The Lost Hero

di Stephanie86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. ***



1

 

 

 

 

“No!”, urlò Regina. L’oscurità l’avvolgeva e le turbinava intorno, preparandosi ad... offuscarla. La sentiva serpeggiarle addosso, sentiva che stava cercando il modo per entrare dentro di lei. “Ci deve essere un altro modo!”

“Non c’è. Hai faticato troppo per vedere la tua felicità distrutta”.

Non poteva farlo. Regina non voleva che lo facesse.

Emma si voltò verso Uncino e i suoi genitori. “Già una volta mi avete salvata dall’oscurità. Lo farete di nuovo! Da eroi”

 

- Basta. Ti stai rendendo ridicola e noi stiamo perdendo tempo! – La voce di Uncino ebbe lo stesso effetto che avrebbero potuto avere le unghie che sfregano contro una lavagna.

- Sta a guardare. So cosa sto facendo! – gli rispose Regina, agitando la bacchetta dell’Apprendista.

- Non è abbastanza! Abbiamo bisogno dell’oscurità e tu ti sei rammollita!

Regina abbassò il braccio e lo fissò, furente. Il sangue le rombava nelle orecchie così forte da stordirla. Le rombava nelle orecchie da quando aveva capito le intenzioni di Emma. Da quando aveva capito che Emma intendeva sacrificarsi perché lei non perdesse il suo lieto fine. Tuttavia detestò il pirata. Lo detestò con tutte le sue forze. – Vuoi vedere qualcosa di molle? Perché non usiamo quell’uncino per tirarti fuori le budella?

 

Uncino tentò di fermarla. Ma Emma non si fermò. Emma non poteva fermarsi. Gli disse che lo amava e poi si spinse verso il vortice. Allungò il braccio, protendendo il pugnale dell’Oscuro.

L’oscurità abbandonò Regina all’istante e si riversò addosso ad Emma. Le strisciò sul braccio come un serpente ansioso di accaparrarsi la sua preda, glielo cinse e infine si gettò completamente sulla sua nuova ospite.

 

Uncino venne ancora più vicino, alitandole in faccia una zaffata di respiro che sapeva di rum. I suoi occhi azzurri dardeggiavano e un ciuffo di capelli scuri gli era ricaduto sulla fronte. – Hai la forza, tesoro... ma non l’oscurità. Non più.

Non l’oscurità. Non più.

Regina avrebbe davvero voluto mostrargli che, se qualcuno l’avesse messa alla prova, avrebbe potuto fare molto male.

 

Regina ebbe modo di cogliere ancora qualcosa, prima che lei scomparisse del tutto. I capelli biondi che le fluttuavano intorno al viso, disordinatamente, l’ultimo barbaglio dei suoi occhi verdazzurri...

 

Perché non usiamo quell’uncino per tirarti fuori le budella?

La Regina Cattiva relegata in qualche buio angolo della sua mente aveva sorriso, compiaciuta, ma adesso...

- Per quanto possa sembrare ironico, hai fatto troppe cose buone – le fece notare Uncino, puntandole contro un dito. – No... abbiamo bisogno di qualcuno più... malvagio.

 

Infine l’oscurità cancellò definitivamente la Salvatrice e si sollevò, portandola con sé. Si sollevò in alto, continuando a vorticare, tempestosa.

Poi un lampo finale ed essa scomparve.

Il pugnale cadde al suolo.

Impresso sulla lama ondulata, come una minaccia, il nome Emma Swan. 

 

- No! – disse Regina, sbigottita. – No, no... non mia sorella! Non è solo malvagia, è una pazza scellerata.

- Vale la pena rischiare per Emma. Si è sacrificata per voi, Maestà – La voce di Uncino era bassa e roca. – Perché pensava che la Regina Cattiva potesse diventare buona, non è vero? Le devi qualcosa. Ripaga il favore.

Ripaga il favore?, pensò Regina. Improvvisamente la sua non era più soltanto furia. Provava un bisogno quasi crudele di scagliargli addosso quelle parole. Ripaga il favore, dici? È facile per te dire di ripagare il favore, vero? Non eri tu quello in procinto di essere risucchiato dall’oscurità. Non eri tu quello che sarebbe diventato il nuovo Signore Oscuro se non fosse stato per Emma. Non sei tu quello che sente il peso delle sue azioni! Tu sei soltanto il pirata rammollito al quale la Salvatrice ha confessato il suo amore prima di sacrificarsi per la persona che una volta odiava e che ha cercato di ucciderla! Un attimo prima era lì, davanti a me, un attimo dopo ha usato il pugnale per attirare l’oscurità. Ma sai che cosa ti dico? Scommetto che adesso non ha più tanta voglia di confessarti il suo dannato amore. Scommetto che la prima cosa che farà quando ti vedrà sarà strapparti il cuore dal petto e usarti come pupazzo! Non gliene importerà più niente del tuo grande amore, perché quello non la salverà mai! E se lo farà io non la fermerò, io lascerò che lei si prenda il tuo cuore e lo stritoli... E nella sua mente tutto ricominciò da capo: Emma con il pugnale in mano, la sua determinazione, quegli occhi, ricordava quegli occhi come se non vi fosse stato nient’altro da vedere in quel momento...

“Hai faticato troppo per vedere la tua felicità distrutta”.

Ed Emma aveva distrutto la sua. L’aveva distrutta per preservare quella della donna che un tempo aveva combattuto.

- Credo che tu non riesca più a ragionare lucidamente – continuò Uncino. – Sai benissimo che tua sorella è abbastanza malvagia da attivare quella bacchetta. Prenderemo delle precauzioni.

Regina si riscosse, agghiacciata dai suoi stessi pensieri. - Quali precauzioni?! Quali, Capitan Mascara? Sei sicuro di ricordarti di chi sia Zelena?

- Proprio perché me lo ricordo so che dobbiamo provarci!

- Mia sorella avrà preso delle precauzioni a sua volta. Non occorre essere un genio per intuirlo. Perché attivi la bacchetta è necessario rimuovere il bracciale che inibisce i suoi poteri. E sappiamo che Zelena non rispetterà alcun patto! – Stringeva ancora quella dannata bacchetta. Dentro di sé sapeva che Zelena poteva essere una soluzione, ma non avrebbe mai potuto affidarle un simile oggetto.

- Basta così! – intervenne Neve.

Regina e Uncino si voltarono, sorpresi di udire la sua voce. David sobbalzò, colto alla sprovvista a sua volta.

- Non abbiamo bisogno di questo. Abbiamo bisogno di focalizzarci su quello che conta davvero e quello che conta è Emma. - Il suo tono sembrava assolutamente controllato. Parlava così come avrebbe potuto parlare ad un gruppo di persone che avevano perso l’orientamento e non facevano altro che girare in tondo, come degli idioti. Ma sotto la superficie c’era qualcosa che ribolliva. Sotto la superficie, Biancaneve era fuori di sé. – Emma vorrebbe che restassimo uniti ed è quello che faremo. Resteremo uniti. Queste discussioni non ci condurranno da lei. Regina ha ragione. Zelena potrà anche sapere come azionare la bacchetta, ma è troppo pericoloso rivolgersi ad una strega così potente. Dobbiamo trovare qualcun altro.

- E chi? Avete un’idea migliore? – domandò Uncino, agitando l’unica mano che gli era rimasta.

- Sì, ce l’ho. – ribadì Neve.

David la scrutò, preoccupato.

- C’è qualcun altro che può attivarla. Ma dobbiamo sbrigarci. Quindi andate da Zelena e cercate di scoprire tutto su questa bacchetta. Ci servirà qualcosa per arrivare direttamente ad Emma. – Neve strinse di più il suo bambino tra le braccia. Neal mosse leggermente i piccoli pugni chiusi. Dormiva. Dormiva beatamente, ignaro di tutto. Lui non aveva grandi preoccupazioni. Non ancora. Doveva solo chiedere. O meglio, doveva solo piangere per avere ciò che desiderava.

- Chi è? Di chi si tratta? Sputate il rospo, mammina. – disse Uncino.

- Mi sorprende che tu me lo stia chiedendo. Andate da Zelena e quando avrete scoperto quello che ci serve, mi raggiungerete. Vi dirò io dove.

 

 

Secondo Zelena, perché la bacchetta li conducesse da Emma avrebbero dovuto usare qualcosa che le apparteneva, qualcosa di molto importante per lei.

La coperta.

Regina pensò alla coperta, certo. E pensò al maggiolino giallo. Ma il maggiolino non era fattibile. Non sapeva guidarlo.

“Dovevi prenderlo proprio giallo?”

“Mi piace il giallo. E poi l’ho rubato”.

E la coperta... l’aveva sempre avuta. La coperta era estremamente importante per Emma.

Andò a prenderla, mentre gli altri raggiungevano Biancaneve. Robin la seguì, ma non parlò di niente. Sembrava volerla sostenere in silenzio.

L’appartamento in cui Emma viveva... aveva vissuto con i genitori era vuoto. Naturalmente. Ma il silenzio che l’accolse quando vi mise piede la sconcertò. Era un silenzio strano, un silenzio pieno di domande e di attese. Un silenzio inquietante, persino. Si aspettava quasi di vedere Emma sbucare da dietro un angolo, scendere le scale o entrare in casa come se nulla fosse accaduto.

- Ti aiuto a cercarla – disse Robin, riferendosi alla coperta.

In realtà Regina impiegò ben poco tempo a trovarla. Era in una scatola posata sul fondo dell’armadio nella stanza di Emma. Sollevò il coperchio e vide il nome viola cucito sul tessuto bianco e morbido che un’eternità prima aveva avvolto una neonata. La neonata che lei avrebbe voluto catturare ed eliminare perché non spezzasse la sua maledizione. Quella neonata che era tornata ed ora si era sacrificata per impedire all’oscurità di insediarsi in lei, trasformandola nel nuovo Oscuro.

Ciò non fece altro che accrescere il senso di irrealtà e disorientamento. E la forza di quel sentimento era così forte da terrorizzarla.

“No! Ci deve essere un altro modo!”

“Non c’è. Hai faticato troppo per vedere la tua felicità distrutta”.

In modo incerto, le sue dita sfiorarono le E sulla coperta. L’indice tracciò le quattro lettere del nome della Salvatrice.

- Regina, di sotto non c’è. Ho cercato...

Lei sobbalzò, colta alla sprovvista dalla voce di Robin.

- Oh, l’hai trovata – L’uomo sorrise. Poi aggrottò un sopracciglio e domandò, impensierito: – Regina, ti senti bene?

- Certo – rispose, prendendo la coperta. La debolezza la inondò da capo a piedi, ma dopo un attimo si dileguò del tutto. – Certo, sto bene.

Robin si avvicinò e le appoggiò una mano sul braccio. – Vedrai. Troveremo anche Emma.

 

 

Quando la strega cominciò ad urlare, la guardia di turno si precipitò verso la cella e guardò dalla finestrella per capire che cosa stesse succedendo.

- Non apra – gli disse l’infermiera incaricata di portarle il pranzo. Reggeva il vassoio con i piatti coperti. Roteò gli occhi. – Sarà una delle sue sceneggiate. Quella donna è pazza. Il sindaco ha detto di fare attenzione.

- Credo stia male. – disse la guardia. Dalla sua posizione poteva vedere Zelena inginocchiata sul pavimento della cella. Si stringeva la pancia e intanto gridava aiuto. La sua voce era talmente acuta da rischiare di ferirgli i timpani.

L’infermiera guardò a sua volta. L’uomo armeggiò con le chiavi della cella e aprì la pesante porta con un paio di violente mandate.

- Ha bisogno di aiuto? – domandò la guardia, avvicinandosi con molta cautela.

Zelena rantolò qualcosa. La sua faccia, in parte nascosta dai capelli rossi, era una maschera di dolore. – Il... bambino... aiutatemi.

- Chiami il ginecologo – ordinò l’infermiera.

La guardia afferrò la radio appesa alla cintura. Sapeva quali erano le istruzioni. Regina Mills aveva chiesto esplicitamente che la sorella venisse monitorata spesso da un ginecologo e che, in caso di emergenza, avrebbe dovuto esserci qualcuno a controllare che Zelena si comportasse bene. Non possedeva la magia, grazie al bracciale agganciato al suo braccio, ma la sua mente era sempre al lavoro. Non ci si poteva fidare di lei.

La guardia si scordò di tutte quelle istruzioni. Il suo primo impulso era stato quello di soccorrere una donna incinta e in evidente difficoltà. Il suo primo pensiero era stato: se perde il bambino, il sindaco mi ucciderà.

Fu una questione di pochi secondi.

Zelena allungò una mano, afferrò il tessuto della camicia azzurra dell’uomo come un naufrago che cerca disperatamente un appiglio mentre è in balia delle onde. Ma l’altra guizzò fulminea verso il calcio della pistola, lo prese e prima che lui avesse il tempo di reagire aveva già estratto l’arma e sparato un colpo. Toccò alla guardia urlare. Crollò sul pavimento della cella con gli occhi fuori dalle orbite e il volto paonazzo, mentre una macchia di sangue si allargava sotto di lui, ferito alla coscia. La strega lo colpì in testa.

Infine Zelena puntò la pistola contro l’infermiera, che aveva lasciato cadere il vassoio. Il suo pranzo era sparso un po’ ovunque.

- Cosa sarebbe questo? Dove sono i miei anelli di cipolla? – domandò la strega, scostandosi qualche ciuffo di capelli dalla faccia e puntando i suoi occhi azzurri e folli sui broccoli e sul liquido, che era verde come lo era stata la sua pelle nella Foresta Incantata.

- Cibo biologico. – rispose l’infermiera, tenendo le mani bene in vista. – Ordini di sua sorella.

- Mia sorella. Mia sorella! – Zelena rise di gusto. Poi la fissò, furente. – Prendi le chiavi della cella.

L’infermiera fece come le era stato ordinato e le tese il mazzo di chiavi. Zelena se ne impossessò e poi raccolse un broccolo da terra. Lo lanciò alla donna, centrandola sul naso.

- Godetevi le comodità della mia stanza – disse, dirigendosi verso l’uscita. - E dite alla mia sorellina che le donne incinte non hanno bisogno di cibo biologico! Ma del resto... non mi sorprende che non lo sappia!

Rise di nuovo e li chiuse nella cella.

 

 

- Per mille diavoli, che cos’è questa roba? – esclamò Uncino, quando arrivò dove Neve aveva detto loro di incontrarsi.

- Beh, direi che è... rock – suggerì David, osservando la finestra aperta al secondo piano con le mani sui fianchi.

La musica sparata a tutto volume era un’ondata di parole incomprensibili, cantate da un tizio che a Regina sembrò un altro pazzo scellerato in procinto di rigurgitare e che aveva deciso di riversare la sua personale follia nelle canzoni. La sua irritazione salì quasi oltre il livello di guardia. Strinse più forte la bacchetta che aveva ancora con sé.

- Non è rock. È metal. Sono i Rammstein. – li corresse Henry. – Beh... in realtà non lo so bene. Forse è anche hard rock.

Regina si voltò verso il figlio, sconcertata. Quando Henry l’aveva chiamata per dirle che voleva unirsi a loro, non si era sentita sorpresa. Da una parte non avrebbe mai voluto che lui venisse. Non avrebbe mai voluto che... vedesse Emma nella sua nuova forma. Qualunque fosse la nuova forma. Né tantomeno avrebbe voluto che la vedesse compiere qualche azione terribile. Perché era ciò che bisognava aspettarsi dall’Oscuro. Un’oscurità così grande poteva portarti a compiere atti tremendi. Non era sicura di essere pronta lei per prima. Ma Henry era anche il figlio di Emma. Henry non poteva essere lasciato indietro, ad aspettare e basta.

- Hai la coperta – Quella di Neve non era una domanda. Il suo sguardo si posò dolcemente sulla coperta bianca.

- Sì. – disse Regina. – Avevo pensato al suo maggiolino, ma non sono molto brava a guidarlo.

Neve sorrise.

- Dunque... davvero possiamo fidarci di una ragazza che voi avete maledetto e che pochi giorni fa ha cercato di abbrustolirvi? – chiese Uncino.

- Non abbiamo molta scelta. Se non vogliamo ricorrere a Zelena, Lily è l’unica possibilità. – rispose la madre di Emma, ora in tono più risoluto.

- E se non funzionerà?

- Funzionerà. – tagliò corto Neve, dirigendosi verso l’ingresso.

In caso contrario troverò un’altra soluzione, pensò Regina. Devo trovarla. Non darò questa soddisfazione a quella maledetta di mia sorella. E se non esiste una soluzione alternativa... dovrò inventarmi qualcosa che tenga a bada Zelena.

Entrarono nell’androne e salirono le scale, in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

David bussò alla porta. Due colpi decisi. Attesero.

Il pazzo scellerato continuò a cantare e nel volume non vi fu alcuna variazione.

Regina venne avanti, facendo in modo che David si levasse dai piedi e bussò a sua volta, più forte. Era pronta a scardinare la porta con la magia se fosse stato necessario. Anzi, più probabile che avrebbe dovuto agire così fin da subito.

- Mal, sei tu? – gridò Lily.

No, non sono tua madre. Spegni e apri questa porta, idiota.

Il volume si abbassò notevolmente.

Come siamo arrivati a questo punto?, si chiese Regina. Com’è possibile che siamo davvero arrivati a questo punto?

Neve le lanciò un’occhiata, come se avesse intuito ciò che stava pensando.

Poi la porta si aprì e Lily si ritrovò a guardare sei facce tutte rivolte a lei. La figlia di Malefica li osservò con la fronte aggrottata e quel cipiglio aggressivo che la contraddistingueva. Indossava una maglietta nera e piuttosto usata con il nome di qualche altro gruppo folle come quello che stava ascoltando, un paio di jeans neri ed era scalza. Regina pensò, non per la prima volta, che non assomigliava affatto a sua madre. Quando mutava in drago era identica a Malefica, ma ora no. C’era qualcosa nel modo di guardare la gente, però... forse qualcosa nel modo in cui piegava le labbra che le ricordava la madre.

- Uhm... beh, salve. – disse, non molto convinta.

- Dobbiamo entrare. Abbiamo bisogno di parlarti – tagliò corto Regina.

- Se è per quella faccenda... – rispose Lily, riferendosi al fatto che si era tramutata in drago e aveva quasi cotto Neve e Azzurro. – Ci lavorerò su. Mia madre sta venendo qui apposta per...

- Non siamo qui per questo – disse Neve.

- E allora per cosa?

- Devi aiutarci. È successa una cosa ad Emma.

 

_________________________

 

 

Angolo autrice:

Ecco la mia nuova storia. Trattasi del mio primo esperimento con una long che segue la serie originale.

Come avrete capito, l’introduzione di nuovi personaggi cambierà gli eventi narrati nella prima parte della 5°stagione. Alcune cose si manterranno tali e quali. Altre varieranno. Ci saranno cambiamenti notevoli. Il mio disappunto per l’esclusione di certi personaggi/ship/storylines da questa prima parte di stagione era troppo grande e non ho potuto controllarlo. ^_^

Spero vi piaccia! Ringrazio, inoltre, Lara Zarina Neimann per il bellissimo banner


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Capitolo 2
*** 2. ***


2

 

 “Sono atterrita da questa cosa oscura
Che mi dorme dentro;
Avverto tutto il giorno il suo torcersi lieve e delicato, la sua malignità”

[Sylvia Plath]

 

 

 
Massachusetts. Due anni prima.

 

 Dove sono i soldi?”

“Io... non...”

“La domanda è molto semplice, amico. Dove diavolo sono i soldi? Sappiamo che in questa casa c’è un bel gruzzolo. Quindi muoviti”.

Doveva essere una cosa facile.

Un colpo studiato per raggranellare un po’ di denaro.

Ognuno avrebbe avuto la sua parte e sarebbe finita lì. Niente complicazioni.

Lily aveva già rubato. Non in una casa così grande, ma l’aveva fatto. La prima volta era andato tutto storto. Aveva dovuto nascondersi (nel garage della famiglia adottiva di Emma, tra l’altro), ma solo perché era inesperta, era una ragazzina e i due tizi che avevano organizzato la rapina erano disorganizzati. Uno di loro le aveva piazzato in mano una pistola e nessuna l’aveva avvisata di ciò che stava per accadere.

Il ragazzo che era con lei quella sera sembrava più preparato. Aveva già fatto qualche grossa rapina. Si chiamava Murphy. O almeno, quello era il nome con cui si era presentato, ma immaginava che non fosse quello vero. Non era certo un problema, dato che anche lei usava un nome falso.

 “Ho trovato la cassaforte”, disse Lily. Il passamontagna era un po’ stretto e aveva caldo. I suoi occhi scrutarono la cassaforte a muro.

“Bella grande?”, chiese Murphy.

“Abbastanza”.

“Sgancia la combinazione. Adesso”.

Il tizio e sua moglie erano abbastanza terrorizzati da non opporre la benché minima resistenza. Rannicchiati sul divano, fissavano il tizio che li minacciava con una pistola.

L’uomo sganciò la combinazione, balbettando.

“La tua data di nascita. Ma che puttanata. Sai che se fossi morto d’infarto avrei cominciato da quella? Scegline una più difficile, la prossima volta”. Murphy gridò la sequenza di numeri a Lily.

“Non sono sorda. Ho capito”, commentò lei, mentre pigiava i tasti. Pochi secondi dopo la cassaforte si aprì con uno scatto.

“Visto? Abbiamo quasi finito. Via il dente, via il dolore!”

Lily roteò gli occhi e mise il denaro che trovò nella cassaforte nel sacco che le aveva dato Murphy. Lo fece in fretta, dicendosi che ce n’era abbastanza per tutti e due. Abbastanza per filare via. Per trovarsi un altro posto dove stare. Magari qualche posto un po’ più isolato, dove lei non avrebbe perso il controllo, dove non ci sarebbe stato nessuno che avrebbe rischiato di diventare la vittima di tutte le sue scelte sbagliate.

“Svignamocela”, suggerì Lily, mentre già si avviava verso la porta sul retro.

Murphy non si mosse. “Mi diverte un sacco vedere quelli come te in mutande. Mi ricordi mio padre, non so se te l’ho detto”.

“Murphy, sbrigati!”

Poi sentirono le sirene. Auto della polizia in avvicinamento.

Lily si rese conto che erano davvero in un mare di guai. Gli occhi di Murphy dietro al passamontagna si allargarono in maniera spropositata.

“Hai chiamato la polizia?!”, gridò, puntando la pistola.

Il padrone di casa aveva i capelli grigi e scompigliati, era pallido come ricotta e rigido come un palo. Sua moglie singhiozzava.

“Rispondimi, figlio di puttana!”. Spinse la canna contro la sua faccia.

Lily era pronta ad andarsene senza di lui. Poco gliene importava di Murphy. Non aveva la minima intenzione di farsi beccare e le sirene dannate erano sempre più vicine.

“C’è... l’allarme. È collegato... alla centrale di polizia...”, farfugliò l’uomo, scostando il viso per sfuggire alla pistola.

“L’ho disattivato! Il cazzo di allarme l’ho disattivato prima di entrare in questa fottuta casa!”

Lily si diresse verso il retro.

“Ce n’è un altro... era...”

Murphy gli sparò.

 

***

 

Storybrooke. La sera prima.

 

“Vuoi trovarlo?”, disse Emma, riferendosi al padre di Lily.

“Ti dispiace se resto in città per cercarlo?”, domandò lei.

“No, è un’ottima idea”.

 

Anche Lily credeva fosse un’ottima idea. Aveva detto a Malefica che sarebbe rimasta per un po’ e sua madre l’aveva abbracciata, sentendosi immensamente felice.

Ma non appena mise piede nel suo appartamento, Lily venne colpita da una strana sensazione. Una forma densa e gelida di inquietudine.

Accese tutte le luci e fece il giro delle stanze, assicurandosi che ogni cosa fosse esattamente come l’aveva lasciata quando era uscita. E lo era, in effetti. Non c’era nulla fuori posto. Nessuno era entrato di nascosto mentre lei non c’era.

Eppure...

Si fermò, raggelata, guardandosi intorno con meraviglia e domandosi che cosa diavolo le avesse preso. Prese il ciondolo e lo strinse forte. Il pezzo dell’uovo di drago da cui era uscita le sembrò molto più solido, consistente.

Non c’era niente che non andasse in casa. Era qualcosa... che ruotava intorno a lei. Anzi, dentro di lei. Il cuore le batteva all’impazzata e la cute era fredda, improvvisamente troppo scarsa per ricoprire il cranio. Avvertiva un peso al centro del petto, come se l’oscurità che aveva sempre portato con sé si stesse condensando in un punto, come se stesse cambiando forma.

Non avvertiva dolore.

Era molto più intenso del dolore.

Forse l’oscurità stava rompendo gli argini, quasi fosse stata un fiume vorticoso che, a furia di essere alimentato, alla fine straripava, inondando ogni cosa.

Il mondo si inclinò brutalmente da un lato e Lily barcollò. Incontrò il bordo del tavolo e vi si aggrappò per non cadere.

Le occorse qualche minuto per riprendere il controllo. Aveva ancora il ciondolo stretto nella mano destra.

Da qualche parte, una finestra lasciata aperta cigolò e si chiuse, sbattendo.

Lily fece un salto e per poco non cacciò un urlo.

 

***

 

Storybrooke. Il giorno dopo.

 

Il pugnale con il nome di Emma impresso sulla lama era sul tavolo della cucina e sembrava occhieggiare i presenti.

Tutti tacevano.

Per qualche momento lo stupore impedì a Lily di reagire. Aveva l’impressione che fosse tutto assurdo. Aveva visto Emma solo la sera prima e avevano parlato della sua collana, del fatto che avrebbe potuto condurla da suo padre.

Era proprio quello che aveva in mente di fare. Lasciare che sua madre le insegnasse ad essere un drago feroce e spaventoso... e possibilmente in grado di controllarsi. Poi avrebbe dato un’occhiata in giro. Non sapeva se suo padre fosse a Storybrooke. Era anche possibile che si trovasse nella Foresta Incantata e che fosse ignaro di tutto, ma avrebbe comunque fatto qualche indagine.

E adesso...

Le stavano davvero dicendo che Emma... era il nuovo Signore Oscuro?

E ne sono davvero così sorpresa?

Ripensò alla terribile sensazione provata la sera prima. Alla sensazione raggelante che l’oscurità stesse cambiando forma dentro di lei, che la stesse divorando.

Non la stava divorando. Forse stava cambiando sul serio. Perché Emma, la sua legittima proprietaria, era cambiata.

Lily sollevò lo sguardo, incrociando quello di tutti gli altri. Poi allungò una mano verso il pugnale.

Regina l’afferrò per il polso. – No.

Lei ritirò il braccio, sciogliendo la presa. – E perché siamo qui? Cosa dovrei fare io?

- Aiutarci ad aprire un portale. Che ci condurrà da Emma. – Regina le mostrò la bacchetta, deponendola accanto al pugnale.

- Io dovrei usare la magia per attivare la bacchetta? Non so nemmeno controllare la mia trasformazione. E dovresti saperlo bene!

- Già. Una bella osservazione – commentò Uncino.

Regina ignorò il commento. – L’Apprendista... ci ha detto che nella bacchetta è contenuta la luce. Ma per attivarla servono... tutte e due le facce della medaglia.

- Quindi serve oscurità. La mia – Lily aprì il palmo, quello che Regina aveva tagliato per procurarsi il sangue che sarebbe stato utile all’Autore. Il taglio non c’era più, perché Malefica l’aveva guarito. Ma lei espose comunque la mano per ricordarglielo.

- Vedila in questo modo. Hai sempre pensato di essere stata maledetta. – Regina si sporse in avanti. Dietro di lei David e Neve si scambiarono un’occhiata. – E avevi ragione. Il potenziale oscuro che hanno trasferito dentro di te ti ha procurato non pochi guai. Adesso è giunto il momento di usare quell’oscurità per fare del bene. Per trovare Emma.

- La mia oscurità non fa del bene. È pericolosa.

Forse ora che Emma è cambiata... lo è più di prima.

- Unita alla luce custodita nella bacchetta farà esattamente ciò che deve fare. Aprirà il passaggio che ci condurrà da Emma. – Lo sguardo di Regina era scuro e determinato. – Prendi la decisione giusta, Lily. So che puoi farlo.

 

***

 

Massachusetts. Due anni prima.

 

“L’hai ammazzato, Murphy”, disse Lily, mentre la macchina, una vecchia Chevrolet rubata, sfrecciava lungo le strade a quell’ora praticamente deserte.

Il suo complice sedeva accanto a lei con una sigaretta infilata tra le labbra, gli occhi arrossati che si limitavano a guardare fuori dal finestrino senza vedere nulla di particolare. Non aveva detto una parola da quando erano fuggiti da quella casa, correndo più veloci che potevano. Avevano raggiunto la macchina e Lily aveva messo in moto quando Murphy non aveva ancora chiuso la portiera. Ormai Lowell e la contea di Middlesex erano lontane quasi un centinaio di chilometri. Nessun’auto della polizia in vista. Nessuna notizia alla radio. Non ancora. La stazione su cui erano sintonizzati stava trasmettendo un vecchio successo country di Johnny Cash.

‘Born to lose, I’ve lived my life in vain. Ev’ry dream has only brought me pain...’

“Non era così che doveva andare. Avevi detto che sarebbe stato un lavoro facile e pulito. Che non ci sarebbe nemmeno stato bisogno di usare la pistola!”

“Ma stai un po’ zitta, cazzo!”

“Perché l’hai ucciso? Non faceva parte del piano!”

‘All my life I’ve always been so blue. Born to lose and now I’m losing you’

Murphy si voltò di scatto verso di lei. “L’ho ucciso perché mi ha fregato!”

“Oh, no! La colpa è solo tua. Avresti dovuto sapere di quel secondo allarme”.

“Ho studiato la casa e il circondario per giorni!”

“Allora non l’hai studiata abbastanza!”

“Guarda la strada. Se facciamo un incidente siamo fregati per davvero. E poi quello che conta sono i soldi, no? Li abbiamo. Punto. Il colpo è andato bene. C’è un bel gruzzolo. Non me ne aspettavo così tanti”.

Guidò ancora per una quindicina di chilometri, contraendo la mascella e cercando di controllare la voglia di strangolare Murphy. Poi superò un cartello con la scritta: AREA DI SERVIZIO. 2 KM. E si rese conto che il serbatoio era quasi vuoto. La spia della riserva era già accesa. Johnny Cash aveva finito di ricordarle quanto fosse incasinata la sua vita.

“Dobbiamo fermarci. Siamo a secco”, annunciò Lily.

“Se l’area di servizio non è vuota non ci pensare neanche. Non mi interessa quanto siamo lontani, meglio proseguire fino alla prossima. L’auto reggerà”.

L’area di servizio era deserta. Forse ciò era anche dovuto al cartello che recitava: DIVIETO DI SOSTA NOTTURNA PER CAMPER, CAMION E FURGONI. Quindi parcheggiarono e scesero. Erano le cinque e quindici.

Lily andò a controllare i distributori di benzina, mentre l’altro si dirigeva verso i bagni. Non sembrava più nervoso. Probabilmente non aveva progettato l’omicidio, ma non l’aveva nemmeno escluso. O forse... non era il suo primo omicidio, perciò ci aveva fatto l’abitudine. Lily, dal canto suo, era furente. Qualcosa nella sua testa batteva forte, batteva come un maglio. Non riusciva a rilassare i muscoli e mentre prendeva la pompa di benzina per infilarla nella bocca del serbatoio le sue mani tremavano. Sentiva l’oscurità, quell’oscurità che l’accompagnava da sempre, salire da dentro, dall’abisso profondo, come una creatura affamata.

Avrebbe dovuto saperlo. Avrebbe dovuto saperlo che sarebbe finita così.

Finiva sempre così. Finiva sempre male.

‘Perché non provi a fare scelte migliori?!’

“Stai zitta”, sibilò, dando uno strattone alla pompa. “Stai zitta anche tu”.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Non è una buona idea, vero? – sussurrò Uncino ad Henry, riferendosi a Lily e a quello che stavano facendo con la bacchetta.

- E perché no? Lily era un’amica di Emma e ha... sai, una parte di mia madre dentro di sé. Che altro potrebbe servirci?

- La tua penna. – Ci pensava praticamente da quando era successo. Il ragazzino era il nuovo Autore. Significava che aveva il potere di cambiare le cose. Di riscriverle. L’aveva già fatto, riportandoli indietro da quella realtà alternativa in cui lui non era altro che un mozzo allergico al rum, incapace di battersi e soprattutto impacciato con le donne. Doveva esserci un modo per riscrivere ciò che era accaduto e riportare indietro Emma. Risistemare quel maledetto disastro. – Dov’è la penna? Ce l’hai con te?

- Beh... – iniziò Henry.

- Potresti usarla. Usala per cancellare l’oscurità e salvare Emma.

- Non ce l’ho più, la penna. L’ho rotta.

Uncino lo guardò, rabbuiato. Per una frazione di secondo provò il forte impulso di afferrare Henry per il colletto della giacca. - Tu... cosa?

- Era troppo potente. Hai visto che cos’è successo all’Autore. Lui...

Vi fu un colpo secco, di una porta che veniva sbattuta e poi Malefica fece il suo ingresso nell’appartamento. Rivolse ai presenti una lunga occhiata interrogativa. Poi vide il pugnale e la bacchetta.

- Che cosa sta succedendo qui dentro? – chiese sua madre.

Nessuno rispose. Lily stringeva la bacchetta.

- Che cos’è quella?

Regina era già abbondantemente stufa di mettere al corrente chiunque di ciò che era accaduto. E tuttavia dovette farlo.

- Il succo di questa storia è che vuoi usare mia figlia per attivare una bacchetta che apparteneva ad uno dei maghi più potenti che siano mai esistiti. – fu il commento di Malefica, quando ebbe finito di raccontare.

- Senti... – iniziò Lily, alzandosi.

- È l’unica persona che può aiutarci. – continuò Regina.

Malefica per poco non le rise in faccia. - L’unica?

- L’altra è mia sorella. Non ho la minima intenzione di chiedere a mia sorella di attivare la bacchetta!

- Lascia che lo faccia – disse Lily, osservando sua madre. – Posso farla funzionare. È solo una bacchetta...

Malefica afferrò il braccio della figlia. – No. Non sappiamo come si comporterà quando sarà attivata.

- Sentite, signora... – intervenne Uncino, facendo qualche passo avanti. La sua rabbia era palese. Serrava la mascella in continuazione. Sapere di non avere nemmeno la possibilità di usare la penna lo aveva reso ancora più furioso. – Non siete voi che decidete qui. Abbiamo perso già abbastanza tempo. Vostra figlia è... l’altra faccia della medaglia, mi dicono. Lasciatela provare e se non funzionerà ce ne andremo. Sono abbastanza convinto che non funzionerà, in effetti.

Malefica lo fissò come se lui fosse stato il più disgustoso degli scarafaggi. Poi si rivolse di nuovo a Regina. - Proverò io. Dammi la bacchetta.

- Non funzionerà e lo sai bene – intervenne Regina. – Con me non ha funzionato.

- Fino a poco tempo fa sapevo essere abbastanza terribile. Lo sono stata per molti anni. Se è l’oscurità ciò che serve, credo di averne ancora un po’.

- Lascia perdere, mamma. – disse Lily, cogliendo tutti alla sprovvista. La sua voce si era fatta più dura. Anche se l’aveva chiamata “mamma”, sembrava l’avesse detto unicamente per attirarne l’attenzione. I suoi occhi la scrutavano come si può scrutare qualcuno che ha appena raccontato la peggiore delle barzellette. – Ti hanno fatto troppe coccole. Se la Regina Cattiva non è in grado di usare questa cosa, figuriamoci se ne saresti capace tu. E poi non avevi detto che non ti dispiaceva la mia oscurità?

Malefica aprì la bocca per ribattere. Era costernata. Ci mise qualche istante a raccapezzarsi. – Non è la tua oscurità che mi preoccupa!

- Malefica, possiamo parlare in privato? – disse Regina, prima che la situazione precipitasse.

 

***

 

Massachusetts. Due anni prima. 

 

“Hai sistemato tutto?”, chiese Murphy non appena tornò da lei.

“Ho fatto il pieno. Per il resto non c’è proprio niente che possa essere sistemato”. Lily era appoggiata ai distributori, con le mani infilate nelle tasche della giacca e il vento che le scompigliava i capelli lunghi. Evitava di guardarlo.

“Non essere così apprensiva, Odile”, le rispose Murphy, chiamandola con il suo nome falso. “Non ci beccheranno. Non abbiamo lasciato tracce. La polizia non era ancora arrivata quando abbiamo tagliato la corda. Nessuno ha visto la macchina”.

“Non è solo questo che mi preoccupa! Dovevi per forza ucciderlo?”

“Non dirmi che ti dispiace per lui”. Murphy allargò le braccia. Portava ancora i guanti e la pistola era infilata nei jeans. I suoi occhi grigi risaltavano nella semioscurità. Erano argentei. “Pensa solo ai soldi. Con quei soldi faremo quello che vogliamo e andremo dove vogliamo”.

‘No, non andremo dove vogliamo. So che intendi uccidermi, Murphy. Forse non subito. Adesso ti servo. Ma lo farai’.

“E poi...”. Murphy le sorrise, ammiccante. Si avvicinò a lei, fino a quando la sua faccia non fu a pochi centimetri dal suo viso. Gli puzzava l’alito di tabacco e di birra. “È stato davvero eccitante, non pensi? Siamo proprio una bella squadra”.

Lily non disse niente e non si ritrasse. Lasciò che si avvicinasse ancora e che si chinasse su di lei per baciarla.

Poi allungò una mano e gli sfilò la pistola dai calzoni.

“Ehi, ma...”, fece lui, sinceramente sorpreso.

Lily lo colpì in fronte con il calcio della .38 e lo guardò cascare per terra, mentre il sangue gli sprizzava dalla ferita. Gridò di dolore e lanciò una virulenta imprecazione.

“Che cazzo...? Ma sei impazzita! Mi hai colpito!”, esclamò, ansimante. “Mi hai colpito, stronza!”

Lei gli diede un calcio in mezzo alle gambe e poi uno nello stomaco con il tacco dello stivale. “Tu non sai con chi hai a che fare. Mi avevi detto che sarebbe stato un lavoro pulito, invece hai ammazzato un tizio. La colpa è solo tua! Avresti dovuto sparare a te stesso. Sei così idiota da non esserti preoccupato del fatto che potessero esserci altri allarmi! E non te ne importa niente!”

“Ma fottiti!”, gridò Murphy, cercando di alzarsi. Cadde di nuovo e si portò una mano alla fronte. Il sangue gli inondava la faccia. “Se non fosse stato per me non avresti mai avuto quei soldi!”

“Se non fosse stato per te, non sarei nemmeno in questo casino!”

“Guarda che non te l’ho chiesto io di unirti alla rapina. Quindi te lo ripeto: fottiti! E si fotta pure tua madre!”

A quel punto la belva nera emerse dal suo abisso, digrignando i denti e con lo sguardo acceso come brace. Lily la percepì. Seppe che stava per perdere il controllo, ma non fece niente per impedirlo. Una nebbia rossa le oscurò la vista.

Con il primo calcio centrò Murphy in un fianco. Lui urlò di nuovo. Il secondo calcio lo raggiunse alla testa e lo mise a tacere.

Lo colpì ancora.

E ancora. E ancora. E ancora.

‘Fottiti e si fotta pure tua madre’

“Mia madre è un drago”, disse Lily, mentre seguitava a colpirlo. “Mia madre è un drago e se fosse qui ti avrebbe già dilaniato”.

La nebbia rossa si diradò lentamente.

Murphy giaceva immobile sull’asfalto. La sua faccia era un grumo di sangue e capelli.

Cercò di recuperare un po’ di lucidità. Il cuore le batteva fortissimo, quasi fosse in procinto di sfondare la cassa toracica.

Sarebbe arrivato qualcuno, adesso. Ne era sicura. Un camion o un’automobile avrebbe svoltato, entrando nell’area di servizio e la prima cosa che il guidatore avrebbe visto sarebbe stato Murphy. E lei. Soprattutto lei con lo stivale sporco di sangue e gli occhi da folle. Se fosse accaduto, Lily forse avrebbe avuto il tempo di scappare. O peggio ancora... avrebbe perso un’altra volta il controllo e avrebbe ucciso di nuovo. E poi di nuovo. Avrebbe ucciso... continuando all’infinito. Le venne in mente un orribile girotondo di bamboline di carta.

Salì in macchina e sbatté la portiera. Due secondi dopo la Chevrolet partì, sgommando. Lanciò un’occhiata nello specchietto retrovisore e vide il corpo di Murphy a terra, abbandonato come un sacco di stracci. Si diresse all’uscita, accelerando brutalmente. La strada era libera. Un vero miracolo. Notò i fari di un’auto, ma era ancora molto lontana e c’era la possibilità che nemmeno si fermasse nell’area di servizio.

Lily non si perse troppo dietro quei pensieri e guidò per altri cinquanta chilometri senza fermarsi. Ogni tanto superava il limite di velocità e poi decelerava per non correre rischi. Il senso di angoscia continuava a seguirla. Non era l’omicidio ad assillarla. Era proprio quello il punto. Non era l’aver ucciso Murphy a farla sentire male. Era proprio l’idea di non sentirsi minimamente in colpa e sconvolta per ciò che aveva combinato a renderla furiosa. Una persona normale avrebbe provato disgusto per se stessa, forse avrebbe provato rimorso anche se Murphy non era certo uno stinco di santo. Una persona normale avrebbe perso il sonno ricordando la testa maciullata del ragazzo. Lei no. Qualsiasi cosa facesse le si rivoltava sempre contro. Fosse una cosa giusta o sbagliata, la storia non cambiava. L’unica cosa che temeva era di essere beccata e accusata d’omicidio. Il che significava passare anni in carcere.

Ed era furiosa anche con le persone che l’avevano fatta diventare così. Che l’avevano maledetta.

‘Loro volevano proteggere Emma’, aveva detto l’uomo sull’autobus. ‘Volevano che fosse buona’.

E ciò comportava che qualcun altro dovesse essere riempito di oscurità.

Li odiava e li voleva morti.

‘Perché non provi a fare scelte migliori?!’

Cinquanta chilometri dopo l’omicidio si fermò in un’altra area di servizio e usò l’autolavaggio per dare una pulita alla Chevrolet. Si fiondò nel primo bagno libero per guardarsi alla specchio, sicura di avere un aspetto spaventoso. Invece no. Gli occhi erano un po’ cerchiati, ma quello non era una novità. Si gettò in faccia un po’ d’acqua gelata. Poi ripartì e fece una nuova sosta dopo altri quaranta chilometri. Aveva svoltato a sinistra invece di proseguire sulla Route 92. Trovò un ristorante ancora deserto, si portò sul retro della costruzione e imboccò una strada sterrata che conduceva nel bel mezzo dei campi.

Qui fece ciò che andava fatto. Prese il denaro e la borsa che aveva messo nel bagagliaio prima della rapina, immaginando che quella sarebbe stata, in ogni caso, l’ultima notte a Lowell. Poi prese la tanica di benzina che aveva riempito dopo aver fatto il pieno. La sparse dappertutto.

Infine diede fuoco all’auto.

La guardò bruciare. Le fiamme ruggirono e si proiettarono verso l’alto. La Chevrolet esplose con un rombo soffocato e una sfera di fuoco si levò dal baule della macchina. Era molto luminosa, troppo per poterla guardare, ma Lily restò comunque a fissare le fiamme per qualche minuto, affascinata. Il lunotto posteriore esplose verso l’interno. Pezzi di metallo volteggiarono nell’aria.

Quando si rimise in cammino erano le otto e quindici.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Che cosa stai cercando di fare?! – esclamò Malefica, dopo che Regina l’ebbe accompagnata fuori dall’appartamento.

- Sto cercando di salvare Emma.

- Usando mia figlia?

Regina roteò gli occhi. – Tua figlia è l’unica che può azionare la bacchetta. Se lo chiedessi a Zelena si rivolterebbe contro di me. Non possiamo permettercelo.

- Diciamo che tu non puoi permettertelo. – precisò Malefica, aggrottando le sopracciglia. - Perché sei totalmente incapace di gestire tua sorella.

- Mia sorella è ingestibile per chiunque! Adesso è senza poteri, ma se le tolgo il bracciale se ne approfitterà di certo. Ed è molto potente.

Malefica sembrava sorda. Parlava come se non avesse sentito le sue risposte. - Per te sarebbe un bene se prendesse il largo! Porta in grembo il figlio del tuo uomo.

- Forse! Forse sarebbe un bene! Peccato che, se lo facesse, non solo si porterebbe via il figlio di Robin, ma noi non saremo in grado di trovare Emma!

Vi fu un breve istante di silenzio. Lei e la sua vecchia amica si fissarono.

- Non sai nemmeno quali potrebbero essere gli effetti di quella bacchetta! – Malefica si avvicinò, minacciosamente. Era molto più alta di lei, quindi Regina dovette alzare la testa per guardarla in faccia.

- La bacchetta non farà del male a Lily. Tua figlia è l’altra faccia della medaglia. Senza di lei non possiamo aprire il portale.

- Se non sbaglio ci hai già provato una volta.

- Come?

- Lily me l’ha raccontato. L’hai ferita per prenderti il suo sangue e usarlo per scrivere il tuo maledetto lieto fine. – Adesso gli occhi di Malefica, che di solito erano grandi e celesti, si erano accesi come tizzoni ardenti. Erano talmente vicini che Regina riuscì a vedere il fuoco bruciare nelle iridi. – Ed ora... vuoi usarla di nuovo. Tanto a te non importa niente, vero? Se succede qualcosa a Lily a te non importa.

- Non è così...

- Lei non sa controllare la sua trasformazione. Non controlla l’oscurità che ha dentro. Nessuno gliel’ha mai insegnato. Non trovi anche tu che sia rischioso che entri in contatto con un’altra fonte di magia? – Malefica strinse il colletto della sua giacca con una mano. – Ho appena ritrovato mia figlia. Non permetterò che corra dei pericoli.

Regina sentiva il sangue ribollirle nelle vene. Non staccava gli occhi da quelli dell’altra e non aveva la minima intenzione di cedere. Ma comprendeva fin troppo bene che cosa volesse dire amare un figlio e fare di tutto per proteggerlo. Soprattutto quando quel figlio ti era appena stato restituito.

- So quanto ti piace cavalcare i draghi, Regina – continuò Malefica, con la voce incrinata dalla rabbia.  – Ma sai una cosa? Se dovessi fare del male a mia figlia, ti assicuro che non cavalcherai nessun drago. Finirai dritta nella bocca del drago. E verrai dilaniata.

Regina appoggiò una mano sul braccio di Malefica, inducendola a lasciarla andare. Chiuse gli occhi per un attimo e trasse un profondo respiro. - Non voglio fare del male a tua figlia. Ho solo bisogno che mi aiuti. Che mi aiuti con la bacchetta. L’avrebbe fatto l’Apprendista, ma lui ormai è morto. Pensa anche a tua figlia. Lei ha il potenziale oscuro di Emma dentro di sé. Ha sempre pensato di essere pericolosa. Si è isolata... apposta perché credeva che fosse la soluzione migliore per evitare di fare del male a qualcuno.

Malefica non disse niente.

- Quando io ed Emma l’abbiamo trovata... era piena di rabbia. Lo è tuttora, lo so. Ma questo potrebbe essere un inizio, non credi? Se usa la sua oscurità per portarci da Emma... farà una cosa giusta. Malefica, dobbiamo aprire quel portale e trovarla. Lei...

Malefica seguitò a fissarla.

- Lei mi ha salvato la vita. È diventata l’Oscuro per proteggere me. Se non fosse stato per Emma ci sarebbe il mio nome su quel pugnale.

“Ci deve essere un altro modo!”

“Non c’è. Hai faticato troppo per vedere la tua felicità distrutta”.

Per un attimo regnò il silenzio.

- Adesso... non ho molta scelta. – continuò Regina. - Devo trovarla. Dobbiamo trovarla, prima che l’oscurità prenda il sopravvento.

 

Lily impugnò la bacchetta ed ebbe l’impressione di avvertire la magia che vi era custodita, una forza bianca che cercava la controparte per poter diventare qualcosa di vivo e di reale.

- Che cosa dovrei fare? Pronunciare un incantesimo? – domandò la ragazza.

- Niente incantesimi – rispose Regina. Le spiegò come aveva agito lei quando aveva cercato di usarla per aprire il portale.

- Credo che mi piaccia questo ruolo da Harry Potter. – commentò Lily, portandosi la bacchetta davanti al viso.

- Harry Potter? – chiese Uncino, sollevando un sopracciglio.

- Era un mago – spiegò Henry.

Regina ignorò quelle esternazioni e si concentrò Lily, in attesa che facesse quello che tutti si aspettavano che facesse.

“Prendi la decisione giusta, Lily. So che puoi farlo”.

Quella era una cosa che avrebbe potuto dirle anche Emma, se fosse stata presente.

“Perché non provi a fare scelte migliori?!”

- D’accordo. Vediamo di farla funzionare – disse Lily.

Sollevò la bacchetta, puntandola verso il soffitto e disegnano un cerchio immaginario nell’aria...

___________________

 

 
Angolo autrice:

Salve!

Giusto una precisazione.

La frase: Le venne in mente un orribile girotondo di bamboline di carta. Non è mia. È leggermente modificata, ma è tratta da un romanzo di Stephen King, Chi perde paga.

Non in tutti i capitoli della fan fiction saranno presenti della citazioni come quella di Sylvia Plath. È una caratteristica di alcuni capitoli.


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Capitolo 3
*** 3. ***


3

 

 

 

Sulle prime non accadde assolutamente niente, proprio come non era accaduto niente quando Regina aveva provato ad attivarla.

L’aria rimase immobile. Non vi furono scintillii, non vi furono bagliori magici, nessun segno che indicasse che la bacchetta dell’Apprendista stava funzionando.

La mente di Regina iniziò a turbinare alla ricerca di un’altra soluzione che non includesse Zelena, oppure di una soluzione che la includesse ma che non comportasse correre dei rischi inutili.

C’è oscurità dentro questa dannata ragazza, pensava. C’è oscurità. L’oscurità di Emma! Deve funzionare!

Uncino si mosse in avanti. David allungò una mano per fermarlo e Neve aprì la bocca per dire qualcosa...

Poi vi fu l’improvvisa sensazione che qualcosa stesse cambiando. Regina avvertì chiaramente la pelle delle sue braccia che si accapponava e un soffio d’aria che le spostava una ciocca di capelli.

La bacchetta scintillò, sinistra.

- Io credo... – cominciò Lily.

La magia si attivò, esplodendo come un gigantesco tuono.

Lily avvertì una fitta al petto che la costrinse a piegarsi in due. Per qualche secondo il mondo diventò nero e in quel nero lei vide gli occhi argentei di Murphy, il ragazzo che aveva ucciso a calci. Vide il suo corpo abbandonato sull’asfalto dell’area di servizio. Vide se stessa mentre calava la pistola sulla sua testa. Vide lo stivale sporco di sangue. Le fiamme che avevano bruciato l’auto che si levavano verso il cielo. E quelle fiamme mutarono, trasformandosi in un drago fatto di fuoco. Il drago spalancò le enormi ali e aprì la bocca per emettere un ruggito...

- Che diavolo succede?! – gridò Uncino.

Il nero si diradò e Lily vide che la bacchetta era caduta.

Regina corse alla finestra e si sporse per guardare fuori. Nessun portale si era aperto all’interno dell’appartamento, ma era accaduto tutto all’esterno. Le foglie vorticavano e rotolavano lungo la strada principale di Storybrooke. Il vento era aumentato di intensità. Alcune finestre si chiusero, sbattendo, ed una andò in frantumi.

Lontano, lungo la linea di confine che separava la città dal resto del mondo, un’enorme nube scura e solcata dai lampi si levò dalla terra come un mostro rudemente risvegliato dal suo letargo.

Tutti si precipitarono in strada.

- Quello è il portale? – chiese Robin, alzando la voce per farsi sentire sopra il frastuono.

La nube mutò lentamente forma, trasformandosi in un gigantesco tornado, che si mosse minacciosamente verso di loro.

- Sì – disse Regina.

- Lily... ce l’hai fatta – disse Malefica, quasi incredula, ma anche ammirata.

Lily non rispose, ma guardò il tornado molto compiaciuta, mentre ciocche di capelli scuri le frustavano il viso.

- E adesso... – disse Regina. – Andiamo a prendere Emma.

- No! – gridò una voce alla sua spalle. – Andiamo da tutt’altra parte!

Zelena usò la magia che aveva recuperato per avvinghiare Robin. Una forza invisibile lo afferrò e lui strisciò sull’asfalto fino alla strega.

- Zelena – sibilò Regina, maledicendo mentalmente quegli idioti del manicomio. – Lascialo.

Non era stato molto difficile trovare una via d’uscita dal manicomio. Dopo essersi liberata della guardia e dell’infermiera con il suo dannato cibo biologico, aveva trovato la via per le cucine e lì aveva sparato tre colpi a raffica, costringendo i cuochi a gettarsi a terra in preda al panico. Lei non possedeva i suoi poteri, ma loro non li avevano mai posseduti. Sua sorella tendeva a sottovalutare le sue capacità. Il pesante coltello da macellaio le era servito per amputarsi il braccio poco sopra il fastidioso bracciale che inibiva la sua magia. Ed essa si era liberata, aveva ripreso a scorrere come sangue nelle sue vene, sotto la pelle, facendola sentire enormemente potente. Si era ricostruita il braccio con un semplice incantesimo. Suo figlio aveva approvato, muovendosi nel suo ventre. Le sembrava incredibile che una creatura ancora così piccola potesse essere già così forte.

- Sì, tesoro – aveva risposto Zelena. – Adesso la mamma ti porta a casa!

Era scomparsa in una nuvola verde per riapparire sulla via principale di Storybrooke, in tempo per ammirare il portale spalancato e pronto a risucchiarli.

- Oh, sorellina. Non fraintendermi. La cella era molto comoda, ho potuto apprezzare un po’ di solitudine e meditare. – rispose. Il sorriso della strega era largo e trionfante.  Costrinse Robin ad alzarsi. Onde di energia scaturivano dalle sue dita; deformavano il viso di lui e formavano pieghe sui suoi vestiti. – Dammi quella bacchetta, se non vuoi vedere il tuo preziosissimo Robin volare come una delle sue frecce e sfondare l’orologio. Sarebbe un peccato, non trovi? Tu sai che cosa si prova. Ma per lui sarà diverso. Lui non è te.

Regina serrò la mascella. – Che cosa intendi fare? Toglili le mani di dosso...

- Oh, non sono venuta per fare del male a Robin. Non deve per forza andare così. Come vedi sto trattando. – disse sua sorella, in preda ad uno dei suoi raptus. I suoi occhi sembravano molto più azzurri; erano come i lampi che squarciavano la turbinante nube nera alle loro spalle. Erano pieni di potere e di collera. Di disprezzo. Erano bellissimi, eppure in quel momento non parvero neppure occhi umani. Si portò una mano al ventre. – Sono stanca di perdere contro di te! Continui a prenderti qualsiasi cosa! Adesso... è giunto il momento di finirla. Adesso ho qualcuno che mi amerà! Qualcuno che amerà soltanto me! Ed è qualcosa che nessuno mi porterà mai via! Io andrò molto lontano da te e da Robin! Il più lontano possibile! Dove non potrai seguirmi...

- Oz... – mormorò Regina.

- Già! Adesso dammi la bacchetta, altrimenti il tuo amato fuorilegge farà una brutta fine.

- No! – intervenne Lily, rivolgendosi a Regina. – Non lo fare! Non puoi!

- Non ho scelta – rispose Regina. E allungò la bacchetta alla sorella.

Zelena si affrettò a prenderla e lasciò andare Robin, spingendolo verso di lei. – Ben fatto! Questo sì che si chiama essere ragionevoli. Ora... lasciate che guidi questo tornado nel posto giusto!

Estrasse il ciondolo che aveva usato per assumere le sembianze di Marian e con un gesto della mano lo attivò. La luce verde brillò nella gemma e Zelena usò la bacchetta per tracciare tre cerchi immaginari intorno al suo talismano. Dopodiché diresse la magia verso il tornado.

Regina udì un ruggito basso e cupo. Sulle prime, troppo impegnata ad osservare la sorella guidare la magia verso Oz, pensò che fosse il portale, pensò che il portale avesse una voce, quasi fosse un essere vivente, una creatura che rispondeva al richiamo della nuova proprietaria. Zelena non era mai sembrata così raggiante come in quel momento.

- Dannazione, state indietro! – gridò Uncino.

Un’ombra enorme calò su di lei e Regina si girò di scatto. I resti di un’altra nube magica disparvero e l’enorme drago nero si drizzò sulle zampe posteriori, spalancando le ali e le fauci. Anche la strega si voltò, colta alla sprovvista dall’apparizione.

- Lily, no! – urlò Malefica.

Il drago rischiò di schiacciarla con una delle enormi zampe e Malefica si ritirò precipitosamente, urtando Azzurro, che l’afferrò prima che potesse cadere. Arretrarono tutti.

Il tornado aveva assunto le stesse sfumature dell’invidia e si avvicinava sempre di più al centro della città.

Zelena guardò Lily per nulla intimorita. – Avresti dovuto mettere un collare al tuo cucciolo!

Il drago ruggì, indignato. Mosse un passo in avanti, scuotendo la terra stessa. Poi tirò indietro il collo e sputò una fiammata contro la strega. Zelena sollevò la bacchetta e formò uno schermo magico, che deviò il fuoco spedendolo dritto contro l’edificio più vicino. Le fiamme intaccarono subito la struttura e una vetrina esplose, mandando frammenti ovunque.

Lily ruggì di nuovo e si preparò ad attaccare ancora. Scosse la testa, sparando altri lapilli infuocati sui tetti delle case. Sventagliò la coda da una parte all’altra. Sfondò due finestre e colpì un palo della luce. Esso si piegò e si schiantò al suolo. Gente spaventata prese a correre per le strade, a casaccio, il più lontano possibile dal drago. Uncino avvertì chiaramente l’enorme coda sibilare a pochi centimetri dalla sua testa.

- Vieni avanti, piccolo drago, ma vediamo di sbrigarci! Ho un portale che mi aspetta! – Dettò ciò, Zelena puntò la bacchetta e l’agitò. Sprizzarono scintille verdi.

- Devo fermarla! – disse Malefica.

- No, aspettate! State indietro. È pericolosa. Non sa quello che fa – esclamò Uncino, trattenendola per un braccio.

- È mia figlia! – urlò Malefica, liberandosi dalla sua presa. – Sei tu che dovresti stare indietro.

Corse verso il drago.

Zelena cercò di attivare di nuovo la bacchetta, ma non rispose ai suoi comandi. La strega si piegò in due, in preda ad un dolore terribile. I suoi polmoni erano come due vesciche sforacchiate e aveva l’impressione di avere una grossa scheggia conficcata nel fianco. Lily aprì l’enorme bocca fumante, alimentando la fornace che aveva nella pancia.

Malefica si mise tra lei e Zelena, alzando entrambe le mani. – Lily, aspetta!

Il drago si spostò in avanti e quasi la investì. Sentì il calore che emanava e percepì la sua furia.

- Lily, non è per questo che hai aperto il portale. Ti prego! Puoi controllarlo, se lo vuoi!

Regina non ci pensò due volte e raggiunse la sorella, intrappolando il suo polso nel bracciale nero. Zelena imprecò ferocemente.

Lily piantò gli artigli nell’asfalto e allungò il collo verso la madre. Il suo sguardo era acceso e furibondo. Malefica non si tirò indietro. Per la seconda volta nel giro di pochi giorni ebbe l’impressione di osservarsi in uno specchio. Sua figlia, in quella forma così selvaggia, era enormemente simile a lei. Era più incontrollabile, ma all’inizio lo erano tutti. Lily lo era più degli altri, certo, eppure vide il guizzo di consapevolezza nei suoi occhi. Sapeva che la stava ascoltando e che stava cercando un modo per fermarsi, sebbene l’istinto le suggerisse di colpire e distruggere.

- Lily...

Regina lanciò un’occhiata al tornado. Stava arrivando e a gran velocità. Se non l’avesse diretto subito verso il posto giusto si sarebbero ritrovati ad Oz e sarebbe stato un grosso problema.

La testa di Lily scattò all’indietro e dalla fauci esplose un’altra fiammata, diretta verso il cielo come lava eruttata da un vulcano. Infine la nube viola riavvolse il drago, ricoprendolo completamente.

David accorse per aiutare Regina con la strega, che si dibatteva.

Lily recuperò la sua forma umana. Respirava affannosamente e aveva la netta sensazione che il fuoco stesse per uscirle dalla bocca un’altra volta. Invece tossì e basta. Malefica la aiutò.

- Va tutto bene. – le disse. – È tutto finito.

Lily vide il fumo che saliva e udì il crepitio delle fiamme. – Non mi sembra che vada tutto bene. Dov’è quella strega?

- Non si è fatta niente. Ha solo passato un brutto momento come meritava.

Lily si alzò in piedi. Il casino che aveva provocato era notevole. – Mi dispiace.

- Non è niente di irreparabile – commentò Malefica.

Ma avrebbe potuto esserlo, pensò Lily, osservando la strega, mentre veniva strattonata. Non le sarebbe dispiaciuto farle un po’ male... ma avrebbe anche potuto uccidere persone che non c’entravano nulla.

- Che è successo? – domandò Uncino, riferendosi a Zelena. – Cosa le ha fatto, quella bacchetta?

- È successo che io non sono stupida – rispose Regina, sorridendo soddisfatta. – Lei sarà anche capace di aprire il portale, ma so quali sono le sue debolezze.

Zelena la fissò, fuori di sé, i capelli che le ricadevano disordinatamente sul viso.

- La nostra famiglia sa fare molto bene una cosa, sorellina: sfruttare il dolore. E questo ti ha sconfitta.

 

 

- TORNADO!!! – Leroy si fiondò all’interno del Granny’s, seguito dagli altri nani. – Tornado in arrivo! E c’è anche un drago nei paraggi!

- Sta tranquillo, Leroy. Non c’è più nessun drago. E il tornado l’abbiamo visto. Siamo stati noi – disse Neve, stringendo di più il figlio. Ormai il rumore prodotto dal turbine era diventato un boato e Regina aveva già usato la bacchetta sulla coperta perché li conducesse nel posto giusto. Zelena, invece, era stata legata saldamente ad una sedia.

- Voi...? – si sorprese Leroy.

- Ci porterà da Emma.

Veramente sono stata io a farlo, avrebbe tanto voluto dire Lily. Stava sbirciando da una finestra. La tromba d’aria sradicò alcuni alberi e si tuffò lungo la strada principale, dirigendosi rapidamente verso il locale di Granny. Sono stata io a fare tutto.

- Fuori, nani. Solo gli adulti sono ammessi – disse Regina.

- No! – le rispose Leroy.

- No? – chiese un altro nano.

Lily si girò a guardare la piccola schermaglia. Regina aveva tutta l’aria di averne le scatole piene dei nani. Ovvio. La matrigna di Biancaneve non poteva che detestare quelle creature. Supponeva che il nano che guidava il gruppo fosse Brontolo. Bastava guardarlo in faccia per riconoscerlo.

- Noi restiamo – precisò di nuovo, rivolto a Biancaneve.

- Restiamo?

- Siamo stati estromessi per troppo tempo, sorella. Eravamo abituati alle avventure.

Lily sbirciò ancora dalla finestra. Il tornado era a pochi metri da loro. Non vedeva più niente, se non i lampi e il turbinare della tromba d’aria che li avrebbe portati da Emma.

La tua oscurità... contro quella del nuovo Signore Oscuro.

- Ora sta diventando imbarazzante – continuò Leroy, sempre più adirato. – Come ti sentiresti se qualcuno ti chiedesse di raccontarti la tua avventura... e non potessi farlo perché non sei stato invitato? Perché non c’era bisogno di te?

Abbiamo davvero bisogno dei Sette Nani?, si chiedeva Lily.

- Non ti volteremo le spalle di nuovo. Neanche dinanzi ad una morte certa.

Neve sorrise. – Grazie.

- Morte certa?

A quel punto il tornado travolse il Granny’s. Lo travolse e lo sradicò letteralmente dalle sue fondamenta.

Lily cercò invano di aggrapparsi a qualcosa, ma rovinò sul pavimento, mentre il resto della truppa si barcamenava per trovare un appiglio.

- Tenetevi forte! – gridò qualcuno.

Piatti e bicchieri si ruppero con fracasso, le sedie scivolarono fino alla parete opposta, le lampade oscillarono da una parte all’altra. I muri vibrarono, scossi dalla forza della magia.

- Stai bene? – le chiese Malefica, raggiungendola.

- Per ora sì – rispose Lily.

Sua madre la strinse saldamente contro di sé. Da sopra la sua spalla, Lily vide che Regina faceva lo stesso con suo figlio Henry.

 

***

 

Tempo addietro Lily aveva assistito ad una gara di bull riding.

Gli aspiranti vincitori erano uomini vestiti da cowboy che montavano tori imbufaliti, lottando per restare in sella e per portarsi a casa un generoso premio in denaro. Alcuni venivano disarcionati subito, altri invece riuscivano a restare in groppa all’animale abbastanza a lungo da ottenere un buon punteggio e passare alla fase successiva, durante la quale venivano abbinati ad un altro toro.

Proprio nel corso dell’ultima gara, Lily aveva visto un uomo robusto e molto sicuro di sé in sella ad un bestione di nome Thunder, che più che un toro pareva un mostro nero partorito da chissà quale incubo. Sbuffava furiosamente, sgroppava come un forsennato, gli occhi sembravano braci ardenti in procinto di scoppiare nelle orbite. Il suo cavaliere reggeva la corda con una mano e usava il braccio libero per mantenersi in equilibrio.

Aveva resistito circa un minuto, poi era stato sbalzato dalla schiena della bestia ed era rotolato malamente nella polvere dell’arena. Si era alzato, zoppicando e aveva cercato di darsela a gambe. Il toro l’aveva caricato.

Non ricordava più bene cosa fosse successo dopo. Di certo l’uomo aveva riportato una serie di fratture e lesioni, ma Lily non aveva pensato tanto allo spettacolo del toro che cercava di ucciderlo, quanto al fatto che la sua vita era proprio ciò che aveva visto quella sera. La sua vita era Thunder e sgroppava esattamente come lui. L’oscurità che aveva dentro era Thunder e più lei si sforzava di controllarla, più ne perdeva il controllo. Più cercava di restare in sella, più l’oscurità la costringeva con la faccia nella polvere.

Ma l’oscurità di Emma era ben peggio.

L’oscurità di Emma era qualcosa di più grande, qualcosa di molto più tenebroso, che andava oltre la maledizione che le aveva legate fin dal principio.

Lily ne ebbe un assaggio quando, giunti nella Foresta Incantata, trovarono la nuova Oscura pronta a disintegrare il cuore pulsante di una tizia vestita di azzurro e con una fitta massa di riccioli rosso fuoco. Erano all’interno di un cerchio di pietre, in mezzo alla foresta. Sull’erba c’erano delle frecce.

- Emma, no, aspetta! – gridò Uncino, allungando una mano per fermarla, ma senza arrivare a toccarla.

- Voi...? Come... – disse, vedendo sopraggiungere la sua famiglia al gran completo.

- Il come non ha importanza. Niente ci avrebbe mai fermati.

- Non sapete cosa sta accadendo. – Emma aveva uno sguardo spiritato. Era scossa dai brividi e non sembrava certo in forma; indossava una lunga tunica di un grigio polveroso, vecchia e consunta, quasi avesse vissuto in quei boschi per mesi. Non aveva l’aspetto che forse chiunque si aspettava. La sua pelle era pressoché immacolata, ma gli occhi era segnati da ombre scure.

- Devo. – rispose Emma. La mano che stringeva il cuore della vittima tremava - Questo è l’unico modo per trovare Merlino, lui è l’unico che può sconfiggere l’oscurità. È... l’unico modo per proteggere tutti voi.

- Controlla l’oscurità, se non vuoi che ti consumi. – intervenne Regina, muovendo un passo avanti. Nemmeno lei si azzardò a toccare Emma.

Lei le rivolse una mezza occhiataccia. - Non puoi saperlo.

Regina dovette pensare che fosse diventata pazza.

- Non possiamo permettere che lo faccia. – Neve estrasse il pugnale, pronta ad utilizzarlo.

- No. – disse Uncino. – Deve essere una sua scelta.

Lily si rendeva conto che avrebbe dovuto dire qualcosa a sua volta. Era abbastanza vicina ad Emma e, quando l’Oscura sollevò lo sguardo puntandolo su di lei, Lily seppe che, forse, avrebbe anche potuto convincerla a lasciar perdere. Ma era molto difficile distogliere l’attenzione dalle dita che stritolavano il cuore rosso di quella poveraccia. Era difficile distogliere la mente da tutto il potere che sibilava intorno a loro.

Lo sentiva.

Veniva da Emma.

Era come se ne fosse rivestita. Era... un sussurro. Allettante, ma intimidatorio. Attraente, eppure minaccioso e truce.

Era... il potere era vivo. Era una cosa viva. Un essere reale. Se le avessero chiesto di definire il senso o la natura di quella paurosa vitalità, non ne sarebbe stata capace. Sapeva soltanto che era ricca di energia, intessuta di possibilità.

Gli occhi di Lily si riempirono di fuoco. Improvvisamente anche il taglio che Regina le aveva procurato sulla mano pulsava. Come un cuore. Pulsava anche se non c’era più.

- Lily... – Sua madre era vicina. Però la sua voce sembrava arrivarle come attraverso una nebbia. Suonava distaccata. Lontana.

Non aveva ascoltato una parola di quello che era stato detto fino a quel momento. Vide solo Emma che rimetteva il cuore nel petto della ragazza e poi si appoggiava ad Uncino, che l’abbracciava.

- Lily, dipende dalle tue emozioni. Puoi controllarlo. - Adesso sua madre le aveva messo una mano sulla spalla. Era preoccupata, ma decisa, come poco prima a Storybrooke. Cercava di guidarla.

Vagamente lei sentiva le sue stesse unghie conficcate nella carne. Strinse le palpebre per alcuni istanti, avvertendo... il drago che premeva per uscire.

Poi pian piano la sensazione disparve. Lily barcollò e Malefica la sostenne.

- Sto bene – disse. Parlava più a se stessa che ad altri. – Sto bene.

- Sei sicura?

- Sì...

Non lo era. Per niente.

 

 

- Mamma, papà... è troppo pericoloso. Non sareste dovuti venire – disse Emma, poco dopo.

Suo padre l’abbracciò. – Invece sì.

Oh, certo che è pericoloso. Io sono pericolosa. Emma è pericolosa. Tutto è pericoloso, pensò Lily.

- Tu sei nostra figlia. – disse Biancaneve.

- Beh – intervenne Uncino, squadrandola. Sollevò un sopracciglio. – Non hai l’aspetto di un coccodrillo.

- Perché sono stata attenta.

Neve estrasse di nuovo il pugnale e glielo tese. – Tieni. Dovresti averlo tu.

Emma lo guardò, incerta sul da farsi. Per un istante a Lily sembrò che stesse accarezzando l’idea di prenderlo. Per l’Oscuro, separarsi dal pugnale non era mai una buona idea.

- No – disse, alla fine.

- Emma, pensaci – disse Uncino. – Pensa a cosa potrebbe succedere se finisse nelle mani sbagliate. A cosa tu... potresti fare.

Lily seguì la direzione dello sguardo di Emma. Sembrava cercasse qualcuno. Che stesse guardando qualcuno che avrebbe dovuto essere lì con loro. Tra le alte pietre che formavano il cerchio non c’era nessun altro. Nessuno fuori dall’ordinario. Eppure...

- Forse il pirata ha ragione – commentò Malefica. – Il pugnale è troppo potente. È meglio che sia l’Oscuro ad averlo.

- La mia lotta contro l’oscurità è appena cominciata. È... un potere troppo grande. – Senza esitazioni i suoi occhi si spostarono su Regina. – Qualcuno deve controllarmi.

Non starà per..., si disse Lily. Aveva intuito che cos’altro stesse per fare e dire. E ne aveva avuto sgomento. L’aveva intuito nel momento esatto in cui aveva constatato che quel potere era eccessivo per lei.

Ed Emma lo fece. Afferrò il pugnale e lo diede a Regina. Glielo porse, nello stesso modo in cui avrebbe potuto porgerle qualcosa che andava assolutamente accettato. Qualcosa che era di vitale importanza e che necessitava di una mano ferma.

- Fai sul serio? – domandò Regina, prendendolo.

- Io ti ho salvata. Ora tu salva me – rispose Emma. – E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi.

- Non arriveremo a quel punto – ribadì fermamente Henry.

- No, ragazzino. – Emma lo strinse a sé. In realtà sperava di non arrivare a quel punto. Ma immaginava quanto potesse essere facile arrivarci. – Quindi... intendete spiegarmi come siete arrivati fino a qui?

- È tutto merito di Lily – disse Malefica.

- Ah, davvero? – domandò Emma.

- A quanto pare l’Anti-Salvatrice sa far funzionare le bacchette magiche e produrre tornado. È molto utile... – rispose Lily. Istintivamente andò verso Emma e le appoggiò una mano sul braccio. L’ondata di potere che l’aveva stordita e che aveva minacciato di farle perdere il controllo per ora era svanita. C’era qualcosa. Ma era più un rumore di fondo, come di una mosca rinchiusa sotto una campana di vetro.

Emma ricambiò la stretta. – Sai che non dovresti definirti in questo modo.

Non badò a quel commento. – Tutto sommato... ha ragione il pirata. Non sei messa poi così male. Non è esattamente il tuo look ideale, ma almeno la tua pelle non è verde.

Emma accennò  un sorriso. - Perciò... il tornado vi ha portati direttamente qui?

- Sì. Vieni. Ti facciamo vedere il nostro mezzo di trasporto. – Uncino allungò una mano per prendere la sua e condurla fuori dal cerchio di pietre.

La portarono alla tavola calda, che aveva trovato la sua nuova sistemazione in mezzo ai boschi. L’atterraggio non era stato dei migliori, ma non aveva riportato danni così gravi.

- È davvero una buona idea? – domandò Lily a sua madre, mentre la nonna si lamentava delle friggitrici inutilizzabili e Leroy della conseguente mancanza del suo piatto preferito, cioè gli anelli di cipolla.

- Che cosa?

- Dare il pugnale a Regina.

Malefica osservò il gruppetto di persone assiepate fuori dal Granny’s. - È... credo sia una buona soluzione. Regina ha avuto il precedente Oscuro come insegnante, ha più esperienza degli altri in questo genere di cose.

- Tu ti fidi di lei.

Non capì se fosse o meno una domanda. - Sì. La conosco da molto tempo, Lily. Regina è... cambiata. Ma so che potrebbe ancora fare ciò che Emma ha detto: distruggerla, se le cose dovessero volgere al peggio.

- E come intende distruggere l’Oscuro? Mi hai detto che può morire solo se viene colpito con il suo stesso pugnale. Ma a quel punto... Regina diventerà il nuovo Oscuro. E il sacrificio di Emma non sarà servito a niente.

Malefica non sapeva rispondere a questa domanda. Intuiva di dover fornire una risposta sensata, ma non ne aveva. Non aveva mai sentito parlare di un Oscuro che aveva eliminato l’Oscuro precedente senza che questo avesse comportato diventare il nuovo contenitore dell’oscurità.

- Dovrai raccontarmi che cos’è successo tra te e Regina. – continuò Lily

Malefica sorrise. C’era qualcosa di limpido e di positivo nei suoi grandi occhi celesti. – Mi ha aiutata in un momento difficile. Grazie a lei mi sono ricordata chi ero, ovvero, come dici tu, un drago feroce e spaventoso. Te lo racconterò.

- Prima non sembravi molto contenta.

- La mia preoccupazione riguardo a quella bacchetta era comprensibile. Era la bacchetta di un mago potente.

Lily stava per aggiungere qualcos’altro, ma vennero interrotte dal rumore di cavalli lanciati al galoppo e da grida di uomini che li incitavano. Venivano verso di loro.

- State indietro – disse Emma.

Da una svolta in fondo al sentiero sbucò un piccolo gruppo di cavalieri, tutti in armatura, con i mantelli rossi e in sella a dei bellissimi destrieri. Quando si fermarono davanti ad Emma, l’uomo che li guidava, su un cavallo bianco, rivolse loro un sorriso. Sembrava un sorriso cordiale, circondato dalla barba scura. In più, era il sorriso di chi si aspettava di trovarli lì. Lily vide l’elsa della spada che spuntava dal fodero. Nel pomolo era incastonata una grande pietra rossa.  

- Chi siete voi? Che cosa volete? – chiese Emma, sulla difensiva.

- Sono re Artù di Camelot – annunciò l’uomo. – E siamo venuti a prendervi.

- A prenderci? – chiese Uncino, perplesso.

- Mio signore – disse il cavaliere biondo che stava alla sinistra del sovrano. – Credo che il nostro arrivo sia una sorpresa.

- Ci stavate aspettando – disse Neve.

- È stato Merlino. Ha profetizzato il vostro arrivo molto tempo fa. Così come ha previsto molte altre cose. – Artù aveva l’aria di divertirsi un mondo mentre rivelava quei dettagli.

Lily pensò a Merlino e vide solo un vecchio mago con la barba lunga e bianca, vestito di azzurro, con il classico, lungo cappello a punta calcato in testa, che combatteva contro la sua acerrima nemica, la maga Magò, trasformandosi prima in un coniglio, poi in una tartaruga e poi in un verme. Non ricordava bene quale fosse l’ordine.

- Merlino? – Emma era incredula. – Dov’è? Ci avevano detto che era scomparso.

- Lo è. Sì. – ammise Artù, chinando leggermente il capo. – Ma non per molto. Infatti ha previsto che vi sareste uniti a noi. Adesso... se volete seguirmi...

- Dove? – chiese Emma.

- A Camelot... naturalmente.

 

 

Le guardie schierate lungo il ponte si portarono le trombe alla bocca e suonarono per annunciare l’arrivo del re e dei suoi ospiti.

Artù aveva parlato molto lungo il tragitto. Aveva chiesto loro com’erano arrivati nella Foresta Incantata e naturalmente David gliel’aveva raccontato, parlandogli della bacchetta e di chi l’aveva attivata.

- Abbiamo un’altra maga potente tra di noi – aveva commentato il sovrano, rivolgendosi a Lily.

Lei aveva esitato prima di trovare la risposta adeguata. L’aveva guardato di sottecchi. – Non sono una maga. Me la so cavare.

Nessuno si era curato di dirgli perché erano arrivati fino a lì. Troppo rischioso. Quei cavalieri si sarebbero innervositi se avessero saputo che l’Oscuro era tra loro. E che stavano per farla entrare a Camelot. L’aspetto di Emma non aveva attirato l’attenzione del sovrano o del suo seguito. I cavalieri sembravano concentrati sul cammino da percorrere. Il giovane biondo, che si chiamava Percival, scrutava la compagnia, valutandone i componenti, ma non dava segno di avere dei sospetti per quanto riguardava Emma.

Ora, giunti a Camelot, Artù camminava davanti a tutti, una mano appoggiata all’elsa di Excalibur. Gli altri lo seguivano, guardandosi intorno meravigliati.

Lily alzò lo sguardo alle torri della corte del re, al castello che sembrava risplendere di una luce propria in mezzo al verde dei boschi e dei prati, con le montagne a fare da sfondo. Un luogo da fiaba. Gli stendardi rossi sui quali capeggiava il simbolo del sovrano, un dragone dorato su sfondo rosso, sbatacchiavano scossi dal vento.

- Beh, non sono mai stata in un castello prima d’ora. L’unico castello che ho visto era in un luna park. – commentò Lily. Lei e sua madre erano in coda al gruppo.

- Magari un giorno ti farò vedere il mio. – rispose Malefica.

- Che cosa mi devo aspettare? Un enorme castello nero a strapiombo su una landa desolata?

Malefica batté le palpebre. Si scostò una ciocca di capelli biondi. – Beh... sì. Come fai a saperlo?

- La fiaba. Sai, le ho lette tutte da quando ho scoperto... chi sono. E ho anche guardato i cartoni animati da piccola.

- Ah, certo.

Le porte di Camelot si aprirono per lasciarli passare. Proprio un’accoglienza regale. Artù doveva aspettarsi molto da loro.

- Hai anche un corvo, per caso?

 

***

 

Il mondo era precipitato nell’oscurità.

“Hai anche un corvo, per caso?”

Lily aprì gli occhi lentamente.

Intorno a lei lamenti, gemiti di dolore, grugniti. Tavoli rovesciati. Sedie. Lampade che dondolavano.

Molte persone.

“Che cosa mi devo aspettare? Un enorme castello nero a strapiombo su una landa desolata?”

Una vaga luce che penetrava attraverso le persiane di una finestra.

Dove sono?

La lingua le sanguinava per un improvviso, involontario morso che le aveva dato. La mente gli turbinava e aveva lo stomaco sottosopra, come se fosse appena scesa da un ottovolante.

Si tirò su a fatica, avvertendo una fitta di dolore al collo. Gli altri stavano facendo lo stesso.

Si portò una mano alla fronte e scoprì una ferita fresca all’altezza del sopracciglio.

Era il Granny’s, senza dubbio.

Dov’è Camelot?

Ebbe giusto il tempo di notare che tutti erano vestiti in modo diverso rispetto a pochi minuti prima.  Poi la porta della tavola calda si aprì e un nano che era rimasto a Storybrooke, quello che starnutiva in continuazione, entrò seguito da un suo compare. Indossava una giacca rossa di pelle. Si guardò intorno, incredulo.

- Che diavolo ci fate voi qui? – chiese, guardandoli con gli occhi fuori dalle orbite.

Aiutata da sua madre, Lily riuscì a rimettersi in piedi.

- Cos’è successo? – chiese Neve, stringendo il suo bambino.

- Siamo tornati – mormorò David.

Gli occhi di Lily caddero sull’orologio appeso alla parete. Il quadrante era andato in frantumi, ma le lancette segnavano le otto e un quarto. Fuori era buio.

- Per tutti i diavoli... – disse Uncino.

- Com’è possibile? – domandò Malefica. – Fino ad un attimo fa eravamo a Camelot.

- E perché diamine siamo vestiti così? – chiese Brontolo.

- Già. Tutto questo non ha senso. – disse Regina.

Indossavano tutti abiti... antichi. Abiti da medioevo. Sete pregiate e molto eleganti. Il vestito di Regina era rosso, con rifiniture in oro. Quello di Uncino era una classica uniforme da pirata, pantaloni in pelle, stivali, giubba rossa sotto la lunga giacca con il colletto alto. Malefica indossava un vestito lungo e nero, con alcuni dettagli viola e le maniche che si allargavano, coprendole le mani. Zelena non era più legata, ma aveva comunque il bracciale nero ancorato al braccio, e il suo abito era... giustamente verde. Verde chiaro.

Incapace di liberarsi del senso di confusione, Lily ammirò i suoi, di vestiti: non indossava abiti eleganti come quello di Regina, però aveva una camicia scura con le maniche a sbuffo e dei pantaloni in pelle simili a quelli di Uncino, infilati negli stivali alti. Sopra alla camicia aveva una giacca senza maniche, munita di tasche. In una di esse Lily vi trovò un fiore bianco e ormai appassito.

- Eolo, che cos’è successo? Quanto siamo stati via? – chiese Brontolo.

Prima ancora che lui parlasse, Lily conobbe la risposta. Sapeva che era successo qualcosa di grosso, qualcosa di grave. L’aria era strana, più pesante, elettrica... piena di magia. Magia che si stava scaricando. L’ultimo ricordo era il castello di Camelot con le guardie che suonavano le trombe e le porte che si aprivano.

“Che cosa mi devo aspettare? Un enorme castello nero a strapiombo su una landa desolata?”

“Beh... Sì. Come fai a saperlo?”

“La fiaba. Sai, le ho lette tutte da quando ho scoperto... chi sono. E ho anche guardato i cartoni animati da piccola”.

“Ah, certo”.

“Hai anche un corvo, per caso?”

E poi più nulla.

Come se qualcuno avesse provveduto a staccare la corrente e l’avesse riattaccata al momento opportuno.

- Sei settimane – disse Eolo. Il suo tono sembrava quello di chi trovava la risposta più che ovvia.

- Come? – Regina stentava a crederci.

- I nostri ricordi... sono perduti. – disse David.

- Di nuovo? – disse Neve.

- Che fine ha fatto Emma? – domandò Lily, rendendosi conto che c’erano tutti a parte lei.

Uncino si guardò in giro come se sperasse di trovarla sdraiata da qualche parte, insieme a loro. Solo che non c’era.

La porta della tavola calda si spalancò ancora, di colpo, andando a sbattere contro la parete.

- Rilassatevi – disse Emma. – Sono qui.

La prima cosa che Lily pensò vedendola sulla soglia del Granny’s, circondata dal buio e da scoppi di elettricità, fu che Emma somigliava ad uno dei replicanti di Blade Runner. Aveva i capelli bianchi come Roy Batty, raccolti in una crocchia, una di quelle acconciature che, era sicura, Emma non aveva mai portato in vita sua. La sua pelle era di un pallore spettrale. Il viso sembrava scolpito nel marmo, nella roccia bianca più dura. Gli abiti in pelle nera la facevano sembrare rivestita di oscurità, una vera Oscura, non più la Emma che avevano incontrato nella foresta, la Emma tormentata dalla nuova entità che la possedeva e in procinto di sbriciolare un cuore, ma una Emma che non si sarebbe fatta scrupoli a polverizzarlo, quel cuore.

Lily la fissò a bocca aperta.

- Mamma? – Henry non credeva ai suoi occhi. – Cosa ti è successo?

- Non è ovvio? Siete andati a Camelot per liberarmi dall’oscurità. – Emma entrò e persino la sua andatura risultò diversa. Si muoveva con un’eleganza sconcertante. Senza fretta, ma con determinazione. Sicura di ciò che era. Sicura del suo potere.

Si avvicinò a sua madre e le fece una carezza.

Neve sussultò.

- E avete fallito. – concluse.

Eolo gettò uno starnuto.

Emma si girò a guardarlo.

Forse il nano non se ne rendeva conto, ma aveva commesso un grave errore. E l’errore non era stato starnutire in presenza dell’Oscura.

- Chi diavolo saresti tu? – chiese, osservando la sua giacca rossa. La giacca da sceriffo.

Lui non ebbe il tempo di rispondere. Emma lo pietrificò con un gesto della mano, interrompendo il nuovo starnuto.

- Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città. - disse, valutando freddamente il suo operato.

- Emma, ferma – disse Regina, facendosi avanti. - Adesso basta.

Emma la fissò con implacabile concentrazione. - Altrimenti?

- Altrimenti farò esattamente quello che mi hai chiesto di fare. - Regina cercò il pugnale, portandosi una mano al fianco.

Il pugnale non c’era. La consapevolezza colpì Regina come un getto d’acqua fredda, per quanto avrebbe dovuto aspettarsi che, con la scomparsa dei ricordi, doveva essere scomparso anche ciò che le avrebbe permesso di controllare l’Oscuro.

- Cerchi questo? – Emma sollevò l’arma, mostrandole il suo nome inciso sulla lama ondulata. Dalla sua posizione Lily vide che era all’altezza della gola di Regina. Come se, mostrandoglielo, Emma la stesse anche minacciando. – Nessuno toccherà questo pugnale a parte me.

Passò oltre.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

Lily mosse un passo in avanti. La sua voce suonò aspra quando le rivolse la parola. – Dove sono i nostri ricordi? Che cosa ci hai fatto?

Emma si girò verso di lei. Malefica impedì alla figlia di avvicinarsi troppo, sbarrandole la strada con un braccio. L’altra mano reggeva il lungo bastone. Lo puntò contro Emma e la sfera su di esso sfavillò.

L’Oscura non la degnò di un’occhiata. Inarcò il sopracciglio. Quando gli occhi si posarono su Lily, a lei il volto della sua vecchia amica sembrò strano, vagamente assorto. Un sorriso misterioso e appena accennato le incurvò gli angoli della bocca. Ma scomparve subito dopo, sostituito da quell’espressione dura che nascondeva appena tutta la furia.

- Tieni a bada i tuoi bollenti spiriti, drago – disse a Malefica. – Non sono venuta qui per combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete puniti.

Lily rovistò in quel buco nero che era la sua memoria, rovistò disperatamente alla ricerca delle sue memorie, ma l’ultima cosa che ricordava erano le porte di Camelot e la propria voce mentre chiedeva a sua madre se avesse un corvo.

“Per quello che mi avete fatto, sarete puniti”

La sua mente era diventata un labirinto pieno di svolte cieche e angoli troppo bui.

- Emma – disse Uncino, ottenendo la sua attenzione. - Perché stai facendo questo?

Con la stessa voce calma e indurita, carica di potere, lei disse: - Perché... io sono l’Oscuro.

Scomparve in una nuvola di fumo grigio.

Lily continuò a fissare il punto in cui, fino ad un attimo prima, c’era Emma, come se si aspettasse di vederla ricomparire. Regina fece lo stesso.

Guardò di nuovo il fiore appassito che aveva trovato in una delle tasche. Era un giglio bianco.

 

_____________

 

 

Angolo autrice:

Roy Batty, a cui Lily paragona Emma, è uno dei replicanti protagonisti del film Blade Runner, interpretato dall’attore Rutger Hauer. Lo preciso nel caso qualcuno non abbia mai visto il film.


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Capitolo 4
*** 4. ***


4

 

 

 
Quattordici anni prima.

 

Neal posò la bottiglia di Heineken sul tavolo e si alzò, avviandosi verso il juke box sistemato in un angolo del locale.

“Che stai facendo?”, chiese Emma.

Lui sorrise, ma non disse niente. Era quel sorriso. Quello che le aveva rivolto quando si erano conosciuti, pochi giorni prima, perché lei aveva avuto la brillante idea di rubare un maggiolino giallo. Una macchina che era già stata rubata.

Se c’era una cosa che aveva capito di Neal Cassidy era che poteva rivelarsi un tipo pieno di sorprese. Dopo la chiacchierata sulla giostra, l’aveva invitata a rivedersi per cenare da qualche parte. Le era sembrato evidente che volesse fare colpo su di lei ed Emma si era sentita lusingata. E si era anche chiesta se avesse davvero i soldi per pagare la cena di due persone.   

Li aveva trovati. Li aveva trovati vendendo alcuni degli oggetti che aveva rubato di recente. Essendo un ladro come lei, avrebbe dovuto aspettarselo.

L’aveva portata in un locale in puro stile American Western, un posto chiamato Cowboy Bee Bop; era un locale vasto, con una grande pista da ballo in parquet, tavoli in legno, tre baristi al lavoro dietro all’ampio bancone e musica a volume sostenuto. Quando erano entrati li aveva accolti un mix di chitarra hawaiana e un accompagnamento di basso, subito seguiti dal rimbombo della batteria. Poi avevano virato sulla musica country.

Neal aveva parlato molto davanti agli hamburger circondati da una corona di patatine e anelli di cipolla. Le aveva raccontato di come aveva rubato il maggiolino, della fuga precipitosa dopo la recente rapina e di qualche furto rocambolesco commesso in passato. Emma scoprì che le piaceva ascoltarlo. Il sorriso del ragazzo era sempre aperto e sincero, un po’ sornione. Non era bello, ma aveva qualcosa che lo rendeva speciale.

“Sono contento che tu abbia accettato di venire qui”, le aveva detto ad un certo punto.

“Avevi dei dubbi?”

“No. So di aver fatto colpo alle giostre. E anche sull’auto”. Il suo sorriso si allargò ulteriormente.

Emma non rispose, ma si portò una delle ultime patatine alla bocca.

Ora Neal stava presso il juke box e sembrava riflettere sul da farsi; poi estrasse una moneta dalla tasca e la infilò nell’apposita fessura.

Pochi istanti dopo partì una ballata dal ritmo abbastanza accattivante, in puro stile anni ’80. Emma non l’aveva mai sentita in vita sua.

‘Looking from a window above, it’s like a story of love... can you hear me?’

Neal tornò al tavolo. “Che ne dici?”

“Carina”.

“Solo carina?”. Lui aveva appoggiato, quasi senza accorgersene, una mano sulla sua. “Adoro questa canzone”.

‘And all I ever knew... only you’

“Esiste anche una versione a cappella dei Flying Pickets, ma non ne vale la pena”, spiegò Neal.

Emma non scostò la sua mano da quella di Neal. Temette che stesse per chiederle di ballare, cosa che si sarebbe rifiutata di fare, dato che non sapeva ballare. Ma non glielo chiese. Tuttavia la guardava. Non si aspettava che lei parlasse. Si limitava solo a guardarla. Emma si sentì scottare le guance.

 

Lui seguitò a tenerle la mano mentre lasciavano il locale.

Il parcheggio asfaltato era pieno di pick up e vetture di fabbricazione americana, quasi tutte piuttosto vecchie. C’erano anche semiarticolati e furgoni nel parcheggio a sinistra, in fila sotto le luci azzurrognole dei lampioni. Due uomini con il cappello da cowboy condussero un paio di ridenti ragazze in jeans e camicia western verso una macchina, salirono e sgommarono via, sollevando una nuvola di polvere.

“Beh, spero di averti dimostrato di non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal, schiarendosi la voce.

“Direi che sei stato convincente”, rispose Emma, abbassando gli occhi e poi tornando ad osservarlo. Era da parecchio tempo che non passava una così bella serata. E aveva quella canzone in testa. Era sicura che avrebbe continuato a canticchiarla nei giorni seguenti.

‘All I needed was the love you gave, all I needed for another day... and all I ever knew... only you’.

Neal si chinò in avanti. Emma seppe che stava per baciarla e per un attimo ebbe paura, quella paura che aveva sempre quando qualcuno le piaceva. La paura che quel qualcuno finisse col deluderla. Che quel qualcuno l’abbandonasse, come avevano fatto i suoi genitori. O la ferisse come era successo con alcune delle famiglie affidatarie in cui era finita. Famiglie in cui lei era solo una... cosa le aveva detto Lily alla fermata dell’autobus? Ah, sì. Ruotina.

Tuttavia in Neal non percepì nulla di sbagliato. E quando le labbra di lui si posarono sulle sue, Emma non lo respinse. Gli appoggiò una mano sul petto e chiuse gli occhi.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Emma Swan – disse Henry, le mani appoggiate alla ringhiera, gli occhi fissi davanti a sé, verso il mare, ma senza vederlo. – Emma Swan. Emma Swan.

Emma comparve accanto a lui. – Henry...

- Mamma... - Sembrava felice di vederla, ma il ragazzino ritrasse la mano quando lei provò a toccargliela.

Non era sorpresa e tuttavia provò una fitta al petto quando il figlio si allontanò. – Non devi avere paura di me.

- Cos’è successo? – le chiese, in tono implorante. Il suo aspetto continuava a sorprenderlo. Gli abiti neri ed eleganti che sua madre non aveva mai indossato... prima. I capelli bianchi raccolti nella crocchia. Il pallore. Il suo strano modo di muoversi. – Perché sei così, adesso?

- È... complicato.

- Mi dispiace. Qualsiasi cosa sia successa a Camelot... mi dispiace se abbiamo fallito con te.

Quello la rattristò. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma immaginava che Henry si sarebbe scostato di nuovo. Era l’Oscura, ora. Non più la Salvatrice che aveva condotto a Storybrooke. – So che cos’ho detto ieri sera. Ma Henry... tu non hai fallito con me. Tutti gli altri l’hanno fatto.

- Stai lontana da mio figlio.

La voce di Regina non la sorprese affatto. La vide avvicinarsi a loro con la sua solita aria decisa. L’aria di chi era pronta a sfidare persino il nuovo Oscuro per scoprire cos’era accaduto ai loro ricordi.

- Qual è il problema, Regina? Hai paura che Henry venga a sapere cos’è accaduto a Camelot?

- Se la verità è così importante per te, perché hai cancellato i nostri ricordi?

- È una maledizione, Regina. – Lo disse come se fosse una cosa ovvia, una cosa che una come lei avrebbe dovuto sapere.

Gli occhi di Emma erano di un verde molto carico, più scuro del solito. Regina non distolse lo sguardo. – Lo so. Quello che non riesco a capire è... perché?

- Se avessi voluto fartelo sapere, non avrei certo cancellato i tuoi ricordi.

Regina ebbe voglia di colpirla. Di colpirla per far sparire quel sorrisetto dal suo volto, per chiuderle il becco una volta per tutta. Quando parlava, Regina sentiva quanto fosse cambiata, avvertiva la nuova inflessione della sua voce, il potere come se fosse qualcosa di concreto. Aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto, tormentandosi con un mucchio di domande, rivoltandole nella sua mente per trovare una via d’uscita, una motivazione a quella nuova maledizione. Aveva scavato nei suoi ricordi, ma senza successo. Il pensiero di ciò che Emma era diventata non la lasciava in pace. Il pensiero di quella figura oscura e sensuale, di quello sguardo determinato ma offuscato dalla nuova entità che ne possedeva il corpo... non l’abbandonava. Le sue accuse...

“Non sono venuta qui per combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete puniti”.

Le sembravano accuse insensate. E tuttavia la sua rabbia era fin troppo palpabile.

Cos’abbiamo fatto?

“Per quello che mi avete fatto, sarete puniti”.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

“Nessuno toccherà questo pugnale a parte me”.

“Siete andati a Camelot per salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.

FALLITO.

Era riuscita ad addormentarsi solo all’alba e solo perché Robin si era offerto di prepararle una tisana.

Ma lei non aveva bisogno di tisane. Voleva delle risposte.

- Voglio parlare con Emma – aveva detto Henry, quella mattina. Anche lui aveva l’aria sbattuta. Non aveva chiuso occhio ed era evidente. – Se la chiamo... se la invoco, mi risponderà. L’Oscuro... deve rispondere quando qualcuno lo invoca.

- Sì... – aveva mormorato Regina, mettendogli una mano sulla testa. – Ma Henry...

- Voglio capire perché dice che abbiamo fallito. Voglio dirle che... che mi dispiace.

- Henry, non credo che lei sia arrabbiata con te.

E aveva ragione. Emma non era furiosa con suo figlio. Era furiosa con lei. Era furiosa con tutti loro.

- Lo sai... che non ci fermeremo fino a quando non li avremo recuperati – continuò Regina, riferendosi a quelle memorie perdute.

- Non succederà, Regina. – rispose Emma, con calma. – Perché ho imparato da te. Ho creato questa maledizione senza l’unica cosa che può spezzarla. Una Salvatrice.

Regina.

Era la terza volta che Emma pronunciava il suo nome. La terza. Lo pronunciava come se la stesse sfidando apertamente. Come se volesse sottolineare la sua colpa senza rivelargliela, cosa che la faceva imbestialire. Lo pronunciava imprimendo forza e durezza in ogni sillaba.

Non si lasciò impressionare dal suo tono. – Beh... troveremo una soluzione. La troviamo sempre.

- Sì. Grazie a me – disse lei, ancora più sprezzante. – Adesso sei sola.

Henry mise una mano sulla spalla di Regina. – Ce la puoi fare, mamma. Puoi essere la Salvatrice.

Regina gli sorrise, intenerita.

- Non succederà – ripeté Emma. Sembrava quasi triste, mentre lo diceva.

- Tu non pensi che io possa esserlo. - La sua non era più una domanda. Si sentiva ancora più confusa.

Emma la fissò intensamente. – So che non lo sei.

So che non lo sei, perché so cosa mi hai fatto, sembrava che le stesse dicendo. So che non lo sei, perché hai fallito. So che non lo sei, perché mi hai delusa. Come tutti gli altri. So che non lo sei e anche tu lo sai, solo che non ricordi.

- Beh, ti sbagli – continuò Regina. Per lei quella conversazione era terminata. Non intendeva farsi insultare ancora. Invitò Henry a seguirla. – Posso proteggere questa città.

- Stai raccontando frottole a te stessa. – asserì Emma. – Perché questa maledizione è un problema che solo una Salvatrice può risolvere. Peccato che non ne abbiamo una.

Regina si fermò, ma non osò voltarsi per affrontarla di nuovo. Le sue parole erano come coltelli affilati. Per quanto si mostrasse sicura di sé, riuscivano a penetrare. E arrivavano in fondo. Lei era stata la Regina Cattiva, aveva seminato il panico e il terrore nella Foresta Incantata, aveva massacrato villaggi interi per raggiungere il suo obiettivo... aveva cercato di eliminare la Salvatrice quando era giunta a Storybrooke dopo ventotto anni. Ora toccava sempre a lei proteggere la città. Toccava a lei proteggerli dall’Oscuro, da quella stessa donna che aveva liberato tutti un tempo. E che la accusava di qualcosa di terribile.

“Ce la puoi fare, mamma. Puoi essere la Salvatrice”.

“Non succederà”

La gente si sarebbe fidata di lei? Avrebbero creduto che fosse in grado di proteggere Storybrooke?

“Tu non pensi che io possa esserlo”.

“So che non lo sei”.

Continuò a camminare, tenendo Henry per mano e sentendo quello sguardo addosso. Sentendolo su di sé.

- Non ascoltarla, mamma – disse suo figlio, scuro in volto. – Quella che parla... non è Emma.

Ma Regina non ne era così sicura. L’Oscuro ci metteva del suo, di certo, ma quello sguardo tempestoso era di Emma. C’era l’entità che aveva preso possesso del suo corpo e c’era Emma che era furibonda. Che pensava sinceramente che avessero fallito tutti.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

 

***

 

Camelot. Sei settimane prima della maledizione.

 

Artù aveva preparato un ballo in grande stile solo per i suoi ospiti. La sala più grande del castello era illuminata a giorno e gremita di cavalieri, lord e dame pronti a lanciarsi nelle danze. I colori erano talmente vividi da restarne abbagliati. Nell’aria aleggiavano la musica e il profumo dei fiori.

In cima alla scalinata che le avrebbe condotte al centro della sala, Emma e Lily aspettavano il loro turno per scendere.

- Dobbiamo proprio partecipare a questa farsa? – domandò Lily, sforzandosi di sorridere e parlando a bassa voce per non farsi sentire dai due uomini posizionati ai lati della scala.

- È solo un ballo – le rispose Emma.

- Non è solo un ballo. E sono stata costretta a mettermi questo. Perché non ho potuto scegliere come vestirmi? – Lily indossava un abito nero, con le maniche lunghe che si aprivano verso i polsi e avevano gli orli bordati da rifiniture viola. Il vestito era munito di uno strascico corto e la scollatura era abbastanza generosa. Portava la sua collana, quella a forma di mezzaluna e le avevano anche acconciato i capelli in modo che le ricadessero tutti su una spalla.

- Credo che dipenda dal fatto che qui siamo ospiti, Lily. – Emma le sorrise. – Stai molto bene.

- Non sto bene. Faccio fatica a muovermi. E detesto ballare.

Emma, dal canto suo, stava certamente bene con quell’abito candido come la neve e la corona di fiori tra i capelli biondi, sciolti sulle spalle. Nessuno avrebbe mai sospettato che fosse l’Oscura. Splendeva come un sole. Lily era convinta che Uncino avrebbe anche avuto l’onore di ballare con lei, ma molti in quella sala avrebbero fatto carte false per invitarla.

- Pensa solo che non durerà molto – continuò Emma.

- Non sembri tanto preoccupata. Quindi sai ballare?

- Diciamo che Neal... mi ha insegnato qualcosa.

L’araldo del re annunciò le due ospiti, facendosi sentire in tutta la sala. – Lady Emma Swan e Lady Lilith!

Lei roteò gli occhi, notando che l’attenzione degli invitati si era spostata su di loro. - Avrei voluto conoscere questo Neal. Forse mi sarebbe piaciuto.

- Lo credo anch’io.

Emma cominciò a scendere e Lily la seguì, sperando che quel dannato vestito non la intralciasse. Ai piedi delle scale Uncino attendeva la sua amata con la tipica divisa da pirata, pantaloni in pelle nera e giacca lunga sopra la giubba rossa. Avrebbe preferito quella all’abito che le avevano riservato.

- Lady Lilith – disse il giovane cavaliere di nome Percival, elargendo un inchino e poi tendendole la mano. – Ho chiesto a vostra madre di potervi invitare per questo primo giro di danze.

Lily cercò sua madre in mezzo alla gente, ma non riuscì a scorgerla. Se fosse riuscita a trovarla, le avrebbe fatto sapere che sua figlia non amava quel genere di cose.

Tuttavia Percival le sorrideva, gentile. Era alto e di bell’aspetto, con i capelli biondi tagliati corti, molto elegante con quella giacca rosso scura sopra la camicia chiusa da bottoni neri. Aveva con sé la propria spada, agganciata alla cintura.

- Forse mia madre avrebbe dovuto dirti... dirvi che non ho mai fatto queste cose. Nemmeno nel mondo in cui sono cresciuta – gli rispose, prendendo la sua mano.

Lui non sembrò sorpreso e la condusse al centro della sala. – Mi piacciono le sfide. E poi... basta che uno di noi due sia in grado di farlo e sappia guidare l’altro.

- Vi presento... la Salvatrice! – annunciò l’araldo, alzando ancora di più la voce.

Tutti applaudirono e levarono esclamazioni ammirate quando Regina apparve in cima alla scalinata, agghindata in un vestito che mandava barbagli argentati. Se quello di Emma era particolarmente elegante, anche se non così elaborato, quello di Regina appariva molto più regale, con l’ampia gonna bianca e le spalline sottili.

“Io sono la Salvatrice”, aveva detto quel giorno, quando Artù aveva chiesto esplicitamente chi di loro fosse colei che aveva spezzato la prima maledizione.

Emma era stata sul punto di rivelarsi, ma Regina aveva sfruttato il pugnale per coprirla. Se Emma avesse detto di essere la Salvatrice, l’avrebbero costretta ad usare la magia. E la magia dell’Oscuro non era certo quella che Artù si aspettava.

“Io sono la Salvatrice. Io sono quella che libererà Merlino... così poi potremo occuparci dell’Oscuro”. Si era voltata verso Emma, che non aveva detto una parola, ma non aveva potuto nascondere il suo disappunto e la sua tristezza. Regina era sembrata enormemente dispiaciuta per ciò che stava facendo.“E torneremo tutti a casa”.

Lily, però, non aveva apprezzato affatto. Immaginava che fosse giusto, che fosse necessario per evitare ulteriori problemi ora che si trovavano a Camelot... eppure, al tempo stesso, per lei era tutto sbagliato.

C’erano molti dettagli che le sembravano sbagliati. Camelot, prima di tutto. Camelot sembrava troppo perfetta e lei delle cose perfette non si fidava. Mai. Artù. Appariva ben disposto, cordiale, onesto, un vero re. Ma nei suoi occhi verde chiaro c’era qualcosa che non riusciva ad afferrare. Sua moglie, la regina Ginevra, stava sempre accanto a lui, come la più fedele delle mogli ma, se non ricordava male la storia, era tutto fuorché fedele. E per di più il suo sguardo era opaco, distante, come se stesse guardando il mondo attraverso un velo. Merlino. Merlino, il mago più potente che quel regno avesse mai conosciuto, era intrappolato in un albero da... non si sapeva bene quanto tempo.

Emma. Emma era l’Oscuro e quello era già sbagliato, ma ancora più sbagliato le sembrava il fatto che non si appropriasse del pugnale. Che lasciasse che qualcun altro la controllasse. L’Oscuro aveva bisogno del pugnale. Era più sicuro che l’avesse lei.

“Io ti ho salvata. Ora tu salva me. E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

Regina scese le scale, raggiungendo Robin Hood.

Lily distolse lo sguardo e si lasciò guidare da Percival, giusto per non apparire scortese.

 

 
Da almeno venti minuti Henry stava osservando la figlia di uno dei cavalieri di Artù.

Pensava che fosse una delle ragazze più carine che avesse mai visto. Doveva avere più o meno la sua età, portava i capelli neri sciolti sulle spalle e in quel momento aveva l’aria un po’ annoiata mentre ascoltava le chiacchiere di due invitati.

Henry pensava anche che avrebbe potuto chiederle di ballare. O magari lei non voleva ballare. Magari suo padre non le avrebbe permesso di farlo perché toccava a lui scegliere il cavaliere a cui affidarla.

Si morse il labbro. Scrutò la folla alla ricerca delle sue madri e le vide tutte e due impegnate nelle danze. Tornò a guardare la ragazza.

Azzurro si avvicinò e si appoggiò ad una colonna. – Sai, potresti semplicemente... andare da lei e presentarti.

Henry alzò un sopracciglio. – Questa sarebbe la tua tattica, nonno? Presentarsi?

- Oh, pensaci! Tu vieni da un altro mondo, sei misterioso... intrigante – Azzurro prese un paio di bicchieri dal vassoio che una serva gli stava porgendo e glieli offrì. – Avanti, vai.

Henry si sentì la bocca secca, la gola così riarsa che ebbe voglia di scolarsi quella bevanda, qualunque cosa fosse. Gli tremavano le ginocchia. E tuttavia si fece coraggio, seguendo i consigli del nonno.

- Sembri... assetata – disse, porgendole il bicchiere.

Idiota, pensò, sbigottito. Che cosa mi passa per la testa?

Un vero cavaliere l’avrebbe prima salutata, si sarebbe inchinato e si sarebbe presentato. Non era quello lo scopo? Presentarsi? Fare bella figura? Apparire misterioso?

Lei sorrise apertamente, accettando il bicchiere. – Vuoi dire annoiata. Grazie.

Henry pensò febbrilmente. – Quindi... non ti stai divertendo?

- Oh, per favore... i balli a Camelot sono all’ordine del giorno. 

Glielo disse come se fosse una cosa ovvia, quindi Henry cercò di migliorare la sua esternazione precedente. – Già, sì, è... davvero noioso.

La ragazza non disse niente e lui avvertì il sangue affluirgli alle guance. Non stava andando esattamente come aveva sperato.

“Tu vieni da un altro mondo. Sei misterioso... intrigante!”

Pescò l’Ipod dalla tasca. Era una vera fortuna che l’avesse con sé quando Lily aveva attivato la bacchetta magica. Districò le cuffie.

La ragazza lo fissò, incuriosita. – Che cos’è?

- È un... un regalo della Salvatrice – rispose Henry, imprimendo sicurezza nella propria voce. Misterioso. Intrigante. Ecco.

- Un regalo della Salvatrice? Davvero?

- Sì... diciamo che è un... un premio. Un premio per aver salvato la situazione quando eravamo intrappolati in un altro universo.

Lei sembrava stupita.

- Sì... qualcosa del genere. – minimizzò.

Rise. – Che gesto eroico. Sei un cavaliere?

Gesto eroico.

Misterioso. Intrigante.

Henry cominciava a capire che suo nonno aveva ragione. – Molto meglio. Sono uno scrittore.

Non ebbe esitazioni mentre le offriva la cuffia e le mostrava come usarla. La ragazza se la infilò in un orecchio. Non ebbe esitazioni nemmeno quando scelse la canzone da farle ascoltare. Perché era una di quelle canzoni che ascoltava a ripetizione. Era stato suo padre a parlargliene. Una volta le aveva raccontato come aveva conquistato Emma.

“Con una canzone?”, aveva chiesto Henry.

“Non una canzone qualsiasi. La mia preferita. Funziona sempre, fidati. Beh, certo, ammetto che non è stata solo la canzone. Ero abbastanza... intrigante”. Ricordava anche il sorriso di Neal. Era sicuro che Emma si fosse innamorata di lui anche per via del modo in cui sorrideva.

Qualche settimana prima aveva cercato la musica su Youtube.

Only you.

Schiacciò il tasto “play”. Lei assunse un’espressione stranita, persino incredula quando Yazoo iniziò a cantare.

“Looking from a window above, it’s like a story of love... can you hear me?”

- Mi chiamo Violet – annunciò.

Henry pensò che anche il suo sorriso fosse bellissimo. Allungò la mano e gliela strinse brevemente. – Henry.

 

 
Non fu una tragedia.

Lily continuava a sentirsi legnosa, mentre si sforzava di imitare i passi degli altri ballerini e mentre Percival la aiutava a mantenere il ritmo, ma almeno evitò di schiacciargli i piedi.

- Posso domandarvi una cosa? – domandò Percival, facendole fare un giro su se stessa.

- Dipende. Di che si tratta? – chiese Lily.

Il cavaliere stirò le labbra all’insù in quello che avrebbe dovuto essere un sorriso. Ma lo sguardo rimase serio. Attento. – Forse mi giudicherete inopportuno. Ma ho notato la vostra collana. Sembra qualcosa di... speciale.

Lily si portò una mano al collo, sfiorando il ciondolo con le dita. Non rispose.

Percival aspettava, paziente, e intanto continuava a danzare.

- Sì... l’ho sempre avuta. Fin da quando sono nata. – gli rispose, guardinga.

- Come la stella sul polso?

Lily guardò la voglia, istintivamente. La stella era visibile perché le maniche del vestito si aprivano proprio all’altezza dei polsi.

- Si sposa molto bene al vostro ciondolo. Vi dona – commentò Percival.

La canzone terminò. Finalmente. Con la coda dell’occhio Lily vide Artù in disparte, che valutava la situazione con la moglie appesa al suo braccio. I genitori di Emma erano accanto a lui e ridevano, beatamente. Henry stava chiacchierando con una ragazzina, con la quale stava anche condividendo le cuffie di un Ipod. Persino Granny aveva trovato un cavaliere e Brontolo ballava con Belle. Mancava solo Zelena, costretta ad interpretare la parte della serva muta. Regina le aveva tolto la voce per impedirle di dire qualsiasi cosa che potesse metterli nei guai.

- Una volta qualcuno mi ha detto la stessa cosa – disse Lily, cominciando a chiedersi se avesse fatto bene ad accettare l’invito di quel tizio. – Forse è meglio... che mi prenda una pausa.

- Come desiderate. Sono sempre a disposizione, se avrete voglia di ballare ancora. – Percival si inchinò.

Lily notò che il suo sguardo continuava a passare dal ciondolo alla voglia. Si sistemò meglio la manica dell’abito per nasconderla.

“Che splendido ciondolo”.

“Grazie”.

“Hai mai notato che si sposa bene con la voglia che hai sul polso?”

Il pensiero era talmente nitido, talmente tridimensionale e sonoro, che Lily trasalì, come se l’Apprendista si fosse materializzato accanto a lei e avesse parlato a voce alta. Nessuno notò niente. Percival si era allontanato.

 

 
- Posso intromettermi? Sarebbe un onore per me ballare con la Salvatrice – disse Percival, piazzandosi tra Robin e Regina.

Era lo stesso cavaliere che le aveva portato la collana di Artù, lo stesso che cavalcava alla destra del re quando il manipolo li aveva trovati nella foresta.

Robin gli diede il permesso, concedendogli la mano della compagna. Regina sorrise, sebbene trovasse la situazione un po’ strana. Nessuno dei cavalieri di Artù si era mai avvicinato, nel corso della festa, per chiederle di ballare. Non era successo a lei e non era successo ad Emma. Percival aveva ballato con Lily fino a pochi istanti prima e avrebbe giurato che i due fossero abbastanza affiatati, anche se quella ragazza non aveva la minima idea di cosa fosse un ballo. Più o meno come lei. Ma per Lily sembrava ancora più complicato. Non aveva mai visto un ballo in vita sua e quindi sembrava totalmente fuori luogo.

- Spero che stiate passando una piacevole serata – disse Percival, accompagnando le parole con un sorriso e un breve inchino.

- Oh, sì. Tutto è così... – Regina vide suo figlio in mezzo alla folla. Con una ragazzina.

Suo figlio, con una ragazzina. Si erano scambiati le cuffie dell’Ipod e ora parlavano e ridevano come se si conoscessero da una vita. Sembravano assai indaffarati. Più in sintonia che mai. Non aveva mai visto Henry chiacchierare con una ragazzina con tanta naturalezza.

Non può essere mio figlio, pensò, costernata.

Ma era Henry, invece. Armeggiava con l’Ipod, che certamente era una cosa nuova per una ragazzina di Camelot. Ora le stava mostrando qualcosa sullo schermo e pigiava dei tasti. Lei si sporse un po’ di più per vedere, sempre sorridendogli.

Regina ebbe un moto di stizza. – Chi è quella ragazzina che sta parlando con mio figlio?

- La domanda giusta è: chi siete voi? – ribatté Percival. La sua espressione era mutata. Continuava a ballare, come se fosse tutto normale, ma i suoi occhi erano diventati più affilati. Le sue labbra erano pressate in una linea piatta.

- Di che cosa state parlando? – domandò Regina. In realtà aveva la brutta sensazione di saperlo. Però non era possibile. Era stata attenta. Non aveva parlato con nessuno di Emma e dei suoi poteri. Aveva nascosto il pugnale in un luogo sicuro, proteggendolo con un incantesimo. Non potevano averlo trovato...

- Lasciate che vi racconti una storia – proseguì Percival. Non smetteva di osservarla. – Molti anni fa un ragazzo tornò al suo villaggio, nella Foresta Incantata... e lo trovò in fiamme. Le persone urlavano, il terrore impresso nei loro occhi...

Regina aggrottò la fronte. Il cuore prese a batterle più forte. Mantenne il ritmo, ma qualcosa stava ardendo nel suo stomaco.

- Tutto il suo mondo... bruciava, come un rogo. Il ragazzo pregò, chiedendo pietà, ma non gli venne concessa.

Regina non lo interruppe. Non ricordava l’episodio che stava raccontando. Aveva bruciato talmente tanti villaggi quando ancora dava la caccia a Biancaneve... villaggi che le sembravano tutti uguali, tutti pieni di persone che cospiravano contro di lei, che nascondevano la sua acerrima nemica, che si inginocchiavano al suo cospetto, ma intanto la tradivano. Era così piena di rabbia e così assetata di vendetta, che ogni uccisione era uguale alla precedente e alla successiva, ogni villaggio non era che un covo di inganni che voleva piegare o cancellare dalla faccia del suo regno.

- Vide solo un angelo della morte. Lei si muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva provocato, in sella al suo cavallo... ma prima di andarsene, lei vide il ragazzo. – C’era rabbia nella voce di Percival, adesso. Contenuta a stento. C’era odio. Odio puro. – E in mezzo a quella carneficina, sapete che cosa fece lei? Gli sorrise.

- Voi siete quel ragazzo – disse Regina.

- E voi siete la Regina Cattiva.

Fine della storia.

Regina smise di ballare e lo stesso fece Percival. – L’avete detto a qualcuno?

- A nessuno.

- E perché no?

- Perché Artù mi avrebbe impedito di fare questo. – Percival estrasse la spada e si mosse in avanti per infliggerle il colpo mortale.

A Lily, che si trovava vicino ad una delle finestre e non aveva più badato alle danze, presa com’era dai suoi pensieri, sembrò di vedere più cose contemporaneamente; Percival che sguainava la spada, Regina che indietreggiava per evitare l’affondo, Robin che gridava il suo nome e si gettava sul cavaliere, iniziando a lottare con lui, gli invitati che formavano un cerchio intorno ai contendenti, Artù e sua moglie paralizzati, Emma che sollevava una mano pronta ad usare la sua magia, Uncino che la bloccava, afferrandola per il polso, Malefica che si faceva largo in mezzo alla gente...

Lily spintonò alcune persone per arrivare dove si stava svolgendo la lotta. Vide Percival che allungava una mano per arrivare all’elsa della sua spada, Robin sotto di lui cercava di impedirglielo, dibattendosi e colpendolo ripetutamente...

La mano di Percival arrivò comunque all’elsa, la impugnò e la sollevò, gli occhi accesi di furia omicida.

Lily avvertì il potere scorrere in lei, come a Storybrooke quando Zelena aveva preso la bacchetta, come nella Foresta quando aveva percepito l’oscurità di Emma. Quando vide la lama alzarsi, pronta ad affondare nella carne ed Emma che non poteva usare la maledetta magia, reagì slanciando un braccio in avanti, quasi sperasse di bloccare Percival e prenderlo per il collo. Fino ad un attimo prima quel cavaliere stava ballando con lei, le faceva domande strane sul suo ciondolo e sulla voglia... avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe dovuto capire che aveva in mente qualcosa. Il drago dentro di lei spalancò gli occhi e ruggì.

Non si trasformò. Dalla mano di Lily si sprigionò un’onda di potere. Un risucchio silenzioso e caldo, simile allo spostamento d’aria prodotto da una scheggia arroventata lanciata a velocità supersonica, superò alcune persone, dirigendosi verso il bersaglio.

Di punto in bianco i pantaloni e la giacca rossa divamparono.

Percival cacciò un grido e balzò in piedi, agitando le mani e provando disperatamente a spegnere le fiamme. La sua spada cadde sul pavimento con un clang che riverberò per la sala. Brancolò ciecamente, dimenando le braccia, girando su se stesso e urlando come un ossesso. I capelli presero fuoco insieme al resto e infine le fiamme avvolsero il suo viso. Per qualche momento fu tutto lì, avviluppato in una muta invocazione nel bozzolo ardente, poi i lineamenti si ripiegarono e si fusero insieme. Lily guardò abbastanza a lungo da scorgere non più Percival, ma Murphy. Con orrore le parve di rivedere il volto di Murphy, Murphy che aveva abbandonato in un’area di servizio dopo averlo ucciso a suon di calci. Murphy che le diceva di fottersi e che si fottesse pure sua madre. Murphy e la sua faccia insanguinata.

Le urla cessarono e Percival bruciò, com’era bruciato il suo villaggio.

Gli invitati si spinsero a vicenda per allontanarsi il più possibile dal fuoco. Si creò confusione, baccano, si diffuse il panico. Robin era riuscito a strisciare via ed era stato ghermito da Azzurro, accorso con la spada sguainata. Ginevra nascose il viso nel petto del marito, orripilata. Artù, invece, si era immobilizzato, raggelato nella silenziosa contemplazione di quell’infuocato sviluppo. Infine alcuni cavalieri intervennero e soffocarono le fiamme con i mantelli.

Emma cercò Lily con lo sguardo, in mezzo alla folla. Non fu difficile individuarla, anche perché intorno a lei si era creato il vuoto.

Lily vacillò sulle gambe e poi crollò in ginocchio.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- So che sei lì. Puoi venire fuori adesso – disse Emma. Stava ancora guardando il punto in cui Regina e suo figlio erano spariti.

- Da quanto tempo lo sapevi?

- Sono l’Oscuro. Non dovresti nemmeno porti questa domanda. Da quando sono arrivata – Emma spostò gli occhi su di lei. - Non puoi ingannarmi.

Lily si avvicinò con cautela. Aveva seguito la conversazione fin dal principio. Quella mattina si era recata al porto, perché le sembrava un buon posto per pensare. Dentro di sé si era chiesta se dovesse invocare Emma. Chiamandola, lei avrebbe risposto. Sarebbe venuta. Si stava rigirando il giglio appassito tra le dita, quando aveva visto Henry. Immaginava che Regina fosse nei dintorni, quindi si era nascosta prima che lui potesse accorgersi della sua presenza o prima che se ne accorgesse l’altra madre. Anche se Henry sembrava troppo assorto per notare qualcosa.

- Cosa ancora più ovvia – aggiunse. - Non puoi ingannare qualcuno che ti conosce bene... come me. Qualcuno che è legato a me da sempre, poi...

- Ma l’Oscuro può ingannare gli altri, giusto? – disse Lily.

Emma non confermò, ma non era necessario.

- A che gioco stai giocando, Emma?

- Se hai ascoltato tutto, dovresti saperlo.

- In realtà no. Non lo so. Una maledizione? Sul serio?

Emma si staccò dalla ringhiera. – È ciò che meritano. Questo è ciò che merita chi fallisce.

- Perché? Cosa vuol dire tutto questo?

- Quello che vedi dovrebbe suggerirtelo.

- Sei l’Oscuro. Questo mi sembra chiaro. L’oscurità ha preso il sopravvento. Quello che non mi è chiaro è come sia successo.  

Passò qualcosa nello sguardo di Emma. Qualcosa di estremamente doloroso. L’impressione era che fosse un dolore antico, eppure anche nuovo. Molto recente.

- Voglio i miei ricordi. Su una cosa Regina ha ragione.

Emma sollevò un sopracciglio.

- Non ci fermeremo fino a quando non li avremo ritrovati.

- Lily...

- No! Ne ho abbastanza di maledizioni. È tutta la vita che lotto contro una maledizione, Emma!

Ormai erano faccia a faccia.

- E questo mi dispiace – rispose l’Oscura.

Era allucinante, eppure le parve sincera. – Cosa?

- Una volta non ti ho creduta. Ricordi? – Emma le sistemò distrattamente il colletto della giacca di pelle che indossava. – Quando mi hai detto che pensavi di essere stata maledetta...

Lily tacque. Gli occhi di Emma erano più verdi del solito. Erano dei buchi risucchianti. Trovava difficile distogliere l’attenzione.

- Non ti ho creduto. Ma adesso so che cosa provavi.

- Perché mi stai dicendo questo? Ti dispiace avermi tolto i ricordi? Ho sentito cos’hai detto a Regina. Abbiamo fallito.

- Gli altri hanno fallito, Lily. – precisò Emma, trattenendola per il colletto. – Tu no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete fallito.

Lily aggrottò la fronte. Strinse i polsi di Emma. – Però sono nella stessa situazione degli altri.

- Non ho potuto evitarlo. – Lei annuì. – Adesso vieni con me.


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Capitolo 5
*** 5. ***


5

 

 

 

Camelot. Sei settimane prima della maledizione.

 

 La sala in cui si era svolto il ballo si era svuotata di colpo e Lily era stata portata in un’altra stanza . Era una stanza piccola, in cima ad una rampa di scale, ma le sembrò affollata perché entrarono tutti: Emma, Regina, Uncino, Robin, sua madre, i genitori di Emma... come se fossero stati attori o comparse, in attesa della battuta. Le sembravano tutti senza uno scopo.

Lily brancolava alla ricerca di se stessa, di quella parte in grazia della quale era riuscita ad abbandonare quell’area di servizio anni prima, anche se aveva appena ucciso un uomo. Quella sera, in un altro mondo, ne aveva ucciso un altro. L’aveva arso vivo. Le urla di Percival le rintronavano ancora nel cervello. La sua faccia avvolta dal fuoco che si trasformava nella faccia di Murphy...

Malefica afferrò la spada che il cavaliere voleva usare per uccidere Regina. Saggiò l’elsa, sfiorò la lunga lama con la punta delle dita. – Quest’arma è incantata.

- Incantata? – Regina la prese a sua volta. Le orecchie le fischiavano orribilmente.

“...un angelo della morte. Lei si muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva provocato, in sella al suo cavallo...”

- Se Percival ti avesse ferita non saremmo riusciti a guarirti. Era incantata apposta per ucciderti.

“E in mezzo a quella carneficina, sapete che cosa fece lei? Gli sorrise”.

Emma lanciò una rapida occhiata alla spada. Poi di nuovo a Lily. Si avvicinò con estrema cautela. Sentì che la solita, trita domanda, come va?, le saliva alle labbra e la ricacciò subito in gola. Deglutì. – Ehi.

- Ehi...

In realtà Emma non sapeva bene da dove cominciare. Una parte di lei provava una sorta di senso di colpa perché non aveva potuto usare la magia. Se l’avesse fatto, Lily non avrebbe dovuto usare la sua... o meglio, non avrebbe perso il controllo. D’altra parte, se l’avesse fatto, si sarebbe rivelata e la sua situazione sarebbe potuta peggiorare di molto.

- Non avevo mai fatto niente di simile. Non so come sia successo – disse Lily, aprendo le mani e rivolgendo i palmi verso l’alto.

- È dentro di te, Lily – le disse Malefica.

- Non credevo di esserne capace.

Malefica prese entrambe le sue mani, stringendole nelle sue. – Non hai fatto niente che non andasse fatto. Quel... Percival voleva uccidere Regina e forse avrebbe ucciso l’uomo delle foreste.

L’uomo delle foreste non commentò il fatto che Malefica l’avesse appena chiamato così, ma comunque annuì. – Sì. Percival era forte e quella spada era incantata... mi avrebbe ucciso. E se anche non ci fosse riuscito, non sarebbe stato possibile curarmi.

Emma si disse che lei avrebbe potuto curarlo. Avrebbe potuto curare lui e anche Regina. Ma adesso era troppo concentrata su ciò che era accaduto. Ripensava al fuoco che sprizzava dalle mani di Lily. Pensava a Percival che ardeva...

Il potere di Lily.

Era dall’altra parte della sala, eppure l’aveva avvertito, giusto un attimo prima che esplodesse. La pelle aveva cominciato ad accapponarsi, in un modo tale da darle l’impressione di muoversi, quasi stesse formando delle onde lungo le sue braccia. Non era la prima volta che accadeva. La prima volta era stato quando... quando l’aveva raggiunta dopo l’inseguimento in auto. Avevano lottato. “Prova solo a toccarli e finirai male!”

“Sì? E come farai senza la tua magia, Salvatrice?”

Lily era furiosa e lo era anche lei. Emma l’aveva spintonata, Lily l’aveva colpita in faccia.

I fari del maggiolino erano esplosi con un botto fragoroso e nuvole nere si erano assiepate sopra le loro teste.

“I tuoi genitori sono dei mostri. Hanno bandito me in questo mondo e messo te in una teca. Ed eccoti qua, pronta a morire per loro! Perché sei perfetta! Sei la Salvatrice! Meritano di essere puniti. C’è solo un modo per fermarmi e tu lo sai!”

Erano lontane da Storybrooke, ma aveva avvertito chiaramente il...

- Potere, mia cara – esclamò Tremotino. O meglio... la cosa che aveva assunto le sembianze di Tremotino. Se ne stava comodamente seduto su una seggiola, con le gambe accavallate e il solito ghigno divertito stampato sul viso coccodrillesco. – Quanto ti sarebbe piaciuto usarlo questa sera, non è vero? Peccato che il giovane drago ti abbia rubato la scena.

- Che cosa vuoi? – domandò, fissandolo con rabbia.

- Swan, con chi parli? – chiese Uncino, perplesso.

- Con nessuno – rispose lei, avvicinandosi alla sedia. – Non preoccupatevi. Va tutto bene.

- Se l’Anti-Salvatrice non fosse intervenuta maldestramente, ti saresti ritrovata in una situazione molto... scomoda. Che avrebbe richiesto un prezzo. – Tremotino intrecciò le dita delle mani. – Perché tu sai... che la magia ha sempre un prezzo.

- Non l’ho usata. E anche se l’avessi fatto, avrei pagato quel prezzo, se fosse servito per salvare una vita.

- Non è così semplice, mia cara.

Da quando era arrivata nella Foresta Incantata quella voce non aveva fatto altro che tormentarla. Aveva l’aspetto del precedente Oscuro, ma non era Tremotino. Lui era a Storybrooke, in coma. E solo grazie alla rosa sotto la campana di vetro sapevano che era vivo. Quella cosa aveva preso le sembianze dell’unico Oscuro che avesse mai conosciuto. Ed era stanca. Stanca di sembrare una folle.

- Emma – intervenne Regina. Guardava nello stesso punto di Emma, eppure continuava a vedere una sedia vuota e un muro di pietra. – Con chi stai parlando? Che succede?

- E in ogni caso... l’Anti-Salvatrice potrebbe essere molto più utile di quanto pensassimo. È una vera fortuna che sia qui – continuò Tremotino.

- Smettila di chiamarla in questo modo. Si chiama Lily. E stasera ha eliminato un uomo che voleva uccidere Regina. – Si chinò in avanti, puntando i suoi occhi in quella spiritati della cosa.

Lily stava osservando con la fronte aggrottata. I suoi occhi guizzavano da Emma alla sedia vuota e poi di nuovo su Emma.

- Lilith, ma certo. Meglio non parlare di Anti Salvatrici quando la Salvatrice stessa ormai è oscura. Lilith. Proprio per questo ritengo che sia una fortuna averla tra noi. E non solo! – Sollevò il dito indice. Il suo ghigno si allargò ancora di più. – Ma col tempo lo capirai. Sua madre ritiene che non sia preoccupante un po’ di oscurità... chissà se sa davvero di che cosa parla. Malefica conosce l’oscurità, ma non questa. Tu la conosci. Perché sei tu la legittima proprietaria. Era tua.

- Sì, lo era. Credi che non lo sappia?

- Ti è piaciuto. – Tremotino emise la sua risatina stridula. – Gustosa l’oscurità, vero? Quando l’hai sentita... anche se non era il tuo potere, ti è piaciuto. Avresti voluto farlo tu, personalmente.

- Avrei fatto ciò che andava fatto.

- Se solo fosse vero...

- Emma – la chiamò di nuovo Regina.

Tremotino scomparve. Emma si voltò, trovandosi davanti a molte facce stranite. Azzurro e Neve erano seriamente preoccupati. Regina sembrava ansiosa. Uncino fece un passo verso di lei.

- Swan... – disse il pirata. – Cos’hai?

Emma si lisciò pieghe inesistenti sul vestito bianco. Si girò verso la sedia, che ora era vuota anche per lei. – Niente. Sto bene.

- Forse tutto questo è troppo per te – disse suo padre.

- Mi sento solo un po’ debole. – disse Emma. – Penso che andrò a stendermi per un po’.

 

 
“Mi sento solo un po’ debole. Penso che andrò a stendermi per un po’”

Regina capiva molto bene che non era quello il motivo per cui Emma aveva lasciato la stanza in fretta. Era turbata. Turbata da una lotta che avrebbe potuto essere la sua se la Salvatrice non avesse deciso di sacrificarsi. Vederla parlare col nulla... beh, non col nulla, certamente con uno dei suoi demoni interiori, era stato inquietante. Si chiedeva che forma avesse la cosa con cui Emma aveva discusso, si chiese se la vedeva sempre oppure solo quando era sotto pressione. Si chiese se ne fosse costantemente tormentata o se fosse un’apparizione che la coglieva alla sprovvista ogni qualvolta il suo potere si manifestava...

A manifestarsi, in quel caso, era stato il potere di Lily. La figlia di Malefica se ne stava appoggiata al tavolo, meditabonda. Si rigirava tra le dita il ciondolo che portava al collo.

- Forse dovrei andare a vedere come sta – disse Uncino, grattandosi la barba.

- No – intervenne Azzurro. – Lasciamola sola per un po’. Credo che ne abbia bisogno.

Ci fu silenzio.

La porta si aprì di nuovo e il sovrano entrò, guardandosi intorno e scrutando le facce dei suoi ospiti.

- Sire... - disse Azzurro.

- Spero che stiate tutti bene – disse Artù, sorridendo cautamente. – Quello che è accaduto questa sera... è inaccettabile. Ciò che ha fatto Percival... non ha scuse.

- Ma aveva ragione – intervenne Regina. Non aveva intenzione di nascondersi ancora. Ormai tutti dovevano aver intuito la verità. Forse spacciarsi per la Salvatrice quando il suo passato era così pesante non era stata la migliore delle idee. Robin allungò una mano per stringere la sua. – Io sono la Regina Cattiva.

“...un angelo della morte. Lei si muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva provocato...”

“E in mezzo a quella carneficina, sapete che cosa fece lei? Gli sorrise”.

Artù non sembrò arrabbiato e nemmeno sorpreso. – Beh, Camelot è il posto delle seconde possibilità. Chi eravate non conta. Conta chi siete adesso.

Regina si sentì più sollevata.

Artù spostò lo sguardo su Lily. Lei incrociò gli occhi del re per qualche momento.

- E voi... – disse Artù. – Avete salvato la situazione. Prima avete portato qui tutte queste persone usando la bacchetta di Merlino e poi avete...

- Ucciso il vostro cavaliere – concluse Lily.

- Come ho detto, Percival non avrebbe dovuto farlo. Non conoscevo i suoi trascorsi e mi sento in parte responsabile per le azioni che ha commesso stasera. – Artù appoggiò la mano sull’elsa di Excalibur. Il pollice sfiorò la gemma rossa incastonata nel pomolo. – Se voi non foste intervenuta, avrei dovuto punirlo io.

Nessuno commentò.

A Lily parve che l’occhiata di Artù fosse molto intensa, come se stesse provando a leggerle dentro, a carpire i suoi segreti.

- Lo credo bene. Forse dovreste scegliere meglio i vostri uomini – disse Malefica, dopo qualche istante. Duramente. – E magari chiedervi chi ha incantato la spada di quel Percival.

Di nuovo, Artù non si scompose. Abbassò lo sguardo e parve riflettere. – Sì. Mi sto già dando da fare. E vi ho preparato le stanze. Immagino che per oggi abbiate avuto la vostra dose di emozioni.

Regina lasciò la mano di Robin. Non era sicura di poter dormire dopo tutto ciò che era accaduto. La storia di Percival, le fiamme, Emma e la sua battaglia contro qualcosa che nessuno poteva vedere. A volte Regina pensava che sfuggire al passato, lasciarlo indietro, fosse impossibile. Tornava sempre. In un modo o nell’altro, quando meno se l’aspettava, la mano del passato si allungava verso di lei per batterle sulle spalla. Quella sera il suo passato aveva avuto un nome: Percival. Un bambino spaventato dalla sua furia e cresciuto nella sete di vendetta.

- Siete molto gentile, grazie – rispose Neve, accettando l’offerta di Artù.

Lily lasciò la stanza prima che qualcuno potesse aggiungere qualcosa.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Dove siamo? – domandò Lily, quando la nuvola magica che le aveva avvolte disparve.

Il porto era sparito. Ora, al posto del mare e delle barche, c’era una strada, il maggiolino di Emma parcheggiato accanto al marciapiede, un bel prato verde e una casa dipinta con delicati colori pastello, azzurro e viola per lo più. Una casa grande ed elegante. Alcuni scalini conducevano al portico e alla porta d’ingresso, sulla quale capeggiava il numero 710.

- A casa mia. Ti piace? – domandò Emma, salendo le scale e dirigendosi verso l’ingresso.

- Da quando l’Oscuro ha bisogno di una casa?

- Ne avevo bisogno anche prima, a dire il vero. – Aprì la porta d’ingresso e la lasciò aperta, perché anche lei potesse entrare.

Lily si guardò in giro, con la fronte aggrottata. Si sentiva confusa. Se possibile, ancora più confusa della sera prima, quando Emma era apparsa nelle sue nuove vesti di Oscuro.

“Gli altri hanno fallito, Lily. Tu no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete fallito”.

Seguì Emma in casa.

Il posto in sé era assolutamente normale. Persino accogliente. Non c’era nulla di elaborato e che non potesse piacere ad una persona che desiderava vivere una vita tranquilla.

Emma si diresse in cucina e si tolse la giacca, gettandola sul tavolo. Sotto portava un semplice abito lungo e nero, senza maniche, che sottolineava le curve del suo corpo tonico.

- Che cosa vuoi da bere? – domandò, aprendo il frigorifero.

- Da bere? – Lily notò una porta vicino alle scale che conduceva al piano superiore. La notò perché rispetto al resto aveva qualcosa di diverso. Era più vecchia. Stonava con i colori della casa ed era chiusa con un pesante chiavistello. – Mi stai davvero offrendo da bere?

- E perché no?

Lily osservò la porta. - Mi hai portata qui per un drink? Perché non mi parli dei miei ricordi, piuttosto?

Emma le offrì un bicchiere. – Prendi.

- Cos’è?

- Scotch. Una delle marche migliori.

Lily annusò il contenuto, incerta.

- Non essere così sospettosa. È solo scotch. Non è nel mio stile avvelenare una persona con un drink.

Probabilmente la porta conduceva in un ripostiglio o in una cantina. Non capiva nemmeno lei perché la stessa guardando.

- Conosci davvero le marche migliori di scotch? – domandò Lily, non trovando niente di meglio da dire.

- Regina le conosce. Mi è capitato di dare un’occhiata alla sua... collezione personale. – Emma sembrava divertita.

Lily sorseggiò lo scotch. Il primo sorso le bruciò la gola e lo stomaco. Era molto forte, ma forse aveva proprio bisogno di qualcosa di forte per capire cosa diavolo stesse succedendo. Frugò nella tasca della giacca.

- Me l’hai dato tu, questo? – chiese, mostrandole il giglio appassito.

Lei sorrise. – Sì. L’hai conservato, vedo.

- Non so neanche perché.

Emma lo sfiorò con la punta delle dita e il fiore recuperò il suo delicato aspetto originario, bianco con delle sfumature gialle. - Così va meglio. Aspettami qui.

Prima che Lily potesse chiederle dove stesse andando, lei svanì e ricomparve due minuti dopo. Aveva una scatola in mano. La appoggiò su una poltrona e l’aprì. Rovistò in mezzo ad un mare di oggetti, fino a quando non trovò ciò che cercava.

- Ricordi questa? – chiese, mostrandole una telecamera.

- Certo.

Le pile erano scariche, ma Emma non aveva bisogno delle pile per farla funzionare. Agitò una mano e la telecamera si accese. Lily sapeva già che cos’avrebbe visto.

Due ragazzine che si divertivano a riprendersi e ridevano, spensierate. Due ragazzine che erano appena diventate amiche, ma si sentivano legate come se si fossero già incontrate in qualche altra vita.

- L’ho trovata tempo fa. Non ricordavo di averla tenuta. – Per un momento, Emma fu di nuovo semplicemente Emma. Non l’Oscuro.

Lily prese la telecamera e guardò le due quindicenni che si mettevano in posa e si impegnavano nel fare linguacce e facce buffe. Sorrise, ripensando a quel giorno. Poi ricordò il motivo per cui si trovava lì e scosse il capo.

- Stai cercando di distrarmi?

- Sto solo cercando di fare conversazione. Non abbiamo mai parlato davvero da quando ci siamo riviste. – Emma parlava come se non ci fosse stato nulla di strano.

- Non ci provare! Non siamo qui per fare conversazione. Non questo tipo di conversazione. – l’aggredì Lily. - Che cosa significa quello che hai detto a Regina, prima? Perché le hai detto che non è una Salvatrice?

- Perché è vero.

- Sì?  – Posò la telecamera e puntò un dito contro di lei. – Perché lei sembrava convinta del contrario.

- Certo, perché non ricorda niente. - Emma si versò da bere a sua volta e sollevò il bicchiere come se volesse fare un brindisi. – A Camelot le ho affidato il pugnale. Pensavo sarebbe stata in grado di salvarmi... o di distruggermi, se fosse stato necessario.

- Quella parte me la ricordo.

- Si è definita la Salvatrice – continuò, senza badare all’interruzione. La sua espressione si era fatta di nuovo dura. – Si è definita la Salvatrice per aiutarmi. Gli uomini di Artù non dovevano scoprire chi ero.

Lily sbatté le palpebre. Cercò di figurarsi Regina che si autoproclamava Salvatrice e l’unica cosa che riuscì a mettere a fuoco fu una donna che implorava Emma di non cedere all’oscurità. Di non uccidere quella che una volta era la sua unica amica con un singolo colpo di pistola, perché avrebbe rovinato non solo la sua vita, ma quella di tutte le persone che amava.

- Ma sai una cosa? Non è servito a niente – concluse Emma, bevendo lo scotch tutto d’un fiato. Fece sparire il bicchiere con un gesto della mano.

- Che cos’è successo a Camelot?

Emma non rispose.

- Emma?

Lei rimase silenziosa per un lungo momento. Poi parve prendere una decisione. - Non posso. Non ancora.

- Non puoi? – Lily sbatté il bicchiere su un tavolino, rovesciando parte del suo contenuto. – Non prenderti gioco di me, Emma.

- Non mi sto affatto prendendo gioco di te.

- Ah, no? Ci cancelli la memoria, ci riporti tutti a Storybrooke e fai la tua entrata in scena in pieno stile Oscuro Signore. Dici di essere furiosa con tutti per qualcosa che abbiamo fatto a Camelot... mi porti qui dopo avermi detto che io non c’entro niente con questa... punizione che vuoi infliggere ai tuoi adorati genitori, a Regina e a quelli che hanno partecipato alla tua trasformazione... e ora mi dici che non puoi raccontarmi cos’è successo a Camelot?

- Sì. – La voce di Emma suonò terribilmente blanda e del tutto ermetica. Eppure Lily credette di vedere qualcosa di vivido, nel suo sguardo, qualcosa che non era per niente piacevole. Ebbe la netta impressione che quelli fossero gli occhi di Emma ma anche fossero gli occhi di qualcun altro. Ed erano occhi spiritati, pieni di tenebra. Appartenevano ad un essere molto più antico. - Sto dicendo questo.

Lily tentò di colpirla con un cazzotto, ma naturalmente Emma la fermò. Il suo pugno si schiantò sul palmo dell’Oscura, che poi glielo strinse, intrappolandola.

- Non essere così precipitosa, Lily – disse. La lasciò andare e nell’altra mano comparve il pugnale.

Lily indietreggiò di un passo, scrutandola, furiosa. Il nome Emma Swan impresso sulla lama ondulata di quell’oggetto le faceva ancora un certo effetto, nonostante l’avesse visto altre volte.

- Non sei ancora pronta per la verità. Nessuno lo è. Te lo assicuro. – riprese l’Oscura. - Ci sono delle cose che devo fare, prima. Ma voglio che tu guardi questo...

- Cosa ci dovrei vedere di diverso?

- Ce l’ho io. E nessun altro lo toccherà. Nessuno merita di farlo. Avrei dovuto prenderlo fin dal principio. – C’era rabbia, adesso. Rabbia, delusione, tristezza. La sua espressione era dura, severa, ma gli occhi verdi no. Quelli ora erano trasparenti. – Volevo che tu sapessi che non hai niente da temere da me.  

- Perché?! – gridò Lily.

- Perché tu hai cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa giusta.

 

 
- Hai visto Lily? – domandò Malefica, entrando nello studio di Regina.

Lei sollevò lo sguardo qualche istante, massaggiandosi la tempia. La testa le stava scoppiando. Re Artù aveva fatto la sua poco gradita comparsa ed era sufficientemente adirato, poiché aveva scoperto che i suoi ospiti gli avevano mentito. In più Robin aveva trovato i suoi cavalieri nella foresta. Tutti trasportati qui dalla maledizione, tutti senza ricordi, sperduti in un mondo che non conoscevano. Si era assicurata che sua sorella fosse costantemente controllata e aveva dato una strigliata sia all’infermiera che le portava il pranzo, sia alla guardia che zoppicava ancora a causa del proiettile che Zelena gli aveva piantato nella coscia. Si era rifiutata di usare la magia per curarlo.

E non riusciva a togliersi dalla mente quello che le aveva detto Emma.

Henry, così fiducioso: “Ce la puoi fare, mamma. Puoi essere la Salvatrice”.

La voce dura, persino rattristata di Emma:“Non succederà”.

“Tu non credi che io possa esserlo”.

“So che non lo sei”.

- No, non l’ho vista. Perché sarebbe dovuta venire qui? – rispose Regina, seccata. Si alzò, andando alla finestra.

“Posso proteggere questa città”.

“Stai raccontando frottole a te stessa. Perché questa maledizione è qualcosa che solo una Salvatrice può risolvere. Peccato che non ne abbiamo una”.

- Non lo so. L’ho cercata dappertutto e alla fine ho provato anche qui. – stava dicendo Malefica.

- Beh, qui non è venuta.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”

- È adulta. Saprà cavarsela. Come se l’è cavata fino a questo momento anche senza di te. – Regina si pentì immediatamente di ciò che aveva detto, ma ormai era troppo tardi per mordersi la lingua.

Malefica le regalò un’occhiata furente, poi si girò per andarsene.

- Malefica, aspetta! – esclamò Regina, serrando le palpebre. Si appoggiò alla scrivania. – Mi dispiace. È stata... una pessima giornata.

Dopo un attimo di esitazione, Malefica richiuse la porta dello studio.

- Davvero. Questa ennesima maledizione mi rende furiosa e mi rende furiosa anche aver perso tutti i miei ricordi.

- E il tuo incontro di questa mattina non ha migliorato le cose. – concluse Malefica, avvicinandosi alla scrivania. Portava un completo di lino grigio che gli fasciava la vita e i fianchi e una camicia di un grigio più chiaro con una cravatta di seta viola. I suoi capelli erano un ordinato ammasso di onde color grano.

Regina aggrottò un sopracciglio. – Come sai dell’incontro di questa mattina?

- Ne parlavano quei due. Intendo gli Azzurri.

Levò gli occhi al cielo. - Per quale motivo ho posto questa domanda!

- Vedo con dispiacere che l’Oscura è riuscita ad instillare qualche dubbio – continuò Malefica, sfiorando il legno della scrivania con la punta delle dita.

- Si chiama Emma – precisò Regina, istantaneamente.

- Emma, certo. – Malefica le rivolse un sorriso divertito.

- Pensi che sia divertente?

- No, affatto. Penso sia sorprendente. – C’era una luce strana, negli suoi celesti. Qualcosa di indefinibile, quasi la stesse sondando. – Ci tieni molto a lei.

- Io tengo a tutta questa città. Sto facendo il possibile per...

- Ma tieni a lei in modo particolare. Diverso.

“Ci tieni molto a lei”.

“Tieni a lei in modo particolare. Diverso”.

Beh, è vero, si disse Regina, con una punta di meraviglia.

- Ha sacrificato il suo lieto fine per salvare il mio. Cosa dovrei fare? Stare a guardare mentre l’oscurità la inghiotte? – La sua voce era roca e alterata.

- Sempre che non l’abbia già inghiottita.

Regina scosse il capo. – No, sono sicura di no. Emma è ancora lì, da qualche parte. L’ho... l’ho percepita.

- Bene – disse Malefica. – Immagino che tu ne sappia qualcosa.

In realtà Regina sperava che fosse così. Non voleva soffermarsi sulla possibilità che per Emma non ci fosse alcuna via d’uscita.

- E anch’io sono sicura che Regina sia ancora lì da qualche parte – continuò Malefica. Le si accostò, appoggiandole due dita sotto il mento perché alzasse la testa. – Stai pensando a cose che non devono essere pensate, Regina. Peggio ancora, stai prendendole in considerazione.

- Stavo solo pensando ad un modo per venire fuori da questa situazione.

- No. Stai pensando a quello che ti ha detto Emma. Stai pensando di non poter essere fondamentale per questa città. L’Oscuro fa questo, Regina. Ti manipola. Ti inganna. Dovresti saperlo.

Regina la guardò negli occhi celesti. Aveva l’impressone che la situazione si fosse ribaltata. Una volta era toccato a lei riaccendere la scintilla e alimentare il fuoco di Malefica. Ora sembrava che Malefica stesse facendo lo stesso con lei. – Emma è furiosa. Per qualcosa che abbiamo fatto. Non sta solo cercando di manipolarmi. Lei vuole farmi capire che... non riuscirò a proteggere nessuno.

Malefica rimase in silenzio.

- Robin sostiene che possa farlo. Che tutti... pensino che io possa farlo. Ma non ne sono così sicura. La gente mi ha perdonata... ma perdonare non significa credere che possa farcela.

Malefica l’afferrò per il collo. La sua presa era molto salda. – Io credo che tu possa farcela.

- Lo dici per rassicurarmi?

- Non ti sto rassicurando. Lo dico perché è vero. Qualsiasi cosa sia successa a Camelot, non cambia il fatto che tu sia l’unica a poter tenere le redini di questa città. – La fissava ancora. E il suo sguardo era fermo. – So che anche dentro di te si nasconde un drago.

Regina le sorrise.

Qualsiasi cosa sia successa a Camelot.

Fece un profondo respiro, lo trattenne per qualche istante e lo lasciò andare lentamente. - Vuoi che ti aiuti a trovare Lily?

- No – rispose Malefica, allontanandosi un poco. – Me ne occupo io.

- Ti preoccupa che Emma possa farle qualcosa?

- Beh, considerando che vuole punirci... e poi sono convinta che questa storia di Emma tocchi Lily molto più di quanto lei dia a vedere.

Regina non poté fare a meno di notare che nominare Lily invariabilmente causava un cambiamento nella voce e sul viso di Malefica. Era qualcosa che addolciva i suoi lineamenti, conferendo loro qualità che prima non avevano. 

Le sovvenne il momento in cui Emma le aveva parlato per la prima volta della sua amica. Erano nella cripta. Lei era fuori di sé perché Emma aveva riportato indietro Marian, sfasando la linea temporale e causandole una marea di problemi.

Marian che non era Marian. Era Zelena.

“Sono un’idiota”.

“Finalmente una cosa su cui siamo d’accordo!”

“Vedi, io sono già stata in questa situazione”.

“Quella in cui mi disturbi? Sì, è già successo”.

“Mi è successo da piccola. Ho conosciuto una persona... e pensavo che saremmo diventate... migliori amiche. Ma quella ragazza mi ha mentito...”

Regina non aveva capito per quale motivo glielo stesse raccontando. La sua presenza la seccava, la infastidiva oltre misura. Desiderava afferrarla e prenderla pugni. Sbatterla fuori a calci... desiderava che la lasciasse in pace. Che non le imponesse la sua presenza. Tutto quello che Emma aveva fatto l’aveva colpita in un modo tale che avrebbe voluto trovare un posto in cui la Salvatrice non potesse raggiungerla. Ma la Salvatrice la raggiungeva ovunque andasse, naturalmente.

“E per colpa di una bugia io l’ho allontanata. Mi ha chiesto di perdonarla, ma non l’ho fatto. Con il tempo ho capito che era stato uno sbaglio, me ne sono pentita. Ma a quel punto... era troppo tardi. Il danno era fatto”.

Regina si era messa ad ascoltarla seriamente, interessata suo malgrado a quella storia.

“Ora non voglio fare lo stesso errore con te. Adesso vivo qui, con mio figlio e i miei genitori... e a loro voglio bene. Però non sempre riescono a capirmi. Non sanno che cosa vuol dire sentirsi incompresi e respinti. Non come lo so io. Non come lo sai tu!”

Oh, certo che lo sapeva. Lo sapeva ed era sicura che anche questo l’avesse avvicinata ad Emma. L’essere simili. L’essersi sentite incomprese. A lungo.

“E questo ci rende... non lo so... uniche! Persino speciali”.

Ed era così in contrasto con ciò che Emma le aveva detto.

“Adesso sei sola”.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

La colpì un gelido senso di inquietudine e Regina si ritrovò ad abbracciare se stessa. Scacciò quella voce, rifiutandosi di ascoltarla.

La porta del suo studio si aprì e Lily fece la sua comparsa. Aveva un’aria corrucciata e pensosa, ma era tutta intera.

- Lily, si può sapere dov’eri finita? Ti ho cercata ovunque! – esclamò Malefica.

- Mi dispiace. Ero... sono stata al porto. – disse Lily.

- Al porto?

Lily annuì.

- E immagino che tu abbia visto me ed Emma – aggiunse Regina.

- È stato inevitabile, direi – ribatté la ragazza, come se fosse stata una cosa pressoché ovvia.

Regina provò un forte senso di fastidio. Non avrebbe saputo dire da dove venisse... forse dall’idea che nessun altro avrebbe dovuto assistere a quell’incontro. Era stato il suo incontro con Emma. Il suo e di Henry.

“Emma, che c’è?”

“Si trova a Lowell, in Massachusetts, che è a meno di... cinquanta chilometri da Boston, dove abitavo cinque anni fa”. Emma non riusciva a riaversi dalla sorpresa. “Siamo cresciute in Minnesota, ci siamo separate da ragazzine e siamo finite a vivere da adulte a mezz’ora l’una dall’altra”.

“Come ho detto, è destino. E il vostro vi spinge a stare insieme”.

Già allora Regina l’aveva capito. Erano connesse. Nel bene o nel male lo sarebbero sempre state. Anche adesso che Emma era oscura. C’era qualcosa, in quel legame... che la preoccupava e la faceva sentire... strana. Era destino, sì. Ma si domandava cosa significasse ora per Lily essere legata alla nuova Signora Oscura.

- Hai parlato con Emma, vero? – disse Regina.

“Perché tu hai cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa giusta”.

“Non hai niente da temere da me”.

- Sì – disse Lily. – Solo per pochi minuti.

Regina e sua madre attesero il resto.

- Non mi ha detto niente che non abbia detto anche a voi. – continuò lei, senza esitazioni.

“Tu hai cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa giusta”.

A Lily sembrò che il drago dentro di lei avesse appena socchiuso gli occhi.

- Ha cercato di farti qualcosa? – chiese Malefica.

- No. Anzi, sembrava... gentile.

Regina roteò gli occhi. – Gentile? Allora che cos’abbiamo visto ieri sera?

Nessuno rispose.

Lily scrollò le spalle. - Forse fa tutto parte del suo piano. È l’Oscuro. L’Oscuro passa il suo tempo a inventarsi nuovi modi per ottenere quello che vuole, giusto?

- Il precedente Oscuro lo faceva. – disse Malefica.

- Eppure continua a sfuggirmi qualcosa – continuò Regina. – Ed è qualcosa che sta spingendo anche Emma. Non si tratta solo di ciò che abbiamo fatto noi... è qualcosa che ha fatto lei. Qualcosa che non ha potuto fermare.

 

***

 

Camelot. Sei settimane prima della maledizione.

 

Dopo essersi occupato delle sistemazioni dei suoi ospiti, Artù non si era recato nelle sue stanze. Si era aggirato per il suo castello e infine era giunto nella grande sala che ospitava la Tavola Rotonda. Pensava a tutto quello che era successo quella sera. A quello che aveva visto.

Prese lo scudo appartenuto a Percival; era bianco e nero, decorato da una saetta. Ne saggiò la consistenza. Lo rivide mentre estraeva la sua arma incantata e affrontava uno dei suoi demoni. Regina. La Salvatrice che non era affatto la Salvatrice. La Regina Cattiva.

Non aveva mai conosciuto gli incubi di Percival. A lui interessavano unicamente le sue doti; era intelligente, coraggioso, abile con la spada e la lancia. Era un buon osservatore. Era fedele al suo re.

Ma quella sera...

Quella sera si era lasciato vincere dall’odio.

Posò lo scudo sul tavolo e poi sedette pesantemente. Prese il posto che era stato del suo defunto cavaliere. Avvertiva un’indicibile stanchezza.

Ginevra venne da lui. Aveva un’aria assorta e preoccupata. – Questi stranieri mi spaventano, Artù.

- Tu conosci la profezia di Merlino quanto me. – rispose, deciso. – È giusto che siano qui.

- Merlino ci dice che cosa succede... ma non come. – Si approssimò alla Tavola Rotonda e osservò tristemente lo scudo di Percival.

Artù strinse di più l’elsa di Excalibur.

La sua spada spezzata.

Si ricordò del giorno in cui l’aveva estratta dalla roccia, come aveva predetto Merlino. Si ricordò del momento in cui aveva sentito il potere ed era stato sicuro di essere quel re, il re che Camelot aspettava. Stringere l’elsa di Excalibur gli aveva trasmesso forza e determinazione.

Ma quando aveva estratto la spada e aveva scoperto che ne mancava una parte... era stato come vedere le sue speranze crollare. Le profezie di Merlino non erano che mezze verità. E la successiva ricerca era stata inutile...

Che tu sia maledetto, Merlino, pensò.

- Percival è morto, Artù. Quella ragazza... l’ha bruciato vivo. - Era sicura che non sarebbe riuscita a dormire quella notte, tormentata dall’immagine di Percival che urlava, avvolto dalle fiamme.

Artù alzò gli occhi su di lei.

- Come possiamo sapere che cos’altro succederà, adesso che queste persone sono qui a Camelot?

- Loro sono qui per distruggere l’Oscuro. E non sarà facile. – Lo sguardo di Artù era cupo. Era quasi uno sguardo di pietra. – Il loro aiuto è l’unica chance che mi resta per mettere le mani sul pugnale di quel mostro.

Estrasse Excalibur e appoggiò la spada sullo scudo di Percival. – Ginevra... se non rimetto insieme Excalibur, ogni nostro sforzo sarà stato vano.

La regina mise una mano sopra la sua e Artù gliela strinse. Continuò a fissare Excalibur ancora per un po’. Intorno a loro nessun rumore. Il castello era oscuro e silenzioso. La notte era tranquilla. Da una delle grandi finestre vedeva il cielo punteggiato di stelle.

- C’è qualcos’altro che ti preoccupa, vero? – disse Ginevra.

Artù rifletté qualche istante. Poi aprì la giubba dorata e infilò una mano in una tasca nascosta. Tirò fuori una pagina ingiallita e arrotolata. La dispiegò davanti alla moglie.

- Che cos’è? – domandò Ginevra.

- L’ho trovata nella Torre di Merlino, tempo fa. Non ci avevo più pensato. Ero... troppo preso dalla mia ricerca.

- Sembra una profezia.

- Un incantesimo, non una profezia. L’ha trascritto lui in uno dei suoi libri. E qualcun altro ha aggiunto... una specie di stralcio dal futuro. Le calligrafie sono diverse. Merlino ha trascritto l’incantesimo, ma non le ultime righe più sotto.

- E chi è stato dunque?

- Forse il suo Apprendista. L’ha nominato, qualche volta. Quando ero bambino e mi parlava...

La calligrafia del mago era elegante e sicura. Ogni parola era molto chiara, sebbene fosse passato parecchio tempo dal giorno in cui Merlino l’aveva riportata su quel foglio.

 

Che l’oscurità trovi la sua via

Dal grembo materno a un altro dell’inferno

 

Se vedrà la luce della vita

In una terra lontana dall’ombra infinita

 

Che la magia non le dia forma

E di tale buio non lasci orma

 

Su questo infante sia posta la norma

 

- Ma è... è magia nera – commentò Ginevra, con gli occhi sbarrati e rabbrividendo.

- No... sembra più un incantesimo di protezione contro una forza oscura. Non so spiegartelo. – rispose Artù. Continuava a stringere la mano della moglie, con forza, persino con rabbia. – Leggi il resto.

 

Quel che è fatto è fatto.

I loro destini sono intrecciati

Com’è sempre stato e come sempre sarà

Così ha detto il mio Maestro.

 

Vedo l’ombra infinita approssimarsi a Camulodunum

L’infante figlio del drago porta con sé una stella

E il suo destino s’intreccia con l’altra metà di Caledfwlch

 

- Cosa c’entra questo con noi? – domandò Ginevra, perplessa.

- Oh, c’entra – rispose Artù. Con l’indice indicò il nome Camulodunum. – Questa è Camelot. Una volta, molto tempo prima che nascessi io, il posto si chiamava così. Camulodunum. E Caledfwlch è l’altro nome di Excalibur. Ho trovato un’illustrazione. L’Apprendista di Merlino ha disegnato la spada. La mia spada.

Excalibur sembrò risplendere in modo sinistro, ancora posata sullo scudo, proprio sopra la saetta simbolo di Percival.

- E il resto? – domandò Ginevra, con la voce tremante.

- L’infante è la figlia di Malefica. Quella donna sa trasformarsi in un drago. Di conseguenza Lilith è il figlio del drago. – Poi Artù indicò il proprio polso. – Ha una stella impressa sulla pelle. Qui. L’ho vista. Sono sicuro che l’ha vista anche Percival, mentre ballavano. La terra lontana... suppongo sia il mondo da cui provengono.

Ginevra deglutì. – Siamo in pericolo?

- Forse. Ho fatto sistemare Lilith in un’altra ala del palazzo e c’è una guardia davanti alla sua porta.

- E credi che questo possa bastare? Artù, è un drago... se riesce a trasformarsi la tua guardia non potrà fare niente contro di lei.

- Non lo farà. Anche loro hanno bisogno di noi e la madre aiuterà Lilith a controllarsi. Gli Azzurri mi hanno detto che non è molto che quelle due si sono ritrovate. Lilith non controlla bene il suo potere, ma Malefica intende insegnarglielo... la terrà a bada. Se la rinchiudessi in prigione, non servirebbe a niente in ogni caso, desterei dei sospetti e non riuscirei ad ottenere ciò che voglio.

- Artù, Merlino dice anche che il suo destino è legato alla parte mancante di Excalibur. E poi che cosa vuol dire che l’ombra infinita si sta avvicinando a Camelot?

Avrebbe tanto voluto rispondere a quelle domande. Però non poteva. Non poteva perché aveva imparato che Merlino non era mai chiaro. Lo sembrava, ma le sue profezie, le sue parole nascondevano sempre dell’altro.

“Quel che è fatto è fatto”.

“I loro destini sono intrecciati”.

Avrebbe capito. Avrebbe decifrato quell’enigma e, se l’avesse ritenuto necessario, si sarebbe occupato della figlia del drago.

Lui era il re. Quello era il suo regno. Nessuno gliel’avrebbe portato via.

 

___________________

 

 

Angolo autrice:

 

Salve, lettori!

Qualche piccola precisazione:

 
Non si sa se Camulodunum  sia il primo nome di Camelot. Si tratta di una supposizione. È il nome di una fortezza legionaria della provincia romana della Britannia. Dovrebbe corrispondere alla moderna Colchester. Il nome deriva dal celtico e significa “La Rocca di Camulos”. Secondo alcuni, Camelot è una deformazione di Camulodunum.

Caledfwlch, invece, è il nome di Excalibur nella tradizione celtica.


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Capitolo 6
*** 6. ***


6

 

 

 
Minnesota. Anni fa.

 

“Lei è pazzo”.

Era la seconda volta che Lily definiva l’uomo che aveva incontrato sull’autobus in quel modo.

Perché non esisteva un’altra spiegazione.

Era reale. Lei era reale. Non era la figlia di un dannato personaggio di una storia inventata. Non veniva da un mondo incantato, non era uscita da un uovo di drago che era stato rubato dal nido di sua madre da Biancaneve e dal Principe Azzurro. Che erano i genitori di Emma. Di Emma! La sua vita era un disastro, era un grande, enorme casino, ma era fottutamente vera.

‘Non me ne starò qui a credere a tutte queste stupidaggini’, pensava, mentre il vecchio con la barba grigia la guardava, comprensivo e benevolo. ‘Sono le cazzate di un arteriosclerotico’.

Solo che non lo erano e Lily lo sapeva. Per quanto si ripetesse che erano tutte fandonie, ciò non bastava a liberarla da quella certezza. Era come se quel tizio le stesse confermando cose che in fondo immaginava già.

Emma era entrata nella sua vita e quando l’aveva incontrata al supermercato aveva subito avvertito un legame, come se un filo rosso e invisibile le unisse. Per questo era stato così facile parlarle e volerle bene. E questa era la prima cosa. Quell’Apprendista, come si faceva chiamare, sapeva un sacco di fatti che la riguardavano. E questa era la seconda. C’era qualcosa di fondamentalmente diverso, di sbagliato in lei e questa era la terza. La quarta era... che quel vecchio aveva davvero l’aria di un mago. Parlava in modo strano, usando parole a volte antiquate.

“Ho imprigionato l’Autore nel libro. Ora non può più modificare le storie. Può solo registrare dei fatti”, disse l’Apprendista, incurante del suo commento. “Purtroppo non si può tornare indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare questa faccenda”.

“Quei due... mi hanno rovinata”, riuscì a dire Lily.

L’Apprendista assentì. “Sono stati manipolati. Come me, del resto”.

“Mi hanno maledetta”, continuò, come se non avesse sentito.

“Già, è vero”.

Il suo primo pensiero fu che li voleva morti. Tutti e due. Erano i genitori di Emma, ma li voleva morti. Erano stati manipolati, ma a lei sembravano comunque dei mostri e li voleva morti.

“Dov’è mia madre adesso?”

“È in questo mondo”.

“E mio padre?”

“Non so niente di tuo padre, cara. Mi dispiace”. L’Apprendista guardava dritto dinanzi a lui. “In ogni caso non puoi raggiungere Malefica, adesso. C’è una maledizione”.

“Un’altra?”

“Questa è diversa. La custodiva tua madre nel suo scettro, ma la Regina Cattiva gliel’ha sottratta. Ha tolto il lieto fine e i ricordi a moltissima gente, compresi i genitori di Emma. Lei si trova qui perché loro ce l’hanno mandata”. Le raccontò della teca magica costruita da Geppetto, nella quale era stata riposta una Emma appena nata perché potesse salvarsi.

Sì, erano dei mostri. Quei due erano dei mostri, senza dubbio. Biancaneve era un mostro.

Le sovvenne l’immagine di una ragazzina con i capelli neri e le labbra rosse, la pelle candida come neve, una ragazzina in grado di incantare gli uccellini e commuovere il Cacciatore, il killer assoldato dalla matrigna. Stava per esplodere in una risata un po’ folle e isterica, ma riuscì a trattenersi.  

“La maledizione...”, ricominciò Lily.

“Deve essere spezzata. E sarà Emma a farlo. Tuttavia è ancora presto. Passeranno parecchi anni prima che il suo destino si compia. Il suo e... il tuo”.

“Il mio?”

“Questa non è stata l’ultima volta, Lily”. Si voltò di nuovo, incrociando i suoi occhi sbarrati e ripieni di furia. “Tu ed Emma siete legate e così sarà per sempre. Un giorno la rivedrai. Emma sarà la Salvatrice, ma l’oscurità incombe per tutti. L’oscurità... minaccia chiunque”.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Emma afferrò l’elsa di Excalibur con entrambe le mani. Il pugnale giaceva accanto alla spada, sulla roccia nella quale la lama era stata incastonata. Gli intarsi neri si sposavano molto bene con i disegni impressi sull’arma appartenuta ad Artù.

La gemma rossa brillò, illuminando l’antro in cui Emma custodiva la roccia.

L’Oscuro tirò con vigore per estrarla.

Un’ondata di potere si riversò fuori dalla spada e la investì, scaraventandola qualche metro più indietro.

Se lei non fosse stata l’Oscuro, ma una persona comune, si sarebbe trasformata in un mucchietto di cenere.

Tremotino ridacchiò, divertito. – Credevi davvero che fosse così semplice, cara?

Emma scosse il capo, stordita dalla magia protettiva che circondava Excalibur. Si voltò, osservando il suo pugnale e la spada ancora al suo posto nella roccia. Avvertì la furia salire come una marea. No, certo, non avrebbe mai potuto essere così facile. Avrebbe dovuto immaginarlo. Essere l’Oscuro, aver abbracciato l’oscurità, possedere tutto quel potere non era sufficiente.

- Questo tentativo è stato addirittura più ridicolo del tuo tête-à-tête con il pirata. Una perdita di tempo inutile. – aggiunse Tremotino.

Emma tornò verso la roccia.

- Se davvero vuoi quella spada... devi pagarne il prezzo – commentò lui, aggiungendo un’enfasi particolare alla sua parola preferita: prezzo.

 

 
- Datevi una mossa, ragazzi. – disse Leroy agli altri nani, al lavoro nelle miniere. – Visto che Pisolo è un albero dobbiamo essere produttivi anche per lui.

- Produciamo un po’ di ossigeno. – replicò Gongolo.

Persino Leroy sorrise per qualche momento, salvo poi recuperare la sua espressione scura e scontrosa. – Ehi! Concentriamoci.

- Giusto.

I nani si girarono di scatto, udendo la voce di Emma.

La figlia degli Azzurri se ne stava comodamente seduta su una roccia, con le gambe accavallate e un accenno di sorriso. Sembrava molto a suo agio, quasi stesse assistendo ad un film.

- Nessuno ama le brutte sorprese. – continuò la nuova Oscura.

- Niente polvere di fata per te, sorella. – disse Brontolo, risoluto.

Emma si alzò e prese uno dei picconi appoggiati al muro. – Infatti sono qui per qualcos’altro. Qualcosa di più... affilato.

- Il mio piccone. – disse Gongolo.

- Oh, sai, ho imparato una cosa, da quando sono diventata l’Oscuro. – Raggiunse Gongolo. – Se c’è il tuo nome su qualcosa... tienitelo stretto.

- Che cosa sei diventata? – domandò Leroy, agitando il suo, di piccone. – Gli Azzurri dicono che Emma, la Salvatrice, è ancora qui da qualche parte. Gli farò sapere che non l’ho vista. Io vedo soltanto l’Oscuro Signore in azione.

La voce di Brontolo ebbe su di lei lo stesso effetto che avrebbero avuto delle unghie che sfregano contro una lavagna. - Già. Io sono l’Oscuro. E tu un nano da quattro soldi che come unica arma ha un piccone.

- Fatti sotto, se ne hai tanta voglia! – esclamò Leroy.

- Fatti sotto? – Gongolo non credeva alle sue orecchie. – Ma come fatti sotto? Leroy...

- Tu taci. – lo rimbeccò il nano, squadrando l’Oscura. – Pensi che un nano non possa combattere? Non importa quanto sei forte. Sono disposto ad affrontarti.

Emma strinse gli occhi, fino a ridurli a due fessure. Brontolo ebbe la netta impressione che la ragazza che un tempo aveva spezzato la maledizione della Regina Cattiva lo stesso studiando, che stesse spiando nella sua mente.

- Cosa stai facendo? – chiese.

- Leggo dentro di te. – rispose Emma. – Ecco un’altra cosa che ho imparato, diventando l’Oscuro.

- Leggi?

- Le tue paure. I tuoi segreti. Le tue debolezze. – scandì, avvicinandosi di più a lui.

- Ah! – Leroy sollevò di più il piccone. – Le debolezze, avete sentito?

Gli altri nani avevano sentito benissimo, ma se ne stavano tutti schiacciati l’uno contro l’altro, timorosi.

- Un comportamento degno del miglior Oscuro. – continuò Leroy, imperterrito. – Un’altra cosa che farò sapere al nostro sceriffo. Così la smetterà di comportarsi come un povero padre preoccupato per la figlia e troppo spaventato per agire.

- Fallo pure. – fu il commento di Emma. – Credi che me ne importi qualcosa, di quello che dirai a mio padre?

- Oh, quindi non ti importa se gli dirò che sei diventata un mostro?

- Potrebbe importare a te nel momento in cui me la prenderò con ciò che hai di più caro in questa città. E non parlo del tuo piccone. – Emma si sporse verso il nano e gli parlò in un orecchio, come aveva fatto con Gongolo un istante prima. – Parlo... di una certa fata.

Il cuore gli balzò nel petto come un pupazzo a sorpresa impazzito. – Non lo farai.

- Prova a sfidarmi di nuovo, allora.

- Sei così codarda da fare del male ad una persona innocente? – sibilò il nano. Le mani che serravano il manico del piccone sudavano copiosamente.

- Oh, no, affatto. Colpire te adesso sarebbe un gioco da ragazzi. Ma esistono cose ben peggiori della propria morte. – L’Oscuro continuava a sussurrare le parole nel suo orecchio. Il tono era scostante e determinata. - Preferisci che le strappi il cuore o che le strappi le ali?

Le mani gli tremavano al punto tale che faceva fatica a mantenere la presa sulla sua arma. Ebbe voglia di scaraventargliela sulla testa, sapendo che comunque non l’avrebbe uccisa.

Poi fece un passo indietro e lo gettò via, con rabbia.

- Bene. – commentò l’Oscuro. – Buon lavoro, nani.

 

 
Emma tornò con il piccone e si avvicinò a grandi passi alla roccia. Lo sollevò sopra la spalla e si preparò a calarlo sulla dura pietra.

- Il piccone di un nano! – esclamò Tremotino, comodamente appoggiato alla roccia. – Questo condurrà certamente ad un insuccesso. Anche se... ammetto che le tue minacce mi sono piaciute. Sarà che non siamo in buoni rapporti con le fate.

- Il piccone di un nano spezza qualsiasi cosa. – ribatté Emma.

- Ma niente spezza la magia. A parte un bacio. – Tremotino sembrava divertirsi un mondo quando la sbeffeggiava. – Hai mai pensato di estrarla con un bacio?

Emma sferrò un potente colpo di piccone, imprimendovi tutta la forza che aveva.

Il piccone si ruppe. Le rimase solo il manico.

Tremotino emise la sua stridula risatina. – Se la spada potesse parlare ti direbbe che sei una povera sciocca! Stai esaurendo le opzioni, cara. Vedi, noi vogliamo soffocare la luce. Quindi, abbiamo bisogno di un eroe che estragga Excalibur dalla roccia.

Emma avrebbe dovuto pensarci prima. Era troppo occupata a valutare tutte le possibili opzioni e non aveva considerato la più ovvia, dato che ad estrarre l’arma era stato Artù, un uomo che era tutto fuorché un eroe. La profezia di Merlino aveva indicato lui come re di Camelot, ma poi le aspettative erano state deluse.

Tuttavia era un eroe all’inizio. Era un vero re prima di scoprire che Excalibur era solo una spada spezzata. Lo era prima di perdere la testa nel corso della sua ricerca.

- E chiariamoci. – continuò Tremotino. – L’eroe non sei tu. Perciò perché non la smetti di perdere tempo e non vai a prendere l’eroe di cui abbiamo bisogno?

Ancora prima che lui continuasse, Emma sapeva già chi doveva cercare.

- Naturalmente entrambi sappiamo... di chi si tratta.

- Tu.

Rise di nuovo. – Beh, non proprio. Ma se così per te è più facile...

Emma gettò via il manico di legno sul quale capeggiava il nome di Gongolo. – Lui non è un eroe.

- No. Non ancora, cara. Adesso è solo... un uomo. Un uomo da ricostruire. Senza di me, in effetti... non è niente.

Emma appoggiò le mani alla roccia, osservando gli elaborati disegni della lama. La gemma rossa nel pomolo era come un occhio sempre aperto che vegliava.

- Lo costruirò. – disse l’Oscura, senza distogliere lo sguardo dalla spada.

- Vuoi costruirlo tu? Sarà difficile, cara.

Il suo indice seguì i dettagli impressi sull’elsa. - Non io. Ma qualcuno lo farà per me. 

                                                                                                                                 

 
Trovò Merida dove chiunque si sarebbe aspettato di trovarla.

Vagava ai margini di Storybrooke, nel bosco, con una freccia già incoccata. Girava in tondo, più che altro. I suoi occhi cercavano disperatamente qualcosa di familiare, qualcosa che potesse ricondurla a casa, forse. I riccioli rossi le spiovevano sul viso ed erano più in disordine del solito.

Quando Emma comparve alle sue spalle, lei si voltò di scatto, tendendo la corda dell’arco al massimo.

- Merida. Che piacere rivederti – disse l’Oscura, in tono piatto.

- Tutto questo è opera tua, vero?! – gridò Merida. – Avrei dovuto immaginarmelo da quando ti ho incontrata. Alla fine i tuoi demoni ti hanno raggiunta.

- Metti via quell’arco. Non ti servirà a niente. – Emma avanzò di un passo.

Merida osservò l’essere maligno che una volta le aveva strappato il cuore, minacciando di ucciderla. Allora aveva visto una donna tormentata dalla magia oscura, tormentata da voci che sentiva solo lei e che volevano spingerla verso il baratro, verso la tenebra. Ne aveva avuto subito paura, ma l’aveva anche aiutata, perché sapeva quanto fosse terribile portare sulle spalle il peso di una maledizione.

- Stai lontana da me! – disse Merida, preparandosi a scoccare la sua freccia.

- Oppure?

- Oppure dovremo combattere.

- Non hai nessuna possibilità.

- Non ti conviene sottovalutarmi.

- Mi baso su quello che so. Non sei riuscita ad uccidere l’uomo che ha trafitto tuo padre alle spalle. L’hai mancato. L’hai mancato come una principiante. E adesso vorresti usare quelle frecce contro di me? Certo, la distanza è nettamente inferiore. È più facile... – Il sorriso di Emma le raggelò il sangue nelle vene.

La mano di Merida tremò visibilmente. La regina di DunBroch era paonazza, con gli occhi più sgranati che mai. Sembrava dovesse svenire da un momento all’altro o crollare a terra fulminata. Scoccò la freccia, urlando, presa dalla furia e quella filò nell’aria che la separava da Emma, o qualsiasi cosa fosse la creatura che aveva osato parlarle in quel modo di suo padre.

Emma non bloccò la freccia. Sarebbe stato semplice. Per quanto giungesse veloce, puntando dritta al suo cuore, lei la vedeva arrivare con una lentezza disarmante.

L’Oscura allargò le braccia e la punta la trafisse. Il dolore fu breve. Intenso, ma breve. Emma non cambiò neppure espressione, mentre afferrava la freccia di Merida e la estraeva, per poi spezzarla a metà e gettarla via.

- Dove sono i miei fratelli? Cos’è successo? Dimmelo!

- Possiamo andare avanti così tutto il giorno, Merida. – osservò Emma, ignorando la domanda. Non si chiese da dove fosse venuto quel ricordo, quello legato al padre di Merida. Immaginava che, in quanto Oscura, certe conoscenze fossero... parte di lei. Immaginava che la sua mente potesse arrivare ovunque, immaginava che, in qualche modo, potesse arrivare alle debolezze, ai segreti delle persone con cui era entrata in contatto. Così come nelle miniere era arrivata al punto debole di Brontolo. - Dipende da te. Possiamo anche cambiare gioco. Potrei trasformarmi in qualcosa che già conosci, se la cosa ti diverte.

Merida afferrò un’altra freccia e la incoccò. Una nube magica abbracciò Emma, occultandola per qualche momento. Crebbe vistosamente davanti ai suoi occhi, salì verso l’alto, verso le fronde degli alberi. Si gonfiò, come un ventre gravido in procinto di partorire qualcosa di mostruoso.

Mor’du allungò una zampa nera verso di lei e Merida spiccò un balzo per evitarlo. Incespicò e cadde malamente. Non perse la presa sull’arco e, afferrata una nuova freccia, la scagliò contro l’orso mannaro che ora ruggiva, imbestialito. L’enorme bocca piena di denti aguzzi e letali avrebbe potuto divorarla in un solo boccone.

Mor’du si precipitò verso Merida, minacciando di schiacciarla sotto il corpo possente. Lei si alzò e prese a girargli intorno, standogli il più lontano possibile. Scagliava una freccia dietro l’altra, colpendolo sempre, ma senza mai riuscire ad ucciderlo. L’orso sradicò un albero dalle sue radici e quello si piegò lentamente, scricchiolò e infine rovinò a terra, sollevando foglie e causando la fuga precipitosa di uno stormo di uccelli.

Non è Mor’du! Sta giocando con te!

La voce che urlava nella sua testa era molto simile a quella di suo padre, Fergus.

“Non sei riuscita ad uccidere l’uomo che ha trafitto tuo padre alle spalle. L’hai mancato. L’hai mancato come una principiante”.

Era la verità, lei l’aveva mancato. Aveva mancato quel cavaliere che non aveva neppure visto in faccia. La freccia gli aveva solo aperto un foro nel mantello rosso. Merida aveva sognato quel momento per molte notti, ancora adesso lo sognava. Ci aveva pensato e ripensato e quando ci pensava la conclusione era sempre diversa; riusciva a trafiggere l’uomo prima che lui trafiggesse suo padre. Quando ci ripensava lei era sempre un po’ più precisa, più veloce. Molti le avevano detto che non era stata colpa sua: Mulan, sua madre, i suoi fratelli...

Ma l’Oscuro voleva parlare solo del lato negativo delle cose. Voleva che si ricordasse solo della parte brutta, del male, perché l’Oscuro era il male. La Emma che aveva incontrato nella foresta era già preda della magia nera, eppure non era ancora stata risucchiata nel vortice della malvagità. La cosa che si era trasformata in Mor’du... quella era terribile. Infilava il dito nella piaga per avere la meglio su di lei.

- Maledetta strega! – gridò Merida, con il respiro affannoso.

L’orso ruggì ancora, levando il muso verso il cielo. Poi la nuvola magica lo riavvolse ed Emma riassunse le sue sembianze. Merida si sentì afferrare per il collo. Un attimo dopo, erano faccia a faccia.

- Adesso verrai con me. Non hai altra scelta. Non puoi battermi. La tua testardaggine non basterà. – precisò l’Oscuro.

- Vuoi il mio cuore? – sibilò Merida, senza mai staccare gli occhi dai suoi. – Prendilo! Visto che è così facile per te... che cosa aspetti?

- Prenderò il tuo cuore, puoi starne certa. Se non farai ciò che ti dico, lo prenderò. E non lo farai, ne sono sicura. Quelle come te non imparano mai. – Emma inclinò la testa di lato, quasi stesse ascoltando qualcuno che le sussurrava parole nelle orecchie. Batté le palpebre. – Ti porto in un posto sicuro. Dove nessuno ti troverà.

- Dimmi almeno se i miei fratelli stanno bene! – esclamò Merida, con la voce tremante e piena di collera.

L’Oscuro non rispose. Con un gesto della sua mano, svanirono entrambe.

 

 
Leroy disse agli altri nani di aspettarlo fuori dalla centrale di polizia. Li avrebbe raggiunti, però doveva accertarsi di una cosa. Quindi si recò in fretta e furia al convento della Madre Superiora.

Quando vi giunse, vide alcune sorelle impegnate in varie attività. Una di loro stava pulendo uno dei vetri della struttura, in piedi in cima ad una scala che un’altra suora stava reggendo con entrambe le mani. Non c’era traccia di panico o di confusione. Sembrava tutto in ordine. Ma lui doveva accertarsene. Doveva accertarsi che lei stesse bene.

“Oh, no, affatto. Colpire te adesso sarebbe un gioco da ragazzi. Ma esistono cose ben peggiori della propria morte”.

- Posso aiutarti in qualche modo, Leroy?

Il nano si girò. Non capiva da dove diavolo fosse sbucata, ma Turchina era proprio accanto a lui e lo osservava con la fronte aggrottata.

- Sorella... – cominciò Brontolo, ricambiando l’occhiata. – Volevo assicurarmi che... fosse tutto a posto. Abbiamo ricevuto delle minacce da parte di quella ragazzina.

- Ragazzina? – Turchina apparve confusa.

- Emma. La ex Salvatrice. La nuova Oscura. Come preferite voi, sorella. 

- Che genere di minacce?

- Astrid è qui?

Turchina iniziava a comprendere. Stava osservandolo attentamente, ora, e neppure per un attimo staccò gli occhi da lui. Gli sorrise. – Questo luogo è protetto contro la magia oscura, Leroy. Ho creato la barriera magica quando siete tornati. Neve mi ha informato di... quello che è accaduto ad Emma. E se è per Nova che sei così preoccupato... voglio rassicurarti. Nova non è Storybrooke.

Leroy scosse il capo. Quel sorriso non gli piaceva e glielo si doveva leggere in faccia, perché Turchina aggrottò la fronte. - Non è a Storybrooke? E dove sarebbe?

- Nella Foresta Incantata. Da parecchie settimane.

Il nano ebbe modo di riflettere sul fatto che effettivamente era da parecchio che non vedeva Astrid. Nova. Lui si era sempre limitato a... guardarla da lontano. Un po’ perché c’era sempre quella seccatrice di Turchina nei paraggi, un po’ perché, quando non c’era Turchina, c’erano comunque altre sorelle. Aveva scambiato con lei qualche frase di circostanza, quando gli era capitato di incrociarla da sola. Era sempre felice di vedere il suo sorriso dolce, di ascoltare il suono della sua voce. Non riusciva ancora a credere che quell’essere l’avesse minacciata.

Nella Foresta Incantata?

- Si trova alla Corte Seelie, dalla nostra regina. Tutte le fate ci vanno, prima o poi. E ci rimangono per un po’. – gli spiegò Turchina. Gli parlava come se lui fosse un idiota che non capiva quello che gli stava dicendo. O forse era semplicemente il suo modo di rivolgersi a chi non era suo amico o non apparteneva alla sua comunità.

- Le fate hanno una regina? – chiese, scioccamente.

- Naturalmente. La regina Titania.

- Ma... non c’è modo di aprire un portale!

- Ruby e Scricciolo sono riusciti a produrre un fagiolo magico. Un unico fagiolo, che li ha riportati nella Foresta Incantata. Astrid è andata con loro.

“Si trova alla Corte Seelie, dalla nostra regina”. Non osava nemmeno chiedersi che razza di persona... fata fosse quella regina. Però si chiese se Astrid avesse raggiunto la Corte sana e salva. Si chiedeva quando sarebbe tornata. Se sarebbe tornata.

Non seppe che altro aggiungere.

 

***

 

Camelot. Cinque settimane prima della maledizione.

 

Il cortile che ospitava il grande albero in cui era imprigionato Merlino era deserto quando Lily vi mise piede.

Le guardie di Artù sostavano sui camminamenti, gli elmi che baluginavano colpiti dai raggi del sole. Alcuni passeggiavano avanti e indietro, appoggiandosi alle lunghe lance.

Nessuno badava a lei. In realtà, quando le passavano accanto, si limitavano ad un gesto del capo in segno di saluto, ma cercavano di non starle troppo vicino. Quasi si aspettassero che si trasformasse in drago e si mettesse a sputare fuoco. Aveva notato l’uomo fuori dalla sua porta quando era uscita dalla sua stanza negli ultimi due giorni.

Lily si avvicinò all’albero.

“Ho imprigionato l’Autore nel libro. Ora non può più manipolare le storie. Può solo registrare dei fatti”.

Un Autore imprigionato in un libro. Un mago potentissimo imprigionato in un albero.

Erano tutti intrappolati, in un modo o nell’altro.

“Purtroppo non si può tornare indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare questa faccenda”.

Lily appoggiò una mano sul tronco nodoso. Si chiese se Merlino fosse a conoscenza della brutta fine del suo Apprendista. Era al corrente di ciò che succedeva anche se era imprigionato là dentro? La sua mente era in grado di raggiungere altre terre, altri mondi... anche se il suo corpo era impossibilitato a muoversi?

Lilith.

Lei allontanò la mano dall’albero con uno scatto nervoso.

Era stato... un sussurro. Un sussurro in un orecchio. Debole, ma chiaro. Qualcuno aveva pronunciato il suo nome. Aveva detto anche qualcos’altro, solo che non era riuscita ad afferrarne le parole.

Merlino?

Silenzio. Il vento soffiò, spostandole qualche ciocca di capelli.

Allungò di nuovo una mano verso il tronco. Vi posò solo la punta della dita. L’albero sembrò pulsare come un cuore.

- Lily?

Spiccò un balzo, colta alla sprovvista. Si voltò, ritrovandosi davanti ad Emma.

- Sei stata tu? – domandò Lily.

- A fare cosa?

- A chiamarmi. Un attimo fa. Sei stata tu?

Negli occhi di Emma c’era una luce strana. Sfuggente, persino. Ma il suo sguardo esprimeva anche perplessità. – No. Sono appena arrivata.

Lily osservò di nuovo l’albero. Ci girò intorno, anche se non sapeva bene che senso avesse farlo.

- Che cosa succede, Lily? Hai sentito qualcosa?

- Non lo so. Per un attimo... ho avuto l’impressione che qualcuno mi stesse parlando. – Scosse il capo. – Non ho capito nulla, se non il mio nome.

- Merlino... – disse Emma. Ora sembrava stesse parlando a se stessa.

Appoggiato al tronco c’era Tremotino. Sostava là, con le braccia conserte.

- Credevo non potesse... comunicare con noi. – stava dicendo Lily.

- Io credo che possa. Forse non riesce a raggiungerci come vorrebbe, ma solo per poco. Era quello che stavamo cercando nella sua torre.

- Un modo per comunicare con lui?

- Sì. Abbiamo trovato qualcosa... un fungo.

Lily batté le palpebre. – Vuoi comunicare con un mago potente attraverso un fungo?

- Non è un fungo qualsiasi. La Corona Scarlatta. Serve per... abbattere delle barriere magiche. Artù ha detto che si trova nella Foresta della Notte Eterna. Mio padre sta andando là con il re.

- È sicuro?

- La Foresta? Suppongo di no, Lily. Ma mio padre è deciso ad andarci e Artù non vuole che parta da solo.

- Non parlo della Foresta, ma del re.

Lei non rispose subito. Parve rifletterci. – Ci ha permesso di entrare nella torre per cercare un modo per liberare Merlino. Nonostante sia al corrente di quello che Regina gli ha nascosto... si è fidato comunque di lei. Credo che sappia quello che fa.

Restarono in silenzio per un minuto almeno.

Emma si avvicinò di più all’albero. – Cosa stavi facendo prima che Merlino ti parlasse?

- Niente, stavo...

“Purtroppo non si può tornare indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare questa faccenda”.

- Beh, pensavo al suo Apprendista. L’ho incontrato molto tempo fa. Su un autobus.

Emma aggrottò la fronte.

- Sai, quando eravamo ragazzine. La sera in cui mi hai riportato la mia collana.

Emma stava per rispondere, ma venne interrotta da un improvviso trambusto.

Qualcuno lanciò un grido soffocato e pronunciò una serie di parole incomprensibili. Sembrava che stesse cercando di parlare ma avesse uno straccio in bocca.

- Muoviti – ordinò uno dei cavalieri di Artù. Reggeva un uomo per un braccio, aiutato da un altro cavaliere.

L’uomo in questione aveva un cappuccio in testa, le mani legate da corde robuste e gli abiti polverosi. La camicia, che una volta doveva essere stata bianca, era lacera. I pantaloni marroni erano abbastanza sudici. Le nocche delle mani erano scorticate. La cosa che sembrava un po’ strana era il corvo che svolazzava sopra le loro teste. Dava l’impressione di seguire il gruppetto.

Artù accorse in cortile. Azzurro lo seguiva. Erano entrambi pronti per partire alla ricerca della Corona Scarlatta. Indossavano l’armatura e avevano agganciato le spade ai cinturoni.

- È lui? – domandò il re.

Lily ed Emma si avvicinarono per vedere meglio.

- Sì, sire. Non è stato difficile trovarlo. – rispose uno dei cavalieri. – Il corvo ci ha portati da lui.

L’uomo bofonchiò qualcosa sotto il cappuccio. Artù si avvicinò e glielo strappò dalla testa.

A giudicare dal suo sguardo incuriosito e perplesso, non era esattamente ciò che si era aspettato.

L’uomo era vecchio, con una zazzera di capelli grigi e selvaggi, la barba folta, sopracciglia cespugliose e un naso lungo e sottile. Rosso, anche. Come quello di chi beve parecchio. Sbatté le palpebre per riadattarsi alla luce del sole e mise a fuoco Artù. Appariva frastornato. Il corvo piombò sul vecchio e cercò di appollaiarsi sulla sua spalla.

- Non adesso, Heathcliff – disse. Tossì. Aveva anche un labbro spaccato e un livido violaceo sul mento. – Non vedi che sono occupato?

Evidentemente Heathcliff era il corvo, perché l’uccello arruffò le penne e mandò un gracchio spazientito. Aveva un occhio solo.

- Quindi questo sarebbe il mago... che ha incantato la spada di Percival – disse Azzurro, squadrando l’uomo dalla testa ai piedi.

- Ci hanno parlato di lui nei villaggi vicini. – rispose uno dei cavalieri. – E abbiamo trovato le monete di Camelot in casa sua, nonché una spilla appartenuta a Percival. Inoltre... non ha impiegato molto tempo ad ammetterlo.

- Ad essere onesti, ho offerto a questi uomini una sedia e una tazza di tè, ma noto con disappunto che non conoscono le buone maniere. – replicò il mago. Biascicava, più che altro. – Non c’era bisogno di usare tutta quella polvere di papavero. Lasciate che mi presenti, sire. Il mio nome è Knubbin.

- Sapete chi sono io?

- Siete re Artù di Camelot, lo so bene, diamine. – lo interruppe Knubbin, raddrizzando un po’ le spalle. – Anche il mio corvo sa chi siete. Sapevo anche il nome del vostro cavaliere ancora prima che arrivasse e me lo dicesse. L’ho visto. Nel pozzo dietro casa. Ogni tanto vedo cose nell’acqua. Beh, in realtà non mi piace vedere cose nell’acqua. Preferisco starmene seduto fuori a guardare le carote che crescono. Non che le veda crescere davvero, ma...

- Non sembra affatto un mago. Sembra solo un ubriacone – commentò Lily.

- Ubriacone! – gridò Knubbin. – Questa sì che è bella, un ubriacone! Io sono un mago. Non avete sentito questi signori? Sono Knubbin e sono un mago. “Non sembra affatto un mago”. Che razza di modi sono mai questi? Vi faccio notare una cosa, tesoro. Siete un po’ ignorante in materia.

- Basta così. Buttatelo in prigione. – decretò Artù, stufo di sentirlo ciarlare. – Abbiamo altro a cui pensare, al momento. Ma mi occuperò anche di lui.

I cavalieri gli rimisero il cappuccio in testa, soffocando le sue proteste, e lo trascinarono via. Il corvo andò con loro.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Alla centrale di polizia, il vecchio mago che aveva detto di chiamarsi Knubbin era cascato in un sonno profondo. L’uomo dormiva sdraiato sulla branda, nella cella che gli era stata riservata, con la bocca aperta e russando come una motosega. I capelli grigi formavano una corona intorno alla sua testa.

- Ecco qualcuno che non ha certo bisogno di un incantesimo del sonno – commentò Regina, posando i libri che aveva trovato sulla scrivania. – Che ci fa qui? Chi è?

- A quanto pare è un mago – disse David. – Belle l’ha ritrovato davanti alla porta del negozio di Gold stamattina.

C’era anche un pennuto, nella cella. Il corvo era sveglio e osservava i presenti con l’unico occhio buono.

- Tuttavia, avrebbe bisogno di un incantesimo che gli cucia la bocca – disse Regina, infastidita da quel russare.

- Hai trovato qualcosa? – chiese Azzurro.

Regina annuì. Le ricerche avevano prodotto qualche risultato. Aprì uno libro e mostrò un pezzo di carta sul quale qualcuno aveva tracciato un punto di domanda.

- Questa... è la mia calligrafia – spiegò Regina. – Devo aver segnato questa pagina a Camelot. Non so se è la risposta giusta, ma... i libri vengono da là. Li stavamo usando per trovare una soluzione.

Azzurro stava per aggiungere qualcosa, ma i nani fecero irruzione, guidati da Brontolo.

- Siamo stati violati! – gridò il nano.

- Qual è il problema? – chiese Azzurro.

- Quale pensi che sia? La tua bambina. – Brontolo mise molta enfasi nella parola bambina. Era molto più arrabbiato del solito. Sul piede di guerra.

- Ha preso il mio piccone! – si lamentò Gongolo.

- E mi ha minacciato! – aggiunse Leroy.

- Minacciato? – chiese Azzurro. – Che genere di minacce?

- Beh... – Lui rivolse un’occhiata agli altri nani, che guardarono lui, in attesa. – Ha minacciato Astrid. Sono stato al convento della Madre Superiora per accertarmi che fosse tutto a posto. E lo è, per fortuna! Ma non possiamo restare qui a far niente!

Regina aveva capito che era il momento di levare le tende. – I nani sono affare vostro. Io penso a questi.

Emma ha preso un piccone? Il piccone di un nano?, si chiese, uscendo dalla centrale.

- Cosa pretendi che facciamo, Leroy? – domandò Neve. Sedeva con le braccia incrociate e il suo tono era pesante. E stanco.

- Aiutateci! – rispose Brontolo. – Sappiamo che è vostra figlia, ma dovete fare qualcosa, altrimenti lo faremo noi.

- Non le farai del male. – disse Neve, scandendo bene ogni parola, quasi lo considerasse un ritardato. La sua mente si rendeva conto, a margine, che non avrebbe dovuto preoccuparsi di lui o degli altri nani. Emma era l’Oscuro. Un gruppo di nani non era niente per l’Oscuro. Nemmeno se fossero stati in cento e tutti armati di piccone. Era più preoccupata che fosse Emma a fare molto male a loro.

Il corvo mandò un gracchio.

- Non preoccuparti. – disse, infatti, Azzurro. – Non possono.

- È solo questo che ti preoccupa? – chiese Brontolo, incredulo. – Smettila di fare il genitore spaventato! Fai lo sceriffo. Ne abbiamo bisogno!

- Vi restituirò il piccone. Grazie per avermi informato. – La sua risposta non ammetteva repliche di sorta.

Knubbin smise di colpo di russare, ma non si svegliò. Si rigirò sulla branda, affondando la faccia nel cuscino.

- Sembra che questa sia un’altra questione irrisolta, che lasceremo correre... per ora. – Brontolo lo fissava intensamente. Non aggiunge altro, ma si tolse dai piedi e gli altri nani lo seguirono, borbottando scontenti.

David si strappò letteralmente la giacca di dosso e l’appese all’attaccapanni, prima di andare a rintanarsi nello studio dello sceriffo. Sbatté le porta dietro di sé. Neve lo raggiunse.

- Perché le serve un piccone? È allarmante.

Lily entrò nella centrale. Aveva passato l’intera mattinata a girare in tondo, praticamente senza scopo. Continuava a ripensare al suo incontro con Emma e non sapeva quali conclusioni avrebbe dovuto trarne. Aveva recuperato una mappa di Storybrooke e individuato la zona in cui avrebbe dovuto trovarsi la casa dell’Oscura, ma non aveva ancora deciso se ritornarci o meno. In realtà si sentiva un’impostora. Non aveva raccontato tutta la verità a Regina... e soprattutto non l’aveva raccontata a sua madre.  

- Non lo so – stava dicendo Azzurro. – Cosa può fare con un piccone che non è in grado di fare con i suoi poteri? E per quale motivo si è messa a minacciare una fata?

Evidentemente alterato, il principino colpì la sedia girevole con un calcio.

- David!

- Vorrei solo che parlasse con noi!

- Lo so, anch’io!

David scosse il capo. – Non... non possiamo salvarla!

- Non ancora! – ribatté sua moglie. – Ci stiamo provando.

- Come? Cosa sto facendo?

Niente, pensò Lily, osservandolo. Niente che possa effettivamente aiutarla.

- Sei la nostra guida – tornò a dire Neve.

- Nessuno sembra volermi seguire!

E chi si sognerebbe mai di farlo? I nani, forse, si disse Lily. Li aveva visti uscire dalla centrale, non esattamente felici. Doveva essere successo qualcosa di serio. Un piccone. Perché Emma aveva bisogno di un piccone? I suoi poteri non erano sufficienti? Il pugnale dell’Oscuro non era sufficiente?

Un piccone?!

- Non preoccuparti dei nani!

- Non lo sono! Sono preoccupato per Emma e perché questa situazione è tutta colpa mia!

- Lei ha deciso di sacrificarsi...

- Avrei dovuto fermarla! Sono suo padre e adesso... – Si fermò, come se non fosse più in grado di continuare. – Sono paralizzato. Non sono capace di fare niente. Né per lei, né per te... per nessuno.

- Stai facendo molto. Stai aiutando le persone meglio che puoi.

- È proprio questo il problema.

Lily spostò gli occhi sull’uomo nella cella. Non si era mosso di un millimetro. Il baccano non sembrava scalfire il suo sonno.

“Quei due... mi hanno rovinata”.

“Sono stati manipolati. Come me, del resto”.

“Mi hanno maledetta”.

“Già, è vero”.

Lily ripensò a quell’incontro sull’autobus. Ripensò a quando aveva scoperto tutta la verità.

“Quei due... mi hanno rovinata”.

- Vai. Ci penso io – stava dicendo Azzurro. Diede un bacio a sua moglie.

Lily si affrettò ad uscire e si diresse sul retro, prima che uno dei due si accorgesse di lei.

“Non possiamo salvarla”.

“Non ancora. Ci stiamo provando”.

“Come? Cosa sto facendo?”

Fuori, la luce del sole le parve fin troppo accecante.

La verità era che Azzurro si sentiva impotente, non sapeva che cosa fare per aiutare sua figlia, non aveva idea di come salvarla, di come riavere la ragazza che era stata la Salvatrice, ma Biancaneve invece... Biancaneve no. Lei era sembrata molto padrona di sé. Era preoccupata, certo, ma non era preda dell’agitazione e dell’impotenza come suo marito. Sembrava vedere tutto con molta chiarezza, pur essendo senza ricordi.

Nella vita di Lily non c’erano mai state molte certezze. Le uniche certezze erano legate al fatto che lei era stata maledetta e che i suoi nemici erano i genitori di Emma.

Era Biancaneve. Oh, anche suo marito, certo, il suo principe azzurro super perfetto. Ma Biancaneve era ben peggio. Nella sua storia, Biancaneve era la cattiva. L’Apprendista le aveva raccontato tutta la vicenda senza tralasciare nessun dettaglio e Lily ne era convinta. Poco importava che l’Autore fosse intervenuto. Biancaneve l’avrebbe fatto comunque, trascinandosi dietro quella testa vuota di Azzurro. Lei era la mente. Era la guida. Suo marito, senza di lei, si sarebbe messo a girare su se stesso come un povero imbecille. Non avrebbe maledetto una bambina appena nata. Non l’avrebbe rubata a sua madre.

Nella sua storia Biancaneve era esattamente ciò che era stata in quella realtà alternativa creata dall’Autore. La Regina Cattiva. E Azzurro nient’altro che il suo cagnolino.

Forse era cominciato tutto con quella maledizione. Biancaneve voleva una figlia che fosse pura, che fosse eroica e perfetta. Così aveva fatto in modo che l’oscurità le venisse strappata e aveva accettato di trasferirla in un’altra bambina. Adesso l’oscurità era tornata indietro a riprendersi Emma. Era tornata a riprendersela perché la magia aveva sempre un prezzo, tutto quanto in quel mondo aveva un prezzo. Tutto. Tutto tornava come un boomerang. Tutta la vita era un cerchio e si finiva col ricongiungersi al punto di partenza.

“Perché tu non hai fallito. Tu hai cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa giusta”.

“Non hai niente da temere da me”.

Lily sferrò un calcio ad un bidone della spazzatura, ribaltandolo. Ora aveva l’impressione che la sua oscurità stesse dilagando, allargandole lentamente un’ala nera sugli occhi.

 

 
Quando udì il ruggito, Biancaneve, appena uscita dalla centrale con mille domande che le frullavano in testa e la sensazione che una parte della disperazione di David si fosse insediata anche in lei, sollevò il capo e si schermò gli occhi con una mano.

Vide il drago nero sorvolare Storybrooke e dirigersi verso i boschi fuori città. Non avrebbe saputo dire se si trattasse di Malefica o di Lily, poiché erano pressoché identiche, ma quando la gigantesca ombra la oscurò, venne colpita da un presentimento di tale orrore e di tenebre che si fermò, raggelata. Serrò più forte i manici del passeggino. Sulle braccia e sul dorso la pelle si era accapponata in maniera vistosa e insolita. Dietro gli occhi, avvertiva materialmente il fiotto dell’adrenalina.

Guardò di nuovo il cielo di Storybrooke. L’ombra era scomparsa e così anche il drago.

_________________

 

 
Angolo autrice:

 

Buongiorno a tutti.

Vorrei fare qualche precisazione come al solito:

Knubbin non è un personaggio della serie tv, ma non è nemmeno una mia invenzione. È un mago che appare nel libro di Wendy Toliver, Red’s Untold Tale, che parla dell’infanzia e dell’adolescenza di Red/Ruby. Se non l’avete letto, vi consiglio di farlo.

Per chi non conoscesse il film della Disney Pixar, Brave: Mor’du è un enorme orso che strappa la gamba al padre di Merida. Originariamente era un principe della Scozia, il primo dei quattro figli di un re.

Titania, che qui ho citato come regina delle fate, è un personaggio che ho introdotto anche in un’altra mia storia, Clarity.


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Capitolo 7
*** 7. ***


7

 

 

 
Storybrooke. Oggi.

 

Lily non aveva idea di dove si trovasse.

Il posto era in penombra. Una vaga luce biancastra entrava dalle finestrelle alle sue spalle. C’era un tavolino ingombro di oggetti al centro dello stanzone, ma non riusciva  distinguerne bene i contorni.

Però vedeva bene gli acchiappasogni.

Gli acchiappasogni che erano ovunque.

Erano appesi alle travi del soffitto e alle pareti, decine e decine di quegli affari folkloristici. Cerchi di salice con una rete interna e le piume colorate. Erano diversi rispetto a quello che aveva visto in quell’appartamento a New York.

“Non riesco a credere che sia sopravvissuto tutto questo tempo”, aveva detto Emma, quando aveva visto l’acchiappasogni.

“Questo posto era di...”

“Si chiamava Neal. È stato... molte cose per me. Ed ora non c’è più. Per colpa sua”.

Zelena si era limitata a regalare una delle sue smorfie. “Scusa?”

Lily fece un giro su se stessa e poi allungò una mano verso uno dei tanti acchiappasogni. Ne sfiorò le piume rosse e poi lo prese. Sì, erano diversi. Non erano come quello di Neal. C’era qualcosa di strano e di inquietante in tutti quei cerchi. Emanavano energia. Fascino. Potere. E non era niente di buono, su questo non c’erano dubbi. L’Oscuro che rubava il piccone di un nano. L’Oscuro che minacciava una fata a caso, una fata che non era nemmeno a Storybrooke, come se volesse mettere in chiaro che chi comandava lì era lei... l’Oscuro che portava via i ricordi e accusava la sua famiglia di aver fallito. L’Oscuro che viveva in una bella casa. Che sosteneva che Regina non avrebbe mai potuto essere la Salvatrice. Ed ora gli acchiappasogni.

Poi sollevò lo sguardo e vide Emma.

La stava fissando con quei suoi magnetici occhi verdi. Le labbra erano pressate in una linea piatta. Il pallore del suo viso era accentuato dalle ombre che aleggiavano nello stanzone.

Avanzò verso di lei.

 

Lily si svegliò di soprassalto e per poco non ruzzolò giù dal letto.

Si era addormentata vestita e con le cuffie dell’IPod nelle orecchie. La musica taceva e lei aveva la fronte imperlata di sudore. Guardò l’orologio sul comodino e vide che erano quasi le otto.

Il sogno iniziò a sbiadire, a perdere la sua coerenza. Una gran bella cosa. Però l’immagine di Emma che la osservava, il luccichio di quegli occhi... quello rimase. Rimase, come un avvertimento. Una minaccia. Un mano oscura che aleggiava sopra di lei.

- Lily? Sei sveglia? – le gridò sua madre dalla cucina.

Gli acchiappasogni. Tutti quegli acchiappasogni.

Brancolò per padroneggiarsi e scacciare anche quelle ultime immagini. – Sì!

Per quale motivo sogno gli acchiappasogni?

Ma sapeva che spesso i sogni non avevano una logica precisa. Erano fatti di simboli. Di simboli da interpretare. Molte volte non era facile capire che cosa significassero e quando ti destavi cominciavano a svanire, impedendo una reale comprensione di ciò che avevi visto mentre dormivi.

- Lily? – Malefica doveva aver detto qualcos’altro, ma se l’era perso. – Ti sei rimessa a dormire?

- No. – rispose, subito. La sua mente, a margine, stava anche notando che nessuno le aveva mai preparato la colazione, prima d’ora. Malefica era venuta apposta per farlo. Cercò di immaginarsela mentre spadellava e quell’idea avrebbe dovuto rassicurarla, farla ridere... ma non la rassicurò affatto.

- Un toast o due?

- Due. - Non aveva idea di che cosa stesse dicendo. Aveva lo stomaco chiuso e una brutta sensazione che le opprimeva il petto. Come se la stranezza del sogno si fosse insediata proprio lì, vicino al cuore. - Bruciacchiati.

- Come vuoi.

Lily richiuse un attimo gli occhi, ma in quell’istante di oscurità rivide quelli verdi dell’Oscuro. Li riaprì immediatamente e, quasi di corsa, entrò in bagno, aprì la doccia e si ficcò sotto l’acqua, talmente calda che quasi scottava la pelle.

Non gliene importava.

 

***

 

Camelot. Cinque settimane prima della maledizione.

 

Regina aveva rovistato tra i libri e le pozioni presenti nella Torre di Merlino e non era ancora riuscita a cavare fuori la maledetta Sfatastrega. In quel posto polveroso e pieno di tarli sembrava esserci ogni cosa, a parte ciò di cui lei aveva davvero bisogno.

Robin era appena uscito per andare a prepararle una tazza di tè, ma Regina era sicura di non potersi calmare con una tazza di tè. Doveva trovare una soluzione e doveva trovarla in fretta. Comunicare con Merlino e liberarlo era la loro priorità. La priorità di Emma. Merlino poteva scacciare l’oscurità...

Si voltò. Zelena sedeva in un angolo, muta e annoiata. Levò gli occhi al cielo.

- Ricordati che sei qui solo perché così posso tenerti d’occhio – le disse Regina. – Cara la mia serva muta... non ti conviene alzare gli occhi al cielo, con me.

Zelena aprì la bocca per dire qualcosa, ma naturalmente non uscì neanche un suono. Al polso era ancorato il bracciale nero che inibiva i suoi poteri. Da quando le aveva tolto la voce perché non si mettesse a chiacchierare più del dovuto, Zelena non aveva fatto altro che roteare gli occhi e riservarle smorfie o sguardi fulminanti.

- Stammi a sentire... – cominciò Regina.

Lily entrò nella Torre, guardandosi in giro. La figlia di Malefica aveva deciso che gli abiti di Camelot non facevano per lei e aveva indossato le cose più normali che aveva trovato. Una camicia di lino sotto una giubba in cuoio senza maniche e i pantaloni in pelle infilati negli stivali.

- Che ci fai tu qui? – chiese Regina.

- Sono venuta a dare un’occhiata. E anche a dare una mano. So che stai cercando qualcosa per poter comunicare con Merlino.

- In effetti sì. Perché tu vorresti aiutarmi?

- Io sono qui per aiutare Emma. Non te.

Regina si domandava perché Malefica non la costringesse ad abbassare la cresta. Fu il suo turno di levare gli occhi al cielo. – D’accordo. Allora datti da fare.

Lily si avvicinò al tavolo pieno di scartoffie e libri di magia. Difficile dire da dove fosse giusto cominciare. – Hanno preso il mago che ha incantato la spada di Percival. Artù l’ha buttato in prigione.

- Bene. Almeno un problema è risolto. Mi auguro che abbia incantato anche le sbarre della cella.

- Non è un mago così potente. A guardarlo si direbbe più un ciarlatano.

Regina aprì un altro volume, un grosso tomo rilegato in pelle, con le pagine così ingiallite da farle credere che si sarebbero sbriciolate non appena avrebbe cominciato a sfogliarle. – Un ciarlatano che ha comunque incantato una spada destinata ad essere usata per uccidermi. E una collana. Vorrei ricordarti questo.

- Ed io vorrei ricordarti che quel cavaliere voleva ucciderti perché tu hai ucciso la sua gente. Cosa avresti fatto al posto suo?

Zelena sorrise, divertita.

Regina richiuse il libro. Cercava in tutti i modi di non lasciarsi irritare dal tono di quella ragazzina. Che poi non era una ragazzina, dato che aveva l’età di Emma.

Le ultime giornate erano state faticose. Erano ore che frugava in mezzo alle pagine e agli incantesimi. Era dal momento in cui aveva messo piede a Camelot che si sforzava di recitare la parte della Salvatrice, anche ora che Artù sapeva che lei era stata la Regina Cattiva. Era dalla notte del sacrificio di Emma che la sua mente vorticava senza posa. – Mi dispiace molto. Quello che è successo l’altra sera avrei voluto evitarlo. So che è difficile per te... hai salvato la vita di Robin e, in fin dei conti, anche la mia. Se non fossi intervenuta...

- Io non sono intervenuta. Sai cosa ti dico, non volevo nemmeno salvare la vita di quella testa vuota del tuo uomo. – scattò Lily, gli occhi come tizzoni ardenti. - Se non fosse stato per te, non sarebbe successo niente. Non avrei usato la magia e non l’avrei ucciso! E poi vuoi che tutti credano che tu sia la Salvatrice?

Regina lottò contro l’impulso di metterle le mani al collo. D’improvviso era furente. Prima era dispiaciuta per Lily, perché riusciva ad immaginare come si sentisse dopo aver arso vivo un uomo che l’aveva persino invitata a ballare un attimo prima. Ora era furente e offesa in un modo che non riusciva a spiegare. – Io l’ho fatto per proteggere Emma! Nessuno deve sapere che lei è Salvatrice, perché la costringerebbero ad usare la magia! Ed è magia nera!

- Sei brava a convincerti di questo. E sei brava anche a costringere gli altri a crederlo.

- Come?!

- Ti ho vista, in cima a quella scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si gode il momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come una Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma.

Zelena si sentiva invasa da una potente sensazione di ilarità, un’inguaribile forma di follia. Sarebbe rimasta là ad ascoltarle per ore. Finalmente assisteva a qualcosa di interessante! Avrebbe voluto assistere anche alla scena in cui la figlia dell’amica di Regina bruciava vivo uno dei burattini del sovrano. Sperava che non cogliesse l’occasione per bruciare anche sua sorella, perché distruggere Regina era un compito che spettava a lei, non ad un giovane drago pieno di rabbia e oscurità, rabbia che avrebbe dovuto convergere contro i due imbecilli che l’avevano maledetta.

- Non ti permetto di rivolgerti a me con questo tono. Tu non sai niente! – sibilò Regina, puntandole contro un dito. La collera le impediva quasi di parlare.

- So abbastanza. Quelle come te... – disse Lily, avvicinandosi. – Come noi... non possono essere Salvatrici. È come sperare che Biancaneve sia davvero la ragazzina che parla con gli uccellini.

- Forse tu non puoi esserlo. Ma io sono in grado di farlo. Sono capace di proteggere le persone che contano, per me.

- Non lo stai facendo molto bene, allora. Hai un passato troppo pesante. Ovunque tu vada, quello che hai fatto ti perseguita. Così come l’oscurità ha sempre perseguitato me. Non te ne libererai mai. Ci sono troppe persone che ti odiano per quello che hai fatto loro. Non potrai mai essere ciò di cui Emma e Storybrooke hanno bisogno.

- Questo è tutto da vedere! – Improvvisamente rivide se stessa mentre diceva ad Emma che quello che era accaduto a Lily non era affatto colpa sua. Pensavano che fosse morta, così come aveva raccontato quel barbone puzzolente nel vecchio stabile di Lowell. Improvvisamente udì la voce di Emma, della vecchia Emma già minacciata dal male, che rispondeva...

“Sei sicura? Hai sentito quel tizio? Lei aveva una vita difficile, oscura... quell’oscurità era la mia! O avrebbe potuto esserlo”.

- Vai a farti un giro. Anzi, un volo! – aggiunse Regina, tornando a concentrarsi sui libri. - Credo che tu ne abbia bisogno. Incendiare qualche boschetto ti aiuterà a chiarirti le idee.

Zelena alzò di nuovo gli occhi al cielo, ma questa volta la sorella non la vide. Lily lanciò un’occhiata di sbieco alla strega e poi lasciò la stanza, non prima di aver gettato a terra con una manata un cumulo di scartoffie.

Regina era stupefatta. Incredula. Non riusciva a capire che cosa stesse succedendo. Non aveva più il controllo su niente.

- Cosa c’è? – chiese a Zelena, notando il suo sorriso smagliante.

Lei scrollò le spalle e poi indicò l’uscita.

- Va bene – esclamò Regina. Con un gesto della mano le restituì la voce. – Se devi per forza aggiungere uno dei tuoi commenti, tanto vale che tu lo faccia.

Zelena si profuse in un’esclamazione di sollievo e si portò le mani alla gola. – Oh! Oh, finalmente, riecco la mia voce, così limpida e femminile! Giusto in tempo per dirti quanto mi stia simpatica quella ragazza. È andata molto vicina ad incendiare e distruggere questa bellissima torre, l’hai sentito, vero?

In effetti sì. L’aveva sentito. Un’onda di potere in procinto di saltare in aria.

- Resta il fatto che ha cercato di darmi fuoco, come ha fatto con quel... Percival, giusto? Ma... non si può essere perfetti. – continuò Zelena. – A proposito, ho notato che la tua pelle sta assumendo una sfumatura verde, sorellina. Non ti dona molto. Credevo fosse il nero il tuo colore.

- Ma di che parli? – chiese Regina.

- Oh, non parlo solo di questo – disse Zelena, portandosi le mani al ventre. – Parlo di quel drago, quello che non sopporti, perché ha avuto il coraggio di dirti che puoi essere tutto, a parte una Salvatrice. Non solo; ti ha rubato la scena al ballo e... oh! Guarda, anche l’unica amica che eri riuscita a trovare!

Mise una particolare enfasi nella parola amica.

- E poi credevo che ti piacessero i draghi, sorellina. – continuò Zelena, imperterrita. - Sai, quando vivevo ad Oz e non ero occupata a trovare un modo per cambiare il passato, ti ho osservata spesso. A volte passavo ore ad osservarti e a studiare le tue mosse... per conoscerti meglio.

- Non ti è servito a molto, a quanto pare.

- Oh! In realtà è stato assai utile! Ho scoperto particolari interessanti. La tua predilezione per i draghi, per esempio. Ce ne sarebbero di cose da raccontare a Robbie...

- Tu non racconterai un bel niente. E basta con queste chiacchiere inutili. – replicò Regina, seccamente. – Dovremmo parlare della tua pessima idea di scappare ad Oz, piuttosto.  

Zelena tacque.

- Lo sai che non puoi sottrarre questo bambino a Robin.

Lei le rivolse un sorriso. – E puoi biasimarmi? Intendi portarmelo via. Questo bambino potrebbe essere l’unica persona in grado di amarmi veramente.

- Devi meritartelo, quell’amore.

- Il punto non è questo. Qualsiasi cosa io faccia, non andrà bene in ogni caso. Tu vuoi questo bambino. Vuoi crescerlo con Robin! – Scandiva ogni parola, buttandola fuori come un colpo di tosse. La sua voce stava diventando stridula. – Pensi di averne il diritto, perché ora ti senti un’eroina. Ma sai cosa ti dico? Puoi avermi sconfitta con la magia bianca, ma non prenderai mio figlio.

Regina incrociò le braccia. - Questo dipende da te, Zelena. Quello che desidero è che questo bambino cresca protetto e abbia la sua migliore chance.

- No. Questo dipende anche da te. Dovresti occuparti del figlio che hai già. Oppure... occupati di risolvere il tuo problema, se ne vuoi uno. Problema che ti sei procurata da sola, a dire il vero.

Regina le chiuse la bocca, ritrasformandola nella sua serva muta. Zelena boccheggiò, arpionandosi il collo.

- Per oggi hai parlato abbastanza – concluse.

 

 
Suo padre non riuscì a portare a casa la Corona Scarlatta.

Aveva recuperato il fungo nella Foresta della Notte Eterna per poi vederselo portare via da un cavaliere sbucato dalle acque del lago. Ma Artù era rimasto impressionato dal suo coraggio. Per questo lo aveva nominato cavaliere e gli aveva offerto il seggio più importante della Tavola Rotonda, quello che un tempo era appartenuto ad un altro uomo del re, Lancillotto del Lago. Il posto destinato alla persona con il cuore più puro. Il Seggio Periglioso.

Emma era felice per suo padre, ma doveva trovare una soluzione per tirare fuori Merlino da quell’albero. Lily aveva provato a comunicare di nuovo con lui, ma non aveva udito più niente. Era stato come chiamare a gran voce qualcuno che era precipitato in un gigantesco buco nero.

Dopo la cerimonia dell’investitura di Azzurro, Emma scese nelle prigioni. Addormentò le guardie per evitare che le facessero domande o le impedissero di arrivare alla cella del mago che aveva incantato la spada di Percival. Non avrebbe dovuto usare la magia, ma era solo... solo un piccolo incantesimo.

Knubbin era sveglio. Indossava ancora la camicia tutta sbrindellata e i capelli gli stavano ritti sulla testa. – Ma guarda, una visita! Non è più tanto difficile trovarmi, vero? Una volta non lo sarebbe stato neanche per gli uomini di questo re. Mi avrebbero trovato solo se io avessi desiderato essere trovato. Ma i tempi bui arrivano per tutti. Anche per me. Ultimamente non c’era più molta gente disposta a farsi aiutare dal sottoscritto. Cosa posso fare per voi, tesorino?

- Mi chiamo Emma. Emma Swan.

- Emma, ma certo. Che nome delizioso. – Si tirò su. La sua schiena scricchiolò e anche il collo. – C’è qualcosa in voi, Emma. È... qualcosa che portate. Vero? Qualcosa di molto grande. Non riesco a metterlo a fuoco con chiarezza, ma se siete venuta qui per chiedermi di liberarvene, non sono la persona adatta. E anche se lo fossi, sono bloccato in questa cella. E la cella è protetta da un incantesimo. Molto antico. Non sono in grado di scioglierlo.

- Ma siete in grado di incantare una spada. E stando a quello che mi ha detto Granny... anche un mantello. – Emma si avvicinò di più alle sbarre della buia prigione. Avvertiva l’incantesimo di cui parlava il mago. Una protezione contro chiunque avesse tentato di scappare.

- Incantare una spada non è così difficile, tesorino. Neanche incantare un mantello. Ma il mantello fu una grande idea. Ho incantato il mantello di quella ragazza e anche il ciondolo. Beh, il ciondolo era di sua madre. Aspettate, si chiamava... è proprio qui. – Si indicò la tempia. – Anna? Annette? Ah, ecco. Anita. Quella era la madre. La ragazza si chiamava Red. Ma non aveva i capelli rossi.

Emma avrebbe voluto interromperlo, ma non lo fece.

- E il cavaliere che è venuto da me era così determinato! Non potevo certo sapere per chi fosse la spada. Ovviamente doveva essere destinata a qualcuno, perché incantarla, in caso contrario? Incanti una spada se vuoi usarla contro qualcuno dei tuoi demoni personali. Anche se Persico non ha parlato di un demone, in realtà. – Interruppe il suo sproloquio per grattarsi la barba e arruffarsi i capelli. Il corvo se ne stava appollaiato sulla branda. – Un angelo della morte, ecco come l’ha definito. Molto affascinante.

Anche Emma lo trovò affascinante. Pensare a Regina che calava come un angelo della morte su un villaggio e uccideva decine di innocenti aveva un che di terribile e cattivo, oscuro... eppure era anche enormemente affascinante.

Si riscosse. – Sentite, Knubbin... devo liberare una persona. È intrappolato da molto tempo. Mio padre aveva trovato qualcosa che ci avrebbe permesso di comunicare con lui, ma non è riuscito a recuperarlo. Un fungo.

- La Corona Scarlatta! – esclamò Knubbin, saltando in piedi. Mosse qualche passo strascicato, approssimandosi alla sbarre. – Certo, certo. La Corona. Si trova nella Foresta della Notte Eterna. Non ditemi che vostro padre è andato laggiù! Immagino che nessuno si sia curato di avvisarlo del cavaliere fantasma che abita le acque intorno al luogo in cui cresce la Corona. Non che qui ci sia qualcuno che conosca a fondo la leggenda... tutte le leggende hanno un fondo di verità, solo che la gente si rifiuta di crederci. Viviamo in un mondo strano.

- Possiamo recuperarla?

- Oh, non direi, tesorino. Le acque di quel luogo sono profonde e oscure. Niente riemerge di solito. Vostro padre deve essere stato fortunato. Ma forse voi... forse voi avreste qualche possibilità.

- Esistono altri modi per comunicare con lui, vero? Ho bisogno di sapere che cosa mi serve per liberarlo.

- Beh, certo. Questa è una situazione assai complicata. Vedete,  tesorino, solitamente questo richiederebbe un prezzo. La magia ha sempre un prezzo, no? Io sono una persona gentile, mi basta poco. Percival mi aveva pagato bene ed era il primo dopo molto tempo, tempo che ho passato seduto davanti a casa a guardare le carote crescere...

Le salì in gola una risata isterica e riuscì miracolosamente ad imbottigliarla. Tremotino, invece, appoggiato al muro della prigione, non la imbottigliò. Ridacchiò di gusto.

- Un prezzo! – esclamò. – Lui vuole stipulare un accordo con noi! Ne ho visti di ciarlatani, in tutti questi anni...

- Sta zitto – rispose Emma, seccamente.

- Zitto, io? – domandò Knubbin. – Diamine, io sono una persona a modo, conosco le buone maniere e voi mi dite di stare zitto, tesorino?

- Non parlavo con voi – replicò Emma.

- E con chi, allora? Oh, capisco. – Knubbin picchiettò di nuovo l’indice contro la tempia. – Parlate con i vostri demoni. Che aspetto hanno?

- Dov’eravamo rimasti, Knubbin? – lo interruppe Emma. - Non ho tempo da perdere.

- In prigione, ecco dov’eravamo – disse il mago, guardandosi i piedi. – Ah, ma voi intendete con il nostro discorso! Naturalmente. Allora, dicevamo... non avete la Corona Scarlatta e questa è una brutta notizia. Avete un oggetto di questo mago, forse? No, sarebbe la strada più lunga. Meglio di no.

Emma restò in attesa, mentre Knubbin si scervellava.

- Occorre... occorre scoprire che cos’è accaduto, sì. È necessario scoprire perché è stato intrappolato ovunque si trovi. Ci vorrebbe una sfera magica. Non ho sfere magiche, purtroppo. Ne avevo una, ma è rimasta nella mia umile dimora e non posso certo uscire per andare a prenderla.

Ad Emma sovvenne qualcosa. Si formò un’immagine, nella sua mente. E si diede dell’idiota per non averci riflettuto prima. – Certo... scoprire cosa gli è successo. I suoi ricordi...

- I suoi ricordi sono importanti. I ricordi sono sempre importanti. – borbottò Knubbin. Ora parlava più con se stesso, roteava gli occhi e spostava il peso da un piede all’altro. – I ricordi vanno custoditi gelosamente. Non si dovrebbero cancellare i ricordi. Non che io non l’abbia mai fatto, ma erano circostanze particolari. Mi hanno implorato di farlo, se capite cosa intendo.

- Farò in modo che Artù non vi condanni a morte. – concluse Emma, girandosi per andarsene. – E forse riuscirò a farvi uscire da qui.

- Siete generosa! Questo è un buon prezzo, davvero. Meglio di tutte le monete d’oro che Persico mi ha offerto per incantare la spada!

Emma smise di ascoltarlo. Si incamminò lungo il corridoio buio. Tremotino la seguì.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Lily era al Granny’s in attesa della sua ordinazione, quando Uncino entrò e si diresse verso il tavolo al quale era seduto Robin, intento a mangiare un hamburger. Aveva un’aria cupa e pensosa mentre prendeva posto davanti al ladro.

Lily scrutò l’orologio. Sua madre sarebbe dovuta arrivare di lì a poco, ma lei era troppo nervosa e avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte. Pensava ad Emma. Pensava alla porta chiusa in casa dell’Oscuro, che stonava con tutto il resto. Pensava a cosa potesse esserci dietro quella porta. E dato che la sua mente continuava a tornare là, un motivo doveva pur esserci.

“Perché mi stai dicendo questo? Ti dispiace avermi tolto i ricordi? Ho sentito cos’hai detto a Regina. Abbiamo fallito”.

“Gli altri hanno fallito, Lily. Tu no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete fallito”.

Granny le piazzò davanti la sua ordinazione.

- Avevo ordinato delle tapas – osservò Lily, sollevando un sopracciglio. – Non tutta questa roba.

- Non mi risulta – rispose la vecchia, mostrandole l’ordinazione. – Fino a prova contraria, so ancora leggere. Ah, è tutto pagato. Deve essere stata sua madre.

Lily scrutò il foglietto che Granny le aveva lasciato. In effetti il numero del tavolo era giusto, ma l’ordinazione era diversa. Aveva la testa da un’altra parte, ma ricordava benissimo ciò che aveva chiesto al cameriere. Patatas bravas rosso fuoco con asparagi annegati nell’aceto. E lui la stava ascoltando.

Adesso aveva davanti...

No, ti prego.

Non era stata sua madre, ne era certa.

“È roba da fast food, ma sai, con la partenza...”

“Adoro il fast food. Quest’atmosfera... divisione dei compiti, regole di casa! Sembrate venuti fuori da una pubblicità”.

Il cibo che aveva davanti era effettivamente roba da fast food e, ci avrebbe giurato, erano le stesse cose che aveva mangiato quella sera, quando era stata ospite della famiglia affidataria di Emma. Persino i cartoni che contenevano panini, patatine e anelli di cipolla erano gli stessi. Non ricordava più i nomi di quelle persone, ma ricordava l’atmosfera... le stanze in perfetto ordine, oggetti preziosi, il cartello con le regole per una vita tranquilla e ordinata appeso alla parete della sala da pranzo. Mentre i due coniugi recitavano una noiosissima preghiera che lei aveva finto di ascoltare, la sua mente stava già riflettendo su quanto sembrasse finta, innaturale quella perfezione. Certo, pensava anche a quanti soldi avrebbe potuto trovare facendo un giretto in quella casa...

Lily appallottolò il foglio di carta e lo gettò via, seccata.

“Allora, dicci: come vi siete conosciute tu ed Emma? In casa famiglia?”

“Ehm... sì, eravamo a Falcon Heights. Abbiamo legato subito. Migliori amiche per sempre”. Non poteva certo raccontare che l’aveva conosciuta in un supermercato. In un supermercato in cui Emma era entrata per rubare, tra l’altro.

“L’allontanamento è stato un peccato”.

“Sì. Emma è stata la prima persona che mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a farci incontrare”.

Belle entrò di corsa al Granny’s, con la sua campana di vetro, indaffarata e nervosa. – Nonna, il mio pranzo è pronto?

- Sì, tesoro, ma non puoi campare solo di quello. – rispose la nonna, dandole il piatto con il toast. – Siediti e mangia qualcos’altro.

- Ah, non posso...

Lily decise che le era passata la fame e si alzò. La moglie dell’ex Oscuro poteva mangiarsi anche il suo, di pranzo, per quanto la riguardava. 

 

- Guardate. – disse David. Mostrò il fungo a Regina e Neve.

- Questo è il fungo che ho visto nel libro. – constatò Regina. Prese il grosso tomo nel quale si trovava il foglio di carta con il punto di domanda. L’immagine della Corona Scarlatta era ben impressa nella sua mente. Ed era identica al fungo che lui aveva in mano. – Dove diavolo l’hai preso?

- Ce l’aveva uno dei servi di Artù. Oggi c’è stato un furto...

- Un furto? – chiese Neve, perplessa.

- Sì, il servo del re ha rubato qualcosa dal reliquiario dei cavalieri. Artù è convinto che abbia preso anche un fagiolo magico. – spiegò David, passando la Corona Scarlatta a Regina. – Adesso è in cella.

- È proprio quello che stavamo cercando. – disse Regina.

- Perché? – domandò Neve.

- Può essere usato per comunicare attraverso delle barriere magiche. Certamente lo cercavamo per poter comunicare con Merlino. – Finalmente vedeva una luce in fondo al tunnel. Era possibile che quegli indizi li conducessero da qualche parte. Dal mago, ad esempio.

- Chissà se ci siamo riusciti... – sussurrò Neve.

Era una domanda alla quale Regina non voleva rispondere, al momento. Tutto faceva pensare che qualcosa fosse andato terribilmente storto, ma lei aveva bisogno di concentrarsi sulla Corona Scarlatta, sul presente.

- Bene, usiamolo, allora! Scopriamo se possiamo parlargli. – disse David, con decisione.

- Potrebbe dirci come salvare Emma dall’oscurità. – aggiunse Neve.

Regina ne era convinta. Merlino non era lì, però avrebbe potuto avere un messaggio per loro. Avrebbe potuto suggerire una soluzione. Il mago più potente del reame doveva sapere come aiutare l’Oscuro.

- David. – Neve lo guardava con orgoglio. I suoi occhi verdi cercarono quelli azzurri del marito. Del suo Principe Azzurro. - Ce l’hai fatta.

Il principe sorrise.

 

 
- Sai, non ha proprio una bella cera – osservò la proiezione oscura di Tremotino. – E se me lo dico da solo...

Gold giaceva su alcune rocce, nei sotterranei della casa di Emma, ancora addormentato. Belle si era presa molta cura di lui, a giudicare dai pantaloni e dalla camicia nera, entrambi freschi di bucato.

Emma, invece, non si prese la briga di rispondergli ed estrasse la spada che aveva sottratto a Killian. Non era stato facile come si aspettava. Quando l’aveva incontrato sulla Jolly Rogers, Uncino era restio, diffidente. Cambiarsi d’abito ed indossare lo stesso del loro primo appuntamento non le aveva fatto guadagnare molti punti...

- Che fortuna aver trovato qualcosa che l’abbia toccato... quand’era ancora un uomo. – disse Tremotino, sogghignando.

- Non è fortuna, ma frutto di un duro lavoro. – precisò Emma.

- È vero – rispose Tremotino, ma come chi la stesse soltanto prendendo in giro, fingendo di ammirarne gli sforzi. – Saresti stata anche più impassibile se avessi dovuto frantumare il cuore di Uncino sotto i tuoi... scomodissimi stivali a tacco alto.

Emma fremeva di rabbia, ma non si lasciò distrarre. – Zitto.

Non le disse più niente e lei frantumò la spada di Uncino, spargendone i granelli neri sul petto di Gold.

Aveva bisogno del suo eroe. E non di un eroe qualsiasi; aveva bisogno del più puro di tutti. L’unico che rispondeva ai requisiti era Gold, ormai libero dall’entità che l’aveva corroso e tormentato per trecento anni. Un uomo da costruire. Una tela bianca pronta per essere dipinta. Solo che questa volta il colore predominante non sarebbe stato il nero. Avrebbe prevalso la luce. Non aveva scelta, se voleva mettere le mani su Excalibur.

Occorse ancora qualche minuto, poi Gold sollevò lentamente le palpebre. Emma non sapeva se al suo risveglio sarebbe stato confuso, ottenebrato dalla debolezza o se fosse stato nel pieno delle forze... ma a giudicare dalla rapidità con cui la mise a fuoco e da come si rese subito conto di essere capitato in una situazione estremamente complicata, Emma non dubitò che fosse assolutamente lucido.

- Cosa... – balbettò, tirandosi su. – Cosa vuoi da me?

Emma lo fissò, impassibile. Notando la nuova fragilità che lo rivestiva. Percependo la sua paura.

- Tu sei l’Oscuro, adesso. Non io.

Lei spostò gli occhi su Tremotino, che sorrideva, soddisfatto e divertito.

- È vero – confermò. – Non hai più l’oscurità in te, ma non hai nemmeno la luce. Non sei niente. Il tuo cuore è una tabula rasa. Il che, piccoletto, fa di te una risorsa molto utile.

Sedette accanto a lui. Gold si spostò di scatto. Una volta erano gli altri ad essere terrorizzati in sua presenza, mentre ora... lui era spaventato dalla nuova Oscura. Non voleva essere toccato da lei.

Emma stava per aggiungere qualcosa, ma ridivenne di colpo molto seria e si mise in ascolto. I suoi occhi scattarono verso l’alto.

- Oh! Abbiamo visite – osservò Tremotino. – Devo dire che ha proprio un tempismo perfetto.

Aveva percepito la presenza di Lily. Non avrebbe potuto coglierla di sorpresa, neanche se avesse impiegato tutte le sue energie.

- Che succede? Chi c’è? – disse Gold, seguendo lo sguardo di Emma.

- Niente di cui tu debba preoccuparti. – osservò Emma, appoggiandogli una mano sul petto per spingerlo di nuovo giù. – Perché adesso... io farò di te l’ultima cosa che avresti mai pensato di poter essere. Un eroe.

Gold aggrottò la fronte. I battiti del suo cuore accelerarono.

- E non un eroe qualunque. Bensì l’eroe più puro che sia mai esistito. – precisò Emma. Il verde dei suoi occhi si era fatto più pressante e intenso, più torbido. – Dopodiché... avrò un lavoretto per te.

Aveva spostato la sua attenzione su qualcosa che si trovava dietro di lui. Gold si girò e l’unica cosa che vide fu una roccia, nella quale era incastonata una spada.

Lo costrinse a tirarsi su. Gold barcollò sulla gamba malandata. – Ti prego... non fare questo.

- Tutta questa paura è inutile. Io ti costringerò a dimenticarla. Con un piccolo aiuto, certo. - Con la magia, Emma lo spinse contro le sbarre in fondo alla caverna.

- E Belle? Che cos’hai fatto a Belle? – chiese lui, mentre le corde si attorcigliavano intorno ai suoi polsi, immobilizzandolo contro la prigione.

- La tua domestica sta bene – disse Emma. – Sta tranquillo. Non ho avuto bisogno di farle del male. Ho aspettato che ti lasciasse solo. Mi serve viva. Può essere un incentivo.

- Non usare Belle, ti prego. Lei non c’entra.

- Per una volta la tua domestica può essere utile in qualche modo... e tu mi chiedi di non usarla? – Emma scosse il capo. - Evitiamo i piagnistei.

- Non posso essere ciò che vuoi tu. Io non sarò mai un eroe.

- Certo che lo sarai. – Emma sfiorò l’elsa di Excalibur. – Non ho dubbi su questo.

 

 
All’esterno, Lily si diresse a grandi falcate fino all’ingresso della casa dell’Oscuro. Allungò una mano per afferrare la maniglia e ovviamente un incantesimo di protezione la respinse, sbalzandola sul prato.

- Emma... – sibilò.

D’accordo, avrebbe dovuto aspettarselo.

L’abitazione sembrava deserta, ma Lily fece comunque un giro completo, sbirciando dalle finestre. Le stanze erano in ombra. E vuote. La misteriosa porta era chiusa.

Sul retro c’era anche un altro edificio, una vecchia struttura bianca. Aveva tutta l’aria di essere un garage o una rimessa di qualche tipo. Si avvicinò, ma senza azzardarsi a toccare il pesante chiavistello che serrava i battenti.

Sentiva la magia vibrarle intorno. Anche quel posto era protetto, non solo la casa.

E la magia era strana. Sulle prime, Lily pensò che ci fosse qualcun altro lì con lei. Non Emma, ma qualche nuova presenza. Udiva dei ronzii. Dei suoni simili a voci, solo che non distingueva le parole. Bisbigli, sussurri, echi che si frantumavano.

Scosse la testa per scacciarle, ma senza successo. Allora piegò il capo di lato e rimase in ascolto.

Le voci sembravano dapprima distanti, poi vicinissime. Si allontanavano un po’ e ritornavano minacciosamente. Lily sentì che una goccia di sudore le colava dalla fronte sulla guancia. Il palmo della mano stretta a pugno le si era fatto madido. La sua carne strisciava. Sì, era una sensazione tremenda, ma era così. Strisciava. Pareva muoversi sul corpo.

Si girò di scatto per andarsene e si ritrovò faccia a faccia con Emma. Per poco non le andò addosso.

Le voci scomparvero.

- Non dovresti essere qui – le disse Emma. – Credevo fossi al Granny’s a gustarti il tuo pranzo. Ho sbagliato qualcosa?

Se hai sbagliato qualcosa?, Lily era esterrefatta. Ancora stordita dalla voci che l’avevano assalita tutte insieme, batté le palpebre e rifletté, sicura di aver capito male.

- Tu... che? – balbettò.

- So che adori il fast food. O almeno un tempo lo adoravi. Non sei stata tu a dirmelo?

Ah, certo.

- L’ho detto anche per fare buona impressione. – si ritrovò a rispondere. – Ma non capisco che cosa c’entri questo con... il resto. Cosa stai combinando qui? Cosa c’è là dentro?

Emma lanciò un’occhiata all’edificio bianco. – Cose che mi appartengono. Che mi servono.

- Davvero? Ma che bella risposta. Proprio la risposta che mi aspettavo.

Emma non disse niente.

- Io credo che tu me ne debba qualcuna, di risposta. Sei stata tu stessa a dirmi che non ho fallito, a Camelot.

- Ed è vero.

- Bene. Allora perché ne so quanto gli altri?

- Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. La certezza di non aver fallito. Ed è molto importante. – Emma la fissava con quegl’occhi che sembravano dimostrare almeno cinquecento anni. La faccia era tirata e le labbra rosse spiccavano come mele mature e avvelenate. – Lo è per te.

- Cosa?

- Oh, suvvia. Io so benissimo quanto sia importante sapere di aver fatto la cosa giusta. – ribatté. E, sempre con quella voce calma che suonava così sicura ed implacabile, quella voce che le dava un brivido, aggiunse: - Non importa cosa faccio, tanto ogni decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata. Io ricordo la ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata, perché non riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo quella ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata dell’autobus... perché io rendevo la sua vita più luminosa.

Lily deglutì a fatica. Aveva la bocca secca, quasi non fosse rimasta nemmeno una goccia di saliva. Avrebbe voluto rispondere, ma stentava a trovare una replica adeguata.

- Non posso più renderla luminosa – ammise Emma, con rammarico. – Ma posso... rimediare. Posso darti questa certezza. A Camelot tu mi hai aiutata. E hai preso la decisione giusta. Se sono come mi vedi adesso, la colpa non è tua. So quanto sia importante, questo. Infatti non hai detto nulla a nessuno. Nemmeno a tua madre.

- Non è l’unica cosa importante – disse Lily, con la voce roca. – Anche i miei ricordi sono importanti. Di che cosa hai paura, Emma?

- Io? Perché dovrei avere paura di qualcosa?

- Perché in caso contrario non lo nasconderesti. Non sei soltanto furiosa con tutti. Tu hai cancellato i nostri ricordi perché hai paura di qualcosa.

- Lilith... qui non si tratta di paura. Si tratta di...

- Di cosa? Di ferire le persone che ami? Ci stai riuscendo. Regina già dubita di essere in grado di proteggere la città, tuo padre si sente inutile, persino i nani ce l’hanno con lui, il tuo adorato pirata gira in tondo senza trovare risposte... e tuo figlio non fa che pensare a dove sia finita sua madre. Non fa che chiedersi se sua madre sia ancora lì da qualche parte.

Ora Emma le parve furente. Sollevò una mano e Lily si sentì soffocare. Si portò una mano alla gola e rantolò, mentre macchie colorate iniziavano a lampeggiare lungo i bordi del suo campo visivo.

- Io sto cercando di proteggerti! – gridò Emma, costringendola a piegarsi sulle ginocchia. Il suo sguardo era acceso di furia. – Ma tu non riesci a capire... non hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che cosa io stia facendo! E quando gli altri ce l’avranno... si renderanno conto da soli che sarebbe stato meglio non sapere!

“Non importa cosa faccio, tanto ogni decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata. Io ricordo la ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata, perché non riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo quella ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata dell’autobus... perché io rendevo la sua vita più luminosa”.

La presa sulla sua gola si allentò e Lily annaspò in cerca d’aria. Appoggiò le mani sul prato, respirando con affanno.

Poi i suoi occhi si riempirono di fuoco.

Emma guardò l’enorme drago spalancare le ali, pronto a spiccare il volo. Un lieve sorriso le increspò le labbra. La creatura ruggì, imbestialita e si precipitò contro di lei, ma Emma scomparve in una nuvola magica e riapparve in groppa a Lily. Il corpo robusto si irrigidì per la sorpresa. Sguinzagliò la coda, che urtò il maggiolino giallo. L’auto rimase in bilico per qualche istante su due ruote e poi si ribaltò su un fianco.

- Lily... questo non è divertente. Sai da quanto tempo ho quella macchina? – domandò Emma, serrando le gambe sui fianchi del drago e percependo l’elevata temperatura della pelle, protetta dalle dure scaglie nere.

 Lily non approvò. Affatto. Lanciò uno strepito e piegò il collo per guardarla. I suoi grandi occhi avevano assunto una colorazione arancione, come il fuoco che sputava. Scosse la sua possente mole, sgroppò e si levò sulle zampe posteriori per scrollarsi Emma di dosso, ma l’Oscura rimase saldamente ancorata alla sua groppa.

Infine il drago prese una breve rincorsa e, appoggiando una delle zampe sul maggiolino, si spinse verso l’alto, aprendo le ali e spiccando il volo.

 

 
Uncino adocchiò la creatura alata sorvolare i cieli e notò subito che c’era qualcosa di strano.

Ben sapendo che mamma drago si trovava dentro la centrale di polizia con Regina e gli altri, capì che quello era il suo cucciolo e che il cucciolo era anche molto arrabbiato. Planava verso la città per poi risollevarsi in volo. Disegnava ampi cerchi in aria e scuoteva la testa di qua e di là, come se qualcosa lo stesse infastidendo. Si avvitò, tracciando spirali immaginarie e così lui vide che c’era qualcuno sulla sua groppa. La figura che cavalcava il drago vestiva di nero ed era decisamente umana. Precipitò quando il suo destriero personale si capovolse, ma disparve grazie alla magia.

- Emma! – esclamò, esterrefatto.

Regina uscì dalla centrale, seguita da Malefica e da Neve. Erano tutti con i nasi all’insù. Il drago si dirigeva verso i boschi fuori città.

- Lily – disse Malefica.

- Che diavolo sta facendo? – domandò Regina.

- Non lo so, ma c’è Emma con lei. – rispose Uncino. - E qualsiasi cosa sia, non è nulla di buono.

 

____________________

 

 

Angolo autrice:

Bene, salve! Grazie per essere arrivati fino a qui anche stavolta.

 
L’unica precisazione che devo fare riguarda Knubbin. Come già spiegato in precedenza, il mago compare nel libro di Wendy Toliver, Red’s Untold Tale. L’informazione inerente al fatto che lui è il creatore del mantello rosso di Ruby viene dal libro. Prima di aiutare Granny con il mantello, aveva aiutato anche Anita, la madre di Ruby, citata durante il suo dialogo con Emma nelle prigioni. Il ciondolo di cui si parla nel capitolo è appartenuto ad Anita ed è poi passato alla stessa Ruby. Anche queste sono cose che vengono spiegate nel romanzo.


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Capitolo 8
*** 8. ***


8

 

“Un universo di orrore e smarrimento circonda un palcoscenico illuminato,
sul quale noi mortali danziamo per sfidare le tenebre”

[Stephen King]

 

 

 
Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

Non era una stupida. Sapeva benissimo che se Artù l’aveva sistemata in un’altra ala del castello non era perché era a corto di stanze. Semplicemente lui, la sua mogliettina e, di certo, anche quegli idioti dei genitori di Emma pensavano fosse meglio separare la ragazza che aveva dato fuoco a Percival dalla nuova Signora Oscura. Artù ancora non era consapevole che l’Oscura era tra loro, ma aveva intuito quanto lei, figlia di una donna in grado di trasformarsi in drago, fosse pericolosa e incontrollabile.

Ed era vero. Era entrambe le cose. Pericolosa, soprattutto.

“So abbastanza. Quelle come te... come noi... non possono essere Salvatrici. È come sperare che Biancaneve sia davvero la ragazzina che parla con gli uccellini”.

Forse era vero anche che l’oscurità di Emma avrebbe potuto influenzarla negativamente. Forse era vero che avrebbe dovuto starle lontana per evitare guai. Ma non si trattava di una persona qualsiasi. Si trattava di Emma.

Di sicuro, chi pensava che Lily rimanesse sveglia buona parte della notte perché tormentata dall’immagine dell’uomo che aveva ucciso, si sbagliava di grosso.

- Posso aiutarti a dormire con un incantesimo, se ne hai bisogno – le aveva detto sua madre.

- Non mi serve. Sto bene. – Era stata una risposta brusca e se ne rendeva conto. – O credi che io sia continuamente tormentata da un uomo che brucia?

Anche quella sera scivolò insensibilmente nel sonno. Si addormentò di botto, riposando su un fianco nello spazioso letto con le coperte color porpora come i mantelli del re e dei suoi cavalieri.

E quando riaprì gli occhi era da tutt’altra parte. Era in una stanza buia. Non avrebbe saputo dire in quale parte del castello; sembrava un piccolo salotto. I contorni delle cose erano pochi chiari, sfuggivano. Dalle porte lasciate aperte entrava la luce delle fiaccole accese nei corridoi ed era una luce tremolante, malaticcia. Davanti a lei, dentro una scatola di legno, c’era il pugnale dell’Oscuro, con il nome di Emma inciso sulla lama ondulata. Era lì da sola e Dio solo immaginava il perché e stava guardando l’arma che serviva per controllare la creatura che tutti temevano più dei loro stessi incubi, più di quanto lei temesse l’oscurità che albergava nel suo corpo. Lily ne avvertiva il potere. Un’intensa forza di attrazione che allungava le braccia per acciuffarla. Le lettere che formavano il nome Emma Swan parevano ingigantirsi dinanzi ai suoi occhi e poi rimpicciolirsi, le sembravano lettere sfocate e, se batteva le palpebre per metterle a fuoco, aveva l’impressione che fossero vive, che si muovessero. Inoltre... non era solo la forza di attrazione che sentiva, ma anche un senso di oppressione, come se avesse un peso sul petto.

Emma Swan.

Non riusciva a smettere di guardare le lettere impresse sul pugnale.

Emma Swan.

Il nome mutò. Si deformò. Si confuse.

Alla fine non ci fu più il nome di Emma sulla lama.

Lilith Page.

Sgranò gli occhi, premendosi le nocche sulle labbra. Il terrore. L’orrore. Lily li avvertiva crescere dentro di sé, fino a che il suo stesso cuore sarebbe scoppiato sotto quella implacabile stretta.

E c’era una voce. Qualcuno la chiamava.

C’era il peso sul petto e c’era la voce. La voce del pugnale...

La voce...

- Lily. – Era sua madre e sembrava allarmata. – Lily, svegliati.

Aprì gli occhi e si trovò a fissare quelli grandi e celesti di Malefica. Si alzò di scatto, mandando un gemito di sorpresa.

- Va tutto bene, Lily – disse sua madre, allungando gentilmente una mano per appoggiargliela sulla testa. – Stavi sognando... parlavi del sonno, ma non capivo che cosa stessi dicendo.

Rimase immobile, in attesa che la realtà, quella realtà, la riprendesse fino in fondo.

Solo un sogno. Un incubo e niente di più. Per quanto fosse reale e terribile, era stato solo un incubo.

- Non so... – mormorò, schiarendosi la voce. Guardò fuori dalla finestra e si accorse che il sole era appena sorto.  – Ma che cosa ci fai qui?

- Una guardia davanti ad una porta non è certo un problema, per me. – disse Malefica.

- Che cosa gli è successo?

- Dorme. Quello che dovresti fare anche tu. È molto presto. – Sua madre continuava a passarle le dita tra i capelli.

Lily si sentì confortata da quella carezza e posò la fronte contro la spalla di Malefica. Si sentiva anche leggermente a disagio. Non era abituata a ricevere affetto da una persona, tantomeno ad essere rassicurata da qualcuno che conosceva appena. Aveva avuto una madre, una madre adottiva. Da piccola quella donna l’aveva abbracciata spesso e anche suo padre, ma non si era mai sentita al posto giusto. Forse quelle due persone l’amavano davvero, ma per quanto lei si sforzasse, non era in grado di accettare i loro gesti d’affetto. Li percepiva come... sbagliati. Lei era sbagliata e lo era anche la vita che stava vivendo. Quella non era la sua famiglia, non era il suo posto. Non desiderava quegli abbracci. E allora stringeva il suo ciondolo, pensando alla madre che non aveva mai conosciuto.

Dopo un momento Lily si tirò indietro. - Da quanto tempo sei nella mia stanza?

- Da un po’. – rispose Malefica.

Aggrottò le sopracciglia e piegò leggermente la testa in un cenno dubbioso.

- Vuoi che me ne vada? – chiese sua madre.

- No... è solo che... non mi aspettavo di trovarti qui.

- Sai, mi dispiace... volevo solo guardarti mentre dormivi. Non... non l’ho mai fatto. Una delle tante cose che mi sono persa. – Non c’era traccia di rabbia sul suo viso. Solo rammarico e una lieve forma di tristezza che rendeva più dolci i suoi lineamenti.

Lily non rispose, perché se avesse risposto sarebbero uscite cose poco gradevoli dalla sua bocca. Certo che te le sei perse. La mia vita era un casino, lo è ancora e tu te le sei perse perché qualcuno ha deciso di proteggere Emma maledicendo un’altra bambina! Te le sei perse, perché quei due erano convinti che così facendo l’avrebbero salvata e adesso, invece, guarda! L’oscurità è tornata e se l’è presa. Emma sta male, deve lottare ogni giorno contro l’essere che la possiede e chi dice che non è colpa loro?

 

 
“Lo senti? Che suono dolce. Che suono strano! Diamo un’occhiata. Ti va?”

Le andava. Le andava di dare un’occhiata. Le andava di seguire i bisbigli, i sussurri. Il richiamo. Seguirlo era una vera coercizione. Era più forte di tutto. Di qualsiasi altra cosa.

Era stato facile trovarlo. Riposava in una scatola di legno. Il pugnale.

“Ecco da dove viene! Il tuo pugnale!”. La voce di Tremotino era sgradevole. Il suo sorriso era largo e soddisfatto, infido e malizioso. “E dato che Regina l’ha lasciato in questa stanza... direi che chi lo trova se lo tiene”.

Emma allungò una mano, ma una magia protettiva la respinse.

“Oh, c’è un incantesimo su di esso! Non è niente per te. Infrangilo”.

“Non posso”.

“Sta chiamando... la sua metà”.

“Lasciami sola”.

“I tuoi amici non possono proteggerti”.

“Smettila”.

“Tu sei la Salvatrice. Salvati!”.

“Esci dalla mia testa!”. Aveva diretto il suo potere contro la proiezione di Tremotino, che ovviamente era svanito, emettendo una risatina folle. Per poco l’onda magica non aveva colpito Uncino...

Aveva passato la notte ad intagliare rametti di salice per fabbricare acchiappasogni. Il cerchio esterno, che rappresentava il ciclo della vita e l’universo. La rete interna, che serviva per intercettare i sogni e dirigerli, se buoni, verso il filo di perle simboleggiante la natura... se dannosi, verso le piume d’uccello, perché volassero via.

Avrebbe voluto fare lo stesso con le voci. Scacciarle. Come i brutti sogni. Ma le voci la circondavano. Le voci la opprimevano. Erano nella sua testa e sussurravano. Tremotino, o l’oscurità che ne assumeva le sembianze, appariva ogni giorno un po’ più a lungo, le parlava e le sue parole erano sempre più persuasive ed insinuanti... sempre più debole era la sua forza di volontà. Le voci le avvelenavano il sangue. Si insinuavano sotto la pelle e si addensavano intorno al suo cuore. Presto le ombre sarebbero state troppe dense. Per quanto lottasse, le venivano meno le energie.

“Ferma l’oscurità, prima che ti consumi”.

Ma la stava già consumando.

Emma giaceva, spossata e con gli occhi appannati, su una panca, nella stessa stanza in cui aveva ritrovato il pugnale.

- Cosa le è successo? – domandò Neve.

L’oscurità mi consuma, mamma. Non lo vedi?

- Non ne ho idea – rispose il pirata, con un tono afflitto. – Non ha detto una parola.

Emma osservava le persone intorno a lei. I colori sembravano più intensi. Sì, ne era sicura. L’azzurro degli occhi di Uncino era molto più azzurro. Il vestito rosso di Regina era molto più rosso. La giubba di Henry pareva più... sgargiante. E Lily... Lily aveva qualcosa intorno a sé. Come un’aura. Un’aura scura come le ombre che si assiepavano dentro di lei.

- È tua... – sussurrò Tremotino. Si era accomodato sulla panca, vicino ai suoi piedi. – Quell’aura è tua. È il tuo potenziale. Ma che ce ne facciamo quando abbiamo tutto questo, mia cara?

Emma non rispose.

- Oh, suvvia, non fare quella faccia! – esclamò lui. E rise, come se tutto ciò lo divertisse un mondo e non vedesse l’ora di continuare. – Regina si sta già scervellando per trovare un altro posto in cui nascondere il pugnale. Lo sa che eri qui per il pugnale. Insomma, non è stupida! L’ha allenata il migliore. Se mi avessi dato retta non saresti in questa situazione!

- È... quella cosa, no? – disse Lily. – La sta distruggendo.

- Sì – disse David. Era entrato nella stanza senza che nessuno se ne fosse accorto. – Sta peggiorando.

- David! – esclamò Neve. – Dov’eri finito? Ti ho cercato per tutto il castello!

- Con Artù. Ho scoperto che conosce un modo per aiutare Emma. – Parlava a voce bassa, per non disturbarla, ma era concitato. Esaltato, persino.

- Non possiamo, David. Ascoltami...

- Se gli diamo il pugnale...

- No, David. Non possiamo fidarci di Artù. – Neve, invece, non era affatto esaltata. Era preoccupata. Tesa. Lo era stata dalla fine della cerimonia di investitura del marito.

- Cosa? Chi ti ha detto questo?

- Lancillotto.

David non credeva alle sue orecchie. – Lancillotto?

Regina non aveva idea di che cosa diavolo stesse capitando. Ma di una cosa era certa: non c’era nessuno al comando, lì. Non si faceva alcun progresso. La stanza era gremita di gente che si aggirava senza uno scopo. Persino lei si sentiva inutile. Inutile davanti alla debolezza di Emma. Mai e poi mai le era successo di vedere la Salvatrice così fragile. Mai le era sembrata più distante da loro. Mai le era sembrata così assillata e schiacciata dal suo destino. Regina aveva un groppo alla gola ed era un groppo che non voleva saperne di sciogliersi. Più guardava Emma e più quel groppo si faceva stretto e intollerabile. Era stata presa dall’assurdo impulso di prendere una coperta e gettarla sopra Emma, sebbene il freddo non fosse certo un problema per l’Oscuro. Era stata afferrata con forza dal desiderio di appoggiarle una mano sulla fronte, di toccarla per accertarsi che il suo corpo emanasse ancora calore, di appoggiare quella stessa mano sul suo petto e udire i battiti del cuore.

- Ehi! – intervenne, alla fine, fermando la discussione degli Azzurri. – Non di fronte ad Emma! Visto lo stato in cui si trova, qualsiasi cosa potrebbe farla esplodere.

David e Neve tacquero, vagamente imbarazzati.

- Deve riposare. In un posto tranquillo e lontana da occhi indiscreti. – osservò.

- E dove? Ci sono occhi ovunque qui – disse Lily. Anche lei non staccava gli occhi di Emma, per quanto stesse parlando agli altri.

- Conosco il posto giusto. – disse Henry, con un sorriso.

- Potremmo portarcela io e il ragazzo. - disse Uncino.

Emma non sembrava nemmeno in grado di sollevare la testa.

- Non possiamo portarla fuori. Guardate come sta! – esclamò Lily, indicandola. – Non si potrebbe... stare di guardia davanti alla porta? Oppure qualcuno potrebbe tenere Artù impegnato.

- Non è sufficiente. – rispose Regina, cercando di non lasciarsi irritare di nuovo dal tono dell’amica di Emma. - Se resta qui, chiunque potrebbe accorgersi che qualcosa non va. Non possiamo tenere lontane le guardie o i cavalieri molto a lungo. Meglio portarla in un altro posto.

- Forza, tesoro. È ora di salpare. – disse Uncino, aiutandola ad alzarsi, con gentilezza.

- Potrei venire con voi. – osservò Lily.

Emma le rivolse un sorriso stanco.

- Forse... è meglio che non siate in troppi a lasciare il castello con Emma. – replicò Biancaneve. – Regina ha ragione... dobbiamo essere il più discreti possibile. Tutti quanti. Artù non deve sospettare niente.

David sembrò sul punto di dire qualcosa, ma alla fine non lo fece.

Lily levò gli occhi al cielo e uscì. Un attimo dopo se ne andarono anche Henry, Emma ed Uncino. Regina si assicurò che le porte fossero ben chiuse.

- Quella ragazza non è stupida. Sa che cosa state facendo. – disse agli Azzurri, subito dopo.

- Stiamo cercando di proteggere Emma. – ribatté Neve, scura in volto.

- Tenendola lontana da Lily?

- Lo facciamo per il suo bene.

- Per il bene di chi?

Biancaneve sospirò. Non aveva la minima voglia di affrontare quell’argomento ed era evidente. – Se ci pensi bene, di entrambe. Ma noi dobbiamo pensare a nostra figlia. Lily ha dentro di sé il potenziale oscuro di Emma.

- Non possiamo sapere come funzionano le cose adesso che Emma è... ciò che è.

- Regina, potrebbero influenzarsi a vicenda. So che Lily è un’amica di Emma, ma in questo momento nostra figlia non è nelle condizioni per sopportare la vicinanza con un altro tipo di... oscurità. Che le apparteneva, tra l’altro.

- Beh, siete stati voi a maledirla.

- Credi che non me lo ricordi? – Neve stava per perdere la pazienza. I suoi occhi verdi parevano invitare Regina alla cautela.  

- A volte credo di no. E sei stata tu a proporre Lily quando si trattava di attivare quella bacchetta.

- So benissimo quello che ho fatto! – gridò Neve. – Me lo ricordo tutte le volte che guardo quella ragazza! L’ho separata da sua madre e so che cosa significa, perché l’ho provato sulla mia pelle! Avevo promesso che gliel’avrei riportata e invece...

- Non c’è bisogno di urlare! – le fece notare Regina.

- E chi sta urlando?! – urlò di rimando Biancaneve.

Tutti ammutolirono.

Neve serrò le palpebre per qualche momento.

- Sentite. – riprese Regina, massaggiandosi una tempia. – Quella ragazza non starà lontana da Emma. Non potete evitarlo. E per quanto la giudichi irritante, so anche che Emma tiene molto a lei. È... il destino.

“Ti ho vista, in cima a quella scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si gode il momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come una Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma”. In realtà pensava fosse molto più che irritante. Era aggressiva ed emotivamente instabile. E Regina era anche convinta che la situazione di Emma la rendesse ancora più incontrollabile. Era così che Lily manifestava la sua ansia, la sua paura. Diventando aggressiva. Non conosceva altri modi e il filo rosso che la univa ad Emma faceva sembrare tutto molto più difficile. Di certo la ragazza temeva quel legame. Al tempo stesso era come se lo bramasse, come se volesse sentirlo più intensamente.

Forse era meglio non specificare queste cose ai genitori di Emma.

- Il destino? – chiese David.

- Il destino le ha unite. – Regina si chiedeva se il pastore fosse duro di comprendonio o solo troppo preoccupato per la figlia per vedere le cose con chiarezza. - E credo che le spinga a stare insieme, qualunque cosa facciano.

Gli Azzurri piombarono in un silenzio accigliato e non replicarono. Non a quell’ultima esternazione.

- Forse è meglio concentrarsi su quello che è capitato qui – disse David, riscuotendosi.

- Già. Perché qualunque cosa le sia successa... di certo era qui per il pugnale. – Regina si fece pensierosa, mentre ricordava l’espressione di Emma. Sembrava quella di chi aveva battagliato a lungo con qualcuno estremamente potente. Quel qualcuno l’aveva spinta in quella stanza. Verso il pugnale. Certamente l’oggetto chiamava il suo proprietario e l’oscurità che aleggiava nell’animo di Emma la spingeva a riprenderselo. – Meglio spostarlo in un posto più sicuro.

- No, aspetta! Artù ha detto che può usarlo per aiutare Emma. – disse Azzurro, di nuovo molto concitato.

- Così ti ho appena detto? Non lo daremo ad Artù. – preciso Neve, seccata. – Secondo Lancillotto non possiamo fidarci di lui.

- E Cora ci aveva detto che Lancillotto era morto. Non puoi credere a tutto ciò che senti.

- Non ti fidi proprio di Lancillotto, vero? Ci ha sposati. È nostro amico!

David cercava di non lasciarsi irritare dal tono testardo di sua moglie, che parlava quasi come se stesse lanciando accuse a lui e non solo al re di Camelot. - Questo è successo molto tempo fa. Dov’è stato tutto questo tempo?

- Non me l’ha detto!

- E perché si presenta qui soltanto adesso?

Vedo che questa testa vuota non è poi così vuota. Sta facendo le domande giuste, pensò Regina, osservando i due coniugi sempre più indaffarati a far valere le rispettive opinioni. Solo che la ricomparsa del cavaliere di Artù e le sue illazioni contro il re non la facevano stare tranquilla. Non aveva percepito niente di anomalo in Artù, ma era anche vero che non si era soffermata più di tanto su di lui, fino a quel momento. Si era dimostrato gentile, non aveva smesso di fidarsi di lei quando aveva saputo che era... era stata la Regina Cattiva. Aveva aiutato Azzurro a recuperare la Corona Scarlatta, anche se in seguito il fungo era andato perduto. Aveva buttato in prigione il mago che aveva incantato la spada di Percival e il ciondolo.

- Beh, perché non è il benvenuto a Camelot! – stava dicendo Neve, sempre più infervorata.

- Lo credo bene! Voleva la moglie di Artù. Ed ora è tornato. Perché?

Oh, già, quella storia, ricordò Regina. Aveva udito un sacco di cose, a riguardo. Un sacco di versioni diverse erano state raccontate nell’altro mondo.

Stavolta Biancaneve perse il controllo e urlò davvero. Urlò così forte che a Regina aumentò il mal di testa. – Non lo so, David! Io non so tutto!

Calò il silenzio. Regina osservava la scena con le braccia conserte, in attesa che la discussione terminasse.

- Regina, ti dispiacerebbe lasciarci soli qualche minuto? – chiese Neve, recuperando un po’ di contegno.

Profondamente seccata, Regina disparve in una nuvola viola.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Il volo del drago con in groppa il suo oscuro cavaliere era terminato nei boschi di Storybrooke, quando Lily era atterrata malamente in uno spazio aperto tra gli alberi. Sbalzata dalla schiena della creatura, Emma si era volatilizzata per poi riapparire comodamente appoggiata ad un tronco. Sorrideva, estasiata.

Per la prima volta da quando era diventata la Signora Oscura, sentiva di aver fatto una cosa giusta, una cosa che le era piaciuta davvero, per quanto Lily non la pensasse affatto così e lo vedeva dal modo in cui i suoi occhi la fissavano, accesi come braci. Emma si era sentita potente, ma quello era diverso rispetto al potere che percepiva di solito;  si era sentita... stranamente completa come non era stata più o non ricordava di essersi sentita, da quando la sua natura era cambiata.

La sua famiglia stava arrivando. Doveva andarsene.

- Non prendertela, Lily. Ammetterai che è stato esaltante. – disse Emma. Si avvicinò al drago e allungò una mano, posandogliela sulla testa. La creatura non si mosse, ma seguitò a incenerirla con lo sguardo.

Poi Emma si dileguò.

 

 
Poco dopo, alla centrale di polizia, Malefica porse la tisana a Lily.

- Non la voglio. – rispose lei, quasi sua madre le avesse appena offerto una manciata di scarafaggi.

- È solo una tisana. – rispose Malefica.

- Beh, non mi servono tisane. L’Oscura mi ha appena usata come destriero personale!

Uncino si passò una mano sulla fronte. Era confuso. Non riusciva a raccapezzarsi. Prima Emma minacciava tutti quanti. Poi lo invitava sulla barca, salvo poi prendersi la sua spada e andarsene di nuovo, dicendogli... cosa aveva detto? La nave è tua. Ed ora questo. Ora Swan si metteva a cavalcare draghi. – Quindi, se non ho capito male, Emma ti ha detto che tu non hai fallito... e che sta facendo tutto questo per proteggerti.

- Il problema è: da che cosa? – domandò Regina. Se ne stava appoggiata alla scrivania, con le braccia conserte. E guardava Lily, aspettandosi qualcos’altro.

“Ma tu non riesci a capire... non hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che cosa io stia facendo! E quando gli altri ce l’avranno... si renderanno conto da soli che sarebbe stato meglio non sapere!”

- È tutto quello che mi ha detto, okay?

- Questo l’hai detto anche l’ultima volta. – le ricordò Regina.

- Non c’è nient’altro. – Lily afferrò la tisana e ne bevve un sorso. Fece una smorfia. – Non avete qualcosa di più forte?

Uncino estrasse una fiaschetta di rum dalla tasca della giacca di pelle. Malefica gli riservò un’occhiataccia.

- Questo è per me, non preoccupatevi, signora. – disse il pirata.

- Magari anche tu avrai qualcosa di più forte... se ci dirai tutta la verità – continuò Regina.  

- Ve l’ho detta! Fidatevi.

- No! Non ci fidiamo. – Regina si alzò di scatto, protendendosi minacciosamente verso Lily. – Perché dovremmo farlo?

- Regina... – iniziò Malefica.

- Che cos’è che non ti va? – domandò Lily, alzandosi a sua volta. – È sapere di aver fallito che non ti va? È sapere di non essere la Salvatrice che desideravi essere che non ti va? È sapere... che qualcuno ha preso una decisione sensata e che qualcuno non sei tu?

Regina aveva l’impressione che il sangue le fosse appena schizzato al cervello. – Non puoi nemmeno credere a tutto quello che ti dice Emma. O pensi che l’Oscuro non sappia ingannarti, se vuole qualcosa da te?

- Io conosco Emma. Può anche essere l’Oscuro, ma in quel momento era sincera.

- E allora occorre stabilire che cosa intenda Emma con giusto o sbagliato. Forse quello che hai fatto tu è giusto per l’Oscuro, ma non per gli altri. – La sua voce suonava rabbiosa e prepotente. 

- Emma è furiosa con te e lo vedi anche tu. È furiosa con tutti voi. Non credo che l’abbiate mai vista così furiosa...

Regina allungò una mano verso Lily. Una mano che sembrava un artiglio, pronta ad afferrare la ragazza per i capelli o per la gola.

Malefica mise una mano sul petto di Regina per trattenerla. Ormai lei e Lily erano molto vicine. – Basta così.

Regina chiuse gli occhi, in un disperato tentativo di mantenere il controllo.

Poi si udì un frastuono di vetro infranto. La tazza che conteneva la tisana era esplosa. Il pavimento si riempì di schegge acuminate. Un frammento aveva ferito Lily sul palmo della mano. Nell’aria si diffuse l’odore di quella brodaglia alle erbe.

- Fate attenzione, Maestà. – disse Uncino, indietreggiando di un passo per evitare alcuni frammenti.

- Non sono stata io, Capitan Mascara! – ribatté Regina.

Lily osservava, incredula, il palmo sanguinante e, quando alzò gli occhi, vide molte facce concentrate su di lei. Azzurro teneva una mano sulla testa del piccolo Neal, che ora aveva cominciato a piangere tra le braccia di sua madre. Agitava i piccoli pugni e le gambe sotto la copertina. Neve era turbata e guardinga. Regina si guardò intorno, come se non credesse che quel potere potesse venire da Lily, ma in realtà l’aveva percepito benissimo. Era stato un atto del tutto involontario, eppure la magia le aveva fatto accapponare la pelle delle braccia.

Malefica intervenne, prendendo delicatamente il polso della figlia. – Non è niente. Ci penso io. Credo sia meglio rimandare questa discussione a un altro momento.

Nessuno si oppose quando Malefica invitò la figlia ad uscire da lì. Lily non dimenticò di regalare a Regina un’altra occhiata di fuoco. Uncino, invece, le diede la sua fiaschetta. La ragazza guardò la mano piena di anelli del pirata, vagamente perplessa, poi accettò l’offerta e scolò buona parte del rum con un unico, lungo e disinvolto sorso.

- Ehi, tesoro, non ti ho detto che puoi finirlo! – disse Uncino.

Lily inghiottì il rum e scosse il capo per schiarirsi le idee. Gli restituì la fiaschetta quasi vuota. – Ho bevuto cose peggiori.

Lui sollevò un sopracciglio.

“Io conosco Emma. Può anche essere l’Oscuro, ma in quel momento era sincera”.

Regina non riusciva a capacitarsi di avere appena avuto quell’assurda discussione.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

“Puoi farcela, mamma. Puoi essere la Salvatrice”.

“Non succederà”.

“Tu non pensi che io possa esserlo”.

“So che non puoi”.

- Non sapevo che il piccolo drago avesse dei poteri. – commentò Uncino, una volta che se ne furono andate.

- Nemmeno io, ma non dovrebbe neppure sorprendermi, considerando che è figlia di Malefica... – osservò Regina, pensierosa.

- Nel suo caso sembra più un dono... – disse Biancaneve.

- Non ho tempo di occuparmi di questo, ora. – sbottò Regina. – Volendo, non ci metterei molto a strapparle il cuore...

- Regina! – la rimproverò Neve, scandalizzata.

- Non ho detto che intendo farlo. – precisò.

“È sapere di aver fallito che non ti va? È sapere di non essere la Salvatrice che desideravi essere che non ti va? È sapere... che qualcuno ha preso una decisione sensata e che qualcuno non sei tu?”

No, non intendeva farlo, naturalmente. Ma ne aveva avuto voglia. Oh, molta voglia.

La porta della centrale si aprì di nuovo e Belle si catapultò dentro, portando con sé la campana di vetro. – Meno male che siete tutti qui.

- Che succede ora? – chiese Regina.

- Non so davvero come spiegarlo, è... – Appoggiò la campana sulla scrivania. Sotto di essa galleggiava la rosa rossa legata alla vita di Tremotino. Risplendeva e non perdeva più i petali. Anzi, era una rosa in procinto di sbocciare.

- Il Coccodrillo si è svegliato. – commentò Uncino.

- Sì, è l’unica cosa che so. – rispose Belle. Aveva gli occhi un po’ cerchiati e l’aria di chi aveva passato giorni e giorni a mangiare ciò che capitava e solo quando se ne ricordava. Due ciocche castane le spiovevano sul viso. - Ma è sparito.

- Sparito? - chiese Regina.

- Quando mi sono accorta che si stava svegliando, sono tornata subito da lui. Ero andata da Granny, mi ero allontanata solo un istante per prendere un toast... – La sua espressione era afflitta. Quasi si sentisse in colpa per averlo lasciato solo, sebbene si fosse trattato di pochi minuti. – E poi... il letto era vuoto.

- Si è alzato e se n’è andato, quindi? – chiese Uncino, confuso.

- Non credo che sia successo questo. Non poteva farcela da solo. Insomma... non si sarebbe mai allontanato così. – disse Belle.

- Beh, non sappiamo mai che cosa aspettarci da lui.

- Prima, forse. Ma adesso non è più l’Oscuro.

- L’oscurità è stata parte di lui per centinaia di anni. Potrebbe averlo cambiato, non credete, tesoro?

Belle scosse il capo, risoluta. – Quello che conta è che è scomparso.

Silenzio. Tutti si scambiarono occhiate disorientate.

- Potrebbe essere con Emma. – suggerì Belle.

- Perché Emma dovrebbe avere bisogno di Tremotino? – chiese Azzurro.

- Non ne ho idea! – Belle si strinse nelle spalle. – Perché ha lanciato questa nuova maledizione? Perché ci ha portato via i ricordi? Perché dice che abbiamo sbagliato? Perché ha abbracciato l’oscurità?

Perché ha bisogno del piccone di un nano?, continuò Regina fra sé e sé. Perché ha invitato Capitan Mascara sulla sua stupida barca e ha preso la sua spada? Perché è convinta che Lily abbia fatto la cosa giusta, mentre noi...

- Forse dovremmo cercarlo. – propose Azzurro. – O dovremmo invocare Emma.

- Non risponderà alle nostre domande, David. – rispose Neve.

- Beh, allora... proviamo a parlarne con Artù. Magari ci aiuterà a cercare lei e Tremotino. Sappiamo dove vive, adesso.

Artù e la sua cricca erano sembrati fin troppo preoccupati a cercare una soluzione per tornare a casa. Ormai non avevano più nemmeno l’unica cosa che avrebbe potuto ricondurli a Camelot, ovvero il fagiolo magico.

- Scusate se vi interrompo. Di solito le mie buone maniere me lo impediscono, ma...

Regina si era totalmente dimenticata del mago rinchiuso nella cella. Credeva che fosse ancora troppo immerso nel mondo dei sogni. Adesso l’uomo li fissava, con la faccia infilata tra le sbarre. Il corvo se ne stava comodamente appollaiato sulla sua spalla ossuta, la testa incassata e gli occhi... anzi, l’unico occhio chiuso. Sonnecchiava.

- Allora ricordatevi delle buone maniere e chiudete il becco, mago da strapazzo. – replicò Regina.

- Se fossi dotato di un becco, magari lo chiuderei anche o potreste chiudermelo voi, sarebbe facile, no? – Knubbin ridacchiò, divertito. – Ma del resto non ho nessun becco. E non sono nemmeno un mago da strapazzo. Il mio nome è Knubbin. Quello che mi preme dirvi è che chiedere aiuto a quel re non è una buona idea. È una pessima idea. Un’idea terribile! Terribile come... fatemi pensare... ecco, terribile come soffocare i sogni di una persona. Oh, troppo pericoloso, soffocare i sogni. Non lo farei mai. Beh, magari mai è una parola un po’ troppo forte. Con la magia... c’è sempre una via attraverso il mai...

- Che cosa sapete di Artù che noi non sappiamo? – lo interruppe Neve, aggrottando la fronte.

- Molte cose. In realtà non le ho sapute ascoltando. Le ho sapute da Heathcliff.

- Chi diavolo è Heathcliff? – domandò Regina.

- Il mio corvo. – Lo indicò. Heathcliff socchiuse l’occhio, scrutando i presenti. – Perché sapete... quando il re è venuto per quel suo servitore... si è assicurato che io continuassi a dormire. Aveva una polvere con sé. Una qualche polvere magica. Oserei dire che era decisamente più forte della polvere di papavero.

- Volete arrivare al dunque? - disse Regina, seccata da quel continuo ciarlare a vuoto.

- Il dunque, ma certo! Veleno delle vipere di Agrabah.

- Che cosa? – Le sovvenne il ricordo di tre bocche fameliche e munite di zanne acuminate che facevano capolino da dentro un contenitore. Il Genio aveva sollevato il coperchio e lei, allora moglie di Leopold e intenta a recitare la parte della donna segretamente innamorata di un altro uomo, aveva visto i temibili serpenti, le vipere di Agrabah, il cui veleno era in grado di uccidere chiunque. Ma cosa diavolo c’entrava Artù con Agrabah?

- Mi avete chiesto di arrivare al dunque, se non sbaglio. – disse Knubbin. - Quell’uomo, quello che avete messo nella cella qui di fianco...

- Grif. – disse Azzurro. – Grif è sparito. L’abbiamo cercato ovunque. Ha usato il fagiolo magico per tornare a casa sua.

- Griffo, o in qualunque modo si chiamasse, non è sparito. – Knubbin si grattò la testa. – Non nel modo che credete voi. Quel re avrà anche pensato ad un modo per impedire che io sentissi tutto, ma non ha pensato ad Heathcliff. Il mio corvo non si è perso una parola.

- E da quando un corvo sa parlare? – domandò Uncino.

- Il mio corvo parlava molto di più una volta. Era lui che invitava chi mi cercava ad andarsene via. Solo che era anche molto facile persuaderlo. Bastava dargli un biscotto.

Heathcliff si appollaiò meglio sulla spalla del mago.

- Io ed Heathcliff abbiamo... un legame speciale, per così dire. – continuò Knubbin, con una scintilla di furbizia negli occhi marroni. - Tutto quello che vede lui, lo posso vedere anch’io. Se lo voglio, naturalmente. Un incantesimo molto particolare. Molto utile, anche. Certo, se non fosse utile non saremmo qui a parlarne...

- Vediamo se questo incantesimo è davvero così utile, allora. – Regina si avvicinò alle sbarre della cella.

- Ovviamente. Non mi credereste se vi raccontassi quello a cui Heathcliff ha assistito. Bisogna... vedere per credere, ecco. Avete qualcosa... in cui si possa guardare? Uno specchio, un bacile pieno d’acqua, anche un...

Regina aprì la mano e sul suo palmo comparve un piccolo specchio da borsa. Lo aprì, mostrandolo al mago, che rimirò la sua immagine per qualche momento.

- Non pensavo di avere un aspetto così tremendo! Per tutti i maghi, va contro il buon costume. Avreste dovuto avvisarmi.

- Non pensate al vostro aspetto. Non sarebbe migliore nemmeno se vi faceste un bagno di un’ora. – disse Regina. – Sbrigatevi, maledizione!

Knubbin agitò le dita sopra la testa del suo corvo. L’occhio di Heathcliff adesso era aperto e luccicava. Da esso fuoriuscirono due fasci di luce che incontrarono lo specchio e vi si insediarono. La magia vorticò per alcuni istanti, poi iniziarono a formarsi delle immagini...

 

 “Maestà, grazie al cielo siete qui. Non capisco che cosa stia succedendo”, disse Grif, approssimandosi alle sbarre della sua cella, felice di rivedere Artù.“Ho fatto solo ciò che mi avete chiesto di fare. Ho preso gli oggetti per tenerli al sicuro. Ho detto che forse c’era un fagiolo, anche se noi due sappiamo bene che non c’era nessun fagiolo. Esattamente quello che avete ordinato. Adesso potete farmi uscire?”

Artù non aveva intenzione di farlo uscire. I suoi occhi verdi possedevano una lucentezza strana, persino inquietante. Parevano molto più vividi nel contrasto con i capelli scuri e con la luce che entrava dalla finestra.“Non ancora, Grif. Non possiamo certo far sapere agli altri che non c’è nessun fagiolo, ti pare?”

“No, certo che no, Maestà”.

“E loro si fidano di me, adesso. Perciò devo sfruttare questa fiducia per proteggere il mio regno. Questa gente può sembrare gentile, ma minaccia tutto ciò che ci sta più a cuore”.

Grif era sorpreso, ma anche sinceramente impressionato da quelle parole. Pendeva dalle labbra del suo re.

Artù indicò una fotografia appesa alla parete della centrale. In essa comparivano David ed Emma. Erano entrambi appoggiati all’auto dello sceriffo e lui teneva un braccio intorno alle sue spalle. Sorridevano. Sereni. “David è convinto che la sua missione sia nobile. Ma sua figlia... è l’Oscuro”.

Ora Grif sembrava incredulo.

“E l’amica di sua figlia... quella Lilith...”

“Parlate della mutaforma”.

“Sì, Grif. La mutaforma. È un pericolo per noi e per il regno. Esiste una profezia che la indica come una minaccia per Camelot”.

Grif si morse il labbro.

 “Ci hanno mentito. Le hanno portate entrambe nel nostro castello. È colpa loro se siamo stati strappati da casa nostra, una casa che dobbiamo rivendicare!”. Artù aveva assunto un’espressione rabbiosa e determinata.

 “Ma come facciamo a tornare a casa se non abbiamo il fagiolo?”.

“Ho paura che non potremo farlo, Grif. Dovremo costruire una nuova Camelot qui, a Storybrooke”.

Grif sorrise. Si illuminò, rendendosi conto di quanto fosse grande e importante quel piano. “E voi potete fidarvi di me. Farei qualsiasi cosa per il mio regno”.

“So che lo faresti. Così come lo farei io. Per questo devo chiederti di bere questo”. Estrasse una piccola ampolla contenente un liquido di un verde intenso.

Grif capì subito di cosa si trattava e diventò paonazzo. “Veleno delle Vipere di Agrabah. Ma perché? Non direi mai niente a queste persone!”.

“Non di tua spontanea volontà. Ma hanno la magia dalla loro parte. Col tempo, potrebbero costringerti a parlare”.

“Ci deve essere un altro modo!”

“Vorrei che ci fosse. Davvero, lo vorrei. Ma non c’è. Mi hai detto che desideravi un posto nella Tavola Rotonda, una volta. Io ti sto offrendo qualcosa di molto più grande. La possibilità di morire per servire Camelot!”. La sua voce era molto persuasiva. “La tua morte costituirà le fondamenta della nuova Camelot. Se lo berrai...”

Grif era spaventatissimo. Ma era chiaro che ammirava Artù con tutto se stesso. Lo ammirava al punto tale da credere ciecamente nelle sue parole.

Prese l’ampolla. “Per Camelot”.

Ingurgitò il veleno con un unico sorso.

 

Heathcliff sbatacchiò le ali e lanciò un gracchio infastidito, per poi beccare Knubbin sulla testa. Il mago agitò le mani freneticamente e imprecò, costringendo il corvo a levarsi in volo.

Regina non badò a ciò che stava accadendo nella cella. Osservò Grif crollare sul pavimento della prigione, vittima del terribile veleno. Poi il suo corpo svanì in una densa nube verde.

Non poteva credere a quello che aveva appena visto. Era pura follia. Aveva l’impressione che tutto il mondo si fosse trasformato in un gigantesco vortice di assurdità. – Quel viscido...

- Per mille diavoli... – disse Uncino.

- Ci ha ingannati fin dal principio. – mormorò David. Si sentì ancora più stupido. Lui si era fidato di Artù. Lo aveva considerato un degno alleato, addirittura un amico. Invece era tutta una messa in scena. Il furto del reliquiario era una messa in scena. Il fagiolo magico non era mai esistito. Artù temeva Emma e temeva anche Lily. Parlava di una profezia. Grif era suo complice e si era suicidato, spinto da quel re che serviva e che tanto amava. Artù aveva persuaso un uomo a bere il veleno delle vipere di Agrabah.

Il veleno.

La vera vipera di Agrabah era lo stesso Artù.

 

***

 

Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

Regina gettò indietro la testa e contemplò le gelide stelle in un cielo sempre più nero.

Degli Azzurri nessuna notizia. Alla fine avevano trovato un accordo ed elaborato un piano. Un piano rischioso, ma era convinta che se la sarebbero cavata. Tuttavia l’attesa non le piaceva affatto. Aveva bisogno di qualcuno da odiare. Da odiare seriamente. Qualcuno su cui concentrare l’attenzione. O sarebbe diventata troppo nervosa.

Quanto rimase così, con il viso rivolto al vento, non avrebbe saputo dirlo, sebbene non dovesse essere molto, in termini di secondi o minuti. Poi sul balcone in cui si trovava si allungò un’altra ombra.

- Quei due si sono fatti vivi? – domandò Malefica, affiancandola.

- Non ancora.

“Non ti sembra rischioso, questo piano?”, aveva chiesto Regina, quando Neve l’aveva messa al corrente.

“Dobbiamo capire di chi fidarci. Non possiamo affidare il pugnale ad Artù, dopo quello che mi ha detto Lancillotto”, aveva risposto lei, con sicurezza. Poi aveva guardato Azzurro. “Ma David ha ragione. Ci sono cose che non so su Lancillotto. Era nostro amico, ma è passato molto tempo. Devo avere la certezza che sia sincero”.

“E se mentissero entrambi? La verità potrebbe stare nel mezzo”, aveva osservato Regina.

“Allora troveremo un’altra soluzione. Potresti creare un finto pugnale con un incantesimo, intanto?”

Aveva creato una buona imitazione del pugnale dell’Oscuro, con il nome di Emma stampato sulla lama ondulata. Chissà quando si sarebbe abituata a vedere quel nome impresso su un oggetto simile. Dopo il ballo organizzato da Artù, Regina ci aveva messo un bel po’ per addormentarsi. E quando si era addormentata aveva sognato Percival, avvolto nel bozzolo di fiamme, che l’accusava e la chiamava angelo della morte. Aveva sognato anche il pugnale. Aveva sognato di stringerlo nella mano destra. Ma sulla lama non c’era più il nome di Emma. C’era il suo.

Regina.

Così come sarebbe potuto essere, del resto.

- E tu perché sei qui? Sei preoccupata per loro? – Da come sorrideva, sembrava che Malefica la stesse prendendo in giro.

- Non sono preoccupata. Tanto sono più resistenti di uno scarafaggio. Quello che mi rende nervosa è non sapere chi dovrei odiare.

- Hai messo al sicuro il pugnale?

- Certo, per chi mi prendi?

- Per una persona molto coinvolta dagli eventi. Abbiamo a che fare con l’Oscuro e a giudicare da come stanno andando le cose... la Salvatrice sta perdendo la battaglia.

Regina reagì seccamente. - Emma è forte. Resisterà quanto basta.

- Non era mia intenzione offenderti, Regina. È solo la verità. Non so se esista qualcuno abbastanza forte da resistere a quel potere. A quell’oscurità.

Non rispose. Non subito.

- Io di certo non saprei come fare – disse Regina, dopo qualche momento. – Sarei incontrollabile.

Malefica non parlò, ma il suo sguardo era comprensivo. I grandi occhi celesti risaltavano di più nel buio della sera, sottolineati dalle lunghe ciglia. – Forse è ora di distrarsi un po’, mentre aspettiamo che quei due facciano almeno una cosa giusta nella loro vita.

Quei due. La divertiva il modo in cui Malefica pronunciava quelle due parole.

Regina sorrise. – E cosa avresti in mente?

- Vediamo. Ti piace ancora cavalcare i draghi?

 

 
Lungo il percorso fino al luogo in cui Malefica la stava conducendo, Regina venne invasa da un senso di appagamento, che le parve inspiegabile date le circostanze e tuttavia era reale.

Era di nuovo in sella ad un drago, per la prima volta dopo molti anni, in volo a grandi altezze e si sentiva benissimo, si sentiva viva e piena di risorse, pronta a tener testa a qualsiasi cosa e, al tempo stesso, carica di meraviglia. Tutto era simile ad un sogno, eppure non lo era affatto. Quella splendida sensazione sembrava venire da ogni dove. Il calore emanato dal corpo di Malefica ne era parte. Il morso del vento, così tagliente da intorpidire ogni zona scoperta di pelle, ne era parte. La luce emanata dalla luna ne era parte.

Poi il drago planò, così all’improvviso che Regina percepì un senso di vuoto nello stomaco. Atterrò in una vasta radura circondata da abeti e le diede il tempo di smontare. Poi recuperò la sua forma umana.

- Dove siamo? – domandò Regina.

- Non riesci ad indovinarlo?

Le stelle mandavano un chiarore debole, ma ci vedeva abbastanza. L’erba della radura era alta e secca, si piegava sotto il vento che le soffiava liberamente intorno, sollevandole i capelli neri. Ma l’aria era pura, era più calda e aveva qualcosa di... di diverso. C’era della magia, lì. Magia che non aveva mai provato prima d’ora. A pochi metri dal punto in cui si trovavano c’era un lago. Le acque calme erano visibili solo per un tratto, poiché dopo tutto spariva in una coltre di nebbia che era perfettamente liscia, perfettamente bianca, densa e impenetrabile, quasi fosse il manto di neve più leggero del mondo. Regina guardò in basso e scoprì che alcuni sbuffi di quella nebbia giungevano fino a loro. Non vedeva più tanto bene i suoi piedi. L’effetto complessivo di quel luogo era di desolazione, ma di una desolazione che pareva vibrare.

- Questo è... – iniziò, colpita da un’illuminazione.

- Avalon. – concluse Malefica per lei, avanzando di qualche passo e scrutando l’enorme blocco candido che impediva di scorgere qualsiasi cosa. – O meglio, le porte di Avalon. Il lago di Inis Witrin e le nebbie magiche.

- Ho sentito molte storie a riguardo. Questa magia...

- È molto antica. – spiegò Malefica. – Protegge l’Isola delle Fate dai visitatori indesiderati. Nessuno, a parte le Sacerdotesse di Avalon, riesce ad aprirsi un varco in queste nebbie. Si esercitano per anni, fin da bambine, per poter domare questo incantesimo. Alcune di loro non ci riescono mai... altre sì, se sono abbastanza potenti. Ma possono aprire le nebbie solo per pochi istanti.

- E chi vi si inoltra senza una Sacerdotessa... non torna indietro.

- Né raggiunge l’altra riva. Ma nessuno con almeno un briciolo di buonsenso farebbe una cosa simile.

Quando Malefica pronunciò quelle parole, Regina venne attraversata da un brivido. Davanti al lago niente sembrava avere importanza. Contava di più il vento, tagliente e gelido. Eppure la sensazione di entusiasmo provata mentre cavalcava il drago persisteva.

- Questo luogo ha un potere. – continuò Malefica. – Qui, ma soprattutto sull’Isola che non possiamo vedere. Non credo sia sempre un potere di cui ci si possa fidare. È troppo antico. Potrebbe essere molto pericoloso. Ma è... attraente, non trovi?

Regina si mise ad osservarla. Portava sciolti i lunghi capelli color del grano. La sua pelle chiara aveva acquisito un certo pallore. Il morbido abito nero con i dettagli viola aveva un che di zingaresco, forse anche grazie alla collana che indossava, una collana fatta di grosse pietre nere, più un’unica, grande pietra azzurra a forma di lacrima.

- Perché mi hai portata quaggiù? – chiese Regina.

- Perché pensavo ti andasse di passare un po’ di tempo insieme, come ai vecchi tempi. – Anche Malefica la stava fissando, ovviamente si aspettava quella domanda. – E poi... questo luogo mi piace. Mi rilassa. Pensavo potesse piacere anche a te.

Regina sorrise. – Sì. Mi sento meglio di come mi sia mai sentita da... un bel po’ di tempo a questa parte. Lo so che sembra assurdo dire una cosa del genere vista la situazione in cui ci troviamo, ma è la verità.

Ripensò ai giorni in cui fingeva di essere una Regina delle Tenebre, ovvero quando lavorava sotto copertura per scoprire il piano di Malefica e delle sue due tirapiedi. Anche allora aveva avvertito quell’entusiasmo, quella vitalità. Per quanto fosse anche enormemente preoccupata, dovendo fare attenzione a tutto ciò che faceva e diceva per evitare di essere scoperta e, al tempo steso, dovendo impegnarsi per scoprire che cosa stessero tramando, aveva provato una sensazione di potere molto intensa. Energia. Forza. Soprattutto accanto a Malefica.

Regina stava per aggiungere qualcos’altro, quando qualcosa la costrinse a drizzare le orecchie.

Non erano sole. Una vaga presenza di mosse nell’atmosfera, la urtò, sospingendola in avanti. Lei allungò le mani, trovando quelle di Malefica a sostenerla. Sentì delle dita invisibili che toccavano il braccio e le spostavano i capelli, sfiorandole la nuca.

- Che cosa diavolo succede? – domandò Regina.

- Sono gli spiriti del lago. – rispose Malefica. Il suo tono era assolutamente calmo. – Sono parte della magia che protegge l’Isola.

Vorticarono intorno a loro per qualche momento, poi si dileguarono, in fretta com’erano apparsi.

- Avvertono il nostro potere. – disse Malefica, continuando a trattenerla. – Ma non temere. Ti condurrebbero alla follia solo se ti inoltrassi nelle nebbie senza il consenso di una Sacerdotessa di Avalon.

- Grazie per avermi avvisata!

Malefica sorrise, divertita. Poi le scostò una ciocca di capelli, che le era maldestramente ricaduta sul viso.

 

 
Dopo essersi assicurata insieme a suo marito che Lancillotto avesse ricevuto ciò che meritava, ovvero un posto nelle prigioni di Camelot, e dopo aver aggiustato gli Azzurri, Ginevra si sentiva molto più tranquilla. Avevano fatto la cosa giusta. Non c’era nient’altro che lei e Artù potessero fare per proteggere il regno. Era loro dovere occuparsene, del resto.

Si rigirò tra le dita la rosa che aveva trovato lungo il cammino e se la portò al viso, annusandola, apprezzandone il profumo delicato.

“Ginevra, possiamo rompere questo incantesimo”.

Scacciò la fastidiosa voce di quel traditore, dandosi della stupida per essersi lasciata abbindolare dai suoi modi anni prima. L’unico uomo che amava era Artù. Non c’era nessun incantesimo. Lancillotto non l’avrebbe più ingannata.

Stava per rientrare nel castello, quando un’ombra enorme oscurò il suo cammino, costringendola a fermarsi. Udì uno sbattere d’ali e, sollevando lo sguardo al cielo punteggiato di stelle, vide un drago, che planava lentamente a poca distanza dalla dimora di Artù. Aveva qualcuno in groppa, ma dalla sua posizione Ginevra non riuscì a capire chi fosse.

Il cuore le balzò in gola.

“Vedo l’ombra infinita approssimarsi a Camulodunum.

L’infante figlio del drago porta con sé una stella.

E il suo destino s’intreccia con l’altra metà di Caledfwlch”

Provò un senso di gelido orrore, come se non stesse ricordando solo le parole dell’Apprendista, vergate sulla carta ingiallita, ma come se qualcuno le avesse appena domandato che effetto facesse ingoiare una manciata di insetti vivi.

Affrettò il passo.

 

____________________

 

 

Angolo autrice:

 
Salve lettori. ;)

Come al solito, qualche piccola precisazione.

 
Nel romanzo di Wendy Toliver, in cui compare Knubbin, non viene specificato se il corvo abbia qualche potere e un legame di qualche tipo con il padrone. Quindi questa connessione tra il mago e il corvo l’ho inventata io di sana pianta.

 
Il fiore che Ginevra ha raccolto nell’ultimo paragrafo è quello che nella serie viene chiamato “middlemist camelia” e che, in realtà, se cercate delle immagini, non è affatto una “middlemist camelia”. Sono rose rosa. E basta.


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Capitolo 9
*** 9. ***


9

 

 
“Chi combatte i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro.
Quando guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarda dentro di te”

[Friedrich Nietzesche]

 

 

 

 
Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

“Tu...”. La voce del mago era incrinata. Piena di rabbia e di dolore. Un dolore acutissimo. “L’hai distrutta. L’unica donna che io abbia mai amato...”

La figura incappucciata e protetta dalla maschera dorata non disse niente. I buchi che rappresentavano gli occhi lo scrutavano.

“Ed ora... io distruggerò te”, sentenziò Merlino. Alzò il pugnale sopra la testa, pronto a colpirlo.

Il pugnale scintillò, minaccioso.

Le mani di Merlino lo stringeva saldamente, eppure tremavano. Il tremito divenne più incontrollabile. Il mago guardò la maschera, sconvolto.

“Mio Dio...”, mormorò. Infine crollò sul prato, come schiacciato da una forza molto più grande di lui.

La figura si mosse ad una velocità sorprendente, prese il pugnale, puntandolo alla gola del mago e lo costrinse a sollevare il capo. Alla luce della luna, il viso di Merlino era sofferente. Una lacrima scivolò sulla sua guancia.

“Mi manca...”

L’Oscuro usò la lama del pugnale per raccogliere quell’unica goccia. L’arma rilucette, violacea e vagamente viva. Pregna di una nuova magia.

Poi lo intrappolò. Merlino osservò impotente le radici dell’albero cingere i suoi piedi, i polpacci, le gambe, il torso. L’albero crebbe, inglobandolo. Lui divenne parte del suo tronco e dei suoi rami, che si protesero verso il cielo nero e si riempirono di foglie verdi.

 

Emma riemerse dalle memorie del mago che avrebbe potuto salvarla, liberandola dall’oscurità.

Gli ultimi barbagli di quei ricordi brillarono nel cerchio di salice. Le piume d’uccello che decoravano l’acchiappasogni ondeggiarono pigramente.

La lacrima. Quell’unica, semplice lacrima.

E il pugnale.

E l’amore.

-Tutto questo è assurdo. – commentò Lily.

Emma aveva voluto che fosse presente. Lily aveva avuto la possibilità di udire la voce di Merlino ed il suo Apprendista aveva scagliato la maledizione che l’aveva influenzata per tutta la vita. Inoltre, le sembrava semplicemente giusto che fosse lì, con lei. Che vedesse ciò che avrebbe permesso loro di liberare Merlino.

- Questi sono davvero i ricordi del mago più potente del reame? – Era incredula. – Mi stai dicendo che l’Oscuro è riuscito ad intrappolarlo, anche se lui lo controllava con il pugnale... perché era distratto dall’amore per una donna?

- Era umano. – sentenziò Emma, continuando a scrutare la rete dell’acchiappasogni, seriamente.

- Era Merlino. Anzi, è. – disse Lily, rivolgendo un’occhiata all’albero. Le foglie, spinte dalla brezza, danzavano e vibravano. La lunga ombra proiettata dalla prigione di Merlino si stagliava al suolo e sembrava in attesa di qualcosa.

- E quello era l’Oscuro.

- Adesso che cosa dovremmo fare?

- Semplice. – Emma mise via l’acchiappasogni. Le ombre avevano reso gli occhi di Emma duri e stranamente freddi. – Abbiamo bisogno di una lacrima.

 

 

- Siete sicuri che dare il pugnale ad Artù sia la soluzione migliore per aiutare Emma? – domandò Regina, facendosi largo tra i rami bassi e i cespugli, verso il luogo in cui aveva nascosto il pugnale. Stava ancora cercando di riprendersi dalla sorpresa. Quando era rientrata, dopo il suo... volo notturno con Malefica, aveva trovato Robin con gli Azzurri, che a loro volta era appena tornati. Lancillotto era stato rinchiuso nelle segrete, dove meritava di stare, secondo loro e secondo Artù. Mentiva.

- Ci fidiamo di lui. – rispose Neve, che la seguiva, un passo più indietro.

- Ciecamente. – ribadì Azzurro, come se ce ne fosse bisogno.

- Questi modi di dire li hai imparati alla scuola per pastori? - Dopo la divergenza di opinioni che avevano avuto a riguardo, Regina si chiedeva che cosa fosse realmente successo mentre erano via. Non erano stati molto... chiari su come l’ex proprietario del Seggio Periglioso avesse cercato di raggirarli tutti. Doveva essere una cosa molto seria. Oppure avevano battuto la testa. - Come fate ad essere sicuri di potervi fidare?

- Siamo bravi a giudicare le persone. – rispose Azzurro. – E non faremmo mai niente che possa nuocere ad Emma.

Nemmeno io, per questo mi domando se sia giusto dare il pugnale a quell’uomo, idiota, pensò Regina. Le tornò alla mente l’immagine di Emma sdraiata sulla panca, schiacciata dall’oscurità, sofferente.

Era insopportabile, quindi schiaffò un coperchio sopra quei pensieri.

Il tronco cavo in cui aveva nascosto il pugnale era davanti a lei. Era coperto di muschio, profondo e in una zona pressoché inesplorata del bosco. Nessuno passava mai da quelle parti, se ne era assicurata. Ed era circondato da una barriera magica che riconosceva solo la persona che aveva eseguito l’incantesimo di protezione.

Estrasse l’arma dell’Oscuro, avvolta in un panno. Neve tese la mano per prenderlo.

Regina si ritrasse. – Siete davvero convinti che affidare l’unica cosa che possa controllare vostra figlia ad Artù sia la soluzione migliore?

- Sei forse dura di comprendonio? – disse Neve, in tono sprezzante. La guardò dritta negli occhi con aria accusatrice. – Dammi quel pugnale...

Un alone giallognolo avvolse sia lei che Azzurro, congelandoli nell’atto di scagliarsi contro di lei e prenderle il pugnale con la forza, se fosse stato necessario.

Emma sostava a pochi metri da loro, una mano che ancora sfavillava.

- Ma che fai? – disse Regina, sbigottita. – Ora non ti fai problemi ad usare la magia nera?

- Non ho avuto scelta. Sono prigionieri di un incantesimo di Artù. Vuole che consegnino il pugnale a lui per ricomporre Excalibur. – spiegò.

- Ricomporre?

- Una volta erano un’unica arma. Sono stati separati moltissimo tempo fa.

- Che succede se vengono riuniti?

- La userà per uccidere Merlino. Inutile che ti dica quali sarebbero le conseguenze. – Emma era così risoluta che Regina non poté fare a meno di preoccuparsi. Excalibur? Excalibur parte del pugnale? Separati molto tempo fa?

- Come faccio a sapere che non è l’oscurità dentro di te a parlare?

- È vero. – Emma rispose senza esitare. – Non abbiamo molto tempo. Artù li sta aspettando.

Dal folto della boscaglia emerse un’altra figura. Regina sollevò una mano, preparandosi a colpire, ma subito si accorse che era Lily. L’amica di Emma osservò gli Azzurri, ancora bloccati dalla magia.

- Mi piacciono molto di più così. – commentò, appoggiando la mano sull’elsa di una spada, che spuntava dal fodero appeso alla cintura.

- Che ci fai tu qui? Chi ti ha dato una spada? – chiese Regina, sentendosi come chi piomba giù dalle nuvole all’improvviso.

- Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. E la spada gliel’ho data io. – rispose Emma.

- Ha bisogno di una spada?

- Sì. – Lily le si rivolse usando un tono caustico. – Considerando che non sono ancora molto brava con... la magia e tutto il resto... direi di sì.

- Tua madre lo sa?

- Lascia perdere mia madre. Hai sentito Emma, no? Abbiamo poco tempo. – Lily si voltò per incamminarsi.

- Aspettate un momento! – Regina allungò una mano, posandola sul braccio di Emma. – Artù è il re. Vuoi davvero opporti a tutto il regno?

- Dobbiamo liberare Merlino e fermarlo. E anche aiutare i miei genitori! – esclamò Emma.

- Ottimo piano. Peccato che non sappiamo come farlo uscire da quell’albero. – Regina notò che Lily stava roteando gli occhi. La ignorò. Non era di Lily che doveva preoccuparsi.

- Lo sappiamo, invece. Magia nera. – Emma lo disse senza alcuna traccia di paura.

- No. Non puoi continuare ad usarla. – Regina sentiva il cuore battere all’impazzata, per quanto cercasse di controllare la propria voce. Era convinta che Emma non si sarebbe fermata e che ogni obiezione fosse inutile. Ma doveva dire qualcosa. Doveva almeno provarci.

- Sono pronta a correre il rischio.

Lily sorrise, soddisfatta di quella sicurezza. Era innegabile che la figlia di Malefica amasse quella situazione. In effetti, amava il pericolo legato a quel piano. Amava il fatto che il piano fosse di Emma e che Emma l’avesse coinvolta. Il filo rosso che le legava appariva sempre più stretto. Così come sempre più oscura appariva la Salvatrice...

- Stai attenta, Emma. – aggiunse Regina, cercando il contatto visivo con lei. Non riuscì ad individuare nessuna traccia di timore, in lei, il che non la stupì. Scorse, però, alcuni segreti, in cui non avrebbe potuto penetrare. Per quanto ormai la conoscesse, l’Oscuro era in grado di schermarsi con maestria. – Conosco la magia nera. Sai dove mi ha condotta.

Lei sembrò rifletterci, ma non rimase in silenzio a lungo. – Con tutto il rispetto... io non sono te.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Ecco qua. – disse Emma, posando il vassoio davanti a Gold e liberandolo dalle corde che lo tenevano saldamente ancorato alle sbarre della cella. – Devi mangiare. Dovrai essere in forze se vuoi estrarre la spada.

Lui si massaggiò i polsi. Aveva passato ore legato a quella gabbia, nei sotterranei della casa dell’Oscuro. Era stanco e, sebbene non avesse ancora mangiato nulla da quando era stato svegliato dal suo sonno, non aveva per niente fame. – Non... non sarò in grado di farlo. Dovresti proprio lasciarmi andare.

Emma lo osservò, calma ed indifferente.

- Per favore... devo vedere Belle. – L’espressione sul suo viso era implorante. Era tornato ad essere l’uomo umile, la cui unica preoccupazione era filare e proteggere il suo unico figlio. L’uomo che aveva paura. L’uomo zoppo che non era capace di fare del male a nessuno.

- Non andrai da nessuna parte fino a quando non avrai estratto Excalibur per me. – Emma si appoggiò alla spada, sempre incastonata nella sua roccia.

Gold non credeva alle sue orecchie. Si sentiva ancora più frastornato di quando si era destato. – Hai così tanto potere... perché vuoi Excalibur?

- Dimmi, quando eri l’Oscuro pubblicizzavi i tuoi piani?

- I miei piani erano sempre nascosti. – ammise lui. – Ma le mie motivazioni no. Ogni volta che usavo la magia... mi dicevo che stavo facendo tutto per mio figlio. Per proteggerlo...

- Nobile.

- Ma anche se le mie intenzioni erano buone... l’ho perso comunque.

- Sono molto più forte di te. – precisò Emma, gelidamente.

Gold mosse un passo in avanti e barcollò. Alla ricerca di un appiglio per non cadere, si appoggiò alla roccia. – Beh, questo... non ha molta importanza. Più cercherai di giustificare ciò che fai... più li allontanerai. Credimi... finisci sempre per perdere le persone che ami.

Emma non si lasciò distrarre. Non aveva tempo per quei discorsi. – Merida!

La ragazza rispose al suo ordine. Non avrebbe mai potuto opporsi. Emma si era assicurata il suo cuore. – Sì, Oscuro.

- Levamelo di torno. Vai nella foresta e comincia. – Non si girò nemmeno, parlandole come si parla ad una semplice schiava.

- Per quanto tempo terrai il mio cuore e mi minaccerai? – domandò Merida.

- Fino a quando sarà necessario.

- Provaci. Intanto io sto pensando ad un modo per infrangere il tuo incantesimo.

Emma si chiese per quale motivo quella sciocca regina celtica continuasse a ribellarsi, pur sapendo che non era nella posizione per farlo. Evidentemente le cose che le diceva entravano in un orecchio e uscivano dall’altro. Forse i capelli erano troppo folti perché le parole potessero anche solo provare ad entrarle, nelle orecchie.

Merida si scagliò contro di lei ed Emma si voltò, stringendo il suo cuore pulsante in una morsa dolorosa. – Ora vedi di portarlo nella foresta. E trasformalo in un eroe.

Merida boccheggiò, gli occhi che sporgevano dalle orbite. Si diresse diligentemente verso Gold.

- E ricordati di una cosa, burattina. – precisò Emma, allentando la presa. – Io non ho solo il tuo cuore. Ho anche i tuoi ricordi. Tutti.

La ragazza la fissò con astio. Le sue spalle tremarono visibilmente.

- Io so che fine hanno fatto i tuoi fratelli. So che cos’è successo nel tuo regno. – Scandì ogni singola parola, quasi gliela stesse scolpendo nel cranio. Quasi stesse seguendo le pulsazioni del cuore. – So chi ha ucciso tuo padre.

- Chi? – sibilò Merida, furibonda.

- Beh, in un certo senso, conosci già una delle risposte a questa domanda. – disse Emma, stirando le labbra all’in su. – Tu. Quando hai sbagliato mira.

Vide, sul volto di Merida, come una luce interna, il lampo di una sofferenza profonda, che andava ben al di là del dolore fisico.

Gold era raggelato. Non osava muovere un muscolo. C’era troppa crudeltà, nella voce di Emma Swan. Lo paralizzava.

- Sai cosa potrei fare con questo cuore? – Ora l’Oscuro si spostò verso la ragazza. Quel misero uomo strisciò lungo le sbarre per allontanarsi da lei e, ad un certo punto, cadde, emettendo un gemito. – Potrei usarlo in molti modi diversi.

Merida la guardò, impotente, mentre si avvicinava. Mentre la trafiggeva con il suo sguardo verde.

- Conoscevo un uomo, una volta. Lui era... una persona pura. Buona. – Ora la sua voce era un po’ più dolce. Ma non smise di avanzare. Costrinse Merida contro le sbarre della prigione. – Era una persona... tormentata. E lo sai perché? Perché la Regina Cattiva possedeva il suo cuore. Non aveva più una volontà, perché lei... lo controllava.

- Io non... – prese a dire Merida.

- E l’ha ucciso, sai? L’ha ucciso perché alla fine... grazie a me, il suo giocattolo non rispondeva più ai comandi. Il giocattolo si era stufato di essere un cucciolo nelle mani di una donna che l’aveva privato della volontà. Della capacità di decidere.

E quella donna sei tu,adesso?, avrebbe voluto dire Merida, ma ovviamente aveva la lingua annodata.

- L’ha ucciso. – ribadì Emma. Strinse una sbarra con la mano libera, protendendosi verso il suo viso. – Ma io posso essere più generosa. Io sarò generosa, se tu smetterai di opporti. Pensaci: soffriresti di meno. E alla fine avresti una ricompensa: il tuo cuore e i tuoi ricordi. Nonché la vendetta. È un ottimo accordo, dal mio punto di vista. Sono sicura che anche l’ex Oscuro concorda.

Gold non si era ancora rialzato. Non disse niente.

- In caso contrario, non avrai un bel niente. Non avrai nemmeno la morte, te lo assicuro. – Si protese ancora di più, fino a quando non le schiacciò le labbra contro il padiglione dell’orecchio sinistro. – Sarai la mia burattina per sempre. Non rivedrai mai più Dunbroch. Né tua madre. Né i tuoi adorati fratelli. Vivrai sempre al mio fianco.

Merida deglutì, ma aveva la gola riarsa. Premette una mano contro la spalla dell’Oscuro, ma senza respingerla. Non era in grado di farlo, con lei che continuava a stringere il suo cuore. Inalò l’odore emanato da quella strega. Era un odore intenso, molto forte e tenebroso, ma non avrebbe saputo definirlo. Era attraente e, al tempo stesso, era terribile.

Emma si allontanò. – Ora sbrigati. O hai altre obiezioni?

Merida scosse il capo. – No, Oscuro. Vado. Farò di quest’uomo un eroe, come chiedi.

 

***

 

Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

- Per prima cosa, dobbiamo capire come reagirà la pozione alla mia magia. Portami la fiala. – disse Emma, parlando rapidamente, con il libro aperto davanti a sé.

- Non farò un bel niente, almeno fino a quando non mi avrai detto come facevi a sapere che David e Mary Margaret erano incantati. – ribatté Regina.

Erano nella Torre di Merlino da alcuni minuti. Lungo il tragitto, Regina aveva cercato di parlarle, le aveva posto delle domande, ma lei non aveva mai aperto bocca.

Lily era all’esterno, sulle scale, a controllare che nessuno salisse.

- Non abbiamo tempo per questo. – disse Emma, ostinata.

- Trovalo.

Emma desistette. Avrebbe perso ancora più tempo se non avesse risposto a quelle domande. – Sono stata nelle segrete. Ho parlato con quel mago... Knubbin.

- Quello che ha incantato la spada di Percival e la collana? – la interruppe subito Regina, sconcertata. – Hai forse perso il senno, Emma?

- Non preoccuparti. Gli ho solo chiesto qualche consiglio. Non è così inutile come appare. Sa fare molte cose.

- Tra le quali, incantare oggetti.

Emma prese l’acchiappasogni. – Ecco. Ho usato questo per scoprire i piani di Artù. Knubbin mi ha fatto notare quanto siano importanti i ricordi.

Regina ebbe il sentore che la situazione fosse ben peggiore di quanto si aspettasse. – Emma, è magia nera!

- Lo so.

- Questi affari non catturano solo i sogni.

- Lo so. – ripeté Emma.

- E devi sventolarlo sopra la testa di una persona per catturare i suoi ricordi. – Non parlava solo ad Emma, in realtà. Ripeteva cose che aveva sentito a sua volta. Immaginava che l’Oscuro avesse indovinato quasi subito la funzione degli acchiappasogni. E l’acchiappasogni era un oggetto assai caro ad Emma. Era a sua volta un ricordo. Di Neal.

- Non l’ho fatto. – replicò di nuovo. – Questa magia è più forte e più imprevedibile di qualsiasi altra magia che io abbia mai usato. L’immagine appare... e basta. Mi ha mostrato ciò che ha fatto Artù.

Più forte e più imprevedibile.

No, c’era davvero qualcosa di sgradevole, in quei discorsi. C’era qualcosa di inquietante nella voce di Emma. Era più bassa. Più cupa. Più... vecchia. I suoi occhi sembravano più vecchi. Più verdi. Simili a quelli di Neve, ma anche totalmente differenti.

Non me ne starò qui ad appoggiare tutto questo, vero? Condurrà Emma dove non dovrebbe condurla. L’oscurità la divorerà.

- Senti, andrà tutto bene. – aggiunse Emma. – L’acchiappasogni mi ha mostrato anche un ricordo che ci aiuterà. Un ricordo di Merlino.

Regina non aveva nemmeno il tempo di contrastare le sue idee.

- Merlino ha pianto... per la perdita dell’unico grande amore della sua vita, giusto un attimo prima che l’Oscuro lo intrappolasse nell’albero... usando proprio una delle sue lacrime.

Colta da un’illuminazione, Regina finalmente capì. – Emma, ci siamo.

Emma lasciò che fosse lei a parlare. Sapeva benissimo che cos’avrebbe detto dopo.

- Alcune volte gli incantesimi sono come i morsi dei serpenti. Puoi creare l’antidoto... con il veleno. Se la lacrima di un amore perduto ha intrappolato Merlino... un’altra potrebbe liberarlo. – Regina accennò un sorriso. – Allora, che ne dici? Andiamo a prenderci questa lacrima?

 

 

“Quanti anni hai, ragazzo?”

“Tredici, signore”.

“E non sai usare una spada né andare a cavallo, vero? Che razza di scudiero saresti, tu?”.

“Non sono uno scudiero, signore. Sono uno scrittore”.

Henry sferrava manrovesci e affondi con la spada. Era pesante, ormai il braccio gli doleva, ma non voleva smettere.

“Uno scrittore? Dimmi, ragazzo... quando questo regno sarà attaccato dagli orchi, proteggerai mia figlia con la tua penna? Violet apparterrà a qualcuno che diventerà cavaliere. Un eroe in grado di capire questo mondo. Qualcuno come lei...”

Immaginava che rami e alberi fossero orchi venuti a rapire Violet e ad incendiare il regno di Artù. Lui era un cavaliere. Un eroe pronto a tutto pur di salvare la principessa in pericolo. Lui era uno scrittore, ma in quella storia era anche un combattente.

Perse la presa sulla spada, impacciato dal mantello e per poco non si ferì al polpaccio. L’arma cadde.

Disarmato dal nulla. Sir Morgan aveva ragione.

- Henry, attento! – esclamò Regina.

Le sue madri si avvicinarono, entrambe con un’espressione perplessa e stupita dipinta dal viso. Henry notò di nuovo lo strano contrasto dei loro abiti. Il bianco di quello di Emma, che sembrava rappresentare la sua essenza prima di diventare l’Oscuro, l’essenza dell’eroe che era andato a prendere a Boston e che non credeva in tutte quelle storie sulla Regina Cattiva e sulla maledizione che aveva lanciato. E il rosso... di Regina. Gli faceva pensare al fuoco, anche se era un rosso intenso. Sanguigno.

- Mamme! Sto entrando nello spirito di Camelot! Sto... provando a capire questo mondo. – si giustificò, sorridendo nella maniera più disinvolta possibile.

- Duellando? – chiese Emma.

- Sir Morgan... il padre di Violet. Mi ha dato qualche consiglio per adattarmi. Tutto qui. Solo che... non so se sarò mai bravo in questo cose.

- Oh, beh... se non lo sei, non lo sei. – osservò Emma. – Cambiare per qualcuno non funziona mai. Sai... a me piaceva tuo padre perché lui era sempre se stesso.

Già, immaginava che suo padre non avesse avuto bisogno di una spada. Era sicuro che bastassero i suoi modi, il suo sorriso, la sua imprevedibilità.

- Sì, ma forse... forse potrei essere meglio di ciò che sono. – replicò Henry. Poi guardò Regina. – Tu non staresti con Robin se non fossi cambiata.

- È vero. – confermò Regina. – Ma tu pensi davvero che una ragazza come Violet non possa innamorarsi di un ragazzo qualsiasi?

Henry tentennò.

- Ricordi quando ti ho parlato di Daniel? – continuò Regina.

- Sì. Il tuo primo amore.

- Mmm. Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava come tutti gli altri. Ma perché era... diverso. Unico.

Emma sorrise, intenerita dalle sfumature nella voce di Regina. Non era difficile immaginare come avesse fatto Daniel a conquistarla. E riusciva anche ad immaginare... come avesse fatto Regina a conquistare lui. Si rivolse di nuovo al figlio. – Henry, a Camelot tu sei uno straniero misterioso proveniente da una terra lontana. È una cosa positiva.

Henry si sentiva sollevato. Non si era mai sentito così sollevato da quando era arrivato in quel regno. E gli era appena venuta un’idea carina. Un’idea molto più che carina. – Ci lavorerò su. Grazie. Devo... andare a fare una cosa.

Emma lo guardò correre via e si disse che era veramente cresciuto, suo figlio. Ricordava ancora il bambino di dieci anni che si era presentato alla sua porta per condurla a Storybrooke. A casa. Da suoi genitori. E da Regina.

“Allora, che ne dici? Andiamo a prenderci questa lacrima?”

- Emma.

Si voltò.

- Credo di sapere dove possiamo prendere l’ingrediente per liberare Merlino. – Regina si chiese come avesse fatto a non pensarci prima. – Da me.

 

 

- Okay, Regina. Questa sarà un’esperienza molto intensa. Ultima chance per tirarsi indietro. – disse Emma, reggendo l’acchiappasogni.

- Posso farcela. – rispose Regina.

In realtà non era pronta. Non lo era per niente. Aveva la bocca secca. Una morsa gelida le serrava la lo stomaco. I suoi occhi guizzavano da tutte le parti, alla ricerca di un punto su cui fissarsi. Alla fine guardò Emma.

Lei aveva cercato di dissuaderla. Le aveva ricordato quanto potesse essere doloroso rivangare nel passato, soprattutto per lei. Il suo passato era pesante. Era pieno di memorie terribili. Daniel. Sua madre. Avrebbero potuto trovare un’altra soluzione. Emma poteva scrutare nella mente di ogni abitante del regno. Se fosse stato necessario, l’avrebbe fatto. Ma Regina non voleva che usasse ripetutamente la magia.

Emma si sedette di fronte a lei. Benché la giornata fosse soltanto fresca, nel caminetto ardeva un bel fuoco, e la camera, con i suoi specchi, il suo letto con le coperte arabescate e gli arazzi, era profumata e accogliente, sicura. Perfetta per un incantesimo.

Lo sguardo di Regina non avrebbe potuto apparire più trasparente di così. Emma riusciva a distinguere chiaramente il caldo nocciola delle sue iridi e il nero delle pupille. Occhi molto angosciati, che parevano ancora più vividi nel contrasto con la morbida pelle color caramello.

Le passò l’acchiappasogni. Regina respirò profondamente.

- Guarda nel cerchio. – disse Emma. Dopodiché agitò una mano.

L’oggetto sfavillò e all’interno del cerchio apparvero le immagini. I ricordi di Regina.

 

Cora dava le spalle al portone di una stalla. Regina e Daniel erano di fronte a lei.

“Quindi questa è la tua decisione?”, chiese Cora. “Ti renderà felice?”

“Lo sono già”, rispose Regina.

“E dunque chi sono io per fermarvi?”.

Regina abbracciò sua madre, grata che avesse capito. “Grazie, madre”.

“Daniel”. Cora prese in disparte il giovane stalliere. “Se volete costruire una vita insieme, una famiglia, allora c’è una lezione importante che devi imparare. Su cosa significa essere un genitore”.

Daniel ascoltava, attento.

“Devi sempre fare ciò che è meglio per i tuoi figli”. E detto ciò allungò una mano, affondandola nel petto del ragazzo.

Gli strappò il cuore e lo ridusse in cenere.

“Madre! No!”, urlò Regina, accorrendo.

Il corpo di Daniel si accasciò senza vita e Regina lo strinse tra le braccia...

 

Emma era orripilata. Fino a quel momento aveva avuto solo una vaga idea di come dovesse essere stato, per Regina, stringere tra le braccia il corpo morto del suo grande amore. Aveva solo una vaga idea di quanto dolore avesse provato. Di quanto fosse stata grande la sua sofferenza. Mentre i ricordi scorrevano davanti ai suoi occhi, si era sentita quasi in dovere di avvertire quella ragazza, ancora innocente e così fiduciosa, ancora inconsapevole di ciò che l’aspettava. Si era sentita quasi in dovere di urlarle di andarsene, di scappare via, perché la situazione era palesemente ingannevole, al punto tale da risultare terrificante.

- Mi dispiace... – mormorò, ancora incapace di riprendersi da ciò che aveva visto.

La voce di Regina suonò rotta, fuori controllo. Non era mai stato così estenuante ricordare qualcosa. Mai. – È come se stesse accadendo tutto di nuovo.

Emma provò il forte e improvviso impulso di stringere Regina. Di stringerla per rassicurarla.

Per un pelo non si lasciò sfuggire la lacrima che stava rotolando lungo la sua guancia. Si protese con la piccola fiala di vetro e la ghermì prima che potesse cadere.

- Ce l’ho. – disse, osservando la minuscola goccia. – Grazie. Non sapevo cos’avessi provato, quanto fosse stato difficile per te...

- L’hai visto anche tu? – chiese Regina.

- Mi dispiace tanto... come può una madre fare una cosa simile?

Accennò una risata amara. Era ancora molto tesa. Quasi senza fiato. – Pensava di farlo per il mio bene.

Emma strinse la fiala con la lacrima di Regina. Non parlò.

- Beh... almeno abbiamo la lacrima che ci serve. – osservò, schiarendosi la voce. Il suo cuore non si era ancora calmato.

- Sì...

- Bene.

La mano che reggeva l’acchiappasogni tremava visibilmente. Quel tremito la teneva in sua balia. Si sentiva atterrita. Era un ricordo ormai lontano, eppure riviverlo le aveva fatto riassaporare tutto l’orrore di quel momento. Orrore che le rotolava attraverso e serrava il suo cuore caldo con artigli gelidi. Spremendolo. Le trasmetteva l’impulso di alzarsi e darsela a gambe, fuggire lontano da quella stanza, da quell’acchiappasogni, da Emma, dalla lacrima nella fiala. Da tutto.

Poi avvertì un’improvvisa stretta. Forte e decisa. L’acchiappasogni era caduto, ma Emma non lo raccolse. Si limitò a stringerle la mano.

- Emma...

- Stai tremando. – disse. E non la guardava. Guardava le loro mani.

- Oh, è... non è niente. Sto bene. – Non sottrasse le dita a quelle dell’altra. In qualche modo inspiegabile la stretta la confortava. Il tremito si stava attenuando.

- Mi dispiace...

Regina sorrise. - Oggi sei molto propensa a dire che ti dispiace.

- È che... non avrei dovuto vedere. Questi sono i tuoi ricordi. Lui era...

“Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava come tutti gli altri. Ma perché era... diverso. Unico”.

Diverso. Unico. Ecco ciò che era Daniel. Una persona semplice. Uno stalliere. Non un cavaliere. Non un re e nemmeno un principe. Ma era diverso dagli altri.

- Stiamo facendo tutto questo insieme. – rispose Regina, sporgendosi un po’ in avanti. Fissandola con intenzione. Era sicura di parlare con Emma, adesso. Soltanto con Emma e non con la sua oscurità. Lo sguardo di lei, forse per via della luce, aveva assunto sfumature azzurrate. – Questa è stata... una mia scelta. Ed è per liberare Merlino... che libererà te. Non avrei voluto condividerli con nessun altro.

- Nemmeno con Robin? – La domanda le uscì spontaneamente. E non aveva ancora lasciato la sua mano.

Regina esitò alcuni istanti. – Lui sa di Daniel. Beh, sa... com’è morto.

Ma non l’ha visto, pensò Emma. Io l’ho visto, invece. L’ho vissuto... l’ho rivissuto con Regina.

Si rendeva conto che era stata un’esperienza strana. Non solo terribile, ma anche... intima. Aveva visto nel cuore di Regina. Nella sua mente. Aveva scrutato in un cerchio e visto l’inizio di tutto. L’inizio della sua trasformazione. Regina aveva condiviso una parte importante di sé, per quanto ci fossero arrivate perché era necessario...

“Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava come tutti gli altri. Ma perché era... diverso. Unico”.

Inaccettabile per te, vero maledetta?, pensò Emma, rivedendo Cora mentre affondava la propria mano nel petto del giovane. Se mai le fosse servita un’altra ragione per detestare la madre di Regina dal profondo del cuore, ora ce l’aveva. Lei era l’Oscuro, ormai. Poteva essere ben peggio di Cora se avesse permesso all’oscurità di prendere il sopravvento, eppure... eppure non poteva controllare il flusso di emozioni che stava provando. Per il suo bene? Davvero credevi di farlo per il suo bene? Mia madre ha fatto la cosa giusta, uccidendoti. Avresti dovuto soffrire molto di più. Io ti avrei fatta soffrire molto di più. Perché sono l’Oscuro.

- È meglio sbrigarsi. – osservò Regina, liberandola dalla sua stretta. – Dobbiamo liberare quel mago prima che qualcuno si accorga di ciò che stiamo facendo. Non che mi dispiaccia non sentire le voci dei tuoi genitori per un po’... ma non possiamo lasciarli in quelle condizioni a lungo.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Henry aveva convinto Emma a portarlo al castello sulla spiaggia, la costruzione in legno in cui lui si era rifugiato dopo essere fuggito di nuovo, il giorno dopo l’arrivo della Salvatrice a Storybrooke.

“Me l’hai lasciato in macchina”, le aveva detto quella volta, dopo averlo raggiunto ed essersi seduta accanto al bambino. Gli aveva dato il suo libro. Lui osservava... l’orizzonte. In realtà non proprio l’orizzonte, ma la torre dell’orologio. Un orologio le cui lancette non si erano ancora decise a muoversi. “È ancora fermo, eh?”

“Io speravo che portandoti qui sarebbero cambiate le cose...”, le aveva risposto. “Che la battaglia finale sarebbe iniziata”.

“Non combatterò nessuna battaglia”.

- Perché mi hai portata qui? – domandò Emma, prendendo posto accanto ad Henry. Un Henry decisamente cresciuto ormai. Non aveva più il libro con sé, ma aveva gli stessi occhi fiduciosi di allora.

- Beh, perché questo... è uno dei nostri posti. – disse Henry. Stava anche cercando di farle perdere tempo in modo che Regina potesse frugare in casa sua. – Ricordi?

- Sì, certo.

- Volevo che ricordassi... – ripeté lui, osservando il cielo e il mare calmo. – Volevo che ricordassi chi eri. E chi sei. La nostra missione.

- Operazione Cobra. – Emma si raddolcì.

- La nostra missione non è ancora finita.

Emma usò un tono indulgente. Gli mise una mano sulla spalla. – Henry... le cose sono diverse, adesso.

- Ma non devono esserlo per forza. Sono sicuro che la madre che ho conosciuto è lì, da qualche parte. Mostramela.

- Sono qui. Questa sono io.

Henry scrutò gli abiti neri e quei capelli bianchissimi, raccolti nella crocchia. Scrutò le labbra rosso sangue. Ripensò alla Emma che non credeva alle sue storie. La Emma che indossava una giacca rossa di pelle, un paio di jeans, magliette non proprio fresche di bucato e aveva quei lunghi capelli biondi. La Emma Swan che si comportava da dura. La luce. La Salvatrice. La speranza.

“Sei qui perché è il tuo destino. Restituirai a tutti il lieto fine”.

“La smetti con queste stupidaggini?”.

“Non sei costretta a fare la dura. Lo so che ti piaccio. Si vede. Cerchi di allontanarmi perché ti faccio sentire in colpa”.

- C’è una ragazza. – disse Henry, all’improvviso. – Lei... ecco, è carina.

- Ah.

- Violet. È la figlia di uno dei cavaliere di Artù. Sir Morgan.

Le faceva piacere che, nonostante non possedesse più i suoi ricordi, Henry avesse rivisto Violet e si fosse preso una... seconda cotta per lei. Sì, era davvero cresciuto. La cosa la inteneriva e, al tempo stesso, la sgomentava.

- Ci piacciono le stesse cose. – continuò Henry.

- Ovvero?

- Ho messo un po’ di musica e ha gradito. – Ora aveva un’aria molto compiaciuta.

- Che musica?

- Yaz.

- Quale canzone? – Lo sapeva già. Era una mossa che conosceva molto bene.

- Only you. – rispose, infatti, Henry.

“Che ne dici?”

“Carina”.

“Solo carina?”. Neal aveva appoggiato quasi senza accorgersene una mano sulla sua. “Adoro questa canzone”.

- Te l’ha insegnata tuo padre, questa mossa? – chiese.

- Diceva che funziona sempre.

Emma sorrise, malinconicamente. – Ha funzionato con me.

- È una bella canzone.

- Sì, lo è.

“Beh, spero di averti dimostrato di non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal, schiarendosi la voce.

“Direi che sei stato convincente”.

Si riscosse. – Beh, sono sicura che funzionerà anche con la tua ragazza.

- Non è la mia ragazza, veramente. Cioè, non ancora. E poi... sai, lei viene da un altro mondo. Suo padre... preferirà che lei stia con un cavaliere.

- E tu sei uno scrittore. La tua spada è la penna.

- Che non ho più. Non che me ne penta... ma forse dovrei... non so, entrare nello spirito di Camelot.

- Non è necessario essere cavalieri, Henry. Non ti serve una spada. Essere... qualcosa che non si è non è mai una buona idea.

Neal era sempre stato se stesso. Per questo le era piaciuto. Come Daniel. Unici e diversi, a loro modo. Speciali.

- Sei uno straniero che viene da una terra lontana. Questa terra. Dimostrale che viviamo in un posto interessante. – disse Emma. – Ci sono tante altre cose oltre alla musica.

- I film. – rispose Henry. – Certo. Potrei farle vedere... qualche film. “Commando”. Anzi, no, meglio ancora. “Harold e Maude”. È adatto ad un appuntamento, vero?

- Direi di sì.

 

 

L’incantesimo di protezione non aveva sorpreso Regina, dato che Lily l’aveva avvisata almeno di quello. Ma di certo la sorprese ciò che vide nei sotterranei di quella casa.

Una cella.

E una roccia. Con Excalibur incastonata in essa. La gemma rossa nel pomolo mandò un barbaglio sanguigno non appena loro si avvicinarono.

- Date un’occhiata... Excalibur è molto familiare, non trovate? – fece notare Uncino, scrutando la lunga lama ondulata che si perdeva nella roccia.

- Il pugnale. – Belle si chinò e osservò l’arma di Artù da vicino. – Lo stesso motivo. La stessa lama.

Lily allungò una mano per sfiorare l’elsa robusta di Excalibur. Immaginava che non fosse sicuro farlo, ma a spingerla era un impulso che veniva dal profondo. E poi era stanca di tutti quei misteri. Anche lei voleva altre risposte.

- No, aspetta. – disse Regina.

- Forse estrarla è la soluzione migliore. Guardiamola più da vicino. – suggerì Uncino.

- Fermo. – Aveva una brutta sensazione riguardo a quella spada. Non c’era nessun incantesimo di protezione su di essa. Eppure era una situazione estremamente sospetta. – Lo sto per dire e ancora non ci credo, ma... è una trappola. Potresti rischiare la vita.

- Non sapevo te ne importasse. – disse Uncino, sollevando un sopracciglio.

- Non mi importa. Ma in questo momento potresti anche essere utile. Più o meno. E tu, anche. – aggiunse, rivolta a Lily.

Belle aggirò la roccia e raccolse delle corde da terra. Il cuore spiccò un balzo nel suo petto. – Lui è stato qui. Tremotino.

- Cosa vuole Emma da Tremotino? – domandò Lily. – E a cosa serve questa spada? A parte darle più potere... ma quello ce l’ha già.

- Suppongo a nulla di buono, a giudicare dai nostri ricordi perduti. – osservò Robin.

Il cellulare di Regina trillò. Quello era il segnale. Aveva chiesto ad Henry di avvisarla non appena lui ed Emma si fossero trovati sulla via del ritorno. – Non abbiamo tempo. Stanno tornando.

Corsero di sopra. Emma aveva preso il maggiolino giallo, quindi ci avrebbero messo alcuni minuti. Avrebbe tanto voluto perquisire il resto della casa, ma comprendeva fin troppo bene che suo figlio non poteva trattenere il Signore Oscuro più del dovuto e senza risultare sospetto.

Nel dirigersi verso l’uscita, Lily urtò un tavolino vicino alle scale e una scatola, un portaoggetti esagonale, cadde sul pavimento, aprendosi.

- Ehi, stai attenta. Non deve capire che siamo stati qui! – esclamò Regina.

Lily la ignorò bellamente e recuperò l’oggetto uscito dalla scatola. Un acchiappasogni. Ne aveva visto uno nell’appartamento di quel Neal Cassidy, a New York, dove avevano trovato l’uomo delle foreste in compagnia di una donna che credeva sua moglie e che si era rivelata una strega invidiosa e piena di astio verso la sorella.

E nel suo sogno. Ne aveva visti tanti, nel suo sogno.

- Che cos’è quello? – domandò Robin, avvicinandosi.

- Un acchiappasogni. – rispose Uncino. – Baelfire gliene ha regalato uno, molto tempo fa. Solo che questo... sembra diverso.

- Baelfire? – domandò Lily.

- Neal. – disse Regina, prendendo l’acchiappasogni dalle mani di Lily. Le era bastato vederlo per capire. Non aveva idea del perché ci fosse un acchiappasogni in una scatola, posata così casualmente su un qualsiasi tavolino, ma almeno aveva una vaga idea di ciò che era accaduto a Camelot. – Baelfire era il suo vero nome nella Foresta Incantata. E questo... non è solo un oggetto folkloristico. Se impregnato di magia può essere molto potente. Adesso... So come ha fatto Emma a rubarci i ricordi.

 

***

 

Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

- Fallo, Emma. Artù potrebbe arrivare da un momento all’altro. – la incitò Regina. Era calata la notte, il castello era pressoché silenzioso, ma non lo sarebbe stato per molto. L’albero in cui era intrappolato Merlino incombeva alle loro spalle e aveva l’impressione non molto gradevole che le stesse osservando. Che si aspettasse molto da loro. Che fosse impaziente, anche. – Che fine ha fatto Lily?

- Controlla la situazione. Non preoccuparti. – Emma prese gli ingredienti. Versò le pozioni che aveva preparato e le rimescolò. Doveva stare attenta con il dosaggio, ma non fu un problema. Sapeva benissimo come muoversi. Un’altra di quelle cose che si comprendono subito, senza bisogno di leggere più volte un libro di magia.

- Ed ecco l’ultimo ingrediente. La lacrima. – disse Regina, passandole la piccola ampolla.

Emma la prese con cautela e lasciò cadere la lacrima nell’intruglio. La magia si attivò e si levò una nuvola di fumo grigio violetto, che salì verso l’alto. Se l’incantesimo avesse funzionato, Emma avrebbe dovuto dirigerlo verso l’albero perché agisse in modo da liberare Merlino dalla sua prigione. Provava un senso di eccitazione e di trepidazione. Il desiderio di usare la magia, di alimentare il potere, era talmente forte da scagliare il suo cuore al galoppo. La sua mente era all’erta.

Tuttavia l’incantesimo si dissolse. Si ritirò e scomparve, lasciando Regina a fissare, perplessa, il contenuto dell’ampolla.

- Avrebbe dovuto funzionare. – disse Regina. – Perché non ha funzionato?!

- Regina... è semplice.

Lei sollevò lo sguardo, fissandola. Non capiva.

- Il tuo dolore non era abbastanza forte.

- Che cosa?! – gridò Regina, costernata da quell’affermazione.

- No, no, era vero. – precisò Emma, in fretta. Con un certo disagio si rivolse a lei. – Ma c’è Robin adesso... sei andata avanti. Sei guarita.

Regina avrebbe dovuto pensarci. Rivivere la morte di Daniel l’aveva fatta sentire a pezzi, ma era accaduto molti anni prima. Erano successe molte cose da allora. Era...

- Ehi! Scusate, sono in ritardo. – disse Henry, raggiungendole. Vide che l’albero era ancora intatto e aggrottò la fronte. – Cosa è andato storto?

- Credo... manchi un ingrediente. – rispose Emma, pensosa.

Regina osservò Henry. Il ragazzino era rosso in viso, quasi fosse reduce da una lunga corsa. Aveva i capelli un po’ scompigliati e l’aria vagamente assente.

- Cos’è successo, Henry? – domandò, ansiosa.

- Oh, niente. – rispose lui, lisciandosi pieghe inesistenti sulla giubba. – Tutto bene.

- Sembri... compiaciuto. C’entra quella ragazza?

Emma lanciò un’occhiata ad Henry, mentre la mano destra frugava in una tasca interna del mantello. Strinse qualcosa nel pugno.

- Violet... oh, lei è... le è piaciuto il Granny’s. E anche le lasagne. – ammise Henry, diventando ancora più rosso.

- Bene. – disse Regina, sorridendogli.

- Mi ha dato un bacio. – continuò.

Emma si voltò di scatto, spalancando gli occhi.

- Lei... cosa?! – domandò Regina, sicura di aver capito male.

Mi ha dato un bacio.

Non poteva averlo detto davvero, giusto?  Insomma, d’accordo, ad Henry piaceva quella ragazzina, ma suo figlio era un bambino...

- Un bacio sulla guancia. – sentenziò Henry, toccandosi la guancia sinistra.

- Beh, naturalmente!

- Perché stai gridando, mamma? Sei arrabbiata?

Regina stava per rispondere che lei non era affatto arrabbiata. Il punto non era la rabbia, il punto era che Henry era cresciuto senza che lei se ne rendesse veramente conto. Da quando era diventato così alto, ad esempio? Quand’era successo?

- Fermi! – Artù piombò in cortile, seguito da alcuni cavalieri, tutti in armatura e con le spade sguainate. Pronti a dare battaglia. Il re era furioso. Ben consapevole che avevano cercato di ingannarlo. – State lontani dall’albero. Non ve lo chiederò due volte.

Era arrivato prima di quanto si aspettassero.

- Voi e la vostra gente mi avete mentito fin dall’inizio. – dichiarò Artù. – Tu non sei la Salvatrice. Sei un’imbrogliona!

Regina si chiedeva come avessero fatto a non vedere quanto fosse folle quell’uomo. Non era solo furibondo per essere stato raggirato. La sua voce era carica di odio. Odio represso che finalmente trovava libero sfogo. Nei suoi occhi c’erano cose terribili. La maschera era definitivamente caduta.

- Fatevi avanti, allora. – rispose Regina. – Provate ancora a chiamarmi imbrogliona...

- Vi abbiamo accolti. – continuò il re, come se non l’avesse neppure sentita. – Vi abbiamo accolti e festeggiati e in cambio... avete portato il Signore Oscuro nel mio regno! Avete messo in pericolo la mia gente! E oltre all’Oscuro, avete portate anche una ragazzina incontrollabile che ha ucciso uno dei miei uomini più fidati e valorosi!

Regina lo osservò con aria di sfida. – Un uomo fidato e valoroso che ha cercato di uccidere me.

- Perché aveva capito che razza di strega siete! Datemi il pugnale! – ordinò Artù, tendendo la mano.

- Lo vuoi? – chiese lei. Formò una sfera di fuoco con la magia. – Vieni a prendertelo!

Emma non perse tempo a fronteggiare Artù. Avrebbe potuto liberarsene con poche, semplici parole, ma Regina se la sarebbe cavata. Indietreggiò di un paio passi, cercando di catturare i pensieri, di tenersi aggrappata al piano originale. Poi corse verso l’ampolla che aveva lasciato sul cornicione di pietra e aprì la piccola fiala. Quella di riserva.

Regina scagliò fiamme contro Artù e i suoi uomini. Non riusciva a vedere che cosa stesse combinando Emma.

Infine arrivò anche il drago. Si precipitò giù dal cielo, con tutta la sua enorme mole. Spalancò le fauci e gettò una scia infuocata sul re. Lui si affrettò a farsi da parte, mentre i suoi uomini gridavano e si sparpagliavano. Artù iniziò ad estrarre Excalibur dal fodero, ma prima che potesse sguainarla la lunga coda del drago lo colpì al petto, spedendolo gambe all’aria. Batté forte la testa sui ciottoli del cortile e vide tutte le stelle del firmamento.

Il drago atterrò vicino ad Henry e Regina. Eruttò un’altra fiammata. I cavalieri indietreggiarono ancora di più. Due di loro presero il re per le braccia, aiutandolo ad alzarsi.

- Dove ti eri cacciata? Emma aveva detto che stavi controllando la situazione... – esclamò Regina. Poi si concentrò meglio sul drago e si accorse che non era Lily. Era Malefica.

Vi fu uno sfavillio improvviso, poi un rumore simile a vento rinchiuso in una bottiglia che si libera non appena viene tolto il tappo.

La magia si levò più alta e potente, bianca e nera, ombre e luci unite nella stessa onda. Un turbine portentoso avvolse Emma, che sorrise, concentrando il potere nelle proprie mani e dirigendolo verso il grande albero. Era una sensazione incredibile. I capelli si sparsero intorno al suo viso, in una tempesta dorata. Il suo sguardo si accese.

Regina ed Henry si ripararono gli occhi con le braccia e vennero catapultati a terra dalla forza che stava artigliando la prigione di Merlino, abbracciandola completamente. Artù e i cavalieri si allontanarono il più possibile.

La tormenta avvolse l’albero e illuminò a giorno il cortile e il castello di Camelot.

Era difficile controllare tutto quel potere, ma con un’ultima spinta, un ultimo, immane sforzo, Emma riuscì a liberarsene, lasciando che esplodesse.

Malefica riassunse le sue sembianze umane.

L’albero era svanito. Accasciato in mezzo al cortile c’era un uomo in una lunga tunica da mago e con un cappuccio sulla testa. La figura piegata si alzò in piedi, lentamente. Era un uomo alto e robusto, che emanava un potere ben più antico dell’incantesimo che aveva usato perché potesse uscire dalla trappola in cui l’aveva rinchiuso l’Oscuro.

Henry stesso non avrebbe saputo dire che cosa si aspettasse. Quando aveva visto La Spada nella Roccia, anni prima, Merlino era un mago vestito di azzurro, con una lunga barba candida, anziano ed esilarante, che istruiva un ragazzino di nome Semola, ovvero Artù, e occasionalmente partiva per Honolulu. In altri film era un vecchio con un lungo bastone, estremamente potente e fisicamente forte nonostante l’età avanzata. Un druido che tutti temevano. Secondo alcune storie era il figlio di una donna mortale e di un demone, il che gli conferiva doti eccezionali e la possibilità di vivere più a lungo di un uomo comune.

Ma quando quel Merlino abbassò il cappuccio, mostrando per la prima volta il suo viso, si accorse che non era affatto vecchio. Non appariva vecchio, per lo meno. E non aveva una lunga barba bianca, il volto scavato dalle rughe o gli occhi infossati. Sembrava un giovane uomo nel fiore degli anni, con la pelle scura, la bocca grande che si aprì in un sorriso gentile e decisamente sollevato, non appena vide Emma di fronte a sé. I capelli erano neri e molto corti.

- Ti stavo aspettando. – disse il mago. – Emma.

Lei ebbe l’impressione che vi fosse qualcosa di familiare in Merlino, ma lì per lì non le riuscì di individuare che cosa fosse.

- E tu... – disse, poi, voltandosi verso Artù, ancora stordito dalla botta in testa. Lo guardava severamente. – Il bambino che doveva diventare re. La mia grande speranza.

Artù accennò un sorriso.

- Quanto mi hai deluso! – concluse Merlino. Parlava come un padre intento a rimproverare il figlio che aveva appena commesso la più grave delle bravate, invece di seguire i suoi insegnamenti.

- Io ho deluso te? – L’ira del sovrano era palpabile. Era basito. Quasi il mago gli stesse narrando favolette. – Tu mi hai dato false profezie! Mi hai spedito in una missione impossibile! Hai rovinato la mia vita!

Sfoderò Excalibur, più per istinto che per altro. Malefica puntò il lungo scettro contro il sovrano.

- Mettila via, Artù. Lo sai che quella spada spezzata non può farmi niente. – Merlino aveva un’aria annoiata.

Il re aveva una gran voglia di mettergli le mani al collo. Ma era chiaro che non aveva chance. – Non finisce qui!

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Se Emma l’ha usato per portarci via i ricordi... – disse Regina, occhieggiando l’acchiappasogni nel salone di casa sua. – Forse può dirci che cos’è accaduto a Camelot.

Robin osservò la rete intrecciata nel cerchio di salice. – Beh, che cosa stiamo aspettando?

Regina non aveva idea di che cosa aspettarsi.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

“Non sono venuta qui per combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete puniti”.

- Hai paura di quello che potresti scoprire, vero? – chiese lui, vedendola esitare.

- Emma era sicura di avere un buon motivo per comportarsi così come si è comportata. Chissà cosa ci è successo laggiù.

“Siete andati a Camelot per salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.

“Avete fallito”.

- Ma c’è soltanto un modo per scoprirlo, no? – disse Robin.

Regina aveva bisogno di sapere. Qualunque cosa fosse, ne aveva bisogno. Se davvero aveva fallito, avrebbe affrontato quel fallimento. Avrebbe cercato di rimediare. Avrebbe trovato un modo per recuperare Emma, perché un modo doveva esserci.

Agitò una mano davanti all’acchiappasogni e il cerchio interno si illuminò, mostrando i ricordi.

 “Siete pronte?”

“Sì. Tra poco avrò l’ingrediente”.

“Dov’è Regina?”

- Sono... i ricordi di Emma? – domandò Robin, perplesso.

- No... – Regina avvicinò l’acchiappasogni al viso. – Sono di Lily.

 

“Dov’è Regina?”, disse Lily, avvicinandosi e osservando gli ingredienti che Emma stava disponendo davanti a sé.

“Pensavo avesse bisogno di un attimo per riprendersi. Dopo quello che abbiamo dovuto fare...”.

“Dopo quello che lei ha voluto fare, forse”.

“Ma libereremo Merlino insieme. È per questo che siamo qui”.

Il fuoco ardeva nel camino. Lo specchio appeso sopra ad un cassettone rimandava l’immagine di Emma e di Lily, vicine.

“D’accordo. Ma esattamente il piano qual è? Come agirà la lacrima di Regina?”.

Emma cercò di spiegarglielo a grandi linee. Non era semplice. Il potere sarebbe stato enorme.

“E tu sei sicura di farcela?”, chiese la ragazza. “Insomma, se non sbaglio... sarebbe magia nera. Potrebbe...”

“Spingermi verso il baratro. Lo so bene. Ma ho scelta?”. Emma continuava a non guardare Lily. I capelli le spiovevano sul volto, nascondendone una parte. “Se la lacrima di Regina funzionerà, Merlino uscirà dalla sua prigione e potrà aiutare me”.

Lily avrebbe voluto vederla meglio, perché la testa le diceva, in modo sommesso e perentorio, che stava per succedere qualcosa lì. Qualcosa che non era previsto. E non vedere gli occhi di Emma la riempiva di disagio.

“Se?”, rispose Lily. “Perché ho l’impressione che tu non sia così sicura che funzionerà?”

Emma non rispose.

“Emma?”. La prese per un polso, costringendola a smettere di spostare gli oggetti da una parte all’altra e senza scopo. “Che cosa stai tramando?”

“Solo un piano alternativo”. Alzò la testa, fissandola per la prima volta.

“Piano alternativo? Che cosa intendi? Perché quella lacrima non dovrebbe funzionare?”

“Perché il dolore di Regina non è un dolore recente. È vecchio. Risale a molto tempo fa. Sono successe troppe cose. Ha incontrato Robin...”

“Se la pensi in questo modo, perché non ne hai parlato con Regina? Sei stata tu a cacciarla via, non era lei che voleva riflettere. Sei tu quella che aveva bisogno di riflettere!”

“In effetti sì. Sto per fare qualcosa di terribile, ma lo farò. Perché non abbiamo tempo. L’oscurità... non mi sta lasciando scelta, Lily”.

“Che cos’hai in mente?”

Emma glielo disse. Era inutile nasconderlo a Lily, tanto non avrebbe potuto fermarla ed era convinta che non avrebbe avvertito nessuno. La conosceva.

“Quindi tu vuoi strappare il cuore di una tredicenne, la ragazzina che piace a tuo figlio... perché spezzi il suo, di cuore? Dico, ma sei impazzita? Questo non è da te, Emma”.

“Tutto quello che intendo fare, lo farò anche per il bene di Henry. Di tutti”.

“Ma tu sei la Salvatrice, no? Tu sei superiore a tutto questo”.

Emma andò molto vicino a Lily. “Sono la Salvatrice, ma sono anche l’Oscuro. E ho bisogno di Merlino. Il piano di riserva è necessario. Devo coprirmi le spalle. Non possiamo fallire e riprovare perché non avremo un altro momento per riprovare. Artù sta aspettando che i miei genitori riportino il pugnale. Se non sospetta ancora niente, inizierà molto presto”.

Si allontanò da lei, dirigendosi verso l’uscita.

“Sai una cosa, io so che cosa vuol dire lottare contro l’oscurità. L’ho sempre dovuto fare”, disse Lily, costringendola a fermarsi. “Tutta la mia vita è stata oscura e tu lo sai bene. Non sarà mai come la cosa che si è impossessata di te... ma mi ha fatto fare delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi. L’Oscuro sta facendo lo stesso con te. Se lo ascolti, perderai il controllo”.

“È tutto inutile!”, gridò Emma. Reggeva ancora l’acchiappasogni. I suoi occhi dardeggiavano. La sue espressione era la stessa che Lily aveva visto il giorno in cui Emma l’aveva trovata, il giorno in cui avevano lottato, il giorno in cui Emma aveva puntato la sua pistola contro di lei, preparandosi ad ucciderla. “Lui è sempre qui, non capisci? Mi parla. Mi parla continuamente. È qui ed è nella mia testa. Lo vedo...”

“Chi?”

“Tremotino. O qualcuno che ha assunto le sue sembianze. Non fa altro che parlarmi. Mi istiga. Ed io non riesco a non ascoltarlo”.

Istintivamente Lily si guardò intorno. La stanza era vuota, escluse loro due. Ma sapeva che qualcosa c’era. Qualcosa che poteva vedere solo Emma, ma che persino lei poteva percepire vagamente. Come una presenza sempre fuori dal suo campo visivo.

“Emma”, disse Lily. Non c’erano più obiezioni, ormai. “Una volta mi hai detto di fare scelte migliori. Ed io ti ho risposto che ci provavo... ma qualsiasi decisione prendessi mi si rivoltava sempre contro”.

Emma continuò a fissarla.

“Ancora adesso succede. Penso di fare la cosa giusta e invece mi ritrovo nei pasticci”. Lily pensava che lei la stesse anche ascoltando, adesso. Che la stesse ascoltando attentamente. Come se si fosse appena ricordata di qualcosa. “Ma tu sei sempre stata diversa, Emma. Mi hai detto di fare scelte migliori e allora falla tu, una scelta migliore, questa volta”.

Emma non le diede il tempo di continuare. Sollevò l’acchiappasogni. “Sì. Hai ragione. Guarda nel cerchio”.

Lily guardò. Non perché volesse guardare davvero, ma la richiesta di Emma la spinse a farlo. E quando le immagini iniziarono a comparire, non poté più distogliere lo sguardo.

 

Per alcuni assurdi momenti, i ricordi si tuffarono in altri ricordi.

Regina si immerse, sconvolta, nei ricordi di Lily. E Lily, nel passato, si immerse nei propri.

 

Una ragazzina sola in un supermercato che pensa di passare inosservata infilandosi della roba sotto la giacca.

Un’altra ragazzina sola in un supermercato e che la sa lunga.

Una guardia: “Cos’hai lì?”

Lily, appena quindicenne, che la salva, perché ha una carta di credito e rubando un pezzo di plastica ‘puoi fare tutto quello che vuoi’.

Una corsa per sfuggire ad un uomo in auto.

“Io mi chiamo Emma”.

“Lily. Grazie dell’aiuto”.

“Mi hai coperto le spalle. E io ho coperto le tue”.

Lily ed Emma sedute sul prato, davanti ad un lago.

“Sono troppo grande. Ho perso la mia occasione. Non aveva senso restare lì solo per continuare a sentirmi...”

“Invisibile?”

Nessuna risposta da parte di Emma. Ma è la risposta giusta.

“So che cosa vuol dire vivere in un posto dove nessuno sembra essere in grado di capirti”, dice Lily.

“Eri in una casa famiglia? L’uomo che ti stava inseguendo... era dei servizi sociali? Voleva riportarti a casa?”

“Sì”.

“Cosa pensi di fare?”

Quelle ragazzine che fanno irruzione in una grande e bella casa sul lago, che la gente di solito usa solo d’estate.

“Ehi, cos’hai sul polso?”

Lily le mostrò la sua stella. “Non so cos’è successo... ce l’ho sempre avuta. Mi piace pensare che sia una specie di simbolo in stile... Harry Potter, più o meno”.

“Come se tu fossi... unica e speciale”.

“Lo so, è stupido”.

“No, non è vero”.

Lily che disegna una stella sul polso di Emma con un pennarello. “Okay... allora sei speciale anche tu”.

“Grazie.

Lily ed Emma che si divertono a riprendersi con una telecamera. Il ritratto della spensieratezza.

“Promettiamoci di restare amiche. Qualsiasi cosa accada non ci sarà niente che non potremo superare”.

“Okay, sì. Promesso”.

Un uomo che entra in casa, di notte, mentre loro dormono.

“Lily?”

Emma che afferra la prima cosa che le capita a tiro per difendere la sua nuova amica. “Non ti avvicinare! Non ci riporterai in una casa famiglia”.

L’uomo, appena visibile dietro la luce emanata dalla potente torcia elettrica. “Tesoro, che sciocchezze hai raccontato a questa ragazza?”

La luce. La luce sembra colpire le bugie di Lily. La colpisce dritta in faccia.

“Che sta succedendo? Lily?”

“Dille la verità. Sono suo padre. Torniamo a casa. Tua madre è disperata”.

La luce colpisce Lily. La consapevolezza colpisce Emma come un getto d’acqua gelata.

Lily in attesa sull’auto del padre. Emma che sta per essere riportata in casa famiglia.

“Emma!”

Sulle prime nemmeno si gira. Non vuole.

“Emma! Emma!”

Tre volte. Come Henry quando l’aveva invocata al molo.

“Non preoccuparti. È arrabbiato perché ho usato la carta di credito”. Scrive qualcosa su un pezzo di carta. “Quando la situazione si calma, vieni a cercarmi. Scapperemo insieme”.

“Mi hai presa in giro”.

“Mi dispiace tanto. So di aver mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto la verità. Io odio la mia casa. Io lì mi sento invisibile”. Lily è sull’orlo delle lacrime. “Sono proprio come te. Davvero! Ero un’orfana finché questa famiglia mi ha adottata. Quella non è casa mia. Lo avevi promesso. Amiche per sempre. Qualsiasi cosa accada”.

Quella di Lily è una supplica. Tende il foglio di carta, ma ciò che importa sono i suoi occhi. È il modo in cui la guarda.

Emma non le risponde. Le volta le spalle. Le volta le spalle e si cancella la stella con il pollice. Con decisione. Con rabbia. Ignora le grida di Lily e le sue lacrime.

Tempo dopo. Lily nascosta in un garage e ricercata dalla polizia.

“Emma è stata la prima persona che mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a farci incontrare”.

E...

“Da quando sei andata via tutta la mia vita è andata a rotoli. Qualunque cosa faccia va per il verso sbagliato”.

“E sarebbe colpa mia? Perché non provi a fare scelte migliori?”

“Ci provo. Lo giuro. Ma ogni volta che lo faccio, tutto mi si ritorce contro. È come se avessi una maledizione”.

“Che stupidaggine!”

“È vero. È come se tutta la mia vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più luminosa”.

E...

“Emma, ti prego, non lasciarmi sola. Ti sto supplicando. Ti prego, aiutami!”.

“Non mi va più di aiutarti, Lily. Sto molto meglio da sola”.

 

Nel presente di Camelot, Lily riemerse dai suoi ricordi, paonazza. Emma mise da parte l’acchiappasogni e la costrinse in ginocchio. Poi strinse nel pugno i suoi capelli e fece in modo che piegasse la testa all’indietro. Usò una piccola ampolla per raccogliere una delle lacrime che stavano scivolando lungo le sue guance.

“Vedi, Lily, mi dispiace molto. Avrei dovuto pensarci prima. Il dolore di Regina è... vero. È un dolore terribile. Ma potrebbe non essere sufficiente. Non posso correre questo rischio. Non ho più tempo, ormai”. Chiuse l’ampolla, ma continuò a trattenere Lily, il cui respiro sembrava quasi un singhiozzo. Tentò di alzarsi, ma le gambe erano come liquefatte e la sua mente era tutta un turbine di pensieri che non riusciva ad afferrare.“Il tuo dolore, invece... è ancora molto reale. Per quanto tu sia andata avanti, non sei mai guarita. Perché nessuno ti ha aiutata a guarire. Ma adesso... aiuterai me. Libererai Merlino. E mi salverai”.

 

______________________

 

 

Angolo autrice:

 
Buonsalve!

Mi scuso per l’estrema lunghezza del capitolo, ma essendo “Dreamcatcher” (5x05) l’episodio che più ho amato di questa 5A, ho voluto approfondire tutto quanto.


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Capitolo 10
*** 10. ***


10

 

 

 

 
Storybrooke. Oggi.

 

Regina aprì la porta di casa, curandosi di nascondere l’acchiappasogni dietro la schiena. E curandosi anche di nascondere la profusione di emozioni che le stavano sconvolgendo i pensieri.

Era sera. Ed Emma era là, fasciata nei suoi abiti neri, una spalla appoggiata alla colonna, le labbra rosse che spiccavano contro il pallore del suo viso, l’aria più calma e strafottente del mondo, quasi la sua fosse una normale visita di cortesia, quasi come se fosse stata lei a fare un piacere a Regina, presentandosi a casa sua.

- Emma.

- Ciao. – rispose lei, senza battere ciglio.

- Che cosa diavolo succede? Cosa stai facendo? – domandò Regina.

- Sono qui per vedere Henry.

- Non è questo che intendo e lo sai. – Regina si sentiva troppo furiosa per controllarsi. Era troppo difficile controllarsi, quando bastava che Emma la fissasse in quel modo per farla esplodere. – Ci hai tolto i ricordi e ora Gold. Cosa stai cercando di fare?

Emma si era assicurata che Merida stesse facendo il suo dovere. Gold si era dimostrato restio, cosa che si aspettava da un uomo del genere, quindi aveva costretto Merida a cercare qualche incentivo. Sicuramente erano ancora nella foresta. Aveva imposto a quella regina celtica di spronarlo fino a quando non si fosse deciso a combattere. Non era disposta a tollerare fallimenti. Ne aveva abbastanza di fallimenti.

Non si scompose davanti alle domande di Regina.

- Emma... non c’è niente da cui tu non possa tornare indietro, se lo vuoi. Basta che tu dica la verità.

- Quello che sto facendo sono solo affari miei. E lo sto facendo perché è la cosa migliore. Fidati. – rispose, pacatamente.

- Stavo iniziando a farlo! – rispose, fuori di sé. La cosa più assurda era che si sentiva ad un passo dalle lacrime. Aveva un terribile nodo in gola. Una voglia assurda di afferrarla per la giacca e scuoterla con violenza. Di prenderle il viso tra le mani, con forza, per costringerla a guardarla sul serio. - E come Henry stavo vedendo del buono in te. Ma mi sbagliavo. Pensavo potessi essere diversa. Pensavo potessi sfuggire all’oscurità. Però poi... hai pensato di strappare il cuore ad una tredicenne. E hai usato Lily per ottenere quello di cui avevi bisogno.

- Che cosa? – disse Emma.

Finalmente aveva ottenuto la sua attenzione. Le mostrò l’acchiappasogni.

Emma si avvicinò di un passo. – Adesso commetti effrazioni?

- Oh, no! – Regina alzò un dito. – Non provare a farmi la morale. Non dopo quello che hai fatto. Henry ha visto cosa intendevi fare a Violet. Ha visto come hai usato Lily! Era sconvolto!

- Già. Cosa ho pensato di fare. Ma non l’ho fatto, Regina.

- Ah, certo! Hai fatto una cosa ben peggiore. Hai usato i ricordi di Lily contro di lei, contro la sua volontà... le hai spezzato il cuore di nuovo per poter avere quella lacrima! La tua unica amica...

- Non sapevo che ti importasse così tanto di Lily. Non sembravate andare d’accordo. – Emma non le staccava gli occhi di dosso.

- Non è questo il punto! Non cercare di raggirarmi. Non funziona con me, signorina Swan!

- Non mi chiamare ‘signorina Swan’! Ne abbiamo passate troppe.

- Parliamo di quello che hai fatto passare a Lily. Scommetto che tutta la faccenda della “cosa giusta” e del “fallimento” non è che un modo per coprire i tuoi, di fallimenti. – Regina stentava a padroneggiarsi, lottava immersa nella totale confusione. – Ho una certa esperienza con gli Oscuri, l’hai dimenticato? Non fate altro che manipolare.

Emma le diede le spalle per qualche momento. – Se fossi rimasta al tuo posto... tu e tutti gli altri... sarebbe andato tutto bene.

- Ma senti chi cerca di giustificare tutto. – rispose, con sarcasmo.

- Quello che ho fatto a Camelot, l’ho fatto a fin di bene.

Sto per urlare. Lo sento, pensò Regina. Ed era possibile; gli saliva come un ruggito, da dentro, un enorme obice di furia. Il mondo reale vacillava. Il mondo reale erano Emma e quei ricordi agghiaccianti. Era Emma e l’odore pungente, ma intenso che emanava. Era Emma con il suo sguardo duro come pietra.

- Questo è esattamente ciò che mi disse mia madre quando cercò di giustificare ciò che aveva fatto a Daniel. – disse Regina, imprimendo nelle sue parole tutta l’amarezza di cui era capace. Non abbassò mai lo sguardo. – Disse che l’aveva fatto per il mio bene.

- Oh! – esclamò Emma. Venne ancora più vicina. Abbastanza perché lei potesse sentire il suo respiro gelido. – Tua madre. Si vede che non hai capito nulla, Regina. Io non intendevo uccidere Violet. E poi... dato che mi paragoni a tua madre... chissà che tutto questo non ti piaccia, in fondo.

- Come?!

- Cora... – disse Emma. Scandendo bene le sillabe. – Il tuo primo vero amore, il più infelice di tutti. È per questo che ti sei lasciata ingannare.

- Non ti permettere nemmeno! – ringhiò Regina. – Mia madre mi ha ingannata perché era brava a farlo. E tua madre ne sa qualcosa.

- No, tua madre ti ha ingannata perché era lei a possedere il tuo cuore. L’hai sempre amata. Persino dopo quello che è successo con Daniel. È stato il tuo più grave errore. Il tuo errore. Non di mia madre. Lei era una bambina. Tu... no.

Regina sollevò una mano. Era indecisa se colpirla o usare la magia contro di lei. Ma voleva farle male. Oh, parecchio.

- Coraggio, fallo. Come se potessi ferirmi... – rispose Emma. – Come se la tua magia mi spaventasse...

- Quello che conta qui, Emma... – le disse, sforzandosi di trattenere il proprio potere e pronunciando il suo nome lentamente. – È che non riuscirai mai a giustificare quello che hai fatto.

- Almeno grazie a quella lacrima abbiamo liberato Merlino! – gridò. Si rese subito conto di essersi esposta troppo. La fissò, con gli occhi leggermente sgranati.

- Allora è vero che siamo riusciti a liberarlo... – mormorò Regina, scrutandola. Tuttavia il senso di confusione aumentò. – Ma se è così... per quale motivo sei ancora l’Oscura?

- Per colpa tua. Vostra. – precisò Emma. – Adesso evitiamo di perdere altro tempo. Voglio vedere mio figlio.

- Io, invece, non credo che lui voglia vedere te. Anzi, ne sono convinta. – ribatté Regina, con la medesima durezza. – Arrivederci, signorina Swan.

Le sbatté la porta in faccia.

Emma rimase là, a guardare il numero 108. A guardare la porta bianca.

“Quello che conta qui, Emma. È che non riuscirai mai a giustificare quello che hai fatto”.

Tornò sui suoi passi, ma prima di andarsene si voltò, cercando con lo sguardo la finestra di Henry.

Lui era là. La osservava. Sul suo viso si mescolavano delusione e rabbia. E incredulità.

Fu solo un istante. Poi Henry chiuse le tende.

 

 

Era una vera fortuna che Robin fosse già tornato nel suo appartamento e che Henry fosse in camera sua. Perché non dovevano vederla così. Soprattutto Henry.

Dopo aver chiuso la porta in faccia all’Oscuro, Regina serrò le palpebre per il sollievo. Poi si mosse con la massima rapidità. Gettò via l’acchiappasogni con rabbia e si fiondò al primo piano, entrò in bagno e fece scorrere l’acqua, gettandosene un po’ in faccia. Il battito pesante del cuore le rintronava in testa. Poche volte nella sua vita si era sentita così fuori di sé. Non semplicemente furiosa, ma così incapace di gestire le emozioni.

“Tua madre ti ha ingannata perché era lei a possedere il tuo cuore. L’hai sempre amata. Persino dopo quello che è successo con Daniel. È stato il tuo più grave errore. Il tuo errore. Non di mia madre. Lei era una bambina. Tu... no”.

Emma la sgomentava. La durezza e la cattiveria che impregnavano le sue parole la sgomentavano.

“Ci deve essere un altro modo!”

“Non c’è. Hai faticato troppo per vedere la tua felicità distrutta”.

Voleva strappare il cuore di una ragazzina. Aveva attinto dai ricordi della sua unica amica per avere la lacrima.

Perché una lacrima? Merlino è stato liberato da una lacrima. Com’era stato imprigionato in quell’albero? Chi è stato?

Ma c’era dell’altro.

Emma è ancora l’Oscura. Doveva essere Merlino a salvarla. Perché non ci è riuscito?

“Per colpa tua. Vostra”.

Non ne aveva avuto il tempo, forse. Era l’unica spiegazione.

“Avete fallito”.

“Colpa tua. Vostra”.

Regina andò in cucina e si versò un bicchiere di bourbon. Lo bevve in un unico sorso. Le bruciò la gola, ma sentiva di averne davvero bisogno.

Dov’è Merlino?

“Cora. Il tuo primo vero amore, il più infelice di tutti. È per questo che ti sei lasciata ingannare”.

Non solo.

“Il dolore di Regina è... vero. È un dolore terribile. Ma potrebbe non essere sufficiente. Non posso correre questo rischio. Non ho più tempo, ormai”.

Aveva condiviso i suoi ricordi con Emma, a Camelot. Emma aveva visto cos’era successo a Daniel, come Cora l’aveva ucciso. Ecco perché si era permessa di dirle quelle cose.

“Mi dispiace tanto. So di aver mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto la verità. Io odio la mia casa. Io lì mi sento invisibile”.

“Quella non è casa mia. Lo avevi promesso. Amiche per sempre. Qualsiasi cosa accada”.

Era stato come avvertire lo spezzarsi del cuore di quella ragazzina che era Lily. Oh, sì, era una bugiarda. Aveva mentito, ma il modo in cui si rivolgeva ad Emma era assolutamente... intenso. Era adorazione. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenerla vicino a sé, ne era sicura. Il cuore spezzato di Lily era abbastanza forte. Il suo no. Non più.

...Ed Emma diceva che Lily aveva fatto la cosa giusta. Aveva aiutato Emma anche se lei si era approfittata delle sue memorie?

“Perché sei ancora l’Oscura?”

“Per colpa tua. Vostra”.

“Cora. Il tuo primo vero amore, il più infelice di tutti. È per questo che ti sei lasciata ingannare”.

“Avete fallito”.

“Tua madre ti ha ingannata perché era lei a possedere il tuo cuore. L’hai sempre amata. Persino dopo quello che è successo con Daniel. È stato il tuo più grave errore. Il tuo errore. Non di mia madre. Lei era una bambina. Tu... no”.

Regina scagliò il bicchiere contro una parete. I pezzi di vetro si sparsero sul pavimento.

 

***

 

Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

- Merlino? – disse Azzurro.

Il mago gli rivolse un cenno di saluto, sorridendo.

- Tu sei... Merlino?

- Vi aspettavate qualcuno...

- Più vecchio.

- Già. Diciamo che c’è una spiegazione per tutto. Ed essere un albero fa anche bene alla pelle.

Merlino aveva liberato gli Azzurri dall’incantesimo di Artù. Ora si trovavano tutti al Granny’s. Il re si era ritirato nel suo castello e non aveva più dato segni di vita, il che poteva significare che stava tramando qualcosa. Era il pugnale ciò che voleva ed erano sicuri che non si sarebbe mai arreso fino a quando non avrebbe avuto l’oggetto tra le mani.

- Beh, adesso che il grande stregone è tra noi, forse può risponderci. – disse Uncino, avvicinandosi ad Emma e appoggiandole una mano sulla spalla. – Puoi liberare Emma dall’oscurità?

Merlino si rivolse a lei. – Certamente.

Neve e Azzurro si scambiarono un’occhiata sollevata.

- Però... ho un avvertimento. – disse Merlino. Avanzò di qualche passo, fissando Emma negli occhi.  – L’oscurità funziona così: si impossessa di una persona. Le scava dentro, nel profondo, dove nessun altro può arrivare. Quindi, per liberarti dalla sua morsa, devo essere certo di una cosa. Emma, il tuo cuore... è davvero pronto per questo? Perché dipende da te e non solo da me.

Emma stava per rispondere di sì. Stava per dire che era pronta. Che voleva disfarsene. Che doveva disfarsene per il bene di tutti. Ma poi ripensò all’onda di potere che aveva controllato quando si era trattato di liberare Merlino. Ripensò alla sensazione di entusiasmo e di forza che aveva provato.

- È a questo che devi pensare, mia cara. – disse Tremotino. Sedeva comodamente su uno dei tavoli del locale, ghignando, malefico. Erano giorni che non si faceva vivo e lei era convinta di essersene liberata. – La magia è potere. Possedere il potere significa essere in grado di fare grandi cose. Perché rinunciare? Tu sai quanto è gustosa l’oscurità.

- Emma? – la chiamò Regina.

Emma scoccò un’occhiata a Lily, seduta accanto a Tremotino. Solo che non poteva vederlo. Lei le riservò un’espressione furiosa. Spostò lo sguardo su Henry e vide che il ragazzino era in attesa di una sua risposta. Come tutti.

- Hai dato il meglio di te con Lilith. Ma puoi fare ancora meglio. Puoi essere ancora più potente. – continuò Tremotino.

Non ho dato il meglio di me. L’ho ferita. L’ho usata. E ho pensato di ferire mio figlio. Volevo prendere il cuore di quella ragazzina.

- Basta, va via. – borbottò Emma, infastidita.

- Swan... – iniziò Uncino.

- Con chi parli, Emma? – domandò Neve.

- Con i suoi demoni. – rispose Merlino. Lui non sembrava particolarmente sorpreso di vederla dialogare con il nulla.

- Attenta, cara, è il mago più vecchio del reame. Lui sa molte cose sugli Oscuri. – disse Tremotino, indicando Merlino con il lungo indice squamoso.

- Posso farcela. – disse Emma. E non sapeva nemmeno lei a chi stava rispondendo.

 

 

Poco dopo, mentre Emma sedeva su una roccia davanti al Granny’s a costruire un acchiappasogni dopo l’altro, Lily si accostò a Merlino.

Ancora non si capacitava di ciò che era accaduto. Un attimo prima stava parlando con Emma di quanto fosse sbagliato ciò che pensava di fare a quella ragazzina e un attimo dopo era diventata la vittima dell’Oscuro. Un attimo prima Emma era convinta che l’unico modo per liberare Merlino fosse spezzare il cuore di Henry e prendersi la sua lacrima, un attimo dopo era stata lei a dare ad Emma l’ingrediente mancante.

“L’oscurità funziona così: si impossessa di una persona. Le scava dentro, nel profondo, dove nessun altro può arrivare”.

“Le scava dentro...”

L’Oscuro aveva scavato dentro di lei, recuperando i ricordi più belli e al tempo stesso più brutti della sua vita.

“... nel profondo, dove nessun altro può arrivare”.

Non aveva mai permesso a nessuno di arrivare a quei ricordi. Non aveva mai incontrato nessuno che considerasse degno di quelle memorie.

“Le scava dentro...”

- Ciao, Lilith. – disse Merlino, senza nemmeno alzare la testa. Sedeva presso il bancone del locale.  Le sue mani giocherellavano con un barattolo di ceramica che conteneva delle zollette di zucchero.

- Quindi sai chi sono.

- Sì, naturalmente. – Si rivolse a lei e le sorrise. - So molte cose di te, grazie al mio Apprendista.

- E hai cercato di parlarmi, vero? Quel giorno, nel cortile...

- Ci ho provato. Non è facile, quando sei un albero. Avevo la possibilità di parlare alle persone e anche di proiettarmi al di fuori della mia prigione... – Si rabbuiò un momento. – Ma non per molto tempo.

Lily inarcò la fronte. Poi scosse il capo. – Ho sentito quello che hai detto ad Emma. Puoi liberarla dall’oscurità.

- Lo spero.

- Puoi fare lo stesso per me?

Il mago si aspettava quella domanda, così come si era aspettato la chiacchierata di Emma con il demone che assumeva le sembianze di Tremotino. Si alzò. – Il mio Apprendista mi ha fatto la stessa domanda, una volta.

- E tu gli hai detto che non potevi sistemare le cose. Ma era la verità?

- Ciò che è fatto è fatto, Lilith. – Il suo tono era benevolo e conciliante. E ovviamente la rendeva ancora più furiosa. – Se invertissimo l’incantesimo...

- Perciò può essere invertito.

- Può essere invertito. Non annullato. Le conseguenze sarebbero terribili. – Appoggiò le dita della mano sul petto di Lily. – Il potenziale oscuro era di Emma, ma è dentro di te da sempre. E so che cosa significa.

- Non credo che tu lo sappia davvero! – rispose Lily, scacciando la sua mano. Era un’assurdità e lo sapeva bene. Un mago vecchio come lui doveva aver affrontato un sacco di demoni. Ma da un po’ di tempo le giornate erano piene di assurdità.

- Credimi, lo so. So anche che cosa significa lottare contro l’oscurità. Ci ho avuto a che fare, molto tempo fa. – Il suo sguardo sembrò assente per qualche istante. Tacque e parve interessato unicamente ad una parete del Granny’s. Infine tornò a fissarla, rinfrancato. – L’oscurità ha distrutto una persona che amavo.

Lily non disse niente.

- Quello che voglio dire... – ricominciò Merlino. – Quello che voglio dire è che quell’oscurità è radicata in te. Fa parte della tua essenza. Se... se te la strappassi, quell’oscurità tornerebbe dal suo legittimo proprietario.

- Tornerebbe da Emma. – mormorò Lily.

Merlino assentì. – Emma sta già combattendo una battaglia difficile. Una battaglia che per molti sarebbe impossibile da vincere. Inoltre, se anche riuscissi a sradicare quel potenziale oscuro, potrei farti del male. Sarebbe estremamente doloroso. Non credo che tu voglia questo. Soprattutto non credo che tu voglia dare a qualcuno come Emma l’oscurità che ti porti dietro.

Lei fece per dire qualcosa, ma vi rinunciò.

Che se la prenda, la dannata oscurità!, pensò, incollerita. Che se la prenda e che se la prendano pure quei maledetti dei suoi genitori.

Poi pensò a Murphy, ai suoi occhi argentei, alla sua faccia maciullata dai calci. Allo stivale sporco di sangue. A Percival che bruciava.

- Ora che Emma è contaminata da un’oscurità molto più grande, la tua... è diversa. Lo sai, vero? – chiese Merlino.

- Lo è? A me sembra peggiore di prima.

- Non è peggiore. È mutata. Così come è mutata l’essenza di Emma. Sono sicuro che, in parte, capisci ciò che sto dicendo. – Merlino le appoggiò una mano sulla spalla. – Capirai anche come usare il tuo dono.

- Se ti riferisci al fatto che posso trasformarmi in un drago...

- No. Non mi riferisco a questo. Ci sono delle cose di te che ancora non conosci. Non abbastanza. Tu non sei solo quel potenziale oscuro che è stato trasferito dentro di te, anni fa.

- Ovvero non sono solo una bambina maledetta e un’Anti Salvatrice?

Merlino non si scompose davanti al suo sarcasmo. Gli occhi scuri si posarono con più durezza su di lei. Ora lo stregone dimostrava davvero centinaia di anni. – Stai contemplando una strada che non devi percorrere. E fai del male a te stessa, prima di farlo alle persone che ami. Puoi combattere l’oscurità. Ma se continui a credere di essere l’Anti Salvatrice, allora questo sarà ciò che diventerai.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Perbacco, questo sì che è interessante! – esclamò Knubbin, leccandosi le dita dopo aver ingurgitato una patatina.

- Avete scoperto qualcosa? – chiese Regina.

- No, in realtà mi riferivo a questo... come l’avete chiamato?

- Hamburger. – precisò Granny, passando a raccogliere i piatti e osservando il mago di sottecchi.

- Ecco, già! – Knubbin aveva un aspetto migliore. I capelli erano sempre un po’ scompigliati, ma gli avevano dato degli abiti puliti e qualcosa da mangiare. Era già al secondo hamburger e alla seconda porzione di patatine. Heathcliff se ne stava appollaiato sul davanzale di una finestra. – Hamburger. È magico?

- No. – rispose Granny. – Ma lo considererò un complimento alla mia cucina.

- Potete contarci, mia cara signora. Io sono uno che conosce le buone maniere... e so anche riconoscere la buona cucina. Come va la cicatrice? – chiese, parlando rapidamente.

Granny posò i piatti con un colpo secco. – È sempre dove dovrebbe essere.

- Non mi aspettavo che fosse andata in qualche posto. E dov’è vostra nipote?

- Nella Foresta Incantata.

- Come fa a conoscere Ruby? – domandò Neve, perplessa.

- Oh, diciamo che l’ho aiutata molto tempo fa. In effetti, ho fatto molto di più. Il mantello è una delle mie migliori creazioni.

- Non perdiamoci in chiacchiere! – esclamò Regina, massaggiandosi la radice del naso. – Gli aneddoti possono aspettare.

- Per una volta sono d’accordo con Sua Maestà. – ammise Uncino.

Regina si girò a guardarlo.

- Beh, prima o poi doveva capitare. – continuò il pirata, sollevando un sopracciglio. – Ma tornando a noi... abbiamo liberato Merlino a Camelot. E se l’abbiamo liberato mi chiedo come mai non abbia scacciato l’oscurità di Emma.

Regina si sforzava di concentrarsi. Le parole di Emma le riecheggiavano nella testa. – Non lo stai domandando alle persone giuste.

- Beh, non possiamo domandarlo a lui. Magari questo mago sa dirci qualcosa...

- So dirvi che questo libro è molto interessante... gli incantesimi sono molto antichi... – osservò Knubbin. – Ne ho trovati alcuni che...

- Io invece ho questo. – disse Regina, mostrando a tutti la Corona Scarlatta. – Comunicare con Merlino sarà proprio quello che faremo.

- La Corona Scarlatta. – si sorprese Azzurro. – Quindi hai capito come far funzionare l’incantesimo di comunicazione.

- Scoprire ciò che Emma intendeva fare a quella ragazzina e scoprire... cos’è stata in grado di fare a Lily mi ha dato la motivazione necessaria.

“Tua madre ti ha ingannata perché era lei a possedere il tuo cuore. L’hai sempre amata. Persino dopo quello che è successo con Daniel. È stato il tuo più grave errore. Il tuo errore. Non di mia madre. Lei era una bambina. Tu... no”.

- Come possiamo usarla? – domandò Neve.

- Non è difficile. – intervenne Knubbin, sollevando di scatto la testa e anticipando Regina. Si spostò alcuni ciuffi dalla fronte rugosa. – Un mago come Merlino appare solo ad una persona che lui stesso ha scelto.

- Artù. – disse Azzurro, amaramente.

- E noi non possiamo fidarci di lui. – concluse Regina.

- Beh, abbiamo qualcuno che può aiutarci, anche se non si tratta di Merlino. – intervenne Belle.

- E chi è? – chiese Neve.

- Tremotino.

- È una pessima idea. – rispose Regina. - Se non fosse stato per lui, forse adesso non ci troveremo in questa situazione. Senza contare che ora è nelle mani di Emma. Se cercassimo di aiutarlo, finiremmo tutti in una trappola.

- E se gli capitasse qualcosa?

- Non possiamo pensare a tutto in questo momento, tesoro. Il Coccodrillo ha già avuto parecchie chance, in passato. – disse Uncino.

- Oh, non lo metto in dubbio. Come te, del resto. – E poi si rivolse a Regina. - E come te.

- Ora è inutile parlare di me. – ribatté Regina. – Dobbiamo aiutare Emma e l’unico modo per farlo è comunicare con Merlino.

- Anche Tremo ha bisogno di aiuto, visto che è nelle mani dell’Oscura. – Belle alzò parecchio la voce. - Ma quando si tratta di lui non ne vale la pena, giusto? Quando si tratta di te o delle persone che tu ami... non importa quale mezzuccio è necessario utilizzare. Basta fare il possibile. Come quando hai strappato il cuore a me per salvare il tuo grande amore...

Regina stava per rispondere, ma Neve la interruppe. – Possiamo parlare di come comunicare con Merlino? Forse così riusciremo ad aiutare tutti.

- Sì, voi fate pure. Io non me ne starò qui ad aspettare che Emma faccia del male a Tremotino. - Belle prese la sua giacca ed uscì dal Granny’s, sbattendo la porta con violenza.

Knubbin soffocò un rutto.

Regina gli riservò un’occhiataccia.

- Scusatemi. Mi ha colto di sorpresa. Non è la prima cosa che mi coglie di sorpresa. – disse il mago, pulendosi la bocca con il tovagliolo. Poi prese una vecchia pergamena ingiallita che aveva messo da parte. - Anche questo mi ha colto di sorpresa.

Regina prese il foglio e lo aprì. – Che cos’è questa roba?

Neve sbirciò da sopra la sua spalla e spalancò gli occhi. Le strappò la pergamena di mano.

- Ehi, ma che fai?

- Conosco questo incantesimo. – disse Neve, scorrendo in fretta le parole impresse sulla carta.

“Sì, questo andrà bene”, cominciò la voce dell’Apprendista nella sua testa.

“Quindi l’oscurità di nostra figlia...”, disse Azzurro.

“Potrà essere trasferita”.

“Che l’oscurità trovi la sua via, dal grembo materno a un altro dell’inferno...”

- Lo credo. È un incantesimo estremamente antico. E pericoloso, anche. Serve a trasferire il potenziale oscuro di una persona verso un ospite... – disse Knubbin, grattandosi la barba. – Sì, una cosa decisamente pericolosa. Mi chiedo quale sia il folle che si permetterebbe di eseguire questo incantesimo. Beh, non che non mi aspetti che qualcuno l’abbia fatto... non c’è mai niente di nuovo sotto il sole. Quello che è stato tentato una volta, era stato tentato in precedenza e così via.

- È l’incantesimo che l’Apprendista ha usato su Lily, vero? – disse Azzurro.

- Lo è. – rispose Neve.

“Il bambino è perso per sempre. Ma congratulazioni! Vostra figlia sarà pura di intenti e di animo eroico. Tuttavia toccherà a voi guidarla... e tenerla nella luce”.

- E le ultime frasi? – chiese Uncino, indicando col dito quattro righe scritte sotto l’incantesimo, seguite da altre tre. – Non è niente di buono, giusto?

- Decisamente no. – confermò Regina, ripensando alle parole di Artù al suo servitore, Grif. Aveva parlato di una profezia. Di una profezia che indicava Lily come possibile minaccia.

“Quel che è fatto è fatto.

I loro destini sono intrecciati

Com’è sempre stato e come sempre sarà

Così ha detto il mio Maestro”

- Deve averlo scritto l’Apprendista. – disse Azzurro, con la fronte aggrottata.

- Ma cosa c’entra il resto? – chiese Uncino.

“Vedo l’ombra infinita approssimarsi a Camulodunum

L’infante figlio del drago porta con sé una stella

E il suo destino s’intreccia con l’altra metà di Caledfwlch”

- Camulodunum. – sentenziò Knubbin. – Camelot. Una volta quella terra si chiamava così. C’è ancora gente che la chiama così, ne sono sicuro.

- E sapendo che il pugnale ed Excalibur sono la stessa arma... Caledfwlch deve essere la spada di Artù. – disse Regina.

Regina pensò... all’infante figlio del drago. Pensò alla voglia a forma di stella che portava sul polso. Pensò ad Emma agganciata alla sua groppa. Era tutto collegato. Tutto dannatamente collegato. Tutte le volte che incrociavano qualcosa che li conduceva più vicini a scoprire cosa fosse accaduto a Camelot, quel qualcosa si ricollegava non solo ad Emma, ma anche a Lily.

Una vera fortuna che Lily non fosse presente, ma doveva parlarne con Malefica.

 

 

- L’ho spinto oltre i suoi limiti... è stremato. – disse Merida, conducendo Emma verso la tenda che aveva montato nella foresta.

L’Oscura la seguiva, senza fretta. E senza parlare. Un’ombra che non si lasciava nemmeno sfiorare dai raggi del sole primaverile.

Merida era ansiosa di recuperare il suo cuore e scoprire che cos’era successo ai suoi fratelli, nonché sapere chi aveva ucciso suo padre, per questo procedeva a grandi falcate, stringendo il suo arco. Non vedeva l’ora che quella maledetta storia finisse. C’erano troppe cose che non capiva, in quella terra. Voleva tornare a Dunbroch. Dove tutto le era familiare. Doveva tornare a casa e assicurarsi che la sua famiglia stesse bene. Non ricordare la spaventava orribilmente.

Tuttavia, quando arrivò nel punto in cui aveva lasciato Tremotino, trovò solo una tenda vuota, le corde con cui gli aveva legato i polsi tagliate e la tazzina che aveva recuperato nel suo negozio... in mille pezzi. L’aveva usata per liberarsi. Cercò qualche traccia intorno all’accampamento e individuò le impronte di un paio di scarpe, ma niente di più. Era sparito.

- Dicevi? – disse Emma, annoiata. Il cuore pulsante comparve nella sua mano.

- Oh, avanti. Cosa aspetti? Fammi del male! Se è la cosa che sai fare meglio... – disse Merida, appoggiandosi al tronco di un albero.

Emma stritolò il suo cuore. – La cosa che so fare meglio è capire quando una persona mente, in realtà.

Merida boccheggiò, in ginocchio sul prato.

- Il tuo lavoro non è ancora finito. – Strinse di nuovo il cuore. Lo strinse e lo rilasciò più volte, quasi lo stesso usando come una pallina antistress.

- Non... – iniziò Merida, respirando a fatica, la faccia rossa in parte nascosta dalla fitta massa di riccioli. – Non posso allenarlo più. Non è nemmeno qui... come pretendi che lo faccia?

- Hai confermato quello che volevo sapere. È disposto a lottare per Belle. – spiegò Emma, avvicinandosi a lei e poi afferrando una manciata dei suoi capelli nel pugno. Tirò forte perché Merida si alzasse.

- Sbaglio? – chiese Emma.

- No, Oscuro. Ma non è diventato un eroe... – mormorò Merida. Voleva staccare gli occhi da quelli verdi della sua carceriera, eppure non ne era capace.

- Ma lo sarà. Lo diventerà presto. – Emma scandì ogni parola perché la comprendesse bene. – Deve. Se vuole fermare te...

- Fermare me? Perché dovrebbe fermarmi? – chiese Merida.

Emma serrò di nuovo il cuore pulsante, lo serrò a lungo e così crudelmente da farle pensare che stavolta l’avrebbe frantumato. Macchie nere invasero il suo campo visivo. Merida si sentì venire meno, mentre l’altra mano dell’Oscuro ancora le tormentava i capelli.

- Ucciderai Belle. – disse Emma, allentando la presa sul mezzo che le permetteva di controllarla. Appoggiò una mano sul suo viso, convincendola a voltare la faccia in modo che fosse completamente rivolta verso la sua. – Vai e piantale una freccia nel cuore.

 

***

 

Camelot. Quattro settimane prima della maledizione.

 

Nei sotterranei del castello di Artù regnava il silenzio. Le guardie si limitavano a fare il loro dovere e non parlavano mai tra di loro. Il prigioniero in una delle ultime celle in fondo al corridoio stava cantando. Era quel mago, Knubbin. Ovviamente era stonato. Peggio ancora, la sua voce sembrava quella di un ubriaco, sebbene non avesse bevuto niente, a parte la ciotola d’acqua che gli era stata portata insieme alla misera cena. Era acuta e stridente.

- Non si può farlo smettere? – sussurrò una guardia al compare, in piedi accanto a lui.

L’altro stava per rispondere, ma poi le torce che illuminavano i corridoi si spensero di colpo, precipitandoli nell’oscurità.

Vi fu un istante di sbalordimento. Infine le luci si riaccesero, esplodendo come lampi, e li accecarono. Le guardie lanciarono grida e imprecazioni.

David e Killian fecero irruzione, buttando giù le porte e gettandosi sugli uomini del re. Nel giro di un paio di minuti li stesero. Merlino, avanzando con passo sicuro, si occupò dell’ultima guardia, liberandosene con un semplice gesto della mano. Belle rimase all’esterno delle prigioni a tenere d’occhio la situazione.

- Non male per uno che ha passato centinaia di anni in un albero. – commentò Uncino.

- È come andare in bicicletta. – osservò il mago, sorridendo.

Avanzarono in quel dedalo di corridoi. Merlino non sembrava avere particolari difficoltà con l’orientamento.

- Come fai a sapere cos’è una bicicletta?  - domandò Azzurro, ad un certo punto.

- Credi che le mie profezie si avverino perché sono fortunato? Da questa parte. – Merlino girò a destra. Si fermò prima della svolta successiva e invitò gli altri ad appiattarsi contro i muri.

Un gruppo di guardie passò a pochi passi da loro, senza notarli.

- Per tutti i diavoli... riesci davvero a vedere il futuro. – disse Uncino.

- Pezzi di futuro. Sì. – Merlino aveva un’aria molto compiaciuta. Divertita e rilassata, anche. Era evidente che fosse più che lieto di poter usare i suoi poteri senza impedimenti.

Giunsero davanti alla cella di Lancillotto. David si sporse per guardare all’interno.

- Azzurro? – Lancillotto lo scrutò, diffidente.

- Va tutto bene. Io e Neve non siamo più controllati da Artù. – lo rassicurò.

- Come hai fatto ad infrangere l’incantesimo?

- Non l’hanno fatto, amico. – disse Uncino.

- Sono stato io. – Merlino si palesò davanti alla cella.

- Merlino...

- La cella del mago è più avanti. – disse Azzurro. – Emma ci ha chiesto di liberarlo e per quanto non mi vada a genio... dobbiamo farlo.

- Sì, signori, sono qui! – esclamò Knubbin, alzando un po’ troppo la voce. Mani bianche afferrarono le sbarre, due celle più a sinistra rispetto a quella del cavaliere. – Sono lieto che quel tesorino abbia mantenuto la promessa. Fate attenzione all’incantesimo.

- Quale incantesimo? – chiese Uncino.

- Quello che protegge queste prigioni. Le cose sono un po’ cambiate da quando sono stato imprigionato. – Merlino stava valutando le celle con attenzione. – Le sbarre sono protette. Un incantesimo potente.

- Puoi farcela? – chiese Azzurro.

- Ehi! Ed io? – L’accento celtico di quella voce stupì tutti quanti. Merida sporse la faccia tra le sbarre. La sua fitta massa di riccioli rossi era assai più ribelle dell’ultima volta che l’avevano vista, nel cerchio di pietre. Aveva gli occhi segnati ed era decisamente di pessimo umore. - Dovreste liberare anche me!

- Merida? Che ci fai qui? – domandò Azzurro.

- Lunga storia! Ma dopo quello che mi ha fatto vostra figlia... dovreste proprio tirarmi fuori.

- Già. – disse Uncino. – Credo che Emma vorrebbe che la liberassimo.

- Certo. Perciò state indietro. – Merlino allargò le braccia, puntando i palmi delle mani verso le celle dei prigionieri.

Merida e Lancillotto arretrarono.

Il mago chiuse i pugni di scatto e le sbarre svanirono in una nuova, potente esplosione di luce. Poi avanzò di qualche passo e fece lo stesso con la cella di Knubbin, che uscì incespicando. Heathcliff gracchiò e si appollaiò sulla spalla del padrone.

- Meglio legarlo. Non vogliamo problemi. – propose Uncino.

- Sono d’accordo. – rispose Merlino. Un istante dopo i polsi di Knubbin erano stretti l’uno contro l’altro da un paio di corde robuste e una benda nera gli copriva gli occhi.

- Non ce n’era bisogno. A parte che potevo farlo benissimo da solo... – commentò Knubbin.

Da qualche parte, vennero le voci di altre guardie.

- Usciamo da qui. – suggerì Uncino, avviandosi lungo il corridoio.

- No, aspettate! – gridò Merida. – Artù ha il fuoco fatuo. Mi serve per liberare i miei fratelli!

- In questo momento quel fuoco fatuo ti condurrebbe solo alla morte. – disse Merlino. Le appoggiò una mano sulla spalla. – Troveremo un altro modo per aiutare i tuoi fratelli, vedrai.

 

 

- Dov’è finita Belle? – domandò Emma, mentre Killian si affrettava a legare Knubbin ad una sedia. Il corvo svolazzava per la tavola calda, gracchiando. Quando Killian strinse le corde dietro la schiena del mago, l’uccello piombò giù in picchiata e cercò di artigliargli i capelli, nonché di beccarlo in testa. Lui agitò l’uncino per scacciarlo.

- Non lo so. – rispose Azzurro. – Era in coda al gruppo con Merida. Ed ora...

- Non c’è nemmeno quella regina celtica. – osservò il pirata.

- Non preoccupatevi. – intervenne Merlino. – Merida non farà del male a Belle. Vuole solo una mano per salvare i suoi fratelli. E noi... non siamo stati collaborativi da questo punto di vista.

- Dove l’ha portata? – chiese Uncino.

- Nel suo regno. Belle tornerà, vedrete.

- Lo dici perché vedi il futuro?

Merlino attese qualche istante prima di rispondere. – Lo vedo a tratti, come già sai. Ma sì, l’animo di Merida è un animo giusto. Lei è una combattente. Il suo regno ha bisogno di lei. Non speravo che mi ascoltasse e lasciasse perdere.

- Se tentasse di prendere il fuoco fatuo... – cominciò Emma, ricordando lo spiritello azzurrato che anche lei aveva cercato di acciuffare.

- No. Ha un altro piano. - Il tono di Merlino sembrava rassicurante e fermo. - Per questo ha preso Belle. Andrà tutto bene.

- E Lancillotto? – chiese Emma.

- Ha raggiunto sua madre, la Dama del Lago. Gli ho detto io di andare laggiù. Mi serviva un messaggero.

- Un messaggero ad Avalon? Perché?

- Per quello che dobbiamo fare, Emma. Vogliamo distruggere l’oscurità. Dovrà essere tutto pronto per quel momento.

 

 

Emma fabbricava acchiappasogni. Le sue dita erano sempre al lavoro. La sua mente si concentrava su ciò che stava facendo per evitare di ascoltare le voci. Il suo sguardo era fisso sull’oggetto che andava assumendo la propria forma.

Lily non faceva che osservarla. O più che osservarla... sembrava la tenesse d’occhio. Era furiosa e naturalmente non riusciva a nasconderlo.

- Che cos’è successo fra Emma e Lily? – domandò Regina, accostandosi a Malefica.

- Vorrei tanto saperlo. – rispose lei, guardando la figlia. Era contrita. – Gliel’ho domandato, ma non ha voluto parlarne.

- E questo ti dispiace. – disse Regina. In effetti, anche lei aveva bisogno di qualche spiegazione. Era sicura che Emma avesse liberato Merlino con una lacrima che si era procurata prima di tentare l’incantesimo con la sua. Forse aveva previsto che non avrebbe funzionato. E si era preparata di conseguenza. C’entrava Lily? E se c’entrava Lily, per quale motivo Emma non l’aveva messa al corrente? Forse per non urtare i suoi sentimenti, dicendole che il suo dolore non era abbastanza?

- Faccio del mio meglio con mia figlia. A volte credo che lei si fidi di me. – continuò Malefica.

- Ma a volte hai l’impressione che ti sfugga.

- Già.

- Non stai sbagliando niente. Le serve tempo. È cresciuta da sola per anni e credo... che non sia abituata a ricevere attenzioni da qualcuno.

Da parte sua, Lily non aveva potuto chiudere occhio, quella notte. Per un bel pezzo era rimasta sveglia per colpa dei pensieri che le mulinavano nella mente e la assillavano.

La voce terribilmente sicura di Merlino, quella voce terribilmente certa, proveniente da un’altra epoca:“Stai contemplando una strada che non devi percorrere. E fai del male a te stessa, prima di farlo alle persone che ami. Puoi combattere l’oscurità. Ma se continui a credere di essere l’Anti Salvatrice, allora questo sarà ciò che diventerai”.

“Ora che Emma è contaminata da un’oscurità molto più grande, la tua... è diversa. Lo sai, vero?”

“Capirai anche come usare il tuo dono”.

Di quale dono stava parlando? La magia?

E quella voce si mescolava a quella di sua madre, che le diceva che un po’ di oscurità non la preoccupava. Ma soprattutto si mescolava alla voce di Emma.

“Il tuo dolore, invece... è ancora molto reale. Per quanto tu sia andata avanti, non sei mai guarita. Perché nessuno ti ha aiutata a guarire. Ma adesso... aiuterai me. Libererai Merlino. E mi salverai”.

“Il tuo dolore, invece... è ancora molto reale”.

Emma terminò un altro acchiappasogni. In disparte, Uncino la scrutava, leggermente a disagio. Persino Granny, ferma sulla porta del suo locale, la fissava.

Lily la raggiunse, piazzandosi davanti a lei.

- Finalmente. – disse Emma, senza nemmeno alzare lo sguardo. Posò l’acchiappasogni. – Pensavo avessi deciso di non rivolgermi più la parola.

- E sei così sorpresa? Dopo quello che hai fatto...

- Quello che ho fatto è una cosa terribile, ma l’ho fatto per liberare Merlino.

- Beh, avresti potuto chiedere, prima. Invece hai preferito giocare con i miei ricordi. Ottimo lavoro... Oscuro. – Mise molta enfasi nella parola Oscuro.

Emma si alzò in piedi. Gli occhi di Lily, fissi nei suoi, rimasero scuri e lampeggianti. – Se hai voglia di discutere perché non andiamo da un’altra parte? Questa è una faccenda tra me e te.

Prima che Lily potesse chiederle di cosa stesse parlando, Emma la prese per un polso e poi una nuvola di magia le avvolse, oscurando il mondo intorno a loro. Quando si dissolse, non erano più davanti al Granny’s.

Erano nel bel mezzo della Foresta Incantata, in un punto in cui la vegetazione sembrava molto fitta e gli alberi i più alti e antichi che Lily avesse mai visto. Tuttavia, dove si trovavano, la natura si era aperta, formando una piccola radura. Al centro di essa c’era una piattaforma circolare ricoperta di simboli strani e indecifrabili.

- Dove siamo? – domandò Lily.

- Dove tutto per me è cominciato. - disse Emma, indicando la piattaforma. Gettò la testa all’indietro e contemplò gli sprazzi di cielo tra le fronde. – È qui che mi sono ritrovata, dopo essermi trasformata in Oscuro.

- E perché diavolo siamo qui, adesso? - chiese Lily.

- Qui ho cominciato a vederlo. – continuò Emma. – Tremotino. O meglio... il potere dentro di me che aveva assunto la sua forma.

- Oh e cosa vorresti fare? Commuovermi? Parlarmi di quanto sia terribile sentire le voci e lottare contro l’oscurità? Di quanto sia difficile resistere? – la interruppe, in tono sprezzante. – Sono tutte cose che so.

- Credo che tu non sappia nemmeno la metà delle cose che dici di sapere. – rispose Emma, ora decisamente alterata.

- Questo è esattamente ciò che avrei detto io. Brava, mia cara! – esclamò Tremotino, in piedi sulla piattaforma.

Emma lanciò un’occhiata all’Oscuro.

Lily sganciò un cazzotto che la colpì in pieno viso, spedendola a terra. Prima che potesse rialzarsi, l’altra le fu addosso, a cavalcioni, bloccandola in mezzo a sterpi, foglie ed erba. Emma usò la magia per togliersela di dosso. Lily venne scaraventata sul prato, qualche metro più in lei. Cadde vicino alla piattaforma. Sopra le loro teste si assieparono nuvole nere e solcate dai lampi. Proprio come quel giorno, dopo l’inseguimento in auto. Solo che stavolta erano più pesanti. Più minacciose.

Lily si rialzò; ciocche di capelli le pendevano sulla faccia e stringeva i denti in un ringhio animalesco. Emma vide i suoi occhi accendersi, diventare gialli, ma prima che potesse completare la trasformazione lei sollevò una mano, come se stesse stringendo l’aria e Lily si artigliò la gola, avvertendo la morsa che non le permetteva di respirare. Si sentì trascinata verso l’Oscuro, che le serrò il collo ancora per qualche istante e poi allentò la presa per affondarle una mano nel petto. Le dita abbracciarono il suo cuore pulsante e strinsero. Strinsero parecchio. Lily gridò, sconvolta dalla fitta di dolore. Era un dolore terribile, che le esplose in testa e sembrò divampare come un incendio, propagandosi ovunque.

Emma fissò i suoi occhi in quelli di Lily, scorgendone ogni singola sfumatura. Lily vide la sua immagine riflessa in quelli di Emma, verdi e carichi come non mai.

La foresta perse la propria consistenza. Il mondo diventò grigio nebbia. In quel grigio Lily vide una serie di cose: lo sguardo argenteo di Murphy, il suo corpo abbandonato sull’asfalto dell’area di servizio, vicino ai distributori di benzina, vide se stessa colpirlo ripetutamente, vide il foro della canna della pistola del ragazzo un attimo prima che facesse fuoco e uccidesse l’uomo che avevano rapinato. Il nastro dei ricordi si stava riavvolgendo. E si riavvolgeva sempre più velocemente. Vide se stessa alla fermata dell’autobus, con Emma. Due ragazzine senza un posto dove andare.

“È come se tutta la mia vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più luminosa”.

“Emma, ti prego, non lasciarmi sola. Ti sto supplicando. Ti prego, aiutami”.

“Non mi va più di aiutarti, Lily”.

Ancora. Un po’ più indietro.

“Quando la situazione si calma, vieni a cercarmi. Scapperemo insieme”.

“Mi hai presa in giro”,

“Mi dispiace tanto. So di aver mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto la verità. Io odio la mia casa. Io lì mi sento invisibile. Sono proprio come te. Davvero! Ero un’orfana finché questa famiglia mi ha adottata. Quella non è casa mia. Lo avevi promesso. Amiche per sempre. Qualsiasi cosa accada”.

La presa sul suo cuore sembrò diventare meno dolorosa. Poi la mano di Emma strinse di nuovo, più forte. Infine la liberò.

Caddero tutte e due. Ansimavano, il respiro usciva sibilante dalle loro bocche.

Lily si sdraiò sul prato, rivolgendo lo sguardo ai rami degli alberi che si protendevano sopra di lei.

 

 

Qualche momento dopo sedevano tutte e due su un muretto di sassi, sul quale la vegetazione aveva già iniziato ad arrampicarsi.

Stavano in silenzio. Lily aveva scavato una buca nel terreno con il tacco dello stivale, distrattamente. Emma guardò la propria mano, quella che aveva quasi disintegrato il cuore di Lily. Era scossa da un violento tremore. Il tremito la prese con una violenza tale da farla sentire impotente e terrorizzata. Le ricordava il tremito che aveva scosso Regina dopo l’immersione nel passato per ottenere la lacrima. Aveva l’impressione che dentro la sua testa si attorcigliasse un lungo, lunghissimo filo invisibile. Alla fine di quel filo c’era un baratro. Lei stava seguendo il filo, adesso, lo seguiva in fretta, un passo dopo l’altro. Era suo, lo aveva voluto nel preciso istante in cui aveva deciso di salvare Regina. Lo aveva accettato ed ora il filo le imponeva di arrivare alla fine. Di arrivare al baratro nero.

- Emma. – la chiamò Lily. La prese anche per le spalle e la scosse. Prese la mano tremante, stringendola fra le sue.

- Sto... bene. – si sforzò di rispondere. – Sì, sto bene.

Eppure si lasciò andare contro Lily. Ricambiò la stretta e si lasciò andare contro di lei. Serrò le palpebre perché non voleva guardarsi intorno e vedere ancora Tremotino.

- Mi dispiace... non volevo farlo. – disse, confusamente.

Lily teneva il viso fra i suoi capelli. – Non l’hai fatto.

- Quando... quando sono arrivata qui, Tremotino mi ha detto che questa è la strada che percorrono tutti gli Oscuri. Mi ha detto che tutti cercano di resistere all’oscurità, ma nessuno ci riesce mai.

A Lily parve che le parole di Emma stessero riecheggiando nelle sue orecchie con un fragore sinistro.

- Io ho... gli ho detto che non avrei mai fatto del male alle persone che amo. Alle persone che mi amano. – Emma si scostò, sollevando lo sguardo sgomento su di lei. – Ma l’unico modo per fermare tutto questo... è fermare me.

- Merlino è libero, Emma. – le ricordò Lily. – Lui ti aiuterà.

- Può sul serio? Perché lui è convinto che dipenda da lui, tanto quanto da me. Ed io... non ne sono così sicura.

- Non sei sicura di volertene liberare. – Non era una domanda.

- È il potere. Ogni volta che uso la magia perdo una parte di me. Ogni volte è sempre peggio, eppure non riesco a fare a meno di usarla. È diventato difficile non farlo. È... – Emma si interruppe. Levò la faccia paonazza verso l’alto, come chi segue la traiettoria di un razzo. – La cosa... la cosa dentro di me è forte.

Lily sapeva che cosa significava. Aveva ancora il cuore in subbuglio, ma il furore era sfumato. Vedere Emma così prostrata non le aveva permesso di continuare ad essere in collera con lei. Avrebbe voluto dirle che non doveva preoccuparsi, perché anche lei era forte. Avrebbe voluto dirle che lei era la Salvatrice e che si sarebbe sbarazzata di quell’oscurità, sarebbe tornata ad essere quella di prima. Ma non lo disse perché non sarebbe mai stata abbastanza convincente.

- Mi ripeto sempre che non cederò all’oscurità. Però ho già ceduto. Ho già ferito te e volevo ferire mio figlio.

- E avresti potuto uccidermi poco fa. Sarebbe stato facile. Eppure hai deciso di risparmiarmi. Come hai fatto... quando mi hai trovata. – Lily riuscì a sorridere. – Questo vuol dire che puoi vincere la tua oscurità.

Fu Emma a non rispondere, stavolta.

“Se oltrepassi questo confine, tornare sui tuoi passi non sarà facile. Credimi, io lo so bene. Questo è quello che Gold si aspetta da te. Quindi non farlo”.

- Mi sono fermata perché qualcuno mi ha fermata... – disse, ricordando le parole di Regina.

- Ti saresti fermata comunque.

- Non credo.

- Regina ti ha dato una mano, va bene? Però la decisione spettava a te. Se io fossi stata al tuo posto avrei sparato. E un attimo fa ti avrei uccisa. Ma tu sei migliore di così.

“Emma, sei migliore di così”.

“Le decisioni sbagliate sono il mio destino. Coraggio, metti fine alle mie sofferenze. Tu sai quanto me che la mia vita non merita di essere salvata”.

- So che a te piace pensare che non l’avrei fatto. – riprese Lily. – Ma questa è la mia vita. Avrei sparato.

- Non ti conosci abbastanza. – replicò Emma.

- Ah, no? Ho ucciso un uomo, un paio di anni fa. Un tizio che era stato il mio complice in una rapina.

- L’ho visto.

- L’hai visto?

- Nei tuoi ricordi. Prima. Sì.

Lily continuò. - L’ho ucciso perché non aveva rispettato i piani. E sai una cosa? Non mi stava minacciando, quando l’ho preso a calci. L’ho ucciso perché ero furiosa con lui e non ho fatto niente per controllarmi. L’ho lasciato là, in quell’area di servizio... e non me ne importa niente.

- Anch’io ho ucciso qualcuno... prima di diventare l’Oscuro.

- Hai ucciso Crudelia, che era una pazza e voleva fare del male a tuo figlio. Non è la stessa cosa, Emma.

“Le decisioni sbagliate sono il mio destino”.

“Tu sai quanto me che la mia vita non merita di essere salvata”.

- Volevi che ti sparassi? – domandò Emma.

Lily rimase a lungo a fissarla.

- Volevi essere fermata? È questo il punto?

- Non avevo paura. Se mi avessi fermata, forse sarebbe stato meglio. Non ho mai preso una decisione giusta in vita mia. Mai. Ho sempre distrutto qualsiasi cosa.

- Puoi ancora essere diversa da ciò che sei. Ora hai tua madre. Lei può aiutarti a controllare... l’oscurità. Ti aiuterà a controllare i tuoi poteri. – Emma appariva un po’ più rinfrancata, ora. Era ancora pallida e con le ombre scure che le segnavano gli occhi, ma la sua voce aveva riacquistato una certa sicurezza.

- Se non distruggerò anche lei... – disse Lily, guardandosi le mani.

- Non le farai del male. – Serrò di più la sua mano.

- Oh, davvero? Ne sei convinta perché vedi il futuro, come Merlino?

- No. Se sono capace di vedere il futuro, non ho ancora capito come si fa. – Emma sorrise. – Lo so perché ho fiducia in te. Un tempo non ne ho avuta abbastanza e ti ho respinta... me ne sono pentita. Però dopo... era troppo tardi. Adesso devi sapere che... che puoi farcela.

- Allora devi crederci anche tu, Emma. Devi credere che Merlino possa aiutarti.

Emma le sfiorò gentilmente la spalla e assentì. Poi il suo sguardo venne catturato da qualcosa vicino agli stivali di Lily. – Guarda.

- Che cosa?

Emma colse il fiore bianco e glielo diede. – È un giglio.

Perplessa, Lily prese il fiore e lo tenne nel palmo della mano. Osservò i petali candidi, che assumevano una sfumatura gialla verso l’interno.

Il profumo era dolce e intenso.

 

 

Artù era ancora occupato ad elaborare un piano per sconfiggere la finta Salvatrice e ottenere il pugnale del mostro che aveva cercato per tutta la sua vita, quando Sir Morgan e una delle sue guardie entrarono nella sala della Tavola Rotonda trascinando con loro Zelena. La donna si dibatteva per sgusciare via dalla morsa dei due uomini, ma senza risultati.

- L’abbiamo trovata che scorrazzava nei dintorni del castello, Maestà. – disse Sir Morgan.

Zelena aprì la bocca per dire qualcosa, ma naturalmente non uscì alcun suono.

- È la serva della Regina Cattiva. – disse Artù, con disprezzo. – Non può parlare. Grif, portatele qualcosa in modo che possa scrivere.

Grif si affrettò ad eseguire l’ordine del re e tornò pochi istanti dopo, armato di piuma, boccetta di inchiostro e pergamena. Artù ordinò agli uomini di lasciarli soli e, non appena se ne furono andati, Artù le passò la pergamena. Zelena prese a scrivere con una certa frenesia.

Tanto per cominciare non sono una serva. E non sono muta. È un incantesimo di Regina, mia sorella. Temeva che smascherassi l’Oscuro. Il mio nome è Zelena e sono la Strega dell’Ovest.

- L’ovest? La Città di Smeraldo? – chiese Artù, una mano che stringeva l’elsa di Excalibur. – Ho sentito delle storie a riguardo...

Zelena assentì, compiaciuta.

- Se siete quella strega, perché non avete usato i vostri poteri per liberarvi? – domandò Artù, scettico e sospettoso. – Dicono che siete molto potente, una delle streghe più potenti che siano mai esistite.

Zelena roteò gli occhi. Mostrò il bracciale nero. Poi prese la pergamena e ricominciò a scrivere.

Questo dannato aggeggio non mi permette di usare i miei poteri. Altrimenti Regina l’avrei già sistemata io. Mi tiene prigioniera. Se mi aiuterete, io aiuterò voi. So che cosa volete. Il pugnale. Volete ricomporre Excalibur. Ciò che voglio io è tornare a Oz con mio figlio. Regina intende portarmelo via e non posso permetterglielo. Si è sempre presa tutto, non può avere anche mio figlio.

Le dita di Artù tamburellarono sul legno. Aveva sempre notato il risentimento sul volto di Zelena. Non aveva dato molta importanza alla cosa, proprio perché gli era sembrata innocua. Ma ora...

- Dite che potete aiutarmi. Come?  E perché dovrei fidarmi di voi?

Zelena scarabocchiò sulla pergamena.

Abbiamo un nemico comune. Regina. E l’Oscuro. Diciamo tutta la banda di mia sorella. Inoltre, se volete ricomporre Excalibur, avrete certamente bisogno di una strega. Avete già un piano?

- Ce l’ho. – ammise Artù. – So cosa serve per ricomporla. La fiamma di Prometeo. E Merlino sa dove trovarla. Ne sono sicuro.

Prendiamoci questa fiamma, dunque. Vi conviene collaborare con me. Potrei perfezionare il vostro piano.

- Quello che voglio è difendere il mio regno. E tenere sotto controllo Merlino. – Artù si avvicinò a Zelena, scrutandola attentamente. – So che in uno dei suoi libri c’è un incantesimo che mi aiuterà in questo senso. Se lo lego ad Excalibur, farà esattamente ciò che gli ordinerò.

Ecco perché è importante avere una strega a disposizione. Mi piace questo piano. Portatemi il libro con l’incantesimo e lo farò io. È semplice.

- E poi? Come mi aiuterete, poi?

Zelena scrisse ancora, esponendogli il suo, di piano. Aveva avuto modo di riflettere a lungo, mentre recitava la parte della serva muta della finta Salvatrice. Aveva osservato. Aveva progettato diversi piani, aspettando l’occasione migliore. Alcuni di quei piani si erano rivelati troppo rischiosi, quindi li aveva scartati. Quello che aveva in mente aveva ben più possibilità di successo.

- Non si fideranno. – disse Artù.

Certo che no. Ma non avranno altra scelta. Regina farà quello che può per impedirmi di pugnalarli alle spalle. Ma lei mi sottovaluta sempre.

- Sono curioso di sentire questa storia. La vostra e di vostra sorella, intendo. Sento che potrebbe interessarmi.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Mi ha battuta lealmente. – disse Merida, raggiungendo Emma nei sotterranei. Aveva le mani legate dietro la schiena. Belle e Gold erano con lei.

- Iniziavo a preoccuparmi. – disse l’Oscuro, dando loro le spalle. – Pensavo di doverti trascinare qui con le mie mani.

- No. Un eroe non scappa mai dai suoi problemi. – disse Gold, appoggiandosi al suo bastone. Parlava con più sicurezza, ora. Emma aveva seguito il combattimento fra lui e Merida con molto interesse. Da quando lui e la sua domestica si erano rifugiati nel negozio per sfuggire all’arciera di DunBroch, a quando Gold aveva avuto la brillante idea di uscire da Storybrooke e scappare dai problemi. Da quando Merida si era trasformata in orso mannaro bevendo la pozione che aveva preparato per lei a quando Gold l’aveva affrontata per salvare il suo grande amore. Aveva dimostrato di non essere un codardo e di voler combattere per l’unica donna che amava.

- Ora, in qualità di ex Oscuro... so bene che non smetterai di creare scompiglio fino a quando non avrò estratto quella spada dalla roccia.

- Bene. Vedo che finalmente ci capiamo.

- E so anche che non resisterai ad un accordo. – aggiunse Gold.

Emma notò con piacere che Gold poteva anche definirsi ex Oscuro, ma permaneva qualcosa del vecchio Tremotino, in lui.

- Quindi... che ne dici se io estraggo Excalibur in cambio del cuore di Merida? – concluse Gold.

- E i miei fratelli! Voglio sapere che ne è stato di loro. – aggiunse la burattina, impaziente. – E l’assassino di mio padre...

- Pensi davvero di essere nella posizione per stringere accordi? – domandò l’Oscuro, seguendolo con lo sguardo, mentre si approssimava alla roccia.

- È proprio ciò che penso, sì.

Emma estrasse il cuore di Merida. Lo strinse nella mano destra, come aveva fatto molte altre volte. Lo serrò forte e dolorosamente.

- Basta, la ucciderai! – esclamò Belle, venendo avanti.

Attirò Merida più vicina sé, la prese per il collo e infine spinse il cuore nel suo petto. Con poca delicatezza. – Non mi serviva più, in ogni caso.

La ragazza boccheggiò, senza fiato. Belle sciolse le corde che le univano i polsi.

- E i suoi fratelli? – chiese Gold.

- Stanno bene. Sono sani e salvi, al fianco della loro adorata madre. Adesso sbrigati con quella spada! – gridò l’Oscuro. – Il resto dell’accordo... dopo che l’avrai estratta.

- Un momento! – intervenne Belle. – Che succede se non riesce ad estrarla?

- Raccoglierai i suoi resti dal pavimento. Eri la sua domestica, una volta, no? – disse Emma, senza esitazioni. – Magari te li farò anche mangiare, quei resti. Dipende da quanto sarò arrabbiata.

Gold non commentò e allungò una mano verso l’elsa di Excalibur. Poi la ritrasse. – Belle...

Emma era stufa. Ne aveva abbastanza di contrattempi.

- Nel caso in cui non funzioni... voglio che tu sappia che mi dispiace. Per tutto. Se potessi tornare indietro... farei in modo di essere l’uomo che meriti... fin dall’inizio.

Belle non disse niente.

- Cambierei tutto per te.

- Certo, come se il suo vero amore fossi davvero tu. – disse l’Oscuro, con un sorrisetto. – Se ti fosse rimasto un po’ di sale in zucca, lo sapresti.

- Non è mai troppo tardi. – rispose Belle, ignorandola.

Gold assentì. Infine si rivolse alla spada nella roccia. Allungò di nuovo la mano e strinse l’elsa. La gemma rossa incastonata nel pomolo lanciò un barbaglio rosso, quasi una sorta di avvertimento. E Belle immaginò le cose peggiori. Immaginò le cose più tremende che, per un attimo, divennero certezze: se Tremo avesse cercato di estrarre Excalibur, il suo corpo sarebbe andato in frantumi. Lei si sarebbe gettata a terra e sarebbe rimasta così, con le sue ceneri sotto le ginocchia e tra le dita. Avrebbe davvero raccolto i suoi resti. Urlando. Poi sarebbero stati costretti a rinchiuderla in manicomio. O Emma l’avrebbe uccisa prima che qualcuno potesse trovarla.

Ma quando Tremo tirò, l’arma uscì facilmente dalla pietra, mostrando i disegni neri sulla lama. Gold vide che non era completa e capì da solo che cosa mancava. Il pugnale. La osservò per qualche momento, colpito dalla bellezza di quella spada. Belle sorrise, decisamente sollevata.

- Beh, un accordo è un accordo. – ammise Gold. La gettò ai piedi di Emma, quasi fosse un oggetto di scarso valore. – Dille dell’uomo che ha assassinato suo padre...

Emma raccolse la spada da terra. – Artù.

- Cosa? – rispose Merida.

- Re Artù. È lui l’uomo che ha ucciso tuo padre, trafiggendolo alle spalle. – Non la guardava, mentre diceva questo. Guardava la spada. Rimirava la lunga lama ondulata e già immaginava il momento in cui l’avrebbe riunita al pugnale.

- Artù... – mormorò Merida. Non sapeva dire se fosse più sconvolta o confusa. – Perché? Perché avrebbe dovuto farlo?

- L’accordo era che ti dicessi il nome dell’uomo che l’ha ucciso, non il perché. – rispose Emma. – Quello lo devi capire da sola. Come ha detto l’ex Oscuro... un accordo è un accordo.

- Se non contiene una menzogna... – aggiunse Gold, mentre Belle gli passava di nuovo il bastone.

- E perché mai dovrei mentire? Merida non mi serve più. Può avere questo nome e farne ciò che vuole, per quanto mi riguarda. – Le sue dita sfiorarono gli intarsi neri di Excalibur. – Ho ottenuto quello che volevo. Se mi permetti un consiglio, Merida... mi vendicherei. Camelot ha bisogno di un vero re. Non di un imbecille.

Regnò il silenzio. Merida aveva gli occhi che sporgevano dalle orbite e il cuore che le martellava nel petto.

- Avrai pure Excalibur... ma hai commesso un errore, un errore terribile. – disse Gold, accostandosi a lei.

- Oh, e quale? – chiese Emma.

- Mi hai trasformato in un eroe.

- Ci sono eroi ovunque, in questa città. E nessuno di loro è riuscito a fermarmi. – gli fece notare.

- Perché nessuno di loro... è me.


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Capitolo 11
*** 11. ***


11

 

 

 

 Henry entrò nella cripta di famiglia, pensoso e con l’aria molto provata. Al centro ribolliva il calderone nel quale andava gettata la Corona Cremisi, in modo tale da poter comunicare con Merlino. I suoi nonni e sua madre erano lì, con Uncino.

- Sei sicuro di volerlo fare? – domandò Regina.

- Sto bene, mamma. – rispose Henry, risoluto.

- Voglio dire, so che ne hai passate tante.

E non è l’unico, aggiunse fra sé.

“Si vede che non hai capito nulla, Regina. Io non intendevo uccidere Violet. E poi... visto che mi paragoni a tua madre... chissà che tutto questo non ti piaccia, in fondo”.

“Tua madre. Il tuo primo vero amore. Il più infelice di tutti”.

- La persona che voleva prendere il cuore di Violet... non è mia madre. – rispose Henry. – Ma Emma è ancora lì, da qualche parte. E farò di tutto per riportarla indietro.

Regina non poté fare a meno di essere fiera di suo figlio. Perché non perdeva mai la speranza e la trasmetteva anche a lei.

- Puoi farcela, ragazzo. – disse Uncino, dandogli la Corona Cremisi.

Henry prese il fungo e, senza esitazioni, lo gettò nel calderone.

Il fumo bianco che ne fuoriusciva ribollì e si accese di bagliori bluastri, per poi proiettare l’immagine trasparente di un uomo con la pelle scura e i capelli molto corti e neri. Il suo sguardo era fisso, non sembrava rivolto a nessuno in particolare, come se non li vedesse.

- Merlino? – chiese Henry. Si aspettava un uomo molto più vecchio. Invece il mago appariva giovane e robusto.

- Se state ascoltando questo messaggio, purtroppo significa che la situazione è precipitata. – disse il mago.

- Non è possibile. – commentò Regina, incredula. – Stiamo ascoltando la segreteria di Merlino?

- Il pugnale dell’Oscuro è la parte mancante di Excalibur. Un tempo erano un’unica arma e c’è solo un modo per riunirle. – continuò Merlino. – La fiamma di Prometeo.

David aggrottò la fronte. – Cos’è la fiamma di Prometeo?

- Riunendole, distruggerete l’oscurità, ma Nimue... – Non concluse la frase. Udirono un rumore, l’eco di un tonfo, come una porta che sbatte. Lo stesso che costrinse il mago a voltarsi di scatto. Quando tornò a rivolgersi ai destinatari del messaggio, il suo volto era assillato dalla preoccupazione. – Maledizione, l’Oscuro mi ha già trovato...

L’ologramma scomparve, risucchiato dai vapori del calderone. Tutti fecero un passo indietro, colti alla sprovvista.

- Che cosa diavolo gli ha fatto Emma? – domandò Uncino.

 

 
- Sai da dove nasce la magia, vero? – chiese Malefica.

- Dalle emozioni. Sì. – rispose Lily.

- Già. Devi alimentarla, la magia. Devi pensare ad un momento che... ti fa infuriare.  

Erano in un’altra zona della foresta. Malefica l’aveva portata lì quella mattina, pensando che fosse giusto che Lily imparasse a controllare il proprio potere.

- Beh, questo è facile. – disse sua figlia, con un guizzo divertito negli occhi.

E non poteva esserci davvero niente di più semplice. Aveva l’imbarazzo della scelta, in realtà, ma uno li superava tutti. Pensare a quei due idioti che la maledicevano e la bandivano, separandola da sua madre e costringendola a vivere una vita in un mondo che non era il suo, a vivere una vita della quale non aveva il minimo controllo.

Malefica sollevò lo sguardo osservando sua figlia, mutata in drago. La coda sradicò un albero e dalle fauci esplose una violenta fiammata che disegnò un sentiero incandescente.

Si affrettò ad intervenire. – Lily, ascoltami... adesso devi spegnere la tua rabbia. Devi contenerla, pensando ad un momento felice.

Al drago occorse qualche istante per raccapezzarsi. Nella sua forma più selvaggia Lily si sentiva totalmente libera, potente, inarrestabile. Desiderava solo levarsi in volo. Avvertire il vento contro le scaglie nere che la ricoprivano. Desiderava... distruggere. Voleva il fuoco. Voleva alimentare non solo la rabbia, ma la fornace che le bruciava nel ventre. Trovava anche molto difficile raccogliere i pensieri e metterli in ordine.

Spegnere la rabbia. Contenerla.

Malefica fece qualche passo indietro e attese. L’avrebbe fermata, se ce ne fosse stato bisogno, ma intendeva darle la possibilità di controllare la sua essenza.

Lily ripiegò le grandi ali e il collo, come se si stesse raggomitolando su se stessa. Infine una densa nube nera l’avvolse completamente, occultandola alla sua vista. Quando disparve, Lily era sdraiata tra le foglie e respirava a fatica per l’incredibile sforzo che le era costato recuperare la forma umana. Aveva lo stomaco in rivolta e i muscoli ancora tesi, rigidi.

Malefica si avvicinò e si chinò su di lei, appoggiandole una mano sulla schiena. – Va tutto bene, Lily. Sei stata brava.

Lei si girò lentamente e sollevò il braccio, forse per aggrapparsi a sua madre e rimettersi in piedi.

Invece accadde qualcos’altro.

Malefica spiccò il volo, ma non come drago. Sospinta all’indietro da un’onda magica estremamente potente, cadde in malo modo. Un gomito batté contro una pietra, mandandole una fitta dolorosissima su per il braccio. Si rotolò sull’erba, tenendosi il gomito, ma scoprendo che poteva ancora flettere l’arto.

Ma è stata lei?, pensò, stupidamente. È stata davvero lei?

Lily accorse, ma non le si accostò. Rimase a distanza. – Mamma... mi dispiace, non l’ho fatto apposta.

Malefica si tirò su, togliendosi qualche ciocca di capelli dal viso. La magia l’aveva colta alla sprovvista, ma avrebbe dovuto aspettarselo. Notò che Lily era indietreggiata di più e adesso stava con la schiena schiacciata contro un tronco.

“Mamma”.

Si rialzò in piedi, ignorando il dolore. – Non mi sono fatta niente, Lily.

- Forse... forse non dovresti insegnarmi... è troppo pericoloso. – Si sentiva più incontrollabile del solito. Non riusciva nemmeno a capire che cosa fosse giusto o sbagliato. Aveva ancora la mente confusa, intorpidita, come se la trasformazione l’avesse caricata troppo ed ora il potere stesse esplodendo in tutte le direzioni.

- Hai solo bisogno di essere guidata. – Malefica mosse qualche passo verso di lei, con cautela. – Ricordati che la magia nasce sempre dalle emozioni. Puoi controllarla. Dipende solo da te.

- Io non so controllarmi... non ci sono mai riuscita. Lo sai!

- Devi avere fiducia in te stessa, Lily. All’inizio è sempre difficile...

- No! Per me lo è sempre stato! Io faccio del male alle persone che mi si avvicinano... distruggo ogni cosa. È per questo che... – Trasse un profondo respiro. Si girò in là, perché non voleva guardare sua madre. – Emma ha ragione.

- Su cosa ha ragione? – Malefica era più vicina ora. Avrebbe potuto allungare una mano e toccarla, ma non voleva innervosirla ancora di più.

- Sapere di aver fatto qualcosa di buono a Camelot... mi rassicurava. Non ho mai fatto scelte giuste. Ho sempre preso le decisioni sbagliate e anche se non erano sbagliate... mi si rivoltavano contro. Per questo non ti ho detto niente...

Malefica assentì. – Lo capisco, Lily. So perché l’hai fatto.

Sembrava che Lily avesse altre cose da dire, ma non lo fece. Le parve più giovane e stranamente innocente mentre girava la testa di scatto. Malefica distese le braccia e l’afferrò, stringendola a sé. Sulle prime Lily s’irrigidì nel suo abbraccio, ma subito dopo i muscoli si rilassarono e lei serrò le palpebre, lasciando che sua madre la confortasse.

Rimasero così per un po’. Pian piano, Lily sentì che stava recuperando il controllo di sé. Poi si sciolse dall’abbraccio e sedette su un tronco caduto.

- Sai. – iniziò Malefica, sorridendo. – La prima volta che mi sono trasformata... ero più giovane di te e ho bruciato una parte della Foresta Incantata.

Lily emise un suono soffocato che sembrava una risata. – Giovane... faccio fatica ad immaginarti diversa da come sei adesso. Quando è successo? Mille anni fa?

- No... più o meno trecento, contando anche gli anni che ho passato sottoterra.

- Divertente. E... dopo aver bruciato un’intera foresta, cos’hai fatto?

- Non ho bruciato solo una foresta. Anche... delle persone.

Lily tacque per qualche momento e pensò a Murphy, al suo stivale che lo colpiva in faccia, a quello che aveva pensato... sì, ricordava anche ciò che aveva pensato in quel momento, mentre lo uccideva.

“Mia madre è un drago e se fosse qui ti avrebbe già dilaniato”.

- E se vuoi sapere cos’ho fatto... mi sono nascosta. Mi ci è voluto un giorno intero per recuperare le mie sembianze umane. – continuò Malefica.

Lily cercò di immaginarsi sua madre, un giovane drago fuori controllo, che cercava un modo per recuperare la forma umana senza fare del male a nessuno. Cercava di immaginarsela mentre sorvolava i cieli della Foresta Incantata, ammirando per la prima volta il mondo dall’alto. Mentre scopriva tutto il suo potere.

Pensò di parlarle del ragazzo che aveva abbandonato nell’area di servizio. Voleva farlo, ma non sapeva da dove cominciare.

- Malefica!

Lily vide Regina avvicinarsi a passo svelto. A giudicare dall’aria corrucciata doveva essere capitato qualcosa di serio. Malefica le andò incontro.

- Mi dispiace interrompervi. Ma dobbiamo parlare. – le disse Regina, lanciando un’occhiata a Lily. Abbassò leggermente la voce. - Si tratta di Emma. E anche di tua figlia.

 

 
Merida si protese verso la biforcazione e si issò, arrancando su per l’albero e facendo piovere fiumi di corteccia sull’erba. Puntò il ginocchio e, qualche momento dopo, aveva un piede piantato nella biforcazione dell’olmo. Quella maledetta pianta non stava ferma un secondo; dondolava nel vento. Le foglie frusciavano e stormivano. Tuttavia, Merida si spinse in avanti, lungo il ramo che sembrava in grado di reggere il suo peso. Il ramo si abbassava, ma non appariva in procinto di spezzarsi.

Attraverso uno spazio fra le fronde, la ragazza vide il punto in cui erano accampati Artù e i suoi uomini. C’erano tende un po’ ovunque, cavalieri indaffarati in varie attività, sentinelle ai margini dell’accampamento. La visuale era molto buona, nonostante la distanza. Non aveva potuto avvicinarsi più di così.

“Re Artù. È lui l’uomo che ha ucciso tuo padre, trafiggendolo alle spalle”.

Quella strega non aveva voluto dirle perché. Ma l’avrebbe scoperto da sola. Certamente lo sapeva già, solo che non ricordava. L’aveva scoperto ed era andata a cercarlo a Camelot, per questo, quando la maledizione era stata lanciata, anche lei si era fatta il viaggetto fino a Storybrooke.

Il re in questione uscì dalla propria tenda, accompagnato dalla moglie. Non era in armatura. Aveva una spada agganciata al cinturone, ma indossava solo una camicia sotto la giubba di cuoio.

Una delle sue frecce avrebbe potuto trapassarlo senza incontrare alcun ostacolo.

Il cuore le batteva con colpi lenti e pesanti.

“È il mio arco da guerra. L’ho usato quando ho combattuto la mia prima battaglia”, le aveva detto Fergus, dandole l’arco.

Merida aveva sorriso, saggiandone la corda e il legno.

“L’ho tenuto perché lo avessi tu. Perché lo usassi durante la tua prima battaglia”.

“Lo stai regalando a me?”

“Sì”.

“Grazie, papà”. Merida l’aveva preso, stringendolo con ammirazione e riverenza. Così come avrebbe potuto tenere un oggetto sacro. “Come mai? Stai cercando di indorarmi la pillola? Non puoi nascondermi niente”.

“Ah! Tua madre mi ha fatto promettere di tenerti al sicuro... così ho assunto un soldato perché ti addestrasse nell’arte della guerra”.

Merida, che stava provando la corda della sua nuova arma, immaginando di incoccare una freccia e prendere la mira, si era sentita presa in giro. Dietro di lei il soldato aspettava con indosso l’armatura e la spada già in pugno.“Credi che abbia bisogno di una balia che mi insegni a combattere? Ti faccio vedere io...”

Aveva davvero bisogno di una... balia, in effetti. Per questo Fergus aveva chiamato Mulan.

Poi rivide la battaglia. Vide gli invasori. Vide suo padre gettarsi nella mischia insieme ai suoi soldati e falciare un nemico dopo l’altro. Vide il cavaliere avvicinarsi furtivo a Fergus e sollevare la spada per colpirlo. Vide se stessa in cima alla collina mentre incoccava la freccia. Non aveva tempo di prendere la mira. Il cavaliere era già troppo vicino e si preparava a sferrare il colpo...

E la freccia l’aveva mancato, trapassandogli il mantello.

“Artù. È lui l’uomo che ha ucciso tuo padre, trafiggendolo alle spalle”.

Un furore incandescente montò dentro di lei. Pazzesco! Non poteva permettere a quell’uomo di passarla liscia!

Cercò a tentoni una delle frecce e, sfidando l’equilibrio precario che si era guadagnata, tese la corda del suo arco al massimo. Questa volta non poteva mancarlo. Questa volta...

“In combattimento non vince il più forte, ma il più furbo”, le aveva detto Mulan.

“La nostra futura regina ha fatto cadere la sua bambinaia. Peccato che non ci siano ragazze con cui battersi sul campo di battaglia”. Lord Macintosh, uno dei suoi pretendenti, era parso molto divertito dalla scena. Evidentemente non aveva mai visto due donne combattere con le spade.

“Perché tu non sarai là?”

“Merida, non ne vale la pena”.

“E perché no? Posso prenderlo a calci di fronte a tutti”.

Lord Macintosh era un pallone gonfiato. Molto più degli altri due pretendenti, MacGuffin e Dingwall. Era anche più alto di lei e decisamente più muscoloso, con una zazzera di capelli neri e l’aria spavalda. Fergus diceva che era uno dei guerrieri più forti e abili, ma Merida lo trovava insopportabile e pensava di poterlo battere, facendogli mangiare la polvere.

“Questo è essere forti, non furbi. Nessuno ti seguirà solo perché ha paura di te”, aveva detto Mulan, trascinandola via.

“Cosa posso fare per farmi seguire?”

“Questo è il tuo popolo, non il mio”.

Merida rilasciò la corda e, con le mani che tremavano, ripose la freccia nella faretra. Artù uscì dalla linea di tiro, andando incontro ad uno dei suoi uomini, che si inchinò rispettosamente e gli disse qualcosa. Il furore si era ritirato momentaneamente, permettendole di ragionare. Mai in vita sua si era sentita così sola e staccata da tutto.

Ma l’avrebbe affrontato. Avrebbe affrontato Artù in un vero combattimento. L’avrebbe sconfitto e gliel’avrebbe fatta pagare, vendicando suo padre.

O sarebbe morta provandoci.

 

 
- Quindi la spada è stata estratta. – disse Regina. Ancora non riusciva a capacitarsene.

- Sì. – confermò Belle, reggendosi al braccio di Gold. – Ma ce l’ha Emma.

- Abbiamo stipulato un accordo. – aggiunse Gold, appoggiando una mano sulla quella della moglie e sorridendo. – Io avrei estratto la spada e lei avrebbe restituito il cuore a Merida. L’ha rispettato. Del resto, è un Oscuro, ora. Non poteva resistere ad un accordo.  

Nell’ufficio del sindaco calò il silenzio. Un orologio ticchettava.

Regina faticava a vedere il suo ex maestro nei panni dell’eroe in grado di estrarre una spada che avrebbe ucciso chiunque di loro. Date le cose inspiegabili che erano accadute fino a quel momento, non avrebbe dovuto essere così sorpresa, forse, ma si trattava di Gold. Si trattava dell’uomo che era stata un Oscuro per trecento anni. Si trattava del suo insegnante. Di colui che l’aveva avviata su quella strada, la strada che l’aveva condotta alla prima maledizione.

- Nonostante tu non sia più l’Oscuro, non ti dispiace stipulare qualche accordo. – osservò Uncino, sollevando un sopracciglio.

- Ho fatto ciò che dovevo fare. Mi dispiace per la spada, ma non avevo molta scelta. Emma l’avrebbe presa comunque.

- E adesso la forgerà. Di nuovo. – disse Regina.

- Se ha ciò che le serve per forgiarla. Sì.

- La fiamma di Prometeo.

- Che cos’è la fiamma di Prometeo? – domandò Belle, perplessa.

- Emma non ne ha mai parlato? – chiese David.

- No. Almeno non davanti a me. Ma non mi sorprende. I piani degli Oscuri di solito sono nascosti. – commentò Gold.

Regina lo fissò, sbigottita.

- Che cos’hai, Regina? – domandò lui.

- Credo sia sorpresa di vederti nei panni dell’eroe. – rispose Belle. – Del resto... era disposta a lasciarti nelle mani dell’Oscuro.

- Io non ero disposta a... – cominciò Regina, alzando la voce. – Io dovevo...

“Si vede che non hai capito nulla, Regina”.

- Pensare ad Emma. – le venne in aiuto Gold. – Ne sono convinto. Occorreva darle una chance. Emma è la priorità in questo momento.

“Si vede che non hai capito nulla, Regina”.

Che qualcuno mi aiuti a capire, allora. Aiutatemi a capire o andrò a finire in manicomio, insieme a mia sorella.

E sarebbe stato d’aiuto anche trovare il modo di levarsi Emma dalla testa. Di levarsi tutto ciò che le aveva detto dalla testa.

- Sta per uscirmi di bocca qualcosa che non mi sarei mai aspettato di dire. – intervenne Uncino. – Il Coccodrillo ha appena detto la cosa giusta. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

- So che è più giusto dare una chance ad Emma. Lei era la Salvatrice. Inoltre... – Gold si rivolse a Regina. – La signorina Swan ha salvato la tua vita. Adesso lei merita di essere salvata.

“Non mi chiamare ‘signorina Swan’! Ne abbiamo passate troppe”.

- Ciò non significa che tu non lo meritassi. – osservò Belle.

- No, ma... io sono stato l’Oscuro per tanto tempo. Ho commesso molte azioni riprovevoli. Il fatto che non sia più quel genere d’uomo... non mi assolve, giusto?

“Ci deve essere un altro modo!”

“Non c’è. Hai faticato troppo per vedere la tua felicità distrutta”.

Nessuno rispose.

- C’è un’altra cosa. – riprese Belle. – Artù.

- Lo sappiamo. – David si grattò la testa, amareggiato. – Non è quello che sembra. Non possiamo fidarci di lui. La Corona Scarlatta ci ha permesso di parlare con Merlino...

- Quindi Merlino è...

- Non sappiamo dove sia. – disse Regina. – Sappiamo però che la fiamma di Prometeo serve per ricongiungere le due lame. E che Artù ha cercato di bruciare la Corona. È stato tutto merito di Henry se abbiamo potuto avere il messaggio di Merlino.

Il ragazzino arrossì leggermente, ma non disse nulla. Sorrise a sua madre.

- Emma non ha mai nominato nemmeno una certa... Nimue? – chiese Mary Margaret. – Merlino stava per dirci qualcosa di importante su di lei, nel messaggio.

Gold rifletté. Poi scosse il capo. - No. Mai.

 

***

 

Camelot. Tre settimane prima della maledizione.

 

- Quindi potete farlo... – disse Azzurro. – Potete riunire il pugnale ad Excalibur e ricreare l’arma originale?

- Lo spero. – rispose Merlino.

- E potremo usarla per aiutare Emma. – concluse Neve.

- Forse. Ma mi servono gli ingredienti per riunirla. E questa sarà la mia missione... con Emma. Da parte vostra ho bisogno...

- Delle due lame. – concluse Regina, seduta ad uno dei tavoli del Granny’s, vicino a Robin.

- Siamo praticamente in guerra. Prendere la spada di Artù non sarà un’impresa facile. – osservò il ladro.

- Dato che vedete il futuro. – intervenne Uncino, seccato. – Avete qualche suggerimento da darci?

- Il futuro non è... chiaro. Non lo è mai. – rispose Merlino.

- Certo che non lo è! Ci state mandando oltre le linee nemiche, ma quando si tratta di entrare nello specifico... è tutto poco chiaro, vero? – gridò il pirata, furibondo.

- Tu hai un’idea migliore? – intervenne Lily, anticipando Azzurro. – Perché se ce l’hai, ti conviene condividerla, invece di restartene lì a guardare Emma dalla finestra.

- Lily... – prese a dire Malefica.

Emma era seduta su una roccia, davanti al Granny’s e fabbricava i suoi acchiappasogni. Da quando lei e Lily erano sparite nel nulla per andarsene chissà dove non aveva più detto una parola. Era  molto concentrata, nervosa e anche molto cupa. Le sue mani si muovevano rapidamente, mentre creavano la rete interna dell’oggetto magico.

- Non sono io lo stregone qui! – replicò Uncino. – Lui è quello che sa come distruggere l’oscurità. Ma non ci sta aiutando per niente. O per lo meno... io non vedo come possa esserci utile, se non ci dà nemmeno suggerimenti... lui che vede tutto!

- Almeno lui vede qualcosa. – continuò Lily. – Tu non sei capace di vedere ad un palmo dal tuo naso. A volte sembra che tu non sappia con chi hai a che fare.

- Con uno stregone che dice di sapere come aiutare Emma, ma non è sicuro nemmeno lui se funzionerà. Vuole portarla da qualche parte, a prendere un ingrediente segreto per riunire quelle maledette armi... ma non vuole dirci né dove stanno andando né cosa è necessario fare! Questo è davvero il mago più potente del reame? – Killian era realmente fuori di sé.

- Non parlo solo di lui. Parlo di Emma. – lo interruppe Lily. – Sei preoccupato per lei e sai una cosa? Tutti lo siamo! Questa non è la tua battaglia. Tu non hai nemmeno la più vaga idea di che cosa voglia dire.

- Credi davvero che non lo sappia? – Killian mosse qualche passo verso Lily, trafiggendola con i suoi occhi azzurri. Puntò l’uncino contro di lei. – Ho molti più anni di te, mutaforma. Ho viaggiato in lungo e in largo e ho passato secoli ad inseguire l’Oscuro, a cercare un modo per liberarmene!

- Io ho passato tutta la mia vita con il potenziale oscuro di Emma dentro di me, perché qualcuno aveva deciso di maledirmi. – esclamò Lily, lanciando un’occhiata a Neve e ad Azzurro. – Ci sono parecchie persone che potrebbero dirti quanto posso essere pericolosa.

- Oh! Certo. Non lo metto in dubbio. Nel mio caso... ce ne sono decine. Centinaia. Vedi questi anelli? Appartengono tutti a degli uomini che ho ucciso. Ecco, guarda. - Le mostrò un anello che portava all’anulare, un grosso anello con una pietra rossa. – Questo apparteneva ad un uomo di nome Barnaby. Mi ha chiamato Jones Mano Monca. L’ho ucciso davanti a sua moglie.

- Senti, Uncino... – prese a dire Azzurro.

- Ho una spada sulla mia nave. – continuò il pirata, sempre fissando Lily. – Una spada appartenuta ad un Bambino Sperduto dell’Isolachenonc’è, che rispondeva agli ordini di quel demonio di Pan. Il suo nome era Rufio. Abbiamo combattuto. E a lui è andata male. Ho preso la sua spada. Potrei raccontarti altre storie come questa o peggiori di questa. Storie oscure.

Lily non era per niente sorpresa. – Io ho ucciso un uomo in un area di servizio, un paio di anni fa. L’ho preso a calci, gli ho spaccato la testa, perché mi aveva detto di fottermi. E poi l’ho lasciato là. Solo poche ore prima avevamo rapinato un tizio che il mio complice aveva ammazzato, perché era scattato un allarme. A me non è mai importato niente di quelle persone. Ma mi importa di Emma. Proprio come importa a te.

Malefica guardò Lily, incapace di proferire una parola.

- Tu non hai visto davvero l’oscurità di Emma. Sai che esiste, vedi quanto è difficile per lei, ma non l’hai percepita sul serio.

- Tu sì, vero? Cos’è successo quando Merlino è stato liberato? Dove siete state tu ed Emma?

Zelena, che aveva passato tutto il tempo sdraiata sul bancone, incapace di dire la sua, seguiva ora il tutto con molto interesse.

Lily sorrise. – Ti piacerebbe saperlo. Evidentemente se Emma non ti ha detto nulla, non pensa che tu debba venirne a conoscenza. Non sono affari che ti riguardano.

Uncino sollevò un dito, pronto a ribattere, ma Regina ne aveva abbastanza, per quanto avesse apprezzato che il pirata ricevesse la sua dose di freddure.

- Io credo – cominciò Regina. – Che questo non sia il modo giusto di agire. Quindi ora basta. Merlino porterà Emma nel posto in cui troveranno l’ingrediente che manca per riunire Excalibur e noi ci occuperemo della spada di Artù. Stare qui a discutere serve a ben poco. Dobbiamo aiutare Emma.

- Per una volta la Regina Cattiva non ha tutti i torti. – rispose Lily. Ignorò totalmente il pirata.

- Già. So che cosa significa perdere qualcuno per colpa dell’Oscuro. – confessò Merlino, osservando Killian. – E so che l’amore può aiutare. Se lo trovate.

Nessuno rispose.

- Parlerò ad Emma della missione. E partiremo il prima possibile. – annunciò, poi, il mago.

- Bene. Intanto noi come entriamo nel castello? – chiese Lily.

Merlino uscì, lasciando che parlassero liberamente di strategie militari.

- Dal cancello principale. - propose Azzurro. Dispiegò una mappa che rappresentava il castello di Artù e la zona circostante. – Dobbiamo coglierli di sorpresa.

Lily aggrottò la fronte. Zelena colpì la propria, di fronte, con una manata. Si tirò su.

- Dopo quello che è successo, saranno sul chi va là. È l’unica idea che ti è venuta, principino? – chiese Malefica. – È ovvio che dobbiamo usare un’altra entrata. E che abbiamo bisogno di un diversivo.

- Che diversivo? – chiese Uncino, ancora piuttosto nervoso.

- Un drago. – disse Lily, semplicemente. – Un drago che si occupi degli uomini sparsi intorno alle mura e li tenga occupati. Il più a lungo possibile. Quel drago posso essere io.

- No... – cominciò Malefica.

- Sì, invece. – ribatté Regina, alzandosi in piedi.

Malefica la fissò, allibita.

- Anche noi abbiamo bisogno di un drago. Un’arma in più quando saremo dentro ci farà comodo. – spiegò. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. Attraverso le persiane vedeva Emma impegnata nel suo nuovo hobby. Distolse lo sguardo.

- È la seconda volta che siamo d’accordo. Inizio a preoccuparmi. – commentò Lily.

- Bene, signore, ma non abbiamo ancora capito come entrare. Il cancello principale non è una buona idea. Saremo troppo esposti. – disse Killian, agitando il suo uncino.

- Ho la magia. – disse Regina. – O te ne sei dimenticato? Mi aprirò un varco. E poi potrò comparire nelle stanze di Artù...

Zelena emise un verso di sdegno, attirando l’attenzione dei presenti.

- Cosa c’è? – chiese Regina.

La strega allargò le braccia.

- Va bene. Se proprio devi fare una scenata, tanto vale che parli. – Regina le restituì la voce con un gesto della mano.

Zelena si portò le mani alla gola, estasiata. – Oh! Oh, finalmente. Che bello sentire una voce ragionevole.

- Sputa il rospo. – la invitò Regina. – Cos’avevi in mente?

- Penso che l’idea di usare un drago come diversivo non sia affatto male, ma quella di entrare nel castello dall’entrata principale sia una mossa suicida. Bisogna entrare nel castello senza farsi notare. Beh, il drago lo noteranno, ma penseranno sia un attacco deliberato per spaventarli. Tuttavia, capiranno presto che si tratta solo di un diversivo.

- Oh, e come evitiamo di farci notare? Usiamo un deltaplano? – domandò Azzurro, sarcastico. – O una fionda gigante?

- Se Sir Sarcasmo mi lasciasse finire, ve lo direi. Dovete sapere che, mentre recitavo la parte dell’ancella muta di mia sorella, stavo preparando la mia fuga. – annunciò, come se fosse la faccenda più normale del mondo.

- Lo sapevo. – rispose Regina.

- E ho trovato una via d’uscita. – precisò Zelena. – Dato che so come uscire, so anche come entrare.

- E tu ci aiuterai? – chiese Regina, aspettandosi una trappola. Era inevitabile che ci fosse il tranello.

- Ma certo. Perché tu aiuterai me. – Mostrò il bracciale nero. – Rivoglio la mia magia.

 

 
- Finora non ho fatto altro che vedere Tremotino. Una voce nella mia testa. – disse Emma. – Ed ora vuoi che... incontri un altro Oscuro?

- Sì. – disse Merlino, seduto sulla roccia accanto a lei. Tra di loro, un mucchio di acchiappasogni. – E non uno qualsiasi. Il primo Oscuro. L’originale. Quello che ha dato il via a tutto il male che è venuto dopo.

Il piano era quello. Trovare la fiamma di Prometeo. Il suo calore aveva forgiato Excalibur un tempo ed ora quel calore poteva ricongiungere la spada spezzata alla sua parte mancante. Il pugnale. Ma Merlino era angosciato. Molto. Il primo Oscuro era lo stesso che l’aveva mutato in un albero, strappandogli anche la donna che amava. E se lo stregone più potente del reame era angosciato, allora la questione era molto seria.

- Vinceremo? – chiese Emma.

Merlino rifletté. – Vedo due strade davanti a noi, Emma. In una, resisti al richiamo dell’oscurità e quindi avremo successo. Nell’altra, tu soccombi all’oscurità ed io non faccio ritorno. Morirò.

- Morirai? Ma come...?

- L’immortalità ha le sue eccezioni. Un Oscuro può uccidermi.

- Ma non sarà lì. Non per davvero.

Si accorse quasi subito di aver appena detto uno sciocchezza. Certo che ci sarebbe stato un Oscuro. Se lei non resisteva all’oscurità, se il primo Signore Oscuro la convinceva a sottomettersi al male, Merlino non avrebbe avuto chance.

- Lo farò io. Se tu muori... morirai perché io ti ucciderò.

- Se accadrà, vorrà dire che hai perso la tua battaglia. Tutte le persone che ami saranno alla mercé dell’Oscuro più potente che sia mai esistito. Tu.

Emma iniziava a capire quale fosse il prezzo da pagare. Incontrare il primo Oscuro, colui che era stato tutti gli Oscuri, compreso Tremotino, colui che era anche dentro di lei adesso, sarebbe stata dura. Sarebbe stato un lavoro folle. Un lavoro quasi impossibile. Il desiderio di cedere all’oscurità sarebbe stato enorme, avrebbe avuto un fascino senza precedenti.

- Non voglio pressarti. – aggiunse Merlino, come se ce ne fosse stato bisogno.

 

 
“Tutte le persone che ami saranno alla mercé dell’Oscuro più potente che sia mai esistito. Tu”.

- Tornerai presto? – domandò Lily, avvicinandosi al pozzo, dove Emma sostava, pronta per andarsene con Merlino.

- Al tramonto, se tutto va bene.

- Andrà bene.

Emma sorrise. Lily notò che aveva qualcosa di nuovo, una collana alla quale era agganciato un anello. Di certo era un regalo di Uncino. Si infilò una mano in tasca, cercando il giglio che le aveva donato solo il giorno prima.

- Piuttosto, fai attenzione. So che vuoi essere il... diversivo. – le disse Emma. – E so anche che non vedi l’ora di esserlo.

- Pensa a ciò che ti fa arrabbiare di più per usare il potere... poi pensa a qualcosa che ti rende felice per controllarlo. – declamò Lily. – Mia madre non fa che ripetermelo.

- Tieni stretti i tuoi pensieri felici, allora. Così continuerai a volare. – osservò Emma.

- Non ne ho molti. Ma quei pochi non mi sfuggiranno di certo.

Istintivamente Emma l’abbracciò. Lily ricambiò dopo un momento, leggermente impacciata.

Regina spostò gli occhi su di loro. Robin le stava dicendo qualcosa, ma lei faticava a seguire il discorso. Non avrebbe dovuto guardare, si sentiva come un’intrusa, eppure non poté fare a meno di osservarle.

Quando si separarono, Emma si girò verso di lei e i loro sguardi si incrociarono per qualche istante. Regina lesse la paura negli occhi verdazzurri della nuova Oscura, ma anche la determinazione che era parte integrante del carattere della Salvatrice. La determinazione, la voglia di farcela, la tensione e il desiderio di porre fine a tutta quella storia. Ma sapeva che la lotta sarebbe stata all’ultimo sangue. Merlino non era stato molto chiaro sulla missione, ma Regina immaginava che Emma sarebbe potuta tornare cambiata. E a quel punto? Se Emma, al suo ritorno, si fosse rivelata solo un involucro contenente un altro essere, cosa avrebbe fatto lei?

“Io ti ho salvata. Ora tu salva me. E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

Doveva ucciderla, sì. Sperava con tutta se stessa di non essere costretta ad arrivare a quel punto, perché era sicura che affondare il pugnale nel corpo di Emma le avrebbe fatto saltare qualcosa nella mente. Se fosse stata costretta, se Emma si fosse dimostrata troppo pericolosa, Regina non si sarebbe fatta ammorbidire né da suppliche né da minacce, ma eseguendo ciò che Emma le aveva chiesto, si sarebbe trasformata a sua volta in un Oscuro. Non conosceva una via alternativa. L’oscurità l’avrebbe ripresa e qualcun altro avrebbe dovuto prendere il pugnale e fermarla. Così si sarebbe creato un girotondo da incubo.

Ed Henry? Chi avrebbe pensato ad Henry?

Emma staccò gli occhi dai suoi e raggiunse Merlino.

 

 
Lei e il mago camminarono per un lungo tratto nella foresta. A mano a mano che proseguivano subentrava un senso di spazio. Il sentiero che stavano percorrendo si allargava, gli alberi diventavano più alti e vecchi.

- Vuoi riposarti? – le chiese Merlino, ad un certo punto.

- No. – rispose Emma. – Sto bene. Manca molto?

- Non tanto. Tu vieni dietro a me; io la strada la conosco. Bisogna procedere in modo rapido e sicuro.

Emma batté le palpebre. Più si inoltravano nella foresta e si avvicinavano al luogo in cui avrebbero dovuto incontrare il primo Oscuro, più l’espressione di Merlino si faceva rigida, ansiosa, scura. I suoi occhi saettavano qui e là. Non rallentò mai il passo e la sua voce non suonò mai tremante o nervosa, ma Emma lo sentiva. Sentiva il suo stato d’animo. Sentiva che tutti i suoi pensieri erano rivolti alla donna che aveva amato.

- Sai, quando Tremotino è apparso per la prima volta, mi ha detto che avrei continuato a vederlo fino al momento in cui non avessi abbracciato i miei poteri. – disse Emma, non volendo andare avanti immersa nel silenzio.

- L’hai fatto? – chiese il mago.

Emma si fermò, riflettendo.

“Vedi, Lily, mi dispiace molto. Avrei dovuto pensarci prima. Il dolore di Regina è... vero. È un dolore terribile. Ma potrebbe non essere sufficiente. Non posso correre questo rischio. Non ho più tempo, ormai”

“Il tuo dolore, invece... è ancora molto reale”.

- Ho fatto alcune cose malvagie, di recente.

Merlino attese il resto.

- Ho ferito una persona a cui tengo. Lily. La lacrima che ti ha liberato... era sua. Ed io l’ho presa con la forza, sfruttando i miei poteri. – gli spiegò. – E se ci penso bene... mi è piaciuto farlo. Per questo mi sento in colpa: mi è anche piaciuto usare il mio potere. Questo vuol dire che l’oscurità sta vincendo.

Merlino non la smentì. Si limitò a tacere.

- Ma c’è ancora speranza, no? – continuò Emma. – Se mi stai portando a cercare questa scintilla... significa che credi ci sia ancora speranza...

- La speranza c’è sempre. – rispose Merlino, sorridendo comprensivo. – Ed è lassù.

Erano arrivati ai piedi di un pendio molto ripido, cosparso di pietre e alberi.

E c’era una forza là intorno, sì. Ora Emma la percepiva.

- È molto in alto. – commentò.

- Possiamo farcela. – disse Merlino. – La domanda è: scenderò?

Senza aspettare la sua risposta, il mago si spostò un po’ sulla sinistra e iniziò la scalata. Non si inerpicava. Non si arrampicava come chi procede lungo un versante roccioso, ma saliva semplicemente, quasi i suoi piedi stessero affrontando una serie di gradini. Procedeva come chi sa quale sarà il suo prossimo passo. Non guardava indietro e non cercava punti di appoggio.

Emma cercò di seguirlo con la stesse tranquillità, sebbene le ultime parole di Merlino l’avessero terrorizzata. Il primo Oscuro la aspettava in cima a quella salita. Il primo. L’originario. Era là apposta per trascinarla nelle tenebre. E costringerla a porre fine alla vita millenaria di Merlino.

“Se mi stai portando a cercare questa scintilla... significa che credi ci sia ancora speranza...”

Pensò a suo figlio Henry. Pensò a Lily, destinata a fare da diversivo mentre gli altri penetravano nella dimora di Artù. Pensò a Regina, a quando le aveva consegnato spontaneamente il pugnale perché la salvasse o la distruggesse, se fosse stato necessario. E se lei avesse ucciso Merlino, diventando il Signore Oscuro più potente mai esistito... Regina sarebbe riuscita a fermarla prima che spazzasse via tutto?

Deve. Regina deve fermarmi.

Quando giunse in cima, Merlino tese il braccio e la aiutò a raggiungere la meta.

- Come va, Emma? – chiese il mago.

- Benissimo. – rispose lei, forse con un po’ troppo enfasi.

- Guarda, ci siamo.

Le nebbie si aggiravano tra i vecchi alberi spogli che li circondavano e lì il sole non arrivava. Erano su una sorta di piattaforma, disseminata di ciottoli e grosse pietre, in mezzo alla quale faceva bella mostra di sé un’antica struttura in mattoni semidistrutta, sulla quale si era arrampicata la vegetazione. Appariva come un posto desolato, abbandonato da tantissimo tempo. Un posto adatto agli spettri e che ospitava brutti ricordi.

In quello che doveva essere stato il suo centro c’era un altare.

- Questa struttura segna il luogo del furto di Prometeo. – spiegò Merlino, approssimandosi ad essa. – La fiamma rubata bruciò per molto tempo, abbastanza a lungo perché Excalibur potesse essere forgiata e spezzata qui.

Vi fu una breve pausa, mentre Emma osservava l’edificio crollato.

- Qui è anche dove il primo Oscuro uccise Nimue. La donna che amavo.

Emma sapeva di aver sentito quel nome da qualche altra parte, forse in qualche versione della storia di Camelot diffusa nel suo mondo. Ma non ci si soffermò troppo. – Cos’è successo alla fiamma?

- Il primo Oscuro l’ha presa. È ancora in suo possesso, sotto forma di un pezzo di carbone con la fiamma che arde in esso.

- Quindi lo devo prendere. Bene. Cominciamo. – Non voleva perdere altro tempo, quindi aspettò che Merlino le dicesse cosa fare.

Lui, invece, le diede il pugnale.

Emma lo afferrò subito. – Te l’ha dato la mia famiglia?

- Non ho chiesto il permesso. – mormorò Merlino. – Ma ti serve quel potere per chiamare il primo Oscuro, per tornare indietro, all’origine della magia oscura.

Il pugnale le spedì una scossa lungo il braccio. La scossa mutò, diventando un formicolio intenso e costante.

- Formicola. – commentò Emma, con voce rauca. Il cuore aveva preso a battere forte. Il potere la stava invitando. Lo avvertiva intorno a sé. Era vivente. Immenso. – Sento come... tante formiche sul braccio. È sicuro?

- Certo che no. – rispose Merlino. – Ti ho appena consegnato il pugnale. Il tuo potere non ha più freni e potresti uccidermi anche ora. Richiama gli Oscuri, Emma.

Nell’aria greve di umidità tutto taceva. Sembrava che il luogo la stesse aspettando. Che aspettasse una sua mossa per ridestarsi.

- Ferma l’oscurità, prima che ti consumi. – sussurrò a se stessa, mentre sollevava il pugnale. Si rese a malapena conto di averlo detto, di aver pronunciato una frase che Regina aveva detto a lei.

Richiama gli Oscuri, pensò. Richiamali.

Tremotino. Zoso. Gorgon.

Tremotino.

Il nome sulla lama del pugnale mutò. Il suo sparì, risucchiato verso l’alto per lasciare posto a quello del precedente Oscuro, ancora in coma a Storybrooke. La sua mente, a margine, pensò alla slot machine di un casinò. Nello stesso momento sentì vibrare sotto di sé il terreno antico. Ebbe l’impressione di udire il rumore di rami calpestati e di vegetazione schiacciata da inimmaginabili piedi, ma forse era tutto nella sua testa.

Zoso.

Una fugace immagine le passò davanti agli occhi. Quella di un uomo alto, dai lineamenti sgradevoli, indelicati, gli occhi accesi e la pelle verdognola com’era stata quella di Tremotino.

Gorgon.

Rivide l’enorme cinghiale sputa fuoco e le sue orecchie sentirono il possente ruggito della belva.

Il pugnale sussurrava. I nomi correvano veloci, le lettere si confondevano e il pugnale sussurrava. Mille voci si assieparono nel suo cervello, farfugliavano parole incomprensibili, ma intriganti. Lei non staccava gli occhi dalla lama.

Rothbart.

Il nuovo nome brillò sul pugnale per qualche momento. Lei scorse la faccia ghignante di un uomo munito di folti baffi rossi, con il capo in parte celato dal cappucce nero della tunica. Riuscì a vedere una parte del suo viso... le vene gonfie e verdastre che lo solcavano.

Cornelius.

Richiama gli Oscuri. Chiama il primo Oscuro.

Emma si morse un labbro quasi a sangue mentre osservava l’ennesimo nome. Cornelius era un uomo immenso. Nella visione indossava un’armatura, ad eccezione delle braccia, che erano muscolose e nude. Il volto era nascosto dietro una maschera a forma di teschio con corna di cervo.

Indietro, ancora più indietro. Molto di più.

Tremotino. Zoso. Gorgon.

La magia ha sempre un prezzo.

Rothbart. Cornelius.

Tremotino. Zoso. Gorgon. Rothbart. Cornelius.

Emma Swan.

- È solo nella mia testa. – mormorò, chiedendosi anche da dove venisse il fiato per parlare. Il suo corpo era una massa formicolante. La sua testa era una scatola piena di sussurri, di sibili. L’oscurità le danzava dentro e si librava ovunque, senza darle tregua. – È solo nella mia testa.

Nella mia testa. Solo nella mia testa.

Sussultò quando scorse il primo Oscuro in piedi davanti a lei, una figura avvolta nella tunica nera, che era simile a quella che aveva addosso lei quando era giunta nella Foresta Incantata, dopo la trasformazione. Non lo vide in faccia, poiché portava la maschera dorata che aveva già visto il giorno in cui aveva frugato nei ricordi di Merlino con l’acchiappasogni.

- Ce l’hai fatta. – disse Merlino.

- Lo vedi anche tu? – domandò Emma, senza distogliere lo sguardo.

- Sì. Il potere ha i suoi vantaggi. – Nella voce di Merlino c’era qualcosa di indefinibile. C’era angoscia. Moltissima. Sembrava che stesse tremando. – E non è un lui.

Emma si girò di scatto verso il mago. Poi abbassò gli occhi sul pugnale e vide il nome impresso sulla lama. Il primo Oscuro.

Nimue.

Vi fu un suono, una risata acuta che terminava in un singhiozzo. Seguì un breve silenzio, poi la risata si ripeté, simile ad uno stridulo gridolino maniacale che raggelava il sangue.

“Qui è anche dove il primo Oscuro uccise Nimue. La donna che amavo”.

“Tu l’hai distrutta. Ed ora io distruggerò te”.

Emma ebbe un’altra, fugace visione. Una giovane donna con una folta chioma di capelli scuri, il viso cosparso di efelidi, gli occhi molto chiari che risaltavano per via della carnagione olivastra. Era bella e il suo volto era dolce e luminoso.

La donna davanti a lei si tolse la maschera. Sotto il cappuccio della tunica Emma vide il viso di colei che Merlino aveva amato, colei che l’aveva intrappolato per centinaia di anni. Si abbassò il cappuccio, gettandoselo sulle spalle. La sua pelle era verde e viscida come quella di un rettile e i capelli erano raccolti in una crocchia.

- Nimue. – disse Emma.

- Sì. – rispose il primo Oscuro, osservandola. Gli occhi erano altrettanto verdi, ma era una sfumatura diversa rispetto al colore della pelle. Erano grandi, le iridi occupavano quasi tutta la sclera. – Io sono Nimue. E tu sei Emma. Che bello. Il primo Oscuro e l’ultimo... qui, insieme, come sorelle.

- Ha senso. – si rese conto Emma. – Tu hai ucciso la donna che amava, perché ha ucciso la donna che eri. Perché non me l’hai detto?

Merlino trovava difficile dominarsi. Evitava di guardare in faccia Nimue, ma era prostrato. Quando parlò, la voce era intrisa di sofferenza, le ricordò la voce nelle memorie rievocate con l’acchiappasogni. – Te l’ho detto. Questa creatura è il primo Oscuro, non la donna che amavo.

- Da quanto tempo, Merlino... – disse Nimue, insinuante. – Più di settecento anni. Sapevi che prima o poi sarebbe successo. Che ci saremmo rivisti. Cosa fai, non mi guardi nemmeno?

I suoi occhi avevano un potere, Emma lo percepiva chiaramente.

Merlino sollevò i suoi. – Ho pensato a te... ogni giorno.

- E nel tuo ultimo giorno, io sarò il tuo ultimo pensiero. Poetico! – Nimue si scagliò in avanti per colpire il mago ed Emma intervenne istintivamente, spingendolo via con la magia.

- Perché stai facendo questo? Tu lo amavi! – gridò.

- Anche quando ami qualcuno, devi essere capace di dire ‘no! Questo è mio. Non potete portarmelo via!’ – Nimue si rivolse a lei. Lo sguardo, ora, bruciava di rabbia. Era dilatato e la fissava con implacabile concentrazione. – E se non ti ascoltano, se cercano di impedirti di essere te stessa... allora non hai scelta. Li devi uccidere.

“Ferma l’oscurità, prima che ti consumi”.

“...se non ti ascoltano, se cercano di impedirti di essere te stessa...”

La voce di sua madre, che poi sollevava il pugnale per controllarla, per impedirle di uccidere Merida: “Non possiamo permettere che lo faccia”.

Regina:“Io sono la Salvatrice. Sono colei che libererà Merlino”.

“Questo è mio. Non potete portarmelo via”.

- E tu lo stai facendo. – aggiunse Nimue, ormai vicinissima a lei. Era come Tremotino. Come le voci nella sua testa. Solo molto più forte. Più persuasiva. Penetrava più in fondo. Possedeva quella spaventosa attrattiva, quel sinistro scintillio. Quel fascino. – Uccidi Merlino e ricomponi Excalibur. Ma non per distruggere l’oscurità. Ricomponila e uccidilo per prendere ciò che ti appartiene di diritto. Il potere. Diventa ciò che desideri. Non permettere a nessuno di controllarti.

- Non voglio essere questo... non voglio fargli del male. – balbettò confusamente Emma. – Non è... non è giusto. L’oscurità... non la desidero.

- Invece sì. Tutti gli Oscuri la desiderano. Noi siamo questo. – Nimue allargò le braccia. – Le persone che ami sono solo un impedimento. Un tempo... un tempo Merlino voleva fermarmi. Voleva impedirmi di... prendermi ciò che meritavo. Ovvero la vendetta.

Emma venne trascinata in un gorgo allucinante di immagini. Vide l’uomo che aveva portato la maschera dorata prima di lei. Un signore barbaro di nome Vortigan. Il nome lo conobbe all’istante, perché Nimue le stava trasmettendo tutte le sue memorie. Vortigan aveva un volto terribile, una faccia spigolosa e brutale, costellata di cicatrici.

- Oh, sì. Vortigan. Lui uccise la mia gente e distrusse il mio villaggio. Li uccise senza pietà. – Nimue scoprì i denti in una smorfia animalesca. Ora sembrava stesse ringhiando. Merlino era ancora bloccato a terra. - Quando ho avuto il suo cuore nelle mie mani... Merlino ha cercato di fermarmi. Voleva che lo risparmiassi! Voleva che risparmiasse l’uomo che aveva rovinato la mia vita! Non poteva farlo. Tu lo capisci, vero Emma? Rispondi. L’avresti risparmiato? Avresti risparmiato l’uomo che si era preso la tua casa e la tua famiglia? Che ti aveva lasciato con un maledetto pugno di semi?

- No... – mormorò Emma. No, certo che no. Se qualcuno avesse fatto del male ad Henry o alla sua famiglia... non sarebbe mai sopravvissuto. L’avrebbe preso e fatto a pezzi. Perché lei era l’Oscuro.

- Ho disintegrato il cuore di Vortigan e tu farai lo stesso con quello di Merlino. Uccidilo. Adesso! Fallo!

Prima che potesse rendersene conto, Emma si mosse in avanti e fu addosso a Merlino. Lo bloccò al suolo, afferrandolo per il collo. E iniziando a stringere.

 

 
- Bene. – disse Azzurro, sbirciando attraverso la cancellata che bloccava l’accesso segreto alla dimora di Artù. La galleria, secondo Zelena, avrebbe dovuto condurli proprio nel cortile interno. Non c’erano guardie nei dintorni e non c’erano perché l’ingresso era protetto da un incantesimo. – Dovrebbe andare nella direzione giusta. Forse il tuo suggerimento è utile. Per ora.

- Grazie. – rispose Zelena.

- E se ci conducesse da un’altra parte? – intervenne Lily, approssimandosi all’entrata. – Per esempio, dalle guardie di Artù... oppure il tunnel potrebbe finire dritto in un pozzo senza fondo.

Regina osservava le sbarre che li separavano dalla galleria. Poteva anche essere una trappola, Lily aveva ragione. Ed era già la terza volta che era d’accordo con quella ragazza. Ma Regina pensava anche a Merlino e a dove diavolo avesse portato Emma. Si chiedeva che cosa sarebbe accaduto una volta terminata quella parte della missione. Ma soprattutto pensava... agli occhi di Emma un attimo prima di seguire il mago. Pensava al modo in cui l’aveva guardata dopo aver abbracciato Lily. Regina sapeva che quella sarebbe potuta essere l’ultima volta che vedeva Emma... integra. Ancora in sé. Quello sarebbe potuto essere l’ultimo sguardo. L’ultimo sguardo di Emma così come l’aveva conosciuta. Non voleva soffermarsi su una simile idea.

- Hai intenzione di restare lì a sognare ancora per molto, sorellina, oppure vuoi togliermi questo dannato affare? – Zelena le mise sotto il naso il bracciale nero, costringendola a riscuotersi.

- Stavo riflettendo sul piano. – rispose, senza esitazioni. – Sai, è vero. Potrebbe essere una trappola. Conoscendoti, sarebbe strano se non lo fosse. Se riusciremo ad uscire sani e salvi con la spada, allora ne riparleremo.

Zelena le rivolse un’occhiata furibonda.

- Mary Margaret... ti dispiace tenerla d’occhio? – domandò Regina.

- Oh, con piacere. – rispose Neve. – Potremmo chiacchierare e scambiarci consigli  sulla gravidanza.

- Santo cielo! – esclamò Zelena, roteando gli occhi. – Questo è molto peggio che essere rinchiuse in una cella!

- Lily. – intervenne Malefica. – Tocca a te.

Lei annuì. Si allontanò dalla cancellata e guardo in su, guardò il cielo coperto.

- Ricorda quello che ti ho detto. – disse sua madre, appoggiandole una mano sul viso. – Puoi controllarlo. Dipende dalle tue emozioni.

- Certo.

- Se posso permettermi un consiglio, limitati a spaventarli e a tenerli occupati. Non uccidere nessuno. – disse Regina. - E non avvicinarti troppo alle mura, Artù potrebbe avere qualche arma segreta che non conosciamo.

- Non ho bisogno di questi consigli. Non sei mica mia madre. – ribatté Lily, seccamente. Era tesa e più scontrosa del solito.

Beh, grazie al cielo, pensò Regina, evitando di replicare.

- Che peccato. – commentò, invece, Zelena, enormemente divertita, nonostante fosse appena stata tagliata fuori. - A me non dispiacerebbe avere una nipote così.

Regina si sforzò di non usare la magia contro di lei e roteò gli occhi. Malefica non diede retta alla strega e assentì, rivolta alla figlia.

Lily inspirò a fondo.

Posso controllarlo.

“Pensa a ciò che ti fa arrabbiare di più per usare il potere... poi pensa a qualcosa che ti rende felice per controllarlo”.

“Tieni stretti i tuoi pensieri felici, allora. E continuerai a volare”.

Lily si trasformò in drago. Spalancò le ali non appena la nuvola viola che l’aveva avvolta disparve e puntò gli occhi accesi nella loro direzione. Malefica sorrise.

- Andiamo a prenderci la spada. – annunciò Regina, voltandosi di nuovo verso l’ingresso, mentre l’amica di Emma si sollevava in volo, pronta a dare del filo da torcere agli uomini di Artù. Con un gesto della mano, fece sparire la cancellata e lasciò che Azzurro e Uncino sguainassero le spade e aprissero la strada agli altri.

 

 
Il drago fece un giro largo intorno al castello, prima di piombare su di esso. Attirò l’attenzione delle guardie di Artù disposte sui camminamenti e creò una considerevole confusione.

- Al riparo! – urlò una delle guardie, quando Lily aprì le fauci.

La prima fiammata costrinse tutti a ritirarsi dietro le murature e a sollevare gli scudi per proteggersi dal calore. Uno stendardo sul quale era tessuto il simbolo del re su sfondo rosso prese fuoco e la finestra di una torretta esplose verso l’esterno. Quando il drago si allontanò, gli arcieri incoccarono le frecce e presero la mira. Lily si precipitò di nuovo contro di loro e i cavalieri scoccarono. Una pioggia di punte acuminate si diresse verso il drago, che virò per evitarle. Una di esse si conficcò in una zampa, ma non ci fece caso. Nemmeno se ne accorse.

Sir Morgan, il padre di Violet, estrasse la sua spada. – Mantenete le posizioni!

Nella sala della Tavola Rotonda, Artù udì il possente ruggito della belva e vide la luce arancione delle fiamme illuminare una delle finestre. Nella sua mente riecheggiò la profezia nefasta di quel maledetto stregone.

“Vedo l’ombra infinita approssimarsi a Camulodunum

L’infante figlio del drago porta con sé una stella...”

Grif aprì le porte e si precipitò dentro, paonazzo e terrorizzato. – Sire...

- Che cosa sta succedendo?!

- Il drago. È qui... è là fuori! Il drago... – Grif era senza fiato. Non ce la faceva a parlare. Aveva una ferita aperta sulla fronte e stava sanguinando.

- Dì ai miei uomini di andare sui camminamenti! Tutti gli uomini che riesci a trovare devono andare lassù e tenere a bada quella creatura! – gridò Artù, mentre sfogliava rapidamente le pagine di un libro di magia, posato sulla Tavola Rotonda. – Io me la caverò da solo!

- Sire...

- Muoviti, imbecille!

Grif si affrettò a fare ciò che il re gli aveva chiesto.

“Che l’oscurità trovi la sua via...”

Fissò l’incantesimo di cui aveva bisogno, impresso sulla carta ingiallita.

“... dal grembo materno a un altro dell’inferno...”

Artù udì un altro suono, che non era più un ruggito, ma uno strillo acuto, un grido stridulo che gli raggelò il sangue nelle vene. Guardando fuori vide il drago nero passare davanti alla finestra.

“Vedo l’ombra infinita approssimarsi a Camulodunum...”

- Non ci riuscirete. – disse Artù. – Di questo potete starne certi. Morirete. Di voi rimarranno solo le ossa.

 

 
“Non pensare nemmeno di togliere la magia a qualcuno... o l’immortalità”.

Emma emerse da una visione in cui Nimue era appena diventata il primo Signore Oscuro dopo aver distrutto il cuore di Vortigan. L’ultima immagine le mostrò la donna amata da Merlino che spezzava la spada, scaraventandola contro l’altare.

Continuava a stringere il collo del mago, che boccheggiava sotto di lei, gli occhi fuori dalle orbite, il terrore ancora impresso sul viso. Lo teneva inchiodato a terra e la forza che scaturiva dal suo corpo la faceva sentire incredibilmente viva e potente.

- Siamo una cosa sola, adesso. – disse Nimue. – Dobbiamo distruggere quello che ci minaccia. Distruggiamo Merlino!

- Emma... ti prego. – la supplicò Merlino, con voce strozzata.

Nimue la raggiunse. – Finisci il lavoro. Non abbiamo più tempo. Non la senti, Emma?

- Questa... non sono io! – disse, eppure non poteva lasciarlo andare. Serrò di più la presa. Avvertì chiaramente i battiti accelerati del cuore dell’uomo.

- Sì che sei tu! Siamo noi! – esclamò Nimue. Si accucciò accanto a lei. – Siamo noi, Emma.

“Siamo noi”.

Io sono Nimue.

- Non ascoltarla... – disse ancora Merlino.

- Vuole ricomporre una spada che mi distruggerà. Che ci distruggerà!

- Puoi controllarlo, Emma. – riprese Merlino, agitando le mani, annaspando.

- No, Emma. Lui non capisce. Non capisce cosa significa avere il potere! – Nimue ora era alla sua sinistra. – Lo puoi sentire, Emma! Puoi sentire il potere e anche l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la vedo! E tu? Tu la vedi?

L’ombra?

Emma non capì di quale ombra stesse parlando. Le uniche ombre erano quelle che percepiva intorno a lei. Dentro di lei. Le uniche ombre erano quelle che l’avrebbero corrotta se non avesse lasciato subito andare Merlino.

“Uccidi Merlino e riunisci Excalibur. Ma non per distruggere l’oscurità. Riuniscila e uccidilo per prendere ciò che ti appartiene di diritto. Il potere. Diventa ciò che desideri. Non permettere a nessuno di controllarti”.

- Se non lo uccidi adesso, perderai i tuoi poteri! – continuò Nimue, la voce simile ad un tuono. – Perderai tutto!

“Uccidi Merlino...”

“Non permettere a nessuno di controllarti”.

- Uccidere... ti porta sulla strada oscura. – gorgogliò Merlino. Stava per perdere conoscenza. Non poteva più respirare, ormai.

“Lo puoi sentire, Emma! Puoi sentire il potere e anche l’ombra!”

Quale ombra? Quale?

- No, Emma, vuol dire avere il potere! Il potere che ti serve per proteggere te stessa e le persone che ami! – replicò Nimue.

- Lascia vincere... la luce. – riuscì a dire Merlino.

“Ferma l’oscurità, prima che ti consumi”.

- Uccidilo! – urlò Nimue, furibonda. – Uccidilo! Non tornare ad essere il niente che eri prima!

Per Emma l’ultima tessera del mosaico andò a posto. Clic. In maniera perfetta.

“Ferma l’oscurità, prima che ti consumi”.

“Sei qui perché è il tuo destino. Restituirai a tutti il lieto fine”.

“La smetti con queste stupidaggini?”.

“Ma tu sei la Salvatrice, no? Tu sei superiore a tutto questo”.

“Tutta la mia vita è stata oscura e tu lo sai bene. Non sarà mai come la cosa che si è impossessata di te... ma mi ha fatto fare delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi. L’Oscuro sta facendo lo stesso con te. Se lo ascolti, perderai il controllo”.

- Io non sono nessuno! – gridò Emma. Quasi non riconobbe il suono alterato e quasi agghiacciante della sua stessa voce. – Non puoi dirmi che sono nessuno, perché non è vero! Il potere di cui parli... non mi serve!

Nimue indietreggiò quando Emma lasciò Merlino e puntò il pugnale contro di lei. Il nome del primo Oscuro cedette il posto al suo. Di nuovo.

Emma Swan

- Ora io mi prenderò quella fiamma. E tu mi lascerai fare. – disse. Allungò una mano e il pezzo di carbone incandescente abbandonò il corpo di Nimue come un piccolo cuore pulsante. Emma lo osservò, sul palmo della sua mano.

- La scintilla di cui hai bisogno è lì dentro. – ammise Nimue, senza tuttavia staccare gli occhi dai suoi. Anche se era stata sconfitta, continuava ad avere un potere enorme. A fatica poteva sostenerlo ed ignorarlo. – Ma quella spada può fare più di una sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra è già sopra di noi. Io... non sono ancora morta, fanciulla.

“Ferma l’oscurità, prima che ti consumi”.

- Di quale ombra parli? Non c’è nessun ombra! Non ci sarà mai! – disse Emma, stringendo i denti e tenendo alto il pugnale.

- Oh, sì, invece! – rispose Nimue. – Ed io ci sarò quando avrai bisogno di me. Io sarò... esattamente qui!

Emma non distolse gli occhi, mentre Nimue toccava la sua fronte con la punta dell’indice. Era fredda. Glaciale, persino. Viscida.

Poi Nimue scomparve, lasciandola sola con la fiamma di Prometeo.

“Ed io ci sarò quando avrai bisogno di me. Io sarò... esattamente qui”.

Merlino si rialzò e la raggiunse, guardando la scintilla. Sorrise. – Ce l’hai fatta.

- Sì. L’ho fatto.

- Come ci si sente? – le domandò. – Come ci si sente ad aver scelto il giusto cammino?

“Quella spada può fare più di una sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra è già sopra di noi. Io... non sono ancora morta, fanciulla”.

Spossata. Ecco come si sentiva. Spossata. Con le ginocchia deboli e il cuore in tumulto. Si sentiva sollevata, certo. Piena di speranza, perché ora capiva che Merlino aveva ragione. Che Lily aveva ragione. Anche Regina aveva ragione. Poteva fermare l’oscurità.

“Io... non sono ancora morta, fanciulla”.

- Onestamente, Merlino... – rispose Emma. – Mi sento... molto bene.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

L’infermiera sollevò il coperchio e le mostrò il suo pranzo, un orribile piatto di broccoli verdi e altri vegetali non meglio identificati. Naturalmente. Poteva aspettarsi qualcosa di meglio?

- Porti via questa roba! – esclamò Zelena, inorridita. – E dica a mia sorella che di questo passo mio figlio nascerà con la pelle verde. Non credo che le farebbe piacere!

La donna non disse più niente. Non le veniva più così vicino dopo quello che era successo il giorno della fuga. E le conveniva. Se ne andò senza dire una parola.

Zelena sospirò, contrariata.

- Credimi. Se c’è qualcuno che sa che cosa vuol dire essere incinta... quella sono io. – Emma Swan era apparsa nella sua cella come se fosse stata una normale visitatrice. Sorrideva, inguaiata nei suoi abiti in pelle nera.

- L’Oscuro! Quale onore... a cosa devo questa visita? – chiese Zelena, divertita.

- Sono qui per una bella chiacchierata.

Accordo. Sento odore di accordo, pensò la strega dell’Ovest.

- Non sono dell’umore giusto. – rispose.

Emma sparì in una nuvola grigiastra, portandosela dietro.

Una volta a casa sua, Zelena la osservò armeggiare con un paio di sacchetti dai quali usciva un odorino niente male. Emma li aprì ed estrasse gli anelli di cipolla avvolti nella carta stagnola, proprio quello che desiderava. Il suo stomaco gorgogliò.

- Oh, beh... diciamo che ora potrei avere voglia di ascoltare. – Prese il sacchetto, si accomodò su una delle seggiole e addentò subito uno degli anelli. – Allora... in quali guai hai intenzione di cacciarti?

- Prima riempiti la pancia. Si parla e si riflette meglio con lo stomaco pieno. – rispose l’Oscuro. – Sai, si prendono le decisioni migliori.

- E prendere le persone per la gola è la nuova arma segreta dell’Oscuro?

- Lascia che sia io a decidere.

Gli occhi azzurri di Zelena la scrutarono. Non fece altre domande e si limitò a mangiarsi i suoi anelli, uno dietro l’altro, senza interruzione. Era da un bel pezzo che non mangiava così bene ed era sicura che suo figlio approvasse tanto quanto lei.

Acchiappò l’ultimo anello e quasi le dispiacque che non ce ne fossero altri.

- Mangiati pure tutto. – disse Emma, che non si era mossa di un millimetro. – Gli Oscuri non giudicano.

Zelena si rigirò tra le dita l’anello e poi lo gettò sulla carta stagnola. – Nonostante le grasse leccornie, so che questa non è una normale chiacchierata. Che cosa vuoi?

- Diretta. Mi piace. Dà un’occhiata. – Emma sollevò una mano e in essa comparve la bacchetta magica che aveva usato per aprire il portale qualche settimana prima.

- La bacchetta dell’Apprendista. Allora?

- Tu e Lily siete le uniche in questa città ad essere state in grado di usarla e ad essere sopravvissute per raccontarlo. – osservò l’Oscuro, sedendosi a sua volta e accavallando le gambe.

- Oh, sì, in effetti. Grazie per l’apprezzamento. 

- Ho un piano. Ma ho bisogno di un piccolo aiuto.

Zelena rise, deliziata. – Ma davvero? Non vedo l’ora di sentire cos’hai da offrirmi in cambio!

- La tua libertà. – Emma lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo. – E la mia protezione contro Regina o chiunque abbia intenzione di farti del male.

- Protezione contro Regina. – ripeté Zelena. – Che bella offerta. Deve averti propria fatta arrabbiare, a Camelot. Credevo che foste... amiche.

Emma non rispose.

-Tipico degli Oscuri. Accordi su accordi. Poco originale. Ma la cosa più divertente è sapere che volevi strappare il cuore di una ragazzina per spezzare quello di tuo figlio! Grandioso! Oscurità di livello superiore!

Emma sorrise. – Credi di poter giudicare gli altri dopo tutto quello che hai fatto?

- No. – ammise Zelena, con una smorfia. – Ma avendo subìto il tradimento di una madre, so bene che quel risentimento non se ne andrà mai. Anche se tu alla fine non l’hai fatto... avevi comunque un piano diabolico in mente... quello che non sono riuscita a capire è come hai fatto a liberare Merlino. Le voci mi sono arrivate fino ad un certo punto, sai...

- Non sono affari che ti riguardano.

- Tuo figlio non ti perdonerà in ogni caso. Nemmeno per aver pensato di sfruttare la sua sofferenza. Certe cose... non si dimenticano mai. E non possono essere perdonate.

- Io non credo.

Zelena si sporse in avanti. – Sono responsabile della morte di Neal. Che ne dici di darci un bacio e fare pace?

- Abbiamo un accordo o no? – Emma scandì le parole come se si stesse rivolgendo a qualcuno che non era in grado di capire la sua lingua.

- Ho già abbastanza problemi. Non ho bisogno dei tuoi. Sto cercando di voltare pagina. – Si portò una mano al ventre. – E con il piccolo in arrivo... non vorrei ritrovarmi tra i piedi qualcuno che potrebbe avere una pessima influenza. Ma grazie per lo spuntino... se è tutto... vorrei tornare nella mia cella.

Emma non si scompose più di tanto. In realtà sentiva una risata folle montarle dentro. Riuscì a soffocarla. – Hai bisogno di un’alleata in questa città. Forse non ora, ma presto sì. E tornerai da me a firmare l’accordo. So che ti piacciono gli Oscuri. Hai avuto qualche bel momento con uno di loro in passato...

- Non sei il mio tipo. – rispose Zelena. – E poi... c’è una differenza tra me e te. A me non importa restare da sola.

 

 
“Tuo figlio non ti perdonerà in ogni caso. Nemmeno per aver pensato di sfruttare la sua sofferenza. Certe cose... non si dimenticano mai. E non possono essere perdonate”.

- L’incontro con Zelena è andato meglio di quanto sperassi. – osservò Tremotino. – Starà pensando di avere la situazione in pugno e si sentirà fiera di non aver bisogno di un accordo con te... ma se avesse gustato meglio quegli anelli...

Emma non gli diede retta e posò Excalibur sulla roccia, proprio accanto al pugnale.

- Fallo. – disse Tremotino. – È giunta l’ora.

- Perché non mi lasci stare?

- E come potremmo farlo? Stiamo per assistere ad un momento... storico.

Già, come possono farlo? Loro sono sempre qui. Io sono loro. Loro sono me. Io sono Nimue. Tutti noi lo siamo.

Nimue apparve davanti alla cella alle cui sbarre lei aveva legato Gold. Era senza maschera e con il cappuccio nero sul capo. Il viso verdastro era in ombra, ma gli occhi scintillavano come strane gemme. Il cancello alle sue spalle era aperto, una specie di bocca pronta ad accogliere chiunque avesse voluto partecipare. – Di solito gli occhi di Tremotino bastano, ma volevo assolutamente vederlo con i miei.

- Hai cercato di fermarmi a Camelot. – disse Emma.

- Allora c’era la seria possibilità che usassi Excalibur per distruggere l’oscurità. Ma adesso... puoi soffocare la luce. Siamo fieri di te. Tutti noi lo siamo.

Sussurri ed echi risuonarono nei sotterranei. Le voci ripetevano le parole di Nimue come una nenia. Gli Oscuri incappucciati, con occhi di brace e i lineamenti indistinguibili si fecero avanti.

Tutti noi. Tutti noi. Tutti noi.

“Adesso puoi soffocare la luce”.

Tutti noi. Tutti noi. Tutti noi.

Emma andò a prendere il cofanetto che conteneva la fiamma di Prometeo, lo aprì e da esso scaturì una piccola scintilla arancione, che l’Oscuro guidò perché si posasse sulla roccia.

Tutti noi. Tutti noi. Tutti noi.

La fiamma esplose verso l’alto ed Emma la controllò, trasformandola in una sfera di fuoco, che racchiuse nelle sue stesse mani e poi liberò. La fiamma divenne un cerchio di luce sospeso in aria.

“Quella spada può fare più di una sola cosa... e l’ombra si avvicina”.

Infine Emma prese Excalibur e il pugnale e congiunse la metà spezzata della spada con la lama ondulata dell’arma che portava il suo nome.

 

 
Excalibur fu di nuovo ciò che era stata un tempo. Una spada. Una vera spada. La lunga lama risplendette come se fosse appena stata forgiata. La gemma incastonata nel pomolo brillò, sanguigna.

Era meravigliosa. Invitante. Il desiderio di toccarla era potente.

Emma allungò una mano verso l’elsa, ma si fermò. – Merlino.

Un ricordo si fece strada nella sua mente. Veniva da lontano. Era il ricordo di una bambina che si era infilata di nascosto in un cinema in cui trasmettevano “La spada nella roccia”. Allora non era niente di più di quello. Un cartone animato. Merlino era un mago simpatico con il cappello blu e la barba bianca. Artù era un ragazzino biondo chiamato Semola. Era una storia. Non c’era niente di vero. La realtà era che lei era una bambina abbandonata dai genitori, che viveva in casa famiglia e ogni tanto veniva affidata a delle persone.

Poi era arrivata la maschera.

“Non farlo. Lascia stare la spada, Emma”.

Non aveva capito, naturalmente. Quella stranezza era andata perduta e lei non ci aveva più pensato, fino a quando non aveva rivisto Merlino a Camelot.

Nimue la fissò, chiedendosi perché stesse esitando.

- Quando ero piccola mi ha detto di non farlo. – disse l’Oscuro.

- E adesso sei una donna. – rispose Nimue.

- Prendi il potere. – disse Tremotino.

La nenia riprese. Le voci ricominciarono a parlare tutte insieme.

“Prendi il potere. Prendi il potere”.

“Non permettere a nessuno di controllarti”.

Emma prese Excalibur.

 

Lily riemerse dall’incubo con gli occhi fuori dalle orbite e la lingua inconsapevolmente serrata tra i denti. Il cuore le balzò in petto come un pupazzo a sorpresa impazzito.

- Lily? – Malefica la prese per le spalle e la scosse.

- La spada... – mormorò lei.

“Prendi il potere”.

“Adesso... puoi soffocare la luce. Siamo fieri di te. Tutti noi lo siamo”.

Malefica le scostò i capelli che le era ricaduti davanti alla faccia. – Che cosa è successo? Non facevo altro che chiamarti e non rispondevi...

- Emma... lei... è la spada. Excalibur. – Cercava di formulare una frase logica, ma la sua testa era ancora piena di sussurri, di bisbigli, del volto di Nimue ombreggiato dal cappuccio, di Tremotino che diceva ad Emma di prendere il potere, di tutti quegli occhi che la guardavano. Che guardavano Emma.

- Excalibur? Di che cosa parli?

- Ha forgiato la spada. – riuscì a dire. – Il pugnale ed Excalibur sono stati riuniti.

 

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Angolo autrice:

 

Hello (from the other side).

Allora, scusate per il capitolo lunghissimo. Qualche precisazione:

Nimue dice che sono passati settecento anni dall’ultima volta che ha visto Merlino (e non cinquecento come specificato nella serie). Non è un errore. Ho aumentato la distanza temporale apposta, perché ritengo che cinquecento anni tra l’epoca di Nimue e quella di Artù siano veramente troppo pochi, considerando che Tremotino è stato l’Oscuro per centinaia di anni.

Mi sono inventati i nomi di alcuni Oscuri:

Rothbart è il malvagio stregone che minaccia il trono di re Guglielmo (il padre di Odette) nel film d’animazione L’Incantesimo del Lago.

Cornelius è un personaggio del film Disney Taron e la pentola magica. Cornelius è il sovrano dei morti, un re-stregone che vive oltre la morte fisica grazie al suo potere. Mi sembrava adatto per ricoprire il ruolo di Oscuro.


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Capitolo 12
*** 12. ***


12

 

 

 

Uncino e Azzurro giunsero alla fine del tunnel, che si apriva proprio sul cortile interno del castello. Non c’erano molti soldati, in giro. Erano tutti impegnati a tenere a bada Lily sulle mura, evidentemente. 

- State indietro. – disse Killian.

Due uomini del re stavano trasportando un calderone fumante. Si diressero verso le scale e salirono, senza accorgersi di nulla.

- Quello sarebbe per noi? – chiese Robin, riferendosi al calderone.

- Non credo ci piacerebbe scoprirlo. – rispose Regina.

Da fuori giunse il possente ruggito del drago. Malefica, che seguiva il gruppo, sollevò la testa e rimase per qualche istante in ascolto. Regina vide la scintilla di angoscia che passava negli occhi celesti di lei e l’afferrò per il polso.

- Lily ce la farà. – le disse, imprimendo sicurezza nella propria voce. – Ma noi dobbiamo muoverci.

- Perché ho permesso che lo facesse? – domandò Malefica, parlando più a se stessa che a Regina. – Che razza di madre sono? Io dovrei proteggerla, non mandarla là fuori ad affrontare tutto da sola! È stata da sola per tutta la vita.

- Siamo in guerra, Malefica. - Regina le prese la mano, serrandola fra le sue. La fissò con espressione franca, limpida. - Ed è stata una scelta di Lily. Non potevi fermarla.

- Invece sì! Avrei dovuto...

- Tu hai fatto tutto il possibile per tua figlia! Lily... è forte. Non si avvicinerà troppo alle mura e si limiterà a spaventare gli uomini di Artù per tenerli occupati. Andrà bene.

Sì, andrà bene, si ripeté Regina. Deve andare bene. La fortuna ci deve assistere. O sarà tutto inutile. Non solo per Lily ma anche per Emma.

- Andiamo. – disse Uncino.

 

 
- Cos’è successo dopo che Nimue è diventata l’Oscuro? – domandò Emma, mentre lei e Merlino ripercorrevano il sentiero che li aveva condotti nel luogo in cui aveva affrontato l’Oscuro originario.

- Io e il mio Apprendista ci siamo assicurati che la spada fosse al sicuro. – rispose lui. Aveva un’aria decisamente provata. Gli occhi erano rossi e segnati. Sulla gola stavano comparendo i primi lividi. I lividi lasciati dalla sua stretta quasi mortale. – Ho lanciato un incantesimo quando l’ho riposta nella roccia. Solo il vero re di Camelot avrebbe potuto estrarla.

- Artù.

- Lui... non è diventato l’uomo che mi aspettavo. – Merlino scosse il capo, rammaricato. – Poi... ho creato il pugnale. Ho legato lo spirito di Nimue ad esso in modo da poterla controllare. Ma alla fine me l’ha sottratto.

“Quella spada può fare più di una sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra è già sopra di noi. Io... non sono ancora morta, fanciulla”.

-Ti ha imprigionato nell’albero. – riprese Emma, cercando di non pensare più alla voce di Nimue. – Lei indossava la maschera, allora.

- Sì. Ha preso la maschera indossata dall’uomo che le ha causato tanto dolore.

“Vortigan. Lui uccise la mia gente e distrusse il mio villaggio. Li uccise senza pietà”.

- È più facile convivere con l’oscurità se la mascheri con la vendetta.

“Siamo una cosa sola, adesso. Dobbiamo distruggere quello che ci minaccia. Distruggiamo Merlino!”

- Sapevo che avevi il cuore spezzato. – disse Emma, appoggiandogli una mano sulla spalla e costringendolo a fermarsi. – Ma ora so anche... che Nimue ti ama ancora. È malandato... ma c’è. È ancora lì.

Merlino chiuse gli occhi per qualche istante. Infine sorrise. – Grazie. Significa molto per me.

“Uccidere... ti porta sulla strada oscura”.

“No, Emma, vuol dire avere il potere! Il potere che ti serve per proteggere te stessa e le persone che ami!”

- Secondo te è possibile... – ricominciò Emma. – Che qualcuno possa usare l’oscurità per fare del bene? Per proteggere le persone che ama?

Era un discorso pericoloso e Merlino lo intuì all’istante. – Emma. Non farti tentare da simili pensieri.

- Ma è così?

- Un giorno... forse... esisterà qualcuno abbastanza degno da poter controllare l’oscurità e usarla a fin di bene. Senza che essa corrompa la sua anima. – Il tono di Merlino era benevolo, comprensivo, ma guardingo. – Ma se riusciamo a cancellare l’oscurità, allora non sarà necessario chiedere così tanto a qualcuno.

- Quindi dobbiamo riunire Excalibur alla sua parte mancante.

Per un po’ proseguirono senza parlare. Avrebbe tanto voluto discutere di altro, di qualcosa che non riportasse la sua mente sempre allo stesso momento, allo sguardo spiritato di Nimue, ai nomi degli Oscuri che scivolavano lungo la lama del pugnale, alla sua famiglia... la sua famiglia impegnata a recuperare Excalibur.

- Nimue... ha parlato di un’ombra. – disse Emma, ad un certo punto. – Un’ombra su Camelot. Mi ha chiesto se la sentivo.

- Un’ombra...

- Di cosa parlava? Di me?

“Puoi sentire il potere e anche l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la vedo! E tu? Tu la vedi?”

Merlino rifletté un attimo prima di rispondere. Decisamente sapeva di che cosa stava parlando. – L’ombra. È parte di qualcosa che ho visto... molto tempo fa.

- Una profezia?

- Un pezzo di futuro. Il futuro è difficile da leggere, Emma. Non è mai chiaro. Io trasmettevo ciò che riuscivo a cogliere... quei frammenti...

- Cosa c’entra l’ombra?

- L’oscurità. Sono riuscito a vedere solo una grande oscurità che calava sul castello di Artù. Prima che lui nascesse. L’ho detto al mio Apprendista. – Aggrottò la fronte. – Ma adesso non devi pensarci. Quelle cose... non devono avverarsi per forza. Oggi hai vinto, Emma. Hai affrontato il primo Oscuro e hai vinto. Questo è ciò che conta.

Non mi sta dicendo tutto.

- Come intendi distruggere l’oscurità? – chiese Emma, mentre il sentiero svoltava verso destra e si allargava. – Non basta riunire Excalibur, vero? Quello è il primo passo.

- Riunire Excalibur è un passo importante. È necessario. – rispose Merlino. – Quello che verrà dopo sarà altrettanto difficile.

Emma tacque.

“Quella spada può fare più di una sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra è già sopra di noi. Io... non sono ancora morta, fanciulla”.

- Dove andremo? – chiese Emma. Perché era sicura che Merlino intendesse portarla da qualche altra parte.

Il mago si fermò di nuovo, in mezzo al sentiero. Emma pensò che forse non era giusto insistere con le domande. Le sembrava giusto porle, quelle domande, ma al tempo stesso le pareva sbagliato, quindi si chiese se non fosse meglio lasciare le cose come stavano. Per ora.

Tuttavia, Merlino le rispose: - Ad Avalon. Laggiù... la magia è molto antica. Più antica del primo Oscuro. Ho mandato avanti Lancillotto perché avvertisse sua madre e la Somma Sacerdotessa. Avremo bisogno del potere di Avalon per distruggere definitivamente l’oscurità.

- Il potere di Avalon...

- C’è un punto, sull’isola... un punto in cui l’energia magica è più forte, un punto in cui essa si concentra. È la parte più antica di Avalon. La chiamano... il Tor. Su quella collina sorge il cerchio di pietre che indica il luogo in cui dobbiamo recarci.

Emma aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma in quel momento udì un ruggito. Erano lontano, a diverse miglia di distanza, eppure la costrinse a mettersi in ascolto.

Lily?

Anche il mago aveva sollevato il capo verso il cielo. Ma si riscosse subito dopo. - Andiamo. Non manca molto.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

David parcheggiò il pick up davanti all’accampamento. Nonostante l’ora tarda sembrava che il re fosse ancora sveglio. La sua tenda era riconoscibile per via dello stendardo color porpora appeso all’esterno. Un fuoco ardeva ancora nel bel mezzo del campo.

- Ecco la tenda di Artù. Vado io. Voi due guardatemi le spalle. – disse a Robin e ad Uncino, mentre caricava la pistola.

- E se il nostro disonesto re dovesse attaccarci? – chiese il ladro, procedendo verso la tenda.

- Allora si pentirà di averlo fatto. – rispose Uncino.

- Ehi! Aspettate!

David si fermò di colpo e si voltò. Merida li raggiunse, con l’arco stretto in mano e una freccia già pronta per essere incoccata.

- Merida, che diavolo ci fai tu qui? – chiese Uncino.

- Sono qui per lo stesso motivo. Artù. Quell’uomo ha ucciso mio padre. Quindi vengo con voi. – disse, con un tono che non ammetteva la minima replica.

- Sì, sappiamo di tuo padre. Te l’ha detto Emma? – chiese Azzurro, parlando a voce bassissima.

- Puoi giurarci. Tremotino ha fatto un accordo con lei.

- Sappiamo tutto. – la interruppe David. - Merida, non siamo qui per la vendetta. Abbiamo bisogno di Artù per aiutare Emma. Lui sa delle cose che ci servono.

- Allora facciamolo parlare. Vi aiuterò. E poi lo lascerete a me.

- Vuoi ucciderlo? – chiese Robin.

- No. Intendo sfidarlo.

Non c’era tempo per chiedere spiegazioni. David appoggiò una mano sul braccio di Merida. – Puoi venire con noi. Ma entro prima io.

Merida annuì. Insieme si mossero verso la tenda di Artù. David scostò i lembi per introdursi all’interno.

- Artù. – iniziò, vedendo il re seduto al tavolo con la moglie.

- David! Che bello vederti, amico mio. – Indicò il posto libero accanto a lui. Era molto rilassato, niente lo turbava. Si sentiva al sicuro. – Vieni. Unisciti a noi.

- Perché non mi spieghi, invece, come mai mi hai mentito?

Il sorriso di Artù si spense.

- Perché hai cercato di bruciare la Corona Scarlatta?

Il re rimase qualche istante a fissare David, senza dire niente. Si era fatto rosso in faccia, ma non abbassava lo sguardo. Ginevra quasi non reagì. Sembrava non percepisse alcun pericolo.  

- Quindi hai scoperto...?

- Sì, l’ho scoperto... amico.

- Oh, quella parte era vera.

Merida entrò nella tenda e tese la corda del suo arco. Puntò alla gola scoperta del re. Ginevra si alzò di scatto.

- Hai anche portato i rinforzi! Quanti ce ne sono? – chiese Artù.

- Non importa. Voglio delle risposte e tu me le darai. – David estrasse la pistola. – Abbiamo ascoltato un messaggio di Merlino. Dice che Excalibur e il pugnale un tempo erano una cosa sola. Ma lo sapevamo già.

- E allora? Io non ho Excalibur. Non so dove sia.

- Chi è Nimue? Merlino l’ha nominata nel messaggio. Dimmi chi è. – Puntò la pistola contro di lui. Merida tese di più la corda del suo arco. Alcuni riccioli rossi le erano ricaduti su un occhio, eppure non li scostò. Forse nemmeno se ne accorgeva. Il suo volto era contratto dalla furia. Tutto il suo corpo era in tensione, pronto a scattare.

Per tutta risposta Artù afferrò i bordi del tavolo e lo scaraventò contro David. Velocissimo, si precipitò fuori dalla tenda.

- Sta scappando! – gridò Merida.

Uncino, che aspettava all’esterno insieme a Robin, si lanciò all’inseguimento del re, che fuggì nella foresta.

 

***

 

Camelot. Tre settimane prima della maledizione.

 

Artù stava sistemando con molta attenzione il fodero che proteggeva Excalibur, quando le porte della sala si aprirono e Regina entrò, precedendo gli altri.

- Strega maledetta! Il vostro dannato drago sta arrostendo le mie guardie... – iniziò lui, afferrando  la prima arma che aveva a disposizione, un bastone di ferro sormontato da una sfera costellata di spuntoni.

Regina lo fece sparire e bloccò Artù lì dove si trovava.

- La spada è sul tavolo. – disse Robin.

- Non toccarla per nessun motivo. Sarà certamente incantata. – rispose Uncino, stringendo l’elsa della sua e puntandola contro il re.

All’esterno il drago ruggì di nuovo. Il fuoco si rifletté sui vetri della finestra, colorandoli di arancione.

- Corpo di mille balene, pirata, non preoccuparti. – disse Regina, approssimandosi al re. – Qui non c’è niente che possa farci male. Artù non sa usare la magia.

Il sovrano le sorrise, divertito.

- Salve, ragazzi! – esclamò Zelena. Mise piede nella sala, trascinandosi dietro Biancaneve, legata ed imbavagliata.

Malefica puntò lo scettro contro di lei.

- Non ti conviene. – disse la strega. – Potrei anche decidere di torcerle il collo.

- Che diavolo... – cominciò Regina. Era stata davvero una stupida a pensare che Zelena non avrebbe trovato un modo per liberarsi della sua guardia personale. Non poteva usare la magia, ma in qualche modo riusciva sempre ad ingannare chiunque.

- Mary Margaret! Non provare a toccarla... – disse David.

- Papino è arrabbiato. – Zelena fece in modo che Neve si sedesse in uno dei posti riservati ai cavalieri di Artù. – Vediamo di disfarci di questo.

Artù venne liberato dall’incantesimo.

- Artù è stato così gentile da togliermi quell’affare di dosso. Finalmente. – Zelena mostrò il polso nudo.

- Bene. – disse Malefica. La sfera in cima al suo scettro si illuminò di una luce violacea e sinistra. – Forse è giunto il momento di uno scontro vero. Mi erano mancati.

Regina formò una sfera di fuoco. – Oh, anche a me. Almeno sarà una lotta alla pari.

- Non fatelo! – urlò Robin, in preda al panico. – Il bambino!

Il bambino.

Se avesse potuto scagliare una lunga trafila di maledizioni, Regina l’avrebbe fatto. Era talmente furiosa che non aveva nemmeno pensato alla gravidanza di Zelena.

- Volevo anche avvisarvi che palla di neve non è l’unica a rischiare la vita, qui. – disse la strega, scambiando un’occhiata di intesa con il re. – In questo preciso momento le guardie di Artù stanno incoccando le prime frecce avvelenate della giornata. Veleno delle vipere di Agrabah. Ho chiesto al re di aspettare prima di usarlo. Dovevo accertarmi che la mammina dell’Oscuro non mi creasse troppi problemi.

Malefica abbassò lo scettro. Un orrore profondo misto a sbigottimento la pervase. Avvertì un’improvvisa ondata di debolezza in tutto il corpo.

- Sai, se tu fossi stata un po’ più gentile, forse non vi avrei traditi e non saremmo a questo punto. Mi tocca minacciare anche una ragazza così intelligente come Lilith. – disse Zelena, mettendo le mani sul libro che Artù aveva preso nella Torre di Merlino.

- Oh, sì, invece. L’avresti fatto. – rispose Uncino.

- Ma mi sarei divertita molto meno. Ed ora... – Si chinò sul libro di magia. – Vediamo questo volume di ricette di Merlino...

- L’incantesimo è quello? – domandò Artù.

- Sì. Una ricetta molto ingegnosa. Una pozione incatenante.

- Eccellente.

Regina avrebbe tanto voluto intervenire, ma non sapeva più in che modo farlo senza nuocere al bambino della sorella. Ed evitando che anche Mary Margaret rimanesse ferita. Si sentiva una stupida. Era sicura di poter prevedere il tradimento di Zelena e, invece, era stata raggirata un’altra volta.

La spada nel fodero venne avvolta da un alone verde. Risplendette qualche istante e poi la magia disparve.

- Ecco fatto. – annunciò Zelena, con un sorriso smagliante. – I biscotti sono pronti. E per biscotti intendo dire... che Artù avrà anche una spada più corta di quella che si aspettava, ma sarà in grado di controllare il mago più vecchio del reame.

Artù estrasse la spada e mostrò il nome impresso sulla lama, vicino alla spaccatura.

Merlino.

- Il piano era suo, ma l’ho apprezzato. Felice di essere stata d’aiuto. – concluse Zelena.

- Mille grazie, mia signora. – Artù sollevò l’arma, rimirando il nome dell’uomo che l’aveva fatto sentire un idiota. Il nome dell’uomo che gli aveva rovinato la vita con le sue false profezie.

- Artù, aspetta! Non farlo. So che non la vedi, ma c’è una via d’uscita. – intervenne David, facendosi avanti.

- Merlino! – gridò il sovrano, ignorandolo.

- Possiamo provare a ricominciare tutto daccapo. Ma devi metterla giù.

- Merlino!!

- Emma ti sarà molto più utile come Salvatrice che come Oscuro.

Artù lo fissò con aria annoiata. – Grazie, David. Ma... Merlino!!!

Pochi secondi dopo Merlino apparve nella sala della Tavola Rotonda. Aveva l’aria confusa e sembrava davvero provato. Gli occhi erano segnati e arrossati. Il viso tirato. Rivolse ad Artù uno sguardo pieno di sconcerto.

- Ah, Merlino... – disse lui, puntandogli contro la spada. – Eccoti qui. Per prima cosa, usa la magia per impedire a questa gente di farmi del male.

Merlino alzò la mano destra ed eseguì l’ordine senza fiatare. Le loro armi caddero a terra, una dopo l’altra.

Zelena ridacchiò. – Beh, grandioso!

- È fatta, Artù. Puoi metterla giù. Non ce n’è bisogno. – disse Merlino, lentamente. - Emma ha superato il test.

- Oh, Emma ha superato il test! – Artù mosse verso il mago. – Che bello.

- Ho quello che ti serve per riunire Excalibur e compiere il tuo destino. Dammi la spada. – Merlino tese la mano.

- E darti quindi la gloria? No, grazie.

- Gloria?

Un altro ruggito. Il fuoco colorò nuovamente le vetrate.

- Mi sono stancato di questo drago. – disse Artù, portandosi le dita all’orecchio, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa. – È un vero peccato non avere davvero quelle frecce avvelenate.

Malefica trattenne il respiro in un suono aspro che, più che un gemito, era un grido di ribellione e tutto il furore tornò ad abbattersi su di lei.

- Ops! – disse Zelena, mettendosi una mano sulla bocca. – Mi stai dicendo... che non abbiamo frecce avvelenate? Che disdetta! Eppure ero così sicura...

- Sei una... – cominciò Regina.

- Cosa, sorellina? Una perfida strega? Oh, sì. Una perfida strega che tu hai lasciato fuori con la tua vecchia nemica, perché pensavi che lei potesse tenermi a bada. Mi aspettavo di più da te.

- Tuttavia. – intervenne Artù. - Ho uno stregone dalla mia parte. Merlino...

- Mi dispiace non essere stato lì per guidarti, Artù. Non è questo l’uomo che volevo che fossi. – ricominciò.

- Sono esattamente ciò che tu mi hai fatto diventare. Tu con le tue false profezie... prima la spada e poi... e poi la figlia della mutaforma, che ora è là fuori a cercare di assassinare tutti i miei uomini! – gridò Artù, agitando la spada. - L’ho trovata in uno dei tuoi maledetti libri. La profezia su Lilith. E l’incantesimo. Che l’oscurità trovi la sua via, dal grembo materno a un altro dell’inferno... che incantesimo è?

Neve guardò Azzurro, incredula.

- Trasferisce il potenziale oscuro di una persona in... in un’altra.

- Chi l’ha lanciato?

- Il mio Apprendista. Artù, ascolta...

- E la profezia? È Lilith l’ombra che calerà su Camelot, vero? È lei che distruggerà il mio regno!

- Sì. Ma quella profezia è solo uno sprazzo di futuro. Non deve avverarsi per forza. Il futuro è incerto, Artù. Lo sai!

- Rendila inoffensiva. Adesso. E anche sua madre!

- No! – esclamò Malefica.

Merlino diresse il potere verso Malefica, che crollò priva di sensi. Poi serrò le palpebre e all’esterno i ruggiti e le grida cessarono in un battibaleno. Tutti udirono uno schianto. Il fragore di alcuni alberi sradicati che precipitavano al suolo.

- Ero intrappolato. – tornò a dire Merlino. - Ho riposto in te la mia fiducia. Avresti dovuto essere come un figlio per me...

- Taci. Non sono mai stato un figlio per te. - Alzò la spada in modo che Merlino vedesse bene il suo nome inciso su di essa. – Non hai fatto altro che parlarmi della leggenda del grande re Artù che avrebbe estirpato l’oscurità da questo regno! Ora dimmi che non erano tutte bugie!

- Non lo erano. Lo stai già facendo. Sei parte di quella storia.

- Parte?!

- Abbiamo quello che ci serve. Il futuro è nelle tue mani, Artù. Dammi la spada. Possiamo risolvere tutto.

Il re abbassò la sua arma. – No. Io sarò molto di più di questo. Molto più di un re conosciuto per aver sconfitto una dannata roccia!

- Artù, non puoi...

- Silenzio! – intimò. E quando il mago tacque, lui sorrise. – Abbiamo degli altri intrusi. È il momento di farli andare via. Fallo, ora.

Merlino cercò le forze per resistere a quel comando. Forse, se non fosse appena uscito dallo scontro con Emma e Nimue, sarebbe riuscito a trovarle, quelle forze. Ma la sua mente era confusa. Annaspava alla ricerca di un appiglio a cui aggrapparsi.

Rivolse la sua attenzione agli “intrusi” e, con un gesto della mano, li fece scomparire tutti.

 

 
Emma rientrò al Granny’s, reggendo il cofanetto che conteneva la preziosa scintilla. Henry sedeva davanti al bancone, in attesa. Knubbin era ancora legato con il corvo appollaiato su una spalla. Dormiva.

- Mamma, ce l’hai fatta? – chiese Henry. – Hai trovato la scintilla...?

Emma lo abbracciò stretto. – Sì, l’ho trovata. Adesso potremo ricomporre Excalibur e porre fine a tutto questo.

- Finalmente delle buone notizie! – esclamò Granny. – Tutta quest’attesa mi rendeva nervosa... e quel dannato mago non ha fatto altro che russare.

- Russare! – Knubbin si svegliò di soprassalto, spaventando Heathcliff, che sbatté le ali e gracchiò, infastidito. – Io non russo. Vero, Heathcliff?

- Fantastico, mamma. – disse Henry, ignorandolo. – Scacciamo l’oscurità.

- Sì. Dov’è Excalibur?

Knubbin starnutì.

- Non lo so. Non è tornato nessuno con la spada. – osservò Henry, perplesso.

Improvvisamente Emma si fece attentissima. Non le era piaciuto affatto il silenzio che regnava nella foresta e intorno alla tavola calda quando era arrivata e si era fermata un attimo a rimirare la fiamma di Prometeo. Era un silenzio strano. In più, Merlino era svanito nel nulla. Sulle prime aveva pensato che fosse andato a recuperare la spada, ad aiutare gli altri al castello di Artù. Ma adesso sentiva che doveva essere successo qualcosa di più grosso.

- Hai visto Merlino? – domandò al figlio.

- No. Pensavo fosse con te.

- Lo era. Ma poi è scomparso. C’è... qualcosa che non va. Granny! – Emma avvertiva il calore della scintilla persino attraverso il metallo pesante del suo contenitore. – Chiudi la locanda. Credo non sia più sicuro stare qui.

- Sono sempre un passo avanti. – disse la nonna, sbucando dal retro armata di fucile. – Henry, tu vai davanti. Io sul retro.

Emma stava per domandarle se fosse davvero un buon piano. Pensava alla sua famiglia e si chiedeva che cosa fosse andato storto. Si chiedeva se fosse accaduto qualcosa a Lily o a Regina. Se fosse accaduto qualcosa ai suoi genitori, a Uncino... se Artù avesse previsto la trappola e li avesse fermati. Si chiese se Zelena li avesse traditi. Forse in quel momento erano nelle prigioni. Doveva andare da loro. Ciò avrebbe significato aprirsi la strada con la magia, ma che scelta aveva?

“Io non sono ancora morta, fanciulla”.

Poi Granny lanciò le chiavi della locanda al ragazzino, che allungò una mano per prenderle al volo.

E la chiavi si bloccarono a mezz’aria.

Anche Henry e Granny erano immobili. Così come Knubbin e il suo corvo.

- Henry?

Merlino apparve dietro la nonna. – Scusami, Emma... per questa entrata così teatrale. Purtroppo non posso fare altro se non eseguire gli ordini.

- Ordini? Quali ordini?

- Di Artù. Il mio allievo ribelle ha fatto qualcosa che non avevo previsto. – Merlino mosse qualche passo verso di lei. – Sta usando Excalibur contro di me. Mi ha ordinato di riunirla alla sua parte mancante. E questo significa che devo portargli la fiamma di Prometeo e il pugnale.

- No. – disse Emma. Strinse di più il cofanetto con la sua ultima speranza per scacciare l’oscurità.

“Quella spada può fare più di una sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra è già sopra di noi. Io... non sono ancora morta, fanciulla”.

- In caso contrario, Artù ucciderà la tua famiglia. Chiederà a me di farlo e per quanto odi la sola idea... Emma, io obbedirò.

- Artù ha la mia famiglia? – La furia stava salendo come una marea. Una marea nera e risucchiante.

- Sì. È stata colpa mia. Mi dispiace. Mi ha costretto ad imprigionarli e a mettere fuori gioco Lily.

- Fuori gioco?! Non avrai...?

- No. No, Emma. Ma potrebbe essere nei guai. Artù ora mi sta controllando, ma posso... posso ancora dirti che lei sta bene. Però devi... sbrigarti. – Parlare mentre era sotto l’influsso di Excalibur gli costava molto. Il suo viso era contratto dalla fatica. – È vicino al castello... ha perso i sensi. Ho dovuto... ma puoi salvarla. Usa il dono.

- Che dono? – Iniziava a sentirsi frastornata, oltre che furibonda.

- Il tuo legame con Lily. È un dono, Emma. – Merlino si avvicinò di più. Sgranò gli occhi. – Puoi trovare Lily molto più velocemente. C’è sempre stato, questo dono. Fin dal principio. È una conseguenza dell’incantesimo del mio Apprendista.

- Di quale dono stai parlando? Che cos’è?

- Emma... guarda attraverso gli occhi di Lily.

“Puoi sentire il potere e anche l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la vedo! E tu? Tu la vedi?”

“Tu la vedi?”

Batté le palpebre. - E la mia famiglia?

- Vuole fare uno scambio. Sono prigionieri nella foresta Caledoniana. Recati là tra un’ora esatta, con la fiamma e il pugnale. Li risparmierà se glieli darai.

- Troppo poco tempo. Non è nemmeno una fiamma.

- Ho visto la tua forza, Emma. Non appena sarai pronta, brucerà. E Artù avrà ciò che desidera. La spada... sarà una vera spada. Di nuovo.

“Io la vedo! E tu? Tu la vedi?”

“Tu la vedi?”

Emma abbassò gli occhi. Le bruciavano nelle orbite proprio come sarebbe bruciato quel dannato pezzo di carbone che aveva estratto dal corpo di Nimue. – Quindi dovrei arrendermi senza combattere?

“Ferma l’oscurità, prima che ti consumi”.

“Io non sono ancora morta, fanciulla”.

- Anche l’accettazione è forza. – disse Merlino. – So che c’è oscurità in te, Emma, ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Artù era molto rapido. Correva nella foresta, schivando gli alberi e i rami e cercava di confondere il suo inseguitore, cambiando spesso direzione. Ogni tanto si guardava alle spalle. Killian era sempre più vicino, non mollava. Aveva una gran voglia di acciuffarlo e farlo parlare. Di Merlino. Di Nimue. Artù non ricordava niente di ciò che era accaduto a Camelot, ma sapeva chi era Nimue. Quando era solo un ragazzino, Merlino, rinchiuso nel grande albero, aveva comunicato spesso con lui e qualche volta gli aveva nominato una donna, Nimue, che aveva amato molto.

Era stata Nimue a spezzare Excalibur.

Artù inciampò in un tronco caduto e finì lungo disteso, gridando di rabbia. Killian lo raggiunse, scavalcando l’albero. Avanzò di due passi verso di lui e tese in avanti l’uncino, come se glielo stesso offrendo per aiutarlo ad alzarsi.

Invece Artù si voltò e lo colpì ad una gamba, atterrandolo. Il pirato cercò di recuperare la spada, ma il re lo minacciò con la sua.

- Toh, guarda! – esclamò, con il respiro affannato. – Sembra che abbiate portato solo un uncino a questo duello.

- A dire il vero avevo una spada. – osservò Killian, pescando un po’ di sarcasmo da chissà dove. – Ma a quanto pare l’ho persa.

- Che peccato! Sono sempre gli errori più piccoli a portarci alla morte. – Artù elargì un sorriso all’uomo sdraiato per terra e poi sollevò la spada. Con un urlo la calò su di lui.

Un’altra lama, molto più robusta della sua, si frappose tra di loro. Sbigottito, il sovrano fissò il volto pallido e determinato dell’Oscuro che stringeva l’elsa di Excalibur. La sua Excalibur. Di nuovo intera. Di nuovo la spada che lui avrebbe voluto estrarre da quella dannata roccia. La spada promessa da Merlino.

Emma spinse con tutte le sue forze e Artù si ritrovò disarmato.

- Excalibur... – mormorò.

- Sì. La tua bellissima spada. Ma mi dispiace... non ti servirà a niente. – sibilò Emma. – Non controlla più nessuno ormai.

Lo scagliò contro un albero e il colpo lo tramortì. Si accasciò a terra, privo di sensi.

Killian si alzò, pulendosi le mani sui pantaloni. – Immagino di doverti ringraziare.

- Non devi ringraziarmi di niente. Non ha importanza. – replicò Emma, freddamente.

- Sì che ne ha. Devo... chiederti scusa per quello che ho detto l’altro giorno sulla nave.

- Parli di quando ti sei rifiutato di accettarmi per ciò che sono?

- Sai, sarebbe un po’ più complicato di così...

- Oh, sì. Lo è. Ma tanto... io sono l’Oscuro.

- Tu non sei solo questo, ma molto di più! Mi hai appena salvato... quella era Emma.

Lei tacque qualche secondo. Sul suo viso non vi furono cambiamenti di sorta. Quando ricominciò a parlare, a Killian la sua voce parve ancora più gelida. Ancora più carica di oscurità e furia repressa a stento. – Cosa vuoi da me?

- Voglio aiutarti. Dimmi chi è Nimue. E come può distruggere l’oscurità.

Qualcuno si avvicinava. Emma udì la voce di Merida che chiamava il pirata e poi quella di suo padre.

- Nimue non è un vostro problema. Non più. – Si girò per andarsene. – Ed ora non potete più aiutarmi. Avreste dovuto pensarci quando eravamo a Camelot.

- Perché ti serve Excalibur? E cos’abbiamo fatto a Camelot? Se me lo dicessi... forse potremmo risolvere tutto.

- Sono io che risolverò tutto. – Emma tornò a girarsi verso di lui. – Voi non siete in grado.

- Perché? Rispondi ad una maledetta domanda, Emma! Perché? Cos’abbiamo fatto a Camelot?

Emma abbassò gli occhi, fissando il proprio nome inciso al vertice della lunga lama. L’appoggiò di piatto sul palmo della mano libera. Sollevò di nuovo gli occhi, puntandoli in quelli azzurri di lui. Non c’era più traccia di Emma, a quel punto. Il suo sguardo era di nuovo antico. Vecchio e distante. Non erano più gli occhi della Salvatrice. – Mi avete tradita.

Killian ammutolì.

Non vi fu altro. Emma scomparve in una nuvola grigia e densa, portandosi dietro le sue ultime parole.

Mi avete tradita.

 

 
La centrale di polizia era in penombra, silenziosa e circondata di brutti presagi. L’unica luce proveniente da una lampada sulla scrivania emanava un chiarore poco rassicurante, un bagliore malato. Corrotto.

Regina e Mary Margaret attendevano il ritorno degli altri. Erano andati a prendere Artù, ma tardavano. Solo il piccolo Neal sembrava non accorgersi di niente e, al contrario di loro, non aveva la minima preoccupazione. Neanche sapeva cosa stava accadendo alla sorella maggiore. Per lui il mondo non era cambiato. Dormiva placidamente nel suo passeggino, i pugni stretti, emettendo ogni tanto un debole gorgoglio.

“Non c’è più nessuna Salvatrice in questa città”.

Le cose andavano male. Malissimo. Regina sentiva un’ombra sopra di sé. Sopra tutti loro. E ne aveva paura. Aveva letto e riletto i libri di Merlino e non aveva trovato nemmeno una traccia di Nimue. Quel mago da strapazzo di nome Knubbin non l’aveva mai sentita nominare.

La porta della centrale si aprì. Malefica entrò, accompagnata da Lily.

- Che diavolo succede? Che ci fate qui? – chiese Regina.

- Si tratta di Emma. – disse Lily. – Ha forgiato Excalibur. La spada è... una spada vera.

- Come lo sai? – domandò Mary Margaret.

Lily ci pensò un istante prima di rispondere. Aveva gli occhi orlati di rosso ed era decisamente sconvolta, anche se provava a nasconderlo. – Non so spiegarlo. È stata come... una visione. Come se fossi là con Emma.

- Là dove?

- Dove tiene la roccia con Excalibur. Nei sotterranei della casa. – Lily spiegò che cosa aveva visto. La scintilla che diventava una fiamma. Excalibur e il pugnale che venivano uniti. L’arma di Artù intera. Le voci. Gli Oscuri intorno ad Emma.

- Oscuri? – Mary Margaret non riusciva più a seguirla. – Hai visto i precedenti Oscuri?

- Beh... ne ho visti bene solo due. Tremotino e una donna... Nimue.

Regina e Neve si scambiarono un’occhiata.

- Nimue è la persona nominata da Merlino in quel messaggio, vero? – chiese Malefica.

- Già. Nimue... quindi era un Oscuro.

- Come può un Oscuro essere in grado di aiutare Emma? – domandò Neve, massaggiandosi una tempia.

- Non lo so, ma almeno ora sappiamo chi è. – Regina serrò le palpebre per qualche momento. – C’è altro?

- La spada può fare più cose. – rispose Lily. – Può distruggere la luce. Ma può anche distruggere l’oscurità. Non so in che modo. Ma quella tizia ha detto che Emma a Camelot non era pronta. Adesso invece può distruggere la luce.

La porta della centrale si aprì di nuovo e David entrò, accompagnato da Robin e Uncino. C’era anche Merida con loro. Trascinarono Artù, che imprecava furiosamente, fino ad una delle celle. David prese le chiavi e l’aprì, in modo che gli altri due potessero buttarlo dentro senza troppe cerimonie.

- Siete dei maledetti! – gridò il re, afferrando le sbarre con entrambe le mani. Digrignò i denti come un animale feroce. – Aiutare quella creatura mostruosa! Avete perso il senno! Excalibur mi appartiene!

- Emma sarà anche una strega, ma tu non meriti nemmeno di stringerla, una spada. Sei un codardo. – gli disse Merida, puntandogli un dito contro. – Hai ucciso mio padre, colpendolo alle spalle.

- Tuo padre?

- Re Fergus. Mio padre. Dimmi perché!

Artù non rispose.

- Ti ho appena fatto una domanda! – Merida allungò una mano per afferrarlo, ma Uncino la fermò.

- Non così, signora. Lasciate fare a me. – disse il pirata.

- Nessuno farà proprio niente! – esclamò David. – Artù non ricorda nulla, proprio come noi. E non è che un re senza regno. Per quanto lui odi tutto questo... non ha più importanza.

- Potrebbe averla, invece. Emma, nella foresta, mi ha detto che l’abbiamo tradita. – Uncino era più agitato che mai. Ciuffi di capelli scuri gli ricadeva scompostamente sulla fronte imperlata di sudore. Aveva la camicia stropicciata, i jeans impolverati e l’espressione di chi aveva passato una serie di brutti momenti.

- Tradita? – disse Regina.

Uncino raccontò a tutti del suo incontro con Emma.

“Mi avete tradita”.

- Che cosa diavolo abbiamo fatto? – disse David, parlando più a se stesso che ai presenti.

- Forse niente. – rispose Mary Margaret. – Forse quella che ha parlato con Killian non era neppure Emma. È possibile che Emma non ci sia più. O ci sia solo a tratti.

- Nella foresta era Emma a parlare. – ribadì Uncino.

- Excalibur è davvero... intera, quindi. – disse Regina.

- Lo sapevate già?

- Sì, Capitan Mascara, lo sapevamo. Lily ha... visto quello che è successo.

Naturalmente tutti fissarono Lily. Regina si affrettò a metterli al corrente della situazione, ma la sua mente stava già rincorrendo una serie di pensieri.

“Mi avete tradita”.

Riusciva ad immaginare Emma mentre pronunciava quelle tre parole. Riusciva ad immaginare il suo volto terribilmente rigido, i suoi occhi verdi che lampeggiava d’ira. Riusciva ad immaginare l’inflessione della sua voce, raggelante, dura come la pietra. La stessa che aveva udito lei al molo quando si erano incontrate per la prima volta dopo il loro ritorno a Storybrooke.

“Ce la puoi fare, mamma. Puoi essere la Salvatrice”.

“Non succederà”.

“Tu non pensi che io possa esserlo”.

“So che non lo sei”.

Era come seguire un guinzaglio. Un guinzaglio che si perdeva nel buio. Avrebbe tanto voluto lasciarlo cadere prima di vedere che cosa si nascondeva alla fine. Ma in qualche modo sapeva che l’aveva voluto. In qualche modo sapeva che doveva seguirlo, doveva scoprire cosa c’era nel baratro.

- Cos’è questa storia, ora? – domandò Uncino. – Puoi comunicare con Emma?

- Non è qualcosa che posso controllare. – replicò Lily, con una certa asprezza. – Del resto... non sono molte le cose che controllo.

Malefica le strinse una spalla per confortarla.

- Ma Emma forse sì. E se Emma ne è al corrente, essendo l’Oscuro potrebbe essere più avanti di noi. – disse Regina. – Questo significa che conosce le nostre mosse con largo anticipo.

- Per tutti i diavoli... – disse Uncino, stringendo la mano a pugno.

- Questo Oscuro... – ricominciò, focalizzandosi sul problema principale. – Ha Excalibur. E distruggerà la magia bianca.

- Quindi pensi che il problema sia questo? – domandò Uncino. – Una spada... che non ha ancora usato.

- Perché le manca qualche ingrediente per lanciare l’incantesimo! – Si chiedeva davvero perché Capitan Mascara fosse così ingenuo. Non capiva ancora cos’avesse in mente di fare Emma, ma era chiaro che non sarebbe piaciuto a nessuno di loro. – Dobbiamo impedirle di trovarlo. Solo così potremo riprenderci la nostra Emma.

La nostra Emma.

Per un istante Regina si soffermò su quello che aveva appena detto. E si accorse che lo pensava sul serio. Voleva che Emma tornasse ad essere ciò che era un tempo. Rivoleva la Salvatrice. Rivoleva la Emma che aveva spezzato la sua maledizione. Rivoleva la donna che l’aveva salvata dall’essere che le avrebbe volentieri risucchiato l’anima, finendo nel vortice al posto suo. Rivoleva la donna che l’aveva aiutata a salvare Storybrooke dalla distruzione. Rivoleva... la Emma che si era presentata a casa sua con Henry, esordendo con un semplice e imbarazzato ‘salve’, che le aveva chiesto qualcosa di più forte dopo che lei le aveva offerto il succo di mele. Rivoleva la madre di suo figlio. Ad ogni costo.

- Rimanete pure qui a cercare incantesimi finché non vi cascano gli occhi. – rispose Uncino. – Non è questo il modo giusto. Se vogliamo aiutare Emma dobbiamo capire che cosa diavolo è successo a Camelot.

- Dov’è Lily? – domandò Malefica, all’improvviso.

In tutta quella confusione nessuno aveva più badato all’amica di Emma.

Lily non c’era più.

 

***

 

Camelot. Tre settimane prima della maledizione.

 

- Facciamo ciò che il re ha ordinato.

Lily socchiuse lievemente le palpebre. Ombre aleggiavano intorno a lei. Forme indistinte.

Dove sono?

Avvertiva dolori sparsi in tutto il corpo. Quando provò a muovere la testa, le parve di avere delle lame arrugginite al posto dei tendini.

- Sbrighiamoci, prima che si riprenda e si trasformi di nuovo.

Udì un rumore. Una spada che veniva sfoderata.

Emma!

Il castello!

Ritrovò alcuni ricordi degli ultimi istanti prima che l’oscurità l’avvolgesse, portandola con sé. Volava sopra il castello di Artù, sputando fiamme contro i suoi uomini, che si riparavano dietro le mura o sotto gli scudi. Piogge di frecce erano state scagliate contro di lei, mentre riversava la sua ferocia sulla finta perfezione della dimora di Artù. Ricordava gli stendardi che bruciavano, una torretta in fiamme, un uomo che cadeva giù dai camminamenti e finiva nelle acque melmose del fossato che circondava il castello. Le urla. Gente che fuggiva.

Poi più niente. Era successo qualcosa. Forse era stata colpita.

Ho perso i miei pensieri felici.

Sopra di lei si delineò una faccia barbuta e determinata. Una testa coperta da un elmo. Dietro di essa, tra gli alberi, una delle torri del castello svettava verso il cielo. Il profilo delle montagne che facevano da sfondo a Camelot.

Poi il barbaglio di una lama. Sir Morgan, il padre della ragazzina che piaceva ad Henry, impugnò l’elsa con entrambe le mani.

Lily capì che sarebbe morta e non ebbe nemmeno paura. Non aveva la forza di rialzarsi. Le faceva male dappertutto.

- L’Oscuro. – mormorò un’altra voce, improvvisamente terrorizzata.

Sir Morgan si ritrovò sospeso a mezz’aria. Lily lo vide mentre agitava le gambe e le braccia, freneticamente, per poi arpionarsi la gola. Due uomini che erano con lui vennero lanciati contro gli alberi e persero conoscenza. Un altro si affrettò a darsela a gambe, ma la magia di Emma lo afferrò saldamente per le caviglie e poi lo spedì lontano.

Il padre di Violet continuava ad annaspare in cerca d’aria. L’Oscuro, con il pugnale stretto nella mano sinistra, lo rimirò come se fosse stato un disgustoso scarafaggio.

- Quindi non solo avete detto a mio figlio che non può stare con Violet perché è solo uno scrittore... e non un cavaliere. – disse. – Ma volevate anche uccidere Lily.

Sir Morgan bofonchiò qualcosa.

Lily non si mosse.

“So che c’è oscurità in te, Emma, ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue”.

- Non mi arrenderò senza combattere. – mormorò Emma. La voglia di spezzargli il collo era molto forte. Immaginava già il suono dell’osso che si rompeva.

“So che c’è oscurità in te”.

“Io non sono ancora morta, fanciulla”.

 “... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue”.

- Ho sentito che Artù vi ha dato un ordine. Volevate uccidere Lily. Perché? – chiese Emma.

Sir Morgan non rispose. Continuava ad agitarsi, ma i suoi occhi sembravano sfidarla.

- Vi ho fatto una domanda, quindi esigo una risposta. A meno che... – Emma lo lasciò cadere e lo inchiodò a terra. Si stagliò sopra di lui, minacciosa. – A meno che non desideriate che me la prenda con vostra figlia. So dove trovarla...

- No... – mormorò Sir Morgan, ora terrorizzato. – No. Uccidete me.

- Potrei anche farlo. Ma l’Oscuro si prende sempre ciò che di più caro avete al mondo. – Emma si inginocchiò, puntando il pugnale alla gola del cavaliere. – Avete la possibilità di salvarvi e di salvare anche vostra figlia. Perché il re vuole uccidere Lily?

- La profezia...

- Quale profezia?

- La profezia di Merlino. Lei è l’ombra che calerà su Camelot. Lei è l’ombra legata al vostro pugnale.

“Puoi sentire il potere e anche l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la vedo! E tu? Tu la vedi?”

Emma scagliò Sir Morgan contro un tronco, come aveva fatto con i suoi uomini. Il colpo lo stordì e lui si afflosciò, perdendo anche l’elmo, che rotolò in mezzo alle foglie.

Non pensò più al cavaliere e raggiunse Lily. Curò le sue ferite con la magia. Ne stava usando molta e più la usava più sentiva il potere crescere, pulsare, inondarla come una marea. Più la usava e più avvertiva il bisogno di farlo di nuovo. Di schiacciare quegli scarafaggi.

- Credevo che gli avresti uccisi tutti. – ammise Lily, rialzandosi in piedi.

- Non eri tu quella fiduciosa nelle mie capacità?

- Beh, sì. Ma avresti dovuto vederti...

Emma era sicura che non avrebbe mai voluto vedersi e tuttavia scosse il capo. – Non serve a niente ucciderli. Abbiamo altro a cui pensare. Mi serve un passaggio. Pensi di farcela?

- Ora che mi hai guarita, sì. Che cosa diavolo è questa storia della profezia?

- Un’altra storia. Te la racconterò dopo. Andiamo nella Foresta Caledoniana. – Emma sollevò il pugnale e osservò il nome impresso sulla lama. – Ho un appuntamento con Artù.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Tremotino... – disse Lily, entrando nel negozio di Gold e richiudendo la porta con violenza. – Ho bisogno di parlarti.

- Quante visite, questa sera. – disse l’uomo. - Belle, è solo l’amica di Emma.

Lily si voltò solo per vedere Belle in un angolo del locale, con una balestra in mano e una freccia pronta ad essere scoccata.

- Scusa... sono sempre convinta che possa trattarsi di Emma. – spiegò, mettendola giù.

Lily avvertì una risata folle montarle dentro. – Che cosa credi di fare con la balestra?

- Purtroppo non abbiamo altri mezzi. – si affrettò a dire Tremotino. Uscì da dietro il bancone, appoggiandosi al bastone. – Beh, li avevo. Ma temo che Emma li abbia trovati. Cosa posso fare per te, Lilith? Immagino che anche tu stia cercando un modo per far parlare l’Oscuro.

- Anch’io? È venuto qualcun altro?

- Killian è stato qui poco fa. – disse Belle.

- Cerca un modo per costringere Emma Swan a confessare. E non credo che ci riuscirà. Non se è vero quello che ha detto. Ovvero che l’hanno tradita. – Tremotino assunse un’aria assorta. – Ed io posso dire con certezza che non mente.

- Davvero?

- Lilith... sono stato l’Oscuro per molto tempo. Come Oscuro ho stretto moltissimi accordi, con moltissime persone. Le ho manipolate e ho nascosto i miei piani per ottenere ciò che volevo. Qualcosa che comunque... ho perso. – Venne avanti. Nel complesso il suo aspetto appariva fragile. Dismesso. Non solo per via della zoppia. – Emma... nasconde i suoi piani. È molto brava. Ma io l’ho guardata negli occhi quando ero suo prigioniero. So che cosa ho visto.

- Cosa?

- Rimpianto. Rabbia. Ferocia, persino. Sete di potere. Tristezza.

“Rimpianto. Rabbia”.

“Io sto cercando di proteggerti! Ma tu non riesci a capire... non hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che cosa io stia facendo! E quando gli altri ce l’avranno... si renderanno conto da soli che sarebbe stato meglio non sapere!”

- Emma dice che sta facendo tutto questo perché vuole proteggermi. Da cosa?

- Io non ho queste risposte. Sei venuta dalla persona sbagliata. Ormai non sono più... quell’uomo.

Lilith non aveva nemmeno perso tempo ad invocare Emma prima di mettere piede nel negozio di Gold. Anche se fosse venuta, non avrebbe mai parlato. – C’è un... legame tra me ed Emma.

- Ne sono a conoscenza.

- Quel legame ci permette di vedere... l’una attraverso gli occhi dell’altra. – Spiegò a Gold quello che le aveva spiegato anche sua madre e dopo di lei Regina.

- Una volta l’avrei trovato affascinante. – rispose lui, sorridendo. – È un dono. Un dono molto... importante. Ma ora che Emma è l’Oscuro potrebbe essere un’arma pericolosa. Emma saprà controllarlo meglio.

“Rabbia. Ferocia, persino”.

- Ditemi come posso controllarlo, allora. Forse posso aiutare gli altri a capire, se lo controllo.

Tremotino pensava che Lilith emanasse un potere notevole. Non era più l’Oscuro, ma non serviva esserlo per percepire il potere. Bastava guardare gli occhi della ragazza. Bastava ascoltare le inflessioni della sua stessa voce. – Controllarlo non è semplice.

- Cosa devo fare? Concentrarmi? Concentrarmi su Emma?

- Hai troppa fretta. Non si tratta di concentrarsi!

Lo sto facendo davvero? si chiese Tremotino, preso in contropiede. Lo sto facendo?

Il suo tono aveva assunto una sfumatura didattica. Il tono che avrebbe avuto un insegnante con la sua giovane allieva. Il tono che avrebbe usato... con Regina. Ecco, sì. La figlia di Malefica gli ricordava Regina. Per un sacco di motivi.

- La magia... non è concentrazione. La magia è emozione. Anche questo dono dipende dalle emozioni. Dipende dall’istinto. – Tremotino si avvicinò un po’ di più a Lilith. – Hai bisogno di tempo per imparare. Purtroppo di tempo non ne abbiamo, al momento. Ed io non sono più la persona adatta ad insegnare queste cose.

“Rimpianto. Rabbia. Ferocia, persino. Sete di potere. Tristezza”.

- Non siete più adatto a niente. – ribatté Lily. Si diresse a grandi falcate verso la porta. – Potevate solo essere usato per estrarre una maledetta spada da una roccia!

Se ne andò e Tremotino non tentò nemmeno di fermarla.

- Rischia di farsi male, Tremo. – osservò Belle, guardando la porta chiusa.

Lui non rispose.

 

 

Uncino si gettò dal tetto del municipio subito dopo aver invocato Emma e pensando a quando fosse folle ciò che stava facendo.

“Mi avete tradita”.

Ma doveva farlo. Doveva sapere. Era sicuro che Emma non l’avrebbe lasciato morire.

“Mi avete tradita”.

La sua voce era fredda come ghiaccio. Era affilata come la lama di una delle sue spade. Ma lei era ancora là, da qualche parte. L’oscurità non l’aveva ancora risucchiata nel suo vortice.

“Perché ti serve Excalibur? E cos’abbiamo fatto a Camelot? Se me lo dicessi... forse potremmo risolvere tutto”.

“Sono io che risolverò tutto. Voi non siete in grado”.

Mancavano tre metri all’impatto con l’asfalto, quando una densa nuvola magica lo avvolse e un istante dopo Killian si ritrovò in piedi in mezzo al parcheggio vuoto. Vuoto a parte Emma, che gli stava dinanzi, le mani dietro la schiena, l’espressione mortalmente seria, le labbra serrate.

- Eri sicuro che ti avrei salvato.

- Beh, direi di sì. Devo sapere che cos’è successo. Che cosa intendevi quando hai detto che ti abbiamo tradita.

- Non è così semplice.

- Potrebbe esserlo. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, io ti ho già perdonata...

Emma spalancò gli occhi. – Non ho bisogno di essere perdonata. Siete voi che dovreste chiedermi perdono.

- Non siamo riusciti a salvarti? È questo? Abbiamo pensato di poterti salvare e per qualche ragione non ci siamo riusciti? – Killian aprì le braccia. – Dimmelo e basta. Ho fatto molte cose terribili nella mia vita. Tu le hai accettate.

- Oh, pensi che sia la stessa cosa? Tu non ne hai la minima idea... – Ora Emma era furiosa.

Killian sollevò la mano, mostrando i suoi anelli. Prima gli fece vedere quello sull’anulare. – Questo apparteneva ad un uomo di nome Barnaby. Mi ha chiamato Jones Mano Monca ed io l’ho ucciso davanti a sua moglie. Poi ho preso il suo anello.

- Ho sentito abbastanza...

Gli fece vedere quello sull’indice. – Questo qui... Egg. Un marinaio. Ha bevuto il vino del capitano. L’ho annegato.

- Ma che storie terribili... – commentò Emma, sarcastica e pungente.

Il pirata la fissò, leggermente attonito.

- Che ne dici di questo? – Lei aprì la mano. Nel suo palmo c’era un anello agganciato ad una catenella d’argento.

- Credevo di averlo perso a Camelot... – mormorò Killian.

Emma glielo lanciò. Lui non lo prese e l’anello cadde, tintinnando.

- Perché lo stai facendo?

- Non mi serve più, questo anello. E ti conviene tornartene a casa ad annegare i tuoi dispiaceri nel rum. La conversazione è terminata. – Emma gli voltò le spalle, pronta ad andarsene.

- So che non lo pensi.

- Perché non ricordi. Ecco perché sei così sicuro di quello che dici.

- Emma...

Lei agitò una mano davanti alla sua faccia e Killian cadde a terra, svenuto. L’anello rimase là sull’asfalto, vicino alla manica della sua giacca, luccicante.

La catenella d’argento era spezzata.

 

***

 

Camelot. Tre settimane prima della maledizione.

 

Emma stringeva tra le mani il cofanetto nel quale era rinchiusa la fiamma quando Lily, in forma di drago, planò nel punto in cui Artù aveva portato tutti gli altri.

I suoi genitori, Uncino, Regina e Robin erano legati agli alberi, i polsi chiusi da robuste catene, mentre la strega e il re attendevano il suo arrivo. Merlino era accanto ad Artù, ubbidiente come un cagnolino ammaestrato. Malefica era legata come tutti gli altri, ma era anche priva di sensi, in modo che non potesse trasformarsi. Zelena aveva preso il suo scettro.

Artù sollevò Excalibur non appena vide il drago, con Emma in groppa. Quando toccò terra, la creatura mutò di nuovo, recuperando la forma umana.

- Eccovi qua, finalmente! Cominciavo a chiedermi quando sarebbe cominciata la festa! – esclamò Zelena. Aveva indossato la sua migliore tenuta da strega, con tanto di cappello a punta. Il nero del vestito metteva ancora più in risalto gli occhi azzurri, che dardeggiano divertiti.

- Dammi quello che ti ho chiesto, essere maledetto. – disse subito Artù ad Emma. – E tieni a bada quel mostro che ti accompagna.

Emma mise una mano sulla spalla di Lily e poi si fece avanti.

- Emma, non lo fare! – gridò Regina, armeggiando per liberarsi dalle catene. Erano catene robuste ed erano anche incantate. Merlino, eseguendo un ordine di Artù, le aveva costruite con la sua magia, una magia che Regina non conosceva e non era in grado di distruggere.

- Oh, lo farà, invece. – rispose Zelena, elargendo un sorriso splendente alla sorella.

Emma continuò a tenersi stretta la fiamma di Prometeo. Lily aveva poggiato una mano sull’elsa della spada.

- Vediamo... – disse la strega, notando l’esitazione. – Chi dovrei giustiziare per primo? Il tuo fidanzatino con una mano sola? O tuo padre?

Emma lanciò un’occhiata ad Uncino e poi a David. Infine porse il cofanetto a Zelena. – Puoi avere la fiamma.

Zelena la prese immediatamente.

- Controlla che sia la vera fiamma! – ordinò Artù.

Lily stava già sorridendo, quando la strega aprì la scatola.

Vi fu un rumore secco, come di una frustata. Poi la magia che Emma aveva fabbricato appositamente esplose, afferrando Zelena per le braccia e trascinandola indietro. Sorpresa, lei non ebbe il tempo di reagire. Si ritrovò con la schiena schiacciata contro il tronco di un albero e con delle cinghie dotate di vita propria che le serravano il busto e le braccia.

Regina sorrise, estasiata e orgogliosa.

Lily recuperò lo scettro di Malefica. Non aveva la minima idea di come usarlo, ma improvvisare era la soluzione migliore, al momento. Quindi lo puntò contro il sovrano.

- Hai intenzione di restituirmi la mia famiglia o dobbiamo continuare a combattere? – chiese Emma, con calma.

- Merlino! – gridò Artù, alzando la spada.

- Per favore, Emma... – la supplicò il mago. – Dagli la fiamma. Non è una battaglia che puoi vincere.

- Sentite il mago più potente del reame... – ribatté Lily. – Non è nemmeno in grado di controllare l’oscurità! Lui che ha creato il pugnale...

- Lily... non rendere le cose più difficili. Siete molto potenti. Ma non abbastanza. – le rispose Merlino.

Lo stregone diresse il suo potere contro l’Oscuro, che rispose raccogliendo tutte le sue energie. Le magie si scontrarono e cercarono di respingersi a vicenda, lampi di luce azzurri e bianchi che scaturivano dalle loro mani. Emma capì immediatamente che Merlino era troppo forte. Lei era l’Oscuro, ma lui aveva mille anni ed era immortale, aveva bevuto dal Graal e l’aveva rimodellato per creare Excalibur, aveva creato il pugnale per controllare Nimue e sapeva come distruggere la sua oscurità.

Stava per cedere, quando lo scettro di Malefica prese vita nelle mani di Lily e un’onda di potere esplose, colpendo Merlino alla testa. Lo stregone venne scaraventato all’indietro e cadde ai piedi di Azzurro.

- Che diavolo fai, Merlino?! Rialzati! – urlò Artù, in preda alla furia. – Combattili!

Emma vacillò sulle gambe. Regina lottò con più ferocia contro le catene.

Merlino si alzò, scuotendo il capo. – Ti supplico, Emma... vorrei che tu potessi sconfiggermi. Ma non puoi...

- Merlino, sbrigati! Uccidi la mutaforma che ha tanta voglia di imitare sua madre!

Emma aveva la testa inondata di confusione e le orecchie le fischiavano orribilmente. Aveva voglia di uccidere. Di prendere Artù per il collo come aveva fatto con Sir Morgan e ucciderlo. Definitivamente.

Merlino si girò verso Lily. – Mi dispiace...

- Fermo! – riuscì a gridare Emma. – Devi combatterla!

- Non posso. – Lo stregone puntò una mano contro Lily.

- Se mi darai la fiamma, nessuno si farà male, Oscuro. – le ricordò il re, venendo avanti. – Fiamma e pugnale. È tutto ciò che mi serve. In caso contrario, assisterai alla morte delle persone che ami!

- Sei lo stregone più potente che sia mai esistito! – urlò Emma, ignorandolo. – Se tu non riesci a sconfiggere l’oscurità, allora nessuno può!

Gli occhi di Lily cambiarono colore, diventando dorati. Lasciò cadere lo scettro.

Il corpo di Merlino era scosso dai brividi. Gli occhi sembravano in procinto di scoppiargli nelle orbite e il suo viso era sempre più teso. Le dita si mossero sensibilmente e Lily venne arpionata per il collo prima che potesse completare la trasformazione.

- L’hai creata tu, quella spada! – urlò Emma, fuori di sé. – L’hai creata tu! Possibile che non ti rimanga un briciolo di forza per combattere tutto questo? Che razza di stregone sei? Dov’è l’uomo che diceva che avrebbe distrutto l’oscurità?

- Uccidi la mutaforma, Merlino! – ordinò di nuovo Artù. Pareva stesse delirando. Aveva la fronte imperlata di sudore, i capelli in disordine, la bocca distorta in una smorfia animalesca. – Ferma la dannata profezia! Camelot è il mio regno! Tu mi hai indicato come re! È anche colpa tua se siamo arrivati a questo! Adesso ti ordino di aiutarmi a salvare questa terra!

Merlino si rivoltò contro di lui. Con un ultimo, immane sforzo, si sottrasse al potere della spada e lasciò libera Lily.

- Ho detto: uccidila! – ricominciò Artù. – Nel nome di Excalibur, io ti comando di ucciderla!

-  Non posso... controllarlo a lungo. – disse Merlino.

Lily recuperò lo scettro di Malefica e, non appena le mani lo strinsero, il potere racchiuso in esso si manifestò di nuovo, dirigendosi verso il bersaglio. Artù si ritrovò gambe all’aria e perse la spada. Merlino approfittò del momento di tregua per liberare tutti i prigionieri dalle catene. Lily si affrettò a gettarsi in avanti per recuperare Excalibur. Killian e David accorsero. E tuttavia il re fu molto più rapido di loro; riafferrò l’elsa e roteò l’arma in tutte le direzioni, costringendoli ad indietreggiare.

- Questa spada mi appartiene. – sibilò Artù.

Il drago prese vita prima ancora che lui avesse finito la frase. Lily guardò sua madre che puntava il sovrano con i suoi occhi accesi e le narici fumanti. Una delle sua zampe quasi lo calpestò, schiacciandolo sotto il suo peso. Artù scansò l’arto del drago e Killian ne approfittò per fargli uno sgambetto. La spada cadde un’altra volta tra le foglie.

- Prendete Excalibur! – gridò Regina. Formò una sfera di fuoco. – Io e la mia vecchia amica facciamo i conti con questo pseudo-re.

Malefica si stava già occupando di Artù. Abbassò la testa e spalancò le fauci davanti alla faccia dell’uomo.

Mary Margaret raccolse la spada.

- Io aggiungerei: prendete Excalibur e riconsegnatela al legittimo proprietario. Non ti sembra più giusto, sorellina? – Zelena usava Lily come scudo personale. Le cinghie che l’avevano avvinghiata al tronco erano state brutalmente spezzate. Le era caduto il cappello nero da strega ed ora i capelli rossi erano una massa infuocata che le ricadeva ai lati del viso.

Emma guardò in su. Ancora non si sentiva molto padrona di sé. Zelena premeva un pugnale contro la gola di Lily.

- Metti giù Excalibur, mammina. Oppure il piccolo drago si farà molto male. Abbiamo giocato abbastanza per oggi.

- Merlino... – iniziò Mary Margaret.

- Rischio di fare del male anche a Lily, se intervengo. – disse lui. – E alla bambina della strega.

- Oh! – esclamò Zelena. Accennò un sorriso vittorioso e pieno di orgoglio. – Mi stai dicendo che... è una femmina? Sono estasiata. Hai sentito Robbie?

Malefica emise un ruggito basso e cupo. Regina non sapeva che cosa fare. Sua sorella non era in grado di darsi per vinta. Trovava sempre un modo per raggirarli.

- La spada, grazie. – disse Zelena. – Dopo sarà la volta del pugnale e della fiamma.

Emma si alzò da terra. D’improvviso il suo piano si era complicato, rivelandosi un fallimento e lei sentì di avercela con il mondo intero. Con se stessa e con i suoi genitori, che una volta avevano tentato di salvarla dall’oscurità, ma avevano solo rimandato l’inevitabile. Con Regina, perché lei si era sacrificata, diventando l’Oscuro, per aiutarla. Con Uncino e con Merlino. Con Lily, che si metteva sempre nei guai. Con Nimue. Con Tremotino. Con tutta la stramaledetta compagnia. Perché toccava a lei essere quella che reggeva il peso principale? Che specie di ingiustizia era mai?

- Mamma... dalle Excalibur. – disse Emma.

- No.

Emma la fissò, trasecolata.

- Forse non ha capito la minaccia. Mi sembra un po’... dura di comprendonio. – osservò Zelena. Premette di più il coltello contro la pelle di Lily e un rivolo di sangue corse giù per il collo.

- Ho capito perfettamente. – disse Mary Margaret, pronunciando ogni parola in modo ben chiaro. Il suo sguardo era fermo. – Io devo pensare a Emma.

- Mary Margaret... – prese a dire David.

- State indietro.

- E poi dicono che io sono perfida. – Zelena emise la sua risatina folle. – Guardate chi è la vera strega cattiva, qui. Sorellina, ti stanno rubando il posto.

- Mary Margaret, non fare follie... – mormorò Regina.

Ma la madre di Emma non aveva la minima intenzione di ascoltare. Quando le lanciò un’occhiata, senza rispondere alla sua supplica, Regina vide il suo viso. Lo vide per davvero e per alcuni secondi scorse nello sguardo di lei uno scintillio che conosceva. Conosceva anche quell’espressione. Gelida. Distaccata da tutto, eppure lucida. La stessa che aveva nella cripta quando le aveva dato il cuore maledetto di Cora.

- Io sono una madre. – rispose Mary Margaret. – E scelgo di salvare mia figlia.

La liana scese, come un serpente diligentemente ipnotizzato e abbrancò Zelena per il collo, arrotolandosi intorno ad esso. Colta alla sprovvista, Zelena lasciò cadere la sua arma e boccheggiò.

Artù sferrò un calcio, colpendo Killian alla gamba e si alzò, correndo verso la strega. – Andiamocene via da qui, dannazione!

Zelena, nonostante la liana che rischiava di soffocarla, riuscì a trasportare se stessa ed Artù lontano da lì, schioccando le dita.

Mary Margaret chiuse gli occhi, osservando la spada rotta e il nome di Merlino sulla lama. David si avvicinò alla moglie. Malefica recuperò la sua forma umana e strinse sua figlia tra le braccia.

- Swan, stai bene? – chiese Uncino.

- Sto bene, sì. – rispose Emma. – Lily...

- Non so come ci sono riuscita. – rispose lei, portandosi una mano al collo, alla ferita superficiale che le aveva provocato il pugnale di Zelena.

- Aspetta, sei stata tu? – chiese il pirata, attonito.

- Naturalmente. – rispose Emma, sorridendo a Lily.

- Diciamo che volevo solo salvarmi la vita.

- Istinto. – disse Malefica, sinceramente ammirata. – Ti sei comportata bene. Non avrei saputo farlo meglio.

Lily le restituì lo scettro. – Penso che questo sia meglio che ce l’abbia tu.

- Beh, abbiamo la spada. E anche la fiamma. – osservò Killian. – Direi che è andata come speravamo.

Mary Margaret porse Excalibur ad Emma. – Adesso... possiamo distruggere l’oscurità.

Emma le strappò la spada di mano con fare sprezzante. Gli occhi dell’Oscuro erano neri e lampeggianti. Regina si rese conto che Emma era furibonda. Non in collera, ma addirittura fuori di sé.

- Emma... – cercò di intervenire.

- Lasciami stare. – rispose lei, scostandosi. Si rivolse a sua madre. – Lily poteva morire.

- Mi dispiace. Non riuscivo a pensare. Non potevo consegnarle Excalibur. È la tua unica possibilità per tornare ad essere ciò che eri prima. – Mary Margaret allungò una mano per toccarle il viso.

Emma glielo impedì, afferrandole il polso. - Non a costo della vita di qualcun altro.

- Emma... io sono tua madre. Tu...

- Non mi importa!

- Emma... – disse ancora Regina. Stavolta riuscì a metterle una mano sul braccio. Oh, lei capiva benissimo l’ira nel suo sguardo. Mary Margaret era pronta a sacrificare Lily per salvare sua figlia. Era pronta a sacrificare la ragazza che era stata maledetta proprio perché lei l’aveva voluto.

L’Oscuro continuava a serrare il polso della madre. Avvertiva a stento le dita di Regina.

- Fermati, Swan, le stai facendo male. – disse Uncino, preoccupato.

“Lo puoi sentire, Emma! Puoi sentire il potere e anche l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la vedo! E tu? Tu la vedi?”

“Non sono ancora morta, fanciulla”.

- Emma! – Regina colse qualcosa nel suo sguardo. Sulle prime non riuscì a capire che cosa stesse vedendo. Poi si accorse che il verde dei suoi occhi si era come... allargato. Il verde era diventato più intenso e aveva invaso la sclera, nascondendone il bianco.

Questa non è Emma. Chi c’è qui con noi?

Infine Emma lasciò andare Mary Margaret. -Torniamo al Granny’s. Abbiamo ancora del lavoro da fare.


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Capitolo 13
*** 13. ***


13

 

 

Foresta Incantata. Trecento anni prima.

 

Nell’aria aleggiava l’odore del fumo, della carne e del legno bruciati.

Le fiamme che avevano divorato la foresta si erano spinte fino al villaggio vicino e avevano intaccato le case. Le costruzioni si ripiegavano su se stesse, ad un passo dal crollo. I tetti erano in fiamme. La gente fuggiva in ogni direzione, urlando, in prenda all’orrore e al panico. Per terra giacevano i corpi di persone già morte bruciate. Alcuni uomini si erano rimboccati le maniche e si stavano dando da fare, passandosi secchi colmi d’acqua, che veniva gettata sulle fiamme, nel disperato tentativo di soffocarle.

L’ombra del drago oscurò la luna piena per qualche istante. Poi passò oltre, dirigendosi verso le montagne a nord. Presto il villaggio in fiamme fu lontano miglia e miglia.

Il volo del drago era scoordinato. Mentre planava nel punto in cui si trovava la caverna, le grandi ali membranose urtarono contro i rami alti degli alberi. Dalle narici fuoriuscivano fili di fumo. Il sangue, che scorreva sotto le dure scaglie nere che ne ricoprivano il possente corpo, ribolliva come la fornace che aveva nella pancia e che alimentava continuamente. Dalla bocca sputava ancora lapilli di fuoco. Era fuori controllo.

Atterrò malamente, ribaltandosi su un fianco ed emettendo un basso e cupo ruggito. I pensieri nella sua testa erano oscuri e confusi, si rincorrevano l’un l’altro. Il potere, la forza, l’energia che aveva provato in volo erano stati inebrianti e ancora impedivano alla creatura di ritrovare il nesso con il mondo che la circondava.

Entrò nella caverna. Quello era il luogo in cui era nata, quello in cui sua madre aveva costruito il proprio nido, vegliando e proteggendo l’uovo. La sua mente era riuscita a metterlo a fuoco in mezzo a tutta quella distruzione. Un lampo di lucidità. Un’immagine sfocata, ma riconoscibile nel fuoco.

Pian piano il suo cuore si calmò. I muscoli tesi si rilassarono nella frescura e nell’ombra della caverna. Infine una densa nuvola viola avvolse il drago, ricoprendolo interamente.

Malefica piantò lo scettro nelle pietre della caverna e si tirò su. Ciocche di capelli biondi le scivolarono sul viso. Alzò la testa e gli occhi celesti perlustrarono l’antro buio in cui si era rifugiata.

Le immagini del villaggio distrutto e della foresta in fiamme tornarono a galla lentamente.

Si sentiva ancora stordita. Sua madre le aveva detto che la prima volta un mutaforma come loro era sempre fuori controllo. Se non veniva guidato, rischiava di perdere la testa.

Ma sua madre era morta da tempo, uccisa durante uno scontro con un altro drago, e Malefica era stata costretta a fuggire dal proprio castello. Il re aveva ordinato di uccidere la figlia della mutaforma, poiché la madre aveva portato solo caos e terrorizzato a lungo il suo regno. Non aveva intenzione di permettere alla figlia di fare lo stesso. Malefica non era ancora in grado di trasformarsi né sapeva usare bene la magia, allora. Di conseguenza, quando gli uomini del re erano venuti a cercarla, aveva preso l’unica cosa che le restava di sua madre, lo scettro nero con la sfera magica in cima, sorretta dalla schiena di un drago, ed era scappata.

In un punto in fondo alla caverna, alcune pietre erano state disposte in circolo. Laggiù sua madre aveva deposto l’uovo di drago.

Il villaggio. Le fiamme. La foresta che bruciava. Le urla.

Le urla.

Malefica si gettò a terra vicino al nido, il respiro affannoso e la mente sconvolta dal ricordo di ciò aveva appena distrutto. Mise da parte lo scettro e allungò una mano nella cavità in cui un tempo c’era stata anche lei chiusa nel suo uovo. Trovò quasi subito ciò che stava cercando.

Il sonaglio che portava sempre con sé quando era solo una bambina. Era come il suo scettro, solo molto più piccolo. Là, Malefica si accucciò, raccogliendosi su se stessa in modo da raggomitolarsi sempre più, quasi volesse sparire.

Scosse debolmente il sonaglio ed esso crepitò.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Quando Zelena cominciò ad urlare come un’ossessa e a battere i pugni contro la porta della sua cella, l’infermiera che le portava sempre il pranzo e la cena levò gli occhi al cielo, ma non mosse un dito. Seguitò a passare lo spazzolone sul pavimento lucido del corridoio. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi raggirare di nuovo da quella strega maledetta. Il sindaco non gliel’avrebbe fatta passare liscia.

La guardia di turno sollevò la testa dalla rivista che stava leggendo.

Tuttavia, l’infermiera pensò anche che, se Zelena aveva davvero qualche problema serio, il sindaco non gliel’avrebbe perdonata comunque. In più, i pazienti nelle altre stanze stavano iniziando ad innervosirsi. Quindi posò lo spazzolone contro il muro e si incamminò verso la cella. Aprì la finestrella e sbirciò all’interno.

Zelena si gettò di nuovo contro la porta, gridando e chiamando aiuto. La sua faccia era rossa e deformata dal dolore.

- Si allontani dalla porta! – le intimò l’infermiera.

La strega fece qualche passo indietro. Teneva una mano sul ventre, mentre con l’altra annaspava per trovare un appiglio.

L’infermiera vide. Sgranò gli occhi e poi si precipitò verso la guardiola, dove la guardia aveva ripreso a leggere. – Chiama il sindaco! Subito!

- Che sta succedendo?

- Chiamala e basta!

Lo fece e Regina Mills arrivò in clinica non più di cinque minuti dopo, accompagnata da Robin Hood. L’infermiera la condusse subito presso la cella.

- Facciamo attenzione. Potrebbe essere un altro dei suoi tranelli. – disse Regina.

- È stata la prima cosa a cui ho pensato. Ma è necessario che lo vediate con i vostri occhi.

Spalancò la porta e Zelena arrancò fino all’ingresso.

Questo non è proprio possibile, pensò Regina. Sapeva che il mondo era già precipitato in un gorgo di assurdità. Ma quel gorgo ora stava diventando pura follia. Stava diventando un abisso senza fondo. Una voragine piena di incubi. Questo... no. Non è possibile.

La pancia di Zelena era cresciuta. Era una donna in procinto di partorire.

- Non state lì a guardarmi, idioti, aiutatemi! – gridò la strega, piegandosi in due, in preda ai dolori.

- Ma che diavolo è successo? – domandò Robin, attonito.

- Cosa credi che sia successo? Magia nera! – Zelena strisciò fuori dalla cella.

- Magia nera... di chi?! – Nel momento esatto in cui Regina fece la domanda, capì. Non avrebbe nemmeno dovuto porla.

Emma.

 

 
Non appena l’ambulanza si fermò davanti all’ospedale, due paramedici scaricarono Zelena e la piazzarono su una sedia a rotelle.

- Cerca soltanto di respirare. – le disse Robin, mentre si dirigevano verso la sala parto.

- Oh, taci! Pensi di potermi dare dei consigli?! – strillò Zelena.

- Perché Emma sta facendo tutto questo? – chiese Regina.

- Non ne ho idea! – rispose sua sorella, rabbiosamente.

- Sei sicura che fosse Emma?

- E tu sei sicura di non esserti bevuta il cervello?! Certo che era Emma! E se dovesse offrirti degli anelli di cipolla... beh, non mangiarli! – Urlò di nuovo, in balia dell’ennesima contrazione.

Emma aveva accelerato la gravidanza di sua sorella. Ciò significava che voleva il bambino. L’ultima volta che un bambino era stato rapito, l’aveva preso proprio Zelena per portare a termine il suo piano: aprire il portale che l’avrebbe condotta nel passato.

Maledizione, che diavolo stai facendo, Emma?

Distesero Zelena su un lettino e Whale arrivò con tutta la calma del mondo.

- C’è bisogno di un dottore? – domandò.

- C’è un bambino furibondo dentro di me. Fate qualcosa! Tiratelo fuori! – La voce di Zelena era talmente acuta da spaccare i vetri. A Regina stava venendo una potente emicrania.

- Oh, se non ricordo male... l’ultima volta che ho fatto nascere un bambino, tu l’hai rapito. – le ricordò Whale, infilandosi un paio di guanti di lattice. – Ma quando tocca alla ladra di bambini partorire... è molto più divertente, non trovate?

Nessuno parlò.

Whale allungò una mano verso Zelena. – Dottor Whale.

- Abbiamo proprio bisogno di un nuovo dottore. – commentò Regina. E poi, come se fosse importante: - Che cos’hai fatto ai capelli?

- Quindi se Emma cambia acconciatura va bene, ma se io mi tingo i capelli sono ridicolo? Dai, so che in fondo ti piace. – Whale aveva i capelli corti e biondo platino.

- Smettetela! – gridò Zelena. – Ma perché non ti ho ucciso l’ultima volta?

- Mi hai scaraventato contro un muro. Direi che è sufficiente. E oggi non succederà. – rispose il medico.

Zelena gli riservò una smorfia disgustata.

- Va bene. Mettiamoci al lavoro. – concluse Whale.

In quel momento Belle e Mary Margaret si precipitarono nella stanza, trafelate. Belle reggeva un libro di magia.

- State pronti! Dobbiamo proteggere il bambino da Emma! – esordì Mary Margaret.

- Lei è qui? – chiese Robin.

- Non ancora, ma arriverà. – Belle aprì il libro, perché tutti potessero vedere. – Henry ha trovato l’incantesimo per distruggere la magia bianca nel libro di Merlino.

- E quello che le serve per farlo è...

- Il pianto di un neonato. – concluse Regina.

- Non le permetterò di prendere questo bambino. – affermò Robin.

- Regina. – Zelena sollevò il braccio al quale era agganciato il bracciale che inibiva i suoi poteri. La sua voce ora suonava supplichevole. – Toglimi questo affare. Così sarò in grado di proteggere mio figlio. Ti prego!

- No. – ribatté Regina. – Non mi fido di te, Zelena. Ci penserò io a proteggere il bambino.

Zelena strillò, indignata.

Una densa nuvola viola apparve nella stanza e tutti si tirarono indietro. Malefica non aveva un’aria felice.

- Malefica, meno male che sei qui. Abbiamo bisogno di aiuto. – disse Regina.

- Non ho tempo per aiutare... streghe a cui si sono rotte le acque. – rispose Malefica, guardando appena Zelena.

- Dov’è Lily? – chiese Regina.

- Tu la vedi? – rispose seccamente Malefica. – L’ho cercata ovunque. Non risponde al telefono. Mi resta soltanto un posto in cui controllare.

- È venuta al negozio di Tremo, meno di un’ora fa. – disse Belle. – Stava cercando Emma. Ha parlato di un... un legame fra lei e l’Oscuro. Qualcosa che...

- Che le permette di vedere attraverso gli occhi di Emma, sì. È proprio quello che ci preoccupa di più. – disse Mary Margaret.

- Ti ha detto qualcos’altro? – chiese Malefica.

- No. – rispose Belle. – Voleva che Tremo le spiegasse come controllare questo potere, ma Tremo sostiene... che le serva tempo per imparare.

- Devo trovarla prima che lo faccia Emma. – replicò Malefica, risoluta. Aveva gli occhi accesi come tizzoni ardenti.

Regina la prese per un braccio e la condusse in corridoio. – Non andare a casa di Emma. Potrebbe essere rischioso. Le manca solo un ingrediente per distruggere la magia bianca. Il bambino di Zelena.

- Cercherà di prendersi il bambino?

- Sì. Quindi verrà qui. Vorrei aiutarti... ma non posso muovermi, per quanto la situazione sia assurda. Non posso permettere che Emma prenda quel bambino.

- Ed io non posso permettere che mia figlia sia presente quando Emma diventerà l’Oscuro più potente che sia esistito.

Regina l’afferrò più saldamente. – Emma non intende fare del male a Lily. È l’ultima persona a cui farebbe del male.

- Credi che questo mi basti? È mia figlia. – C’era una sfumatura di affanno nella voce di Malefica. La sfumatura di chi sta già correndo verso un obiettivo e non intende distogliere l’attenzione da esso solo perché è insidioso.

Regina vide il fuoco colmarle lo sguardo come una marea. - Ed Emma è l’Oscuro.

- Sarà anche più potente di me, ma io sono più vecchia. E posso ancora essere una ragazzaccia. Darò il peggio di me.

- Puoi fare attenzione mentre dai il peggio di te, almeno? – chiese Regina.

Malefica strinse una mano di Regina tra le sue. – Non posso garantirtelo. Mi dispiace.

 

***

 

Camelot. Due settimane prima della maledizione.

 

Emma aveva appoggiato il cofanetto con la fiamma di Prometeo sul bordo del pozzo, davanti al Granny’s. Osservava la scintilla. La scintilla che presto sarebbe stata una vera fiamma e l’avrebbe liberata.

Gli altri erano all’interno della tavola calda. Killian stava facendo un resoconto ad Henry su come Artù e Zelena erano stati sconfitti nella Foresta Caledoniana. Belle era ricomparsa, ma non aveva detto una parola su Merida o su quello che era accaduto da quando era sparita. Merlino era privo di forze. Azzurro avrebbe voluto andare in perlustrazione, per assicurarsi che nei boschi non ci fosse nessuno, ma il mago Knubbin l’aveva fermato.

- Trovo sia rischioso. Lasciate che ci pensi io.

- Voi? Intendente andare a perlustrare il bosco? – aveva chiesto Regina, scettica.

- Non io. Il mio corvo lo farà. Heathcliff non è un corvo come gli altri ed io e lui abbiamo... un legame, ecco. Un legame che mi permette di vedere tutto ciò che vede lui. Andrà in perlustrazione per noi. Se ci fosse qualcuno, un corvo non desterebbe poi tanti sospetti. Del resto, chi si aspetterebbe che un corvo sia così... dotato. – Knubbin aveva posato un dito sulla testa di Heathcliff.

Così il corvo aveva fatto ciò che il padrone aveva chiesto ed era tornato poco dopo. Knubbin aveva tirato su un secchio d’acqua dal pozzo e l’aveva usato per vedere ciò che aveva visto il suo uccello domestico. Niente. Nel bosco non c’era nessuno.

Emma non si era unita agli altri in tutto questo. Aveva preferito riflettere in pace.

- Serve una luce? – domandò Regina, avvicinandosi al pozzo, con cautela, come se temesse di disturbarla.

- Regina. – disse semplicemente Emma.

- Pensavo ti servisse un’amica.

“L’ombra è già sopra di noi. Io non sono ancora morta, fanciulla”.

“Io ci sarò quando avrai bisogno di me. Sarò... esattamente qui!”

In realtà non sapeva di cosa avesse bisogno. Però la voce di Regina era in qualche modo rassicurante. Le sembrava la voce... giusta.

- Si sta prendendo gioco di me. Mi ha detto che non ce l’avrei fatta perché non sono pronta ad abbandonare l’oscurità. – disse Emma.

- E lo sei? – domandò Regina.

- Regina...

- Ehi. – Sorrise. – Nessuno conosce il fascino dell’oscurità meglio di me.

Oh, adesso anche lei lo conosceva, invece. La sensazione che guardare nell’abisso, giù fino in fondo fosse veramente necessario.

- Puoi mentire ai tuoi genitori e puoi mentire a te stessa. – riprese Regina. – Ma non puoi mentire a me.

- Non lo so. – Emma si decise a rispondere alla domanda precedente.

- Ti fa stare bene, vero? Appagare ogni impulso, esercitare un grande potere... fare tutto ciò che vuoi.

Ecco. Già. Regina le leggeva dentro meglio degli altri.

- Sì – ammise Emma. – Sì, è così. È sbagliato?

- Certo che lo è. – Regina avrebbe avuto molte cose da dire ad Emma. Molte cose da raccontarle su quanto fosse sbagliato e su quanto fosse normale sentirsi attratti dall’oscurità. Anni e anni di storie terribili. Tuttavia doveva mitigare i possibili danni. Doveva far breccia nell’incertezza di Emma. Non poteva permettersi di perderla. Non potevano permetterselo. – Ma è anche umano. Emma, io ti conosco...

No, Regina, non è vero. Tu conosci la Salvatrice, pensò Emma. Tu non sai cosa sono capace di fare. Tu non sai che volevo strappare il cuore di una tredicenne e che ho sfruttato il dolore di Lily per ottenere quella lacrima. Non sai come l’ho ottenuta.

“Io non sono ancora morta, fanciulla”.

- Ci è voluto del tempo, ma ormai... ti conosco davvero. – continuò Regina. - Non sei come me. Com’ero io, intendo. Se ti stai aggrappando all’oscurità... hai certamente le tue ragioni. Non si tratta solo di una tentazione. Di che si tratta?

- C’è una profezia, Regina.

- Un’altra?

- Non è colpa mia. Nimue me ne ha parlato. E anche Merlino, ma lui non è stato molto chiaro. C’è... un’ombra.

Regina ricordò qualcosa che aveva già sentito. - L’ombra. Ne ha parlato anche Artù. Aveva molta paura di quella profezia. Merlino ha detto che riguarda Lily. Che lei... distruggerà Camelot.

- La profezia riguarda me. E anche Lily, sì. È possibile che lo faremo insieme.

- Come fate sempre tutto.

Emma le lanciò un’occhiataccia.

- Mi dispiace... – si corresse subito Regina, scostandosi una ciocca di capelli scuri dal viso. Il cuore le batteva all’impazzata. E nemmeno lei aveva idea del perché. - Ma questa profezia che cosa c’entra con il tuo... problema? Dovrebbe spingerti a rinunciare all’oscurità! Se tu rinunci... Lily non fare niente di male a nessuno. Tua madre aveva ragione quando diceva che vi influenzate a vicenda.

- Mia madre era disposta a lasciarla morire!

- Emma, il punto adesso è che... proprio per questo devi rinunciare. Perché non lo fai? Che cosa ti blocca?

- Non lo so.

- C’è una differenza tra il non sapere qualcosa e non volerlo ammettere! Questi muri che hai costruito... – Regina ripiegò la manica dell’abito rosso, un gesto apparentemente casuale. – Bisogna abbatterli.

Prima che Emma potesse rendersi conto di ciò che stava per fare, Regina afferrò il pugnale posato sul pozzo vicino alla fiamma.

- Che stai facendo? – gridò, incredula.

- Ti aiuto ad abbatterli. – Regina puntò il pugnale contro di lei. – Come amica... io ti comando, Oscuro, di dirmi perché non vuoi liberarti dell’oscurità.

Emma non tentò nemmeno di resistere. Sarebbe stato inutile. – Senza l’oscurità non sarò in grado di proteggere la mia famiglia.

- C’è un altro muro, Emma. – disse Regina.

La sua voce suonava ipnotica. I suoi occhi nocciola erano fissi nei suoi ed erano risucchianti. Emma non aveva mai visto occhi simili. In quel momento era sicura che quegli occhi non potessero esistere. Le parvero potenti quanto quelli di Nimue.

- Ora... la verità. Dimmela. – le ordinò.

- Questa è la verità, Regina. Ti prego.

- No! Non lo è, Emma. – Quella stessa voce si incrinò. Suonò più angosciata. – Devi essere coraggiosa e abbattere i muri dietro ai quali ti stai nascondendo. Forza, Emma! Puoi farcela. Dimmi di che cosa hai paura!

Lily arrivò prima di tutti gli altri. Prima degli Azzurri, di Uncino e di sua madre. Arrivò di corsa e si gettò letteralmente contro Regina. Caddero tutte e due. Lily acchiappò il polso di Regina e la costrinse ad aprire le dita strette sull’elsa del pugnale.

- Lily, che stai facendo? Sei impazzita? – gridò Malefica.

Lily si scrollò di dosso sua madre e prese il pugnale. – Stava facendo del male ad Emma!

David afferrò la ragazza e la allontanò da Regina, che si rialzò in piedi, spolverandosi l’abito rosso.

- Non stavo facendo del male a nessuno. – rispose lei. – Stavo provando ad ottenere qualche risposta.

- Controllandola? – domandò Uncino. Tolse il pugnale dalle mani di Lily. – Scordatevelo, Maestà.

- Sì, la stava controllando. E questo significa farle del male. Lo sa molto bene. – disse Lily. Guardò Emma, ma lei voltò le spalle a tutti e se ne andò, portandosi via la fiamma. Lily guardò anche Uncino. Era un bene che le avesse tolto il pugnale... non appena aveva serrato l’elsa di quell’arma il palmo aveva iniziato a formicolare. Le aveva spedito una fitta lungo il braccio.

- Volevo aiutarla! – ribatté Regina. – Non è colpa mia se è doloroso.

Lily le scoccò una delle sue occhiate di fuoco, poi seguì Emma ovunque fosse andata.

- Lily, aspetta! – esclamò Malefica.

Ovviamente lei non ascoltò.

 

***

 

Foresta Incantata. Trecento anni prima.

 

Il re mise una taglia sulla testa della mutaforma.

Due giorni dopo la comparsa del drago che aveva distrutto il villaggio e parte della foresta, il sovrano, parlando dal balcone del suo palazzo alla folla che ascoltava con i nasi all’insù, dichiarò che non avrebbe accettato che un simile essere terrorizzasse le sue terre. Era un uomo dotato di un portamento e di una voce sicura. Era alto e robusto, non più nel fiore degli anni, ma fisicamente forte.

“Già sua madre portò la morte. Non siamo riusciti a trovare la figlia, una volta. Ma adesso... dobbiamo fermare il mostro. Dobbiamo estirpare il male”.

La gente mormorò.

“L’uomo che ucciderà il drago sarà da me ricompensato come merita. E gli garantirò la mia protezione per sempre. Lo stesso varrà per la sua famiglia, se ne ha una”.

Malefica, camuffata da un incantesimo, uno dei pochi che aveva imparato grazie a sua madre, ascoltò il discorso. Poi tornò alla caverna. Non sarebbe scappata. Avrebbe atteso l’arrivo degli uomini del re, invece.

Era stata costretta ad abbandonare il castello perché non era in grado di difendersi. Ora si sarebbe difesa. Non voleva uccidere quella gente. Non voleva fare del male a nessuno. Non era stata capace di controllare la sua trasformazione, i suoi istinti, la furia che le aveva incendiato il sangue non appena aveva assunto la sua forma più temibile. Aveva solo spalancato le ali e aveva spiccato il volo, lanciandosi verso il cielo. Perché era quello che desiderava fare e quel desiderio era stato troppo forte per lei. Sognava le persone che aveva bruciato. Sognava l’odore acre del fumo e dei corpi in fiamme. Sognava uomini con facce avvolte dal fuoco, con i capelli trasformati in roghi ardenti... bambini che chiamavano le madri. Sognava le grida...

Tre uomini del re trovarono la caverna diversi giorni dopo. Il gruppetto era guidato da un cavaliere dai tratti duri, con una folta barba castana e gli occhi piccoli e neri. La sua torcia illuminò le pareti di roccia e il soffitto altissimo del covo del drago. Aveva già sguainato la spada, così come il suo compare, mentre il terzo aveva estratto una freccia dalla faretra e l’aveva incoccata.

C’era silenzio.

“Mutaforma”, disse l’uomo con la spada. “So che ci sei. Ho visto le tue orme là fuori”.

La caverna non rimandò nessuna risposta.

“Il villaggio che hai bruciato era il mio villaggio. Quella era la mia gente”.

Un’ombra si stagliò contro le rocce e l’arciere scoccò la sua freccia. Il dardo sibilò, creando una strana eco nello spazio chiuso. Non trovò alcun bersaglio da colpire, se non le pietre.

“Tre uomini da soli nella caverna abitata da un drago”, disse Malefica, ad un certo punto. La sua voce sembrava giungere da ogni parte, da più direzioni contemporaneamente. “Quanto coraggio”.

“Non siamo soli. Ci sono altri uomini nella foresta”, disse il cavaliere.

“Mentite e siete patetico”, rispose Malefica.

“Patetici sono i tuoi tentativi di giocare con noi, mutaforma”.

“Il mio nome è Malefica. Ma non conosco il vostro”.

“Il nome ti si addice”. Il cavaliere venne avanti. Consegnò la torcia al compagno con la spada. La rabbia gli deformava i lineamenti. Ciocche di capelli scuri ricaddero sulla sua fronte alta. “Io sono Heathcliff. E tu, mostro, hai assassinato mio padre. È bruciato vivo in quel villaggio!”

“Non era mia intenzione uccidere vostro padre. Né intendevo bruciare quel villaggio”. La voce di Malefica risuonò più alta e decisa. “Non sapevo ciò che stavo facendo”.

“Perché non esci allo scoperto? Mostrati. Visto che ti senti così innocente...”

“Nessuno qui dentro lo è”.

Il barbaglio della sfera in cima allo scettro costrinse l’arciere a scoccare un’altra freccia. Le dita di Malefica l’afferrarono prima che la punta potesse trafiggerla. Dopodiché uscì dall’ombra e si portò la freccia sotto il naso.

“Veleno”, disse, gettandola via. “Dovrete fare di meglio”.

Il terzo uomo armato di spada restava qualche passo indietro, paonazzo, gli occhi sgranati sotto le folte sopracciglia nere.

Heathcliff la scrutò. “Dunque è questo il volto della mutaforma”.

“Non sono ciò che ti aspettavi?”, domandò Malefica, avanzando di un paio di passi.

“Il male è ingannevole. Si nasconde dietro un aspetto giovane e apparentemente innocente. Il male ti inganna. È così che vince”. Heathcliff si spostò verso di lei, lentamente. I suoi compagni restarono indietro. “Ma io non mi lascio ingannare. Non ti serviranno né le suppliche né le scuse. Sappiamo che il tuo cuore è nero quanto quello di Balerion”.

Balerion era un drago che aveva abitato quelle terre centinaia di anni prima. Un drago enorme, con le scaglie nere ravvivate da sfumature sanguigne, gli occhi simili ad ardenti pozze rosse. Il suo nome compariva in molte leggende. Lo chiamavano il Terrore Nero.

Malefica sorrise amaramente. “Tu non conosci i draghi, cavaliere”.

“L’unico drago che ho visto ha distrutto la mia casa. Mi basta”. Fu molto rapido quando si scagliò contro di lei, menando un poderoso fendente.

La lama tagliò solo l’aria. Malefica riapparve accanto a lui. Heathcliff accompagnò il successivo affondo con un grido feroce. Di nuovo, la sua spada non incontrò alcun bersaglio. L’arciere scoccò l’ennesima freccia quando Malefica ricomparve. Lei puntò lo scettro e dalla sfera esplose un fascio di magia che polverizzò il dardo e colpì al petto l’arciere. Aveva passato giorni a ricordare quello che le aveva insegnato sua madre, per quanto fosse poco. Aveva passato giorni in quella caverna ad allenarsi per imparare a controllare i suoi poteri e la sua trasformazione.

Alimentare la magia pensando ad un momento che la faceva infuriare. Incanalarla pensando a qualcosa che la rendeva felice. Aveva diversi ricordi felici di sua madre, ma quello che preferiva era lei che mutava in drago e la invitava a salire sulla sua groppa. Il suo primo volo aggrappata alla schiena di sua madre. La prima volta che aveva visto il castello e il resto della valle dall’alto.

L’uomo colpito dalla sua magia lanciò un urlo stridulo e fu sospinto violentemente contro le rocce. Poi una fitta rete di rovi spuntò dalle pietre della caverna e avvolse l’arciere, impedendogli qualsiasi movimento, graffiandolo e ferendolo in più punti.

Il terzo uomo se la diede a gambe.

“Ottima scelta”, mormorò Malefica.

Heathcliff approfittò del momento di distrazione per infilarsi una mano nella tasca della giubba. Ne estrasse un sacchetto e ne gettò il contenuto addosso a Malefica. “Le frecce avvelenate non sono le uniche armi che abbiamo, maledetta”.

Era polvere di papavero. Certamente mescolata a qualche altro ingrediente magico, perché si espanse come una nuvola e si sparse sui capelli biondi e sull’abito blu. Malefica si portò un braccio davanti al viso. La polvere era stordente. Lasciò cadere lo scettro, mentre indietreggiava e barcollava per poi cadere in ginocchio. Il mondo intorno a lei si offuscò ed Heathcliff non fu altro che una macchia confusa, indistinta, che avanzava con la spada in pugno.

“La ricompensa mi farà comodo. Ma questo... è per mio padre”, disse.

Malefica mise a fuoco qualcosa vicino ai piedi di Heathcliff. Il sonaglio era rotolato sulle pietre. Lui lo calpestò con lo stivale ed esso si ruppe in due pezzi.

A quel punto Malefica gridò. Il suo grido risuonò ed echeggiò lacerante attraverso quella caverna. Gli occhi che da celesti diventavano dorati, la faccia livida e i capelli che le ricadevano sul viso, Malefica gridava ed era come un ruggito.

Heathcliff vacillò, colto alla sprovvista. Per un momento fissò lo sguardo giallo della mutaforma ed ebbe paura. Un terrore viscerale che lo paralizzò, con la spada sollevata e la mascella serrata in quel ringhio animalesco. Malefica afferrò lo scettro, nonostante lo stordimento dovuto alla polvere riuscì a controllare il suo potere e spedì un fascio di magia anche contro il cavaliere tanto desideroso di ucciderla. Heathcliff cadde all’indietro, a pochi passi dalla parete di roccia. Perse la spada. Si guardò intorno instupidito, come se non potesse credere a ciò che era appena accaduto. Poi lo scettro di Malefica lo colpì in piena faccia ed Heathcliff urlò. Il sangue prese a scorrergli sul volto. Lui strisciò verso l’uscita della caverna, ma Malefica sollevò una mano e lo inchiodò a terra, sovrastandolo.

“Il gioco è finito”, disse lei. La sfera brillava, sinistra.

“E dunque uccidimi, mostro”, rispose Heathcliff, rabbioso. “Uccidimi. Che aspetti?”

Malefica puntò lo scettro in modo che fosse all’altezza del suo cuore. “No. Perché ucciderti, quando esistono altre punizioni molto più affascinanti?”

L’uomo non credeva alla sue orecchie. La fissò con gli occhi fuori dalle orbite.

“Ti piace volare?”, continuò Malefica. “Tu non sei un drago. Ma forse puoi essere qualcos’altro. Qualcosa di più... piccolo”.

“Che... che vuoi fare...?”, balbettò Heathcliff.

“Da questo non potrai tornare indietro”. Malefica agitò una mano sulla sfera ed essa si accese di una luce viola che divenne sempre più abbagliante. “Sappi che ho apprezzato il coraggio”.

“No...”

La magia uscì dalla sfera e avvolse il corpo di Heathcliff come un bozzolo. Si chiuse completamente su di lui, una massa nerastra e densa che pian piano rimpicciolì e poi si ruppe in mille frammenti, che si sparsero ovunque. I frammenti evaporano.

Il corvo si levò in volo. Sulle prime non riuscì a trovare la via d’uscita e sbatté furiosamente le ali, aggirandosi per la caverna, disorientato. Disegnò ampi cerchi in aria, gracchiando senza sosta. Infine si lanciò fuori.

Malefica sorrise. Alzò una mano e l’arciere incatenato alla roccia e circondato dai rovi si trasformò in un mucchietto di polvere.

Dopo, quando la caverna fu di nuovo immersa nel silenzio, Malefica vibrò un colpo al suolo con l’estremità del suo scettro. Una nube l’abbracciò e crebbe, raggiungendo il soffitto. Il drago emerse da essa, gli occhi accesi come quelli di Balerion, il Terrore Nero. Emise un potente ruggito e imboccò l’uscita. Infine spalancò le grandi ali membranose, sollevandosi da terra.

Puntò più a nord, dove si trovava il suo castello, che sorgeva su un’altura, a strapiombo sulla valle.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Zelena diede alla luce una bambina, dopo un ultimo, lungo e lacerante urlo che minacciò di distruggere i timpani delle persone presenti in sala parto. Regina si domandò come fosse possibile che avesse ancora tutto quel fiato e tutta quella voce.

Che cosa ci faccio io qui, infine?, continuava a chiedersi.

Mary Margaret le aveva detto che quella era la cosa giusta da fare. Aiutare sua sorella, proteggere la bambina era giusto.

Quando la situazione si calmò, Regina si diresse verso la stanza in cui Zelena era stata sistemata.

Che cosa ci faccio io qui, infine?, tornò a domandarsi.

E si ripeté che era lì perché ad Emma mancava un ingrediente per concludere il suo incantesimo. L’ingrediente era la figlia di Zelena.

- Ehi... – disse, aprendo la porta della camera. Si sforzò di sorridere, mentre metteva dentro la testa. Si sforzò di apparire contenta. In realtà avvertì il disagio e l’imbarazzo piombarle addosso, pesanti come macigni.

E non c’erano solo disagio ed imbarazzo. C’era molto di più sotto la superficie.

Che cosa ci faccio io qui, infine?

Robin teneva la sua bambina tra le braccia, un esserino innocente e fragile avvolto in una coperta rosa. Era radioso, non poteva nascondere la sua felicità. E guardando il viso della neonata, Regina non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella, a quando fosse perfetta.

Vedendo la coperta, a Regina sovvenne un’altra immagine, del tutto inaspettata. Pensò alla coperta di Emma, quella bianca con il suo nome in viola impresso sulla lana. Ricordava chiaramente di averla usata per dirigere il portale nel luogo in cui si trovava la nuova Oscura, poi... poi che cosa ne aveva fatto? L’aveva restituita a Mary Margaret? L’aveva data ad Emma? L’aveva persa a Camelot? Una memoria perduta, come tutte le altre. Una memoria che in quel momento le parve estremamente importante. Quella coperta era fondamentale per Emma. L’adorava. Ripensò anche a se stessa nell’appartamento di lei, la coperta tra le mani, il dito indice che sfiorava le lettere viola...

- Regina... – disse Robin, continuando a cullare la piccola. Whale, con quei suoi capelli orribili, era dietro di lui e occhieggiava la scena. – Ho una figlia.

- È meravigliosa. – rispose, avvicinandosi.

La bambina mosse i piccoli pugni sotto la coperta.

Regina si mantenne sorridente, ma sentiva qualcosa premere sotto la superficie.

- Guarda chi è verde d’invidia, adesso. – commentò Zelena.

Incapace di trovare una risposta adeguata, lei ammutolì. Quella maledetta sembrava leggerle nel pensiero.

Che cosa ci faccio io qui, infine?

Nemmeno Robin disse nulla, ma non ebbe neanche il tempo di pensare.

- Guarda un po’ chi risplende. – disse l’Oscura, comparendo nella stanza, con la stessa espressione di chi aveva trovato ciò che stava cercando e non vedeva l’ora di prenderselo. Scaraventò Whale contro la parete con un rapido gesto della mano.

Robin estrasse la spada. – Non ti permetterò di prendere questa bambina.

- Non senza combattere. – aggiunse Regina, allungando un braccio davanti alla figlia di Robin.

Emma non batté ciglio. Anzi, parve più divertita che mai. Squadrò Regina. – Sarebbe un vero problema se fosse qui per la bambina.

...se fossi qui per la bambina.

Regina fu troppo lenta nel realizzare di essere stata ingannata nuovamente.

Emma svanì in una nuvola grigia, portandosi dietro Zelena.

 

 
Ricomparve nei sotterranei della sua casa, dove fino a pochi giorni prima c’era Excalibur nella sua roccia. Trascinò la strega con sé e creò alcune robuste catene con un semplice incantesimo. I pesanti bracciali di ferro collegati alla parete di roccia si chiusero intorno alle sue caviglie.

- Tu sei pazza. – commentò Zelena, furibonda e dando uno strattone alle catene.

- Non sono l’unica. – Gli occhi di Emma fissarono il vuoto per alcuni istanti.

Zelena ebbe l’impressione di vederli cambiare colore. Nel frattempo si guardò attorno. Ovviamente non c’erano vie d’uscita possibili per lei. C’era, però, un tavolaccio in legno, sopra il quale erano state sistemate boccette e ampolle di vario genere. Un grosso libro era aperto e sulle pagine ingiallite erano posate due paia di forbici.

- Vuoi prenderti la mia magia? – domandò.

Emma stava ancora fissando il vuoto, ma le rispose. – Lo scoprirai presto.

La lasciò nei sotterranei ad imprecare e a lottare contro le catene, mentre lei saliva al piano superiore e attraversava la cucina e il soggiorno. Aprì la porta sulla notte ventosa e trovò Lily seduta sui gradini davanti a casa. Era lì da un bel pezzo, i gomiti appoggiati alle ginocchia, lo sguardo scuro fisso sugli stivali. Giocherellava con la sua collana.

Si alzò di scatto non appena udì la porta aprirsi.

- Lily. – disse Emma. – Non dovresti essere qui.

- Ma non mi dire... – fu la sua risposta. Sollevò un sopracciglio.

- Entra e seguimi.

Cazzo, pensò Lily, stupefatta. Eppure non era solo stupefatta. Si sentiva anche... esaltata. Stava per accadere qualcosa lì. Era evidente.

Emma la condusse verso la porta malandata chiusa con un chiavistello, quella che conduceva nei sotterranei. L’aprì con i suoi poteri e iniziò a scendere le scale.

- Hai pure portato l’amichetta! – esclamò Zelena, non appena rivide Emma. – Prima mi proponi un accordo, poi acceleri la mia gravidanza, mi separi da mia figlia e mi incateni in questo posto! E poi dicono che io sono perfida!

- Zelena? – domandò Lily, fermandosi di colpo. Osservò le ampolle sul tavolo, il libro aperto e le catene.

Un cellulare cominciò a squillare.

- Non rispondere. – ordinò Emma a Lily. – È tua madre. Ti sta cercando.

- Certo che mi sta cercando! Me ne sono andata senza dire niente a nessuno.

- Non può avvicinarsi alla casa. È protetta dall’incantesimo ed entra solo chi ha il mio permesso.

- Non c’era bisogno di ricordarmelo! – rispose Lily, seccata. – Che succede qui? A che ti serve Zelena? Cos’hai fatto alla bambina?

- La bambina è sana e salva. – Emma aveva assunto un’espressione inquietante. La sua pelle pareva ancora più bianca e tirata. Gli occhi ancora più verdi. Le labbra terribilmente rosse. – E al contrario di ciò che pensa questa strega, non sono qui per distruggere la magia bianca. Voglio distruggere l’oscurità.

- Come? – chiese Zelena.

- In che modo? – domandò Lily.

- L’oscurità... è dentro di me. Sta prendendo il sopravvento. Ormai mi resta poco tempo. – spiegò, fissando Lily.

- Perciò... non c’era nessun segreto. Nessun fallimento. Stai facendo tutto questo... per salvarti? – Non credeva alle sue orecchie. Doveva essere precipitata nel grande gorgo di assurdità. Forse non aveva nemmeno toccato il fondo. Ma stava per arrivarci.

- Oh, ti assicuro che hanno fallito. – ribadì Emma, con durezza. – Ma se adesso siamo qui è solo per risolvere questa questione.

- Ed ecco che entro in gioco io. – concluse Zelena.

- Certo! – gridò Emma. – L’oscurità deve trovare un contenitore. E quel contenitore sei tu!

- Aspetta un secondo. – la interruppe Lily. – Tu vuoi... usare la strega per distruggere l’oscurità? Come farai? Che cos’hai in mente?

- Farò ciò che è necessario, Lily. – Allungò le mani, appoggiandogliele sul collo. Come se volesse ottenere tutta la sua attenzione. – La ucciderò usando Excalibur.

- Per questo hai accelerato la mia gravidanza! – disse Zelena, con una smorfia di disprezzo.

- Oh, sì! La tua bambina non ha nulla a che vedere con questo. È innocente. – Continuava a trattenere Lily. – Ci sono dei limiti...

- Limiti? – Lily strinse i polsi di Emma. – Emma, stai per andare ben oltre il limite. Uccidere Zelena non è forse oltrepassare il limite?

- Ha ucciso Neal. Ha ucciso Marian. – declamò Emma. – Ha assunto le sue sembianze, prendendosi Robin. Ha fatto di tutto per cercare di distruggerci. Di distruggere Regina.

- Oh, povera la mia sorellina! Torniamo sempre a lei, vero?

Emma non le badò. – Riesci a capirlo?

Vi fu una lunga pausa. Ebbe la netta impressione di sentire la presenza di Emma nella testa. Una strana sensazione solleticante, come piedi scalzi così lievi da sfiorare appena il terreno. Solleticante, certo, ma non sgradevole. Avrebbe dovuto sottrarsi. Avrebbe dovuto sottrarsi all’idea di essere nel posto giusto. Doveva sottrarsi e non pensare a quanto le sembrasse normale essere lì, a quanto le sembrasse la cosa migliore... aiutare Emma, restarle accanto.

- Sì... – mormorò Lily. – So che cos’ha fatto, Zelena. Io stessa ho cercato di darle fuoco! Ma sai che cosa significa questo, Emma? Che farai esattamente ciò che hanno fatto i tuoi genitori! Non pensavo che fossi così simile a loro.

Era chiaro che intendeva ferirla, arrivare in fondo. Emma non si lasciò distrarre. I suoi occhi lampeggiarono, rabbiosi. – Tutto questo non ha niente a che vedere con i miei genitori! Loro hanno portato via una bambina, l’hanno rapita, l’hanno maledetta... perché non accettavano l’idea di avere una figlia corrotta dall’oscurità. Loro volevano... una figlia perfetta! Hanno preso una creatura innocente! Io avrei potuto prendere la bambina di Zelena... sarebbe stata un ottimo contenitore, sai?

Lily aprì la bocca, per dire chissà che cosa, che comunque non disse. Rimase fulminata. Quella non poteva essere Emma. Quello sguardo... il verde si era esteso a dismisura. Il verde degli occhi aveva inondato la sclera, coprendo il bianco. Durò un istante, ma era sicura di non esserselo immaginato. Era...

Nimue?

- Ma ho preso Zelena! – continuò Emma, con più calma. – Ho preso Zelena, perché lei non è affatto innocente. Lei conosce già l’oscurità. Non ha mai desiderato pentirsi. Non ci ha mai nemmeno provato. Ed io... lo sto facendo per salvarmi!

- Ci deve essere un altro modo! Peggiorerai solo le cose. È un omicidio a sangue freddo!

- Ti preoccupi dell’omicidio? Non ho più tempo, Lily. Non esiste un’altra soluzione. Come te lo devo dire? Tra poco... tra poco l’oscurità sarà troppo potente. Credi che non desideri prendere quella spada e distruggere la magia bianca? Credi che non voglia oltrepassare quel... quel limite? Lo vedo, Lily. Lo vedo, il limite.

Lily tacque.

- Io desidero quel potere. – continuò Emma. – Tra non molto... non potrò più resistere. E diventerò l’Oscuro più potente che sia mai esistito.

- Potremmo aiutarti. – propose Lily. Non aveva possibilità di convincerla e lo sapeva, ma doveva tentare. Doveva continuare a provarci. – Ci sono delle persone... che vogliono aiutarti. Io...

- Quelle persone avrebbero dovuto pensarci settimane fa, invece di tradirmi! – Emma le voltò le spalle. Alzò la testa di scatto. Si mise in ascolto. – Tua madre è qui...

- Non può entrare...

- No. E tu non puoi uscire.

- Che cosa?

- La protezione intorno alla casa è stata rafforzata. Nessuno entra se io non voglio... e nessuno esce.

- Quindi hai intenzione di incatenarmi come hai fatto con lei? – Indicò Zelena, che non aveva più detto niente, però seguitava ad armeggiare con le catene.

- Non ne ho bisogno. – Emma passò una mano sul viso di Lily. Gliela mise sugli occhi, come se glieli volesse chiudere, invitandola a dormire.

Un’esplosione rossonera nella testa di Lily. Infine, il buio.

 

 
- Lily!

Giunta alla casa dell’Oscuro, Malefica aveva preso a guardarsi intorno, ad esaminare la situazione. Il luogo era protetto e la magia era antica, molto potente. Possibile che arrivasse da uno dei libri dello stregone. I contorni della dimora dell’Oscuro erano distorti, sbiadivano come se i muri fossero sul punto di svanire. Come se ciò che vedeva appartenesse in realtà ad un’altra dimensione.  

Tutto era buio e immerso nel silenzio. Non sembrava esserci traccia di Emma o di Lily. Eppure era sicura che fossero lì entrambe. Era sicura che stesse per capitare qualcosa.

Sul retro c’era una rimessa. Un vecchio edificio bianco. Anch’esso protetto dalla magia. Era certamente il posto in cui Emma Swan teneva gli acchiappasogni. Lily l’aveva visto in sogno... non in sogno, in quella visione. Quando aveva guardato attraverso gli occhi di Emma.

- Lily!

Non ottenne risposta.

“... Fallirai. Proprio come hai fallito con Rosaspina”.

Ho fallito con Rosaspina. Ho fallito con Lily e ho permesso che me la portassero via. Sono stata sconfitta dalla Salvatrice. Non succederà un’altra volta. Non perderò mia figlia un’altra volta!

 

***

 

Foresta Incantata. Duecento anni prima.

 

“Sire”, disse Turchina, inchinandosi rispettosamente davanti al sovrano e a sua moglie. “Vi ringraziamo per questo invito”.

“Sono io che ringrazio voi per essere venute”, rispose il re, sorridendo. Risplendeva nel suo abito blu e oro, che gli conferiva un’aria ancora più elegante. I capelli biondi erano corti, ma folti, pettinati all’indietro. Gli occhi erano azzurri. Un azzurro vivido, gioioso. C’erano piccole rughe ai lati dello sguardo e della bocca. Sua moglie era minuta, con un viso dolce e una corona di fiori posata sui capelli intrecciati. “Le fate sono benevole e propizie per una neonata. Benvenute”.

La sala del trono, in cui si celebrava la nascita della prima figlia del re, era piena di gente. Nell’aria aleggiava la musica delle arpe e il profumo intenso dei fiori colorati sistemati sulle balconate. Dalla finestre penetrava la luce intensa del sole. I servitori si davano da fare con gli ospiti, offrendo loro cibo, acqua, sidro e vino in gran quantità.

Turchina si avvicinò alla culla. La bambina, paffuta e rosea, guardò la fata con occhi grandi, azzurri come quelli del padre. Allungò le mani e accennò un sorriso. “Qual è il nome della bambina? E qual è il vostro desiderio per lei?”

“Rosaspina”, rispose la regina.

Turchina ritrasse la mano come se si fosse appena scottata. Era stata strappata dalla contemplazione della bambina da una nuova, inattesa percezione, una cosa in agguato ai margini della sua consapevolezza.

“Che cosa succede?”, domandò la regina, notando la sua espressione.

Un possente ruggito interruppe tutto quanto. La musica cessò di colpo, terminando con un’ultima nota stridente e fastidiosa. Alcuni servitori rovesciarono i vassoi. Gli invitati si fermarono, sollevando le teste o spalancando gli occhi. Il re portò una mano all’elsa della sua spada, mentre le fate si giravano tutte verso la grande porta che dava accesso alla sala.

I battenti si aprirono con violenza e una lunga ombra si estese sul pavimento lucido e cosparso di petali di rosa.

“Scusate il ritardo”.

Gli ospiti indietreggiarono tutti insieme, come un’unica grande onda. Si udirono grida di spavento. Il re estrasse la spada.

Malefica attraversò l’ala centrale, portandosi al centro della sala. Indossava un lungo abito nero e un copricapo che culminava con due corna. Il nero metteva ancora più in risalto in grandi occhi celesti. Si appoggiò al suo scettro, guardandosi intorno, valutando l’ambiente, esaminandolo senza mostrare interesse per niente.

“Fuori dal mio castello, strega!”, gridò il re, avanzando di qualche passo.

La bambina nella culla cominciò a piangere.

“Mi dispiace interrompere i vostri... festeggiamenti”, disse Malefica. “Ma avrei anch’io un dono per la neonata”.

“Non accettiamo doni dall’essere che ha terrorizzato questo regno per cento anni!”.

“Come siete indisponente”. Malefica raggiunse i gradini che conducevano allo spiazzo rialzato in cui si trovavano i due troni e la culla. Lanciò un’occhiata di sbieco alla bambina, che seguitava a piangere. La regina si spostò per fare da scudo alla figlia. “Questa bambina... sarà certamente amata da tutti. E come si potrebbe non amarla? Guardatela”.

“Ti ordino di andartene”, disse il re, puntando la spada. La punta della lama sfiorò il petto di Malefica.

Lei non si scostò. Allargò le braccia come se volesse abbracciare l’intera sala. Scintille viola scaturirono dalla sfera sulla sommità dello scettro. Le scintille illuminarono il volto del re, baluginarono sulla lama, decorarono l’abito bianco della regina, che si schermò gli occhi con una mano. “Oh, sì, la bambina sarà amata da tutti. Ma prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno... si pungerà con un fuso e morirà!”

La sala si riempì di nuovo di grida.

Furente, il re si avventò su Malefica, ma lei disparve in una nube viola. Rimase solo un suono, una risata acuta e sguaiata, che gli gelò il sangue nelle vene. Le luci dei candelabri si spensero. Qualcosa si rovesciò con fracasso. Molti invitati scapparono a gambe levate. Alcuni caddero e vennero travolti dai fuggitivi.

Fu molto difficile contenere il caos creato da quell’apparizione. Il re ordinò alle guardie di formare un cordone intorno al castello, mentre un altro gruppo sarebbe uscito a caccia della mutaforma.

“Sire...” iniziò Turchina.

Il re lasciò cadere la spada e cascò pesantemente sul suo trono, con gli occhi sbarrati.

“Voi sapevate...”, mormorò la regina, mentre stringeva Rosaspina tra le braccia. Il pianto della bambina si era ridotto a dei singhiozzi soffocati.

“Conoscevo la profezia. Me la rivelò la mia regina, Titania, molto tempo fa. Ma non immaginavo che si trattasse... di vostra figlia. Fino a quando non ho saputo il suo nome”, rispose Turchina.

“Mia figlia... morirà?”, chiese il re, ancora accasciato e paonazzo.

“No. Rosaspina non morirà. La profezia parla di un sonno simile alla morte...  destinato a durare cento anni. Anche Malefica conosce la profezia. E sa che non vincerà”.

“Come sarebbe a dire?”

“Malefica è destinata a subire tre sconfitte”, disse Turchina, in tono grave. “Sarà sconfitta da una rosa, da una maledizione che colpirà ciò che ama di più... e da una spada. La rosa... è vostra figlia”. Si interruppe qualche istante. Le altre fate erano tutte strette l’una contro l’altra, dietro di lei.

“Aiutatemi”, mormorò il sovrano. “Aiutatemi. Devo impedire che questo accada. Voglio... voglio... proteggere mia figlia. Come posso farlo? Ci deve essere un modo...”

“C’è un posto... nella foresta. Lontano da qui”, rispose Turchina, dopo aver riflettuto per qualche momento. “Un posto dove possiamo nascondere la bambina fino a quando non compirà sedici anni e un giorno. Tre fate la proteggeranno. Le sceglierò io”.

 

***

 

Camelot. Due settimane prima della maledizione.

 

Lily ed Emma tornarono, ma nessuna delle due disse niente. Mary Margaret non tentò nemmeno di avvicinarsi ad Emma, ma rimase in disparte con David. Una volta sconfitta l’oscurità, avrebbero avuto il tempo di parlarne. Forse lei le avrebbe dato la possibilità di spiegarsi.

Ma spiegare cosa? Stavi lasciando morire la sua unica amica, disse una vocina nella sua mente. Ed era una voce fredda e decisa, una voce inquietante. E lo rifaresti.

Lily, dal canto suo, andò a mettersi in un angolo.

Malefica la fissò, ma la ragazza non ricambiò lo sguardo.

- Non preoccuparti. – disse Regina. - Le passerà.

- Mi dispiace per quello che è successo. – disse Malefica, guardandola con tristezza.

Regina incrociò le braccia al petto. – Diciamo che posso capirla. In parte. Ammetto di essere stata un po’ rude con Emma. Ma era necessario.

- Già. Almeno tu sei stata in grado di fare qualcosa. Io invece non mi sono mai sentita così debole. – Abbassò lo sguardo. Vide i propri pugni contratti e li riaprì. – Nemmeno quando quei due idioti di Stefano e Rosaspina mi hanno sconfitta.

- Beh, direi che hai un aspetto migliore rispetto al giorno in cui ci siamo conosciute. – osservò Regina, sorridendole per rassicurarla. - Tu non sei affatto debole, Malefica. Sei... una madre. Hai appena ritrovato tua figlia ed ora è lei la cosa più importante per te.

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma Emma estrasse Excalibur e l’appoggiò sul tavolo, accanto al pugnale.

- Che momento affascinante! – commentò Knubbin. – Non avrei mai pensato di potervi assistere... sono più emozionato del giorno in cui ho conosciuto il mio maestro! E vi assicuro che non è poca cosa.

Il corvo si alzò in volo, innervosito dalla vicinanza dell’Oscuro. Passò sopra la testa di Malefica, allungando le zampe come per artigliarle i capelli. Lei lo scacciò e l’uccello andò a posarsi sulla spalla di Henry.

- Gli piaci. – disse Knubbin, divertito dalla sua espressione perplessa. - E ad Heathcliff piacciono poche persone. Ritieniti fortunato.

Merlino si fece avanti. – Sei pronta?

- Sì. – disse Emma. Scoccò un’occhiata a Regina, che sentì qualcosa sciogliersi nel suo petto. Quell’occhiata le diceva che non vi era alcun risentimento. Niente che doveva rimproverarsi.

- È il momento, allora. Distruggiamo l’oscurità. Una volta per tutte. – Aprì il cofanetto contenente la fiamma, che risplendette, gialla e arancione, come un tizzone ardente.

“Io... non sono ancora morta, fanciulla”.

Emma ignorò le voci. Ignorò tutto quanto. Usò i suoi poteri per maneggiare la fiamma, per controllarla, racchiuderla tra le sue mani e trasformarla in una vera luce, una luce che si librò in aria, in attesa.

Regina era fiera di ciò che stava vedendo. Il peggio era passato. Era sicura che, dopo quell’incantesimo, Merlino avesse in mente qualcos’altro. Non era ancora finita. Ma era pur sempre un grande passo verso la fine di quella storia.

Emma immerse le due lame nella luce e le congiunse.

 

_______________

 

 

Angolo autrice:

 

Salve  ^_^

Allora, qualche precisazione: questo capitolo, inizialmente, era un tutt’uno con il capitolo successivo, il quattordicesimo. Il risultato finale era un capitolo lunghissimo, con una marea di informazioni, quindi ho optato per una divisione. La divisione in sé non mi convince, devo ammetterlo, ma la considero necessaria.

La storia di Malefica riprende la versione narrata dai Grimm, con qualche aggiunta personale.

Balerion è un drago nominato ne Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.

E niente. Grazie per essere arrivati fino in fondo.


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Capitolo 14
*** 14. ***


14

 

 
“Hush, child

The darkness will rise from the deep
And carry you down into sleep
Child, the darkness will rise from the deep
And carry you down into sleep”

[Heather Dale, Mordred’s Lullaby]

 

 

Foresta Incantata. Più di cento anni dopo la nascita di Rosaspina.

 

Stefano scivolò sotto il ventre della creatura e, con la spada incantata dalla magia delle fate che avevano protetto Rosaspina fino al giorno del suo sedicesimo compleanno, le inflisse una profonda ferita. L’ennesima. La lotta durava da parecchio, ormai. La lama penetrò le dure scaglie nere che ricoprivano il corpo del drago. Sgorgò sangue nero come la tenebra.

Malefica ruggì di dolore e frustrazione. Dimenò violentemente la coda, menò sferzate a caso, mentre Stefano si allontanava da lei. Addentò a vuoto, cercando di raggiungerlo, ma lui era fuori portata. Il suo mantello rosso era strappato in più punti e bruciacchiato. L’armatura era sporca di polvere e sangue. Il suo, mescolato a quello del drago. I capelli biondi formavano una nuvola disordinata intorno alla sua testa.

Poi, in un ultimo, disperato scoppio di furia, Malefica spalancò le fauci e rigettò un’onda di fuoco contro il principe. Stefano si fece in là, evitando le fiamme, che tracciarono una lunga scia infuocata.

Infine Malefica crollò su un fianco. Cadde lentamente, si afflosciò emettendo uno strillo inferocito. Stefano avvertì il terreno tremare sotto i calzari quando il corpo colpì il suolo. I muscoli ebbero un sussulto. La coda scattò convulsamente.

Infine non si mosse più.

 

 
Il principe pensò che Malefica fosse morta e si diresse verso il castello, zoppicando. Usò la spada per tranciare la fitta rete di rovi che aveva intrappolato il luogo nel quale Rosaspina dormiva il suo sonno simile alla morte da ben oltre cento anni, insieme al resto della corte.

Ma Malefica non era morta. A lungo fu preda dell’oblio. Rimase là, priva di sensi e intanto sognò. Vide se stessa aggrappata alla schiena della madre, molti anni prima, quando era solo una bambina che ammirava per la prima volta il mondo dall’alto. Vide se stessa nella caverna in cui era nata, rannicchiata dove un tempo c’era stato un uovo. Vide l’uomo tramutato in corvo.

Tornò a galla. Tornò alla realtà, in un mondo in cui il suo corpo non aveva più niente di quella forza, di quella vitalità, ma era solo un grumo di immane sofferenza. Si sorprese di essere ancora viva.

Cercò di tirarsi su, di aprire le ali. Il dolore fu eccessivo, terrificante, un lampo che la accecò, costringendola a sdraiarsi nuovamente sul fianco.

Remoto e vago, udì un grido in lontananza. L’urlo di un aquila.

‘Alzati’, le sussurrò una voce, nella mente. E sembrava la voce di sua madre. ‘Alzati prima che torni e ti finisca’.

Malefica sollevò il capo, ricadde un’altra volta e poi riuscì ad alzarsi.

 

Ritornò al suo castello e il suo volo fu come il primo. Scoordinato. La sua mente era confusa e sfinita.

Precipitò in uno spiazzo davanti all’ingresso. Era caduta la neve e lei recuperò le sembianze umane, distendendosi. Fu come cadere su un letto imbottito di piume.

Il cielo era bianco e abbagliante, ma lei lo guardò a lungo. Piccoli fiocchi di neve si posarono sul suo viso e sull’abito nero.

Chiuse gli occhi.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Malefica puntò lo scettro contro la barriera che circondava la casa dell’Oscuro e tentò ancora di aprire una breccia, di indebolirla anche solo momentaneamente. Non aveva idea di quanto tempo le sarebbe occorso per entrare, ma avrebbe trovato un modo. Aveva già provato svariati incantesimi senza successo, eppure non demordeva. Non se lo poteva permettere.

“Fallirai. Come hai fallito con Rosaspina”.

Rosaspina aveva dormito per più di cento anni. Lei aveva... aveva dormito per decenni dopo la sua prima sconfitta. Era rimasta sepolta nella sua dimora fino al giorno in cui Regina non aveva fatto la sua comparsa. Fino a quando non l’aveva costretta a ravvivare le braci che ancora ardevano dentro di lei. Era stata sconfitta di nuovo, in seguito, ma quella sera era là per sua figlia. Contro l’Oscuro poteva non avere speranze, ma preferiva morire piuttosto che restarsene a guardare.  

“Fallirai. Come hai fallito con...”

Una mano penetrò nella sua schiena e le afferrò il cuore, stritolandoglielo. Malefica emise un grido strozzato e lo scettro le sfuggì.

Emma Swan le strappò il cuore. Malefica cadde sul prato.

- Non amo essere interrotta. – disse l’Oscuro. Si inginocchiò accanto a lei, lo sguardo scintillante. – Sai, ho del lavoro da fare.

- Dov’è... Lily? – mormorò Malefica, fissando il proprio cuore nella mano bianca di Emma. Bagliori rossi pulsavano e fremevano in mezzo alle ombre nere.

Emma serrò l’organo incantato tra le dita. Forte. – Lily... sta bene. Tu... non ho ancora deciso.

 

 
Nei sotterranei della casa, Lily rinvenne lentamente. Si era ridestata da un sogno tremendo e confuso, un sogno pieno di sangue, di oscurità, di odore di benzina... occhi d’argento, una pistola infilata nei jeans, una nebbia rossa, la faccia di Murphy presa a calci, le gomme che stridevano sull’asfalto, la canzone country che la radio aveva trasmesso prima che lei e il suo complice arrivassero in quella maledetta area di servizio. Born to lose...

- Bentornata. – disse una voce che conosceva.

Il sogno cedette il posto ad altre immagini. Emma. Il suo piano. Zelena.

“Farò ciò che è necessario, Lily. La ucciderò usando Excalibur”.

Lily si tirò su a fatica. Scosse il capo, cercando di schiarirsi le idee. Sì, era ancora nei sotterranei. No, non era incatenata come la strega, ma era chiusa là sotto con lei, mentre Emma si trovava chissà dove a preparare ciò che restava da preparare.

- Emma è là fuori da qualche parte. E noi siamo qui sotto. – disse Zelena, dando voce ai suoi pensieri. – Se mi dai una mano, forse possiamo uscirne.

- Perché dovrei? – domandò Lily, mettendosi seduta. – Anche se decidessi di aiutarti, non potremmo comunque uscire.

- Sottovaluti il mio potere. E sopravvaluti le parole di Emma. – Lanciò un’occhiata alle pozioni sul tavolo. – La magia che circonda la casa è antica, ma non così antica come l’Oscuro vuole farci credere. Il problema però... è questo affare.

Lily osservò il bracciale agganciato al polso di Zelena.

- Se riuscissi a togliermelo, forse avremmo qualche possibilità. Quelle pozioni... – Con un cenno del capo gliele indicò. – Vedo qualcosa che può essermi utile.

- Non mi fido di te. Probabilmente mi ucciderai non appena ti aiuterò a toglierti il bracciale. Credi che sia così imbecille?

- No, affatto. Ma non hai scelta. Mi porteresti quel coltello e l’ampolla rossa?

Lily vide l’arma di cui parlava Zelena e anche l’ampolla. Conteneva un liquido rosso scarlatto. Le ricordò la pietra incastonata nel pomolo di Excalibur.

“Ha ucciso Neal. Ha ucciso Marian. Ha assunto le sue sembianze, prendendosi Robin. Ha fatto di tutto per cercare di distruggerci. Di distruggere Regina”.

- Lilith. – disse Zelena. – Siamo sulla stessa barca. Anche tu vuoi scoprire che cosa sta tramando Emma.

- Emma vuole ucciderti!

- Certo. Ma credi che sia tutto qui? C’è sotto qualcos’altro ed io ho già un’idea.

- Quale sarebbe?

- Una cosa alla volta, cara. – Zelena tese il braccio. - Portami l’ampolla e prendi il coltello, vicino al libro. Amputarmi il braccio è davvero troppo doloroso. Meglio usare un metodo più pratico. Niente sangue, stavolta.

Lily non ci pensò a lungo. Sapeva che era una pessima idea. Se lo sentiva. Ma come le era già capitato in passato, la sua mente pensava soltanto ad uscire da quel posto e a fermare Emma prima che compisse il suo piano. Non ragionava in base alle conseguenze. A quelle avrebbe pensato in seguito.

Quindi si alzò e prese le cose che Zelena voleva. Versò il liquido rosso sulla lama del coltello, che scintillò e assunse la stessa colorazione della pozione.

- L’effetto non durerà. Dammelo! – esclamò la strega.

Lily non glielo diede. Sferrò un fendente, colpendo il bracciale. Un colpo maldestro, ma che riuscì nel suo intento. Il bracciale si spezzò in due parti. Zelena non fece commenti e usò i suoi poteri per liberarsi delle catene.

- Oh, sì, finalmente! – esclamò la strega. Schioccò le dita e una nube verde l’avvolse dalla testa ai piedi. Quando si dissolse, Zelena aveva cambiato look. Portava un cappello sulle ventitré e un vestito verde che metteva in risalto le sue curve, sotto la mantella nera. - Ora sì che mi sento bene!

Lily era tesa e all’erta. Si aspettava qualsiasi cosa.

- A proposito del nostro accordo... – riprese Zelena. – Vogliamo uscire da qui?

 

 
Di nuovo in casa. Zelena aprì la porta con cautela. Emma non c’era, ma una strana, magica luce gialligna colorava le tende.

- È occupata. Molto bene. – commentò Zelena. – Passiamo dal retro. Con un po’ di fortuna, non mi ci vorrà molto ad aprire una breccia nella barriera.

- C’è mia madre là fuori! È venuta a cercarmi. – disse Lily. – Non posso andarmene.

- L’Oscuro non ucciderà tua madre. Non le serve. Vuoi davvero affondare con tutta la nave?

- Se me ne vado, Emma troverà comunque qualcun altro da usare come contenitore per la sua oscurità. – Lily si guardò intorno.

- Emma non ha fatto niente per te. Non le devi nulla.

- Non importa! Ho bisogno di risposte e non intendo andarmene fino a quando non le avrò ottenute. E soprattutto... non abbandonerò mia madre.

- Quindi intendi restare qui e fare domande all’Oscuro? Non ti dirà niente.

- Lo farà. Troverò un modo.

Zelena roteò gli occhi. – Vado nella rimessa. Là dentro ci sono i nostri ricordi.

- Gli acchiappasogni?

- Naturalmente. Dovrà pur tenerli da qualche parte. Se proprio ci tieni alla tua chiacchierata con Emma, vedi di farla durare il più a lungo possibile.

- E perché dovresti...?

Zelena la piantò in asso, uscendo da un’altra porta che conduceva in giardino. Andò a sbattere contro la barriera invisibile creata da Emma, scosse la testa, infastidita, ma qualche attimo dopo in quella barriera si aprì una breccia e Zelena vi passò attraverso.

Per lei è sempre tutto così facile?

 

***

 

Foresta Incantata. Quarant’anni fa.

 

“Che cosa stai facendo?”, chiese Malefica.

“Non mi arrendo così”, rispose Regina, concentrandosi al massimo per bruciare le corde che le serravano i polsi. Cercava di ricordare ciò che Tremotino le aveva insegnato fino a quel giorno.

“Non puoi vincere. Ce ne sono troppi”.

Le guardie di Stefano le avevano legate, avevano privato Malefica dello scettro ed ora le stavano conducendo al castello del re. Erano dietro di loro, a cavallo e tutti armati. Malefica rimpiangeva il momento esatto in cui aveva dato retta a quella ragazzina. Quel drago non esisteva più. Il drago era stato sconfitto anni prima, quando Stefano aveva lottato contro di lei con la sua spada incantata dalla magia delle fate e aveva spezzato il sortilegio che teneva prigioniera Rosaspina.

Poi si era presentata Regina. Regina con la sua insistenza, la sua testardaggine, quella sete di vendetta che le corrodeva l’anima, con l’energia e la rabbia che un tempo le erano appartenute. Si era presentata, aspettandosi una strega potente e in grado di insegnarle tutto ciò che sapeva. Invece aveva trovato solo una donna provata e pallida, con i capelli arruffati, l’andatura barcollante e i vestiti polverosi. Regina l’aveva spronata, l’aveva costretta a riprendere in mano la sua dannata vita, l’aveva convinta ad uscire e a risvegliare la creatura che, anni prima, aveva seminato il caos in quel regno.

Ma non era bastato.

“Speriamo che le mie sfere di fuoco siano migliorate”, le rispose Regina.

“Non puoi batterli”. Si chiedeva anche perché si preoccupasse per la sua incolumità. Un tempo se la sarebbe mangiata in un solo boccone.

“Hai ragione. Non senza un drago”. Regina si liberò delle corde e formò una sfera di fuoco, scaraventandola contro uno dei soldati di Stefano. L’uomo gridò e cadde da cavallo.

Fu l’unica sfera di fuoco che Regina riuscì a produrre. Per quanto si sforzasse, la magia non le rispose più. Venne presa dal panico, mentre gli uomini di Stefano serravano i ranghi e si preparavano a rispondere ai suoi attacchi. In quel momento non era molto facile ricordarsi anche quel poco che Tremotino le aveva già insegnato.

La magia dipendeva dalle emozioni.

La magia aveva sempre un prezzo.

La magia...

Regina udì un ruggito basso e cupo.

La densa nube nera avvolse Malefica e si ingigantì davanti ai suoi occhi, salendo verso l’alto, vorticando, gonfiandosi, gettando un’ombra oscura su Stefano, che si tirò precipitosamente indietro. Un cavallo si impennò, disarcionando il suo cavaliere, che rovinò a terra, impigliato nel proprio mantello. Stefano afferrò saldamente le redini per non essere sbalzato di sella a sua volta.

Il drago nero spiccò il volo, spalancando le enormi ali membranose. Regina la guardò piombare sugli uomini, con le fauci pronte a rigettare quel fuoco che non si era mai spento del tutto. Quel fuoco che aveva risucchiato, prendendolo dall’albero che aveva continuato a bruciare per oltre cinquant’anni, come se aspettasse solo che Malefica tornasse e recuperasse ciò che si era lasciata alle spalle.

Ma sentir parlare di Malefica in un libro era una cosa; vederla faceva tutt’altro effetto.

Era una creatura enorme, uscita dalle storie che si raccontavano ai bambini nelle notti senza luna, davanti ad un camino scoppiettante. Una creatura maestosa. Il corpo immenso era ricoperto di dure scaglie nere. La lunga coda frustava l’aria. Gli occhi bruciavano, più vivi e letali che mai.

Regina non ne ebbe paura. Era estasiata e affascinata dalla vera forma di Malefica. Sorrise apertamente. “Guarda un po’ chi è tornata”.

Il drago aprì le fauci e scagliò la prima onda di fuoco sugli uomini che le avevano fatte prigioniere. Stefano urlò e sollevò lo scudo nel disperato tentativo di proteggersi. Regina avvertì il calore intenso delle fiamme, ma non si scostò. Nemmeno per un istante pensò di farlo. Voleva godersi lo spettacolo.

Malefica ruotò su se stessa, dopo aver compiuto un ampio giro intorno a quel campo di battaglia. Si lanciò sui soldati, riversando la sua furia incendiaria su di loro. Uno degli uomini di Stefano prese fuoco. Crollò dal cavallo, che scappò al galoppo. Si rotolò al suolo, gridando e contorcendosi.

“Hai fallito”, disse Regina, rivolta a Stefano. “Questa volta ti è andata male. Manda i nostri saluti alla tua adorata Rosaspina”.

 

 
Meno di un’ora dopo, Malefica si occupò anche della figlia di Rosaspina, una ragazza di nome Aurora. Priva della protezione del padre e totalmente indifesa, lei poté solo blaterare qualche minaccia a vuoto prima che Malefica la pungesse, precipitandola nel sonno simile alla morte che aveva imprigionato sua madre.

“Davvero notevole, mia cara”, commentò Regina, reggendo il suo scettro.

“Ma non ne sarei stata capace senza il tuo aiuto”, disse Malefica. “Mi hai ricordato chi sono davvero. Ti ringrazio”.

Regina si sentiva lusingata. Le porse lo scettro e Malefica lo prese. Nel farlo, allungò le mani lentamente, sfiorandole le dita. Lei se ne stette là, con la testa sollevata per riuscire a guardarla in viso. Era molto più alta di lei e, oltre a questo, Regina pensava che avesse degli occhi incredibili. Erano grandi e azzurri, quell’azzurro ombroso, come un cielo che si sta preparando alla tempesta.

“Bene”, ricominciò Malefica, senza smettere di fissarla. “Dunque, hai mai cavalcato un drago prima d’ora?”

Regina scosse il capo. Era contenta. Per lei essere contenta era una novità. Da qualche tempo a quella parte non si era sentita neanche remotamente contenta. Anzi, era sicura che, una volta tornata a casa, avrebbe trovato Tremotino ad aspettarla e poi la sensazione esaltante provata quel giorno sarebbe svanita per lasciare il posto alla tristezza. Una tristezza immeritata, il prezzo di un tradimento che non avrebbe mai dimenticato.

“No”, ammise Regina, dopo un attimo. “Ma credo che mi piacerà. Molto”.

“Lascia che ti dia un passaggio”, continuò Malefica. “Arriverai prima”.

“D’accordo. Ma sai... non ho fretta”, rispose Regina.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Emma, fermati! – gridò Regina.

- Emma, non farlo. Ti prego. – aggiunse David, distendendo un braccio, quasi intendesse afferrare la figlia.

L’Oscuro stringeva il cuore di Malefica nella mano destra. Nell’altra, invece, aveva Excalibur. Intera.

- Swan, che cos’hai in mente? – chiese Uncino, facendo un passo avanti, ma con cautela.

Emma li osservò con implacabile indifferenza. – Che cosa siete venuti a fare?

- Dov’è Lily? – chiese Regina.

- Lily non è un problema vostro. Niente di tutto questo lo è. – Mostrò loro Excalibur. – Non appena avrò finito con Zelena, mi ringrazierete. Soprattutto tu, Regina.

- Per quale motivo dovrei ringraziarti?

- Non lo ricordi, ma a Camelot... mi hai aiutata ad ammettere delle cose su me stessa. – Emma lanciò un’occhiata a Malefica, sdraiata ai suoi piedi. – Non prendere quello che farò a Zelena come un modo per ricambiare un favore. È una cosa che devo fare. È necessaria. Ma un ‘grazie’ lo vorrei sentire comunque. Sarebbe un buon inizio, considerando quello che avete fatto.

- Un buon inizio?

- Killian, non gliel’hai raccontato?

Uncino scrollò il capo. – Eccome, Swan. Ma se ci dicessi la verità, finalmente, potremmo evitare tutto questo. Noi vogliamo aiutarti.

- Vogliamo salvarti. Non è troppo tardi. – aggiunse Mary Margaret, muovendosi verso di lei. Sorrideva, speranzosa. - Noi siamo la tua famiglia.

- State indietro. – Emma mostrò loro il cuore di Malefica e lo serrò. – Se volevate salvarmi... non avreste dovuto fare quello che avete fatto. Non avreste mai dovuto tradirmi.

- Emma. – ricominciò Regina. – Lascia andare Malefica. È la madre di Lily. Se la uccidi, non ti perdonerà mai.

- Sei proprio come tua sorella. Qualche giorno fa mi ha detto la stessa cosa. Fate entrambe dei bei discorsi sul perdono... – Anche lei sorrise. Fu un sorriso agghiacciante. - E vedo che sei tanto preoccupata per la tua amante.

- Ascolta, Emma... – disse Regina, anche se non aveva idea di quello che avrebbe detto. La sua mente, a margine, aveva carpito il commento dell’Oscuro, ma non riusciva a metabolizzarlo. La situazione era troppo seria per concentrarsi su quello che le aveva appena detto.

“Fate entrambe discorsi sul perdono...”

“Sei tanto preoccupata per la tua amante”.

- Sai chi è stato il primo a tradirmi? – la interruppe Emma, inclinando leggermente la testa di lato.

Il vento le spostò uno ciocca di capelli scuri, facendogliela ricadere su un occhio. Regina attese, mentre il gelo si diffondeva nel suo sangue, come qualcosa di velenoso e torbido, più velenoso della mela che aveva dato a Biancaneve.

- Tu, Regina. – rispose Emma.

Regina ammutolì. Si ritrasse con tanta forza da andare a sbattere contro Uncino.

- È stata una tua idea.

- Questo non... non è possibile. – blaterò Regina.

- Lo è, invece. E voi l’avete seguita.

Emma si chinò, spingendo il cuore nel petto di Malefica. Dopodiché sollevò Excalibur e piantò la lunga lama nel cemento del viale.

 

***

 

Foresta Incantata. Quarant’anni fa.

 

“D’accordo. Ma sai... non ho fretta”, rispose Regina.

Le labbra carnose di Malefica si strinsero come se stessero assaporando quell’ultima osservazione. Poi si girò e la condusse fuori dal castello di Stefano. Riassunse la sua appena ritrovata forma di drago e si abbassò quel tanto che bastava per permetterle di montare in groppa. Regina usò la poderosa zampa della creatura per issarsi e quando si fu sistemata sulla sua schiena ebbe modo di avvertire il calore emanato dal suo corpo. La dura scorza che lo ricopriva aveva una strana consistenza al tatto.

Il vuoto le riempì lo stomaco, appena il drago si staccò da terra.

Se c’era una cosa che Regina amava e che la faceva sentire libera, era cavalcare. Quando lanciava Rocinante al galoppo e avvertiva il vento sul viso e fra i capelli, quando vedeva la foresta intorno a lei diventare una macchia indistinta, che le scivolava accanto velocissima, quello che provava era gioia. Assaporava la libertà e se la teneva stretta, anche se per poco.

Mentre Malefica saliva sempre più in alto e il mondo si faceva sempre più piccolo, provava la medesima sensazione. I suoi piedi erano incastrati alla perfezione a metà dei fianchi del drago, tra due scaglie che sembravano fatte apposta per servire da appoggio. Le ali si congiungevano poco dietro le cosce di Regina e ad ogni battito sentiva i muscoli dell’enorme schiena che si contraevano. Imparò subito a seguire i movimenti del drago e ad assecondarli con fluidità.

Quello che vedeva dall’alto era meraviglioso. Il paesaggio era costellato di campi verdeggianti, fiumi azzurri, laghi, villaggi sparsi e fitti boschi. Regina rise, ammirando tutto con sincero stupore. Malefica prese la via più lunga. Virò verso le montagne ad ovest, scese di quota sfiorando le chiome degli alberi, risalì rapidamente, costringendola ad abbassare la testa e a serrare le palpebre, poiché la brezza che le frustava il viso.

Quando furono in prossimità della meta, la testa enorme ondeggiò e si rizzò verso le nuvole, uno sbuffo di fumo misto a fuoco uscì dalle narici del drago e le ali sbatterono così forte che, per via della velocità raggiunta, per poco Regina non venne sbalzata nel vuoto. Si aggrappò più saldamente, mentre Malefica planava, rallentando il volo e inarcando le ali.

Atterrò ad un paio di leghe di distanza dalla dimora di Regina. Lei scese dal drago e si stiracchiò gambe e braccia.

“Volevo proprio capire che cosa potevi fare”, disse, quando Malefica recuperò la forma umana.

“Adesso sono ciò che ti aspettavi”.

“Oh, sì. Sei anche meglio di ciò che mi aspettavo”.

Malefica appoggiò le dita sulla sua guancia, tracciando brevemente il profilo del suo viso. “Alla fine sei stata tu ad insegnarmi qualcosa. E pensare... che eri venuta da me perché ti aiutassi con la magia”.

Regina pensò a qualcosa da dire, ma non lo trovò. Si limitava a fissarla. Percepiva fin troppo le dita che ora l’accarezzavano sotto il mento.

“Non dimenticherò quello che hai fatto per me. Mai”, disse Malefica. “Torna a trovarmi quando vuoi. Sarai sempre la benvenuta”.

“Bene”. Regina quasi non riconobbe la propria voce.

Poi le dita che l’avevano accarezzata si appropriarono della sua nuca e l’attirarono contro il corpo dell’altra.

Il bacio non fu per niente delicato, ma lei non si aspettava che lo fosse. La bocca del drago era ardente sulla sua, i denti le morsero le labbra e le spezzarono il respiro, strappandole un gemito soffocato. Regina si aggrappò alla veste di Malefica e rispose con la stesse intensità.

 

 
...si aggrappò alla veste di Malefica e rispose con la stessa intensità.

Non resistette e nemmeno ci provò. Qualcosa le diceva che non doveva farlo, ma quando le labbra di Malefica, brucianti come lava, incontrarono le sue, Regina la baciò come aveva fatto tanto tempo prima. Ogni pensiero logico cessò e la baciò con irruenza, seguendo la sua lingua, intrecciandola alla sua, mentre gli spiriti che abitavano le nebbie di Avalon e che avevano condotto alla follia i viaggiatori ignari che si inoltravano in quell’impenetrabile biancore, continuavano la loro danza.

Malefica le circondò la vita con un braccio, attirandola ancora di più verso di sé.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Lily si era messa a frugare in giro, alla ricerca di qualsiasi cosa da poter usare contro Emma, nel caso fosse stato necessario.

Non aveva trovato niente, a parte la scatola che lei le aveva già mostrato la prima volta che era stata lì. Sollevando il coperchio, Lily vide la telecamera. La estrasse e la mise da parte. Immaginava che non avrebbe dovuto soffermarsi sui ricordi di Emma proprio in quel momento. Ma si sentiva inspiegabilmente attratta da ciò che vedeva. Oltre alla telecamera, trovò un anello con una pietra azzurra, una collana, un paio di occhiali e... la foto di un ragazzo. Un ragazzo con i capelli scuri e il pizzetto. In quell’immagine, sorrideva.

Capì subito di chi si trattava.

Neal.

Non era un ragazzo che lei avrebbe definito bello. Aveva un aspetto ordinario, ma il suo sorriso era luminoso e, in qualche modo, lo rendeva speciale.

Inoltre...

Una nube verde fece la sua sgradita comparsa in salotto.

- Ehi, ma che cosa pensi di... – iniziò Lily, lasciando cadere la foto e alzandosi così di scatto che rovesciò l’intera scatola.

- Scusami tanto. – disse Zelena. Estrasse una pistola da chissà dove e fece fuoco.

Il primo sparo la prese al ventre, sbattendola all’indietro e gonfiandole la giacca sulla schiena. Ebbe la sensazione di essere stata colpita da un guantone indossato da un avversario decisamente poco leale. Il secondo colpo la prese al lato del collo, provocando un bruciore simile al sale versato su una ferita. Il terzo le penetrò nel lato destro del petto, mozzandole il fiato e spedendole una fitta lancinante al cervello. Uno stivale slittò sul pavimento e lei cadde malamente, sbattendo la testa sulle assi. Il mondo intorno a lei si stava oscurando. Un’ala nera, l’ala nera che aveva già visto altre volte, si allargò davanti ai suoi occhi.

Nello stesso preciso istante Lily avvertì la mente di Emma accostarsi alla sua. Fu una vera invasione. Arrivò come un uragano e non come qualcuno che si avvicina in punta di piedi, ma come qualcuno che entra sfondando una porta e sradicandola dai cardini. Il dolore si fece più intenso, insopportabile. Un bolo denso le salì su per la gola. Forse era sangue. Un proiettile le aveva bucato un polmone.

- No! – gridò Emma. Non nella sua testa. Era lì vicino. – Che cos’hai fatto, strega?!

- Ho fatto squadra con la tua amichetta del cuore. – rispose Zelena, ridacchiando. – Ma sai come vanno certe cose... e poi lo sceriffo non dovrebbe lasciare in giro armi di questo tipo. Non te l’ha detto la mamma che può essere pericoloso?

- Lily... – Emma posò un ginocchio a terra, chinandosi su di lei.

Emma.

- Ma guarda un po’. – tornò a dire Zelena, divertita come non mai. – Scommetto che non te l’aspettavi, vero? Certo, immagino non sia niente rispetto alla sorpresa che stai provando ora. Mi sorge spontanea una domanda e dovresti fartela anche tu. Non dovrebbe esserci del sangue? Non dovresti... essere già morta?

Lily si rese conto che il dolore si stava ritirando, come le onde del mare quando sopraggiunge la bassa marea. Per un momento era diventato tremendo, era diventato terrificante. Ma era durato poco.

- Emma... che cosa diavolo sta succedendo? – domandò, capendo di poter parlare senza alcuna difficoltà. Lily si alzò, portandosi una mano al petto e cercando i fori dei proiettili.

- Mi dispiace... – mormorò Emma.

Lily le lanciò un’occhiata e poi guardò Zelena, che sorrideva. In una mano stringeva ancora la pistola, nell’altra aveva un acchiappasogni. Gettò via l’arma, che precipitò sul divano del salone e tirò fuori da una tasca della mantella un piccola ampolla. L’aprì e ne riversò il contenuto direttamente su Emma, che lasciò cadere Excalibur, spalancando gli occhi per la sorpresa. L’inchiostro che aveva rubato al negozio di Tremotino si espanse sui suoi abiti, rivestendola interamente. L’aura azzurra si diffuse a macchia d’olio, paralizzandola dalla testa ai piedi.

Lily era troppo incredula per reagire. Si aprì la giacca con uno strattone e vide un foro all’altezza del polmone, nonché un secondo foro più in basso. Si portò una mano al collo.

Niente sangue.

Nemmeno una goccia.

No. Come sarebbe a dire?

- Che cosa sta succedendo? – ripeté Lily, fissando Emma.

- Io credo che sia semplice intuirlo. Ma se vuoi... – Sollevò l’acchiappasogni. – Puoi recuperare i ricordi che ti sono stati rubati.

- Quell’acchiappasogni...

- È di tua madre. L’ho trovato nel capanno sul retro. Ci sono tutti. Una collezione notevole. Purtroppo il tuo ce l’ha ancora mia sorella. – Zelena si avvicinò, sempre tenendo l’acchiappasogni per il cordino che serviva ad appenderlo. – Ho preso anche il mio. Mi ero stufata di questo vuoto di memoria. Perché non diamo una sbirciata ai ricordi della mammina?

- Non fidarti di lei, Lily. – disse Emma. – Posso spiegarti tutto.

- Certo. Può. Ma lei è l’Oscuro. – commentò Zelena.

- Io sono Emma. E sono l’Oscuro così come tu sei una perfida strega!

- Già. Però i ricordi contenuti in questo acchiappasogni non mentono. Non possono essere modificati. Al massimo possono essere protetti con un incantesimo. Cosa che lei si è assicurata di fare con il tuo acchiappasogni, Lilith. Mia sorella ha visto solo una parte dei tuoi ricordi. Ha visto... i ricordi accessibili.

- L’ho fatto per proteggerti. – ribatté Emma. – L’ho fatto per aiutarti. Tutto ciò che ti ho detto è vero, Lily. Tu non hai fallito. Hai sempre creduto in me...

Lily osservò le piume dell’acchiappasogni che ondeggiavano. Osservò la rete interna, il cerchio di salice perfetto. Ebbe paura. Anzi, non era semplice paura. Era terrore. Ed era confusione. Stordimento. Teneva ancora una mano sul collo, dove uno dei proiettili l’aveva raggiunta. Continuava a guardarsi il palmo e a chiedersi quando avrebbe visto il sangue.

- Voglio sapere. – rispose Lily. – Mostrami i ricordi di mia madre.

Emma, nella sua situazione, poté soltanto serrare le palpebre, impotente.

Zelena agitò una mano davanti all’acchiappasogni.

 

***

 

Camelot. Due settimane prima della maledizione.

 

Regina era fiera di ciò che stava vedendo. Il peggio era passato. Era sicura che, dopo quell’incantesimo, Merlino avesse in mente qualcos’altro. Non era ancora finita. Ma era pur sempre un grande passo verso la fine di quella storia.

Emma immerse le due lame nella luce e le congiunse.

Tutti guardarono lo strano e affascinante spettacolo del pugnale che incontrava di nuovo, dopo moltissimi anni, la sua parte mancante. Era come riunire i pezzi di un puzzle, gli ultimi due pezzi, per ottenere il quadro completo.

La luce si espanse, diventando più intensa. Emma avvertì chiaramente il pugnale che si saldava alla lama di Excalibur. Si fondeva e mutava per adattarsi alla spada. Le voci nella sua mente bisbigliarono, sussurrarono, sibilarono. Le voci di diversi Oscuri si assieparono in un punto dietro ai suoi occhi.

Nimue. Cornelius. Rothbart. Gorgon. Zoso. Tremotino.

Emma Swan.

Malefica udì un gemito strozzato alle sue spalle. Si voltò di scatto.

- Lily?

Lily allungò una mano, infilandola sotto la giubba che indossava. Quando la ritirò videro tutti che era piena di sangue.

- È ferita! – esclamò Belle.

Il corvo di Knubbin sbatté le ali e gracchiò, nervoso. Abbandonò la spalla di Henry per tornare ad appollaiarsi sulla spalla del suo padrone.

Lily barcollò in avanti, improvvisamente paonazza. Malefica tese le braccia per afferrarla. Riuscì a prenderla. Si afflosciò tra le sue braccia, mentre il sangue sgorgava a fiotti da una ferita che non aveva mai visto. La camicia sotto la giubba ne era già intrisa.

- Lily, che cosa c’è? – esclamò Emma. Spezzò l’incantesimo e lasciò cadere sia Excalibur che il pugnale, gettandosi in ginocchio accanto a Lily.

- Che cosa è successo? – domandò Regina, in piedi dietro ad Emma.

- Questa ferita... – mormorò Emma. – L’ho guarita poco fa. Era una ferita superficiale!

- Perché sta sanguinando così, allora? – chiese Malefica, sorreggendo la testa della figlia.

- Excalibur. Artù l’ha ferita nella foresta. – disse Merlino. La sua voce era grave. Dalla sua espressione tesa, Malefica capì. Capì ancora prima che il mago riprendesse a parlare. Inorridita, guardò gli occhi sbarrati di Lily. Stringeva i denti e il fiato le usciva a scatti dalla bocca.

- La guarigione era solo apparenza. Excalibur è fatta per recidere legami immortali. Le sue ferite... non possono essere curate. – continuò Merlino, implacabile.

- Che cosa?! – gridò Malefica. - No, questo non può essere. Dobbiamo fare qualcosa!

- Sì, ci deve essere un modo! Emma può farlo... – disse Neve.

- No, non può. Il suo potere non è abbastanza forte. Neanche il mio. – rispose Merlino.

- Lily... – Malefica appoggiò la mano sulla guancia della figlia. – Resisti, ti prego. Non posso perderti un’altra volta.

- Deve esserci un’alternativa. – disse Emma. – Non possiamo lasciarla morire! Io... non ho fatto tutto questo per perdere le persone che amo!

- Emma... – gemette Lily. Cercò di prendere fiato e, sebbene espirando buttasse fuori più sangue che aria, riuscì a parlare. – Non... non importa. Non è... colpa tua. Mi dispiace... mamma...

- No! Non posso accettare una cosa simile... - Malefica prese il volto di Lily fra le mani.

- Riunisci... le lame. Devi... riunirle adesso. - mormorò. Aveva la bocca colma di sangue. Sgorgò da un angolo delle labbra.

Emma fissò come ipnotizzata quella scia rossa tracciare un percorso lungo il mento di Lily, per poi scivolare sul collo e imbrattare la camicia. Una furia cieca e incontenibile le stava colmando la testa. Non aveva mai provato una furia simile prima d’ora. Persino le voci si era zittite. Aspettavano.

- No... Lily, se muori adesso, tanto vale che io torni ad essere la polvere che ero... prima che mi riportassero in vita. – Le lacrime rotolarono sulle guance di Malefica.

- No. – rispose Emma. – Un modo per salvarla esiste.

- Emma... Merlino ha detto che non c’è niente che tu possa fare. – disse Regina.

- Non ha detto la verità. – Emma si girò verso lo stregone. – Sono potente. E adesso useremo questo potere! Posso... usare la fiamma di Prometeo per riunire le lame, ma posso anche usare la spada... per legare ad essa la vita di Lily.

Malefica si rese conto che Emma stava davvero prendendo in considerazione quell’alternativa. Frammenti di quell’idea schizzarono nella sua mente come meteoriti. Rimase senza fiato.

- Emma... sai che cosa accadrebbe. – Merlino parlò con calma, scandendo le parole.

- Nascerebbe un altro Oscuro. – concluse Regina per lui.

- L’oscurità si moltiplicherà. Non potrà essere distrutta, se non facendoti pagare il prezzo più alto.

- Swan. – intervenne Uncino, inginocchiandosi vicino ad Azzurro. – Non puoi. Mi hai detto che Lily ha sofferto molto per via dell’incantesimo dei tuoi genitori e dell’Apprendista. Questo... non è giusto. Non puoi trasformarla in quella cosa.

- Quella cosa sono io! – urlò Emma. E non fu un semplice urlo. Fu un’esplosione di collera che zittì Uncino all’istante. Gli occhi parvero sul punto di schizzarle dalle orbite. Erano rossi, i lineamenti del suo viso erano distorti. - Quella cosa... sono io. Ed io non permetterò che lei muoia!

- Fallo. – disse Malefica. – Fallo, ti prego.

- No... – disse Lily, sputando altro sangue. – No... se lo fate... se lo fate sarà la fine. Per Emma... e per me. Diventerò...

- Emma, non puoi. – disse Neve. – Questo... è sbagliato. Ti spingerà verso l’oscurità.

- Sarà l’ultimo passo. – aggiunse Merlino. – Lily... non è come te, Emma. Potrebbe non riuscire a controllarsi.

- Hanno ragione. – disse Regina. Appoggiò una mano sulla spalla di Emma. – Devi fermarti... Malefica, pensaci anche tu, per favore...

Con uno strattone, Emma si liberò della sua presa. Udì il rumore di uno strappo. – A te non importa niente di Lily! Ma se avessi potuto salvare Daniel... se avessi dovuto salvare nostro figlio, l’avresti fatto!

Regina si ritrasse, scoprendo che un pezzo di tessuto bianco le era rimasto tra le dita. Non riusciva ad elaborare un pensiero coerente.

- Basta, Emma! Facciamolo! – gridò Malefica, fuori di sé. – Lily non ha più tempo!

- Merlino, fermala! – ordinò Neve.

Emma prese la spada e la sollevò, puntandola contro lo stregone. Con l’altro braccio spinse Azzurro, Neve e Uncino lontano da sé. I suoi genitori travolsero uno dei tavoli, che si ribaltò con fracasso. Uncino terminò la sua caduta contro la parete opposta.

- NO! Non lo farà! – disse Emma.

Merlino restò là, con una mano protesa, incapace di muoversi. Su Excalibur c’era ancora il suo nome ed era l’Oscuro che gli stava ordinando di fermarsi. I suoi muscoli non risposero ai comandi. La sua volontà si spezzò come una corda sottile e troppo tesa. Ma era molto più di questo... lo sguardo di Emma ora era molto più verde. E il verde si era allargato, inondando completamente la sclera.

Nimue, pensò lui, sconvolto.

Emma disparve in una nuvola grigia, portando con sé Lily e Malefica.

La catenella che le aveva regalato Killian cadde sul pavimento e l’anello agganciato ad essa rotolò, tintinnando.

 

 
Nei giorni seguenti al loro arrivo a Camelot, Emma era andata spesso ad esplorare i dintorni del castello di Artù. Pensava potesse aiutarla a non riflettere troppo sulla sua nuova condizione. Pensava potesse distrarla e tenere a distanza Tremotino. Lui e tutte le voci che la tormentavano. Camminava nella foresta attorno a Camelot ed era stato così che era giunta fino ad un luogo racchiuso da un gruppo di alberi, una piccola radura dove aveva trovato una sorgente, nella quale una cascata scrosciava, gettandosi nelle sue acque e sollevando spruzzi che giocavano con i raggi del sole. Il lago era circondato da fiori, molti dei quali erano gigli bianchi, candidi come quello che aveva regalato a Lily solo alcuni giorni prima.

Emma apparve proprio nei pressi della sorgente, insieme a Lily e a Malefica. La ragazza venne adagiata sul prato. Il petalo di un giglio le sfiorava i capelli.

- Emma, dove... – cominciò Lily, ma non riuscì più a proseguire. Gli occhi le si rivoltarono nelle orbite e altro sangue uscì dalla bocca.

- Fai presto, ti supplico. – la supplicò Malefica, posando una mano sulla fronte della figlia.

- Spero che tu capisca che cosa sta per succedere, Malefica. – disse Emma. – Lo farei comunque, ma voglio che tu...

- So benissimo che cosa diventerà! Adesso fallo!

Emma si sporse in avanti, posando le labbra sulla fronte di Lily. – Perdonami, se puoi...

Poi raccolse la spada spezzata e la pose in modo che fosse parallela al corpo di Lily. Richiamò il potere di cui aveva bisogno, usando tutte le sue energie e accorgendosi solo allora che anche lei stava piangendo.

 

 
Alla locanda Regina si spostò di scatto quando vide cosa stava accadendo a Merlino e si mise davanti ad Henry, per proteggerlo.

- Che succede? – domandò Robin, incredulo.

- No... non possiamo permetterglielo. – disse Uncino.

- Che la bocca degl’Inferi si apra per accogliermi... – bofonchiò Knubbin. I capelli grigi gli stavano ritti sulla testa. La bocca gli si spalancò, come se tutti i tendini che reggevano la mascella avessero improvvisamente ceduto.

L’oscurità stava abbandonando il corpo dello stregone. Braccia sottili e dense, nere come la tenebra più profonda, lasciarono il contenitore umano, allungandosi verso l’alto e sparendo lentamente.

- È troppo tardi. – disse Merlino.

 

 
La spada era diventata luminosa. Se Malefica non avesse saputo che cosa stava succedendo né quali poteri avessero la lama e la fiamma di Prometeo, non avrebbe mai pensato che fosse qualcosa di malvagio, qualcosa che avrebbe mutato forse per sempre la natura di Lily.

Poi vide l’oscurità.

Nel punto in cui la lama si univa all’elsa, l’oscurità fuoriuscì e abbracciò Excalibur, riversandosi infine nella nuova ospite. Una cosa viva e smaniosa. Una terribile forza nera che correva verso l’anima di Lily, molto più nera del potenziale oscuro che gli Azzurri avevano trasferito dentro di lei molti anni prima.

Malefica si sentì paralizzata e circondata da una serie di orrori; sua madre uccisa dalle fauci e dagli artigli di un drago che poteva essere la reincarnazione di Balerion il Terrore Nero; lei, ancora troppo giovane per difendersi, smarrita nel suo stesso castello, inondata dalla paura; le urla delle persone che bruciavano vive in quel villaggio; uomini e donne che ululavano di dolore, preda del fuoco, le loro carni che si annerivano, i capelli che diventavano roghi ardenti; Percival, quel cavaliere, ucciso da Lily, la sua faccia che si deformava, diventando una maschera di fuoco. C’era anche questo e molto altro nell’oscurità che si avventava verso sua figlia, affamata. Tutte le cose infide che aveva paventato e anche cose che non poteva neppure immaginare si stavano avventando su Lily. Lei ed Emma la stavano riempiendo di oscurità. Ancora.  

Ma io non so che altro fare!, urlò la sua mente.

L’ultimo brandello di buio lasciò la spada. Lily si dissolse davanti ai loro occhi. Dapprima Malefica vide attraverso il suo corpo, poi sua figlia disparve. Sul prato restò impressa la forma del suo corpo.

Emma respirava con affanno. Malefica spostò lo sguardo sulla lama. Vicino al punto in cui essa si spezzava, i disegni che la decoravano sparirono e al loro posto comparve il nome del nuovo Oscuro.

Lilith Page.

Emma chiuse gli occhi, come se non riuscisse a sopportare ciò che stava vedendo.

Poi la tenebra esplose. Malefica gemette nel buio che sembrò gravare sulla sua mente come un’eclissi, cancellando tutti i pensieri razionali. Premette la mano contro la bocca per impedirsi di urlare.

Quando batté le palpebre, le tenebre erano scomparse. Loro due erano ancora là, presso il lago. La cascata continuava a scrosciare e la sua spuma scintillava ancora sotto i raggi del sole. Ma i gigli sulle sponde erano morti. Tutti. I petali bianchi che avevano sfiorato i capelli di Lily ora pendevano verso il basso, senza vita. Persino l’erba intorno a loro era ingiallita, era diventata secca e sterile.

Ed Emma era cambiata.

Il vestito bianco non c’era più. Al suo posto, abiti neri come il buio che aveva oscurato la loro vista e che la fasciavano, sottolineando le sue forme e anche la sua natura di Oscuro. La pelle del viso era bianca e tesa, le labbra rosse come sangue, gli occhi di un verde scuro, magnetico e insondabile. I capelli erano candidi, non biondi, ma più bianchi della pelle, raccolti in una crocchia. Le lacrime erano evaporate. La sua espressione era marmorea.

Emma strinse la spada contro il proprio petto.

 

 
Nel profondo della foresta, dove Emma aveva condotto Lily, dove avevano lottato e dove le aveva regalato il giglio, la piattaforma che recava quei simboli oscuri si aprì con uno scatto, ritirandosi nella terra.

La densa ondata di oscurità ne riempì la cavità e salì verso l’alto, un fiume che straripava, rompendo gli argini.

Assunse rapidamente una forma. Si muoveva come in un incubo, facendosi largo in un’aria che sembrava diventata pesante e irrespirabile.

Lily emerse dalle tenebre, indossando la tunica degli Oscuri.

 

__________________

 

 

Angolo autrice:

 

Ed eccoci ad uno dei capitoli più importanti (nonché uno dei più difficili da scrivere). Spero tanto che vi sia piaciuto.

Chi pensava ci fosse un secondo Oscuro ha azzeccato. E chissà se avete azzeccato anche l’identità di questo Oscuro. Immagino di sì. Avevo sparso un po’ di indizi, proprio perché volevo rendere il tutto davvero credibile.

Qualche precisazione, come sempre:

Heather Dale è una musicista canadese che scrive canzoni ispirate al Ciclo Arturiano o canzoni di stampo celtico e medievale. Mordred’s Lullaby è una delle sue canzoni migliori, dal mio punto di vista.


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Capitolo 15
*** 15. ***


15

 

“Don’t get too close
It’s dark inside
It’s where my demons hide
It’s where my demons hide”

[Imagine Dragons, Demons]

 

 
Storybrooke. Oggi.

 

Inorridita, Lily vide la propria mano tendersi a toccare l’acchiappasogni, che ancora recava l’immagine di lei appena... appena rinata. Guardò il proprio volto sotto il cappuccio della tunica.

Infine la visione scoppiò nella sua testa come una bolla di sapone e il mondo le tornò addosso: Zelena che ancora sorrideva, trionfante, dietro la rete dell’acchiappasogni. Emma, paralizzata dall’inchiostro magico, con gli occhi più sbarrati dei suoi. Excalibur sul pavimento, che pareva scrutare tutto con il suo unico occhio rosso.

“Spero che tu capisca che cosa sta per succedere, Malefica”.

“So benissimo che cosa diventerà!”

“Perdonami, se puoi...”

- Perdonami... – ripeté Emma, affranta. – Era l’unico modo... non ho avuto altra scelta. Né io né tua madre abbiamo avuto scelta.

Lily sentiva che le gambe e le braccia erano pesanti come il cemento. Era sicura di avere gli occhi fuori dalla testa.

- Credo che la verità sia molto difficile da mandare giù. – commentò Zelena. Raccolse la spada, porgendola a Lily.

- C’è... – cominciò lei. Deglutì a fatica. Le sembrava che la voce provenisse da una profondo e oscuro burrone. - Non puoi averlo fatto...

- Stavi per morire... – disse Emma. – Lily, non sapevo che cosa fare per salvarti.

- Dai un’occhiata alla spada, così potrai rendertene conto veramente. - Zelena continuava ad offrirle Excalibur.

Lily la prese. Avvertì subito il formicolio sul palmo della mano e lungo il braccio, fino al gomito. Una leggera scossa. Niente di più. Girò la lama, fissando la propria attenzione sul nome di Emma, impresso su di essa.

Il guanto nero di Zelena sfiorò la spada. Le decorazioni scomparvero e Lily vide che cosa si nascondeva dietro di esse.

Lilith Page.

- Coperto da un altro incantesimo. – rise Zelena. – È sempre stato scritto lì. Proprio sotto il tuo naso e nessuno di noi se n’era accorto!

Adesso capiva una serie di cose. Le balenò l’immagine di se stessa durante la sua prima lezione di magia con Malefica. Aveva scaraventato sua madre lontano da sé con un semplice gesto. Aveva avvertito il potere, un potere oscuro e sgradevole, eppure al tempo stesso affascinante, scorrerle nelle vene come sangue. Si era sentita fuori controllo, molto più del solito. Da quando era tornata da Camelot, si sentiva fuori controllo. Diversa. Cambiata.

- Oh! Ora non c’è più solo... l’Oscuro, non è vero? Non ci sono più la Salvatrice l’Anti Salvatrice. Ora ci sono... gli Oscuri! – Si divertiva un mondo. – Ci sono... le anime gemelle oscure.

- Emma... – iniziò Lily. – Ti... ti rendi conto di quello che hai fatto, vero?

- Sì. – rispose Emma. – L’ho fatto per te. Perché non esisteva un’altra soluzione.

- Avresti dovuto lasciarmi morire. – Lily non aveva idea se a dominare fosse la rabbia, la confusione, l’orrore o qualche altro non ben definito sentimento. La sua testa era un turbine. I suoi pensieri erano turbini muniti d’occhi che spazzavano via tutto. Il drago in lei socchiuse le palpebre. Gli occhi sotto di esse erano più accesi del solito, più affamati.

- Credi davvero che avrei potuto? Che tua madre avrebbe potuto? - Era seria e angosciata. Il petto le andava su e giù affannosamente. – Dopo tutto quello che è successo a Camelot, non potevo permettere che morissi così. Non era giusto! Non volevo che pagassi un prezzo così alto, ma in quel momento... non c’era niente che potessi fare se non legarti alla spada. Era l’unica via.

- E ovviamente voleva rimediare uccidendo me. – aggiunse Zelena. – Ma come sei dolce!

- Se l’avessi uccisa, avrei distrutto l’oscurità in entrambe.

- Ed ora dirai che non avevi scelta nemmeno in questo caso, vero? – esclamò la strega.

- L’altra scelta era pagare il prezzo più alto.

Lily immaginava che il prezzo più alto fosse la loro vita. L’Oscuro poteva essere fermato, ma qualcuno doveva usare il pugnale contro di lui.

Contro di noi.

Il battito cardiaco le corrispondeva nelle tempie con una serie di tonfi mostruosi. Pensava alle notti insonni che aveva trascorso. Sua madre si era accorta che, da quando erano tornate, lei non aveva più dormito bene. Ma il punto era... che non aveva affatto dormito. Mai. Quando chiudeva gli occhi, vedeva delle cose. Vedeva ciò che Emma stava vedendo. La sua mente cercava di rilassarsi e, d’istinto, trovava quella di Emma. Quelli che credeva sogni, non lo erano. E non si era mai sentita stanca. Non veramente. La sfiniva il continuo rincorrersi dei suoi pensieri. La sfiniva il continuo porsi domande che non ottenevano risposta. Ma non c’era mai stata nemmeno l’ombra della stanchezza fisica.

- Direi che non c’è nulla da aggiungere. – disse Zelena, mostrandole di nuovo l’acchiappasogni. – Che ne dici di scoprire cos’altro è successo a Camelot... e poi di occuparci di lei? Ah, per tua informazione: credo che Emma non abbia tutti i torti ad avercela con la sua splendida famiglia. Quella parte è vera. E naturalmente la colpa è di mia sorella.

- Cos’ha fatto Regina? – sibilò Lily. Reggeva ancora la spada. Le nocche della sua mano erano diventate bianche a furia di stringere. Gli occhi le bruciavano nelle orbite a furia di spostarli lungo la lama, a furia di scrutare i due nomi impressi su di essa.

Emma Swan.

Lilith Page.

Gli Oscuri.

- Posso spiegartelo. Ma devi fidarti di me, Lily. – disse Emma.

- Ho motivo di fidarmi di te?

- Metti giù la spada e lascia che ti racconti che cos’è accaduto. E ti restituirò i ricordi. Tutti quanti.

- Si può fare di meglio. – suggerì Zelena, parlando a Lily. – Potremmo toglierla di mezzo. Tenerla a bada prima che le venga in mente qualche altro piano diabolico.

- Non darle retta per nessuna ragione. – ribatté Emma.

- E perché non dovrebbe? L’hai trasformata. Hai cambiato la sua natura. Proprio come hanno fatto i tuoi genitori molti anni fa.

- I miei genitori hanno cambiato la natura di entrambe. Hanno maledetto Lily per rendermi perfetta. Io l’ho fatto... per salvarle la vita. Lily... tu lo sai, questo. Lo puoi capire.

Emma Swan.

Lilith Page.

Lily appoggiò la lama di Excalibur sul palmo della mano, come per saggiarne la consistenza.

“Perdonami, se puoi”.

- Non avrei mai voluto arrivare a tanto, ma se fossi stata al mio posto e avessi saputo che era l’unico modo per salvarmi... so che non mi avresti mai lasciata morire.

- Ma io non sono te. – disse Lily, continuando a rimirare la spada. Il proprio nome.

- No. Però una parte di me è sempre stata dentro di te. Mi conosci. Sai che non ti sto mentendo. Sai che non ho mai desiderato farti questo. Sono stata costretta. Tua madre sarebbe morta di dolore ed io non me lo sarei mai perdonato!

Emma Swan. Lilith Page.

Lilith Page.

“Dopo tutto quello che è successo a Camelot, non potevo permettere che morissi così. Non era giusto! Non volevo che pagassi un prezzo così alto, ma in quel momento... non c’era niente che potessi fare se non legarti alla spada. Era l’unica via”.

Lily alzò gli occhi, incrociando quelli di Emma.

 

***

 

Camelot. Due settimane prima della maledizione.

 

Era un sogno. Non lo sembrava, ma doveva esserlo per forza oppure lei era priva di sensi e stava contemplando se stessa fuori dal proprio corpo.

O era morta.

Niente oscurità. L’oscurità rimase in disparte. Solo la via dei ricordi. Però il film era confuso, come se il montatore avesse alzato un po’ il gomito e non rimembrasse più il filo conduttore. Aveva l’impressione di vivere nel passato, nel presente e nel futuro. Tutto in contemporanea.

 

“Non sei responsabile delle tue sciagure e sofferenze quanto credi di esserlo”, disse l’Apprendista, sull’autobus. “Il mazzo è stato rimescolato a tue spese, Lily, non è colpa tua. Tutto quello che farai sarà difficile e tutto quello che posso dirti io è... la verità”

“Okay, Yoda. Basta con le chiacchiere. Qual è la verità?”

“Direi di iniziare dal ciondolo. Non si tratta propriamente di una pietra...”

 

 “Prendi”, disse Azzurro, afferrando l’uovo e lanciandolo a Neve.

Malefica lo colpì con la lunga coda, mandandolo a sbattere contro le rocce. Poi spalancò le fauci e scagliò un’onda di fuoco, costringendo Neve a ritrarsi.

“Prova ad incenerirci e brucerà anche questo!”, urlò, mostrando l’uovo al drago inferocito.

La creatura ripiegò le ali, chiudendosi in esse e una nube magica l’avvolse. Malefica recuperò la sua forma umana.

“Che razza di persone siete? Minacciare un innocente!”.

“Un innocente? Questo non è un innocente. È destinato a diventare un mostro come te!”

 

“Che l’oscurità trovi la sua via, dal grembo materno a un altro dell’inferno...”, declamò l’Apprendista.

Neve si portò le mani al ventre, colta da una fitta improvvisa.

“Se vedrà la luce della vita, in una terra lontana dall’ombra infinita, che la magia non le dia forma e di tale buio non lasci orma. Su questo infante sia posta la norma”.

Un lampo di luce rossastra.

 

“Aspetta! Da madre a madre... abbi pietà! Io non posso perdere mio figlio!”

“Te lo riporteremo a cose fatte”, le rispose Neve, voltandole le spalle e dirigendosi verso l’uscita con Azzurro. Il suo piede schiacciò il sonaglio, spezzandolo.

Malefica gridò, scagliando la propria magia contro di loro.

 

“Lo sto mandando dove merita di stare. In un luogo dove non potrà nuocervi”.

Il portale si aprì tra gli Azzurri e lo stregone. Si allargò come la bocca di un mostro affamato, mentre l’uovo si schiudeva, rivelando una piccola mano umana.

“David, è un bambino!”, urlò Neve. Era sconvolta, ma a Lily parve lo strillo di un idiota.

“Possiamo ancora salvarlo!”, esclamò il suo principe, correndo verso l’uovo.

Ursula e Crudelia si precipitarono verso il portale.

“Ladri di bambini!”
“Che cos’avete fatto?!”

L’uovo precipitò nel passaggio.

 

“Fuori da questa casa!”, le disse l’uomo che si definiva suo padre, indicando l’uscita con il lungo dito indice.

“Mi stai davvero cacciando? Dove potrei andare?”. Lily aveva quindici anni. Ed era arrabbiata con chiunque. Persino con se stessa.

“Questo è affar tuo”.

 

“Da quando sei andata via tutta la mia vita è andata a rotoli. Qualunque cosa faccia va per il verso sbagliato”.

“E sarebbe colpa mia? Perché non provi a fare scelte migliori?”

“Ci provo. Lo giuro. Ma ogni volta che lo faccio, tutto mi si ritorce contro. È come se avessi una maledizione”.

“Che stupidaggine!”

“È vero. È come se tutta la mia vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più luminosa”.

 

“Ehi, tutto bene? Quel tipo ti stava dando qualche grattacapo, vero? Non penso che tornerà”. Un ragazzo si chinò su di lei. Vide che non andava tutto bene.

“So cavarmela da sola...”

“Non da ubriaca”.

“Non sono ubriaca. Sono maledetta”.

Il ragazzo si guardò intorno e poi sorrise. Aveva un taglietto sul mento. “Forse lo siamo tutti”.

 

“Fottiti. E si fotta pure tua madre!”

 

“Le decisioni sbagliate sono il mio destino. Coraggio, metti fine alle mie sofferenze. Tu sai quanto me che la mia vita non merita di essere salvata”.

 

“Emma, perché non hai voluto uccidermi? Io lo avrei fatto”

“Io, invece, credo di no”.

“Siamo la Salvatrice e l’Anti Salvatrice”.

“Smettila di dire così”.

 

“Stai attenta”, disse Neve.

“Quella è mia figlia”, replicò Malefica, andando incontro al drago.

Neve la seguì e Azzurro fece lo stesso.

“Mary Margaret no! Ferma! Non sa controllarsi!”

Il drago strillò e sputò fuoco. Con un poderoso colpo di coda, gettò Neve contro una roccia e lei batté forte la testa.

 

“Credevo che tu fossi un drago feroce e spaventoso e che... ci saremmo vendicate, sputando fiamme su chi ci ha ferite. Ma tu sei... una persona normale. Sei così disponibile e questo mi distrugge”.

“Perché ti distrugge? Non lo capisco. Ti prego, spiegami”.

“Perché vuoi avere un rapporto con me. Un futuro... e ogni volta che qualcuno ci ha provato è... non ha mai funzionato. Ho sempre deluso tutti. Io riesco a distruggere tutto quello che tocco. Quell’oscurità è una parte di me. Ed è pericolosa”.

“A me non dispiace un po’ di oscurità”.

 

Lily emerse dalle tenebre, indossando la tunica degli Oscuri.

Le visioni erano svanite e lei riaprì gli occhi nel profondo della foresta, nello stesso luogo in cui Emma l’aveva condotta pochi giorni prima, quando le aveva regalato quel giglio.

Brancolò, annaspando in quella pesante tunica nera che le rendeva difficoltosi i movimenti. Brancolò, sì, perché per qualche istante non seppe più cosa fosse successo né quanti anni avesse. Quindici anni? Trenta? Cento?

“Spero che tu capisca che cosa sta per succedere, Malefica”.

 “Perdonami, se puoi”.

Poi tornarono anche gli ultimi ricordi. Quelli di Camelot. E capì perché era vestita in quella maniera.

- Ciao, Lilith.

La voce ebbe lo stesso effetto di uno sparo nella testa. Rientrò in sé con un tonfo, così come avrebbe potuto ricadere sul sedile dell’auto dopo essere passata su un dosso. Sconcertata, Lily comprese più cose nel giro di un secondo; che era cambiata. Radicalmente. Non era più la Lily maledetta dagli Azzurri. Era l’Oscuro. Come Emma. Comprese che era appena rinata. Comprese anche che davanti a lei c’era una persona che indossava la stessa tunica, ma aveva una faccia verde e squamosa, due occhi spiritati, grandi e senza sclera.

- Chi diavolo sei tu? – domandò, riconoscendo a stento la propria voce. I primi passi furono incerti e vacillanti. Scese dalla piattaforma, inciampando.

- Non è un buon inizio. Ma puoi migliorare. Sono felice di vederti.

“Lui è sempre qui, non capisci? Mi parla. Mi parla continuamente. È qui ed è nella mia testa. Lo vedo...”

- So... so che cosa sei.

- Oh, davvero?

“Lui è sempre qui, non capisci? Mi parla. Mi parla continuamente. È qui ed è nella mia testa. Lo vedo...”

“Chi?”

“Tremotino. O qualcuno che ha assunto le sue sembianze. Non fa altro che parlarmi. Mi istiga. Ed io non riesco a non ascoltarlo”.

- Emma non ha fatto altro che parlare con le voci nella sua testa. Tu sei una di quelle voci. Sei il demone... sei tutti gli Oscuri. – Lily si accorse di un’altra cosa. I suoi pensieri erano straordinariamente lucidi, erano chiari e precisi. Si era sentita confusa, ma ora non lo era più. La sua testa era stata spazzata da una parte all’altra.

- Hai ragione. Io sono dentro di te. Meglio ancora. Io sono te. Noi siamo una cosa sola.

Lily allungò una mano e cercò di afferrare l’essere che le stava parlando. Ovviamente l’Oscuro svanì per ricomparire dietro di lei.

- Io non sono un Oscuro qualsiasi, Lilith. Io sono tutti gli Oscuri. Sono l’originale. Il primo. Puoi chiamarmi Nimue.

- Tu sei... l’Oscuro a cui Emma ha rubato la fiamma.

- Oh, certo. Ha preso la fiamma. E l’ha usata nel modo migliore. Ha creato un altro Oscuro. – Nimue sorrise. – Non era mai accaduto niente di simile prima d’ora. Ma sapevo che non mi avrebbe delusa. Sapevo che avrebbe ceduto all’oscurità. Insieme... saremo più forti.

- Non me ne importa niente. – Lilith si incamminò di buon passo, odiando quella stramaledetta tunica. Di certo era abbastanza lontana dal Granny’s, ma che importanza aveva quanti chilometri avrebbe dovuto percorrere? Poteva trasformarsi. Poteva trasformarsi e coprire la distanza più in fretta. Ma poteva anche camminare. Gli Oscuri non si stancavano, giusto? Non dormivano. Non si stancavano.

Oscuro.

- Invece dovrebbe. Perché se lavoriamo insieme... potremmo avere tutti ciò che desideriamo. – Nimue camminava accanto a lei.

- Io non desidero niente.

- Tu vuoi quello che vogliono molti. La vendetta.

- Voglio solo andarmene da qui.

- Se mi darai retta, se lascerai che io sia la tua guida, l’avrai.

Lily la ignorò. Per lo meno, si sforzò di ignorarla. Non era semplice. Aveva una voce stranamente ipnotica.

“Mi istiga. Ed io non riesco a non ascoltarlo”.

- Vuoi vendicarti di loro. L’ho visto. Ho visto tutto quello che hai visto tu. – continuò Nimue. – Ho sentito il tuo dolore e la tua rabbia. Conosco questi sentimenti meglio di chiunque altro. Li ho provati sulla mia pelle, centinaia di anni fa. Puoi alleviare entrambi.

- E in che modo? – domandò Lily, seguitando ad avanzare nel bosco. Aveva già capito, in realtà. Perché era qualcosa che si annidava nel suo animo da molto tempo. Qualcosa che aveva cercato di sopire, ma inutilmente.

“Mi istiga. Ed io non riesco a non ascoltarlo”.

- Schiacciando la fonte del problema, Lilith. Uccidi i genitori di Emma.

 

 
- Merlino dice che è troppo tardi. La cripta ha già trasformato Lily. – disse Regina, mestamente.

Era calata la notte. Al Granny’s non volava una mosca. Knubbin sedeva su una roccia con il suo corvo sulla spalla. Henry non aveva fatto altro che camminare su e giù davanti alla tavola calda. Merlino aveva un’aria cupa e prostrata. Da quando il suo legame con la spada era stato spezzato, non gli era rimasto più un briciolo di magia in corpo.

- Quindi ha funzionato. È viva. – disse Malefica.

- È viva, ma non l’abbiamo trovata! E nemmeno Emma! – rispose Regina. – Non avresti mai dovuto lasciare che andasse da sola a cercarla!

- Volevo andare con lei, ma me l’ha impedito. Era sparita ancora prima che parlassi!

- Beh, siete due idiote!

Quello di Regina era quasi un grido e Malefica lo sentì penetrare nel cervello, come un coltello che fruga e scava, ma senza lacerare. – Io non avevo scelta...

Regina non avrebbe mai voluto essere così dura, ma gli eventi erano precipitati senza alcun preavviso e lei non aveva la più vaga idea di come risolvere quella situazione. Non ancora. Emma le aveva affidato il pugnale, quando erano arrivati nella Foresta Incantata, aveva creduto che affidarlo a lei fosse la scelta giusta.

“A te non importa niente di Lily! Ma se avessi potuto salvare Daniel... se avessi dovuto salvare nostro figlio, l’avresti fatto!”

Cosa devo fare, adesso?

“Io ti ho salvata. Ora tu salva me”.

- Perché, invece di discutere, non elaboriamo un maledetto piano? – propose Killian. I capelli, madidi di sudore, gli ricadevano sugli occhi. Li scostò con un gesto seccato della mano. – Ci sono due Oscuri là fuori.

“E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

- Le tracce nel bosco sono sparite. – continuò Neve.

- Ovvio. Quelle due possono apparire e materializzarsi come credono. – disse Regina.

- Non ho più la mia magia, ma posso ancora preparare delle pozioni. – intervenne Merlino.

- Ed io posso dare una mano. – disse Knubbin, alzando un dito.

Tutti lo fissarono.

- Preparare pozioni mi rilassa. Conosco parecchi incantesimi. Ho avuto anch’io un maestro e mi ha insegnato molte cose. – spiegò il mago, grattandosi la testa. – E dato che non potrò tornare nella mia umile dimora tanto presto, preferisco non permettere al mio cervello di assopirsi.

- Dovremmo fidarci di Emma. – disse Henry. – Lei... conosce Lily. Avrà la spada con sé e saprà controllarla.

- Forse. – rispose Merlino. – Ma questi Signori Oscuri... il loro legame va ben al di là dell’oscurità che condividono.

- Credi che il fatto che siano legate da sempre le renda... più pericolose? – domandò David.

Merlino rifletté. – Non lo so. La vita di Lilith è sempre stata oscura. Adesso... dovrà lottare contro qualcosa di molto più grande. È possibile che Emma usi il dono nel modo giusto. Ma non possiamo essere certi di questo. Quell’incantesimo...

Neve scambiò un’occhiata con David.

- La maledizione. – lo corresse Malefica. - Può influenzarle?

- Emma può trovarla prima di noi. E potrebbe parlarle.

- E nel frattempo cosa dovremmo fare? Aspettare? – chiese Killian. – Vi ricordo che abbiamo anche altri problemi. Artù e Zelena, ad esempio.

“E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

Regina non riusciva a concentrarsi sulla sorella. Zelena poteva essere là intorno, a pianificare chissà quale tranello. Eppure tutti i suoi sensi erano all’erta e attendevano l’Oscuro. Gli Oscuri.

Di colpo la sua mente iniziò ad abbozzare un piano.

“Dovremmo fidarci di Emma”.

- Regina?

Nessuna risposta.

“E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

- Regina? – Neve la stava chiamando.

Lei si riscosse. – C’è qualcosa che possiamo fare. Potrebbe funzionare.

- E sarebbe? – chiese Killian, aggrottando la fronte.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Regina sedeva davanti al televisore spento nella sua grande casa, al buio, con un bicchiere di brandy in mano.

“Sai chi è stato il primo a tradirmi?”

Talvolta i suoi pensieri sembravano farsi più acuti, più nitidi. Le riempivano la testa luminosi come il giorno e avrebbero soffocato qualsiasi rumore, se non si fosse trovata immersa nel silenzio.

“Tu, Regina”.

Ma non poteva averlo fatto. Continuava a ripetersi che c’era un’altra spiegazione. Doveva esserci un’altra spiegazione. Emma le aveva dato il pugnale a Camelot, questo lo ricordava con chiarezza. Gliel’aveva dato e aveva detto...

“Io ti ho salvata. Ora tu salva me. E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

Distruggerla. Non tradirla. Distruggerla.

“È stata una tua idea”.

Forse la situazione era precipitata. Forse le cose si erano messe male, per Emma e anche per loro. E lei era stata costretta a prendere una decisione terribile. Forse l’Oscuro aveva perso il controllo e aveva cercato di ferire qualcuno. Di ucciderlo. Forse Merlino non era stato in grado di aiutare Emma.

Forse. Forse. Forse.

Rivoleva i suoi ricordi, maledizione.

“Sei proprio come tua sorella. Qualche giorno fa mi ha detto la stessa cosa. Fate entrambe dei bei discorsi sul perdono...”

Zelena. Se Zelena era ancora con Emma e Lily, allora avevano un altro enorme problema.

“E vedo che sei tanto preoccupata per la tua amante”.

Era stata una vera fortuna non essere costretta a dare delle spiegazioni. Non era proprio in vena di spiegazioni. Robin non era presente quando erano andati da Emma e gli altri non avevano aperto bocca dopo che lei aveva usato Excalibur per rafforzare la barriera intorno alla casa e per congelarli là dove si trovavano. Un battito di palpebre dopo erano tutti a casa di Regina. Convincere Malefica a non commettere qualche altra follia non era stata un’impresa facile. E Capitan Mascara non era stato da meno. Era disposto a spalleggiare Malefica.

- Non c’è niente che possiamo fare, adesso. Devo usare i libri di Merlino per poter trovare una soluzione.

- Con il dovuto rispetto, Maestà. – l’aveva apostrofata Uncino. – In quei libri non c’è nulla che ci possa aiutare. Merlino, poi, non è qui.

- Nemmeno i draghi ci possono aiutare, Capitan Mascara! Se tornate in quella casa, non otterrete niente. Emma è furiosa.

- Sembra furiosa soprattutto con voi.

Si domandava perché non aveva mai ucciso il pirata. Che cosa l’aveva spinta a lasciarlo in vita? C’era qualcuno che potesse ricordarglielo? Regina aveva alzato gli occhi al cielo. - È furiosa con me e con tutti voi che avete voluto seguirmi a Camelot! Qualsiasi cosa mi sia venuta in mente di fare...

- Mi stai chiedendo di abbandonare mia figlia? – aveva ringhiato Malefica.

- No! Ti sto chiedendo... vi sto chiedendo di non commettere qualche azione scellerata. Ci faremo uccidere. Dobbiamo aiutare Emma e Lily, non peggiorare la situazione.

- Tu le credi? – domandò David. La sua voce era strana. Era tremolante. Aveva perso ogni traccia di colore.

Regina udì un rumore di passi che scendevano le scale. Henry la raggiunse in salone. Era in pigiama e a piedi scalzi.

- Henry, perché non sei a letto? – domandò Regina. Ma glielo chiese stancamente. All’improvviso si sentiva vecchia. Il suo cuore batteva lento e fiacco.

Henry la raggiunse e sedette accanto a lei. Non parlò. Non subito.

Regina attese, mettendogli a posto qualche ciuffo di capelli. Osservandolo, si ripeté, non per la prima volta, che suo figlio ormai era davvero cresciuto. Conservava ancora qualche tratto del bambino che aveva creduto ciecamente nella maledizione, nella Regina Cattiva che aveva sottratto il lieto fine a tutti i personaggi del libro, nella Salvatrice che avrebbe spezzato il sortilegio. Ma era un adolescente, ormai.

- Prima che andassimo a Camelot... quando eravamo a casa di Lily, Uncino mi ha detto di usare la penna per cancellare l’oscurità che aveva preso mia madre. – disse Henry. Parlava con un tono sereno, ma aveva anche dei cerchi evidenti sotto gli occhi, che a Regina non sfuggirono.

Usare la penna?

- E? – chiese Regina.

- Io sono l’Autore. Avrei potuto aiutarla. Ma ho rotto la penna.

- Henry...

- Avrei potuto sistemare le cose.

- Henry, non è così che puoi usare quella penna. Lo sai. – E con l’occhio della mente vedeva se stessa a Camelot mentre Emma le consegnava il pugnale. Con l’occhio della mente si vedeva trovare una soluzione, elaborare un piano per fermare l’Oscuro. Un piano che non aveva affatto sistemato le cose.

- E invece lei adesso è oscura. Hai visto cosa voleva fare a Violet? E hai visto che cos’ha fatto a Lily?

Regina stava per rispondere che lo sapeva fin troppo bene. Stava per rispondere che avrebbero trovato un modo per uscirne, per salvarla. Stava cercando disperatamente qualcosa di sensato da dire a suo figlio.

“E invece lei adesso è oscura”.

“È stata una tua idea”.

Poi una nube viola comparve in salone e Lily emerse da essa, come se fosse stata la cosa più normale del mondo. Regina si alzò di scatto, urtando il tavolino accanto al divano e rovesciando quel che rimaneva del suo brandy. Per un pelo non inzuppò le pagine ingiallite di uno dei libri di Merlino. Anche Henry schizzò in piedi.

- Lily... che cosa diavolo sta succedendo? Che significa? – chiese Regina. Istintivamente si spostò per coprire suo figlio.

Lei sorrise. – Maestà, con il vostro permesso...

Incredula, Regina guardò uno dei cassetti del comò accanto allo specchio aprirsi per conto suo. Lily infilò una mano all’interno ed estrasse il portaoggetti che avevano trovato in casa di Emma. Tolse il coperchio e prese l’acchiappasogni.

Da quando sa usare così bene la magia? Malefica ha detto che ancora non si controlla!

- Excalibur... – mormorò Henry, dietro di lei.

La figlia di Malefica aveva l’acchiappasogni, ma nell’altra mano stringeva l’elsa di Excalibur. La pietra rossa baluginava, sinistra, nel buio. La ragazza si appoggiò la lama contro la spalla.

Regina formò una sfera di fuoco e si preparò a scagliarla.

- Non sprecare le energie. – disse Lily. – Sarebbe tutto inutile.

- Oh. Sul serio? Vogliamo fare una prova?

- Possiamo giocare quanto ti pare, Regina Cattiva. Non è per te che sono qui, comunque. Mi serviva solo... una cosa. – Sollevò l’acchiappasogni.

- Perché hai Excalibur? Te l’ha data Emma?

- Naturalmente. Emma si fida di me. Noi... siamo legate. Da sempre. Ed ora molto più di prima. Anche se questa spada... ormai non può più controllare nessuno.

Per un attimo, Regina pensò che Emma avesse fatto qualcosa a Lily. Che l’avesse manipolata. Che le avesse annebbiato la mente con qualche incantesimo. Che la stesse controllando attraverso il suo cuore. Ma quando incrociò i suoi occhi quell’idea morì. Il suo sguardo, lungi dall’essere stralunato o vuoto, era anche troppo pieno, troppo vivo. Era attraversato da milioni di pensieri e sembravano quasi sobbalzare nelle orbite. Era lo sguardo di chi sapeva benissimo ciò che stava facendo. E non era affatto controllata.

- Lily, di cosa stai parlando?

- Parlo di quello che è successo a Camelot. Che io sappia, non ti sei comportata bene, Regina. Vuoi un assaggio? Vuoi un assaggio di quello che non ricordi?

E Lily ruotò la spada in modo che lei potesse vedere l’altro lato, quello che recava il nome di Emma.

Solo che non c’era più solo il nome di Emma.

Lilith Page. Emma Swan.

Rimase impietrita.

- Sei... sei l’Oscuro. – farfugliò Henry.

Lily non rispose, ma non ce n’era bisogno.

Il cuore le batteva all’impazzata, i muscoli pulsavano di adrenalina. Quando parlò di nuovo, parve che la sua voce arrivasse direttamente dall’estremità di una vallata oscura. – Emma... ti ha trasformata nell’Oscuro?

- Lei e mia madre... non c’era nient’altro da fare, a quanto pare. – Lily fece sparire l’acchiappasogni. I suoi occhi diventarono gialli. – Buona fortuna, Regina.

 

***

 

Camelot. Due settimane prima della maledizione.

 

Sentore di terra, alberi e muschio. Il profumo fresco e antico dei boschi fitti, fatto dell’erba morta e della linfa dei germogli. Alzando la testa scorse qualche stella tra le cime degli alberi e benché non vi fosse nemmeno un alito di vento, Lily udì il vago palpitare di un mare di foglie secche. I suoi sensi sembravano più acuti. Percepivano molte cose.

Aveva creduto che trasformarsi fosse una buona idea, ma non lo era stata affatto.

Non appena aveva mutato forma, la sua testa si era riempita di bisbigli. Di sussurri. Voci aliene. Pensieri rossi e pensieri neri. Un covo di serpi che sibilavano all’unisono.

Aveva proseguito a piedi. Camminava nella foresta da un bel po’ e il demone era sempre con lei. A volte spariva e Lily si sentiva sollevata, ma poco dopo tornava e manteneva il passo.

- Sarebbe stato meglio volare. A quest’ora saremmo già arrivate. Se proprio non hai intenzione di...

- So come funziona! – ribatté Lily. – Lo so. Tutte le volte che uso la magia, peggioro.

- Ti sbagli. Quando la usi, sei te stessa. Il tuo potere ora è enorme. Che senso ha non sfruttarlo? – La faccia verdastra sotto il cappuccio nero esprimeva tutta la sua disapprovazione, ma anche un’implacabile determinazione.

Lily incespicò di nuovo nella tunica. – Perché devo tenermi addosso questa cosa?

Nimue non rispose e Lily tolse di mezzo la tunica e recuperò, con un semplice gesto della mano, gli abiti che aveva preso a Camelot. Sapeva come fare. Non gliel’aveva insegnato nessuno, ma fu una cosa assolutamente naturale.

- Visto? La magia è parte di te. – disse Nimue, sorridendo.

Ancora quei sussurri. Più forti. Molto più insistenti. Lily si portò una mano alla testa. – Che diavolo è questo rumore?

- È la spada. Ti sta chiamando. È vicina.

Oh, già. La spada.

- Lily! – Emma arrivò di corsa.

Ebbe giusto il tempo di rendersi conto che l’altro Oscuro assomigliava molto ad un replicante di Blade Runner con quei capelli bianchi e gli abiti neri. Poi Emma la strinse in un abbraccio.

- Finalmente, eccoti. Allora stai bene.

- Ho forse l’aria di qualcuno che sta bene? – replicò Lily, scostandosi bruscamente. – Ho passato tutta la mia vita a cercare di... controllare l’oscurità che i tuoi genitori hanno messo dentro di me e tu... tu che cosa fai? Ne aggiungi dell’altra! E con l’approvazione di mia madre!

- Per salvarti la vita. – disse Emma. La scrutava con insistenza. Era lo sguardo di Lily, su cui aveva fissato l’attenzione in realtà. Le sue iridi erano dorate. Splendevano nell’oscurità come due fari. – Legarti ad Excalibur era l’unico modo.

- Avresti potuto lasciare che le cose andassero come dovevano andare! Avresti dovuto ripensare a quando ti ho detto che la mia vita non merita di essere salvata.

- E tu avresti dovuto ricordare che quella volta non ho premuto il grilletto. Io non ti lascerei mai morire.

- Beh, guarda dove ti ha condotta la tua... voglia di salvarmi! Non so se ti sei specchiata recentemente...

- Non preoccuparti di questo. Lo risolveremo.

- Dov’è Excalibur?

La spada spezzata comparve nella mano di Emma. – Eccola. Prendi.

Lily era sconcertata. - La stai dando a me?

- Prendila. Adesso. – le disse Nimue, accostandosi a loro.

- Tu ti sei fidata di me, Lily. Hai sempre creduto che potessi fare la scelta giusta. Non hai mai smesso di pensarlo nemmeno quando ho usato la tua lacrima per liberare Merlino. – Emma le prese una mano. – Un tempo ti ho voltato le spalle. Due volte. Me ne sono pentita, in seguito, ma credevo fosse troppo tardi per tornare indietro. Ora non farò lo stesso errore.

- Ma che scena commovente. – commentò Nimue. – Prendi quella spada. Non permettere che cada nelle mani di qualcuno che può controllarti.

- Taci. – sibilò Emma.

- Riesci a vederla? – chiese Lily, senza spostare gli occhi dalla spada, dal nome inciso lungo la lama. Lilith Page.

- Ma certo che ci riesce. Mi ha evocata. Ha preso la fiamma. – Nimue fece un giro intorno ad Emma. – E poi... io sono lei. Così come sono te. Che bello vedervi insieme. Proprio voi due... gli Oscuri. Il primo... e gli ultimi. Tutti insieme.

- Non ascoltarla. Non è reale. – disse Emma. Sciolse la stretta per posarle la mano sul viso e costringerla a distogliere lo sguardo.

- Mi deludi, Emma. Dovresti sapere che sono molto reale.

- Vuole spingerti a fare delle cose, ma tu devi essere più forte.

- Voglio spingerla a prendersi ciò che è suo. – tornò a dire Nimue. - La vendetta. I tuoi genitori, Emma, hanno mutato la sua essenza, l’hanno contaminata, l’hanno bandita in un altro mondo... e si fanno chiamare ‘eroi’. Anche tu dovresti essere furiosa con loro.

- Lo sono stata. – rispose Emma, automaticamente.

- Non è abbastanza. Emma, loro hanno fatto la stessa cosa a te. – Parlava scandendo le parole, quasi stesse discutendo con persone incapaci di capire la sua lingua. Il viso verde e viscido di Nimue si avvicinò al suo. Emma avvertì l’alito gelido del demone contro l’orecchio. – Ti hanno messa in una teca e ti hanno abbandonata.

- L’hanno fatto per salvarmi. Non avevano scelta.

- Davvero? Non hanno nemmeno provato a cercare un’altra soluzione. Non hanno nemmeno provato a lottare per non perderti... si sono solo arresi agli eventi. E come se ciò non bastasse... hanno sempre deciso per te. Hanno rapito una bambina e l’hanno maledetta, perché non accettavano che la figlia che stavano per avere... non fosse perfetta. Hanno già tradito la tua fiducia.

- Basta.

- E lo faranno ancora. Ti tradiranno ancora.

- Non intendo ascoltarti. – disse Emma. Tornò a rivolgersi a Lily, che scuoteva la testa come per scacciare tutte quelle voci. – Non ascoltare nemmeno tu, Lily.

- Non sono abbastanza forte per questo, Emma. – rispose Lily, deglutendo. Lo sguardo verde e spiritato di Nimue la inchiodava.

- Sì che lo sei. – Emma girò leggermente la testa, percependo la presenza del primo Oscuro non solo accanto a sé, ma ovunque. Era molto più pressante di quanto ricordasse. Si concentrò di nuovo su Lily. – Ricordi quando eravamo alla fermata dell’autobus? Ricordi che cosa mi hai detto quella sera?

“Ogni cosa che faccio mi si ritorce contro. È come se avessi una maledizione!”

“Che stupidaggine”.

“È vero. È come se tutta la mia vita fosse oscura... e quando ci sei tu diventa luminosa. Emma, ti prego. non lasciarmi sola”.

- Sì. – mormorò Lily. – Certo che me lo ricordo.

- È ciò che sei stata anche tu per me.

Lily rise. Ma non era una risata. Era un suono inquietante. Evocava un fantasma che cerca di riprovare a fare l’umano. – Non sono mai stata niente di simile.

- Invece sì. Quando ci siamo conosciute in quel supermercato in Minnesota... ho capito fin da subito che era... che era destino. Lily... io ero sola. Non avevo nessuno. Ero nei guai. Non avevo mai avuto amici disposti a coprirmi le spalle. – Sorrise, ricordando se stessa in quel supermarket, con una scatola di... non ricordava più cosa nascosta sotto la giacca. Ricordando se stessa mentre cercava di comportarsi in maniera disinvolta. – Tu ti sei fidata di me. Non hai esitato a tirarmi fuori dai guai.

- E poi tu hai coperto me. – ricordò Lily, parlando più a se stessa che ad Emma.

- Già. Ci siamo coperte le spalle a vicenda. E adesso... continueremo a farlo. Sconfiggeremo l’oscurità. Insieme.

- Come?

- Merlino voleva condurmi ad Avalon. Ora le cose sono cambiate, ma la mia famiglia ci aiuterà. Ne usciremo.

Lily serrò le palpebre per qualche istante.

- Lily... guardati intorno.

Riaprì gli occhi, ora scuri come sempre e... si accorse che lei ed Emma erano sole. Nimue era scomparsa.

- Quella maledetta se n’è andata. – disse, sentendosi oltremodo sollevata.

- Sì. Per ora sì. – Emma tese la spada. – Prendila.

Lily allungò lentamente la mano e dapprima si limitò a sfiorare l’elsa robusta di Excalibur. Poi le dita l’afferrarono e lei la sollevò, lasciando che i raggi della luna si riflettessero sulla lama. La sistemò nel fodero dove aveva tenuto la spada che Emma le aveva dato il giorno in cui aveva liberato Merlino.

 

 
- Emma, finalmente! – esclamò Neve.

Killian si girò e sorrise. Fece per alzarsi e andare incontro ad Emma, ma poi... la vide davvero. Sgranò gli occhi, squadrandola dalla testa ai piedi. – Swan?

- Emma, vi abbiamo cercate dappertutto. – esclamò Regina. Stentava a crederci. Emma aveva un aspetto... oscuro. Sinistro. Lo scintillio nel suo sguardo verde era preoccupante. I suoi lineamenti sembravano più belli del solito, come se fossero stati scolpiti nel marmo, eppure non apparivano affatto naturali. Le labbra erano troppo rosse. La fissò, trasecolata.

Lily aveva ancora gli abiti che aveva portato a Camelot, i pantaloni in pelle infilati negli stivali, la giubba sopra la camicia. Il suo viso non era altrettanto pallido, ma aveva gli occhi orlati di rosso e segnati da ombre scure. Lei ed Emma camminavano fianco a fianco, avevano assunto la medesima andatura. Una mano di Lily era appoggiata all’elsa di Excalibur, che sporgeva dal fodero appeso alla cintura.

- Lily... stai bene. – disse Malefica, allungando una mano e prendendo quella della figlia. Poi le appoggiò una mano sul viso. La toccò per accertarsi che fosse davvero lei.

- Sembra... sembra di sì. – rispose Lily, incerta.

- Mi dispiace. Non doveva andare così. Ma non ho avuto altra scelta.

- Non preoccupatevi. Stiamo bene. Per ora. – aggiunse Emma. – Sembra peggio di quel che è.

- Swan... non sembra proprio... il tuo stile. – commentò Killian, accigliato. Stava cercando qualcosa di meglio da dire, qualcosa che lo aiutasse a sdrammatizzare, ma non trovò niente. Aveva la testa vuota.

- Già. – mormorò Regina.

Knubbin, che era rimasto seduto su una roccia con il corvo sulla spalla, si alzò, appostandosi tra Regina e il pirata. Nessuno ci fece caso.

- Dov’è Merlino? – chiese Lily. – Emma ha detto... che voleva condurla ad Avalon. Possiamo ancora andarci? Forse là potremmo sconfiggere questa... questa cosa.

- Io non posso essere sconfitta. E poi c’è qualcosa che non va qui. – disse Nimue.

Lily si sforzò di ignorarla.

- È dentro. – disse David, indicando il Granny’s.

- Bene. Dobbiamo parlare con lui. – disse Emma. – Vado io.

Emma fece un passo avanti.

- Emma, aspetta... – iniziò Lily.

Knubbin si infilò una mano nella tasca della mantella ed estrasse una boccette azzurra. La stappò e ne riversò il contenuto addosso all’Oscuro. I suoi movimenti furono sorprendentemente fulminei, al punto tale che Heathcliff si levò in volo, gracchiando innervosito.

Emma spalancò gli occhi, mentre l’intruglio la paralizzava dal collo in giù. - Lily...

Non aveva ancora finito di pronunciare l’ultima sillaba, che già Lily era scomparsa in una nube viola. Malefica scorse solo il colore dorato delle sue iridi. Uno sguardo pieno di collera. Di risentimento. Aveva allungato una mano per afferrarla, ma le sue dita avevano acciuffato solo aria.

- Che cosa state facendo? – gridò Emma, la voce aspra e roca.

- Quello che è meglio per te. – rispose sua madre. 

Regina guardò Emma. Si avvicinò a lei e infilò una mano sotto la sua giacca nera, cercando il pugnale. Lo trovò e lo prese. – Non potevo fare altrimenti.

- Dì a Lily di tornare qui, Emma. Vogliamo aiutarla. – disse Neve. – Vogliamo salvare entrambe.

- Questo per voi è salvare? – sibilò Emma. In realtà non staccava gli occhi da Regina. – Questo per te è salvare?

- È quello che sto cercando di fare. – rispose Regina.

- Come? Controllandomi? Imprigionandomi?

- Swan, guardati. – intervenne Killian. – Quello che hai fatto a Lily ti ha spinta verso l’oscurità. Sta prendendo il sopravvento. Non lo possiamo permettere.

- Anche tu, Killian? Credevo che mi amassi. – Ora Emma gli parlava come se fosse stato un completo idiota. Come un bambino che si era scordato di fare i compiti. Ma dietro le parole c’era una furia incontenibile.

- Io amo Emma. – rispose il pirata.

- Io sono Emma!

- Vorrei che fosse vero. Ho creduto che potessi farcela. Ma questo potere... rischia di distruggerti completamente. – Killian fece per avvicinarsi, ma Regina lo fermò, frapponendo un braccio tra loro due.

- È stata una tua idea. – mormorò Emma, ignorandolo e rivolgendosi a lei.

- Quando siamo arrivati a Camelot, mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi salvato me. Oppure... – Regina aveva la gola serrata in una morsa. Riusciva a malapena a parlare. Il cuore le batteva così forte che temeva di sentirsi male.

- Sì. Te l’ho affidato! – gridò Emma. – Perché credevo che saresti riuscita a salvarmi. O che mi avresti distrutta se fosse stato necessario!

- Ed io non posso distruggerti. – Era follemente vicina alle lacrime. – Non posso farlo... per nostro figlio. Non posso...

- Quindi preferisci tradirmi?

Regina serrò le palpebre. – Sto provando a salvarti, Emma.

- Non avrei mai dovuto darti quel pugnale. Ho commesso un errore. Tu non sei affatto una Salvatrice.

- Emma... non avrei mai voluto controllarti ed arrivare a tanto. Ma hai quasi fatto del male a tua madre nella Foresta Caledoniana. Hai usato la magia contro i tuoi genitori. Ha usato Excalibur contro Merlino... e hai moltiplicato l’oscurità.

- Lily stava per morire. Ma a te non importa, vero? A nessuno di voi importa davvero.

- Certo che mi importa! Ma trasformare Lily in un Oscuro significa trasformarla in un pericolo. Lily non è come te. Lei si controllava a stento prima... ora che l’oscurità l’ha posseduta... sarà ancora più difficile. E ha trasformato anche te.

Emma non disse più niente, ma il verde dei suoi occhi lampeggiava d’ira.

Merlino uscì dal Granny’s, chiudendosi la porta alle spalle e li raggiunse.

- Il castello non è molto lontano da qui. – disse lo stregone. La sua voce era calma, ma severa. - Dobbiamo andare. Le ha dato la spada, vero?

David annuì.

Merlino strinse le labbra.

- Quale castello? Nessuno mi ha parlato di un castello. – osservò Knubbin.

Lo stregone gli lanciò una rapida occhiata, ma non rispose. Non alla sua domanda. – Regina... Lily non deve vedere dove stiamo andando.

Lei esitò solo un istante. Poi agitò una mano davanti agli occhi di Emma e lei cadde in avanti, priva di sensi. Killian e suo padre l’afferrarono prima che potesse cadere.


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Capitolo 16
*** 16. ***


16

 

 

 

 
Non lontano da Camelot. Un giorno prima della maledizione.

 

La pesante porta della prigione si aprì, accompagnata da un forte scricchiolio dei cardini, e l’uomo entrò, reggendo la torcia per illuminare l’antro buio in cui avevano rinchiuso il mostro. Gli orli della tunica marrone che indossava scivolarono lungo il pavimento ruvido e polveroso.

Udiva solo lo sgocciolare dell’acqua che pioveva dal soffitto, cadendo su una roccia. Nient’altro. L’aria era immobile. Quel silenzio aveva qualcosa del respiro trattenuto. Poteva sentire le pulsazioni battere sotto la propria pelle.

La luce sfiorò le sbarre della cella. Sbarre incantate da una magia potente e molto antica, più antica dell’Oscuro che un tempo aveva abitato quel castello, come aveva detto Merlino; una magia proveniente dall’Isola di Avalon. La creatura non poteva fare nulla contro di essa.

L’uomo avanzò fino alle sbarre con il vassoio in mano. Allungò la torcia per gettare luce anche negli angoli bui della prigione, ma non vide nessuno. Inoltre, sembrava che l’oscurità lì fosse troppo fitta per essere scalfita.

Infilò la torcia in uno degli anelli agganciati alle rocce e si chinò, facendo scivolare il vassoio con il cibo nell’apposita apertura. Sbirciò di nuovo all’interno di essa cercando l’essere che gli ospiti temevano.

- Ho portato la cena. – disse l’uomo.

Silenzio. Solo le ombre.

- Vieni a prenderla.

Rapida come un fulmine, una sagoma emerse dal buio e lo afferrò per il polso. La morsa glaciale lo lasciò senza fiato e gridò, cercando di ritrarsi. Ma la presa era salda.

- Lasciami andare! Chi sei tu?

La voce che gli rispose era bassa e frusciante. – Il mio nome è... Emma.

Allora l’uomo mise a fuoco il volto del mostro. E vide che non era affatto come se lo aspettava. Eppure gli gelava il sangue nelle vene.

Era una donna giovane, con le vesti nere che le aderivano al corpo, le labbra rosse come sangue appena versato, il volto di un pallore inquietante e solcato da vaghe sfumature verdognole.

- Ma dicono che tu sia un mostro... – riuscì solo a mormorare l’uomo, sconvolto dall’apparizione.

- Solo... dentro. – rispose Emma, sorridendo appena.

Avrebbe potuto gridare ancora, ma il verde dei suoi occhi lo immobilizzava e sembrava insinuarsi in lui, riempiendogli la gola per soffocarlo.

Pietà, avrebbe voluto dirle.

Emma affondò una mano nel suo petto, trafiggendolo come una lancia. Rimase là per qualche momento, a stringere le dita intorno al suo cuore, mentre lui la fissava con gli occhi sgranati, in preda allo shock per il dolore lacerante.

Poi, con uno strattone, Emma estrasse l’organo rosso e pulsante. La sua vittima cadde all’indietro. L’Oscuro osservò con vago interesse quel cuore, la bocca inarcata in un sorriso. Il suo volto rispledette, accarezzato dalla luce rossastra.

Non ebbe bisogno di serrarlo fra le dita. Appena iniziò a chiudere la mano a pugno, il cuore si disintegrò in centinaia di frammenti.

Ed essi divennero polvere, che si lasciò scivolare sul palmo.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

“Un secondo Oscuro?”, disse Killian, sgomento.

“Questo non è possibile. Non ho fatto una cosa del genere. Emma sta mentendo. L’ha manipolata”, replicò Malefica, con gli occhi ardenti fissi sul volto di Regina.

“Non mente. Ho visto Excalibur. C’erano entrambi i nomi sulla lama”.

Henry annuì, meditabondo. Gli Azzurri si scambiarono un’occhiata, ansiosi.

“Due Oscuri”, ripeté Killian, incapace di trovare qualcos’altro da dire. Scosse la testa, guardando prima Malefica e poi la propria mano, gli anelli che brillavano nella penombra che avvolgeva il salone. “Emma ha fatto questo? Voi avete fatto questo?”

“Non abbiamo idea di cosa sia successo”, si affrettò ad aggiungere Regina. “Forse Lily era in pericolo ed Emma ha dovuto salvarle la vita”.

“Salvarla?”. La voce di Killian era bassa e cupa. Frastornata. Da sotto le ciglia nere il suo sguardo azzurro dardeggiava. “Voi questo lo chiamate ‘salvare’?”

Nessuno disse niente.

“Meglio morire. Tra la morte e una vita con quell’oscurità, scelgo la morte”.

 

 
Un temporale incombeva sulla città.

Da quando, tre giorni prima, Lily si era presentata a casa di Regina per recuperare l’acchiappasogni, rivelando di essere il secondo Oscuro, il cielo non era più stato sgombro di nubi.

Osservandolo, Regina provava un forte senso di disagio, come se avesse paura che il sole se ne fosse andato per sempre. Storybrooke sembrava sotto assedio, accerchiata da quell’ammasso di nuvole nere.

Siamo sotto assedio, pensò.

Due Oscuri. Emma e Lily. L’oscurità si era moltiplicata. E in più sua sorella era sparita. Forse era una loro prigioniera, intrappolata in quella casa, circondata dalla barriera creata dal potere Excalibur.

Non aveva idea di cosa fosse peggio: sua sorella a piede libero o sua sorella nelle mani di due Oscuri probabilmente infuriati. Una pazza scellerata e due persone in balia di quell’oscurità così difficile da gestire.

Regina appoggiò una mano sul vetro e guardò la bambina di Robin che dormiva serenamente nella sua culla. Sulla targhetta le infermiere avevano scritto solo “Piccola Hood”. Lui non le aveva ancora dato un nome. Di sicuro Zelena avrebbe avuto da ridire anche su quello. Se mai fossero riusciti a recuperarla...

“Non appena avrò finito con Zelena, mi ringrazierete. Soprattutto tu, Regina”.

E se fosse morta?, pensò. Se Zelena fosse già morta? Se Emma l’avesse uccisa?

Un fulmine piombò giù dal cielo e illuminò le finestre dell’ospedale. Alcuni bambini si misero a piangere. Le luci in corridoio traballarono.

Una nube viola apparve e Regina sobbalzò, colta alla sprovvista. Malefica emerse da essa.

- Sei tu. – disse Regina.

- Quel mago, Knubbin, dice che questo non è un temporale. È magia. – esordì lei, senza troppi preamboli. Si sistemò meglio la giaccia grigia sulle spalle.

- Lo immaginavo. – mormorò.

Malefica non aveva affatto una bella cera. Aveva l’aria stanca, spossata. Si avvicinò al vetro, appoggiando una spalla al muro e sbirciando la figlia di Robin.

 

Malefica andò verso di lei quasi barcollando, come una persona appena scesa da una nave alla fine di una lunghissima traversata. Si fermò ad un passo da Regina, guardandola dall’alto, da quella faccia cinerea, i tendini del collo in rilievo e una vena che pulsava al centro della fronte. A Regina i suoi occhi non erano mai sembrati così grandi. A causa delle ombre della stanza sembravano molto più scuri, quasi viola.

“Trasformare Lily in un Oscuro deve essere stato... un altro passo verso il baratro. L’ultimo, forse”, disse David.

“Ha scelto di salvarle la vita. La nostra famiglia lo fa sempre. Agiamo così, David. È ciò che abbiamo fatto anche noi. Condividiamo un cuore”, gli ricordò Mary Margaret.

“Condividete un cuore. Non l’oscurità”, osservò Killian.

“E se fossimo stati noi?”, continuò David. “Se fossimo stati noi a fare del male a Lily?”

“Perché avremmo dovuto farlo?”, chiese Mary Margaret.

“Forse non l’abbiamo fatto volontariamente. Forse siamo stati costretti. Forse non abbiamo avuto altra scelta”.

“Tutto questo non cambia il fatto che Emma e mamma drago l’hanno trasformata in un Oscuro. Questo non è salvare. È condannare”, disse Killian, a voce alta.

Regina osservò lo sguardo di Malefica accendersi e riempirsi di fuoco. Pensò che avrebbe mutato forma là in casa sua, distruggendo ogni cosa.

Sul tavolo c’era una caraffa d’acqua. Malefica l’afferrò e, brandendola, incombette su Capitan Mascara. Un getto freddo gli lavò il viso. Un cubetto di ghiaccio gli cadde tra i capelli e scivolò sulla spalla. Nella mente Regina la vide calargli la caraffa sul cranio, vide il pirata annaspare mentre il sangue gli colava a fiumi sulla faccia, lo vide con la testa fracassata. David si stava alzando per impedirle di farlo...

E Malefica desiderava farlo. Regina ne era assolutamente consapevole.

All’ultimo istante Malefica ruotò su se stessa e scagliò la caraffa contro il muro, dove si schiantò. I pezzi si sparsero ovunque sul pavimento. Killian teneva ancora il braccio sollevato, come per proteggersi. David era in piedi, proteso in avanti. Henry fissava i cocci di vetro.

Malefica tornò a guardare Regina e si ravviò con il dorso della mano i capelli che le erano ricaduti sulla faccia.

 

- Io non l’ho mai vista così. – mormorò Malefica, più a se stessa che a qualcuno in particolare. – Non ho mai visto Lily così se non quando Tremotino me l’ha mostrata... usando il sonaglio.

Regina non disse niente.

- Non l’ho mai vista così e non l’ho mai presa in braccio da piccola. – continuò Malefica. – E l’unica cosa che ho saputo fare quando l’ho ritrovata... è stato trasformarla in un... Oscuro.

- Di certo l’hai fatto perché non hai avuto altra scelta. – si affrettò a dire Regina, appoggiandole una mano sul braccio.

- Io vorrei soltanto che venisse da me. Vorrei... che parlasse con me.

Ed io vorrei che Emma parlasse con me. Con noi, pensò Regina.

Un altro tuono. Poi l’ennesimo fulmine calò dal cielo.

Le luci in corridoio si spensero di botto, precipitandole nel buio. Qualcuno lanciò un gridolino.

Un lieve ronzio e quelle di emergenza si accesero, spargendo una luce diafana e sinistra.

 

 
- Non potete tenermi rinchiusa qui per sempre. Prima o poi dovrete lasciarmi andare. O dovrai usare quella spada su di me. – disse Zelena, con un tono annoiato.

Lily si rigirò Excalibur tra le mani.

- Che cosa sta facendo l’altro Oscuro in cantina? Cerca una soluzione alternativa, vero? La soluzione alternativa la posso suggerire io stessa. È molto semplice.

Un fulmine illuminò di nuovo il cielo, riflettendosi sulle finestre. Un colpo di artiglieria in un campo di battaglia apocalittico.

- Emma troverà una scappatoia. Non è necessario ucciderti.

- Ma che pensiero gentile, Oscuro! – Zelena roteò gli occhi. – Sono molto colpita.

Lily sollevò lo sguardo solo per vedere Nimue in piedi accanto alla porta d’ingresso della casa di Emma. La scorgeva solo di profilo e aveva il cappuccio della tunica in testa, ma sapeva che stava sorridendo.

- Ma potrei cambiare idea io se non chiudi quella bocca. – aggiunse Lily, voltandosi verso Zelena. Alzò la spada e gliela puntò alla gola.

- Non lo farai.

- Non darlo per scontato.

- Invece lo faccio, cara. Hai chiesto ad Emma di non uccidermi e lei ti ha dato retta. Ti ha restituito i tuoi bellissimi ricordi, così ora sai tutto. – Sorrise, un sorriso largo e smagliante. Leggermente folle e perfido, ma anche sfacciato, impavido. Si era tolta il cappello da strega ed ora la folta chioma rossa era libera, le ricadeva tutta su una spalla come una colata di lava. - Immagino che tu sia molto più arrabbiata con mia sorella che con me. Vorresti uccidere prima lei... o forse vengono prima gli adorabili genitori dell’Oscuro? Che cos’è che ti fa più rabbia? Essere stata maledetta alla nascita o che gli altri abbiano tradito l’unica persona a cui tieni?

Lily sollevò una mano e Zelena si sentì soffocare. Annaspò, artigliandosi la gola. - Posso farti più male di così.

La lasciò andare e lei tossì.

- So che cosa vuoi, Zelena. – disse Lily.

- Oh, ma davvero?

- Vuoi tua figlia.

Zelena strinse le labbra. – Di certo non intendo lasciarla con mia sorella.

- Vedo che la Strega dell’Ovest ha finalmente una debolezza. Che cosa strana. – Lily ripensava a se stessa da neonata. Strappata a sua madre da due idioti che pensavano unicamente ad avere una figlia perfetta. Per quanto Zelena fosse perfida, la infastidiva l’idea che le portassero via la bambina. La infastidiva l’idea che Regina le impedisse di vederla. Regina non meritava quella bambina. Soprattutto dopo quello che aveva fatto a Camelot. - E cos’altro?

- Mi stai proponendo un accordo? Emma ci ha già provato. – domandò Zelena, sollevando un sopracciglio.

- Forse.

- Calarti nella parte dell’Oscuro per te non è difficile, a quanto pare. L’oscurità che hai sempre avuto in te ti ha preparata.

- Non hai ancora risposto, strega.

- Voglio tornarmene a casa mia. Ad Oz. E voglio tornarci con mia figlia. Ho bisogno della bacchetta dell’Apprendista.

- Queste sono tre cose.

- Oh, beh... – Zelena fece spallucce. – Avrei anche bisogno che qualcuno l’attivasse per me. Non intendo rischiare, visto che avrò anche mia figlia con me.

Nimue non le suggerì niente. Si girò, mostrando il suo viso verde e squamoso. Lily la fissò per qualche momento. Zelena guardò nella medesima direzione, ma ovviamente non vide nulla.

“Farò ciò che è necessario, Lily. La ucciderò usando Excalibur”.

“Emma, stai per andare ben oltre il limite. Uccidere Zelena non è forse oltrepassare il limite?”

- Ricorda qual è la cosa più importante, Lilith. La tua vendetta. – disse Nimue, alla fine. – Il nostro piano.

“Farò ciò che è necessario, Lily. La ucciderò usando Excalibur”.

“Io desidero quel potere. Tra non molto... non potrò più resistere. E diventerò l’Oscuro più potente che sia mai esistito”.

- Dovrai occuparti di tua figlia da sola. – disse Lily. – Io posso procurarti la bacchetta. E attivarla per te.

- Che generosità! Non pensavo che sarebbe stato così semplice! Questo vuol dire che mi lascerai agire indisturbata? – Zelena era estasiata. Ma continuava a scrutarla, a caccia delle menzogne, a caccia dei tranelli, quei tranelli che lei sapeva fabbricare così bene. Aveva già avuto a che fare con un Oscuro. Tremotino era stato il suo insegnante, lei l’aveva tenuto prigioniero e aveva stretto tra le mani il pugnale che ora aveva ritrovato la sua dolce metà mancante.

- In realtà... perché non dovrebbe essere semplice? Tu avrai tua figlia e tornerai da dove sei venuta. Molti la considereranno un vera liberazione. Ma qualcuno potrebbe seguirti.

- Che ci provino pure. Se tu terrai al sicuro la bacchetta, non avranno modo di aprire altri portali. Non ci sono fagioli magici e non lanceranno di certo una maledizione, sacrificando qualcuno. Direi che di maledizioni ne abbiamo avute abbastanza. - La strega accavallò le gambe, mettendosi più comoda sul divano. – Come faccio a sapere che rispetterai gli accordi? Tu non sei Tremotino. So che sei molto brava a mentire.

- Non hai molta scelta. Se vuoi uscire da qui, è necessario che io usi Excalibur per aprire una breccia nella barriera.

- Sai che questo non piacerà all’Oscuro, vero?

- Se Emma decidesse di ucciderti... non so se riuscirò a fermarla ancora. E tua figlia rimarrebbe orfana. Io so cosa significa crescere senza una madre.

- Siamo in molte a saperlo.

- E poi quello che ha fatto Regina a Camelot è imperdonabile. Anche Emma ne è convinta. Vuole combattere l’oscurità... ma probabilmente ce l’avrà con lei per molto tempo. Non avrà tua figlia...

Zelena ridacchiò, divertita. – Mi piace. Perché non mi spieghi il piano nei dettagli, Lilith? Non vedo l’ora di sentirlo.

 

***

 

Vicino a Camelot. Un giorno prima della maledizione.

 

Avvenne all’improvviso e fu un momento esaltante.

Emma sentì la mente di Lily accostarsi alla sua, tastando incerta il terreno e tendendosi verso di lei come un nuotatore inesperto. Le menti si unirono come due binari che avevano percorso una lunga strada correndo paralleli, ma che adesso avevano trovato il modo di ricongiungersi.

Lily?, le disse Emma. Riesci a sentirmi?

Cosa...

Pensavo ci avresti messo più tempo.

Le sbarre della sua prigione scomparvero ed Emma riuscì a mettere a fuoco il mondo che circondava Lily. Era su un’altura, ai margini di un bosco. Da lì vedeva il castello di Camelot, con i fuochi che ardevano sui camminamenti e gli stendardi che fluttuavano nel vento. Vedeva anche il profilo delle montagne, il cielo pieno di nuvole minacciose... e Nimue. A pochi metri da Lily. Aveva gettato il cappuccio sulle spalle e rimirava la dimora di Artù. Un vago sorriso le increspava le labbra.

Possiamo parlarci?, domandò Lily, esterrefatta.

Naturalmente.

Seguì qualche momento di silenzio. Come se stesse riflettendo su quell’ultima scoperta. Dove diavolo sei, Emma? Io... riesco solo a vedere le sbarre. Cos’è, una prigione?

Già. Lo è.

Regina? Lei ha il pugnale, vero?

Non mi sta controllando, adesso. Ma sì, ce l’ha lei.

Avrei voluto raggiungerti prima, ma... non è facile.  

Non lo metto in dubbio. Non so dove mi trovo. Credo siano i sotterranei di un castello. Non posso essere molto lontana da Camelot.

Sapevo che sarebbe finita così! Hai voluto fidarti di loro... Nimue aveva ragione.

Lascia perdere Nimue. È un’allucinazione. Devo pensare a come uscire da qui, adesso. Avrei voluto procurarmi un cuore. L’ho preso ad uno degli... eremiti che vivono in questo posto, ma era protetto.

Immagino che anche questa sia un’idea di Regina, vero?

È previdente.

È una bastarda, vorrai dire.

Emma non fece commenti, ma continuò: Le sbarre sono incantate. È una magia molto antica. Non posso fare niente contro di essa.

Lily era allibita. Che razza di magia può essere più antica dell’Oscuro?

Emma si portò una mano alla testa, colpita da una fitta lancinante. Non c’è bisogno di urlare.

Scusa.

Avalon.

Cosa?

Avalon. La magia di Avalon, secondo Merlino, è molto antica. Credo che queste sbarre... ne siano impregnate. Le strinse con entrambe le mani. Sul dorso e tra le dita notò le sfumature verdi.

Avalon è irraggiungibile, Emma.

Aprì la bocca per risponderle e dovette richiuderla subito. Udì dei passi in corridoio. Abbassò la voce più che poté: Va via.

Perché? Che succede?

Vattene.

 

La scala che conduceva nelle prigioni sotterranee del castello spariva dopo pochi gradini in un abisso senza fondo. Un luogo adatto ai condannati a morte. Nell’aria ristagnava l’odore di putredine e l’unico rumore che Regina sentiva era lo sgocciolio dell’acqua piovana.

Il castello di Rothbart. Merlino aveva detto che quello era un luogo sicuro. Era un luogo remoto, ai piedi delle montagne e non ci viveva nessuno, eccetto un gruppetto di eremiti che ospitavano cavalieri e viaggiatori di passaggio in caso di necessità. Quando Merlino si era presentato, quegli uomini l’avevano fissato con gli occhi fuori dalle orbite e non avevano esitato a condurre lui e i suoi ospiti all’interno del castello. Di Emma sapevano solo che era una prigioniera. Non l’avevano vista bene in viso, poiché quando erano giunti a destinazione giaceva riversa su un cavallo e coperta da una mantella.

Merlino aveva fatto in modo che Emma venisse rinchiusa nelle prigioni sotterranee. La magia antica di Avalon aveva forgiato le sbarre di quelle celle. Erano inespugnabili anche per un Oscuro. E in ogni caso Regina si era assicurata il pugnale.

Mentre arrivava in fondo e iniziava a percorrere lo stretto corridoio che l’avrebbe condotta alla cella di Emma, si portò una mano alla cintura e toccò l’elsa del pugnale.

“Quindi preferisci tradirmi?”

“Sto provando a salvarti, Emma”.

“Non avrei mai dovuto darti quel pugnale. Ho commesso un errore. Tu non sei affatto una Salvatrice”.

- Voglio venire con te. – aveva detto Henry, quando Regina aveva annunciato che sarebbe scesa nelle prigioni per parlare con Emma. Avevano appena trovato il cadavere dell’uomo che le aveva portato il cibo. L’Oscuro aveva polverizzato il suo cuore.

- No, Henry.

- Emma è mia madre. Voglio parlarle. Tu hai il pugnale, quindi non può farmi del male. E non me ne farebbe comunque.

- Emma in questo momento è molto instabile. – Gli aveva messo una mano sulla spalla. La verità era che non sopportava l’idea che Henry vedesse l’altra madre dietro le sbarre, nel buio, rinchiusa e sola. Non sopportava che vedesse i segni della corruzione, che si fissasse sul suo nuovo aspetto. – Lei... è cambiata.

- So che Emma è ancora là da qualche parte.

- Ragazzo, per favore, fai ciò che ti chiede tua madre. – era intervenuto Killian. – Regina, vengo io con voi.

- No, Capitan Mascara. Nessuno viene con me. Questo è una cosa tra me ed Emma. L’idea è stata mia.

- E noi vi abbiamo appoggiata, tesorino. – aveva detto Knubbin. – Io vi ho anche dato una mano. Perché mi piacete. Anche questa è una novità. Ho gusti molto difficili, sapete?

Henry l’aveva fissata, ferito. Poi le aveva voltato le spalle ed era uscito dalla stanza. Quello sguardo le aveva ricordato quello del bambino che la chiamava Regina Cattiva. Il bambino che fuggiva per stare con la madre biologica.

Regina non aveva comunque voluto che qualcuno andasse con lei. Inspirò ed espirò più volte davanti alla pesante porta di legno. Dopodiché tirò i due chiavistelli ed entrò. Con la magia accese una delle torce appese alla parete di roccia.

- Ti sei decisa a venire, finalmente. – sussurrò Emma.

Non riusciva a vederla. Il buio che regnava là sotto era difficile da vincere.

- Perché l’hai fatto, Emma? – chiese, avanzando lentamente. – Perché hai ucciso quell’uomo?

- Sei stata molto scortese. Mi rinchiudi e non so dove mi trovo. – Emma sbucò dalle tenebre della sua prigione e si approssimò alle sbarre, afferrandole con entrambe le mani. – Avresti dovuto immaginare, poi, che l’avrei ucciso. Infatti... hai incantato il suo cuore. Per proteggerlo.

- Speravo non arrivassi a tanto.

- Anch’io lo speravo. Speravo che la mia famiglia mi aiutasse. Che aiutasse me e anche Lily. Invece sono in una cella.

- Sai bene perché sei qui.

- Perché tu mi hai voltato le spalle.

- Io non ti ho mai voltato le spalle, Emma. – Era abbastanza vicina da poter notare come appariva il suo viso. Il biancore della pelle era solcato da sfumature verdeoro. Il male si manifestava anche all’esterno, ora. – Se ti ho portata qui e ho preso il pugnale, l’ho fatto anche per salvarti. E non credere che mi sia piaciuto!

- Oh, io credo di sì, invece. Perché c’è ancora oscurità dentro di te. – Sorrideva. Sembrava molto divertita. Era furiosa, ma al tempo stesso si prendeva gioco di lei. – E in ogni caso... tu non sei in grado di salvare proprio nessuno.

- Perché non sono la Salvatrice.

- Vedo che l’hai capito anche tu.

Regina aveva una gran voglia di acchiapparla per il collo, di colpirla ripetutamente fino a cancellarle quell’espressione dura e arrogante. – So benissimo come ti fa sentire tutto questo... ma io devo assicurarmi che tu non commetta azioni folli. Come usare la magia contro i tuoi genitori, per esempio. O fare del male a tua madre.

- Mia madre avrebbe lasciato morire Lily.

- Tua madre non aveva tempo di pensare, Emma! Eravamo tutti in pericolo e lei ha fatto ciò che avremmo fatto tutti. Ha salvato ciò che più conta per lei.

- Anch’io ho salvato ciò che conta per me! Lily sarebbe morta se non fossi intervenuta! – gridò Emma. Più che un urlo fu quasi un ringhio. Il ringhio di una belva pronta a saltare al collo della sua preda e squarciarglielo. Gli occhi scuri erano dilatati e fiammeggiavano. Regina non aveva mai visto tanto risentimento negli occhi di Emma. Nemmeno quando aveva scoperto che la maledizione di cui parlava Henry era reale. Nemmeno quando pensava che lei avesse ucciso Archie.

- Allora aiutala di nuovo. So che puoi vedere tutto ciò che vede lei. Aiutala e dille di venire qui.

- Così intrappolerete anche lei? No. E anche se lo facessi non verrebbe mai. Immagina che mi hai tolto il pugnale. Penserà che mi stai controllando.

- Convincila che non è così, allora. Non intendo controllarti. Sono sicura che ti ascolterà. Capirebbe se menti, no?

Emma tacque. La fissò, le labbra strette e le mani ancora agganciate alle sbarre.

- Non lo farai comunque, vero?

- Non se non posso fidarmi di nessuno.

- Emma, ascoltami... – Regina si concentrò su di lei. Doveva avere tutta la sua attenzione. Era ormai vicinissima e l’Oscuro avrebbe potuto allungare una mano e strapparle il cuore dal petto. – Io ti conosco. La tua parte buona... è ancora in te.

Emma le rise in faccia. – Oh, Regina... io sono convinta di una cosa, invece: la Regina Cattiva è sicuramente ancora dentro di te. Se tua madre fosse qui, la renderesti fiera.

Poi staccò una mano dalle sbarre e il suo dito indice percorse il profilo della sua mascella. Infine le sfiorò la cicatrice sul labbro superiore. Regina deglutì a vuoto, la gola arida, le tempie che pulsavano per la collera, il sangue che le si rimescolava nelle vene. La voce di Emma aveva persino cambiato inflessione, diventando  terribilmente simile a quella di Cora. Le sue iridi erano molto più grandi, nascondevano quasi il bianco della sclera e le pupille erano ridotte a capocchie di spillo.

La mano che l’aveva toccata le arpionò la gola. Regina gemette e annaspò. Afferrò il braccio di Emma, ma la presa dell’altra era troppo salda. Non stringeva così tanto da soffocarla, ma le faceva comunque male. Le conficcò le unghie nel collo.

Allora una mano di Regina corse al fianco destro, dove teneva il pugnale, strinse l’elsa e lo sollevò.

Emma la lasciò andare.

- Stai indietro! – ordinò Regina, brandendolo.

Lei indietreggiò di un paio di passi, fissando la lama ondulata del pugnale. Il suo nome inciso su di essa.

“Ti ho vista, in cima a quella scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si gode il momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come una Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma”.

- Regina! – gridò una voce.

Si allontanò dalle sbarre, il cuore che batteva talmente forte da risuonarle in testa. Mise a posto il pugnale e si diresse, incespicando, fuori dalla prigione.

Trovò David ad attenderla a metà della scalinata che conduceva nei sotterranei.

- Che diavolo succede? – disse Regina, ancora scossa.

- Camelot. – David le appariva paonazzo e agitato. – Sta bruciando.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Zelena spalancò le porte del reparto maternità e fece la sua entrata teatrale.

- Tu! – esclamò l’infermiera che si era occupata di servirle quegli assurdi pranzi a base di verdure che le aveva ricordato il colore della sua pelle nella Foresta Incantata. Aggirò alla svelta il bancone e le si parò dinanzi. – Il sindaco mi ha ordinato di non farti passare.

- Beh, allora stai facendo il tuo lavoro. – osservò Zelena, continuando a camminare imperterrita. Agitò una mano e la donna cadde a terra, priva di sensi. – Male, ma lo stai facendo. Complimenti.

- Non così in fretta, sorellina.

Zelena trovò Regina davanti alla stanza in cui tenevano tutti i bambini, con la schiena appoggiata alla parete e le braccia conserte, quasi non avesse fatto altro che aspettare il suo arrivo.

“Regina probabilmente sarà là ad aspettarti. L’avranno messa di guardia. Beh, di sicuro non ci metterebbero mai Robin, di guardia. È un ladro, ma è facile rubargli le cose”, le aveva detto Lily.

- Sorella cara... grazie per esserti presa cura della mia bambina mentre ero in ostaggio. Ma ora se non ti dispiace me la riprendo.

- Buona fortuna.

Zelena appoggiò le mani sul vetro che la separava dalle culle, preparandosi ad infrangerlo con la magia.

Poi si accorse che la culla di sua figlia era vuota.

Furibonda, si voltò di scatto verso Regina. – Dov’è mia figlia?!

-  Credevi davvero che non avremmo protetto quella bambina da te dopo tutto quello che hai fatto? – le fece notare Regina.

- È mia figlia!

- È anche di Robin. Non puoi portarla via a suo padre.

A Zelena non piaceva affatto il suo tono. Le parlava così come avrebbe potuto parlare ad una persona dura di comprendonio. – Non riesci proprio a sopportare l’idea che sia io per una volta ad ottenere qualcosa di buono nella vita!

- Il motivo per cui hai quella bambina... – scandì Regina, guardandola con quel sorrisetto che le imponeva quasi di strapparle il cuore e farglielo ingoiare.  – È perché hai ucciso Marian, ingannando Robin nel modo più ignobile che si possa immaginare.

Zelena si lasciò sfuggire una risata. – Era un complimento?

Regina smise di sorridere. - Dove sono Lily ed Emma?

- Suppongo che siano dove le ho lasciate. A casa loro. A progettare qualche piano da Oscuri.

- Quindi ti hanno liberata così?

- Non capisci, vero? A loro non serve la mia bambina.

- Infatti, servivi tu.

Roteò gli occhi e fece una smorfia. - Lily ha convinto Emma a non uccidermi. Molto nobile da parte sua, non credi?

“Cerca di stare al gioco. Regina non deve capire niente. Se capirà, diventerà più difficile”.

“Se anche capisse, mia sorella non ha speranze contro di me”.

“Fatti consegnare la bambina. Basterebbero pochi secondi da sola con lei. Sai essere convincente. E se Regina è davvero cambiata come tutti sostengono, non ti impedirà di tenerla in braccio. Te la toglierà il prima possibile, ma...”

- Si influenzano a vicenda. Non è di me che dovresti preoccuparti, ma di quello che loro stanno combinando. Adesso dimmi dov’è mia figlia, se non vuoi che...

- Cosa? Cosa intendi fare?

Zelena non disse niente. La fissò, con gli occhi azzurri in procinto di scagliare lampi.

- Questa follia deve terminare. – osservò Regina.

- Sì. Ma non lo ritengo possibile.

- Oh, io invece penso di sì.

 

 
Poco dopo entrambe salivano le scale che portavano all’appartamento di Robin.

“Penso io alla bacchetta. So dove la tiene Emma”.

- Prima di entrare, permettimi di ricordarti che potrai anche aver recuperato i tuoi poteri, ma anche io ho i miei.

Zelena aveva una gran voglia di riderle in faccia, ma si trattenne. – Che cosa ci facciamo qui? Evitiamo i soliti discorsi su speranza, lealtà e redenzione, ti prego. Li ho già sentiti. Arriva al dunque.

Regina non arrivò subito al dunque, ma aprì la porta e la fece entrare. Robin era lì, con la bambina in braccio.

- Zelena... – fu il suo unico commento.

- Sembra che Emma e Lily l’abbiano lasciata andare. Sembra. – disse Regina, prima che lui le facesse delle domande.

- Robbie, caro... ti sono mancata? Te l’avevo detto. – Zelena sorrise, divertita. – Regina Perfida batte Regina Cattiva.

Sua sorella si voltò di scatto e sollevò una mano, pronta a darle la lezione che pensava si meritasse. Afferrò il suo stesso polso, prima che la magia potesse prendere il sopravvento e scagliarsi contro Zelena.

- Regina, ferma. – disse Robin. – Ne abbiamo già parlato.

- Oh! Terapia di coppia? Penso proprio che ne abbiate bisogno. Sai, ci sono così tante cose che non sai su mia sorella. Ha dei gusti... sorprendenti. Rimarresti a bocca aperta.

- Lascia che ti ricordi un particolare. – disse Regina, avvicinandosi di un passo. – Puoi anche essere perfida, ma non ti avvicini nemmeno lontanamente al mio livello.

Osservandola, Zelena vide qualcosa passare dietro ai suoi occhi, come una gigantesca ombra nera, un barbaglio dei bei vecchi tempi durante i quali aveva regnato incontrastata, seminando il panico e distruggendo vite. Ne era certa: in quel momento Regina l’avrebbe uccisa volentieri, ma la presenza della sua bambina legava le mani del suo astio e forse lo rendeva ancora più grande.

- Ho passato così tanto tempo a fare cose terribili... cose davvero terribili... che non puoi neppure immaginare. – L’ombra passò e scomparve. – Ma sai che cosa mi ha fatta cambiare? Henry. L’amore di un figlio... quell’amore incondizionato mi ha trasformata in una donna migliore.

Zelena emise un suono che era un accenno di risata, ma Regina percepì che, in qualche modo, rifletteva su ciò che le stava dicendo, anche se cercava di nasconderlo dietro una maschera di sufficienza.

- Ed ora spero che quell’amore abbia lo stesso effetto su di te. – concluse Regina.

Zelena non rispose.

Robin si fece avanti con la bambina. – Che sia chiaro, Zelena. Non saremo mai una famiglia, noi tre.

Come se avessi bisogno che tu me lo dicessi, pensò lei, quasi sconvolta dall’assurdità della sua dichiarazione.

- Ma io e Regina siamo d’accordo. Tu sei sua madre. – continuò Robin. – E nonostante quello che ci raccomanda l’istinto... riponiamo ancora delle speranze in te. Quindi... puoi venire a trovare tua figlia a patto che uno di noi due sia presente.

Quando finirà questa paternale?

Alla fine Robin si decise a chiudere il becco e Zelena tese le braccia. Lui le passò la piccola, avvolta in una soffice copertina rosa.

“Sai che cosa mi ha fatta cambiare? Henry. L’amore di un figlio... quell’amore incondizionato mi ha trasformata in una donna migliore”.

- Ciao, piccola fagiolina mia.

“Vedo che la Strega dell’Ovest ha finalmente una debolezza. Che cosa strana”.

- Sono la tua mamma.

La bambina sollevò una delle sue minuscole manine, come se volesse afferrarla. Zelena era sicura di non aver mai visto niente di più bello. Doveva darle un nome. Un nome che fosse perfetto per lei. Che fosse forte e la rispecchiasse. Robin sarebbe stato capace di chiamarla in qualche modo assurdo.

- Va tutto bene. D’ora in avanti, andrà tutto benissimo. La mamma... ha una sorpresa per te.

Robin si sporse per vedere meglio.

“Sai che cosa mi ha fatta cambiare? Henry. L’amore di un figlio...”

Zelena si chinò per baciare sua figlia sulla fronte. – Vorresti vedere Oz?

La bambina emise un vivace gorgoglio.

- Non ci provare nemmeno... – iniziò Regina, muovendosi verso di lei.

Si mosse troppo lentamente e Zelena si voltò si scatto, spazzando via sia la sorella che Robin. Il ladro finì contro la parete della cucina e Regina addosso al bancone.

- Cosa ti avevo detto quando mi hai fatta entrare? Regina Perfida batte Regina Cattiva. E ladro incapace. Buona fortuna contro gli Oscuri. – Rise come una folle prima di svanire in una densa nuvola verde.

 

***

 

Camelot. Un giorno prima della maledizione.

 

Incredula, Regina guardò nello specchio incantato da Knubbin e vide le fiamme levarsi verso il cielo. La torre di Merlino, in balia del fuoco, si accartocciò miseramente su se stessa e infine crollò. Le guardie del re precipitavano dai camminamenti, trasformati in spaventapasseri ardenti. Uno stendardo rosso si staccò dall’asta a cui era agganciato e bruciò, volteggiando nell’aria. Il fuoco sbucava da un gran numero di finestre esplose.

- È stata lei.

Regina non aveva idea se quella di Malefica fosse una domanda o solo una constatazione. Sapeva solo che stava andando tutto a rotoli e lei non aveva idea di come risolvere quella situazione. L’incontro con Emma l’aveva destabilizzata. Aveva ancora la sensazione di sentire la mano che le artigliava la gola, quel dito che percorreva la sua cicatrice. Aveva l’impressione che gli occhi dell’Oscura la seguissero ovunque andasse. E c’era qualcos’altro. Sul collo recava i segni delle unghie di Emma; se ripensava al momento in cui le aveva sentite penetrare nella carne, poteva anche ricordare quello che aveva provato. Paura, sorpresa, rabbia. E le era passato per la mente che se lo meritasse. Che quello che stava facendo Emma era ciò che meritava per non averle dato fiducia, per averla imprigionata come tempo prima aveva fatto anche Zelena con Tremotino.

- Scusatemi. – Un giovane eremita avvolto nella sua tunica marrone entrò nella grande e gelida sala in cui si trovavano tutti. Aveva un’aria corrucciata sotto il cappuccio. – Sta arrivando qualcuno. Un uomo a cavallo.

- Lancillotto. – disse Merlino. Il mago aveva lo sguardo cerchiato da ombre scure e iniettato di sangue.

L’ultima volta che avevano visto il cavaliere era stato qualche giorno prima, davanti all’ingresso della cripta dell’Oscuro. Neve aveva chiesto a Lancillotto se sua madre, la Dama del Lago, potesse aiutarli in qualche modo.

“Forse”, aveva risposto il cavaliere.

Temeva che non sarebbe riuscito a tornare in tempo. Ma quando lo scorsero da una delle finestre, lo videro arrivare in sella al suo destriero lanciato al galoppo nella notte. Si guardava continuamente alle spalle, come se temesse di essere inseguito.

Quando arrivò nei pressi del castello di Rothbart, tirò le redini, innervosendo l’animale, e scese da cavallo con un balzo. Regina tolse l’incantesimo di protezione dall’entrata.

- Lancillotto. – Neve gli andò incontro e lo abbracciò.

- È successa una cosa terribile. Camelot... – iniziò il cavaliere. Aveva la fronte imperlata di sudore e il respiro affannoso.

- Lo sappiamo. – disse David, contrito.

- Un drago... è sceso dal cielo come una sciagura...

- L’hai... l’hai vista? – chiese Malefica. Voleva imporre alla sua voce di non tremare, ma fallì.

Lancillotto annuì.

Nessuno disse niente.

- Devo sapere se Ginevra sta bene...

- Sono sicura di sì. – gli disse Neve, per rassicurarlo.

Merlino si fece avanti sul ponte levatoio con le braccia allargate per accogliere Lancillotto. Sorrideva, felice di scoprire che stava bene. Ma un istante dopo il sorriso gli morì sulle labbra. – No...

- Merlino, cosa...? – iniziò Neve.

Lo stregone non ebbe modo di rispondere. Una folata di vento aveva sollevato il mantello color porpora di Lancillotto. E Regina scorse uno scintillio sanguigno. Un occhio rosso che sembrava scrutarli tutti.

La gemma incastonata nel pomolo di Excalibur.

Capì di essere stata ingannata un’altra volta e mentre Neve ancora fissava l’amico sbalordita, Lancillotto la spinse in là e poi sferrò un cazzotto che spedì Merlino nel fossato melmoso che circondava il castello. Knubbin cercò di spingere le porte per chiudergliele in faccia, ma lui rise e infilò un piede fra il battente e lo stipite. Sorpreso dalla forza dell’uomo, Knubbin cadde all’indietro.

Lancillotto mutò aspetto, rivelandosi.

- Lily... – mormorò Malefica.

- Che bello rivedervi. – disse lei. Con un gesto della mano stese Knubbin, Killian e gli Azzurri, che si accasciarono uno sopra l’altro. – Volevate chiudermi fuori? Non è molto gentile da parte vostra.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

Una saetta luccicante piombò dal cielo e per un momento sembrò che l’aria fosse incredibilmente elettrica, spessa quanto l’olio. Le nuvole nere sopra Storybrooke parvero addensarsi ancora di più, farsi più minacciose.

Zelena comparve in mezzo alla strada con la bambina in braccio e non senza sorpresa si rese conto che Lily aveva già attivato la bacchetta dell’Apprendista. Il tornado vorticava, screziato dai lampi e procedendo spedito verso la città. Aveva usato lo stesso ciondolo che Zelena aveva portato al collo quando ancora recitava la parte di Marian per dirigere la tromba d’aria verso Oz.

- Potevi aspettarmi! – esclamò Zelena. La piccola adesso piangeva, agitandosi nella copertina rosa. Lei la strinse di più contro di sé, mentre il vento le spazzava i capelli.

- Ti ho aspettata anche troppo. Adesso vai, strega.

Vi fu una specie di schiocco e poi un secondo fulmine colpì l’antenna parabolica di una casa vicina. Zelena si protesse gli occhi con il braccio libero.

Lily non sembrava per niente turbata. Lanciò un rapido sguardo al cielo. Infine le diede il suo ciondolo.

- Mi auguro che il tornado mi porti ad Oz. Se dovessi ritrovarmi da qualche altra parte...

- Cosa farai?

- Te la farò pagare. Non è facile sbarazzarsi di me. Troverei un modo per tornare indietro. – Le ronzavano le orecchie, era quasi sorda e sentiva a stento la sua stessa voce.

- Mi spiace doverti dire che non hai scelta, strega.

Il tornado invase la via principale di Storybrooke, gettandosi verso di loro.

- Tieniti forte.

La bambina non si limitava più a piangere, ormai, ma strillava, la faccia rossa e le gambe che scalciavano. Zelena la protesse anche con la sua mantella, ma per un attimo, vedendo sopraggiungere il tornado, ebbe paura. Paura di farle del male. Paura che la forza della magia gliela strappasse dalle braccia. Anche se non poteva ricordarlo, le sembrò di rivedere se stessa trasportata ad Oz dal tornado che aveva creato con i suoi poteri. Una bambina con grandi occhi azzurri lasciata in un bosco, in pasto ai lupi, dentro ad una cesta. Una bambina che era stata capace di salvarsi da sola. Per poi ritrovarsi nelle mani di un uomo che la disprezzava e la picchiava.

Ma nell’istante in cui il tornado l’avvolse trascinandola via con sé, Zelena stava sorridendo.

Ti ho fregata, sorellina. Questa volta tocca a me vincere!

Emma comparve, giusto in tempo per vedere il tornado che si assottigliava per poi indietreggiare e dissolversi.

- Che cosa diavolo hai fatto?! – gridò a Lily, per farsi udire sopra il frastuono del vento.

- Quello che era giusto fare! Di certo non l’ho uccisa!

Il tuono rimbombò talmente forte e vicino da scuotere i vetri delle finestre.

- Uccidere Zelena poteva essere l’unico modo per liberarsi dell’oscurità! Lo capisci che forse non c’è un’altra via d’uscita a meno che qualcuno non ci fermi?!

- Beh, che differenza fa? Ho portato l’oscurità con me per tutta la vita!

- Questo non è il mio potenziale oscuro, Lily! – La prese per le spalle, scuotendola. – Questa oscurità è diversa! Pensavo l’avessi capito!

- Ed io pensavo che tu avessi capito che non potevi uccidere Zelena! E sua figlia?

La voce del vento diventò un grido e un lampo disegnò una striscia a zigzag nel cielo. Il mondo venne scosso dal boato del tuono.

- E suo padre? Non ha solo una madre, ma anche un padre! – le ricordò Emma. Continuava a trattenerla per le spalle.

- Suo padre è un buono a nulla! Regina voleva portargliela via, non le avrebbe mai permesso di essere una madre. Avrebbe fatto ciò che hanno fatto i tuoi genitori!

- I miei genitori ti hanno maledetta!

Un nuovo fulmine si abbatté sulla foresta che circondava Storybrooke, preceduto da uno schiocco secco.

- E rapita. E hanno tradito te a Camelot! Avrei dovuto ucciderli quando ne avevo la possibilità! – Gli occhi di Lily cambiarono colore, passando dal marrone al giallo oro. – Oppure avresti dovuto uccidere me. Non hai avuto il coraggio nemmeno di mettere fine alla mia vita! Forse sei solo una codarda come il precedente Oscuro!

Emma sferrò un cazzotto e Lily quasi perse l’equilibrio. Le restituì il pugno, colpendola sul mento ed Emma le strinse i rivolti della giacca, strattonandola. Barcollarono in una specie di danza impacciata.

Il vento tornò impetuoso con la velocità di un uragano e nella frazione di secondo che precedette il fulmine vi fu uno schiocco secco, simile ad un colpo di pistola. Poi una saetta infuocata precipitò giù dalle nuvole, colpendo l’asfalto e aprendo in esso una lunga crepa. Entrambe rimasero accecate dall’esplosione di luce. I fari di un’auto si ruppero.

Emma batté le palpebre per mettere a fuoco Lily, ma si prese un calcio nello stomaco, che la spedì gambe all’aria. Si ritrovò sdraiata sulla schiena con Lily che le puntava contro Excalibur. La lama era a pochi centimetri dalla sua gola.

- Fallo. – la sfidò Emma.

Lily la fissava così come lei l’aveva fissata mentre la minacciava con la pistola. Furente, schiacciata dal desiderio di affondare la spada nel suo petto e al tempo stesso trattenuta da ciò che le univa. Aveva gli occhi orlati di rosso, le labbra strette.

Non c’era nessuno lì che potesse convincere Lily a non ucciderla. C’erano solo loro due e il temporale.

La pioggia scrosciò, accompagnata dal picchiettare della grandine.  

- Fallo, ora.

 

____________________

 

 

Angolo autrice:

Hello, it’s me!

La prima scena di questo capitolo viene dal promo sulla Dark Swan che avevano rilasciato prima dell’inizio della 5°serie. Quello che ci ha gasati, insomma. E che poi si è rivelato solo quello. Un promo. Che tristezza, lo posso dire?


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Capitolo 17
*** 17. ***


17

 

 

 

Minnesota. Anni fa.

 

“Ehi, che diavolo fate?”

Lily aveva deciso di non andare a scuola quella mattina. Non c’era un motivo particolare. Semplicemente non aveva intenzione di chiudersi tra quelle quattro mura. Non aveva amici con cui andare a zonzo e non aveva sgraffignato la carta di credito di suo padre. Però era salita su un autobus ed era arrivata in periferia.

Là c’era un edificio con i muri ricoperti d’edera, che un tempo era un magazzino. Alcune finestre erano rotte, altre incrostate di fango e sporcizia non meglio identificata. Quel posto di sera metteva i brividi, soprattutto in inverno, perché era isolato, buio e gli spacciatori cincischiavano in ogni angolo. Ma quel giorno era estate. Era giorno e dietro al vecchio magazzino c’era solo uno spiazzo in cui i ragazzi giocavano a baseball.

Girato l’angolo, dopo pochi passi si imbatté in qualcosa. Era gialla. Un giallo acceso che sarebbe potuto piacere giusto ad un bambino.

‘O ad Emma’, si ritrovò a pensare.

La raccattò. Era una scarpa destra della Converse e sembrava nuova, non un oggetto abbandonato lì da molto tempo. Più avanti c’era anche il berretto sul quale era stampato il simbolo di una squadra di baseball. Lily cominciava ad avvertire brutte vibrazioni e si pentiva di aver avuto la brillante idea di recarsi in quel posto isolato.

Poi udì il grido. Ed era un grido di dolore. Il grido di chi sapeva di essere nei pasticci, ma sapeva anche di non avere alcuna speranza di uscirne tutto intero. Lily lasciò cadere la scarpa e il berretto e corse. Quel grido la spinse a scattare in avanti. Ad andare a dare un’occhiata, anche se era una stupidaggine, perché poteva finire nei guai a sua volta. E lei era molto brava a cacciarsi nei guai. Era brava a fare scelte sbagliate. O che le parevano giuste, ma poi le si rivoltavano contro. Una maledizione che la seguiva come un’ombra.

Un altro grido. Infine una risata maschile.

“Che cosa stai aspettando, bamboccio? Mangiala”, disse qualcuno. “Mangiala oppure te la faccio mangiare io. Se la mangi, potrai andartene a casa. Mi sembra un ottimo accordo”.

A quel punto Lily chiese che diavolo stesse facendo. Nel mentre aveva anche già raccolto una mazza da baseball lasciata cadere perché il proprietario aveva appena trovato un nuovo passatempo.

Il ragazzo alzò la testa. In piedi accanto a lui ce n’era un altro in tenuta sportiva, con la mano sinistra infilata in un guantone da baseball. Sul guantone c’era... uno stronzo di cane rinsecchito che i due stavano cercando di far mangiare ad un ragazzino smilzo e dal volto foruncoloso. Il ragazzino era rannicchiato per terra, un piede scalzo, la maglia con un vistoso strappo sulla schiena e un ginocchio sbucciato. Singhiozzava.

Colto di sorpresa e conscio del tono genuinamente disgustato di Lily, il tizio che aveva detto al “bamboccio” di mangiarsi la merda fece un passo indietro, ma poi si accorse che colei che l’aveva apostrofato aveva due o tre anni meno di lui ed era anche notevolmente più bassa.

“Sparisci. Non sono affari tuoi”, disse.

“Già”, gli diede manforte l’altro. “Sparisci. Finché sei in tempo...”

“Due contro uno. Due tizi grandi e grossi contro un ragazzino...”, ricominciò Lily. “E se lo raccontassi in giro? Ti conosco. Frequenti la mia stessa scuola”.

“Non racconterai un bel niente. Fidati. Potresti essere morta prima di allora”. Aveva i capelli ricci e castani che gli scendevano lungo il viso e sulle spalle. La mazza da baseball doveva essere sua, ma non lo preoccupava il fatto che ce l’avesse Lily. “Fuori dai piedi. Adesso”.

Lily non avvertiva alcun senso di paura, pur essendo consapevole che quei due avrebbero potuto spiaccicarla contro un muro come una mosca. Solo che non avrebbe potuto importargliene meno. Era in preda ad un’indicibile indignazione. Il pianto del ragazzino le rimbombava nella testa, alimentandone la furia.

“Se vuoi la sistemo io, Scott”, intervenne il compare.

Fu Lily a sistemarlo per prima. La mazza da baseball lo colpì sulla mascella, dislocandogliela. Sputò sangue e cadde per terra, intontito, gorgogliando qualcosa di incomprensibile. Il ragazzo di nome Scott la fissò con gli occhi fuori dalla testa. Poi la mazza raggiunse anche lui. Tra collo e spalla. Lily aveva una gran voglia di beccarlo in testa. Nella sua mente c’era una gigantesca nebbia rossa che le offuscava la ragione e dentro una bestia nera con occhi di fuoco e che sputava fumo dalle narici. Nessuno dei due si aspettava che lei lo facesse sul serio o che possedesse tanta forza, per questo non avevano avuto il tempo di reagire. Non l’avevano guardata bene. Se l’avessero guardata, forse avrebbero visto qualcosa nel suo sguardo. Forse avrebbero visto che non scherzava.

Lily lo colpì una seconda volta. Al ginocchio. Scott lanciò un urlo stridulo. Ora non sentiva più il pianto del ragazzino. Il pianto era lontano.

Quando la nebbia rossa si diradò, i due giacevano a terra, doloranti e gementi. Il ragazzino preso di mira, invece, la fissava con gli occhi sgranati. Aveva le guance rigate di lacrime e sporche di terra.

“Va tutto bene. Sono... solo degli idioti. Ti conviene andartene”.

Lui non se lo fece ripetere due volte. Raccolse lo zaino che era caduto a terra e filò via, più veloce del vento. Non la ringraziò. Non le disse niente.

A Lily sembrò che avesse paura di lei e non più dei due tizi che l’avevano minacciato.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Fallo. – disse ancora Emma, mentre un altro tuono borbottava sopra le loro teste e la pioggia cadeva sempre più fitta, insieme alla grandine.

Lily strinse di più l’elsa di Excalibur. Alzò la testa e vide Nimue a pochi metri di distanza.

Emma si sollevò un po’ e la punta della lama le sfiorò la gola. Avvertì il morso freddo dell’unica arma che avrebbe potuto ucciderla. Ucciderle entrambe. Eppure non smise mai di guardare Lily. I suoi occhi non lasciarono mai quelli della ragazza che la minacciava, che respirava affannosamente, mentre nella sua testa scorreva un turbine di idee e pensieri, un turbine di sentimenti in contrasto fra di loro. Emma li vedeva tutti, quei sentimenti. Vedeva quel turbine, nero come il tornado che si era portato via Zelena e la bambina. Lo vedeva accenderle lo sguardo. Rabbia, paura, risentimento, rammarico, dolore.

Lily gridò e poi conficcò la lama nell’asfalto. Si aprirono crepe che si diramarono fino all’edificio più vicino. Salirono lungo i muri, raggiunsero il tetto rompendo i vetri delle finestre. E infine l’edificio crollò come un castello di carte.

Emma non ci badò. Quando Lily si piegò su se stessa, piangendo, lei l’abbracciò.

- Io non posso farlo, Emma.

Lei non rispose. Non subito.

- Mi parla continuamente. Quello che vuole che io faccia... è molto peggio di ciò che ho fatto ora. Provo a... provo ad ignorarla. Ma lei torna sempre.

- Ti sta manipolando, Lily. È così che fa. – Emma si ritrasse e la fissò. – Io ho cercato di proteggerti da questo. Ti ho tolto i ricordi... per proteggerti. Togliendoteli, non avresti ricordato cos’eri diventata e non avresti ricordato Nimue. Avrei avuto il tempo per... ricomporre Excalibur e distruggere l’oscurità in entrambe.

- Non è servito a niente! Lei è di nuovo qui! – Lily si alzò, voltandole le spalle.

- Prenditi quello che vuoi, Lilith. – disse Nimue. – Abbiamo perso già abbastanza tempo. Prenditi ciò che vuoi!

- Puoi ancora lottare contro di lei, Lily! – intervenne Emma, raggiungendola e afferrandola per il braccio. – Lei vuole che tu uccida i miei genitori...

- Anche tu sei furiosa con loro...

- Certo che lo sono. Mi hanno imprigionata, a Camelot. Regina mi ha imprigionata. Anch’io... c’è una parte di me che vorrebbe far loro del male. Gliene ho già fatto, cancellando le loro memorie. Gliene ho fatto, rifiutandomi di parlare con loro. Ne ho fatto anche a Regina... e quella parte di me... pensa di non aver ancora finito.

- Allora ascoltala. Insieme saremo più forti. – disse Nimue.

- Se la ascolto, non distruggerò solo me stessa, ma anche te, Lily. E tu non meriti questo. Nemmeno Henry lo merita. E se faccio del male alla mia famiglia... perderò anche lui. Lui... ha creduto in me, proprio come hai fatto tu.

- Non meritava questo, ma l’hai trascinata nell’oscurità con te, Emma. – sibilò il primo Oscuro. – L’hai... portata con te, perché è così che è sempre stato. Siete sempre state... unite. Anche quando eravate lontane. Tutto questo è un segno. Guardati, Emma... anche l’illusione che hai creato intorno a te sta svanendo...

Emma abbassò lo sguardo sulla mano destra, scorgendo chiaramente le sfumature verdeoro tra le dita e sulle nocche. Era sicura che anche il suo viso stesse cambiando.

- Tutto questo deve finire. – ribatté Emma, scuotendo il capo, come chi cerca di scacciare un fastidioso insetto.

- E finirà. - rispose Nimue, piazzandosi davanti a lei. – Oh, sì. Finirà. Quando Lily avrà portato a termine il piano.

- No. Lily...

- Mi dispiace, Emma. - Lily agitò una mano e in essa comparve un acchiappasogni. Una scia di ricordi lasciò la mente dell’altro Oscuro e la rete del cerchio di salice li catturò, illuminandosi.

Emma batté le palpebre. Cercò di afferrare qualche frammento di memoria, ma l’ultima immagine che la sua mente le propose fu quella di lei e Lily nelle segrete del castello di Rothbart, dove Regina l’aveva rinchiusa.

Una densa nuvola viola avvolse Lily completamente. Sparì prima che Emma potesse fermarla.

 

***

 

Camelot. Poche ore prima della maledizione.

 

- Lily... ti prego, aspetta. – Malefica allungò una mano verso la figlia. – L’oscurità si sta servendo di te. Non devi ascoltarla.

- In realtà io sto facendo l’unica cosa giusta, quella che avreste potuto fare voi, invece di tradire Emma. Dov’è, a proposito? – domandò Lily, puntando Excalibur contro di loro.

Regina e Malefica si scambiarono un’occhiata. Gli altri giacevano per terra, privi di sensi. Persino il corvo di Knubbin era svenuto sul petto del suo padrone, con le ali spalancate e il becco socchiuso.

- Nei sotterranei, lo so. Ma vorrei che mi indicaste la strada. – aggiunse Lily.

Nessuna di loro due si mosse. Malefica si portò accanto a Regina.

- Brave, datevi man forte. Credete che basterà?

- Non dobbiamo arrivare a questo, Lily. – disse Regina.

- Sei tu che mi spingi a questo, Regina Cattiva. Perché immagino che ti diverta molto rinchiudere le persone in una buia segreta. Un tempo era quello che facevi con chiunque non eseguisse i tuoi ordini. Con chiunque fosse dalla parte della ragazzina che non ha tenuto la bocca chiusa. – Sollevò le sopracciglia, rivolgendole un sorriso arrogante.

A Regina pulsavano le tempie per la collera. Ed era una collera bruciante. La Regina Cattiva che era stata aprì gli occhi nell’angolo in cui era stata relegata. Quella parte di lei non vedeva l’ora di torcere il collo a Lily. Ma non poteva fare questo. Non poteva fare questo ad Emma e non poteva fare questo a Malefica.

- Ditemi dov’è Emma e dov’è il pugnale. Potete farlo o devo prendermi entrambe le cose con la forza?

- Sarebbe la soluzione migliore. – sussurrò Nimue.

- Sta zitta.

- Regina, che cosa succede? – disse Robin, piombando nella sala, armato di arco e frecce. Ne aveva una già incoccata.

- Mamma?

- Henry, no. Va via! – gridò Regina, in preda al panico.

Robin scoccò la freccia, che Lily acchiappò con una mano prima che la trafiggesse. Poi si liberò sia del ladro che di sua madre con un gesto della mano e afferrò Henry per il collo, sollevandolo da terra.

- Lascialo andare... – sibilò Regina.

- Lo farò quando ti toglierai dai piedi. Ma prima dammi il pugnale.

- Lily... non puoi fare del male ad Henry. – intervenne Malefica. – Lo sai. Emma ti odierà.

- Oh, sul serio? Vediamo se Regina è d’accordo con te. Vediamo se è disposta a rischiare la vita del suo adorabile bambino. – Lily guardò Regina.

Henry scalciava, cercando di avere la meglio su una presa per lui troppo salda.

Regina fece comparire il pugnale e lo lanciò a Lily. L’arma dell’Oscuro scivolò sul pavimento fino ai piedi della ragazza.

Lily lo raccolse e lo rimirò per qualche istante. – Ottima scelta.

- Lascia andare mio figlio.

Henry cascò per terra e perse conoscenza come tutti gli altri. Regina ormai era sola. E non la sorprese per niente che l’Oscuro non avesse ancora finito. Si sentì afferrare per il collo. Annaspò, mentre Lily la trascinava verso di sé. Regina strinse la giacca che Lily indossava e la fissò con rabbia.

Lily rimise Excalibur nel fodero appeso alla cintura e affondò una mano nel suo petto, estraendone il cuore pulsante. Pulsante e nero.

- Non è protetto. – disse Lily, osservandolo e soppesandolo. – Eri davvero convinta che Emma non ti avrebbe mai fatto del male... ma avresti dovuto pensare anche a me.  

Regina fissava il proprio cuore nelle mani della figlia di Malefica.

- Ora portami da Emma. – ordinò Lily, tenendolo sul palmo della mano destra.

Regina oppose una breve, ma energica resistenza. Un dolore atroce le scoppiò in testa e al centro del petto. Inorridita, avvertì la sua volontà tendersi come una corda di violino e le sue gambe muoversi verso la porta che conduceva nei sotterranei. Non aveva più alcun controllo su ciò che faceva. Era una sensazione che non aveva mai provato ed era spiacevolissima. Non voleva obbedire, eppure non era in grado di avere la meglio.

- Te l’avevo detto che non eri una Salvatrice. Quelle come noi non possono esserlo. – disse Lily, spingendola perché accelerasse il passo. – Mai.

 

***

 

Minnesota. Anni fa.

 

“Fuori da questa casa!”, le disse l’uomo che si definiva suo padre, indicando l’uscita con il lungo dito indice.

“Mi stai davvero cacciando? Dove potrei andare?”. Lily aveva quindici anni. Ed era arrabbiata con chiunque. Persino con se stessa.

“Questo è affar tuo”.

Non l’avevano cacciata per ciò che era successo al campo da baseball, con quei due ragazzi. Non l’avevano mai saputo. Ma sua madre aveva saputo che aveva saltato alcune lezioni. Diverse lezioni. Era iniziato tutto così. Era tornata a casa un pomeriggio dopo la scuola e lei la stava aspettando in cucina. Furibonda. Lo schiaffo l’aveva colta alla sprovvista e la forza della percossa era stata tale da mandarla a sbattere contro il tavolo.

“Non so che cosa ho fatto di male per meritarmi questo”, le aveva detto sua madre, la faccia rossa e gli occhi sgranati. Sembravano sporgere fin quasi a toccare le lenti degli occhiali. “Perché fai così?”

“Ho saltato solo qualche lezione”, le aveva risposto, portandosi una mano alla guancia in fiamme.

“Non si tratta solo delle lezioni e lo sai bene!”

Era vero. Non si trattava solo delle lezioni. Si trattava della sua vita. Della sua vita che andava a rotoli.

“Io ti ho dato tutto quello di cui avevi bisogno, Lily. Ma non è mai abbastanza per te. Che cos’è che vuoi?!”

Voglio smettere di sentirmi così, pensava Lily. Voglio smettere di sentirmi invisibile in un posto che dovrebbe essere casa mia. Voglio smettere di prendere decisioni che sembrano giuste ma poi mi si rivoltano contro.

“Rispondi!”

“Già lo sai. Te ne ho parlato, ma tu non mi hai ascoltata”.

“Lily... che cosa dovrei ascoltare? Le tue farneticazioni sulla presunta maledizione che ti perseguita?”

“Io ci provo, okay? Ci provo a fare la cosa giusta!”

“No, non è vero! Non ci hai mai provato veramente!”. Sua madre la guardava così come avrebbe potuto guardare una sconosciuta capitata in casa sua per caso. “Non hai idea di quanto tu mi abbia delusa, Lily”.

Aveva detto qualcos’altro. C’erano state altre accuse, le voci si era trasformate in grida. Ma per Lily il mondo era diventato grigio già da un bel pezzo. Prima grigio e poi rosso. Quel rosso che precedeva la tempesta. Una tempesta di fuoco.

Ad un certo punto sua madre aveva cercato di rifilarle un altro ceffone e Lily l’aveva fermata, prendendola per il polso e spingendola. Non voleva farla cadere. Non intendeva farle male. Voleva solo... allontanarla da sé, perché odiava essere guardata così. Come se fosse stata solo un errore. Una ragazzina capricciosa, che si divertiva a far soffrire le persone che le avevano dato una casa e straparlava di maledizioni, di sogni fatti di fiamme. Perché i suoi sogni erano spesso così: fiamme, creature alate, la realtà vista dall’alto. Quando si destava, la sua mano correva al ciondolo che portava al collo. A volte il ciondolo le sembrava caldo. Bruciante come i sogni. A volte era gelido e stringerlo la faceva sentire più vicina a quella madre che non aveva mai conosciuto.

Solo che le aveva fatto male.

La madre adottiva che tanto aveva deluso era caduta, battendo la testa e guadagnandosi un trauma cranico.

“Non puoi davvero buttarmi fuori! Non volevo farle del male, lo giuro!”, gridò Lily, in lacrime.

“Ho detto: fuori!”

Prese uno zaino e solo alcune delle sue cose. Qualche vestito di ricambio. Dei soldi. Beh, quelli li rubò. E fu costretta ad andarsene.

Alla sue spalle la porta sbatté.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Che cosa posso fare ancora per te, Lilith? Immagino che non sia una visita di cortesia. – disse il signor Gold, uscendo da dietro il bancone del suo negozio. – Dopo gli ultimi... avvenimenti... mi perdonerai anche se non ti offro un tè.

Belle sembrava indecisa se afferrare la balestra e puntarla contro Lily, anche se sapeva benissimo che non sarebbe servita a niente... non contro il nuovo Oscuro.

- Se stai cercando qualche ingrediente magico, ti avverto: Emma ha portato via parecchie cose. Ma credo che tu lo sappia già.

- Sono qui per te. – rispose Lily. Non aveva per niente un bell’aspetto. Era più pallida di quando era entrata nel suo negozio per chiedergli come poteva controllare il suo dono. Aveva gli occhi segnati da ombre scure e le iridi erano dorate.

- Per me? – Tremotino sollevò un sopracciglio. Aveva assistito alla tempesta magica della sera prima. Dopo che Belle si era addormentata, lui, incapace di prendere sonno, si era alzato e aveva scostato le tende di una finestra per guardare le nuvole nere sospese sopra la città come una spada di Damocle... e i fulmini che precipitavano dal cielo. Il potere che lo circondava gli aveva fatto accapponare la pelle, l’aveva spaventato al punto tale da costringerlo a mordersi il labbro con forza, eppure l’aveva anche affascinato. La sue pelle era diventata fredda e aggricciata, mentre l’ennesimo lampo squarciava le nubi, seguito da un boato simile al ruggito di una belva. Gli ingranaggi del suo cervello avevano cominciato a girare vorticosamente. Aveva avuto l’impressione che l’oscurità fosse là, accanto a lui, che non l’avesse mai davvero abbandonato. Aveva avuto l’impressione che, se si fosse voltato verso destra o verso sinistra, avrebbe visto qualcosa di nero in agguato, una cosa che si sarebbe avventata su di lui.

- Hai qualcosa di cui ho bisogno. Ed è qualcosa che non ha a che vedere con Emma. – stava dicendo Lily.

- E cosa sarebbe? – domandò Belle.

Non aveva nemmeno finito di pronunciare quella frase. Lily si materializzò davanti a Tremotino. Lui ebbe giusto il tempo di allungare una mano per spingere Belle più indietro, poi la lama di una spada lo ferì al braccio.

Per un paio di secondi pensò che a ferirlo fosse stata la lama di Excalibur. Pensò che fosse giunta la sua fine. Poi si rese conto che la spada che il nuovo Oscuro stringeva non era Excalibur, bensì una spada comune, con la lama sottile e ricurva. Due gocce del suo sangue scivolarono lungo quella lama e Lily le osservò, compiaciuta.

- Che diavolo significa? – domandò Tremotino, portandosi una mano al braccio e appoggiandosi al bancone.

- Il tuo sangue apre molte porte. Non è stato poi così doloroso, vero? – La spada svanì in una nuvola violacea. – Spero che non te la prenderai. Ho trovato la spada sulla nave del tuo vecchio nemico... Killian non dovrebbe lasciare le sue cose incustodite. Quando eravamo a Camelot... mi disse che quella era la spada di uno dei Bimbi Sperduti. Si chiamava Rufio. Gliel’ha presa quando l’ha ucciso.

- Mi scuserai se... non conosco tutti i seguaci di mio padre. – borbottò Tremotino. Belle aveva recuperato un panno pulito e gli stava tamponando la ferita.

- Peccato. Ma grazie, in ogni caso. – Lilith scomparve così com’era scomparsa la spada.

Belle e Tremotino fissarono lo spazio vuoto. Qualche goccia di sangue era schizzata sulle assi di legno.

 

***

 

Massachusetts. Qualche anno fa.

 

Il locale ruggiva di voci e di risate e di musica ad alto volume. Di bicchieri che sbattono sui tavoli o gli uni contro gli altri. L’aria era densa di aromi di hot dog alla griglia, anelli di cipolla, patatine fritte e chissà quale altra grassa leccornia. La birra scorreva a fiumi. L’alcol in generale scorreva a fiumi. Anche giù per la sua gola, ad incendiarle lo stomaco. A collegare il tutto, a dare al mondo una precisa connotazione, dagli altoparlanti piazzati in ogni angolo tuonava una canzone dei Doors.

 

“There’s a killer on the road
His brain is squirmin’ like a toad
Take a long holiday
Let your children play”

 

“Ehi, riempi questo bicchiere. E offrine uno anche alla signorina”, disse una voce alticcia. Il fracasso prodotto dallo sgabello che veniva spostato le aumentò l’emicrania.

“Non ti ho chiesto di offrirmi qualcosa”, rispose Lily. Era decisamente ubriaca. Reggeva bene l’alcol, di solito, ma quella sera aveva davvero esagerato.

“Suvvia, una ragazza come te non può starsene qui da sola”. L’uomo espose una fila di denti smaglianti, anche se i due incisivi erano sovrapposti. Aveva una bocca grande e occhi marroni che non vedevano nulla. Erano i classici occhi vuoti. Acquosi.

“Sparisci. È meglio”.

“Ringhia, hai visto? Mi piace”.

Lily gli gettò in faccia il contenuto del suo bicchiere. L’uomo, colto alla sprovvista, si tirò indietro e cascò dallo sgabello, finendo gambe all’aria. Scoppiò una salva di risate.

“Ho detto: sparisci. È così difficile da capire, idiota?”

L’idiota in questione imprecò contro di lei e levò le tende. Una vera fortuna. Lily non avrebbe mai voluto fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Si sedette di nuovo, accasciandosi quasi sul bancone.

“Ehi, tutto bene? Quel tipo ti stava dando qualche grattacapo, vero? Non penso che tornerà”. Un ragazzo si chinò su di lei. Vide che non andava tutto bene.

“So cavarmela da sola...”

“Non da ubriaca”.

“Non sono ubriaca. Sono maledetta”. Poco le importava che quel tipo la credesse pazza.

Il ragazzo si guardò intorno e poi sorrise. Aveva un taglietto sul mento. “Forse lo siamo tutti”.

Lily lo guardò in faccia e vide che il suo sorriso era sincero e comprensivo. Portava il pizzetto e aveva i capelli scuri. Quando tentò di alzarsi e barcollò, lui l’afferrò saldamente.

“Non toccarmi”, sibilò Lily.

“Volevo solo darti una mano. Ad uscire dal locale, almeno. Spero che tu non debba guidare”.

“Non ho una macchina. Sono a piedi. E poi potresti essere un maniaco. Come quel tizio”.

“Qui fuori è pieno di gente. C’è anche la mia ragazza. Ci siamo fermati a fare benzina”. La voce suonava sincera, come il sorriso. Non se l’era nemmeno presa perché gli aveva dato del maniaco. Anzi, era divertito.

Alla fine si lasciò aiutare. Il ragazzo la portò fino alla fermata dell’autobus più vicina. Effettivamente, quando uscirono, Lily vide una macchina parcheggiata in doppia fila, con una ragazza seduta dalla parte del passeggero. Lui le fece un cenno con la mano e le disse di aspettarlo.

“Cerca di salire sull’autobus giusto”, le disse.

“Uno vale l’altro”.

“Non mi hai detto il tuo nome. Non che tu sia obbligata, ma così... per curiosità, mi piacerebbe saperlo”.

“Starla”, rispose, senza pensarci.

“Starla. Bello. Il mio è...”. Ci fu una brevissima esitazione. “Puoi chiamarmi Bae”.

“Che razza di nome sarebbe Bae?”

“Un diminutivo. Ma non dirlo in giro”.

 

***

 

Camelot. Poche ore prima della maledizione.

 

Sconvolta e furiosa, Regina vide la propria mano tendersi verso i chiavistelli che chiudevano la porta della prigione... e farli scorrere, aprendola.

Si introdusse nel buio della segreta insieme a Lily, che si portò di fianco a lei. Continuava a stringere il cuore pulsante nella mano destra.

- Emma? – disse Lily.

Emma sbucò dall’ombra e si aggrappò alle sbarre della cella. – Lily... che cosa stai facendo?

- Ti sto liberando.

- Come hai fatto a scoprire dov’ero?

- Non hai idea di quanto sia semplice trovare qualcosa quando sei l’Oscuro... – Lily estrasse di nuovo Excalibur. – Ho trovato l’indicazione nella Torre di Merlino. Questa dimora apparteneva ad un altro Oscuro.

Emma guardò il cuore di Regina con la testa leggermente inclinata. Regina stessa non avrebbe saputo dire che cosa stesse provando Emma. Sollievo, incredulità, rammarico, ira. Forse tutte queste cose assieme. Per un momento le sembrò combattuta.

- Dov’è Henry? – chiese.

- Sta bene. – rispose Lily. – Non gli avrei mai fatto del male. Ma Regina... ha fatto la scelta giusta. Mi ha ridato ciò che ti appartiene.

Le passò il pugnale attraverso le sbarre. Emma lo prese.

- Ora stai indietro. – le consigliò Lily, sollevando Excalibur.

- Le sbarre di questa cella sono protette. – disse Regina. Ogni parola le costava uno sforzo enorme, tanto che arrivò in fondo alla frase esausta.

Lily non le diede retta. Calò un unico, poderoso fendente a due mani. Le sue labbra scoprivano i denti in una smorfia furente. La lama spezzata scintillò sinistra e colpì le sbarre. Tre di esse si spezzarono e si frantumarono come se fossero state fatte di vetro, creando un varco per Emma, che uscì dalla cella.

- Avalon. – disse Lily, semplicemente. – Non appena Emma mi ha detto che queste sbarre erano impregnate della magia di quel posto, sono andata a fare un giretto al lago. Non sapevo che cosa avrei trovato o cosa avrei dovuto cercare... ma quando sono arrivata mi è sembrato tutto chiaro.

- Le acque del lago. – disse Emma. E lo disse imprimendo una certa ammirazione nella sua voce.

- Le acque sono magiche, così come le nebbie e tutto ciò che riguarda l’Isola delle Fate. Mi è bastato immergervi la lama.

Emma prese il cuore di Regina senza chiederle niente. Osservò il rosso pulsare e cercare di farsi strada in mezzo all’oscurità.

- Distruggilo. – le suggerì Nimue. – Distruggi le persone che non credono in te e vogliono portarti via tutto.

“Quando siamo arrivati a Camelot, mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi salvato me. Oppure...”

“Io ti ho salvato. Ora tu salva me”.

Emma visse un momento terribile, durante il quale immaginò di serrare le dita sul cuore. Immaginò il cuore nero di Regina che si disintegrava, polvere che si disperdeva sul pavimento di quella lugubre cella. Il corpo di Regina che si afflosciava privo di vita.

- Vedi, Regina? L’oscurità è sempre dentro di te. – mormorò.

- Lei ti ha tradita. Ti ha rinchiusa in una prigione. Voleva controllarti e portarti via tutto. – Nimue si mise accanto a lei. - Diglielo, Emma. Dille che tutto questo è ciò che sei. Dille che tutto questo è tuo e che non te lo può togliere. Diglielo! E poi stringi quel cuore. Puniscila.

Emma sollevò l’indice e lo inclinò verso il basso. Regina crollò in ginocchio.

- Non è divertente non avere più il controllo di se stessi, vero Regina?

Lily sorrise. Aveva pensato di restituire il cuore all’altra madre di Henry e poi di spedirla a fare un pisolino insieme agli altri, ma quello che stava facendo Emma era... ipnotizzante.

- Guardati. In ginocchio. La Regina si è appena inginocchiata. – Le girò intorno, piazzandosi alle sue spalle.

- Emma, per favore... – disse Regina. – Non farlo. Non lasciare che l’oscurità ti consumi.

- Questo me l’hai già detto. Ma sai una cosa? – Si chinò e le scostò i capelli per parlarle in un orecchio. - Tu mi hai rinchiusa. Non hai avuto fiducia in me. Non hai creduto in me. Non l’hai fatto tu e non l’hanno fatto i miei genitori. O Killian. O Merlino.

- D’accordo, mi dispiace... non volevo affatto ferirti. Volevo aiutarti. Volevo assicurarmi che tu... che non ti facessi del male. Che non... sprofondassi.

“Quando siamo arrivati a Camelot, mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi salvato me. Oppure...”

“Sì. Te l’ho affidato! Perché credevo che saresti riuscita a salvarmi. O che mi avresti distrutta se fosse stato necessario!”

“Ed io non posso distruggerti. Non posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”

- Beh, mi hai sprofondata tu stessa nell’oscurità. Guarda dove mi hai rinchiusa. Sei esattamente come tua sorella. Ricordi? Quando teneva Tremotino in una gabbia...

Regina non disse niente.

- Lei voleva usarlo. Ed io potrei usare te. Potrei fare molte cose con questo cuore. Potrei farti passare... l’inferno che tu hai fatto passare a molte delle tue vittime. A Graham, per esempio.

- Emma...

Emma si piegò e, con la magia, l’afferrò per i capelli con forza, strattonando. Poi estrasse il pugnale, appoggiandoglielo sulla gola. Regina sentì il morso freddo di quella lama.

“Ed io non posso distruggerti. Non posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”

Nimue la fissava dall’alto, con un sopracciglio aggrottato.

- Emma... è una tua scelta. Ma sei migliore di così. Lo sai. – disse Regina. Si girò quel tanto che bastava per poter incrociare i suoi occhi. Il suo viso era vicinissimo. Poteva vedere ogni sfumatura verde che lo solcava, il male che la corrodeva pian piano. Avvertiva il respiro gelido dell’Oscuro sulla guancia. L’odore era forte, intenso, tenebroso. Era attraente ed era terribile. Voleva allontanarsene e, al tempo stesso, voleva respirarlo. Il cuore nero palpitava nella sua mano.

- Chiudi gli occhi. – rispose Emma.

Regina serrò le palpebre. Le dita di Emma strinsero il cuore in una morsa e lei soffocò un grido di dolore. Rantolò, scivolando in avanti.

Infine Emma le rimise il cuore nel petto. Con violenza. Regina gridò di nuovo, inarcando la schiena.

- Anche tu sei migliore di così. – sussurrò Emma, alzandosi. Agitò un braccio e Regina cadde sul pavimento della prigione, priva di sensi. – Rimani pure in questa maledetta cella.

- Non rimarrà qui. – rispose Lily, avvicinandosi e appoggiando una mano sul braccio di Emma.

- Che vuoi dire?

- Stiamo per andarcene, Emma.

- Andare dove? Di che parli? – Ora era seriamente allarmata.

- Storybrooke.

Scomparvero tutti in una nube magica.

 

Granny sollevò il fucile e sparò un colpo che rimbombò nella tavola calda. Il proiettile di grosso calibro mandò in frantumi i vetri di una finestra, dopo aver trapassato Lilith da parte a parte. Ovviamente il nuovo Oscuro non poteva morire e rise del suo tentativo di fermarla.

- Metti giù il fucile, nonna, prima che te lo faccia scoppiare tra le mani. – disse Lily.

- Sì, ragazzina. So che ne sei capace.

Emma scosse il capo, come in preda allo stordimento. Sul pavimento c’erano gli Azzurri, Killian e il mago Knubbin con il suo corvo. Regina era adagiata su un fianco, quasi si fosse semplicemente addormentata. Persino il suo viso appariva molto sereno. Henry giaceva vicino a lei. Malefica stava cercando di alzarsi da terra e Merlino guardava tutto con occhi sbarrati, allucinati.

Lily si liberò della nonna, spedendola nel mondo dei sogni con gli altri.

- Lilith, per favore, fermati. Non è ancora troppo tardi. – disse Merlino. – Ricorda quello che ti ho detto quando sei venuta a parlarmi: puoi sconfiggere l’oscurità. Ma se ti lasci guidare da essa, sarai esattamente ciò che hai sempre creduto di essere.

- Ma guardati. – rispose lei, ignorando le sue parole. – Il mago più potente del reame... senza magia e sporco di fango.

- Lily, che cos’hai in mente? Non puoi davvero lanciare il sortilegio oscuro. – intervenne Emma. – Sai che cosa devi fare per attivarlo?

- Certo che lo so.

Lily si dissolse per ricomparire di fronte a sua madre. Le affondò una mano nel petto ed estrasse il suo cuore, così come aveva fatto con Regina.

- Lily!

Emma non era stata l’unica a gridare il suo nome. Tremotino era in piedi a pochi passi da Merlino e puntava il lungo indice squamoso contro Lily.

- Che cosa stai facendo qui? Vuoi aiutarla con la sua vendetta?

- In realtà, volevo farle notare che sta commettendo un grosso errore. – rispose Tremotino, sorridendole.

Emma aggrottò la fronte.

Tremotino si volse verso Lily. – Ti è stato spiegato che, per lanciare il sortilegio oscuro, è necessario sacrificare... ciò che più ami. E tu... sacrifichi tua madre?

Malefica boccheggiava.

- La persona che ami di più non è tua madre. Se distruggerai quel cuore non andremo da nessuna parte. – Nimue prese il posto di Tremotino. – E lo sai benissimo. Per questo non fai altro che cincischiare.

- Lily, non devi ascoltarli. – disse Emma.

- La persona che più ami... è Emma.

Lily si ritrasse, guardando sua madre con gli occhi sbarrati e iniettati di sangue. Stava serrando con forza il cuore di Malefica e tra non molto l’avrebbe ridotto in cenere. Rilasciò la presa, esalando un gemito.

- Non avrei mai voluto farti questo... – mormorò Malefica. – Ma dovevo salvarti.

- Non posso... – mormorò Lily. – Non posso uccidere Emma.

- Oh, lo so! – Tremotino ricomparve e la sua voce ebbe lo stesso effetto del gesso che scivola maldestramente su una lavagna. – Nessuno qui ti chiede di farlo. Era solo una constatazione. Ma c’è sempre una scappatoia.  

Nimue riapparve. – Noi non vogliamo ucciderti. Abbiamo bisogno di te.

- Vattene. – sibilò Emma. Si avvicinò a Lily con cautela e prese la sua mano. – Restituisci il cuore a tua madre. Ricordi cosa ti dissi nel bosco? Possiamo risolverlo. Possiamo farlo insieme.

- Questo era quando ancora credevi di poterti fidare della tua famiglia, Emma. – rispose Nimue.

- Si può sapere che cosa vuoi? Perché la stai aiutando?

- Non essere sciocca. Gli Oscuri non fanno mai niente senza richiedere qualcosa in cambio. – Nimue ora sembrava divertirsi un mondo.

- Che cos’è?

- Sei un Oscuro. Sai che cosa vogliamo. Ma dobbiamo andare a Storybrooke. Ci serve Tremotino. Beh... ci serve l’uomo che un tempo era l’Oscuro. L’uomo che lo è stato per centinaia di anni. Il suo sangue aprirà la porta.

- Quale porta?

Nimue non rispose, eppure Emma lo capì comunque. Fu come entrare in diretto contatto con la mente del primo Oscuro. E fu una sensazione spaventosa. Come se tutto il buio esistente si stesse riversando dentro di lei.

- Non puoi. – riuscì soltanto a dire.

- Sì, possiamo. E lo faremo.

Emma si girò verso Lily. – È quello che ti ha suggerito fin dal principio. Non solo di uccidere i miei genitori per avere la tua vendetta...

- Emma... lei è troppo forte. Io non sono come te. Non riesco a contrastarla. – Lily appariva prostrata. Si appoggiò a lei, mettendole le mani sulle spalle. La sua voce era lacrimosa, stranamente... giovane. Come se stesse regredendo. Come se stesse tornando ad essere la ragazzina che le aveva coperto le spalle al supermercato. - Non so come fare.

- Emma... sei un Oscuro. Comportati come tale. So che vuoi anche tu il potere. So che una parte di te desidera uccidere le persone che ti hanno tradita. - Nimue fissò Merlino. – Non lasciare che l’amore ti fermi.

Emma sventolò una mano davanti al viso di Malefica e lei ricadde per terra, svenuta. Poi prese il cuore dalla mano di Lily e lo rimise al suo posto. – Tu non farai questo, Nimue.

- Accogli il potere. Se ti lascerai andare sarà tutto più semplice. Potrai aiutare Lilith. Non sei stanca di lottare? Non sei stanca che siano gli altri a decidere per te? Non hai mai avuto una vera scelta. Fin da quando sei nata, fai ciò che gli altri si aspettano da te. E poi... vieni tradita. La persona a cui ti sei affidata... ti rinchiude in una segreta, cerca di controllarti... tua madre, che ti aveva abbandonata...

- Basta. – disse Emma.

Ma lei continuò, imperterrita. Parlava lentamente, con lo studiato trionfo di chi stava per concludere una trattativa importante. - Tua madre, che ti ha abbandonata, ha portato via una bambina ad un’altra madre e l’ha maledetta. Ha cambiato la tua natura. E avrebbe lasciato morire Lilith. Inoltre... i tuoi genitori... hanno concepito un altro figlio, che avrà tutto ciò che tu non hai mai avuto!

Emma lanciò un grido e scagliò una sfera di fuoco contro la proiezione della sua coscienza. Ovviamente Nimue svanì e Tremotino riapparve, seduto su uno dei tavoli del Granny’s. Dondolava le gambe. - Quanta foga, cara.

- Lily... – disse Emma. – Ti fidi di me?

Lei abbassò lo sguardo sul corpo di sua madre. Lo sollevò per spostarlo su Nimue e poi su Merlino. Poi tornò a guardare Emma. – Sì.

- Che momento commovente! – esclamò Tremotino. – Ma ora passiamo alla cosa più importante. La maledizione.

- Io non... – cominciò Lily.

- Lilith non ucciderà Emma. E per lanciare la maledizione serve il cuore della persona che ama di più. – intervenne Merlino. - In ogni caso... ho già lasciato un messaggio per gli altri, quando ho visto Emma e Lilith nel bosco.

- Oh, ma guarda! Vi ha spiate! Quel mago da strapazzo gli ha certamente dato una mano. – Tremotino saltò giù dal tavolo e sfiorò Knubbin con la punta dello stivale. – Ma non preoccupiamoci di questo. Come ho detto, c’è sempre una scappatoia. C’è qualcuno... che prova qualcosa per te, Merlino.

Nimue riapparve e raggiunse Merlino. – E sono io. Ricordi? Io sono tutti gli Oscuri. Sono l’originale. Romantico, vero? Dopo tutto quello che è accaduto... sei ancora ciò che amo di più. Ed è così. Io ti amo.

Lo stregone alzò una mano tremante, quasi volesse toccare il viso della donna che aveva amato per centinaia di anni. - Ma non sei davvero qui.

- Invece sì. Io sono tutti loro, Merlino. Proprio perché sono il primo. Io... sono Emma. E sono Lilith.

- Quindi se distruggiamo il cuore di Merlino... – iniziò Lily.

- Sarò io a farlo. – concluse Nimue, senza smettere di fissarlo. Il suo tono era determinato, ma c’era molta tristezza nei suoi occhi. Forse ricordava i momenti felici che aveva trascorso con lui prima di cedere al male, uccidendo Vortigan. - Perciò facciamolo. Non devi sacrificare Emma. Come vedi, c’è una scappatoia. Tu puoi avere la tua vendetta... e in cambio... noi torneremo. Tutti noi. In carne ed ossa. Grazie al sangue dell’Oscuro che è morto... ed è risorto.

Con una mano, Lily arpionò la gola di Emma.

- Fallo ora.

Scagliò Emma contro la parete opposta. Un quadro si staccò. Merlino sapeva di non poter scappare e non si mosse neppure. Lily gli strappò il cuore dal petto.

- Puoi ancora fermarti. Non è troppo tardi. – sussurrò Merlino.

- Io non posso fermarmi. Sono stanca di lottare. – Il cuore del mago più potente del reame aveva una strana consistenza. Pulsava, un rosso vivido e puro, senza macchie. – L’ho fatto per tutta la mia vita.

- Questo non ti permetterà di essere felice. – disse Emma. – Ti prego, Lily.

Lei chiuse gli occhi, serrò il cuore di Merlino in una morsa e lo disintegrò. Trattenne la polvere nel pugno. Lo stregone piombò a terra.

- No! – gridò Emma.

- Mi dispiace... – Lily si diresse verso il calderone che Merlino aveva usato per registrare il suo messaggio e vi gettò i resti del suo cuore. Il calderone ribollì.

- Nessuno deve controllarti. La spada. – disse Nimue.

Lily rispedì Excalibur nella sua roccia. Poi si appoggiò al bancone del Granny’s, come se non avesse più forze.

Emma si inginocchiò accanto al corpo dello stregone.

- Non prenderla male. È morto per una giusta causa. – disse Tremotino.

“So che c’è oscurità in te, Emma, ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue”.

Non gli diede retta. Trasformò il suo corpo in cenere. - Riposa in pace. 

- Non puoi più fermarlo, Emma. È finita. – disse Lily. Il cuore le martellava, gonfio di terribili presagi. Era come se il mondo fosse appena stato ricoperto da un sudario, con il lembo più oscuro disteso sulla tavola calda. Si lasciò scivolare sul pavimento e si coprì il viso con le braccia. C’erano ancora le voci nella sua testa. Alcune la rimproveravano aspramente, altre si complimentavano con lei per aver portato a termine il piano. Nimue non c’era più.

Qualcosa di simile ad un tentacolo le sfiorò la coscienza. Provò una sensazione di apertura, uno spazio così immenso da farla sentire meglio, anche se solo per un istante. Sembrava che Emma stesse cercando di rassicurarla, incuneandosi nei meandri della sua mente. Non era arrabbiata. Quando la guardò, i suoi occhi verdi erano limpidi e decisi.

- Ho promesso che non ti avrei più voltato le spalle come ho fatto anni fa. E non intendo rimangiarmi la promessa.

- Non c’è più niente che tu possa fare, Emma. La maledizione sta arrivando. – Parlò trascinando ogni singola sillaba. 

Che cosa ho fatto?

Il punto non era quello. Lily sapeva che il punto era che le era piaciuto farlo. Così come le era piaciuto picchiare quei bulli con la mazza da baseball. Così come le erano piaciute altre cose sbagliate che aveva fatto. Le odiava. Odiava la sua incapacità di prendere decisioni sensate. Ma le piaceva anche.

- Non posso fermarla. Ma posso farti dimenticare tutto. Anche che sei diventata un Oscuro.

Lily stava per chiederle che cosa diavolo significasse. Poi Emma le posò una mano sulla fronte e lei si afflosciò. Emma la prese tra le braccia, accompagnandone la caduta. La adagiò sul pavimento, accanto a Malefica.

Uno sfavillio e l’acchiappasogni comparve. - Quando ti sveglierai, non ricorderai niente. Nemmeno di essere un Oscuro. Tornerai ad essere quella che eri prima. Ed io sistemerò tutto quanto. Io sola.

- Mossa astuta, mia cara. Ma non credo che basti. – osservò Tremotino.

Emma posizionò l’acchiappasogni sopra la testa di Lily. Le memorie fuoriuscirono dalla sua mente sottoforma di una scia luminosa, che l’acchiappasogni si affrettò a catturare. – No, non basta. Devo cancellare anche i ricordi degli altri. Di tutti.

Sul pavimento del Granny’s comparvero anche Zelena e Belle. Emma restituì alla strega il suo bracciale nero e l’abito verde chiaro che aveva fino a quando non era sfuggita al loro controllo. – Nessuno di loro ricorderà quello che è successo qui. Nessuno. E non riavranno questi ricordi fino a quando non lo deciderò io.

Ad una ad una le menti si svuotarono e riempirono l’acchiappasogni.

- Giusto. Farsi aiutare da una famiglia che ti ha tradita non è esattamente una buona idea. Sei un Oscuro. Non hai bisogno di loro. – commentò Tremotino.

Emma gettò l’acchiappasogni nel calderone. La maledizione si levò sottoforma di una densa nube viola, che traboccò e scivolò lungo i bordi.

- Potrebbe non piacerti comunque le conseguenze. – riprese Tremotino.

La nube invase il Granny’s. Emma raccolse il giglio che aveva dato a Lily. Lo rimise nella tasca della sua giacca.

- O peggio... ti piaceranno molto.

 

Il cavallo di Merida si drizzò sulle zampe posteriori e nitrì, spaventato.

La regina di Dunbroch, che aveva remato e cavalcato quasi ininterrottamente negli ultimi giorni per raggiungere Camelot e vendicare la morte di suo padre, percepì qualcosa di grande, qualcosa di enorme e tenebroso che avanzava nella foresta che si stava lasciando alle spalle.

Pensò che qualche creatura l’avesse seguita.

Che l’Oscuro l’avesse seguita. Ricordava benissimo la mano di quella strega pronta a stritolare il suo cuore. E per quanto avesse deciso di non romperle la testa come avrebbe fatto con un cocomero, la sola idea che fosse lì la raggelava.

Si voltò e vide sopraggiungere la nube viola.

 

- Artù... che cos’è?

Il re di Camelot scostò i bordi della sua tenda per guardare fuori insieme alla moglie. Aveva dovuto abbandonare il castello in fiamme dopo l’attacco del drago e l’aveva fatto maledicendo Merlino e le sue profezie. Maledicendo il drago e ripromettendosi di ucciderlo. Maledicendo gli stranieri che aveva accolto e che avevano portato solo rovina. Maledicendo Zelena, che l’aveva piantato in asso quando era sopraggiunto il drago.

L’accampamento sorgeva a circa una lega da Camelot ed era silenzioso. Le torce erano accese, ma si spensero all’improvviso, così come il fuoco intorno al quale sedevano due dei suoi cavalieri.

Ciò che aveva visto Ginevra era una gigantesca nube viola che correva verso di loro. Stava inghiottendo ogni cosa. Le colline, la foresta, il lago.

- Magia nera. – disse Artù.

 

La dimora del re stava ancora bruciando. Le fiamme si levavano alte verso il cielo nero. Una torre tremò e si sgretolò, portandosi dietro parte delle mura. Stendardi infuocati fluttuarono. Le porte di legno che chiudevano le stalle e i magazzini con le scorte di cibo erano esplose e i resti erano sparsi a raggiera in tutto il cortile, insieme a bardature per cavalli, selle e briglie bruciate, sacchi di farina e armi.

E corpi. C’erano molti corpi. Corpi in posizioni scomposte. Occhi che fissavano il vuoto.

Di quella che era stata la sala che aveva ospitato la Tavola Rotonda, non rimaneva quasi niente.

C’era solo una cosa intatta. La roccia. La roccia ed Excalibur conficcata in essa. Il fuoco si rifletté nella gemma rossa incastonata nel pomolo.

La nube inghiotti anche le fiamme.

 

***

 

Storybrooke. Oggi.

 

- Direi che non poteva andare meglio. – disse Nimue, spaziando con lo sguardo sulla superficie del lago. – Hai il sangue dell’uomo che è tornato dagli Inferi.

Era notte. Ferma sulla riva nebbiosa del lago di Storybrooke, Lily si preparava a fare ciò che aveva promesso al primo Oscuro. Estrasse la spada, sulla cui lama c’era il sangue rappreso di Tremotino.

- In questo lago si nasconde una porta che conduce nell’Oltretomba. – continuò Nimue. – Il sangue la aprirà.

- Sei sicura che funzionerà?

- Non fare domande stupide. E sbrigati. – Distese un braccio per invitarla a compiere l’ultimo passo.

Lily si inginocchiò e spinse la lama appartenuta al Bimbo Sperduto nelle acque buie del lago.

“No, non puoi”, aveva detto Emma a Camelot, quando aveva capito quello che Nimue aveva in mente.

“Sì, possiamo. E lo faremo”.

Emma... perdonami.

Il lago vibrò e una piccola onda si espanse. Nimue era svanita. Ora Lily era sola. Ma non lo sarebbe stata per molto.

Il fumo bianco annunciò l’apertura delle porte che conducevano negli Inferi. Nell’aria si diffuse un odore terribile. Sembrava che gli odori peggiori del mondo si fossero fusi per generare quel fetore squallido; acque melmose, frutta marcia, fiori appassiti. Lily sfiorò il giglio che ancora custodiva in tasca. Gli aveva ridato vita, restituendogli l’aspetto originario.

Una barca carica di figure incappucciate emerse dai fumi bianchi.

- Non posso crederci. – mormorò Lily, trasecolata.

Era una barca sprovvista di vela, grossa e molto vecchia, con una lanterna che rosseggiava a prua. Un uomo, usando un lungo bastone, la sospinse fino al centro del lago. Guardando meglio, Lily vide che l’uomo era in realtà un vecchio con una folta barba bianca e sudicia, le mani simili ad artigli e gli occhi rossi come braci, circondati da cerchi di fiamme. Il labbro inferiore, tutto rovesciato in fuori, scopriva denti consumati e di colore bruno. Le narici vibravano come per effetto del respiro ed emettevano bianchi vapori.

Caronte.

Dovette distogliere lo sguardo, perché quello del demone che guidava la barca era terrificante. Pareva in grado di bruciarle i pensieri, di succhiarle la vita. Era uno sguardo antichissimo e crudele.

Una delle figure incappucciate si alzò e scese dalla barca, scivolando silenziosamente sulle acque. Portava una maschera dorata, sulla quale era incisa una fitta rete di simboli.

Raggiunse la riva e quando Lily le tese la mano, come in un sogno, l’altra la prese, dimostrandole che non si trattava di un’allucinazione.

- Salve, Lilith. – disse Nimue. Si tolse la maschera e le sorrise. – Siamo qui, come promesso. In carne ed ossa.

Avrebbe voluto risponderle, ma il cuore le martellava nel petto, impazzito. Gli altri attendevano sulla barca.

- Ora è il momento di metterci all’opera. E di fare quello che gli Oscuri sanno fare meglio. - Si voltò verso gli altri Oscuri. Ognuno di loro era immobile, seduto compostamente come se si trattasse di un viaggetto di piacere. – Soffocare la luce.

 

___________________

 

 

Angolo autrice:

 
La canzone citata è Riders on the storm, dei Doors.

 
E scusate per l’aggiornamento arrivato dopo secoli di attesa. Siamo quasi alla fine.


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Capitolo 18
*** 18. ***


Trigger Warning: ci tengo ad inserire un avvertimento, giusto per non incorrere in eventuali critiche. Il capitolo contiene un paio di scene (una in particolare) che si possono considerare violente. Non si tratta di violenza pesante, ma l’avvertimento serve, perché non tutti amano leggere di personaggi che soffrono fisicamente.

 

 

18

 

 

 

 L’ira temporalesca che si era abbattuta su Storybrooke come un maglio si era placata, ma il cielo era ancora preda di nubi pesanti, tra le quali si infiltravano i raggi del sole morente. Il contrasto tra le zone d’ombra e le nuvole fulgide attribuivano al mondo un nitore singolare.

Merida scostò la tenda per guardare fuori. – Sembra che la tempesta stia passando.

- Stavano combattendo. – disse il mago Knubbin, mentre era intento a pulirsi le unghie. – Forse hanno trovato un accordo.

- Non voglio sapere che genere di accordo. – rispose Merida.

Artù era sempre nella sua cella, rintanato in un angolo, con la testa appoggiata al muro. Accanto a lui c’era un vassoio con del cibo, ma era intatto.

- Sicuramente hanno trovato un accordo con mia sorella, dato che il tornado si è portato via sia lei che la bambina. – disse Regina, meditabonda.

Robin non diceva una parola. Contrito, con l’arco e la faretra a tracolla, scrutava gli altri di sottecchi.

- Non capisco. Perché Lily ed Emma hanno aiutato Zelena? – domandò Neve.

- Lily ha aiutato Zelena. Non Emma. Emma voleva ucciderla. – specificò Regina, osservando un fulmine che squarciava il cielo in lontananza. Un tuono borbottò.

- Sarebbe un omicidio a sangue freddo. – rispose Neve, incredula.

L’aria intorno a loro crepitò. Regina avvertì un brivido sulla nuca.

- Che succede? – chiese Killian.

Apparve un piccolo globo infuocato e poi un pezzo di pergamena scivolò sulle scartoffie sparse sulla scrivania. Malefica si affrettò a prenderlo, prima che lo potesse fare qualcun altro e lo lesse.

- Che cosa dice? Di chi è? – domandò Regina.

- È di Emma. – Glielo tese in modo che anche lei potesse leggerlo. – Sembra che l’Oscuro abbia bisogno di una mano.

 

Cinque minuti dopo erano davanti alla villa di Emma. Non c’era più alcuna protezione, né intorno alla costruzione, né tantomeno sulla porta d’ingresso. Infatti, quando Regina salì in fretta i gradini e afferrò saldamente la maniglia, niente la respinse.

- Emma! – gridò Neve, subito dietro di lei.

Entrarono tutti in casa.

- Swan? – Killian vide Emma seduta sul divano del salotto, in apparente attesa. Alzò lo sguardo su di lui. I suoi occhi erano duri e freddi, come lo erano stati nella foresta, quando l’aveva salvato prima che Artù gli infliggesse il colpo mortale.

- Cos’è successo? – domandò Neve, avvicinandosi alla figlia con cautela.

- Dov’è mia figlia? - chiese Malefica, dopo aver controllato anche le altre stanze della villa.

- Lily non è qui. – disse semplicemente Emma. La sua voce era bassa e controllata, ma venata di emozione.

Regina sedette accanto a lei. Notò le sfumature verdognole sul volto e sulle mani. Gli occhi erano di un verde molto più intenso ed era un verde che aveva inondato la sclera, nascondendone il biancore. La trasformazione era sconcertante e Regina non scorse solo Emma, ma anche qualche altro essere, molto potente e molto antico. - Credo sia giunto il momento di spiegarci qualcosa, Emma. Non pensi?

- Vi ho fatti venire qui apposta. – disse Emma. – Ho bisogno del vostro aiuto per fermare Lily.

Spiegò loro quello che era accaduto; di come Lily avesse attivato la bacchetta per spedire Zelena e la bambina a Oz, di come avessero lottato e anche di come Lily le avesse portato via gli ultimi ricordi di Camelot.

- In definitiva... non sappiamo che cosa ha in mente... – concluse Regina. – Non puoi scoprirlo guardando attraverso i suoi occhi? È il vostro dono.

La parola ‘dono’ le uscì aspra, intrisa di veleno.

Emma le scoccò un’occhiata. – Non sono in grado di vederla. Mi sta bloccando.

- Belle ha detto che Lily ha ferito Tremotino... perché il suo sangue apre molte porte. Questo può esserti d’aiuto? – chiese sua madre.

- Forse, ma se non so qual è il piano di Lily e Nimue, non potrò fermarla.

- Credevo che Nimue fosse solo un’allucinazione. – disse Regina.

- Lo è, ma Nimue è il primo Oscuro. E quindi è tutti noi.

- Ti rendi conto che adesso abbiamo un problema enorme, vero? Hai trasformato Lily in un Oscuro e per giunta volevi uccidere Zelena!

- Era l’unico modo per salvarle la vita... Malefica è d’accordo con me, anche se non può ricordarlo. E Zelena... non puoi dirmi che dopo tutto quello che ti ha fatto, per te non sarebbe stata una liberazione! Stavo cercando di sbarazzarmi dell’oscurità e ti stavo facendo un favore!

- Emma, questo è omicidio premeditato. Doveva esserci un altro modo. – intervenne Neve. – Potevi fidarti di noi.

- Come voi vi siete fidati di me a Camelot? – Il suo tono s’incrinò e divenne rabbioso. – Non avete creduto in me, né tantomeno in Lily. Avete preferito rinchiudermi in una cella e controllarmi. Non che vi sia servito a molto...

- Questo non è possibile. – la interruppe Regina.

- Invece lo è. Ed è stata tua, l’idea!

Tutti tacquero. Regina era paonazza.

- Quindi il punto è... che tu ci hai chiamati perché non hai più scelta. – concluse Killian, cupo.

Emma non rispose.

- Swan, senti. – Killian allungò la mano per cercare quella di lei, ma Emma si ritrasse. Il pirata chiuse il pugno e contrasse la mascella, come se avesse appena addentato un limone. – Restituiscici i nostri ricordi. Sarà più facile aiutarti.

- Lo farei, se avessi gli acchiappasogni. Erano nella rimessa sul retro, ma sono spariti.

Regina si alzò in piedi e si appoggiò al divano. – Che cosa diavolo ha in mente Lily adesso?

 

- Il sangue degli Oscuri può essere usato per un sacco di incantesimi. E nessuno di quegli incantesimi è... un buon incantesimo, se capite che cosa intendo. – disse Gold. – Potete trovare i precedenti Oscuri nelle Cronache. Sono testi che possono esserci utili.

Si erano riuniti a casa di Regina. Sedevano intorno al tavolo e una debole luce illuminava il salone. Di Lily nessuna traccia, ma la calma che circondava Storybrooke era spettrale. Le strade erano deserte.

- Per quanto io apprezzi la passione per la cultura... – disse Emma, sfiorando il bracciale nero che Regina aveva deciso di assestarle al polso. - Esiste un modo più semplice e veloce. Sono ancora un Oscuro. Posso usare la magia. Ma dovete togliermi il bracciale.

Gold sorrise, ma scosse il capo. Nessuno degli altri intervenne.

- Già. Giusto. Non vi fidate di me.

- Lei si fiderebbe di me, se i ruoli fossero invertiti? – chiese Gold.

- Quindi è vero. Sei qui. – Henry entrò in salone. Era scuro in volto e il suo tono possedeva una sfumatura severa. Dura.

- Henry... – Emma gli sorrise. – Dobbiamo aiutare Lily e fermarla. L’unico modo è togliermi questo bracciale. Dì loro che possono farlo.

- No. – rispose lui, seccamente.

Emma lo fissò, incredula. - Come?

- Ci hai mentito. Su Lily. Su tutto quanto. Perché ora dovremmo fidarci di te?

- Io sono tua madre...

- Davvero? Perché la madre che conosco non mi avrebbe mai nascosto niente. Non avrebbe... pensato di fare del male a Violet per spezzare il mio cuore. Non avrebbe spezzato quello della sua unica amica.

- L’ho fatto per liberare Merlino. È stato terribile... anche per me. Ma allora credevo di non avere scelta, se volevo distruggere l’oscurità. – Emma cercò di avere tutta la sua attenzione. – Sai perché ho trasformato Lily in un Oscuro? Perché stava per morire. Dovevo salvarla.

- Sì, dovevi. Ma avresti potuto parlarcene. Avresti potuto dirci tutto. Perché non l’hai fatto?

Emma restò in silenzio qualche momento, quasi non fosse certa di quello che avrebbe detto se avesse aperto bocca.

- Quando le cose si sono messe male, tu hai fatto tutto da sola. Eravamo una squadra! – esclamò Henry, sempre più rabbioso.

- Oh, sì? – Stavolta fu Emma ad urlare. La sua voce divenne oscura e roca, piena di malignità. I punti in cui la sua pelle aveva assunto quelle sinistre sfumature verdi parvero pulsare. – Io sono un Oscuro. Posso non essere più la madre che ero prima... ma la madre che siede a quel tavolo ti ha detto che mi ha rinchiusa in una prigione, nei sotterranei di un castello, quando io avevo più

bisogno della mia famiglia?!

Henry ammutolì all’istante.

- Avevo portato Lily con me perché l’aiutassero. Volevo che ci aiutassero entrambe. Che Merlino ci aiutasse! Invece... hanno solo finto di farlo.

- È vero? – domandò Henry a Regina.

- Henry, io...

- Quando riavrò gli acchiappasogni, loro riavranno i ricordi. E si renderanno conto che è vero. Ma in fondo lo sanno già.

Henry decise che non voleva ascoltare altro. Strinse le labbra e se ne andò.

- Spero che tu sia soddisfatta. – commentò Regina. Aveva una gran voglia di ribaltare il tavolo e scagliare sfere di fuoco.

Emma nemmeno si degnò di guardarla.

Gold si alzò in piedi, appoggiandosi al bastone. – Credo sia ora di mettersi al lavoro.

Tutti si affrettarono a levare le tende, rivolgendo rapide occhiate ad Emma, che non mosse un muscolo. Sapeva che sarebbe dovuta rimanere lì, ad aspettare, mentre la sua famiglia faceva ciò che era necessario per fermare Lily. Ci avrebbero impiegato giorni e non avevano tutto quel tempo.

Gold si fermò accanto a lei, lasciando andare avanti il resto della squadra. – Deve capirlo, signorina Swan. Non si fidano dell’oscurità. Non di questa oscurità. È troppo difficile controllarla. Ci sono passato.

- Non ho bisogno di consigli. – sibilò Emma. L’unica cosa di cui aveva bisogno era di mettergli le mani intorno al collo. Non vedeva l’ora. Di stringere e stringere fino a farlo diventare blu. Non poteva più difendersi adesso che era un eroe puro e senza macchia. Era solo un omuncolo zoppo. Aveva imparato ad usare la spada, aveva difeso la donna che amava, ma non avrebbe avuto speranze contro di lei. Poco importava che non potesse usare la magia. Non avrebbe avuto speranze,  così come non aveva avuto scampo quando non era altro che un filatore umile, dedito al proprio figlio e al proprio lavoro. I palmi delle mani le prudevano al punto tale che Emma, per un istante, fu sicura che non avrebbe resistito a quel richiamo. Avrebbe ceduto e l’avrebbe ucciso...

- Non era un consiglio. Era un dato di fatto. – continuò l’ex Oscuro. - Loro hanno fallito. E lei ha fallito qui, a Storybrooke. Abbiamo tutti commesso degli sbagli.

“Quando le cose si sono messe male, tu hai fatto tutto da sola. Eravamo una squadra!”

Emma deglutì a fatica. Aveva la gola riarsa e il cuore che batteva con colpi lenti e pesanti. - Non dovreste andare senza di me. Lily è...

- Lily è pericolosa. Ne sono convinto. Erigeremo delle barriere protettive e faremo del nostro meglio. Se usa la magia, signorina Swan... peggiorerà. Lo sa bene. Si è guardata allo specchio?

 

Lily osservò l’allegra famigliola uscire dalla villa di Regina, attraversare il vialetto e svoltare l’angolo, diretti verso la biblioteca. Tremotino era l’ultimo della fila e si attardò davanti a casa, quasi fosse indeciso sul da farsi. Belle tornò sui suoi passi e i due parlarono per alcuni minuti.

A Lily non interessava ascoltare cos’avevano da dirsi la Bella e la Bestia. Le interessava chi era rimasto in quella casa. Un’arciera usata come cane da guardia... ed Emma. E l’arciera non costituiva un problema.

- Sai cosa devi fare. – disse una voce maschile, dietro di lei. – Non metterci troppo. Ah. E un’ultima cosa.

- Cosa?

Rothbart scostò il cappuccio della sua tunica. Il viso dell’Oscuro era pallido e con le guance leggermente scavate. Alcune vene verdi in esposizione tracciavano sentieri lungo quella faccia. Portava i baffi e aveva una fitta massa di capelli rossi, con tante ciocche che gli ricadevano sulle orecchie, sulle spalle e sulla fronte, disordinatamente. – Lasciami Tremotino.

- Perché?

- Mi piace. – Sorrise, mostrando denti giallastri, molto più simili a zanne. – Mi piaceva di più quando era un Oscuro. Avrei voluto incontrarlo allora. Ma non avrai niente in contrario se mi sostituisco a lui...

- Puoi prenderti chi ti pare. Non è un mio problema.

Rothbart rise. La sua era una risata divertita, fredda e cattiva. Lily aveva tastato la mente dello stregone. Era una mente vasta, la mente di un uomo che un tempo si chiamava Eric von Rothbart e aveva imparato ad usare la magia in giovane età. Era diventato sempre più avido di potere, fino a quando non aveva stretto il patto con il precedente Oscuro, Cornelius, per superare il suo maestro ed eliminarlo. Non era riuscita ad andare molto in là, perché lui non gliel’aveva permesso, ma aveva visto sprazzi della sua vita nel castello che aveva poi accolto Emma come prigioniera.

- Ho qualche idea per questo posto, quando avremo finito. Ricostruirò il mio castello. Si torna ai fasti di centinaia di anni fa, cara! – continuò Rothbart.

Lily lo ignorò e si avviò verso la villa.   

 

“Ma avresti potuto parlarcene. Avresti potuto dirci tutto. Perché non l’hai fatto?”

“Quando le cose si sono messe male, tu hai fatto tutto da sola. Eravamo una squadra!”

Operazione Cobra. Lo ricordava.

“Che cosa succede fra te e tua madre?”

“Il problema non siamo noi, ma il suo sortilegio. Dobbiamo spezzarlo, e ti dirò! Ho già un piano. Prima mossa...”

- Identificazione... – disse Emma, sdraiata sul divano bianco del salone.

“Identificazione. L’ho chiamata Operazione Cobra”

“Cobra? Questo non ha niente a che fare con le favole!”

“Esatto! È un nome in codice per depistare la regina”

-Ti sei messa a parlare da sola? – domandò Merida, tendendo di più la corda del suo arco. – Oppure stai elaborando qualche piano? Non ti conviene. Non hai i tuoi poteri. Ed io ti infilzerò con una freccia se sarà necessario.

- Tu non mi ucciderai, Merida. Non puoi.

- No. Ma posso sempre infilzarti un ginocchio. Sento che mi farà stare meglio, dopo che ho dovuto lasciare Artù in mano a qualche nano assoldato da tuo padre.

- Accomodati pure. – rispose Emma, incrociando le gambe e aspettando la freccia.

Merida mirò al suo ginocchio.

- Ehi, si gioca al tiro al bersaglio con l’Oscuro?

Emma si alzò di scatto e Merida scoccò la freccia in direzione della soglia del salone, senza prendere la mira. Lily acchiappò la freccia con una mano e la gettò via, per poi liberarsi anche di Merida con un gesto della mano.

- Avrebbero dovuto lasciarla dov’era. Qui non serve a molto. – disse Lily, dandosi un’occhiata intorno. Prese una foto di Henry e Regina sistemata su una mensola e racchiusa in una cornice d’argento. – O permetterle di uccidere Artù. Bella casa.

- So perché sei venuta.

- Sono venuta perché ho visto quella banda di imbecilli uscire di casa senza di te. E immaginavo che non ti avessero invitata nella loro... ricerca. Che richiederà molto tempo senza la magia. – Lily si avvicinò ad Emma.

- No. Tu sei venuta qui... perché vuoi essere fermata. Come quel giorno, quando ti ho trovata. Oppure vuoi che mi unisca a te.

- Emma... stai lottando per niente. – Posò la foto al suo posto. - So che cosa vuoi... lo percepisco. Non ho bisogno di guardare attraverso i tuoi occhi.

- La responsabile sono io. – ribatté Emma, gentilmente. Le prese una mano, stringendola fra le sue. Vide che anche l’amica stava cambiando. Il viso era solcato da venature violacee e sul palmo della mano e tra le dita la pelle aveva assunto una sfumatura verde oro. – La mia famiglia ha fallito, con noi. Ma se tu soffri più di quanto dovresti, sono io la responsabile.

Lily si limitò a fissarla. Poi batté le palpebre. – Tu mi hai salvata. Trasformarmi in un Oscuro non è stata una delle tue migliori idee... ma so perché l’hai fatto. Loro, invece? Perché ti hanno voltato le spalle? Vieni con me, Emma. Nimue ha ragione. Insieme siamo più forti.

“Uno dei miei contatti ha trovato un indirizzo, ma è di cinque anni fa”.

“Emma, che c’è?”

“Si trova a Lowell, in Massachusetts, che è a meno di... cinquanta chilometri da Boston, dove abitavo cinque anni fa. Siamo cresciute in Minnesota, ci siamo separate da ragazzine e siamo finite a vivere da adulte a mezz’ora l’una dall’altra”.

“Come ho detto, è destino. E il vostro vi spinge a stare insieme”.

Lily mise la propria mano sopra quella di Emma. – Anche tu sei stanca di lottare.

Sospirò. Oh, si sentiva indicibilmente stanca. Lottare contro quella parte di sé che aveva quasi ucciso Regina nelle segrete del castello di Rothbart era sempre più complicato. - Questo non conta. Non conta quanto siamo stanche... perderai te stessa, Lily.

- Forse sono sempre stata destinata a questo. L’Anti Salvatrice... ed ora l’Oscuro. Non c’è mai stata nessuna luce... a parte te.

Emma continuava a tenere la mano di Lily fra le sue.

- E sarai tu a perdere. Sarete voi. Se non vieni con me adesso... non avrete alcuna possibilità. Questa notte sarà tutto finito.

- Ci deve essere un modo...

- Certo che c’è. – Lily, ora, sembrava triste. Rassegnata, persino. Le mostrò Excalibur, con i loro nomi incisi sulla lunga lama. Accostò la spada al viso di Emma, che non si ritrasse, avvertendone il morso gelido. – C’è e lo conosci bene. Resta un’unica soluzione per fermare un Oscuro... ed è ucciderlo.

 

 
In biblioteca, tutti si stavano dando da fare, esaminando le Cronache degli Oscuri.

Belle aveva il naso affondato tra le pagine ingiallite di un grosso libro rilegato in pelle nera. David ne mise uno da parte e si stropicciò gli occhi, per poi afferrarne un altro dalla pila sistemata accanto a lui. Killian scrutava, perplesso, gli strani simboli che aveva davanti, sfiorando le parole con la punta del suo uncino.

Henry stava vagando tra gli scaffali, impegnato a cercare qualsiasi cosa potesse aiutarli a capire il piano di Lily. E intanto pensava a sua madre. Alle sue madri.  

“La madre che conosco non mi avrebbe mai nascosto niente. Non avrebbe... pensato di fare del male a Violet per spezzare il mio cuore. Non avrebbe spezzato quello della sua unica amica”.

“L’ho fatto per liberare Merlino. È stato terribile... anche per me. Ma allora credevo di non avere scelta, se volevo distruggere l’oscurità”.

Henry prese un libro. Gold gli passò accanto, riservandogli un sorriso, prima di sparire in mezzo a due scaffali, le braccia cariche di tomi spessi e consunti.

“Io sono un Oscuro. Posso non essere più la madre che ero prima... ma la madre che siede a quel tavolo ti ha detto che mi ha rinchiusa in una prigione, nei sotterranei di un castello, quando io avevo più bisogno della mia famiglia?!”

Era arrabbiato. Anzi, non era solo arrabbiato. Era furioso. Ce l’aveva con Emma per averlo tagliato fuori, per aver deciso di risolvere tutto da sola. E ce l’aveva con Regina perché aveva rinchiuso Emma in una segreta.

“L’ho fatto per liberare Merlino...”

“La madre che siede a quel tavolo ti ha detto che mi ha rinchiusa...”

- Henry...

Si girò di scatto. Emma gli sorrise.

- Mamma... sei scappata? – sussurrò. Sbirciò in fretta tra gli scaffali. Gli altri erano ancora chini sui libri e non avevano notato niente.

- Per un buon motivo. Lily è venuta da me.

- Lily? Da te? Perché?

- Voleva che mi unissi a lei. Ma questo non conta. Posso risolvere tutto. E ho bisogno che ti fidi di me.

Henry strinse le labbra. – Te l’ho detto.

- Sì. Ti ho ascoltato. Ti ho ascoltato davvero. Non voglio che tu mi tolga il bracciale.

- E come farai senza la magia?

- Con un po’ di aiuto. Il tuo. – Emma sembrava ancora la Emma che lui ricordava. Nonostante lui vedesse nel suo sguardo quella scintilla sinistra, quell’oscurità annidata dentro il suo corpo e che rischiava di prendere il sopravvento... le parve ancora la ragazza che aveva portato a Storybrooke, la ragazza con la giacca rossa e gli occhi determinati. Quella Emma non credeva alla maledizione e indossava una corazza per proteggersi da tutto ciò che avrebbe potuto ferirla, ma era rimasta in città. Era rimasta per aiutarlo. – Lily ha rubato gli acchiappasogni, ma se riesco a recuperarli, potrò aiutare tutti.

- Recuperarli... vuol dire che Lily deve essere da tutt’altra parte mentre lo facciamo. Lei... lei forse non ci ucciderà, ma ci fermerà se ci scopre. E può succedere. Vede attraverso i tuoi occhi.

- Anch’io so come bloccarla. So anche depistarla, se necessario. E poi è convinta che niente possa fermarla, ormai. Il suo piano è già in atto...

- Ma...

- Un incantesimo di localizzazione. Ecco che cosa serve. – Malefica era comparsa dietro ad Henry senza alcun preavviso.

- Malefica, che cosa stai...? – cominciò Emma.

- Non ci provare, Emma. Sono responsabile quanto te di ciò che è accaduto a Lily, quindi non mi terrete fuori da questa storia.

Henry diede un’occhiata agli altri per assicurarsi che non si fossero accorti di nulla. Erano ancora molto concentrati nella lettura. Sua nonna gli dava le spalle e si era presa la testa fra le mani. Belle aveva appena aperto un altro libro che lui aveva lasciato sul tavolo.

- So dove prendere un incantesimo localizzatore. – disse Henry. – Ma ho bisogno delle cose che hai usato per costruire gli acchiappasogni.

- Dimmi dov’è questo incantesimo. Lo prenderò io. – replicò Malefica.

- Bene. – rispose Emma. Poi si rivolse di nuovo ad Henry. – Allora vuoi aiutarmi?

Suo figlio sorrise. – Mi serve solo un’altra cosa?

- Che cosa?

- Un nome.

Certo, il nome della missione. Emma non ci pensò su troppo a lungo. – Operazione Cobra, parte seconda.

- Andrà bene.

 

 
Regina entrò in biblioteca, trovando, Gold gli Azzurri e Belle immersi nello studio approfondito delle Cronache degli Oscuri.

Non ce la faremo mai così, pensò, osservando tutti i libri ammucchiati sul tavolo.

“Esiste un modo più semplice e veloce. Sono ancora un Oscuro. Posso usare la magia. Ma dovete togliermi il bracciale”.

Forse avrebbe dovuto darle una possibilità. Forse avrebbe dovuto rifletterci meglio e permetterle di facilitare la loro ricerca.

- Regina, dov’è Robin? – domandò Neve, alzandosi e venendole incontro.

- È rimasto con Roland. – Un sapore amaro le aveva invaso la bocca. Robin non faceva altro che pensare alla bambina che aveva perso, a quanto era stato stupido a fidarsi di Zelena. Voleva trovare un modo per andare ad Oz e recuperarla.

“Ci serve la bacchetta. Ma finché ce l’avrà Lily, noi non potremo...”

“Lo so bene. Non c’è bisogno che me lo ricordi, Regina. Pensi che sia uno stupido?”.

- Qualcosa non va? – domandò Neve.

Regina aprì la bocca per rispondere, ma Uncino la precedette. – Che diavolo è quello?

Tutti sollevarono il capo e guardarono da una delle finestre della biblioteca.

C’era una figura, davanti all’edificio.

Una figura enorme, alta e con le spalle larghe, avvolta in una tunica nera e pesante, munita di cappuccio. Indossava una maschera a forma di teschio con corna di cervo. Sollevò una mano, puntando il dito contro di loro. Belle si coprì la bocca con una mano.

- Indietro! – gridò David, coprendo la moglie con il suo corpo e spingendola sul pavimento.

Il primo attacco del demone si schiantò contro la barriera magica che circondava la biblioteca. Un’abbacinante luce rossastra costrinse tutti a chiudere gli occhi o a ripararseli con un braccio. Regina capì che la protezione non avrebbe resistito. Percepiva chiaramente il potere che emanava. Era un potere antico e oscuro. Ma si preparò comunque ad affrontarlo.

- Cornelius... – mormorò Gold, alle sue spalle.

Il mostro lanciò un grido, che sembrò più simile al ruggito di una belva affamata e poi colpì l’asfalto con il pugno chiuso. Si aprì una crepa, che si allungò fino a raggiungere la biblioteca. Il suo secondo attacco ruppe l’incantesimo di protezione, che esplose in una moltitudine di frammenti. Pezzi di vetro, cemento e legno volarono in ogni direzione, quando la facciata dell’edificio si sgretolò. Dal cratere che si era formato al centro entrò il demone che Gold aveva chiamato Cornelius. Uno scaffale colmo di libri si piegò, urtando il successivo ed entrambi caddero di schianto, riversando una moltitudine di libri sul pavimento.

Un globo infuocato guizzò dalla mano di Regina, fulmineo come una saetta. Colpì l’essere in pieno petto e quello arrestò la sua avanzata, vacillando sulle game. Ma il globo venne risucchiato dal suo enorme corpo. Solo la parte superiore della tunica era bruciata, rivelando un’armatura sotto di essa.

Gold alzò una mano, ma si rese subito conto che era una sciocchezza, perché non possedeva più la magia. Possedeva solo il suo bastone e un cuore che l’Oscuro aveva reso puro solo per poter recuperare la spada. Imprecò contro Emma e contro se stesso. Belle lo fissò, terrorizzata. Poi strinse il bastone e sferrò un colpo, che raggiunse Cornelius agli stinchi. Lui si fermò e la maschera da teschio si volse. I suoi occhi erano due buchi neri e risucchianti, nei quali sfavillava una sinistra luce rossa. Allungò una delle grandi mani nude solo per appoggiargliela sul petto e spingerlo lontano da sé.

Killian gli conficcò il proprio uncino nella schiena, ma l’essere continuò ad avanzare, indisturbato, trascinandoselo dietro. David lo afferrò per la giacca, strattonandolo e liberandolo dalla presa di Cornelius.

L’ombra gigantesca sovrastò Regina. Le dita si aprirono e l’acchiapparono per i capelli, tenendola forte. Regina si dibatté ferocemente, ma senza risultato. Fu costretta a fissare da vicino la maschera a forma di teschio, le corna che sormontavano l’elmo e lo sguardo truce. Si liberò di lei, mandandola a sbattere contro uno scaffale.

Gli occhi di Cornelius si accesero e un lampo rosso illuminò la biblioteca, accecando tutti, momentaneamente. Intanto, un tentacolo di magia si protese fino alla caviglia di Neve, si attorcigliò intorno ad essa e iniziò a tirare. Lei scalciò e annaspò per aggrapparsi a qualcosa.

- No! – David prese la moglie per le braccia. – Lasciala andare!

- Lei vuole te. – sibilò una voce cupa, dietro la maschera. – Vuole te, Biancaneve.

Sospinse David contro la parete in fondo e sollevò la madre di Emma da terra. Poi scomparse in una nube rossa.

 

 
- Sono qui. – disse Henry, stringendo il ramo di salice intrecciato che Emma gli aveva dato in modo che potessero localizzare gli altri acchiappasogni. Il ramo splendeva di una densa luce azzurrina.

Emma salì le scale che conducevano in cima alla torre dell’orologio. Malefica la seguì.

- Non ha senso. Perché Lily dovrebbe tenere gli acchiappasogni in un luogo in cui possiamo riprenderceli? – Emma osservò gli oggetti che aveva usato per sottrarre i ricordi della sua famiglia. Dondolavano appesi alle travi della torre. – Nimue non poteva suggerire un altro posto?

Allungò una mano e un incantesimo di protezione la respinse.

- Perché non possiamo prenderli. – rispose Henry.

- Lily era convinta che non avreste potuto. – Malefica si fece avanti e, con un gesto della mano, infranse la protezione. – Perché era sicura che non avreste tolto il bracciale ad Emma. E che nessuno l’avrebbe ascoltata.

Emma strinse le labbra e iniziò a raccattare tutti gli acchiappasogni.

- Rivoglio subito i miei ricordi, dato che ti ho dato una mano. – disse Malefica.

- Se mi togliete il bracciale...

- A questo ha pensato tuo figlio. – Da una tasca interna della giacca grigia che portava sulle spalle, estrasse una piccola ampolla blu. – Spero che sia sufficiente.

- Henry... – mormorò Emma, sorpresa.

- Non eri obbligata a coinvolgermi. – rispose il ragazzino. – Ma l’hai fatto. Hai deciso che potevamo ancora essere una squadra. Mi hai permesso... di fare qualcosa per aiutarti. Lo apprezzo. E se tu hai fatto un passo indietro, lo farò anch’io.

Emma allungò il braccio ed Henry lasciò cadere il liquido magico sul bracciale. Poi glielo tolse con facilità.

- Mi farò perdonare. – promise, mettendogli le mani sulle spalle.

- Comincia restituendoci i ricordi.

Emma annuì. Prese l’acchiappasogni di Malefica e lo attivò, permettendo alla scia di memorie di ritornare dalla sua proprietaria e fece lo stesso con il figlio. Henry batté le palpebre quando gli eventi di Camelot presero forma nella sua mente e i pezzi si saldarono l’uno con l’altro. Malefica si appoggiò al muro, sconvolta. La giacca le cadde dalle spalle e i suoi occhi si accesero, diventando dorati.

Emma stava per dire che dovevano andarsene in fretta dalla torre. Avvertiva una presenza nelle vicinanze. Qualcosa di grosso e oscuro che li osservava. Qualcosa di... simile a lei... che gli solleticava la mente.

- Henry...

- Non siamo soli. – disse Malefica.

Un basso grugnito inumano la interruppe. Sulle scale comparve un mostro che aveva le sembianze di un cinghiale più grosso del normale. Piantò gli zoccoli anteriori su uno degli ultimi scalini. Dalle narici uscivano due sottili fili di fumo e dalla bocca spuntavano due paia di zanne bianche e acuminate.

“Io sono molte cose. Sono... la voce nella tua testa. Sono i poteri oscuri che risiedono in te... e che hanno avuto tutti i Signori Oscuri. Tremotino... è uno di loro! Preferisci qualcun altro?”

Il cinghiale mosse qualche passo verso di loro. Henry indietreggiò. Malefica aprì le mani e in esse apparve lo scettro.

“Che ne dici di... Gorgon l’Invincibile?”

- State indietro. È un Oscuro. – disse Emma, proteggendo il figlio con il suo corpo. – Malefica, porta via Henry.

Gorgon spalancò le fauci, ruggì e sputò un getto di fuoco verso di loro. Emma sollevò entrambe le mani e deviò le fiamme. Ebbe la conferma che non si trattava affatto di un’allucinazione. Era reale. Reale come lo era lei. Non il frutto di qualche incantesimo, ma una presenza vera nella torre di Storybrooke. L’Oscuro che aveva preceduto Zoso era lì, in carne ed ossa. Non capiva come fosse possibile e tuttavia lo respinse con la magia, costringendolo ad indietreggiare. Il cinghiale sbuffò, infuriato.

- Non ti lasceremo qui! – esclamò Henry.

- Posso tenerlo a bada. Porta gli acchiappasogni a casa di Regina. – disse Emma.

Gorgon sputò fuoco un’altra volta e lei lo bloccò di nuovo. La ringhiera delle scale si incendiò. Pezzi di legno esplosero.

- Vai! – gridò Emma.

Malefica afferrò Henry.

 

La torre dell’orologio era in fiamme. Regina la vide dalla finestra di una delle sue stanze al piano superiore. 

Bruciava.

- Mamma! – La voce di Henry la spinse ad accostare le tende e a scendere al pianterreno. Suo figlio era là, con Malefica... e un mucchio di acchiappasogni.

- Henry... li hai trovati. Dove...?

- Emma. Mi ha aiutato lei.

- E dov’è Emma, adesso?

- Una brutta sorpresa ci stava aspettando nella torre dell’orologio. Un Oscuro, secondo quello che ha detto Emma. – specificò Malefica.

- Oscuro?

Henry le parlò dell’enorme cinghiale sputa fuoco che faceva la guardia agli acchiappasogni.

- Cinghiali sputa fuoco? Che scherzo è questo? Un’invenzione del nuovo Oscuro? – domandò Killian.

- Gorgon. Il suo nome è Gorgon. – disse Tremotino. Aveva un’aria corrucciata. – Lo chiamavano Gorgon l’Invincibile.

- Non è davvero invincibile. Sono sicuro che Emma...

- Se gli Oscuri sono qui e non sono allucinazioni... – iniziò Tremotino. – Temo di comprendere che cosa ha fatto Lilith.

Malefica per prima stentava a crederci. – Ho i miei ricordi. Lily ha richiamato tutti gli Oscuri.

- Che ci uccideranno. – concluse Killian.

- Certamente non vengono ad offrirci un tè, capitano. – rispose Tremotino, alzandosi. La gamba gli faceva male. Molto più del solito. – Prenderanno delle vite. E una volta che avranno recuperato appieno i loro poteri... sarà la fine. Adesso hanno solo un accesso temporaneo a questo mondo, come un visto turistico... ma se prendono il posto di anime viventi, potranno rimanere.

- Anime viventi... noi. – osservò Killian.

- Già. Vi siete controllati i polsi?

Tutti tirarono indietro le maniche delle giacche e delle camice.

- Non c’è niente, sul mio. – disse Malefica, mostrando il polso nudo.

- Nemmeno sul mio. - aggiunse Henry.

Regina ritirò la manica della giacca beige. Sulla sua pelle brillò un cerchio di luce gialligna, ma si dissolse prima che potesse davvero metterlo a fuoco. E così anche sui polsi di Robin e Killian. Persino Knubbin ne aveva uno e lo studiò, portandosi il polso a pochi millimetri dagli occhi. Il suo corvo gracchiò, contrariato.

- Questo è... – iniziò il mago.

- Il Marchio di Caronte. – spiegò Tremotino.

- Il traghettatore della mitologia? – Henry era basito. – Conduceva le anime verso l’Oltretomba.

- Ragazzo in gamba. E Lily ha fatto delle scelte molto interessanti. Di certo a quest’ora... anche Biancaneve ha un marchio simile. – Anche Tremotino sapeva di avere quel marchio sul polso. Non aveva bisogno di guardare. – Non abbiamo molto tempo.

- Cos’è successo alla nonna?

David entrò in salotto, trafelato, con una pistola a tracolla.

- Dove pensi di andare? – domandò Regina.

- A cercare Neve. Non intendo starmene qui ad aspettare che Lily le faccia del male.

- Non ci andrai, perché se lo farai, morirai... e non è così che puoi aiutarla.

- Morirà anche Neve, se non vado.

- Moriremo tutti. – Regina lo mise al corrente del piano di Lily e degli altri Oscuri. – Come pensi di affrontarli? Con una pistola?

David aprì il polsino della camicia. Il marchio del traghettatore sfavillò, come se gli stesse facendo l’occhiolino. - Dov’è Emma?

Una nube grigia apparve al centro del salone ed Emma ne uscì, tutta intera. – So che cosa sta facendo Lily.

- Sì. Anche noi lo sappiamo. – mormorò Regina.

- Avete recuperato i ricordi?

Regina scosse il capo. Le disse di quello che era successo in biblioteca e le parlò del marchio di Caronte.

- Quando la luna sarà al suo apice. – disse Tremotino. – Arriverà subito il traghetto per l’Oltretomba e ci trascinerà laggiù.

- Non è molto allettante, Coccodrillo. – osservò Killian, sbirciando fuori dalla finestra.

- Per esperienza personale... posso dire che non lo è.

- Allora come lo impediamo? – chiese Emma.

- Non possiamo. – La voce di Tremotino suonò lapidaria, ma decisa. – L’Oltretomba è peggio di ciò che possiate immaginare. Molto peggio. Vi farà desiderare che le vecchie storie di fiamme e zolfo siano vere... vi farà desiderare di morire! Ma poi... vi renderete conto che la morte è già arrivata e che quella tortura... non finirà mai.

- Stai spaventando mio figlio. Ora basta! – esclamò Regina. Ma lei era la prima a sentirsi atterrita. Guardò Emma, istintivamente, alla ricerca di sostegno, ma lei sembrava ancora più pallida del solito. Era cadaverica.

- Ad essere onesti, sta spaventando anche me e il mio corvo! - asserì Knubbin, con una voce stridula.

- Bene, perché dovremmo essere tutti spaventati! Questa è la morte. È una battaglia che non possiamo vincere.

- No! – si ribellò Emma. – Posso ancora aiutare Lily. Non sono marchiata. E non intendo arrendermi.

- Mi unisco all’Oscuro. – disse Malefica.

- Ci deve essere qualcosa che possiamo fare! - Emma fissò Tremotino con gli occhi sgranati. Henry le prese una mano.

- Sì, qualcosa c’è. – rispose Tremotino. Si allentò il nodo della cravatta. – Usiamo bene il tempo che resta. Usiamolo per dire addio.

 

 
Il crepuscolo volgeva al termine e quel che restava del tramonto era una striscia rossastra al di là dei boschi. Nuove nuvole minacciose si stavano assiepando in cielo. Il vento spazzava le strade deserte di Storybrooke e le acque del lago presso il quale Lily si trovava.

Rabbrividì, ma non per il freddo. Era il senso di solitudine. Si sentiva come un astronauta fluttuato troppo lontano dalla propria nave spaziale e ormai alla deriva in un buio senza limiti.

Ma c’era ancora del lavoro da fare.

Estrasse un acchiappasogni. L’unico che non aveva nascosto nella torre dell’orologio. L’aveva tenuto con sé. Si avvicinò all’albero presso il quale era legata e imbavagliata Biancaneve, che non faceva che mugugnare e dibattersi per liberarsi dalle catene magiche.

Avvertì un fastidioso ronzio nelle orecchie e avvertì una certa pressione nella mente. Scosse il capo, nel tentativo di liberarsene. Non era Emma. L’avrebbe riconosciuta e ogni tentativo che aveva fatto di guardare attraverso i suoi occhi era stato bloccato. Aveva smesso di provarci, ma stava sempre all’erta. Quella pressione, però, era diversa. Cercò di erigere una nuova difesa, però la presenza la aggirò.

Che cosa credi di fare?, chiese una voce cupa nella sua testa.

Gorgon emerse da una nube nera, avanzando sul prato. Il grosso cinghiale grugnì. Avrebbe dovuto immaginare che si trattava di lui. Poteva comunicare solo con la mente, dato che non era in grado di parlare.

Non provare mai più a bloccarmi. Ti ricordo che abbiamo un accordo. È già difficile per me raggiungerti senza lottare per farmi sentire. Non ho ancora recuperato tutti i miei poteri.

- Beh, scusami. – rispose Lily, senza troppa convinzione. – Suppongo che Emma abbia trovato gli acchiappasogni.

Ci ha pensato lei e anche tua madre. E il ragazzino. Perché non possiamo uccidere anche lui?

- Perché fa parte dell’accordo. - tagliò corto Lily. Poi si avvicinò a Biancaneve con l’acchiappasogni e lo azionò. I ricordi tornarono nella mente della madre di Emma. Lei spalancò gli occhi, sbalordita. – Divertente, vero? Tu e la tua famigliola non avete più scampo. Non appena la luna sarà al suo apice, il traghettatore verrà a prendervi. E gli Oscuri torneranno in vita.

- È questo l’accordo che hai stipulato? Vuoi davvero che muoiano tutti? Non pensi ad Emma?

- Ad Henry non succederà niente. E nemmeno al tuo bambino. Loro sono innocenti. – Lily si avvicinò a lei. Estrasse la spada che aveva usato per ferire Tremotino e procurarsi il sangue. – Tu no.

- Emma... non ti perdonerà mai.

- Non darle retta. – disse Nimue. Gettò il cappuccio della tunica dietro le spalle. – Non appena tutto sarà compiuto, Emma si unirà a noi.

- Non lo farà mai. – rispose Biancaneve. – Emma lotterà.

- All’inizio. Ma è già fin troppo stanca di lottare. Lotta da una vita intera. Proprio come Lily. Per questo insieme sono più forti. – Nimue puntò un dito contro di lei e lo appoggiò sul suo petto. – E sei stata tu a volerlo. Quando hai maledetto Lily, l’hai legata indissolubilmente a tua figlia. La magia ha sempre un prezzo, Biancaneve.

- Non ti sei mai scusata. Non che sarebbe servito, ma avresti potuto almeno tentare. – disse Lily.

Biancaneve restò in silenzio.

- Sai perché sei qui? – continuò Lily, avvicinando la lama alla sua gola. – Perché sarai l’ultima a morire. Prima soffrirai.

Biancaneve aprì la bocca per parlare e Lily usò la punta della lama per aprire un taglio nel punto in cui il collo si congiungeva col torace. Un rivolo di sangue impregnò il tessuto della camicetta bianca.

- Mi dispiace. - replicò Biancaneve, sconvolta.

- È tardi. Questo non li salverà. E non salverà nemmeno te. – Lily le spinse la lama nella spalla. Questa volta lasciò che sprofondasse un po’ nella carne e si godette i lamenti di Biancaneve. La estrasse senza riguardi. Goccioline rosse piovvero sull’erba.

- Non avrei dovuto portarti via a tua madre. Io e David volevamo restituire l’uovo a Malefica... siamo stati ingannati. Non sapevamo... non sapevamo che l’Apprendista intendesse bandirti. – Arrivò alla fine della frase senza fiato.

- Volevate restituirlo dopo avermi maledetta. Certo. Immagino fosse più semplice credere che sarebbe bastato questo. Credere... che fossi solo un mostro. – La voce di Lily ora era alterata e tremante. Stentò a riconoscerla come sua.

- Volevamo... proteggere Emma. – mormorò Biancaneve.

- Volevi, semmai. Tuo marito ti ha seguito perché è una testa vuota. Sei stata tu a decidere.

- Avevo paura per mia figlia!

- Naturalmente. Non avresti mai accettato che tua figlia fosse oscura, vero? Volevi che fosse perfetta! Ma sai una cosa? Hai fallito. Non solo a Camelot. Hai fallito molto tempo fa. L’oscurità... è tornata a prendersela! – Lasciò scivolare la lama lungo il suo braccio, tagliando un pezzo di stoffa e la pelle sotto di essa.

Biancaneve urlò.

 

 
- Ci deve pur essere qualcosa per fermare questo incantesimo. – disse Henry, trasportando altri libri e piazzandoli davanti ad Emma.

La cripta era molto affollata. Il tempo stringeva ed Emma, che aveva restituito loro i ricordi, aveva insistito perché tutti si mettessero al lavoro. Ma gli unici che sembrava cercare veramente una soluzione erano lei ed Henry. Knubbin non era neanche venuto con loro. Era andato da Granny’s a mangiarsi una doppia porzione di hamburger e patatine perché non voleva morire con la pancia vuota. Suo padre aveva posato il libro che aveva in mano e aveva preso una spada, sistemandola nel fodero che poi si era legato in vita. Killian girava svogliatamente le pagine, scambiando qualche occhiata con David. Neal, in un angolo, dormiva, ignaro di tutto ciò che stava capitando intorno a lui.

- Papà, cosa stai facendo? – chiese Emma, allibita.

- Vado a cercare tua madre. Anche se morirò, almeno l’avrò fatto combattendo. – rispose, risoluto.

- Non puoi... non puoi arrenderti così. Tu e Biancaneve... non vi arrendete mai.

- Swan... – Killian si alzò e si avvicinò a lei, con cautela. Le posò una mano sul braccio e la costrinse a guardarlo. – Non pensavo che l’avrei mai detto ed è già la seconda volta, ma... il Coccodrillo forse ha ragione. Non possiamo vincere stavolta.

Nella mente di Emma, Tremotino ricominciò a parlare.

“Prenderanno delle vite. E una volta che avranno recuperato appieno i loro poteri... sarà la fine. Adesso hanno solo un accesso temporaneo a questo mondo, come un visto turistico... ma se prendono il posto di anime viventi, potranno rimanere”.

Le sue parole le facevano venire la pelle d’oca, le gelavano il sangue nelle vene.

“Usiamo bene il tempo che resta. Usiamolo per dire addio”.

Emma si scostò, rabbiosamente. Poi afferrò Uncino per la gola con la magia e lo scaraventò contro la parete opposta.

- Mamma! – gridò Henry.

- Emma, fermati, che cosa stai...? – David cercò di afferrarla, ma Emma fu molto più rapida e la sua mano destra lo prese per la gola. Le sfumature verdastre sul suo viso parvero allargarsi e così anche le sue iridi. Sollevò il padre da terra. Lui gorgogliò qualcosa.

“Tu mi hai salvata. Trasformarmi in un Oscuro non è stata una delle tue migliori idee... ma so perché l’hai fatto. Loro, invece? Perché ti hanno voltato le spalle? Vieni con me, Emma. Nimue ha ragione. Insieme siamo più forti”.

- Mamma... controllalo. – disse Henry, spostando lo sguardo da lei a David. – Controllalo. Puoi farlo...

Emma vide suo padre che diventava paonazzo e annaspava. Vide i suoi occhi fuori dalle orbite. Vide le dita che si tendevano verso di lei.

Lo lasciò. David cadde in ginocchio e boccheggiò, in cerca d’aria.

- Io... non... – iniziò Emma. Fissò quella mano che aveva quasi strangolato suo padre. Tremava in modo incontrollabile. – Mi dispiace tanto...

- Va tutto bene, Swan... – disse Uncino. Ma mantenne comunque le distanze. – Io credo che... credo sia meglio andarcene.

- Papà...

David si massaggiò la gola, ma non le disse niente. Emma notò il segno delle proprie unghie sulla sua pelle. Allungò le dita per toccarlo.

E subito le ritrasse.

Aveva quasi ucciso suo padre.

Aveva...

- Emma... – iniziò David.

- Andate. Non preoccupatevi per me. Andate. – Emma girò le spalle a tutti, osservando il proprio riflesso nello specchio. Aveva lo sguardo acquoso e arrossato, gli occhi segnati da ombre scure, la pelle marmorea era verdognola in più punti. Il male la corrodeva e si era espanso sul mento e sul labbro superiore.

- Non vieni con noi? – chiese Henry. – La nonna...

- Lo avete detto voi, no? Ci arrendiamo.

- Emma... lotteremo fino a quando sarà possibile farlo, ma... – prese a dire David.

- Non un’altra parola. – lo interruppe lei, furente. – La mamma non morirà. Sarà l’ultima a morire, perché Lily vuole che soffra. Lo so. Vuole che soffra, guardando le persone che ama perire senza che lei possa fare niente per aiutarli.  

Tacquero tutti.

David smise di toccarsi il collo. Lanciò un’occhiata ad Emma, indeciso sul da farsi. Avrebbe voluto abbracciarla. Non importava che avesse pensato di fargli del male. Era sua figlia e voleva abbracciarla. Voleva essere perdonato per non averle creduto a Camelot. Voleva che Emma si unisse a loro. Ma era convinto che se avesse provato a toccarla, Emma si sarebbe allontanata.

- Emma, avremo bisogno di te. Dobbiamo restare uniti. – chiese Killian.

- Verrò. - sentenziò lei, senza voltarsi.

- Davvero? – domandò Henry.

Emma si girò, sforzandosi di sorridere. Era un sorriso forzato, eccessivo. – Sì.

David prese in braccio il piccolo Neal e si avviò fuori dalla cripta, seguito da Killian e da Henry. Il pirata osservò Emma un’ultima volta, sul punto di dire qualcosa, ma lei guardava altrove, immersa nei suoi pensieri. Poi anche lui salì le scale.

“Usiamo bene il tempo che resta. Usiamolo per dire addio”.

Oh, io userò bene il tempo che resta, Tremotino. Stanne certo.

- A quanto pare ci arrendiamo. – disse Regina, meditabonda.

- No. Né stasera né mai. – rispose Emma. Fissò l’attenzione su uno dei libri aperti sul tavolo. Su una pagina c’era un simbolo. Una spirale. Poco sotto le parole di un incantesimo. Non era niente che potesse aiutarla contro gli Oscuri evocati da Lily, eppure il suo sguardo seguì la linea che andava all’ingiù, non verso un punto, ma verso l’infinito. Ordine dal caos o caos dall’ordine, a seconda di chi giudicava. Era uno dei simboli più antichi, il simbolo umano più remoto di quel ponte instabile che esisteva tra la realtà e il nulla. Emma la toccò con l’indice e la tracciò, partendo dall’interno e andando verso l’esterno.

- Emma?

- Se distruggerò i Signori Oscuri... nessun’anima sarà dovuta e tu... voi sarete risparmiati. - La spirale si illuminò un istante, poi le pagine del libro vorticarono ed esso si chiuse con un tonfo.

- Come? – Regina sentiva che ciò che stava per arrivare non le sarebbe piaciuto. Per niente.

- Ricordi la promessa fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il possibile per eliminare l’oscurità?

- Non mi piace il tuo tono. – Il cuore aveva iniziato a battere forte. Avvertiva le pulsazioni nelle tempie e il sangue le si rimescolava tumultuoso nelle vene.

Non lo dire, Emma. Non me lo chiedere o mi metterò ad urlare.

- Ho bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo dirai a nessun altro.

Regina avrebbe voluto scacciare quell’idea dalla sua mente con rude, rabbiosa energia. Di tutte le cose da non prendere in considerazione, la prima era sicuramente uccidere Emma. Quando parlò di nuovo, scandì bene ogni parola, come se volesse piantargliele in testa tutte quante. - Ma per eliminare l’oscurità... devi trasferirla dentro qualcuno. Ed eliminare quella persona. Non vorrai...

- Sì. Sarò io quella persona.

Regina tacque. Non smise di fissarla un secondo, ma tacque.

- A Camelot non ti sei fidata di me. Questa volta devi farlo. Devi, Regina. – L’espressione di Emma era franca. Limpida. Non c’era traccia di paura. C’era solo rammarico. Dolore.

- Non puoi.

- Non abbiamo altra scelta.

- C’è sempre un’altra scelta. Non possiamo... perdere te, Emma. Forse Lily...

- Non ci pensare nemmeno. Lily non morirà. Perché non merita questo. – Emma la prese per le braccia. – Ho dovuto salvarla a Camelot. Pensavo che avremmo potuto aiutarla... ma forse non ci saremmo riusciti in ogni caso. Lily lo sapeva. Sapeva di non essere abbastanza forte per l’oscurità. Ha dovuto lottare contro di essa per tutta la vita. E quell’oscurità... era la mia.

- Oh, Emma, non sei responsabile dell’oscurità che ha dovuto portarsi dietro. Quella...

- Ascoltami! – La scosse. Abbastanza forte da sbalordirla. – Non c’è tempo. Devi promettermi che lo farai.

- Questa è la tua punizione, vero?

Emma batté le palpebre e inclinò leggermente la testa di lato, perplessa.

- Hai detto che ci meritiamo una punizione. È questa? Questa è la mia punizione per non aver avuto abbastanza fiducia in te a Camelot? È la punizione per averti rinchiusa in quella segreta? – Regina ora sembrava furibonda. Ma non era solo furibonda. Un terrore violento l’aveva investita come un fulmine improvviso.

- Regina...

- E Henry? Chi penserà ad Henry?

- Tu. Lui sarà con te.

- Ha già perso suo padre, Emma! Non può perdere anche sua madre. E mi odierà! Mi odierà non appena farò ciò che mi chiedi.

- No. Non lo farà. Ci penserò io.

- E in che modo?

- Non preoccuparti di questo.

- Certo! Sei l’unica che può preoccuparsi, vero? Ci sono persone che tengono a te, qui, Emma!

- Te l’ho detto. Non abbiamo scelta! – Stavolta anche Emma urlò. Urlò come se stesse parlando con una persona troppo dura di comprendonio. Aveva gli occhi pieni di lacrime e accesi come tizzoni ardenti.

Che la vita fosse ingiusta, era una cosa che Regina aveva imparato anni fa. Ma tutto questo andava ben oltre l’ingiusto. Nonostante le cose terribili che Emma aveva detto e fatto, la sua morte non era semplicemente ingiusta. Era mostruosa. Una mostruosità che le riusciva difficile accettare, anche se di scelte non ne avevano più.

- Ho bisogno di alcune cose, adesso. Dobbiamo raggiungere Lily e prenderle Excalibur non sarà facile. – Emma fece per superarla e dirigersi verso le scale della cripta.

Regina la trattenne con forza per un braccio, costringendola a fare due passi indietro. L’Oscuro aprì la bocca per chiederle, forse, che altro aveva da dire.

Regina, invece, l’attirò contro di sé e premette le labbra sulle sue.

Non capiva nemmeno lei che cosa stesse facendo, ma le sue mani strinsero la sua giacca nera. Sulle prime, Emma si irrigidì, le sue dita si aprirono, non sapendo a cosa aggrapparsi. Poi Regina sentì quelle stesse dita fra i suoi capelli e le labbra che si muovevano per seguirla. Regina avvertiva il suo odore forte e intenso, la pressione del suo corpo, le unghie che le graffiavano la cute.

Infine Emma la spinse lontano da sé.

Regina si portò le dita alle labbra. Le sembrava che bruciassero. Il suo respiro era ridotto ad un affanno e così anche quello di Emma.

Sto impazzendo, pensò lei, con la testa ancora confusa. Era allibita dalle sue stesse azioni. Non riusciva a capacitarsene. O sono già impazzita. Forse è questo. Sono già impazzita.

Emma si diresse verso le scale.

- Emma, aspetta!

Lei tornò a voltarsi.

 “Io ti ho salvata. Ora tu salva me. E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare ciò che è necessario. Distruggermi”.

Ne era capace? Poteva metterle da parte?

- Dobbiamo andare, Regina.

Non disse altro. Solo: dobbiamo andare.

Però...

Emma prese una mano di Regina e la strinse fra le sue. Regina levò la mano libera per fare qualcosa che non aveva mai fatto. Le accarezzò una guancia. La sua pelle era liscia al tatto. Le labbra erano rosse e semichiuse. Gli occhi le sfuggivano.

In quel momento rivide Emma. Non aveva più i suoi capelli luminosi, il suo sguardo era più cupo, più ombroso, non indossava la sua giacca rossa, ma era Emma.

In quell’istante era lì. Con lei.

 

_______________________

 

 
Angolo autrice:

Salve a tutti. Quanto tempo, eh?

 

Allora, qualche precisazione, giusto per capirci:

Il Rothbart che compare in quella breve scena con Lily è il barone Eric von Rothbart, del romanzo fantasy The Black Swan, scritto da Mercedes Lackey e basato sul balletto Swan Lake. Quindi una nuova versione del Rothbart che molti di noi conoscono. Se volete saperne di più su questo personaggio e sul libro della Lackey, The Black Swan

 

Gorgon è citato da Tremotino nella premiere della 5°stagione ed ha, appunto, le sembianze di un cinghiale capace di sputare fuoco. Le altre caratteristiche, come il fatto che sappia comunicare con la mente, sono una mia invenzione.

 

Cornelius è l’antagonista del film Disney Taron e la pentola magica, come già spiegato qualche capitolo fa ed è anche un personaggio della saga fantasy Le Cronache di Prydain di Lloyd Alexander. Il Cornelius della mia storia è un mix delle due versioni conosciute.

Devo anche ammettere che nell’ultimo periodo sono stata troppo dietro ad un’altra serie tv, The 100. Quindi, chi ha seguito/segue la serie, avrà capito che la scena di Lily che inizia a torturare Snow è ispirata alle tecniche di tortura dei Grounders. Ecco il motivo dell’avvertimento iniziale.


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Capitolo 19
*** 19. ***


19

 

«Dimmi di nuovo che cosa stiamo per fare», disse Owen
«Salviamo il mondo.»
«E dimmi che cosa diventeremo... ho bisogno di sentirmelo dire.»
«Eroi», affermò Henry. Poi chiuse gli occhi. Nell’arco di pochi secondi si addormentò.

[Stephen King, L’Acchiappasogni]

 

 

 
- Bene, eccoti. Hai ricevuto il mio messaggio. – disse Tremotino, quando Belle entrò in negozio.

- Sì, ma non capisco perché tanta fretta... sta succedendo qualcosa? – Belle si guardò in giro, cercando forse qualche cambiamento nella disposizione degli oggetti. E in lui.

- No, affatto. Ma tieni. – Le porse un’ampolla. Il tempo stringeva. La luna era quasi al suo apice, quindi doveva fare in modo che lei se ne andasse il prima possibile.

- Che cos’è?

- Ti servirà per uscire dalla città.

Belle batté le palpebre, perplessa. - Vado da qualche parte?

Lontano dalla morte.

- Dipende da te. Hai sempre desiderato vedere il mondo. Beh... il mondo è proprio là fuori. – Tremotino si sorprendeva a parlare con una scioltezza che non si sarebbe mai aspettato. Credeva che la sua voce avrebbe tradito tutto quello che cercava di tenersi dentro. Il terrore. Il terrore di quel marchio infuocato sul polso. Il terrore che gli provocava la sola idea di tornare negli Inferi. Il Tartaro. Il Tartaro sarebbe stata la sua casa. Era sicuro che le poche buone azioni che aveva commesso non sarebbero bastate a salvarlo. E se anche non fosse finito subito nel posto peggiore, ci sarebbero state delle persone pronte a tormentarlo. Persone che aveva ucciso. Persone a cui aveva distrutto l’esistenza. - Parti appena puoi. Vedi tutte le meraviglie che hai sempre sognato. E quando le avrai viste tutte... allora torna. E raccontamele.

- Perché non puoi venire con me? – domandò Belle, continuando a fissarlo e aggrottando la fronte, dubbiosa.

- Ho delle cose da fare qui. E poi credo che questo non sia il posto giusto per te, al momento. Hai bisogno di un po’ di tempo, ne sono sicuro.

- Non credo che Emma verrà a cercare me. E nemmeno Lily.

- Non puoi sapere quali sono i piani di un Oscuro. Sono sempre nascosti. Fidati di me, lo so bene. Non voglio che tu corra rischi inutili. – sentenziò, energicamente.

- È davvero questo... ciò che vuoi che io faccia?

Lui la strinse a sé e gli venne spontaneo, ma si sentiva un impostore. Stava pensando a come terminare il più in fretta possibile quella conversazione, prima che tutti andasse a rotoli. - Sì. Voglio... voglio che realizzi il tuo sogno.

Belle ricambiò la stretta e poi prese le chiavi che Tremotino le stava porgendo.

- Le chiavi dell’auto. – disse lui. Le parole parvero echeggiargli nella mente con un fragore sinistro. Gli sembrava già di udire il rumore della barca di Caronte che fendeva le acque del lago. Gli sembrava di scorgere il baluginare degli occhi del traghettatore, antichi come il mondo e circondati dalle fiamme. - Goditi la vita, Belle.

Lei prese le chiavi e aprì l’altra mano, lasciando cadere l’ampolla.

Prima che lui potesse intervenire, era andata in pezzi e Belle aveva schiacciato alcuni frammenti sotto il tacco della scarpa.

- Belle! – gridò lui, sbalordito.

- Tu pensavi che mi sarei bevuta tutto questo, vero? – Era una domanda, ma il suo sguardo azzurro ora lo accusava. - Perché, come sempre... credi di potermi raggirare. Hai una grande opinione della mia intelligenza...

- No, io...

- Ma è anche colpa mia, Tremo. Sono io che ti ho permesso di pensare questo di me.

- Belle, io cerco di proteggerti! Tu non hai nessuna colpa...

- Sì, invece! – lo interruppe, superandolo e andando verso il bancone. – Quindi adesso mi spiegherai che cosa succede e perché ti stai liberando di me.

 

 
Ovviamente Belle non volle sentire ragioni e si rifiutò di lasciare la città. Lo disse con un tono che non ammetteva repliche e Tremotino seppe che non sarebbe riuscito a convincerla nemmeno se l’avesse supplicata in ginocchio.

“Tu pensavi che mi sarei bevuta tutto questo, vero?”

Lo sperava. Lo sperava per il suo bene. Belle meritava di vivere la propria vita.

Meritava anche un uomo migliore di lui.

La campanella del negozio trillò. Udì la porta sbattere e poi un rumore di passi.

- Siamo chiusi! – disse, entrando in negozio.

Ma non erano dei clienti qualsiasi. Erano Emma e Regina. E non avevano l’aria di chi se ne sarebbe andato senza discutere.

- Per favore, andatevene.

- No. Non ci arrenderemo senza combattere. – gli rispose Regina. – Scommetto che ci sono molte persone nell’Oltretomba che sarebbero felici di rivederci.

- Ce lo siamo meritato. E non ha importanza. Non ci sono alternative.

- Forse sì, invece. – ribatté Emma. – Ma ho bisogno di alcune cose. Per affrontare Lily. Prendere tempo.

- Lily non intende fare del male a lei, signorina Swan. Lei sopravvivrà. E anche Henry e Malefica. Anche se andasse da Lily disarmata...

- Ma potrebbe servire a Regina. Sa benissimo che ci sono gli altri Oscuri a cui pensare. – Emma Swan aveva in mente qualcosa, quello era chiaro. – Io devo recuperare Excalibur.

- L’unico modo in cui Excalibur potrebbe esserci utile sarebbe se Emma...

- Se Emma trasferisse in se stessa tutta l’oscurità. E usasse la spada per distruggerla. – concluse Regina, per lui. Lo fece con voce forzata, come se dovesse vincere una grande resistenza interna per cacciar fuori le parole.

Capì. Emma Swan avrebbe voluto trasferire quell’oscurità in Zelena, ma la strega non era più a disposizione.

- Uccidendosi. – disse Tremotino.

Non risposero.

C’era una strana energia fra quelle due. Qualcosa che non riuscì ad afferrare. Qualcosa di nuovo. Quando entravano in scena insieme, dimostravano una certa sintonia. Come due facce della stessa medaglia. Come se potessero dare il meglio di loro solo quando agivano in tandem. Ma quella sera c’era una vibrazione diversa.

- Di che cosa avete bisogno? – chiese l’ex Oscuro.

Regina aggrottò la fronte. – Non vuoi fare un accordo?

- No. – Lui scosse il capo.

Emma gli fece un elenco di incantesimi che potevano essere utili, se non per fermare Lily, almeno per guadagnare tempo. Tremotino cercò il necessario e diede le ampolle a Regina.

- Sei molto coraggiosa, Emma Swan. – commentò. E lo pensava sul serio. Lui non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo, di sacrificare la propria vita. Era già abbastanza terrorizzato da quel marchio.

Emma si limitò ad un breve cenno del capo ed uscì dal negozio. Regina fece per andarle dietro.

- Non lo farai. – disse Tremotino.

Regina si fermò con una mano sul pomolo della porta. Si voltò. – Come?

- So che cosa vuole Emma. Avrà bisogno di aiuto, per questo siete venute qui insieme. Vuole che tu... – Punto l’indice contro di lei. – Vuole che tu usi Excalibur... per ucciderla.

Regina aveva una strana sensazione di febbre. Si umettò le labbra ed ebbe l’impressione di avvertire ancora il sapore di quelle di Emma... che la baciavano come se non avessero mai desiderato altro.

Scacciò quei pensieri. - Emma mi ha chiesto di... di rispettare la promessa che le ho fatto a Camelot. Non c’è altra soluzione.

- No, non c’è. Ma non sarai tu a farlo. Non sei in grado, Regina.

- E cosa te lo fa pensare?

- Non sei più quel genere di persona. – Tremotino la scrutò. Le sorrise. – La Regina che ho conosciuto molto tempo fa... quella che ho forgiato... l’avrebbe fatto. La Regina che conosco ora... no.

- Forse non mi conosci così bene. – Ma la sua voce suonava distante alle sue stesse orecchie, mentre si sentiva pervadere da un senso di gelo.

- Oh, mia cara, è proprio perché so chi sei che ti dico questo. – Tremotino le voltò le spalle, andando dietro al bancone. – Ma sappi una cosa: se vuoi davvero andare fino in fondo, tira fuori quella parte di te in grado di uccidere qualcuno che ama. Perché se esiterai... ti sarà fatale. Sarà fatale a te e anche alla tua famiglia.

 

 
David camminava rapido e sicuro, con una mano sull’elsa della spada, pronto ad affrontare anche tutti gli Oscuri. Killian lo seguiva di malavoglia.

- Vuoi fermarti, amico?

- Non adesso, Uncino.

In mezzo alla strada, proprio davanti a loro, comparvero tre... Coccodrilli incappucciati. Un attimo prima la via era libera, ora gli Oscuri erano proprio là. Erano venuti a prenderli.

Nimue regalò ai due un sorriso beffardo. – Avete fretta, per caso?

David e Killian riuscivano a scorgere gli altri due tirapiedi. Quello a destra aveva dei folti baffi rossi. Quello a sinistra una faccia larga, i lineamenti marcati e crudeli, la pelle simile a quella di Tremotino, verde oro.

- Lasciate che vi dia una mano. È il momento di farla finita. – Nimue sollevò entrambe le mani.

I marchi sui loro polsi sfrigolarono e si incendiarono. Killian e David lanciarono grida stupefatte, mentre il mondo intorno a loro diventava bianco e svaniva nella luce accecante. 

 


Malefica entrò nella camera della figlia e cominciò a riordinare gli indumenti gettati alla rinfusa. Non aveva idea del perché lo stesse facendo, ma intuiva che, qualunque cosa fosse successa, non avrebbe più dovuto preoccuparsi di quel disordine.

Trafficava da appena cinque minuti quando sentì le gambe molli come gelatina e dovette sedersi sulla sedia accanto alla finestra. La vista del letto disfatto nel quale Lily non dormiva da giorni, la luce malaticcia gettata dai lampioni in strada... le sembravano tutte cose crudeli. Come l’assenza di Lily. Come l’idea di essere stata costretta a riempirla di oscurità per salvarle la vita. Una parte di lei era convinta di aver commesso un terribile errore, eppure quale madre avrebbe lasciato morire il proprio figlio? Quale madre l’avrebbe fatto?

Si portò un mucchio di magliette al viso per cancellare la vista della stanza vuota. E sentì l’odore di Lily. L’odore dello shampoo che usava. L’odore del bagnoschiuma al muschio bianco.

Oh, era terribilmente ingiusto.

Forse, come madre, se lo meritava. Se lo meritava, certo, ma era troppo crudele.

Malefica gettò via le magliette e uscì dalla stanza.

 

 
Tutti i marchiati si ritrovarono davanti al lago. Gli Oscuri richiamati da Lily stavano a pochi metri da loro, in fila e in apparente attesa.

- Neve! – gridò David.

Lei sollevò appena la testa. Era pallida, con i polsi chiusi nelle pesanti catene, che abbracciavano il tronco a cui era legata. Aveva almeno una decina di ferite sparse sul corpo, nessuna mortale, ma tutte dolorose e sanguinanti.

- Che cosa diavolo le hai fatto?! – urlò David a Lily, quando la vide avviarsi verso di loro, con Excalibur in pugno.

- Non preoccupati, principe. Non l’ho ferita con questa spada. – Lily la sollevò e lama mandò un barbaglio argento, colpita dai raggi della luna, ormai all’apice.

Regina si guardò intorno. Henry non c’era. Tastò le ampolle che aveva in tasca per assicurarsi che fossero ancora al loro posto.

- Dov’è Roland? – chiese a Robin.

- Al sicuro con le fate. Si occuperanno anche di Neal. – rispose, mettendosi accanto a lei.

- Quindi è davvero la fine. – sentenziò Tremotino, occhieggiando gli Oscuri.

- Sì. – disse Lily. Poi puntò la spada verso il lago alle loro spalle. – Guardate. Ecco il vostro passaggio per l’Oltretomba. Giusto un tempo.

Una nuvola di fumo bianco si allargò sulla superficie dello specchio d’acqua, portando con sé un’ombra nera. La barca guidata dal traghettatore, Caronte.

- Lily! – gridò Emma, facendosi largo tra gli Oscuri e raggiungendo gli altri. – Lily, ti prego, aspetta.

In quel momento, tutti udirono un ruggito. Si alzò un vento improvviso, che scosse le chiome degli alberi e increspò le acque.

Regina guardò il cielo e vide il drago piombare su di loro. Il vento era provocato dallo sbattere delle sue grandi ali membranose. Il corpo ricoperto di scaglie nere era un proiettile scagliato a tutta velocità.

- A terra! – urlò Uncino.

Malefica spalancò le fauci e gettò un’onda di fuoco sul gruppetto di Oscuri. Nimue deviò le fiamme, che tinsero gli alberi di una luce sanguigna. Il drago si allontanò dal luogo dell’attacco, descrivendo un ampio arco in aria.

- Lily, non è ancora troppo tardi. Puoi fermarti. – disse Emma. – Ricordi quello che ti ho detto a Camelot? Io non ti volterò mai le spalle. Ti aiuterò.

- Nessuno può aiutarmi, Emma.

Regina estrasse una delle ampolle dalla tasca della giacca e le scagliò contro il contenuto. Un liquido azzurrato la raggiunse, corrodendo il tessuto della giacca di pelle nera che indossava. Gridò, quando la pozione sfrigolò contro la pelle, ma non lasciò la spada. Menò un fendente nel vuoto, producendo un’onda d’urto che li fece cadere tutti, come tanti birilli.

Il drago, intanto, atterrò presso il lago fronteggiando gli Oscuri.

- Lily... è ora di smetterla. – disse Regina, tirandosi su.

- Abbiamo appena cominciato.

- Non puoi davvero uccidere un’intera famiglia.

- E perché no? – Si appoggiò la lama di Excalibur su una spalla.

- Te ne pentirai. E nel tuo caso... pentirti vorrebbe dire convivere con le tue colpe per l’eternità.

- Anche tu dovrai farlo. Tutti voi. Nell’Oltretomba. Ci sono un sacco di persone che vi aspettano. Avrete molto da fare. Non vi annoierete mai.

Il drago ruggì ed eruttò fuoco. Gli Oscuri stavano costringendo Malefica ad arretrare.

- Guarda laggiù, Lily. Tua madre sta combattendo contro gli esseri che hai richiamato. – Regina fece un passo verso Lily, con le mani bene in vista. Emma era vicino a lei. Poteva sentire il suo respiro accelerato. – Vuoi che le facciano del male? So che c’è del buono in te. Altrimenti avresti marchiato tutti.

- Già. Gli Oscuri sanno che non devono fare del male a mia madre. Così come sanno che non devono fare del male ad Henry. – Il tono di Lily possedeva una strana inflessione. Era calmo e anche rassegnato. C’era molta stanchezza nella sua voce. – Io elimino solo chi se lo merita.

- Prendi me, allora. – intervenne David. – Prendi solo me. Lascia andare mia moglie.

- Un’offerta interessante. Non ti preoccupare, verrà anche il tuo turno.

- So bene che cosa significa lottare contro l’oscurità. – ricominciò Regina. – Credimi. Ho passato anni nell’oscurità. Mi ha consumata...

- Oh, hai passato anni nell’oscurità? – la interruppe Lily, ridendo. – Io ho passato la vita intera nell’oscurità! Ovunque andassi l’oscurità era con me, mi seguiva. Qualsiasi decisione prendessi mi si rivoltava contro. E questo è accaduto perché qualcuno ha avuto la brillante idea di maledirmi! È anche per questo che adesso siamo qui!

- Abbiamo commesso tutti degli sbagli. – disse Regina. – Ma se ci ucciderai... non ti sentirai meglio. La vendetta... non mi ha mai fatta sentire meglio. E una volta... era l’unica cosa che desideravo. Pensavo che mi sarebbe bastata. Che mi avrebbe resa felice. Ma non è così.

La luna era al suo apice. I raggi si riflettevano sulla superficie del lago. La barca del traghettatore avanzò di qualche metro. Con una lentezza esasperante, ma anche implacabile. Il lungo bastone con cui Caronte spingeva in avanti l’imbarcazione fendette le acque. Tremotino lo fissò, sconvolto dai cerchi di fuoco che lampeggiavano sul volto antichissimo del demone. Rivolse nuovamente l’attenzione agli Oscuri. Uno di loro lo guardava con insistenza. Era l’uomo con i capelli e i baffi rossi. Rothbart.

- È tempo. – sentenziò Nimue. Strinse i pugni e levò la testa al cielo, che ora era sgombro, a parte qualche straccio di nube. Le fredde stelle ricambiarono il suo sguardo, come occhi indifferenti di un altro mondo. Alzò una mano e gridò un paio di parole in una lingua abietta che solo lei conosceva. Uno spicchio di foresta prese fuoco all’istante. Feroce e concentrata, Nimue incendiò una fetta dopo l’altra fino a formare un anello di fiamme che tagliò fuori Malefica. Il drago mosse qualche passo per superare il muro di fuoco, ma il potere la respinse. Emise un ruggito basso e frustrato. Nimue continuò a fissare l’anello, soddisfatta, per alimentare la magia.

Un globo di luce sfrecciò dalla mano di Emma e colpì il primo Oscuro in pieno petto. Nimue vacillò, ma non perse l’equilibrio.

- Finiscili. Adesso. – disse Nimue a Lily.

Lily sollevò la spada.

Emma si frappose fra lei e il resto del gruppo.

- Levati dai piedi, Emma. – le intimò Lily.

Lei lanciò un’occhiata a sua madre, che cercò di sollevare il capo, ricambiando il suo sguardo. Aveva occhi opachi e febbricitanti. Il fuoco le sibilava intorno, minacciandola.

- Dammi quella spada. Sistemerò tutto io. – disse Emma.

- Credi di poter risolvere tutto con il tuo solito tono ragionevole? Non è così che funzionano le cose. Questa è una mia scelta.

- Questa non è una tua scelta! È l’oscurità. Ti sta usando!

- Lo ha sempre fatto. L’ho combattuta, ci ho provato... ma è stato inutile. Non puoi lottare contro l’oscurità. Non contro questa oscurità. Per quanto tu possa essere forte... ti inghiotte. Con te farà lo stesso, Emma.

- Non è vero! Non è sempre stato così! A Camelot mi hai aiutata e hai creduto in me!

Lily avvertì la pressione della mente di Emma. La pressione che cercava di costringerla ad abbassare le barriere. Emma usò tutta la forza che aveva. Lily la stava bloccando, ma lei continuò a spingere, a scavare... per arrivare oltre il muro.

- No... basta, Emma. – disse Lily.

Non era abbastanza. Aggredì di nuovo le strenue difese erette intorno alla mente di Lily. Aprì una breccia. Lily si piegò su un ginocchio.

Un fiume di immagini la avvolse all’improvviso, scorrendo nella sua coscienza.

 

“La maledizione...”.

“Deve essere spezzata. E sarà Emma a farlo. Tuttavia è ancora presto. Passeranno parecchi anni prima che il suo destino si compia. Il suo e... il tuo”.

“Il mio?”

“Questa non è stata l’ultima volta, Lily”. L’Apprendista si voltò di nuovo, incrociando i suoi occhi sbarrati e ripieni di furia. “Tu ed Emma siete legate e così sarà per sempre. Un giorno la rivedrai. Emma sarà la Salvatrice, ma l’oscurità incombe per tutti. L’oscurità... minaccia chiunque”.

 

Lily la respinse. Tentò di controllare il torrente di ricordi, ma la loro forza era soverchiante.

 

“Perché sei fuggita?”

Anche allora erano davanti ad un lago. Era giorno e avevano appena usato la carta di credito del padre di Lily per fare la spesa in un supermercato.

“Una ragazzina che viveva con me, Cecilia... è stata adottata. L’ho vista salire su una Station Wagon... con una coppia perfetta. E in quel momento ho capito che nessuno mi guarderà mai come quella coppia guardava lei. Sono troppo grande. Ho perso la mia occasione... non aveva senso continuare a restare lì e sentirmi...”

“Invisibile?”

Era proprio la parola che cercava.

“So che cosa significa vivere in un posto dove hai l’impressione che a nessuno importi di te, che nessuno riesca a capirti...”

 

“Ehi, che cos’hai sul polso?”

Lily mostrava la voglia a forma di stella impressa sul suo polso. “Non so... cosa sia successo. Ce l’ho sempre avuta. Mi piace pensare che sia una specie di simbolo in stile... Harry Potter, più o meno”.

“Come se tu fossi... unica e speciale”.

“Sì, lo so. È stupido”.

“No, non è vero”.

 

Lily scattò in piedi e caricò, la spada levata contro di lei, dimenticandosi di erigere nuove barriere contro la sua invasione.

 

“Promettiamoci di restare amiche. Qualsiasi cosa accada non ci sarà niente che non potremo superare”.

“Okay. Sì. Promesso”.

“Per sempre”.

“Per sempre”.

 

Lily non abbassò la spada. Emma ritirò la manica della sua giacca per mostrarle la stella che aveva disegnato sul polso.

- Lo vedi? Io non l’ho mai dimenticato, anche se ci siamo separate. – disse Emma. Piangeva davvero, adesso. Aveva le guance rigate di lacrime. Eppure sorrideva anche. - Non c’è niente che non possiamo superare.

- Mi stai ingannando! È quello che fanno tutti gli Oscuri! – gridò Lily, ma la sua voce era debole. Spezzata. Perdeva sicurezza.

 

“Quello che intendo fare, lo farò anche per il bene di Henry. Di tutti”.

“Ma tu sei la Salvatrice, no? Tu sei superiore a tutto questo”.

Emma andò molto vicino a Lily. “Sono la Salvatrice, ma sono anche l’Oscuro. E ho bisogno di Merlino. Il piano di riserva è necessario. Devo coprirmi le spalle. Non possiamo fallire e riprovare perché non avremo un altro momento per riprovare. Artù sta aspettando che i miei genitori riportino il pugnale. Se non sospetta ancora niente, inizierà molto presto”.

Si allontanò da lei, dirigendosi verso l’uscita.

“Sai una cosa, io so che cosa vuol dire lottare contro l’oscurità. L’ho sempre dovuto fare”, disse Lily, costringendola a fermarsi. “Tutta la mia vita è stata oscura e tu lo sai bene. Non sarà mai come la cosa che si è impossessata di te... ma mi ha fatto fare delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi. L’Oscuro sta facendo lo stesso con te. Se lo ascolti, perderai il controllo”.

 

- Quando stavo facendo la cosa sbagliata, tu hai cercato di convincermi a non farlo. Quella volta ho usato i tuoi ricordi per prendermi ciò di cui avevo bisogno. – Emma era vicinissima. Avrebbe potuto allungare una mano e toccarla. – Ora... li sto usando per aiutarti a capire... voglio ricordarti quello che hai detto anche a me, quel giorno. Quello che io... non ho voluto ascoltare.

 

“Mi ripeto sempre che non cederò all’oscurità. Però ho già ceduto. Ho già ferito te e volevo ferire mio figlio”.

“E avresti potuto uccidermi poco fa. Sarebbe stato facile. Eppure hai deciso di risparmiarmi. Come hai fatto... quando mi hai trovata. Questo vuol dire che puoi vincere la tua oscurità”.

“Mi sono fermata perché qualcuno mi ha fermata...”

“Ti saresti fermata comunque”.

“Non credo”.

“Regina ti ha dato una mano, va bene? Però la decisione spettava a te. Se io fossi stata al tuo posto avrei sparato. E un attimo fa ti avrei uccisa. Ma tu sei migliore di così”.

 

 
Lily si prese la testa fra le mani e lasciò cadere la spada. Emma si affrettò a prenderla e poi si chinò davanti all’amica, appoggiandole una mano sul collo perché sollevasse la testa.

- Ci penserò io.

Gli occhi di Lily erano sbarrati e iniettati di sangue. - Che cosa vuoi fare, Emma?

- Già. – disse Nimue, venendo avanti. – Che cosa pensi di fare? Non puoi fermarci! È tardi, ormai!

- Non è tardi.

Un’insospettabile riserva di energia divampò dentro di lei. Dopo la battaglia mentale contro Lily si sentiva frastornata e non era sicura di potercela fare, ma riuscì a richiamare il potere dai più profondi recessi del suo essere. Attinse da una coscienza più antica e vasta della sua. Le sue dita si strinsero intorno all’elsa di Excalibur e sollevarono l’arma. La tenne in orizzontale davanti al proprio viso. Si era messa davanti a Lily come a farle da scudo.

Excalibur fiammeggiò di luce rossa, la lunga lama percorsa da una vampa senza calore.

Prima l’incredulità e poi la rabbia deformarono i lineamenti di Nimue. Con un ringhio sprezzante, puntò il dito indice contro Emma, ma la spada la respinse e la costrinse ad inarcare la schiena.

Nimue emise un rantolo. E il suo corpo divenne trasparente. Sotto non c’erano più né ossa né carne, ma solo un turbinio tenebroso. Nimue si lacerò dalla testa ai piedi, liberando l’oscurità che si divise in tanti rivoli neri, pronti a fuggire se la spada non li avesse fagocitati.

Agli altri Oscuri toccò la medesima sorte. Videro il cerchio di fiamme estinguersi e il loro corpi sgretolarsi. Cornelius si strappò la maschera a forma di teschio. Dietro di essa si celava una faccia brutale e piena di cicatrici. La bocca era aperta, ma invece di parole ne sgorgò un ululato terrificante. Rothbart inveì contro tutto il mondo, prima di trasformarsi in fiumi di nera oscurità ed essere risucchiato.

Excalibur li imprigionò dentro di sé. Emma venne scaraventata all’indietro e la spada le sfuggì, infliggendole una scarica che le percorse il braccio, paralizzandola per qualche istante.

Regina raccolse la spada. Era terribilmente pesante.

“Ma sappi una cosa: se vuoi davvero andare fino in fondo, tira fuori quella parte di te in grado di uccidere qualcuno che ama. Perché se esiterai... ti sarà fatale. Sarà fatale a te e anche alla tua famiglia”.

- Presto, Regina. Gli Oscuri non rimarranno intrappolati a lungo. – Emma si alzò, scrollando il capo. Vedeva la lama pulsare e capiva bene che presto l’oscurità si sarebbe riversata di nuovo all’esterno.

- Emma! – gridò sua madre. Le catene si erano dissolte e Neve strisciava sull’erba per raggiungere la figlia. David accorse in fretta.

- Emma, no! Non farlo! – urlò Uncino.

- State indietro! Non c’è altra soluzione! – gridò Emma.

Regina impugnò l’elsa con entrambe le mani. Le braccia tremavano per lo sforzo. Un maglio le penetrò nel cervello, annebbiandole la vista. Ma alla fine sollevò la spada sopra la testa, puntando la lama contro il petto di Emma.

I loro occhi si incontrarono. Verde e nocciola. Per un attimo ebbe l’impressione di vedere se stessa dall’alto, come se non fosse più dentro al proprio corpo, ma si stesse librando in aria. Si vedeva con Excalibur in alto, la lama pronta a colpire. Lily inginocchiata sull’erba.

Regina non scorse alcuna traccia di paura nello sguardo dell’altra. C’era determinazione. Durezza. Voleva davvero che lei lo facesse. Che la distruggesse, eliminando quindi l’oscurità una volta per tutte.

“Non sei più quel genere di persona. La Regina che conoscevo molto tempo fa l’avrebbe fatto. La Regina che conosco ora... no”.

Regina esitò.

Tremotino aveva ragione, naturalmente.

Aveva ragione.

- Mio Dio... – mormorò, rendendosi conto di ciò che stava per fare. Abbassò le braccia. Era spossata. Un rivolo di sudore le scivolò lungo il viso andando a posarsi sul labbro superiore, sulla cicatrice.

Lily le sottrasse le spada. - Non puoi, Emma. Devo essere io a morire. Tutto questo è stata opera mia.

- No. Non è questo che meriti.

- Nemmeno tu! La tua famiglia ha bisogno di te!

- Ti ho portata io a questo! Sono stata io ed io distruggerò l’oscurità. – Emma tese una mano verso di lei. – Aiutami a farlo.

Lily prese quella mano e la strinse forte. Il palmo della sua era caldo. L’elsa di Excalibur stava bruciando. E stava diventando sempre più pesante. Gli Oscuri imprigionati si agitavano nella lama. Sentiva uno sciabordio di voci. Imprecazioni. Grida. Profezie di vendetta. Rimbalzavano nella sua testa. Cercavano di acciuffarla, di far breccia dentro di lei.

- Non voglio... – mormorò Lily. – Non è giusto.

- Lo è, invece.

Lily abbassò la testa ed Emma fece in modo che gliela appoggiasse qualche istante sulla spalla. Lily vide se stessa attraverso gli occhi dell’altra. Un’ultima volta. Era come guardare in uno specchio magico. Vide la se stessa di adesso, con la spada in pugno, e vide la ragazzina che era stata, quella che guardava il mondo come se fosse una cosa totalmente ingiusta, quella che si aggrappava al suo ciondolo quando gli incubi la svegliavano nel cuore della notte, quella che ammirava la sua voglia a forma di stella, quella che aveva disegnato una stella simile sul polso di Emma...

Infine Lily la trafisse. Spinse Excalibur nel corpo di Emma.

La lama insanguinata uscì dalla sua schiena.

Qualcuno lanciò un grido. Ma non Emma. Emma non emise neanche un suono.

Lily chiuse gli occhi ed estrasse la spada.

Quando alzò ancora lo sguardo su Emma, si accorse che era tornata normale.  Emma era di nuovo Emma, con i suoi capelli biondi, il maglione bianco, i jeans scuri infilati in un paio di stivali. Gli stessi abiti che aveva quando aveva usato il pugnale per salvare Regina.

Erano entrambe di nuovo normali.

Excalibur si sgretolò.

Della spada non rimasero altro che granelli di polvere nera, che precipitarono sull’erba e si dissolsero.

Emma scivolò in avanti e Lily ne accompagnò la caduta. Stava piangendo anche lei e il peso del corpo dell’altra la trascinò giù.

- Lily. – disse Emma, sfiorandole la guancia. Sorrideva e pronunciò alla perfezione le sue ultime parole. La sua voce era chiara e limpida. – Ti voglio bene, Lily.

 

 
I paramedici misero il corpo senza vita di Emma su una barella e poi lo coprirono con un telo bianco.

Tutto quello che era avvenuto dopo la sua morte era confuso. Regina rivedeva le immagini come una serie di istantanee. Lei che sollevava Excalibur. L’esitazione, quella che poteva costarle cara. La consapevolezza che non sarebbe mai riuscita ad ucciderla. Lily che lo faceva al posto suo. Lily che veniva spinta via in malo modo. Ricordava l’uncino scintillante del pirata pronto ad abbattersi sull’amica di Emma. Ricordava Tremotino che colpiva Killian alla nuca con il suo bastone. Mano Monca che finiva lungo disteso, con ancora quell’espressione furiosa che gli deformava i lineamenti. Malefica che accoglieva la figlia tra le sue braccia. I singhiozzi della ragazza. David che sollevava Emma. La testa bionda che ricadeva all’indietro. Il grido di Biancaneve. Si era portata le mani al volto e l’urlo era arrivato tra le dita socchiuse. Un urlo così pieno di orrore e sbigottimento che Regina temette che la sua mente fosse partita.

Forse anche la sua, di mente, stava partendo.

Regina intuiva di dover dire qualcosa, di dover reagire in qualche modo a quelle urla. Ma non poteva. Aveva perso le forze.

“E Henry? Chi penserà ad Henry?”

“Tu. Lui sarà con te”.

Cosa avrebbe detto ad Henry? Cosa gli avrebbe raccontato?

“Ha già perso suo padre, Emma! Non può perdere anche sua madre. E mi odierà! Mi odierà non appena farò ciò che mi chiedi”.

“No. Non lo farà. Ci penserò io”.

Si avvicinò alla barella. Chiese ai due paramedici di aspettare e poi scostò il telo. Il volto di Emma era immobile e sereno. Quasi stesse solo dormendo.

“Certo! Sei l’unica che può preoccuparsi, vero? Ci sono persone che tengono a te, qui, Emma!”

“Te l’ho detto. Non abbiamo scelta!”

Uncino le aveva rimesso al collo la catenina con l’anello.

“E Henry? Chi penserà ad Henry?”

“Tu. Lui sarà con te”.

Regina aprì le mani, con i palmi rivolti verso l’alto. Tremavano. Tremavano come quando, a Camelot, aveva rivissuto la morte di Daniel.

“Ricordi la promessa fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il possibile per eliminare l’oscurità? Ho bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo dirai a nessun altro”.

Comparve la giacca di pelle. Quella rossa. Quella che Emma adorava.

Gliela appoggiò sul petto. Le dita sfiorarono il suo mento e una ciocca di capelli biondi. Era ricaduta maldestramente sul viso e lei, dopo un istante di esitazione, gliela scostò.

Infine la ricoprì con il telo e lasciò che il corpo venisse portato via.

 

__________________

 

 
Angolo autrice:

 

Eccoci arrivati al penultimo capitolo. Dopo questo c’è solo l’epilogo.

 
Non allarmatevi. La storia prevede un seguito. Spero comunque che abbiate apprezzato questa season 5A rivisitata da me, nonostante abbia deciso di non concluderla bene.


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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Epilogo

 

“Qui tutti noi siamo diretti; questa è l’ultima dimora, e qui
Sugli esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà compiuto
Il tempo che le spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
Io non me ne andrò: della morte d’entrambi godrete!”

[Ovidio, Metamorfosi, X]

 

 

 

 
Mi dispiace. Non posso permettere che accada. In fondo, anche voi lo sapete. Non c’è altra soluzione.

Sono stata egoista, a Camelot. Lily mi aveva supplicata di non farlo, ma io ho pensato solo a salvarle la vita. Salvandola, l’ho condannata. Ha lottato contro l’oscurità per anni ed io le ho imposto un’oscurità ancora più terribile. Non voglio che paghi, per questo.

Promettetemi che andrete avanti e che vi occuperete di Henry. Spiegategli perché ho preso questa decisione. Fate in modo che capisca.

Ho chiesto a Regina di mantenere la promessa che mi fece a Camelot e le ho detto di non parlarne con nessuno. Le ho chiesto di giurarmelo. Quindi, se potrà mantenere quella promessa, ricordate che è stata prima di tutto una mia scelta.

 

Emma

 

 
Lily si accinse metodicamente ad ubriacarsi.

Nel frigorifero c’erano diverse bottiglie di Heineken e lei ne prese alcune, stappandone una dopo l’altra e disponendo i tappi in fila sul tavolo.

Aveva cacciato via sua madre. Non voleva che lei l’aiutasse. Non voleva che l’abbracciasse. Non voleva parlare di quello che era successo o di come si sentisse. Non voleva gente intorno. Era sicura di essere stata troppo dura e di averla ferita, ma non c’era nulla che Malefica potesse fare.

Mentre fuori albeggiava e le nuvole sparse si tingevano di rosa, lei se ne stava là, nel suo appartamento, desiderando solo non essere più vista da nessuno, con il suo strazio, la sua rabbia, il suo senso di colpa e il suo desiderio d’essere morta e lontana per sempre da tanta crudeltà.

Credeva che qualcuno sarebbe venuto comunque. Pensava che almeno Uncino volesse ucciderla. Ci aveva provato, la sera prima, ma Tremotino l’aveva fermato. Sapeva che era tornato sulla sua nave, ma forse stava meditando di farla fuori. O forse si era attaccato ad una delle sue fiaschette di rum. O intendeva prendere il largo. Non le importava molto.

Finì la sesta o settima bottiglia (aveva perso il conto) in grandi sorsi, eppure quando si alzò per prenderne un’altra non barcollava nemmeno. La sua testa era sgombra. Non le faceva male lo stomaco.

Ma continuava ad avvertire il vuoto. E il silenzio.

Il vuoto al centro del petto.

Aveva trascorso la vita intera a lottare contro il potenziale oscuro che era stato trasferito in lei quando non era nemmeno uscita dall’uovo. Da quando aveva scoperto la verità grazie all’Apprendista, aveva immaginato il momento in cui avrebbe ottenuto la propria vendetta. Aveva immaginato il momento in cui l’avrebbe fatta pagare agli Azzurri. Si era sempre chiesta se fosse possibile liberarsi di quella maledizione. Se fosse esistito un modo per annullarla o invertirla. Merlino le aveva detto che quel modo esisteva, ma era rischioso. Si era chiesta come sarebbe stato vivere senza quell’oscurità. Pensava che... che si sarebbe sentita libera. Che avrebbe finalmente avuto il controllo delle sue azioni. Delle sue decisioni. Che avrebbe potuto fare delle scelte giuste, senza che quelle le si rivoltassero contro.

Invece c’era solo il vuoto. Al centro del petto si era aperta una voragine, profonda e oscura.

“No. Non è questo che meriti”.

“Nemmeno tu! La tua famiglia ha bisogno di te!”

“Ti ho portata io a questo! Sono stata io ed io distruggerò l’oscurità”.

La voce di sua madre si frappose ai ricordi. La voce di Malefica durante una delle poche lezioni di magia che aveva ricevuto.

“Esistono delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi riportare in vita i morti”.

“Non puoi riportare in vita i morti”.

Vuotò il resto della birra nel lavello e poi prese la giacca. Frugò in una delle tasca. Fino a che non riuscì a trovare il giglio che Emma le aveva regalato a Camelot. Era appassito di nuovo. Ma Lily se lo portò comunque al naso, ricercandone il profumo. Ne avvertì una traccia, debole. Si stava disperdendo.  

“Esistono delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi riportare in vita i morti”.

Poi si intromisero altre voci.

Quelle voci, però, erano voci sussurranti. Un grumo di sibili incomprensibili.

Per un bel pezzo credette che quei suoni fossero unicamente nella sua testa, un’allucinazione dovuta all’alcol. La stanza ondeggiava intorno a lei.

Ma continuavano, implacabili. Era come avere nella mente un groviglio di serpenti infuriati.

Il pugnale.

Non era possibile. Il pugnale non esisteva più. La spada si era dissolta dopo... beh, dopo.

Niente pugnale. Niente più Oscuri.

Però quel richiamo l’avrebbe riconosciuto ovunque.

Lily mise in tasca il giglio e si infilò la giacca.

 

 
C’era chi pensava che vi fosse un limite all’orrore e alla rabbia che una mente umana poteva sostenere. In realtà, non era vero. Quando l’incubo diventava sufficientemente cupo, l’orrore generava altro orrore, il male generava altro male, finché la tenebra non ricopriva ogni cosa.

A Regina, infatti, sembrava di precipitare in un vuoto sempre più buio. E quel buio era pieno di rimpianti, di pensieri rabbiosi, di sensi di colpa. Non voleva che il suo cervello continuasse a ripercorrere gli stessi eventi, eppure non poteva farne a meno. Seduta sul bordo del letto, a casa degli Azzurri, seguitava a ricordare il momento in cui aveva deciso di non fidarsi di Emma e di rinchiuderla in una prigione. Il momento in cui Emma le era sfuggita e aveva tenuto in mano il suo cuore nero. Il momento in cui Emma le aveva chiesto di mantenere la promessa che le aveva fatto a Camelot. Il momento in cui l’aveva baciata. E il momento in cui lei non l’aveva mantenuta, quella promessa. Aveva esitato.

Ce l’aveva con tutti. Con Tremotino, perché lui sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Con Lily, perché, al contrario di lei, aveva trafitto Emma con quella maledetta spada, assumendosi una responsabilità che l’avrebbe segnata per sempre. E con se stessa. Ce l’aveva soprattutto con se stessa.

Non sei la Regina Cattiva, le disse una voce fredda e priva di inflessioni, che le ricordava quella di sua madre. Non sei la Regina Cattiva e non sei una Salvatrice. Tu non sei niente. Sei debole.

Henry era in cucina, seduto davanti al bancone, con il suo libro aperto dinanzi. Regina gli aveva lasciato il vassoio con la colazione accanto, ma era sicura che lui non l’avesse toccata. Suo figlio non parlava. Non guardava nessuno. Teneva gli occhi fissi sulle pagine del libro che aveva letto un sacco di volte. Cercando, forse, una soluzione nelle storie che conosceva. Regina gli aveva accarezzato i capelli. Si era appoggiata alla sua spalla, ma nel farlo si era domandata se stesse confortando il figlio o se stesse solo cercando qualcosa a cui aggrapparsi.

David sembrava almeno temporaneamente incapace di qualsiasi decisione. Si aggirava per casa senza uno scopo. Aveva gli occhi arrossati e la pelle del viso tirata. Sedeva al tavolo masticando pane tostato e mangiando i cereali preferiti di Emma. Non gli piacevano, ma li voleva ugualmente.

Regina aveva curato le ferite di Biancaneve. Tutte quante. Non appena aveva finito, si era alzata per andarsene, ma Biancaneve l’aveva trattenuta per il polso, lo stesso che, fino a poche ore prima, recava il marchio di Caronte.

- Cosa? – aveva domandato Regina.

Biancaneve le aveva messo un braccio intorno alle spalle per abbracciarla. L’aveva fatto come se per lei, abbracciarla, fosse una cosa del tutto normale. Come se l’avesse sempre fatto.

Regina si era irrigidita. Poi aveva risposto all’abbraccio goffamente. L’aveva tenuta stretta, mentre singhiozzava.

Stava ripensando a quello, quando udì i passi sulle scale e Malefica comparve, appoggiando una spalla alla parete.

- Dov’è Lily? – chiese Regina.

- Oh, lei... non vuole vedere nessuno. – Si spostò verso il letto, sedendosi accanto a lei. Aveva un’aria abbattuta e cupa. – Non ha bisogno di me.

- Sì che ne ha. È solo troppo orgogliosa.

Malefica la scrutò con quei suoi grandi occhi celesti. - E tu come ti senti?

- Non lo so. – rispose Regina, scuotendo il capo.

“A Camelot non ti sei fidata di me. Questa volta devi farlo. Devi, Regina”.

“Non puoi”.

“Non abbiamo altra scelta”.

Regina rabbrividì. Avvertiva il gelo nel sangue e nelle ossa.

Malefica si tolse la giacca che teneva sulle spalle e la sistemò sulle sue.

 

 
Lily entrò in negozio e trovò Tremotino comodamente seduto dietro al bancone.

- Ultimamente vieni spesso nel mio negozio, Lilith. – disse, accarezzando l’orlo del bicchiere con la punta dell’indice.

Le voci erano molto più forti. Più pressanti.

- Il pugnale. Dov’è? – disse, aggrottando la fronte e cercando di non lasciarsi confondere dai sussurri.

- Sei... un po’ turbata. Lo capisco. – rispose Tremotino, sfruttando un tono accondiscendente che aumentò la sua furia.

- Non provare a dirmi che cosa provo. Dov’è il pugnale? Lo so che è qui. So che ce l’hai tu. – ripeté.

Tremotino rifletté qualche istante. Infine, cedette. Allungò una mano sotto al bancone e prese un involto. Lo srotolò.

- Sì, ce l’ho. – ammise, posando il pugnale sulla superficie di vetro.

Tremotino.

Era il pugnale. Non come lo ricordava, però. Il nome del Signore Oscuro era impresso in argento sulla lama ondulata. In argento su sfondo nero.

Incredula, Lily alzò lo sguardo sull’uomo che le stava di fronte e che ora le appariva come un maligno pupazzo sbucato da un pacco a sorpresa.

- Sei l’Oscuro.

- Già. Avrei voluto tenerlo segreto. Ma sai, Lilith... non mi aspettavo che lo sentissi. Dovevo anche pensare al fatto che molti ex Signori Oscuri... sono morti. Quasi tutti, a parte me e te.

Le voci erano sparite. Le voci avevano ceduto il posto ad una collera cieca.

- Com’è possibile? Come hai fatto?

- Dopo che Emma e Regina sono venute da me per chiedermi qualche pozione... ho riflettuto. Beh, in realtà ho cominciato a farlo prima. Non avevo molto tempo a disposizione, ma ho usato quel tempo come meglio potevo.

- Ingannando tutti.

Poteva spiegare a Lilith Page che cosa l’aveva spinto a tornare sui suoi passi? Poteva spiegarle che cosa aveva provato quando aveva capito di non avere scampo? O cos’aveva provato quando Cornelius li aveva attaccati? Non era stato in grado di difendere se stesso o Belle. Se Belle fosse stata il bersaglio di quell’Oscuro, lui non avrebbe potuto fare niente per aiutarla. Non aveva più la magia. Non aveva una spada con cui difenderla. Non aveva niente. Era solo un uomo. Un uomo con un cuore nuovo di zecca, un cuore reso puro da Emma Swan. In più, non aveva potere contro Caronte e il suo marchio. La solo idea di finire di nuovo negli Inferi lo paralizzava. Lo paralizzava l’idea di finire dritto nel Tartaro, perché era convinto che fosse quello il suo destino. Una pena eterna.

Poteva spiegarglielo?

 

Tremotino disegnò la spirale sul pavimento.

Era uno dei simboli più antichi del mondo magico. Un simbolo di potere. Emanazione. Estensione. Sviluppo. Creazione. Energia. Il viaggio dopo la morte. L’ordine dal caos o il caos dall’ordine.

Per l’incantesimo che stava per lanciare, la spirale era fondamentale. Era un conduttore. L’oscurità contenuta nella spada sarebbe defluita in un luogo sicuro nel momento in cui Emma Swan l’avrebbe usata su di sé. O su Lilith, se alla fine si fosse vista costretta ad ucciderla.

Sarebbe defluita in lui.

Girò la pagina e trovò le parole dell’incantesimo. Era antico quasi quanto il simbolo che aveva appena disegnato. Gli ingredienti erano allineati sul tavolino. Tre semplici pozioni che aveva nel suo negozio.

Tremotino le prese tutte e tre e si piazzò al centro della spirale.

 

No, non poteva.

- Un rito. – disse, semplicemente. – Un rito che ho ritrovato tra le Cronache degli Oscuri, mentre cercavamo di capire quale fosse il tuo... terribile piano. Nel momento in cui tu hai usato la spada su Emma... si è attivato. E l’oscurità non è stata distrutta, ma solo trasferita.

- Dentro di te. – Sputava le parole come se stesse sputando veleno.

- Le cose sono come devono essere. – concluse Tremotino, ammirando la sua arma.

- Hai tradito tutti quanti. Di nuovo.

- È ciò che faccio di solito. Io agisco così. – Senza esitazioni. Sempre con quel sorrisetto perfido. – Adesso ho il potere di tutti gli Oscuri, in me. Incluso il tuo.

- Bene.

Tremotino batté le palpebre. – Bene?

- Questo è l’uomo che sei. O forse dovrei dire... questa è la bestia che sei. Quella che inganna la donna che ama continuamente, quella che ama il potere... e uccide il proprio figlio ogni volta che dimostra di non essere in grado di cambiare. – Lily sapeva di essere crudele. E aveva una gran voglia di esserlo. Non le importava come avrebbe reagito Tremotino. Era capace di ucciderla con un semplice gesto della mano. Avrebbe potuto spezzarle il collo o strapparle il cuore dal petto e ridurlo in cenere. Aveva conosciuto Neal, ora lo sapeva. Quando aveva trovato la foto nella scatola dei ricordi di Emma, aveva riconosciuto il ragazzo che l’aveva accompagnata alla fermata dell’autobus quella sera, un ragazzo gentile, che l’aveva aiutata pur non avendo idea di chi lei fosse. Per qualche ragione Bae, come si era presentato, le era rimasto impresso. Non si era mai scordata la sua faccia. Bae. Baelfire. Neal.

L’Oscuro la fissò, sprezzante. Sollevò una mano, in procinto di usare la magia contro di lei. – Non parlare di Belle. E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di provocarmi... non ti conviene.

- Nemmeno a te conviene provocare me. – precisò Lily. I suoi occhi erano dorati. Si sentiva la testa in fiamme e il drago si era appena destato. – Emma si è sacrificata. Io l’ho uccisa. Credevo che stessimo distruggendo l’oscurità, ma a quanto pare... è stato tutto inutile. Tu... l’hai reso inutile. Quindi ora parleremo d’altro. Parleremo di ciò che tu farai per me.

- Perché dovrei fare qualcosa per te?

- Perché in caso contrario potrei dire a Belle che razza di uomo sei. Ho ancora la magia. L’avevo anche prima di diventare un Oscuro. Potrei farcela ad arrivare da lei prima che tu mi uccida. Potrei anche farle del male personalmente. So trasformarmi. Perché no? Non ho più il potenziale oscuro di Emma, ma credo... che questo non cambi la mia natura. Sento di poter fare... cose terribili. - Lily si sporse verso di lui. – E anche se non ci arrivassi, ho lasciato un messaggio sulla segreteria di quegli idioti degli Azzurri mentre venivo qui. Sanno dove mi trovo, ormai. Se sparisco, sapranno che tu sei l’ultima persona che mi ha vista. Vuoi vedere il sospetto negli occhi di Belle? Vuoi... rischiare di nuovo di perderla?

Tremotino sfiorò la lama del pugnale, osservando il proprio nome su di essa. Pensò a Belle, che ancora dormiva, ignara di tutto. Pensò a Neal. E ad Emma Swan che moriva davanti a tutta la sua famiglia.

- Che cosa vuoi da me, Lilith?

 

 
- Nell’Oltretomba? Vuoi andare nell’Oltretomba? – Malefica non credeva alle sue orecchie. – Lily, tu sei sconvolta...

Lily si limitò a scuotere la testa. – Non sono sconvolta. Non lo sono più.

- Non puoi, Lily. Non possiamo. – Sua madre parlava lentamente, come ci si rivolge a chi è in preda a un attacco isterico passeggero, ma preoccupante. – Va contro una delle regole più importanti della magia.

- Chi se ne importa delle regole! – urlò Lily, costringendola a ritrarsi. – Stiamo parlando di Emma!

In cucina calò il silenzio. Tutti la fissavano. Gli Azzurri, Robin, Regina, Henry. Persino Uncino, che se ne stava stravaccato sul divano, con i capelli tutti arruffati, la camicia stropicciata e con il suo alito che sapeva di rum. La fiaschetta vuota era accanto a lui.

- Lily, ci saranno delle conseguenze. – spiegò Malefica.  

- Me la vedrò io con le conseguenze! – ribatté Lily. – Noi... abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E Gold l’ha ingannata... ci ha ingannati tutti! Emma si è sacrificata, ma non è servito a niente. Era una bugia!

- Ma se la riportiamo indietro... qualcuno dovrà morire. – disse Robin, con cautela.

- Emma, a Camelot, mi ha detto che voi due condividete un cuore. – rispose Lily, rivolgendosi agli Azzurri. – Sei morto, o sbaglio?

- Sì, ma quella era una situazione completamente diversa. – commentò David. Neve gli appoggiò una mano sul braccio. – Non so se può funzionare stavolta.

- E voi sareste quelli che non perdono mai la speranza?

- Lily. – riprovò Malefica. – Qui non si tratta di speranza. È nell’Oltretomba che vuoi andare.

- E allora rimanete qui! Rimanete qui... con le mani in mano, a tormentarvi. Vi ricordo che siamo tutti responsabili di quello che è successo! Io intendo andarci! E nessuno me lo impedirà.

Ancora silenzio. Occhiate ansiose.

Uncino si alzò. – Può funzionare?

Regina, seduta su uno sgabello davanti al bancone, si tormentò le mani in grembo. – Sì. Potrebbe funzionare.

No, Regina, state contemplando una strada che non dovete percorrere. Neal è morto, ricordi? Tremotino è tornato, ma Neal è morto. Daniel è tornato, ma le conseguenze sono state terribili.

Mise a tacere quella voce. Il cuore le batteva troppo forte nel petto. Quel bacio, il ricordo delle labbra di Emma premute contro le sue, era così vivido da farle male. Gli occhi verdi di Emma, gli occhi che l’avevano guardata mentre lei reggeva la spada sollevata sopra la testa, erano impressi a fuoco nella sua mente.

“Noi... abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E Gold l’ha ingannata... ci ha ingannati tutti! Emma si è sacrificata, ma non è servito a niente. Era una bugia!”

Una bugia. Era quello che la tormentava. Una bugia. Il sacrificio di Emma ridotto al nulla da quel... mostro di Tremotino. Aveva una gran voglia di strappargli quel suo dannato cuore dal petto...

- Sono disposto a rischiare per Emma. – continuò Uncino.

- Allora andiamoci. – disse Henry. La sua voce suonò incredibilmente adulta. Adulta, ferma, franca, determinata. Chiuse il libro che stava sfogliando da ore senza concludere niente. – Vengo anch’io.

- No. – disse Regina.

- Sì, invece. Emma è mia madre. Non me ne starò qui ad aspettarvi. Ricordatevi che sono l’autore. – replicò Henry.

- Anch’io sono tua madre, Henry.

- Se mi lasciate indietro, troverò un modo per seguirvi.

Lily sorrise.

- Emma non me lo perdonerà mai. – mormorò Regina.

- Ci andiamo tutti. – disse Neve. – Lily ha ragione. Siamo tutti responsabili di quello che è accaduto. Abbiamo tutti delle colpe. E abbiamo bisogno di Emma. Se esiste anche solo una minima possibilità... dobbiamo provarci.

Regina annuì.

- Non posso venire con voi. – intervenne Robin. – Zelena ha portato via mia figlia ed io devo... devo pensare prima di tutto a lei.

Se lo aspettava. Regina immaginava che Robin avrebbe deciso di andare ad Oz per affrontare Zelena e riprendersi la bambina.

- Come pensi di fare? Mia sorella è una strega molto potente.

- Porterò i miei uomini con me. – la rassicurò lui.

- Non basteranno mai.

- Porterò anche quel mago, Knubbin. So che vuole tornare nella Foresta Incantata. Non avrà nulla in contrario.

- Zelena se lo mangerà in un solo boccone, quel mago da quattro soldi!

- Devo andarci. O non rivedrò mai più mia figlia.

Regina decise che era meglio tacere. La verità era che la sua mente era già proiettata verso l’Oltretomba. Per quanto le sembrasse una follia, stava già provando ad elaborare un piano per difendere suo figlio e gli altri dai pericoli che avrebbero certamente incontrato.

- Userò la bacchetta per riaprire il portale. – disse Lily. - Così potrai raggiungere Oz. Sono stata io a rispedirla laggiù. Ed io... rimedierò.

Robin la fissò a lungo, senza dire una parola. Poi accettò.

 

 
Il potere della bacchetta rischiò di schiacciarla, stavolta. A Lily sembrò che fosse in procinto di sfondarle la cassa toracica, mentre esplodeva verso l’esterno e formava non un tornado, ma una porta. La maniglia ruotò da sola sui cardini ed essa si aprì, rivelando il passaggio verso Oz. Knubbin non esitò a gettarsi oltre la soglia; non aveva intenzione di rimanere un minuto di più in quel mondo per lui troppo pieno di cose folli.

Robin aveva affidato Roland alle fate e chiamato a raccolta tutti i suoi uomini. Si sistemò meglio la faretra piena di frecce a tracolla e poi rivolse un sorriso stentato a Regina. Allungò una mano per prendere la sua.

Lily sperava solo che se ne andasse in fretta. Tremotino la stava aspettando. Una parte di lei temeva che se ne fregasse dell’accordo, temeva che avrebbe trovato un modo per venire meno ai patti e per  evitare anche che parlasse con Belle. Era l’Oscuro. Non solo, possedeva il potere di tutti gli Oscuri. Compreso il suo e quello di Emma.

“Non parlare di Belle. E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di provocarmi... non ti conviene”.

Quando giunsero al lago, però, Tremotino era là, ad aspettarli, con il pugnale in mano. Era sera. La nebbia scivolava lungo lo specchio d’acqua. In cielo, la luna sbirciava attraverso una ammasso di nuvole.

- Sei sicura? – chiese Tremotino, appoggiandosi la lama sul palmo della mano.

- Sì. Ti dispiace sbrigarti? – rispose Lily.

Lui annuì e si procurò un taglio. Aprì il pugno, lasciando cadere le gocce di sangue nel lago. Un’onda si espanse, raggiungendo la riva opposta e agitando leggermente l’acqua scura.

Per qualche istante non accadde nulla. L’aria era immobile. Lily avvertiva i respiri pesanti delle persone dietro di lei. Regina era accanto a suo figlio. Gli Azzurri si stringevano l’uno all’altra. Uncino se ne stava in disparte, meditabondo. In attesa.

Poi il lago mandò un lungo sospiro, come se fosse stato una cosa viva, e il passaggio si aprì. Il fumo bianco che Lily ricordava inondò il lago e da esso sbucò la barca di Caronte, con il traghettatore che la sospingeva in avanti usando il lungo bastone. Le fiamme che circondavano gli occhi del demone si fecero più intense e minacciose.

Tremotino avanzò, camminando sul sentiero invisibile che conduceva fino al centro del lago. Lily e gli altri lo seguirono.

Il vento si levò, fischiando brevemente attraverso gli alberi e inducendola a guardarsi intorno, inquieta. Malefica le mise una mano sulla spalla, stringendo appena, e Lily si sentì in qualche modo rincuorata.

Ti riporteremo indietro, Emma, pensò, mentre Tremotino metteva piede sull’imbarcazione di Caronte. Non importa che cosa dovremo fare per riuscirci. Noi ti riporteremo indietro.

 

___________________

 

 

Angolo autrice:

Eccoci giunti all’epilogo.

Ringrazio tantissimo tutti quelli che l’hanno seguita e commentata, ma anche chi l’ha seguita in silenzio, chi l’ha aggiunta alle preferite e alle ricordate.

La storia prevede un seguito, ovviamente.

Solo un appunto: per quanto riguarda la citazione iniziale, presa da Ovidio, non sono sicura che la traduzione sia corretta. Non ho mai studiato né greco né latino, quindi ho cercato un po’ di traduzioni del mito di Orfeo ed Euridice e questa mi è sembrata bella. Ma ripeto: se esistono traduzioni migliori, segnalatemele pure.


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