, mentre ti prendevi cura di me. 
- Va già molto meglio... ora torna dentro o saranno guai con mia nonna se ti ammalerai! Io vengo tra poco... -
Ti dissi mentre un calore dolcissimo iniziava ad intorpidirmi, nonostante ci fosse la neve tra le nostre mani. 
Nessuna risposta da parte tua.
Ti avvicinasti al mio viso e dopo aver chiuso gli occhi mi lasciasti un piccolo, tenerissimo bacio sulle labbra. Lieve quanto un fiocco di neve o la carezza della luna.
Sentii chiaramente, per qualche istante, la morbidezza delle tue labbra sulle mie, e poi scappasti veloce verso l'oscurità che avvolgeva il Palazzo. 
I miei occhi ti seguirono finché poterono, poi sparisti come un sogno, come una cometa, come quel diadema...
L'avevo fatto per te, per sempre.
~•~•~

Buon Natale!!
Un abbraccio a chi legge! 
A presto, col prossimo capitolo...
Cecile

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Capitolo 3
*** Polvere di diamanti ***




Capitolo 3

~ Polvere di diamanti ~


Parigi. Notte di Natale 1788
Il mio sospiro rompe il silenzio ovattato in cui ci troviamo da un lasso di tempo indefinito.
Lo sguardo segue le linee del legno scuro del pavimento, su cui si muove instancabile il bagliore ramato del fuoco che arde di fronte a noi.
Cerco i contorni della finestra ampia, rimasta scoperta dalle tende pesanti e polverose, e fisso il mio sguardo sui piccoli puntini bianchi che si accendono nel cielo scuro della notte quando un furtivo raggio di luna li trova.
Rimango ancorato con lo sguardo sul lieve luccicare dei piccoli fiocchi di neve che lentamente frenano la loro discesa su Parigi, che dorme sotto un mantello soffice d'argento. 
Ho finito il mio racconto, Oscar... ed ora mi sento tremendamente fragile....
e vuoto anche...
Ti ho aperto ancora il mio cuore, completamente questa volta, e tu non parli, non ti muovi e forse non respiri.
Saprò essere forte adesso, Oscar?
Saprò esserlo abbastanza per sentirti aprire quella porta vecchia e cigolante e salutarmi con freddezza?
No, non lo sarò affatto...
Dunque, lo farò io per primo...
Per difendermi, perché non posso reggere più il tuo silenzio. 
Levo con solerzia la coperta dalle mie gambe, voglio andare alla finestra, augurarti nuovamente un buon Natale e salutarti per la notte. 
- Non nevica più... -
Le tue parole, così semplici, e la tua voce, così piccola, soave e appena udibile, mi frenano e mi strappano dalle mie intenzioni.
Mi volto piano a guardarti, il fuoco è vigoroso e riesco a infilare lo sguardo tra i diamanti che brillano nei tuoi occhi, fissi sulla finestra alle mie spalle. 
- Vero? -
Mi chiedi sottovoce, guardandomi direttamente adesso, regalandomi un cielo azzurro così puro, liquido e cangiante come il ghiaccio nelle sfumature più fredde dell'inverno. 
Forse le mie labbra si muovono un poco, cercano di irrompere sul mio viso in un sorriso beato, perché la tua bellezza mi rapisce ogni volta e sottrae la mia ragione a quello che rimane di me stesso.
Ghiaccio, lucido, rapido fulgore.
Può il ghiaccio riscaldare più del fuoco?
Oh... si che può... 
si che può...
Il ghiaccio può scottare, bruciare, divorare, adesso che mi guardi in quel modo, ne ho la certezza.
- In realtà la neve adesso è... è talmente fine che sembra... sembra non esserci... -
Trascino le parole, la voce un po' roca. Le tue spalle si alzano di più ad ogni respiro e il tuo sguardo mi ha intrappolato. 
Sei bella Oscar... sempre di più...
È inutile provare a fuggire, l'ho imparato da tempo, eppure stavolta, ho paura di poter sbagliare ancora e di perderti per sempre...
Perché mi guardi così? 
Perché?
- Ma in realtà c'è... -
Aggiungi seria con un filo di voce, mentre resti immobile, con le ginocchia al petto e il volto dalla pelle cangiante come un fiore che guarda in faccia il sole calare. 
Annuisco mentre continuo a sentirmi troppo, troppo schiavo del mio amore per non soccombere al suo volere. 
- Si chiama... polvere di diamanti... la neve fine e impalpabile... è.... l'unica cosa che ricordo mi abbia insegnato mia madre... -
Le braccia poggiate alle ginocchia, un sorriso incerto come il mio respiro accompagna le mie parole. 
- Ora è meglio... che torni in camera tua... -
Mi alzo mentre parlo, lasciando cadere a terra il lembo di coperta bianca che mi copriva, avvertendo subito un brivido freddo lungo la schiena.
Tu non rispondi e torni a guardare silenziosamente il fuoco. 
Non mostri di volerti muovere da quel vecchio tappeto a fiori.
Mi passo la mano tra i capelli e con un sospiro mi avvicino alla finestra. 
La camicia e il gilet non mi scaldano abbastanza ma rimango a guardare la polvere di diamanti, che cade davvero fine e brilla di luce nuova e sottile nell'oscurità della notte...
Di una notte senza nuvole, che promette abbacinanti raggi di sole l'indomani, che scioglieranno gran parte della neve, liberando e risvegliando tutto ciò che riposava e un po' vegliava, come sotto ad una calda coperta di lana...
- Ti è rimasta una piccola cicatrice, se non ricordo male... -
Mi volto di scatto, ti sei alzata anche tu e sei alle mie spalle adesso. 
Non guardi me, cerchi le mie mani, per prenderle nelle tue, che sento tremare pur essendo bollenti. 
E anche le tue labbra tremano, come la tua voce, che è vortice di vento d'estate.
La luce del fuoco alle tue spalle regala un alone vermiglio al profilo del tuo corpo.
Sono così piccole le tue mani, eppure guidano le mie e schiudendole piano e con cura, con le dita bianche e sottili, ne diventano padrone assolute. Padrone della mia pelle, estasiata dal tocco leggero della donna che amo più della mia vita. 
Ho paura Oscar... 
Adesso ho davvero paura. 
Eppure ti assecondo...
- Piccola... sulla mano sinistra... -
Bisbiglio mentre ti sorrido, ma ho la gola stretta e gli occhi lucidi per la troppa emozione, per la troppa solitudine, per il troppo amore...
In quali luoghi ti ho persa? Forse negli stessi in cui ti sto ritrovando...
Lasci la mia mano destra e inizi ad accarezzare il palmo della sinistra, per esplorarla. 
Sono soltanto tocchi lievi dei tuoi pollici, alla ricerca di un segno antico come il mio cuore, piccolo come i nostri respiri, ravvicinati. 
Soltanto delicati sospiri di pelle, eppure mi stai uccidendo...
- Oscar... è meglio che tu... che... -
Vorrei dirti di lasciarmi, di non continuare a torturarmi così, ma tu non ne hai nessuna intenzione e prosegui con le tue carezze, con il viso nascosto dai capelli, un po' arruffati dal freddo e dal vento. 
- Eccola qui... -
Dici sottovoce, respirando profondamente prima di portarti la mia mano alle labbra, facendomi sussultare quando lasci un piccolo bacio. 
Un bacio... 
- Non hai paura... di queste mani? -
La mia voce trema.
Scuoti la testa e chiudi gli occhi.
- Non ne ho mai avuta... -
Rispondi con la voce un po' arrochita, ma ferma.
Le mie dita sfuggono alla tua mano, che cade senza forza, come le tue difese, e si infilano fra i tuoi capelli, nella loro morbidezza calda e avvolgente.
E mi perdo subito e mi sento strano in questo vagabondare dolce e sempre più insinuante. 
Ora me lo concedi, ora non è più proibito...
Liberi un piccolo sospiro mentre i tuoi occhi meravigliosi si riempiono di lacrime, stringendo il mio cuore in una morsa inevitabile. 
- Oh... ti ho reso triste con questo racconto, vero? -
Il tuo viso già racchiuso tra le mie mani e il mio tenero sussurro. 
- No... André... no... -
È prorompente la tua voce, seppur rotta dall'emozione, mentre ti tiro finalmente a me e ti stringo al petto per non farti fuggire, per non farti svanire più... 
mai più...
Ti aggrappi con tutta la tua forza alle mie spalle, lo sento e lo vedo, perché mi spingi a ridosso della finestra.
Non posso, non riesco a credere che questo momento sia ritornato... con tutta l'intensità che un uomo e una donna adulti possono donarsi. 
- ... ti amo così tanto... -
Ti dichiaro ancora, pianissimo, il mio amore infinito, cullandoti come se fossi ancora una bambina. 
Una bambina semplice e radiosa con un nome da uomo e un destino sontuoso da soldato. 
Sospiri forte tra le lacrime. 
- Mi ami ancora?... nonostante sia stata... tanto lontana da te... pensando ad un altro uomo? -
- Certo... non è cambiato niente da allora Oscar... niente! -
Sussurro senza indugio tra i tuoi lunghi capelli, inspirando fino a stordirmi il profumo della tua pelle.
Le tue mani lasciano le mie spalle e cercano il mio viso, bagnandosi di lacrime lucide sulle mie guance. 
Poi mi guardi, con gli occhi incendiati di sentimento. 
- ... non mi hai reso triste col tuo racconto.... mi hai reso libera... libera André! -
Sposti con delicatezza i capelli che celano il mio occhio sinistro, poi ti fermi a guardarmi ancora e forse cerchi quel ragazzino dalle guance avvampate, per l'emozione di aver scoperto un sentimento più forte della sua volontà. 
Il mio respiro si perde tra le tue dita sottili, che percorrono il mio viso con frenesia. 
E il panico inizia a circolarmi nel sangue, come un veleno insidioso. È la paura di essere in un sogno o forse... di essere già morto... e questo... questo è l'inferno.
Povero uomo, morto e tormentato per l'eternità dal suo desiderio più grande... 
Ma no... 
no... 
i tuoi respiri arrivano davvero a scaldarmi il volto e i tuoi occhi piangono reali lacrime amare, che raccolgono la luce della luna, che di fronte a te si fa imponente nel cielo ormai sereno. 
Le tue piccole mani cercano impetuose il mio petto, stringendo in pugni ardenti la stoffa della mia camicia. Le chiudo come due gioielli in uno scrigno, tra le mie.
- Libera... Oscar? -
Ho paura di comprendere da solo, chiedo a te di spiegarmi... 
e le tue labbra sono già schiuse, per potermi regalare la felicità più grande.
- Ti amo André... ti amo... -
Gemi con la voce spezzata. 
L'emozione mi paralizza, ti sorrido, non riesco a fare altro...
- Oscar... -
Un nome soltanto, sempre... soffocato ora quasi da un'emozione troppo grande. 
Poi, la voglia di amarti prende il sopravvento e ti stringo la vita sottile con le braccia, per sentirti addosso... addosso a me... senza aspettare più un solo battito. 
Allacci le braccia attorno al mio collo, con una passione che sento esplodere in te.
- Oh... André!! -
Prendo il tuo viso tra le mani, ancora. 
- Ti aspettavo... -
Soffio con un sorriso sulle tue labbra. Poi entrambi chiudiamo gli occhi e ci perdiamo nel buio. 
Un buio che non fa paura, perché illuminato da fiamme dorate che si alzano come braccia, lanciate verso il cielo, arrivando a toccarlo, lasciandovi segni celesti come diamanti, portandone un po' sulle nostre teste in una cascata lenta e meravigliosa.
Un bacio dolcissimo, appena schiuse le nostre bocche, succhiando il nettare più prelibato che possa esistere per due assetati d'amore come noi. 
Un bacio umido e profondo, perché spingo in te, esigente, mentre tu mi accogli, per imitare i miei passi ardenti. 
Un bacio tra piccoli gemiti, quando ci assaporiamo finalmente, lasciando danzare la passione tra noi, avvinti e caldi come avide lingue di fuoco.
Un bacio tra nomi che si chiamano, increduli, perché troppo inaspettata è questa felicità, sopraggiunta all'improvviso, come la bufera bianca e implacabile, lasciandoci indifesi e commossi a pronunciare parole nuove, che nascono soltanto stanotte, insieme a noi...
- Il mio André... -
Sussurri tra le mie braccia, dopo non so più quanto tempo, disegnando i contorni della mia bocca con la tua, con un sorriso che odora di libertà, di scoperta, di amore...
- Si... lo sono... -
Ti rispondo insieme ad un piccolo bacio schioccante, su labbra arrossate e rese turgide dalle mie, troppo impetuose.
- Il mio André.... il mio André... -
Ripeti all'infinito, come se non fossero parole a te estranee, come se le avessi soltanto tenute chiuse tra il cuore e il respiro, pronta a farle vibrare libere nella tua voce, con la sola forza dei battiti del tuo cuore. 
Sposto la tua frangia con una carezza, lasciando un bacio delicato sulla tua fronte e ti sorrido ancora, al culmine della felicità. 
- Amore... -
Dico piano mentre le mie mani spostano le loro attenzioni alle ciocche più lunghe dei tuoi capelli, scostandole oltre le spalle, per scoprire il collo. 
Non sono sazio, Oscar, e ora che sei mia, la tua pelle è un richiamo troppo forte per un uomo come me. Un uomo che ama alla follia ogni cosa che ti riguarda, fino alla morte.
Il mio sguardo si fa dolce, come la mia mano, che con due dita sfiora la tua guancia, più fresca adesso, prima di scendere là dove la pelle si assottiglia e diventa seta. 
Scende sul collo e sull'incavo della tua gola. 
Piano. 
Piano Oscar... non ho fretta... 
Voglio farmi divorare dal desiderio, placandolo solo con un piacere lento.
Ho inclinato il capo a sinistra, mente guardo la mia mano scorrere libera sulla tua pelle, evanescente come la luce delle stelle. Il tuo petto si alza mentre respiri e il tuo seno arriva a sfiorare il mio polso. 
Dio... cosa darei per amarti subito su quel letto ghiacciato... nuda e mia. Voglio questo Oscar, da perderci ancora la ragione, ma ti amo e ho dannatamente paura di violare la tua innocenza... 
Ti cerco con lo sguardo, acceso di luce incredibile stanotte.... e vedo una donna innamorata, che non ha paura... e ritrovo me stesso in lei, insieme alla sicurezza di poterla avere.
Un altro bacio, più intenso e profondo degli altri ti fa gemere dentro di me. Lascio le tue labbra e cerco con la lingua il calore e il sapore del tuo collo, mentre con uno strattone sfilo dai tuoi pantaloni la seta bianca della tua camicia. 
Sussulti quando lo faccio.
Mi fermo e lascio la tua pelle per guardarti.
Hai gli occhi strizzati e ansimi per l'emozione. Ho paura di correre troppo ma riapri gli occhi e il tuo sguardo, insieme alle tue mani, tradiscono il tuo desiderio. 
Occhi voraci e allungati e mani impudiche che cercano il mio petto e corrono al fazzoletto bianco che gira attorno al mio collo quasi fosse un cappio da cui salvarmi. 
Ti lascio fare, trasportato da un groviglio di emozioni che accelera i battiti impazziti del mio cuore. 
Sleghi il nodo che avevo sistemato con cura stamattina e fai scivolare via il fazzoletto dal mio collo, sorridendomi dopo averlo fatto. 
Prendo le tue mani per baciarle e riportarle alla mia camicia, che sbottoni in fretta lasciandola scivolare via dalle mie spalle, dopo il gilet, fermandoti a guardarmi con il respiro mozzato.
Non hai mai visto un uomo, lo so... 
Sono eccitato Oscar, e adesso ho fretta. Fretta e ansia di amarti come sogno da una vita. 
Sfioro leggero i tuoi polsi, sorridendo un poco nervosamente mentre lo faccio. 
Permettimi di correre da te... da solo non posso, te l'ho promesso...
- Spogliami... -
Mi sussurri sulle labbra, senza indugio, senza imbarazzo, intuendo il mio. 
Le nostre bocche si strofinano, bagnate e un po' socchiuse, mentre inizio a sbottonare la tua camicia. Poi la tua lingua stuzzica la mia. Sorrido e ti mordo piano le labbra. Ridi, gettandoti tra le mie braccia. 
- Ti amo... -
Bisbiglio al tuo orecchio. 
- Anch'io André... -
Parliamo tremando perché i brividi ci percuotono, fa troppo freddo adesso e ritorniamo svelti davanti al fuoco, a cui aggiungo quasi tutta la legna rimasta. 
Torni a sederti davanti al camino, ai piedi del letto, su un tappeto rossastro dai bordi logori e sfrangiati. 
Mi siedo al tuo fianco e trovo le tue braccia già protese verso di me. Nel nostro abbraccio cadiamo sul tappeto, l'uno sopra all'altra e ci baciamo ancora, senza riuscire a smettere, senza badare più alle paure, agli errori del passato, ai nostri infiniti strazi. 
Adesso siamo solo amore... soltanto amore. 
Finisco di scoprirti, mentre tieni gli occhi chiusi e lasci scivolare le dita lungo i muscoli delle mie braccia. 
Il tuo seno rotondo e appuntito rabbrividisce nello scoprirsi e sotto le mie carezze. 
Lo percorro lentamente, tutto, con la punta delle dita e le labbra, dopo avervi appoggiato piano il viso. 
- Sei una donna splendida... Oscar... splendida... -
Ti dico estasiato, con la voce bassa, sentendomi dissolvere da un calore improvviso per tutto il corpo.
Sento i miei capelli accarezzarti, scivolando sull'incavo del seno e poi le tue dita tremare tra loro, per raccoglierli.
Le mie mani si chiudono attorno ai tuoi seni, fino ai capezzoli, che stringo poi tra le labbra, per cercare la tua essenza più nascosta, insieme ai tuoi sospiri, una melodia ripetuta, che cresce con l'intensità della tua eccitazione.
- André... -
Cerchi i miei baci e premi il tuo seno contro il mio petto, mentre iniziamo a cercarci, a nutrirci di un attesa che però cresce, fino a divampare.
- Vuoi davvero... Oscar? -
Ansimo sul tuo collo, mentre divarichi le gambe sotto di me e mostri senza vergogna il tuo desiderio. 
Ma non posso fare a meno di chiedertelo, tu vieni prima di tutto... prima ancora di questa sconvolgente voglia di te che sta finendo di accecarmi. 
- Si... -
Rispondi con gli occhi lucidi e risplendenti di verità, in una nuvola dorata di riccioli rovesciati a terra, sotto di me. Ti accarezzo le labbra rosse, poi la guancia caldissima e la fronte, libera dai capelli. Sei bellissima, toccata dalla luce delle fiamme così vicine.
- ... non voglio essere più nient'altro... se non la tua donna André... -
Gli occhi azzurri così languidi e la voce così intensa quando lo dici. 
- La mia... donna.... -
Ripeto come in preda ad un delirio o ad una febbre rovente, prima di sorriderti e capire il significato di queste parole, che sono le ultime che riusciamo a pronunciare senza il tormento di un piacere costante che vuole portarci insieme all'oblio.
Trascino verso il basso e sfilo i miei pantaloni e i tuoi, scoprendo così completamente i nostri corpi.
Mi guardi, forse un ultimo soffio di pudore vela il tuo sguardo, avvolto però dal mio, che non ti lascia mai, pieno di amore. 
- Adesso... -
Sussurri infine la tua richiesta e poi chiudi gli occhi, inarcando la schiena quando inizio ad accarezzarti, per ascoltare e conoscere quelle pieghe morbide che si bagnano di rosolio al tocco delle mie dita.
- Ti amo... ti amo... -
Te lo ripeto con tenerezza e passione insieme, mentre ti cerco io stesso, prendendo i tuoi fianchi e allargando un po' le tue gambe, lunghe e agili.
Sei bellissima... bellissima...
Entro in te con dolce lentezza, schiudendo piano quelle pieghe delicate come petali, come se cercassi il centro di una rosa scarlatta.
Dio... vorrei bruciare in fretta... come un ceppo divorato da labbra di fuoco.
Ma attendo, ti accarezzo, ti parlo, ti guardo, ti amo... 
ti amo da impazzire... 
finché i tuoi gemiti diminuiscono e ti sento più rilassata.
Allora chiudo tra le mani i tuoi polsi, li porto sopra la tua testa e inizio a scivolare in te più in fretta e più profondamente, liberando la passione che tenevo a freno. 
- Ti amo André... -
La tua voce si fa più acuta e i tuoi movimenti più sicuri e profondi. 
Tengo i tuoi polsi con una mano sola, per lasciare l'altra libera di prendere la tua gamba e ancorarla al mio fianco, per danzare insieme, cullarci ed amarci fino a liberare un piacere che non può non essere devastante... 
un ardore che diventa sfrontato anche se inesperto...
un amore sublime...
e ora che sei finalmente mia... completo e travolgente...
~
Il calore dei nostri corpi, nudi e annodati, ha riscaldato anche il letto, dove restiamo abbracciati, sotto un cumulo di coperte, febbricitanti per la felicità che ci ha travolto così inaspettatamente.
- Buon Natale... -
Sussurri sulla mia guancia, nella penombra, con un sorriso radioso a colorare le tue parole, 
- Buon compleanno! -
Rispondo come ad ogni notte di Natale, da una vita. 
Ridiamo piano, insieme, come se avessimo da sempre vissuto l'uno tra le braccia dell'altra. 
Come se poche ore d'amore fossero riuscite a cancellare ogni traccia di dolore, solitudine, differenza tra noi due. 
- Grazie... -
Solletichi il mio collo con il tuo respiro.
Ti rispondo con un bacio a fior di pelle sulla fronte, stringendoti di più al mio petto. 
- Stai bene? -
Ti chiedo accarezzando una ciocca chiara e riccioluta, facendola emergere dalle coperte con le dita, che si divertono a lisciarla con lentezza. 
Voglio la conferma che tu sia davvero felice o forse che tu sia davvero mia, con tutto quello che comporta questa scelta.
Annuisci, piegando ancora di più le gambe tra le mie, cercando il mio ventre per una carezza che risale piena fino al mio petto. 
- Sto bene... André... tu... -
Interrompi le tue parole. 
- Tu? -
Ti chiedo continuando a giocare coi tuoi capelli, portandoli verso la luce del fuoco per vedere l'oro riflettere il bronzo.
Ti sento sorridere e ti giuro che vorrei che questo momento fosse interminabile...
Lo sento, Oscar... 
Lo sento che sei felice...
- Tu sei il mio uomo... e io ti seguirò qualsiasi cosa tu voglia fare... -
Lascio la tua ciocca ricadere con leggerezza sulla coperta e cerco i tuoi occhi, di cui intravedo la luminosità, un pulviscolo di stelle in una donna dalla pelle di luna.
La mia donna...
- Decideremo insieme, amore mio... -
Un bacio e torni tra le mie braccia. 
- Ti amo André... avrei dovuto... capirlo prima... -
Sospiri dopo aver parlato con una punta di rimpianto nella voce. 
- Oscar io... l'ho sempre saputo... da quel bacio... io ho sempre saputo che una parte di te... mi amava teneramente... -
Sorrido, la naturalezza di ciò che dico sorprende anche me. 
- André... io voglio vivere con te... voglio vivere con te... -
La tua voce, che arriva impetuosa al mio petto, con le tue lacrime trasparenti, mi commuove e mi riempie di calore e tenerezza inimmaginabile.
Ci addormentiamo, stanchi e pieni di noi...
I cuori gonfi di gioia, consapevoli che la notte si rischiarerà, come le nostre vite... 
Pur sapendo, fin troppo bene, che l'indomani ci attende ammantato di ghiaccio, con le spine di agrifoglio nascoste nella neve.
~•~•~

Siamo quasi giunti al termine della storia. L'epilogo arriverà prima dell'Epifania... (Almeno credo...qualcuno vorrebbe che continuassi ancora un pochino... fatemi sapere cosa ne pensate!)
Con questo capitolo vi auguro che l'anno nuovo realizzi ogni vostro sogno e desiderio più profondo.
Buon 2016!!
Un abbraccio
Cecile

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Capitolo 4
*** Specchio di ghiaccio ***




Capitolo 4

~ Specchio di ghiaccio ~


Parigi. 25 Dicembre 1788

Un sorriso lieve, si trattiene a stento sulle tue labbra, per divampare invece negli occhi, scintillanti come riflessi di sole in un corso d'acqua trasparente.
Mi guardi soltanto, ma è come se mi abbracciassi con tutto il tuo peso.
E mi devasta... il piccolo movimento della tua mano, che timida raggiunge con la punta delle dita la mia, poggiata sul tavolo di legno vecchio.
Mi devasta la tua mano... perché non si frena, anche se diamo nell'occhio, perché indossando la tua divisa per il mondo intero sei ancora un uomo. 
Le mie dita rispondono alle tue e le sfiorano, facendoti sospirare.
Fingo... fingo che sia facile averti così vicina e non poterti guardare come se fossi una vallata di montagna leggiadra e variopinta o un chiaro di luna sospeso tra l'acqua del mare e una duna di sabbia bianca. 
Sei assurdamente bella questa mattina... 
E sei diversa...
Sorrido senza riuscire a trattenermi.
Sei stata mia Oscar... ecco cosa vedo in te oggi... il riflesso di me stesso, dentro di te. L'ombra del mio amore sui contorni della tua anima. L'odore caldo di quelle coperte, confuse con i nostri corpi, avvinti tra di loro. 
Ti amo... mi hai detto tra i capelli, strappando un sussurro al silenzio delle scale di questa locanda, prima di venirci a sedere ad un tavolo qualunque per bere qualcosa di caldo in previsione del viaggio di ritorno verso casa. 
Mando giù un sorso di tè bollente e torno a guardarti, avvicinandomi di più al tuo viso. 
Al diavolo tutti...
- Sei l'amore della mia vita... -
Te lo dico sottovoce ad un orecchio, fingendo di guardare la finestra alle tue spalle. 
Ti schiarisci la voce, avvampi in volto quel poco che basta per farmi capire... e poi sorridi, mentre guardi la tazza di tè fumante che tieni tra le mani.
- Buon Natale!! Ah ah ah!! -
Il locandiere, col suo lieto augurio, ci riporta alla realtà della locanda e del gaio vociare degli avventori capitati qui a causa della bufera di neve della notte scorsa. 
- Buon Natale a voi! -
Mi alzo mentre parlo, allacciandomi bene il mantello marrone. 
- Ve ne andate dunque... Beh, fate bene ad approfittare... secondo me tornerà un'altra bufera domani... questo sole pallido non mi convince per niente! -
Mi dice l'uomo corpulento, grattandosi il mento, dopo essersi avvicinato alla finestra. 
- Vi ringrazio per tutto... Ancora buon Natale! -
Parli con eleganza mentre sistemi sulle spalle il tuo mantello grigio e il cappuccio sulla testa, nascondendovi all'interno le lunghe ciocche ricciolute.
- A voi! Addio! -
Ci saluta mentre apriamo la piccola porta di legno che dà sul cortile interno della locanda, dove si trovano le stalle.
Silenziosa, mi segui mentre cerco tra gli animali il mio cavallo, il vecchio Léon, accarezzandogli il muso umido e la criniera scura arruffata non appena lo trovo. Mi accerto che stia bene prima di sistemargli i finimenti e portarlo con noi.
- Possiamo andare! - 
Ti dico sorridendo, cercando il tuo sguardo, soffocando a stento la voglia di prenderti tra le braccia e sollevarti in aria, per vederti ridere spensierata.
- Aspetta... -
Nella tua voce risuona l'emozione e un po' di premura, mentre prendi la mia mano nella tua e freni improvvisamente i miei passi fuori dal riparo delle stalle. 
Il mio cuore inizia a battere determinato, come un martello assordante, quando lenta ti avvicini di più al mio respiro, abbassi il cappuccio del mantello, chiudi gli occhi e lasci che il vento accompagni i tuoi movimenti, cercando le mie labbra...
Un bacio dolcissimo, così lieve, come un soffio... eppure è corpo, è reale, come il piccolo tremore delle mie mani sulle tue spalle. 
È amore ciò che sveli sulle mie labbra ed è amore ciò che dipingo io sul tuo viso, con il respiro a cercare fino all'ultimo lembo di pelle sottile che il freddo ti concede di regalarmi. 
- André... -
Cerchi il mio abbraccio con impeto, facendo oscillare il fodero della spada allacciata alla vita e lasciando tintinnare le medaglie appuntate con cura sulla tua elegante uniforme. 
Sono gesti nuovi tra noi e non c'è nulla che potrei desiderare di più. 
Nulla...
- Oscar... sei... sei sicura? -
Sollevi il volto dal mio petto. Vuoi guardarmi bene. Sai che alludo a quello che abbiamo deciso di fare e vuoi mostrarmi tutta la tua determinazione. 
- Niente può farmi cambiare idea... niente! -
I tuoi occhi sono vivi di luce nuova. 
Accarezzo la tua guancia e annuisco, tra la felicità e la paura.... 
Perché questo provo Oscar.
Sono dannatamente felice ma ho ancora paura che sia soltanto un bel sogno, un etereo, meraviglioso e fragile sogno. Perché tu sei sempre stata questo per me.
Ma ora sei corpo e respiro caldo tra le mie braccia...
- Oscar... -
Sussurro tra il vento e le mie dita, che lasciano il posto alle mie labbra, di nuovo. 
Sono solo un uomo del popolo, un semplice soldato, un attendente fino a poco tempo fa... 
Eppure tu vuoi me... vuoi me...
- Ce la faremo... ne sono certo amore mio... -
Rispondo con la voce bassa, cercando di trattenere la commozione che vorrebbe serrarmi la gola. 
- Si... si André! -
Parli senza guardarmi, con la fronte poggiata al mio petto, mentre i tuoi pugni raccolgono agitati la stoffa del mio mantello.
- Andiamo adesso... -
Ti invito dolcemente, baciando il tuo capo biondo.
- ... il cammino sarà lento e se arriveremo dopo il tramonto il gelo ci piomberà addosso... -
Aggiungo prendendo il tuo viso tra le mani, cercando risolutezza e trovando solo turbamento.
- E una volta a casa... staremo ancora soli... -
Spezzo il mio respiro e le mie parole, dense di passione, di voglia inesauribile di te.
Sgrani gli occhi, solamente un istante, prima di sorridermi e schiudere le labbra in un sospiro che rabbrividisce di attesa. 
Poi guardi Léon.
- Andiamo a riprendere Cèsar... -
Dici pacata ma senza indugiare su altri pensieri, mentre inizi ad infilarti i guanti bianchi di velluto alle lunghe mani intirizzite. 
I nostri passi sono lenti e scivolosi sulla neve mischiata alla terra dopo il passaggio delle carrozze, dei cavalli e delle persone lungo le strade e i vicoli di Parigi. 
Il riparo che hai trovato per César è abbastanza vicino e troviamo il tuo cavallo senza difficoltà e per fortuna in buone condizioni.
Per le campagne la neve è ancora alta e i cavalli incedono ad un trotto faticoso ma costante. Ci fermiamo spesso per farli riposare e per scambiarci un bacio, che non è mai uno soltanto, ed è anche ansimo tra le stoffe dei mantelli, carezze furtive, parole d'amore che si inseguono... Cercando di non farci notare dai passanti, per non rovinare tutto, perché basterebbe anche solo una minima disattenzione e tutto ci sarebbe precluso, da subito. 
Arriviamo a Palazzo Jarjayes prima del crepuscolo, tra i raggi di sole più bassi, che tagliano il paesaggio bianco e fermo. Neve di luce azzurra che ricopre i campi silenziosi e oro che brucia tra i suoi cristalli mentre li scioglie dormienti.
La grande cancellata del viale, coperta da una verdissima edera, è spalancata e sul viale si delineano i segni riconoscibili del passaggio di una carrozza. Di certo i tuoi genitori si sono recati al pranzo di Natale alla reggia di Versailles. Nonostante tutto, i nobili continuano a sperperare e a godere di fasti inimmaginabili e inutili.
Mi volto per guardarti, mentre prosegui al passo, dietro di me. 
Annuisci, intuendo i miei pensieri. 
Sappiamo cosa dobbiamo fare... non sarà semplice, ma tenteremo.
Arriviamo finalmente a casa, intirizziti dal freddo, sempre più acuto, che non ha smesso un istante di pungere i nostri volti e le nostre gambe stanche.
Eppure, nonostante il gelo, la scoperta del nostro amore ci regala continue sferzate di calore, di brama e ansia di continuare a gustare la felicità tanto attesa...
- Io mi domando... dove vi siete ficcati per tutto questo tempo?? -
La mia nonnina richiama vigorosamente la nostra attenzione non appena mettiamo piede nella cucina, la stanza più calda della casa. Le mani sui fianchi, uno scialletto di lana rosa sulle spalle piccole, due occhietti indagatori e accesi come piccole stelle vicine.
Ti metti a ridere insieme a me, mossi forse dal desiderio di mostrare almeno a lei i nostri veri sentimenti... 
- Cosa c'è da ridere?? -
- Buon Natale nonnina!! -
Le dico con un sorriso a riempire ogni parola, abbassandomi su di lei per darle un bacio sulla fronte. 
Una manata in testa mi fa scoppiare in una sonora risata. 
- Nonna!! Ah ah ah!! -
- Altro che buon Natale André!! Eravamo in ansia, ma cosa avete combinato? -
Tu ti avvicini radiosa nella tua divisa blu splendente, che non sembra più essere nemmeno un'uniforme militare... Sei talmente donna Oscar... nella tua eleganza e nella dolcezza della tua voce, da confondere anche mia nonna. 
- Non è stata colpa nostra... la bufera di neve ci ha bloccato a Parigi e così abbiamo passato la notte ad una locanda... Per restare al caldo... Non siamo riusciti a raggiungere la caserma... -
Dici la verità, semplicemente, soavemente... e devo sforzarmi ancora una volta di non pensare al tuo profilo dritto e perfetto, ai tuoi occhi così azzurri stasera, riverberati dalla luce morbida delle candele, al tuo sorriso vibrante di emozione...
Ma non solo io mi accorgo che le tue guance hanno cambiato colore mentre parli, perché nonna Marie addolcisce improvvisamente l'espressione del suo viso, velato però di perplessità, e cerca il mio sguardo, prima ancora del tuo, da dietro gli occhialini. 
- Ma ora siamo qui... e ho una fame da lupo! -
Esclamo io, mentre lei si schiarisce la voce.
- Ma certo... certo... cambiatevi prima quegli abiti bagnati! -
Dice prendendo il tuo mantello, guardandoti con tenerezza.
Tu mi sorridi, vorresti forse accorciare la distanza tra noi, ma abbiamo deciso che metteremo al corrente soltanto una persona del nostro amore. 
E questa persona non è nonna Marie.
- Nanny... mia madre è rientrata da Versailles, non è vero? Desidero farle gli auguri... -
Ti fai risoluta, concentrata, pur mantenendo lo sguardo penetrante fisso su di me. 
- Si cara... è nella sala grande, accanto all'albero di Natale. Oh... avrà perso le speranze di fare gli auguri a sua figlia! E anche tuo padre!! -
- Dove si trova in questo momento mio padre? -
- Nelle sue stanze... -
- Bene... andrò dopo da lui... -
Mia nonna ti anticipa lungo il corridoio e questo ci consente di scambiarci almeno qualche parola.
- Vengo con te da lei... -
- No André... lascia che le parli io... -
Sorridi con dolcezza mentre lo dici, desideri parlarle da sola, almeno una volta da donna a donna mi hai detto alla locanda, quando abbiamo entrambi convenuto che tua madre fosse l'unica in grado di poterci aiutare a fuggire. 
- D'accordo... amore mio... -
Socchiudi gli occhi mentre ardono, a queste parole.
Parole proibite per un servo... da sempre.... ma adesso non ne potrei più fare a meno. 
- Oscar!! Arrivi? -
Mia nonna ti reclama.
- Vai pure... io... -
Il mio sguardo vaga tra i tuoi capelli, i contorni del tuo viso, il movimento ritmico del tuo petto, che si muove dettato da un respiro pieno e consapevole. 
- Aspettami in camera tua... amore... -
Sussurri appena l'ultima parola sulla mia guancia, prima di voltarti e lanciarti in lunghe falcate verso le scale. 
~
Sono passate almeno quattro ore dal nostro rientro a Palazzo. 
Nel frattempo mi sono cambiato gli abiti, lavandomi prima con dell'acqua calda e sapone, immergendomi nella vasca fino a quando il calore non è penetrato completamente fin dentro le mie membra.
Ho cenato poi allegramente, nella sala da pranzo della servitù, con mia nonna, che voleva esimermi dall'aiutare a servire a tavola nella sala grande, dove tu stavi cenando con i tuoi genitori e con due delle tue sorelle, venute a Palazzo con i loro mariti per le festività.
Io invece ho insistito, perché sono pazzo di te, Oscar... perché volevo ritrovare, anche solo fugacemente o distrattamente il tuo sguardo nel mio, e il riflesso del ricordo di noi due, nel battito del tuo cuore... malgrado la presenza di altri nobili che non capirebbero mai e poi mai... e non permetterebbero in nessun modo la nostra unione. 
Primo tra tutti tuo padre, che mi ha sorriso come si fa ad un membro della famiglia, nonostante io non lo sarò mai, dato che non ho potuto sedermi al tuo fianco per festeggiare il Natale... 
La sala era illuminata come una giornata estiva. Sull'albero di Natale era state sistemate alcune piccole candele accese e un violinista accompagnava la serata con la sua musica struggente. 
Ho servito solo il vino... quello rosso come rubino, come piace a te. 
Ho servito te per ultima, per avere più tempo per guardarti, per osservarti tormentare una fetta di dolce, senza peraltro assaggiarla... e quando l'ho fatto ti sei morsa il labbro e mi hai ringraziato con un filo di voce roca. 
- Prego... -
Ti ho risposto piano, con i riccioli neri a solleticarmi la fronte e un sorriso appena accennato. 
Ho osservato anche tua madre, nessun cambiamento in lei, nonostante la scoperta della nostra volontà di fuggire insieme. Sempre pacata, sempre dolce, sempre lei.
Poi mi sono avviato verso le porte, spalancate a diffondere per la casa l'odore pungente del pino e la musica di Mozart, e per ogni passo che avanzavo, sentivo addosso il tuo sguardo, come una tormentata carezza di seta.
Mentre tutti ciarlavano e ridevano, noi portavamo il peso dei minuti e delle ore che ci dividevano, come fossero ponderose e dure catene da trascinare.
~
E adesso sono qui, nella mia stanza vuota, e ti sto aspettando Oscar...
Un libro aperto inutilmente, la mia vista è stanca, lo lascio sulla sedia di fronte al camino. 
Il fuoco scalda l'ambiente, mentre la notte diventa morsa di gelo trasparente e immobilizzante. 
Mi accosto alla parete, a braccia conserte e occhi chiusi... mi chiedo quale sarà il nostro destino... consapevole di essere pronto a tutto per te... 
per te... per sempre...
Poi, il piccolo rumore che spero di udire da ore, attira la mia attenzione. La maniglia di ottone che si muove e la mia porta che si apre, attenta e silenziosa, fino a far comparire il volto della donna che amo...
Mi stacco dalla parete, il mio cuore si scuote. 
Ti vedo entrare e chiudere in fretta la porta a chiave. E poi, nemmeno il tempo di scorgere il tuo bel sorriso aperto che sei già nelle mie braccia, con un balzo, senza parlare. 
Senza dire assolutamente nulla, sei ancora mia. 
Le tue mani tra i miei capelli, gli occhi chiusi e le labbra a bagnarsi, danzando sui miei baci, ormai avidi, disperati, sfrontati.
- Ti amo... Oscar... -
Non esiste più confine tra noi. Ora lo sento bene. 
- Ti aspettavo... -
Continuo a parlare, mentre tu sembri non riuscire a saziarti mai di me. 
Indossi una fasciante camicia bianca, smerlettata sui polsini e sul fiocco annodato sul petto. 
- Sei bellissima... -
Dico prendendo il tuo viso tra le mani, per perdermi una volta di più nella perfezione che ferisce. 
- Sembrava non finire mai la serata.. -
Ti lamenti mentre in realtà sorridi.
- Ho parlato con mia madre.. -
Sorrido anch'io.
- Cosa... cos'ha detto? -
- Che ci vuole vedere felici e che ci aiuterà a fuggire... domani! -
Le nostre mani aggrappate alle braccia dell'altro, al centro della stanza. 
- Domani?-
Ti chiedo, incredulo.
- Dopo il tramonto André... ci farà trovare una carrozza a Bois de Vincennes, vicino al lago di Saint Mandé. -
- Bene! E la neve... rallenterebbe chiunque decidesse di mettersi sulle nostre tracce, qualora si accorgessero della nostra assenza in caserma... -
Dico pensando al comando militare e a quando si accorgeranno che il comandante Jarjayes e il soldato Grandier sono spariti nel nulla. 
- Dobbiamo raccogliere tutto quello che abbiamo... denaro, armi e avere coraggio... -
Ti guardo e con un sorriso accarezzo la tua guancia.
- Non ne abbiamo mai fatto difetto, credo... -
Dico ridendo, trovando buffa e adorabile la tua espressione seria e determinata. 
- In effetti no, non direi... -
Abbassi lo sguardo e un sorriso un po' imbarazzato, fino a cercare il calore e la dolcezza del mio abbraccio. Vorrei dirti che tutto ciò che desidero è renderti felice, ma non me ne dai il tempo, vuoi subito i miei baci, le mie carezze, vuoi arrivare ancora a sfiorare la pazzia, insieme me.
Ci leviamo le scarpe e le calze, poi ci infiliamo nel mio letto, sotto le coperte pesanti, dopo aver riposto il candelabro sul mio comodino. 
Ridiamo, un po' complici, perché il letto è troppo piccolo per due persone alte come noi. Poi rimaniamo abbracciati, immobili, in silenzio. Lo scoppiettare del fuoco nel camino e l'abbaiare di cani in lontananza sono gli unici suoni a percorrere la stanza, oltre a quello dei nostri respiri, sempre più corti e ravvicinati. Sempre più caldi e irregolari. 
- Sai cosa ho detto a mia madre? -
Mi chiedi sottovoce, mentre la tua mano cerca la pelle del mio collo, fino alla spalla, infilandosi delicatamente sotto la camicia.
- Cosa? -
Prendo un bel respiro prima di parlare, perché le tue carezze sono un preludio a qualcosa di così agognato che non posso non godere della sua stessa attesa. 
- Soltanto... che ho trovato la felicità completa... che sei tu... -
Le mie braccia ti stringono ancora di più, in un movimento istintivo.
- Le è bastato sentire questo per abbracciarmi in lacrime e acconsentire ad aiutarci... in segreto... -
Parli quasi come una bambina, senza filtri nelle parole, senza impostazioni nella voce. Sembri tornata ad essere quella ragazzina di dodici anni che inconsapevolmente lasciò sulle mie labbra il marchio di un amore più grande del nostro stesso destino. 
- Siamo fortunati Oscar... e... Dio solo sa quanto desidero vederti felice... Lo sarai... lo sarai davvero con me? Potrai accontentarti di una vita molto più semplice di questa? -
Non posso tenermi dentro questo dubbio. Non ora. 
Sollevi la testa per guardarmi bene. I riccioli biondi ti scivolano su una spalla e si spostano leggeri dalla fronte, liberando completamente il tuo volto, dorato dalla luce debole della candela. 
La tua espressione è seria, quasi disperata.
- André... io... sono stanca... stanca della vita vissuta lontana di te... E se per averti come mio uomo dovrò fuggire e rinunciare a tutto... lo farò... per te lo farò! -
La tua voce si infrange, come il vetro che poi va in pezzi.
Raccolgo le tue lacrime sottili e ti imploro di non piangere più. 
- Ti amo... -
Aggiungi sulle mie labbra, lasciandomi completamente senza fiato. La volontà, la forza che solo uniti sappiamo di poter avere, conquistano definitivamente il nostro animo. 
Amarci, strappare un po' di felicità a una vita tormentata... finalmente questo è l'unico scopo che muove le nostre decisioni. 
Restiamo abbracciati a sentire il fondersi dei pensieri, delle volontà, dei sogni... 
Poi torna il tormento del desiderio, dei corpi così vicini, così frementi. 
Distesi l'uno accanto all'altra accarezziamo pelle e brividi, spostiamo ciocche di riccioli e stoffa, scopriamo carne e desiderio.
Mi baci, mentre le mie dita scivolano ansiose sulle punte erte dei tuoi seni, sfiorandole a lungo, prima di scendere sul tuo ventre. Riprendi fiato, graffiando l'aria, quando si insinuano in te e iniziano a cercare i tuoi gemiti. 
- Sei stupenda... -
Ansimo sulla tua spalla scoperta, che mi regala il tuo sapore. 
- Sono così morbide le tue labbra... -
Mi rispondi, con gli occhi chiusi, facendomi sorridere, mentre un piacere affilato inizia a dominare la tua voce.
Anche le tue carezze si fanno spudorate e generose, come le mie. Sono carezze complete, che liberano i miei gemiti, per un piacere profondo, che solo tu puoi donarmi. 
E sfioriamo ancora la pazzia...
Mi sollevo, sposto le coperte e ti sfilo le culottes con un piccolo strattone. 
Mia... ancora Oscar... ancora mia...
- André... -
Mi chiami sussultando e mi aspetti, con le braccia rovesciate sul cuscino e il chiarore delle tue cosce schiuse sotto il mio sguardo febbrile.
Un invito a raggiungerti. Un invito esplicito, a cui non posso non rispondere con ardore e devozione.
Le mie mani raggiungono le tue.
- Ti amo da impazzire... -
Scivolo in te con naturalezza, sussurrandoti queste parole sulle labbra, rincorrendo il tuo calore sciolto, come le dita sui tasti di un pianoforte, a ripetere fino allo stremo una melodia, per inciderla nei sensi, perché troppo bella, troppo perfetta, troppo amata...
~
Palazzo Jarjayes. 26 Dicembre 1788
Abbiamo passato la mattinata con nonna Marie e poi con tua madre, che mi ha trattato come sempre, con gentilezza, amorevole nella voce, quasi avesse intuito lei per prima l'importanza del sentimento che ci lega da anni.
Le abbiamo lasciato due lettere, una scritta da te, da consegnare più avanti a tuo padre, e l'altra scritta da me, per nonna Marie.
- Ho preso tutto André, possiamo andare! -
Mi parli all'orecchio, poggiando la mano sulla mia spalla. Sei arrivata in camera mia scivolando svelta per i corridoi. Indossi abiti pesanti, stivali neri e una piccola borsa rossa a tracolla, sotto il mantello grigio. 
- Anch'io sono pronto... Andiamo! -
Ti rispondo conciso, dopo un bacio sulla fronte.
Passiamo dalla finestra, la mia camera è al primo piano e la neve attutisce di molto il colpo della caduta.
Montiamo a cavallo e ci dirigiamo più in fretta che possiamo a Bois de Vincennes.
La donna soldato e il suo uomo, in fuga... 
Per potersi amare... 
Per la libertà...
Dopo qualche ora raggiungiamo il posto indicato da tua madre, vicino al lago di Saint Mandé, completamente ghiacciato. 
Troviamo ad attenderci una carrozza senza stemma, il cui conducente si svela togliendosi il cappuccio del mantello nero.
- Sono incaricato di portarvi dove sapete... Partiremo subito, rischiamo di trovare parecchia neve sulla strada... -
- Certo... e grazie! -
Lo aiuto ad agganciare i nostri cavalli insieme agli due, mentre tu ti avvicini alla riva del lago. Ti raggiungo, camminando cauto sulla neve.
- Ghiacciato è davvero meraviglioso... -
Ti sussurro sul collo, prendendoti la vita con una mano.
- Si, bellissimo! Guarda... ci possiamo quasi specchiare... Sembriamo... sembriamo degli angeli André... -
Dici teneramente, sporgendoti un poco, cercando la nostra immagine traslucida e ricoperta di cristalli bianchi. 
Annuisco, lasciandoti un bacio sulla guancia fresca. 
- Ora andiamo... -
Dico prendendoti per mano.
- Si... -
Rispondi guardando la carrozza quasi pronta. 
All'improvviso, la cinghia della tua borsa si spezza, forse perché troppo pesante, e cade slittando di qualche passo sull'acqua ghiacciata del lago. 
- Oh!! No!! -
Esclami, senza riuscire a riacciuffarla in tempo.
- Lasciala Oscar! È troppo pericoloso! -
Dico trattenendoti per un braccio. 
- No... André... non posso lasciarla lì, ci servirà ciò che contiene... Ci servirà! -
Tu sembri così dispiaciuta...
- Aspetta, provo con un ramo... -
Mi volto, alle mie spalle ne vedo uno abbastanza lungo e pesante.
- L'ho presa!! -
Mi volto di scatto. 
- Cosa hai fatto? Oscar!! Vieni via dalla lastra di ghiaccio!! -
Getti la borsa, sorridendo, iniziando a scivolare per ritornare verso il ciglio del lago, dove il ghiaccio diventa neve.
- Arrivo... Non venire André! Sei più pesante, si romperebbe... -
Allungo il ramo nella tua direzione. 
- Cerca di afferrarlo Oscar!! Sei dannatamente testarda... -
- Prendi prima la borsa! -
Ridi un po', sempre temeraria.
Faccio come mi chiedi, sbuffando, con un'ansia tremenda addosso. La borsa è vicina, mi chino, facendo sfrigolare la neve sotto gli stivali e le ginocchia.
- I cavalli sono pronti! -
Il conducente mi distrae, richiamando la mia attenzione. 
Un crepitio improvviso... 
Sgrano gli occhi, correndo poi d'istinto verso la riva. 
- OSCAR!!! -
Solo il silenzio dell'acqua come risposta al mio grido...
Lo specchio ha risucchiato un angelo... 
Il più bello...
Il più perfetto...
Il più amato...
~•~•~

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Capitolo 5
*** L'Ange ***




Capitolo 5


~ L'Ange ~


Parigi. 26 Dicembre 1788

Madido suono nelle orecchie... madida carezza, gelida e trapuntata di spilli, tanti e fitti... sembra vogliano perforare le mie mani, i polsi, le braccia immerse nel buco d'acqua, come le mie grida, le lacrime, le suppliche...
Ti supplico di aggrapparti, di stringere la mia mano...
Sono qui.... sono qui e non ti lascio Oscar... non ti lascio morire...
Afferra la mia mano... afferra la mano dell'uomo che ti ama... resisti...
Un ultimo urlo vorrebbe fuoriuscire dalla mia gola, ma rimane intrappolato sotto le crepe appuntite che corrono sotto le mie gambe.
Ed è ancora madido suono, ancora madido suono... e occhi voraci e braccia che provano, disperate, ad riafferrare la vita. 
- Senza questo non se ne parla di tirarla fuori!! E muovetevi da lì! Finirete dentro anche voi!! -
L'uomo della carrozza mi lancia il ramo che avevo lasciato sulla neve. Lo faccio scivolare rapidamente fino alle tue braccia, che si sono aggrappate al bordo spaccato della lastra, dopo che sono riuscito a tirarti per la stoffa del mantello. Ma il peso della spada ti sta inesorabilmente portando di nuovo verso il fondo.
- Oscar! Afferralo!!! Afferra il ramo!! -
Grido in preda alla disperazione.
Un ultimo sforzo... 
Coraggio... 
Un ultimo sforzo...
Annaspi nell'acqua, contrai i lineamenti del viso per il freddo e per la fatica... 
Poi ti vedo stringere i denti mentre le tue piccole mani trovano in modo di arrivare al pezzo di legno per tutta la lunghezza delle braccia.
- Tenetelo voi!! -
Urlo al vetturino, rimasto disteso sulla riva, esterrefatto per un istante. 
Io mi metto in piedi sul ghiaccio, sotto il crepitio graffiato che corre sotto i miei stivali. Sto aspettando l'attimo propizio, in cui il tuo busto emerge lentamente dal buco, per poi balzarti addosso e con tutta la forza che possiedo tirarti fuori dall'acqua e tuffarmi con te sulla riva, ansimando nella neve, un attimo prima che il ghiaccio finisca di spaccarsi e l'acqua gelata ci accarezzi ingorda le caviglie. 
Il tuo volto preme contro il mio petto, le mie mani sono strette attorno a te, tra le pieghe fradicie dei tuoi vestiti.
I respiri concitati, serrati, come i battiti in corsa dei nostri cuori spaventati e meravigliati. 
- Stai... stai bene... Oscar? -
Ti chiedo col respiro alto nel petto.
Muovi appena la testa, poggiata al mio braccio. 
- S... scusa... -
Batti i denti, sei congelata e la sera sta coprendo il cielo col suo cupo mantello. 
- Oscar... devo portarti al caldo... -
Mi sollevo dalla neve e cerco l'uomo della carrozza per ringraziarlo. 
Sbuffa e impreca per lo spavento. 
- Per la miseria... è andata bene! -
Si avvicina e mi aiuta a sollevarti, per portarti di corsa nell'abitacolo caldo della carrozza. 
- La... la.... borsa.... -
Prima di salire getti lo sguardo sulla borsa rossa, rimasta sulla neve, ai piedi di un tronco di quercia. 
- Eccola... saliamo adesso, fa troppo freddo!! -
Ti dico deciso, dopo aver preso la tua tracolla ed averla messa tra le spalle. 
- Partiamo immediatamente per Le Havre... vi prego! -
Dico pressante al conducente. 
- Monsieur... le indicazioni della Contessa sono di portarvi il più velocemente possibile a Brest! -
Dice lui alzando le spalle, prima di salire i tre scalini traballanti che lo portano sulla seduta di comando, dove impugna le redini, rimanendo in attesa. 
- Brest? Ma... -
- Si! André... volevo farti... una... una sor...presa... -
Dici ansimando, con le labbra violacee sul volto cereo e gli occhi ancora chiusi, cerchiati da ombre grigie e in parte coperti dalle ciocche di capelli appesantiti dall'acqua. 
- Va bene... va bene! Dico a voi... vi prego, partite! -
Esclamo stremato, preoccupato, mentre la carrozza inizia a muoversi, con fatica, barcollando nella neve, che frena in parte la sua corsa, fino a quando usciamo dal bosco e incontriamo la strada sterrata. Allora inizia a prendere velocità, anche se non come dovrebbe avere una carrozza con due disertori innamorati in fuga.
Così, scampato il pericolo, nel crepuscolo azzurrino, inizia il nostro viaggio disperato verso la voce che ora più che mai ci chiama in un unico grido possente di libertà. 
L'abitacolo della carrozza è piccolo, ma i sedili sono imbottiti e rivestiti di morbido velluto verde scuro. 
In pochissimo tempo ti levo gli stivali pieni d'acqua, il mantello, la spada, il gilet e la camicia fradici e gelati, con le mani che però tremano sulla tua pelle cerea e percorsa dai brividi. 
Ti chiudi il petto con le braccia, mentre respiri affannosamente e i capelli scendono pesanti sulle spalle rotonde e lisce come il raso di seta. 
- Ecco... metti questa... -
Ti infilo alla svelta una delle mie camicie, prese alla rinfusa dalla borsa che avevo già sistemato nella carrozza, sotto i sedili. 
Ti sta un po' grande ma almeno sei asciutta. Sorridi appena, stringendoti le spalle, guardandomi con un velo di imbarazzo che ti rende ancora più desiderabile. Maledettamente desiderabile. 
Rispondo al tuo sorriso e slego i lacci del mio mantello, mi levo il giustacuore marrone e il gilet per rimanere soltanto con la camicia, come te. 
- Vieni... -
Sussurro appena e ti guardo con un amore devastante mentre allargo le mie braccia. Cerco di tranquillizzarti, dicendoti che adesso è tutto passato e ti faccio sedere in braccio a me, rannicchiata sul mio petto, che diffonde il calore di cui hai bisogno. 
Ti copro le spalle col mio giustacuore marrone e ti stringo a me più forte che riesco...
Sono riuscito a vincere un destino beffardo, che voleva portarti via da me, proprio adesso che la nostra felicità è appena cominciata... Ma ancora prego Dio, con labbra silenziose, di risparmiarti la febbre o peggio... la polmonite. 
- Va meglio? -
Ti sussurro con dolcezza sulla fronte, mentre un sottile raggio di luna accarezza fredda i nostri profili accostati.
Annuisci con un piccolo cenno del capo.
- Sba... Sbagliava... -
- Chi? -
Ti chiedo piano, mentre distribuisco tanti piccoli baci sul tuo viso stanco e provato. 
- L'uomo...della... lo... locanda.... Étoile... nessuna bufera... oggi! -
Trovi anche la forza di scherzare e sorridi debolmente, aggrappata a me come un uccellino. Sorrido anch'io mentre ti scosto un ricciolo che ti scende lungo una guancia. 
- Già!! In fondo... siamo stati fortunati... -
- Ti amo... André... -
Irrompi tu come una bufera, impetuosa e travolgente, seppur tra i tremiti. 
- Anch'io... Oscar... anch'io.. Ma mi hai fatto morire di paura... Dovremmo fermarci per farti riposare e bere qualcosa di caldo... -
Scuoti il capo.
- Non ancora... le guardie reali... e i soldati della... della guardia... sono...sono appostati un po' ovunque... dobbiamo procedere! -
Sospiro, hai ragione.
- D'accordo... tu stai qui al caldo però... Stai qui amore... -
Ti stringo di più, mani e braccia a serrarti come un tesoro inestimabile.
- Si... -
Rispondi bisbigliando, piegando ancor più le ginocchia e iniziando a rilassare il respiro e i tratti del volto, fino ad addormentarti tra le mie braccia e le mie piccole carezze, leggere come la brezza del mare sui granelli di sabbia fine. 
Controllo ogni minuto il tuo respiro, il tuo battito, accertandomi che il tuo sonno sia tranquillo, non muovendo nemmeno un muscolo per non rischiare di svegliarti. 
Non riesco a rilassarmi, la paura inizia a chiedere il conto ai miei nervi. Il vetturino, inoltre, mi avvisa lesto ogniqualvolta ci troviamo all'ingresso di una cittadina, di un piccolo borgo o di un villaggio, e allora lo sento lanciare i cavalli ad un galoppo forsennato e mi risulta cristallino come tua madre abbia messo in evidenza, all'uomo che ci deve condurre a Brest, l'aspetto clandestino del nostro viaggio. 
Un viaggio a noi necessario, di vitale importanza, seppur lungo e periglioso, ne siamo consapevoli. 
Ma perché proprio Brest? 
Capisco l'importanza di una città portuale....ma eravamo d'accordo su Le Havre...
Sono molte le domande che ti devo porre. Ma ora, dormi così bene nel tuo fulgido candore, diventato porpora sotto la mia pelle premurosa. 
Provo a chiudere gli occhi per qualche minuto, sono stremato anche se la felicità di averti ancora viva tra le braccia fa traboccare il mio cuore. Inspiro l'aria vecchia della carrozza e bacio il tuo capo chino e abbandonato... ho paura di lasciarti cadere se mi addormento, dunque resterò sveglio e non mi lascerò andare al riposo. 
Dopo qualche ora, cercando l'equilibrio tra il dondolio costante e i sobbalzi della carrozza, sfioro il tuo viso con le nocche della mano, per accertarmi ancora che tu non abbia la febbre. 
- Siamo arrivati a Chartres! Sembra tranquillo.... Sostiamo! -
Il conducente frena improvvisamente la corsa dei cavalli, proprio davanti all'ingresso di una vecchia locanda. 
- Non ho mai visto tante locande come in questi soli due giorni! -
Dico a me stesso, sorridendo un po' prima di guardarti e chiamarti con dolcezza. 
- Oscar...te la senti di camminare? -
Mormori qualcosa, strizzando gli occhi e continuando a respirare profondamente. 
Non accenni a risvegliarti, quindi ti rinfilo gli stivali e il mantello alla meno peggio, prendo le nostre borse e ti porto in braccio fino all'ingresso della locanda, una piccola costruzione in pietra grigia, di cui spiccano le imposte azzurre, un colore vivido nel paesaggio innevato, persino di notte. 
Il nostro fidato conducente parla al locandiere, dice che siamo una coppia di sposi in viaggio. Io aggiungo che tu sei malata e che prima di affrontare un lungo viaggio hai bisogno del tepore del fuoco e di una minestra bollente. 
L'uomo acconsente a lasciarci la stanza più calda della casa e ci indica le scale. Mi avvio solerte e un po' guardingo, non siamo ancora abbastanza lontani da Parigi. 
La camera stavolta è grande e già molto calda, un bel fuoco sfavilla al centro di un camino di pietra e ci accoglie con la sua calda carezza improvvisa.
Inizio a sentirmi più sollevato quando ti vedo finalmente sdraiata su un comodo letto, sotto coperte avvolgenti nel loro alito di calore. 
Mi siedo al tuo fianco, sul bordo del letto, ti osservo dormire come non ho potuto mai fare, e penso a quale incredibile miracolo abbia portato i nostri cuori a trovarsi, in questo modo così travolgente e inaspettato. Sono ancora senza fiato per tutto ciò che abbiamo vissuto nelle ultime ore, subito dopo il nostro incontro a casa di Bernard. 
Il mio sguardo si intenerisce guardando le tue gote vermiglie spiccare sulla pelle bianca, incupita solo da piccoli segni grigi attorno agli occhi. 
Ti copro bene, fin sopra le spalle, anche se sembri stare meglio, pur nella spossatezza che copre con mestizia il tuo solito bagliore. 
Sei sempre incredibilmente bella... anche così vulnerabile... 
Dio, sembri... una dea o un angelo....
Le tue ciocche dorate ondeggiano sul tuo petto e sulle sommità del seno, leggere come il tuo respiro, che sento uscire lieve dalle tue labbra rosee e un po' schiuse. Labbra talmente belle da sembrare fiori bagnati di cristallo al mattino. 
- Sembri un angelo... -
Lo dico in un sospiro, forse lo penso solamente, mentre scendo su di te e ti rubo un piccolo bacio di seta. 
Ispiri profondamente, muovi appena le mani e la testa, e poi ti desti del tutto, sbattendo le lunghe ciglia nere prima di regalarmi l'azzurro denso delle tue iridi. 
- Scusami... non volevo svegliarti... -
Dico sentendomi un po' colpevole, mentre sorrido, ancora sulle tue labbra lucide e troppo invitanti. 
- Non importa... -
Mi sorridi con dolcezza e fissi lo sguardo nel mio, spezzato ma terribilmente pieno di te.
- Stai meglio? -
Ti chiedo perdendomi in tutti i particolari del tuo viso. 
- Molto meglio... e tu... stai bene? -
La tua voce è flebile, ma non per la debolezza. E sento già come un dolce tormento le tue dita giocare con i miei capelli. 
- Bene... -
Rispondo infine, vicino alle tue labbra, mentre i tuoi occhi si incendiano e le tue mani si fermano. 
Mi sdraio al tuo fianco, senza slegare i nostri occhi, e rimango poggiato con un gomito sul cuscino e la mano sulla guancia. Mi guardi senza parlare e io ti sorrido, libero di mostrare il mio incanto. 
Ciocche scure celano la mia cicatrice, le sposti delicatamente con le dita lunghe e sottili come fili d'erba.
- Sono belli come smeraldi... i tuoi occhi André... -
Socchiudi gli occhi mentre lo dici, la voce vibra di tenerezza. Mi strappi un sorriso mentre un brivido scivola lungo la mia schiena. Ogni ombra sembra improvvisamente svanita, per l'arrivo di un sole alto e fiero. 
Accarezzo il tuo viso e con l'indice solletico la tua bocca, facendoti ridere, cercando un momento di leggerezza tra noi. 
- Andiamo davvero fino in fondo, Oscar? -
Solo un bisbigliare roco, eppure ti emozioni, alzi di più il petto respirando e inumidisci le labbra. 
- Si... certo! -
Rispondi senza indugio, posando la tua mano sulla mia. 
- Ancora non riesco a crederci... -
La verità dalle mie labbra tremanti.
- Anch'io... -
Forse adesso, i tuoi occhi ricordano più l'acqua dei torrenti irruenti, chiari e puri, che discendono liberi e cristallini da montagne alte e inarrivabili. 
Ti bacio quasi senza respirare, di nuovo, con il cuore in gola e ricambiato completamente, con la stessa intensità, con la stessa passione devastante. 
E dimentico...
Tutte le domande che ti devo fare, il motivo per cui siamo di nuovo in un letto qualunque, di una locanda qualunque, lontani da obblighi, doveri, ordini, dal tintinnio delle spade e l'odore della polvere da sparo... 
Lontani da tutto ciò che non sa di noi e che non ci vuole vedere insieme. 
E per qualche istante... l'amore e il dolore... il coraggio e la paura... il sole e la luna... tutto... 
tutto ha senso di vivere solo per questo bacio preteso con forza dalle nostre anime. 
- Non posso vivere senza di te Oscar... -
Fremo sul tuo viso, strizzando gli occhi per imprimere ogni brivido nella memoria. 
Le tue mani prendono il mio viso. Tienimi adesso... non farmi cadere...
- André guardami... una volta lontani... io vorrei diventare.... diventare... -
Prende quasi voce il mio desiderio più grande... 
Dillo Oscar... io non oso ancora...
- Vorrei... -
Due colpi alla porta interrompono le tue parole. 
Ci voltiamo entrambi, mi metto a sedere sul bordo del letto, mentre le tue mani scivolano via piano dalle mie guance. 
- Chi è? -
Chiedo alzando di poco il tono della voce. Non aspettiamo nessuno e il conducente della carrozza ci ha detto che intende dormire qualche ora, fa troppo freddo per portare una carrozza in corsa. 
Non risponde nessuno, eppure i colpi alla porta continuano. 
Ci guardiamo. 
- Dov'è la pistola? -
Mi sussurri all'orecchio dopo che ti sei sollevata dal cuscino. 
Mi alzo svelto dal letto e vado al piccolo secrétaire sotto la finestra, dove ho riposto la mia borsa e il candelabro con due candele smezzate. 
Estraggo dalla borsa una pistola rossa con piccole volute dorate sul manico. La stessa che mi hai dato a palazzo Jarjayes prima di fuggire. 
Ti rimetti in piedi, spostando le coperte dalle lunghe gambe. Sei un po' barcollante ma ferma nella volontà, come sempre. Prendi con abilità la pistola dalle mie mani, controlli i proiettili e ti metti con le spalle addossate alla parete, accanto alla porta. 
Mi fai cenno di aprire, tenendo l'arma sollevata verso l'alto, accanto al tuo viso, e il dito sul grilletto, pronto a non esitare. 
Abbasso la maniglia opaca, guardandoti negli occhi, con il respiro greve e i pensieri concentrati. 
Apro la porta, lentamente...
Un uomo di statura piuttosto bassa attende risposta, indossa una mantellina scura e ha una piccola valigia di cuoio in mano.
- Desiderate qualcosa da me? -
Parlo con lentezza.
L'espressione del suo viso è stanca e seriosa, ma bonaria. Non sembra affatto pericoloso. 
- Scusate... non odo bene!! -
Mi porto una mano al collo, inizio a capire di essermi preoccupato inutilmente. 
- Dicevo... avete bisogno di qualcosa?? -
Urlo quasi, mentre ti sento abbassare la guardia e forse ridere un po'. 
- Ah ecco... Si! Sono il dottor Millet! Mi hanno detto che qui c'è una donna malata! -
Dice con enfasi, iniziando a sciogliere i lacci della mantella. 
- Siete gentile... Entrate... entrate pure! -
Lo lascio entrare e voltandomi a cercarti ti ritrovo già seduta a letto, sotto le coperte, di cui stendi le pieghe con le mani bianche stese sulla lana un po' raggrinzita. 
- Oscar, questo è... il dottor Millet! -
Ti dico accompagnandomi con un cenno della mano, sorridendo, mentre tu mi guardi scuotendo la testa.
Ti faccio segno di non protestare.
- Vi ringrazio dottore ma io sto bene, davvero! Non credo di avere la febbre! -
Dici con assoluta eleganza e pacatezza. Un po' troppa perché ti senta, dato che è debole d'orecchio. 
Il dottore infatti si avvicina in fretta al letto per guardarti le pupille, la lingua e per sentirti i battiti dal polso. 
- Siete pallida! Ma sembrate sana!! -
Quasi ti strilla in faccia. 
- Oh... bene!! -
Rispondi ad alta voce anche tu stavolta, aggrottando la fronte. 
- Ma tenete questa medicina!! In caso di febbre alta!! Fa freddo potreste peggiorare... -
Mi porge una boccetta di vetro con del liquido rosso sciropposo al suo interno. 
- Grazie dottore!! -
Lo ringrazio con gentilezza e lo riaccompagno alla porta. 
- Addio!! E felice 1789!! -
- Che lo sia per tutti!! -
Rispondo sorridente.
- Lo sarà!! Per la Francia lo sarà!! Ricordate le mie parole!! -
Un piccolo inchino scoordinato ed esce dalla camera della locanda. 
Chiudo a chiave la porta, stavolta, e quando mi volto a cercare il tuo viso ci guardiamo seri per un istante, per poi scoppiare in una sonora risata. 
- Era proprio sordo poverino! -
Dici abbandonando la testa sul cuscino, facendomi incantare dal fragore della tua risata, così rara. 
- Già... e buffo davvero! -
Annuisco ridendo mentre guardo ancora la boccetta tra le mie mani, infilandola poi nella borsa. 
- Però ha ragione... questo sarà un anno importante per la Francia... Ne sono sicuro Oscar... -
Dico quasi senza pensare, un po' assorto mentre verso del vino rosso in due piccoli bicchieri, da una brocca di ceramica sbeccata. 
Li porto con me mentre torno a sedermi sul letto, di nuovo al tuo fianco. 
- Se verranno convocati gli stati generali... qualcosa cambierà senz'altro André! -
Prendi il bicchiere di vino, tastandone prima il profumo. 
- Si... sarà un importante passo in avanti ma non basterà temo... Adesso però raccontami Oscar, perché stiamo andando in Bretagna?E perché hai quasi rischiato la vita per quella borsa? Cosa contiene? -
Ti chiedo guardandoti buttare giù quasi tutto il vino, che vela il tuo respiro di aroma scuro. 
- Quale sorpresa volevi farmi? Avevamo deciso di andare in Inghilterra... -
Respiri profondamente prima di parlare. Il tuo sguardo brilla e il tuo corpo è caldo adesso, ti sei ripresa e ringrazio Dio nell'animo per questo. I tuoi riccioli si muovono leggeri e vaporosi, mentre ti muovi per farmi spazio sulle coperte. 
- Ora ti racconto tutto André... -
Dici lasciando il bicchiere sul comodino accanto alla testata del letto. 
Poi torni a guardarmi.
- Ieri mia madre mi ha confidato un segreto... un segreto che mi ha rivelato per salvarci.... amore... -
Ti commuovi quasi pronunciando queste parole.
- Un segreto? -
Chiedo piano, raccogliendo lentamente la tua mano come un fiore dalla neve. 
Annuisci sorridendomi.
- Si André! Volevo parlartene una volta saliti in carrozza. Ora... ti racconterò esattamente cosa mi ha detto mia madre... E anche io devo partire da un ricordo... il suo... -
~
Palazzo Jarjayes. Aprile 1760
Un tonfo nel silenzio umido della biblioteca. Il pugno di tuo padre sul ripiano della scrivania si incise nelle nostre orecchie come un tuono nel cielo. 
Era giovane e questo lo rendeva impulsivo, oltre che irremovibile, anche e soprattutto nelle decisioni. 
Avevi compiuto cinque anni e ormai il tuo destino sembrava segnato ineluttabilmente. 
Eppure, in quella stanza, a pregarlo per l'ennesima volta di ritornare sui suoi passi e di lasciarti crescere come la natura avrebbe voluto, c'era qualcun altro con me. 
- Ho detto no!! Ed ora basta! Non intendo cambiare idea... Oscar proseguirà con un'educazione maschile e militare, fino a diventare il degno erede del conte François Augustine Reynier de Jarjayes!! -
Tuonò davvero la sua voce in quel momento.
Lei non parlò subito, ma dopo aver udito i miei singhiozzi sommessi, mostrò di avere coraggio. Un coraggio che non potei più scordare. 
- Non sarò mai d'accordo con te fratello... stai dando un grosso dispiacere a Marguerite... me ne rammarico... E dato che ci sono... sappi che non intendo prendere come marito il vecchio marchese de Lambert! -
I suoi occhi si fecero tremendamente cupi a queste parole. 
- Léonie!! Oserai tanto? Questo è un affronto... Ho dato la mia parola!! -
- La dovrai ritrattare.... Sono stufa! Odio tutta questa ipocrisia!! -
- Smettila!! Non mi dai pace con le tue idee balzane!... mi fai vergognare! Tutti a Versailles lo sanno! -
- Meglio così! Non è più posto per me! -
Lui serrò le labbra, contrariato. 
- Mi viene voglia di farti rinchiudere in un convento! Si! per un anno.... così avrai modo di pensare a quello che stai facendo mia cara sorella! -
- Non sei il mio padrone! Me ne vado con le mie gambe! E pregherò Dio ogni giorno perché quella povera bambina possa liberarsi prima o poi di questo maledetto fardello! -
Lei strinse sulle spalle lo scialle di macramè color avorio, che copriva in parte in bustino del vestito verde acqua. 
- Léonie... lascia cara... -
Le dissi prendendo con rassegnazione la sua mano. Come tremava nell'impeto della verità...
Era buona mia cognata, orgogliosa ma tanto onesta e generosa. 
Era la seconda, dopo tuo padre, degli eredi della famiglia Jarjayes. 
Uno spirito libero, amante della letteratura, dell'arte e della filosofia. 
Non demorse.
- Hai mai pensato a cosa stai chiedendo di rinunziare a quella futura giovane donna? Perché parliamo di una donna François! La stai costringendo ad una vita senza gioie, senza amore, senza figli... A questo non hai pensato? -
Tuo padre cercò i colori del crepuscolo, avvicinandosi alla finestra e dandoci le spalle. Le mani strette tra loro, dietro la schiena eretta, dal bellissimo portamento fiero e oltremodo orgoglioso.
- Lascia subito il palazzo Léonie.... -
Sibilò, fermo come la roccia. 
Léonie guardò mesta le sue mani tremanti, velate di tulle, poi le incrociò, inspirò abbassandole e alzò il mento. 
- E sia... Perdonatemi se vi ho... recato dei dispiaceri... Addio per sempre! -
Si volse per salutarmi, gli occhi azzurri gonfi di lacrime e delusione.
- E lascia qui quel diadema... Non ti appartiene più, come niente di ciò che di prezioso possiedi! -
Aggiunse lui serafico e glaciale, senza distogliere lo sguardo dal tramonto ombroso. 
- No! François!! La lasci andare senza preziosi? -
Provai a farlo ragionare. L'aveva offeso, certo, ma restava una contessa. 
- Lo lascio volentieri a te Marguerite! Come tutto il resto. Tieni... apparteneva ad una cara amica... Sono contenta che l'abbia tu. E non temere per me... Addio cara... -
Si sfilò il diadema di smeraldi dai lunghi capelli biondi, acconciati con grazia, e con la voce strozzata si mise a correre verso la porta della biblioteca, facendola sbattere alla parete nell'aprirla. 
Uscì per sempre dalle nostre vite, rimaste più vuote dopo il suo allontanamento. 
- Léonie! No... cara Léonie!! -
Gemetti dal dispiacere mentre se ne andava... 
Tuo padre non lo ammise mai, ma quella rottura increspò il suo cuore, se sono certa. 
Tua zia mi lasciò una lettera sul cuscino quella sera. Diceva di non preoccuparmi per lei e che mi avrebbe fatto arrivare sue notizie con regolarità, di nascosto da tuo padre. 
Aggiunse che il diadema di smeraldi doveva appartenere a te, se mai tu fossi giunta liberamente alla decisione di vivere come una donna. 
Le sue lettere mi arrivarono annualmente, costantemente fino a quattro anni fa. Seppi che si sposò per amore, libera da obblighi di rango sociale e non ebbe figli. 
Ora, tu e André... la raggiungerete Oscar! 
In questo momento lei è l'unica possibilità di salvezza per voi. 
Tua zia Léonie Geraldine de Jarjayes... 
~
Oceano Atlantico. 11 Gennaio 1789
L'alba ha rischiarato il cielo, la notte è ormai lontana e il nostro viaggio quasi terminato. 
- Più ci penso e più mi sembra impossibile che stiamo andando da lei... Nemmeno sapevo che esistesse! -
Dico sospeso come in un sogno, ripensando al tuo inaspettato racconto, tenendo un braccio avvinto attorno alle tue spalle, mentre l'altra mano rimane salda sul parapetto del ponte.
- Dopo tutti questi anni André, speriamo sia ancora viva! Mia madre ha ricevuto la sua ultima lettera quattro anni fa... - 
Sospiri, ma ti vedo serena, siamo quasi giunti a destinazione e non abbiamo incontrato impedimenti di nessun genere. 
- Lo spero anch'io... -
Rispondo mentre alzo lo sguardo da sopra la tua testa, poggiata alla mia spalla, e ammiro rapito l'azione del vento sulle vele tese e bianche del veliero. 
Dopo pochi giorni dal nostro arrivo, abbiamo lasciato Brest, una piccola cittadina portuale sulla costa atlantica occidentale della Francia, dal clima ventoso e umido, dove la neve non attecchisce facilmente. 
Abbiamo salutato con gratitudine l'uomo che ci ha condotto puntualmente con la carrozza fino al porto, talmente grande che abbiamo faticato a trovare chi potesse darci indicazioni precise su un veliero per la nostra destinazione.
Abbiamo trovato due marinai che scaricavano delle casse da una barca malconcia.
- L'Ange! -
Hanno risposto alla nostra domanda, tra il sudore e l'affanno.
Ed ora siamo qui, ad attendere trepidanti di poter vedere le scogliere avvicinarsi. 
- Vedi qualcosa Oscar? -
Ti chiedo sporgendomi insieme a te, e ad altre poche persone, dal parapetto di legno, sfidando il freddo pungente e umido. Mi affido alla tua vista, migliore e più acuta della mia. 
- Non ancora André! C'è troppa nebbia! -
Dici col respiro marcato, che disegna nuvole bianche ad ogni tuo sbuffo. 
Poi giunge trepidante la tua mano sulla mia. 
- Forse... forse qualcosa André! -
Dici soffocando la voce.
Mi avvicino di più al tuo viso, rigato ora da lacrime pure di commozione. 
- Si... ora la vedo anch'io... -
Sussurro tra i tuoi capelli mossi dal vento forte, scosso io stesso da un'emozione profonda, tenendoti chiusa nel mio abbraccio sicuro. 
Lentamente, dopo una virata del veliero, davanti a noi si staglia vivido del verde intenso, che traspare dal fumo della nebbia, e poi... rocce scure e scoscese, pennellate da onde alte e meravigliose nel loro ripetuto impeto chiaro. 
L'angelo ci ha spinti piano, soffiando tra le nuvole e i gabbiani, per farci lambire un sogno di libertà su una terra sconosciuta. 
Una terra che ha i colori più belli... una terra dove l'azzurro del cielo diventa turchese tra la cenere delle nuvole e il verde dell'erba satura di pioggia ricorda gli smeraldi più rari. 
Un marinaio risponde urlando ad un altro richiamo.
- Davanti a noi Capitano!!L'Irlanda!! -
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Capitolo 6
*** Sortilegio ***




Capitolo 6


~ Sortilegio ~


Castello di Dunguaire, Irlanda. Vigilia di Natale 1790

Quando la mia mano si apre e tocca la pietra grigia della parete, la sensazione che ne deriva è penetrante e intensa. 
La lascio poggiata lì, godendo di quella frescura e di quel senso di pienezza sul palmo della mia mano, mentre scruto l'oscurità ferma della sera invernale diventare improvvisamente festosa.
- Sta nevicando... -
Le dico quasi assorto, forse mormorando, mentre guardo la finestra con le vetrate slanciate un po' appannate. Il grande camino di pietra è acceso da ore e la nostra stanza è abbastanza calda per poter distendere i pensieri e far riaffiorare i ricordi. Lei è seduta sul divano davanti al fuoco, che osserva serena, respirando con lentezza, lasciandosi baciare la pelle dal calore intenso delle fiamme. 
Mi risponde solo con un sorriso, che però mantiene addosso come uno dei tanti gioielli che porta con grazia, e che ne impreziosiscono i giovani tratti e la sinuosa figura, vestita di taffetà blu scuro e intenso come la notte che ha già spento questo giorno.
Lei capisce, lei sa a chi sto pensando...
Torno a guardare la neve cadere piano nella luce argentata, mentre un soffio di vento improvviso tra i cristalli li muove, come i petali bianchi dei roseti del castello, quando una folata di vento estivo li raccoglie bramoso, portandoli lontano...
Come quel giorno...
Lei si alza dal divano e sul tappeto morbido a fiori muove qualche passo verso di me. Il rumore delle scarpette sul legno vecchio del pavimento si fa sempre più vicino e tengo gli occhi socchiusi mentre ascolto il suo respiro farsi quasi parola alle mie spalle.
Poi... solo il fragore delle onde, il mio respiro, i battiti del mio cuore da sotto il velluto nero del gilet elegante. 
Lei capisce... sempre... e nel silenzio che ci avvolge, la mia mente ritrova quei giorni...
Nel silenzio i miei pensieri, rivolti a te, come ogni anno, ancora e per sempre amore mio. 
Perché tu sappia che mai potrei dimenticare...
~
Galway, Irlanda. 12 gennaio 1789 
Quel giorno l'Ange ci portò a Galway, dove attraccò sotto un sole opaco a filtrare tra nubi basse e rapide. I raggi deboli, quando riuscivano a raggiungere le vele della barca, le facevano sembrare davvero grandi ali bianche di un angelo, nel mezzo del frastuono scuro e agitato delle onde oceaniche. Il porto si stava animando di gente, qualche marinaio indaffarato a scaricare merci, pescatori in procinto di imbarcarsi per una perigliosa giornata di pesca, persino un cantastorie.
Le costruzioni a ridosso del molo erano basse e graziose, quasi tutte bianche, con i tetti ricoperti di paglia.
Eravamo molto stanchi, a causa del viaggio oltremodo scomodo, trascorso nella pancia agitata del veliero, condividendo la sottocoperta con poche altre persone, tutte francesi, tutte in cerca di un'unica cosa, la libertà, o semplicemente la sopravvivenza. Stringevi forte la mia mano mentre ti guardavi attorno e confondevi l'azzurro limpido dei tuoi occhi con quello del cielo dopo il passaggio delle nuvole. 
Il paesaggio, dai tratti e i dai colori incredibilmente contrastanti, era magnifico. Il verde della vegetazione pulsava nel nostro sguardo, mentre i nostri passi incedevano svelti sul terreno indurito dal freddo. Qua e là, sull'erba smeraldina e i cespugli, faceva capolino un mucchietto di neve non del tutto disciolta da quei raggi di sole sempre troppo deboli e delicati. Un paesaggio incantevole, poetico e violento allo stesso tempo. 
Ci fermammo in una piccola taverna a due passi dal porto, per mangiare qualcosa e avere notizie sulla zia Léonie. Chiedemmo alla gente del villaggio, con un inglese un po' trascinato, indicazioni riguardanti la nostra destinazione. Sapevamo che zia Léonie si era sposata con il barone di Dunguaire, sir Harry Templemore, e che risiedeva con il consorte nell'omonimo castello, a due passi da lì. Almeno fino a quattro anni prima... 
Attirammo l'attenzione di qualche pescatore e avventore abitudinario. Ma non riuscivamo a farci intendere bene.
"La France! La France!"
Conoscevano solo questa parola, che ripetevano tra loro, brindando con un boccale di ottima birra. 
"Oscar... Temo che dovremo iniziare le ricerche a modo nostro!"
Ti dissi prendendoti la mano, sul piccolo tavolo rotondo di legno di quercia, su cui avevano lasciato due boccali stracolmi di schiuma.
"Si amore. "
La tua voce e i tuoi occhi erano ardenti.
"Non guardarmi così... rischi che ti baci qui, davanti a tutti... "
Sussurrai sorridendo, tenendo le tue mani tra le mie. Ridemmo entrambi, come due ragazzini, persi occhi negli occhi, assaporando un'intensità diversa il gusto della vera felicità. 
La nostra felicità. L'unica possibile per noi...
E dopo tanti giorni, desideravo poterti stringere di nuovo a me e vedere abbandonarti in quei gesti e in quegli atteggiamenti nuovi, così femminili, che lasciavano sorpresi e inebriati entrambi. Volevo tornare a respirare il tuo profumo e perdermi liberamente nella morbidezza dei tuoi capelli e del tuo corpo. Sapevo che qui tutto avrebbe avuto un sapore diverso. Forse era quell'anelito di libertà, sempre tenuto a freno nel mio animo ma che adesso, finalmente, avrei potuto lasciar sbocciare in tutto il suo giovane e generoso ardore. Ero un uomo libero, non più un servo, con un padrone o un inferiore, senza diritti. 
"André... ora che siamo qui, che siamo lontani dalla Francia... "
Slacciasti il mantello con gesti nervosi e nel pallore del tuo candido viso, si intromise un lieve e dolcissimo rossore. Eri talmente bella in quel momento, da farmi quasi male.
"Cosa, Oscar? "
Accarezzai la tua mano, sfiorandola piano con il pollice, seppur sentendomi fremere dentro.
"André... "
Cercasti la mia attenzione, stringendo più forte le dita attorno alla mia mano.
"Si? " 
Chiesi io, inalando aria lentamente. Impossibile riuscire a frenare la nostra spontaneità, i nostri sorrisi e le nostre carezze.... eravamo troppo felici e sulle nostre labbra vicine, i respiri quasi bruciavano di sentimento e di ansia di vivere. Non sapevo esattamente cosa tu avessi urgenza di rivelarmi, ma in cuor mio desideravo soltanto una cosa... una cosa che avrei provveduto io stesso a chiederti, una volta trovata una sistemazione dignitosa per entrambi.
"Cercate Lady Templemore?"
Ci chiese una donna, interrompendoci. Ci accorgemmo di esserci avvicinati troppo per essere in un luogo pubblico, così cercammo di ritrovare un po' di contegno e ci allontanammo l'uno dall'altra, col volto in fiamme per l'imbarazzo. 
Era una donna in età avanzata e se ne stava seduta ad un tavolo poco lontano dal nostro, vestita in modo molto umile, con una treccia chiara decisamente spettinata, che spiccava da sotto un cappellino verde molto curioso, un po' cadente da un lato della testa.
"Oh, grazie a Dio una persona che conosce bene il francese!"
Esclamai io sorridendole, sinceramente lieto di aver trovato una persona del posto con cui poter conversare. 
"Sono stata in Francia tanti anni fa... e non l'ho più scordato!"
Rispose sgranando gli occhi, dopo aver addentato del pesce fritto avvolto nella carta unta.
"Perdonate... Sapete dirci se è ancora viva?"
Chiedesti tu con i tratti del viso tirati e gli occhi indagatori. Non amavi perderti in chiacchiere inutili. La donna scosse la testa e rispose mettendosi prima una mano alla bocca. 
"Non lo sapete?"
Ci chiese bisbigliando. Iniziammo a preoccuparci, anche se eravamo pronti a qualsiasi inaspettato risvolto a quel punto della nostra vita.
"Che cosa dovremmo sapere, Milady?"
Chiesi io con affanno ma anche con gentilezza, scrutando attentamente i suoi vispi occhi blu. 
"Oh! Milady? Nessuno mi chiama così da almeno due decenni!! Ah ah ah!!! "
Scoppiò in una fragorosa e contagiosa risata, a cui dovetti cedere, guardandoti avvampare per l'ansia invece di sapere. 
"Vi prego... diteci!"
Chiedesti perentoria.
"Oh... perdindirindina!! Tu non ridi mai, ragazza? Mi ricordi... una persona... Ah ah!!"
Smorzò lentamente la risata, per osservarti meglio. 
"Dovete perdonarmi... Abbiamo urgenza di trovare mia zia Léonie Geraldine de Jarjayes, sposata con il barone di Dunguaire! Cosa stavate dicendo a suo riguardo, di grazia?"
Ti facesti più gentile infine, avvicinandoti con la sedia per ascoltare meglio il suo racconto. 
Lei ti sorrise, mentre continuava a mangiare. Poi guardò entrambi, si pulì la bocca con un fazzoletto sgualcito e strizzò gli occhi.
"È impazzita!!"
Rimanemmo immobili, con la fronte corrugata e un'espressione indecifrabile sul volto. 
"Cosa??"
Chiedesti tu per prima. La donna sospirò e poi si fece più vicina.
"Dicono che viva di ricordi, aggirandosi di notte per i lunghi corridoi pieni di spifferi, tra i fantasmi del castello!"
Disse annuendo con teatralità. Scoppiai a ridere.
"E sir Harry? Lui invece si trascina per il castello con una catena attaccata alla gamba?"
Chiesi continuando a ridere, passando una mano sulla fronte, tra i capelli.
"Potrebbero essere solo favole o racconti nati per alimentare un leggenda, un pettegolezzo... "
La tua voce ad un tratto flebile come la brezza più pacata. La nostra amica mi sorrise per poi farsi di nuovo seria.
".... dicono che si disperi per un diadema di smeraldi scomparso o una cosa così... e a volte... l'eco delle sue urla si ode fin nelle valli!"
A queste parole mi schiarii la voce e tu abbassasti lo sguardo sulle tue mani, per poi cercare il mio. 
"Un... diadema?"
Chiesi io con un filo di voce. Certo il racconto era alquanto inquietante, ma noi eravamo diretti lì e di certo la vecchia ci stava prendendo in giro.
"Beh... il castello di Dunguaire è proprio qui, dietro la collina, ragazzi! Ora vi saluto, tra un po' calerà la nebbia e l'aria umida non mi fa bene... soffro di dolori alle ossa... "
Disse con la voce arrochita dall'età, come le mani, grinzose seppur stranamente eleganti ed affusolate. 
"Avete bisogno di qualcosa? Possiamo aiutarvi? "
Dicesti alzandoti dalla sedia, tenendo stretta la tua borsa, facendoti accorata davanti a lei, una donna alta per la sua età. La tua generosità sincera la colpì e i suoi occhi si fecero deboli, quasi liquidi. 
"No, grazie ragazza... sei gentile e... molto bella, sai?"
Le sue labbra tremarono un po' nel dirlo e la sua mano rimase a mezz'aria, quasi volesse provare ad accarezzarti. 
"Addio... beh... è stato un piacere! "
Ci salutò in fretta, mentre apriva con fatica la pesante porta di legno massiccio. Uscì dalla taverna e ci scordammo di lei. Presi mantelli e borse ci avviammo a passi vigorosi al castello di Dunguaire, convinti di non credere ad una sola delle dicerie del posto, ma consapevoli di aver provato un sottile brivido percorrerci la schiena al racconto di quella donna bizzarra.
Arrivare a piedi era davvero un'impresa nelle nostre condizioni, eravamo sfiancati e il castello si trovava nella contea di Galway, la zona occidentale dell'isola, a Kinvara per l'esattezza, che non si trovava proprio a due passi. Fortunatamente, dopo un'ora di cammino, ci raggiunse un carro diretto da quelle parti, che ci permise di salire e farci spazio tra i fasci di legna appena raccolta.
Durante il viaggio di circa un'altra buona ora, parlammo con spensieratezza, tenendoci per mano, guardandoci quasi increduli, forse addirittura sognanti... 
Eravamo finalmente solo noi... e tutto il resto non aveva più alcuna importanza, il passato era lontano. Eravamo immensamente felici e nelle nostre mani intrecciate lasciammo crescere ed avvilupparsi il germoglio della speranza di poter vivere pienamente il nostro amore per il resto della nostra vita.
Una volta arrivati nelle terre dei Templemore, l'uomo ci fece scendere, mostrandoci il sentiero che portava direttamente all'entrata principale del maniero. 
"Sei stanca, non è vero?"
Ti chiesi non appena il carro riprese a muoversi, trovandoti particolarmente pallida.
"No... sto bene André! Davvero, andiamo adesso!"
Ti accarezzavo una guancia mentre parlavi con dolcezza. Non potemmo godere di molti momenti di tenerezza durante tutto il viaggio da Brest e iniziavamo a sentirne la pungente mancanza. 
"Si... hai ragione! Meglio sbrigarsi, sta già scendendo un po' di nebbia. Rischiamo di perderci tra le colline!"
Dopo un rapido bacio sulle labbra presi la borsa e me la misi a tracolla, alzando poi il cappuccio del mantello. 
"Copriti anche tu Oscar, inizia a fare freddo!"
Ti dissi con premura, subito dopo un tuo profondo colpo di tosse.
"Ho solo un po' di tosse André!"
Sorridevi serenamente mentre parlavi ed eri al settimo cielo, per l'imminente incontro con tua zia Léonie. Ci incamminammo a passo affrettato, seguendo una stradina sterrata che si ricongiungeva con un cancello basso in ferro battuto. Una volta oltrepassato, ci trovammo finalmente di fronte al castello, e restammo senza parole. Quello che ci ritrovammo ad osservare era un paesaggio surreale, talmente sospeso tra sogno e suggestione da non sembrare reale e terreno. 
"Dio... che posto incredibile!"
Dissi io con la voce spezzata, rimanendo a bocca aperta.
"André... è su uno specchio d'acqua!"
Annuii, prendendoti per mano mentre proseguivamo il nostro cammino sul terreno madido. Non era imponente o sfarzoso come potevamo aspettarci, svettava verso il cielo con un'unica grande torre di pietra grigiastra su una struttura più bassa, ed essendo affacciato su un'ansa dell'oceano, il suo riflesso sull'acqua rendeva il paesaggio degno di un sortilegio. 
Era davvero incantevole.
Affianco all'alto portone di legno trovammo un portoncino basso, di sicuro più utilizzato per i passaggi veloci dai servitori e i padroni. 
Iniziammo a chiamare e a bussare.
"C'è nessuno? Ehilà!! Ci potete udire?"
Provai a battere sul legno con più vigore, stava scendendo la notte e non desideravo rischiare di passarla all'addiaccio. 
"Guarda André, sta arrivando un uomo con una torcia!"
Si avvicinò un uomo dai capelli grigi, vestito in elegante velluto color bordeaux. Di certo si poteva considerare un servitore.
"Seguitemi prego!"
Parlava francese ma non ne restammo stupiti. 
"Questo vuol dire che mia zia è viva!"
Dicesti piano al mio orecchio, con gli occhi che vibravano nella magra luce delle scintille. 
"Speriamo solo che abbia tutte le rotelle a posto!"
Bisbigliai io mentre entravamo nell'atrio grande, dal soffitto alto e dagli imponenti lampadari circolari, da cui arrivava l'alone di luce di alcune candele accese.
"Vi porto nelle vostre stanze, vi prego di seguirmi... Miss Agnes sarà la vostra cameriera personale."
Ci mostrò lo scalone di legno che portava al centro della torre, dove risiedevano le camere da letto.
"Scusate ma... la proprietaria, Lady Templemore... è viva, non è così?"
"Certo Milady! "
Sospirammo di sollievo, guardandoci poi sorridenti.
"Oscar François! E lui è André Grandier! "
"Lady Templemore mi ha dato queste indicazioni... Vi onorerà della sua presenza domani a colazione, nella sala grande. Ora vi prego di seguirmi."
"Ma io sono sua nipote.... e lei come faceva a sapere del vostro arrivo?"
"Domani... Milady..."
Rispose soltanto e prese la mia borsa, poi iniziò a salire le scale e, seguendolo rassegnati, arrivammo nella stanza da letto degli ospiti che ci avevano assegnato. Era spaziosa e alla parete di fronte al camino, in cui già si agitava un bel fuoco, era posto un sontuoso letto a baldacchino, con pesanti tendaggi di velluto rosso porpora.
Il servitore ci augurò la buonanotte e chiuse rumorosamente la porta. 
"Beh... adesso inizio davvero ad avere paura!"
Dissi fingendo di rabbrividire, chiudendo a chiave la porta di legno scuro. Ti guardai per qualche attimo, poi scoppiammo entrambi in una fragorosa risata.
"André... Smettila! Non ci sono fantasmi qui, cuor di leone!"
"Se lo dici tu..."
Ero già sulle tue labbra, dopo essermi avvicinato lentamente, mentre ti levavi il mantello pesante, la borsa e il giustacuore.
"Oh... mi è mancato l'odore della tua pelle..."
La tua voce era miele liquido sul mio collo, su cui le tue dita si infilarono delicate, per slacciare il nodo dello jabot.
"Anche tu...Oscar... "
La tua bellezza mi toglieva il respiro e tutto ciò che desideravo in quel momento era averti tra le braccia, senza nulla che impedisse alla nostra pelle di sfiorarsi, per riconoscersi. 
Qualche colpo di tosse ti trasse all'improvviso da me.
"Cos'hai amore mio? "
Ti chiesi dolcemente, continuando ad accarezzarti le spalle.
"Nulla... sono solo stanca... e forse un po' raffreddata... "
Gli occhi un po' cerchiati di scuro, il respiro corto e irregolare, tutto parlava di troppe emozioni e troppa fatica. 
"Andiamo a letto allora, vieni... "
Ti presi in braccio, barcollando anch'io per la stanchezza e mentre ridevi, abbandonavi la testa sulla mia spalla e accarezzavi il mio petto. 
Ti adagiai sul letto alto, lasciandoti sprofondare tra le voluminose coperte eleganti. Ti sentii sospirare profondamente quando iniziai a spogliarmi. Lasciai i vestiti su una poltrona dallo schienale alto e mi avvicinai completamente nudo al letto, per poi sdraiarmi al tuo fianco, sotto le pesanti coperte. Trascinai la testa sul cuscino fino a poterti vedere bene. I tuoi occhi nella penombra risaltavano ugualmente, per la bellezza della loro trasparenza, e brillavano come diamanti, come meravigliosi gioielli che facevano di me un ladro... un dannato e un impenitente.
"Sei bella da spezzarmi il respiro... "
Un sorriso mentre restavi supina, sopra le coperte e il cuscino, celato dai tuoi lunghissimi boccoli biondi.
Ne presi uno tra le dita, mentre ti osservavo adorante iniziare a scoprire la tua pelle di seta. Ansimai piuttosto forte quando slacciasti i pantaloni e i lacci della camicia, mantenendoli però addosso. Avrei potuto impazzire in quel momento. 
"Spogliami tu..."
Il tuo timido ma lussurioso sussurro mandò in frantumi ogni mio riserbo e incendiarono il mio ventre, già teso dal desiderio. Steso su un fianco, sollevai il busto e dopo un sorriso e una carezza al tuo viso, nel silenzio assordante di un momento carico di attesa, ti liberai in fretta dei pantaloni, trascinandoli oltre i fianchi e le gambe. Feci risalire poi piano la mano, dalla tua caviglia alla tua coscia, verso l'interno, cercando la parte più calda di te, scivolosa come i tuoi ansimi, che mi chiamavano seducenti e sempre più insistenti. Le tue mani premevano sul mio petto e sulle mie spalle, poi si infilarono tra i miei capelli, per giocare con i riccioli umidi e neri. Rimaneva da levarti la camicia, così la feci scivolare via dalle tue braccia sollevate e dalle testa, svelando il tuo ventre bianco e teso e le rotondità dei tuoi seni, celati in parte dai riccioli biondi.
Bella come una dea, come una visione, come nessun altra donna poteva essere....
Un bacio che toglieva il respiro appena rimanesti nuda come me.
"Vieni sotto le coperte però... Ti gelerai altrimenti... "
Bisbigliai al tuo orecchio, con il respiro affannoso e il cuore che pulsava forte. 
"Forse è meglio... Già inizio a tremare... "
Ti sdraiasti su un fianco come me. Nel pacato silenzio della stanza solo il crepitio di un fuoco che divampava e il rumore bagnato delle nostre bocche e delle nostre lingue esigenti ed eccitanti. Iniziammo a strusciarci, con le gambe annodate e agitate, intuendo le forme del nostro desiderio farsi sempre più vicine. 
"Ti amo..."
Ti ansimai sul labbro, mordendolo piano, molto piano... Poi sorrisi, prima di scendere sul tuo collo lungo e invitante, liscio e bollente come un petalo di rosa baciato dal sole di agosto.
"André.... Sposami André!!"
Una voce ardente, una richiesta meravigliosamente vera e struggente.
"Oscar... "
Un piccolo gemito di sorpresa dalle mie labbra, rimaste schiuse mentre cercavo i tuoi occhi.
"Voglio che tu mi dica... che io diventerò tua moglie... Tua moglie André! È dalla notte a quella locanda che desidero chiedertelo... "
Il tuo volto innamorato poggiato sul cuscino, al mio fianco, le tue carezze sul mio viso incredulo, un sogno... doveva trattarsi di un sogno... o di un sortilegio.
"Non mi rispondi? "
Ridesti con una dolcezza disarmante. 
"Si... Oscar... si! Certo!! Diventerai mia moglie! L'ho sempre, disperatamente desiderato! Anche se non... "
Cercasti la mia mano per intrecciarla alla tua. 
"Ssh.. non dire più niente. Non ci sono più barriere adesso, non esiste rango o classe o... scelte di... di vita... che possano allontanarci... Mai più André!! "
Non riuscii più a rispondere, sentivo gli occhi velati di una felicità inesprimibile a parole. Presi il tuo viso tra le mani, dolcemente, per avvicinarti ancora di più a me. 
Le dita tremavano nella leggerezza dei tuoi capelli, mentre entravo lentamente in te e cullavo con lentezza i tuoi fianchi in un movimento circolare sempre più veloce. 
"Sono tua... André... "
Mi sussurrasti con una voce tremendamente bassa e calda, ubriacandomi di piacere e felicità. 
"Dillo ancora... dillo ancora..."
Una supplica quasi a vibrare tra i nostri profili vicini, le labbra appena sfiorate, come le punte tumide dei tuoi seni a stuzzicare il mio petto e i tuoi gemiti sulle mie parole ardite.
"Sono tua..."
Un ultimo barlume di luce e ragione, poi furono soltanto ombre negli occhi, pelle bollente, baci esigenti e bisogno disperato di sentirti di più, più dentro, più mia... 
Perché troppo inebriante era la consapevolezza della felicità, che arriva come un'improvvisa pioggia di luce sull'oscurità. 
~
La mattina dopo aprii gli occhi con fatica, li sentivo pesanti, come tutto il corpo, intorpidito. Mi sorprese vedere la stanza colpita da un bel raggio di sole e il primo pensiero fu quello di portarti a visitare il parco del castello, approfittando di quello spicchio di luce tiepida. Tu dormivi ancora profondamente e non esitai a perdermi nell'ammirarti silenzioso e incantato. Eri così abbandonata, così chiara, così teneramente inconsapevole della tua bellezza. Accarezzai con la punta delle dita i tuoi capelli sottili, spostando un ricciolo dalla tua fronte, cercando poi di celare la tua pelle alla luce del giorno, coprendoti bene con le coperte, diventate un mucchio informe di broccato, seta e lenzuola. Pensai alla nostra notte d'amore, e alla nostra promessa. 
"In primavera... ti sposerò in primavera, Oscar... "
Mormorai ancora frastornato e commosso, sfiorandoti una guancia, accorgendomi però che scottavi.
"Hai un po' di febbre... "
Mi morsi un labbro, scuotendo la testa, era stato tutto troppo semplice... Mi rivestii in fretta, dopo essermi deterso con dell'acqua fredda e del sapone scuro. La febbre sembrava non essere però troppo alta e quindi attesi semplicemente che ti destasti da sola, senza interrompere il tuo sonno ristoratore. 
Andai alla finestra, scostai del tutto le tende pesanti, poi aprii di poco le vetrate alte per affacciarmi e poter ammirare i dintorni del vecchio castello. Colline morbide e verdeggianti, magnolie e camelie tra i sentieri di alberi di tasso...
"È bellissimo... "
Sussurrai, incantato da quel posto meraviglioso. Chiusi piano le finestre, pensando che da lì a poche ore avremmo saputo tutto circa i proprietari di quella fantastica tenuta. Mi voltai poi di scatto verso il letto, sentendoti tossire. 
"André..."
Mi chiamasti, cercandomi con lo sguardo per la stanza, arredata con mobili pregiati ed eleganti. 
"Sono qui! Come ti senti?"
Ti raggiunsi subito, sedendomi sul bordo del letto a baldacchino. 
"Avremmo dovuto tirare le tende del baldacchino ieri sera... credo che tu abbia un po' febbre.. "
Dissi preoccupato, ma tu ti mettesti in piedi, spostando le coperte tra i tremiti della febbre, prendendo solo un lembo di lenzuolo per coprirti il petto. 
"Non sto così male... stai tranquillo."
"Hai la febbre Oscar... dovresti stare a letto!"
Un sorriso incerto sulle tue belle labbra.
"No André, dobbiamo scendere e incontrare mia zia! Dopo mi riposerò... te lo prometto amore... "
Ti accarezzai la fronte e le spalle, poi presi i tuoi abiti e ti aiutai a vestirti il più velocemente possibile. 
Una volta entrambi presentabili, scendemmo nella grande sala da pranzo, dove eravamo attesi per la colazione. Il grande tavolo rettangolare era imbandito e apparecchiato per tre persone. Il sole che entrava dalle vetrate colorate si rifletteva sulle argenterie pregiate e sui cristalli del grande lampadario, creando giochi di luce colorata sulle pareti e tutto intorno attorno a noi. 
"Che meraviglia André!"
Ti presi per mano. Tremavi, ma forse l'emozione in quel momento s'imponeva su tutto, anche sul tuo malessere. 
"Lady Templemore signori!"
Il maggiordomo alle nostre spalle annunciò l'arrivo di tua zia Léonie Geraldine de Jarjayes.
~•~•~

Ci siamo carissimi, il prossimo capitolo, che ho già scritto, concluderà questa piccola storia. Grazie di leggere e seguirmi sempre, vedo che siete moltissimi ed è un'emozione ogni volta, soprattutto per chi come me ha iniziato da poco a scribacchiare. 
Un abbraccio e tantissimi auguri di buon compleanno a Pamina! :-)
Vi aspetto!
Cecile 

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Capitolo 7
*** Il vento fra i roseti ***


~ Egli desidera i vestiti del cielo ~
"Io ho ricamato i vestiti del cielo avviluppando con la luce d'oro e d'argento, il blu e l'opaco e l'oscuro tessuto della notte e il chiarore e il mezzo chiarore, avrei voluto stendere il vestito sotto i tuoi piedi ma, essendo povero, ho solo i miei sogni; cammina con passo leggero perché tu cammini su i miei sogni."
(W. B. Yeats)






Epilogo

~ Il vento fra i roseti ~

Castello di Dunguaire, Irlanda. 13 gennaio 1789

Eri immobile, come me del resto, mentre osservavo con attenzione l'entrata della sala da pranzo del castello, tenendo le mani ferme sulle tue spalle. Il tuo respiro corto scandiva i tempi di un'emozione grandissima. 
Il maggiordomo si inchinò mentre entrava una donna che non poteva essere zia Léonie. Era troppo giovane, forse sui trent'anni, come noi. 
" È un piacere fare la vostra conoscenza cugina, io sono Lady Caitlin Jane Templemore!"
La donna si presentò amabilmente, con un sorriso radioso, sottolineando tra le sue parole il fatto di conoscere perfettamente il grado di parentela che intercorreva tra loro. 
"Ma... mia zia... io credevo... "
Rispondesti con perplessità e delusione evidenti.
"Accomodatevi, ora vi spiego ogni cosa... Voi siete il marito di mia cugina?"
Mi chiese porgendomi la mano. 
"Sono André Grandier! Dobbiamo ancora sposarci... a dire il vero..."
Risposi con garbo, guardandoti sorridere appena a quelle parole e a ciò che significavano. 
Ci accomodammo a tavola tutti e tre e iniziarono a portare le prime pietanze. Notai subito il tuo scarso appetito, dovuto alla febbre, senz'altro, ma anche ad un crescente moto di rabbia. Ti conoscevo troppo bene. 
Riuniti a tavola Lady Caitlin Jane provò a prendere parola, ma l'anticipai io. 
"Credevo che Lady Templemore non avesse figli..."
Dissi tenendo salda nella mia la tua mano gelata, guardandoti tossire senza tregua per un minuto abbondante.
"Prendete del tè caldo cugina! "
La ringraziasti con un sorriso debole, poi la tosse fortunatamente si placò. 
"Deve avere la febbre alta... ha preso molto freddo e... "
Mormorai tremendamente preoccupato, non riuscendo a pensare ad altro che al tuo volto, sempre più pallido, e al tuo respiro, sempre più affannoso ed eccitato. 
"Non preoccupatevi adesso... Continuate vi prego! "
Dicesti ostinata, evitando appositamente il mio sguardo.
"Quasi cinque anni fa, il marito di vostra zia, sir Harry Templemore, il barone di Dunguaire.... di queste verdissime terre, morì di malattia, gettando sua moglie nello sconforto più assoluto e anche sua figlia... "
Sussurrò tristemente le ultime parole.
"Dunque siete..."
Incalzai io.
"Io sono la figlia della prima moglie defunta di sir Harry! Avevo appena due anni quando mia madre morì, quindi considero Lady Léonie come una madre...." 
"Ma dove si trova adesso? Io speravo di conoscerla... "
La guardasti con occhi taglienti.
"Sono spiacente ma... non la vedo da mesi... forse più... Dopo la morte di mio padre è come impazzita! Si è rifiutata di tornare a vivere qui nel castello... troppi ricordi diceva... Ha preferito andare a vivere in una casupola fatiscente vicino al porto di Galway, in solitudine, portandosi dietro solo quattro soldi... Ho provato a convincerla ma l'ultima volta mi ha addirittura cacciata di casa, dicendo che mi vuole bene ma che non desidera vedere più nessuno fino alla sua morte!"
Alzò il tono della voce, lasciando noi senza parola.
"Oh, mio Dio... "
Solo questo mormorasti, tra le dita delle mani intrecciate davanti alle labbra. 
"Come facevate a sapere del nostro arrivo?"
Chiesi io mentre mandavo giù un sorso di tè bollente.
"Abbiamo ricevuto una lettera di Madame de Jarjayes, appena qualche giorno fa."
"L'avrà inviata il giorno che siamo fuggiti... André, deve essere così! "
Annuii, guardando Caitlin bere il tè con eleganza e poi con molta calma riprendere il discorso. Era una donna molto piacevole, i capelli neri come l'ebano facevano risaltare l'incarnato chiaro come la porcellana.
"Devo convincere mia zia a ritornare qui... Questa è casa sua!"
La tua voce ferma, il tuo volto vermiglio. 
"A dire il vero... mi ha lasciato uno scritto, redatto da un notaio di Dublino, in cui scrive che il castello di Dunguaire, non avendo lei figli diretti, è di proprietà di Oscar François de Jarjayes e del suo consorte nel caso ne avesse uno. Dunque, il castello e relativi terreni... beh, è tutto vostro! "
Ci guardammo con stupore.
"Ma voi siete la figlia di sir Harry! "
Dissi io, ritenendo doveroso chiarire subito la questione.
"Oh... ma io risiedo non molto distante da qui, a Oranmore house con mio marito sir Thomas Murray..."
Quasi non credevamo alle nostre orecchie.
"Bene, disponete pure come credete della vostra dimora... "
Così dicendo si diresse verso la finestra per guardare il roseto, che seppur spoglio, formava un corridoio di archi tra gli alberi di camelie.
"Vi siamo estremamente grati Lady Caitlin... ma io mi rifiuto di vivere in questo castello senza Léonie Geraldine de Jarjayes!"
Ti alzasti di scatto, le labbra serrate dopo aver parlato, le mani pressate sulla tavola lucida di mogano rosso.
"Oscar..."
Eri sudata, mi alzai anch'io per venirti vicino.
"Andrò... andrò io stessa da lei! E giuro sul mio onore che la riporterò a casa!! "
Simile al lampo che squarcia il cielo, la solennità della tua frase. 
"Cugina Oscar... lei non cederà! Il dolore che prova le impedisce di vedere al di là dei suoi problemi. Non vi ascolterà... come ha fatto con me. Venite a visitare il vostro giardino! "
La pacatezza e l'indifferenza di Caitlin ti offesero.
"Non conosco quel tipo di dolore, grazie a Dio mi è stato risparmiato. Ma state pur certa che la mia vita non è stata tutta rose e fiori cara... cugina! E quella donna rimane la sorella di mio padre, sangue del mio sangue e non permetterò che rimanga in una topaia ad aspettare che sopraggiunga la morte!!! "
Tuonasti davvero e percorresti ansimando la sala da pranzo, col volto oltremodo scarlatto. 
"Ma dove vai Oscar? Hai la febbre!!"
Parlai sconfortato.
Allungasti la mano nella mia direzione e iniziasti a tossire, poggiandoti allo stipite della porta, accasciandoti. 
"Oscar!!"
Mi precipitai da te, per cercare di sostenerti, notando che scottavi molto più che al tuo risveglio.
"Cugina!! Oh... è colpa mia! Non avrei dovuto raccontare di Léonie! Avrei dovuto dirvi che era morta! "
Sibilò spaventata Caitlin, con una mano alla fronte e una sulla gola. 
"Vi prego chiamate un dottore! C'è il modo, non è vero? "
Chiesi io con urgenza, prendendoti tra le braccia. La paura mi stava divorando, sentivo il pericolo stringermi lentamente lo stomaco.
"A Galway.... nei paraggi purtroppo no! "
Rispose lei mordendosi le labbra.
"Mi basta uno dei cavalli delle scuderie! "
Convenni io.
"Potete prendere il mio calesse! "
"Troppo lento... Partirò subito! Vi prego di prendervi cura di Oscar fino al mio ritorno! "
Le chiesi con voce implorante, portandoti su per lo scalone della torre. Caitlin annuì subito, incaricando le cameriere di procurare acqua per abbassare la temperatura e lenzuola pulite.
"Vengo con te..."
Parlasti con fatica, il tuo respiro bruciava, come la pelle del tuo viso.
"Non se ne parla, non stai nemmeno in piedi. Avanti... ora mettiti a letto amore mio! "
Ti parlai con dolcezza, quasi sorridendo... ma quella tosse e quella febbre alta mi facevano pensare ad una brutta infezione ai polmoni. 
Trovammo la camera già riscaldata dal fuoco ardente nel camino. Ti misi a letto, con una camicia da notte di seta bianca. 
"André... "
Eri ancora in te e ringraziai Dio per questo. 
"Si... si... amore... sono ancora qui! "
Risposi mentre ti coprivo bene fino al mento, dato che eri percorsa da intensi brividi di freddo. 
"Era lei, vero? La vecchia al porto... era zia Léonie... "
Le labbra ti tremavano, come il corpo, agitato per i fremiti della febbre. 
"Si, Oscar... Ne sono convinto anch'io! "
"Allora... devi... devi andare da lei! André... ti prego... "
Gli occhi appena schiusi, le ciglia lunghissime percorse da un tremito leggero. 
"Oscar... devo chiamare un dottore, lo capisci? Devo portarlo qui da te! Non posso andare adesso a cercarla! Lo faremo insieme, te lo prometto! "
Un dispiacere che mi graffiò il cuore quando vidi piccole lacrime di paura stillare dai tuoi occhi. 
"Non piangere... ti scongiuro... "
Baciai la tua mano, cercando di mantenere il controllo.
"Non possiamo lasciarla da sola... André, ti prego! Portala da me! Portata da me... amore mio... "
Parlasti debolmente, fino ad addormentarti, in pochi minuti. Rimasi chinato su di te, tenendo fermo un panno bagnato sulla tua fronte, mentre con l'altra mano ti accarezzavo una guancia. Non potevi vedere la mia paura, le lacrime chiuse nel petto, le mie labbra tremare perché sapevo... sapevo benissimo che avrei fatto come tu desideravi. 
Come sempre, per te avrei fatto qualunque cosa...
"Monsieur Grandier... Starò io con Oscar! State tranquillo! "
Caitlin si avvicinò al letto a baldacchino, il fruscio della sua gonna di broccato verde accarezzava i suoi passi lenti. Fu difficile, tremendamente difficile lasciarti in quel letto, separarmi da te, ma mi alzai e raccolsi le forze necessarie.
"Potete chiamarmi André, Lady Caitlin vi prego... bagnatele la testa... la febbre è ancora alta... io... "
"State tranquillo, penserò io a lei! "
Ti lasciai senza soffermarmi a pensare a nulla, presi il mantello marrone e corsi più veloce che potevo giù per le scale, fino e discendere la torre e a trovarmi nella parte posteriore del maniero. Percorsi il ciottolato che portava alle scuderie e scelsi un baio scuro da sellare. Lo mandai al galoppo verso Galway salendo dorsi verdi di colline morbide, affacciate su un oceano furioso, infiammato da un vento impetuoso. Un cielo grigio e pesante mi accompagnò in quella cavalcata disperata.
E c'eri sempre tu Oscar... nei miei ansimi a sostituire il respiro, tra gli alberi che soffocavano il mio cammino e i rami spezzati da troppa neve. Il tuo odore di pulito e di fiori si sparpagliava nelle mie viscere per poi morderle ingeneroso... la mia sposa... tutto quello che avevo era tuo, tutto quello che provavo e che mi muoveva per le strade e le buche di quella terra straniera, ero tuo... e mai mi pentii di averti dedicato ogni mia piccola scintilla di sogno o di illusione che la mia anima riusciva a ricreare nella mia mente, ammansendo spesso il buonsenso. 
Di mio non avevo nulla, ma ogni cosa di me ti apparteneva...
Digrignavo i denti mentre correvo, il cuoio delle redini chiuso in una morsa.
"Devi vivere Oscar... "
Avrei voluto urlarlo a Dio, invece solo un gemito attraversò quelle valli spoglie. 
~
Arrivai a Galway in tre ore di galoppo sostenuto, sbagliai strada più volte, non conoscendo quelle terre. La prima cosa da fare era cercare un dottore, per cui mi recai alla taverna al porto dove ci recammo il giorno prima. Dissero che al momento non c'era nessun medico al villaggio, per via di una partoriente che lo mandò a chiamare già dalla mattina. Di certo non potevo tornare da te senza una medicina o qualcosa che ti aiutasse a lenire la tosse e ad abbassare la febbre. 
Andai al villaggio vicino, provai a chiedere ad un gruppo di contadini. Nessuno mi capiva bene e quando finalmente riuscirono ad intendere che desideravo vedere un dottore, scossero tutti la testa e mi fecero capire che era andato a visitare un malato che abitava molto lontano, tra le campagne, e non sapevano quando sarebbe ritornato.
"Non è possibile!! "
Esclamai carico di sconforto, con le mani tra i capelli, gettandomi su una panca di legno davanti all'entrata di una piccola chiesa. 
"Cosa devo fare? "
Iniziai a pensare che se ci fossimo trovati a Parigi, a palazzo Jarjayes, forse ti avrebbero potuta curare come si deve. Pensai in modo ossessivo all'infezione e alla possibilità che si estendesse... "Persino in caserma avevamo un dottore che visitava le baracche... Dannazione!!! "
Gemetti con la voce che andò in pezzi. Non mi vergognai nemmeno di piangere, con i pugni chiusi per la rabbia, tanto mi sentivo solo in quel momento. Nessuno mi conosceva, nessuno mi capiva. Mi ritenni responsabile, e rimpiansi la mia condanna, il non poterti avere, perché in quel momento tremendo avrei preferito pagare qualsiasi prezzo, anche quello, pur di vederti salva.
Eppure... qualcosa si iniziò a ribellare a quegli stupidi e inutili pensieri... In quel momento arrivarono le tue stesse parole a colpirmi dritte al petto come letali stilettate. 
_ Non voglio essere nient'altro che la tua donna André! _ questo dicesti ardente e questo era il nostro destino, inutile recriminare, inutile persino perdere tempo a pensare. In quella locanda di Parigi, in quella notte di Natale fatta di fini cristalli di neve... continuavi a ripetermi quella frase, eri come estasiata nel farlo, bellissima, libera, tra il fumo dell'ultimo fuoco e l'intimo calore di quelle semplici coperte di lana, eri felice... terribilmente felice di diventare mia, di bisbigliare al mio orecchio dolcissime parole d'amore, un amore già realizzato per poter essere espresso in quel modo cristallino.
_ Il mio André... _ mi ripetevi, sorridendo come una bambina.
Queste le parole che mi strapparono all'oblio della mente e alla paura che gela i movimenti e le intenzioni. Mi risollevai, montai a cavallo e ritornai a Galway, perché capii che quello era il nostro posto e forse, per guarire, infondo, non ti serviva una medicina o un dottore di villaggio, ma una persona... il suo affetto e la sua salvezza.
~
Era già primo pomeriggio quando arrivai a Galway. Legai ben strette le briglie del cavallo alla staccionata della bettola in cui conoscemmo Léonie senza sapere chi fosse. Entrai trafelato, col mantello inumidito dall'aria caliginosa. Riuscii ad ottenere notizie circa quella donna, dovendola descrivere in modo poco rispettoso, ma necessario per farmi capire. Intesi che abitava in una piccola casa bianca prospiciente l'oceano.
Vi arrivai di gran carriera e non avevo nessuna intenzione di andarmene da solo. Sapevo che sarebbe stata una delle sfide più difficili da superare, ma ci avrei provato in ogni modo.
Arrivato alla piccola casa di legno e paglia che mi indicarono, bussai al portoncino, cui era appesa una ghirlanda di fiori rinsecchiti, rimasta lì a sbattere alle folate di vento da chissà quanto tempo. 
"Lady Templemore!! Vi prego... aprite la porta! "
Dissi quasi in preda alla furia e, dimenticando l'etichetta, non mi presentai. 
"Lady Templemore... io mi chiamo André Grandier. Ci siamo conosciuti ieri mattina! "
Parlai con più calma, senza però ottenere alcuna risposta. 
"Forse non è in casa... "
Provai a sbirciare dall'unica finestrella dell'abitazione, ma le tende pesanti mi impedivano qualsiasi visuale. Non mi persi d'animo, qualcosa mi diceva che lei era lì ed era ostinata come sua nipote, maledizione!
"Madame Jarjayes!! Vi chiedo solo di ascoltarmi! Vostra nipote Oscar... ha bisogno di voi! "
Parlai chiaro e forte ma nel pronunciare il tuo nome la mia voce perse chiarore. I pugni chiusi, fermi sulla porta scrostata dal vento e dalla salsedine. Lo stridio dei gabbiani accompagnò la sua risposta. 
"Entra! "
Disse secca, dopo un giro di chiavi.
Impugnai svelto la maniglia rotonda della porta e l'aprii un po' timoroso, a dire il vero. Fui lento ad entrare, perché ogni mio gesto poteva essere male interpretato e io sapevo di avere un'unica possibilità quel giorno.
Viveva in una stanza buia, piena di libri e di mazzi di fiori imputriditi, a cui non veniva cambiata l'acqua da parecchio. Era davanti a me. Sulle spalle la treccia grigia e riccioluta e uno scialle di lana scura pesante. Mi fissava con uno sguardo triste, seppur tremendamente diretto. 
"Cosa vuoi ragazzo?"
Mi chiese con una voce roca e molto più seria e bassa di quella che conobbi il giorno prima.
"Lady... "
"Chiamami Léonie... "
Disse infastidita.
"No... non posso... Lady Templemore, io sono qui per parlarvi... "
Presi tempo.
"Io voglio essere lasciata in pace! Riferiscilo pure a quella testa di rapa di Caitlin! "
Si strinse lo scialle sulle spalle, incrociando le braccia e andandosi a scaldare le mani davanti al timido fuoco del caminetto.
"Aspettate... aggiungo altra legna! "
Così dicendo mi avvicinai, aggiunsi un altro piccolo ceppo tra gli alari del camino e rimasi anch'io a scaldarmi le mani, al suo fianco, mentre mi scrutava senza sosta.
"Hai detto che Oscar... ha bisogno di me. Per quale motivo non è qui con te? "
Sospirai, poi la guardai negli occhi blu cobalto, per risponderle in tutta sincerità.
"Si è ammalata... e in questo momento ha la febbre molto alta e una brutta infezione al petto, che le provoca molta tosse... "
Parlai visibilmente preoccupato.
"Hai cercato il medico? "
Chiese senza perdere tempo.
"Non è al villaggio!"
Mormorai insieme al crepitio delle fiamme.
"Quel ciarlatano! Beh... dovete darle delle bevande molto calde e attenzioni... guarirà! "
Si sfregò le mani, corrugando la fronte, indirizzando lo sguardo nel vuoto.
"Vuole vedervi! Vi prego di acconsentire a questa sua richiesta! Venite con me... la farete felice! E poi il castello... è casa vostra! "
Sorrise con amarezza.
"Non lo è più! Dopo che il mio Harry se n'è andato... niente è tornato a posto... Ed ora... ed ora voglio stare sola! "
Raggiunse la porta, per indicarmi l'uscita, ma non potevo, non potevo cedere così.
"Non pensate ad Oscar? A vostra nipote? Ha fatto tanta strada per incontrarvi e adesso... sta male e mi ha supplicato di portarvi da lei! "
Parlai col cuore in mano e forse lasciai trasparire troppo della mia disperazione. Iniziò a vacillare.
"Nessuno capisce che non posso tornare là... È troppo doloroso... tu non puoi sapere nulla di quel dolore!"
"È vero... se Oscar morisse... io non ce la farei... non potrei sopravvivere... ma ho conosciuto molti altri tipi di dolore, ve l'assicuro Milady! "
La vidi addolcire lo sguardo, forse colpita dalla mia sincerità. 
"Cosa hai fatto all'occhio, ragazzo?"
Chiese avvicinandosi lentamente a me, insistendo con lo sguardo sulla mia cicatrice.
"La lama di una spada mi ha offeso... e purtroppo sono rimasto cieco! "
"L'hai fatto per proteggerla? "
Chiese in un bisbiglio.
"E lo rifarei altre mille volte... "
La verità ai suoi piedi. Chiuse gli occhi e vidi tutta la durezza dei Jarjayes sciogliersi sotto i miei occhi. 
"Verrò con te... ma solo finché non guarirà, poi tornerò a vivere qui! "
Annuii soddisfatto.
"Grazie Lady Templemore! Grazie di cuore!! "
~
Cavalcai con meno impeto durante il viaggio di ritorno a Kinvara, al castello di Dunguaire. Avevo timore che i sobbalzi potessero disturbare zia Léonie, attaccata alle mie spalle, seduta sulla sella dietro di me. Ma lei doveva essere un'ottima cavallerizza e di certo conosceva alla perfezione i sentieri e le scorciatoie tra le valli della contea, il che ci permise di arrivare prima che facesse buio, seppur tra la suggestiva e soffocante foschia che permeava ogni cosa, trasformandone i colori e le forme. 
"Portami da lei, André..."
Mi chiese stancamente, poggiandosi al mio braccio, non appena varcammo la soglia della dimora che la vide lontana per anni.
La voce stanca, le palpebre cadenti sugli occhi arrossati, le mani grinzose e un po' tremanti, forse per l'emozione profonda di ritrovarsi inaspettatamente in un posto tanto amato ma che avrebbe voluto dimenticare... 
Mi facevo forte per lei, sulle grandi scale buie. Ormai la sera era sopraggiunta e potevamo affidarci soltanto al barlume dorato dei candelabri. Avrei voluto in realtà correre come un pazzo per quelle scale, che sembravano non finire mai. Avrei voluto raggiungerti il prima possibile ai piedi del letto e gettare immediatamente lo sguardo su di te, sul tuo viso, sul tuo sorriso...
Avrei voluto accarezzare la tua pelle liscia e rosea per sentirla fresca, e finalmente vederti fuori pericolo.
Ancora poco, mancava poco... Zia Léonie non si fermò mai, pur nella lentezza con cui costringeva entrambi a salire quei freddi gradini di pietra.
"Ecco la camera!"
Esclamai col cuore in gola. Annuì, sapendo perfettamente quale fosse la stanza degli ospiti. 
Una cameriera, appena uscita dalla stanza, strabuzzò gli occhi non appena la vide camminare al mio fianco. 
"L... Lady Templemore..."
Si inchinò dopo aver balbettato il nome della padrona indiscussa del
castello. Zia Léonie nemmeno la guardò da tanto era assorta nei suoi pensieri. Lasciai il suo braccio non appena ci trovammo di fronte alla porta spalancata della stanza in cui giacevi malata.
Il respiro mi moriva nel petto mentre furono rapidi i miei passi a portarmi da te. Quasi non la vidi Caitlin e non ricordo nemmeno se e come la salutai. Mi ritrovai la tua mano tra le mie, poi sulle labbra, che la baciavano senza sosta. Eri così gelata. Bagnata delle mie lacrime di uomo perdutamente innamorato... da una vita...
"L'hai dimenticato... Oscar? Hai detto... che mi avresti sposato... L'hai... dimenticato?"
La mia disperazione spezzò il silenzio trasparente di quella stanza. 
E le mie dita sfiorarono caute il tuo polso bianco, percorso da sottili vene azzurre.
"La febbre è salita ancora e... non si riesce ad abbassare! "
Caitlin sembrava volersi quasi giustificare mentre si allontanava mesta dalla stanza, ma non era colpa di nessuno.
"Adesso penserò io a lei! "
Parlai a denti stretti... come stretti erano i miei occhi, bagnati di sale o forse veleno... Un pazzo, questo forse sembravo... Un pazzo che gridava tra angeli sordi o più ciechi di lui.... Ma quanto era vero Iddio... tu dovevi vivere!
Mi tolsi il mantello e il giustacuore, che gettai su una sedia, mi rimboccai le maniche della camicia bianca un po' sgualcita. Piccole lacrime velavano i contorni del mio presente, ma ti potevo vedere bene, ed eri pallida... la febbre rabbrividiva ogni tuo respiro e allo stesso tempo gelava il sudore che ammantava la tua pelle. 
Qualcuno si sedette al mio fianco, in silenzio. E sempre nel silenzio terribile di quella lunga notte, ripensai ad ogni tua parola, ogni paura, ad ogni schiaffo o bacio rovente o sorriso melodioso... Ti parlai.... Pregai forse... a lungo...
Poi sgranai gli occhi, sussultai così forte che agitasti un po' le ciglia, prendendo un respiro grosso, per tossire poi vigorosamente.
"Quel dottore... il dottor Millet! "
Urlai davvero e mi alzai di scatto dal letto, su cui mi ero sdraiato per starti accanto. Mi precipitai a cercare nella mia borsa di cuoio la medicina che vi avevo lasciato da settimane. Quella del buffo dottore sordo che tanto gentilmente ci lasciò nel caso ti colpisse la febbre alta. 
Poteva non bastare, certo, ma sarebbe stata un aiuto in più. E in quel momento ogni aiuto mi sembrava davvero benedetto dal cielo.
"Oscar... cerca di bere questa medicina! Ti prego... apri la bocca amore mio... "
Ti presi tra le braccia, debolissima, i capelli umidi sul viso meraviglioso che vidi crescere ed espandersi in bellezza al mio fianco. Riuscii a farti deglutire due cucchiai e poi rimasi in attesa, fino ad assopirmi per la stanchezza, tendendoti la mano, donando al tuo respiro il mio, perché tu sentissi che io ero lì... per te... per sempre...
~
Un cinguettio allegro, luci melodiose, arrivò l'alba... e non mi trovò pronto... 
Non ero pronto ad aprire gli occhi, a vedere la realtà... 
Pregai, inginocchiato a terra, le braccia e il volto abbandonati sulle tue gambe. Pregai che tu mi chiamassi ancora... pregai di sentirti pronunciare il mio nome... ancora una volta... 
Non arrivò la tua voce, ma una piccola e debole carezza al mio braccio. Aprii gli occhi, le mie labbra tremavano... ma ti trovai lì, a guardarmi intensamente, pur senza parlare, senza dire nulla, come hai fatto per anni. Ma sorridevano i tuoi occhi, erano belli i tuoi occhi Oscar... 
Eri salva... 
Mi sedetti sul letto, non parlai, lasciai del tempo alle tue carezze per convincermi che era davvero tutto finito.
Poi ti vidi guardare alle mie spalle e sorridere mentre allungavi una mano verso una persona. I tuoi occhi si riempirono di lacrime generose.
"Hai visto Oscar? Mi avete convinta a tornare... e a rimanere! "
La voce rotta dalla commozione.
"Zia... "
La felicità di rivederla ti rese subito più vitale e le tue guance rubarono il colore dei rubini. 
Zia Léonie era rimasta tutto il tempo con me a vegliarti. Ti abbracciava stretta mentre piangeva e in quel momento mi parve che il suo dolore potesse sciogliersi e finalmente perdere tutto il suo veleno.
"Dopo tanti anni... "
Disse lei stringendoti al petto.
"Si... siamo fuggiti... io e André... Ora vogliamo vivere liberi... come il nostro cuore desidera! "
I nostri sguardi intrecciati, come le nostre mani e le nostre anime...
Da quel giorno la tua guarigione fu lenta ma costante. Quel bagno ghiacciato ti provocò una brutta polmonite... il duro prezzo da pagare per poter seguire la voce della libertà.
Zia Léonie si ristabilì definitivamente al castello con noi e chiamò a raccolta i migliori medici di Dublino per garantirti le cure più efficaci, dato che avrebbero potuto esserci delle pericolose ricadute. Ma tu guaristi bene e tornasti ad essere forte e indipendente. 
Così, iniziammo a scoprire insieme la nostra nuova terra, cavalcando insieme sotto il sole o la pioggia primaverile improvvisa, nascondendoci a volte sotto un salice piangente, tenendoci stretti, tra infinite parole d'amore e baci appassionati, ai piedi di un laghetto di ninfee. Scoprimmo posti meravigliosi, viste spettacolari dalle Cliffs a picco sul mare.
E in quella primavera diventasti mia moglie, nei giardini della nostra nuova casa...
~

Castello di Dunguaire, Irlanda. 24 dicembre 1790
- È arrivato il momento André... -
La tua mano lascia qualcosa nella mia, poi scorre piacevole sul mio braccio, tra i miei capelli sciolti, li sposta, sale sul collo, pizzica la mia guancia. Vuoi farmi ridere. Vuoi baciarmi. 
Abbandono con lo sguardo la neve e mi volto, con lentezza, per rendere omaggio alla bellezza di mia moglie.
Le nostre labbra si sfiorano, poi cercano più contatto e calore e ci perdiamo in un bacio profondo. Sei riuscita a togliermi da quel ricordo, da quei giorni in cui la mia vita e la tua sfiorarono un destino che non ci apparteneva.
"Ma io non vi conosco... Milady! Chi siete?"
Ti allontano, tendendoti soltanto le mani, per ammirare la tua bellezza sempre più disarmante. 
"Ogni anno lo dici! "
Ridi, sei uno splendore e fai tremare il mio cuore. 
"Perché ogni anno, a Natale, mi fai questo regalo amore mio... e davvero rimango senza fiato... "
"E stenti a riconoscermi! Avanti... fai quello che devi fare! "
I complimenti ti imbarazzano tuttora. Vesti sempre abiti maschili, ma la notte di Natale, cerchi la femminilità in ogni dettaglio. La notte in cui infondo... tutto iniziò e si perpetrò. 
Lascio scintillare tra le mie mani il diadema di smeraldi mentre lo adagio sul tuo capo, tra l'oro dei tuoi capelli meravigliosamente raccolti. 
"Sei splendida Oscar! "
Esclamo ancora meravigliato, prendendoti la mano per baciarla, mentre continuo a guardarti... quante volte ho sognato di vedertelo indossare.
"Ti amo..."
Torni fra le mie braccia, ti lasci stringere ancora per qualche attimo.
"Ti amo anch'io André..."
Sussurri appena sul mio petto, poi torni a guardarmi.
"Quella sera ho cercato nella neve questo diadema fino a non sentirmi più le mani... "
Te le bacio di nuovo, ridendo appena.
"E poi cadesti nel lago ghiacciato, per riprenderlo! "
Aggiunsi io facendo un lungo sospiro.
"Ma è ancora qui... come noi... Andiamo... ci aspettano tutti! E tuo figlio ha fame André Grandier! "
Sorrido sentendomi scaldare l'anima mentre ti accarezzo il ventre un po' teso sotto il taffetà blu. Stai per darmi un figlio amore mio... 
Mi prendi per mano, sembri una regina. Ci incamminiamo insieme radiosi, verso la sala da pranzo.
Prima però... un ultimo sguardo ai cristalli di neve... un'ultima dedica del mio cuore al giorno del nostro matrimonio.
Tra i petali delle rose... solo noi e il nostro amore... solo noi e il nostro destino... limpido e lieve, come il vento fra i roseti di quel giorno di maggio, che accarezzò leggero le nostre guance umide e le nostre voci emozionate.
~ Fine ~
Scritto per Oscar e André 

Come per tutte le storie su Oscar e André che concludo, anche qui lascio un pezzo di me. Ringrazio tutti coloro che hanno letto e seguito la mia piccola storia di Natale e chi mi ha incoraggiato a proseguire oltre il capitolo tre... Emerald, Ireland, Monica, Queenjane, Francoise, Orny, Ornella, Sandra, Giuseppina, Daniele, Katia, Maddy, Pamina, Madame Anna, e dovrei aggiungerne tante altre... 
Ringrazio la mia cara amica Lina per i suoi splendidi disegni! Grazie di cuore davvero!!
Spero di avervi fatto sognare un po', regalandovi qualche emozione, anche piccola, come quelle che durano il tempo del viaggio di un cristallo di neve. 
Questa storia la dedico a mia sorella Ilana, che un anno fa mi convinse a provare a scrivere qualcosa...
Se volete, vi aspetto presto con le mie altre storie.
Cecile

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