The Lost Hero di Stephanie86 (/viewuser.php?uid=131302)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** 1. ***
1
“No!”,
urlò Regina. L’oscurità
l’avvolgeva e le turbinava intorno, preparandosi ad...
offuscarla. La sentiva
serpeggiarle addosso, sentiva che stava cercando il modo per entrare
dentro di
lei. “Ci deve essere un altro modo!”
“Non
c’è. Hai faticato troppo per
vedere la tua felicità distrutta”.
Non
poteva farlo. Regina non voleva
che lo facesse.
Emma
si voltò verso Uncino e i suoi
genitori. “Già una volta mi avete salvata
dall’oscurità. Lo farete di nuovo! Da
eroi”
-
Basta. Ti stai rendendo ridicola e noi stiamo perdendo tempo!
– La voce di
Uncino ebbe lo stesso effetto che avrebbero potuto avere le unghie che
sfregano
contro una lavagna.
-
Sta a guardare. So cosa sto facendo! – gli rispose Regina,
agitando la
bacchetta dell’Apprendista.
-
Non è abbastanza! Abbiamo bisogno
dell’oscurità e tu ti sei rammollita!
Regina
abbassò il braccio e lo fissò, furente. Il sangue
le rombava nelle orecchie
così forte da stordirla. Le rombava nelle orecchie da quando
aveva capito le
intenzioni di Emma. Da quando aveva capito che Emma intendeva
sacrificarsi
perché lei non perdesse il suo lieto fine. Tuttavia
detestò il pirata. Lo
detestò con tutte le sue forze. – Vuoi vedere
qualcosa di molle? Perché non
usiamo quell’uncino per tirarti fuori le budella?
Uncino
tentò di fermarla. Ma Emma
non si fermò. Emma non poteva fermarsi. Gli disse che lo
amava e poi si spinse
verso il vortice. Allungò il braccio, protendendo il pugnale
dell’Oscuro.
L’oscurità
abbandonò Regina all’istante
e si riversò addosso ad Emma. Le strisciò sul
braccio come un serpente ansioso
di accaparrarsi la sua preda, glielo cinse e infine si gettò
completamente
sulla sua nuova ospite.
Uncino
venne ancora più vicino, alitandole in faccia una zaffata di
respiro che sapeva
di rum. I suoi occhi azzurri dardeggiavano e un ciuffo di capelli scuri
gli era
ricaduto sulla fronte. – Hai la forza, tesoro... ma non
l’oscurità. Non più.
Non
l’oscurità. Non più.
Regina
avrebbe davvero voluto mostrargli che, se qualcuno l’avesse
messa alla prova,
avrebbe potuto fare molto male.
Regina
ebbe modo di cogliere ancora
qualcosa, prima che lei scomparisse del tutto. I capelli biondi che le
fluttuavano intorno al viso, disordinatamente, l’ultimo
barbaglio dei suoi
occhi verdazzurri...
Perché
non usiamo quell’uncino per
tirarti fuori le budella?
La
Regina Cattiva relegata in qualche buio angolo della sua mente aveva
sorriso,
compiaciuta, ma adesso...
-
Per quanto possa sembrare ironico, hai fatto troppe cose buone
– le fece notare
Uncino, puntandole contro un dito. – No... abbiamo bisogno di
qualcuno più...
malvagio.
Infine
l’oscurità cancellò
definitivamente la Salvatrice e si sollevò, portandola con
sé. Si sollevò in
alto, continuando a vorticare, tempestosa.
Poi
un lampo finale ed essa
scomparve.
Il
pugnale cadde al suolo.
Impresso
sulla lama ondulata, come
una minaccia, il nome Emma Swan.
-
No! – disse Regina, sbigottita. – No, no... non mia
sorella! Non è solo
malvagia, è una pazza scellerata.
-
Vale la pena rischiare per Emma. Si è sacrificata per voi, Maestà – La
voce di Uncino era bassa e roca. – Perché pensava
che la Regina Cattiva potesse diventare buona, non è vero?
Le devi qualcosa.
Ripaga il favore.
Ripaga
il favore?, pensò
Regina. Improvvisamente la sua non era più soltanto furia.
Provava un bisogno
quasi crudele di scagliargli addosso quelle parole. Ripaga
il favore, dici? È facile per te dire di ripagare il favore,
vero? Non eri tu quello in procinto di essere risucchiato
dall’oscurità. Non
eri tu quello che sarebbe diventato il nuovo Signore Oscuro se non
fosse stato
per Emma. Non sei tu quello che sente il peso delle sue azioni! Tu sei
soltanto
il pirata rammollito al quale la Salvatrice ha confessato il suo amore
prima di
sacrificarsi per la persona che una volta odiava e che ha cercato di
ucciderla!
Un attimo prima era lì, davanti a me, un attimo dopo ha
usato il pugnale per
attirare l’oscurità. Ma sai che cosa ti dico?
Scommetto che adesso non ha più
tanta voglia di confessarti il suo dannato amore. Scommetto che la
prima cosa
che farà quando ti vedrà sarà
strapparti il cuore dal petto e usarti come
pupazzo! Non gliene importerà più niente del tuo
grande amore, perché quello
non la salverà mai! E se lo farà io non la
fermerò, io lascerò che lei si
prenda il tuo cuore e lo stritoli... E nella sua mente tutto
ricominciò da
capo: Emma con il pugnale in mano, la sua determinazione, quegli occhi,
ricordava quegli occhi come se non vi fosse stato nient’altro
da vedere in quel
momento...
“Hai
faticato troppo per vedere la
tua felicità distrutta”.
Ed
Emma aveva distrutto la sua. L’aveva distrutta per preservare
quella della
donna che un tempo aveva combattuto.
-
Credo che tu non riesca più a ragionare lucidamente
– continuò Uncino. – Sai
benissimo che tua sorella è abbastanza malvagia da attivare
quella bacchetta.
Prenderemo delle precauzioni.
Regina
si riscosse, agghiacciata dai suoi stessi pensieri. - Quali
precauzioni?!
Quali, Capitan Mascara? Sei sicuro di ricordarti di chi sia Zelena?
-
Proprio perché me lo ricordo so che dobbiamo provarci!
-
Mia sorella avrà preso delle precauzioni a sua volta. Non
occorre essere un
genio per intuirlo. Perché attivi la bacchetta è
necessario rimuovere il
bracciale che inibisce i suoi poteri. E sappiamo che Zelena non
rispetterà
alcun patto! – Stringeva ancora quella dannata bacchetta.
Dentro di sé sapeva
che Zelena poteva essere una soluzione, ma non avrebbe mai potuto
affidarle un
simile oggetto.
-
Basta così! – intervenne Neve.
Regina
e Uncino si voltarono, sorpresi di udire la sua voce. David
sobbalzò, colto
alla sprovvista a sua volta.
-
Non abbiamo bisogno di questo. Abbiamo bisogno di focalizzarci su
quello che
conta davvero e quello che conta è Emma. - Il suo tono
sembrava assolutamente
controllato. Parlava così come avrebbe potuto parlare ad un
gruppo di persone
che avevano perso l’orientamento e non facevano altro che
girare in tondo, come
degli idioti. Ma sotto la superficie c’era qualcosa che
ribolliva. Sotto la
superficie, Biancaneve era fuori di sé. – Emma
vorrebbe che restassimo uniti ed
è quello che faremo. Resteremo uniti. Queste discussioni non
ci condurranno da
lei. Regina ha ragione. Zelena potrà anche sapere come
azionare la bacchetta,
ma è troppo pericoloso rivolgersi ad una strega
così potente. Dobbiamo trovare
qualcun altro.
-
E chi? Avete un’idea migliore? – domandò
Uncino, agitando l’unica mano che gli
era rimasta.
-
Sì, ce l’ho. – ribadì Neve.
David
la scrutò, preoccupato.
-
C’è qualcun altro che può attivarla. Ma
dobbiamo sbrigarci. Quindi andate da
Zelena e cercate di scoprire tutto su questa bacchetta. Ci
servirà qualcosa per
arrivare direttamente ad Emma. – Neve strinse di
più il suo bambino tra le
braccia. Neal mosse leggermente i piccoli pugni chiusi. Dormiva.
Dormiva
beatamente, ignaro di tutto. Lui non aveva grandi preoccupazioni. Non
ancora.
Doveva solo chiedere. O meglio, doveva solo piangere per avere
ciò che
desiderava.
-
Chi è? Di chi si tratta? Sputate il rospo, mammina.
– disse Uncino.
-
Mi sorprende che tu me lo stia chiedendo. Andate da Zelena e quando
avrete
scoperto quello che ci serve, mi raggiungerete. Vi dirò io
dove.
Secondo
Zelena, perché la bacchetta li conducesse da Emma avrebbero
dovuto usare
qualcosa che le apparteneva, qualcosa di molto importante per lei.
La
coperta.
Regina
pensò alla coperta, certo. E pensò al maggiolino
giallo. Ma il maggiolino non
era fattibile. Non sapeva guidarlo.
“Dovevi
prenderlo proprio giallo?”
“Mi
piace il giallo. E poi l’ho
rubato”.
E
la coperta... l’aveva sempre avuta. La coperta era
estremamente importante per
Emma.
Andò
a prenderla, mentre gli altri raggiungevano Biancaneve. Robin la
seguì, ma non
parlò di niente. Sembrava volerla sostenere in silenzio.
L’appartamento
in cui Emma viveva... aveva vissuto
con i genitori era vuoto. Naturalmente. Ma il silenzio che
l’accolse quando vi
mise piede la sconcertò. Era un silenzio strano, un silenzio
pieno di domande e
di attese. Un silenzio inquietante, persino. Si aspettava quasi di
vedere Emma
sbucare da dietro un angolo, scendere le scale o entrare in casa come
se nulla
fosse accaduto.
-
Ti aiuto a cercarla – disse Robin, riferendosi alla coperta.
In
realtà Regina impiegò ben poco tempo a trovarla.
Era in una scatola posata sul
fondo dell’armadio nella stanza di Emma. Sollevò
il coperchio e vide il nome
viola cucito sul tessuto bianco e morbido che
un’eternità prima aveva avvolto
una neonata. La neonata che lei avrebbe voluto catturare ed eliminare
perché
non spezzasse la sua maledizione. Quella neonata che era tornata ed ora
si era
sacrificata per impedire all’oscurità di
insediarsi in lei, trasformandola nel
nuovo Oscuro.
Ciò
non fece altro che accrescere il senso di irrealtà e
disorientamento. E la
forza di quel sentimento era così forte da terrorizzarla.
“No!
Ci deve essere un altro modo!”
“Non
c’è. Hai faticato troppo per
vedere la tua felicità distrutta”.
In
modo incerto, le sue dita sfiorarono le E sulla coperta.
L’indice tracciò le
quattro lettere del nome della Salvatrice.
-
Regina, di sotto non c’è. Ho cercato...
Lei
sobbalzò, colta alla sprovvista dalla voce di Robin.
-
Oh, l’hai trovata – L’uomo sorrise. Poi
aggrottò un sopracciglio e domandò,
impensierito: – Regina, ti senti bene?
-
Certo – rispose, prendendo la coperta. La debolezza la
inondò da capo a piedi,
ma dopo un attimo si dileguò del tutto. – Certo,
sto bene.
Robin
si avvicinò e le appoggiò una mano sul braccio.
– Vedrai. Troveremo anche Emma.
Quando
la strega cominciò ad urlare, la guardia di turno si
precipitò verso la cella e
guardò dalla finestrella per capire che cosa stesse
succedendo.
-
Non apra – gli disse l’infermiera incaricata di
portarle il pranzo. Reggeva il
vassoio con i piatti coperti. Roteò gli occhi. –
Sarà una delle sue
sceneggiate. Quella donna è pazza. Il sindaco ha detto di
fare attenzione.
-
Credo stia male. – disse la guardia. Dalla sua posizione
poteva vedere Zelena
inginocchiata sul pavimento della cella. Si stringeva la pancia e
intanto
gridava aiuto. La sua voce era talmente acuta da rischiare di ferirgli
i
timpani.
L’infermiera
guardò a sua volta. L’uomo armeggiò con
le chiavi della cella e aprì la pesante
porta con un paio di violente mandate.
-
Ha bisogno di aiuto? – domandò la guardia,
avvicinandosi con molta cautela.
Zelena
rantolò qualcosa. La sua faccia, in parte nascosta dai
capelli rossi, era una
maschera di dolore. – Il... bambino... aiutatemi.
-
Chiami il ginecologo – ordinò
l’infermiera.
La
guardia afferrò la radio appesa alla cintura. Sapeva quali
erano le istruzioni.
Regina Mills aveva chiesto esplicitamente che la sorella venisse
monitorata
spesso da un ginecologo e che, in caso di emergenza, avrebbe dovuto
esserci
qualcuno a controllare che Zelena si comportasse bene. Non possedeva la
magia,
grazie al bracciale agganciato al suo braccio, ma la sua mente era
sempre al
lavoro. Non ci si poteva fidare di lei.
La
guardia si scordò di tutte quelle istruzioni. Il suo primo
impulso era stato
quello di soccorrere una donna incinta e in evidente
difficoltà. Il suo primo
pensiero era stato: se perde il bambino,
il sindaco mi ucciderà.
Fu
una questione di pochi secondi.
Zelena
allungò una mano, afferrò il tessuto della
camicia azzurra dell’uomo come un
naufrago che cerca disperatamente un appiglio mentre è in
balia delle onde. Ma
l’altra guizzò fulminea verso il calcio della
pistola, lo prese e prima che lui
avesse il tempo di reagire aveva già estratto
l’arma e sparato un colpo. Toccò
alla guardia urlare. Crollò sul pavimento della cella con
gli occhi fuori dalle
orbite e il volto paonazzo, mentre una macchia di sangue si allargava
sotto di
lui, ferito alla coscia. La strega lo colpì in testa.
Infine
Zelena puntò la pistola contro l’infermiera, che
aveva lasciato cadere il
vassoio. Il suo pranzo era sparso un po’ ovunque.
-
Cosa sarebbe questo? Dove sono i miei anelli di cipolla? –
domandò la strega,
scostandosi qualche ciuffo di capelli dalla faccia e puntando i suoi
occhi
azzurri e folli sui broccoli e sul liquido, che era verde come lo era
stata la
sua pelle nella Foresta Incantata.
-
Cibo biologico. – rispose l’infermiera, tenendo le
mani bene in vista. – Ordini
di sua sorella.
-
Mia sorella. Mia sorella! – Zelena rise di gusto. Poi la
fissò, furente. –
Prendi le chiavi della cella.
L’infermiera
fece come le era stato ordinato e le tese il mazzo di chiavi. Zelena se
ne
impossessò e poi raccolse un broccolo da terra. Lo
lanciò alla donna, centrandola
sul naso.
-
Godetevi le comodità della mia stanza – disse,
dirigendosi verso l’uscita. - E
dite alla mia sorellina che le donne incinte non hanno bisogno di cibo
biologico! Ma del resto... non mi sorprende che non lo sappia!
Rise
di nuovo e li chiuse nella cella.
-
Per mille diavoli, che cos’è questa roba?
– esclamò Uncino, quando arrivò dove
Neve aveva detto loro di incontrarsi.
-
Beh, direi che è... rock – suggerì
David, osservando la finestra aperta al
secondo piano con le mani sui fianchi.
La
musica sparata a tutto volume era un’ondata di parole
incomprensibili, cantate
da un tizio che a Regina sembrò un altro pazzo scellerato in
procinto di
rigurgitare e che aveva deciso di riversare la sua personale follia
nelle
canzoni. La sua irritazione salì quasi oltre il livello di
guardia. Strinse più
forte la bacchetta che aveva ancora con sé.
-
Non è rock. È metal. Sono i Rammstein.
– li corresse Henry. – Beh... in realtà
non lo so bene. Forse è anche hard rock.
Regina
si voltò verso il figlio, sconcertata. Quando Henry
l’aveva chiamata per dirle
che voleva unirsi a loro, non si era sentita sorpresa. Da una parte non
avrebbe
mai voluto che lui venisse. Non avrebbe mai voluto che... vedesse Emma nella sua nuova forma.
Qualunque fosse la nuova forma.
Né tantomeno avrebbe voluto che la vedesse compiere qualche
azione terribile.
Perché era ciò che bisognava aspettarsi
dall’Oscuro. Un’oscurità così
grande
poteva portarti a compiere atti tremendi. Non era sicura di essere
pronta lei
per prima. Ma Henry era anche il figlio di Emma. Henry non poteva
essere
lasciato indietro, ad aspettare e basta.
-
Hai la coperta – Quella di Neve non era una domanda. Il suo
sguardo si posò
dolcemente sulla coperta bianca.
-
Sì. – disse Regina. – Avevo pensato al
suo maggiolino, ma non sono molto brava
a guidarlo.
Neve
sorrise.
-
Dunque... davvero possiamo fidarci di una ragazza che voi avete
maledetto e che
pochi giorni fa ha cercato di abbrustolirvi? – chiese Uncino.
-
Non abbiamo molta scelta. Se non vogliamo ricorrere a Zelena, Lily
è l’unica
possibilità. – rispose la madre di Emma, ora in
tono più risoluto.
-
E se non funzionerà?
-
Funzionerà. – tagliò corto Neve,
dirigendosi verso l’ingresso.
In
caso contrario troverò un’altra
soluzione, pensò
Regina. Devo trovarla. Non darò
questa soddisfazione a quella maledetta di mia
sorella. E se non esiste una soluzione alternativa... dovrò
inventarmi qualcosa
che tenga a bada Zelena.
Entrarono
nell’androne e salirono le scale, in silenzio, ognuno immerso
nei propri
pensieri.
David
bussò alla porta. Due colpi decisi. Attesero.
Il
pazzo scellerato continuò a cantare e nel volume non vi fu
alcuna variazione.
Regina
venne avanti, facendo in modo che David si levasse dai piedi e
bussò a sua
volta, più forte. Era pronta a scardinare la porta con la
magia se fosse stato
necessario. Anzi, più probabile che avrebbe dovuto agire
così fin da subito.
-
Mal, sei tu? – gridò Lily.
No,
non sono tua madre. Spegni e
apri questa porta, idiota.
Il
volume si abbassò notevolmente.
Come
siamo arrivati a questo
punto?, si
chiese Regina. Com’è
possibile che siamo davvero arrivati a questo punto?
Neve
le lanciò un’occhiata, come se avesse intuito
ciò che stava pensando.
Poi
la porta si aprì e Lily si ritrovò a guardare sei
facce tutte rivolte a lei. La
figlia di Malefica li osservò con la fronte aggrottata e
quel cipiglio
aggressivo che la contraddistingueva. Indossava una maglietta nera e
piuttosto
usata con il nome di qualche altro gruppo folle come quello che stava
ascoltando, un paio di jeans neri ed era scalza. Regina
pensò, non per la prima
volta, che non assomigliava affatto a sua madre. Quando mutava in drago
era
identica a Malefica, ma ora no. C’era qualcosa nel modo di
guardare la gente,
però... forse qualcosa nel modo in cui piegava le labbra che
le ricordava la
madre.
-
Uhm... beh, salve. – disse, non molto convinta.
-
Dobbiamo entrare. Abbiamo bisogno di parlarti –
tagliò corto Regina.
-
Se è per quella faccenda... –
rispose
Lily, riferendosi al fatto che si era tramutata in drago e aveva quasi
cotto
Neve e Azzurro. – Ci lavorerò su. Mia madre sta
venendo qui apposta per...
-
Non siamo qui per questo – disse Neve.
-
E allora per cosa?
-
Devi aiutarci. È successa una cosa ad Emma.
_________________________
Angolo
autrice:
Ecco
la mia nuova storia. Trattasi del mio primo esperimento con una long
che segue
la serie originale.
Come
avrete capito, l’introduzione di nuovi personaggi
cambierà gli eventi narrati
nella prima parte della 5°stagione. Alcune cose si manterranno
tali e quali.
Altre varieranno. Ci saranno cambiamenti notevoli. Il mio disappunto
per l’esclusione
di certi personaggi/ship/storylines da questa prima parte di stagione
era
troppo grande e non ho potuto controllarlo. ^_^
Spero
vi piaccia!
Ringrazio, inoltre, Lara Zarina Neimann per il bellissimo banner
|
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Capitolo 2 *** 2. ***
2
“Sono
atterrita da questa cosa oscura
Che mi
dorme dentro;
Avverto
tutto il giorno il suo torcersi lieve e
delicato, la sua malignità”
[Sylvia
Plath]
Massachusetts. Due anni prima.
“Dove
sono i soldi?”
“Io...
non...”
“La
domanda è molto semplice,
amico. Dove diavolo sono i soldi? Sappiamo che in questa casa
c’è un bel
gruzzolo. Quindi muoviti”.
Doveva
essere una cosa facile.
Un
colpo studiato per raggranellare
un po’ di denaro.
Ognuno
avrebbe avuto la sua parte e
sarebbe finita lì. Niente complicazioni.
Lily
aveva già rubato. Non in una
casa così grande, ma l’aveva fatto. La prima volta
era andato tutto storto.
Aveva dovuto nascondersi (nel garage della famiglia adottiva di Emma,
tra
l’altro), ma solo perché era inesperta, era una
ragazzina e i due tizi che
avevano organizzato la rapina erano disorganizzati. Uno di loro le
aveva
piazzato in mano una pistola e nessuna l’aveva avvisata di
ciò che stava per
accadere.
Il
ragazzo che era con lei quella
sera sembrava più preparato. Aveva già fatto
qualche grossa rapina. Si chiamava
Murphy. O almeno, quello era il nome con cui si era presentato, ma
immaginava
che non fosse quello vero. Non era certo un problema, dato che anche
lei usava
un nome falso.
“Ho trovato la
cassaforte”, disse Lily. Il
passamontagna era un po’ stretto e aveva caldo. I suoi occhi
scrutarono la
cassaforte a muro.
“Bella
grande?”, chiese Murphy.
“Abbastanza”.
“Sgancia
la combinazione. Adesso”.
Il
tizio e sua moglie erano
abbastanza terrorizzati da non opporre la benché minima
resistenza. Rannicchiati
sul divano, fissavano il tizio che li minacciava con una pistola.
L’uomo
sganciò la combinazione,
balbettando.
“La
tua data di nascita. Ma che
puttanata. Sai che se fossi morto d’infarto avrei cominciato
da quella?
Scegline una più difficile, la prossima volta”.
Murphy gridò la sequenza di
numeri a Lily.
“Non
sono sorda. Ho capito”,
commentò lei, mentre pigiava i tasti. Pochi secondi dopo la
cassaforte si aprì
con uno scatto.
“Visto?
Abbiamo quasi finito. Via
il dente, via il dolore!”
Lily
roteò gli occhi e mise il
denaro che trovò nella cassaforte nel sacco che le aveva
dato Murphy. Lo fece
in fretta, dicendosi che ce n’era abbastanza per tutti e due.
Abbastanza per
filare via. Per trovarsi un altro posto dove stare. Magari qualche
posto un po’
più isolato, dove lei non avrebbe perso il controllo, dove
non ci sarebbe stato
nessuno che avrebbe rischiato di diventare la vittima di tutte le sue
scelte
sbagliate.
“Svignamocela”,
suggerì Lily,
mentre già si avviava verso la porta sul retro.
Murphy
non si mosse. “Mi diverte un
sacco vedere quelli come te in mutande. Mi ricordi mio padre, non so se
te l’ho
detto”.
“Murphy,
sbrigati!”
Poi
sentirono le sirene. Auto della
polizia in avvicinamento.
Lily
si rese conto che erano
davvero in un mare di guai. Gli occhi di Murphy dietro al passamontagna
si
allargarono in maniera spropositata.
“Hai
chiamato la polizia?!”, gridò,
puntando la pistola.
Il
padrone di casa aveva i capelli
grigi e scompigliati, era pallido come ricotta e rigido come un palo.
Sua
moglie singhiozzava.
“Rispondimi,
figlio di puttana!”.
Spinse la canna contro la sua faccia.
Lily
era pronta ad andarsene senza
di lui. Poco gliene importava di Murphy. Non aveva la minima intenzione
di farsi
beccare e le sirene dannate erano sempre più vicine.
“C’è...
l’allarme. È collegato...
alla centrale di polizia...”, farfugliò
l’uomo, scostando il viso per sfuggire
alla pistola.
“L’ho
disattivato! Il cazzo di
allarme l’ho disattivato prima di entrare in questa fottuta
casa!”
Lily
si diresse verso il retro.
“Ce
n’è un altro... era...”
Murphy
gli sparò.
***
Storybrooke.
La sera prima.
“Vuoi
trovarlo?”, disse Emma,
riferendosi al padre di Lily.
“Ti
dispiace se resto in città per
cercarlo?”, domandò lei.
“No,
è un’ottima idea”.
Anche
Lily credeva fosse un’ottima
idea. Aveva detto a Malefica che sarebbe rimasta per un po’ e
sua madre l’aveva
abbracciata, sentendosi immensamente felice.
Ma
non appena mise piede nel suo
appartamento, Lily venne colpita da una strana sensazione. Una forma
densa e
gelida di inquietudine.
Accese
tutte le luci e fece il giro
delle stanze, assicurandosi che ogni cosa fosse esattamente come
l’aveva
lasciata quando era uscita. E lo era, in effetti. Non c’era
nulla fuori posto. Nessuno
era entrato di nascosto mentre lei non c’era.
Eppure...
Si
fermò, raggelata, guardandosi
intorno con meraviglia e domandosi che cosa diavolo le avesse preso.
Prese il
ciondolo e lo strinse forte. Il pezzo dell’uovo di drago da
cui era uscita le
sembrò molto più solido, consistente.
Non
c’era niente che non andasse in
casa. Era qualcosa... che ruotava intorno a lei. Anzi, dentro di lei.
Il cuore
le batteva all’impazzata e la cute era fredda,
improvvisamente troppo scarsa
per ricoprire il cranio. Avvertiva un peso al centro del petto, come se
l’oscurità che aveva sempre portato con
sé si stesse condensando in un punto,
come se stesse cambiando forma.
Non
avvertiva dolore.
Era
molto più intenso del dolore.
Forse
l’oscurità stava rompendo gli
argini, quasi fosse stata un fiume vorticoso che, a furia di essere
alimentato,
alla fine straripava, inondando ogni cosa.
Il
mondo si inclinò brutalmente da
un lato e Lily barcollò. Incontrò il bordo del
tavolo e vi si aggrappò per non
cadere.
Le
occorse qualche minuto per
riprendere il controllo. Aveva ancora il ciondolo stretto nella mano
destra.
Da
qualche parte, una finestra
lasciata aperta cigolò e si chiuse, sbattendo.
Lily
fece un salto e per poco non
cacciò un urlo.
***
Storybrooke.
Il giorno dopo.
Il
pugnale con il nome di Emma impresso sulla lama era sul tavolo della
cucina e
sembrava occhieggiare i presenti.
Tutti
tacevano.
Per
qualche momento lo stupore impedì a Lily di reagire. Aveva
l’impressione che
fosse tutto assurdo. Aveva visto Emma solo la sera prima e avevano
parlato
della sua collana, del fatto che avrebbe potuto condurla da suo padre.
Era
proprio quello che aveva in mente di fare. Lasciare che sua madre le
insegnasse
ad essere un drago feroce e spaventoso... e possibilmente in grado di
controllarsi. Poi avrebbe dato un’occhiata in giro. Non
sapeva se suo padre
fosse a Storybrooke. Era anche possibile che si trovasse nella Foresta
Incantata e che fosse ignaro di tutto, ma avrebbe comunque fatto
qualche
indagine.
E
adesso...
Le
stavano davvero dicendo che Emma... era il nuovo Signore Oscuro?
E
ne sono davvero così sorpresa?
Ripensò
alla terribile sensazione provata la sera prima. Alla sensazione
raggelante che
l’oscurità stesse cambiando forma dentro di lei,
che la stesse divorando.
Non
la stava divorando. Forse stava cambiando
sul serio. Perché Emma, la sua legittima proprietaria, era
cambiata.
Lily
sollevò lo sguardo, incrociando quello di tutti gli altri.
Poi allungò una mano
verso il pugnale.
Regina
l’afferrò per il polso. – No.
Lei
ritirò il braccio, sciogliendo la presa. – E
perché siamo qui? Cosa dovrei fare
io?
-
Aiutarci ad aprire un portale. Che ci condurrà da Emma.
– Regina le mostrò la
bacchetta, deponendola accanto al pugnale.
-
Io dovrei usare la magia per attivare la bacchetta? Non so nemmeno
controllare
la mia trasformazione. E dovresti saperlo bene!
-
Già. Una bella osservazione – commentò
Uncino.
Regina
ignorò il commento. – L’Apprendista...
ci ha detto che nella bacchetta è
contenuta la luce. Ma per attivarla servono... tutte e due le facce
della
medaglia.
-
Quindi serve oscurità. La mia – Lily
aprì il palmo, quello che Regina aveva
tagliato per procurarsi il sangue che sarebbe stato utile
all’Autore. Il taglio
non c’era più, perché Malefica
l’aveva guarito. Ma lei espose comunque la mano
per ricordarglielo.
-
Vedila in questo modo. Hai sempre pensato di essere stata maledetta.
– Regina
si sporse in avanti. Dietro di lei David e Neve si scambiarono
un’occhiata. – E
avevi ragione. Il potenziale oscuro che hanno trasferito dentro di te
ti ha
procurato non pochi guai. Adesso è giunto il momento di
usare quell’oscurità
per fare del bene. Per trovare Emma.
-
La mia oscurità non fa del bene. È pericolosa.
Forse
ora che Emma è cambiata... lo
è più di prima.
-
Unita alla luce custodita nella bacchetta farà esattamente
ciò che deve fare.
Aprirà il passaggio che ci condurrà da Emma.
– Lo sguardo di Regina era scuro e
determinato. – Prendi la decisione giusta, Lily. So che puoi
farlo.
***
Massachusetts.
Due anni prima.
“L’hai
ammazzato, Murphy”, disse
Lily, mentre la macchina, una vecchia Chevrolet rubata, sfrecciava
lungo le
strade a quell’ora praticamente deserte.
Il
suo complice sedeva accanto a
lei con una sigaretta infilata tra le labbra, gli occhi arrossati che
si
limitavano a guardare fuori dal finestrino senza vedere nulla di
particolare.
Non aveva detto una parola da quando erano fuggiti da quella casa,
correndo più
veloci che potevano. Avevano raggiunto la macchina e Lily aveva messo
in moto
quando Murphy non aveva ancora chiuso la portiera. Ormai Lowell e la
contea di
Middlesex erano lontane quasi un centinaio di chilometri.
Nessun’auto della
polizia in vista. Nessuna notizia alla radio. Non ancora. La stazione
su cui
erano sintonizzati stava trasmettendo un vecchio successo country di
Johnny
Cash.
‘Born
to lose, I’ve lived my life in vain. Ev’ry dream
has only brought me pain...’
“Non
era così che doveva andare.
Avevi detto che sarebbe stato un lavoro facile e pulito. Che non ci
sarebbe
nemmeno stato bisogno di usare la pistola!”
“Ma
stai un po’ zitta, cazzo!”
“Perché
l’hai ucciso? Non faceva
parte del piano!”
‘All
my life I’ve always been so blue. Born to lose and now
I’m losing you’
Murphy
si voltò di scatto verso di
lei. “L’ho ucciso perché mi ha
fregato!”
“Oh,
no! La colpa è solo tua.
Avresti dovuto sapere di quel secondo allarme”.
“Ho
studiato la casa e il
circondario per giorni!”
“Allora
non l’hai studiata
abbastanza!”
“Guarda
la strada. Se facciamo un
incidente siamo fregati per davvero. E poi quello che conta sono i
soldi, no?
Li abbiamo. Punto. Il colpo è andato bene.
C’è un bel gruzzolo. Non me ne
aspettavo così tanti”.
Guidò
ancora per una quindicina di
chilometri, contraendo la mascella e cercando di controllare la voglia
di
strangolare Murphy. Poi superò un cartello con la scritta:
AREA DI SERVIZIO. 2
KM. E si rese conto che il serbatoio era quasi vuoto. La spia della
riserva era
già accesa. Johnny Cash aveva finito di ricordarle quanto
fosse incasinata la
sua vita.
“Dobbiamo
fermarci. Siamo a secco”,
annunciò Lily.
“Se
l’area di servizio non è vuota
non ci pensare neanche. Non mi interessa quanto siamo lontani, meglio
proseguire fino alla prossima. L’auto
reggerà”.
L’area
di servizio era deserta.
Forse ciò era anche dovuto al cartello che recitava: DIVIETO
DI SOSTA NOTTURNA
PER CAMPER, CAMION E FURGONI. Quindi parcheggiarono e scesero. Erano le
cinque
e quindici.
Lily
andò a controllare i
distributori di benzina, mentre l’altro si dirigeva verso i
bagni. Non sembrava
più nervoso. Probabilmente non aveva progettato
l’omicidio, ma non l’aveva
nemmeno escluso. O forse... non era il suo primo omicidio,
perciò ci aveva
fatto l’abitudine. Lily, dal canto suo, era furente. Qualcosa
nella sua testa
batteva forte, batteva come un maglio. Non riusciva a rilassare i
muscoli e
mentre prendeva la pompa di benzina per infilarla nella bocca del
serbatoio le
sue mani tremavano. Sentiva l’oscurità,
quell’oscurità che l’accompagnava da
sempre, salire da dentro, dall’abisso profondo, come una
creatura affamata.
Avrebbe
dovuto saperlo. Avrebbe
dovuto saperlo che sarebbe finita così.
Finiva
sempre così. Finiva sempre
male.
‘Perché
non provi a fare scelte
migliori?!’
“Stai
zitta”, sibilò, dando uno
strattone alla pompa. “Stai zitta anche tu”.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Non è una buona idea, vero? – sussurrò
Uncino ad Henry, riferendosi a Lily e a
quello che stavano facendo con la bacchetta.
-
E perché no? Lily era un’amica di Emma e ha...
sai, una parte di mia madre
dentro di sé. Che altro potrebbe servirci?
-
La tua penna. – Ci pensava praticamente da quando era
successo. Il ragazzino
era il nuovo Autore. Significava che aveva il potere di cambiare le
cose. Di riscriverle. L’aveva
già fatto,
riportandoli indietro da quella realtà alternativa in cui
lui non era altro che
un mozzo allergico al rum, incapace di battersi e soprattutto
impacciato con le
donne. Doveva esserci un modo per riscrivere ciò che era
accaduto e riportare indietro
Emma. Risistemare quel maledetto disastro. –
Dov’è la penna? Ce l’hai con te?
-
Beh... – iniziò Henry.
-
Potresti usarla. Usala per cancellare l’oscurità e
salvare Emma.
-
Non ce l’ho più, la penna. L’ho rotta.
Uncino
lo guardò, rabbuiato. Per una frazione di secondo
provò il forte impulso di
afferrare Henry per il colletto della giacca. - Tu... cosa?
-
Era troppo potente. Hai visto che cos’è successo
all’Autore. Lui...
Vi
fu un colpo secco, di una porta che veniva sbattuta e poi Malefica fece
il suo
ingresso nell’appartamento. Rivolse ai presenti una lunga
occhiata
interrogativa. Poi vide il pugnale e la bacchetta.
-
Che cosa sta succedendo qui dentro? – chiese sua madre.
Nessuno
rispose. Lily stringeva la bacchetta.
-
Che cos’è quella?
Regina
era già abbondantemente stufa di mettere al corrente
chiunque di ciò che era
accaduto. E tuttavia dovette farlo.
-
Il succo di questa storia è che vuoi usare mia figlia per
attivare una
bacchetta che apparteneva ad uno dei maghi più potenti che
siano mai esistiti. –
fu il commento di Malefica, quando ebbe finito di raccontare.
-
Senti... – iniziò Lily, alzandosi.
-
È l’unica persona che può aiutarci.
– continuò Regina.
Malefica
per poco non le rise in faccia. - L’unica?
-
L’altra è mia sorella. Non ho la minima intenzione
di chiedere a mia sorella di
attivare la bacchetta!
-
Lascia che lo faccia – disse Lily, osservando sua madre.
– Posso farla
funzionare. È solo una bacchetta...
Malefica
afferrò il braccio della figlia. – No. Non
sappiamo come si comporterà quando
sarà attivata.
-
Sentite, signora... – intervenne Uncino, facendo qualche
passo avanti. La sua
rabbia era palese. Serrava la mascella in continuazione. Sapere di non
avere
nemmeno la possibilità di usare la penna lo aveva reso
ancora più furioso. –
Non siete voi che decidete qui. Abbiamo perso già abbastanza
tempo. Vostra
figlia è... l’altra faccia della medaglia, mi
dicono. Lasciatela provare e se
non funzionerà ce ne andremo. Sono abbastanza convinto che
non funzionerà, in
effetti.
Malefica
lo fissò come se lui fosse stato il più
disgustoso degli scarafaggi. Poi si
rivolse di nuovo a Regina. - Proverò io. Dammi la bacchetta.
-
Non funzionerà e lo sai bene – intervenne Regina.
– Con me non ha funzionato.
-
Fino a poco tempo fa sapevo essere abbastanza terribile. Lo sono stata
per
molti anni. Se è l’oscurità
ciò che serve, credo di averne ancora un po’.
-
Lascia perdere, mamma. – disse Lily, cogliendo tutti alla
sprovvista. La sua
voce si era fatta più dura. Anche se l’aveva
chiamata “mamma”, sembrava
l’avesse detto unicamente per attirarne
l’attenzione. I suoi occhi la
scrutavano come si può scrutare qualcuno che ha appena
raccontato la peggiore
delle barzellette. – Ti hanno fatto troppe coccole. Se la
Regina Cattiva non è
in grado di usare questa cosa, figuriamoci se ne saresti capace tu. E
poi non
avevi detto che non ti dispiaceva la mia oscurità?
Malefica
aprì la bocca per ribattere. Era costernata. Ci mise qualche
istante a
raccapezzarsi. – Non è la tua oscurità
che mi preoccupa!
-
Malefica, possiamo parlare in privato? – disse Regina, prima
che la situazione
precipitasse.
***
Massachusetts.
Due anni prima.
“Hai
sistemato tutto?”, chiese
Murphy non appena tornò da lei.
“Ho
fatto il pieno. Per il resto
non c’è proprio niente che possa essere
sistemato”. Lily era appoggiata ai
distributori, con le mani infilate nelle tasche della giacca e il vento
che le
scompigliava i capelli lunghi. Evitava di guardarlo.
“Non
essere così apprensiva,
Odile”, le rispose Murphy, chiamandola con il suo nome falso.
“Non ci
beccheranno. Non abbiamo lasciato tracce. La polizia non era ancora
arrivata
quando abbiamo tagliato la corda. Nessuno ha visto la
macchina”.
“Non
è solo questo che mi
preoccupa! Dovevi per forza ucciderlo?”
“Non
dirmi che ti dispiace per
lui”. Murphy allargò le braccia. Portava ancora i
guanti e la pistola era
infilata nei jeans. I suoi occhi grigi risaltavano nella
semioscurità. Erano
argentei. “Pensa solo ai soldi. Con quei soldi faremo quello
che vogliamo e
andremo dove vogliamo”.
‘No,
non andremo dove vogliamo. So
che intendi uccidermi, Murphy. Forse non subito. Adesso ti servo. Ma lo
farai’.
“E
poi...”. Murphy le sorrise,
ammiccante. Si avvicinò a lei, fino a quando la sua faccia
non fu a pochi
centimetri dal suo viso. Gli puzzava l’alito di tabacco e di
birra. “È stato
davvero eccitante, non pensi? Siamo proprio una bella
squadra”.
Lily
non disse niente e non si
ritrasse. Lasciò che si avvicinasse ancora e che si chinasse
su di lei per
baciarla.
Poi
allungò una mano e gli sfilò la
pistola dai calzoni.
“Ehi,
ma...”, fece lui,
sinceramente sorpreso.
Lily
lo colpì in fronte con il
calcio della .38 e lo guardò cascare per terra, mentre il
sangue gli sprizzava
dalla ferita. Gridò di dolore e lanciò una
virulenta imprecazione.
“Che
cazzo...? Ma sei impazzita! Mi
hai colpito!”, esclamò, ansimante. “Mi
hai colpito, stronza!”
Lei
gli diede un calcio in mezzo
alle gambe e poi uno nello stomaco con il tacco dello stivale.
“Tu non sai con
chi hai a che fare. Mi avevi detto che sarebbe stato un lavoro pulito,
invece
hai ammazzato un tizio. La colpa è solo tua! Avresti dovuto
sparare a te
stesso. Sei così idiota da non esserti preoccupato del fatto
che potessero
esserci altri allarmi! E non te ne importa niente!”
“Ma
fottiti!”, gridò Murphy,
cercando di alzarsi. Cadde di nuovo e si portò una mano alla
fronte. Il sangue
gli inondava la faccia. “Se non fosse stato per me non
avresti mai avuto quei
soldi!”
“Se
non fosse stato per te, non
sarei nemmeno in questo casino!”
“Guarda
che non te l’ho chiesto io
di unirti alla rapina. Quindi te lo ripeto: fottiti! E si fotta pure
tua madre!”
A
quel punto la belva nera emerse
dal suo abisso, digrignando i denti e con lo sguardo acceso come brace.
Lily la
percepì. Seppe che stava per perdere il controllo, ma non
fece niente per
impedirlo. Una nebbia rossa le oscurò la vista.
Con
il primo calcio centrò Murphy
in un fianco. Lui urlò di nuovo. Il secondo calcio lo
raggiunse alla testa e lo
mise a tacere.
Lo
colpì ancora.
E
ancora. E ancora. E ancora.
‘Fottiti
e si fotta pure tua madre’
“Mia
madre è un drago”, disse Lily,
mentre seguitava a colpirlo. “Mia madre è un drago
e se fosse qui ti avrebbe
già dilaniato”.
La
nebbia rossa si diradò
lentamente.
Murphy
giaceva immobile
sull’asfalto. La sua faccia era un grumo di sangue e capelli.
Cercò
di recuperare un po’ di
lucidità. Il cuore le batteva fortissimo, quasi fosse in
procinto di sfondare
la cassa toracica.
Sarebbe
arrivato qualcuno, adesso.
Ne era sicura. Un camion o un’automobile avrebbe svoltato,
entrando nell’area
di servizio e la prima cosa che il guidatore avrebbe visto sarebbe
stato
Murphy. E lei. Soprattutto lei con lo stivale sporco di sangue e gli
occhi da
folle. Se fosse accaduto, Lily forse avrebbe avuto il tempo di
scappare. O
peggio ancora... avrebbe perso un’altra volta il controllo e
avrebbe ucciso di
nuovo. E poi di nuovo. Avrebbe ucciso... continuando
all’infinito. Le venne in
mente un orribile girotondo di bamboline di carta.
Salì
in macchina e sbatté la
portiera. Due secondi dopo la Chevrolet partì, sgommando.
Lanciò un’occhiata
nello specchietto retrovisore e vide il corpo di Murphy a terra,
abbandonato
come un sacco di stracci. Si diresse all’uscita, accelerando
brutalmente. La
strada era libera. Un vero miracolo. Notò i fari di
un’auto, ma era ancora
molto lontana e c’era la possibilità che nemmeno
si fermasse nell’area di
servizio.
Lily
non si perse troppo dietro
quei pensieri e guidò per altri cinquanta chilometri senza
fermarsi. Ogni tanto
superava il limite di velocità e poi decelerava per non
correre rischi. Il
senso di angoscia continuava a seguirla. Non era l’omicidio
ad assillarla. Era
proprio quello il punto. Non era l’aver ucciso Murphy a farla
sentire male. Era
proprio l’idea di non sentirsi minimamente in colpa e
sconvolta per ciò che
aveva combinato a renderla furiosa. Una persona normale avrebbe provato
disgusto per se stessa, forse avrebbe provato rimorso anche se Murphy
non era
certo uno stinco di santo. Una persona normale avrebbe perso il sonno
ricordando la testa maciullata del ragazzo. Lei no. Qualsiasi cosa
facesse le
si rivoltava sempre contro. Fosse una cosa giusta o sbagliata, la
storia non cambiava.
L’unica cosa che temeva era di essere beccata e accusata
d’omicidio. Il che
significava passare anni in carcere.
Ed
era furiosa anche con le persone
che l’avevano fatta diventare così. Che
l’avevano maledetta.
‘Loro
volevano proteggere Emma’, aveva
detto l’uomo sull’autobus. ‘Volevano che
fosse buona’.
E
ciò comportava che qualcun altro
dovesse essere riempito di oscurità.
Li
odiava e li voleva morti.
‘Perché
non provi a fare scelte
migliori?!’
Cinquanta
chilometri dopo
l’omicidio si fermò in un’altra area di
servizio e usò l’autolavaggio per dare
una pulita alla Chevrolet. Si fiondò nel primo bagno libero
per guardarsi alla
specchio, sicura di avere un aspetto spaventoso. Invece no. Gli occhi
erano un
po’ cerchiati, ma quello non era una novità. Si
gettò in faccia un po’ d’acqua
gelata. Poi ripartì e fece una nuova sosta dopo altri
quaranta chilometri.
Aveva svoltato a sinistra invece di proseguire sulla Route 92.
Trovò un
ristorante ancora deserto, si portò sul retro della
costruzione e imboccò una
strada sterrata che conduceva nel bel mezzo dei campi.
Qui
fece ciò che andava fatto.
Prese il denaro e la borsa che aveva messo nel bagagliaio prima della
rapina,
immaginando che quella sarebbe stata, in ogni caso, l’ultima
notte a Lowell. Poi
prese la tanica di benzina che aveva riempito dopo aver fatto il pieno.
La
sparse dappertutto.
Infine
diede fuoco all’auto.
La
guardò bruciare. Le fiamme
ruggirono e si proiettarono verso l’alto. La Chevrolet
esplose con un rombo
soffocato e una sfera di fuoco si levò dal baule della
macchina. Era molto
luminosa, troppo per poterla guardare, ma Lily restò
comunque a fissare le
fiamme per qualche minuto, affascinata. Il lunotto posteriore esplose
verso l’interno.
Pezzi di metallo volteggiarono nell’aria.
Quando
si rimise in cammino erano
le otto e quindici.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Che cosa stai cercando di fare?! – esclamò
Malefica, dopo che Regina l’ebbe
accompagnata fuori dall’appartamento.
-
Sto cercando di salvare Emma.
-
Usando mia figlia?
Regina
roteò gli occhi. – Tua figlia è
l’unica che può azionare la bacchetta. Se lo
chiedessi a Zelena si rivolterebbe contro di me. Non possiamo
permettercelo.
-
Diciamo che tu non puoi
permettertelo. – precisò Malefica, aggrottando le
sopracciglia. - Perché sei
totalmente incapace di gestire tua sorella.
-
Mia sorella è ingestibile per chiunque! Adesso è
senza poteri, ma se le tolgo
il bracciale se ne approfitterà di certo. Ed è
molto potente.
Malefica
sembrava sorda. Parlava come se non avesse sentito le sue risposte. -
Per te
sarebbe un bene se prendesse il largo! Porta in grembo il figlio del
tuo uomo.
-
Forse! Forse sarebbe un bene! Peccato che, se lo facesse, non solo si
porterebbe via il figlio di Robin, ma noi non saremo in grado di
trovare Emma!
Vi
fu un breve istante di silenzio. Lei e la sua vecchia amica si
fissarono.
-
Non sai nemmeno quali potrebbero essere gli effetti di quella
bacchetta! –
Malefica si avvicinò, minacciosamente. Era molto
più alta di lei, quindi Regina
dovette alzare la testa per guardarla in faccia.
-
La bacchetta non farà del male a Lily. Tua figlia
è l’altra faccia della
medaglia. Senza di lei non possiamo aprire il portale.
-
Se non sbaglio ci hai già provato una volta.
-
Come?
-
Lily me l’ha raccontato. L’hai ferita per prenderti
il suo sangue e usarlo per
scrivere il tuo maledetto lieto fine. – Adesso gli occhi di
Malefica, che di
solito erano grandi e celesti, si erano accesi come tizzoni ardenti.
Erano
talmente vicini che Regina riuscì a vedere il fuoco bruciare
nelle iridi. – Ed
ora... vuoi usarla di nuovo. Tanto a te non importa niente, vero? Se
succede
qualcosa a Lily a te non importa.
-
Non è così...
-
Lei non sa controllare la sua trasformazione. Non controlla
l’oscurità che ha
dentro. Nessuno gliel’ha mai insegnato. Non trovi anche tu
che sia rischioso
che entri in contatto con un’altra fonte di magia?
– Malefica strinse il
colletto della sua giacca con una mano. – Ho appena ritrovato
mia figlia. Non
permetterò che corra dei pericoli.
Regina
sentiva il sangue ribollirle nelle vene. Non staccava gli occhi da
quelli
dell’altra e non aveva la minima intenzione di cedere. Ma
comprendeva fin
troppo bene che cosa volesse dire amare un figlio e fare di tutto per
proteggerlo.
Soprattutto quando quel figlio ti era appena stato restituito.
-
So quanto ti piace cavalcare i draghi, Regina –
continuò Malefica, con la voce
incrinata dalla rabbia. –
Ma sai una
cosa? Se dovessi fare del male a mia figlia, ti assicuro che non
cavalcherai
nessun drago. Finirai dritta nella bocca del drago. E verrai dilaniata.
Regina
appoggiò una mano sul braccio di Malefica, inducendola a
lasciarla andare. Chiuse
gli occhi per un attimo e trasse un profondo respiro. - Non voglio fare
del male
a tua figlia. Ho solo bisogno che mi aiuti. Che mi aiuti con la
bacchetta. L’avrebbe
fatto l’Apprendista, ma lui ormai è morto. Pensa
anche a tua figlia. Lei ha il
potenziale oscuro di Emma dentro di sé. Ha sempre pensato di
essere pericolosa.
Si è isolata... apposta perché credeva che fosse
la soluzione migliore per
evitare di fare del male a qualcuno.
Malefica
non disse niente.
-
Quando io ed Emma l’abbiamo trovata... era piena di rabbia.
Lo è tuttora, lo
so. Ma questo potrebbe essere un inizio, non credi? Se usa la sua
oscurità per
portarci da Emma... farà una cosa giusta. Malefica, dobbiamo
aprire quel
portale e trovarla. Lei...
Malefica
seguitò a fissarla.
-
Lei mi ha salvato la vita. È diventata l’Oscuro
per proteggere me. Se non fosse
stato per Emma ci sarebbe il mio nome su quel pugnale.
“Ci
deve essere un altro modo!”
“Non
c’è. Hai faticato troppo per
vedere la tua felicità distrutta”.
Per
un attimo regnò il silenzio.
-
Adesso... non ho molta scelta. – continuò Regina.
- Devo trovarla. Dobbiamo trovarla,
prima che l’oscurità
prenda il sopravvento.
Lily
impugnò la bacchetta ed ebbe l’impressione di
avvertire la magia che vi era
custodita, una forza bianca che cercava la controparte per poter
diventare
qualcosa di vivo e di reale.
-
Che cosa dovrei fare? Pronunciare un incantesimo? –
domandò la ragazza.
-
Niente incantesimi – rispose Regina. Le spiegò
come aveva agito lei quando
aveva cercato di usarla per aprire il portale.
-
Credo che mi piaccia questo ruolo da Harry Potter. –
commentò Lily, portandosi
la bacchetta davanti al viso.
-
Harry Potter? – chiese Uncino, sollevando un sopracciglio.
-
Era un mago – spiegò Henry.
Regina
ignorò quelle esternazioni e si concentrò Lily,
in attesa che facesse quello
che tutti si aspettavano che facesse.
“Prendi
la decisione giusta, Lily.
So che puoi farlo”.
Quella
era una cosa che avrebbe potuto dirle anche Emma, se fosse stata
presente.
“Perché
non provi a fare scelte
migliori?!”
-
D’accordo. Vediamo di farla funzionare – disse
Lily.
Sollevò
la bacchetta, puntandola verso il soffitto e disegnano un cerchio
immaginario
nell’aria...
___________________
Angolo
autrice:
Salve!
Giusto
una precisazione.
La
frase: Le venne in mente un orribile
girotondo
di bamboline di carta. Non è mia. È
leggermente modificata, ma è tratta da
un romanzo di Stephen King, Chi perde
paga.
Non
in tutti i capitoli della fan fiction saranno presenti della citazioni
come
quella di Sylvia Plath. È una caratteristica di alcuni
capitoli.
|
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Capitolo 3 *** 3. ***
3
Sulle
prime non accadde assolutamente niente, proprio come non era accaduto
niente
quando Regina aveva provato ad attivarla.
L’aria
rimase immobile. Non vi furono scintillii, non vi furono bagliori
magici, nessun
segno che indicasse che la bacchetta dell’Apprendista stava
funzionando.
La
mente di Regina iniziò a turbinare alla ricerca di
un’altra soluzione che non
includesse Zelena, oppure di una soluzione che la includesse ma che non
comportasse correre dei rischi inutili.
C’è
oscurità dentro questa dannata
ragazza, pensava.
C’è
oscurità. L’oscurità di Emma! Deve
funzionare!
Uncino
si mosse in avanti. David allungò una mano per fermarlo e
Neve aprì la bocca
per dire qualcosa...
Poi
vi fu l’improvvisa sensazione che qualcosa stesse cambiando.
Regina avvertì
chiaramente la pelle delle sue braccia che si accapponava e un soffio
d’aria
che le spostava una ciocca di capelli.
La
bacchetta scintillò, sinistra.
-
Io credo... – cominciò Lily.
La
magia si attivò, esplodendo come un gigantesco tuono.
Lily
avvertì una fitta al petto che la costrinse a piegarsi in
due. Per qualche
secondo il mondo diventò nero e in quel nero lei vide gli
occhi argentei di
Murphy, il ragazzo che aveva ucciso a calci. Vide il suo corpo
abbandonato
sull’asfalto dell’area di servizio. Vide se stessa
mentre calava la pistola
sulla sua testa. Vide lo stivale sporco di sangue. Le fiamme che
avevano
bruciato l’auto che si levavano verso il cielo. E quelle
fiamme mutarono,
trasformandosi in un drago fatto di fuoco. Il drago spalancò
le enormi ali e
aprì la bocca per emettere un ruggito...
-
Che diavolo succede?! – gridò Uncino.
Il
nero si diradò e Lily vide che la bacchetta era caduta.
Regina
corse alla finestra e si sporse per guardare fuori. Nessun portale si
era
aperto all’interno dell’appartamento, ma era
accaduto tutto all’esterno. Le
foglie vorticavano e rotolavano lungo la strada principale di
Storybrooke. Il
vento era aumentato di intensità. Alcune finestre si
chiusero, sbattendo, ed
una andò in frantumi.
Lontano,
lungo la linea di confine che separava la città dal resto
del mondo, un’enorme
nube scura e solcata dai lampi si levò dalla terra come un
mostro rudemente
risvegliato dal suo letargo.
Tutti
si precipitarono in strada.
-
Quello è il portale? – chiese Robin, alzando la
voce per farsi sentire sopra il
frastuono.
La
nube mutò lentamente forma, trasformandosi in un gigantesco
tornado, che si
mosse minacciosamente verso di loro.
-
Sì – disse Regina.
-
Lily... ce l’hai fatta – disse Malefica, quasi
incredula, ma anche ammirata.
Lily
non rispose, ma guardò il tornado molto compiaciuta, mentre
ciocche di capelli
scuri le frustavano il viso.
-
E adesso... – disse Regina. – Andiamo a prendere
Emma.
-
No! – gridò una voce alla sua spalle. –
Andiamo da tutt’altra parte!
Zelena
usò la magia che aveva recuperato per avvinghiare Robin. Una
forza invisibile
lo afferrò e lui strisciò sull’asfalto
fino alla strega.
-
Zelena – sibilò Regina, maledicendo mentalmente
quegli idioti del manicomio. –
Lascialo.
Non
era stato molto difficile trovare una via d’uscita dal
manicomio. Dopo essersi
liberata della guardia e dell’infermiera con il suo dannato
cibo biologico,
aveva trovato la via per le cucine e lì aveva sparato tre
colpi a raffica,
costringendo i cuochi a gettarsi a terra in preda al panico. Lei non
possedeva
i suoi poteri, ma loro non li avevano mai posseduti. Sua sorella
tendeva a
sottovalutare le sue capacità. Il pesante coltello da
macellaio le era servito
per amputarsi il braccio poco sopra il fastidioso bracciale che inibiva
la sua
magia. Ed essa si era liberata, aveva ripreso a scorrere come sangue
nelle sue
vene, sotto la pelle, facendola sentire enormemente potente. Si era
ricostruita
il braccio con un semplice incantesimo. Suo figlio aveva approvato,
muovendosi
nel suo ventre. Le sembrava incredibile che una creatura ancora
così piccola
potesse essere già così forte.
-
Sì, tesoro – aveva risposto Zelena. –
Adesso la mamma ti porta a casa!
Era
scomparsa in una nuvola verde per riapparire sulla via principale di
Storybrooke, in tempo per ammirare il portale spalancato e pronto a
risucchiarli.
-
Oh, sorellina. Non fraintendermi. La cella era molto comoda, ho potuto
apprezzare un po’ di solitudine e meditare. –
rispose. Il sorriso della strega
era largo e trionfante. Costrinse
Robin
ad alzarsi. Onde di energia scaturivano dalle sue dita; deformavano il
viso di
lui e formavano pieghe sui suoi vestiti. – Dammi quella
bacchetta, se non vuoi
vedere il tuo preziosissimo Robin volare come una delle sue frecce e
sfondare
l’orologio. Sarebbe un peccato, non trovi? Tu sai che cosa si
prova. Ma per lui
sarà diverso. Lui non è te.
Regina
serrò la mascella. – Che cosa intendi fare?
Toglili le mani di dosso...
-
Oh, non sono venuta per fare del male a Robin. Non deve per forza
andare così. Come
vedi sto trattando. – disse sua sorella, in preda ad uno dei
suoi raptus. I
suoi occhi sembravano molto più azzurri; erano come i lampi
che squarciavano la
turbinante nube nera alle loro spalle. Erano pieni di potere e di
collera. Di
disprezzo. Erano bellissimi, eppure in quel momento non parvero neppure
occhi
umani. Si portò una mano al ventre. – Sono stanca
di perdere contro di te!
Continui a prenderti qualsiasi cosa! Adesso... è giunto il
momento di finirla.
Adesso ho qualcuno che mi amerà! Qualcuno che
amerà soltanto me! Ed è qualcosa
che nessuno mi porterà mai via! Io andrò molto
lontano da te e da Robin! Il più
lontano possibile! Dove non potrai seguirmi...
-
Oz... – mormorò Regina.
-
Già! Adesso dammi la bacchetta, altrimenti il tuo amato
fuorilegge farà una
brutta fine.
-
No! – intervenne Lily, rivolgendosi a Regina. – Non
lo fare! Non puoi!
-
Non ho scelta – rispose Regina. E allungò la
bacchetta alla sorella.
Zelena
si affrettò a prenderla e lasciò andare Robin,
spingendolo verso di lei. – Ben
fatto! Questo sì che si chiama essere ragionevoli. Ora...
lasciate che guidi
questo tornado nel posto giusto!
Estrasse
il ciondolo che aveva usato per assumere le sembianze di Marian e con
un gesto
della mano lo attivò. La luce verde brillò nella
gemma e Zelena usò la
bacchetta per tracciare tre cerchi immaginari intorno al suo talismano.
Dopodiché diresse la magia verso il tornado.
Regina
udì un ruggito basso e cupo. Sulle prime, troppo impegnata
ad osservare la
sorella guidare la magia verso Oz, pensò che fosse il
portale, pensò che il
portale avesse una voce, quasi fosse un essere vivente, una creatura
che
rispondeva al richiamo della nuova proprietaria. Zelena non era mai
sembrata
così raggiante come in quel momento.
-
Dannazione, state indietro! – gridò Uncino.
Un’ombra
enorme calò su di lei e Regina si girò di scatto.
I resti di un’altra nube
magica disparvero e l’enorme drago nero si drizzò
sulle zampe posteriori,
spalancando le ali e le fauci. Anche la strega si voltò,
colta alla sprovvista
dall’apparizione.
-
Lily, no! – urlò Malefica.
Il
drago rischiò di schiacciarla con una delle enormi zampe e
Malefica si ritirò
precipitosamente, urtando Azzurro, che l’afferrò
prima che potesse cadere. Arretrarono
tutti.
Il
tornado aveva assunto le stesse sfumature dell’invidia e si
avvicinava sempre
di più al centro della città.
Zelena
guardò Lily per nulla intimorita. – Avresti dovuto
mettere un collare al tuo
cucciolo!
Il
drago ruggì, indignato. Mosse un passo in avanti, scuotendo
la terra stessa.
Poi tirò indietro il collo e sputò una fiammata
contro la strega. Zelena
sollevò la bacchetta e formò uno schermo magico,
che deviò il fuoco spedendolo
dritto contro l’edificio più vicino. Le fiamme
intaccarono subito la struttura
e una vetrina esplose, mandando frammenti ovunque.
Lily
ruggì di nuovo e si preparò ad attaccare ancora.
Scosse la testa, sparando
altri lapilli infuocati sui tetti delle case. Sventagliò la
coda da una parte
all’altra. Sfondò due finestre e colpì
un palo della luce. Esso si piegò e si
schiantò al suolo. Gente spaventata prese a correre per le
strade, a casaccio,
il più lontano possibile dal drago. Uncino
avvertì chiaramente l’enorme coda sibilare
a pochi centimetri dalla sua testa.
-
Vieni avanti, piccolo drago, ma vediamo di sbrigarci! Ho un portale che
mi
aspetta! – Dettò ciò, Zelena
puntò la bacchetta e l’agitò.
Sprizzarono
scintille verdi.
-
Devo fermarla! – disse Malefica.
-
No, aspettate! State indietro. È pericolosa. Non sa quello
che fa – esclamò Uncino,
trattenendola per un braccio.
-
È mia figlia! – urlò Malefica,
liberandosi dalla sua presa. – Sei tu che
dovresti stare indietro.
Corse
verso il drago.
Zelena
cercò di attivare di nuovo la bacchetta, ma non rispose ai
suoi comandi. La
strega si piegò in due, in preda ad un dolore terribile. I
suoi polmoni erano come
due vesciche sforacchiate e aveva l’impressione di avere una
grossa scheggia
conficcata nel fianco. Lily aprì l’enorme bocca
fumante, alimentando la fornace
che aveva nella pancia.
Malefica
si mise tra lei e Zelena, alzando entrambe le mani. – Lily,
aspetta!
Il
drago si spostò in avanti e quasi la investì.
Sentì il calore che emanava e percepì
la sua furia.
-
Lily, non è per questo che hai aperto il portale. Ti prego!
Puoi controllarlo,
se lo vuoi!
Regina
non ci pensò due volte e raggiunse la sorella, intrappolando
il suo polso nel
bracciale nero. Zelena imprecò ferocemente.
Lily
piantò gli artigli nell’asfalto e
allungò il collo verso la madre. Il suo
sguardo era acceso e furibondo. Malefica non si tirò
indietro. Per la seconda
volta nel giro di pochi giorni ebbe l’impressione di
osservarsi in uno
specchio. Sua figlia, in quella forma così selvaggia, era
enormemente simile a
lei. Era più incontrollabile, ma all’inizio lo
erano tutti. Lily lo era più
degli altri, certo, eppure vide il guizzo di consapevolezza nei suoi
occhi. Sapeva
che la stava ascoltando e che stava cercando un modo per fermarsi,
sebbene
l’istinto le suggerisse di colpire e distruggere.
-
Lily...
Regina
lanciò un’occhiata al tornado. Stava arrivando e a
gran velocità. Se non
l’avesse diretto subito verso il posto giusto si sarebbero
ritrovati ad Oz e
sarebbe stato un grosso problema.
La
testa di Lily scattò all’indietro e dalla fauci
esplose un’altra fiammata,
diretta verso il cielo come lava eruttata da un vulcano. Infine la nube
viola
riavvolse il drago, ricoprendolo completamente.
David
accorse per aiutare Regina con la strega, che si dibatteva.
Lily
recuperò la sua forma umana. Respirava affannosamente e
aveva la netta
sensazione che il fuoco stesse per uscirle dalla bocca
un’altra volta. Invece
tossì e basta. Malefica la aiutò.
-
Va tutto bene. – le disse. – È tutto
finito.
Lily
vide il fumo che saliva e udì il crepitio delle fiamme.
– Non mi sembra che
vada tutto bene. Dov’è quella strega?
-
Non si è fatta niente. Ha solo passato un brutto momento
come meritava.
Lily
si alzò in piedi. Il casino che aveva provocato era
notevole. – Mi dispiace.
-
Non è niente di irreparabile – commentò
Malefica.
Ma
avrebbe potuto esserlo, pensò
Lily, osservando la strega, mentre veniva strattonata. Non le sarebbe
dispiaciuto farle un po’ male... ma avrebbe anche potuto
uccidere persone che
non c’entravano nulla.
-
Che è successo? – domandò Uncino,
riferendosi a Zelena. – Cosa le ha fatto,
quella bacchetta?
-
È successo che io non sono stupida – rispose
Regina, sorridendo soddisfatta. –
Lei sarà anche capace di aprire il portale, ma so quali sono
le sue debolezze.
Zelena
la fissò, fuori di sé, i capelli che le
ricadevano disordinatamente sul viso.
-
La nostra famiglia sa fare molto bene una cosa, sorellina: sfruttare il
dolore.
E questo ti ha sconfitta.
-
TORNADO!!! – Leroy si fiondò all’interno
del Granny’s, seguito dagli altri
nani. – Tornado in arrivo! E c’è anche
un drago nei paraggi!
-
Sta tranquillo, Leroy. Non c’è più
nessun drago. E il tornado l’abbiamo visto.
Siamo stati noi – disse Neve, stringendo di più il
figlio. Ormai il rumore
prodotto dal turbine era diventato un boato e Regina aveva
già usato la
bacchetta sulla coperta perché li conducesse nel posto
giusto. Zelena, invece,
era stata legata saldamente ad una sedia.
-
Voi...? – si sorprese Leroy.
-
Ci porterà da Emma.
Veramente
sono stata io a farlo, avrebbe
tanto voluto dire Lily. Stava sbirciando da una finestra. La tromba
d’aria
sradicò alcuni alberi e si tuffò lungo la strada
principale, dirigendosi
rapidamente verso il locale di Granny. Sono
stata io a fare tutto.
-
Fuori, nani. Solo gli adulti sono ammessi – disse Regina.
-
No! – le rispose Leroy.
-
No? – chiese un altro nano.
Lily
si girò a guardare la piccola schermaglia. Regina aveva
tutta l’aria di averne
le scatole piene dei nani. Ovvio. La matrigna di Biancaneve non poteva
che
detestare quelle creature. Supponeva che il nano che guidava il gruppo
fosse
Brontolo. Bastava guardarlo in faccia per riconoscerlo.
-
Noi restiamo – precisò di nuovo, rivolto a
Biancaneve.
-
Restiamo?
-
Siamo stati estromessi per troppo tempo, sorella. Eravamo abituati alle
avventure.
Lily
sbirciò ancora dalla finestra. Il tornado era a pochi metri
da loro. Non vedeva
più niente, se non i lampi e il turbinare della tromba
d’aria che li avrebbe portati
da Emma.
La
tua oscurità... contro quella
del nuovo Signore Oscuro.
-
Ora sta diventando imbarazzante – continuò Leroy,
sempre più adirato. – Come ti
sentiresti se qualcuno ti chiedesse di raccontarti la tua avventura...
e non
potessi farlo perché non sei stato invitato?
Perché non c’era bisogno di te?
Abbiamo
davvero bisogno dei Sette
Nani?, si
chiedeva Lily.
-
Non ti volteremo le spalle di nuovo. Neanche dinanzi ad una morte certa.
Neve
sorrise. – Grazie.
-
Morte certa?
A
quel punto il tornado travolse il Granny’s. Lo travolse e lo
sradicò
letteralmente dalle sue fondamenta.
Lily
cercò invano di aggrapparsi a qualcosa, ma rovinò
sul pavimento, mentre il
resto della truppa si barcamenava per trovare un appiglio.
-
Tenetevi forte! – gridò qualcuno.
Piatti
e bicchieri si ruppero con fracasso, le sedie scivolarono fino alla
parete
opposta, le lampade oscillarono da una parte all’altra. I
muri vibrarono,
scossi dalla forza della magia.
-
Stai bene? – le chiese Malefica, raggiungendola.
-
Per ora sì – rispose Lily.
Sua
madre la strinse saldamente contro di sé. Da sopra la sua
spalla, Lily vide che
Regina faceva lo stesso con suo figlio Henry.
***
Tempo
addietro Lily aveva assistito ad una gara di bull riding.
Gli
aspiranti vincitori erano uomini vestiti da cowboy che montavano tori
imbufaliti, lottando per restare in sella e per portarsi a casa un
generoso
premio in denaro. Alcuni venivano disarcionati subito, altri invece
riuscivano
a restare in groppa all’animale abbastanza a lungo da
ottenere un buon
punteggio e passare alla fase successiva, durante la quale venivano
abbinati ad
un altro toro.
Proprio
nel corso dell’ultima gara, Lily aveva visto un uomo robusto
e molto sicuro di
sé in sella ad un bestione di nome Thunder, che
più che un toro pareva un
mostro nero partorito da chissà quale incubo. Sbuffava
furiosamente, sgroppava
come un forsennato, gli occhi sembravano braci ardenti in procinto di
scoppiare
nelle orbite. Il suo cavaliere reggeva la corda con una mano e usava il
braccio
libero per mantenersi in equilibrio.
Aveva
resistito circa un minuto, poi era stato sbalzato dalla schiena della
bestia ed
era rotolato malamente nella polvere dell’arena. Si era
alzato, zoppicando e
aveva cercato di darsela a gambe. Il toro l’aveva caricato.
Non
ricordava più bene cosa fosse successo dopo. Di certo
l’uomo aveva riportato
una serie di fratture e lesioni, ma Lily non aveva pensato tanto allo
spettacolo del toro che cercava di ucciderlo, quanto al fatto che la
sua vita
era proprio ciò che aveva visto quella sera. La sua vita era
Thunder e
sgroppava esattamente come lui. L’oscurità che
aveva dentro era Thunder e più
lei si sforzava di controllarla, più ne perdeva il
controllo. Più cercava di
restare in sella, più l’oscurità la
costringeva con la faccia nella polvere.
Ma
l’oscurità di Emma era ben peggio.
L’oscurità
di Emma era qualcosa di più grande, qualcosa di molto
più tenebroso, che andava
oltre la maledizione che le aveva legate fin dal principio.
Lily
ne ebbe un assaggio quando, giunti nella Foresta Incantata, trovarono
la nuova
Oscura pronta a disintegrare il cuore pulsante di una tizia vestita di
azzurro
e con una fitta massa di riccioli rosso fuoco. Erano
all’interno di un cerchio
di pietre, in mezzo alla foresta. Sull’erba c’erano
delle frecce.
-
Emma, no, aspetta! – gridò Uncino, allungando una
mano per fermarla, ma senza
arrivare a toccarla.
-
Voi...? Come... – disse, vedendo sopraggiungere la sua
famiglia al gran
completo.
-
Il come non ha importanza. Niente ci avrebbe mai fermati.
-
Non sapete cosa sta accadendo. – Emma aveva uno sguardo
spiritato. Era scossa
dai brividi e non sembrava certo in forma; indossava una lunga tunica
di un
grigio polveroso, vecchia e consunta, quasi avesse vissuto in quei
boschi per
mesi. Non aveva l’aspetto che forse chiunque si aspettava. La
sua pelle era
pressoché immacolata, ma gli occhi era segnati da ombre
scure.
-
Devo. – rispose Emma. La mano che stringeva il cuore della
vittima tremava - Questo
è l’unico modo per trovare Merlino, lui
è l’unico che può sconfiggere
l’oscurità. È... l’unico modo
per proteggere tutti voi.
-
Controlla l’oscurità, se non vuoi che ti consumi.
– intervenne Regina, muovendo
un passo avanti. Nemmeno lei si azzardò a toccare Emma.
Lei
le rivolse una mezza occhiataccia. - Non puoi saperlo.
Regina
dovette pensare che fosse diventata pazza.
-
Non possiamo permettere che lo faccia. – Neve estrasse il
pugnale, pronta ad
utilizzarlo.
-
No. – disse Uncino. – Deve essere una sua scelta.
Lily
si rendeva conto che avrebbe dovuto dire qualcosa a sua volta. Era
abbastanza
vicina ad Emma e, quando l’Oscura sollevò lo
sguardo puntandolo su di lei, Lily
seppe che, forse, avrebbe anche potuto convincerla a lasciar perdere.
Ma era
molto difficile distogliere l’attenzione dalle dita che
stritolavano il cuore
rosso di quella poveraccia. Era difficile distogliere la mente da tutto
il
potere che sibilava intorno a loro.
Lo
sentiva.
Veniva
da Emma.
Era
come se ne fosse rivestita. Era... un sussurro. Allettante, ma
intimidatorio.
Attraente, eppure minaccioso e truce.
Era...
il potere era vivo. Era una cosa viva. Un essere reale. Se le avessero
chiesto
di definire il senso o la natura di quella paurosa vitalità,
non ne sarebbe
stata capace. Sapeva soltanto che era ricca di energia, intessuta di
possibilità.
Gli
occhi di Lily si riempirono di fuoco. Improvvisamente anche il taglio
che
Regina le aveva procurato sulla mano pulsava. Come un cuore. Pulsava
anche se
non c’era più.
-
Lily... – Sua madre era vicina. Però la sua voce
sembrava arrivarle come
attraverso una nebbia. Suonava distaccata. Lontana.
Non
aveva ascoltato una parola di quello che era stato detto fino a quel
momento.
Vide solo Emma che rimetteva il cuore nel petto della ragazza e poi si
appoggiava ad Uncino, che l’abbracciava.
-
Lily, dipende dalle tue emozioni. Puoi controllarlo. - Adesso sua madre
le
aveva messo una mano sulla spalla. Era preoccupata, ma decisa, come
poco prima
a Storybrooke. Cercava di guidarla.
Vagamente
lei sentiva le sue stesse unghie conficcate nella carne. Strinse le
palpebre
per alcuni istanti, avvertendo... il drago che premeva per uscire.
Poi
pian piano la sensazione disparve. Lily barcollò e Malefica
la sostenne.
-
Sto bene – disse. Parlava più a se stessa che ad
altri. – Sto bene.
-
Sei sicura?
-
Sì...
Non
lo era. Per niente.
-
Mamma, papà... è troppo pericoloso. Non sareste
dovuti venire – disse Emma,
poco dopo.
Suo
padre l’abbracciò. – Invece
sì.
Oh,
certo che è pericoloso. Io sono
pericolosa. Emma è pericolosa. Tutto è
pericoloso, pensò
Lily.
-
Tu sei nostra figlia. – disse Biancaneve.
-
Beh – intervenne Uncino, squadrandola. Sollevò un
sopracciglio. – Non hai l’aspetto
di un coccodrillo.
-
Perché sono stata attenta.
Neve
estrasse di nuovo il pugnale e glielo tese. – Tieni. Dovresti
averlo tu.
Emma
lo guardò, incerta sul da farsi. Per un istante a Lily
sembrò che stesse
accarezzando l’idea di prenderlo. Per l’Oscuro,
separarsi dal pugnale non era
mai una buona idea.
-
No – disse, alla fine.
-
Emma, pensaci – disse Uncino. – Pensa a cosa
potrebbe succedere se finisse
nelle mani sbagliate. A cosa tu... potresti fare.
Lily
seguì la direzione dello sguardo di Emma. Sembrava cercasse
qualcuno. Che
stesse guardando qualcuno che
avrebbe
dovuto essere lì con loro. Tra le alte pietre che formavano
il cerchio non
c’era nessun altro. Nessuno fuori dall’ordinario.
Eppure...
-
Forse il pirata ha ragione – commentò Malefica.
– Il pugnale è troppo potente.
È meglio che sia l’Oscuro ad averlo.
-
La mia lotta contro l’oscurità è appena
cominciata. È... un potere troppo
grande. – Senza esitazioni i suoi occhi si spostarono su
Regina. – Qualcuno
deve controllarmi.
Non
starà per..., si
disse Lily. Aveva intuito che cos’altro stesse per fare e
dire. E ne aveva
avuto sgomento. L’aveva intuito nel momento esatto in cui
aveva constatato che
quel potere era eccessivo per lei.
Ed
Emma lo fece. Afferrò il pugnale e lo diede a Regina. Glielo
porse, nello
stesso modo in cui avrebbe potuto porgerle qualcosa che andava
assolutamente
accettato. Qualcosa che era di vitale importanza e che necessitava di
una mano
ferma.
-
Fai sul serio? – domandò Regina, prendendolo.
-
Io ti ho salvata. Ora tu salva me – rispose Emma. –
E se non potrai salvarmi,
allora fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei
l’unica in grado di
mettere da parte le emozioni e fare ciò che è
necessario. Distruggermi.
-
Non arriveremo a quel punto – ribadì fermamente
Henry.
-
No, ragazzino. – Emma lo strinse a sé. In
realtà sperava di non
arrivare a quel punto. Ma immaginava quanto potesse
essere facile arrivarci. – Quindi... intendete spiegarmi come
siete arrivati
fino a qui?
-
È tutto merito di Lily – disse Malefica.
-
Ah, davvero? – domandò Emma.
-
A quanto pare l’Anti-Salvatrice sa far funzionare le
bacchette magiche e
produrre tornado. È molto utile... – rispose Lily.
Istintivamente andò verso
Emma e le appoggiò una mano sul braccio. L’ondata
di potere che l’aveva
stordita e che aveva minacciato di farle perdere il controllo per ora
era
svanita. C’era qualcosa.
Ma era più
un rumore di fondo, come di una mosca rinchiusa sotto una campana di
vetro.
Emma
ricambiò la stretta. – Sai che non dovresti
definirti in questo modo.
Non
badò a quel commento. – Tutto sommato... ha
ragione il pirata. Non sei messa
poi così male. Non è esattamente il tuo look
ideale, ma almeno la tua pelle non
è verde.
Emma
accennò un
sorriso. - Perciò... il
tornado vi ha portati direttamente qui?
-
Sì. Vieni. Ti facciamo vedere il nostro mezzo di trasporto.
– Uncino allungò
una mano per prendere la sua e condurla fuori dal cerchio di pietre.
La
portarono alla tavola calda, che aveva trovato la sua nuova
sistemazione in
mezzo ai boschi. L’atterraggio non era stato dei migliori, ma
non aveva
riportato danni così gravi.
-
È davvero una buona idea? – domandò
Lily a sua madre, mentre la nonna si
lamentava delle friggitrici inutilizzabili e Leroy della conseguente
mancanza
del suo piatto preferito, cioè gli anelli di cipolla.
-
Che cosa?
-
Dare il pugnale a Regina.
Malefica
osservò il gruppetto di persone assiepate fuori dal
Granny’s. - È... credo sia
una buona soluzione. Regina ha avuto il precedente Oscuro come
insegnante, ha
più esperienza degli altri in questo genere di cose.
-
Tu ti fidi di lei.
Non
capì se fosse o meno una domanda. - Sì. La
conosco da molto tempo, Lily. Regina
è... cambiata. Ma so che potrebbe ancora fare ciò
che Emma ha detto: distruggerla,
se le cose dovessero volgere al peggio.
-
E come intende distruggere l’Oscuro? Mi hai detto che
può morire solo se viene
colpito con il suo stesso pugnale. Ma a quel punto... Regina
diventerà il nuovo
Oscuro. E il sacrificio di Emma non sarà servito a niente.
Malefica
non sapeva rispondere a questa domanda. Intuiva di dover fornire una
risposta
sensata, ma non ne aveva. Non aveva mai sentito parlare di un Oscuro
che aveva
eliminato l’Oscuro precedente senza che questo avesse
comportato diventare il
nuovo contenitore dell’oscurità.
-
Dovrai raccontarmi che cos’è successo tra te e
Regina. – continuò Lily
Malefica
sorrise. C’era qualcosa di limpido e di positivo nei suoi
grandi occhi celesti.
– Mi ha aiutata in un momento difficile. Grazie a lei mi sono
ricordata chi
ero, ovvero, come dici tu, un drago feroce e spaventoso. Te lo
racconterò.
-
Prima non sembravi molto contenta.
-
La mia preoccupazione riguardo a quella bacchetta era comprensibile.
Era la
bacchetta di un mago potente.
Lily
stava per aggiungere qualcos’altro, ma vennero interrotte dal
rumore di cavalli
lanciati al galoppo e da grida di uomini che li incitavano. Venivano
verso di
loro.
-
State indietro – disse Emma.
Da
una svolta in fondo al sentiero sbucò un piccolo gruppo di
cavalieri, tutti in
armatura, con i mantelli rossi e in sella a dei bellissimi destrieri.
Quando si
fermarono davanti ad Emma, l’uomo che li guidava, su un
cavallo bianco, rivolse
loro un sorriso. Sembrava un sorriso cordiale, circondato dalla barba
scura. In
più, era il sorriso di chi si aspettava di trovarli
lì. Lily vide l’elsa della
spada che spuntava dal fodero. Nel pomolo era incastonata una grande
pietra
rossa.
-
Chi siete voi? Che cosa volete? – chiese Emma, sulla
difensiva.
-
Sono re Artù di Camelot – annunciò
l’uomo. – E siamo venuti a prendervi.
-
A prenderci? – chiese Uncino, perplesso.
-
Mio signore – disse il cavaliere biondo che stava alla
sinistra del sovrano. –
Credo che il nostro arrivo sia una sorpresa.
-
Ci stavate aspettando – disse Neve.
-
È stato Merlino. Ha profetizzato il vostro arrivo molto
tempo fa. Così come ha
previsto molte altre cose. – Artù aveva
l’aria di divertirsi un mondo mentre
rivelava quei dettagli.
Lily
pensò a Merlino e vide solo un vecchio mago con la barba
lunga e bianca,
vestito di azzurro, con il classico, lungo cappello a punta calcato in
testa,
che combatteva contro la sua acerrima nemica, la maga Magò,
trasformandosi
prima in un coniglio, poi in una tartaruga e poi in un verme. Non
ricordava
bene quale fosse l’ordine.
-
Merlino? – Emma era incredula. –
Dov’è? Ci avevano detto che era scomparso.
-
Lo è. Sì. – ammise Artù,
chinando leggermente il capo. – Ma non per molto.
Infatti ha previsto che vi sareste uniti a noi. Adesso... se volete
seguirmi...
-
Dove? – chiese Emma.
-
A Camelot... naturalmente.
Le
guardie schierate lungo il ponte si portarono le trombe alla bocca e
suonarono
per annunciare l’arrivo del re e dei suoi ospiti.
Artù
aveva parlato molto lungo il tragitto. Aveva chiesto loro
com’erano arrivati
nella Foresta Incantata e naturalmente David gliel’aveva
raccontato,
parlandogli della bacchetta e di chi l’aveva attivata.
-
Abbiamo un’altra maga potente tra di noi – aveva
commentato il sovrano,
rivolgendosi a Lily.
Lei
aveva esitato prima di trovare la risposta adeguata. L’aveva
guardato di
sottecchi. – Non sono una maga. Me la so cavare.
Nessuno
si era curato di dirgli perché erano
arrivati fino a lì. Troppo rischioso. Quei cavalieri si
sarebbero innervositi
se avessero saputo che l’Oscuro era tra loro. E che stavano
per farla entrare a
Camelot. L’aspetto di Emma non aveva attirato
l’attenzione del sovrano o del
suo seguito. I cavalieri sembravano concentrati sul cammino da
percorrere. Il
giovane biondo, che si chiamava Percival, scrutava la compagnia,
valutandone i
componenti, ma non dava segno di avere dei sospetti per quanto
riguardava Emma.
Ora,
giunti a Camelot, Artù camminava davanti a tutti, una mano
appoggiata all’elsa
di Excalibur. Gli altri lo seguivano, guardandosi intorno meravigliati.
Lily
alzò lo sguardo alle torri della corte del re, al castello
che sembrava
risplendere di una luce propria in mezzo al verde dei boschi e dei
prati, con
le montagne a fare da sfondo. Un luogo da fiaba. Gli stendardi rossi
sui quali
capeggiava il simbolo del sovrano, un dragone dorato su sfondo rosso,
sbatacchiavano
scossi dal vento.
-
Beh, non sono mai stata in un castello prima d’ora.
L’unico castello che ho
visto era in un luna park. – commentò Lily. Lei e
sua madre erano in coda al
gruppo.
-
Magari un giorno ti farò vedere il mio. – rispose
Malefica.
-
Che cosa mi devo aspettare? Un enorme castello nero a strapiombo su una
landa
desolata?
Malefica
batté le palpebre. Si scostò una ciocca di
capelli biondi. – Beh... sì. Come
fai a saperlo?
-
La fiaba. Sai, le ho lette tutte da quando ho scoperto... chi sono. E
ho anche
guardato i cartoni animati da piccola.
-
Ah, certo.
Le
porte di Camelot si aprirono per lasciarli passare. Proprio
un’accoglienza
regale. Artù doveva aspettarsi molto da loro.
-
Hai anche un corvo, per caso?
***
Il
mondo era precipitato nell’oscurità.
“Hai
anche un corvo, per caso?”
Lily
aprì gli occhi lentamente.
Intorno
a lei lamenti, gemiti di dolore, grugniti. Tavoli rovesciati. Sedie.
Lampade che
dondolavano.
Molte
persone.
“Che
cosa mi devo aspettare? Un
enorme castello nero a strapiombo su una landa desolata?”
Una
vaga luce che penetrava attraverso le persiane di una finestra.
Dove
sono?
La
lingua le sanguinava per un improvviso, involontario morso che le aveva
dato.
La mente gli turbinava e aveva lo stomaco sottosopra, come se fosse
appena
scesa da un ottovolante.
Si
tirò su a fatica, avvertendo una fitta di dolore al collo.
Gli altri stavano
facendo lo stesso.
Si
portò una mano alla fronte e scoprì una ferita
fresca all’altezza del
sopracciglio.
Era
il Granny’s, senza dubbio.
Dov’è
Camelot?
Ebbe
giusto il tempo di notare che tutti erano vestiti in modo diverso
rispetto a
pochi minuti prima. Poi
la porta della
tavola calda si aprì e un nano che era rimasto a
Storybrooke, quello che
starnutiva in continuazione, entrò seguito da un suo
compare. Indossava una
giacca rossa di pelle. Si guardò intorno, incredulo.
-
Che diavolo ci fate voi qui? – chiese, guardandoli con gli
occhi fuori dalle orbite.
Aiutata
da sua madre, Lily riuscì a rimettersi in piedi.
-
Cos’è successo? – chiese Neve,
stringendo il suo bambino.
-
Siamo tornati – mormorò David.
Gli
occhi di Lily caddero sull’orologio appeso alla parete. Il
quadrante era andato
in frantumi, ma le lancette segnavano le otto e un quarto. Fuori era
buio.
-
Per tutti i diavoli... – disse Uncino.
-
Com’è possibile? – domandò
Malefica. – Fino ad un attimo fa eravamo a Camelot.
-
E perché diamine siamo vestiti così? –
chiese Brontolo.
-
Già. Tutto questo non ha senso. – disse Regina.
Indossavano
tutti abiti... antichi. Abiti da medioevo. Sete pregiate e molto
eleganti. Il
vestito di Regina era rosso, con rifiniture in oro. Quello di Uncino
era una
classica uniforme da pirata, pantaloni in pelle, stivali, giubba rossa
sotto la
lunga giacca con il colletto alto. Malefica indossava un vestito lungo
e nero,
con alcuni dettagli viola e le maniche che si allargavano, coprendole
le mani. Zelena
non era più legata, ma aveva comunque il bracciale nero
ancorato al braccio, e
il suo abito era... giustamente verde. Verde chiaro.
Incapace
di liberarsi del senso di confusione, Lily ammirò i suoi, di
vestiti: non
indossava abiti eleganti come quello di Regina, però aveva
una camicia scura
con le maniche a sbuffo e dei pantaloni in pelle simili a quelli di
Uncino,
infilati negli stivali alti. Sopra alla camicia aveva una giacca senza
maniche,
munita di tasche. In una di esse Lily vi trovò un fiore
bianco e ormai
appassito.
-
Eolo, che cos’è successo? Quanto siamo stati via?
– chiese Brontolo.
Prima
ancora che lui parlasse, Lily conobbe la risposta. Sapeva che era
successo
qualcosa di grosso, qualcosa di grave. L’aria era strana,
più pesante,
elettrica... piena di magia. Magia che si stava scaricando.
L’ultimo ricordo
era il castello di Camelot con le guardie che suonavano le trombe e le
porte
che si aprivano.
“Che
cosa mi devo aspettare? Un enorme
castello nero a strapiombo su una landa desolata?”
“Beh...
Sì. Come fai a saperlo?”
“La
fiaba. Sai, le ho lette tutte
da quando ho scoperto... chi sono. E ho anche guardato i cartoni
animati da
piccola”.
“Ah,
certo”.
“Hai
anche un corvo, per caso?”
E
poi più nulla.
Come
se qualcuno avesse provveduto a staccare la corrente e
l’avesse riattaccata al
momento opportuno.
-
Sei settimane – disse Eolo. Il suo tono sembrava quello di
chi trovava la
risposta più che ovvia.
-
Come? – Regina stentava a crederci.
-
I nostri ricordi... sono perduti. – disse David.
-
Di nuovo? – disse Neve.
-
Che fine ha fatto Emma? – domandò Lily, rendendosi
conto che c’erano tutti a
parte lei.
Uncino
si guardò in giro come se sperasse di trovarla sdraiata da
qualche parte,
insieme a loro. Solo che non c’era.
La
porta della tavola calda si spalancò ancora, di colpo,
andando a sbattere
contro la parete.
-
Rilassatevi – disse Emma. – Sono qui.
La
prima cosa che Lily pensò vedendola sulla soglia del
Granny’s, circondata dal
buio e da scoppi di elettricità, fu che Emma somigliava ad
uno dei replicanti
di Blade Runner. Aveva i capelli
bianchi come Roy Batty, raccolti in una crocchia, una di quelle
acconciature
che, era sicura, Emma non aveva mai portato in vita sua. La sua pelle
era di un
pallore spettrale. Il viso sembrava scolpito nel marmo, nella roccia
bianca più
dura. Gli abiti in pelle nera la facevano sembrare rivestita di
oscurità, una
vera Oscura, non più la Emma che avevano incontrato nella
foresta, la Emma tormentata
dalla nuova entità che la possedeva e in procinto di
sbriciolare un cuore, ma
una Emma che non si sarebbe fatta scrupoli a polverizzarlo, quel cuore.
Lily
la fissò a bocca aperta.
-
Mamma? – Henry non credeva ai suoi occhi. – Cosa ti
è successo?
-
Non è ovvio? Siete andati a Camelot per liberarmi
dall’oscurità. – Emma entrò e
persino la sua andatura risultò diversa. Si muoveva con
un’eleganza
sconcertante. Senza fretta, ma con determinazione. Sicura di
ciò che era.
Sicura del suo potere.
Si
avvicinò a sua madre e le fece una carezza.
Neve
sussultò.
-
E avete fallito. – concluse.
Eolo
gettò uno starnuto.
Emma
si girò a guardarlo.
Forse
il nano non se ne rendeva conto, ma aveva commesso un grave errore. E
l’errore
non era stato starnutire in presenza dell’Oscura.
-
Chi diavolo saresti tu? – chiese, osservando la sua giacca
rossa. La giacca da
sceriffo.
Lui
non ebbe il tempo di rispondere. Emma lo pietrificò con un
gesto della mano,
interrompendo il nuovo starnuto.
-
Non c’è più nessuna Salvatrice in
questa città. - disse, valutando freddamente
il suo operato.
-
Emma, ferma – disse Regina, facendosi avanti. - Adesso basta.
Emma
la fissò con implacabile concentrazione. - Altrimenti?
-
Altrimenti farò esattamente quello che mi hai chiesto di
fare. - Regina cercò il
pugnale, portandosi una mano al fianco.
Il
pugnale non c’era. La consapevolezza colpì Regina
come un getto d’acqua fredda,
per quanto avrebbe dovuto aspettarsi che, con la scomparsa dei ricordi,
doveva
essere scomparso anche ciò che le avrebbe permesso di
controllare l’Oscuro.
-
Cerchi questo? – Emma sollevò l’arma,
mostrandole il suo nome inciso sulla lama
ondulata. Dalla sua posizione Lily vide che era all’altezza
della gola di
Regina. Come se, mostrandoglielo, Emma la stesse anche minacciando.
– Nessuno
toccherà questo pugnale a parte me.
Passò
oltre.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
Lily
mosse un passo in avanti. La sua voce suonò aspra quando le
rivolse la parola.
– Dove sono i nostri ricordi? Che cosa ci hai fatto?
Emma
si girò verso di lei. Malefica impedì alla figlia
di avvicinarsi troppo, sbarrandole
la strada con un braccio. L’altra mano reggeva il lungo
bastone. Lo puntò
contro Emma e la sfera su di esso sfavillò.
L’Oscura
non la degnò di un’occhiata. Inarcò il
sopracciglio. Quando gli occhi si
posarono su Lily, a lei il volto della sua vecchia amica
sembrò strano,
vagamente assorto. Un sorriso misterioso e appena accennato le
incurvò gli
angoli della bocca. Ma scomparve subito dopo, sostituito da
quell’espressione
dura che nascondeva appena tutta la furia.
-
Tieni a bada i tuoi bollenti spiriti, drago – disse a
Malefica. – Non sono
venuta qui per combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete
fatto,
sarete puniti.
Lily
rovistò in quel buco nero che era la sua memoria,
rovistò disperatamente alla
ricerca delle sue memorie, ma l’ultima cosa che ricordava
erano le porte di
Camelot e la propria voce mentre chiedeva a sua madre se avesse un
corvo.
“Per
quello che mi avete fatto,
sarete puniti”
La
sua mente era diventata un labirinto pieno di svolte cieche e angoli
troppo
bui.
-
Emma – disse Uncino, ottenendo la sua attenzione. -
Perché stai facendo questo?
Con
la stessa voce calma e indurita, carica di potere, lei disse: -
Perché... io
sono l’Oscuro.
Scomparve
in una nuvola di fumo grigio.
Lily
continuò a fissare il punto in cui, fino ad un attimo prima,
c’era Emma, come
se si aspettasse di vederla ricomparire. Regina fece lo stesso.
Guardò
di nuovo il fiore appassito che aveva trovato in una delle tasche. Era
un
giglio bianco.
_____________
Angolo
autrice:
Roy
Batty, a cui Lily paragona Emma, è uno dei replicanti
protagonisti del film Blade Runner, interpretato
dall’attore
Rutger Hauer. Lo preciso nel caso qualcuno non abbia mai visto il film.
|
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Capitolo 4 *** 4. ***
4
Quattordici
anni prima.
Neal
posò la bottiglia di Heineken
sul tavolo e si alzò, avviandosi verso il juke box sistemato
in un angolo del
locale.
“Che
stai facendo?”, chiese Emma.
Lui
sorrise, ma non disse niente.
Era quel sorriso. Quello che le aveva rivolto quando si erano
conosciuti, pochi
giorni prima, perché lei aveva avuto la brillante idea di
rubare un maggiolino
giallo. Una macchina che era già stata rubata.
Se
c’era una cosa che aveva capito
di Neal Cassidy era che poteva rivelarsi un tipo pieno di sorprese.
Dopo la
chiacchierata sulla giostra, l’aveva invitata a rivedersi per
cenare da qualche
parte. Le era sembrato evidente che volesse fare colpo su di lei ed
Emma si era
sentita lusingata. E si era anche chiesta se avesse davvero i soldi per
pagare
la cena di due persone.
Li
aveva trovati. Li aveva trovati
vendendo alcuni degli oggetti che aveva rubato di recente. Essendo un
ladro
come lei, avrebbe dovuto aspettarselo.
L’aveva
portata in un locale in
puro stile American Western, un posto chiamato Cowboy Bee Bop; era un
locale
vasto, con una grande pista da ballo in parquet, tavoli in legno, tre
baristi
al lavoro dietro all’ampio bancone e musica a volume
sostenuto. Quando erano
entrati li aveva accolti un mix di chitarra hawaiana e un
accompagnamento di
basso, subito seguiti dal rimbombo della batteria. Poi avevano virato
sulla
musica country.
Neal
aveva parlato molto davanti
agli hamburger circondati da una corona di patatine e anelli di
cipolla. Le
aveva raccontato di come aveva rubato il maggiolino, della fuga
precipitosa
dopo la recente rapina e di qualche furto rocambolesco commesso in
passato.
Emma scoprì che le piaceva ascoltarlo. Il sorriso del
ragazzo era sempre aperto
e sincero, un po’ sornione. Non era bello, ma aveva qualcosa
che lo rendeva
speciale.
“Sono
contento che tu abbia
accettato di venire qui”, le aveva detto ad un certo punto.
“Avevi
dei dubbi?”
“No.
So di aver fatto colpo alle
giostre. E anche sull’auto”. Il suo sorriso si
allargò ulteriormente.
Emma
non rispose, ma si portò una
delle ultime patatine alla bocca.
Ora
Neal stava presso il juke box e
sembrava riflettere sul da farsi; poi estrasse una moneta dalla tasca e
la
infilò nell’apposita fessura.
Pochi
istanti dopo partì una
ballata dal ritmo abbastanza accattivante, in puro stile anni
’80. Emma
non l’aveva mai sentita in vita sua.
‘Looking
from a window above, it’s like a story of love... can you
hear me?’
Neal
tornò al tavolo. “Che ne dici?”
“Carina”.
“Solo
carina?”. Lui aveva
appoggiato, quasi senza accorgersene, una mano sulla sua.
“Adoro questa canzone”.
‘And
all I ever knew... only you’
“Esiste
anche una versione a
cappella dei Flying Pickets, ma non ne vale la pena”,
spiegò Neal.
Emma
non scostò la sua mano da
quella di Neal. Temette che stesse per chiederle di ballare, cosa che
si
sarebbe rifiutata di fare, dato che non sapeva ballare. Ma non glielo
chiese.
Tuttavia la guardava. Non si aspettava che lei parlasse. Si limitava
solo a
guardarla. Emma si sentì scottare le guance.
Lui
seguitò a tenerle la mano
mentre lasciavano il locale.
Il
parcheggio asfaltato era pieno
di pick up e vetture di fabbricazione americana, quasi tutte piuttosto
vecchie.
C’erano anche semiarticolati e furgoni nel parcheggio a
sinistra, in fila sotto
le luci azzurrognole dei lampioni. Due uomini con il cappello da cowboy
condussero un paio di ridenti ragazze in jeans e camicia western verso
una
macchina, salirono e sgommarono via, sollevando una nuvola di polvere.
“Beh,
spero di averti dimostrato di
non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal,
schiarendosi la voce.
“Direi
che sei stato convincente”,
rispose Emma, abbassando gli occhi e poi tornando ad osservarlo. Era da
parecchio tempo che non passava una così bella serata. E
aveva quella canzone
in testa. Era sicura che avrebbe continuato a canticchiarla nei giorni
seguenti.
‘All
I needed was the love you gave, all I needed for another day... and all
I ever
knew... only you’.
Neal
si chinò in avanti. Emma seppe
che stava per baciarla e per un attimo ebbe paura, quella paura che
aveva
sempre quando qualcuno le piaceva. La paura che quel qualcuno finisse
col
deluderla. Che quel qualcuno l’abbandonasse, come avevano
fatto i suoi
genitori. O la ferisse come era successo con alcune delle famiglie
affidatarie
in cui era finita. Famiglie in cui lei era solo una... cosa le aveva
detto Lily
alla fermata dell’autobus? Ah, sì. Ruotina.
Tuttavia
in Neal non percepì nulla
di sbagliato. E quando le labbra di lui si posarono sulle sue, Emma non
lo
respinse. Gli appoggiò una mano sul petto e chiuse gli occhi.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Emma Swan – disse Henry, le mani appoggiate alla ringhiera,
gli occhi fissi
davanti a sé, verso il mare, ma senza vederlo. –
Emma Swan. Emma Swan.
Emma
comparve accanto a lui. – Henry...
-
Mamma... - Sembrava felice di vederla, ma il ragazzino ritrasse la mano
quando
lei provò a toccargliela.
Non
era sorpresa e tuttavia provò una fitta al petto quando il
figlio si allontanò.
– Non devi avere paura di me.
-
Cos’è successo? – le chiese, in tono
implorante. Il suo aspetto continuava a
sorprenderlo. Gli abiti neri ed eleganti che sua madre non aveva mai
indossato... prima. I capelli
bianchi
raccolti nella crocchia. Il pallore. Il suo strano modo di muoversi.
– Perché
sei così, adesso?
-
È... complicato.
-
Mi dispiace. Qualsiasi cosa sia successa a Camelot... mi dispiace se
abbiamo
fallito con te.
Quello
la rattristò. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma immaginava che
Henry si sarebbe
scostato di nuovo. Era l’Oscura, ora. Non più la
Salvatrice che aveva condotto
a Storybrooke. – So che cos’ho detto ieri sera. Ma
Henry... tu non hai fallito
con me. Tutti gli altri l’hanno fatto.
-
Stai lontana da mio figlio.
La
voce di Regina non la sorprese affatto. La vide avvicinarsi a loro con
la sua
solita aria decisa. L’aria di chi era pronta a sfidare
persino il nuovo Oscuro
per scoprire cos’era accaduto ai loro ricordi.
-
Qual è il problema, Regina? Hai paura che Henry venga a
sapere cos’è accaduto a
Camelot?
-
Se la verità è così importante per te,
perché hai cancellato i nostri ricordi?
-
È una maledizione, Regina. – Lo disse come se
fosse una cosa ovvia, una cosa
che una come lei avrebbe dovuto sapere.
Gli
occhi di Emma erano di un verde molto carico, più scuro del
solito. Regina non
distolse lo sguardo. – Lo so. Quello che non riesco a capire
è... perché?
-
Se avessi voluto fartelo sapere, non avrei certo cancellato i tuoi
ricordi.
Regina
ebbe voglia di colpirla. Di colpirla per far sparire quel sorrisetto
dal suo
volto, per chiuderle il becco una volta per tutta. Quando parlava,
Regina
sentiva quanto fosse cambiata, avvertiva la nuova inflessione della sua
voce,
il potere come se fosse qualcosa di concreto. Aveva passato tutta la
notte a
rigirarsi nel letto, tormentandosi con un mucchio di domande,
rivoltandole
nella sua mente per trovare una via d’uscita, una motivazione
a quella nuova
maledizione. Aveva scavato nei suoi ricordi, ma senza successo. Il
pensiero di
ciò che Emma era diventata non la lasciava in pace. Il
pensiero di quella
figura oscura e sensuale, di quello sguardo determinato ma offuscato
dalla
nuova entità che ne possedeva il corpo... non
l’abbandonava. Le sue accuse...
“Non
sono venuta qui per
combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete
puniti”.
Le
sembravano accuse insensate. E tuttavia la sua rabbia era fin troppo
palpabile.
Cos’abbiamo
fatto?
“Per
quello che mi avete fatto,
sarete puniti”.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
“Nessuno
toccherà questo pugnale a
parte me”.
“Siete
andati a Camelot per
salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.
FALLITO.
Era
riuscita ad addormentarsi solo all’alba e solo
perché Robin si era offerto di
prepararle una tisana.
Ma
lei non aveva bisogno di tisane. Voleva delle risposte.
-
Voglio parlare con Emma – aveva detto Henry, quella mattina.
Anche lui aveva
l’aria sbattuta. Non aveva chiuso occhio ed era evidente.
– Se la chiamo... se
la invoco, mi risponderà. L’Oscuro... deve
rispondere quando qualcuno lo
invoca.
-
Sì... – aveva mormorato Regina, mettendogli una
mano sulla testa. – Ma Henry...
-
Voglio capire perché dice che abbiamo fallito. Voglio dirle
che... che mi
dispiace.
-
Henry, non credo che lei sia arrabbiata con te.
E
aveva ragione. Emma non era furiosa con suo figlio. Era furiosa con lei. Era furiosa con tutti
loro.
-
Lo sai... che non ci fermeremo fino a quando non li avremo recuperati
–
continuò Regina, riferendosi a quelle memorie perdute.
-
Non succederà, Regina. – rispose Emma, con calma.
– Perché ho imparato da te. Ho
creato questa maledizione senza l’unica cosa che
può spezzarla. Una Salvatrice.
Regina.
Era
la terza volta che Emma pronunciava il suo nome. La terza. Lo
pronunciava come
se la stesse sfidando apertamente. Come se volesse sottolineare la sua
colpa
senza rivelargliela, cosa che la faceva imbestialire. Lo pronunciava
imprimendo
forza e durezza in ogni sillaba.
Non
si lasciò impressionare dal suo tono. – Beh...
troveremo una soluzione. La
troviamo sempre.
-
Sì. Grazie a me – disse lei, ancora più
sprezzante. – Adesso sei sola.
Henry
mise una mano sulla spalla di Regina. – Ce la puoi fare,
mamma. Puoi essere la
Salvatrice.
Regina
gli sorrise, intenerita.
-
Non succederà – ripeté Emma. Sembrava
quasi triste, mentre lo diceva.
-
Tu non pensi che io possa esserlo. - La sua non era più una
domanda. Si sentiva
ancora più confusa.
Emma
la fissò intensamente. – So che non lo sei.
So
che non lo sei, perché so cosa
mi hai fatto, sembrava
che le stesse dicendo. So che non lo sei,
perché hai fallito. So
che non lo sei, perché mi hai delusa. Come tutti gli altri.
So che non lo sei e
anche tu lo sai, solo che non ricordi.
-
Beh, ti sbagli – continuò Regina. Per lei quella
conversazione era terminata.
Non intendeva farsi insultare ancora. Invitò Henry a
seguirla. – Posso
proteggere questa città.
-
Stai raccontando frottole a te stessa. – asserì
Emma. – Perché questa
maledizione è un problema che solo una Salvatrice
può risolvere. Peccato che
non ne abbiamo una.
Regina
si fermò, ma non osò voltarsi per affrontarla di
nuovo. Le sue parole erano
come coltelli affilati. Per quanto si mostrasse sicura di
sé, riuscivano a
penetrare. E arrivavano in fondo. Lei era stata la Regina Cattiva,
aveva
seminato il panico e il terrore nella Foresta Incantata, aveva
massacrato
villaggi interi per raggiungere il suo obiettivo... aveva cercato di
eliminare
la Salvatrice quando era giunta a Storybrooke dopo ventotto anni. Ora
toccava
sempre a lei proteggere la città. Toccava a lei proteggerli
dall’Oscuro, da
quella stessa donna che aveva liberato tutti un tempo. E che la
accusava di
qualcosa di terribile.
“Ce
la puoi fare, mamma. Puoi essere
la Salvatrice”.
“Non
succederà”
La
gente si sarebbe fidata di lei? Avrebbero creduto che fosse in grado di
proteggere Storybrooke?
“Tu
non pensi che io possa
esserlo”.
“So
che non lo sei”.
Continuò
a camminare, tenendo Henry per mano e sentendo quello sguardo addosso.
Sentendolo su di sé.
-
Non ascoltarla, mamma – disse suo figlio, scuro in volto.
– Quella che parla...
non è Emma.
Ma
Regina non ne era così sicura. L’Oscuro ci metteva
del suo, di certo, ma quello
sguardo tempestoso era di Emma. C’era
l’entità che aveva preso possesso del suo
corpo e c’era Emma che era furibonda. Che pensava sinceramente che avessero fallito tutti.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
***
Camelot.
Sei settimane prima della
maledizione.
Artù
aveva preparato un ballo in grande stile solo per i suoi ospiti. La
sala più
grande del castello era illuminata a giorno e gremita di cavalieri,
lord e dame
pronti a lanciarsi nelle danze. I colori erano talmente vividi da
restarne
abbagliati. Nell’aria aleggiavano la musica e il profumo dei
fiori.
In
cima alla scalinata che le avrebbe condotte al centro della sala, Emma
e Lily
aspettavano il loro turno per scendere.
-
Dobbiamo proprio partecipare a questa farsa? –
domandò Lily, sforzandosi di
sorridere e parlando a bassa voce per non farsi sentire dai due uomini
posizionati ai lati della scala.
-
È solo un ballo – le rispose Emma.
-
Non è solo un ballo. E
sono stata
costretta a mettermi questo. Perché
non ho potuto scegliere come vestirmi? – Lily indossava un
abito nero, con le
maniche lunghe che si aprivano verso i polsi e avevano gli orli bordati
da
rifiniture viola. Il vestito era munito di uno strascico corto e la
scollatura
era abbastanza generosa. Portava la sua collana, quella a forma di
mezzaluna e
le avevano anche acconciato i capelli in modo che le ricadessero tutti
su una
spalla.
-
Credo che dipenda dal fatto che qui siamo ospiti, Lily. –
Emma le sorrise. –
Stai molto bene.
-
Non sto bene. Faccio fatica a muovermi. E detesto ballare.
Emma,
dal canto suo, stava certamente bene con quell’abito candido
come la neve e la
corona di fiori tra i capelli biondi, sciolti sulle spalle. Nessuno
avrebbe mai
sospettato che fosse l’Oscura. Splendeva come un sole. Lily
era convinta che
Uncino avrebbe anche avuto l’onore di ballare con lei, ma
molti in quella sala
avrebbero fatto carte false per invitarla.
-
Pensa solo che non durerà molto –
continuò Emma.
-
Non sembri tanto preoccupata. Quindi sai ballare?
-
Diciamo che Neal... mi ha insegnato qualcosa.
L’araldo
del re annunciò le due ospiti, facendosi sentire in tutta la
sala. – Lady Emma
Swan e Lady Lilith!
Lei
roteò gli occhi, notando che l’attenzione degli
invitati si era spostata su di
loro. - Avrei voluto conoscere questo Neal. Forse mi sarebbe piaciuto.
-
Lo credo anch’io.
Emma
cominciò a scendere e Lily la seguì, sperando che
quel dannato vestito non la
intralciasse. Ai piedi delle scale Uncino attendeva la sua amata con la
tipica
divisa da pirata, pantaloni in pelle nera e giacca lunga sopra la
giubba rossa.
Avrebbe preferito quella all’abito che le avevano riservato.
-
Lady Lilith – disse il giovane cavaliere di nome Percival,
elargendo un inchino
e poi tendendole la mano. – Ho chiesto a vostra madre di
potervi invitare per
questo primo giro di danze.
Lily
cercò sua madre in mezzo alla gente, ma non
riuscì a scorgerla. Se fosse
riuscita a trovarla, le avrebbe fatto sapere che sua figlia non amava
quel
genere di cose.
Tuttavia
Percival le sorrideva, gentile. Era alto e di bell’aspetto,
con i capelli
biondi tagliati corti, molto elegante con quella giacca rosso scura
sopra la
camicia chiusa da bottoni neri. Aveva con sé la propria
spada, agganciata alla
cintura.
-
Forse mia madre avrebbe dovuto dirti... dirvi che non ho mai fatto
queste cose.
Nemmeno nel mondo in cui sono cresciuta – gli rispose,
prendendo la sua mano.
Lui
non sembrò sorpreso e la condusse al centro della sala.
– Mi piacciono le
sfide. E poi... basta che uno di noi due sia in grado di farlo e sappia
guidare
l’altro.
-
Vi presento... la Salvatrice! – annunciò
l’araldo, alzando ancora di più la
voce.
Tutti
applaudirono e levarono esclamazioni ammirate quando Regina apparve in
cima
alla scalinata, agghindata in un vestito che mandava barbagli
argentati. Se
quello di Emma era particolarmente elegante, anche se non
così elaborato,
quello di Regina appariva molto più regale, con
l’ampia gonna bianca e le
spalline sottili.
“Io
sono la Salvatrice”, aveva
detto quel giorno, quando Artù aveva chiesto esplicitamente
chi di loro fosse
colei che aveva spezzato la prima maledizione.
Emma
era stata sul punto di rivelarsi, ma Regina aveva sfruttato il pugnale
per
coprirla. Se Emma avesse detto di essere la Salvatrice,
l’avrebbero costretta
ad usare la magia. E la magia dell’Oscuro non era certo
quella che Artù si
aspettava.
“Io
sono la Salvatrice. Io sono
quella che libererà Merlino... così poi potremo
occuparci dell’Oscuro”. Si
era voltata verso Emma, che non aveva detto una parola, ma non aveva
potuto
nascondere il suo disappunto e la sua tristezza. Regina era sembrata
enormemente dispiaciuta per ciò che stava facendo.“E torneremo tutti a casa”.
Lily,
però, non aveva apprezzato affatto. Immaginava che fosse
giusto, che fosse
necessario per evitare ulteriori problemi ora che si trovavano a
Camelot... eppure,
al tempo stesso, per lei era tutto sbagliato.
C’erano
molti dettagli che le sembravano sbagliati. Camelot, prima di tutto.
Camelot
sembrava troppo perfetta e lei delle cose perfette non si fidava. Mai.
Artù.
Appariva ben disposto, cordiale, onesto, un vero re. Ma nei suoi occhi
verde
chiaro c’era qualcosa che non riusciva ad afferrare. Sua
moglie, la regina
Ginevra, stava sempre accanto a lui, come la più fedele
delle mogli ma, se non
ricordava male la storia, era tutto fuorché fedele. E per di
più il suo sguardo
era opaco, distante, come se stesse guardando il mondo attraverso un
velo. Merlino.
Merlino, il mago più potente che quel regno avesse mai
conosciuto, era
intrappolato in un albero da... non si sapeva bene quanto tempo.
Emma.
Emma era l’Oscuro e quello era già sbagliato, ma
ancora più sbagliato le
sembrava il fatto che non si appropriasse del pugnale. Che lasciasse
che
qualcun altro la controllasse. L’Oscuro aveva bisogno del
pugnale. Era più
sicuro che l’avesse lei.
“Io
ti ho salvata. Ora tu salva me.
E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro
sarà capace di
fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e
fare ciò che è
necessario. Distruggermi”.
Regina
scese le scale, raggiungendo Robin Hood.
Lily
distolse lo sguardo e si lasciò guidare da Percival, giusto
per non apparire
scortese.
Da
almeno venti minuti Henry stava osservando la figlia di uno dei
cavalieri di
Artù.
Pensava
che fosse una delle ragazze più carine che avesse mai visto.
Doveva avere più o
meno la sua età, portava i capelli neri sciolti sulle spalle
e in quel momento
aveva l’aria un po’ annoiata mentre ascoltava le
chiacchiere di due invitati.
Henry
pensava anche che avrebbe potuto chiederle di ballare. O magari lei non
voleva
ballare. Magari suo padre non le avrebbe permesso di farlo
perché toccava a lui
scegliere il cavaliere a cui affidarla.
Si
morse il labbro. Scrutò la folla alla ricerca delle sue
madri e le vide tutte e
due impegnate nelle danze. Tornò a guardare la ragazza.
Azzurro
si avvicinò e si appoggiò ad una colonna.
– Sai, potresti semplicemente...
andare da lei e presentarti.
Henry
alzò un sopracciglio. – Questa sarebbe la tua
tattica, nonno? Presentarsi?
-
Oh, pensaci! Tu vieni da un altro mondo, sei misterioso... intrigante
– Azzurro
prese un paio di bicchieri dal vassoio che una serva gli stava porgendo
e
glieli offrì. – Avanti, vai.
Henry
si sentì la bocca secca, la gola così riarsa che
ebbe voglia di scolarsi quella
bevanda, qualunque cosa fosse. Gli tremavano le ginocchia. E tuttavia
si fece
coraggio, seguendo i consigli del nonno.
-
Sembri... assetata – disse, porgendole il bicchiere.
Idiota,
pensò,
sbigottito. Che cosa mi passa per la
testa?
Un
vero cavaliere l’avrebbe prima salutata, si sarebbe inchinato
e si sarebbe
presentato. Non era quello lo scopo? Presentarsi? Fare bella figura?
Apparire
misterioso?
Lei
sorrise apertamente, accettando il bicchiere. – Vuoi dire
annoiata. Grazie.
Henry
pensò febbrilmente. – Quindi... non ti stai
divertendo?
-
Oh, per favore... i balli a Camelot sono all’ordine del
giorno.
Glielo
disse come se fosse una cosa ovvia, quindi Henry cercò di
migliorare la sua
esternazione precedente. – Già, sì,
è... davvero noioso.
La
ragazza non disse niente e lui avvertì il sangue affluirgli
alle guance. Non
stava andando esattamente come aveva sperato.
“Tu
vieni da un altro mondo. Sei
misterioso... intrigante!”
Pescò
l’Ipod dalla tasca. Era una vera fortuna che
l’avesse con sé quando Lily aveva
attivato la bacchetta magica. Districò le cuffie.
La
ragazza lo fissò, incuriosita. – Che
cos’è?
-
È un... un regalo della Salvatrice – rispose
Henry, imprimendo sicurezza nella
propria voce. Misterioso. Intrigante. Ecco.
-
Un regalo della Salvatrice? Davvero?
-
Sì... diciamo che è un... un premio. Un premio
per aver salvato la situazione
quando eravamo intrappolati in un altro universo.
Lei
sembrava stupita.
-
Sì... qualcosa del genere. – minimizzò.
Rise.
– Che gesto eroico. Sei un cavaliere?
Gesto
eroico.
Misterioso.
Intrigante.
Henry
cominciava a capire che suo nonno aveva ragione. – Molto
meglio. Sono uno
scrittore.
Non
ebbe esitazioni mentre le offriva la cuffia e le mostrava come usarla.
La
ragazza se la infilò in un orecchio. Non ebbe esitazioni
nemmeno quando scelse
la canzone da farle ascoltare. Perché era una di quelle
canzoni che ascoltava a
ripetizione. Era stato suo padre a parlargliene. Una volta le aveva
raccontato
come aveva conquistato Emma.
“Con
una canzone?”, aveva
chiesto Henry.
“Non
una canzone qualsiasi. La mia
preferita. Funziona sempre, fidati. Beh, certo, ammetto che non
è stata solo la
canzone. Ero abbastanza... intrigante”. Ricordava
anche il
sorriso di Neal. Era sicuro che Emma si fosse innamorata di lui anche
per via
del modo in cui sorrideva.
Qualche
settimana prima aveva cercato la musica su Youtube.
Only
you.
Schiacciò
il tasto “play”. Lei assunse
un’espressione stranita, persino incredula quando
Yazoo iniziò a cantare.
“Looking
from a window above, it’s like a story of love... can you
hear me?”
-
Mi chiamo Violet – annunciò.
Henry
pensò che anche il suo sorriso fosse bellissimo.
Allungò la mano e gliela
strinse brevemente. – Henry.
Non
fu una tragedia.
Lily
continuava a sentirsi legnosa, mentre si sforzava di imitare i passi
degli
altri ballerini e mentre Percival la aiutava a mantenere il ritmo, ma
almeno
evitò di schiacciargli i piedi.
-
Posso domandarvi una cosa? – domandò Percival,
facendole fare un giro su se
stessa.
-
Dipende. Di che si tratta? – chiese Lily.
Il
cavaliere stirò le labbra all’insù in
quello che avrebbe dovuto essere un
sorriso. Ma lo sguardo rimase serio. Attento. – Forse mi
giudicherete
inopportuno. Ma ho notato la vostra collana. Sembra qualcosa di...
speciale.
Lily
si portò una mano al collo, sfiorando il ciondolo con le
dita. Non rispose.
Percival
aspettava, paziente, e intanto continuava a danzare.
-
Sì... l’ho sempre avuta. Fin da quando sono nata.
– gli rispose, guardinga.
-
Come la stella sul polso?
Lily
guardò la voglia, istintivamente. La stella era visibile
perché le maniche del
vestito si aprivano proprio all’altezza dei polsi.
-
Si sposa molto bene al vostro ciondolo. Vi dona –
commentò Percival.
La
canzone terminò. Finalmente. Con la coda
dell’occhio Lily vide Artù in
disparte, che valutava la situazione con la moglie appesa al suo
braccio. I
genitori di Emma erano accanto a lui e ridevano, beatamente. Henry
stava
chiacchierando con una ragazzina, con la quale stava anche condividendo
le
cuffie di un Ipod. Persino Granny aveva trovato un cavaliere e Brontolo
ballava
con Belle. Mancava solo Zelena, costretta ad interpretare la parte
della serva
muta. Regina le aveva tolto la voce per impedirle di dire qualsiasi
cosa che
potesse metterli nei guai.
-
Una volta qualcuno mi ha detto la stessa cosa – disse Lily,
cominciando a
chiedersi se avesse fatto bene ad accettare l’invito di quel
tizio. – Forse è
meglio... che mi prenda una pausa.
-
Come desiderate. Sono sempre a disposizione, se avrete voglia di
ballare
ancora. – Percival si inchinò.
Lily
notò che il suo sguardo continuava a passare dal ciondolo
alla voglia. Si
sistemò meglio la manica dell’abito per
nasconderla.
“Che
splendido ciondolo”.
“Grazie”.
“Hai
mai notato che si sposa bene
con la voglia che hai sul polso?”
Il
pensiero era talmente nitido, talmente tridimensionale e sonoro, che
Lily
trasalì, come se l’Apprendista si fosse
materializzato accanto a lei e avesse
parlato a voce alta. Nessuno notò niente. Percival si era
allontanato.
-
Posso intromettermi? Sarebbe un onore per me ballare con la Salvatrice
– disse
Percival, piazzandosi tra Robin e Regina.
Era
lo stesso cavaliere che le aveva portato la collana di Artù,
lo stesso che
cavalcava alla destra del re quando il manipolo li aveva trovati nella
foresta.
Robin
gli diede il permesso, concedendogli la mano della compagna. Regina
sorrise,
sebbene trovasse la situazione un po’ strana. Nessuno dei
cavalieri di Artù si
era mai avvicinato, nel corso della festa, per chiederle di ballare.
Non era
successo a lei e non era successo ad Emma. Percival aveva ballato con
Lily fino
a pochi istanti prima e avrebbe giurato che i due fossero abbastanza
affiatati,
anche se quella ragazza non aveva la minima idea di cosa fosse un
ballo. Più o
meno come lei. Ma per Lily sembrava ancora più complicato.
Non aveva mai visto
un ballo in vita sua e quindi sembrava totalmente fuori luogo.
-
Spero che stiate passando una piacevole serata – disse
Percival, accompagnando
le parole con un sorriso e un breve inchino.
-
Oh, sì. Tutto è così... –
Regina vide suo figlio in mezzo alla folla. Con una
ragazzina.
Suo
figlio, con una ragazzina. Si erano scambiati le cuffie
dell’Ipod e ora
parlavano e ridevano come se si conoscessero da una vita. Sembravano
assai
indaffarati. Più in sintonia che mai. Non aveva mai visto
Henry chiacchierare
con una ragazzina con tanta naturalezza.
Non
può essere mio figlio, pensò,
costernata.
Ma
era Henry, invece. Armeggiava con l’Ipod, che certamente era
una cosa nuova per
una ragazzina di Camelot. Ora le stava mostrando qualcosa sullo schermo
e
pigiava dei tasti. Lei si sporse un po’ di più per
vedere, sempre
sorridendogli.
Regina
ebbe un moto di stizza. – Chi è quella ragazzina
che sta parlando con mio
figlio?
-
La domanda giusta è: chi siete voi? –
ribatté Percival. La sua espressione era
mutata. Continuava a ballare, come se fosse tutto normale, ma i suoi
occhi
erano diventati più affilati. Le sue labbra erano pressate
in una linea piatta.
-
Di che cosa state parlando? – domandò Regina. In
realtà aveva la brutta
sensazione di saperlo. Però non era possibile. Era stata
attenta. Non aveva
parlato con nessuno di Emma e dei suoi poteri. Aveva nascosto il
pugnale in un
luogo sicuro, proteggendolo con un incantesimo. Non potevano averlo
trovato...
-
Lasciate che vi racconti una storia – proseguì
Percival. Non smetteva di osservarla.
– Molti anni fa un ragazzo tornò al suo villaggio,
nella Foresta Incantata... e
lo trovò in fiamme. Le persone urlavano, il terrore impresso
nei loro occhi...
Regina
aggrottò la fronte. Il cuore prese a batterle più
forte. Mantenne il ritmo, ma
qualcosa stava ardendo nel suo stomaco.
-
Tutto il suo mondo... bruciava, come un rogo. Il ragazzo
pregò, chiedendo
pietà, ma non gli venne concessa.
Regina
non lo interruppe. Non ricordava l’episodio che stava
raccontando. Aveva
bruciato talmente tanti villaggi quando ancora dava la caccia a
Biancaneve...
villaggi che le sembravano tutti uguali, tutti pieni di persone che
cospiravano
contro di lei, che nascondevano la sua acerrima nemica, che si
inginocchiavano
al suo cospetto, ma intanto la tradivano. Era così piena di
rabbia e così
assetata di vendetta, che ogni uccisione era uguale alla precedente e
alla
successiva, ogni villaggio non era che un covo di inganni che voleva
piegare o cancellare
dalla faccia del suo regno.
-
Vide solo un angelo della morte. Lei si muoveva tra le fiamme,
godendosi il
disastro che aveva provocato, in sella al suo cavallo... ma prima di
andarsene,
lei vide il ragazzo. – C’era rabbia nella voce di
Percival, adesso. Contenuta a
stento. C’era odio. Odio
puro. – E in
mezzo a quella carneficina, sapete che cosa fece lei? Gli
sorrise.
-
Voi siete quel ragazzo – disse Regina.
-
E voi siete la Regina Cattiva.
Fine
della storia.
Regina
smise di ballare e lo stesso fece Percival. –
L’avete detto a qualcuno?
-
A nessuno.
-
E perché no?
-
Perché Artù mi avrebbe impedito di fare questo.
– Percival estrasse la spada e
si mosse in avanti per infliggerle il colpo mortale.
A
Lily, che si trovava vicino ad una delle finestre e non aveva
più badato alle
danze, presa com’era dai suoi pensieri, sembrò di
vedere più cose
contemporaneamente; Percival che sguainava la spada, Regina che
indietreggiava
per evitare l’affondo, Robin che gridava il suo nome e si
gettava sul
cavaliere, iniziando a lottare con lui, gli invitati che formavano un
cerchio
intorno ai contendenti, Artù e sua moglie paralizzati, Emma
che sollevava una
mano pronta ad usare la sua magia, Uncino che la bloccava, afferrandola
per il
polso, Malefica che si faceva largo in mezzo alla gente...
Lily
spintonò alcune persone per arrivare dove si stava svolgendo
la lotta. Vide
Percival che allungava una mano per arrivare all’elsa della
sua spada, Robin
sotto di lui cercava di impedirglielo, dibattendosi e colpendolo
ripetutamente...
La
mano di Percival arrivò comunque all’elsa, la
impugnò e la sollevò, gli occhi
accesi di furia omicida.
Lily
avvertì il potere scorrere in lei, come a Storybrooke quando
Zelena aveva preso
la bacchetta, come nella Foresta quando aveva percepito
l’oscurità di Emma.
Quando vide la lama alzarsi, pronta ad affondare nella carne ed Emma
che non
poteva usare la maledetta magia, reagì slanciando un braccio
in avanti, quasi
sperasse di bloccare Percival e prenderlo per il collo. Fino ad un
attimo prima
quel cavaliere stava ballando con lei, le faceva domande strane sul suo
ciondolo e sulla voglia... avrebbe dovuto capirlo. Avrebbe dovuto
capire che
aveva in mente qualcosa. Il drago dentro di lei spalancò gli
occhi e ruggì.
Non
si trasformò. Dalla mano di Lily si sprigionò
un’onda di potere. Un risucchio
silenzioso e caldo, simile allo spostamento d’aria prodotto
da una scheggia
arroventata lanciata a velocità supersonica,
superò alcune persone, dirigendosi
verso il bersaglio.
Di
punto in bianco i pantaloni e la giacca rossa divamparono.
Percival
cacciò un grido e balzò in piedi, agitando le
mani e provando disperatamente a
spegnere le fiamme. La sua spada cadde sul pavimento con un clang che riverberò per la
sala. Brancolò
ciecamente, dimenando le braccia, girando su se stesso e urlando come
un
ossesso. I capelli presero fuoco insieme al resto e infine le fiamme
avvolsero
il suo viso. Per qualche momento fu tutto lì, avviluppato in
una muta
invocazione nel bozzolo ardente, poi i lineamenti si ripiegarono e si
fusero
insieme. Lily guardò abbastanza a lungo da scorgere non
più Percival, ma
Murphy. Con orrore le parve di rivedere il volto di Murphy, Murphy che
aveva
abbandonato in un’area di servizio dopo averlo ucciso a suon
di calci. Murphy
che le diceva di fottersi e che si fottesse pure sua madre. Murphy e la
sua
faccia insanguinata.
Le
urla cessarono e Percival bruciò, com’era bruciato
il suo villaggio.
Gli
invitati si spinsero a vicenda per allontanarsi il più
possibile dal fuoco. Si
creò confusione, baccano, si diffuse il panico. Robin era
riuscito a strisciare
via ed era stato ghermito da Azzurro, accorso con la spada sguainata.
Ginevra
nascose il viso nel petto del marito, orripilata. Artù,
invece, si era
immobilizzato, raggelato nella silenziosa contemplazione di
quell’infuocato
sviluppo. Infine alcuni cavalieri intervennero e soffocarono le fiamme
con i
mantelli.
Emma
cercò Lily con lo sguardo, in mezzo alla folla. Non fu
difficile individuarla,
anche perché intorno a lei si era creato il vuoto.
Lily
vacillò sulle gambe e poi crollò in ginocchio.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
So che sei lì. Puoi venire fuori adesso – disse
Emma. Stava ancora guardando il
punto in cui Regina e suo figlio erano spariti.
-
Da quanto tempo lo sapevi?
-
Sono l’Oscuro. Non dovresti nemmeno porti questa domanda. Da
quando sono
arrivata – Emma spostò gli occhi su di lei. - Non
puoi ingannarmi.
Lily
si avvicinò con cautela. Aveva seguito la conversazione fin
dal principio. Quella
mattina si era recata al porto, perché le sembrava un buon
posto per pensare.
Dentro di sé si era chiesta se dovesse invocare Emma.
Chiamandola, lei avrebbe
risposto. Sarebbe venuta. Si stava rigirando il giglio appassito tra le
dita,
quando aveva visto Henry. Immaginava che Regina fosse nei dintorni,
quindi si
era nascosta prima che lui potesse accorgersi della sua presenza o
prima che se
ne accorgesse l’altra madre. Anche se Henry sembrava troppo
assorto per notare
qualcosa.
-
Cosa ancora più ovvia – aggiunse. - Non puoi
ingannare qualcuno che ti conosce
bene... come me. Qualcuno che è legato a me da sempre, poi...
-
Ma l’Oscuro può ingannare gli altri, giusto?
– disse Lily.
Emma
non confermò, ma non era necessario.
-
A che gioco stai giocando, Emma?
-
Se hai ascoltato tutto, dovresti saperlo.
-
In realtà no. Non lo so. Una maledizione? Sul serio?
Emma
si staccò dalla ringhiera. – È
ciò che meritano. Questo è ciò che
merita chi
fallisce.
-
Perché? Cosa vuol dire tutto questo?
-
Quello che vedi dovrebbe suggerirtelo.
-
Sei l’Oscuro. Questo mi sembra chiaro.
L’oscurità ha preso il sopravvento.
Quello che non mi è chiaro è come sia successo.
Passò
qualcosa nello sguardo di Emma. Qualcosa di estremamente doloroso.
L’impressione
era che fosse un dolore antico, eppure anche nuovo. Molto recente.
-
Voglio i miei ricordi. Su una cosa Regina ha ragione.
Emma
sollevò un sopracciglio.
-
Non ci fermeremo fino a quando non li avremo ritrovati.
-
Lily...
-
No! Ne ho abbastanza di maledizioni. È tutta la vita che
lotto contro una
maledizione, Emma!
Ormai
erano faccia a faccia.
-
E questo mi dispiace – rispose l’Oscura.
Era
allucinante, eppure le parve sincera. – Cosa?
-
Una volta non ti ho creduta. Ricordi? – Emma le
sistemò distrattamente il
colletto della giacca di pelle che indossava. – Quando mi hai
detto che pensavi
di essere stata maledetta...
Lily
tacque. Gli occhi di Emma erano più verdi del solito. Erano
dei buchi
risucchianti. Trovava difficile distogliere l’attenzione.
-
Non ti ho creduto. Ma adesso so che cosa provavi.
-
Perché mi stai dicendo questo? Ti dispiace avermi tolto i
ricordi? Ho sentito
cos’hai detto a Regina. Abbiamo
fallito.
-
Gli altri hanno fallito, Lily.
–
precisò Emma, trattenendola per il colletto. – Tu
no. Tu non hai fallito. Né tu
né Henry avete fallito.
Lily
aggrottò la fronte. Strinse i polsi di Emma. –
Però sono nella stessa
situazione degli altri.
-
Non ho potuto evitarlo. – Lei annuì. –
Adesso vieni con me.
|
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Capitolo 5 *** 5. ***
5
Camelot.
Sei settimane prima della
maledizione.
La
sala in cui si era svolto il ballo si era svuotata di colpo e Lily era
stata
portata in un’altra stanza . Era una stanza piccola, in cima
ad una rampa di
scale, ma le sembrò affollata perché entrarono
tutti: Emma, Regina, Uncino,
Robin, sua madre, i genitori di Emma... come se fossero stati attori o
comparse, in attesa della battuta. Le sembravano tutti senza uno scopo.
Lily
brancolava alla ricerca di se stessa, di quella parte in grazia della
quale era
riuscita ad abbandonare quell’area di servizio anni prima,
anche se aveva
appena ucciso un uomo. Quella sera, in un altro mondo, ne aveva ucciso
un
altro. L’aveva arso vivo. Le urla di Percival le rintronavano
ancora nel
cervello. La sua faccia avvolta dal fuoco che si trasformava nella
faccia di
Murphy...
Malefica
afferrò la spada che il cavaliere voleva usare per uccidere
Regina. Saggiò
l’elsa, sfiorò la lunga lama con la punta delle
dita. – Quest’arma è incantata.
-
Incantata? – Regina la prese a sua volta. Le orecchie le
fischiavano
orribilmente.
“...un
angelo della morte. Lei si
muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva provocato, in
sella al
suo cavallo...”
-
Se Percival ti avesse ferita non saremmo riusciti a guarirti. Era
incantata
apposta per ucciderti.
“E
in mezzo a quella carneficina,
sapete che cosa fece lei? Gli sorrise”.
Emma
lanciò una rapida occhiata alla spada. Poi di nuovo a Lily.
Si avvicinò con
estrema cautela. Sentì che la solita, trita domanda, come va?, le saliva alle labbra e la
ricacciò subito in gola.
Deglutì. – Ehi.
-
Ehi...
In
realtà Emma non sapeva bene da dove cominciare. Una parte di
lei provava una
sorta di senso di colpa perché non aveva potuto usare la
magia. Se l’avesse
fatto, Lily non avrebbe dovuto usare la sua... o meglio, non avrebbe
perso il
controllo. D’altra parte, se l’avesse fatto, si
sarebbe rivelata e la sua
situazione sarebbe potuta peggiorare di molto.
-
Non avevo mai fatto niente di simile. Non so come sia successo
– disse Lily,
aprendo le mani e rivolgendo i palmi verso l’alto.
-
È dentro di te, Lily – le disse Malefica.
-
Non credevo di esserne capace.
Malefica
prese entrambe le sue mani, stringendole nelle sue. – Non hai
fatto niente che
non andasse fatto. Quel... Percival voleva uccidere Regina e forse
avrebbe
ucciso l’uomo delle foreste.
L’uomo
delle foreste non commentò il fatto che Malefica
l’avesse appena chiamato così,
ma comunque annuì. – Sì. Percival era
forte e quella spada era incantata... mi
avrebbe ucciso. E se anche non ci fosse riuscito, non sarebbe stato
possibile
curarmi.
Emma
si disse che lei avrebbe potuto curarlo. Avrebbe potuto curare lui e
anche
Regina. Ma adesso era troppo concentrata su ciò che era
accaduto. Ripensava al
fuoco che sprizzava dalle mani di Lily. Pensava a Percival che
ardeva...
Il
potere di Lily.
Era
dall’altra parte della sala, eppure l’aveva
avvertito, giusto un attimo prima
che esplodesse. La pelle aveva cominciato ad accapponarsi, in un modo
tale da
darle l’impressione di muoversi,
quasi stesse formando delle onde lungo le sue braccia. Non era la prima
volta
che accadeva. La prima volta era stato quando... quando
l’aveva raggiunta dopo
l’inseguimento in auto. Avevano lottato. “Prova
solo a toccarli e finirai male!”
“Sì?
E come farai senza la tua
magia, Salvatrice?”
Lily
era furiosa e lo era anche lei. Emma l’aveva spintonata, Lily
l’aveva colpita
in faccia.
I
fari del maggiolino erano esplosi con un botto fragoroso e nuvole nere
si erano
assiepate sopra le loro teste.
“I
tuoi genitori sono dei mostri.
Hanno bandito me in questo mondo e messo te in una teca. Ed eccoti qua,
pronta
a morire per loro! Perché sei perfetta! Sei la Salvatrice!
Meritano di essere
puniti. C’è solo un modo per fermarmi e tu lo
sai!”
Erano
lontane da Storybrooke, ma aveva avvertito chiaramente il...
-
Potere, mia cara – esclamò Tremotino. O meglio...
la cosa che aveva assunto le
sembianze di Tremotino. Se ne stava comodamente seduto su una seggiola,
con le
gambe accavallate e il solito ghigno divertito stampato sul viso
coccodrillesco. – Quanto ti sarebbe piaciuto usarlo questa
sera, non è vero?
Peccato che il giovane drago ti abbia rubato la scena.
-
Che cosa vuoi? – domandò, fissandolo con rabbia.
-
Swan, con chi parli? – chiese Uncino, perplesso.
-
Con nessuno – rispose lei, avvicinandosi alla sedia.
– Non preoccupatevi. Va
tutto bene.
-
Se l’Anti-Salvatrice non fosse intervenuta maldestramente, ti
saresti ritrovata
in una situazione molto... scomoda. Che avrebbe richiesto un prezzo.
–
Tremotino intrecciò le dita delle mani. –
Perché tu sai... che la
magia ha sempre un prezzo.
-
Non l’ho usata. E anche se l’avessi fatto, avrei
pagato quel prezzo, se fosse
servito per salvare una vita.
-
Non è così semplice, mia cara.
Da
quando era arrivata nella Foresta Incantata quella voce non aveva fatto
altro
che tormentarla. Aveva l’aspetto del precedente Oscuro, ma
non era Tremotino.
Lui era a Storybrooke, in coma. E solo grazie alla rosa sotto la
campana di
vetro sapevano che era vivo. Quella cosa aveva preso le sembianze
dell’unico
Oscuro che avesse mai conosciuto. Ed era stanca. Stanca di sembrare una
folle.
-
Emma – intervenne Regina. Guardava nello stesso punto di
Emma, eppure
continuava a vedere una sedia vuota e un muro di pietra. –
Con chi stai
parlando? Che succede?
-
E in ogni caso... l’Anti-Salvatrice potrebbe essere molto
più utile di quanto
pensassimo. È una vera fortuna che sia qui –
continuò Tremotino.
-
Smettila di chiamarla in questo modo. Si chiama Lily. E stasera ha
eliminato un
uomo che voleva uccidere Regina. – Si chinò in
avanti, puntando i suoi occhi in
quella spiritati della cosa.
Lily
stava osservando con la fronte aggrottata. I suoi occhi guizzavano da
Emma alla
sedia vuota e poi di nuovo su Emma.
-
Lilith, ma certo. Meglio non parlare di Anti Salvatrici quando la
Salvatrice
stessa ormai è oscura. Lilith. Proprio per questo ritengo
che sia una fortuna
averla tra noi. E non solo! – Sollevò il dito
indice. Il suo ghigno si allargò
ancora di più. – Ma col tempo lo capirai. Sua
madre ritiene che non sia
preoccupante un po’ di oscurità...
chissà se sa davvero di che cosa parla. Malefica
conosce l’oscurità, ma non questa. Tu
la
conosci. Perché sei tu la legittima proprietaria. Era tua.
-
Sì, lo era. Credi che non lo sappia?
-
Ti è piaciuto. – Tremotino emise la sua risatina
stridula. – Gustosa
l’oscurità, vero? Quando l’hai
sentita... anche se non era il tuo potere, ti è
piaciuto. Avresti voluto farlo tu, personalmente.
-
Avrei fatto ciò che andava fatto.
-
Se solo fosse vero...
-
Emma – la chiamò di nuovo Regina.
Tremotino
scomparve. Emma si voltò, trovandosi davanti a molte facce
stranite. Azzurro e
Neve erano seriamente preoccupati. Regina sembrava ansiosa. Uncino fece
un
passo verso di lei.
-
Swan... – disse il pirata. – Cos’hai?
Emma
si lisciò pieghe inesistenti sul vestito bianco. Si
girò verso la sedia, che
ora era vuota anche per lei. – Niente. Sto bene.
-
Forse tutto questo è troppo per te – disse suo
padre.
-
Mi sento solo un po’ debole. – disse Emma.
– Penso che andrò a stendermi per un
po’.
“Mi
sento solo un po’ debole. Penso
che andrò a stendermi per un po’”
Regina
capiva molto bene che non era quello il motivo per cui Emma aveva
lasciato la
stanza in fretta. Era turbata. Turbata da una lotta che avrebbe potuto
essere
la sua se la Salvatrice non avesse deciso di sacrificarsi. Vederla
parlare col
nulla... beh, non col nulla, certamente con uno dei suoi demoni
interiori, era
stato inquietante. Si chiedeva che forma avesse la cosa con cui Emma
aveva
discusso, si chiese se la vedeva sempre oppure solo quando era sotto
pressione.
Si chiese se ne fosse costantemente tormentata o se fosse
un’apparizione che la
coglieva alla sprovvista ogni qualvolta il suo potere si manifestava...
A
manifestarsi, in quel caso, era stato il potere di Lily. La figlia di
Malefica
se ne stava appoggiata al tavolo, meditabonda. Si rigirava tra le dita
il
ciondolo che portava al collo.
-
Forse dovrei andare a vedere come sta – disse Uncino,
grattandosi la barba.
-
No – intervenne Azzurro. – Lasciamola sola per un
po’. Credo che ne abbia
bisogno.
Ci
fu silenzio.
La
porta si aprì di nuovo e il sovrano entrò,
guardandosi intorno e scrutando le
facce dei suoi ospiti.
-
Sire... - disse Azzurro.
-
Spero che stiate tutti bene – disse Artù,
sorridendo cautamente. – Quello che è
accaduto questa sera... è inaccettabile. Ciò che
ha fatto Percival... non ha
scuse.
-
Ma aveva ragione – intervenne Regina. Non aveva intenzione di
nascondersi
ancora. Ormai tutti dovevano aver intuito la verità. Forse
spacciarsi per la
Salvatrice quando il suo passato era così pesante non era
stata la migliore
delle idee. Robin allungò una mano per stringere la sua.
– Io sono la Regina
Cattiva.
“...un
angelo della morte. Lei si
muoveva tra le fiamme, godendosi il disastro che aveva
provocato...”
“E
in mezzo a quella carneficina,
sapete che cosa fece lei? Gli sorrise”.
Artù
non sembrò arrabbiato e nemmeno sorpreso. – Beh,
Camelot è il posto delle
seconde possibilità. Chi eravate non conta. Conta chi siete
adesso.
Regina
si sentì più sollevata.
Artù
spostò lo sguardo su Lily. Lei incrociò gli occhi
del re per qualche momento.
-
E voi... – disse Artù. – Avete salvato
la situazione. Prima avete portato qui
tutte queste persone usando la bacchetta di Merlino e poi avete...
-
Ucciso il vostro cavaliere – concluse Lily.
-
Come ho detto, Percival non avrebbe dovuto farlo. Non conoscevo i suoi
trascorsi e mi sento in parte responsabile per le azioni che ha
commesso
stasera. – Artù appoggiò la mano
sull’elsa di Excalibur. Il pollice sfiorò la
gemma rossa incastonata nel pomolo. – Se voi non foste
intervenuta, avrei
dovuto punirlo io.
Nessuno
commentò.
A
Lily parve che l’occhiata di Artù fosse molto
intensa, come se stesse provando
a leggerle dentro, a carpire i suoi segreti.
-
Lo credo bene. Forse dovreste scegliere meglio i vostri uomini
– disse
Malefica, dopo qualche istante. Duramente. – E magari
chiedervi chi ha
incantato la spada di quel Percival.
Di
nuovo, Artù non si scompose. Abbassò lo sguardo e
parve riflettere. – Sì. Mi
sto già dando da fare. E vi ho preparato le stanze. Immagino
che per oggi
abbiate avuto la vostra dose di emozioni.
Regina
lasciò la mano di Robin. Non era sicura di poter dormire
dopo tutto ciò che era
accaduto. La storia di Percival, le fiamme, Emma e la sua battaglia
contro
qualcosa che nessuno poteva vedere. A volte Regina pensava che sfuggire
al
passato, lasciarlo indietro, fosse impossibile. Tornava sempre. In un
modo o
nell’altro, quando meno se l’aspettava, la mano del
passato si allungava verso
di lei per batterle sulle spalla. Quella sera il suo passato aveva
avuto un
nome: Percival. Un bambino spaventato dalla sua furia e cresciuto nella
sete di
vendetta.
-
Siete molto gentile, grazie – rispose Neve, accettando
l’offerta di Artù.
Lily
lasciò la stanza prima che qualcuno potesse aggiungere
qualcosa.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Dove siamo? – domandò Lily, quando la nuvola
magica che le aveva avvolte
disparve.
Il
porto era sparito. Ora, al posto del mare e delle barche,
c’era una strada, il maggiolino
di Emma parcheggiato accanto al marciapiede, un bel prato verde e una
casa
dipinta con delicati colori pastello, azzurro e viola per lo
più. Una casa
grande ed elegante. Alcuni scalini conducevano al portico e alla porta
d’ingresso, sulla quale capeggiava il numero 710.
-
A casa mia. Ti piace? – domandò Emma, salendo le
scale e dirigendosi verso
l’ingresso.
-
Da quando l’Oscuro ha bisogno di una casa?
-
Ne avevo bisogno anche prima, a dire il vero. –
Aprì la porta d’ingresso e la
lasciò aperta, perché anche lei potesse entrare.
Lily
si guardò in giro, con la fronte aggrottata. Si sentiva
confusa. Se possibile,
ancora più confusa della sera prima, quando Emma era apparsa
nelle sue nuove
vesti di Oscuro.
“Gli
altri hanno fallito, Lily. Tu
no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete
fallito”.
Seguì
Emma in casa.
Il
posto in sé era assolutamente normale. Persino accogliente.
Non c’era nulla di
elaborato e che non potesse piacere ad una persona che desiderava
vivere una
vita tranquilla.
Emma
si diresse in cucina e si tolse la giacca, gettandola sul tavolo. Sotto
portava
un semplice abito lungo e nero, senza maniche, che sottolineava le
curve del
suo corpo tonico.
-
Che cosa vuoi da bere? – domandò, aprendo il
frigorifero.
-
Da bere? – Lily notò una porta vicino alle scale
che conduceva al piano
superiore. La notò perché rispetto al resto aveva
qualcosa di diverso. Era più
vecchia. Stonava con i colori della casa ed era chiusa con un pesante
chiavistello. – Mi stai davvero offrendo da bere?
-
E perché no?
Lily
osservò la porta. - Mi hai portata qui per un drink?
Perché non mi parli dei
miei ricordi, piuttosto?
Emma
le offrì un bicchiere. – Prendi.
-
Cos’è?
-
Scotch. Una delle marche migliori.
Lily
annusò il contenuto, incerta.
-
Non essere così sospettosa. È solo
scotch.
Non è nel mio stile avvelenare una persona con un drink.
Probabilmente
la porta conduceva in un ripostiglio o in una cantina. Non capiva
nemmeno lei
perché la stessa guardando.
-
Conosci davvero le marche migliori di scotch? –
domandò Lily, non trovando
niente di meglio da dire.
-
Regina le conosce. Mi è capitato di dare
un’occhiata alla sua... collezione
personale. – Emma sembrava divertita.
Lily
sorseggiò lo scotch. Il primo sorso le bruciò la
gola e lo stomaco. Era molto
forte, ma forse aveva proprio bisogno di qualcosa di forte per capire
cosa
diavolo stesse succedendo. Frugò nella tasca della giacca.
-
Me l’hai dato tu, questo? – chiese, mostrandole il
giglio appassito.
Lei
sorrise. – Sì. L’hai conservato, vedo.
-
Non so neanche perché.
Emma
lo sfiorò con la punta delle dita e il fiore
recuperò il suo delicato aspetto
originario, bianco con delle sfumature gialle. - Così va
meglio. Aspettami qui.
Prima
che Lily potesse chiederle dove stesse andando, lei svanì e
ricomparve due
minuti dopo. Aveva una scatola in mano. La appoggiò su una
poltrona e l’aprì.
Rovistò in mezzo ad un mare di oggetti, fino a quando non
trovò ciò che
cercava.
-
Ricordi questa? – chiese, mostrandole una telecamera.
-
Certo.
Le
pile erano scariche, ma Emma non aveva bisogno delle pile per farla
funzionare.
Agitò una mano e la telecamera si accese. Lily sapeva
già che cos’avrebbe
visto.
Due
ragazzine che si divertivano a riprendersi e ridevano, spensierate. Due
ragazzine che erano appena diventate amiche, ma si sentivano legate
come se si
fossero già incontrate in qualche altra vita.
-
L’ho trovata tempo fa. Non ricordavo di averla tenuta.
– Per un momento, Emma
fu di nuovo semplicemente Emma. Non l’Oscuro.
Lily
prese la telecamera e guardò le due quindicenni che si
mettevano in posa e si
impegnavano nel fare linguacce e facce buffe. Sorrise, ripensando a
quel
giorno. Poi ricordò il motivo per cui si trovava
lì e scosse il capo.
-
Stai cercando di distrarmi?
-
Sto solo cercando di fare conversazione. Non abbiamo mai parlato
davvero da
quando ci siamo riviste. – Emma parlava come se non ci fosse
stato nulla di
strano.
-
Non ci provare! Non siamo qui per fare conversazione. Non questo tipo di conversazione.
– l’aggredì Lily. - Che cosa
significa quello che hai detto a Regina, prima? Perché le
hai detto che non è
una Salvatrice?
-
Perché è vero.
-
Sì? –
Posò la telecamera e puntò un dito
contro di lei. – Perché lei sembrava convinta del
contrario.
-
Certo, perché non ricorda niente. - Emma si versò
da bere a sua volta e sollevò
il bicchiere come se volesse fare un brindisi. – A Camelot le
ho affidato il
pugnale. Pensavo sarebbe stata in grado di salvarmi... o di
distruggermi, se
fosse stato necessario.
-
Quella parte me la ricordo.
-
Si è definita la Salvatrice – continuò,
senza badare all’interruzione. La sua
espressione si era fatta di nuovo dura. – Si è
definita la Salvatrice per
aiutarmi. Gli uomini di Artù non dovevano scoprire chi ero.
Lily
sbatté le palpebre. Cercò di figurarsi Regina che
si autoproclamava Salvatrice
e l’unica cosa che riuscì a mettere a fuoco fu una
donna che implorava Emma di
non cedere all’oscurità. Di non uccidere quella
che una volta era la sua unica
amica con un singolo colpo di pistola, perché avrebbe
rovinato non solo la sua
vita, ma quella di tutte le persone che amava.
-
Ma sai una cosa? Non è servito a niente – concluse
Emma, bevendo lo scotch
tutto d’un fiato. Fece sparire il bicchiere con un gesto
della mano.
-
Che cos’è successo a Camelot?
Emma
non rispose.
-
Emma?
Lei
rimase silenziosa per un lungo momento. Poi parve prendere una
decisione. - Non
posso. Non ancora.
-
Non puoi? – Lily sbatté il bicchiere su un
tavolino, rovesciando parte del suo
contenuto. – Non prenderti gioco di me, Emma.
-
Non mi sto affatto prendendo gioco di te.
-
Ah, no? Ci cancelli la memoria, ci riporti tutti a Storybrooke e fai la
tua
entrata in scena in pieno stile Oscuro Signore. Dici di essere furiosa
con
tutti per qualcosa che abbiamo fatto a Camelot... mi porti qui dopo
avermi detto
che io non c’entro niente con questa... punizione che vuoi
infliggere ai tuoi
adorati genitori, a Regina e a quelli che hanno partecipato alla tua
trasformazione... e ora mi dici che non puoi raccontarmi
cos’è successo a
Camelot?
-
Sì. – La voce di Emma suonò
terribilmente blanda e del tutto ermetica. Eppure
Lily credette di vedere qualcosa di vivido, nel suo sguardo, qualcosa
che non
era per niente piacevole. Ebbe la netta impressione che quelli fossero
gli occhi
di Emma ma anche fossero gli occhi di qualcun altro. Ed erano occhi
spiritati,
pieni di tenebra. Appartenevano ad un essere molto più
antico. - Sto dicendo
questo.
Lily
tentò di colpirla con un cazzotto, ma naturalmente Emma la
fermò. Il suo pugno
si schiantò sul palmo dell’Oscura, che poi glielo
strinse, intrappolandola.
-
Non essere così precipitosa, Lily – disse. La
lasciò andare e nell’altra mano
comparve il pugnale.
Lily
indietreggiò di un passo, scrutandola, furiosa. Il nome Emma
Swan impresso
sulla lama ondulata di quell’oggetto le faceva ancora un
certo effetto,
nonostante l’avesse visto altre volte.
-
Non sei ancora pronta per la verità. Nessuno lo
è. Te lo assicuro. – riprese
l’Oscura. - Ci sono delle cose che devo fare, prima. Ma
voglio che tu guardi
questo...
-
Cosa ci dovrei vedere di diverso?
-
Ce l’ho io. E nessun altro lo toccherà. Nessuno
merita di farlo. Avrei dovuto
prenderlo fin dal principio. – C’era rabbia,
adesso. Rabbia, delusione,
tristezza. La sua espressione era dura, severa, ma gli occhi verdi no.
Quelli ora
erano trasparenti. – Volevo che tu sapessi che non hai niente
da temere da me.
-
Perché?! – gridò Lily.
-
Perché tu hai cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa
giusta.
-
Hai visto Lily? – domandò Malefica, entrando nello
studio di Regina.
Lei
sollevò lo sguardo qualche istante, massaggiandosi la
tempia. La testa le stava
scoppiando. Re Artù aveva fatto la sua poco gradita comparsa
ed era
sufficientemente adirato, poiché aveva scoperto che i suoi
ospiti gli avevano
mentito. In più Robin aveva trovato i suoi cavalieri nella
foresta. Tutti
trasportati qui dalla maledizione, tutti senza ricordi, sperduti in un
mondo
che non conoscevano. Si era assicurata che sua sorella fosse
costantemente
controllata e aveva dato una strigliata sia all’infermiera
che le portava il
pranzo, sia alla guardia che zoppicava ancora a causa del proiettile
che Zelena
gli aveva piantato nella coscia. Si era rifiutata di usare la magia per
curarlo.
E
non riusciva a togliersi dalla mente quello che le aveva detto Emma.
Henry,
così fiducioso: “Ce la
puoi fare, mamma.
Puoi essere la Salvatrice”.
La
voce dura, persino rattristata di Emma:“Non
succederà”.
“Tu
non credi che io possa
esserlo”.
“So
che non lo sei”.
-
No, non l’ho vista. Perché sarebbe dovuta venire
qui? – rispose Regina,
seccata. Si alzò, andando alla finestra.
“Posso
proteggere questa città”.
“Stai
raccontando frottole a te
stessa. Perché questa maledizione è qualcosa che
solo una Salvatrice può
risolvere. Peccato che non ne abbiamo una”.
-
Non lo so. L’ho cercata dappertutto e alla fine ho provato
anche qui. – stava
dicendo Malefica.
-
Beh, qui non è venuta.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”
-
È adulta. Saprà cavarsela. Come se
l’è cavata fino a questo momento anche senza
di te. – Regina si pentì immediatamente di
ciò che aveva detto, ma ormai era
troppo tardi per mordersi la lingua.
Malefica
le regalò un’occhiata furente, poi si
girò per andarsene.
-
Malefica, aspetta! – esclamò Regina, serrando le
palpebre. Si appoggiò alla
scrivania. – Mi dispiace. È stata... una pessima
giornata.
Dopo
un attimo di esitazione, Malefica richiuse la porta dello studio.
-
Davvero. Questa ennesima maledizione mi rende furiosa e mi rende
furiosa anche
aver perso tutti i miei ricordi.
-
E il tuo incontro di questa mattina non ha migliorato le cose.
– concluse
Malefica, avvicinandosi alla scrivania. Portava un completo di lino
grigio che
gli fasciava la vita e i fianchi e una camicia di un grigio
più chiaro con una
cravatta di seta viola. I suoi capelli erano un ordinato ammasso di
onde color
grano.
Regina
aggrottò un sopracciglio. – Come sai
dell’incontro di questa mattina?
-
Ne parlavano quei due. Intendo gli Azzurri.
Levò
gli occhi al cielo. - Per quale motivo ho posto questa domanda!
-
Vedo con dispiacere che l’Oscura è riuscita ad
instillare qualche dubbio –
continuò Malefica, sfiorando il legno della scrivania con la
punta delle dita.
-
Si chiama Emma – precisò Regina, istantaneamente.
-
Emma, certo. – Malefica le rivolse un sorriso divertito.
-
Pensi che sia divertente?
-
No, affatto. Penso sia sorprendente.
–
C’era una luce strana, negli suoi celesti. Qualcosa di
indefinibile, quasi la
stesse sondando. – Ci tieni molto a lei.
-
Io tengo a tutta questa città. Sto facendo il possibile
per...
-
Ma tieni a lei in modo particolare. Diverso.
“Ci
tieni molto a lei”.
“Tieni
a lei in modo particolare.
Diverso”.
Beh,
è vero, si
disse Regina, con una punta di meraviglia.
-
Ha sacrificato il suo lieto fine per salvare il mio. Cosa dovrei fare?
Stare a
guardare mentre l’oscurità la inghiotte?
– La sua voce era roca e alterata.
-
Sempre che non l’abbia già inghiottita.
Regina
scosse il capo. – No, sono sicura di no. Emma è
ancora lì, da qualche parte.
L’ho... l’ho percepita.
-
Bene – disse Malefica. – Immagino che tu ne sappia
qualcosa.
In
realtà Regina sperava
che fosse così.
Non voleva soffermarsi sulla possibilità che per Emma non ci
fosse alcuna via
d’uscita.
-
E anch’io sono sicura che Regina sia ancora lì da
qualche parte – continuò
Malefica. Le si accostò, appoggiandole due dita sotto il
mento perché alzasse
la testa. – Stai pensando a cose che non devono essere
pensate, Regina. Peggio
ancora, stai prendendole in considerazione.
-
Stavo solo pensando ad un modo per venire fuori da questa situazione.
-
No. Stai pensando a quello che ti ha detto Emma. Stai pensando di non
poter
essere fondamentale per questa città. L’Oscuro fa
questo, Regina. Ti manipola.
Ti inganna. Dovresti saperlo.
Regina
la guardò negli occhi celesti. Aveva l’impressone
che la situazione si fosse
ribaltata. Una volta era toccato a lei riaccendere la scintilla e
alimentare il
fuoco di Malefica. Ora sembrava che Malefica stesse facendo lo stesso
con lei. –
Emma è furiosa. Per qualcosa che abbiamo fatto. Non sta solo
cercando di
manipolarmi. Lei vuole farmi capire che... non riuscirò a
proteggere nessuno.
Malefica
rimase in silenzio.
-
Robin sostiene che possa farlo. Che tutti... pensino che io possa
farlo. Ma non
ne sono così sicura. La gente mi ha perdonata... ma
perdonare non significa
credere che possa farcela.
Malefica
l’afferrò per il collo. La sua presa era molto
salda. – Io credo che tu
possa farcela.
-
Lo dici per rassicurarmi?
-
Non ti sto rassicurando. Lo dico perché è vero.
Qualsiasi cosa sia successa a
Camelot, non cambia il fatto che tu sia l’unica a poter
tenere le redini di
questa città. – La fissava ancora. E il suo
sguardo era fermo. – So che anche
dentro di te si nasconde un drago.
Regina
le sorrise.
Qualsiasi
cosa sia successa a
Camelot.
Fece
un profondo respiro, lo trattenne per qualche istante e lo
lasciò andare
lentamente. - Vuoi che ti aiuti a trovare Lily?
-
No – rispose Malefica, allontanandosi un poco. – Me
ne occupo io.
-
Ti preoccupa che Emma possa farle qualcosa?
-
Beh, considerando che vuole punirci... e poi sono convinta che questa
storia di
Emma tocchi Lily molto più di quanto lei dia a vedere.
Regina
non poté fare a meno di notare che nominare Lily
invariabilmente causava un
cambiamento nella voce e sul viso di Malefica. Era qualcosa che
addolciva i
suoi lineamenti, conferendo loro qualità che prima non
avevano.
Le
sovvenne il momento in cui Emma le aveva parlato per la prima volta
della sua
amica. Erano nella cripta. Lei era fuori di sé
perché Emma aveva riportato
indietro Marian, sfasando la linea temporale e causandole una marea di
problemi.
Marian
che non era Marian. Era Zelena.
“Sono
un’idiota”.
“Finalmente
una cosa su cui siamo
d’accordo!”
“Vedi,
io sono già stata in questa
situazione”.
“Quella
in cui mi disturbi? Sì, è
già successo”.
“Mi
è successo da piccola. Ho
conosciuto una persona... e pensavo che saremmo diventate... migliori
amiche.
Ma quella ragazza mi ha mentito...”
Regina
non aveva capito per quale motivo glielo stesse raccontando. La sua
presenza la
seccava, la infastidiva oltre misura. Desiderava afferrarla e prenderla
pugni.
Sbatterla fuori a calci... desiderava che la lasciasse in pace. Che non
le
imponesse la sua presenza. Tutto quello che Emma aveva fatto
l’aveva colpita in
un modo tale che avrebbe voluto trovare un posto in cui la Salvatrice
non
potesse raggiungerla. Ma la Salvatrice la raggiungeva ovunque andasse,
naturalmente.
“E
per colpa di una bugia io l’ho
allontanata. Mi ha chiesto di perdonarla, ma non l’ho fatto.
Con il tempo ho
capito che era stato uno sbaglio, me ne sono pentita. Ma a quel
punto... era
troppo tardi. Il danno era fatto”.
Regina
si era messa ad ascoltarla seriamente, interessata suo malgrado a
quella
storia.
“Ora
non voglio fare lo stesso
errore con te. Adesso vivo qui, con mio figlio e i miei genitori... e a
loro
voglio bene. Però non sempre riescono a capirmi. Non sanno
che cosa vuol dire
sentirsi incompresi e respinti. Non come lo so io. Non come lo sai
tu!”
Oh,
certo che lo sapeva. Lo sapeva ed era sicura che anche questo
l’avesse
avvicinata ad Emma. L’essere simili. L’essersi
sentite incomprese. A lungo.
“E
questo ci rende... non lo so...
uniche! Persino speciali”.
Ed
era così in contrasto con ciò che Emma le aveva
detto.
“Adesso
sei sola”.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
La
colpì un gelido senso di inquietudine e Regina si
ritrovò ad abbracciare se
stessa. Scacciò quella voce, rifiutandosi di ascoltarla.
La
porta del suo studio si aprì e Lily fece la sua comparsa.
Aveva un’aria
corrucciata e pensosa, ma era tutta intera.
-
Lily, si può sapere dov’eri finita? Ti ho cercata
ovunque! – esclamò Malefica.
-
Mi dispiace. Ero... sono stata al porto. – disse Lily.
-
Al porto?
Lily
annuì.
-
E immagino che tu abbia visto me ed Emma – aggiunse Regina.
-
È stato inevitabile, direi – ribatté la
ragazza, come se fosse stata una cosa
pressoché ovvia.
Regina
provò un forte senso di fastidio. Non avrebbe saputo dire da
dove venisse...
forse dall’idea che nessun altro avrebbe dovuto assistere a
quell’incontro. Era
stato il suo incontro con Emma. Il
suo e di Henry.
“Emma,
che c’è?”
“Si
trova a Lowell, in
Massachusetts, che è a meno di... cinquanta chilometri da
Boston, dove abitavo
cinque anni fa”. Emma
non riusciva a riaversi dalla
sorpresa. “Siamo cresciute in
Minnesota,
ci siamo separate da ragazzine e siamo finite a vivere da adulte a
mezz’ora
l’una dall’altra”.
“Come
ho detto, è destino. E il
vostro vi spinge a stare insieme”.
Già
allora Regina l’aveva capito. Erano connesse. Nel bene o nel
male lo sarebbero
sempre state. Anche adesso che Emma era oscura. C’era
qualcosa, in quel
legame... che la preoccupava e la faceva sentire... strana. Era
destino, sì. Ma
si domandava cosa significasse ora per Lily essere legata alla nuova
Signora
Oscura.
-
Hai parlato con Emma, vero? – disse Regina.
“Perché
tu hai cercato di aiutarmi.
Tu hai fatto la cosa giusta”.
“Non
hai niente da temere da me”.
-
Sì – disse Lily. – Solo per pochi minuti.
Regina
e sua madre attesero il resto.
-
Non mi ha detto niente che non abbia detto anche a voi. –
continuò lei, senza
esitazioni.
“Tu
hai cercato di aiutarmi. Tu hai
fatto la cosa giusta”.
A
Lily sembrò che il drago dentro di lei avesse appena
socchiuso gli occhi.
-
Ha cercato di farti qualcosa? – chiese Malefica.
-
No. Anzi, sembrava... gentile.
Regina
roteò gli occhi. – Gentile? Allora che
cos’abbiamo visto ieri sera?
Nessuno
rispose.
Lily
scrollò le spalle. - Forse fa tutto parte del suo piano.
È l’Oscuro. L’Oscuro
passa il suo tempo a inventarsi nuovi modi per ottenere quello che
vuole,
giusto?
-
Il precedente Oscuro lo faceva. – disse Malefica.
-
Eppure continua a sfuggirmi qualcosa – continuò
Regina. – Ed è qualcosa che sta
spingendo anche Emma. Non si tratta solo di ciò che abbiamo
fatto noi... è
qualcosa che ha fatto lei. Qualcosa che non ha potuto fermare.
***
Camelot.
Sei settimane prima della
maledizione.
Dopo
essersi occupato delle sistemazioni dei suoi ospiti, Artù
non si era recato
nelle sue stanze. Si era aggirato per il suo castello e infine era
giunto nella
grande sala che ospitava la Tavola Rotonda. Pensava a tutto quello che
era
successo quella sera. A quello che aveva visto.
Prese
lo scudo appartenuto a Percival; era bianco e nero, decorato da una
saetta. Ne
saggiò la consistenza. Lo rivide mentre estraeva la sua arma
incantata e
affrontava uno dei suoi demoni. Regina. La Salvatrice che non era
affatto la
Salvatrice. La Regina Cattiva.
Non
aveva mai conosciuto gli incubi di Percival. A lui interessavano
unicamente le
sue doti; era intelligente, coraggioso, abile con la spada e la lancia.
Era un
buon osservatore. Era fedele al suo re.
Ma
quella sera...
Quella
sera si era lasciato vincere dall’odio.
Posò
lo scudo sul tavolo e poi sedette pesantemente. Prese il posto che era
stato
del suo defunto cavaliere. Avvertiva un’indicibile
stanchezza.
Ginevra
venne da lui. Aveva un’aria assorta e preoccupata.
– Questi stranieri mi
spaventano, Artù.
-
Tu conosci la profezia di Merlino quanto me. – rispose,
deciso. – È giusto che
siano qui.
-
Merlino ci dice che cosa succede... ma non come.
– Si approssimò alla Tavola Rotonda e
osservò tristemente lo scudo di
Percival.
Artù
strinse di più l’elsa di Excalibur.
La
sua spada spezzata.
Si
ricordò del giorno in cui l’aveva estratta dalla
roccia, come aveva predetto
Merlino. Si ricordò del momento in cui aveva sentito il
potere ed era stato sicuro
di essere quel re, il re che Camelot aspettava. Stringere
l’elsa di Excalibur
gli aveva trasmesso forza e determinazione.
Ma
quando aveva estratto la spada e aveva scoperto che ne mancava una
parte... era
stato come vedere le sue speranze crollare. Le profezie di Merlino non
erano
che mezze verità. E la successiva ricerca era stata
inutile...
Che
tu sia maledetto, Merlino, pensò.
-
Percival è morto, Artù. Quella ragazza...
l’ha bruciato vivo. - Era sicura che
non sarebbe riuscita a dormire quella notte, tormentata
dall’immagine di
Percival che urlava, avvolto dalle fiamme.
Artù
alzò gli occhi su di lei.
-
Come possiamo sapere che cos’altro succederà,
adesso che queste persone sono
qui a Camelot?
-
Loro sono qui per distruggere l’Oscuro. E non sarà
facile. – Lo sguardo di Artù
era cupo. Era quasi uno sguardo di pietra. – Il loro aiuto
è l’unica chance che
mi resta per mettere le mani sul pugnale di quel mostro.
Estrasse
Excalibur e appoggiò la spada sullo scudo di Percival.
– Ginevra... se non
rimetto insieme Excalibur, ogni nostro sforzo sarà stato
vano.
La
regina mise una mano sopra la sua e Artù gliela strinse.
Continuò a fissare
Excalibur ancora per un po’. Intorno a loro nessun rumore. Il
castello era
oscuro e silenzioso. La notte era tranquilla. Da una delle grandi
finestre
vedeva il cielo punteggiato di stelle.
-
C’è qualcos’altro che ti preoccupa,
vero? – disse Ginevra.
Artù
rifletté qualche istante. Poi aprì la giubba
dorata e infilò una mano in una
tasca nascosta. Tirò fuori una pagina ingiallita e
arrotolata. La dispiegò
davanti alla moglie.
-
Che cos’è? – domandò Ginevra.
-
L’ho trovata nella Torre di Merlino, tempo fa. Non ci avevo
più pensato. Ero...
troppo preso dalla mia ricerca.
-
Sembra una profezia.
-
Un incantesimo, non una profezia. L’ha trascritto lui in uno
dei suoi libri. E
qualcun altro ha aggiunto... una specie di stralcio dal futuro. Le
calligrafie
sono diverse. Merlino ha trascritto l’incantesimo, ma non le
ultime righe più
sotto.
-
E chi è stato dunque?
-
Forse il suo Apprendista. L’ha nominato, qualche volta.
Quando ero bambino e mi
parlava...
La
calligrafia del mago era elegante e sicura. Ogni parola era molto
chiara,
sebbene fosse passato parecchio tempo dal giorno in cui Merlino
l’aveva
riportata su quel foglio.
Che
l’oscurità trovi la sua via
Dal
grembo materno a un altro
dell’inferno
Se
vedrà la luce della vita
In
una terra lontana dall’ombra
infinita
Che
la magia non le dia forma
E
di tale buio non lasci orma
Su
questo infante sia posta la
norma
-
Ma è... è magia nera –
commentò Ginevra, con gli occhi sbarrati e
rabbrividendo.
-
No... sembra più un incantesimo di protezione contro una
forza oscura. Non so
spiegartelo. – rispose Artù. Continuava a
stringere la mano della moglie, con
forza, persino con rabbia. – Leggi il resto.
Quel
che è fatto è fatto.
I
loro destini sono intrecciati
Com’è
sempre stato e come sempre
sarà
Così
ha detto il mio Maestro.
Vedo
l’ombra infinita approssimarsi
a Camulodunum
L’infante
figlio del drago porta
con sé una stella
E
il suo destino s’intreccia con
l’altra metà di Caledfwlch
-
Cosa c’entra questo con noi? –
domandò Ginevra, perplessa.
-
Oh, c’entra – rispose Artù. Con
l’indice indicò il nome Camulodunum. –
Questa è Camelot. Una volta, molto tempo
prima che nascessi io, il posto si chiamava così.
Camulodunum. E Caledfwlch è
l’altro nome di Excalibur. Ho trovato
un’illustrazione. L’Apprendista di
Merlino ha disegnato la spada. La mia spada.
Excalibur
sembrò risplendere in
modo sinistro, ancora posata sullo scudo, proprio sopra la saetta
simbolo di
Percival.
-
E il resto? – domandò Ginevra,
con la voce tremante.
-
L’infante è la figlia di
Malefica. Quella donna sa trasformarsi in un drago. Di conseguenza
Lilith è il
figlio del drago. – Poi Artù indicò il
proprio polso. – Ha una stella impressa
sulla pelle. Qui. L’ho vista. Sono sicuro che l’ha
vista anche Percival, mentre
ballavano. La terra lontana... suppongo sia il mondo da cui provengono.
Ginevra
deglutì. – Siamo in
pericolo?
-
Forse. Ho fatto sistemare Lilith
in un’altra ala del palazzo e c’è una
guardia davanti alla sua porta.
-
E credi che questo possa
bastare? Artù, è un drago... se riesce a
trasformarsi la tua guardia non potrà
fare niente contro di lei.
-
Non lo farà. Anche loro hanno
bisogno di noi e la madre aiuterà Lilith a controllarsi. Gli
Azzurri mi hanno
detto che non è molto che quelle due si sono ritrovate.
Lilith non controlla
bene il suo potere, ma Malefica intende insegnarglielo... la
terrà a bada. Se
la rinchiudessi in prigione, non servirebbe a niente in ogni caso,
desterei dei
sospetti e non riuscirei ad ottenere ciò che voglio.
-
Artù, Merlino dice anche che il
suo destino è legato alla parte mancante di Excalibur. E poi
che cosa vuol dire
che l’ombra infinita si sta avvicinando a Camelot?
Avrebbe
tanto voluto rispondere a
quelle domande. Però non poteva. Non poteva
perché aveva imparato che Merlino
non era mai chiaro. Lo sembrava, ma le sue profezie, le sue parole
nascondevano
sempre dell’altro.
“Quel
che è fatto è fatto”.
“I
loro destini sono intrecciati”.
Avrebbe
capito. Avrebbe decifrato
quell’enigma e, se l’avesse ritenuto necessario, si
sarebbe occupato della
figlia del drago.
Lui
era il re. Quello era il suo
regno. Nessuno gliel’avrebbe portato via.
___________________
Angolo
autrice:
Salve,
lettori!
Qualche
piccola precisazione:
Non
si sa se Camulodunum sia
il primo nome
di Camelot. Si tratta di una supposizione. È il nome di una
fortezza legionaria
della provincia romana della Britannia. Dovrebbe corrispondere alla
moderna
Colchester. Il nome deriva dal celtico e significa “La Rocca
di Camulos”.
Secondo alcuni, Camelot è una deformazione di Camulodunum.
Caledfwlch,
invece, è il nome di
Excalibur nella tradizione celtica.
|
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Capitolo 6 *** 6. ***
6
Minnesota. Anni fa.
“Lei
è pazzo”.
Era
la seconda volta che Lily
definiva l’uomo che aveva incontrato sull’autobus
in quel modo.
Perché
non esisteva un’altra
spiegazione.
Era
reale. Lei era reale. Non era
la figlia di un dannato personaggio di una storia inventata. Non veniva
da un mondo
incantato, non era uscita da un uovo di drago che era stato rubato dal
nido di
sua madre da Biancaneve e dal Principe Azzurro. Che erano i genitori di
Emma.
Di Emma! La sua vita era un disastro, era un grande, enorme casino, ma
era
fottutamente vera.
‘Non
me ne starò qui a credere a
tutte queste stupidaggini’, pensava, mentre il vecchio con la
barba grigia la
guardava, comprensivo e benevolo. ‘Sono le cazzate di un
arteriosclerotico’.
Solo
che non lo erano e Lily lo
sapeva. Per quanto si ripetesse che erano tutte fandonie,
ciò non bastava a
liberarla da quella certezza. Era come se quel tizio le stesse
confermando cose
che in fondo immaginava già.
Emma
era entrata nella sua vita e
quando l’aveva incontrata al supermercato aveva subito
avvertito un legame,
come se un filo rosso e invisibile le unisse. Per questo era stato
così facile
parlarle e volerle bene. E questa era la prima cosa.
Quell’Apprendista, come si
faceva chiamare, sapeva un sacco di fatti che la riguardavano. E questa
era la
seconda. C’era qualcosa di fondamentalmente diverso, di
sbagliato in lei e
questa era la terza. La quarta era... che quel vecchio aveva davvero
l’aria di
un mago. Parlava in modo strano, usando parole a volte antiquate.
“Ho
imprigionato l’Autore nel
libro. Ora non può più modificare le storie.
Può solo registrare dei fatti”,
disse l’Apprendista, incurante del suo commento.
“Purtroppo non si può tornare
indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare
questa faccenda”.
“Quei
due... mi hanno rovinata”,
riuscì a dire Lily.
L’Apprendista
assentì. “Sono stati
manipolati. Come me, del resto”.
“Mi
hanno maledetta”, continuò,
come se non avesse sentito.
“Già,
è vero”.
Il
suo primo pensiero fu che li
voleva morti. Tutti e due. Erano i genitori di Emma, ma li voleva
morti. Erano
stati manipolati, ma a lei sembravano comunque dei mostri e li voleva
morti.
“Dov’è
mia madre adesso?”
“È
in questo mondo”.
“E
mio padre?”
“Non
so niente di tuo padre, cara.
Mi dispiace”. L’Apprendista guardava dritto dinanzi
a lui. “In ogni caso non
puoi raggiungere Malefica, adesso. C’è una
maledizione”.
“Un’altra?”
“Questa
è diversa. La custodiva tua
madre nel suo scettro, ma la Regina Cattiva gliel’ha
sottratta. Ha tolto il
lieto fine e i ricordi a moltissima gente, compresi i genitori di Emma.
Lei si
trova qui perché loro ce l’hanno
mandata”. Le raccontò della teca magica costruita
da Geppetto, nella quale era stata riposta una Emma appena nata
perché potesse
salvarsi.
Sì,
erano dei mostri. Quei due
erano dei mostri, senza dubbio. Biancaneve era un mostro.
Le
sovvenne l’immagine di una
ragazzina con i capelli neri e le labbra rosse, la pelle candida come
neve, una
ragazzina in grado di incantare gli uccellini e commuovere il
Cacciatore, il
killer assoldato dalla matrigna. Stava per esplodere in una risata un
po’ folle
e isterica, ma riuscì a trattenersi.
“La
maledizione...”, ricominciò
Lily.
“Deve
essere spezzata. E sarà Emma
a farlo. Tuttavia è ancora presto. Passeranno parecchi anni
prima che il suo
destino si compia. Il suo e... il tuo”.
“Il
mio?”
“Questa
non è stata l’ultima volta,
Lily”. Si voltò di nuovo, incrociando i suoi occhi
sbarrati e ripieni di furia.
“Tu ed Emma siete legate e così sarà
per sempre. Un giorno la rivedrai. Emma
sarà la Salvatrice, ma l’oscurità
incombe per tutti. L’oscurità... minaccia
chiunque”.
***
Storybrooke.
Oggi.
Emma
afferrò l’elsa di Excalibur con entrambe le mani.
Il pugnale giaceva accanto
alla spada, sulla roccia nella quale la lama era stata incastonata. Gli
intarsi
neri si sposavano molto bene con i disegni impressi sull’arma
appartenuta ad
Artù.
La
gemma rossa brillò, illuminando l’antro in cui
Emma custodiva la roccia.
L’Oscuro
tirò con vigore per estrarla.
Un’ondata
di potere si riversò fuori dalla spada e la
investì, scaraventandola qualche
metro più indietro.
Se
lei non fosse stata l’Oscuro, ma una persona comune, si
sarebbe trasformata in
un mucchietto di cenere.
Tremotino
ridacchiò, divertito. – Credevi davvero che fosse
così semplice, cara?
Emma
scosse il capo, stordita dalla magia protettiva che circondava
Excalibur. Si
voltò, osservando il suo pugnale e la spada ancora al suo
posto nella roccia.
Avvertì la furia salire come una marea. No, certo, non
avrebbe mai potuto
essere così facile. Avrebbe dovuto immaginarlo. Essere
l’Oscuro, aver
abbracciato l’oscurità, possedere tutto quel
potere non era sufficiente.
-
Questo tentativo è stato addirittura più ridicolo
del tuo tête-à-tête
con il pirata. Una perdita di tempo
inutile. – aggiunse Tremotino.
Emma
tornò verso la roccia.
-
Se davvero vuoi quella spada... devi pagarne il prezzo –
commentò lui,
aggiungendo un’enfasi particolare alla sua parola preferita: prezzo.
-
Datevi una mossa, ragazzi. – disse Leroy agli altri nani, al
lavoro nelle
miniere. – Visto che Pisolo è un albero dobbiamo
essere produttivi anche per
lui.
-
Produciamo un po’ di ossigeno. – replicò
Gongolo.
Persino
Leroy sorrise per qualche momento, salvo poi recuperare la sua
espressione
scura e scontrosa. – Ehi! Concentriamoci.
-
Giusto.
I
nani si girarono di scatto, udendo la voce di Emma.
La
figlia degli Azzurri se ne stava comodamente seduta su una roccia, con
le gambe
accavallate e un accenno di sorriso. Sembrava molto a suo agio, quasi
stesse
assistendo ad un film.
-
Nessuno ama le brutte sorprese. – continuò la
nuova Oscura.
-
Niente polvere di fata per te, sorella. – disse Brontolo,
risoluto.
Emma
si alzò e prese uno dei picconi appoggiati al muro.
– Infatti sono qui per
qualcos’altro. Qualcosa di più... affilato.
-
Il mio piccone. – disse Gongolo.
-
Oh, sai, ho imparato una cosa, da quando sono diventata
l’Oscuro. – Raggiunse
Gongolo. – Se c’è il tuo nome su
qualcosa... tienitelo stretto.
-
Che cosa sei diventata? – domandò Leroy, agitando
il suo, di piccone. – Gli
Azzurri dicono che Emma, la Salvatrice, è ancora qui da
qualche parte. Gli farò
sapere che non l’ho vista. Io vedo soltanto
l’Oscuro Signore in azione.
La
voce di Brontolo ebbe su di lei lo stesso effetto che avrebbero avuto
delle
unghie che sfregano contro una lavagna. - Già. Io sono
l’Oscuro. E tu un nano
da quattro soldi che come unica arma ha un piccone.
-
Fatti sotto, se ne hai tanta voglia! – esclamò
Leroy.
-
Fatti sotto? – Gongolo non credeva alle sue orecchie.
– Ma come fatti sotto?
Leroy...
-
Tu taci. – lo rimbeccò il nano, squadrando
l’Oscura. – Pensi che un nano non
possa combattere? Non importa quanto sei forte. Sono disposto ad
affrontarti.
Emma
strinse gli occhi, fino a ridurli a due fessure. Brontolo ebbe la netta
impressione che la ragazza che un tempo aveva spezzato la maledizione
della
Regina Cattiva lo stesso studiando, che stesse spiando nella sua mente.
-
Cosa stai facendo? – chiese.
-
Leggo dentro di te. – rispose Emma. – Ecco
un’altra cosa che ho imparato,
diventando l’Oscuro.
-
Leggi?
-
Le tue paure. I tuoi segreti. Le tue debolezze. –
scandì, avvicinandosi di più
a lui.
-
Ah! – Leroy sollevò di più il piccone.
– Le debolezze, avete sentito?
Gli
altri nani avevano sentito benissimo, ma se ne stavano tutti
schiacciati l’uno
contro l’altro, timorosi.
-
Un comportamento degno del miglior Oscuro. –
continuò Leroy, imperterrito. – Un’altra
cosa che farò sapere al nostro sceriffo. Così la
smetterà di comportarsi come
un povero padre preoccupato per la figlia e troppo spaventato per
agire.
-
Fallo pure. – fu il commento di Emma. – Credi che
me ne importi qualcosa, di
quello che dirai a mio padre?
-
Oh, quindi non ti importa se gli dirò che sei diventata un
mostro?
-
Potrebbe importare a te nel momento in cui me la prenderò
con ciò che hai di
più caro in questa città. E non parlo del tuo
piccone. – Emma si sporse verso il
nano e gli parlò in un orecchio, come aveva fatto con
Gongolo un istante prima.
– Parlo... di una certa fata.
Il
cuore gli balzò nel petto come un pupazzo a sorpresa
impazzito. – Non lo farai.
-
Prova a sfidarmi di nuovo, allora.
-
Sei così codarda da fare del male ad una persona innocente?
– sibilò il nano.
Le mani che serravano il manico del piccone sudavano copiosamente.
-
Oh, no, affatto. Colpire te adesso sarebbe un gioco da ragazzi. Ma
esistono
cose ben peggiori della propria morte. – L’Oscuro
continuava a sussurrare le
parole nel suo orecchio. Il tono era scostante e determinata. -
Preferisci che
le strappi il cuore o che le strappi le ali?
Le
mani gli tremavano al punto tale che faceva fatica a mantenere la presa
sulla
sua arma. Ebbe voglia di scaraventargliela sulla testa, sapendo che
comunque
non l’avrebbe uccisa.
Poi
fece un passo indietro e lo gettò via, con rabbia.
-
Bene. – commentò l’Oscuro. –
Buon lavoro, nani.
Emma
tornò con il piccone e si avvicinò a grandi passi
alla roccia. Lo sollevò sopra
la spalla e si preparò a calarlo sulla dura pietra.
-
Il piccone di un nano! – esclamò Tremotino,
comodamente appoggiato alla roccia.
– Questo condurrà certamente ad un insuccesso.
Anche se... ammetto che le tue
minacce mi sono piaciute. Sarà che non siamo in buoni
rapporti con le fate.
-
Il piccone di un nano spezza qualsiasi cosa. –
ribatté Emma.
-
Ma niente spezza la magia. A parte un bacio. – Tremotino
sembrava divertirsi un
mondo quando la sbeffeggiava. – Hai mai pensato di estrarla
con un bacio?
Emma
sferrò un potente colpo di piccone, imprimendovi tutta la
forza che aveva.
Il
piccone si ruppe. Le rimase solo il manico.
Tremotino
emise la sua stridula risatina. – Se la spada potesse parlare
ti direbbe che
sei una povera sciocca! Stai esaurendo le opzioni, cara. Vedi, noi
vogliamo
soffocare la luce. Quindi, abbiamo bisogno di un eroe che estragga
Excalibur
dalla roccia.
Emma
avrebbe dovuto pensarci prima. Era troppo occupata a valutare tutte le
possibili opzioni e non aveva considerato la più ovvia, dato
che ad estrarre
l’arma era stato Artù, un uomo che era tutto
fuorché un eroe. La profezia di
Merlino aveva indicato lui come re di Camelot, ma poi le aspettative
erano
state deluse.
Tuttavia
era un eroe all’inizio. Era un vero re prima di scoprire che
Excalibur era solo
una spada spezzata. Lo era prima di perdere la testa nel corso della
sua
ricerca.
-
E chiariamoci. – continuò Tremotino. –
L’eroe non sei tu. Perciò perché non la
smetti di perdere tempo e non vai a prendere l’eroe di cui
abbiamo bisogno?
Ancora
prima che lui continuasse, Emma sapeva già chi doveva
cercare.
-
Naturalmente entrambi sappiamo... di chi si tratta.
-
Tu.
Rise
di nuovo. – Beh, non proprio. Ma se così per te
è più facile...
Emma
gettò via il manico di legno sul quale capeggiava il nome di
Gongolo. – Lui non
è un eroe.
-
No. Non ancora, cara. Adesso è solo... un uomo. Un uomo da
ricostruire. Senza
di me, in effetti... non
è niente.
Emma
appoggiò le mani alla roccia, osservando gli elaborati
disegni della lama. La
gemma rossa nel pomolo era come un occhio sempre aperto che vegliava.
-
Lo costruirò. – disse l’Oscura, senza
distogliere lo sguardo dalla spada.
-
Vuoi costruirlo tu? Sarà difficile, cara.
Il
suo indice seguì i dettagli impressi sull’elsa. -
Non io. Ma qualcuno lo farà
per me.
Trovò
Merida dove chiunque si sarebbe aspettato di trovarla.
Vagava
ai margini di Storybrooke, nel bosco, con una freccia già
incoccata. Girava in
tondo, più che altro. I suoi occhi cercavano disperatamente
qualcosa di
familiare, qualcosa che potesse ricondurla a casa, forse. I riccioli
rossi le
spiovevano sul viso ed erano più in disordine del solito.
Quando
Emma comparve alle sue spalle, lei si voltò di scatto,
tendendo la corda
dell’arco al massimo.
-
Merida. Che piacere rivederti – disse l’Oscura, in
tono piatto.
-
Tutto questo è opera tua, vero?! –
gridò Merida. – Avrei dovuto immaginarmelo
da quando ti ho incontrata. Alla fine i tuoi demoni ti hanno raggiunta.
-
Metti via quell’arco. Non ti servirà a niente.
– Emma avanzò di un passo.
Merida
osservò l’essere maligno che una volta le aveva
strappato il cuore, minacciando
di ucciderla. Allora aveva visto una donna tormentata dalla magia
oscura,
tormentata da voci che sentiva solo lei e che volevano spingerla verso
il
baratro, verso la tenebra. Ne aveva avuto subito paura, ma
l’aveva anche
aiutata, perché sapeva quanto fosse terribile portare sulle
spalle il peso di
una maledizione.
-
Stai lontana da me! – disse Merida, preparandosi a scoccare
la sua freccia.
-
Oppure?
-
Oppure dovremo combattere.
-
Non hai nessuna possibilità.
-
Non ti conviene sottovalutarmi.
-
Mi baso su quello che so. Non sei riuscita ad uccidere l’uomo
che ha trafitto
tuo padre alle spalle. L’hai mancato. L’hai mancato
come una principiante. E
adesso vorresti usare quelle frecce contro di me? Certo, la distanza
è
nettamente inferiore. È più facile... –
Il sorriso di Emma le raggelò il sangue
nelle vene.
La
mano di Merida tremò visibilmente. La regina di DunBroch era
paonazza, con gli
occhi più sgranati che mai. Sembrava dovesse svenire da un
momento all’altro o
crollare a terra fulminata. Scoccò la freccia, urlando,
presa dalla furia e
quella filò nell’aria che la separava da Emma, o
qualsiasi cosa fosse la
creatura che aveva osato parlarle in quel modo di suo padre.
Emma
non bloccò la freccia. Sarebbe stato semplice. Per quanto
giungesse veloce,
puntando dritta al suo cuore, lei la vedeva arrivare con una lentezza
disarmante.
L’Oscura
allargò le braccia e la punta la trafisse. Il dolore fu
breve. Intenso, ma
breve. Emma non cambiò neppure espressione, mentre afferrava
la freccia di
Merida e la estraeva, per poi spezzarla a metà e gettarla
via.
-
Dove sono i miei fratelli? Cos’è successo?
Dimmelo!
-
Possiamo andare avanti così tutto il giorno, Merida.
– osservò Emma, ignorando
la domanda. Non si chiese da dove fosse venuto quel ricordo, quello
legato al
padre di Merida. Immaginava che, in quanto Oscura, certe conoscenze
fossero...
parte di lei. Immaginava che la sua mente potesse arrivare ovunque,
immaginava
che, in qualche modo, potesse arrivare alle debolezze, ai segreti delle
persone
con cui era entrata in contatto. Così come nelle miniere era
arrivata al punto
debole di Brontolo. - Dipende da te. Possiamo anche cambiare gioco.
Potrei
trasformarmi in qualcosa che già conosci, se la cosa ti
diverte.
Merida
afferrò un’altra freccia e la incoccò.
Una nube magica abbracciò Emma,
occultandola per qualche momento. Crebbe vistosamente davanti ai suoi
occhi,
salì verso l’alto, verso le fronde degli alberi.
Si gonfiò, come un ventre
gravido in procinto di partorire qualcosa di mostruoso.
Mor’du
allungò una zampa nera verso di lei e Merida
spiccò un balzo per evitarlo.
Incespicò e cadde malamente. Non perse la presa
sull’arco e, afferrata una
nuova freccia, la scagliò contro l’orso mannaro
che ora ruggiva, imbestialito.
L’enorme bocca piena di denti aguzzi e letali avrebbe potuto
divorarla in un
solo boccone.
Mor’du
si precipitò verso Merida, minacciando di schiacciarla sotto
il corpo possente.
Lei si alzò e prese a girargli intorno, standogli il
più lontano possibile.
Scagliava una freccia dietro l’altra, colpendolo sempre, ma
senza mai riuscire
ad ucciderlo. L’orso sradicò un albero dalle sue
radici e quello si piegò
lentamente, scricchiolò e infine rovinò a terra,
sollevando foglie e causando
la fuga precipitosa di uno stormo di uccelli.
Non
è Mor’du! Sta giocando con te!
La
voce che urlava nella sua testa era molto simile a quella di suo padre,
Fergus.
“Non
sei riuscita ad uccidere
l’uomo che ha trafitto tuo padre alle spalle. L’hai
mancato. L’hai mancato come
una principiante”.
Era
la verità, lei l’aveva mancato. Aveva mancato quel
cavaliere che non aveva
neppure visto in faccia. La freccia gli aveva solo aperto un foro nel
mantello
rosso. Merida aveva sognato quel momento per molte notti, ancora adesso
lo
sognava. Ci aveva pensato e ripensato e quando ci pensava la
conclusione era
sempre diversa; riusciva a trafiggere l’uomo prima che lui
trafiggesse suo
padre. Quando ci ripensava lei era sempre un po’
più precisa, più veloce. Molti
le avevano detto che non era stata colpa sua: Mulan, sua madre, i suoi
fratelli...
Ma
l’Oscuro voleva parlare solo del lato negativo delle cose.
Voleva che si
ricordasse solo della parte brutta, del male, perché
l’Oscuro era il male. La
Emma che aveva incontrato nella foresta era già preda della
magia nera, eppure
non era ancora stata risucchiata nel vortice della
malvagità. La cosa che si
era trasformata in Mor’du... quella era terribile. Infilava
il dito nella piaga
per avere la meglio su di lei.
-
Maledetta strega! – gridò Merida, con il respiro
affannoso.
L’orso
ruggì ancora, levando il muso verso il cielo. Poi la nuvola
magica lo riavvolse
ed Emma riassunse le sue sembianze. Merida si sentì
afferrare per il collo. Un
attimo dopo, erano faccia a faccia.
-
Adesso verrai con me. Non hai altra scelta. Non puoi battermi. La tua
testardaggine
non basterà. – precisò
l’Oscuro.
-
Vuoi il mio cuore? – sibilò Merida, senza mai
staccare gli occhi dai suoi. –
Prendilo! Visto che è così facile per te... che
cosa aspetti?
-
Prenderò il tuo cuore, puoi starne certa. Se non farai
ciò che ti dico, lo
prenderò. E non lo farai, ne sono sicura. Quelle come te non
imparano mai. –
Emma inclinò la testa di lato, quasi stesse ascoltando
qualcuno che le sussurrava
parole nelle orecchie. Batté le palpebre. – Ti
porto in un posto sicuro. Dove
nessuno ti troverà.
-
Dimmi almeno se i miei fratelli stanno bene! –
esclamò Merida, con la voce
tremante e piena di collera.
L’Oscuro
non rispose. Con un gesto della sua mano, svanirono entrambe.
Leroy
disse agli altri nani di aspettarlo fuori dalla centrale di polizia. Li
avrebbe
raggiunti, però doveva accertarsi di una cosa. Quindi si
recò in fretta e furia
al convento della Madre Superiora.
Quando
vi giunse, vide alcune sorelle impegnate
in varie attività. Una di loro stava pulendo uno dei vetri
della struttura, in
piedi in cima ad una scala che un’altra suora stava reggendo
con entrambe le
mani. Non c’era traccia di panico o di confusione. Sembrava
tutto in ordine. Ma
lui doveva accertarsene. Doveva accertarsi che lei
stesse bene.
“Oh,
no, affatto. Colpire te adesso
sarebbe un gioco da ragazzi. Ma esistono cose ben peggiori della
propria
morte”.
-
Posso aiutarti in qualche modo, Leroy?
Il
nano si girò. Non capiva da dove diavolo fosse sbucata, ma
Turchina era proprio
accanto a lui e lo osservava con la fronte aggrottata.
-
Sorella... – cominciò Brontolo, ricambiando
l’occhiata. – Volevo assicurarmi
che... fosse tutto a posto. Abbiamo ricevuto delle minacce da parte di
quella
ragazzina.
-
Ragazzina? – Turchina apparve confusa.
-
Emma. La ex Salvatrice. La nuova Oscura. Come preferite voi, sorella.
-
Che genere di minacce?
-
Astrid è qui?
Turchina
iniziava a comprendere. Stava osservandolo attentamente, ora, e neppure
per un
attimo staccò gli occhi da lui. Gli sorrise. –
Questo luogo è protetto contro
la magia oscura, Leroy. Ho creato la barriera magica quando siete
tornati. Neve
mi ha informato di... quello che è accaduto ad Emma. E se
è per Nova che sei
così preoccupato... voglio rassicurarti. Nova non
è Storybrooke.
Leroy
scosse il capo. Quel sorriso non gli piaceva e glielo si doveva leggere
in
faccia, perché Turchina aggrottò la fronte. - Non
è a Storybrooke? E dove
sarebbe?
-
Nella Foresta Incantata. Da parecchie settimane.
Il
nano ebbe modo di riflettere sul fatto che effettivamente era da
parecchio che
non vedeva Astrid. Nova. Lui si era sempre limitato a... guardarla da
lontano.
Un po’ perché c’era sempre quella
seccatrice di Turchina nei paraggi, un po’
perché, quando non c’era Turchina,
c’erano comunque altre sorelle. Aveva
scambiato con lei qualche frase di circostanza, quando gli era capitato
di
incrociarla da sola. Era sempre felice di vedere il suo sorriso dolce,
di
ascoltare il suono della sua voce. Non riusciva ancora a credere che
quell’essere l’avesse minacciata.
Nella
Foresta Incantata?
-
Si trova alla Corte Seelie, dalla nostra regina. Tutte le fate ci
vanno, prima
o poi. E ci rimangono per un po’. – gli
spiegò Turchina. Gli parlava come se
lui fosse un idiota che non capiva quello che gli stava dicendo. O
forse era
semplicemente il suo modo di rivolgersi a chi non era suo amico o non
apparteneva alla sua comunità.
-
Le fate hanno una regina? – chiese, scioccamente.
-
Naturalmente. La regina Titania.
-
Ma... non c’è modo di aprire un portale!
-
Ruby e Scricciolo sono riusciti a produrre un fagiolo magico. Un unico
fagiolo,
che li ha riportati nella Foresta Incantata. Astrid è andata
con loro.
“Si
trova alla Corte Seelie, dalla
nostra regina”. Non
osava nemmeno chiedersi che razza di
persona... fata fosse quella
regina.
Però si chiese se Astrid avesse raggiunto la Corte sana e
salva. Si chiedeva
quando sarebbe tornata. Se sarebbe
tornata.
Non
seppe che altro aggiungere.
***
Camelot.
Cinque settimane prima
della maledizione.
Il
cortile che ospitava il grande albero in cui era imprigionato Merlino
era
deserto quando Lily vi mise piede.
Le
guardie di Artù sostavano sui camminamenti, gli elmi che
baluginavano colpiti
dai raggi del sole. Alcuni passeggiavano avanti e indietro,
appoggiandosi alle
lunghe lance.
Nessuno
badava a lei. In realtà, quando le passavano accanto, si
limitavano ad un gesto
del capo in segno di saluto, ma cercavano di non starle troppo vicino.
Quasi si
aspettassero che si trasformasse in drago e si mettesse a sputare
fuoco. Aveva
notato l’uomo fuori dalla sua porta quando era uscita dalla
sua stanza negli
ultimi due giorni.
Lily
si avvicinò all’albero.
“Ho
imprigionato l’Autore nel
libro. Ora non può più manipolare le storie.
Può solo registrare dei fatti”.
Un
Autore imprigionato in un libro. Un mago potentissimo imprigionato in
un
albero.
Erano
tutti intrappolati, in un modo o nell’altro.
“Purtroppo
non si può tornare
indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare
questa faccenda”.
Lily
appoggiò una mano sul tronco nodoso. Si chiese se Merlino
fosse a conoscenza
della brutta fine del suo Apprendista. Era al corrente di
ciò che succedeva
anche se era imprigionato là dentro? La sua mente era in
grado di raggiungere
altre terre, altri mondi... anche se il suo corpo era impossibilitato a
muoversi?
Lilith.
Lei
allontanò la mano dall’albero con uno scatto
nervoso.
Era
stato... un sussurro. Un sussurro in un orecchio. Debole, ma chiaro.
Qualcuno
aveva pronunciato il suo nome. Aveva detto anche
qualcos’altro, solo che non
era riuscita ad afferrarne le parole.
Merlino?
Silenzio.
Il vento soffiò, spostandole qualche ciocca di capelli.
Allungò
di nuovo una mano verso il tronco. Vi posò solo la punta
della dita. L’albero
sembrò pulsare come un cuore.
-
Lily?
Spiccò
un balzo, colta alla sprovvista. Si voltò, ritrovandosi
davanti ad Emma.
-
Sei stata tu? – domandò Lily.
-
A fare cosa?
-
A chiamarmi. Un attimo fa. Sei stata tu?
Negli
occhi di Emma c’era una luce strana. Sfuggente, persino. Ma
il suo sguardo
esprimeva anche perplessità. – No. Sono appena
arrivata.
Lily
osservò di nuovo l’albero. Ci girò
intorno, anche se non sapeva bene che senso
avesse farlo.
-
Che cosa succede, Lily? Hai sentito qualcosa?
-
Non lo so. Per un attimo... ho avuto l’impressione che
qualcuno mi stesse
parlando. – Scosse il capo. – Non ho capito nulla,
se non il mio nome.
-
Merlino... – disse Emma. Ora sembrava stesse parlando a se
stessa.
Appoggiato
al tronco c’era Tremotino. Sostava là, con le
braccia conserte.
-
Credevo non potesse... comunicare con noi. – stava dicendo
Lily.
-
Io credo che possa. Forse non riesce a raggiungerci come vorrebbe, ma
solo per
poco. Era quello che stavamo cercando nella sua torre.
-
Un modo per comunicare con lui?
-
Sì. Abbiamo trovato qualcosa... un fungo.
Lily
batté le palpebre. – Vuoi comunicare con un mago
potente attraverso un fungo?
-
Non è un fungo qualsiasi. La Corona Scarlatta. Serve per...
abbattere delle
barriere magiche. Artù ha detto che si trova nella Foresta
della Notte Eterna.
Mio padre sta andando là con il re.
-
È sicuro?
-
La Foresta? Suppongo di no, Lily. Ma mio padre è deciso ad
andarci e Artù non
vuole che parta da solo.
-
Non parlo della Foresta, ma del re.
Lei
non rispose subito. Parve rifletterci. – Ci ha permesso di
entrare nella torre
per cercare un modo per liberare Merlino. Nonostante sia al corrente di
quello
che Regina gli ha nascosto... si è fidato comunque di lei.
Credo che sappia
quello che fa.
Restarono
in silenzio per un minuto almeno.
Emma
si avvicinò di più all’albero.
– Cosa stavi facendo prima che Merlino ti
parlasse?
-
Niente, stavo...
“Purtroppo
non si può tornare
indietro. Nemmeno il mio maestro è in grado di sistemare
questa faccenda”.
-
Beh, pensavo al suo Apprendista. L’ho incontrato molto tempo
fa. Su un autobus.
Emma
aggrottò la fronte.
-
Sai, quando eravamo ragazzine. La sera in cui mi hai riportato la mia
collana.
Emma
stava per rispondere, ma venne interrotta da un improvviso trambusto.
Qualcuno
lanciò un grido soffocato e pronunciò una serie
di parole incomprensibili.
Sembrava che stesse cercando di parlare ma avesse uno straccio in bocca.
-
Muoviti – ordinò uno dei cavalieri di
Artù. Reggeva un uomo per un braccio,
aiutato da un altro cavaliere.
L’uomo
in questione aveva un cappuccio in testa, le mani legate da corde
robuste e gli
abiti polverosi. La camicia, che una volta doveva essere stata bianca,
era
lacera. I pantaloni marroni erano abbastanza sudici. Le nocche delle
mani erano
scorticate. La cosa che sembrava un po’ strana era il corvo
che svolazzava
sopra le loro teste. Dava l’impressione di seguire il
gruppetto.
Artù
accorse in cortile. Azzurro lo seguiva. Erano entrambi pronti per
partire alla
ricerca della Corona Scarlatta. Indossavano l’armatura e
avevano agganciato le
spade ai cinturoni.
-
È lui? – domandò il re.
Lily
ed Emma si avvicinarono per vedere meglio.
-
Sì, sire. Non è stato difficile trovarlo.
– rispose uno dei cavalieri. – Il
corvo ci ha portati da lui.
L’uomo
bofonchiò qualcosa sotto il cappuccio. Artù si
avvicinò e glielo strappò dalla
testa.
A
giudicare dal suo sguardo incuriosito e perplesso, non era esattamente
ciò che
si era aspettato.
L’uomo
era vecchio, con una zazzera di capelli grigi e selvaggi, la barba
folta,
sopracciglia cespugliose e un naso lungo e sottile. Rosso, anche. Come
quello
di chi beve parecchio. Sbatté le palpebre per riadattarsi
alla luce del sole e
mise a fuoco Artù. Appariva frastornato. Il corvo
piombò sul vecchio e cercò di
appollaiarsi sulla sua spalla.
-
Non adesso, Heathcliff – disse. Tossì. Aveva anche
un labbro spaccato e un
livido violaceo sul mento. – Non vedi che sono occupato?
Evidentemente
Heathcliff era il corvo, perché l’uccello
arruffò le penne e mandò un gracchio
spazientito. Aveva un occhio solo.
-
Quindi questo sarebbe il mago... che ha incantato la spada di Percival
– disse
Azzurro, squadrando l’uomo dalla testa ai piedi.
-
Ci hanno parlato di lui nei villaggi vicini. – rispose uno
dei cavalieri. – E
abbiamo trovato le monete di Camelot in casa sua, nonché una
spilla appartenuta
a Percival. Inoltre... non ha impiegato molto tempo ad ammetterlo.
-
Ad essere onesti, ho offerto a questi uomini una sedia e una tazza di
tè, ma
noto con disappunto che non conoscono le buone maniere. –
replicò il mago. Biascicava,
più che altro. – Non c’era bisogno di
usare tutta quella polvere di papavero. Lasciate
che mi presenti, sire. Il mio nome è Knubbin.
-
Sapete chi sono io?
-
Siete re Artù di Camelot, lo so bene, diamine. –
lo interruppe Knubbin,
raddrizzando un po’ le spalle. – Anche il mio corvo
sa chi siete. Sapevo anche il
nome del vostro cavaliere ancora prima che arrivasse e me lo dicesse.
L’ho
visto. Nel pozzo dietro casa. Ogni tanto vedo cose
nell’acqua. Beh, in realtà
non mi piace vedere cose nell’acqua. Preferisco starmene
seduto fuori a
guardare le carote che crescono. Non che le veda crescere davvero, ma...
-
Non sembra affatto un mago. Sembra solo un ubriacone –
commentò Lily.
-
Ubriacone! – gridò Knubbin. – Questa
sì che è bella, un ubriacone! Io sono un
mago. Non avete sentito questi signori? Sono Knubbin e sono un mago.
“Non
sembra affatto un mago”. Che razza di modi sono mai questi?
Vi faccio notare
una cosa, tesoro. Siete un po’ ignorante in materia.
-
Basta così. Buttatelo in prigione. –
decretò Artù, stufo di sentirlo ciarlare.
– Abbiamo altro a cui pensare, al momento. Ma mi
occuperò anche di lui.
I
cavalieri gli rimisero il cappuccio in testa, soffocando le sue
proteste, e lo
trascinarono via. Il corvo andò con loro.
***
Storybrooke.
Oggi.
Alla
centrale di polizia, il vecchio mago che aveva detto di chiamarsi
Knubbin era
cascato in un sonno profondo. L’uomo dormiva sdraiato sulla
branda, nella cella
che gli era stata riservata, con la bocca aperta e russando come una
motosega. I
capelli grigi formavano una corona intorno alla sua testa.
-
Ecco qualcuno che non ha certo bisogno di un incantesimo del sonno
– commentò
Regina, posando i libri che aveva trovato sulla scrivania. –
Che ci fa qui? Chi
è?
-
A quanto pare è un mago – disse David. –
Belle l’ha ritrovato davanti alla
porta del negozio di Gold stamattina.
C’era
anche un pennuto, nella cella. Il corvo era sveglio e osservava i
presenti con
l’unico occhio buono.
-
Tuttavia, avrebbe bisogno di un incantesimo che gli cucia la bocca
– disse
Regina, infastidita da quel russare.
-
Hai trovato qualcosa? – chiese Azzurro.
Regina
annuì. Le ricerche avevano prodotto qualche risultato.
Aprì uno libro e mostrò
un pezzo di carta sul quale qualcuno aveva tracciato un punto di
domanda.
-
Questa... è la mia calligrafia – spiegò
Regina. – Devo aver segnato questa
pagina a Camelot. Non so se è la risposta giusta, ma... i
libri vengono da là. Li
stavamo usando per trovare una soluzione.
Azzurro
stava per aggiungere qualcosa, ma i nani fecero irruzione, guidati da
Brontolo.
-
Siamo stati violati! – gridò il nano.
-
Qual è il problema? – chiese Azzurro.
-
Quale pensi che sia? La tua bambina. – Brontolo mise molta
enfasi nella parola bambina. Era
molto più arrabbiato del
solito. Sul piede di guerra.
-
Ha preso il mio piccone! – si lamentò Gongolo.
-
E mi ha minacciato! – aggiunse Leroy.
-
Minacciato? – chiese Azzurro. – Che genere di
minacce?
-
Beh... – Lui rivolse un’occhiata agli altri nani,
che guardarono lui, in
attesa. – Ha minacciato Astrid. Sono stato al convento della
Madre Superiora
per accertarmi che fosse tutto a posto. E lo è, per fortuna!
Ma non possiamo
restare qui a far niente!
Regina
aveva capito che era il momento di levare le tende. – I nani
sono affare
vostro. Io penso a questi.
Emma
ha preso un piccone? Il
piccone di un nano?, si
chiese, uscendo dalla centrale.
-
Cosa pretendi che facciamo, Leroy? – domandò Neve.
Sedeva con le braccia
incrociate e il suo tono era pesante. E stanco.
-
Aiutateci! – rispose Brontolo. – Sappiamo che
è vostra figlia, ma dovete fare
qualcosa, altrimenti lo faremo noi.
-
Non le farai del male. – disse Neve, scandendo bene ogni
parola, quasi lo
considerasse un ritardato. La sua mente si rendeva conto, a margine,
che non
avrebbe dovuto preoccuparsi di lui o degli altri nani. Emma era
l’Oscuro. Un
gruppo di nani non era niente per l’Oscuro. Nemmeno se
fossero stati in cento e
tutti armati di piccone. Era più preoccupata che fosse Emma
a fare molto male a
loro.
Il
corvo mandò un gracchio.
-
Non preoccuparti. – disse, infatti, Azzurro. – Non
possono.
-
È solo questo che ti preoccupa? – chiese Brontolo,
incredulo. – Smettila di
fare il genitore spaventato! Fai lo sceriffo. Ne abbiamo bisogno!
-
Vi restituirò il piccone. Grazie per avermi informato.
– La sua risposta non
ammetteva repliche di sorta.
Knubbin
smise di colpo di russare, ma non si svegliò. Si
rigirò sulla branda,
affondando la faccia nel cuscino.
-
Sembra che questa sia un’altra questione irrisolta, che
lasceremo correre...
per ora. – Brontolo lo fissava intensamente. Non aggiunge
altro, ma si tolse
dai piedi e gli altri nani lo seguirono, borbottando scontenti.
David
si strappò letteralmente la giacca di dosso e
l’appese all’attaccapanni, prima
di andare a rintanarsi nello studio dello sceriffo. Sbatté
le porta dietro di
sé. Neve lo raggiunse.
-
Perché le serve un piccone? È allarmante.
Lily
entrò nella centrale. Aveva passato l’intera
mattinata a girare in tondo,
praticamente senza scopo. Continuava a ripensare al suo incontro con
Emma e non
sapeva quali conclusioni avrebbe dovuto trarne. Aveva recuperato una
mappa di
Storybrooke e individuato la zona in cui avrebbe dovuto trovarsi la
casa
dell’Oscura, ma non aveva ancora deciso se ritornarci o meno.
In realtà si
sentiva un’impostora. Non aveva raccontato tutta la
verità a Regina... e
soprattutto non l’aveva raccontata a sua madre.
-
Non lo so – stava dicendo Azzurro. – Cosa
può fare con un piccone che non è in
grado di fare con i suoi poteri? E per quale motivo si è
messa a minacciare una
fata?
Evidentemente
alterato, il principino colpì la sedia girevole con un
calcio.
-
David!
-
Vorrei solo che parlasse con noi!
-
Lo so, anch’io!
David
scosse il capo. – Non... non possiamo salvarla!
-
Non ancora! – ribatté sua moglie. – Ci
stiamo provando.
-
Come? Cosa sto facendo?
Niente,
pensò
Lily, osservandolo. Niente che possa
effettivamente aiutarla.
-
Sei la nostra guida – tornò a dire Neve.
-
Nessuno sembra volermi seguire!
E
chi si sognerebbe mai di farlo? I
nani, forse, si
disse Lily. Li aveva visti uscire
dalla centrale, non esattamente felici. Doveva essere successo qualcosa
di
serio. Un piccone. Perché Emma aveva bisogno di un piccone?
I suoi poteri non
erano sufficienti? Il pugnale dell’Oscuro non era sufficiente?
Un
piccone?!
-
Non preoccuparti dei nani!
-
Non lo sono! Sono preoccupato per Emma e perché questa
situazione è tutta colpa
mia!
-
Lei ha deciso di sacrificarsi...
-
Avrei dovuto fermarla! Sono suo padre e adesso... – Si
fermò, come se non fosse
più in grado di continuare. – Sono paralizzato.
Non sono capace di fare niente.
Né per lei, né per te... per nessuno.
-
Stai facendo molto. Stai aiutando le persone meglio che puoi.
-
È proprio questo il problema.
Lily
spostò gli occhi sull’uomo nella cella. Non si era
mosso di un millimetro. Il
baccano non sembrava scalfire il suo sonno.
“Quei
due... mi hanno rovinata”.
“Sono
stati manipolati. Come me,
del resto”.
“Mi
hanno maledetta”.
“Già,
è vero”.
Lily
ripensò a quell’incontro sull’autobus.
Ripensò a quando aveva scoperto tutta la
verità.
“Quei
due... mi hanno rovinata”.
-
Vai. Ci penso io – stava dicendo Azzurro. Diede un bacio a
sua moglie.
Lily
si affrettò ad uscire e si diresse sul retro, prima che uno
dei due si
accorgesse di lei.
“Non
possiamo salvarla”.
“Non
ancora. Ci stiamo provando”.
“Come?
Cosa sto facendo?”
Fuori,
la luce del sole le parve fin troppo accecante.
La
verità era che Azzurro si sentiva impotente, non sapeva che
cosa fare per
aiutare sua figlia, non aveva idea di come salvarla, di come riavere la
ragazza
che era stata la Salvatrice, ma Biancaneve invece... Biancaneve no. Lei
era sembrata
molto padrona di sé. Era preoccupata, certo, ma non era
preda dell’agitazione e
dell’impotenza come suo marito. Sembrava vedere tutto con
molta chiarezza, pur
essendo senza ricordi.
Nella
vita di Lily non c’erano mai state molte certezze. Le uniche
certezze erano
legate al fatto che lei era stata maledetta e che i suoi nemici erano i
genitori di Emma.
Era
Biancaneve. Oh, anche suo marito, certo, il suo principe azzurro super
perfetto. Ma Biancaneve era ben peggio. Nella sua
storia, Biancaneve era la cattiva. L’Apprendista le
aveva
raccontato tutta la vicenda senza tralasciare nessun dettaglio e Lily
ne era
convinta. Poco importava che l’Autore fosse intervenuto.
Biancaneve l’avrebbe
fatto comunque, trascinandosi dietro quella testa vuota di Azzurro. Lei
era la
mente. Era la guida. Suo marito, senza di lei, si sarebbe messo a
girare su se
stesso come un povero imbecille. Non avrebbe maledetto una bambina
appena nata.
Non l’avrebbe rubata a sua madre.
Nella
sua storia Biancaneve era
esattamente
ciò che era stata in quella realtà alternativa
creata dall’Autore. La Regina
Cattiva. E Azzurro nient’altro che il suo cagnolino.
Forse
era cominciato tutto con quella maledizione. Biancaneve voleva una
figlia che
fosse pura, che fosse eroica e perfetta. Così aveva fatto in
modo che
l’oscurità le venisse strappata e aveva accettato
di trasferirla in un’altra
bambina. Adesso l’oscurità era tornata indietro a
riprendersi Emma. Era tornata
a riprendersela perché la magia aveva sempre un prezzo,
tutto quanto in quel
mondo aveva un prezzo. Tutto. Tutto tornava come un boomerang. Tutta la
vita
era un cerchio e si finiva col ricongiungersi al punto di partenza.
“Perché
tu non hai fallito. Tu hai
cercato di aiutarmi. Tu hai fatto la cosa giusta”.
“Non
hai niente da temere da me”.
Lily
sferrò un calcio ad un bidone della spazzatura,
ribaltandolo. Ora aveva
l’impressione che la sua oscurità stesse
dilagando, allargandole lentamente
un’ala nera sugli occhi.
Quando
udì il ruggito, Biancaneve, appena uscita dalla centrale con
mille domande che
le frullavano in testa e la sensazione che una parte della disperazione
di
David si fosse insediata anche in lei, sollevò il capo e si
schermò gli occhi
con una mano.
Vide
il drago nero sorvolare Storybrooke e dirigersi verso i boschi fuori
città. Non
avrebbe saputo dire se si trattasse di Malefica o di Lily,
poiché erano
pressoché identiche, ma quando la gigantesca ombra la
oscurò, venne colpita da
un presentimento di tale orrore e di tenebre che si fermò,
raggelata. Serrò più
forte i manici del passeggino. Sulle braccia e sul dorso la pelle si
era accapponata
in maniera vistosa e insolita. Dietro gli occhi, avvertiva
materialmente il
fiotto dell’adrenalina.
Guardò
di nuovo il cielo di Storybrooke. L’ombra era scomparsa e
così anche il drago.
_________________
Angolo
autrice:
Buongiorno
a tutti.
Vorrei
fare qualche precisazione come al solito:
Knubbin
non è un personaggio della serie tv, ma non è
nemmeno una mia invenzione. È un
mago che appare nel libro di Wendy Toliver, Red’s
Untold Tale, che parla dell’infanzia e
dell’adolescenza di Red/Ruby. Se non
l’avete letto, vi consiglio di farlo.
Per
chi non conoscesse il film della Disney Pixar, Brave:
Mor’du è un enorme orso che strappa la gamba al
padre di
Merida. Originariamente era un principe della Scozia, il primo dei
quattro
figli di un re.
Titania,
che qui ho citato come regina delle fate, è un personaggio
che ho introdotto
anche in un’altra mia storia, Clarity.
|
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Capitolo 7 *** 7. ***
7
Storybrooke. Oggi.
Lily
non aveva idea di dove si
trovasse.
Il
posto era in penombra. Una vaga
luce biancastra entrava dalle finestrelle alle sue spalle.
C’era un tavolino
ingombro di oggetti al centro dello stanzone, ma non riusciva distinguerne bene i
contorni.
Però
vedeva bene gli
acchiappasogni.
Gli
acchiappasogni che erano
ovunque.
Erano
appesi alle travi del
soffitto e alle pareti, decine e decine di quegli affari folkloristici.
Cerchi
di salice con una rete interna e le piume colorate. Erano diversi
rispetto a
quello che aveva visto in quell’appartamento a New York.
“Non
riesco a credere che sia
sopravvissuto tutto questo tempo”, aveva detto Emma, quando
aveva visto
l’acchiappasogni.
“Questo
posto era di...”
“Si
chiamava Neal. È stato... molte
cose per me. Ed ora non c’è più. Per
colpa sua”.
Zelena
si era limitata a regalare
una delle sue smorfie. “Scusa?”
Lily
fece un giro su se stessa e
poi allungò una mano verso uno dei tanti acchiappasogni. Ne
sfiorò le piume
rosse e poi lo prese. Sì, erano diversi. Non erano come
quello di Neal. C’era
qualcosa di strano e di inquietante in tutti quei cerchi. Emanavano
energia.
Fascino. Potere. E non era niente di buono, su questo non
c’erano dubbi. L’Oscuro
che rubava il piccone di un nano. L’Oscuro che minacciava una
fata a caso, una
fata che non era nemmeno a Storybrooke, come se volesse mettere in
chiaro che
chi comandava lì era lei... l’Oscuro che portava
via i ricordi e accusava la
sua famiglia di aver fallito. L’Oscuro che viveva in una
bella casa. Che
sosteneva che Regina non avrebbe mai potuto essere la Salvatrice. Ed
ora gli
acchiappasogni.
Poi
sollevò lo sguardo e vide Emma.
La
stava fissando con quei suoi
magnetici occhi verdi. Le labbra erano pressate in una linea piatta. Il
pallore
del suo viso era accentuato dalle ombre che aleggiavano nello stanzone.
Avanzò
verso di lei.
Lily
si svegliò di soprassalto e per poco non ruzzolò
giù dal letto.
Si
era addormentata vestita e con le cuffie dell’IPod nelle
orecchie. La musica
taceva e lei aveva la fronte imperlata di sudore. Guardò
l’orologio sul
comodino e vide che erano quasi le otto.
Il
sogno iniziò a sbiadire, a perdere la sua coerenza. Una gran
bella cosa. Però
l’immagine di Emma che la osservava, il luccichio di quegli
occhi... quello
rimase. Rimase, come un avvertimento. Una minaccia. Un mano oscura che
aleggiava sopra di lei.
-
Lily? Sei sveglia? – le gridò sua madre dalla
cucina.
Gli
acchiappasogni. Tutti quegli
acchiappasogni.
Brancolò
per padroneggiarsi e scacciare anche quelle ultime immagini.
– Sì!
Per
quale motivo sogno gli
acchiappasogni?
Ma
sapeva che spesso i sogni non avevano una logica precisa. Erano fatti
di
simboli. Di simboli da interpretare. Molte volte non era facile capire
che cosa
significassero e quando ti destavi cominciavano a svanire, impedendo
una reale
comprensione di ciò che avevi visto mentre dormivi.
-
Lily? – Malefica doveva aver detto qualcos’altro,
ma se l’era perso. – Ti sei
rimessa a dormire?
-
No. – rispose, subito. La sua mente, a margine, stava anche
notando che nessuno
le aveva mai preparato la colazione, prima d’ora. Malefica
era venuta apposta
per farlo. Cercò di immaginarsela mentre spadellava e
quell’idea avrebbe dovuto
rassicurarla, farla ridere... ma non la rassicurò affatto.
-
Un toast o due?
-
Due. - Non aveva idea di che cosa stesse dicendo. Aveva lo stomaco
chiuso e una
brutta sensazione che le opprimeva il petto. Come se la stranezza del
sogno si
fosse insediata proprio lì, vicino al cuore. -
Bruciacchiati.
-
Come vuoi.
Lily
richiuse un attimo gli occhi, ma in quell’istante di
oscurità rivide quelli
verdi dell’Oscuro. Li riaprì immediatamente e,
quasi di corsa, entrò in bagno,
aprì la doccia e si ficcò sotto
l’acqua, talmente calda che quasi scottava la
pelle.
Non
gliene importava.
***
Camelot.
Cinque settimane prima
della maledizione.
Regina
aveva rovistato tra i libri e le pozioni presenti nella Torre di
Merlino e non
era ancora riuscita a cavare fuori la maledetta Sfatastrega. In quel
posto
polveroso e pieno di tarli sembrava esserci ogni cosa, a parte
ciò di cui lei
aveva davvero bisogno.
Robin
era appena uscito per andare a prepararle una tazza di tè,
ma Regina era sicura
di non potersi calmare con una tazza di tè. Doveva trovare
una soluzione e
doveva trovarla in fretta. Comunicare con Merlino e liberarlo era la
loro
priorità. La priorità di Emma. Merlino poteva
scacciare l’oscurità...
Si
voltò. Zelena sedeva in un angolo, muta e annoiata.
Levò gli occhi al cielo.
-
Ricordati che sei qui solo perché così posso
tenerti d’occhio – le disse
Regina. – Cara la mia serva muta... non ti conviene alzare
gli occhi al cielo,
con me.
Zelena
aprì la bocca per dire qualcosa, ma naturalmente non
uscì neanche un suono. Al
polso era ancorato il bracciale nero che inibiva i suoi poteri. Da
quando le
aveva tolto la voce perché non si mettesse a chiacchierare
più del dovuto,
Zelena non aveva fatto altro che roteare gli occhi e riservarle smorfie
o
sguardi fulminanti.
-
Stammi a sentire... – cominciò Regina.
Lily
entrò nella Torre, guardandosi in giro. La figlia di
Malefica aveva deciso che
gli abiti di Camelot non facevano per lei e aveva indossato le cose
più normali
che aveva trovato. Una camicia di lino sotto una giubba in cuoio senza
maniche
e i pantaloni in pelle infilati negli stivali.
-
Che ci fai tu qui? – chiese Regina.
-
Sono venuta a dare un’occhiata. E anche a dare una mano. So
che stai cercando
qualcosa per poter comunicare con Merlino.
-
In effetti sì. Perché tu vorresti aiutarmi?
-
Io sono qui per aiutare Emma. Non te.
Regina
si domandava perché Malefica non la costringesse ad
abbassare la cresta. Fu il
suo turno di levare gli occhi al cielo. –
D’accordo. Allora datti da fare.
Lily
si avvicinò al tavolo pieno di scartoffie e libri di magia.
Difficile dire da
dove fosse giusto cominciare. – Hanno preso il mago che ha
incantato la spada
di Percival. Artù l’ha buttato in prigione.
-
Bene. Almeno un problema è risolto. Mi auguro che abbia
incantato anche le
sbarre della cella.
-
Non è un mago così potente. A guardarlo si
direbbe più un ciarlatano.
Regina
aprì un altro volume, un grosso tomo rilegato in pelle, con
le pagine così
ingiallite da farle credere che si sarebbero sbriciolate non appena
avrebbe
cominciato a sfogliarle. – Un ciarlatano che ha comunque
incantato una spada
destinata ad essere usata per uccidermi. E una collana. Vorrei
ricordarti
questo.
-
Ed io vorrei ricordarti che quel cavaliere voleva ucciderti
perché tu hai ucciso la
sua gente. Cosa avresti
fatto al posto suo?
Zelena
sorrise, divertita.
Regina
richiuse il libro. Cercava in tutti i modi di non lasciarsi irritare
dal tono
di quella ragazzina. Che poi non era una ragazzina, dato che aveva
l’età di
Emma.
Le
ultime giornate erano state faticose. Erano ore che frugava in mezzo
alle
pagine e agli incantesimi. Era dal momento in cui aveva messo piede a
Camelot
che si sforzava di recitare la parte della Salvatrice, anche ora che
Artù
sapeva che lei era stata la Regina Cattiva. Era dalla notte del
sacrificio di
Emma che la sua mente vorticava senza posa. – Mi dispiace
molto. Quello che è
successo l’altra sera avrei voluto evitarlo. So che
è difficile per te... hai
salvato la vita di Robin e, in fin dei conti, anche la mia. Se non
fossi
intervenuta...
-
Io non sono intervenuta. Sai cosa ti dico, non volevo nemmeno salvare
la vita
di quella testa vuota del tuo uomo. – scattò Lily,
gli occhi come tizzoni
ardenti. - Se non fosse stato per te, non sarebbe successo niente. Non
avrei
usato la magia e non l’avrei ucciso! E poi vuoi che tutti
credano che tu sia la
Salvatrice?
Regina
lottò contro l’impulso di metterle le mani al
collo. D’improvviso era furente.
Prima era dispiaciuta per Lily, perché riusciva ad
immaginare come si sentisse
dopo aver arso vivo un uomo che l’aveva persino invitata a
ballare un attimo
prima. Ora era furente e offesa in un modo che non riusciva a spiegare.
– Io
l’ho fatto per proteggere Emma! Nessuno deve sapere che lei
è Salvatrice,
perché la costringerebbero ad usare la magia! Ed
è magia nera!
-
Sei brava a convincerti di questo. E sei brava anche a costringere gli
altri a
crederlo.
-
Come?!
-
Ti ho vista, in cima a quella scalinata. La Regina Cattiva che recita
la parte
della Salvatrice e si gode il momento di gloria! Era quello che volevi.
Che
tutti ti vedessero come una Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano
Emma.
Zelena
si sentiva invasa da una potente sensazione di ilarità,
un’inguaribile forma di
follia. Sarebbe rimasta là ad ascoltarle per ore. Finalmente
assisteva a
qualcosa di interessante! Avrebbe voluto assistere anche alla scena in
cui la
figlia dell’amica di Regina bruciava vivo uno dei burattini
del sovrano. Sperava
che non cogliesse l’occasione per bruciare anche sua sorella,
perché
distruggere Regina era un compito che spettava a lei, non ad un giovane
drago
pieno di rabbia e oscurità, rabbia che avrebbe dovuto
convergere contro i due
imbecilli che l’avevano maledetta.
-
Non ti permetto di rivolgerti a me con questo tono. Tu non sai niente!
– sibilò
Regina, puntandole contro un dito. La collera le impediva quasi di
parlare.
-
So abbastanza. Quelle come te... – disse Lily, avvicinandosi.
– Come noi... non
possono essere Salvatrici. È
come sperare che Biancaneve sia davvero la ragazzina che parla con gli
uccellini.
-
Forse tu non puoi esserlo. Ma io sono in grado di farlo. Sono capace di
proteggere le persone che contano, per me.
-
Non lo stai facendo molto bene, allora. Hai un passato troppo pesante.
Ovunque
tu vada, quello che hai fatto ti perseguita. Così come
l’oscurità ha sempre
perseguitato me. Non te ne libererai mai. Ci sono troppe persone che ti
odiano
per quello che hai fatto loro. Non potrai mai essere ciò di
cui Emma e
Storybrooke hanno bisogno.
-
Questo è tutto da vedere! – Improvvisamente rivide
se stessa mentre diceva ad
Emma che quello che era accaduto a Lily non era affatto colpa sua.
Pensavano
che fosse morta, così come aveva raccontato quel barbone
puzzolente nel vecchio
stabile di Lowell. Improvvisamente udì la voce di Emma,
della vecchia Emma già
minacciata dal male, che rispondeva...
“Sei
sicura? Hai sentito quel
tizio? Lei aveva una vita difficile, oscura...
quell’oscurità era la mia! O
avrebbe potuto esserlo”.
-
Vai a farti un giro. Anzi, un volo! – aggiunse Regina,
tornando a concentrarsi
sui libri. - Credo che tu ne abbia bisogno. Incendiare qualche
boschetto ti
aiuterà a chiarirti le idee.
Zelena
alzò di nuovo gli occhi al cielo, ma questa volta la sorella
non la vide. Lily
lanciò un’occhiata di sbieco alla strega e poi
lasciò la stanza, non prima di aver
gettato a terra con una manata un cumulo di scartoffie.
Regina
era stupefatta. Incredula. Non riusciva a capire che cosa stesse
succedendo.
Non aveva più il controllo su niente.
-
Cosa c’è? – chiese a Zelena, notando il
suo sorriso smagliante.
Lei
scrollò le spalle e poi indicò
l’uscita.
-
Va bene – esclamò Regina. Con un gesto della mano
le restituì la voce. – Se
devi per forza aggiungere uno dei tuoi commenti, tanto vale che tu lo
faccia.
Zelena
si profuse in un’esclamazione di sollievo e si
portò le mani alla gola. – Oh!
Oh, finalmente, riecco la mia voce, così limpida e
femminile! Giusto in tempo
per dirti quanto mi stia simpatica quella ragazza. È andata
molto vicina ad
incendiare e distruggere questa bellissima torre, l’hai
sentito, vero?
In
effetti sì. L’aveva sentito. Un’onda di
potere in procinto di saltare in aria.
-
Resta il fatto che ha cercato di darmi fuoco, come ha fatto con quel...
Percival, giusto? Ma... non si può essere perfetti.
– continuò Zelena. – A
proposito, ho notato che la tua pelle sta assumendo una sfumatura
verde,
sorellina. Non ti dona molto. Credevo fosse il nero il tuo colore.
-
Ma di che parli? – chiese Regina.
-
Oh, non parlo solo di questo – disse Zelena, portandosi le
mani al ventre. – Parlo
di quel drago, quello che non sopporti, perché ha avuto il
coraggio di dirti
che puoi essere tutto, a parte una Salvatrice. Non solo; ti ha rubato
la scena
al ballo e... oh! Guarda, anche l’unica amica
che eri riuscita a trovare!
Mise
una particolare enfasi nella parola amica.
-
E poi credevo che ti piacessero i draghi, sorellina. –
continuò Zelena,
imperterrita. - Sai, quando vivevo ad Oz e non ero occupata a trovare
un modo
per cambiare il passato, ti ho osservata spesso. A volte passavo ore ad
osservarti e a studiare le tue mosse... per conoscerti meglio.
-
Non ti è servito a molto, a quanto pare.
-
Oh! In realtà è stato assai utile! Ho scoperto
particolari interessanti. La tua
predilezione per i draghi, per
esempio. Ce ne sarebbero di cose da raccontare a Robbie...
-
Tu non racconterai un bel niente. E basta con queste chiacchiere
inutili. –
replicò Regina, seccamente. – Dovremmo parlare
della tua pessima idea di
scappare ad Oz, piuttosto.
Zelena
tacque.
-
Lo sai che non puoi sottrarre questo bambino a Robin.
Lei
le rivolse un sorriso. – E puoi biasimarmi? Intendi
portarmelo via. Questo
bambino potrebbe essere l’unica persona in grado di amarmi
veramente.
-
Devi meritartelo, quell’amore.
-
Il punto non è questo. Qualsiasi cosa io faccia, non
andrà bene in ogni caso.
Tu vuoi questo bambino. Vuoi crescerlo con Robin! – Scandiva
ogni parola,
buttandola fuori come un colpo di tosse. La sua voce stava diventando
stridula.
– Pensi di averne il diritto, perché ora ti senti
un’eroina. Ma sai cosa ti
dico? Puoi avermi sconfitta con la magia bianca, ma non prenderai mio
figlio.
Regina
incrociò le braccia. - Questo dipende da te, Zelena. Quello
che desidero è che
questo bambino cresca protetto e abbia la sua migliore chance.
-
No. Questo dipende anche da te. Dovresti occuparti del figlio che hai
già.
Oppure... occupati di risolvere il tuo problema, se ne vuoi uno.
Problema che
ti sei procurata da sola, a dire il vero.
Regina
le chiuse la bocca, ritrasformandola nella sua serva muta. Zelena
boccheggiò,
arpionandosi il collo.
-
Per oggi hai parlato abbastanza – concluse.
Suo
padre non riuscì a portare a casa la Corona Scarlatta.
Aveva
recuperato il fungo nella Foresta della Notte Eterna per poi vederselo
portare
via da un cavaliere sbucato dalle acque del lago. Ma Artù
era rimasto
impressionato dal suo coraggio. Per questo lo aveva nominato cavaliere
e gli
aveva offerto il seggio più importante della Tavola Rotonda,
quello che un
tempo era appartenuto ad un altro uomo del re, Lancillotto del Lago. Il
posto
destinato alla persona con il cuore più puro. Il Seggio
Periglioso.
Emma
era felice per suo padre, ma doveva trovare una soluzione per tirare
fuori
Merlino da quell’albero. Lily aveva provato a comunicare di
nuovo con lui, ma
non aveva udito più niente. Era stato come chiamare a gran
voce qualcuno che era
precipitato in un gigantesco buco nero.
Dopo
la cerimonia dell’investitura di Azzurro, Emma scese nelle
prigioni. Addormentò
le guardie per evitare che le facessero domande o le impedissero di
arrivare
alla cella del mago che aveva incantato la spada di Percival. Non
avrebbe
dovuto usare la magia, ma era solo... solo un piccolo incantesimo.
Knubbin
era sveglio. Indossava ancora la camicia tutta sbrindellata e i capelli
gli
stavano ritti sulla testa. – Ma guarda, una visita! Non
è più tanto difficile
trovarmi, vero? Una volta non lo sarebbe stato neanche per gli uomini
di questo
re. Mi avrebbero trovato solo se io avessi desiderato essere trovato.
Ma i
tempi bui arrivano per tutti. Anche per me. Ultimamente non
c’era più molta
gente disposta a farsi aiutare dal sottoscritto. Cosa posso fare per
voi,
tesorino?
-
Mi chiamo Emma. Emma Swan.
-
Emma, ma certo. Che nome delizioso. – Si tirò su.
La sua schiena scricchiolò e
anche il collo. – C’è qualcosa in voi,
Emma. È... qualcosa che portate. Vero?
Qualcosa di molto grande. Non riesco a metterlo a fuoco con chiarezza,
ma se
siete venuta qui per chiedermi di liberarvene, non sono la persona
adatta. E
anche se lo fossi, sono bloccato in questa cella. E la cella
è protetta da un
incantesimo. Molto antico. Non sono in grado di scioglierlo.
-
Ma siete in grado di incantare una spada. E stando a quello che mi ha
detto
Granny... anche un mantello. – Emma si avvicinò di
più alle sbarre della buia
prigione. Avvertiva l’incantesimo di cui parlava il mago. Una
protezione contro
chiunque avesse tentato di scappare.
-
Incantare una spada non è così difficile,
tesorino. Neanche incantare un
mantello. Ma il mantello fu una grande idea. Ho incantato il mantello
di quella
ragazza e anche il ciondolo. Beh, il ciondolo era di sua madre.
Aspettate, si
chiamava... è proprio qui. – Si indicò
la tempia. – Anna? Annette? Ah, ecco.
Anita. Quella era la madre. La ragazza si chiamava Red. Ma non aveva i
capelli
rossi.
Emma
avrebbe voluto interromperlo, ma non lo fece.
-
E il cavaliere che è venuto da me era così
determinato! Non potevo certo sapere
per chi fosse la spada. Ovviamente doveva essere destinata a qualcuno,
perché
incantarla, in caso contrario? Incanti una spada se vuoi usarla contro
qualcuno
dei tuoi demoni personali. Anche se Persico
non ha parlato di un demone, in realtà. –
Interruppe il suo sproloquio per
grattarsi la barba e arruffarsi i capelli. Il corvo se ne stava
appollaiato
sulla branda. – Un angelo della morte, ecco come
l’ha definito. Molto
affascinante.
Anche
Emma lo trovò affascinante. Pensare a Regina che calava come
un angelo della
morte su un villaggio e uccideva decine di innocenti aveva un che di
terribile
e cattivo, oscuro... eppure
era anche enormemente affascinante.
Si
riscosse. – Sentite, Knubbin... devo liberare una persona.
È intrappolato da
molto tempo. Mio padre aveva trovato qualcosa che ci avrebbe permesso
di
comunicare con lui, ma non è riuscito a recuperarlo. Un
fungo.
-
La Corona Scarlatta! – esclamò Knubbin, saltando
in piedi. Mosse qualche passo
strascicato, approssimandosi alla sbarre. – Certo, certo. La
Corona. Si trova
nella Foresta della Notte Eterna. Non ditemi che vostro padre
è andato laggiù!
Immagino che nessuno si sia curato di avvisarlo del cavaliere fantasma
che
abita le acque intorno al luogo in cui cresce la Corona. Non che qui ci
sia
qualcuno che conosca a fondo la leggenda... tutte le leggende hanno un
fondo di
verità, solo che la gente si rifiuta di crederci. Viviamo in
un mondo strano.
-
Possiamo recuperarla?
-
Oh, non direi, tesorino. Le acque di quel luogo sono profonde e oscure.
Niente
riemerge di solito. Vostro padre deve essere stato fortunato. Ma forse
voi...
forse voi avreste qualche possibilità.
-
Esistono altri modi per comunicare con lui, vero? Ho bisogno di sapere
che cosa
mi serve per liberarlo.
-
Beh, certo. Questa è una situazione assai complicata.
Vedete, tesorino,
solitamente questo richiederebbe un
prezzo. La magia ha sempre un prezzo, no? Io sono una persona gentile,
mi basta
poco. Percival mi aveva pagato bene ed era il primo dopo molto tempo,
tempo che
ho passato seduto davanti a casa a guardare le carote crescere...
Le
salì in gola una risata isterica e riuscì
miracolosamente ad imbottigliarla.
Tremotino, invece, appoggiato al muro della prigione, non la
imbottigliò.
Ridacchiò di gusto.
-
Un prezzo! – esclamò. – Lui vuole
stipulare un accordo con noi! Ne ho visti di
ciarlatani, in tutti questi anni...
-
Sta zitto – rispose Emma, seccamente.
-
Zitto, io? – domandò Knubbin. – Diamine,
io sono una persona a modo, conosco le
buone maniere e voi mi dite di stare zitto, tesorino?
-
Non parlavo con voi – replicò Emma.
-
E con chi, allora? Oh, capisco. – Knubbin
picchiettò di nuovo l’indice contro
la tempia. – Parlate con i vostri demoni. Che aspetto hanno?
-
Dov’eravamo rimasti, Knubbin? – lo interruppe Emma.
- Non ho tempo da perdere.
-
In prigione, ecco dov’eravamo – disse il mago,
guardandosi i piedi. – Ah, ma
voi intendete con il nostro discorso! Naturalmente. Allora, dicevamo...
non
avete la Corona Scarlatta e questa è una brutta notizia.
Avete un oggetto di
questo mago, forse? No, sarebbe la strada più lunga. Meglio
di no.
Emma
restò in attesa, mentre Knubbin si scervellava.
-
Occorre... occorre scoprire che cos’è accaduto,
sì. È necessario scoprire
perché è stato intrappolato ovunque si trovi. Ci
vorrebbe una sfera magica. Non
ho sfere magiche, purtroppo. Ne avevo una, ma è rimasta
nella mia umile dimora
e non posso certo uscire per andare a prenderla.
Ad
Emma sovvenne qualcosa. Si formò un’immagine,
nella sua mente. E si diede
dell’idiota per non averci riflettuto prima. –
Certo... scoprire cosa gli è
successo. I suoi ricordi...
-
I suoi ricordi sono importanti. I ricordi sono sempre importanti.
– borbottò Knubbin.
Ora parlava più con se stesso, roteava gli occhi e spostava
il peso da un piede
all’altro. – I ricordi vanno custoditi gelosamente.
Non si dovrebbero
cancellare i ricordi. Non che io non l’abbia mai fatto, ma
erano circostanze
particolari. Mi hanno implorato di farlo, se capite cosa intendo.
-
Farò in modo che Artù non vi condanni a morte.
– concluse Emma, girandosi per
andarsene. – E forse riuscirò a farvi uscire da
qui.
-
Siete generosa! Questo è un buon prezzo, davvero. Meglio di
tutte le monete
d’oro che Persico mi ha
offerto per
incantare la spada!
Emma
smise di ascoltarlo. Si incamminò lungo il corridoio buio.
Tremotino la seguì.
***
Storybrooke.
Oggi.
Lily
era al Granny’s in attesa della sua ordinazione, quando
Uncino entrò e si
diresse verso il tavolo al quale era seduto Robin, intento a mangiare
un
hamburger. Aveva un’aria cupa e pensosa mentre prendeva posto
davanti al ladro.
Lily
scrutò l’orologio. Sua madre sarebbe dovuta
arrivare di lì a poco, ma lei era
troppo nervosa e avrebbe voluto trovarsi da tutt’altra parte.
Pensava ad Emma.
Pensava alla porta chiusa in casa dell’Oscuro, che stonava
con tutto il resto.
Pensava a cosa potesse esserci dietro quella porta. E dato che la sua
mente
continuava a tornare là, un motivo doveva pur esserci.
“Perché
mi stai dicendo questo? Ti
dispiace avermi tolto i ricordi? Ho sentito cos’hai detto a
Regina. Abbiamo fallito”.
“Gli
altri hanno fallito, Lily. Tu
no. Tu non hai fallito. Né tu né Henry avete
fallito”.
Granny
le piazzò davanti la sua ordinazione.
-
Avevo ordinato delle tapas – osservò Lily,
sollevando un sopracciglio. – Non
tutta questa roba.
-
Non mi risulta – rispose la vecchia, mostrandole
l’ordinazione. – Fino a prova
contraria, so ancora leggere. Ah, è tutto pagato. Deve
essere stata sua madre.
Lily
scrutò il foglietto che Granny le aveva lasciato. In effetti
il numero del
tavolo era giusto, ma l’ordinazione era diversa. Aveva la
testa da un’altra
parte, ma ricordava benissimo ciò che aveva chiesto al
cameriere. Patatas
bravas rosso fuoco con asparagi annegati nell’aceto. E lui la
stava ascoltando.
Adesso
aveva davanti...
No,
ti prego.
Non
era stata sua madre, ne era certa.
“È
roba da fast food, ma sai, con
la partenza...”
“Adoro
il fast food.
Quest’atmosfera... divisione dei compiti, regole di casa!
Sembrate venuti fuori
da una pubblicità”.
Il
cibo che aveva davanti era effettivamente roba da fast food e, ci
avrebbe
giurato, erano le stesse cose che aveva mangiato quella sera, quando
era stata
ospite della famiglia affidataria di Emma. Persino i cartoni che
contenevano
panini, patatine e anelli di cipolla erano gli stessi. Non ricordava
più i nomi
di quelle persone, ma ricordava l’atmosfera... le stanze in
perfetto ordine,
oggetti preziosi, il cartello con le regole per una vita tranquilla e
ordinata
appeso alla parete della sala da pranzo. Mentre i due coniugi
recitavano una
noiosissima preghiera che lei aveva finto di ascoltare, la sua mente
stava già
riflettendo su quanto sembrasse finta, innaturale quella perfezione.
Certo,
pensava anche a quanti soldi avrebbe potuto trovare facendo un giretto
in
quella casa...
Lily
appallottolò il foglio di carta e lo gettò via,
seccata.
“Allora,
dicci: come vi siete
conosciute tu ed Emma? In casa famiglia?”
“Ehm...
sì, eravamo a Falcon
Heights. Abbiamo legato subito. Migliori amiche per sempre”.
Non poteva certo
raccontare che l’aveva conosciuta in un supermercato. In un
supermercato in cui
Emma era entrata per rubare, tra l’altro.
“L’allontanamento
è stato un
peccato”.
“Sì.
Emma è stata la prima persona
che mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a
farci
incontrare”.
Belle
entrò di corsa al Granny’s, con la sua campana di
vetro, indaffarata e nervosa.
– Nonna, il mio pranzo è pronto?
-
Sì, tesoro, ma non puoi campare solo di quello. –
rispose la nonna, dandole il
piatto con il toast. – Siediti e mangia
qualcos’altro.
-
Ah, non posso...
Lily
decise che le era passata la fame e si alzò. La moglie
dell’ex Oscuro poteva
mangiarsi anche il suo, di pranzo, per quanto la riguardava.
-
Guardate. – disse David. Mostrò il fungo a Regina
e Neve.
-
Questo è il fungo che ho visto nel libro. –
constatò Regina. Prese il grosso
tomo nel quale si trovava il foglio di carta con il punto di domanda.
L’immagine
della Corona Scarlatta era ben impressa nella sua mente. Ed era
identica al
fungo che lui aveva in mano. – Dove diavolo l’hai
preso?
-
Ce l’aveva uno dei servi di Artù. Oggi
c’è stato un furto...
-
Un furto? – chiese Neve, perplessa.
-
Sì, il servo del re ha rubato qualcosa dal reliquiario dei
cavalieri. Artù è
convinto che abbia preso anche un fagiolo magico. –
spiegò David, passando la
Corona Scarlatta a Regina. – Adesso è in cella.
-
È proprio quello che stavamo cercando. – disse
Regina.
-
Perché? – domandò Neve.
-
Può essere usato per comunicare attraverso delle barriere
magiche. Certamente lo
cercavamo per poter comunicare con Merlino. – Finalmente
vedeva una luce in
fondo al tunnel. Era possibile che quegli indizi li conducessero da
qualche
parte. Dal mago, ad esempio.
-
Chissà se ci siamo riusciti... –
sussurrò Neve.
Era
una domanda alla quale Regina non voleva rispondere, al momento. Tutto
faceva
pensare che qualcosa fosse andato terribilmente storto, ma lei aveva
bisogno di
concentrarsi sulla Corona Scarlatta, sul presente.
-
Bene, usiamolo, allora! Scopriamo se possiamo parlargli. –
disse David, con
decisione.
-
Potrebbe dirci come salvare Emma dall’oscurità.
– aggiunse Neve.
Regina
ne era convinta. Merlino non era lì, però avrebbe
potuto avere un messaggio per
loro. Avrebbe potuto suggerire una soluzione. Il mago più
potente del reame
doveva sapere come aiutare l’Oscuro.
-
David. – Neve lo guardava con orgoglio. I suoi occhi verdi
cercarono quelli
azzurri del marito. Del suo Principe Azzurro. - Ce l’hai
fatta.
Il
principe sorrise.
-
Sai, non ha proprio una bella cera – osservò la
proiezione oscura di Tremotino.
– E se me lo dico da solo...
Gold
giaceva su alcune rocce, nei sotterranei della casa di Emma, ancora
addormentato. Belle si era presa molta cura di lui, a giudicare dai
pantaloni e
dalla camicia nera, entrambi freschi di bucato.
Emma,
invece, non si prese la briga di rispondergli ed estrasse la spada che
aveva
sottratto a Killian. Non era stato facile come si aspettava. Quando
l’aveva
incontrato sulla Jolly Rogers, Uncino era restio, diffidente. Cambiarsi
d’abito
ed indossare lo stesso del loro primo appuntamento non le aveva fatto
guadagnare molti punti...
-
Che fortuna aver trovato qualcosa che l’abbia toccato...
quand’era ancora un
uomo. – disse Tremotino, sogghignando.
-
Non è fortuna, ma frutto di un duro lavoro. –
precisò Emma.
-
È vero – rispose Tremotino, ma come chi la stesse
soltanto prendendo in giro,
fingendo di ammirarne gli sforzi. – Saresti stata anche
più impassibile se
avessi dovuto frantumare il cuore di Uncino sotto i tuoi...
scomodissimi
stivali a tacco alto.
Emma
fremeva di rabbia, ma non si lasciò distrarre. –
Zitto.
Non
le disse più niente e lei frantumò la spada di
Uncino, spargendone i granelli
neri sul petto di Gold.
Aveva
bisogno del suo eroe. E non di un eroe qualsiasi; aveva bisogno del
più puro di
tutti. L’unico che rispondeva ai requisiti era Gold, ormai
libero dall’entità
che l’aveva corroso e tormentato per trecento anni. Un uomo
da costruire. Una
tela bianca pronta per essere dipinta. Solo che questa volta il colore
predominante non sarebbe stato il nero. Avrebbe prevalso la luce. Non
aveva
scelta, se voleva mettere le mani su Excalibur.
Occorse
ancora qualche minuto, poi Gold sollevò lentamente le
palpebre. Emma non sapeva
se al suo risveglio sarebbe stato confuso, ottenebrato dalla debolezza
o se
fosse stato nel pieno delle forze... ma a giudicare dalla
rapidità con cui la
mise a fuoco e da come si rese subito conto di essere capitato in una
situazione estremamente complicata, Emma non dubitò che
fosse assolutamente
lucido.
-
Cosa... – balbettò, tirandosi su. – Cosa
vuoi da me?
Emma
lo fissò, impassibile. Notando la nuova fragilità
che lo rivestiva. Percependo
la sua paura.
-
Tu sei l’Oscuro, adesso. Non io.
Lei
spostò gli occhi su Tremotino, che sorrideva, soddisfatto e
divertito.
-
È vero – confermò. – Non hai
più l’oscurità in te, ma non hai
nemmeno la luce.
Non sei niente. Il tuo cuore è una tabula rasa. Il che,
piccoletto, fa di te
una risorsa molto utile.
Sedette
accanto a lui. Gold si spostò di scatto. Una volta erano gli
altri ad essere
terrorizzati in sua presenza, mentre ora... lui era spaventato dalla
nuova
Oscura. Non voleva essere toccato da lei.
Emma
stava per aggiungere qualcosa, ma ridivenne di colpo molto seria e si
mise in
ascolto. I suoi occhi scattarono verso l’alto.
-
Oh! Abbiamo visite – osservò Tremotino.
– Devo dire che ha proprio un tempismo
perfetto.
Aveva
percepito la presenza di Lily. Non avrebbe potuto coglierla di
sorpresa,
neanche se avesse impiegato tutte le sue energie.
-
Che succede? Chi c’è? – disse Gold,
seguendo lo sguardo di Emma.
-
Niente di cui tu debba preoccuparti. – osservò
Emma, appoggiandogli una mano
sul petto per spingerlo di nuovo giù. –
Perché adesso... io farò di te l’ultima
cosa che avresti mai pensato di poter essere. Un eroe.
Gold
aggrottò la fronte. I battiti del suo cuore accelerarono.
-
E non un eroe qualunque. Bensì l’eroe
più puro che sia mai esistito. –
precisò
Emma. Il verde dei suoi occhi si era fatto più pressante e
intenso, più
torbido. – Dopodiché... avrò un
lavoretto per te.
Aveva
spostato la sua attenzione su qualcosa che si trovava dietro di lui.
Gold si
girò e l’unica cosa che vide fu una roccia, nella
quale era incastonata una
spada.
Lo
costrinse a tirarsi su. Gold barcollò sulla gamba malandata.
– Ti prego... non
fare questo.
-
Tutta questa paura è inutile. Io ti costringerò a
dimenticarla. Con un piccolo
aiuto, certo. - Con la magia, Emma lo spinse contro le sbarre in fondo
alla
caverna.
-
E Belle? Che cos’hai fatto a Belle? – chiese lui,
mentre le corde si
attorcigliavano intorno ai suoi polsi, immobilizzandolo contro la
prigione.
-
La tua domestica sta bene – disse Emma. – Sta
tranquillo. Non ho avuto bisogno
di farle del male. Ho aspettato che ti lasciasse solo. Mi serve viva.
Può
essere un incentivo.
-
Non usare Belle, ti prego. Lei non c’entra.
-
Per una volta la tua domestica può essere utile in qualche
modo... e tu mi
chiedi di non usarla? – Emma scosse il capo. - Evitiamo i
piagnistei.
-
Non posso essere ciò che vuoi tu. Io non sarò mai
un eroe.
-
Certo che lo sarai. – Emma sfiorò l’elsa
di Excalibur. – Non ho dubbi su
questo.
All’esterno,
Lily si diresse a grandi falcate fino all’ingresso della casa
dell’Oscuro.
Allungò una mano per afferrare la maniglia e ovviamente un
incantesimo di
protezione la respinse, sbalzandola sul prato.
-
Emma... – sibilò.
D’accordo,
avrebbe dovuto aspettarselo.
L’abitazione
sembrava deserta, ma Lily fece comunque un giro completo, sbirciando
dalle
finestre. Le stanze erano in ombra. E vuote. La misteriosa porta era
chiusa.
Sul
retro c’era anche un altro edificio, una vecchia struttura
bianca. Aveva tutta
l’aria di essere un garage o una rimessa di qualche tipo. Si
avvicinò, ma senza
azzardarsi a toccare il pesante chiavistello che serrava i battenti.
Sentiva
la magia vibrarle intorno. Anche quel posto era protetto, non solo la
casa.
E
la magia era strana. Sulle prime, Lily pensò che ci fosse
qualcun altro lì con
lei. Non Emma, ma qualche nuova presenza. Udiva dei ronzii. Dei suoni
simili a
voci, solo che non distingueva le parole. Bisbigli, sussurri, echi che
si
frantumavano.
Scosse
la testa per scacciarle, ma senza successo. Allora piegò il
capo di lato e
rimase in ascolto.
Le
voci sembravano dapprima distanti, poi vicinissime. Si allontanavano un
po’ e
ritornavano minacciosamente. Lily sentì che una goccia di
sudore le colava
dalla fronte sulla guancia. Il palmo della mano stretta a pugno le si
era fatto
madido. La sua carne strisciava. Sì, era una sensazione
tremenda, ma era così. Strisciava.
Pareva muoversi sul corpo.
Si
girò di scatto per andarsene e si ritrovò faccia
a faccia con Emma. Per poco
non le andò addosso.
Le
voci scomparvero.
-
Non dovresti essere qui – le disse Emma. – Credevo
fossi al Granny’s a gustarti
il tuo pranzo. Ho sbagliato qualcosa?
Se
hai sbagliato qualcosa?, Lily
era esterrefatta. Ancora stordita dalla voci che l’avevano
assalita tutte
insieme, batté le palpebre e rifletté, sicura di
aver capito male.
-
Tu... che? – balbettò.
-
So che adori il fast food. O almeno un tempo lo adoravi. Non sei stata
tu a
dirmelo?
Ah,
certo.
-
L’ho detto anche per fare buona impressione. – si
ritrovò a rispondere. – Ma
non capisco che cosa c’entri questo con... il resto. Cosa
stai combinando qui?
Cosa c’è là dentro?
Emma
lanciò un’occhiata all’edificio bianco.
– Cose che mi appartengono. Che mi
servono.
-
Davvero? Ma che bella risposta. Proprio la risposta che mi aspettavo.
Emma
non disse niente.
-
Io credo che tu me ne debba qualcuna, di risposta. Sei stata tu stessa
a dirmi
che non ho fallito, a Camelot.
-
Ed è vero.
-
Bene. Allora perché ne so quanto gli altri?
-
Tu hai qualcosa che gli altri non hanno. La certezza di non aver
fallito. Ed è
molto importante. – Emma la fissava con quegl’occhi
che sembravano dimostrare
almeno cinquecento anni. La faccia era tirata e le labbra rosse
spiccavano come
mele mature e avvelenate. – Lo è per te.
-
Cosa?
-
Oh, suvvia. Io so benissimo quanto sia importante sapere di aver fatto
la cosa
giusta. – ribatté. E, sempre con quella voce calma
che suonava così sicura ed
implacabile, quella voce che le dava un brivido, aggiunse: - Non importa cosa faccio, tanto ogni
decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata. Io
ricordo la
ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata,
perché non
riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo
quella
ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata
dell’autobus... perché
io rendevo la sua vita più luminosa.
Lily
deglutì a fatica. Aveva la bocca secca, quasi non fosse
rimasta nemmeno una
goccia di saliva. Avrebbe voluto rispondere, ma stentava a trovare una
replica
adeguata.
-
Non posso più renderla luminosa – ammise Emma, con
rammarico. – Ma posso...
rimediare. Posso darti questa certezza. A Camelot tu mi hai aiutata. E
hai
preso la decisione giusta. Se sono come mi vedi adesso, la colpa non
è tua. So
quanto sia importante, questo. Infatti non hai detto nulla a nessuno.
Nemmeno a
tua madre.
-
Non è l’unica cosa importante – disse
Lily, con la voce roca. – Anche i miei
ricordi sono importanti. Di che cosa hai paura, Emma?
-
Io? Perché dovrei avere paura di qualcosa?
-
Perché in caso contrario non lo nasconderesti. Non sei
soltanto furiosa con
tutti. Tu hai cancellato i nostri ricordi perché hai paura
di qualcosa.
-
Lilith... qui non si tratta di paura. Si tratta di...
-
Di cosa? Di ferire le persone che ami? Ci stai riuscendo. Regina
già dubita di
essere in grado di proteggere la città, tuo padre si sente
inutile, persino i
nani ce l’hanno con lui, il tuo adorato pirata gira in tondo
senza trovare
risposte... e tuo figlio non fa che pensare a dove sia finita sua
madre. Non fa
che chiedersi se sua madre sia ancora lì da qualche parte.
Ora
Emma le parve furente. Sollevò una mano e Lily si
sentì soffocare. Si portò una
mano alla gola e rantolò, mentre macchie colorate iniziavano
a lampeggiare lungo
i bordi del suo campo visivo.
-
Io sto cercando di proteggerti! – gridò Emma,
costringendola a piegarsi sulle
ginocchia. Il suo sguardo era acceso di furia. – Ma tu non
riesci a capire...
non hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che
cosa io stia
facendo! E quando gli altri ce l’avranno... si renderanno
conto da soli che
sarebbe stato meglio non sapere!
“Non
importa cosa faccio, tanto
ogni decisione che prendo mi sembra giusta, ma è sbagliata.
Io ricordo la
ragazzina che mi disse questo. Ricordo quanto era disperata,
perché non
riusciva a fare niente di buono, per quanto si sforzasse. Ricordo
quella
ragazzina mentre mi supplicava di aiutarla alla fermata
dell’autobus... perché
io rendevo la sua vita più luminosa”.
La
presa sulla sua gola si allentò e Lily annaspò in
cerca d’aria. Appoggiò le
mani sul prato, respirando con affanno.
Poi
i suoi occhi si riempirono di fuoco.
Emma
guardò l’enorme drago spalancare le ali, pronto a
spiccare il volo. Un lieve
sorriso le increspò le labbra. La creatura ruggì,
imbestialita e si precipitò
contro di lei, ma Emma scomparve in una nuvola magica e riapparve in
groppa a
Lily. Il corpo robusto si irrigidì per la sorpresa.
Sguinzagliò la coda, che
urtò il maggiolino giallo. L’auto rimase in bilico
per qualche istante su due
ruote e poi si ribaltò su un fianco.
-
Lily... questo non è divertente. Sai da quanto tempo ho
quella macchina? –
domandò Emma, serrando le gambe sui fianchi del drago e
percependo l’elevata
temperatura della pelle, protetta dalle dure scaglie nere.
Lily non approvò.
Affatto. Lanciò uno strepito
e piegò il collo per guardarla. I suoi grandi occhi avevano
assunto una
colorazione arancione, come il fuoco che sputava. Scosse la sua
possente mole,
sgroppò e si levò sulle zampe posteriori per
scrollarsi Emma di dosso, ma
l’Oscura rimase saldamente ancorata alla sua groppa.
Infine
il drago prese una breve rincorsa e, appoggiando una delle zampe sul
maggiolino, si spinse verso l’alto, aprendo le ali e
spiccando il volo.
Uncino
adocchiò la creatura alata sorvolare i cieli e
notò subito che c’era qualcosa
di strano.
Ben
sapendo che mamma drago si trovava dentro la centrale di polizia con
Regina e
gli altri, capì che quello era il suo cucciolo e che il
cucciolo era anche
molto arrabbiato. Planava verso la città per poi
risollevarsi in volo.
Disegnava ampi cerchi in aria e scuoteva la testa di qua e di
là, come se
qualcosa lo stesse infastidendo. Si avvitò, tracciando
spirali immaginarie e
così lui vide che c’era qualcuno sulla sua groppa.
La figura che cavalcava il
drago vestiva di nero ed era decisamente umana. Precipitò
quando il suo
destriero personale si capovolse, ma disparve grazie alla magia.
-
Emma! – esclamò, esterrefatto.
Regina
uscì dalla centrale, seguita da Malefica e da Neve. Erano
tutti con i nasi
all’insù. Il drago si dirigeva verso i boschi
fuori città.
-
Lily – disse Malefica.
-
Che diavolo sta facendo? – domandò Regina.
-
Non lo so, ma c’è Emma con lei. –
rispose Uncino. - E qualsiasi cosa sia, non è
nulla di buono.
____________________
Angolo
autrice:
Bene,
salve! Grazie per essere arrivati fino a qui anche stavolta.
L’unica
precisazione che devo fare riguarda Knubbin. Come già
spiegato in precedenza,
il mago compare nel libro di Wendy Toliver, Red’s
Untold Tale. L’informazione inerente al fatto che
lui è il creatore del
mantello rosso di Ruby viene dal libro. Prima di aiutare Granny con il
mantello, aveva aiutato anche Anita, la madre di Ruby, citata durante
il suo
dialogo con Emma nelle prigioni. Il ciondolo di cui si parla nel
capitolo è
appartenuto ad Anita ed è poi passato alla stessa Ruby.
Anche queste sono cose
che vengono spiegate nel romanzo.
|
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Capitolo 8 *** 8. ***
8
“Un
universo di orrore e smarrimento circonda
un palcoscenico illuminato,
sul quale noi mortali danziamo per sfidare le
tenebre”
[Stephen
King]
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
Non
era una stupida. Sapeva benissimo che se Artù
l’aveva sistemata in un’altra ala
del castello non era perché era a corto di stanze.
Semplicemente lui, la sua
mogliettina e, di certo, anche quegli idioti dei genitori di Emma
pensavano
fosse meglio separare la ragazza che aveva dato fuoco a Percival dalla
nuova
Signora Oscura. Artù ancora non era consapevole che
l’Oscura era tra loro, ma
aveva intuito quanto lei, figlia di una donna in grado di trasformarsi
in
drago, fosse pericolosa e incontrollabile.
Ed
era vero. Era entrambe le cose. Pericolosa, soprattutto.
“So
abbastanza. Quelle come te... come
noi... non possono essere Salvatrici. È come sperare che
Biancaneve sia davvero
la ragazzina che parla con gli uccellini”.
Forse
era vero anche che l’oscurità di Emma avrebbe
potuto influenzarla
negativamente. Forse era vero che avrebbe dovuto starle lontana per
evitare
guai. Ma non si trattava di una persona qualsiasi. Si trattava di Emma.
Di
sicuro, chi pensava che Lily rimanesse sveglia buona parte della notte
perché
tormentata dall’immagine dell’uomo che aveva
ucciso, si sbagliava di grosso.
-
Posso aiutarti a dormire con un incantesimo, se ne hai bisogno
– le aveva detto
sua madre.
-
Non mi serve. Sto bene. – Era stata una risposta brusca e se
ne rendeva conto. –
O credi che io sia continuamente tormentata da un uomo che brucia?
Anche
quella sera scivolò insensibilmente nel sonno. Si
addormentò di botto,
riposando su un fianco nello spazioso letto con le coperte color
porpora come i
mantelli del re e dei suoi cavalieri.
E
quando riaprì gli occhi era da tutt’altra parte.
Era in una stanza buia. Non
avrebbe saputo dire in quale parte del castello; sembrava un piccolo
salotto. I
contorni delle cose erano pochi chiari, sfuggivano. Dalle porte
lasciate aperte
entrava la luce delle fiaccole accese nei corridoi ed era una luce
tremolante,
malaticcia. Davanti a lei, dentro una scatola di legno, c’era
il pugnale dell’Oscuro,
con il nome di Emma inciso sulla lama ondulata. Era lì da
sola e Dio solo
immaginava il perché e stava guardando l’arma che
serviva per controllare la
creatura che tutti temevano più dei loro stessi incubi,
più di quanto lei
temesse l’oscurità che albergava nel suo corpo.
Lily ne avvertiva il potere. Un’intensa
forza di attrazione che allungava le braccia per acciuffarla. Le
lettere che
formavano il nome Emma Swan parevano
ingigantirsi dinanzi ai suoi occhi e poi rimpicciolirsi, le sembravano
lettere
sfocate e, se batteva le palpebre per metterle a fuoco, aveva
l’impressione che
fossero vive, che si muovessero. Inoltre... non era solo la forza di
attrazione
che sentiva, ma anche un senso di oppressione, come se avesse un peso
sul
petto.
Emma
Swan.
Non
riusciva a smettere di guardare le lettere impresse sul pugnale.
Emma
Swan.
Il
nome mutò. Si deformò. Si confuse.
Alla
fine non ci fu più il nome di Emma sulla lama.
Lilith
Page.
Sgranò
gli occhi, premendosi le nocche sulle labbra. Il terrore.
L’orrore. Lily li
avvertiva crescere dentro di sé, fino a che il suo stesso
cuore sarebbe
scoppiato sotto quella implacabile stretta.
E
c’era una voce. Qualcuno la chiamava.
C’era
il peso sul petto e c’era la voce. La voce del pugnale...
La
voce...
-
Lily. – Era sua madre e sembrava allarmata. – Lily,
svegliati.
Aprì
gli occhi e si trovò a fissare quelli grandi e celesti di
Malefica. Si alzò di
scatto, mandando un gemito di sorpresa.
-
Va tutto bene, Lily – disse sua madre, allungando gentilmente
una mano per
appoggiargliela sulla testa. – Stavi sognando... parlavi del
sonno, ma non
capivo che cosa stessi dicendo.
Rimase
immobile, in attesa che la realtà, quella
realtà, la riprendesse fino in fondo.
Solo
un sogno. Un incubo e niente di più. Per quanto fosse reale
e terribile, era
stato solo un incubo.
-
Non so... – mormorò, schiarendosi la voce.
Guardò fuori dalla finestra e si
accorse che il sole era appena sorto. –
Ma che cosa ci fai qui?
-
Una guardia davanti ad una porta non è certo un problema,
per me. – disse
Malefica.
-
Che cosa gli è successo?
-
Dorme. Quello che dovresti fare anche tu. È molto presto.
– Sua madre
continuava a passarle le dita tra i capelli.
Lily
si sentì confortata da quella carezza e posò la
fronte contro la spalla di Malefica.
Si sentiva anche leggermente a disagio. Non era abituata a ricevere
affetto da
una persona, tantomeno ad essere rassicurata da qualcuno che conosceva
appena. Aveva
avuto una madre, una madre adottiva. Da piccola quella donna
l’aveva
abbracciata spesso e anche suo padre, ma non si era mai sentita al
posto
giusto. Forse quelle due persone l’amavano davvero, ma per
quanto lei si
sforzasse, non era in grado di accettare i loro gesti
d’affetto. Li percepiva
come... sbagliati. Lei era sbagliata e lo era anche la vita che stava
vivendo. Quella
non era la sua famiglia, non era il suo posto. Non desiderava quegli
abbracci.
E allora stringeva il suo ciondolo, pensando alla madre che non aveva
mai
conosciuto.
Dopo
un momento Lily si tirò indietro. - Da quanto tempo sei
nella mia stanza?
-
Da un po’. – rispose Malefica.
Aggrottò
le sopracciglia e piegò leggermente la testa in un cenno
dubbioso.
-
Vuoi che me ne vada? – chiese sua madre.
-
No... è solo che... non mi aspettavo di trovarti qui.
-
Sai, mi dispiace... volevo solo guardarti mentre dormivi. Non... non
l’ho mai
fatto. Una delle tante cose che mi sono persa. – Non
c’era traccia di rabbia
sul suo viso. Solo rammarico e una lieve forma di tristezza che rendeva
più
dolci i suoi lineamenti.
Lily
non rispose, perché se avesse risposto sarebbero uscite cose
poco gradevoli
dalla sua bocca. Certo che te le sei
perse. La mia vita era un casino, lo è ancora e tu te le sei
perse perché
qualcuno ha deciso di proteggere Emma maledicendo un’altra
bambina! Te le sei
perse, perché quei due erano convinti che così
facendo l’avrebbero salvata e
adesso, invece, guarda! L’oscurità è
tornata e se l’è presa. Emma sta male,
deve lottare ogni giorno contro l’essere che la possiede e
chi dice che non è
colpa loro?
“Lo
senti? Che suono dolce. Che
suono strano! Diamo un’occhiata. Ti va?”
Le
andava. Le andava di dare
un’occhiata. Le andava di seguire i bisbigli, i sussurri. Il
richiamo. Seguirlo
era una vera coercizione. Era più forte di tutto. Di
qualsiasi altra cosa.
Era
stato facile trovarlo. Riposava
in una scatola di legno. Il pugnale.
“Ecco
da dove viene! Il tuo
pugnale!”. La voce di Tremotino era sgradevole. Il suo
sorriso era largo e
soddisfatto, infido e malizioso. “E dato che Regina
l’ha lasciato in questa stanza...
direi che chi lo trova se lo tiene”.
Emma
allungò una mano, ma una magia
protettiva la respinse.
“Oh,
c’è un incantesimo su di esso!
Non è niente per te. Infrangilo”.
“Non
posso”.
“Sta
chiamando... la sua metà”.
“Lasciami
sola”.
“I
tuoi amici non possono
proteggerti”.
“Smettila”.
“Tu
sei la Salvatrice. Salvati!”.
“Esci
dalla mia testa!”. Aveva
diretto il suo potere contro la proiezione di Tremotino, che ovviamente
era
svanito, emettendo una risatina folle. Per poco l’onda magica
non aveva colpito
Uncino...
Aveva
passato la notte ad intagliare rametti di salice per fabbricare
acchiappasogni.
Il cerchio esterno, che rappresentava il ciclo della vita e
l’universo. La rete
interna, che serviva per intercettare i sogni e dirigerli, se buoni,
verso il
filo di perle simboleggiante la natura... se dannosi, verso le piume
d’uccello,
perché volassero via.
Avrebbe
voluto fare lo stesso con le voci. Scacciarle. Come i brutti sogni. Ma
le voci
la circondavano. Le voci la opprimevano. Erano nella sua testa e
sussurravano.
Tremotino, o l’oscurità che ne assumeva le
sembianze, appariva ogni giorno un
po’ più a lungo, le parlava e le sue parole erano
sempre più persuasive ed
insinuanti... sempre più debole era la sua forza di
volontà. Le voci le
avvelenavano il sangue. Si insinuavano sotto la pelle e si addensavano
intorno
al suo cuore. Presto le ombre sarebbero state troppe dense. Per quanto
lottasse, le venivano meno le energie.
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
Ma
la stava già consumando.
Emma
giaceva, spossata e con gli occhi appannati, su una panca, nella stessa
stanza
in cui aveva ritrovato il pugnale.
-
Cosa le è successo? – domandò Neve.
L’oscurità
mi consuma, mamma. Non
lo vedi?
-
Non ne ho idea – rispose il pirata, con un tono afflitto.
– Non ha detto una
parola.
Emma
osservava le persone intorno a lei. I colori sembravano più
intensi. Sì, ne era
sicura. L’azzurro degli occhi di Uncino era molto
più azzurro. Il vestito rosso
di Regina era molto più rosso. La giubba di Henry pareva
più... sgargiante. E
Lily... Lily aveva qualcosa intorno a sé. Come
un’aura. Un’aura scura come le
ombre che si assiepavano dentro di lei.
-
È tua... – sussurrò Tremotino. Si era
accomodato sulla panca, vicino ai suoi
piedi. – Quell’aura è tua. È
il tuo potenziale. Ma che ce ne facciamo quando
abbiamo tutto questo, mia cara?
Emma
non rispose.
-
Oh, suvvia, non fare quella faccia! – esclamò lui.
E rise, come se tutto ciò lo
divertisse un mondo e non vedesse l’ora di continuare.
– Regina si sta già
scervellando per trovare un altro posto in cui nascondere il pugnale.
Lo sa che
eri qui per il pugnale. Insomma, non è stupida!
L’ha allenata il migliore. Se
mi avessi dato retta non saresti in questa situazione!
-
È... quella cosa, no? – disse Lily. – La
sta distruggendo.
-
Sì – disse David. Era entrato nella stanza senza
che nessuno se ne fosse
accorto. – Sta peggiorando.
-
David! – esclamò Neve. –
Dov’eri finito? Ti ho cercato per tutto il castello!
-
Con Artù. Ho scoperto che conosce un modo per aiutare Emma.
– Parlava a voce
bassa, per non disturbarla, ma era concitato. Esaltato, persino.
-
Non possiamo, David. Ascoltami...
-
Se gli diamo il pugnale...
-
No, David. Non possiamo fidarci di Artù. – Neve,
invece, non era affatto
esaltata. Era preoccupata. Tesa. Lo era stata dalla fine della
cerimonia di
investitura del marito.
-
Cosa? Chi ti ha detto questo?
-
Lancillotto.
David
non credeva alle sue orecchie. – Lancillotto?
Regina
non aveva idea di che cosa diavolo stesse capitando. Ma di una cosa era
certa:
non c’era nessuno al comando, lì. Non si faceva
alcun progresso. La stanza era
gremita di gente che si aggirava senza uno scopo. Persino lei si
sentiva
inutile. Inutile davanti alla debolezza di Emma. Mai e poi mai le era
successo
di vedere la Salvatrice così fragile. Mai le era sembrata
più distante da loro.
Mai le era sembrata così assillata e schiacciata dal suo
destino. Regina aveva
un groppo alla gola ed era un groppo che non voleva saperne di
sciogliersi. Più
guardava Emma e più quel groppo si faceva stretto e
intollerabile. Era stata
presa dall’assurdo impulso di prendere una coperta e gettarla
sopra Emma,
sebbene il freddo non fosse certo un problema per l’Oscuro.
Era stata afferrata
con forza dal desiderio di appoggiarle una mano sulla fronte, di
toccarla per
accertarsi che il suo corpo emanasse ancora calore, di appoggiare
quella stessa
mano sul suo petto e udire i battiti del cuore.
-
Ehi! – intervenne, alla fine, fermando la discussione degli
Azzurri. – Non di
fronte ad Emma! Visto lo stato in cui si trova, qualsiasi cosa potrebbe
farla
esplodere.
David
e Neve tacquero, vagamente imbarazzati.
-
Deve riposare. In un posto tranquillo e lontana da occhi indiscreti.
– osservò.
-
E dove? Ci sono occhi ovunque qui – disse Lily. Anche lei non
staccava gli
occhi di Emma, per quanto stesse parlando agli altri.
-
Conosco il posto giusto. – disse Henry, con un sorriso.
-
Potremmo portarcela io e il ragazzo. - disse Uncino.
Emma
non sembrava nemmeno in grado di sollevare la testa.
-
Non possiamo portarla fuori. Guardate come sta! –
esclamò Lily, indicandola. – Non
si potrebbe... stare di guardia davanti alla porta? Oppure qualcuno
potrebbe tenere
Artù impegnato.
-
Non è sufficiente. – rispose Regina, cercando di
non lasciarsi irritare di
nuovo dal tono dell’amica di Emma. - Se resta qui, chiunque
potrebbe accorgersi
che qualcosa non va. Non possiamo tenere lontane le guardie o i
cavalieri molto
a lungo. Meglio portarla in un altro posto.
-
Forza, tesoro. È ora di salpare. – disse Uncino,
aiutandola ad alzarsi, con
gentilezza.
-
Potrei venire con voi. – osservò Lily.
Emma
le rivolse un sorriso stanco.
-
Forse... è meglio che non siate in troppi a lasciare il
castello con Emma. –
replicò Biancaneve. – Regina ha ragione...
dobbiamo essere il più discreti
possibile. Tutti quanti. Artù non deve sospettare niente.
David
sembrò sul punto di dire qualcosa, ma alla fine non lo fece.
Lily
levò gli occhi al cielo e uscì. Un attimo dopo se
ne andarono anche Henry, Emma
ed Uncino. Regina si assicurò che le porte fossero ben
chiuse.
-
Quella ragazza non è stupida. Sa che cosa state facendo.
– disse agli Azzurri,
subito dopo.
-
Stiamo cercando di proteggere Emma. – ribatté
Neve, scura in volto.
-
Tenendola lontana da Lily?
-
Lo facciamo per il suo bene.
-
Per il bene di chi?
Biancaneve
sospirò. Non aveva la minima voglia di affrontare
quell’argomento ed era
evidente. – Se ci pensi bene, di entrambe. Ma noi dobbiamo
pensare a nostra
figlia. Lily ha dentro di sé il potenziale oscuro di Emma.
-
Non possiamo sapere come funzionano le cose adesso che Emma
è... ciò che è.
-
Regina, potrebbero influenzarsi a vicenda. So che Lily è
un’amica di Emma, ma
in questo momento nostra figlia non è nelle condizioni per
sopportare la
vicinanza con un altro tipo di... oscurità. Che le
apparteneva, tra l’altro.
-
Beh, siete stati voi a maledirla.
-
Credi che non me lo ricordi? – Neve stava per perdere la
pazienza. I suoi occhi
verdi parevano invitare Regina alla cautela.
-
A volte credo di no. E sei stata tu a proporre Lily quando si trattava
di
attivare quella bacchetta.
-
So benissimo quello che ho fatto! – gridò Neve.
– Me lo ricordo tutte le volte
che guardo quella ragazza! L’ho separata da sua madre e so
che cosa significa,
perché l’ho provato sulla mia pelle! Avevo
promesso che gliel’avrei riportata e
invece...
-
Non c’è bisogno di urlare! – le fece
notare Regina.
-
E chi sta urlando?! – urlò di rimando Biancaneve.
Tutti
ammutolirono.
Neve
serrò le palpebre per qualche momento.
-
Sentite. – riprese Regina, massaggiandosi una tempia.
– Quella ragazza non
starà lontana da Emma. Non potete evitarlo. E per quanto la
giudichi irritante,
so anche che Emma tiene molto a lei. È... il destino.
“Ti
ho vista, in cima a quella
scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si
gode il
momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come
una
Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma”. In
realtà pensava fosse molto più che irritante. Era
aggressiva ed emotivamente
instabile. E Regina era anche convinta che la situazione di Emma la
rendesse
ancora più incontrollabile. Era così che Lily
manifestava la sua ansia, la sua paura.
Diventando aggressiva. Non conosceva altri modi e il filo rosso che la
univa ad
Emma faceva sembrare tutto molto più difficile. Di certo la
ragazza temeva quel
legame. Al tempo stesso era come se lo bramasse, come se volesse
sentirlo più
intensamente.
Forse
era meglio non specificare queste cose ai genitori di Emma.
-
Il destino? – chiese David.
-
Il destino le ha unite. – Regina si chiedeva se il pastore
fosse duro di
comprendonio o solo troppo preoccupato per la figlia per vedere le cose
con
chiarezza. - E credo che le spinga a stare insieme, qualunque cosa
facciano.
Gli
Azzurri piombarono in un silenzio accigliato e non replicarono. Non a
quell’ultima esternazione.
-
Forse è meglio concentrarsi su quello che è
capitato qui – disse David,
riscuotendosi.
-
Già. Perché qualunque cosa le sia successa... di
certo era qui per il pugnale.
– Regina si fece pensierosa, mentre ricordava
l’espressione di Emma. Sembrava
quella di chi aveva battagliato a lungo con qualcuno estremamente
potente. Quel
qualcuno l’aveva spinta in quella stanza. Verso il pugnale.
Certamente
l’oggetto chiamava il suo proprietario e
l’oscurità che aleggiava nell’animo di
Emma la spingeva a riprenderselo. – Meglio spostarlo in un
posto più sicuro.
-
No, aspetta! Artù ha detto che può usarlo per
aiutare Emma. – disse Azzurro, di
nuovo molto concitato.
-
Così ti ho appena detto? Non lo daremo ad Artù.
– preciso Neve, seccata. –
Secondo Lancillotto non possiamo fidarci di lui.
-
E Cora ci aveva detto che Lancillotto era morto. Non puoi credere a
tutto ciò
che senti.
-
Non ti fidi proprio di Lancillotto, vero? Ci ha sposati. È
nostro amico!
David
cercava di non lasciarsi irritare dal tono testardo di sua moglie, che
parlava
quasi come se stesse lanciando accuse a lui e non solo al re di
Camelot. -
Questo è successo molto tempo fa. Dov’è
stato tutto questo tempo?
-
Non me l’ha detto!
-
E perché si presenta qui soltanto adesso?
Vedo
che questa testa vuota non è
poi così vuota. Sta facendo le domande giuste, pensò
Regina, osservando i due coniugi sempre più indaffarati a
far valere le
rispettive opinioni. Solo che la ricomparsa del cavaliere di
Artù e le sue
illazioni contro il re non la facevano stare tranquilla. Non aveva
percepito
niente di anomalo in Artù, ma era anche vero che non si era
soffermata più di
tanto su di lui, fino a quel momento. Si era dimostrato gentile, non
aveva
smesso di fidarsi di lei quando aveva saputo che era... era stata la
Regina
Cattiva. Aveva aiutato Azzurro a recuperare la Corona Scarlatta, anche
se in
seguito il fungo era andato perduto. Aveva buttato in prigione il mago
che
aveva incantato la spada di Percival e il ciondolo.
-
Beh, perché non è il benvenuto a Camelot!
– stava dicendo Neve, sempre più
infervorata.
-
Lo credo bene! Voleva la moglie di Artù. Ed ora è
tornato. Perché?
Oh,
già, quella storia, ricordò
Regina. Aveva udito un sacco di cose, a riguardo. Un sacco di versioni
diverse
erano state raccontate nell’altro mondo.
Stavolta
Biancaneve perse il controllo e urlò davvero.
Urlò così forte che a Regina
aumentò il mal di testa. – Non lo so, David! Io
non so tutto!
Calò
il silenzio. Regina osservava la scena con le braccia conserte, in
attesa che
la discussione terminasse.
-
Regina, ti dispiacerebbe lasciarci soli qualche minuto? –
chiese Neve,
recuperando un po’ di contegno.
Profondamente
seccata, Regina disparve in una nuvola viola.
***
Storybrooke.
Oggi.
Il
volo del drago con in groppa il suo oscuro cavaliere era terminato nei
boschi
di Storybrooke, quando Lily era atterrata malamente in uno spazio
aperto tra
gli alberi. Sbalzata dalla schiena della creatura, Emma si era
volatilizzata
per poi riapparire comodamente appoggiata ad un tronco. Sorrideva,
estasiata.
Per
la prima volta da quando era diventata la Signora Oscura, sentiva di
aver fatto
una cosa giusta, una cosa che le era piaciuta davvero, per quanto Lily
non la
pensasse affatto così e lo vedeva dal modo in cui i suoi
occhi la fissavano,
accesi come braci. Emma si era sentita potente, ma quello era diverso
rispetto
al potere che percepiva di solito;
si
era sentita... stranamente completa come non era stata più o
non ricordava di
essersi sentita, da quando la sua natura era cambiata.
La
sua famiglia stava arrivando. Doveva andarsene.
-
Non prendertela, Lily. Ammetterai che è stato esaltante.
– disse Emma. Si
avvicinò al drago e allungò una mano,
posandogliela sulla testa. La creatura
non si mosse, ma seguitò a incenerirla con lo sguardo.
Poi
Emma si dileguò.
Poco
dopo, alla centrale di polizia, Malefica porse la tisana a Lily.
-
Non la voglio. – rispose lei, quasi sua madre le avesse
appena offerto una
manciata di scarafaggi.
-
È solo una tisana. – rispose Malefica.
-
Beh, non mi servono tisane. L’Oscura mi ha appena usata come
destriero
personale!
Uncino
si passò una mano sulla fronte. Era confuso. Non riusciva a
raccapezzarsi.
Prima Emma minacciava tutti quanti. Poi lo invitava sulla barca, salvo
poi
prendersi la sua spada e andarsene di nuovo, dicendogli... cosa aveva
detto? La nave è tua. Ed
ora questo. Ora Swan
si metteva a cavalcare draghi. – Quindi, se non ho capito
male, Emma ti ha
detto che tu non hai fallito... e che sta facendo tutto questo per
proteggerti.
-
Il problema è: da che cosa? – domandò
Regina. Se ne stava appoggiata alla
scrivania, con le braccia conserte. E guardava Lily, aspettandosi
qualcos’altro.
“Ma
tu non riesci a capire... non
hai idea di che cosa sia la verità! Non hai idea di che cosa
io stia facendo! E
quando gli altri ce l’avranno... si renderanno conto da soli
che sarebbe stato
meglio non sapere!”
-
È tutto quello che mi ha detto, okay?
-
Questo l’hai detto anche l’ultima volta.
– le ricordò Regina.
-
Non c’è nient’altro. – Lily
afferrò la tisana e ne bevve un sorso. Fece una
smorfia. – Non avete qualcosa di più forte?
Uncino
estrasse una fiaschetta di rum dalla tasca della giacca di pelle.
Malefica gli
riservò un’occhiataccia.
-
Questo è per me, non preoccupatevi, signora. –
disse il pirata.
-
Magari anche tu avrai qualcosa di più forte... se ci dirai
tutta la verità –
continuò Regina.
-
Ve l’ho detta! Fidatevi.
-
No! Non ci fidiamo. – Regina si alzò di scatto,
protendendosi minacciosamente
verso Lily. – Perché dovremmo farlo?
-
Regina... – iniziò Malefica.
-
Che cos’è che non ti va? –
domandò Lily, alzandosi a sua volta. –
È sapere di
aver fallito che non ti va? È sapere di non essere la
Salvatrice che desideravi
essere che non ti va? È sapere... che qualcuno ha preso una
decisione sensata e
che qualcuno non sei tu?
Regina
aveva l’impressione che il sangue le fosse appena schizzato
al cervello. – Non
puoi nemmeno credere a tutto quello che ti dice Emma. O pensi che
l’Oscuro non
sappia ingannarti, se vuole qualcosa da te?
-
Io conosco Emma. Può anche essere l’Oscuro, ma in
quel momento era sincera.
-
E allora occorre stabilire che cosa intenda Emma con giusto o
sbagliato. Forse
quello che hai fatto tu è giusto per l’Oscuro, ma
non per gli altri. – La sua
voce suonava rabbiosa e prepotente.
-
Emma è furiosa con te e lo vedi anche tu. È
furiosa con tutti voi. Non credo che
l’abbiate mai vista così furiosa...
Regina
allungò una mano verso Lily. Una mano che sembrava un
artiglio, pronta ad
afferrare la ragazza per i capelli o per la gola.
Malefica
mise una mano sul petto di Regina per trattenerla. Ormai lei e Lily
erano molto
vicine. – Basta così.
Regina
chiuse gli occhi, in un disperato tentativo di mantenere il controllo.
Poi
si udì un frastuono di vetro infranto. La tazza che
conteneva la tisana era
esplosa. Il pavimento si riempì di schegge acuminate. Un
frammento aveva ferito
Lily sul palmo della mano. Nell’aria si diffuse
l’odore di quella brodaglia
alle erbe.
-
Fate attenzione, Maestà. – disse Uncino,
indietreggiando di un passo per
evitare alcuni frammenti.
-
Non sono stata io, Capitan Mascara! – ribatté
Regina.
Lily
osservava, incredula, il palmo sanguinante e, quando alzò
gli occhi, vide molte
facce concentrate su di lei. Azzurro teneva una mano sulla testa del
piccolo
Neal, che ora aveva cominciato a piangere tra le braccia di sua madre.
Agitava
i piccoli pugni e le gambe sotto la copertina. Neve era turbata e
guardinga. Regina
si guardò intorno, come se non credesse che quel potere
potesse venire da Lily,
ma in realtà l’aveva percepito benissimo. Era
stato un atto del tutto
involontario, eppure la magia le aveva fatto accapponare la pelle delle
braccia.
Malefica
intervenne, prendendo delicatamente il polso della figlia. –
Non è niente. Ci
penso io. Credo sia meglio rimandare questa discussione a un altro
momento.
Nessuno
si oppose quando Malefica invitò la figlia ad uscire da
lì. Lily non dimenticò
di regalare a Regina un’altra occhiata di fuoco. Uncino,
invece, le diede la
sua fiaschetta. La ragazza guardò la mano piena di anelli
del pirata, vagamente
perplessa, poi accettò l’offerta e
scolò buona parte del rum con un unico,
lungo e disinvolto sorso.
-
Ehi, tesoro, non ti ho detto che puoi finirlo! – disse Uncino.
Lily
inghiottì il rum e scosse il capo per schiarirsi le idee.
Gli restituì la
fiaschetta quasi vuota. – Ho bevuto cose peggiori.
Lui
sollevò un sopracciglio.
“Io
conosco Emma. Può anche essere
l’Oscuro, ma in quel momento era sincera”.
Regina
non riusciva a capacitarsi di avere appena avuto
quell’assurda discussione.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
“Puoi
farcela, mamma. Puoi essere
la Salvatrice”.
“Non
succederà”.
“Tu
non pensi che io possa
esserlo”.
“So
che non puoi”.
-
Non sapevo che il piccolo drago avesse dei poteri. –
commentò Uncino, una volta
che se ne furono andate.
-
Nemmeno io, ma non dovrebbe neppure sorprendermi, considerando che
è figlia di
Malefica... – osservò Regina, pensierosa.
-
Nel suo caso sembra più un dono... – disse
Biancaneve.
-
Non ho tempo di occuparmi di questo, ora. – sbottò
Regina. – Volendo, non ci
metterei molto a strapparle il cuore...
-
Regina! – la rimproverò Neve, scandalizzata.
-
Non ho detto che intendo farlo. – precisò.
“È
sapere di aver fallito che non
ti va? È sapere di non essere la Salvatrice che desideravi
essere che non ti
va? È sapere... che qualcuno ha preso una decisione sensata
e che qualcuno non
sei tu?”
No,
non intendeva farlo, naturalmente. Ma ne aveva avuto voglia. Oh, molta
voglia.
La
porta della centrale si aprì di nuovo e Belle si
catapultò dentro, portando con
sé la campana di vetro. – Meno male che siete
tutti qui.
-
Che succede ora? – chiese Regina.
-
Non so davvero come spiegarlo, è... –
Appoggiò la campana sulla scrivania.
Sotto di essa galleggiava la rosa rossa legata alla vita di Tremotino.
Risplendeva e non perdeva più i petali. Anzi, era una rosa
in procinto di
sbocciare.
-
Il Coccodrillo si è svegliato. –
commentò Uncino.
-
Sì, è l’unica cosa che so. –
rispose Belle. Aveva gli occhi un po’ cerchiati e
l’aria di chi aveva passato giorni e giorni a mangiare
ciò che capitava e solo
quando se ne ricordava. Due ciocche castane le spiovevano sul viso. -
Ma è
sparito.
-
Sparito? - chiese Regina.
-
Quando mi sono accorta che si stava svegliando, sono tornata subito da
lui. Ero
andata da Granny, mi ero allontanata solo un istante per prendere un
toast... –
La sua espressione era afflitta. Quasi si sentisse in colpa per averlo
lasciato
solo, sebbene si fosse trattato di pochi minuti. – E poi...
il letto era vuoto.
-
Si è alzato e se n’è andato, quindi?
– chiese Uncino, confuso.
-
Non credo che sia successo questo. Non poteva farcela da solo.
Insomma... non
si sarebbe mai allontanato così. – disse Belle.
-
Beh, non sappiamo mai che cosa aspettarci da lui.
-
Prima, forse. Ma adesso non è più
l’Oscuro.
-
L’oscurità è stata parte di lui per
centinaia di anni. Potrebbe averlo
cambiato, non credete, tesoro?
Belle
scosse il capo, risoluta. – Quello che conta è che
è scomparso.
Silenzio.
Tutti si scambiarono occhiate disorientate.
-
Potrebbe essere con Emma. – suggerì Belle.
-
Perché Emma dovrebbe avere bisogno di Tremotino? –
chiese Azzurro.
-
Non ne ho idea! – Belle si strinse nelle spalle. –
Perché ha lanciato questa
nuova maledizione? Perché ci ha portato via i ricordi?
Perché dice che abbiamo
sbagliato? Perché ha abbracciato
l’oscurità?
Perché
ha bisogno del piccone di un
nano?, continuò
Regina fra sé e sé. Perché
ha invitato Capitan Mascara sulla sua stupida barca e ha preso
la sua spada? Perché è convinta che Lily abbia
fatto la cosa giusta, mentre
noi...
-
Forse dovremmo cercarlo. – propose Azzurro. – O
dovremmo invocare Emma.
-
Non risponderà alle nostre domande, David. –
rispose Neve.
-
Beh, allora... proviamo a parlarne con Artù. Magari ci
aiuterà a cercare lei e
Tremotino. Sappiamo dove vive, adesso.
Artù
e la sua cricca erano sembrati fin troppo preoccupati a cercare una
soluzione
per tornare a casa. Ormai non avevano più nemmeno
l’unica cosa che avrebbe
potuto ricondurli a Camelot, ovvero il fagiolo magico.
-
Scusate se vi interrompo. Di solito le mie buone maniere me lo
impediscono,
ma...
Regina
si era totalmente dimenticata del mago rinchiuso nella cella. Credeva
che fosse
ancora troppo immerso nel mondo dei sogni. Adesso l’uomo li
fissava, con la
faccia infilata tra le sbarre. Il corvo se ne stava comodamente
appollaiato
sulla sua spalla ossuta, la testa incassata e gli occhi... anzi,
l’unico occhio
chiuso. Sonnecchiava.
-
Allora ricordatevi delle buone maniere e chiudete il becco, mago da
strapazzo.
– replicò Regina.
-
Se fossi dotato di un becco, magari lo chiuderei anche o potreste
chiudermelo
voi, sarebbe facile, no? – Knubbin ridacchiò,
divertito. – Ma del resto non ho
nessun becco. E non sono nemmeno un mago da strapazzo. Il mio nome
è Knubbin. Quello
che mi preme dirvi è che chiedere aiuto a quel re non
è una buona idea. È una
pessima idea. Un’idea terribile! Terribile come... fatemi
pensare... ecco,
terribile come soffocare i sogni di una persona. Oh, troppo pericoloso,
soffocare i sogni. Non lo farei mai. Beh, magari mai
è una parola un po’ troppo forte. Con la
magia... c’è sempre
una via attraverso il mai...
-
Che cosa sapete di Artù che noi non sappiamo? – lo
interruppe Neve, aggrottando
la fronte.
-
Molte cose. In realtà non le ho sapute ascoltando. Le ho
sapute da Heathcliff.
-
Chi diavolo è Heathcliff? – domandò
Regina.
-
Il mio corvo. – Lo indicò. Heathcliff socchiuse
l’occhio, scrutando i presenti.
– Perché sapete... quando il re è
venuto per quel suo servitore... si è
assicurato che io continuassi a dormire. Aveva una polvere con
sé. Una qualche
polvere magica. Oserei dire che era decisamente più forte
della polvere di
papavero.
-
Volete arrivare al dunque? - disse Regina, seccata da quel continuo
ciarlare a
vuoto.
-
Il dunque, ma certo! Veleno delle vipere di Agrabah.
-
Che cosa? – Le sovvenne il ricordo di tre bocche fameliche e
munite di zanne
acuminate che facevano capolino da dentro un contenitore. Il Genio
aveva
sollevato il coperchio e lei, allora moglie di Leopold e intenta a
recitare la
parte della donna segretamente innamorata di un altro uomo, aveva visto
i
temibili serpenti, le vipere di Agrabah, il cui veleno era in grado di
uccidere
chiunque. Ma cosa diavolo c’entrava Artù con
Agrabah?
-
Mi avete chiesto di arrivare al dunque, se non sbaglio. –
disse Knubbin. - Quell’uomo,
quello che avete messo nella cella qui di fianco...
-
Grif. – disse Azzurro. – Grif è sparito.
L’abbiamo cercato ovunque. Ha usato il
fagiolo magico per tornare a casa sua.
-
Griffo, o in qualunque modo si chiamasse, non è sparito.
– Knubbin si grattò la
testa. – Non nel modo che credete voi. Quel re
avrà anche pensato ad un modo
per impedire che io sentissi tutto, ma non ha pensato ad Heathcliff. Il
mio
corvo non si è perso una parola.
-
E da quando un corvo sa parlare? – domandò Uncino.
-
Il mio corvo parlava molto di più una volta. Era lui che
invitava chi mi
cercava ad andarsene via. Solo che era anche molto facile persuaderlo.
Bastava
dargli un biscotto.
Heathcliff
si appollaiò meglio sulla spalla del mago.
-
Io ed Heathcliff abbiamo... un legame speciale, per così
dire. – continuò
Knubbin, con una scintilla di furbizia negli occhi marroni. - Tutto
quello che
vede lui, lo posso vedere anch’io. Se lo voglio,
naturalmente. Un incantesimo
molto particolare. Molto utile, anche. Certo, se non fosse utile non
saremmo
qui a parlarne...
-
Vediamo se questo incantesimo è davvero così
utile, allora. – Regina si avvicinò
alle sbarre della cella.
-
Ovviamente. Non mi credereste se vi raccontassi quello a cui Heathcliff
ha
assistito. Bisogna... vedere per credere, ecco. Avete qualcosa... in
cui si
possa guardare? Uno specchio, un bacile pieno d’acqua, anche
un...
Regina
aprì la mano e sul suo palmo comparve un piccolo specchio da
borsa. Lo aprì,
mostrandolo al mago, che rimirò la sua immagine per qualche
momento.
-
Non pensavo di avere un aspetto così tremendo! Per tutti i
maghi, va contro il
buon costume. Avreste dovuto avvisarmi.
-
Non pensate al vostro aspetto. Non sarebbe migliore nemmeno se vi
faceste un
bagno di un’ora. – disse Regina. –
Sbrigatevi, maledizione!
Knubbin
agitò le dita sopra la testa del suo corvo.
L’occhio di Heathcliff adesso era
aperto e luccicava. Da esso fuoriuscirono due fasci di luce che
incontrarono lo
specchio e vi si insediarono. La magia vorticò per alcuni
istanti, poi
iniziarono a formarsi delle immagini...
“Maestà,
grazie al cielo siete qui. Non
capisco che cosa stia succedendo”, disse Grif,
approssimandosi alle sbarre
della sua cella, felice di rivedere Artù.“Ho fatto
solo ciò che mi avete
chiesto di fare. Ho preso gli oggetti per tenerli al sicuro. Ho detto
che forse
c’era un fagiolo, anche se noi due sappiamo bene che non
c’era nessun fagiolo.
Esattamente quello che avete ordinato. Adesso potete farmi
uscire?”
Artù
non aveva intenzione di farlo
uscire. I suoi occhi verdi possedevano una lucentezza strana, persino
inquietante. Parevano molto più vividi nel contrasto con i
capelli scuri e con
la luce che entrava dalla finestra.“Non ancora, Grif. Non
possiamo certo far
sapere agli altri che non c’è nessun fagiolo, ti
pare?”
“No,
certo che no, Maestà”.
“E
loro si fidano di me, adesso.
Perciò devo sfruttare questa fiducia per proteggere il mio
regno. Questa gente
può sembrare gentile, ma minaccia tutto ciò che
ci sta più a cuore”.
Grif
era sorpreso, ma anche
sinceramente impressionato da quelle parole. Pendeva dalle labbra del
suo re.
Artù
indicò una fotografia appesa
alla parete della centrale. In essa comparivano David ed Emma. Erano
entrambi appoggiati
all’auto dello sceriffo e lui teneva un braccio intorno alle
sue spalle.
Sorridevano. Sereni. “David è convinto che la sua
missione sia nobile. Ma sua
figlia... è l’Oscuro”.
Ora
Grif sembrava incredulo.
“E
l’amica di sua figlia... quella
Lilith...”
“Parlate
della mutaforma”.
“Sì,
Grif. La mutaforma. È un
pericolo per noi e per il regno. Esiste una profezia che la indica come
una
minaccia per Camelot”.
Grif
si morse il labbro.
“Ci hanno mentito.
Le hanno portate entrambe
nel nostro castello. È colpa loro se siamo stati strappati
da casa nostra, una
casa che dobbiamo rivendicare!”. Artù aveva
assunto un’espressione rabbiosa e
determinata.
“Ma come facciamo
a tornare a casa se non
abbiamo il fagiolo?”.
“Ho
paura che non potremo farlo,
Grif. Dovremo costruire una nuova Camelot qui, a Storybrooke”.
Grif
sorrise. Si illuminò,
rendendosi conto di quanto fosse grande e importante quel piano.
“E voi potete
fidarvi di me. Farei qualsiasi cosa per il mio regno”.
“So
che lo faresti. Così come lo
farei io. Per questo devo chiederti di bere questo”. Estrasse
una piccola
ampolla contenente un liquido di un verde intenso.
Grif
capì subito di cosa si
trattava e diventò paonazzo. “Veleno delle Vipere
di Agrabah. Ma perché? Non
direi mai niente a queste persone!”.
“Non
di tua spontanea volontà. Ma
hanno la magia dalla loro parte. Col tempo, potrebbero costringerti a
parlare”.
“Ci
deve essere un altro modo!”
“Vorrei
che ci fosse. Davvero, lo
vorrei. Ma non c’è. Mi hai detto che desideravi un
posto nella Tavola Rotonda,
una volta. Io ti sto offrendo qualcosa di molto più grande.
La possibilità di
morire per servire Camelot!”. La sua voce era molto
persuasiva. “La tua morte
costituirà le fondamenta della nuova Camelot. Se lo
berrai...”
Grif
era spaventatissimo. Ma era
chiaro che ammirava Artù con tutto se stesso. Lo ammirava al
punto tale da
credere ciecamente nelle sue parole.
Prese
l’ampolla. “Per Camelot”.
Ingurgitò
il veleno con un unico
sorso.
Heathcliff
sbatacchiò le ali e lanciò un gracchio
infastidito, per poi beccare Knubbin
sulla testa. Il mago agitò le mani freneticamente e
imprecò, costringendo il
corvo a levarsi in volo.
Regina
non badò a ciò che stava accadendo nella cella.
Osservò Grif crollare sul
pavimento della prigione, vittima del terribile veleno. Poi il suo
corpo svanì
in una densa nube verde.
Non
poteva credere a quello che aveva appena visto. Era pura follia. Aveva
l’impressione che tutto il mondo si fosse trasformato in un
gigantesco vortice
di assurdità. – Quel viscido...
-
Per mille diavoli... – disse Uncino.
-
Ci ha ingannati fin dal principio. – mormorò
David. Si sentì ancora più
stupido. Lui si era fidato di Artù. Lo aveva considerato un
degno alleato,
addirittura un amico. Invece era tutta una messa in scena. Il furto del
reliquiario era una messa in scena. Il fagiolo magico non era mai
esistito. Artù
temeva Emma e temeva anche Lily. Parlava di una profezia. Grif era suo
complice
e si era suicidato, spinto da quel re che serviva e che tanto amava.
Artù aveva
persuaso un uomo a bere il veleno delle vipere di Agrabah.
Il
veleno.
La
vera vipera di Agrabah era lo stesso Artù.
***
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
Regina
gettò indietro la testa e contemplò le gelide
stelle in un cielo sempre più
nero.
Degli
Azzurri nessuna notizia. Alla fine avevano trovato un accordo ed
elaborato un
piano. Un piano rischioso, ma era convinta che se la sarebbero cavata.
Tuttavia
l’attesa non le piaceva affatto. Aveva bisogno di qualcuno da
odiare. Da odiare
seriamente. Qualcuno su cui concentrare l’attenzione. O
sarebbe diventata
troppo nervosa.
Quanto
rimase così, con il viso rivolto al vento, non avrebbe
saputo dirlo, sebbene
non dovesse essere molto, in termini di secondi o minuti. Poi sul
balcone in
cui si trovava si allungò un’altra ombra.
-
Quei due si sono fatti vivi? – domandò Malefica,
affiancandola.
-
Non ancora.
“Non
ti sembra rischioso, questo
piano?”, aveva
chiesto Regina, quando Neve l’aveva messa al
corrente.
“Dobbiamo
capire di chi fidarci.
Non possiamo affidare il pugnale ad Artù, dopo quello che mi
ha detto
Lancillotto”, aveva
risposto lei, con sicurezza. Poi
aveva guardato Azzurro. “Ma David
ha
ragione. Ci sono cose che non so su Lancillotto. Era nostro amico, ma
è passato
molto tempo. Devo avere la certezza che sia sincero”.
“E
se mentissero entrambi? La
verità potrebbe stare nel mezzo”, aveva
osservato Regina.
“Allora
troveremo un’altra
soluzione. Potresti creare un finto pugnale con un incantesimo,
intanto?”
Aveva
creato una buona imitazione del pugnale dell’Oscuro, con il
nome di Emma
stampato sulla lama ondulata. Chissà quando si sarebbe
abituata a vedere quel
nome impresso su un oggetto simile. Dopo il ballo organizzato da
Artù, Regina
ci aveva messo un bel po’ per addormentarsi. E quando si era
addormentata aveva
sognato Percival, avvolto nel bozzolo di fiamme, che
l’accusava e la chiamava
angelo della morte. Aveva sognato anche il pugnale. Aveva sognato di
stringerlo
nella mano destra. Ma sulla lama non c’era più il
nome di Emma. C’era il suo.
Regina.
Così
come sarebbe potuto essere, del resto.
-
E tu perché sei qui? Sei preoccupata per loro? –
Da come sorrideva, sembrava
che Malefica la stesse prendendo in giro.
-
Non sono preoccupata. Tanto sono più resistenti di uno
scarafaggio. Quello che
mi rende nervosa è non sapere chi dovrei odiare.
-
Hai messo al sicuro il pugnale?
-
Certo, per chi mi prendi?
-
Per una persona molto coinvolta dagli eventi. Abbiamo a che fare con
l’Oscuro e
a giudicare da come stanno andando le cose... la Salvatrice sta
perdendo la
battaglia.
Regina
reagì seccamente. - Emma è forte.
Resisterà quanto basta.
-
Non era mia intenzione offenderti, Regina. È solo la
verità. Non so se esista
qualcuno abbastanza forte da resistere a quel potere. A
quell’oscurità.
Non
rispose. Non subito.
-
Io di certo non saprei come fare – disse Regina, dopo qualche
momento. – Sarei
incontrollabile.
Malefica
non parlò, ma il suo sguardo era comprensivo. I grandi occhi
celesti
risaltavano di più nel buio della sera, sottolineati dalle
lunghe ciglia. –
Forse è ora di distrarsi un po’, mentre aspettiamo
che quei due facciano almeno
una cosa giusta nella loro vita.
Quei
due. La
divertiva il modo in cui Malefica pronunciava quelle due parole.
Regina
sorrise. – E cosa avresti in mente?
-
Vediamo. Ti piace ancora cavalcare i draghi?
Lungo
il percorso fino al luogo in cui Malefica la stava conducendo, Regina
venne
invasa da un senso di appagamento, che le parve inspiegabile date le
circostanze e tuttavia era reale.
Era
di nuovo in sella ad un drago, per la prima volta dopo molti anni, in
volo a
grandi altezze e si sentiva benissimo, si sentiva viva e piena di
risorse,
pronta a tener testa a qualsiasi cosa e, al tempo stesso, carica di
meraviglia.
Tutto era simile ad un sogno, eppure non lo era affatto. Quella
splendida
sensazione sembrava venire da ogni dove. Il calore emanato dal corpo di
Malefica ne era parte. Il morso del vento, così tagliente da
intorpidire ogni
zona scoperta di pelle, ne era parte. La luce emanata dalla luna ne era
parte.
Poi
il drago planò, così all’improvviso che
Regina percepì un senso di vuoto nello
stomaco. Atterrò in una vasta radura circondata da abeti e
le diede il tempo di
smontare. Poi recuperò la sua forma umana.
-
Dove siamo? – domandò Regina.
-
Non riesci ad indovinarlo?
Le
stelle mandavano un chiarore debole, ma ci vedeva abbastanza.
L’erba della
radura era alta e secca, si piegava sotto il vento che le soffiava
liberamente
intorno, sollevandole i capelli neri. Ma l’aria era pura, era
più calda e aveva
qualcosa di... di diverso. C’era della magia, lì.
Magia che non aveva mai
provato prima d’ora. A pochi metri dal punto in cui si
trovavano c’era un lago.
Le acque calme erano visibili solo per un tratto, poiché
dopo tutto spariva in
una coltre di nebbia che era perfettamente liscia, perfettamente
bianca, densa
e impenetrabile, quasi fosse il manto di neve più leggero
del mondo. Regina
guardò in basso e scoprì che alcuni sbuffi di
quella nebbia giungevano fino a
loro. Non vedeva più tanto bene i suoi piedi.
L’effetto complessivo di quel
luogo era di desolazione, ma di una desolazione che pareva vibrare.
-
Questo è... – iniziò, colpita da
un’illuminazione.
-
Avalon. – concluse Malefica per lei, avanzando di qualche
passo e scrutando l’enorme
blocco candido che impediva di scorgere qualsiasi cosa. – O
meglio, le porte di
Avalon. Il lago di Inis Witrin e le nebbie magiche.
-
Ho sentito molte storie a riguardo. Questa magia...
-
È molto antica. – spiegò Malefica.
– Protegge l’Isola delle Fate dai visitatori
indesiderati. Nessuno, a parte le Sacerdotesse di Avalon, riesce ad
aprirsi un
varco in queste nebbie. Si esercitano per anni, fin da bambine, per
poter
domare questo incantesimo. Alcune di loro non ci riescono mai... altre
sì, se
sono abbastanza potenti. Ma possono aprire le nebbie solo per pochi
istanti.
-
E chi vi si inoltra senza una Sacerdotessa... non torna indietro.
-
Né raggiunge l’altra riva. Ma nessuno con almeno
un briciolo di buonsenso
farebbe una cosa simile.
Quando
Malefica pronunciò quelle parole, Regina venne attraversata
da un brivido.
Davanti al lago niente sembrava avere importanza. Contava di
più il vento,
tagliente e gelido. Eppure la sensazione di entusiasmo provata mentre
cavalcava
il drago persisteva.
-
Questo luogo ha un potere. – continuò Malefica.
– Qui, ma soprattutto
sull’Isola che non possiamo vedere. Non credo sia sempre un
potere di cui ci si
possa fidare. È troppo antico. Potrebbe essere molto
pericoloso. Ma è...
attraente, non trovi?
Regina
si mise ad osservarla. Portava sciolti i lunghi capelli color del
grano. La sua
pelle chiara aveva acquisito un certo pallore. Il morbido abito nero
con i
dettagli viola aveva un che di zingaresco, forse anche grazie alla
collana che
indossava, una collana fatta di grosse pietre nere, più
un’unica, grande pietra
azzurra a forma di lacrima.
-
Perché mi hai portata quaggiù? – chiese
Regina.
-
Perché pensavo ti andasse di passare un po’ di
tempo insieme, come ai vecchi
tempi. – Anche Malefica la stava fissando, ovviamente si
aspettava quella
domanda. – E poi... questo luogo mi piace. Mi rilassa.
Pensavo potesse piacere
anche a te.
Regina
sorrise. – Sì. Mi sento meglio di come mi sia mai
sentita da... un bel po’ di
tempo a questa parte. Lo so che sembra assurdo dire una cosa del genere
vista
la situazione in cui ci troviamo, ma è la verità.
Ripensò
ai giorni in cui fingeva di essere una Regina delle Tenebre, ovvero
quando
lavorava sotto copertura per scoprire il piano di Malefica e delle sue
due
tirapiedi. Anche allora aveva avvertito quell’entusiasmo,
quella vitalità. Per
quanto fosse anche enormemente preoccupata, dovendo fare attenzione a
tutto ciò
che faceva e diceva per evitare di essere scoperta e, al tempo steso,
dovendo
impegnarsi per scoprire che cosa stessero tramando, aveva provato una
sensazione di potere molto intensa. Energia. Forza. Soprattutto accanto
a
Malefica.
Regina
stava per aggiungere qualcos’altro, quando qualcosa la
costrinse a drizzare le
orecchie.
Non
erano sole. Una vaga presenza di mosse nell’atmosfera, la
urtò, sospingendola
in avanti. Lei allungò le mani, trovando quelle di Malefica
a sostenerla. Sentì
delle dita invisibili che toccavano il braccio e le spostavano i
capelli,
sfiorandole la nuca.
-
Che cosa diavolo succede? – domandò Regina.
-
Sono gli spiriti del lago. – rispose Malefica. Il suo tono
era assolutamente
calmo. – Sono parte della magia che protegge
l’Isola.
Vorticarono
intorno a loro per qualche momento, poi si dileguarono, in fretta
com’erano
apparsi.
-
Avvertono il nostro potere. – disse Malefica, continuando a
trattenerla. – Ma
non temere. Ti condurrebbero alla follia solo se ti inoltrassi nelle
nebbie
senza il consenso di una Sacerdotessa di Avalon.
-
Grazie per avermi avvisata!
Malefica
sorrise, divertita. Poi le scostò una ciocca di capelli, che
le era
maldestramente ricaduta sul viso.
Dopo
essersi assicurata insieme a suo marito che Lancillotto avesse ricevuto
ciò che
meritava, ovvero un posto nelle prigioni di Camelot, e dopo aver
aggiustato gli
Azzurri, Ginevra si sentiva molto più tranquilla. Avevano
fatto la cosa giusta.
Non c’era nient’altro che lei e Artù
potessero fare per proteggere il regno.
Era loro dovere occuparsene, del resto.
Si
rigirò tra le dita la rosa che aveva trovato lungo il
cammino e se la portò al
viso, annusandola, apprezzandone il profumo delicato.
“Ginevra,
possiamo rompere questo
incantesimo”.
Scacciò
la fastidiosa voce di quel traditore, dandosi della stupida per essersi
lasciata abbindolare dai suoi modi anni prima. L’unico uomo
che amava era Artù.
Non c’era nessun incantesimo. Lancillotto non
l’avrebbe più ingannata.
Stava
per rientrare nel castello, quando un’ombra enorme
oscurò il suo cammino,
costringendola a fermarsi. Udì uno sbattere d’ali
e, sollevando lo sguardo al
cielo punteggiato di stelle, vide un drago, che planava lentamente a
poca
distanza dalla dimora di Artù. Aveva qualcuno in groppa, ma
dalla sua posizione
Ginevra non riuscì a capire chi fosse.
Il
cuore le balzò in gola.
“Vedo
l’ombra infinita
approssimarsi a Camulodunum.
L’infante
figlio del drago porta
con sé una stella.
E
il suo destino s’intreccia con
l’altra metà di Caledfwlch”
Provò
un senso di gelido orrore,
come se non stesse ricordando solo le parole
dell’Apprendista, vergate sulla
carta ingiallita, ma come se qualcuno le avesse appena domandato che
effetto
facesse ingoiare una manciata di insetti vivi.
Affrettò
il passo.
____________________
Angolo
autrice:
Salve
lettori. ;)
Come
al solito, qualche piccola precisazione.
Nel
romanzo di Wendy Toliver, in cui compare Knubbin, non viene specificato
se il
corvo abbia qualche potere e un legame di qualche tipo con il padrone.
Quindi
questa connessione tra il mago e il corvo l’ho inventata io
di sana pianta.
Il
fiore che Ginevra ha raccolto nell’ultimo paragrafo
è quello che nella serie
viene chiamato “middlemist camelia” e che, in
realtà, se cercate delle
immagini, non è affatto una “middlemist
camelia”. Sono rose rosa. E basta.
|
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Capitolo 9 *** 9. ***
9
“Chi
combatte i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un
mostro.
Quando
guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso guarda
dentro di te”
[Friedrich
Nietzesche]
Camelot. Quattro settimane prima
della maledizione.
“Tu...”.
La voce del mago era
incrinata. Piena di rabbia e di dolore. Un dolore acutissimo.
“L’hai distrutta.
L’unica donna che io abbia mai amato...”
La
figura incappucciata e protetta
dalla maschera dorata non disse niente. I buchi che rappresentavano gli
occhi
lo scrutavano.
“Ed
ora... io distruggerò te”,
sentenziò Merlino. Alzò il pugnale sopra la
testa, pronto a colpirlo.
Il
pugnale scintillò, minaccioso.
Le
mani di Merlino lo stringeva
saldamente, eppure tremavano. Il tremito divenne più
incontrollabile. Il mago guardò
la maschera, sconvolto.
“Mio
Dio...”, mormorò. Infine
crollò sul prato, come schiacciato da una forza molto
più grande di lui.
La
figura si mosse ad una velocità
sorprendente, prese il pugnale, puntandolo alla gola del mago e lo
costrinse a
sollevare il capo. Alla luce della luna, il viso di Merlino era
sofferente. Una
lacrima scivolò sulla sua guancia.
“Mi
manca...”
L’Oscuro
usò la lama del pugnale
per raccogliere quell’unica goccia. L’arma
rilucette, violacea e vagamente
viva. Pregna di una nuova magia.
Poi
lo intrappolò. Merlino osservò
impotente le radici dell’albero cingere i suoi piedi, i
polpacci, le gambe, il
torso. L’albero crebbe, inglobandolo. Lui divenne parte del
suo tronco e dei
suoi rami, che si protesero verso il cielo nero e si riempirono di
foglie
verdi.
Emma
riemerse dalle memorie del mago che avrebbe potuto salvarla,
liberandola
dall’oscurità.
Gli
ultimi barbagli di quei ricordi brillarono nel cerchio di salice. Le
piume
d’uccello che decoravano l’acchiappasogni
ondeggiarono pigramente.
La
lacrima. Quell’unica, semplice lacrima.
E
il pugnale.
E
l’amore.
-Tutto
questo è assurdo. – commentò Lily.
Emma
aveva voluto che fosse presente. Lily aveva avuto la
possibilità di udire la
voce di Merlino ed il suo Apprendista aveva scagliato la maledizione
che
l’aveva influenzata per tutta la vita. Inoltre, le sembrava
semplicemente
giusto che fosse lì, con lei. Che vedesse ciò che
avrebbe permesso loro di
liberare Merlino.
-
Questi sono davvero i ricordi del mago più potente del
reame? – Era incredula.
– Mi stai dicendo che l’Oscuro è
riuscito ad intrappolarlo, anche se lui lo
controllava con il pugnale... perché era distratto
dall’amore per una donna?
-
Era umano. – sentenziò Emma, continuando a
scrutare la rete
dell’acchiappasogni, seriamente.
-
Era Merlino. Anzi, è.
– disse Lily,
rivolgendo un’occhiata all’albero. Le foglie,
spinte dalla brezza, danzavano e
vibravano. La lunga ombra proiettata dalla prigione di Merlino si
stagliava al
suolo e sembrava in attesa di qualcosa.
-
E quello era l’Oscuro.
-
Adesso che cosa dovremmo fare?
-
Semplice. – Emma mise via l’acchiappasogni. Le
ombre avevano reso gli occhi di
Emma duri e stranamente freddi. – Abbiamo bisogno di una
lacrima.
-
Siete sicuri che dare il pugnale ad Artù sia la soluzione
migliore per aiutare
Emma? – domandò Regina, facendosi largo tra i rami
bassi e i cespugli, verso il
luogo in cui aveva nascosto il pugnale. Stava ancora cercando di
riprendersi
dalla sorpresa. Quando era rientrata, dopo il suo... volo notturno con
Malefica, aveva trovato Robin con gli Azzurri, che a loro volta era
appena
tornati. Lancillotto era stato rinchiuso nelle segrete, dove meritava
di stare,
secondo loro e secondo Artù. Mentiva.
-
Ci fidiamo di lui. – rispose Neve, che la seguiva, un passo
più indietro.
-
Ciecamente. – ribadì Azzurro, come se ce ne fosse
bisogno.
-
Questi modi di dire li hai imparati alla scuola per pastori? - Dopo la
divergenza di opinioni che avevano avuto a riguardo, Regina si chiedeva
che
cosa fosse realmente successo mentre erano via. Non erano stati
molto... chiari
su come l’ex proprietario del Seggio Periglioso avesse
cercato di raggirarli
tutti. Doveva essere una cosa molto seria. Oppure avevano battuto la
testa. -
Come fate ad essere sicuri di potervi fidare?
-
Siamo bravi a giudicare le persone. – rispose Azzurro.
– E non faremmo mai
niente che possa nuocere ad Emma.
Nemmeno
io, per questo mi domando
se sia giusto dare il pugnale a quell’uomo, idiota, pensò
Regina. Le tornò alla mente l’immagine di Emma
sdraiata sulla panca,
schiacciata dall’oscurità, sofferente.
Era
insopportabile, quindi schiaffò un coperchio sopra quei
pensieri.
Il
tronco cavo in cui aveva nascosto il pugnale era davanti a lei. Era
coperto di
muschio, profondo e in una zona pressoché inesplorata del
bosco. Nessuno
passava mai da quelle parti, se ne era assicurata. Ed era circondato da
una
barriera magica che riconosceva solo la persona che aveva eseguito
l’incantesimo di protezione.
Estrasse
l’arma dell’Oscuro, avvolta in un panno. Neve tese
la mano per prenderlo.
Regina
si ritrasse. – Siete davvero convinti che affidare
l’unica cosa che possa
controllare vostra figlia ad Artù sia la soluzione migliore?
-
Sei forse dura di comprendonio? – disse Neve, in tono
sprezzante. La guardò
dritta negli occhi con aria accusatrice. – Dammi quel
pugnale...
Un
alone giallognolo avvolse sia lei che Azzurro, congelandoli
nell’atto di
scagliarsi contro di lei e prenderle il pugnale con la forza, se fosse
stato
necessario.
Emma
sostava a pochi metri da loro, una mano che ancora sfavillava.
-
Ma che fai? – disse Regina, sbigottita. – Ora non
ti fai problemi ad usare la
magia nera?
-
Non ho avuto scelta. Sono prigionieri di un incantesimo di
Artù. Vuole che
consegnino il pugnale a lui per ricomporre Excalibur. –
spiegò.
-
Ricomporre?
-
Una volta erano un’unica arma. Sono stati separati moltissimo
tempo fa.
-
Che succede se vengono riuniti?
-
La userà per uccidere Merlino. Inutile che ti dica quali
sarebbero le
conseguenze. – Emma era così risoluta che Regina
non poté fare a meno di
preoccuparsi. Excalibur? Excalibur parte del pugnale? Separati molto
tempo fa?
-
Come faccio a sapere che non è
l’oscurità dentro di te a parlare?
-
È vero. – Emma rispose senza esitare. –
Non abbiamo molto tempo. Artù li sta
aspettando.
Dal
folto della boscaglia emerse un’altra figura. Regina
sollevò una mano,
preparandosi a colpire, ma subito si accorse che era Lily.
L’amica di Emma
osservò gli Azzurri, ancora bloccati dalla magia.
-
Mi piacciono molto di più così. –
commentò, appoggiando la mano sull’elsa di
una spada, che spuntava dal fodero appeso alla cintura.
-
Che ci fai tu qui? Chi ti ha dato una spada? – chiese Regina,
sentendosi come
chi piomba giù dalle nuvole all’improvviso.
-
Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile. E la spada
gliel’ho data io. –
rispose Emma.
-
Ha bisogno di una spada?
-
Sì. – Lily le si rivolse usando un tono caustico.
– Considerando che non sono
ancora molto brava con... la magia e tutto il resto... direi di
sì.
-
Tua madre lo sa?
-
Lascia perdere mia madre. Hai sentito Emma, no? Abbiamo poco tempo.
– Lily si
voltò per incamminarsi.
-
Aspettate un momento! – Regina allungò una mano,
posandola sul braccio di Emma.
– Artù è il re. Vuoi davvero opporti a
tutto il regno?
-
Dobbiamo liberare Merlino e fermarlo. E anche aiutare i miei genitori!
–
esclamò Emma.
-
Ottimo piano. Peccato che non sappiamo come farlo uscire da
quell’albero. –
Regina notò che Lily stava roteando gli occhi. La
ignorò. Non era di Lily che
doveva preoccuparsi.
-
Lo sappiamo, invece. Magia nera. – Emma lo disse senza alcuna
traccia di paura.
-
No. Non puoi continuare ad usarla. – Regina sentiva il cuore
battere
all’impazzata, per quanto cercasse di controllare la propria
voce. Era convinta
che Emma non si sarebbe fermata e che ogni obiezione fosse inutile. Ma
doveva
dire qualcosa. Doveva almeno provarci.
-
Sono pronta a correre il rischio.
Lily
sorrise, soddisfatta di quella sicurezza. Era innegabile che la figlia
di
Malefica amasse quella situazione. In effetti, amava il pericolo legato
a quel
piano. Amava il fatto che il piano fosse di Emma e che Emma
l’avesse coinvolta.
Il filo rosso che le legava appariva sempre più stretto.
Così come sempre più
oscura appariva la Salvatrice...
-
Stai attenta, Emma. – aggiunse Regina, cercando il contatto
visivo con lei. Non
riuscì ad individuare nessuna traccia di timore, in lei, il
che non la stupì.
Scorse, però, alcuni segreti, in cui non avrebbe potuto
penetrare. Per quanto
ormai la conoscesse, l’Oscuro era in grado di schermarsi con
maestria. –
Conosco la magia nera. Sai dove mi ha condotta.
Lei
sembrò rifletterci, ma non rimase in silenzio a lungo.
– Con tutto il
rispetto... io non sono te.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Ecco qua. – disse Emma, posando il vassoio davanti a Gold e
liberandolo dalle
corde che lo tenevano saldamente ancorato alle sbarre della cella.
– Devi
mangiare. Dovrai essere in forze se vuoi estrarre la spada.
Lui
si massaggiò i polsi. Aveva passato ore legato a quella
gabbia, nei sotterranei
della casa dell’Oscuro. Era stanco e, sebbene non avesse
ancora mangiato nulla
da quando era stato svegliato dal suo sonno, non aveva per niente fame.
–
Non... non sarò in grado di farlo. Dovresti proprio
lasciarmi andare.
Emma
lo osservò, calma ed indifferente.
-
Per favore... devo vedere Belle. – L’espressione
sul suo viso era implorante.
Era tornato ad essere l’uomo umile, la cui unica
preoccupazione era filare e
proteggere il suo unico figlio. L’uomo che aveva paura.
L’uomo zoppo che non
era capace di fare del male a nessuno.
-
Non andrai da nessuna parte fino a quando non avrai estratto Excalibur
per me.
– Emma si appoggiò alla spada, sempre incastonata
nella sua roccia.
Gold
non credeva alle sue orecchie. Si sentiva ancora più
frastornato di quando si
era destato. – Hai così tanto potere...
perché vuoi Excalibur?
-
Dimmi, quando eri l’Oscuro pubblicizzavi i tuoi piani?
-
I miei piani erano sempre nascosti. – ammise lui. –
Ma le mie motivazioni no.
Ogni volta che usavo la magia... mi dicevo che stavo facendo tutto per
mio
figlio. Per proteggerlo...
-
Nobile.
-
Ma anche se le mie intenzioni erano buone... l’ho perso
comunque.
-
Sono molto più forte di te. – precisò
Emma, gelidamente.
Gold
mosse un passo in avanti e barcollò. Alla ricerca di un
appiglio per non
cadere, si appoggiò alla roccia. – Beh, questo...
non ha molta importanza. Più
cercherai di giustificare ciò che fai... più li
allontanerai. Credimi...
finisci sempre per perdere le persone che ami.
Emma
non si lasciò distrarre. Non aveva tempo per quei discorsi.
– Merida!
La
ragazza rispose al suo ordine. Non avrebbe mai potuto opporsi. Emma si
era
assicurata il suo cuore. – Sì, Oscuro.
-
Levamelo di torno. Vai nella foresta e comincia. – Non si
girò nemmeno, parlandole
come si parla ad una semplice schiava.
-
Per quanto tempo terrai il mio cuore e mi minaccerai? –
domandò Merida.
-
Fino a quando sarà necessario.
-
Provaci. Intanto io sto pensando ad un modo per infrangere il tuo
incantesimo.
Emma
si chiese per quale motivo quella sciocca regina celtica continuasse a
ribellarsi, pur sapendo che non era nella posizione per farlo.
Evidentemente le
cose che le diceva entravano in un orecchio e uscivano
dall’altro. Forse i
capelli erano troppo folti perché le parole potessero anche
solo provare ad
entrarle, nelle orecchie.
Merida
si scagliò contro di lei ed Emma si voltò,
stringendo il suo cuore pulsante in
una morsa dolorosa. – Ora vedi di portarlo nella foresta. E
trasformalo in un
eroe.
Merida
boccheggiò, gli occhi che sporgevano dalle orbite. Si
diresse diligentemente
verso Gold.
-
E ricordati di una cosa, burattina. – precisò
Emma, allentando la presa. – Io
non ho solo il tuo cuore. Ho anche i tuoi ricordi. Tutti.
La
ragazza la fissò con astio. Le sue spalle tremarono
visibilmente.
-
Io so che fine hanno fatto i tuoi fratelli. So che
cos’è successo nel tuo
regno. – Scandì ogni singola parola, quasi gliela
stesse scolpendo nel cranio.
Quasi stesse seguendo le pulsazioni del cuore. – So chi ha
ucciso tuo padre.
-
Chi? – sibilò Merida, furibonda.
-
Beh, in un certo senso, conosci già una delle risposte a
questa domanda. –
disse Emma, stirando le labbra all’in su. – Tu.
Quando hai sbagliato mira.
Vide,
sul volto di Merida, come una luce interna, il lampo di una sofferenza
profonda, che andava ben al di là del dolore fisico.
Gold
era raggelato. Non osava muovere un muscolo. C’era troppa
crudeltà, nella voce
di Emma Swan. Lo paralizzava.
-
Sai cosa potrei fare con questo cuore? – Ora
l’Oscuro si spostò verso la
ragazza. Quel misero uomo strisciò lungo le sbarre per
allontanarsi da lei e,
ad un certo punto, cadde, emettendo un gemito. – Potrei
usarlo in molti modi
diversi.
Merida
la guardò, impotente, mentre si avvicinava. Mentre la
trafiggeva con il suo
sguardo verde.
-
Conoscevo un uomo, una volta. Lui era... una persona pura. Buona.
– Ora la sua
voce era un po’ più dolce. Ma non smise di
avanzare. Costrinse Merida contro le
sbarre della prigione. – Era una persona... tormentata. E lo
sai perché? Perché
la Regina Cattiva possedeva il suo cuore. Non aveva più una
volontà, perché
lei... lo controllava.
-
Io non... – prese a dire Merida.
-
E l’ha ucciso, sai? L’ha ucciso perché
alla fine... grazie a me, il suo
giocattolo non rispondeva più ai comandi. Il giocattolo si
era stufato di
essere un cucciolo nelle mani di una donna che l’aveva
privato della volontà.
Della capacità di decidere.
E
quella donna sei tu,adesso?, avrebbe
voluto dire Merida, ma ovviamente aveva la lingua annodata.
-
L’ha ucciso. – ribadì Emma. Strinse una
sbarra con la mano libera,
protendendosi verso il suo viso. – Ma io posso essere
più generosa. Io sarò
generosa, se tu smetterai di
opporti. Pensaci: soffriresti di meno. E alla fine avresti una
ricompensa: il
tuo cuore e i tuoi ricordi. Nonché la vendetta. È
un ottimo accordo, dal mio
punto di vista. Sono sicura che anche l’ex Oscuro concorda.
Gold
non si era ancora rialzato. Non disse niente.
-
In caso contrario, non avrai un bel niente. Non avrai nemmeno la morte,
te lo
assicuro. – Si protese ancora di più, fino a
quando non le schiacciò le labbra
contro il padiglione dell’orecchio sinistro. –
Sarai la mia burattina per
sempre. Non rivedrai mai più Dunbroch. Né tua
madre. Né i tuoi adorati
fratelli. Vivrai sempre al mio fianco.
Merida
deglutì, ma aveva la gola riarsa. Premette una mano contro
la spalla
dell’Oscuro, ma senza respingerla. Non era in grado di farlo,
con lei che
continuava a stringere il suo cuore. Inalò l’odore
emanato da quella strega. Era
un odore intenso, molto forte e tenebroso, ma non avrebbe saputo
definirlo. Era
attraente e, al tempo stesso, era terribile.
Emma
si allontanò. – Ora sbrigati. O hai altre
obiezioni?
Merida
scosse il capo. – No, Oscuro. Vado. Farò di
quest’uomo un eroe, come chiedi.
***
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
-
Per prima cosa, dobbiamo capire come reagirà la pozione alla
mia magia. Portami
la fiala. – disse Emma, parlando rapidamente, con il libro
aperto davanti a sé.
-
Non farò un bel niente, almeno fino a quando non mi avrai
detto come facevi a
sapere che David e Mary Margaret erano incantati. –
ribatté Regina.
Erano
nella Torre di Merlino da alcuni minuti. Lungo il tragitto, Regina
aveva
cercato di parlarle, le aveva posto delle domande, ma lei non aveva mai
aperto
bocca.
Lily
era all’esterno, sulle scale, a controllare che nessuno
salisse.
-
Non abbiamo tempo per questo. – disse Emma, ostinata.
-
Trovalo.
Emma
desistette. Avrebbe perso ancora più tempo se non avesse
risposto a quelle
domande. – Sono stata nelle segrete. Ho parlato con quel
mago... Knubbin.
-
Quello che ha incantato la spada di Percival e la collana? –
la interruppe
subito Regina, sconcertata. – Hai forse perso il senno, Emma?
-
Non preoccuparti. Gli ho solo chiesto qualche consiglio. Non
è così inutile
come appare. Sa fare molte cose.
-
Tra le quali, incantare oggetti.
Emma
prese l’acchiappasogni. – Ecco. Ho usato questo per
scoprire i piani di Artù. Knubbin
mi ha fatto notare quanto siano importanti i ricordi.
Regina
ebbe il sentore che la situazione fosse ben peggiore di quanto si
aspettasse. –
Emma, è magia nera!
-
Lo so.
-
Questi affari non catturano solo i sogni.
-
Lo so. – ripeté Emma.
-
E devi sventolarlo sopra la testa di una persona per catturare i suoi
ricordi.
– Non parlava solo ad Emma, in realtà. Ripeteva
cose che aveva sentito a sua
volta. Immaginava che l’Oscuro avesse indovinato quasi subito
la funzione degli
acchiappasogni. E l’acchiappasogni era un oggetto assai caro
ad Emma. Era a sua
volta un ricordo. Di Neal.
-
Non l’ho fatto. – replicò di nuovo.
– Questa magia è più forte e
più
imprevedibile di qualsiasi altra magia che io abbia mai usato.
L’immagine
appare... e basta. Mi ha mostrato ciò che ha fatto
Artù.
Più
forte e più imprevedibile.
No,
c’era davvero qualcosa di sgradevole, in quei discorsi.
C’era qualcosa di
inquietante nella voce di Emma. Era più bassa.
Più cupa. Più... vecchia.
I suoi occhi sembravano più
vecchi. Più verdi. Simili a quelli di Neve, ma anche
totalmente differenti.
Non
me ne starò qui ad appoggiare
tutto questo, vero? Condurrà Emma dove non dovrebbe
condurla. L’oscurità la
divorerà.
-
Senti, andrà tutto bene. – aggiunse Emma.
– L’acchiappasogni mi ha mostrato
anche un ricordo che ci aiuterà. Un ricordo di Merlino.
Regina
non aveva nemmeno il tempo di contrastare le sue idee.
-
Merlino ha pianto... per la perdita dell’unico grande amore
della sua vita,
giusto un attimo prima che l’Oscuro lo intrappolasse
nell’albero... usando proprio
una delle sue lacrime.
Colta
da un’illuminazione, Regina finalmente capì.
– Emma, ci siamo.
Emma
lasciò che fosse lei a parlare. Sapeva benissimo che
cos’avrebbe detto dopo.
-
Alcune volte gli incantesimi sono come i morsi dei serpenti. Puoi
creare
l’antidoto... con il veleno. Se la lacrima di un amore
perduto ha intrappolato
Merlino... un’altra potrebbe liberarlo. – Regina
accennò un sorriso. – Allora,
che ne dici? Andiamo a prenderci questa lacrima?
“Quanti
anni hai, ragazzo?”
“Tredici,
signore”.
“E
non sai usare una spada né
andare a cavallo, vero? Che razza di scudiero saresti, tu?”.
“Non
sono uno scudiero, signore.
Sono uno scrittore”.
Henry
sferrava manrovesci e affondi con la spada. Era pesante, ormai il
braccio gli
doleva, ma non voleva smettere.
“Uno
scrittore? Dimmi, ragazzo...
quando questo regno sarà attaccato dagli orchi, proteggerai
mia figlia con la
tua penna? Violet apparterrà a qualcuno che
diventerà cavaliere. Un eroe in
grado di capire questo mondo. Qualcuno come lei...”
Immaginava
che rami e alberi fossero orchi venuti a rapire Violet e ad incendiare
il regno
di Artù. Lui era un cavaliere. Un eroe pronto a tutto pur di
salvare la
principessa in pericolo. Lui era uno scrittore, ma in quella storia era
anche
un combattente.
Perse
la presa sulla spada, impacciato dal mantello e per poco non si
ferì al
polpaccio. L’arma cadde.
Disarmato
dal nulla. Sir Morgan aveva ragione.
-
Henry, attento! – esclamò Regina.
Le
sue madri si avvicinarono, entrambe con un’espressione
perplessa e stupita
dipinta dal viso. Henry notò di nuovo lo strano contrasto
dei loro abiti. Il
bianco di quello di Emma, che sembrava rappresentare la sua essenza
prima di
diventare l’Oscuro, l’essenza dell’eroe
che era andato a prendere a Boston e
che non credeva in tutte quelle storie sulla Regina Cattiva e sulla
maledizione
che aveva lanciato. E il rosso... di Regina. Gli faceva pensare al
fuoco, anche
se era un rosso intenso. Sanguigno.
-
Mamme! Sto entrando nello spirito di Camelot! Sto... provando a capire
questo
mondo. – si giustificò, sorridendo nella maniera
più disinvolta possibile.
-
Duellando? – chiese Emma.
-
Sir Morgan... il padre di Violet. Mi ha dato qualche consiglio per
adattarmi.
Tutto qui. Solo che... non so se sarò mai bravo in questo
cose.
-
Oh, beh... se non lo sei, non lo sei. – osservò
Emma. – Cambiare per qualcuno
non funziona mai. Sai... a me piaceva tuo padre perché lui
era sempre se
stesso.
Già,
immaginava che suo padre non avesse avuto bisogno di una spada. Era
sicuro che
bastassero i suoi modi, il suo sorriso, la sua
imprevedibilità.
-
Sì, ma forse... forse potrei essere meglio di ciò
che sono. – replicò Henry.
Poi guardò Regina. – Tu non staresti con Robin se
non fossi cambiata.
-
È vero. – confermò Regina. –
Ma tu pensi davvero che una ragazza come Violet
non possa innamorarsi di un ragazzo qualsiasi?
Henry
tentennò.
-
Ricordi quando ti ho parlato di Daniel? – continuò
Regina.
-
Sì. Il tuo primo amore.
-
Mmm. Lui non ha fatto colpo su di me perché si comportava
come tutti gli altri.
Ma perché era... diverso. Unico.
Emma
sorrise, intenerita dalle sfumature nella voce di Regina. Non era
difficile
immaginare come avesse fatto Daniel a conquistarla. E riusciva anche ad
immaginare... come avesse fatto Regina a conquistare lui. Si rivolse di
nuovo
al figlio. – Henry, a Camelot tu sei uno straniero misterioso
proveniente da
una terra lontana. È una cosa positiva.
Henry
si sentiva sollevato. Non si era mai sentito così sollevato
da quando era
arrivato in quel regno. E gli era appena venuta un’idea
carina. Un’idea molto
più che carina. – Ci lavorerò su.
Grazie. Devo... andare a fare una cosa.
Emma
lo guardò correre via e si disse che era veramente
cresciuto, suo figlio. Ricordava
ancora il bambino di dieci anni che si era presentato alla sua porta
per
condurla a Storybrooke. A casa. Da suoi genitori. E da Regina.
“Allora,
che ne dici? Andiamo a
prenderci questa lacrima?”
-
Emma.
Si
voltò.
-
Credo di sapere dove possiamo prendere l’ingrediente per
liberare Merlino. –
Regina si chiese come avesse fatto a non pensarci prima. – Da
me.
-
Okay, Regina. Questa sarà un’esperienza molto
intensa. Ultima chance per
tirarsi indietro. – disse Emma, reggendo
l’acchiappasogni.
-
Posso farcela. – rispose Regina.
In
realtà non era pronta. Non lo era per niente. Aveva la bocca
secca. Una morsa
gelida le serrava la lo stomaco. I suoi occhi guizzavano da tutte le
parti,
alla ricerca di un punto su cui fissarsi. Alla fine guardò
Emma.
Lei
aveva cercato di dissuaderla. Le aveva ricordato quanto potesse essere
doloroso
rivangare nel passato, soprattutto per lei. Il suo passato era pesante.
Era
pieno di memorie terribili. Daniel. Sua madre. Avrebbero potuto trovare
un’altra soluzione. Emma poteva scrutare nella mente di ogni
abitante del
regno. Se fosse stato necessario, l’avrebbe fatto. Ma Regina
non voleva che
usasse ripetutamente la magia.
Emma
si sedette di fronte a lei. Benché la giornata fosse
soltanto fresca, nel
caminetto ardeva un bel fuoco, e la camera, con i suoi specchi, il suo
letto
con le coperte arabescate e gli arazzi, era profumata e accogliente,
sicura.
Perfetta per un incantesimo.
Lo
sguardo di Regina non avrebbe potuto apparire più
trasparente di così. Emma
riusciva a distinguere chiaramente il caldo nocciola delle sue iridi e
il nero
delle pupille. Occhi molto angosciati, che parevano ancora
più vividi nel
contrasto con la morbida pelle color caramello.
Le
passò l’acchiappasogni. Regina respirò
profondamente.
-
Guarda nel cerchio. – disse Emma. Dopodiché
agitò una mano.
L’oggetto
sfavillò e all’interno del cerchio apparvero le
immagini. I ricordi di Regina.
Cora
dava le spalle al portone di
una stalla. Regina e Daniel erano di fronte a lei.
“Quindi
questa è la tua
decisione?”, chiese Cora. “Ti renderà
felice?”
“Lo
sono già”, rispose Regina.
“E
dunque chi sono io per
fermarvi?”.
Regina
abbracciò sua madre, grata
che avesse capito. “Grazie, madre”.
“Daniel”.
Cora prese in disparte il
giovane stalliere. “Se volete costruire una vita insieme, una
famiglia, allora
c’è una lezione importante che devi imparare. Su
cosa significa essere un
genitore”.
Daniel
ascoltava, attento.
“Devi
sempre fare ciò che è meglio
per i tuoi figli”. E detto ciò allungò
una mano, affondandola nel petto del
ragazzo.
Gli
strappò il cuore e lo ridusse
in cenere.
“Madre!
No!”, urlò Regina,
accorrendo.
Il
corpo di Daniel si accasciò
senza vita e Regina lo strinse tra le braccia...
Emma
era orripilata. Fino a quel momento aveva avuto solo una vaga idea di
come
dovesse essere stato, per Regina, stringere tra le braccia il corpo
morto del
suo grande amore. Aveva solo una vaga idea di quanto dolore avesse
provato. Di
quanto fosse stata grande la sua sofferenza. Mentre i ricordi
scorrevano
davanti ai suoi occhi, si era sentita quasi in dovere di avvertire
quella
ragazza, ancora innocente e così fiduciosa, ancora
inconsapevole di ciò che
l’aspettava. Si era sentita quasi in dovere di urlarle di
andarsene, di
scappare via, perché la situazione era palesemente
ingannevole, al punto tale da
risultare terrificante.
-
Mi dispiace... – mormorò, ancora incapace di
riprendersi da ciò che aveva
visto.
La
voce di Regina suonò rotta, fuori controllo. Non era mai
stato così estenuante
ricordare qualcosa. Mai. – È come se stesse
accadendo tutto di nuovo.
Emma
provò il forte e improvviso impulso di stringere Regina. Di
stringerla per
rassicurarla.
Per
un pelo non si lasciò sfuggire la lacrima che stava
rotolando lungo la sua
guancia. Si protese con la piccola fiala di vetro e la
ghermì prima che potesse
cadere.
-
Ce l’ho. – disse, osservando la minuscola goccia.
– Grazie. Non sapevo
cos’avessi provato, quanto fosse stato difficile per te...
-
L’hai visto anche tu? – chiese Regina.
-
Mi dispiace tanto... come può una madre fare una cosa simile?
Accennò
una risata amara. Era ancora molto tesa. Quasi senza fiato. –
Pensava di farlo
per il mio bene.
Emma
strinse la fiala con la lacrima di Regina. Non parlò.
-
Beh... almeno abbiamo la lacrima che ci serve. –
osservò, schiarendosi la voce.
Il suo cuore non si era ancora calmato.
-
Sì...
-
Bene.
La
mano che reggeva l’acchiappasogni tremava visibilmente. Quel
tremito la teneva
in sua balia. Si sentiva atterrita. Era un ricordo ormai lontano,
eppure
riviverlo le aveva fatto riassaporare tutto l’orrore di quel
momento. Orrore
che le rotolava attraverso e serrava il suo cuore caldo con artigli
gelidi.
Spremendolo. Le trasmetteva l’impulso di alzarsi e darsela a
gambe, fuggire
lontano da quella stanza, da quell’acchiappasogni, da Emma,
dalla lacrima nella
fiala. Da tutto.
Poi
avvertì un’improvvisa stretta. Forte e decisa.
L’acchiappasogni era caduto, ma
Emma non lo raccolse. Si limitò a stringerle la mano.
-
Emma...
-
Stai tremando. – disse. E non la guardava. Guardava le loro
mani.
-
Oh, è... non è niente. Sto bene. – Non
sottrasse le dita a quelle dell’altra.
In qualche modo inspiegabile la stretta la confortava. Il tremito si
stava
attenuando.
-
Mi dispiace...
Regina
sorrise. - Oggi sei molto propensa a dire che ti dispiace.
-
È che... non avrei dovuto vedere. Questi sono i tuoi
ricordi. Lui era...
“Lui
non ha fatto colpo su di me
perché si comportava come tutti gli altri. Ma
perché era... diverso. Unico”.
Diverso.
Unico. Ecco ciò che era Daniel. Una persona semplice. Uno
stalliere. Non un
cavaliere. Non un re e nemmeno un principe. Ma era diverso dagli altri.
-
Stiamo facendo tutto questo insieme. – rispose Regina,
sporgendosi un po’ in
avanti. Fissandola con intenzione. Era sicura di parlare con Emma,
adesso.
Soltanto con Emma e non con la sua oscurità. Lo sguardo di
lei, forse per via
della luce, aveva assunto sfumature azzurrate. – Questa
è stata... una mia
scelta. Ed è per liberare Merlino... che libererà
te. Non avrei voluto
condividerli con nessun altro.
-
Nemmeno con Robin? – La domanda le uscì
spontaneamente. E non aveva ancora
lasciato la sua mano.
Regina
esitò alcuni istanti. – Lui sa di Daniel. Beh,
sa... com’è morto.
Ma
non l’ha visto, pensò
Emma. Io l’ho visto, invece.
L’ho
vissuto... l’ho rivissuto con Regina.
Si
rendeva conto che era stata un’esperienza strana. Non solo
terribile, ma
anche... intima. Aveva visto nel cuore di Regina. Nella sua mente.
Aveva
scrutato in un cerchio e visto l’inizio di tutto.
L’inizio della sua
trasformazione. Regina aveva condiviso una parte importante di
sé, per quanto
ci fossero arrivate perché era necessario...
“Lui
non ha fatto colpo su di me
perché si comportava come tutti gli altri. Ma
perché era... diverso. Unico”.
Inaccettabile
per te, vero
maledetta?, pensò
Emma, rivedendo Cora mentre
affondava la propria mano nel petto del giovane. Se mai le fosse
servita
un’altra ragione per detestare la madre di Regina dal
profondo del cuore, ora
ce l’aveva. Lei era l’Oscuro, ormai. Poteva essere
ben peggio di Cora se avesse
permesso all’oscurità di prendere il sopravvento,
eppure... eppure non poteva
controllare il flusso di emozioni che stava provando. Per
il suo bene? Davvero credevi di farlo per il suo bene? Mia madre ha
fatto la cosa giusta, uccidendoti. Avresti dovuto soffrire molto di
più. Io ti
avrei fatta soffrire molto di più. Perché sono
l’Oscuro.
-
È meglio sbrigarsi. – osservò Regina,
liberandola dalla sua stretta. – Dobbiamo
liberare quel mago prima che qualcuno si accorga di ciò che
stiamo facendo. Non
che mi dispiaccia non sentire le voci dei tuoi genitori per un
po’... ma non
possiamo lasciarli in quelle condizioni a lungo.
***
Storybrooke.
Oggi.
Henry
aveva convinto Emma a portarlo al castello sulla spiaggia, la
costruzione in
legno in cui lui si era rifugiato dopo essere fuggito di nuovo, il
giorno dopo
l’arrivo della Salvatrice a Storybrooke.
“Me
l’hai lasciato in macchina”, le
aveva detto quella volta, dopo averlo raggiunto ed essersi seduta
accanto al
bambino. Gli aveva dato il suo libro. Lui osservava...
l’orizzonte. In realtà
non proprio l’orizzonte, ma la torre dell’orologio.
Un orologio le cui lancette
non si erano ancora decise a muoversi. “È ancora
fermo, eh?”
“Io
speravo che portandoti qui
sarebbero cambiate le cose...”, le aveva risposto.
“Che la battaglia finale
sarebbe iniziata”.
“Non
combatterò nessuna battaglia”.
-
Perché mi hai portata qui? – domandò
Emma, prendendo posto accanto ad Henry. Un
Henry decisamente cresciuto ormai. Non aveva più il libro
con sé, ma aveva gli
stessi occhi fiduciosi di allora.
-
Beh, perché questo... è uno dei nostri posti.
– disse Henry. Stava anche
cercando di farle perdere tempo in modo che Regina potesse frugare in
casa sua.
– Ricordi?
-
Sì, certo.
-
Volevo che ricordassi... – ripeté lui, osservando
il cielo e il mare calmo. –
Volevo che ricordassi chi eri. E chi sei. La nostra missione.
-
Operazione Cobra. – Emma si raddolcì.
-
La nostra missione non è ancora finita.
Emma
usò un tono indulgente. Gli mise una mano sulla spalla.
– Henry... le cose sono
diverse, adesso.
-
Ma non devono esserlo per forza. Sono sicuro che la madre che ho
conosciuto è
lì, da qualche parte. Mostramela.
-
Sono qui. Questa sono io.
Henry
scrutò gli abiti neri e quei capelli bianchissimi, raccolti
nella crocchia.
Scrutò le labbra rosso sangue. Ripensò alla Emma
che non credeva alle sue
storie. La Emma che indossava una giacca rossa di pelle, un paio di
jeans,
magliette non proprio fresche di bucato e aveva quei lunghi capelli
biondi. La
Emma Swan che si comportava da dura. La luce. La Salvatrice. La
speranza.
“Sei
qui perché è il tuo destino.
Restituirai a tutti il lieto fine”.
“La
smetti con queste
stupidaggini?”.
“Non
sei costretta a fare la dura.
Lo so che ti piaccio. Si vede. Cerchi di allontanarmi perché
ti faccio sentire
in colpa”.
-
C’è una ragazza. – disse Henry,
all’improvviso. – Lei... ecco, è carina.
-
Ah.
-
Violet. È la figlia di uno dei cavaliere di Artù.
Sir Morgan.
Le
faceva piacere che, nonostante non possedesse più i suoi
ricordi, Henry avesse
rivisto Violet e si fosse preso una... seconda cotta per lei.
Sì, era davvero
cresciuto. La cosa la inteneriva e, al tempo stesso, la sgomentava.
-
Ci piacciono le stesse cose. – continuò Henry.
-
Ovvero?
-
Ho messo un po’ di musica e ha gradito. – Ora aveva
un’aria molto compiaciuta.
-
Che musica?
-
Yaz.
-
Quale canzone? – Lo sapeva già. Era una mossa che
conosceva molto bene.
-
Only you. – rispose, infatti, Henry.
“Che
ne dici?”
“Carina”.
“Solo
carina?”. Neal aveva
appoggiato quasi senza accorgersene una mano sulla sua.
“Adoro questa canzone”.
-
Te l’ha insegnata tuo padre, questa mossa? – chiese.
-
Diceva che funziona sempre.
Emma
sorrise, malinconicamente. – Ha funzionato con me.
-
È una bella canzone.
-
Sì, lo è.
“Beh,
spero di averti dimostrato di
non essere un maniaco, come pensavi”, disse Neal,
schiarendosi la voce.
“Direi
che sei stato convincente”.
Si
riscosse. – Beh, sono sicura che funzionerà anche
con la tua ragazza.
-
Non è la mia ragazza, veramente. Cioè, non
ancora. E poi... sai, lei viene da
un altro mondo. Suo padre... preferirà che lei stia con un
cavaliere.
-
E tu sei uno scrittore. La tua spada è la penna.
-
Che non ho più. Non che me ne penta... ma forse dovrei...
non so, entrare nello
spirito di Camelot.
-
Non è necessario essere cavalieri, Henry. Non ti serve una
spada. Essere...
qualcosa che non si è non è mai una buona idea.
Neal
era sempre stato se stesso. Per questo le era piaciuto. Come Daniel.
Unici e
diversi, a loro modo. Speciali.
-
Sei uno straniero che viene da una terra lontana. Questa terra.
Dimostrale che
viviamo in un posto interessante. – disse Emma. –
Ci sono tante altre cose
oltre alla musica.
-
I film. – rispose Henry. – Certo. Potrei farle
vedere... qualche film.
“Commando”. Anzi, no, meglio ancora.
“Harold e Maude”. È adatto ad un
appuntamento, vero?
-
Direi di sì.
L’incantesimo
di protezione non aveva sorpreso Regina, dato che Lily
l’aveva avvisata almeno
di quello. Ma di certo la sorprese ciò che vide nei
sotterranei di quella casa.
Una
cella.
E
una roccia. Con Excalibur incastonata in essa. La gemma rossa nel
pomolo mandò
un barbaglio sanguigno non appena loro si avvicinarono.
-
Date un’occhiata... Excalibur è molto familiare,
non trovate? – fece notare
Uncino, scrutando la lunga lama ondulata che si perdeva nella roccia.
-
Il pugnale. – Belle si chinò e osservò
l’arma di Artù da vicino. – Lo stesso
motivo. La stessa lama.
Lily
allungò una mano per sfiorare l’elsa robusta di
Excalibur. Immaginava che non
fosse sicuro farlo, ma a spingerla era un impulso che veniva dal
profondo. E
poi era stanca di tutti quei misteri. Anche lei voleva altre risposte.
-
No, aspetta. – disse Regina.
-
Forse estrarla è la soluzione migliore. Guardiamola
più da vicino. – suggerì
Uncino.
-
Fermo. – Aveva una brutta sensazione riguardo a quella spada.
Non c’era nessun
incantesimo di protezione su di essa. Eppure era una situazione
estremamente
sospetta. – Lo sto per dire e ancora non ci credo, ma...
è una trappola.
Potresti rischiare la vita.
-
Non sapevo te ne importasse. – disse Uncino, sollevando un
sopracciglio.
-
Non mi importa. Ma in questo momento potresti anche essere utile.
Più o meno. E
tu, anche. – aggiunse, rivolta a Lily.
Belle
aggirò la roccia e raccolse delle corde da terra. Il cuore
spiccò un balzo nel
suo petto. – Lui è stato qui. Tremotino.
-
Cosa vuole Emma da Tremotino? – domandò Lily.
– E a cosa serve questa spada? A
parte darle più potere... ma quello ce l’ha
già.
-
Suppongo a nulla di buono, a giudicare dai nostri ricordi perduti.
– osservò
Robin.
Il
cellulare di Regina trillò. Quello era il segnale. Aveva
chiesto ad Henry di
avvisarla non appena lui ed Emma si fossero trovati sulla via del
ritorno. –
Non abbiamo tempo. Stanno tornando.
Corsero
di sopra. Emma aveva preso il maggiolino giallo, quindi ci avrebbero
messo alcuni
minuti. Avrebbe tanto voluto perquisire il resto della casa, ma
comprendeva fin
troppo bene che suo figlio non poteva trattenere il Signore Oscuro
più del
dovuto e senza risultare sospetto.
Nel
dirigersi verso l’uscita, Lily urtò un tavolino
vicino alle scale e una
scatola, un portaoggetti esagonale, cadde sul pavimento, aprendosi.
-
Ehi, stai attenta. Non deve capire che siamo stati qui! –
esclamò Regina.
Lily
la ignorò bellamente e recuperò
l’oggetto uscito dalla scatola. Un
acchiappasogni. Ne aveva visto uno nell’appartamento di quel
Neal Cassidy, a
New York, dove avevano trovato l’uomo delle foreste in
compagnia di una donna
che credeva sua moglie e che si era rivelata una strega invidiosa e
piena di
astio verso la sorella.
E
nel suo sogno. Ne aveva visti tanti, nel suo sogno.
-
Che cos’è quello? – domandò
Robin, avvicinandosi.
-
Un acchiappasogni. – rispose Uncino. – Baelfire
gliene ha regalato uno, molto
tempo fa. Solo che questo... sembra diverso.
-
Baelfire? – domandò Lily.
-
Neal. – disse Regina, prendendo l’acchiappasogni
dalle mani di Lily. Le era
bastato vederlo per capire. Non aveva idea del perché ci
fosse un
acchiappasogni in una scatola, posata così casualmente su un
qualsiasi
tavolino, ma almeno aveva una vaga idea di ciò che era
accaduto a Camelot. –
Baelfire era il suo vero nome nella Foresta Incantata. E questo... non
è solo
un oggetto folkloristico. Se impregnato di magia può essere
molto potente.
Adesso... So come ha fatto Emma a rubarci i ricordi.
***
Camelot.
Quattro settimane prima
della maledizione.
-
Fallo, Emma. Artù potrebbe arrivare da un momento
all’altro. – la incitò
Regina. Era calata la notte, il castello era pressoché
silenzioso, ma non lo
sarebbe stato per molto. L’albero in cui era intrappolato
Merlino incombeva
alle loro spalle e aveva l’impressione non molto gradevole
che le stesse
osservando. Che si aspettasse molto da loro. Che fosse impaziente,
anche. – Che
fine ha fatto Lily?
-
Controlla la situazione. Non preoccuparti. – Emma prese gli
ingredienti. Versò
le pozioni che aveva preparato e le rimescolò. Doveva stare
attenta con il
dosaggio, ma non fu un problema. Sapeva benissimo come muoversi.
Un’altra di
quelle cose che si comprendono subito, senza bisogno di leggere
più volte un
libro di magia.
-
Ed ecco l’ultimo ingrediente. La lacrima. – disse
Regina, passandole la piccola
ampolla.
Emma
la prese con cautela e lasciò cadere la lacrima
nell’intruglio. La magia si
attivò e si levò una nuvola di fumo grigio
violetto, che salì verso l’alto. Se
l’incantesimo avesse funzionato, Emma avrebbe dovuto
dirigerlo verso l’albero
perché agisse in modo da liberare Merlino dalla sua
prigione. Provava un senso
di eccitazione e di trepidazione. Il desiderio di usare la magia, di
alimentare
il potere, era talmente forte da scagliare il suo cuore al galoppo. La
sua
mente era all’erta.
Tuttavia
l’incantesimo si dissolse. Si ritirò e scomparve,
lasciando Regina a fissare,
perplessa, il contenuto dell’ampolla.
-
Avrebbe dovuto funzionare. – disse Regina. –
Perché non ha funzionato?!
-
Regina... è semplice.
Lei
sollevò lo sguardo, fissandola. Non capiva.
-
Il tuo dolore non era abbastanza forte.
-
Che cosa?! – gridò Regina, costernata da
quell’affermazione.
-
No, no, era vero. – precisò Emma, in fretta. Con
un certo disagio si rivolse a
lei. – Ma c’è Robin adesso... sei andata
avanti. Sei guarita.
Regina
avrebbe dovuto pensarci. Rivivere la morte di Daniel l’aveva
fatta sentire a
pezzi, ma era accaduto molti anni prima. Erano successe molte cose da
allora.
Era...
-
Ehi! Scusate, sono in ritardo. – disse Henry, raggiungendole.
Vide che l’albero
era ancora intatto e aggrottò la fronte. – Cosa
è andato storto?
-
Credo... manchi un ingrediente. – rispose Emma, pensosa.
Regina
osservò Henry. Il ragazzino era rosso in viso, quasi fosse
reduce da una lunga
corsa. Aveva i capelli un po’ scompigliati e l’aria
vagamente assente.
-
Cos’è successo, Henry? –
domandò, ansiosa.
-
Oh, niente. – rispose lui, lisciandosi pieghe inesistenti
sulla giubba. – Tutto
bene.
-
Sembri... compiaciuto. C’entra quella ragazza?
Emma
lanciò un’occhiata ad Henry, mentre la mano destra
frugava in una tasca interna
del mantello. Strinse qualcosa nel pugno.
-
Violet... oh, lei è... le è piaciuto il
Granny’s. E anche le lasagne. – ammise
Henry, diventando ancora più rosso.
-
Bene. – disse Regina, sorridendogli.
-
Mi ha dato un bacio. – continuò.
Emma
si voltò di scatto, spalancando gli occhi.
-
Lei... cosa?! –
domandò Regina,
sicura di aver capito male.
Mi
ha dato un bacio.
Non
poteva averlo detto davvero, giusto?
Insomma, d’accordo, ad Henry piaceva quella
ragazzina, ma suo figlio era
un bambino...
-
Un bacio sulla guancia. –
sentenziò
Henry, toccandosi la guancia sinistra.
-
Beh, naturalmente!
-
Perché stai gridando, mamma? Sei arrabbiata?
Regina
stava per rispondere che lei non era affatto arrabbiata. Il punto non
era la
rabbia, il punto era che Henry era cresciuto senza che lei se ne
rendesse
veramente conto. Da quando era diventato così alto, ad
esempio? Quand’era
successo?
-
Fermi! – Artù piombò in cortile,
seguito da alcuni cavalieri, tutti in armatura
e con le spade sguainate. Pronti a dare battaglia. Il re era furioso.
Ben
consapevole che avevano cercato di ingannarlo. – State
lontani dall’albero. Non
ve lo chiederò due volte.
Era
arrivato prima di quanto si aspettassero.
-
Voi e la vostra gente mi avete mentito fin dall’inizio.
– dichiarò Artù. – Tu
non sei la Salvatrice. Sei un’imbrogliona!
Regina
si chiedeva come avessero fatto a non vedere quanto fosse folle
quell’uomo. Non
era solo furibondo per essere stato raggirato. La sua voce era carica
di odio.
Odio represso che finalmente trovava libero sfogo. Nei suoi occhi
c’erano cose
terribili. La maschera era definitivamente caduta.
-
Fatevi avanti, allora. – rispose Regina. – Provate
ancora a chiamarmi
imbrogliona...
-
Vi abbiamo accolti. – continuò il re, come se non
l’avesse neppure sentita. –
Vi abbiamo accolti e festeggiati e in cambio... avete portato il
Signore Oscuro
nel mio regno! Avete messo in pericolo la mia gente! E oltre
all’Oscuro, avete
portate anche una ragazzina incontrollabile che ha ucciso uno dei miei
uomini
più fidati e valorosi!
Regina
lo osservò con aria di sfida. – Un uomo fidato e
valoroso che ha cercato di
uccidere me.
-
Perché aveva capito che razza di strega siete! Datemi il
pugnale! – ordinò
Artù, tendendo la mano.
-
Lo vuoi? – chiese lei. Formò una sfera di fuoco
con la magia. – Vieni a
prendertelo!
Emma
non perse tempo a fronteggiare Artù. Avrebbe potuto
liberarsene con poche,
semplici parole, ma Regina se la sarebbe cavata.
Indietreggiò di un paio passi,
cercando di catturare i pensieri, di tenersi aggrappata al piano
originale. Poi
corse verso l’ampolla che aveva lasciato sul cornicione di
pietra e aprì la
piccola fiala. Quella di riserva.
Regina
scagliò fiamme contro Artù e i suoi uomini. Non
riusciva a vedere che cosa
stesse combinando Emma.
Infine
arrivò anche il drago. Si precipitò
giù dal cielo, con tutta la sua enorme
mole. Spalancò le fauci e gettò una scia
infuocata sul re. Lui si affrettò a
farsi da parte, mentre i suoi uomini gridavano e si sparpagliavano.
Artù iniziò
ad estrarre Excalibur dal fodero, ma prima che potesse sguainarla la
lunga coda
del drago lo colpì al petto, spedendolo gambe
all’aria. Batté forte la testa
sui ciottoli del cortile e vide tutte le stelle del firmamento.
Il
drago atterrò vicino ad Henry e Regina. Eruttò
un’altra fiammata. I cavalieri
indietreggiarono ancora di più. Due di loro presero il re
per le braccia,
aiutandolo ad alzarsi.
-
Dove ti eri cacciata? Emma aveva detto che stavi controllando la
situazione...
– esclamò Regina. Poi si concentrò
meglio sul drago e si accorse che non era
Lily. Era Malefica.
Vi
fu uno sfavillio improvviso, poi un rumore simile a vento rinchiuso in
una
bottiglia che si libera non appena viene tolto il tappo.
La
magia si levò più alta e potente, bianca e nera,
ombre e luci unite nella
stessa onda. Un turbine portentoso avvolse Emma, che sorrise,
concentrando il
potere nelle proprie mani e dirigendolo verso il grande albero. Era una
sensazione incredibile. I capelli si sparsero intorno al suo viso, in
una
tempesta dorata. Il suo sguardo si accese.
Regina
ed Henry si ripararono gli occhi con le braccia e vennero catapultati a
terra
dalla forza che stava artigliando la prigione di Merlino,
abbracciandola
completamente. Artù e i cavalieri si allontanarono il
più possibile.
La
tormenta avvolse l’albero e illuminò a giorno il
cortile e il castello di
Camelot.
Era
difficile controllare tutto quel potere, ma con un’ultima
spinta, un ultimo,
immane sforzo, Emma riuscì a liberarsene, lasciando che
esplodesse.
Malefica
riassunse le sue sembianze umane.
L’albero
era svanito. Accasciato in mezzo al cortile c’era un uomo in
una lunga tunica
da mago e con un cappuccio sulla testa. La figura piegata si
alzò in piedi,
lentamente. Era un uomo alto e robusto, che emanava un potere ben
più antico
dell’incantesimo che aveva usato perché potesse
uscire dalla trappola in cui
l’aveva rinchiuso l’Oscuro.
Henry
stesso non avrebbe saputo dire che cosa si aspettasse. Quando aveva
visto La Spada nella Roccia, anni
prima,
Merlino era un mago vestito di azzurro, con una lunga barba candida,
anziano ed
esilarante, che istruiva un ragazzino di nome Semola, ovvero
Artù, e
occasionalmente partiva per Honolulu. In altri film era un vecchio con
un lungo
bastone, estremamente potente e fisicamente forte nonostante
l’età avanzata. Un
druido che tutti temevano. Secondo alcune storie era il figlio di una
donna
mortale e di un demone, il che gli conferiva doti eccezionali e la
possibilità
di vivere più a lungo di un uomo comune.
Ma
quando quel Merlino
abbassò il
cappuccio, mostrando per la prima volta il suo viso, si accorse che non
era
affatto vecchio. Non appariva
vecchio, per lo meno. E non aveva una lunga barba bianca, il volto
scavato
dalle rughe o gli occhi infossati. Sembrava un giovane uomo nel fiore
degli
anni, con la pelle scura, la bocca grande che si aprì in un
sorriso gentile e
decisamente sollevato, non appena vide Emma di fronte a sé.
I capelli erano
neri e molto corti.
-
Ti stavo aspettando. – disse il mago. – Emma.
Lei
ebbe l’impressione che vi fosse qualcosa di familiare in
Merlino, ma lì per lì
non le riuscì di individuare che cosa fosse.
-
E tu... – disse, poi, voltandosi verso Artù,
ancora stordito dalla botta in
testa. Lo guardava severamente. – Il bambino che doveva
diventare re. La mia
grande speranza.
Artù
accennò un sorriso.
-
Quanto mi hai deluso! – concluse Merlino. Parlava come un
padre intento a
rimproverare il figlio che aveva appena commesso la più
grave delle bravate,
invece di seguire i suoi insegnamenti.
-
Io ho deluso te? – L’ira del sovrano era palpabile.
Era basito. Quasi il mago
gli stesse narrando favolette. – Tu mi hai dato false
profezie! Mi hai spedito
in una missione impossibile! Hai rovinato la mia vita!
Sfoderò
Excalibur, più per istinto che per altro. Malefica
puntò il lungo scettro contro
il sovrano.
-
Mettila via, Artù. Lo sai che quella spada spezzata non
può farmi niente. –
Merlino aveva un’aria annoiata.
Il
re aveva una gran voglia di mettergli le mani al collo. Ma era chiaro
che non
aveva chance. – Non finisce qui!
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Se Emma l’ha usato per portarci via i ricordi... –
disse Regina, occhieggiando
l’acchiappasogni nel salone di casa sua. – Forse
può dirci che cos’è accaduto a
Camelot.
Robin
osservò la rete intrecciata nel cerchio di salice.
– Beh, che cosa stiamo
aspettando?
Regina
non aveva idea di che cosa aspettarsi.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
“Non
sono venuta qui per
combattere. Ma per dirvi... che per quello che mi avete fatto, sarete
puniti”.
-
Hai paura di quello che potresti scoprire, vero? – chiese
lui, vedendola
esitare.
-
Emma era sicura di avere un buon motivo per comportarsi così
come si è
comportata. Chissà cosa ci è successo
laggiù.
“Siete
andati a Camelot per
salvarmi dall’oscurità. E avete fallito”.
“Avete
fallito”.
-
Ma c’è soltanto un modo per scoprirlo, no?
– disse Robin.
Regina
aveva bisogno di sapere. Qualunque cosa fosse, ne aveva bisogno. Se
davvero
aveva fallito, avrebbe affrontato quel fallimento. Avrebbe cercato di
rimediare. Avrebbe trovato un modo per recuperare Emma,
perché un modo doveva
esserci.
Agitò
una mano davanti all’acchiappasogni e il cerchio interno si
illuminò, mostrando
i ricordi.
“Siete
pronte?”
“Sì.
Tra poco avrò l’ingrediente”.
“Dov’è
Regina?”
-
Sono... i ricordi di Emma? – domandò Robin,
perplesso.
-
No... – Regina avvicinò l’acchiappasogni
al viso. – Sono di Lily.
“Dov’è
Regina?”, disse Lily,
avvicinandosi e osservando gli ingredienti che Emma stava disponendo
davanti a
sé.
“Pensavo
avesse bisogno di un
attimo per riprendersi. Dopo quello che abbiamo dovuto
fare...”.
“Dopo
quello che lei ha voluto fare,
forse”.
“Ma
libereremo Merlino insieme. È
per questo che siamo qui”.
Il
fuoco ardeva nel camino. Lo
specchio appeso sopra ad un cassettone rimandava l’immagine
di Emma e di Lily,
vicine.
“D’accordo.
Ma esattamente il piano
qual è? Come agirà la lacrima di
Regina?”.
Emma
cercò di spiegarglielo a
grandi linee. Non era semplice. Il potere sarebbe stato enorme.
“E
tu sei sicura di farcela?”,
chiese la ragazza. “Insomma, se non sbaglio... sarebbe magia
nera. Potrebbe...”
“Spingermi
verso il baratro. Lo so
bene. Ma ho scelta?”. Emma continuava a non guardare Lily. I
capelli le
spiovevano sul volto, nascondendone una parte. “Se la lacrima
di Regina
funzionerà, Merlino uscirà dalla sua prigione e
potrà aiutare me”.
Lily
avrebbe voluto vederla meglio,
perché la testa le diceva, in modo sommesso e perentorio,
che stava per
succedere qualcosa lì. Qualcosa che non era previsto. E non
vedere gli occhi di
Emma la riempiva di disagio.
“Se?”,
rispose Lily. “Perché ho
l’impressione che tu non sia così sicura che
funzionerà?”
Emma
non rispose.
“Emma?”.
La prese per un polso,
costringendola a smettere di spostare gli oggetti da una parte
all’altra e
senza scopo. “Che cosa stai tramando?”
“Solo
un piano alternativo”. Alzò
la testa, fissandola per la prima volta.
“Piano
alternativo? Che cosa
intendi? Perché quella lacrima non dovrebbe
funzionare?”
“Perché
il dolore di Regina non è
un dolore recente. È vecchio. Risale a molto tempo fa. Sono
successe troppe
cose. Ha incontrato Robin...”
“Se
la pensi in questo modo, perché
non ne hai parlato con Regina? Sei stata tu a cacciarla via, non era
lei che
voleva riflettere. Sei tu quella che aveva bisogno di
riflettere!”
“In
effetti sì. Sto per fare
qualcosa di terribile, ma lo farò. Perché non
abbiamo tempo. L’oscurità... non
mi sta lasciando scelta, Lily”.
“Che
cos’hai in mente?”
Emma
glielo disse. Era inutile
nasconderlo a Lily, tanto non avrebbe potuto fermarla ed era convinta
che non
avrebbe avvertito nessuno. La conosceva.
“Quindi
tu vuoi strappare il cuore
di una tredicenne, la ragazzina che piace a tuo figlio...
perché spezzi il suo,
di cuore? Dico, ma sei impazzita? Questo non è da te,
Emma”.
“Tutto
quello che intendo fare, lo
farò anche per il bene di Henry. Di tutti”.
“Ma
tu sei la Salvatrice, no? Tu
sei superiore a tutto questo”.
Emma
andò molto vicino a Lily.
“Sono la Salvatrice, ma sono anche l’Oscuro. E ho
bisogno di Merlino. Il piano
di riserva è necessario. Devo coprirmi le spalle. Non
possiamo fallire e
riprovare perché non avremo un altro momento per riprovare.
Artù sta aspettando
che i miei genitori riportino il pugnale. Se non sospetta ancora
niente,
inizierà molto presto”.
Si
allontanò da lei, dirigendosi
verso l’uscita.
“Sai
una cosa, io so che cosa vuol
dire lottare contro l’oscurità. L’ho
sempre dovuto fare”, disse Lily,
costringendola a fermarsi. “Tutta la mia vita è
stata oscura e tu lo sai bene.
Non sarà mai come la cosa che si è impossessata
di te... ma mi ha fatto fare
delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi. L’Oscuro
sta facendo lo
stesso con te. Se lo ascolti, perderai il controllo”.
“È
tutto inutile!”, gridò Emma.
Reggeva ancora l’acchiappasogni. I suoi occhi dardeggiavano.
La sue espressione
era la stessa che Lily aveva visto il giorno in cui Emma
l’aveva trovata, il
giorno in cui avevano lottato, il giorno in cui Emma aveva puntato la
sua
pistola contro di lei, preparandosi ad ucciderla. “Lui
è sempre qui, non capisci?
Mi parla. Mi parla continuamente. È qui ed è
nella mia testa. Lo vedo...”
“Chi?”
“Tremotino.
O qualcuno che ha
assunto le sue sembianze. Non fa altro che parlarmi. Mi istiga. Ed io
non
riesco a non ascoltarlo”.
Istintivamente
Lily si guardò
intorno. La stanza era vuota, escluse loro due. Ma sapeva che qualcosa
c’era.
Qualcosa che poteva vedere solo Emma, ma che persino lei poteva
percepire
vagamente. Come una presenza sempre fuori dal suo campo visivo.
“Emma”,
disse Lily. Non c’erano più
obiezioni, ormai. “Una volta mi hai detto di fare scelte
migliori. Ed io ti ho
risposto che ci provavo... ma qualsiasi decisione prendessi mi si
rivoltava
sempre contro”.
Emma
continuò a fissarla.
“Ancora
adesso succede. Penso di
fare la cosa giusta e invece mi ritrovo nei pasticci”. Lily
pensava che lei la
stesse anche ascoltando, adesso. Che la stesse ascoltando attentamente.
Come se
si fosse appena ricordata di qualcosa. “Ma tu sei sempre
stata diversa, Emma. Mi
hai detto di fare scelte migliori e allora falla tu, una scelta
migliore,
questa volta”.
Emma
non le diede il tempo di
continuare. Sollevò l’acchiappasogni.
“Sì. Hai ragione. Guarda nel cerchio”.
Lily
guardò. Non perché volesse
guardare davvero, ma la richiesta di Emma la spinse a farlo. E quando
le
immagini iniziarono a comparire, non poté più
distogliere lo sguardo.
Per
alcuni assurdi momenti, i
ricordi si tuffarono in altri ricordi.
Regina
si immerse, sconvolta, nei
ricordi di Lily. E Lily, nel passato, si immerse nei propri.
Una
ragazzina sola in un supermercato
che pensa di passare inosservata infilandosi della roba sotto la giacca.
Un’altra
ragazzina sola in un
supermercato e che la sa lunga.
Una
guardia: “Cos’hai lì?”
Lily,
appena quindicenne, che la
salva, perché ha una carta di credito e rubando un pezzo di
plastica ‘puoi fare
tutto quello che vuoi’.
Una
corsa per sfuggire ad un uomo
in auto.
“Io
mi chiamo Emma”.
“Lily.
Grazie dell’aiuto”.
“Mi
hai coperto le spalle. E io ho
coperto le tue”.
Lily
ed Emma sedute sul prato,
davanti ad un lago.
“Sono
troppo grande. Ho perso la
mia occasione. Non aveva senso restare lì solo per
continuare a sentirmi...”
“Invisibile?”
Nessuna
risposta da parte di Emma.
Ma è la risposta giusta.
“So
che cosa vuol dire vivere in un
posto dove nessuno sembra essere in grado di capirti”, dice
Lily.
“Eri
in una casa famiglia? L’uomo
che ti stava inseguendo... era dei servizi sociali? Voleva riportarti a
casa?”
“Sì”.
“Cosa
pensi di fare?”
Quelle
ragazzine che fanno
irruzione in una grande e bella casa sul lago, che la gente di solito
usa solo
d’estate.
“Ehi,
cos’hai sul polso?”
Lily
le mostrò la sua stella. “Non
so cos’è successo... ce l’ho sempre
avuta. Mi piace pensare che sia una specie
di simbolo in stile... Harry Potter, più o meno”.
“Come
se tu fossi... unica e
speciale”.
“Lo
so, è stupido”.
“No,
non è vero”.
Lily
che disegna una stella sul
polso di Emma con un pennarello. “Okay... allora sei speciale
anche tu”.
“Grazie.
Lily
ed Emma che si divertono a
riprendersi con una telecamera. Il ritratto della spensieratezza.
“Promettiamoci
di restare amiche.
Qualsiasi cosa accada non ci sarà niente che non potremo
superare”.
“Okay,
sì. Promesso”.
Un
uomo che entra in casa, di
notte, mentre loro dormono.
“Lily?”
Emma
che afferra la prima cosa che
le capita a tiro per difendere la sua nuova amica. “Non ti
avvicinare! Non ci
riporterai in una casa famiglia”.
L’uomo,
appena visibile dietro la
luce emanata dalla potente torcia elettrica. “Tesoro, che
sciocchezze hai
raccontato a questa ragazza?”
La
luce. La luce sembra colpire le
bugie di Lily. La colpisce dritta in faccia.
“Che
sta succedendo? Lily?”
“Dille
la verità. Sono suo padre.
Torniamo a casa. Tua madre è disperata”.
La
luce colpisce Lily. La
consapevolezza colpisce Emma come un getto d’acqua gelata.
Lily
in attesa sull’auto del padre.
Emma che sta per essere riportata in casa famiglia.
“Emma!”
Sulle
prime nemmeno si gira. Non
vuole.
“Emma!
Emma!”
Tre
volte. Come Henry quando
l’aveva invocata al molo.
“Non
preoccuparti. È arrabbiato
perché ho usato la carta di credito”. Scrive
qualcosa su un pezzo di carta.
“Quando la situazione si calma, vieni a cercarmi. Scapperemo
insieme”.
“Mi
hai presa in giro”.
“Mi
dispiace tanto. So di aver
mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto la
verità. Io
odio la mia casa. Io lì mi sento invisibile”. Lily
è sull’orlo delle lacrime.
“Sono proprio come te. Davvero! Ero un’orfana
finché questa famiglia mi ha
adottata. Quella non è casa mia. Lo avevi promesso. Amiche
per sempre.
Qualsiasi cosa accada”.
Quella
di Lily è una supplica.
Tende il foglio di carta, ma ciò che importa sono i suoi
occhi. È il modo in
cui la guarda.
Emma
non le risponde. Le volta le
spalle. Le volta le spalle e si cancella la stella con il pollice. Con
decisione. Con rabbia. Ignora le grida di Lily e le sue lacrime.
Tempo
dopo. Lily nascosta in un
garage e ricercata dalla polizia.
“Emma
è stata la prima persona che
mi abbia capita veramente, sapete? Come se fosse stato il destino a
farci
incontrare”.
E...
“Da
quando sei andata via tutta la
mia vita è andata a rotoli. Qualunque cosa faccia va per il
verso sbagliato”.
“E
sarebbe colpa mia? Perché non
provi a fare scelte migliori?”
“Ci
provo. Lo giuro. Ma ogni volta
che lo faccio, tutto mi si ritorce contro. È come se avessi
una maledizione”.
“Che
stupidaggine!”
“È
vero. È come se tutta la mia
vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più
luminosa”.
E...
“Emma,
ti prego, non lasciarmi
sola. Ti sto supplicando. Ti prego, aiutami!”.
“Non
mi va più di aiutarti, Lily.
Sto molto meglio da sola”.
Nel
presente di Camelot, Lily
riemerse dai suoi ricordi, paonazza. Emma mise da parte
l’acchiappasogni e la
costrinse in ginocchio. Poi strinse nel pugno i suoi capelli e fece in
modo che
piegasse la testa all’indietro. Usò una piccola
ampolla per raccogliere una
delle lacrime che stavano scivolando lungo le sue guance.
“Vedi,
Lily, mi dispiace molto. Avrei
dovuto pensarci prima. Il dolore di Regina è... vero.
È un dolore terribile. Ma
potrebbe non essere sufficiente. Non posso correre questo rischio. Non
ho più
tempo, ormai”. Chiuse l’ampolla, ma
continuò a trattenere Lily, il cui respiro
sembrava quasi un singhiozzo. Tentò di alzarsi, ma le gambe
erano come
liquefatte e la sua mente era tutta un turbine di pensieri che non
riusciva ad
afferrare.“Il tuo dolore, invece... è ancora molto
reale. Per quanto tu sia
andata avanti, non sei mai guarita. Perché nessuno ti ha
aiutata a guarire. Ma
adesso... aiuterai me. Libererai Merlino. E mi salverai”.
______________________
Angolo
autrice:
Buonsalve!
Mi
scuso per l’estrema lunghezza del capitolo, ma essendo
“Dreamcatcher” (5x05) l’episodio
che più ho amato di questa 5A, ho voluto approfondire tutto
quanto.
|
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Capitolo 10 *** 10. ***
10
Storybrooke. Oggi.
Regina
aprì la porta di casa, curandosi di nascondere
l’acchiappasogni dietro la
schiena. E curandosi anche di nascondere la profusione di emozioni che
le
stavano sconvolgendo i pensieri.
Era
sera. Ed Emma era là, fasciata nei suoi abiti neri, una
spalla appoggiata alla
colonna, le labbra rosse che spiccavano contro il pallore del suo viso,
l’aria
più calma e strafottente del mondo, quasi la sua fosse una
normale visita di
cortesia, quasi come se fosse stata lei a fare un piacere a Regina,
presentandosi a casa sua.
-
Emma.
-
Ciao. – rispose lei, senza battere ciglio.
-
Che cosa diavolo succede? Cosa stai facendo? –
domandò Regina.
-
Sono qui per vedere Henry.
-
Non è questo che intendo e lo sai. – Regina si
sentiva troppo furiosa per controllarsi.
Era troppo difficile controllarsi, quando bastava che Emma la fissasse
in quel
modo per farla esplodere. – Ci hai tolto i ricordi e ora
Gold. Cosa stai
cercando di fare?
Emma
si era assicurata che Merida stesse facendo il suo dovere. Gold si era
dimostrato restio, cosa che si aspettava da un uomo del genere, quindi
aveva
costretto Merida a cercare qualche incentivo. Sicuramente erano ancora
nella
foresta. Aveva imposto a quella regina celtica di spronarlo fino a
quando non
si fosse deciso a combattere. Non era disposta a tollerare fallimenti.
Ne aveva
abbastanza di fallimenti.
Non
si scompose davanti alle domande di Regina.
-
Emma... non c’è niente da cui tu non possa tornare
indietro, se lo vuoi. Basta
che tu dica la verità.
-
Quello che sto facendo sono solo affari miei. E lo sto facendo
perché è la cosa
migliore. Fidati. – rispose, pacatamente.
-
Stavo iniziando a farlo! – rispose, fuori di sé.
La cosa più assurda era che si
sentiva ad un passo dalle lacrime. Aveva un terribile nodo in gola. Una
voglia
assurda di afferrarla per la giacca e scuoterla con violenza. Di
prenderle il
viso tra le mani, con forza, per costringerla a guardarla sul serio. -
E come
Henry stavo vedendo del buono in te. Ma mi sbagliavo. Pensavo potessi
essere
diversa. Pensavo potessi sfuggire all’oscurità.
Però poi... hai pensato di
strappare il cuore ad una tredicenne. E hai usato Lily per ottenere
quello di
cui avevi bisogno.
-
Che cosa? – disse Emma.
Finalmente
aveva ottenuto la sua attenzione. Le mostrò
l’acchiappasogni.
Emma
si avvicinò di un passo. – Adesso commetti
effrazioni?
-
Oh, no! – Regina alzò un dito. – Non
provare a farmi la morale. Non dopo quello
che hai fatto. Henry ha visto cosa intendevi fare a Violet. Ha visto
come hai
usato Lily! Era sconvolto!
-
Già. Cosa ho pensato di
fare. Ma non
l’ho fatto, Regina.
-
Ah, certo! Hai fatto una cosa ben peggiore. Hai usato i ricordi di Lily
contro
di lei, contro la sua volontà... le hai spezzato il cuore di
nuovo per poter
avere quella lacrima! La tua unica amica...
-
Non sapevo che ti importasse così tanto di Lily. Non
sembravate andare
d’accordo. – Emma non le staccava gli occhi di
dosso.
-
Non è questo il punto! Non cercare di raggirarmi. Non
funziona con me,
signorina Swan!
-
Non mi chiamare ‘signorina Swan’! Ne abbiamo
passate troppe.
-
Parliamo di quello che hai fatto passare a Lily. Scommetto che tutta la
faccenda della “cosa giusta” e del
“fallimento” non è che un modo per
coprire i
tuoi, di fallimenti. – Regina stentava a padroneggiarsi,
lottava immersa nella
totale confusione. – Ho una certa esperienza con gli Oscuri,
l’hai dimenticato?
Non fate altro che manipolare.
Emma
le diede le spalle per qualche momento. – Se fossi rimasta al
tuo posto... tu e
tutti gli altri... sarebbe andato tutto bene.
-
Ma senti chi cerca di giustificare tutto. – rispose, con
sarcasmo.
-
Quello che ho fatto a Camelot, l’ho fatto a fin di bene.
Sto
per urlare. Lo
sento, pensò
Regina. Ed era possibile; gli saliva come un
ruggito, da dentro, un enorme obice di furia. Il mondo reale vacillava.
Il
mondo reale erano Emma e quei ricordi agghiaccianti. Era Emma e
l’odore
pungente, ma intenso che emanava. Era Emma con il suo sguardo duro come
pietra.
-
Questo è esattamente ciò che mi disse mia madre
quando cercò di giustificare
ciò che aveva fatto a Daniel. – disse Regina,
imprimendo nelle sue parole tutta
l’amarezza di cui era capace. Non abbassò mai lo
sguardo. – Disse che l’aveva
fatto per il mio bene.
-
Oh! – esclamò Emma. Venne ancora più
vicina. Abbastanza perché lei potesse
sentire il suo respiro gelido. – Tua madre. Si vede che non
hai capito nulla,
Regina. Io non intendevo uccidere Violet. E poi... dato che mi paragoni
a tua
madre... chissà che tutto questo non ti piaccia, in fondo.
-
Come?!
-
Cora... – disse Emma. Scandendo bene le sillabe. –
Il tuo primo vero amore, il
più infelice di tutti. È per questo che ti sei
lasciata ingannare.
-
Non ti permettere nemmeno! – ringhiò Regina.
– Mia madre mi ha ingannata perché
era brava a farlo. E tua madre ne
sa
qualcosa.
-
No, tua madre ti ha ingannata perché era lei a possedere il
tuo cuore. L’hai
sempre amata. Persino dopo quello che è successo con Daniel.
È stato il tuo più
grave errore. Il tuo errore. Non di
mia madre. Lei era una bambina. Tu... no.
Regina
sollevò una mano. Era indecisa se colpirla o usare la magia
contro di lei. Ma
voleva farle male. Oh, parecchio.
-
Coraggio, fallo. Come se potessi ferirmi... – rispose Emma.
– Come se la tua
magia mi spaventasse...
-
Quello che conta qui, Emma...
– le
disse, sforzandosi di trattenere il proprio potere e pronunciando il
suo nome
lentamente. – È che non riuscirai mai a
giustificare quello che hai fatto.
-
Almeno grazie a quella lacrima abbiamo liberato Merlino! –
gridò. Si rese
subito conto di essersi esposta troppo. La fissò, con gli
occhi leggermente
sgranati.
-
Allora è vero che siamo riusciti a liberarlo... –
mormorò Regina, scrutandola.
Tuttavia il senso di confusione aumentò. – Ma se
è così... per quale motivo sei
ancora l’Oscura?
-
Per colpa tua. Vostra. –
precisò
Emma. – Adesso evitiamo di perdere altro tempo. Voglio vedere
mio figlio.
-
Io, invece, non credo che lui voglia vedere te. Anzi, ne sono convinta.
–
ribatté Regina, con la medesima durezza. –
Arrivederci, signorina Swan.
Le
sbatté la porta in faccia.
Emma
rimase là, a guardare il numero 108. A guardare la porta
bianca.
“Quello
che conta qui,
Emma. È che non riuscirai mai a giustificare quello che hai
fatto”.
Tornò
sui suoi passi, ma prima di andarsene si voltò, cercando con
lo sguardo la
finestra di Henry.
Lui
era là. La osservava. Sul suo viso si mescolavano delusione
e rabbia. E
incredulità.
Fu
solo un istante. Poi Henry chiuse le tende.
Era
una vera fortuna che Robin fosse già tornato nel suo
appartamento e che Henry
fosse in camera sua. Perché non dovevano vederla
così. Soprattutto Henry.
Dopo
aver chiuso la porta in faccia all’Oscuro, Regina
serrò le palpebre per il
sollievo. Poi si mosse con la massima rapidità.
Gettò via l’acchiappasogni con
rabbia e si fiondò al primo piano, entrò in bagno
e fece scorrere l’acqua,
gettandosene un po’ in faccia. Il battito pesante del cuore
le rintronava in
testa. Poche volte nella sua vita si era sentita così fuori
di sé. Non
semplicemente furiosa, ma così incapace di gestire le
emozioni.
“Tua
madre ti ha
ingannata perché era lei a possedere il tuo cuore.
L’hai sempre amata. Persino
dopo quello che è successo con Daniel. È stato il
tuo più grave errore. Il tuo
errore. Non di mia madre. Lei era una bambina. Tu... no”.
Emma
la sgomentava. La durezza e la cattiveria che impregnavano le sue
parole la
sgomentavano.
“Ci
deve essere un
altro modo!”
“Non
c’è. Hai faticato
troppo per vedere la tua felicità distrutta”.
Voleva
strappare il cuore di una ragazzina. Aveva attinto dai ricordi della
sua unica
amica per avere la lacrima.
Perché
una lacrima?
Merlino è stato liberato da una lacrima. Com’era
stato imprigionato in
quell’albero? Chi è stato?
Ma
c’era dell’altro.
Emma
è ancora l’Oscura.
Doveva essere Merlino a salvarla. Perché non ci è
riuscito?
“Per
colpa tua. Vostra”.
Non
ne aveva avuto il tempo, forse. Era l’unica spiegazione.
“Avete
fallito”.
“Colpa
tua. Vostra”.
Regina
andò in cucina e si versò un bicchiere di
bourbon. Lo bevve in un unico sorso.
Le bruciò la gola, ma sentiva di averne davvero bisogno.
Dov’è
Merlino?
“Cora.
Il tuo primo
vero amore, il più infelice di tutti. È per
questo che ti sei lasciata
ingannare”.
Non
solo.
“Il
dolore di Regina
è... vero. È un dolore terribile. Ma potrebbe non
essere sufficiente. Non posso
correre questo rischio. Non ho più tempo, ormai”.
Aveva
condiviso i suoi ricordi con Emma, a Camelot. Emma aveva visto
cos’era successo
a Daniel, come Cora l’aveva ucciso. Ecco perché si
era permessa di dirle quelle
cose.
“Mi
dispiace tanto. So
di aver mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto
la
verità. Io odio la mia casa. Io lì mi sento
invisibile”.
“Quella
non è casa mia.
Lo avevi promesso. Amiche per sempre. Qualsiasi cosa accada”.
Era
stato come avvertire lo spezzarsi del cuore di quella ragazzina che era
Lily.
Oh, sì, era una bugiarda. Aveva mentito, ma il modo in cui
si rivolgeva ad Emma
era assolutamente... intenso. Era adorazione. Avrebbe fatto qualsiasi
cosa per
tenerla vicino a sé, ne era sicura. Il cuore spezzato di
Lily era abbastanza
forte. Il suo no. Non più.
...Ed
Emma diceva che Lily aveva fatto la cosa giusta. Aveva aiutato Emma
anche se
lei si era approfittata delle sue memorie?
“Perché
sei ancora
l’Oscura?”
“Per
colpa tua. Vostra”.
“Cora.
Il tuo primo
vero amore, il più infelice di tutti. È per
questo che ti sei lasciata
ingannare”.
“Avete
fallito”.
“Tua
madre ti ha
ingannata perché era lei a possedere il tuo cuore.
L’hai sempre amata. Persino
dopo quello che è successo con Daniel. È stato il
tuo più grave errore. Il tuo
errore. Non di mia madre. Lei era una bambina. Tu... no”.
Regina
scagliò il bicchiere contro una parete. I pezzi di vetro si
sparsero sul
pavimento.
***
Camelot.
Quattro
settimane prima della maledizione.
-
Merlino? – disse Azzurro.
Il
mago gli rivolse un cenno di saluto, sorridendo.
-
Tu sei... Merlino?
-
Vi aspettavate qualcuno...
-
Più vecchio.
-
Già. Diciamo che c’è una spiegazione
per tutto. Ed essere un albero fa anche
bene alla pelle.
Merlino
aveva liberato gli Azzurri dall’incantesimo di
Artù. Ora si trovavano tutti al
Granny’s. Il re si era ritirato nel suo castello e non aveva
più dato segni di
vita, il che poteva significare che stava tramando qualcosa. Era il
pugnale ciò
che voleva ed erano sicuri che non si sarebbe mai arreso fino a quando
non
avrebbe avuto l’oggetto tra le mani.
-
Beh, adesso che il grande stregone è tra noi, forse
può risponderci. – disse
Uncino, avvicinandosi ad Emma e appoggiandole una mano sulla spalla.
– Puoi
liberare Emma dall’oscurità?
Merlino
si rivolse a lei. – Certamente.
Neve
e Azzurro si scambiarono un’occhiata sollevata.
-
Però... ho un avvertimento. – disse Merlino.
Avanzò di qualche passo, fissando
Emma negli occhi. –
L’oscurità funziona
così: si impossessa di una persona. Le scava dentro, nel
profondo, dove nessun
altro può arrivare. Quindi, per liberarti dalla sua morsa,
devo essere certo di
una cosa. Emma, il tuo cuore... è davvero pronto per questo?
Perché dipende da
te e non solo da me.
Emma
stava per rispondere di sì. Stava per dire che era pronta.
Che voleva
disfarsene. Che doveva disfarsene
per
il bene di tutti. Ma poi ripensò all’onda di
potere che aveva controllato
quando si era trattato di liberare Merlino. Ripensò alla
sensazione di
entusiasmo e di forza che aveva provato.
-
È a questo che devi pensare, mia cara. – disse
Tremotino. Sedeva comodamente su
uno dei tavoli del locale, ghignando, malefico. Erano giorni che non si
faceva
vivo e lei era convinta di essersene liberata. – La magia
è potere. Possedere
il potere significa essere in grado di fare grandi cose.
Perché rinunciare? Tu
sai quanto è gustosa l’oscurità.
-
Emma? – la chiamò Regina.
Emma
scoccò un’occhiata a Lily, seduta accanto a
Tremotino. Solo che non poteva
vederlo. Lei le riservò un’espressione furiosa.
Spostò lo sguardo su Henry e
vide che il ragazzino era in attesa di una sua risposta. Come tutti.
-
Hai dato il meglio di te con Lilith. Ma puoi fare ancora meglio. Puoi
essere
ancora più potente. – continuò
Tremotino.
Non
ho dato il meglio
di me. L’ho ferita. L’ho usata. E ho pensato di
ferire mio figlio. Volevo
prendere il cuore di quella ragazzina.
-
Basta, va via. – borbottò Emma, infastidita.
-
Swan... – iniziò Uncino.
-
Con chi parli, Emma? – domandò Neve.
-
Con i suoi demoni. – rispose Merlino. Lui non sembrava
particolarmente sorpreso
di vederla dialogare con il nulla.
-
Attenta, cara, è il mago più vecchio del reame.
Lui sa molte cose sugli Oscuri.
– disse Tremotino, indicando Merlino con il lungo indice
squamoso.
-
Posso farcela. – disse Emma. E non sapeva nemmeno lei a chi
stava rispondendo.
Poco
dopo, mentre Emma sedeva su una roccia davanti al Granny’s a
costruire un
acchiappasogni dopo l’altro, Lily si accostò a
Merlino.
Ancora
non si capacitava di ciò che era accaduto. Un attimo prima
stava parlando con
Emma di quanto fosse sbagliato ciò che pensava di fare a
quella ragazzina e un
attimo dopo era diventata la vittima dell’Oscuro. Un attimo
prima Emma era
convinta che l’unico modo per liberare Merlino fosse spezzare
il cuore di Henry
e prendersi la sua lacrima, un attimo dopo era stata lei a dare ad Emma
l’ingrediente mancante.
“L’oscurità
funziona
così: si impossessa di una persona. Le scava dentro, nel
profondo, dove nessun
altro può arrivare”.
“Le
scava dentro...”
L’Oscuro
aveva scavato dentro di lei, recuperando i ricordi più belli
e al tempo stesso
più brutti della sua vita.
“...
nel profondo, dove
nessun altro può arrivare”.
Non
aveva mai permesso a nessuno di arrivare a quei ricordi. Non aveva mai
incontrato nessuno che considerasse degno di quelle memorie.
“Le
scava dentro...”
-
Ciao, Lilith. – disse Merlino, senza nemmeno alzare la testa.
Sedeva presso il
bancone del locale. Le
sue mani giocherellavano
con un barattolo di ceramica che conteneva delle zollette di zucchero.
-
Quindi sai chi sono.
-
Sì, naturalmente. – Si rivolse a lei e le sorrise.
- So molte cose di te, grazie
al mio Apprendista.
-
E hai cercato di parlarmi, vero? Quel giorno, nel cortile...
-
Ci ho provato. Non è facile, quando sei un albero. Avevo la
possibilità di
parlare alle persone e anche di proiettarmi al di fuori della mia
prigione... –
Si rabbuiò un momento. – Ma non per molto tempo.
Lily
inarcò la fronte. Poi scosse il capo. – Ho sentito
quello che hai detto ad
Emma. Puoi liberarla dall’oscurità.
-
Lo spero.
-
Puoi fare lo stesso per me?
Il
mago si aspettava quella domanda, così come si era aspettato
la chiacchierata
di Emma con il demone che assumeva le sembianze di Tremotino. Si
alzò. – Il mio
Apprendista mi ha fatto la stessa domanda, una volta.
-
E tu gli hai detto che non potevi sistemare le cose. Ma era la
verità?
-
Ciò che è fatto è fatto, Lilith.
– Il suo tono era benevolo e conciliante. E
ovviamente la rendeva ancora più furiosa. – Se
invertissimo l’incantesimo...
-
Perciò può essere invertito.
-
Può essere invertito. Non
annullato. Le
conseguenze sarebbero terribili. – Appoggiò le
dita della mano sul petto di
Lily. – Il potenziale oscuro era di Emma, ma è
dentro di te da sempre. E so che
cosa significa.
-
Non credo che tu lo sappia davvero! – rispose Lily,
scacciando la sua mano. Era
un’assurdità e lo sapeva bene. Un mago vecchio
come lui doveva aver affrontato
un sacco di demoni. Ma da un po’ di tempo le giornate erano
piene di assurdità.
-
Credimi, lo so. So anche che cosa significa lottare contro
l’oscurità. Ci ho
avuto a che fare, molto tempo fa. – Il suo sguardo
sembrò assente per qualche
istante. Tacque e parve interessato unicamente ad una parete del
Granny’s.
Infine tornò a fissarla, rinfrancato. –
L’oscurità ha distrutto una persona che
amavo.
Lily
non disse niente.
-
Quello che voglio dire... – ricominciò Merlino.
– Quello che voglio dire è che
quell’oscurità è radicata in te. Fa
parte della tua essenza. Se... se te la
strappassi, quell’oscurità tornerebbe dal suo
legittimo proprietario.
-
Tornerebbe da Emma. – mormorò Lily.
Merlino
assentì. – Emma sta già combattendo una
battaglia difficile. Una battaglia che
per molti sarebbe impossibile da vincere. Inoltre, se anche riuscissi a
sradicare quel potenziale oscuro, potrei farti del male. Sarebbe
estremamente
doloroso. Non credo che tu voglia questo. Soprattutto non credo che tu
voglia
dare a qualcuno come Emma l’oscurità che ti porti
dietro.
Lei
fece per dire qualcosa, ma vi rinunciò.
Che
se la prenda, la
dannata oscurità!, pensò,
incollerita. Che se la prenda e che se la
prendano pure quei maledetti dei suoi
genitori.
Poi
pensò a Murphy, ai suoi occhi argentei, alla sua faccia
maciullata dai calci.
Allo stivale sporco di sangue. A Percival che bruciava.
-
Ora che Emma è contaminata da
un’oscurità molto più grande, la tua...
è
diversa. Lo sai, vero? – chiese Merlino.
-
Lo è? A me sembra peggiore di prima.
-
Non è peggiore. È mutata. Così come
è mutata l’essenza di Emma. Sono sicuro
che, in parte, capisci ciò che sto dicendo. –
Merlino le appoggiò una mano
sulla spalla. – Capirai anche come usare il tuo dono.
-
Se ti riferisci al fatto che posso trasformarmi in un drago...
-
No. Non mi riferisco a questo. Ci sono delle cose di te che ancora non
conosci.
Non abbastanza. Tu non sei solo quel potenziale oscuro che è
stato trasferito
dentro di te, anni fa.
-
Ovvero non sono solo una bambina maledetta e un’Anti
Salvatrice?
Merlino
non si scompose davanti al suo sarcasmo. Gli occhi scuri si posarono
con più
durezza su di lei. Ora lo stregone dimostrava davvero centinaia di
anni. – Stai
contemplando una strada che non devi percorrere. E fai del male a te
stessa,
prima di farlo alle persone che ami. Puoi combattere
l’oscurità. Ma se continui
a credere di essere l’Anti Salvatrice, allora questo
sarà ciò che diventerai.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Perbacco, questo sì che è interessante!
– esclamò Knubbin, leccandosi le dita
dopo aver ingurgitato una patatina.
-
Avete scoperto qualcosa? – chiese Regina.
-
No, in realtà mi riferivo a questo... come l’avete
chiamato?
-
Hamburger. – precisò Granny, passando a
raccogliere i piatti e osservando il
mago di sottecchi.
-
Ecco, già! – Knubbin aveva un aspetto migliore. I
capelli erano sempre un po’
scompigliati, ma gli avevano dato degli abiti puliti e qualcosa da
mangiare.
Era già al secondo hamburger e alla seconda porzione di
patatine. Heathcliff se
ne stava appollaiato sul davanzale di una finestra. –
Hamburger. È magico?
-
No. – rispose Granny. – Ma lo
considererò un complimento alla mia cucina.
-
Potete contarci, mia cara signora. Io sono uno che conosce le buone
maniere...
e so anche riconoscere la buona cucina. Come va la cicatrice?
– chiese,
parlando rapidamente.
Granny
posò i piatti con un colpo secco. – È
sempre dove dovrebbe essere.
-
Non mi aspettavo che fosse andata in qualche posto. E
dov’è vostra nipote?
-
Nella Foresta Incantata.
-
Come fa a conoscere Ruby? – domandò Neve,
perplessa.
-
Oh, diciamo che l’ho aiutata molto tempo fa. In effetti, ho
fatto molto di più.
Il mantello è una delle mie migliori creazioni.
-
Non perdiamoci in chiacchiere! – esclamò Regina,
massaggiandosi la radice del
naso. – Gli aneddoti possono aspettare.
-
Per una volta sono d’accordo con Sua Maestà.
– ammise Uncino.
Regina
si girò a guardarlo.
-
Beh, prima o poi doveva capitare. – continuò il
pirata, sollevando un
sopracciglio. – Ma tornando a noi... abbiamo liberato Merlino
a Camelot. E se
l’abbiamo liberato mi chiedo come mai non abbia scacciato
l’oscurità di Emma.
Regina
si sforzava di concentrarsi. Le parole di Emma le riecheggiavano nella
testa. –
Non lo stai domandando alle persone giuste.
-
Beh, non possiamo domandarlo a lui. Magari questo mago sa dirci
qualcosa...
-
So dirvi che questo libro è molto interessante... gli
incantesimi sono molto
antichi... – osservò Knubbin. – Ne ho
trovati alcuni che...
-
Io invece ho questo. – disse Regina, mostrando a tutti la
Corona Scarlatta. –
Comunicare con Merlino sarà proprio quello che faremo.
-
La Corona Scarlatta. – si sorprese Azzurro. –
Quindi hai capito come far
funzionare l’incantesimo di comunicazione.
-
Scoprire ciò che Emma intendeva fare a quella ragazzina e
scoprire... cos’è
stata in grado di fare a Lily mi ha dato la motivazione necessaria.
“Tua
madre ti ha
ingannata perché era lei a possedere il tuo cuore.
L’hai sempre amata. Persino
dopo quello che è successo con Daniel. È stato il
tuo più grave errore. Il tuo
errore. Non di mia madre. Lei era una bambina. Tu... no”.
-
Come possiamo usarla? – domandò Neve.
-
Non è difficile. – intervenne Knubbin, sollevando
di scatto la testa e
anticipando Regina. Si spostò alcuni ciuffi dalla fronte
rugosa. – Un mago come
Merlino appare solo ad una persona che lui stesso ha scelto.
-
Artù. – disse Azzurro, amaramente.
-
E noi non possiamo fidarci di lui. – concluse Regina.
-
Beh, abbiamo qualcuno che può aiutarci, anche se non si
tratta di Merlino. –
intervenne Belle.
-
E chi è? – chiese Neve.
-
Tremotino.
-
È una pessima idea. – rispose Regina. - Se non
fosse stato per lui, forse
adesso non ci troveremo in questa situazione. Senza contare che ora
è nelle
mani di Emma. Se cercassimo di aiutarlo, finiremmo tutti in una
trappola.
-
E se gli capitasse qualcosa?
-
Non possiamo pensare a tutto in questo momento, tesoro. Il Coccodrillo
ha già
avuto parecchie chance, in passato. – disse Uncino.
-
Oh, non lo metto in dubbio. Come te, del resto. – E poi si
rivolse a Regina. -
E come te.
-
Ora è inutile parlare di me. – ribatté
Regina. – Dobbiamo aiutare Emma e
l’unico modo per farlo è comunicare con Merlino.
-
Anche Tremo ha bisogno di aiuto, visto che è nelle mani
dell’Oscura. – Belle
alzò parecchio la voce. - Ma quando si tratta di lui non ne
vale la pena,
giusto? Quando si tratta di te o delle persone che tu ami... non
importa quale
mezzuccio è necessario utilizzare. Basta fare il possibile.
Come quando hai
strappato il cuore a me per salvare il tuo grande amore...
Regina
stava per rispondere, ma Neve la interruppe. – Possiamo
parlare di come
comunicare con Merlino? Forse così riusciremo ad aiutare
tutti.
-
Sì, voi fate pure. Io non me ne starò qui ad
aspettare che Emma faccia del male
a Tremotino. - Belle prese la sua giacca ed uscì dal
Granny’s, sbattendo la
porta con violenza.
Knubbin
soffocò un rutto.
Regina
gli riservò un’occhiataccia.
-
Scusatemi. Mi ha colto di sorpresa. Non è la prima cosa che
mi coglie di
sorpresa. – disse il mago, pulendosi la bocca con il
tovagliolo. Poi prese una
vecchia pergamena ingiallita che aveva messo da parte. - Anche questo
mi ha
colto di sorpresa.
Regina
prese il foglio e lo aprì. – Che
cos’è questa roba?
Neve
sbirciò da sopra la sua spalla e spalancò gli
occhi. Le strappò la pergamena di
mano.
-
Ehi, ma che fai?
-
Conosco questo incantesimo. – disse Neve, scorrendo in fretta
le parole
impresse sulla carta.
“Sì,
questo andrà
bene”, cominciò
la voce dell’Apprendista nella sua testa.
“Quindi
l’oscurità di
nostra figlia...”, disse Azzurro.
“Potrà
essere
trasferita”.
“Che
l’oscurità trovi
la sua via, dal grembo materno a un altro
dell’inferno...”
-
Lo credo. È un incantesimo estremamente antico. E
pericoloso, anche. Serve a
trasferire il potenziale oscuro di una persona verso un ospite...
– disse
Knubbin, grattandosi la barba. – Sì, una cosa
decisamente pericolosa. Mi chiedo
quale sia il folle che si permetterebbe di eseguire questo incantesimo.
Beh,
non che non mi aspetti che qualcuno l’abbia fatto... non
c’è mai niente di
nuovo sotto il sole. Quello che è stato tentato una volta,
era stato tentato in
precedenza e così via.
-
È l’incantesimo che l’Apprendista ha
usato su Lily, vero? – disse Azzurro.
-
Lo è. – rispose Neve.
“Il
bambino è perso per
sempre. Ma congratulazioni! Vostra figlia sarà pura di
intenti e di animo
eroico. Tuttavia toccherà a voi guidarla... e tenerla nella
luce”.
-
E le ultime frasi? – chiese Uncino, indicando col dito
quattro righe scritte
sotto l’incantesimo, seguite da altre tre. – Non
è niente di buono, giusto?
-
Decisamente no. – confermò Regina, ripensando alle
parole di Artù al suo
servitore, Grif. Aveva parlato di una profezia. Di una profezia che
indicava
Lily come possibile minaccia.
“Quel
che è fatto è
fatto.
I
loro destini sono
intrecciati
Com’è
sempre stato e
come sempre sarà
Così
ha detto il mio
Maestro”
-
Deve averlo scritto l’Apprendista. – disse Azzurro,
con la fronte aggrottata.
-
Ma cosa c’entra il resto? – chiese Uncino.
“Vedo
l’ombra infinita
approssimarsi a Camulodunum
L’infante
figlio del
drago porta con sé una stella
E
il suo destino
s’intreccia con l’altra metà di Caledfwlch”
-
Camulodunum. – sentenziò
Knubbin. – Camelot. Una volta quella terra si chiamava
così. C’è ancora gente
che la chiama così, ne sono sicuro.
-
E sapendo che il pugnale ed
Excalibur sono la stessa arma... Caledfwlch deve essere la spada di
Artù. –
disse Regina.
Regina
pensò... all’infante figlio
del drago. Pensò alla voglia a forma di stella che portava
sul polso. Pensò ad
Emma agganciata alla sua groppa. Era tutto collegato. Tutto
dannatamente
collegato. Tutte le volte che incrociavano qualcosa che li conduceva
più vicini
a scoprire cosa fosse accaduto a Camelot, quel qualcosa si ricollegava
non solo
ad Emma, ma anche a Lily.
Una
vera fortuna che Lily non
fosse presente, ma doveva parlarne con Malefica.
-
L’ho spinto oltre i suoi
limiti... è stremato. – disse Merida, conducendo
Emma verso la tenda che aveva
montato nella foresta.
L’Oscura
la seguiva, senza fretta.
E senza parlare. Un’ombra che non si lasciava nemmeno
sfiorare dai raggi del
sole primaverile.
Merida
era ansiosa di recuperare
il suo cuore e scoprire che cos’era successo ai suoi
fratelli, nonché sapere
chi aveva ucciso suo padre, per questo procedeva a grandi falcate,
stringendo
il suo arco. Non vedeva l’ora che quella maledetta storia
finisse. C’erano
troppe cose che non capiva, in quella terra. Voleva tornare a Dunbroch.
Dove
tutto le era familiare. Doveva tornare a casa e assicurarsi che la sua
famiglia
stesse bene. Non ricordare la spaventava orribilmente.
Tuttavia,
quando arrivò nel punto
in cui aveva lasciato Tremotino, trovò solo una tenda vuota,
le corde con cui
gli aveva legato i polsi tagliate e la tazzina che aveva recuperato nel
suo
negozio... in mille pezzi. L’aveva usata per liberarsi.
Cercò qualche traccia
intorno all’accampamento e individuò le impronte
di un paio di scarpe, ma
niente di più. Era sparito.
-
Dicevi? – disse Emma, annoiata.
Il cuore pulsante comparve nella sua mano.
-
Oh, avanti. Cosa aspetti? Fammi
del male! Se è la cosa che sai fare meglio... –
disse Merida, appoggiandosi al
tronco di un albero.
Emma
stritolò il suo cuore. – La
cosa che so fare meglio è capire quando una persona mente,
in realtà.
Merida
boccheggiò, in ginocchio
sul prato.
-
Il tuo lavoro non è ancora
finito. – Strinse di nuovo il cuore. Lo strinse e lo
rilasciò più volte, quasi
lo stesso usando come una pallina antistress.
-
Non... – iniziò Merida,
respirando a fatica, la faccia rossa in parte nascosta dalla fitta
massa di
riccioli. – Non posso allenarlo più. Non
è nemmeno qui... come pretendi che lo
faccia?
-
Hai confermato quello che volevo
sapere. È disposto a lottare per Belle. –
spiegò Emma, avvicinandosi a lei e
poi afferrando una manciata dei suoi capelli nel pugno. Tirò
forte perché
Merida si alzasse.
-
Sbaglio? – chiese Emma.
-
No, Oscuro. Ma non è diventato
un eroe... – mormorò Merida. Voleva staccare gli
occhi da quelli verdi della
sua carceriera, eppure non ne era capace.
-
Ma lo sarà. Lo diventerà presto.
– Emma scandì ogni parola perché la
comprendesse bene. – Deve. Se vuole fermare
te...
-
Fermare me? Perché dovrebbe
fermarmi? – chiese Merida.
Emma
serrò di nuovo il cuore
pulsante, lo serrò a lungo e così crudelmente da
farle pensare che stavolta
l’avrebbe frantumato. Macchie nere invasero il suo campo
visivo. Merida si
sentì venire meno, mentre l’altra mano
dell’Oscuro ancora le tormentava i
capelli.
-
Ucciderai Belle. – disse Emma,
allentando la presa sul mezzo che le permetteva di controllarla.
Appoggiò una
mano sul suo viso, convincendola a voltare la faccia in modo che fosse
completamente rivolta verso la sua. – Vai e piantale una
freccia nel cuore.
***
Camelot.
Quattro settimane prima della maledizione.
Nei
sotterranei del castello di
Artù regnava il silenzio. Le guardie si limitavano a fare il
loro dovere e non
parlavano mai tra di loro. Il prigioniero in una delle ultime celle in
fondo al
corridoio stava cantando. Era quel mago, Knubbin. Ovviamente era
stonato.
Peggio ancora, la sua voce sembrava quella di un ubriaco, sebbene non
avesse
bevuto niente, a parte la ciotola d’acqua che gli era stata
portata insieme
alla misera cena. Era acuta e stridente.
-
Non si può farlo smettere? –
sussurrò una guardia al compare, in piedi accanto a lui.
L’altro
stava per rispondere, ma
poi le torce che illuminavano i corridoi si spensero di colpo,
precipitandoli
nell’oscurità.
Vi
fu un istante di sbalordimento.
Infine le luci si riaccesero, esplodendo come lampi, e li accecarono.
Le
guardie lanciarono grida e imprecazioni.
David
e Killian fecero irruzione,
buttando giù le porte e gettandosi sugli uomini del re. Nel
giro di un paio di
minuti li stesero. Merlino, avanzando con passo sicuro, si
occupò dell’ultima
guardia, liberandosene con un semplice gesto della mano. Belle rimase
all’esterno
delle prigioni a tenere d’occhio la situazione.
-
Non male per uno che ha passato
centinaia di anni in un albero. – commentò Uncino.
-
È come andare in bicicletta. –
osservò il mago, sorridendo.
Avanzarono
in quel dedalo di
corridoi. Merlino non sembrava avere particolari difficoltà
con l’orientamento.
-
Come fai a sapere cos’è una
bicicletta? -
domandò Azzurro, ad un
certo punto.
-
Credi che le mie profezie si
avverino perché sono fortunato? Da questa parte. –
Merlino girò a destra. Si
fermò prima della svolta successiva e invitò gli
altri ad appiattarsi contro i
muri.
Un
gruppo di guardie passò a pochi
passi da loro, senza notarli.
-
Per tutti i diavoli... riesci
davvero a vedere il futuro. – disse Uncino.
-
Pezzi di futuro. Sì. – Merlino aveva
un’aria molto compiaciuta. Divertita e rilassata, anche. Era
evidente che fosse
più che lieto di poter usare i suoi poteri senza
impedimenti.
Giunsero
davanti alla cella di
Lancillotto. David si sporse per guardare all’interno.
-
Azzurro? – Lancillotto lo
scrutò, diffidente.
-
Va tutto bene. Io e Neve non
siamo più controllati da Artù. – lo
rassicurò.
-
Come hai fatto ad infrangere
l’incantesimo?
-
Non l’hanno fatto, amico. –
disse Uncino.
-
Sono stato io. – Merlino si
palesò davanti alla cella.
-
Merlino...
-
La cella del mago è più avanti.
– disse Azzurro. – Emma ci ha chiesto di liberarlo
e per quanto non mi vada a
genio... dobbiamo farlo.
-
Sì, signori, sono qui! – esclamò
Knubbin, alzando un po’ troppo la voce. Mani bianche
afferrarono le sbarre, due
celle più a sinistra rispetto a quella del cavaliere.
– Sono lieto che quel
tesorino abbia mantenuto la promessa. Fate attenzione
all’incantesimo.
-
Quale incantesimo? – chiese
Uncino.
-
Quello che protegge queste
prigioni. Le cose sono un po’ cambiate da quando sono stato
imprigionato. –
Merlino stava valutando le celle con attenzione. – Le sbarre
sono protette. Un
incantesimo potente.
-
Puoi farcela? – chiese Azzurro.
-
Ehi! Ed io? – L’accento celtico
di quella voce stupì tutti quanti. Merida sporse la faccia
tra le sbarre. La
sua fitta massa di riccioli rossi era assai più ribelle
dell’ultima volta che
l’avevano vista, nel cerchio di pietre. Aveva gli occhi
segnati ed era
decisamente di pessimo umore. - Dovreste liberare anche me!
-
Merida? Che ci fai qui? –
domandò Azzurro.
-
Lunga storia! Ma dopo quello che
mi ha fatto vostra figlia... dovreste proprio tirarmi fuori.
-
Già. – disse Uncino. – Credo che
Emma vorrebbe che la liberassimo.
-
Certo. Perciò state indietro. –
Merlino allargò le braccia, puntando i palmi delle mani
verso le celle dei
prigionieri.
Merida
e Lancillotto arretrarono.
Il
mago chiuse i pugni di scatto e
le sbarre svanirono in una nuova, potente esplosione di luce. Poi
avanzò di
qualche passo e fece lo stesso con la cella di Knubbin, che
uscì incespicando.
Heathcliff gracchiò e si appollaiò sulla spalla
del padrone.
-
Meglio legarlo. Non vogliamo
problemi. – propose Uncino.
-
Sono d’accordo. – rispose
Merlino. Un istante dopo i polsi di Knubbin erano stretti
l’uno contro l’altro da
un paio di corde robuste e una benda nera gli copriva gli occhi.
-
Non ce n’era bisogno. A parte
che potevo farlo benissimo da solo... – commentò
Knubbin.
Da
qualche parte, vennero le voci
di altre guardie.
-
Usciamo da qui. – suggerì
Uncino, avviandosi lungo il corridoio.
-
No, aspettate! – gridò Merida. –
Artù ha il fuoco fatuo. Mi serve per liberare i miei
fratelli!
-
In questo momento quel fuoco
fatuo ti condurrebbe solo alla morte. – disse Merlino. Le
appoggiò una mano
sulla spalla. – Troveremo un altro modo per aiutare i tuoi
fratelli, vedrai.
-
Dov’è finita Belle? – domandò
Emma, mentre Killian si affrettava a legare Knubbin ad una sedia. Il
corvo
svolazzava per la tavola calda, gracchiando. Quando Killian strinse le
corde
dietro la schiena del mago, l’uccello piombò
giù in picchiata e cercò di
artigliargli i capelli, nonché di beccarlo in testa. Lui
agitò l’uncino per
scacciarlo.
-
Non lo so. – rispose Azzurro. –
Era in coda al gruppo con Merida. Ed ora...
-
Non c’è nemmeno quella regina
celtica. – osservò il pirata.
-
Non preoccupatevi. – intervenne
Merlino. – Merida non farà del male a Belle. Vuole
solo una mano per salvare i
suoi fratelli. E noi... non siamo stati collaborativi da questo punto
di vista.
-
Dove l’ha portata? – chiese
Uncino.
-
Nel suo regno. Belle tornerà,
vedrete.
-
Lo dici perché vedi il futuro?
Merlino
attese qualche istante
prima di rispondere. – Lo vedo a tratti, come già
sai. Ma sì, l’animo di Merida
è un animo giusto. Lei è una combattente. Il suo
regno ha bisogno di lei. Non
speravo che mi ascoltasse e lasciasse perdere.
-
Se tentasse di prendere il fuoco
fatuo... – cominciò Emma, ricordando lo spiritello
azzurrato che anche lei
aveva cercato di acciuffare.
-
No. Ha un altro piano. - Il tono
di Merlino sembrava rassicurante e fermo. - Per questo ha preso Belle.
Andrà
tutto bene.
-
E Lancillotto? – chiese Emma.
-
Ha raggiunto sua madre, la Dama
del Lago. Gli ho detto io di andare laggiù. Mi serviva un
messaggero.
-
Un messaggero ad Avalon? Perché?
-
Per quello che dobbiamo fare,
Emma. Vogliamo distruggere l’oscurità.
Dovrà essere tutto pronto per quel
momento.
Emma
fabbricava acchiappasogni. Le
sue dita erano sempre al lavoro. La sua mente si concentrava su
ciò che stava
facendo per evitare di ascoltare le voci. Il suo sguardo era fisso
sull’oggetto
che andava assumendo la propria forma.
Lily
non faceva che osservarla. O
più che osservarla... sembrava la tenesse
d’occhio. Era furiosa e naturalmente
non riusciva a nasconderlo.
-
Che cos’è successo fra Emma e
Lily? – domandò Regina, accostandosi a Malefica.
-
Vorrei tanto saperlo. – rispose
lei, guardando la figlia. Era contrita. – Gliel’ho
domandato, ma non ha voluto
parlarne.
-
E questo ti dispiace. – disse
Regina. In effetti, anche lei aveva bisogno di qualche spiegazione. Era
sicura
che Emma avesse liberato Merlino con una lacrima che si era procurata
prima di
tentare l’incantesimo con la sua. Forse aveva previsto che
non avrebbe
funzionato. E si era preparata di conseguenza. C’entrava
Lily? E se c’entrava
Lily, per quale motivo Emma non l’aveva messa al corrente?
Forse per non urtare
i suoi sentimenti, dicendole che il suo dolore non era abbastanza?
-
Faccio del mio meglio con mia
figlia. A volte credo che lei si fidi di me. –
continuò Malefica.
-
Ma a volte hai l’impressione che
ti sfugga.
-
Già.
-
Non stai sbagliando niente. Le
serve tempo. È cresciuta da sola per anni e credo... che non
sia abituata a
ricevere attenzioni da qualcuno.
Da
parte sua, Lily non aveva
potuto chiudere occhio, quella notte. Per un bel pezzo era rimasta
sveglia per
colpa dei pensieri che le mulinavano nella mente e la assillavano.
La
voce terribilmente sicura di Merlino, quella voce terribilmente certa,
proveniente da un’altra epoca:“Stai
contemplando una strada che non devi percorrere. E fai del male a te
stessa,
prima di farlo alle persone che ami. Puoi combattere
l’oscurità. Ma se continui
a credere di essere l’Anti Salvatrice, allora questo
sarà ciò che diventerai”.
“Ora
che Emma è
contaminata da un’oscurità molto più
grande, la tua... è diversa. Lo sai, vero?”
“Capirai
anche come
usare il tuo dono”.
Di
quale dono stava parlando? La magia?
E
quella voce si mescolava a quella di sua madre, che le diceva che un
po’ di
oscurità non la preoccupava. Ma soprattutto si mescolava
alla voce di Emma.
“Il
tuo dolore,
invece... è ancora molto reale. Per quanto tu sia andata
avanti, non sei mai
guarita. Perché nessuno ti ha aiutata a guarire. Ma
adesso... aiuterai me.
Libererai Merlino. E mi salverai”.
“Il
tuo dolore,
invece... è ancora molto reale”.
Emma
terminò un altro acchiappasogni. In disparte, Uncino la
scrutava, leggermente a
disagio. Persino Granny, ferma sulla porta del suo locale, la fissava.
Lily
la raggiunse, piazzandosi davanti a lei.
-
Finalmente. – disse Emma, senza nemmeno alzare lo sguardo.
Posò
l’acchiappasogni. – Pensavo avessi deciso di non
rivolgermi più la parola.
-
E sei così sorpresa? Dopo quello che hai fatto...
-
Quello che ho fatto è una cosa terribile, ma l’ho
fatto per liberare Merlino.
-
Beh, avresti potuto chiedere, prima. Invece hai preferito giocare con i
miei
ricordi. Ottimo lavoro... Oscuro. – Mise molta enfasi nella
parola Oscuro.
Emma
si alzò in piedi. Gli occhi di Lily, fissi nei suoi,
rimasero scuri e
lampeggianti. – Se hai voglia di discutere perché
non andiamo da un’altra
parte? Questa è una faccenda tra me e te.
Prima
che Lily potesse chiederle di cosa stesse parlando, Emma la prese per
un polso
e poi una nuvola di magia le avvolse, oscurando il mondo intorno a
loro. Quando
si dissolse, non erano più davanti al Granny’s.
Erano
nel bel mezzo della Foresta Incantata, in un punto in cui la
vegetazione
sembrava molto fitta e gli alberi i più alti e antichi che
Lily avesse mai
visto. Tuttavia, dove si trovavano, la natura si era aperta, formando
una
piccola radura. Al centro di essa c’era una piattaforma
circolare ricoperta di
simboli strani e indecifrabili.
-
Dove siamo? – domandò Lily.
-
Dove tutto per me è cominciato. - disse Emma, indicando la
piattaforma. Gettò
la testa all’indietro e contemplò gli sprazzi di
cielo tra le fronde. – È qui
che mi sono ritrovata, dopo essermi trasformata in Oscuro.
-
E perché diavolo siamo qui, adesso? - chiese Lily.
-
Qui ho cominciato a vederlo. – continuò Emma.
– Tremotino. O meglio... il
potere dentro di me che aveva assunto la sua forma.
-
Oh e cosa vorresti fare? Commuovermi? Parlarmi di quanto sia terribile
sentire
le voci e lottare contro l’oscurità? Di quanto sia
difficile resistere? – la
interruppe, in tono sprezzante. – Sono tutte cose che so.
-
Credo che tu non sappia nemmeno la metà delle cose che dici
di sapere. –
rispose Emma, ora decisamente alterata.
-
Questo è esattamente ciò che avrei detto io.
Brava, mia cara! – esclamò
Tremotino, in piedi sulla piattaforma.
Emma
lanciò un’occhiata all’Oscuro.
Lily
sganciò un cazzotto che la colpì in pieno viso,
spedendola a terra. Prima che
potesse rialzarsi, l’altra le fu addosso, a cavalcioni,
bloccandola in mezzo a
sterpi, foglie ed erba. Emma usò la magia per togliersela di
dosso. Lily venne
scaraventata sul prato, qualche metro più in lei. Cadde
vicino alla piattaforma.
Sopra le loro teste si assieparono nuvole nere e solcate dai lampi.
Proprio
come quel giorno, dopo l’inseguimento in auto. Solo che
stavolta erano più
pesanti. Più minacciose.
Lily
si rialzò; ciocche di capelli le pendevano sulla faccia e
stringeva i denti in
un ringhio animalesco. Emma vide i suoi occhi accendersi, diventare
gialli, ma
prima che potesse completare la trasformazione lei sollevò
una mano, come se
stesse stringendo l’aria e Lily si artigliò la
gola, avvertendo la morsa che
non le permetteva di respirare. Si sentì trascinata verso
l’Oscuro, che le
serrò il collo ancora per qualche istante e poi
allentò la presa per affondarle
una mano nel petto. Le dita abbracciarono il suo cuore pulsante e
strinsero.
Strinsero parecchio. Lily gridò, sconvolta dalla fitta di
dolore. Era un dolore
terribile, che le esplose in testa e sembrò divampare come
un incendio,
propagandosi ovunque.
Emma
fissò i suoi occhi in quelli di Lily, scorgendone ogni
singola sfumatura. Lily
vide la sua immagine riflessa in quelli di Emma, verdi e carichi come
non mai.
La
foresta perse la propria consistenza. Il mondo diventò
grigio nebbia. In quel
grigio Lily vide una serie di cose: lo sguardo argenteo di Murphy, il
suo corpo
abbandonato sull’asfalto dell’area di servizio,
vicino ai distributori di
benzina, vide se stessa colpirlo ripetutamente, vide il foro della
canna della
pistola del ragazzo un attimo prima che facesse fuoco e uccidesse
l’uomo che
avevano rapinato. Il nastro dei ricordi si stava riavvolgendo. E si
riavvolgeva
sempre più velocemente. Vide se stessa alla fermata
dell’autobus, con Emma. Due
ragazzine senza un posto dove andare.
“È
come se tutta la mia
vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più
luminosa”.
“Emma,
ti prego, non
lasciarmi sola. Ti sto supplicando. Ti prego, aiutami”.
“Non
mi va più di
aiutarti, Lily”.
Ancora.
Un po’ più indietro.
“Quando
la situazione
si calma, vieni a cercarmi. Scapperemo insieme”.
“Mi
hai presa in giro”,
“Mi
dispiace tanto. So
di aver mentito sulla mia famiglia. Ma per il resto ti ho sempre detto
la
verità. Io odio la mia casa. Io lì mi sento
invisibile. Sono proprio come te.
Davvero! Ero un’orfana finché questa famiglia mi
ha adottata. Quella non è casa
mia. Lo avevi promesso. Amiche per sempre. Qualsiasi cosa
accada”.
La
presa sul suo cuore sembrò diventare meno dolorosa. Poi la
mano di Emma strinse
di nuovo, più forte. Infine la liberò.
Caddero
tutte e due. Ansimavano, il respiro usciva sibilante dalle loro bocche.
Lily
si sdraiò sul prato, rivolgendo lo sguardo ai rami degli
alberi che si
protendevano sopra di lei.
Qualche
momento dopo sedevano tutte e due su un muretto di sassi, sul quale la
vegetazione aveva già iniziato ad arrampicarsi.
Stavano
in silenzio. Lily aveva scavato una buca nel terreno con il tacco dello
stivale, distrattamente. Emma guardò la propria mano, quella
che aveva quasi
disintegrato il cuore di Lily. Era scossa da un violento tremore. Il
tremito la
prese con una violenza tale da farla sentire impotente e terrorizzata.
Le ricordava
il tremito che aveva scosso Regina dopo l’immersione nel
passato per ottenere
la lacrima. Aveva l’impressione che dentro la sua testa si
attorcigliasse un
lungo, lunghissimo filo invisibile. Alla fine di quel filo
c’era un baratro.
Lei stava seguendo il filo, adesso, lo seguiva in fretta, un passo dopo
l’altro. Era suo, lo aveva voluto nel preciso istante in cui
aveva deciso di
salvare Regina. Lo aveva accettato ed ora il filo le imponeva di
arrivare alla
fine. Di arrivare al baratro nero.
-
Emma. – la chiamò Lily. La prese anche per le
spalle e la scosse. Prese la mano
tremante, stringendola fra le sue.
-
Sto... bene. – si sforzò di rispondere.
– Sì, sto bene.
Eppure
si lasciò andare contro Lily. Ricambiò la stretta
e si lasciò andare contro di
lei. Serrò le palpebre perché non voleva
guardarsi intorno e vedere ancora
Tremotino.
-
Mi dispiace... non volevo farlo. – disse, confusamente.
Lily
teneva il viso fra i suoi capelli. – Non l’hai
fatto.
-
Quando... quando sono arrivata qui, Tremotino mi ha detto che questa
è la
strada che percorrono tutti gli Oscuri. Mi ha detto che tutti cercano
di
resistere all’oscurità, ma nessuno ci riesce mai.
A
Lily parve che le parole di Emma stessero riecheggiando nelle sue
orecchie con
un fragore sinistro.
-
Io ho... gli ho detto che non avrei mai fatto del male alle persone che
amo.
Alle persone che mi amano. – Emma si scostò,
sollevando lo sguardo sgomento su
di lei. – Ma l’unico modo per fermare tutto
questo... è fermare me.
-
Merlino è libero, Emma. – le ricordò
Lily. – Lui ti aiuterà.
-
Può sul serio? Perché lui è convinto
che dipenda da lui, tanto quanto da me. Ed
io... non ne sono così sicura.
-
Non sei sicura di volertene liberare. – Non era una domanda.
-
È il potere. Ogni volta che uso la magia perdo una parte di
me. Ogni volte è
sempre peggio, eppure non riesco a fare a meno di usarla. È
diventato difficile
non farlo. È... – Emma si interruppe.
Levò la faccia paonazza verso l’alto,
come chi segue la traiettoria di un razzo. – La cosa... la
cosa dentro di me è
forte.
Lily
sapeva che cosa significava. Aveva ancora il cuore in subbuglio, ma il
furore
era sfumato. Vedere Emma così prostrata non le aveva
permesso di continuare ad
essere in collera con lei. Avrebbe voluto dirle che non doveva
preoccuparsi,
perché anche lei era forte. Avrebbe voluto dirle che lei era
la Salvatrice e
che si sarebbe sbarazzata di quell’oscurità,
sarebbe tornata ad essere quella
di prima. Ma non lo disse perché non sarebbe mai stata
abbastanza convincente.
-
Mi ripeto sempre che non cederò
all’oscurità. Però ho già
ceduto. Ho già ferito
te e volevo ferire mio figlio.
-
E avresti potuto uccidermi poco fa. Sarebbe stato facile. Eppure hai
deciso di
risparmiarmi. Come hai fatto... quando mi hai trovata. – Lily
riuscì a
sorridere. – Questo vuol dire che puoi vincere la tua
oscurità.
Fu
Emma a non rispondere, stavolta.
“Se
oltrepassi questo
confine, tornare sui tuoi passi non sarà facile. Credimi, io
lo so bene. Questo
è quello che Gold si aspetta da te. Quindi non
farlo”.
-
Mi sono fermata perché qualcuno mi ha fermata... –
disse, ricordando le parole di
Regina.
-
Ti saresti fermata comunque.
-
Non credo.
-
Regina ti ha dato una mano, va bene? Però la decisione
spettava a te. Se io
fossi stata al tuo posto avrei sparato. E un attimo fa ti avrei uccisa.
Ma tu
sei migliore di così.
“Emma,
sei migliore di
così”.
“Le
decisioni sbagliate
sono il mio destino. Coraggio, metti fine alle mie sofferenze. Tu sai
quanto me
che la mia vita non merita di essere salvata”.
-
So che a te piace pensare che non l’avrei fatto. –
riprese Lily. – Ma questa è
la mia vita. Avrei sparato.
-
Non ti conosci abbastanza. – replicò Emma.
-
Ah, no? Ho ucciso un uomo, un paio di anni fa. Un tizio che era stato
il mio
complice in una rapina.
-
L’ho visto.
-
L’hai visto?
-
Nei tuoi ricordi. Prima. Sì.
Lily
continuò. - L’ho ucciso perché non
aveva rispettato i piani. E sai una cosa?
Non mi stava minacciando, quando l’ho preso a calci.
L’ho ucciso perché ero
furiosa con lui e non ho fatto niente per controllarmi. L’ho
lasciato là, in
quell’area di servizio... e non me ne importa niente.
-
Anch’io ho ucciso qualcuno... prima di diventare
l’Oscuro.
-
Hai ucciso Crudelia, che era una pazza e voleva fare del male a tuo
figlio. Non
è la stessa cosa, Emma.
“Le
decisioni sbagliate
sono il mio destino”.
“Tu
sai quanto me che
la mia vita non merita di essere salvata”.
-
Volevi che ti sparassi? – domandò Emma.
Lily
rimase a lungo a fissarla.
-
Volevi essere fermata? È questo il punto?
-
Non avevo paura. Se mi avessi fermata, forse sarebbe stato meglio. Non
ho mai
preso una decisione giusta in vita mia. Mai. Ho sempre distrutto
qualsiasi
cosa.
-
Puoi ancora essere diversa da ciò che sei. Ora hai tua
madre. Lei può aiutarti
a controllare... l’oscurità. Ti aiuterà
a controllare i tuoi poteri. – Emma
appariva un po’ più rinfrancata, ora. Era ancora
pallida e con le ombre scure
che le segnavano gli occhi, ma la sua voce aveva riacquistato una certa
sicurezza.
-
Se non distruggerò anche lei... – disse Lily,
guardandosi le mani.
-
Non le farai del male. – Serrò di più
la sua mano.
-
Oh, davvero? Ne sei convinta perché vedi il futuro, come
Merlino?
-
No. Se sono capace di vedere il futuro, non ho ancora capito come si
fa. – Emma
sorrise. – Lo so perché ho fiducia in te. Un tempo
non ne ho avuta abbastanza e
ti ho respinta... me ne sono pentita. Però dopo... era
troppo tardi. Adesso
devi sapere che... che puoi farcela.
-
Allora devi crederci anche tu, Emma. Devi credere che Merlino possa
aiutarti.
Emma
le sfiorò gentilmente la spalla e assentì. Poi il
suo sguardo venne catturato
da qualcosa vicino agli stivali di Lily. – Guarda.
-
Che cosa?
Emma
colse il fiore bianco e glielo diede. – È un
giglio.
Perplessa,
Lily prese il fiore e lo tenne nel palmo della mano. Osservò
i petali candidi,
che assumevano una sfumatura gialla verso l’interno.
Il
profumo era dolce e intenso.
Artù
era ancora occupato ad elaborare un piano per sconfiggere la finta
Salvatrice e
ottenere il pugnale del mostro che aveva cercato per tutta la sua vita,
quando
Sir Morgan e una delle sue guardie entrarono nella sala della Tavola
Rotonda
trascinando con loro Zelena. La donna si dibatteva per sgusciare via
dalla
morsa dei due uomini, ma senza risultati.
-
L’abbiamo trovata che scorrazzava nei dintorni del castello,
Maestà. – disse
Sir Morgan.
Zelena
aprì la bocca per dire qualcosa, ma naturalmente non
uscì alcun suono.
-
È la serva della Regina Cattiva. – disse
Artù, con disprezzo. – Non può
parlare. Grif, portatele qualcosa in modo che possa scrivere.
Grif
si affrettò ad eseguire l’ordine del re e
tornò pochi istanti dopo, armato di
piuma, boccetta di inchiostro e pergamena. Artù
ordinò agli uomini di lasciarli
soli e, non appena se ne furono andati, Artù le
passò la pergamena. Zelena
prese a scrivere con una certa frenesia.
Tanto
per cominciare
non sono una serva. E non sono muta. È un incantesimo di
Regina, mia sorella.
Temeva che smascherassi l’Oscuro. Il mio nome è
Zelena e sono la Strega
dell’Ovest.
-
L’ovest? La Città di Smeraldo? – chiese
Artù, una mano che stringeva l’elsa di
Excalibur. – Ho sentito delle storie a riguardo...
Zelena
assentì, compiaciuta.
-
Se siete quella strega, perché non avete usato i vostri
poteri per liberarvi? –
domandò Artù, scettico e sospettoso. –
Dicono che siete molto potente, una
delle streghe più potenti che siano mai esistite.
Zelena
roteò gli occhi. Mostrò il bracciale nero. Poi
prese la pergamena e ricominciò
a scrivere.
Questo
dannato aggeggio
non mi permette di usare i miei poteri. Altrimenti Regina
l’avrei già sistemata
io. Mi tiene prigioniera. Se mi aiuterete, io aiuterò voi.
So che cosa volete.
Il pugnale. Volete ricomporre Excalibur. Ciò che voglio io
è tornare a Oz con
mio figlio. Regina intende portarmelo via e non posso permetterglielo.
Si è
sempre presa tutto, non può avere anche mio figlio.
Le
dita di Artù tamburellarono sul legno. Aveva sempre notato
il risentimento sul
volto di Zelena. Non aveva dato molta importanza alla cosa, proprio
perché gli
era sembrata innocua. Ma ora...
-
Dite che potete aiutarmi. Come? E
perché
dovrei fidarmi di voi?
Zelena
scarabocchiò sulla pergamena.
Abbiamo
un nemico
comune. Regina. E l’Oscuro. Diciamo tutta la banda di mia
sorella. Inoltre, se
volete ricomporre Excalibur, avrete certamente bisogno di una strega.
Avete già
un piano?
-
Ce l’ho. – ammise Artù. – So
cosa serve per ricomporla. La fiamma di Prometeo.
E Merlino sa dove trovarla. Ne sono sicuro.
Prendiamoci
questa
fiamma, dunque. Vi conviene collaborare con me. Potrei perfezionare il
vostro
piano.
-
Quello che voglio è difendere il mio regno. E tenere sotto
controllo Merlino. –
Artù si avvicinò a Zelena, scrutandola
attentamente. – So che in uno dei suoi
libri c’è un incantesimo che mi aiuterà
in questo senso. Se lo lego ad
Excalibur, farà esattamente ciò che gli
ordinerò.
Ecco
perché è
importante avere una strega a disposizione. Mi piace questo piano.
Portatemi il
libro con l’incantesimo e lo farò io. È
semplice.
-
E poi? Come mi aiuterete, poi?
Zelena
scrisse ancora, esponendogli il suo, di piano. Aveva avuto modo di
riflettere a
lungo, mentre recitava la parte della serva muta della finta
Salvatrice. Aveva
osservato. Aveva progettato diversi piani, aspettando
l’occasione migliore.
Alcuni di quei piani si erano rivelati troppo rischiosi, quindi li
aveva
scartati. Quello che aveva in mente aveva ben più
possibilità di successo.
-
Non si fideranno. – disse Artù.
Certo
che no. Ma non
avranno altra scelta. Regina farà quello che può
per impedirmi di pugnalarli
alle spalle. Ma lei mi sottovaluta sempre.
-
Sono curioso di sentire questa storia. La vostra e di vostra sorella,
intendo. Sento
che potrebbe interessarmi.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Mi ha battuta lealmente. – disse Merida, raggiungendo Emma
nei sotterranei.
Aveva le mani legate dietro la schiena. Belle e Gold erano con lei.
-
Iniziavo a preoccuparmi. – disse l’Oscuro, dando
loro le spalle. – Pensavo di
doverti trascinare qui con le mie mani.
-
No. Un eroe non scappa mai dai suoi problemi. – disse Gold,
appoggiandosi al
suo bastone. Parlava con più sicurezza, ora. Emma aveva
seguito il
combattimento fra lui e Merida con molto interesse. Da quando lui e la
sua
domestica si erano rifugiati nel negozio per sfuggire
all’arciera di DunBroch,
a quando Gold aveva avuto la brillante idea di uscire da Storybrooke e
scappare
dai problemi. Da quando Merida si era trasformata in orso mannaro
bevendo la
pozione che aveva preparato per lei a quando Gold l’aveva
affrontata per
salvare il suo grande amore. Aveva dimostrato di non essere un codardo
e di
voler combattere per l’unica donna che amava.
-
Ora, in qualità di ex Oscuro... so bene che non smetterai di
creare scompiglio
fino a quando non avrò estratto quella spada dalla roccia.
-
Bene. Vedo che finalmente ci capiamo.
-
E so anche che non resisterai ad un accordo. – aggiunse Gold.
Emma
notò con piacere che Gold poteva anche definirsi ex Oscuro,
ma permaneva
qualcosa del vecchio Tremotino, in lui.
-
Quindi... che ne dici se io estraggo Excalibur in cambio del cuore di
Merida? –
concluse Gold.
-
E i miei fratelli! Voglio sapere che ne è stato di loro.
– aggiunse la
burattina, impaziente. – E l’assassino di mio
padre...
-
Pensi davvero di essere nella posizione per stringere accordi?
– domandò
l’Oscuro, seguendolo con lo sguardo, mentre si approssimava
alla roccia.
-
È proprio ciò che penso, sì.
Emma
estrasse il cuore di Merida. Lo strinse nella mano destra, come aveva
fatto
molte altre volte. Lo serrò forte e dolorosamente.
-
Basta, la ucciderai! – esclamò Belle, venendo
avanti.
Attirò
Merida più vicina sé, la prese per il collo e
infine spinse il cuore nel suo
petto. Con poca delicatezza. – Non mi serviva più,
in ogni caso.
La
ragazza boccheggiò, senza fiato. Belle sciolse le corde che
le univano i polsi.
-
E i suoi fratelli? – chiese Gold.
-
Stanno bene. Sono sani e salvi, al fianco della loro adorata madre.
Adesso
sbrigati con quella spada! – gridò
l’Oscuro. – Il resto dell’accordo... dopo
che l’avrai estratta.
-
Un momento! – intervenne Belle. – Che succede se
non riesce ad estrarla?
-
Raccoglierai i suoi resti dal pavimento. Eri la sua domestica, una
volta, no? –
disse Emma, senza esitazioni. – Magari te li farò
anche mangiare, quei resti. Dipende
da quanto sarò arrabbiata.
Gold
non commentò e allungò una mano verso
l’elsa di Excalibur. Poi la ritrasse. –
Belle...
Emma
era stufa. Ne aveva abbastanza di contrattempi.
-
Nel caso in cui non funzioni... voglio che tu sappia che mi dispiace.
Per
tutto. Se potessi tornare indietro... farei in modo di essere
l’uomo che
meriti... fin dall’inizio.
Belle
non disse niente.
-
Cambierei tutto per te.
-
Certo, come se il suo vero amore fossi davvero tu. – disse
l’Oscuro, con un
sorrisetto. – Se ti fosse rimasto un po’ di sale in
zucca, lo sapresti.
-
Non è mai troppo tardi. – rispose Belle,
ignorandola.
Gold
assentì. Infine si rivolse alla spada nella roccia.
Allungò di nuovo la mano e
strinse l’elsa. La gemma rossa incastonata nel pomolo
lanciò un barbaglio
rosso, quasi una sorta di avvertimento. E Belle immaginò le
cose peggiori.
Immaginò le cose più tremende che, per un attimo,
divennero certezze: se Tremo
avesse cercato di estrarre Excalibur, il suo corpo sarebbe andato in
frantumi.
Lei si sarebbe gettata a terra e sarebbe rimasta così, con
le sue ceneri sotto
le ginocchia e tra le dita. Avrebbe davvero raccolto i suoi resti.
Urlando. Poi
sarebbero stati costretti a rinchiuderla in manicomio. O Emma
l’avrebbe uccisa
prima che qualcuno potesse trovarla.
Ma
quando Tremo tirò, l’arma uscì
facilmente dalla pietra, mostrando i disegni
neri sulla lama. Gold vide che non era completa e capì da
solo che cosa
mancava. Il pugnale. La osservò per qualche momento, colpito
dalla bellezza di
quella spada. Belle sorrise, decisamente sollevata.
-
Beh, un accordo è un accordo. – ammise Gold. La
gettò ai piedi di Emma, quasi
fosse un oggetto di scarso valore. – Dille
dell’uomo che ha assassinato suo
padre...
Emma
raccolse la spada da terra. – Artù.
-
Cosa? – rispose Merida.
-
Re Artù. È lui l’uomo che ha ucciso tuo
padre, trafiggendolo alle spalle. – Non
la guardava, mentre diceva questo. Guardava la spada. Rimirava la lunga
lama
ondulata e già immaginava il momento in cui
l’avrebbe riunita al pugnale.
-
Artù... – mormorò Merida. Non sapeva
dire se fosse più sconvolta o confusa. –
Perché? Perché avrebbe dovuto farlo?
-
L’accordo era che ti dicessi il nome dell’uomo che
l’ha ucciso, non il perché.
– rispose Emma. – Quello lo devi
capire da sola. Come ha detto l’ex Oscuro... un accordo
è un accordo.
-
Se non contiene una menzogna... – aggiunse Gold, mentre Belle
gli passava di
nuovo il bastone.
-
E perché mai dovrei mentire? Merida non mi serve
più. Può avere questo nome e
farne ciò che vuole, per quanto mi riguarda. – Le
sue dita sfiorarono gli
intarsi neri di Excalibur. – Ho ottenuto quello che volevo.
Se mi permetti un
consiglio, Merida... mi vendicherei. Camelot ha bisogno di un vero re.
Non di
un imbecille.
Regnò
il silenzio. Merida aveva gli occhi che sporgevano dalle orbite e il
cuore che
le martellava nel petto.
-
Avrai pure Excalibur... ma hai commesso un errore, un errore terribile.
– disse
Gold, accostandosi a lei.
-
Oh, e quale? – chiese Emma.
-
Mi hai trasformato in un eroe.
-
Ci sono eroi ovunque, in questa città. E nessuno di loro
è riuscito a fermarmi.
– gli fece notare.
-
Perché nessuno di loro... è me.
|
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Capitolo 11 *** 11. ***
11
Henry
entrò nella cripta di famiglia, pensoso e con
l’aria molto provata. Al centro
ribolliva il calderone nel quale andava gettata la Corona Cremisi, in
modo tale
da poter comunicare con Merlino. I suoi nonni e sua madre erano
lì, con Uncino.
-
Sei sicuro di volerlo fare? – domandò Regina.
-
Sto bene, mamma. – rispose Henry, risoluto.
-
Voglio dire, so che ne hai passate tante.
E
non è l’unico, aggiunse
fra sé.
“Si
vede che non hai capito nulla,
Regina. Io non intendevo uccidere Violet. E poi... visto che mi
paragoni a tua
madre... chissà che tutto questo non ti piaccia, in
fondo”.
“Tua
madre. Il tuo primo vero
amore. Il più infelice di tutti”.
-
La persona che voleva prendere il cuore di Violet... non è
mia madre. – rispose
Henry. – Ma Emma è ancora lì, da
qualche parte. E farò di tutto per riportarla
indietro.
Regina
non poté fare a meno di essere fiera di suo figlio.
Perché non perdeva mai la
speranza e la trasmetteva anche a lei.
-
Puoi farcela, ragazzo. – disse Uncino, dandogli la Corona
Cremisi.
Henry
prese il fungo e, senza esitazioni, lo gettò nel calderone.
Il
fumo bianco che ne fuoriusciva ribollì e si accese di
bagliori bluastri, per
poi proiettare l’immagine trasparente di un uomo con la pelle
scura e i capelli
molto corti e neri. Il suo sguardo era fisso, non sembrava rivolto a
nessuno in
particolare, come se non li vedesse.
-
Merlino? – chiese Henry. Si aspettava un uomo molto
più vecchio. Invece il mago
appariva giovane e robusto.
-
Se state ascoltando questo messaggio, purtroppo significa che la
situazione è
precipitata. – disse il mago.
-
Non è possibile. – commentò Regina,
incredula. – Stiamo ascoltando la
segreteria di Merlino?
-
Il pugnale dell’Oscuro è la parte mancante di
Excalibur. Un tempo erano
un’unica arma e c’è solo un modo per
riunirle. – continuò Merlino. – La
fiamma
di Prometeo.
David
aggrottò la fronte. – Cos’è
la fiamma di Prometeo?
-
Riunendole, distruggerete l’oscurità, ma Nimue...
– Non concluse la frase.
Udirono un rumore, l’eco di un tonfo, come una porta che
sbatte. Lo stesso che
costrinse il mago a voltarsi di scatto. Quando tornò a
rivolgersi ai
destinatari del messaggio, il suo volto era assillato dalla
preoccupazione. –
Maledizione, l’Oscuro mi ha già trovato...
L’ologramma
scomparve, risucchiato dai vapori del calderone. Tutti fecero un passo
indietro, colti alla sprovvista.
-
Che cosa diavolo gli ha fatto Emma? – domandò
Uncino.
-
Sai da dove nasce la magia, vero? – chiese Malefica.
-
Dalle emozioni. Sì. – rispose Lily.
-
Già. Devi alimentarla, la magia. Devi pensare ad un momento
che... ti fa
infuriare.
Erano
in un’altra zona della foresta. Malefica l’aveva
portata lì quella mattina,
pensando che fosse giusto che Lily imparasse a controllare il proprio
potere.
-
Beh, questo è facile. – disse sua figlia, con un
guizzo divertito negli occhi.
E
non poteva esserci davvero niente di più semplice. Aveva
l’imbarazzo della
scelta, in realtà, ma uno li superava tutti. Pensare a quei
due idioti che la
maledicevano e la bandivano, separandola da sua madre e costringendola
a vivere
una vita in un mondo che non era il suo, a vivere una vita della quale
non
aveva il minimo controllo.
Malefica
sollevò lo sguardo osservando sua figlia, mutata in drago.
La coda sradicò un
albero e dalle fauci esplose una violenta fiammata che
disegnò un sentiero
incandescente.
Si
affrettò ad intervenire. – Lily, ascoltami...
adesso devi spegnere la tua
rabbia. Devi contenerla, pensando ad un momento felice.
Al
drago occorse qualche istante per raccapezzarsi. Nella sua forma
più selvaggia Lily
si sentiva totalmente libera, potente, inarrestabile. Desiderava solo
levarsi
in volo. Avvertire il vento contro le scaglie nere che la ricoprivano.
Desiderava...
distruggere. Voleva il fuoco.
Voleva
alimentare non solo la rabbia, ma la fornace che le bruciava nel
ventre. Trovava
anche molto difficile raccogliere i pensieri e metterli in ordine.
Spegnere
la rabbia. Contenerla.
Malefica
fece qualche passo indietro e attese. L’avrebbe fermata, se
ce ne fosse stato
bisogno, ma intendeva darle la possibilità di controllare la
sua essenza.
Lily
ripiegò le grandi ali e il collo, come se si stesse
raggomitolando su se
stessa. Infine una densa nube nera l’avvolse completamente,
occultandola alla
sua vista. Quando disparve, Lily era sdraiata tra le foglie e respirava
a
fatica per l’incredibile sforzo che le era costato recuperare
la forma umana. Aveva
lo stomaco in rivolta e i muscoli ancora tesi, rigidi.
Malefica
si avvicinò e si chinò su di lei, appoggiandole
una mano sulla schiena. – Va
tutto bene, Lily. Sei stata brava.
Lei
si girò lentamente e sollevò il braccio, forse
per aggrapparsi a sua madre e
rimettersi in piedi.
Invece
accadde qualcos’altro.
Malefica
spiccò il volo, ma non come drago. Sospinta
all’indietro da un’onda magica
estremamente potente, cadde in malo modo. Un gomito batté
contro una pietra,
mandandole una fitta dolorosissima su per il braccio. Si
rotolò sull’erba, tenendosi
il gomito, ma scoprendo che poteva ancora flettere l’arto.
Ma
è stata lei?, pensò,
stupidamente. È stata davvero lei?
Lily
accorse, ma non le si accostò. Rimase a distanza.
– Mamma... mi dispiace, non
l’ho fatto apposta.
Malefica
si tirò su, togliendosi qualche ciocca di capelli dal viso.
La magia l’aveva
colta alla sprovvista, ma avrebbe dovuto aspettarselo. Notò
che Lily era
indietreggiata di più e adesso stava con la schiena
schiacciata contro un
tronco.
“Mamma”.
Si
rialzò in piedi, ignorando il dolore. – Non mi
sono fatta niente, Lily.
-
Forse... forse non dovresti insegnarmi... è troppo
pericoloso. – Si sentiva più
incontrollabile del solito. Non riusciva nemmeno a capire che cosa
fosse giusto
o sbagliato. Aveva ancora la mente confusa, intorpidita, come se la
trasformazione l’avesse caricata troppo ed ora il potere
stesse esplodendo in
tutte le direzioni.
-
Hai solo bisogno di essere guidata. – Malefica mosse qualche
passo verso di
lei, con cautela. – Ricordati che la magia nasce sempre dalle
emozioni. Puoi
controllarla. Dipende solo da te.
-
Io non so controllarmi... non ci sono mai riuscita. Lo sai!
-
Devi avere fiducia in te stessa, Lily. All’inizio
è sempre difficile...
-
No! Per me lo è sempre stato! Io faccio del male alle
persone che mi si avvicinano...
distruggo ogni cosa. È per questo che... – Trasse
un profondo respiro. Si girò
in là, perché non voleva guardare sua madre.
– Emma ha ragione.
-
Su cosa ha ragione? – Malefica era più vicina ora.
Avrebbe potuto allungare una
mano e toccarla, ma non voleva innervosirla ancora di più.
-
Sapere di aver fatto qualcosa di buono a Camelot... mi rassicurava. Non
ho mai
fatto scelte giuste. Ho sempre preso le decisioni sbagliate e anche se
non
erano sbagliate... mi si rivoltavano contro. Per questo non ti ho detto
niente...
Malefica
assentì. – Lo capisco, Lily. So perché
l’hai fatto.
Sembrava
che Lily avesse altre cose da dire, ma non lo fece. Le parve
più giovane e
stranamente innocente mentre girava la testa di scatto. Malefica
distese le
braccia e l’afferrò, stringendola a sé.
Sulle prime Lily s’irrigidì nel suo abbraccio,
ma subito dopo i muscoli si rilassarono e lei serrò le
palpebre, lasciando che
sua madre la confortasse.
Rimasero
così per un po’. Pian piano, Lily sentì
che stava recuperando il controllo di
sé. Poi si sciolse dall’abbraccio e sedette su un
tronco caduto.
-
Sai. – iniziò Malefica, sorridendo. – La
prima volta che mi sono trasformata...
ero più giovane di te e ho bruciato una parte della Foresta
Incantata.
Lily
emise un suono soffocato che sembrava una risata. –
Giovane... faccio fatica ad
immaginarti diversa da come sei adesso. Quando è successo?
Mille anni fa?
-
No... più o meno trecento, contando anche gli anni che ho
passato sottoterra.
-
Divertente. E... dopo aver bruciato un’intera foresta,
cos’hai fatto?
-
Non ho bruciato solo una foresta. Anche... delle persone.
Lily
tacque per qualche momento e pensò a Murphy, al suo stivale
che lo colpiva in
faccia, a quello che aveva pensato... sì, ricordava anche
ciò che aveva pensato
in quel momento, mentre lo uccideva.
“Mia
madre è un drago e se fosse
qui ti avrebbe già dilaniato”.
-
E se vuoi sapere cos’ho fatto... mi sono nascosta. Mi ci
è voluto un giorno
intero per recuperare le mie sembianze umane. –
continuò Malefica.
Lily
cercò di immaginarsi sua madre, un giovane drago fuori
controllo, che cercava
un modo per recuperare la forma umana senza fare del male a nessuno.
Cercava di
immaginarsela mentre sorvolava i cieli della Foresta Incantata,
ammirando per
la prima volta il mondo dall’alto. Mentre scopriva tutto il
suo potere.
Pensò
di parlarle del ragazzo che aveva abbandonato nell’area di
servizio. Voleva
farlo, ma non sapeva da dove cominciare.
-
Malefica!
Lily
vide Regina avvicinarsi a passo svelto. A giudicare dall’aria
corrucciata
doveva essere capitato qualcosa di serio. Malefica le andò
incontro.
-
Mi dispiace interrompervi. Ma dobbiamo parlare. – le disse
Regina, lanciando
un’occhiata a Lily. Abbassò leggermente la voce. -
Si tratta di Emma. E anche
di tua figlia.
Merida
si protese verso la biforcazione e si issò, arrancando su
per l’albero e
facendo piovere fiumi di corteccia sull’erba.
Puntò il ginocchio e, qualche
momento dopo, aveva un piede piantato nella biforcazione
dell’olmo. Quella
maledetta pianta non stava ferma un secondo; dondolava nel vento. Le
foglie
frusciavano e stormivano. Tuttavia, Merida si spinse in avanti, lungo
il ramo
che sembrava in grado di reggere il suo peso. Il ramo si abbassava, ma
non
appariva in procinto di spezzarsi.
Attraverso
uno spazio fra le fronde, la ragazza vide il punto in cui erano
accampati Artù
e i suoi uomini. C’erano tende un po’ ovunque,
cavalieri indaffarati in varie
attività, sentinelle ai margini dell’accampamento.
La visuale era molto buona,
nonostante la distanza. Non aveva potuto avvicinarsi più di
così.
“Re
Artù. È lui l’uomo che ha
ucciso tuo padre, trafiggendolo alle spalle”.
Quella
strega non aveva voluto dirle perché. Ma l’avrebbe
scoperto da sola. Certamente
lo sapeva già, solo che non ricordava. L’aveva
scoperto ed era andata a
cercarlo a Camelot, per questo, quando la maledizione era stata
lanciata, anche
lei si era fatta il viaggetto fino a Storybrooke.
Il
re in questione uscì dalla propria tenda, accompagnato dalla
moglie. Non era in
armatura. Aveva una spada agganciata al cinturone, ma indossava solo
una
camicia sotto la giubba di cuoio.
Una
delle sue frecce avrebbe potuto trapassarlo senza incontrare alcun
ostacolo.
Il
cuore le batteva con colpi lenti e pesanti.
“È
il mio arco da guerra. L’ho
usato quando ho combattuto la mia prima battaglia”, le aveva
detto Fergus, dandole
l’arco.
Merida
aveva sorriso, saggiandone
la corda e il legno.
“L’ho
tenuto perché lo avessi tu.
Perché lo usassi durante la tua prima battaglia”.
“Lo
stai regalando a me?”
“Sì”.
“Grazie,
papà”. Merida l’aveva
preso, stringendolo con ammirazione e riverenza. Così come
avrebbe potuto
tenere un oggetto sacro. “Come mai? Stai cercando di
indorarmi la pillola? Non
puoi nascondermi niente”.
“Ah!
Tua madre mi ha fatto
promettere di tenerti al sicuro... così ho assunto un
soldato perché ti
addestrasse nell’arte della guerra”.
Merida,
che stava provando la corda
della sua nuova arma, immaginando di incoccare una freccia e prendere
la mira,
si era sentita presa in giro. Dietro di lei il soldato aspettava con
indosso
l’armatura e la spada già in
pugno.“Credi che abbia bisogno di una balia che mi
insegni a combattere? Ti faccio vedere io...”
Aveva
davvero bisogno di una... balia, in effetti. Per questo Fergus aveva
chiamato
Mulan.
Poi
rivide la battaglia. Vide gli invasori. Vide suo padre gettarsi nella
mischia
insieme ai suoi soldati e falciare un nemico dopo l’altro.
Vide il cavaliere
avvicinarsi furtivo a Fergus e sollevare la spada per colpirlo. Vide se
stessa
in cima alla collina mentre incoccava la freccia. Non aveva tempo di
prendere
la mira. Il cavaliere era già troppo vicino e si preparava a
sferrare il
colpo...
E
la freccia l’aveva mancato, trapassandogli il mantello.
“Artù.
È lui l’uomo che ha ucciso
tuo padre, trafiggendolo alle spalle”.
Un
furore incandescente montò dentro di lei. Pazzesco! Non
poteva permettere a
quell’uomo di passarla liscia!
Cercò
a tentoni una delle frecce e, sfidando l’equilibrio precario
che si era
guadagnata, tese la corda del suo arco al massimo. Questa volta non
poteva
mancarlo. Questa volta...
“In
combattimento non vince il più
forte, ma il più furbo”, le aveva detto Mulan.
“La
nostra futura regina ha fatto
cadere la sua bambinaia. Peccato che non ci siano ragazze con cui
battersi sul
campo di battaglia”. Lord Macintosh, uno dei suoi
pretendenti, era parso molto
divertito dalla scena. Evidentemente non aveva mai visto due donne
combattere
con le spade.
“Perché
tu non sarai là?”
“Merida,
non ne vale la pena”.
“E
perché no? Posso prenderlo a
calci di fronte a tutti”.
Lord
Macintosh era un pallone
gonfiato. Molto più degli altri due pretendenti, MacGuffin e
Dingwall. Era
anche più alto di lei e decisamente più
muscoloso, con una zazzera di capelli
neri e l’aria spavalda. Fergus diceva che era uno dei
guerrieri più forti e
abili, ma Merida lo trovava insopportabile e pensava di poterlo
battere,
facendogli mangiare la polvere.
“Questo
è essere forti, non furbi.
Nessuno ti seguirà solo perché ha paura di
te”, aveva detto Mulan,
trascinandola via.
“Cosa
posso fare per farmi
seguire?”
“Questo
è il tuo popolo, non il
mio”.
Merida
rilasciò la corda e, con le mani che tremavano, ripose la
freccia nella
faretra. Artù uscì dalla linea di tiro, andando
incontro ad uno dei suoi
uomini, che si inchinò rispettosamente e gli disse qualcosa.
Il furore si era
ritirato momentaneamente, permettendole di ragionare. Mai in vita sua
si era
sentita così sola e staccata da tutto.
Ma
l’avrebbe affrontato. Avrebbe affrontato Artù in
un vero combattimento.
L’avrebbe sconfitto e gliel’avrebbe fatta pagare,
vendicando suo padre.
O
sarebbe morta provandoci.
-
Quindi la spada è stata estratta. – disse Regina.
Ancora non riusciva a
capacitarsene.
-
Sì. – confermò Belle, reggendosi al
braccio di Gold. – Ma ce l’ha Emma.
-
Abbiamo stipulato un accordo. – aggiunse Gold, appoggiando
una mano sulla
quella della moglie e sorridendo. – Io avrei estratto la
spada e lei avrebbe
restituito il cuore a Merida. L’ha rispettato. Del resto,
è un Oscuro, ora. Non
poteva resistere ad un accordo.
Nell’ufficio
del sindaco calò il silenzio. Un orologio ticchettava.
Regina
faticava a vedere il suo ex maestro nei panni dell’eroe in
grado di estrarre
una spada che avrebbe ucciso chiunque di loro. Date le cose
inspiegabili che
erano accadute fino a quel momento, non avrebbe dovuto essere
così sorpresa,
forse, ma si trattava di Gold. Si trattava dell’uomo che era
stata un Oscuro
per trecento anni. Si trattava del suo insegnante. Di colui che
l’aveva avviata
su quella strada, la strada che l’aveva condotta alla prima
maledizione.
-
Nonostante tu non sia più l’Oscuro, non ti
dispiace stipulare qualche accordo.
– osservò Uncino, sollevando un sopracciglio.
-
Ho fatto ciò che dovevo fare. Mi dispiace per la spada, ma
non avevo molta
scelta. Emma l’avrebbe presa comunque.
-
E adesso la forgerà. Di nuovo. – disse Regina.
-
Se ha ciò che le serve per forgiarla. Sì.
-
La fiamma di Prometeo.
-
Che cos’è la fiamma di Prometeo? –
domandò Belle, perplessa.
-
Emma non ne ha mai parlato? – chiese David.
-
No. Almeno non davanti a me. Ma non mi sorprende. I piani degli Oscuri
di
solito sono nascosti. – commentò Gold.
Regina
lo fissò, sbigottita.
-
Che cos’hai, Regina? – domandò lui.
-
Credo sia sorpresa di vederti nei panni dell’eroe.
– rispose Belle. – Del resto...
era disposta a lasciarti nelle mani dell’Oscuro.
-
Io non ero disposta a... – cominciò Regina,
alzando la voce. – Io dovevo...
“Si
vede che non hai capito nulla,
Regina”.
-
Pensare ad Emma. – le venne in aiuto Gold. – Ne
sono convinto. Occorreva darle
una chance. Emma è la priorità in questo momento.
“Si
vede che non hai capito nulla,
Regina”.
Che
qualcuno mi aiuti a capire,
allora. Aiutatemi a capire o andrò a finire in manicomio,
insieme a mia
sorella.
E
sarebbe stato d’aiuto anche trovare il modo di levarsi Emma
dalla testa. Di
levarsi tutto ciò che le aveva detto dalla testa.
-
Sta per uscirmi di bocca qualcosa che non mi sarei mai aspettato di
dire. –
intervenne Uncino. – Il Coccodrillo ha appena detto la cosa
giusta. Siamo sulla
stessa lunghezza d’onda.
-
So che è più giusto dare una chance ad Emma. Lei
era la Salvatrice. Inoltre... –
Gold si rivolse a Regina. – La signorina Swan ha salvato la
tua vita. Adesso lei
merita di essere salvata.
“Non
mi chiamare
‘signorina Swan’! Ne abbiamo passate
troppe”.
-
Ciò non significa che tu non lo meritassi. –
osservò Belle.
-
No, ma... io sono stato l’Oscuro per tanto tempo. Ho commesso
molte azioni riprovevoli.
Il fatto che non sia più quel genere d’uomo... non
mi assolve, giusto?
“Ci
deve essere un
altro modo!”
“Non
c’è. Hai faticato
troppo per vedere la tua felicità distrutta”.
Nessuno
rispose.
-
C’è un’altra cosa. – riprese
Belle. – Artù.
-
Lo sappiamo. – David si grattò la testa,
amareggiato. – Non è quello che
sembra. Non possiamo fidarci di lui. La Corona Scarlatta ci ha permesso
di
parlare con Merlino...
-
Quindi Merlino è...
-
Non sappiamo dove sia. – disse Regina. – Sappiamo
però che la fiamma di
Prometeo serve per ricongiungere le due lame. E che Artù ha
cercato di bruciare
la Corona. È stato tutto merito di Henry se abbiamo potuto
avere il messaggio
di Merlino.
Il
ragazzino arrossì leggermente, ma non disse nulla. Sorrise a
sua madre.
-
Emma non ha mai nominato nemmeno una certa... Nimue? – chiese
Mary Margaret. –
Merlino stava per dirci qualcosa di importante su di lei, nel
messaggio.
Gold
rifletté. Poi scosse il capo. - No. Mai.
***
Camelot.
Tre settimane prima della
maledizione.
-
Quindi potete farlo... – disse Azzurro. – Potete
riunire il pugnale ad
Excalibur e ricreare l’arma originale?
-
Lo spero. – rispose Merlino.
-
E potremo usarla per aiutare Emma. – concluse Neve.
-
Forse. Ma mi servono gli ingredienti per riunirla. E questa
sarà la mia
missione... con Emma. Da parte vostra ho bisogno...
-
Delle due lame. – concluse Regina, seduta ad uno dei tavoli
del Granny’s,
vicino a Robin.
-
Siamo praticamente in guerra. Prendere la spada di Artù non
sarà un’impresa
facile. – osservò il ladro.
-
Dato che vedete il futuro. – intervenne Uncino, seccato.
– Avete qualche
suggerimento da darci?
-
Il futuro non è... chiaro. Non lo è mai.
– rispose Merlino.
-
Certo che non lo è! Ci state mandando oltre le linee
nemiche, ma quando si
tratta di entrare nello specifico... è tutto poco chiaro,
vero? – gridò il
pirata, furibondo.
-
Tu hai un’idea migliore? – intervenne Lily,
anticipando Azzurro. – Perché se ce
l’hai, ti conviene condividerla, invece di restartene
lì a guardare Emma dalla
finestra.
-
Lily... – prese a dire Malefica.
Emma
era seduta su una roccia, davanti al Granny’s e fabbricava i
suoi acchiappasogni.
Da quando lei e Lily erano sparite nel nulla per andarsene
chissà dove non
aveva più detto una parola. Era molto
concentrata, nervosa e anche molto cupa. Le sue mani si muovevano
rapidamente,
mentre creavano la rete interna dell’oggetto magico.
-
Non sono io lo stregone qui! – replicò Uncino.
– Lui è quello che sa come
distruggere l’oscurità. Ma non ci sta aiutando per
niente. O per lo meno... io
non vedo come possa esserci utile, se non ci dà nemmeno
suggerimenti... lui che
vede tutto!
-
Almeno lui vede qualcosa. – continuò Lily.
– Tu non sei capace di vedere ad un
palmo dal tuo naso. A volte sembra che tu non sappia con chi hai a che
fare.
-
Con uno stregone che dice di sapere come aiutare Emma, ma non
è sicuro nemmeno
lui se funzionerà. Vuole portarla da qualche parte, a
prendere un ingrediente
segreto per riunire quelle maledette armi... ma non vuole dirci
né dove stanno
andando né cosa è necessario fare! Questo
è davvero il mago più potente del
reame? – Killian era realmente fuori di sé.
-
Non parlo solo di lui. Parlo di Emma. – lo interruppe Lily.
– Sei preoccupato
per lei e sai una cosa? Tutti lo siamo! Questa non è la tua
battaglia. Tu non
hai nemmeno la più vaga idea di che cosa voglia dire.
-
Credi davvero che non lo sappia? – Killian mosse qualche
passo verso Lily,
trafiggendola con i suoi occhi azzurri. Puntò
l’uncino contro di lei. – Ho
molti più anni di te, mutaforma. Ho viaggiato in lungo e in
largo e ho passato
secoli ad inseguire l’Oscuro, a cercare un modo per
liberarmene!
-
Io ho passato tutta la mia vita con il potenziale oscuro di Emma dentro
di me,
perché qualcuno aveva deciso di maledirmi. –
esclamò Lily, lanciando
un’occhiata a Neve e ad Azzurro. – Ci sono
parecchie persone che potrebbero
dirti quanto posso essere pericolosa.
-
Oh! Certo. Non lo metto in dubbio. Nel mio caso... ce ne sono decine.
Centinaia. Vedi questi anelli? Appartengono tutti a degli uomini che ho
ucciso.
Ecco, guarda. - Le mostrò un anello che portava
all’anulare, un grosso anello
con una pietra rossa. – Questo apparteneva ad un uomo di nome
Barnaby. Mi ha
chiamato Jones Mano Monca. L’ho ucciso davanti a sua moglie.
-
Senti, Uncino... – prese a dire Azzurro.
-
Ho una spada sulla mia nave. – continuò il pirata,
sempre fissando Lily. – Una
spada appartenuta ad un Bambino Sperduto
dell’Isolachenonc’è, che rispondeva
agli ordini di quel demonio di Pan. Il suo nome era Rufio. Abbiamo
combattuto.
E a lui è andata male. Ho preso la sua spada. Potrei
raccontarti altre storie
come questa o peggiori di questa. Storie oscure.
Lily
non era per niente sorpresa. – Io ho ucciso un uomo in un
area di servizio, un
paio di anni fa. L’ho preso a calci, gli ho spaccato la
testa, perché mi aveva
detto di fottermi. E poi l’ho lasciato là. Solo
poche ore prima avevamo
rapinato un tizio che il mio complice aveva ammazzato,
perché era scattato un
allarme. A me non è mai importato niente di quelle persone.
Ma mi importa di
Emma. Proprio come importa a te.
Malefica
guardò Lily, incapace di proferire una parola.
-
Tu non hai visto davvero l’oscurità di Emma. Sai
che esiste, vedi quanto è
difficile per lei, ma non l’hai percepita sul serio.
-
Tu sì, vero? Cos’è successo quando
Merlino è stato liberato? Dove siete state
tu ed Emma?
Zelena,
che aveva passato tutto il tempo sdraiata sul bancone, incapace di dire
la sua,
seguiva ora il tutto con molto interesse.
Lily
sorrise. – Ti piacerebbe saperlo. Evidentemente se Emma non
ti ha detto nulla,
non pensa che tu debba venirne a conoscenza. Non sono affari che ti
riguardano.
Uncino
sollevò un dito, pronto a ribattere, ma Regina ne aveva
abbastanza, per quanto
avesse apprezzato che il pirata ricevesse la sua dose di freddure.
-
Io credo – cominciò Regina. – Che questo
non sia il modo giusto di agire.
Quindi ora basta. Merlino porterà Emma nel posto in cui
troveranno
l’ingrediente che manca per riunire Excalibur e noi ci
occuperemo della spada
di Artù. Stare qui a discutere serve a ben poco. Dobbiamo
aiutare Emma.
-
Per una volta la Regina Cattiva non ha tutti i torti. –
rispose Lily. Ignorò
totalmente il pirata.
-
Già. So che cosa significa perdere qualcuno per colpa
dell’Oscuro. – confessò
Merlino, osservando Killian. – E so che l’amore
può aiutare. Se lo trovate.
Nessuno
rispose.
-
Parlerò ad Emma della missione. E partiremo il prima
possibile. – annunciò,
poi, il mago.
-
Bene. Intanto noi come entriamo nel castello? – chiese Lily.
Merlino
uscì, lasciando che parlassero liberamente di strategie
militari.
-
Dal cancello principale. - propose Azzurro. Dispiegò una
mappa che rappresentava
il castello di Artù e la zona circostante. –
Dobbiamo coglierli di sorpresa.
Lily
aggrottò la fronte. Zelena colpì la propria, di
fronte, con una manata. Si tirò
su.
-
Dopo quello che è successo, saranno sul chi va
là. È l’unica idea che ti è
venuta, principino? – chiese Malefica. –
È ovvio che dobbiamo usare un’altra
entrata. E che abbiamo bisogno di un diversivo.
-
Che diversivo? – chiese Uncino, ancora piuttosto nervoso.
-
Un drago. – disse Lily, semplicemente. – Un drago
che si occupi degli uomini sparsi
intorno alle mura e li tenga occupati. Il più a lungo
possibile. Quel drago
posso essere io.
-
No... – cominciò Malefica.
-
Sì, invece. – ribatté Regina, alzandosi
in piedi.
Malefica
la fissò, allibita.
-
Anche noi abbiamo bisogno di un drago. Un’arma in
più quando saremo dentro ci
farà comodo. – spiegò.
Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra.
Attraverso le
persiane vedeva Emma impegnata nel suo nuovo hobby. Distolse lo
sguardo.
-
È la seconda volta che siamo d’accordo. Inizio a
preoccuparmi. – commentò Lily.
-
Bene, signore, ma non abbiamo ancora capito come entrare. Il cancello
principale non è una buona idea. Saremo troppo esposti.
– disse Killian,
agitando il suo uncino.
-
Ho la magia. – disse Regina. – O te ne sei
dimenticato? Mi aprirò un varco. E
poi potrò comparire nelle stanze di Artù...
Zelena
emise un verso di sdegno, attirando l’attenzione dei
presenti.
-
Cosa c’è? – chiese Regina.
La
strega allargò le braccia.
-
Va bene. Se proprio devi fare una scenata, tanto vale che parli.
– Regina le
restituì la voce con un gesto della mano.
Zelena
si portò le mani alla gola, estasiata. – Oh! Oh,
finalmente. Che bello sentire
una voce ragionevole.
-
Sputa il rospo. – la invitò Regina. –
Cos’avevi in mente?
-
Penso che l’idea di usare un drago come diversivo non sia
affatto male, ma
quella di entrare nel castello dall’entrata principale sia
una mossa suicida. Bisogna
entrare nel castello senza farsi notare. Beh, il drago lo noteranno, ma
penseranno sia un attacco deliberato per spaventarli. Tuttavia,
capiranno
presto che si tratta solo di un diversivo.
-
Oh, e come evitiamo di farci notare? Usiamo un deltaplano? –
domandò Azzurro,
sarcastico. – O una fionda gigante?
-
Se Sir Sarcasmo mi lasciasse finire, ve lo direi. Dovete sapere che,
mentre
recitavo la parte dell’ancella muta di mia sorella, stavo
preparando la mia
fuga. – annunciò, come se fosse la faccenda
più normale del mondo.
-
Lo sapevo. – rispose Regina.
-
E ho trovato una via d’uscita. – precisò
Zelena. – Dato che so come uscire, so
anche come entrare.
-
E tu ci aiuterai? – chiese Regina, aspettandosi una trappola.
Era inevitabile che
ci fosse il tranello.
-
Ma certo. Perché tu aiuterai me. –
Mostrò il bracciale nero. – Rivoglio la mia
magia.
-
Finora non ho fatto altro che vedere Tremotino. Una voce nella mia
testa. –
disse Emma. – Ed ora vuoi che... incontri un altro Oscuro?
-
Sì. – disse Merlino, seduto sulla roccia accanto a
lei. Tra di loro, un mucchio
di acchiappasogni. – E non uno qualsiasi. Il primo Oscuro.
L’originale. Quello
che ha dato il via a tutto il male che è venuto dopo.
Il
piano era quello. Trovare la fiamma di Prometeo. Il suo calore aveva
forgiato
Excalibur un tempo ed ora quel calore poteva ricongiungere la spada
spezzata
alla sua parte mancante. Il pugnale. Ma Merlino era angosciato. Molto.
Il primo
Oscuro era lo stesso che l’aveva mutato in un albero,
strappandogli anche la
donna che amava. E se lo stregone più potente del reame era
angosciato, allora
la questione era molto seria.
-
Vinceremo? – chiese Emma.
Merlino
rifletté. – Vedo due strade davanti a noi, Emma.
In una, resisti al richiamo
dell’oscurità e quindi avremo successo.
Nell’altra, tu soccombi all’oscurità ed
io non faccio ritorno. Morirò.
-
Morirai? Ma come...?
-
L’immortalità ha le sue eccezioni. Un Oscuro
può uccidermi.
-
Ma non sarà lì. Non per davvero.
Si
accorse quasi subito di aver appena detto uno sciocchezza. Certo che ci
sarebbe
stato un Oscuro. Se lei non resisteva
all’oscurità, se il primo Signore Oscuro
la convinceva a sottomettersi al male, Merlino non avrebbe avuto
chance.
-
Lo farò io. Se tu muori... morirai perché io ti
ucciderò.
-
Se accadrà, vorrà dire che hai perso la tua
battaglia. Tutte le persone che ami
saranno alla mercé dell’Oscuro più
potente che sia mai esistito. Tu.
Emma
iniziava a capire quale fosse il prezzo da pagare. Incontrare il primo
Oscuro,
colui che era stato tutti gli Oscuri, compreso Tremotino, colui che era
anche
dentro di lei adesso, sarebbe stata dura. Sarebbe stato un lavoro
folle. Un
lavoro quasi impossibile. Il desiderio di cedere
all’oscurità sarebbe stato
enorme, avrebbe avuto un fascino senza precedenti.
-
Non voglio pressarti. – aggiunse Merlino, come se ce ne fosse
stato bisogno.
“Tutte
le persone che ami saranno
alla mercé dell’Oscuro più potente che
sia mai esistito. Tu”.
-
Tornerai presto? – domandò Lily, avvicinandosi al
pozzo, dove Emma sostava,
pronta per andarsene con Merlino.
-
Al tramonto, se tutto va bene.
-
Andrà bene.
Emma
sorrise. Lily notò che aveva qualcosa di nuovo, una collana
alla quale era
agganciato un anello. Di certo era un regalo di Uncino. Si
infilò una mano in
tasca, cercando il giglio che le aveva donato solo il giorno prima.
-
Piuttosto, fai attenzione. So che vuoi essere il... diversivo.
– le disse Emma.
– E so anche che non vedi l’ora di esserlo.
-
Pensa a ciò che ti fa arrabbiare di più per usare
il potere... poi pensa a
qualcosa che ti rende felice per controllarlo. –
declamò Lily. – Mia madre non
fa che ripetermelo.
-
Tieni stretti i tuoi pensieri felici, allora. Così
continuerai a volare. –
osservò Emma.
-
Non ne ho molti. Ma quei pochi non mi sfuggiranno di certo.
Istintivamente
Emma l’abbracciò. Lily ricambiò dopo un
momento, leggermente impacciata.
Regina
spostò gli occhi su di loro. Robin le stava dicendo
qualcosa, ma lei faticava a
seguire il discorso. Non avrebbe dovuto guardare, si sentiva come
un’intrusa,
eppure non poté fare a meno di osservarle.
Quando
si separarono, Emma si girò verso di lei e i loro sguardi si
incrociarono per
qualche istante. Regina lesse la paura negli occhi verdazzurri della
nuova
Oscura, ma anche la determinazione che era parte integrante del
carattere della
Salvatrice. La determinazione, la voglia di farcela, la tensione e il
desiderio
di porre fine a tutta quella storia. Ma sapeva che la lotta sarebbe
stata
all’ultimo sangue. Merlino non era stato molto chiaro sulla
missione, ma Regina
immaginava che Emma sarebbe potuta tornare cambiata. E a quel punto? Se
Emma,
al suo ritorno, si fosse rivelata solo un involucro contenente un altro
essere,
cosa avrebbe fatto lei?
“Io
ti ho salvata. Ora tu salva me.
E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro
sarà capace di
fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e
fare ciò che è
necessario. Distruggermi”.
Doveva
ucciderla, sì. Sperava con tutta se stessa di non essere
costretta ad arrivare
a quel punto, perché era sicura che affondare il pugnale nel
corpo di Emma le
avrebbe fatto saltare qualcosa nella mente. Se fosse stata costretta,
se Emma
si fosse dimostrata troppo pericolosa, Regina non si sarebbe fatta
ammorbidire né
da suppliche né da minacce, ma eseguendo ciò che
Emma le aveva chiesto, si
sarebbe trasformata a sua volta in un Oscuro. Non conosceva una via
alternativa. L’oscurità l’avrebbe
ripresa e qualcun altro avrebbe dovuto
prendere il pugnale e fermarla. Così si sarebbe creato un
girotondo da incubo.
Ed
Henry? Chi avrebbe pensato ad Henry?
Emma
staccò gli occhi dai suoi e raggiunse Merlino.
Lei
e il mago camminarono per un lungo tratto nella foresta. A mano a mano
che
proseguivano subentrava un senso di spazio. Il sentiero che stavano
percorrendo
si allargava, gli alberi diventavano più alti e vecchi.
-
Vuoi riposarti? – le chiese Merlino, ad un certo punto.
-
No. – rispose Emma. – Sto bene. Manca molto?
-
Non tanto. Tu vieni dietro a me; io la strada la conosco. Bisogna
procedere in
modo rapido e sicuro.
Emma
batté le palpebre. Più si inoltravano nella
foresta e si avvicinavano al luogo
in cui avrebbero dovuto incontrare il primo Oscuro, più
l’espressione di
Merlino si faceva rigida, ansiosa, scura. I suoi occhi saettavano qui e
là. Non
rallentò mai il passo e la sua voce non suonò mai
tremante o nervosa, ma Emma
lo sentiva. Sentiva il suo stato d’animo. Sentiva che tutti i
suoi pensieri
erano rivolti alla donna che aveva amato.
-
Sai, quando Tremotino è apparso per la prima volta, mi ha
detto che avrei
continuato a vederlo fino al momento in cui non avessi abbracciato i
miei
poteri. – disse Emma, non volendo andare avanti immersa nel
silenzio.
-
L’hai fatto? – chiese il mago.
Emma
si fermò, riflettendo.
“Vedi,
Lily, mi dispiace molto.
Avrei dovuto pensarci prima. Il dolore di Regina è... vero.
È un dolore
terribile. Ma potrebbe non essere sufficiente. Non posso correre questo
rischio. Non ho più tempo, ormai”
“Il
tuo dolore, invece... è ancora
molto reale”.
-
Ho fatto alcune cose malvagie, di recente.
Merlino
attese il resto.
-
Ho ferito una persona a cui tengo. Lily. La lacrima che ti ha
liberato... era
sua. Ed io l’ho presa con la forza, sfruttando i miei poteri.
– gli spiegò. – E
se ci penso bene... mi è piaciuto farlo. Per questo mi sento
in colpa: mi è
anche piaciuto usare il mio potere. Questo vuol dire che
l’oscurità sta
vincendo.
Merlino
non la smentì. Si limitò a tacere.
-
Ma c’è ancora speranza, no? –
continuò Emma. – Se mi stai portando a cercare
questa scintilla... significa che credi ci sia ancora speranza...
-
La speranza c’è sempre. – rispose
Merlino, sorridendo comprensivo. – Ed è
lassù.
Erano
arrivati ai piedi di un pendio molto ripido, cosparso di pietre e
alberi.
E
c’era una forza là intorno, sì. Ora
Emma la percepiva.
-
È molto in alto. – commentò.
-
Possiamo farcela. – disse Merlino. – La domanda
è: scenderò?
Senza
aspettare la sua risposta, il mago si spostò un
po’ sulla sinistra e iniziò la
scalata. Non si inerpicava. Non si arrampicava come chi procede lungo
un
versante roccioso, ma saliva semplicemente, quasi i suoi piedi stessero
affrontando una serie di gradini. Procedeva come chi sa quale
sarà il suo
prossimo passo. Non guardava indietro e non cercava punti di appoggio.
Emma
cercò di seguirlo con la stesse tranquillità,
sebbene le ultime parole di
Merlino l’avessero terrorizzata. Il primo Oscuro la aspettava
in cima a quella
salita. Il primo. L’originario. Era là apposta per
trascinarla nelle tenebre. E
costringerla a porre fine alla vita millenaria di Merlino.
“Se
mi stai portando a cercare
questa scintilla... significa che credi ci sia ancora
speranza...”
Pensò
a suo figlio Henry. Pensò a Lily, destinata a fare da
diversivo mentre gli
altri penetravano nella dimora di Artù. Pensò a
Regina, a quando le aveva
consegnato spontaneamente il pugnale perché la salvasse o la
distruggesse, se
fosse stato necessario. E se lei avesse ucciso Merlino, diventando il
Signore
Oscuro più potente mai esistito... Regina sarebbe riuscita a
fermarla prima che
spazzasse via tutto?
Deve.
Regina deve fermarmi.
Quando
giunse in cima, Merlino tese il braccio e la aiutò a
raggiungere la meta.
-
Come va, Emma? – chiese il mago.
-
Benissimo. – rispose lei, forse con un po’ troppo
enfasi.
-
Guarda, ci siamo.
Le
nebbie si aggiravano tra i vecchi alberi spogli che li circondavano e
lì il
sole non arrivava. Erano su una sorta di piattaforma, disseminata di
ciottoli e
grosse pietre, in mezzo alla quale faceva bella mostra di sé
un’antica
struttura in mattoni semidistrutta, sulla quale si era arrampicata la
vegetazione. Appariva come un posto desolato, abbandonato da tantissimo
tempo.
Un posto adatto agli spettri e che ospitava brutti ricordi.
In
quello che doveva essere stato il suo centro c’era un altare.
-
Questa struttura segna il luogo del furto di Prometeo. –
spiegò Merlino,
approssimandosi ad essa. – La fiamma rubata bruciò
per molto tempo, abbastanza
a lungo perché Excalibur potesse essere forgiata e spezzata
qui.
Vi
fu una breve pausa, mentre Emma osservava l’edificio
crollato.
-
Qui è anche dove il primo Oscuro uccise Nimue. La donna che
amavo.
Emma
sapeva di aver sentito quel nome da qualche altra parte, forse in
qualche
versione della storia di Camelot diffusa nel suo mondo. Ma non ci si
soffermò
troppo. – Cos’è successo alla fiamma?
-
Il primo Oscuro l’ha presa. È ancora in suo
possesso, sotto forma di un pezzo
di carbone con la fiamma che arde in esso.
-
Quindi lo devo prendere. Bene. Cominciamo. – Non voleva
perdere altro tempo,
quindi aspettò che Merlino le dicesse cosa fare.
Lui,
invece, le diede il pugnale.
Emma
lo afferrò subito. – Te l’ha dato la mia
famiglia?
-
Non ho chiesto il permesso. – mormorò Merlino.
– Ma ti serve quel potere per chiamare
il primo Oscuro, per tornare indietro, all’origine della
magia oscura.
Il
pugnale le spedì una scossa lungo il braccio. La scossa
mutò, diventando un
formicolio intenso e costante.
-
Formicola. – commentò Emma, con voce rauca. Il
cuore aveva preso a battere
forte. Il potere la stava invitando. Lo avvertiva intorno a
sé. Era vivente. Immenso. –
Sento come... tante formiche
sul braccio. È sicuro?
-
Certo che no. – rispose Merlino. – Ti ho appena
consegnato il pugnale. Il tuo
potere non ha più freni e potresti uccidermi anche ora.
Richiama gli Oscuri,
Emma.
Nell’aria
greve di umidità tutto taceva. Sembrava che il luogo la
stesse aspettando. Che
aspettasse una sua mossa per ridestarsi.
-
Ferma l’oscurità, prima che ti consumi.
– sussurrò a se stessa, mentre sollevava
il pugnale. Si rese a malapena conto di averlo detto, di aver
pronunciato una
frase che Regina aveva detto a lei.
Richiama
gli Oscuri, pensò.
Richiamali.
Tremotino.
Zoso. Gorgon.
Tremotino.
Il
nome sulla lama del pugnale mutò. Il suo sparì,
risucchiato verso l’alto per
lasciare posto a quello del precedente Oscuro, ancora in coma a
Storybrooke. La
sua mente, a margine, pensò alla slot machine di un
casinò. Nello stesso
momento sentì vibrare sotto di sé il terreno
antico. Ebbe l’impressione di
udire il rumore di rami calpestati e di vegetazione schiacciata da
inimmaginabili piedi, ma forse era tutto nella sua testa.
Zoso.
Una
fugace immagine le passò davanti agli occhi. Quella di un
uomo alto, dai
lineamenti sgradevoli, indelicati, gli occhi accesi e la pelle
verdognola
com’era stata quella di Tremotino.
Gorgon.
Rivide
l’enorme cinghiale sputa fuoco e le sue orecchie sentirono il
possente ruggito
della belva.
Il
pugnale sussurrava. I nomi correvano veloci, le lettere si confondevano
e il
pugnale sussurrava. Mille voci si assieparono nel suo cervello,
farfugliavano
parole incomprensibili, ma intriganti. Lei non staccava gli occhi dalla
lama.
Rothbart.
Il
nuovo nome brillò sul pugnale per qualche momento. Lei
scorse la faccia
ghignante di un uomo munito di folti baffi rossi, con il capo in parte
celato
dal cappucce nero della tunica. Riuscì a vedere una parte
del suo viso... le
vene gonfie e verdastre che lo solcavano.
Cornelius.
Richiama
gli Oscuri. Chiama il
primo Oscuro.
Emma
si morse un labbro quasi a sangue mentre osservava l’ennesimo
nome. Cornelius
era un uomo immenso. Nella visione indossava un’armatura, ad
eccezione delle
braccia, che erano muscolose e nude. Il volto era nascosto dietro una
maschera
a forma di teschio con corna di cervo.
Indietro,
ancora più indietro.
Molto di più.
Tremotino.
Zoso. Gorgon.
La
magia ha sempre un prezzo.
Rothbart.
Cornelius.
Tremotino.
Zoso. Gorgon. Rothbart.
Cornelius.
Emma
Swan.
-
È solo nella mia testa. – mormorò,
chiedendosi anche da dove venisse il fiato
per parlare. Il suo corpo era una massa formicolante. La sua testa era
una
scatola piena di sussurri, di sibili. L’oscurità
le danzava dentro e si librava
ovunque, senza darle tregua. – È solo nella mia
testa.
Nella
mia testa. Solo nella mia
testa.
Sussultò
quando scorse il primo Oscuro in piedi davanti a lei, una figura
avvolta nella
tunica nera, che era simile a quella che aveva addosso lei quando era
giunta
nella Foresta Incantata, dopo la trasformazione. Non lo vide in faccia,
poiché
portava la maschera dorata che aveva già visto il giorno in
cui aveva frugato
nei ricordi di Merlino con l’acchiappasogni.
-
Ce l’hai fatta. – disse Merlino.
-
Lo vedi anche tu? – domandò Emma, senza
distogliere lo sguardo.
-
Sì. Il potere ha i suoi vantaggi. – Nella voce di
Merlino c’era qualcosa di
indefinibile. C’era angoscia. Moltissima. Sembrava che stesse
tremando. – E non
è un lui.
Emma
si girò di scatto verso il mago. Poi abbassò gli
occhi sul pugnale e vide il
nome impresso sulla lama. Il primo Oscuro.
Nimue.
Vi
fu un suono, una risata acuta che terminava in un singhiozzo.
Seguì un breve
silenzio, poi la risata si ripeté, simile ad uno stridulo
gridolino maniacale
che raggelava il sangue.
“Qui
è anche dove il primo Oscuro
uccise Nimue. La donna che amavo”.
“Tu
l’hai distrutta. Ed ora io
distruggerò te”.
Emma
ebbe un’altra, fugace visione. Una giovane donna con una
folta chioma di
capelli scuri, il viso cosparso di efelidi, gli occhi molto chiari che
risaltavano per via della carnagione olivastra. Era bella e il suo
volto era
dolce e luminoso.
La
donna davanti a lei si tolse la maschera. Sotto il cappuccio della
tunica Emma
vide il viso di colei che Merlino aveva amato, colei che
l’aveva intrappolato
per centinaia di anni. Si abbassò il cappuccio, gettandoselo
sulle spalle. La
sua pelle era verde e viscida come quella di un rettile e i capelli
erano
raccolti in una crocchia.
-
Nimue. – disse Emma.
-
Sì. – rispose il primo Oscuro, osservandola. Gli
occhi erano altrettanto verdi,
ma era una sfumatura diversa rispetto al colore della pelle. Erano
grandi, le
iridi occupavano quasi tutta la sclera. – Io sono Nimue. E tu
sei Emma. Che
bello. Il primo Oscuro e l’ultimo... qui, insieme, come
sorelle.
-
Ha senso. – si rese conto Emma. – Tu hai ucciso la
donna che amava, perché ha
ucciso la donna che eri. Perché non me l’hai detto?
Merlino
trovava difficile dominarsi. Evitava di guardare in faccia Nimue, ma
era
prostrato. Quando parlò, la voce era intrisa di sofferenza,
le ricordò la voce
nelle memorie rievocate con l’acchiappasogni. – Te
l’ho detto. Questa creatura
è il primo Oscuro, non la donna che amavo.
-
Da quanto tempo, Merlino... – disse Nimue, insinuante.
– Più di settecento
anni. Sapevi che prima o poi sarebbe successo. Che ci saremmo rivisti.
Cosa
fai, non mi guardi nemmeno?
I
suoi occhi avevano un potere, Emma lo percepiva chiaramente.
Merlino
sollevò i suoi. – Ho pensato a te... ogni giorno.
-
E nel tuo ultimo giorno, io sarò il tuo ultimo pensiero.
Poetico! – Nimue si
scagliò in avanti per colpire il mago ed Emma intervenne
istintivamente,
spingendolo via con la magia.
-
Perché stai facendo questo? Tu lo amavi! –
gridò.
-
Anche quando ami qualcuno, devi essere capace di dire ‘no!
Questo è mio. Non
potete portarmelo via!’ – Nimue si rivolse a lei.
Lo sguardo, ora, bruciava di
rabbia. Era dilatato e la fissava con implacabile concentrazione.
– E se non ti
ascoltano, se cercano di impedirti di essere te stessa... allora non
hai
scelta. Li devi uccidere.
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
“...se
non ti ascoltano, se cercano
di impedirti di essere te stessa...”
La
voce di sua madre, che poi sollevava il pugnale per controllarla, per
impedirle
di uccidere Merida: “Non possiamo
permettere che lo faccia”.
Regina:“Io sono la Salvatrice. Sono colei che
libererà Merlino”.
“Questo
è mio. Non potete
portarmelo via”.
-
E tu lo stai facendo. – aggiunse Nimue, ormai vicinissima a
lei. Era come
Tremotino. Come le voci nella sua testa. Solo molto più
forte. Più persuasiva.
Penetrava più in fondo. Possedeva quella spaventosa
attrattiva, quel sinistro
scintillio. Quel fascino. – Uccidi Merlino e ricomponi
Excalibur. Ma non per
distruggere l’oscurità. Ricomponila e uccidilo per
prendere ciò che ti
appartiene di diritto. Il potere. Diventa ciò che desideri.
Non permettere a
nessuno di controllarti.
-
Non voglio essere questo... non voglio fargli del male. –
balbettò confusamente
Emma. – Non è... non è giusto.
L’oscurità... non la desidero.
-
Invece sì. Tutti gli Oscuri la desiderano. Noi siamo questo. – Nimue
allargò le braccia. – Le persone che ami sono solo
un impedimento. Un tempo... un tempo Merlino voleva fermarmi. Voleva
impedirmi
di... prendermi ciò che meritavo. Ovvero la vendetta.
Emma
venne trascinata in un gorgo allucinante di immagini. Vide
l’uomo che aveva
portato la maschera dorata prima di lei. Un signore barbaro di nome
Vortigan.
Il nome lo conobbe all’istante, perché Nimue le
stava trasmettendo tutte le sue
memorie. Vortigan aveva un volto terribile, una faccia spigolosa e
brutale,
costellata di cicatrici.
-
Oh, sì. Vortigan. Lui uccise la mia gente e distrusse il mio
villaggio. Li
uccise senza pietà. – Nimue scoprì i
denti in una smorfia animalesca. Ora
sembrava stesse ringhiando. Merlino era ancora bloccato a terra. -
Quando ho
avuto il suo cuore nelle mie mani... Merlino ha cercato di fermarmi.
Voleva che
lo risparmiassi! Voleva che risparmiasse l’uomo che aveva
rovinato la mia vita!
Non poteva farlo. Tu lo capisci, vero Emma? Rispondi.
L’avresti risparmiato? Avresti
risparmiato l’uomo che si era preso la tua casa e la tua
famiglia? Che ti aveva
lasciato con un maledetto pugno di semi?
-
No... – mormorò Emma. No, certo che no. Se
qualcuno avesse fatto del male ad
Henry o alla sua famiglia... non sarebbe mai sopravvissuto.
L’avrebbe preso e
fatto a pezzi. Perché lei era l’Oscuro.
-
Ho disintegrato il cuore di Vortigan e tu farai lo stesso con quello di
Merlino. Uccidilo. Adesso! Fallo!
Prima
che potesse rendersene conto, Emma si mosse in avanti e fu addosso a
Merlino.
Lo bloccò al suolo, afferrandolo per il collo. E iniziando a
stringere.
-
Bene. – disse Azzurro, sbirciando attraverso la cancellata
che bloccava
l’accesso segreto alla dimora di Artù. La
galleria, secondo Zelena, avrebbe
dovuto condurli proprio nel cortile interno. Non c’erano
guardie nei dintorni e
non c’erano perché l’ingresso era
protetto da un incantesimo. – Dovrebbe andare
nella direzione giusta. Forse il tuo suggerimento è utile.
Per ora.
-
Grazie. – rispose Zelena.
-
E se ci conducesse da un’altra parte? – intervenne
Lily, approssimandosi
all’entrata. – Per esempio, dalle guardie di
Artù... oppure il tunnel potrebbe
finire dritto in un pozzo senza fondo.
Regina
osservava le sbarre che li separavano dalla galleria. Poteva anche
essere una
trappola, Lily aveva ragione. Ed era già la terza volta che
era d’accordo con
quella ragazza. Ma Regina pensava anche a Merlino e a dove diavolo
avesse
portato Emma. Si chiedeva che cosa sarebbe accaduto una volta terminata
quella
parte della missione. Ma soprattutto pensava... agli occhi di Emma un
attimo prima
di seguire il mago. Pensava al modo in cui l’aveva guardata
dopo aver
abbracciato Lily. Regina sapeva che quella sarebbe potuta essere
l’ultima volta
che vedeva Emma... integra. Ancora in sé. Quello sarebbe
potuto essere l’ultimo
sguardo. L’ultimo sguardo di Emma così come
l’aveva conosciuta. Non voleva
soffermarsi su una simile idea.
-
Hai intenzione di restare lì a sognare ancora per molto,
sorellina, oppure vuoi
togliermi questo dannato affare? – Zelena le mise sotto il
naso il bracciale
nero, costringendola a riscuotersi.
-
Stavo riflettendo sul piano. – rispose, senza esitazioni.
– Sai, è vero.
Potrebbe essere una trappola. Conoscendoti, sarebbe strano se non lo
fosse. Se
riusciremo ad uscire sani e salvi con la spada, allora ne riparleremo.
Zelena
le rivolse un’occhiata furibonda.
-
Mary Margaret... ti dispiace tenerla d’occhio? –
domandò Regina.
-
Oh, con piacere. – rispose Neve. – Potremmo
chiacchierare e scambiarci
consigli sulla
gravidanza.
-
Santo cielo! – esclamò Zelena, roteando gli occhi.
– Questo è molto peggio che
essere rinchiuse in una cella!
-
Lily. – intervenne Malefica. – Tocca a te.
Lei
annuì. Si allontanò dalla cancellata e guardo in
su, guardò il cielo coperto.
-
Ricorda quello che ti ho detto. – disse sua madre,
appoggiandole una mano sul
viso. – Puoi controllarlo. Dipende dalle tue emozioni.
-
Certo.
-
Se posso permettermi un consiglio, limitati a spaventarli e a tenerli
occupati.
Non uccidere nessuno. – disse Regina. - E non avvicinarti
troppo alle mura,
Artù potrebbe avere qualche arma segreta che non conosciamo.
-
Non ho bisogno di questi consigli. Non sei mica mia madre. –
ribatté Lily,
seccamente. Era tesa e più scontrosa del solito.
Beh,
grazie al cielo, pensò
Regina, evitando di replicare.
-
Che peccato. – commentò, invece, Zelena,
enormemente divertita, nonostante
fosse appena stata tagliata fuori. - A me non dispiacerebbe avere una
nipote
così.
Regina
si sforzò di non usare la magia contro di lei e
roteò gli occhi. Malefica non
diede retta alla strega e assentì, rivolta alla figlia.
Lily
inspirò a fondo.
Posso
controllarlo.
“Pensa
a ciò che ti fa arrabbiare
di più per usare il potere... poi pensa a qualcosa che ti
rende felice per
controllarlo”.
“Tieni
stretti i tuoi pensieri
felici, allora. E continuerai a volare”.
Lily
si trasformò in drago. Spalancò le ali non appena
la nuvola viola che l’aveva
avvolta disparve e puntò gli occhi accesi nella loro
direzione. Malefica
sorrise.
-
Andiamo a prenderci la spada. – annunciò Regina,
voltandosi di nuovo verso
l’ingresso, mentre l’amica di Emma si sollevava in
volo, pronta a dare del filo
da torcere agli uomini di Artù. Con un gesto della mano,
fece sparire la
cancellata e lasciò che Azzurro e Uncino sguainassero le
spade e aprissero la
strada agli altri.
Il
drago fece un giro largo intorno al castello, prima di piombare su di
esso.
Attirò l’attenzione delle guardie di
Artù disposte sui camminamenti e creò una
considerevole confusione.
-
Al riparo! – urlò una delle guardie, quando Lily
aprì le fauci.
La
prima fiammata costrinse tutti a ritirarsi dietro le murature e a
sollevare gli
scudi per proteggersi dal calore. Uno stendardo sul quale era tessuto
il
simbolo del re su sfondo rosso prese fuoco e la finestra di una
torretta
esplose verso l’esterno. Quando il drago si
allontanò, gli arcieri incoccarono
le frecce e presero la mira. Lily si precipitò di nuovo
contro di loro e i
cavalieri scoccarono. Una pioggia di punte acuminate si diresse verso
il drago,
che virò per evitarle. Una di esse si conficcò in
una zampa, ma non ci fece
caso. Nemmeno se ne accorse.
Sir
Morgan, il padre di Violet, estrasse la sua spada. –
Mantenete le posizioni!
Nella
sala della Tavola Rotonda, Artù udì il possente
ruggito della belva e vide la
luce arancione delle fiamme illuminare una delle finestre. Nella sua
mente
riecheggiò la profezia nefasta di quel maledetto stregone.
“Vedo
l’ombra infinita
approssimarsi a Camulodunum
L’infante
figlio del drago porta
con sé una stella...”
Grif
aprì le porte e si precipitò dentro, paonazzo e
terrorizzato. – Sire...
-
Che cosa sta succedendo?!
-
Il drago. È qui... è là fuori! Il
drago... – Grif era senza fiato. Non ce la
faceva a parlare. Aveva una ferita aperta sulla fronte e stava
sanguinando.
-
Dì ai miei uomini di andare sui camminamenti! Tutti gli
uomini che riesci a
trovare devono andare lassù e tenere a bada quella creatura!
– gridò Artù,
mentre sfogliava rapidamente le pagine di un libro di magia, posato
sulla
Tavola Rotonda. – Io me la caverò da solo!
-
Sire...
-
Muoviti, imbecille!
Grif
si affrettò a fare ciò che il re gli aveva
chiesto.
“Che
l’oscurità trovi la sua
via...”
Fissò
l’incantesimo di cui aveva bisogno, impresso sulla carta
ingiallita.
“...
dal grembo materno a un altro
dell’inferno...”
Artù
udì un altro suono, che non era più un ruggito,
ma uno strillo acuto, un grido
stridulo che gli raggelò il sangue nelle vene. Guardando
fuori vide il drago
nero passare davanti alla finestra.
“Vedo
l’ombra infinita
approssimarsi a Camulodunum...”
-
Non ci riuscirete. – disse Artù. – Di
questo potete starne certi. Morirete. Di
voi rimarranno solo le ossa.
“Non
pensare nemmeno di togliere la
magia a qualcuno... o l’immortalità”.
Emma
emerse da una visione in cui Nimue era appena diventata il primo
Signore Oscuro
dopo aver distrutto il cuore di Vortigan. L’ultima immagine
le mostrò la donna
amata da Merlino che spezzava la spada, scaraventandola contro
l’altare.
Continuava
a stringere il collo del mago, che boccheggiava sotto di lei, gli occhi
fuori
dalle orbite, il terrore ancora impresso sul viso. Lo teneva inchiodato
a terra
e la forza che scaturiva dal suo corpo la faceva sentire
incredibilmente viva e
potente.
-
Siamo una cosa sola, adesso. – disse Nimue. –
Dobbiamo distruggere quello che
ci minaccia. Distruggiamo Merlino!
-
Emma... ti prego. – la supplicò Merlino, con voce
strozzata.
Nimue
la raggiunse. – Finisci il lavoro. Non abbiamo più
tempo. Non la senti, Emma?
-
Questa... non sono io! – disse, eppure non poteva lasciarlo
andare. Serrò di
più la presa. Avvertì chiaramente i battiti
accelerati del cuore dell’uomo.
-
Sì che sei tu! Siamo noi! – esclamò
Nimue. Si accucciò accanto a lei. – Siamo
noi, Emma.
“Siamo
noi”.
Io
sono Nimue.
-
Non ascoltarla... – disse ancora Merlino.
-
Vuole ricomporre una spada che mi distruggerà. Che ci
distruggerà!
-
Puoi controllarlo, Emma. – riprese Merlino, agitando le mani,
annaspando.
-
No, Emma. Lui non capisce. Non capisce cosa significa avere il potere!
– Nimue
ora era alla sua sinistra. – Lo puoi sentire, Emma! Puoi
sentire il potere e
anche l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot!
Io la vedo! E tu? Tu la vedi?
L’ombra?
Emma
non capì di quale ombra stesse parlando. Le uniche ombre
erano quelle che
percepiva intorno a lei. Dentro di lei. Le uniche ombre erano quelle
che
l’avrebbero corrotta se non avesse lasciato subito andare
Merlino.
“Uccidi
Merlino e riunisci
Excalibur. Ma non per distruggere l’oscurità.
Riuniscila e uccidilo per
prendere ciò che ti appartiene di diritto. Il potere.
Diventa ciò che desideri.
Non permettere a nessuno di controllarti”.
-
Se non lo uccidi adesso, perderai i tuoi poteri! –
continuò Nimue, la voce
simile ad un tuono. – Perderai tutto!
“Uccidi
Merlino...”
“Non
permettere a nessuno di
controllarti”.
-
Uccidere... ti porta sulla strada oscura. –
gorgogliò Merlino. Stava per
perdere conoscenza. Non poteva più respirare, ormai.
“Lo
puoi sentire, Emma! Puoi
sentire il potere e anche l’ombra!”
Quale
ombra? Quale?
-
No, Emma, vuol dire avere il potere! Il potere che ti serve per
proteggere te
stessa e le persone che ami! – replicò Nimue.
-
Lascia vincere... la luce. – riuscì a dire
Merlino.
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
-
Uccidilo! – urlò Nimue, furibonda. –
Uccidilo! Non tornare ad essere il niente
che eri prima!
Per
Emma l’ultima tessera del mosaico andò a posto.
Clic. In maniera perfetta.
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
“Sei
qui perché è il tuo destino.
Restituirai a tutti il lieto fine”.
“La
smetti con queste
stupidaggini?”.
“Ma
tu sei la Salvatrice, no? Tu
sei superiore a tutto questo”.
“Tutta
la mia vita è stata oscura e
tu lo sai bene. Non sarà mai come la cosa che si
è impossessata di te... ma mi
ha fatto fare delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi.
L’Oscuro sta
facendo lo stesso con te. Se lo ascolti, perderai il
controllo”.
-
Io non sono nessuno! –
gridò Emma.
Quasi non riconobbe il suono alterato e quasi agghiacciante della sua
stessa
voce. – Non puoi dirmi che sono nessuno,
perché non è vero! Il potere di cui parli... non
mi serve!
Nimue
indietreggiò quando Emma lasciò Merlino e
puntò il pugnale contro di lei. Il
nome del primo Oscuro cedette il posto al suo. Di nuovo.
Emma
Swan
-
Ora io mi prenderò quella fiamma. E tu mi lascerai fare.
– disse. Allungò una
mano e il pezzo di carbone incandescente abbandonò il corpo
di Nimue come un piccolo
cuore pulsante. Emma lo osservò, sul palmo della sua mano.
-
La scintilla di cui hai bisogno è lì dentro.
– ammise Nimue, senza tuttavia
staccare gli occhi dai suoi. Anche se era stata sconfitta, continuava
ad avere
un potere enorme. A fatica poteva sostenerlo ed ignorarlo. –
Ma quella spada
può fare più di una sola cosa... e
l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra è
già
sopra di noi. Io... non sono ancora morta, fanciulla.
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
-
Di quale ombra parli? Non c’è nessun ombra! Non ci
sarà mai! – disse Emma,
stringendo i denti e tenendo alto il pugnale.
-
Oh, sì, invece! – rispose Nimue. – Ed io
ci sarò quando avrai bisogno di me. Io
sarò... esattamente qui!
Emma
non distolse gli occhi, mentre Nimue toccava la sua fronte con la punta
dell’indice. Era fredda. Glaciale, persino. Viscida.
Poi
Nimue scomparve, lasciandola sola con la fiamma di Prometeo.
“Ed
io ci sarò quando avrai bisogno
di me. Io sarò... esattamente qui”.
Merlino
si rialzò e la raggiunse, guardando la scintilla. Sorrise.
– Ce l’hai fatta.
-
Sì. L’ho fatto.
-
Come ci si sente? – le domandò. – Come
ci si sente ad aver scelto il giusto
cammino?
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra
è già sopra di noi. Io... non
sono ancora morta, fanciulla”.
Spossata.
Ecco come si sentiva. Spossata. Con le ginocchia deboli e il cuore in
tumulto. Si
sentiva sollevata, certo. Piena di speranza, perché ora
capiva che Merlino
aveva ragione. Che Lily aveva ragione. Anche Regina aveva ragione.
Poteva
fermare l’oscurità.
“Io...
non sono ancora morta,
fanciulla”.
-
Onestamente, Merlino... – rispose Emma. – Mi
sento... molto bene.
***
Storybrooke.
Oggi.
L’infermiera
sollevò il coperchio e le mostrò il suo pranzo,
un orribile piatto di broccoli
verdi e altri vegetali non meglio identificati. Naturalmente. Poteva
aspettarsi
qualcosa di meglio?
-
Porti via questa roba! – esclamò Zelena,
inorridita. – E dica a mia sorella che
di questo passo mio figlio nascerà con la pelle verde. Non
credo che le farebbe
piacere!
La
donna non disse più niente. Non le veniva più
così vicino dopo quello che era
successo il giorno della fuga. E le conveniva. Se ne andò
senza dire una
parola.
Zelena
sospirò, contrariata.
-
Credimi. Se c’è qualcuno che sa che cosa vuol dire
essere incinta... quella
sono io. – Emma Swan era apparsa nella sua cella come se
fosse stata una
normale visitatrice. Sorrideva, inguaiata nei suoi abiti in pelle nera.
-
L’Oscuro! Quale onore... a cosa devo questa visita?
– chiese Zelena, divertita.
-
Sono qui per una bella chiacchierata.
Accordo.
Sento odore di accordo, pensò
la strega dell’Ovest.
-
Non sono dell’umore giusto. – rispose.
Emma
sparì in una nuvola grigiastra, portandosela dietro.
Una
volta a casa sua, Zelena la osservò armeggiare con un paio
di sacchetti dai
quali usciva un odorino niente male. Emma li aprì ed
estrasse gli anelli di
cipolla avvolti nella carta stagnola, proprio quello che desiderava. Il
suo stomaco
gorgogliò.
-
Oh, beh... diciamo che ora potrei avere voglia di ascoltare.
– Prese il
sacchetto, si accomodò su una delle seggiole e
addentò subito uno degli anelli.
– Allora... in quali guai hai intenzione di cacciarti?
-
Prima riempiti la pancia. Si parla e si riflette meglio con lo stomaco
pieno. –
rispose l’Oscuro. – Sai, si prendono le decisioni
migliori.
-
E prendere le persone per la gola è la nuova arma segreta
dell’Oscuro?
-
Lascia che sia io a decidere.
Gli
occhi azzurri di Zelena la scrutarono. Non fece altre domande e si
limitò a
mangiarsi i suoi anelli, uno dietro l’altro, senza
interruzione. Era da un bel
pezzo che non mangiava così bene ed era sicura che suo
figlio approvasse tanto
quanto lei.
Acchiappò
l’ultimo anello e quasi le dispiacque che non ce ne fossero
altri.
-
Mangiati pure tutto. – disse Emma, che non si era mossa di un
millimetro. – Gli
Oscuri non giudicano.
Zelena
si rigirò tra le dita l’anello e poi lo
gettò sulla carta stagnola. –
Nonostante le grasse leccornie, so che questa non è una
normale chiacchierata.
Che cosa vuoi?
-
Diretta. Mi piace. Dà un’occhiata. –
Emma sollevò una mano e in essa comparve
la bacchetta magica che aveva usato per aprire il portale qualche
settimana
prima.
-
La bacchetta dell’Apprendista. Allora?
-
Tu e Lily siete le uniche in questa città ad essere state in
grado di usarla e ad
essere sopravvissute per raccontarlo. – osservò
l’Oscuro, sedendosi a sua volta
e accavallando le gambe.
-
Oh, sì, in effetti. Grazie per l’apprezzamento.
-
Ho un piano. Ma ho bisogno di un piccolo aiuto.
Zelena
rise, deliziata. – Ma davvero? Non vedo l’ora di
sentire cos’hai da offrirmi in
cambio!
-
La tua libertà. – Emma lo disse come se fosse la
cosa più ovvia del mondo. – E
la mia protezione contro Regina o chiunque abbia intenzione di farti
del male.
-
Protezione contro Regina. – ripeté Zelena.
– Che bella offerta. Deve averti
propria fatta arrabbiare, a Camelot. Credevo che foste... amiche.
Emma
non rispose.
-Tipico
degli Oscuri. Accordi su accordi. Poco originale. Ma la cosa
più divertente è
sapere che volevi strappare il cuore di una ragazzina per spezzare
quello di
tuo figlio! Grandioso! Oscurità di livello superiore!
Emma
sorrise. – Credi di poter giudicare gli altri dopo tutto
quello che hai fatto?
-
No. – ammise Zelena, con una smorfia. – Ma avendo
subìto il tradimento di una
madre, so bene che quel risentimento non se ne andrà mai.
Anche se tu alla fine
non l’hai fatto... avevi comunque un piano diabolico in
mente... quello che non
sono riuscita a capire è come hai fatto a liberare Merlino.
Le voci mi sono
arrivate fino ad un certo punto, sai...
-
Non sono affari che ti riguardano.
-
Tuo figlio non ti perdonerà in ogni caso. Nemmeno per aver
pensato di sfruttare
la sua sofferenza. Certe cose... non si dimenticano mai. E non possono
essere
perdonate.
-
Io non credo.
Zelena
si sporse in avanti. – Sono responsabile della morte di Neal.
Che ne dici di
darci un bacio e fare pace?
-
Abbiamo un accordo o no? – Emma scandì le parole
come se si stesse rivolgendo a
qualcuno che non era in grado di capire la sua lingua.
-
Ho già abbastanza problemi. Non ho bisogno dei tuoi. Sto
cercando di voltare
pagina. – Si portò una mano al ventre. –
E con il piccolo in arrivo... non
vorrei ritrovarmi tra i piedi qualcuno che potrebbe avere una pessima
influenza.
Ma grazie per lo spuntino... se è tutto... vorrei tornare
nella mia cella.
Emma
non si scompose più di tanto. In realtà sentiva
una risata folle montarle
dentro. Riuscì a soffocarla. – Hai bisogno di
un’alleata in questa città. Forse
non ora, ma presto sì. E tornerai da me a firmare
l’accordo. So che ti
piacciono gli Oscuri. Hai avuto qualche bel momento con uno di loro in
passato...
-
Non sei il mio tipo. – rispose Zelena. – E poi...
c’è una differenza tra me e
te. A me non importa restare da sola.
“Tuo figlio non ti perdonerà in
ogni caso. Nemmeno per aver pensato di sfruttare la sua sofferenza.
Certe
cose... non si dimenticano mai. E non possono essere
perdonate”.
-
L’incontro con Zelena è andato meglio di quanto
sperassi. – osservò Tremotino.
– Starà pensando di avere la situazione in pugno e
si sentirà fiera di non aver
bisogno di un accordo con te... ma se avesse gustato meglio quegli
anelli...
Emma
non gli diede retta e posò Excalibur sulla roccia, proprio
accanto al pugnale.
-
Fallo. – disse Tremotino. – È giunta
l’ora.
-
Perché non mi lasci stare?
-
E come potremmo farlo? Stiamo per assistere ad un momento... storico.
Già,
come possono farlo? Loro sono
sempre qui. Io sono loro. Loro sono me. Io sono Nimue. Tutti noi lo
siamo.
Nimue
apparve davanti alla cella alle cui sbarre lei aveva legato Gold. Era
senza
maschera e con il cappuccio nero sul capo. Il viso verdastro era in
ombra, ma
gli occhi scintillavano come strane gemme. Il cancello alle sue spalle
era
aperto, una specie di bocca pronta ad accogliere chiunque avesse voluto
partecipare. – Di solito gli occhi di Tremotino bastano, ma
volevo
assolutamente vederlo con i miei.
-
Hai cercato di fermarmi a Camelot. – disse Emma.
-
Allora c’era la seria possibilità che usassi
Excalibur per distruggere
l’oscurità. Ma adesso... puoi soffocare la luce.
Siamo fieri di te. Tutti noi
lo siamo.
Sussurri
ed echi risuonarono nei sotterranei. Le voci ripetevano le parole di
Nimue come
una nenia. Gli Oscuri incappucciati, con occhi di brace e i lineamenti
indistinguibili si fecero avanti.
Tutti
noi. Tutti noi. Tutti noi.
“Adesso
puoi soffocare la luce”.
Tutti
noi. Tutti noi. Tutti noi.
Emma
andò a prendere il cofanetto che conteneva la fiamma di
Prometeo, lo aprì e da
esso scaturì una piccola scintilla arancione, che
l’Oscuro guidò perché si
posasse sulla roccia.
Tutti
noi. Tutti noi. Tutti noi.
La
fiamma esplose verso l’alto ed Emma la controllò,
trasformandola in una sfera
di fuoco, che racchiuse nelle sue stesse mani e poi liberò.
La fiamma divenne
un cerchio di luce sospeso in aria.
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina”.
Infine
Emma prese Excalibur e il pugnale e congiunse la metà
spezzata della spada con
la lama ondulata dell’arma che portava il suo nome.
Excalibur
fu di nuovo ciò che era
stata un tempo. Una spada. Una vera spada. La lunga lama risplendette
come se
fosse appena stata forgiata. La gemma incastonata nel pomolo
brillò, sanguigna.
Era
meravigliosa. Invitante. Il
desiderio di toccarla era potente.
Emma
allungò una mano verso l’elsa,
ma si fermò. – Merlino.
Un
ricordo si fece strada nella sua
mente. Veniva da lontano. Era il ricordo di una bambina che si era
infilata di
nascosto in un cinema in cui trasmettevano “La spada nella
roccia”. Allora non
era niente di più di quello. Un cartone animato. Merlino era
un mago simpatico
con il cappello blu e la barba bianca. Artù era un ragazzino
biondo chiamato
Semola. Era una storia. Non c’era niente di vero. La
realtà era che lei era una
bambina abbandonata dai genitori, che viveva in casa famiglia e ogni
tanto
veniva affidata a delle persone.
Poi
era arrivata la maschera.
“Non
farlo. Lascia stare la spada,
Emma”.
Non
aveva capito, naturalmente.
Quella stranezza era andata perduta e lei non ci aveva più
pensato, fino a
quando non aveva rivisto Merlino a Camelot.
Nimue
la fissò, chiedendosi perché
stesse esitando.
-
Quando ero piccola mi ha detto di
non farlo. – disse l’Oscuro.
-
E adesso sei una donna. – rispose
Nimue.
-
Prendi il potere. – disse Tremotino.
La
nenia riprese. Le voci
ricominciarono a parlare tutte insieme.
“Prendi
il potere. Prendi il
potere”.
“Non
permettere a nessuno di
controllarti”.
Emma
prese Excalibur.
Lily
riemerse dall’incubo con gli occhi fuori dalle orbite e la
lingua inconsapevolmente
serrata tra i denti. Il cuore le balzò in petto come un
pupazzo a sorpresa
impazzito.
-
Lily? – Malefica la prese per le spalle e la scosse.
-
La spada... – mormorò lei.
“Prendi
il potere”.
“Adesso...
puoi soffocare la luce.
Siamo fieri di te. Tutti noi lo siamo”.
Malefica
le scostò i capelli che le era ricaduti davanti alla faccia.
– Che cosa è
successo? Non facevo altro che chiamarti e non rispondevi...
-
Emma... lei... è la spada. Excalibur. – Cercava di
formulare una frase logica,
ma la sua testa era ancora piena di sussurri, di bisbigli, del volto di
Nimue
ombreggiato dal cappuccio, di Tremotino che diceva ad Emma di prendere
il
potere, di tutti quegli occhi che la guardavano. Che guardavano Emma.
-
Excalibur? Di che cosa parli?
-
Ha forgiato la spada. – riuscì a dire. –
Il pugnale ed Excalibur sono stati
riuniti.
____________________
Angolo
autrice:
Hello (from the other side).
Allora,
scusate per il capitolo lunghissimo. Qualche precisazione:
Nimue
dice che sono passati settecento anni dall’ultima volta che
ha visto Merlino (e
non cinquecento come specificato nella serie). Non è un
errore. Ho aumentato la
distanza temporale apposta, perché ritengo che cinquecento
anni tra l’epoca di
Nimue e quella di Artù siano veramente troppo pochi,
considerando che Tremotino
è stato l’Oscuro per centinaia di anni.
Mi
sono inventati i nomi di alcuni Oscuri:
Rothbart
è il malvagio stregone che minaccia il trono di re Guglielmo
(il padre di
Odette) nel film d’animazione L’Incantesimo
del Lago.
Cornelius
è un personaggio del film Disney Taron
e
la pentola magica. Cornelius
è il sovrano
dei morti, un re-stregone che vive oltre la morte fisica grazie al suo
potere. Mi
sembrava adatto per ricoprire il ruolo di Oscuro.
|
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Capitolo 12 *** 12. ***
12
Uncino
e Azzurro giunsero alla fine del tunnel, che si apriva proprio sul
cortile
interno del castello. Non c’erano molti soldati, in giro.
Erano tutti impegnati
a tenere a bada Lily sulle mura, evidentemente.
-
State indietro. – disse Killian.
Due
uomini del re stavano trasportando un calderone fumante. Si diressero
verso le
scale e salirono, senza accorgersi di nulla.
-
Quello sarebbe per noi? – chiese Robin, riferendosi al
calderone.
-
Non credo ci piacerebbe scoprirlo. – rispose Regina.
Da
fuori giunse il possente ruggito del drago. Malefica, che seguiva il
gruppo,
sollevò la testa e rimase per qualche istante in ascolto.
Regina vide la
scintilla di angoscia che passava negli occhi celesti di lei e
l’afferrò per il
polso.
-
Lily ce la farà. – le disse, imprimendo sicurezza
nella propria voce. – Ma noi
dobbiamo muoverci.
-
Perché ho permesso che lo facesse? –
domandò Malefica, parlando più a se stessa
che a Regina. – Che razza di madre sono? Io dovrei
proteggerla, non mandarla là
fuori ad affrontare tutto da sola! È stata da sola per tutta
la vita.
-
Siamo in guerra, Malefica. - Regina le prese la mano, serrandola fra le
sue. La
fissò con espressione franca, limpida. - Ed è
stata una scelta di Lily. Non
potevi fermarla.
-
Invece sì! Avrei dovuto...
-
Tu hai fatto tutto il possibile per tua figlia! Lily... è
forte. Non si
avvicinerà troppo alle mura e si limiterà a
spaventare gli uomini di Artù per
tenerli occupati. Andrà bene.
Sì,
andrà bene, si
ripeté Regina. Deve andare bene. La
fortuna ci deve assistere. O sarà tutto inutile. Non solo
per Lily ma anche per
Emma.
-
Andiamo. – disse Uncino.
-
Cos’è successo dopo che Nimue è
diventata l’Oscuro? – domandò Emma,
mentre lei
e Merlino ripercorrevano il sentiero che li aveva condotti nel luogo in
cui
aveva affrontato l’Oscuro originario.
-
Io e il mio Apprendista ci siamo assicurati che la spada fosse al
sicuro. –
rispose lui. Aveva un’aria decisamente provata. Gli occhi
erano rossi e
segnati. Sulla gola stavano comparendo i primi lividi. I lividi
lasciati dalla
sua stretta quasi mortale. – Ho lanciato un incantesimo
quando l’ho riposta
nella roccia. Solo il vero re di Camelot avrebbe potuto estrarla.
-
Artù.
-
Lui... non è diventato l’uomo che mi aspettavo.
– Merlino scosse il capo,
rammaricato. – Poi... ho creato il pugnale. Ho legato lo
spirito di Nimue ad
esso in modo da poterla controllare. Ma alla fine me l’ha
sottratto.
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra
è già sopra di noi. Io... non
sono ancora morta, fanciulla”.
-Ti
ha imprigionato nell’albero. – riprese Emma,
cercando di non pensare più alla
voce di Nimue. – Lei indossava la maschera, allora.
-
Sì. Ha preso la maschera indossata dall’uomo che
le ha causato tanto dolore.
“Vortigan.
Lui uccise la mia gente
e distrusse il mio villaggio. Li uccise senza
pietà”.
-
È più facile convivere con
l’oscurità se la mascheri con la vendetta.
“Siamo
una cosa sola, adesso.
Dobbiamo distruggere quello che ci minaccia. Distruggiamo
Merlino!”
-
Sapevo che avevi il cuore spezzato. – disse Emma,
appoggiandogli una mano sulla
spalla e costringendolo a fermarsi. – Ma ora so anche... che
Nimue ti ama
ancora. È malandato... ma c’è.
È ancora lì.
Merlino
chiuse gli occhi per qualche istante. Infine sorrise. –
Grazie. Significa molto
per me.
“Uccidere...
ti porta sulla strada
oscura”.
“No,
Emma, vuol dire avere il
potere! Il potere che ti serve per proteggere te stessa e le persone
che ami!”
-
Secondo te è possibile... – ricominciò
Emma. – Che qualcuno possa usare
l’oscurità per fare del bene? Per proteggere le
persone che ama?
Era
un discorso pericoloso e Merlino lo intuì
all’istante. – Emma. Non farti
tentare da simili pensieri.
-
Ma è così?
-
Un giorno... forse... esisterà qualcuno abbastanza degno da
poter controllare
l’oscurità e usarla a fin di bene. Senza che essa
corrompa la sua anima. – Il
tono di Merlino era benevolo, comprensivo, ma guardingo. – Ma
se riusciamo a
cancellare l’oscurità, allora non sarà
necessario chiedere così tanto a
qualcuno.
-
Quindi dobbiamo riunire Excalibur alla sua parte mancante.
Per
un po’ proseguirono senza parlare. Avrebbe tanto voluto
discutere di altro, di
qualcosa che non riportasse la sua mente sempre allo stesso momento,
allo
sguardo spiritato di Nimue, ai nomi degli Oscuri che scivolavano lungo
la lama
del pugnale, alla sua famiglia... la sua famiglia impegnata a
recuperare
Excalibur.
-
Nimue... ha parlato di un’ombra. – disse Emma, ad
un certo punto. – Un’ombra su
Camelot. Mi ha chiesto se la sentivo.
-
Un’ombra...
-
Di cosa parlava? Di me?
“Puoi
sentire il potere e anche
l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
Merlino
rifletté un attimo prima di rispondere. Decisamente sapeva
di che cosa stava
parlando. – L’ombra. È parte di qualcosa
che ho visto... molto tempo fa.
-
Una profezia?
-
Un pezzo di futuro. Il futuro è difficile da leggere, Emma.
Non è mai chiaro.
Io trasmettevo ciò che riuscivo a cogliere... quei
frammenti...
-
Cosa c’entra l’ombra?
-
L’oscurità. Sono riuscito a vedere solo una grande
oscurità che calava sul
castello di Artù. Prima che lui nascesse. L’ho
detto al mio Apprendista. –
Aggrottò la fronte. – Ma adesso non devi pensarci.
Quelle cose... non devono
avverarsi per forza. Oggi hai vinto, Emma. Hai affrontato il primo
Oscuro e hai
vinto. Questo è ciò che conta.
Non
mi sta dicendo tutto.
-
Come intendi distruggere l’oscurità? –
chiese Emma, mentre il sentiero svoltava
verso destra e si allargava. – Non basta riunire Excalibur,
vero? Quello è il
primo passo.
-
Riunire Excalibur è un passo importante. È
necessario. – rispose Merlino. –
Quello che verrà dopo sarà altrettanto difficile.
Emma
tacque.
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra
è già sopra di noi. Io... non
sono ancora morta, fanciulla”.
-
Dove andremo? – chiese Emma. Perché era sicura che
Merlino intendesse portarla
da qualche altra parte.
Il
mago si fermò di nuovo, in mezzo al sentiero. Emma
pensò che forse non era
giusto insistere con le domande. Le sembrava giusto porle, quelle
domande, ma
al tempo stesso le pareva sbagliato, quindi si chiese se non fosse
meglio
lasciare le cose come stavano. Per ora.
Tuttavia,
Merlino le rispose: - Ad Avalon. Laggiù... la magia
è molto antica. Più antica
del primo Oscuro. Ho mandato avanti Lancillotto perché
avvertisse sua madre e
la Somma Sacerdotessa. Avremo bisogno del potere di Avalon per
distruggere
definitivamente l’oscurità.
-
Il potere di Avalon...
-
C’è un punto, sull’isola... un punto in
cui l’energia magica è più forte, un
punto in cui essa si concentra. È la parte più
antica di Avalon. La chiamano...
il Tor. Su quella collina sorge il cerchio di pietre che indica il
luogo in cui
dobbiamo recarci.
Emma
aprì la bocca per aggiungere qualcosa, ma in quel momento
udì un ruggito. Erano
lontano, a diverse miglia di distanza, eppure la costrinse a mettersi
in
ascolto.
Lily?
Anche
il mago aveva sollevato il capo verso il cielo. Ma si riscosse subito
dopo. -
Andiamo. Non manca molto.
***
Storybrooke.
Oggi.
David
parcheggiò il pick up davanti all’accampamento.
Nonostante l’ora tarda sembrava
che il re fosse ancora sveglio. La sua tenda era riconoscibile per via
dello
stendardo color porpora appeso all’esterno. Un fuoco ardeva
ancora nel bel
mezzo del campo.
-
Ecco la tenda di Artù. Vado io. Voi due guardatemi le
spalle. – disse a Robin e
ad Uncino, mentre caricava la pistola.
-
E se il nostro disonesto re dovesse attaccarci? – chiese il
ladro, procedendo
verso la tenda.
-
Allora si pentirà di averlo fatto. – rispose
Uncino.
-
Ehi! Aspettate!
David
si fermò di colpo e si voltò. Merida li
raggiunse, con l’arco stretto in mano e
una freccia già pronta per essere incoccata.
-
Merida, che diavolo ci fai tu qui? – chiese Uncino.
-
Sono qui per lo stesso motivo. Artù. Quell’uomo ha
ucciso mio padre. Quindi
vengo con voi. – disse, con un tono che non ammetteva la
minima replica.
-
Sì, sappiamo di tuo padre. Te l’ha detto Emma?
– chiese Azzurro, parlando a
voce bassissima.
-
Puoi giurarci. Tremotino ha fatto un accordo con lei.
-
Sappiamo tutto. – la interruppe David. - Merida, non siamo
qui per la vendetta.
Abbiamo bisogno di Artù per aiutare Emma. Lui sa delle cose
che ci servono.
-
Allora facciamolo parlare. Vi aiuterò. E poi lo lascerete a
me.
-
Vuoi ucciderlo? – chiese Robin.
-
No. Intendo sfidarlo.
Non
c’era tempo per chiedere spiegazioni. David
appoggiò una mano sul braccio di
Merida. – Puoi venire con noi. Ma entro prima io.
Merida
annuì. Insieme si mossero verso la tenda di Artù.
David scostò i lembi per
introdursi all’interno.
-
Artù. – iniziò, vedendo il re seduto al
tavolo con la moglie.
-
David! Che bello vederti, amico mio. – Indicò il
posto libero accanto a lui.
Era molto rilassato, niente lo turbava. Si sentiva al sicuro.
– Vieni. Unisciti
a noi.
-
Perché non mi spieghi, invece, come mai mi hai mentito?
Il
sorriso di Artù si spense.
-
Perché hai cercato di bruciare la Corona Scarlatta?
Il
re rimase qualche istante a fissare David, senza dire niente. Si era
fatto
rosso in faccia, ma non abbassava lo sguardo. Ginevra quasi non
reagì. Sembrava
non percepisse alcun pericolo.
-
Quindi hai scoperto...?
-
Sì, l’ho scoperto... amico.
-
Oh, quella parte era vera.
Merida
entrò nella tenda e tese la corda del suo arco.
Puntò alla gola scoperta del
re. Ginevra si alzò di scatto.
-
Hai anche portato i rinforzi! Quanti ce ne sono? – chiese
Artù.
-
Non importa. Voglio delle risposte e tu me le darai. – David
estrasse la
pistola. – Abbiamo ascoltato un messaggio di Merlino. Dice
che Excalibur e il
pugnale un tempo erano una cosa sola. Ma lo sapevamo già.
-
E allora? Io non ho Excalibur. Non so dove sia.
-
Chi è Nimue? Merlino l’ha nominata nel messaggio.
Dimmi chi è. – Puntò la
pistola contro di lui. Merida tese di più la corda del suo
arco. Alcuni
riccioli rossi le erano ricaduti su un occhio, eppure non li
scostò. Forse
nemmeno se ne accorgeva. Il suo volto era contratto dalla furia. Tutto
il suo
corpo era in tensione, pronto a scattare.
Per
tutta risposta Artù afferrò i bordi del tavolo e
lo scaraventò contro David.
Velocissimo, si precipitò fuori dalla tenda.
-
Sta scappando! – gridò Merida.
Uncino,
che aspettava all’esterno insieme a Robin, si
lanciò all’inseguimento del re,
che fuggì nella foresta.
***
Camelot.
Tre settimane prima della
maledizione.
Artù
stava sistemando con molta attenzione il fodero che proteggeva
Excalibur,
quando le porte della sala si aprirono e Regina entrò,
precedendo gli altri.
-
Strega maledetta! Il vostro dannato drago sta arrostendo le mie
guardie... –
iniziò lui, afferrando
la prima arma che
aveva a disposizione, un bastone di ferro sormontato da una sfera
costellata di
spuntoni.
Regina
lo fece sparire e bloccò Artù lì dove
si trovava.
-
La spada è sul tavolo. – disse Robin.
-
Non toccarla per nessun motivo. Sarà certamente incantata.
– rispose Uncino,
stringendo l’elsa della sua e puntandola contro il re.
All’esterno
il drago ruggì di nuovo. Il fuoco si rifletté sui
vetri della finestra,
colorandoli di arancione.
-
Corpo di mille balene, pirata, non preoccuparti. – disse
Regina,
approssimandosi al re. – Qui non c’è
niente che possa farci male. Artù non sa
usare la magia.
Il
sovrano le sorrise, divertito.
-
Salve, ragazzi! – esclamò Zelena. Mise piede nella
sala, trascinandosi dietro
Biancaneve, legata ed imbavagliata.
Malefica
puntò lo scettro contro di lei.
-
Non ti conviene. – disse la strega. – Potrei anche
decidere di torcerle il
collo.
-
Che diavolo... – cominciò Regina. Era stata
davvero una stupida a pensare che
Zelena non avrebbe trovato un modo per liberarsi della sua guardia
personale. Non
poteva usare la magia, ma in qualche modo riusciva sempre ad ingannare
chiunque.
-
Mary Margaret! Non provare a toccarla... – disse David.
-
Papino è arrabbiato. – Zelena fece in modo che
Neve si sedesse in uno dei posti
riservati ai cavalieri di Artù. – Vediamo di
disfarci di questo.
Artù
venne liberato dall’incantesimo.
-
Artù è stato così gentile da togliermi
quell’affare di dosso. Finalmente. –
Zelena mostrò il polso nudo.
-
Bene. – disse Malefica. La sfera in cima al suo scettro si
illuminò di una luce
violacea e sinistra. – Forse è giunto il momento
di uno scontro vero. Mi erano
mancati.
Regina
formò una sfera di fuoco. – Oh, anche a me. Almeno
sarà una lotta alla pari.
-
Non fatelo! – urlò Robin, in preda al panico.
– Il bambino!
Il
bambino.
Se
avesse potuto scagliare una lunga trafila di maledizioni, Regina
l’avrebbe
fatto. Era talmente furiosa che non aveva nemmeno pensato alla
gravidanza di
Zelena.
-
Volevo anche avvisarvi che palla di neve non è
l’unica a rischiare la vita,
qui. – disse la strega, scambiando un’occhiata di
intesa con il re. – In questo
preciso momento le guardie di Artù stanno incoccando le
prime frecce avvelenate
della giornata. Veleno delle vipere di Agrabah. Ho chiesto al re di
aspettare
prima di usarlo. Dovevo accertarmi che la mammina dell’Oscuro
non mi creasse
troppi problemi.
Malefica
abbassò lo scettro. Un orrore profondo misto a sbigottimento
la pervase.
Avvertì un’improvvisa ondata di debolezza in tutto
il corpo.
-
Sai, se tu fossi stata un po’ più gentile, forse
non vi avrei traditi e non
saremmo a questo punto. Mi tocca minacciare anche una ragazza
così intelligente
come Lilith. – disse Zelena, mettendo le mani sul libro che
Artù aveva preso
nella Torre di Merlino.
-
Oh, sì, invece. L’avresti fatto. –
rispose Uncino.
-
Ma mi sarei divertita molto meno. Ed ora... – Si
chinò sul libro di magia. –
Vediamo questo volume di ricette di Merlino...
-
L’incantesimo è quello? –
domandò Artù.
-
Sì. Una ricetta molto ingegnosa. Una pozione incatenante.
-
Eccellente.
Regina
avrebbe tanto voluto intervenire, ma non sapeva più in che
modo farlo senza
nuocere al bambino della sorella. Ed evitando che anche Mary Margaret
rimanesse
ferita. Si sentiva una stupida. Era sicura di poter prevedere il
tradimento di
Zelena e, invece, era stata raggirata un’altra volta.
La
spada nel fodero venne avvolta da un alone verde. Risplendette qualche
istante
e poi la magia disparve.
-
Ecco fatto. – annunciò Zelena, con un sorriso
smagliante. – I biscotti sono
pronti. E per biscotti intendo dire... che Artù
avrà anche una spada più corta
di quella che si aspettava, ma sarà in grado di controllare
il mago più vecchio
del reame.
Artù
estrasse la spada e mostrò il nome impresso sulla lama,
vicino alla spaccatura.
Merlino.
-
Il piano era suo, ma l’ho apprezzato. Felice di essere stata
d’aiuto. –
concluse Zelena.
-
Mille grazie, mia signora. – Artù
sollevò l’arma, rimirando il nome
dell’uomo
che l’aveva fatto sentire un idiota. Il nome
dell’uomo che gli aveva rovinato
la vita con le sue false profezie.
-
Artù, aspetta! Non farlo. So che non la vedi, ma
c’è una via d’uscita. –
intervenne David, facendosi avanti.
-
Merlino! – gridò il sovrano, ignorandolo.
-
Possiamo provare a ricominciare tutto daccapo. Ma devi metterla
giù.
-
Merlino!!
-
Emma ti sarà molto più utile come Salvatrice che
come Oscuro.
Artù
lo fissò con aria annoiata. – Grazie, David. Ma...
Merlino!!!
Pochi
secondi dopo Merlino apparve nella sala della Tavola Rotonda. Aveva
l’aria
confusa e sembrava davvero provato. Gli occhi erano segnati e
arrossati. Il
viso tirato. Rivolse ad Artù uno sguardo pieno di sconcerto.
-
Ah, Merlino... – disse lui, puntandogli contro la spada.
– Eccoti qui. Per
prima cosa, usa la magia per impedire a questa gente di farmi del male.
Merlino
alzò la mano destra ed eseguì l’ordine
senza fiatare. Le loro armi caddero a
terra, una dopo l’altra.
Zelena
ridacchiò. – Beh, grandioso!
-
È fatta, Artù. Puoi metterla giù. Non
ce n’è bisogno. – disse Merlino,
lentamente. - Emma ha superato il test.
-
Oh, Emma ha superato il test! – Artù mosse verso
il mago. – Che bello.
-
Ho quello che ti serve per riunire Excalibur e compiere il tuo destino.
Dammi
la spada. – Merlino tese la mano.
-
E darti quindi la gloria? No, grazie.
-
Gloria?
Un
altro ruggito. Il fuoco colorò nuovamente le vetrate.
-
Mi sono stancato di questo drago. – disse Artù,
portandosi le dita
all’orecchio, come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.
– È un vero
peccato non avere davvero quelle frecce avvelenate.
Malefica
trattenne il respiro in un suono aspro che, più che un
gemito, era un grido di
ribellione e tutto il furore tornò ad abbattersi su di lei.
-
Ops! – disse Zelena, mettendosi una mano sulla bocca.
– Mi stai dicendo... che
non abbiamo frecce avvelenate? Che disdetta! Eppure ero così
sicura...
-
Sei una... – cominciò Regina.
-
Cosa, sorellina? Una perfida strega? Oh, sì. Una perfida
strega che tu hai
lasciato fuori con la tua vecchia nemica, perché pensavi che
lei potesse
tenermi a bada. Mi aspettavo di più da te.
-
Tuttavia. – intervenne Artù. - Ho uno stregone
dalla mia parte. Merlino...
-
Mi dispiace non essere stato lì per guidarti,
Artù. Non è questo l’uomo che
volevo che fossi. – ricominciò.
-
Sono esattamente ciò che tu mi hai fatto diventare. Tu con
le tue false
profezie... prima la spada e poi... e poi la figlia della mutaforma,
che ora è
là fuori a cercare di assassinare tutti i miei uomini!
– gridò Artù, agitando
la spada. - L’ho trovata in uno dei tuoi maledetti libri. La
profezia su
Lilith. E l’incantesimo. Che
l’oscurità
trovi la sua via, dal grembo materno a un altro
dell’inferno... che
incantesimo è?
Neve
guardò Azzurro, incredula.
-
Trasferisce il potenziale oscuro di una persona in... in
un’altra.
-
Chi l’ha lanciato?
-
Il mio Apprendista. Artù, ascolta...
-
E la profezia? È Lilith l’ombra che
calerà su Camelot, vero? È lei che
distruggerà il mio regno!
-
Sì. Ma quella profezia è solo uno sprazzo di
futuro. Non deve avverarsi per
forza. Il futuro è incerto, Artù. Lo sai!
-
Rendila inoffensiva. Adesso. E anche sua madre!
-
No! – esclamò Malefica.
Merlino
diresse il potere verso Malefica, che crollò priva di sensi.
Poi serrò le
palpebre e all’esterno i ruggiti e le grida cessarono in un
battibaleno. Tutti
udirono uno schianto. Il fragore di alcuni alberi sradicati che
precipitavano
al suolo.
-
Ero intrappolato. – tornò a dire Merlino. - Ho
riposto in te la mia fiducia.
Avresti dovuto essere come un figlio per me...
-
Taci. Non sono mai stato un figlio per te. - Alzò la spada
in modo che Merlino
vedesse bene il suo nome inciso su di essa. – Non hai fatto
altro che parlarmi
della leggenda del grande re Artù che avrebbe estirpato
l’oscurità da questo
regno! Ora dimmi che non erano tutte bugie!
-
Non lo erano. Lo stai già facendo. Sei parte di quella
storia.
-
Parte?!
-
Abbiamo quello che ci serve. Il futuro è nelle tue mani,
Artù. Dammi la spada.
Possiamo risolvere tutto.
Il
re abbassò la sua arma. – No. Io sarò
molto di più di questo. Molto più di un
re conosciuto per aver sconfitto una dannata roccia!
-
Artù, non puoi...
-
Silenzio! – intimò. E quando il mago tacque, lui
sorrise. – Abbiamo degli altri
intrusi. È il momento di farli andare via. Fallo, ora.
Merlino
cercò le forze per resistere a quel comando. Forse, se non
fosse appena uscito
dallo scontro con Emma e Nimue, sarebbe riuscito a trovarle, quelle
forze. Ma
la sua mente era confusa. Annaspava alla ricerca di un appiglio a cui
aggrapparsi.
Rivolse
la sua attenzione agli “intrusi” e, con un gesto
della mano, li fece scomparire
tutti.
Emma
rientrò al Granny’s, reggendo il cofanetto che
conteneva la preziosa scintilla.
Henry sedeva davanti al bancone, in attesa. Knubbin era ancora legato
con il
corvo appollaiato su una spalla. Dormiva.
-
Mamma, ce l’hai fatta? – chiese Henry. –
Hai trovato la scintilla...?
Emma
lo abbracciò stretto. – Sì,
l’ho trovata. Adesso potremo ricomporre Excalibur e
porre fine a tutto questo.
-
Finalmente delle buone notizie! – esclamò Granny.
– Tutta quest’attesa mi
rendeva nervosa... e quel dannato mago non ha fatto altro che russare.
-
Russare! – Knubbin si svegliò di soprassalto,
spaventando Heathcliff, che
sbatté le ali e gracchiò, infastidito.
– Io non russo. Vero, Heathcliff?
-
Fantastico, mamma. – disse Henry, ignorandolo. –
Scacciamo l’oscurità.
-
Sì. Dov’è Excalibur?
Knubbin
starnutì.
-
Non lo so. Non è tornato nessuno con la spada. –
osservò Henry, perplesso.
Improvvisamente
Emma si fece attentissima. Non le era piaciuto affatto il silenzio che
regnava
nella foresta e intorno alla tavola calda quando era arrivata e si era
fermata
un attimo a rimirare la fiamma di Prometeo. Era un silenzio strano. In
più,
Merlino era svanito nel nulla. Sulle prime aveva pensato che fosse
andato a
recuperare la spada, ad aiutare gli altri al castello di
Artù. Ma adesso
sentiva che doveva essere successo qualcosa di più grosso.
-
Hai visto Merlino? – domandò al figlio.
-
No. Pensavo fosse con te.
-
Lo era. Ma poi è scomparso. C’è...
qualcosa che non va. Granny! – Emma
avvertiva il calore della scintilla persino attraverso il metallo
pesante del
suo contenitore. – Chiudi la locanda. Credo non sia
più sicuro stare qui.
-
Sono sempre un passo avanti. – disse la nonna, sbucando dal
retro armata di
fucile. – Henry, tu vai davanti. Io sul retro.
Emma
stava per domandarle se fosse davvero un buon piano. Pensava alla sua
famiglia
e si chiedeva che cosa fosse andato storto. Si chiedeva se fosse
accaduto
qualcosa a Lily o a Regina. Se fosse accaduto qualcosa ai suoi
genitori, a
Uncino... se Artù avesse previsto la trappola e li avesse
fermati. Si chiese se
Zelena li avesse traditi. Forse in quel momento erano nelle prigioni.
Doveva
andare da loro. Ciò avrebbe significato aprirsi la strada
con la magia, ma che
scelta aveva?
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
Poi
Granny lanciò le chiavi della locanda al ragazzino, che
allungò una mano per
prenderle al volo.
E
la chiavi si bloccarono a mezz’aria.
Anche
Henry e Granny erano immobili. Così come Knubbin e il suo
corvo.
-
Henry?
Merlino
apparve dietro la nonna. – Scusami, Emma... per questa
entrata così teatrale.
Purtroppo non posso fare altro se non eseguire gli ordini.
-
Ordini? Quali ordini?
-
Di Artù. Il mio allievo ribelle ha fatto qualcosa che non
avevo previsto. –
Merlino mosse qualche passo verso di lei. – Sta usando
Excalibur contro di me.
Mi ha ordinato di riunirla alla sua parte mancante. E questo significa
che devo
portargli la fiamma di Prometeo e il pugnale.
-
No. – disse Emma. Strinse di più il cofanetto con
la sua ultima speranza per
scacciare l’oscurità.
“Quella
spada può fare più di una
sola cosa... e l’ombra si avvicina, Emma. L’ombra
è già sopra di noi. Io... non
sono ancora morta, fanciulla”.
-
In caso contrario, Artù ucciderà la tua famiglia.
Chiederà a me di farlo e per
quanto odi la sola idea... Emma, io obbedirò.
-
Artù ha la mia famiglia? – La furia stava salendo
come una marea. Una marea
nera e risucchiante.
-
Sì. È stata colpa mia. Mi dispiace. Mi ha
costretto ad imprigionarli e a
mettere fuori gioco Lily.
-
Fuori gioco?! Non avrai...?
-
No. No, Emma. Ma potrebbe essere nei guai. Artù ora mi sta
controllando, ma
posso... posso ancora dirti che lei sta bene. Però devi...
sbrigarti. – Parlare
mentre era sotto l’influsso di Excalibur gli costava molto.
Il suo viso era
contratto dalla fatica. – È vicino al castello...
ha perso i sensi. Ho
dovuto... ma puoi salvarla. Usa il dono.
-
Che dono? – Iniziava a sentirsi frastornata, oltre che
furibonda.
-
Il tuo legame con Lily. È un dono, Emma. – Merlino
si avvicinò di più. Sgranò
gli occhi. – Puoi trovare Lily molto più
velocemente. C’è sempre stato, questo
dono. Fin dal principio. È una conseguenza
dell’incantesimo del mio
Apprendista.
-
Di quale dono stai parlando? Che cos’è?
-
Emma... guarda attraverso gli occhi di Lily.
“Puoi
sentire il potere e anche
l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
“Tu
la vedi?”
Batté
le palpebre. - E la mia famiglia?
-
Vuole fare uno scambio. Sono prigionieri nella foresta Caledoniana.
Recati là
tra un’ora esatta, con la fiamma e il pugnale. Li
risparmierà se glieli darai.
-
Troppo poco tempo. Non è nemmeno una fiamma.
-
Ho visto la tua forza, Emma. Non appena sarai pronta,
brucerà. E Artù avrà ciò
che desidera. La spada... sarà una vera spada. Di nuovo.
“Io
la vedo! E tu? Tu la vedi?”
“Tu
la vedi?”
Emma
abbassò gli occhi. Le bruciavano nelle orbite proprio come
sarebbe bruciato
quel dannato pezzo di carbone che aveva estratto dal corpo di Nimue.
– Quindi
dovrei arrendermi senza combattere?
“Ferma
l’oscurità, prima che ti
consumi”.
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
-
Anche l’accettazione è forza. – disse
Merlino. – So che c’è
oscurità in te,
Emma, ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla
vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue.
***
Storybrooke.
Oggi.
Artù
era molto rapido. Correva nella foresta, schivando gli alberi e i rami
e cercava
di confondere il suo inseguitore, cambiando spesso direzione. Ogni
tanto si
guardava alle spalle. Killian era sempre più vicino, non
mollava. Aveva una
gran voglia di acciuffarlo e farlo parlare. Di Merlino. Di Nimue.
Artù non
ricordava niente di ciò che era accaduto a Camelot, ma
sapeva chi era Nimue.
Quando era solo un ragazzino, Merlino, rinchiuso nel grande albero,
aveva
comunicato spesso con lui e qualche volta gli aveva nominato una donna,
Nimue,
che aveva amato molto.
Era
stata Nimue a spezzare Excalibur.
Artù
inciampò in un tronco caduto e finì lungo
disteso, gridando di rabbia. Killian
lo raggiunse, scavalcando l’albero. Avanzò di due
passi verso di lui e tese in
avanti l’uncino, come se glielo stesso offrendo per aiutarlo
ad alzarsi.
Invece
Artù si voltò e lo colpì ad una gamba,
atterrandolo. Il pirato cercò di
recuperare la spada, ma il re lo minacciò con la sua.
-
Toh, guarda! – esclamò, con il respiro affannato.
– Sembra che abbiate portato
solo un uncino a questo duello.
-
A dire il vero avevo una spada. – osservò Killian,
pescando un po’ di sarcasmo
da chissà dove. – Ma a quanto pare l’ho
persa.
-
Che peccato! Sono sempre gli errori più piccoli a portarci
alla morte. – Artù
elargì un sorriso all’uomo sdraiato per terra e
poi sollevò la spada. Con un
urlo la calò su di lui.
Un’altra
lama, molto più robusta della sua, si frappose tra di loro.
Sbigottito, il
sovrano fissò il volto pallido e determinato
dell’Oscuro che stringeva l’elsa
di Excalibur. La sua Excalibur. Di nuovo intera. Di nuovo la spada che
lui
avrebbe voluto estrarre da quella dannata roccia. La spada promessa da
Merlino.
Emma
spinse con tutte le sue forze e Artù si ritrovò
disarmato.
-
Excalibur... – mormorò.
-
Sì. La tua bellissima spada. Ma mi dispiace... non ti
servirà a niente. –
sibilò Emma. – Non controlla più
nessuno ormai.
Lo
scagliò contro un albero e il colpo lo tramortì.
Si accasciò a terra, privo di
sensi.
Killian
si alzò, pulendosi le mani sui pantaloni. –
Immagino di doverti ringraziare.
-
Non devi ringraziarmi di niente. Non ha importanza. –
replicò Emma,
freddamente.
-
Sì che ne ha. Devo... chiederti scusa per quello che ho
detto l’altro giorno
sulla nave.
-
Parli di quando ti sei rifiutato di accettarmi per ciò che
sono?
-
Sai, sarebbe un po’ più complicato di
così...
-
Oh, sì. Lo è. Ma tanto... io sono
l’Oscuro.
-
Tu non sei solo questo, ma molto di più! Mi hai appena
salvato... quella era
Emma.
Lei
tacque qualche secondo. Sul suo viso non vi furono cambiamenti di
sorta. Quando
ricominciò a parlare, a Killian la sua voce parve ancora
più gelida. Ancora più
carica di oscurità e furia repressa a stento. –
Cosa vuoi da me?
-
Voglio aiutarti. Dimmi chi è Nimue. E come può
distruggere l’oscurità.
Qualcuno
si avvicinava. Emma udì la voce di Merida che chiamava il
pirata e poi quella
di suo padre.
-
Nimue non è un vostro problema. Non più.
– Si girò per andarsene. – Ed ora non
potete più aiutarmi. Avreste dovuto pensarci quando eravamo
a Camelot.
-
Perché ti serve Excalibur? E cos’abbiamo fatto a
Camelot? Se me lo dicessi...
forse potremmo risolvere tutto.
-
Sono io che risolverò tutto. – Emma
tornò a girarsi verso di lui. – Voi non
siete in grado.
-
Perché? Rispondi ad una maledetta domanda, Emma!
Perché? Cos’abbiamo fatto a
Camelot?
Emma
abbassò gli occhi, fissando il proprio nome inciso al
vertice della lunga lama.
L’appoggiò di piatto sul palmo della mano libera.
Sollevò di nuovo gli occhi,
puntandoli in quelli azzurri di lui. Non c’era più
traccia di Emma, a quel
punto. Il suo sguardo era di nuovo antico. Vecchio e distante. Non
erano più
gli occhi della Salvatrice. – Mi avete tradita.
Killian
ammutolì.
Non
vi fu altro. Emma scomparve in una nuvola grigia e densa, portandosi
dietro le
sue ultime parole.
Mi
avete tradita.
La
centrale di polizia era in penombra, silenziosa e circondata di brutti
presagi.
L’unica luce proveniente da una lampada sulla scrivania
emanava un chiarore
poco rassicurante, un bagliore malato. Corrotto.
Regina
e Mary Margaret attendevano il ritorno degli altri. Erano andati a
prendere
Artù, ma tardavano. Solo il piccolo Neal sembrava non
accorgersi di niente e,
al contrario di loro, non aveva la minima preoccupazione. Neanche
sapeva cosa
stava accadendo alla sorella maggiore. Per lui il mondo non era
cambiato.
Dormiva placidamente nel suo passeggino, i pugni stretti, emettendo
ogni tanto
un debole gorgoglio.
“Non
c’è più nessuna Salvatrice in
questa città”.
Le
cose andavano male. Malissimo. Regina sentiva un’ombra sopra
di sé. Sopra tutti
loro. E ne aveva paura. Aveva letto e riletto i libri di Merlino e non
aveva
trovato nemmeno una traccia di Nimue. Quel mago da strapazzo di nome
Knubbin
non l’aveva mai sentita nominare.
La
porta della centrale si aprì. Malefica entrò,
accompagnata da Lily.
-
Che diavolo succede? Che ci fate qui? – chiese Regina.
-
Si tratta di Emma. – disse Lily. – Ha forgiato
Excalibur. La spada è... una
spada vera.
-
Come lo sai? – domandò Mary Margaret.
Lily
ci pensò un istante prima di rispondere. Aveva gli occhi
orlati di rosso ed era
decisamente sconvolta, anche se provava a nasconderlo. – Non
so spiegarlo. È
stata come... una visione. Come se fossi là con Emma.
-
Là dove?
-
Dove tiene la roccia con Excalibur. Nei sotterranei della casa.
– Lily spiegò
che cosa aveva visto. La scintilla che diventava una fiamma. Excalibur
e il
pugnale che venivano uniti. L’arma di Artù intera.
Le voci. Gli Oscuri intorno
ad Emma.
-
Oscuri? – Mary Margaret non riusciva più a
seguirla. – Hai visto i precedenti
Oscuri?
-
Beh... ne ho visti bene solo due. Tremotino e una donna... Nimue.
Regina
e Neve si scambiarono un’occhiata.
-
Nimue è la persona nominata da Merlino in quel messaggio,
vero? – chiese
Malefica.
-
Già. Nimue... quindi era un Oscuro.
-
Come può un Oscuro essere in grado di aiutare Emma?
– domandò Neve,
massaggiandosi una tempia.
-
Non lo so, ma almeno ora sappiamo chi è. – Regina
serrò le palpebre per qualche
momento. – C’è altro?
-
La spada può fare più cose. – rispose
Lily. – Può distruggere la luce. Ma può
anche distruggere l’oscurità. Non so in che modo.
Ma quella tizia ha detto che
Emma a Camelot non era pronta. Adesso invece può distruggere
la luce.
La
porta della centrale si aprì di nuovo e David
entrò, accompagnato da Robin e
Uncino. C’era anche Merida con loro. Trascinarono
Artù, che imprecava
furiosamente, fino ad una delle celle. David prese le chiavi e
l’aprì, in modo
che gli altri due potessero buttarlo dentro senza troppe cerimonie.
-
Siete dei maledetti! – gridò il re, afferrando le
sbarre con entrambe le mani.
Digrignò i denti come un animale feroce. – Aiutare
quella creatura mostruosa!
Avete perso il senno! Excalibur mi appartiene!
-
Emma sarà anche una strega, ma tu non meriti nemmeno di
stringerla, una spada.
Sei un codardo. – gli disse Merida, puntandogli un dito
contro. – Hai ucciso
mio padre, colpendolo alle spalle.
-
Tuo padre?
-
Re Fergus. Mio padre. Dimmi perché!
Artù
non rispose.
-
Ti ho appena fatto una domanda! – Merida allungò
una mano per afferrarlo, ma
Uncino la fermò.
-
Non così, signora. Lasciate fare a me. – disse il
pirata.
-
Nessuno farà proprio niente! – esclamò
David. – Artù non ricorda nulla, proprio
come noi. E non è che un re senza regno. Per quanto lui odi
tutto questo... non
ha più importanza.
-
Potrebbe averla, invece. Emma, nella foresta, mi ha detto che
l’abbiamo
tradita. – Uncino era più agitato che mai. Ciuffi
di capelli scuri gli ricadeva
scompostamente sulla fronte imperlata di sudore. Aveva la camicia
stropicciata,
i jeans impolverati e l’espressione di chi aveva passato una
serie di brutti
momenti.
-
Tradita? – disse Regina.
Uncino
raccontò a tutti del suo incontro con Emma.
“Mi
avete tradita”.
-
Che cosa diavolo abbiamo fatto? – disse David, parlando
più a se stesso che ai
presenti.
-
Forse niente. – rispose Mary Margaret. – Forse
quella che ha parlato con
Killian non era neppure Emma. È possibile che Emma non ci
sia più. O ci sia
solo a tratti.
-
Nella foresta era Emma a parlare. – ribadì Uncino.
-
Excalibur è davvero... intera, quindi. – disse
Regina.
-
Lo sapevate già?
-
Sì, Capitan Mascara, lo sapevamo. Lily ha... visto quello
che è successo.
Naturalmente
tutti fissarono Lily. Regina si affrettò a metterli al
corrente della
situazione, ma la sua mente stava già rincorrendo una serie
di pensieri.
“Mi
avete tradita”.
Riusciva
ad immaginare Emma mentre pronunciava quelle tre parole. Riusciva ad
immaginare
il suo volto terribilmente rigido, i suoi occhi verdi che lampeggiava
d’ira.
Riusciva ad immaginare l’inflessione della sua voce,
raggelante, dura come la
pietra. La stessa che aveva udito lei al molo quando si erano
incontrate per la
prima volta dopo il loro ritorno a Storybrooke.
“Ce
la puoi fare, mamma. Puoi
essere la Salvatrice”.
“Non
succederà”.
“Tu
non pensi che io possa
esserlo”.
“So
che non lo sei”.
Era
come seguire un guinzaglio. Un guinzaglio che si perdeva nel buio.
Avrebbe
tanto voluto lasciarlo cadere prima di vedere che cosa si nascondeva
alla fine.
Ma in qualche modo sapeva che l’aveva voluto. In qualche modo
sapeva che doveva
seguirlo, doveva scoprire cosa c’era nel baratro.
-
Cos’è questa storia, ora? –
domandò Uncino. – Puoi comunicare con Emma?
-
Non è qualcosa che posso controllare. –
replicò Lily, con una certa asprezza. –
Del resto... non sono molte le cose che controllo.
Malefica
le strinse una spalla per confortarla.
-
Ma Emma forse sì. E se Emma ne è al corrente,
essendo l’Oscuro potrebbe essere
più avanti di noi. – disse Regina. –
Questo significa che conosce le nostre
mosse con largo anticipo.
-
Per tutti i diavoli... – disse Uncino, stringendo la mano a
pugno.
-
Questo Oscuro... – ricominciò, focalizzandosi sul
problema principale. – Ha
Excalibur. E distruggerà la magia bianca.
-
Quindi pensi che il problema sia questo? – domandò
Uncino. – Una spada... che
non ha ancora usato.
-
Perché le manca qualche ingrediente per lanciare
l’incantesimo! – Si chiedeva
davvero perché Capitan Mascara fosse così
ingenuo. Non capiva ancora cos’avesse
in mente di fare Emma, ma era chiaro che non sarebbe piaciuto a nessuno
di
loro. – Dobbiamo impedirle di trovarlo. Solo così
potremo riprenderci la nostra
Emma.
La
nostra Emma.
Per
un istante Regina si soffermò su quello che aveva appena
detto. E si accorse
che lo pensava sul serio. Voleva che Emma tornasse ad essere
ciò che era un
tempo. Rivoleva la Salvatrice. Rivoleva la Emma che aveva spezzato la
sua
maledizione. Rivoleva la donna che l’aveva salvata
dall’essere che le avrebbe
volentieri risucchiato l’anima, finendo nel vortice al posto
suo. Rivoleva la
donna che l’aveva aiutata a salvare Storybrooke dalla
distruzione. Rivoleva...
la Emma che si era presentata a casa sua con Henry, esordendo con un
semplice e
imbarazzato ‘salve’, che le aveva chiesto qualcosa
di più forte dopo che lei le
aveva offerto il succo di mele. Rivoleva la madre di suo figlio. Ad
ogni costo.
-
Rimanete pure qui a cercare incantesimi finché non vi
cascano gli occhi. –
rispose Uncino. – Non è questo il modo giusto. Se
vogliamo aiutare Emma
dobbiamo capire che cosa diavolo è successo a Camelot.
-
Dov’è Lily? – domandò
Malefica, all’improvviso.
In
tutta quella confusione nessuno aveva più badato
all’amica di Emma.
Lily
non c’era più.
***
Camelot.
Tre settimane prima della
maledizione.
-
Facciamo ciò che il re ha ordinato.
Lily
socchiuse lievemente le palpebre. Ombre aleggiavano intorno a lei.
Forme
indistinte.
Dove
sono?
Avvertiva
dolori sparsi in tutto il corpo. Quando provò a muovere la
testa, le parve di
avere delle lame arrugginite al posto dei tendini.
-
Sbrighiamoci, prima che si riprenda e si trasformi di nuovo.
Udì
un rumore. Una spada che veniva sfoderata.
Emma!
Il
castello!
Ritrovò
alcuni ricordi degli ultimi istanti prima che
l’oscurità l’avvolgesse,
portandola con sé. Volava sopra il castello di
Artù, sputando fiamme contro i
suoi uomini, che si riparavano dietro le mura o sotto gli scudi. Piogge
di
frecce erano state scagliate contro di lei, mentre riversava la sua
ferocia
sulla finta perfezione della dimora di Artù. Ricordava gli
stendardi che
bruciavano, una torretta in fiamme, un uomo che cadeva giù
dai camminamenti e
finiva nelle acque melmose del fossato che circondava il castello. Le
urla. Gente
che fuggiva.
Poi
più niente. Era successo qualcosa. Forse era stata colpita.
Ho
perso i miei pensieri felici.
Sopra
di lei si delineò una faccia barbuta e determinata. Una
testa coperta da un
elmo. Dietro di essa, tra gli alberi, una delle torri del castello
svettava
verso il cielo. Il profilo delle montagne che facevano da sfondo a
Camelot.
Poi
il barbaglio di una lama. Sir Morgan, il padre della ragazzina che
piaceva ad
Henry, impugnò l’elsa con entrambe le mani.
Lily
capì che sarebbe morta e non ebbe nemmeno paura. Non aveva
la forza di
rialzarsi. Le faceva male dappertutto.
-
L’Oscuro. – mormorò un’altra
voce, improvvisamente terrorizzata.
Sir
Morgan si ritrovò sospeso a mezz’aria. Lily lo
vide mentre agitava le gambe e
le braccia, freneticamente, per poi arpionarsi la gola. Due uomini che
erano
con lui vennero lanciati contro gli alberi e persero conoscenza. Un
altro si
affrettò a darsela a gambe, ma la magia di Emma lo
afferrò saldamente per le
caviglie e poi lo spedì lontano.
Il
padre di Violet continuava ad annaspare in cerca d’aria.
L’Oscuro, con il
pugnale stretto nella mano sinistra, lo rimirò come se fosse
stato un
disgustoso scarafaggio.
-
Quindi non solo avete detto a mio figlio che non può stare
con Violet perché è
solo uno scrittore... e non un cavaliere. – disse.
– Ma volevate anche uccidere
Lily.
Sir
Morgan bofonchiò qualcosa.
Lily
non si mosse.
“So
che c’è oscurità in te, Emma,
ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla
vendetta. Non
commettere lo stesso errore di Nimue”.
-
Non mi arrenderò senza combattere. –
mormorò Emma. La voglia di spezzargli il
collo era molto forte. Immaginava già il suono
dell’osso che si rompeva.
“So
che c’è oscurità in te”.
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
“... usa il dono
nel modo giusto e non pensare
alla vendetta. Non commettere lo stesso errore di Nimue”.
-
Ho sentito che Artù vi ha dato un ordine. Volevate uccidere
Lily. Perché? –
chiese Emma.
Sir
Morgan non rispose. Continuava ad agitarsi, ma i suoi occhi sembravano
sfidarla.
-
Vi ho fatto una domanda, quindi esigo una risposta. A meno che...
– Emma lo
lasciò cadere e lo inchiodò a terra. Si
stagliò sopra di lui, minacciosa. – A
meno che non desideriate che me la prenda con vostra figlia. So dove
trovarla...
-
No... – mormorò Sir Morgan, ora terrorizzato.
– No. Uccidete me.
-
Potrei anche farlo. Ma l’Oscuro si prende sempre
ciò che di più caro avete al
mondo. – Emma si inginocchiò, puntando il pugnale
alla gola del cavaliere. –
Avete la possibilità di salvarvi e di salvare anche vostra
figlia. Perché il re
vuole uccidere Lily?
-
La profezia...
-
Quale profezia?
-
La profezia di Merlino. Lei è l’ombra che
calerà su Camelot. Lei è l’ombra
legata al vostro pugnale.
“Puoi
sentire il potere e anche
l’ombra. L’ombra che si avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
Emma
scagliò Sir Morgan contro un tronco, come aveva fatto con i
suoi uomini. Il
colpo lo stordì e lui si afflosciò, perdendo
anche l’elmo, che rotolò in mezzo
alle foglie.
Non
pensò più al cavaliere e raggiunse Lily.
Curò le sue ferite con la magia. Ne
stava usando molta e più la usava più sentiva il
potere crescere, pulsare,
inondarla come una marea. Più la usava e più
avvertiva il bisogno di farlo di
nuovo. Di schiacciare quegli scarafaggi.
-
Credevo che gli avresti uccisi tutti. – ammise Lily,
rialzandosi in piedi.
-
Non eri tu quella fiduciosa nelle mie capacità?
-
Beh, sì. Ma avresti dovuto vederti...
Emma
era sicura che non avrebbe mai voluto vedersi e tuttavia scosse il
capo. – Non
serve a niente ucciderli. Abbiamo altro a cui pensare. Mi serve un
passaggio.
Pensi di farcela?
-
Ora che mi hai guarita, sì. Che cosa diavolo è
questa storia della profezia?
-
Un’altra storia. Te la racconterò dopo. Andiamo
nella Foresta Caledoniana. –
Emma sollevò il pugnale e osservò il nome
impresso sulla lama. – Ho un
appuntamento con Artù.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Tremotino... – disse Lily, entrando nel negozio di Gold e
richiudendo la porta
con violenza. – Ho bisogno di parlarti.
-
Quante visite, questa sera. – disse l’uomo. -
Belle, è solo l’amica di Emma.
Lily
si voltò solo per vedere Belle in un angolo del locale, con
una balestra in
mano e una freccia pronta ad essere scoccata.
-
Scusa... sono sempre convinta che possa trattarsi di Emma. –
spiegò, mettendola
giù.
Lily
avvertì una risata folle montarle dentro. – Che
cosa credi di fare con la
balestra?
-
Purtroppo non abbiamo altri mezzi. – si affrettò a
dire Tremotino. Uscì da
dietro il bancone, appoggiandosi al bastone. – Beh, li avevo.
Ma temo che Emma li
abbia trovati. Cosa posso fare per te, Lilith? Immagino che anche tu
stia
cercando un modo per far parlare l’Oscuro.
-
Anch’io? È venuto qualcun altro?
-
Killian è stato qui poco fa. – disse Belle.
-
Cerca un modo per costringere Emma Swan a confessare. E non credo che
ci
riuscirà. Non se è vero quello che ha detto.
Ovvero che l’hanno tradita. –
Tremotino assunse un’aria assorta. – Ed io posso
dire con certezza che non
mente.
-
Davvero?
-
Lilith... sono stato l’Oscuro per molto tempo. Come Oscuro ho
stretto
moltissimi accordi, con moltissime persone. Le ho manipolate e ho
nascosto i
miei piani per ottenere ciò che volevo. Qualcosa che
comunque... ho perso. –
Venne avanti. Nel complesso il suo aspetto appariva fragile. Dismesso.
Non solo
per via della zoppia. – Emma... nasconde i suoi piani.
È molto brava. Ma io
l’ho guardata negli occhi quando ero suo prigioniero. So che
cosa ho visto.
-
Cosa?
-
Rimpianto. Rabbia. Ferocia, persino. Sete di potere. Tristezza.
“Rimpianto.
Rabbia”.
“Io
sto cercando di proteggerti! Ma
tu non riesci a capire... non hai idea di che cosa sia la
verità! Non hai idea
di che cosa io stia facendo! E quando gli altri ce
l’avranno... si renderanno
conto da soli che sarebbe stato meglio non sapere!”
-
Emma dice che sta facendo tutto questo perché vuole
proteggermi. Da cosa?
-
Io non ho queste risposte. Sei venuta dalla persona sbagliata. Ormai
non sono
più... quell’uomo.
Lilith
non aveva nemmeno perso tempo ad invocare Emma prima di mettere piede
nel
negozio di Gold. Anche se fosse venuta, non avrebbe mai parlato.
– C’è un...
legame tra me ed Emma.
-
Ne sono a conoscenza.
-
Quel legame ci permette di vedere... l’una attraverso gli
occhi dell’altra. –
Spiegò a Gold quello che le aveva spiegato anche sua madre e
dopo di lei
Regina.
-
Una volta l’avrei trovato affascinante. – rispose
lui, sorridendo. – È un dono.
Un dono molto... importante. Ma ora che Emma è
l’Oscuro potrebbe essere un’arma
pericolosa. Emma saprà controllarlo meglio.
“Rabbia.
Ferocia, persino”.
-
Ditemi come posso controllarlo, allora. Forse posso aiutare gli altri a
capire,
se lo controllo.
Tremotino
pensava che Lilith emanasse un potere notevole. Non era più
l’Oscuro, ma non
serviva esserlo per percepire il potere. Bastava guardare gli occhi
della
ragazza. Bastava ascoltare le inflessioni della sua stessa voce.
– Controllarlo
non è semplice.
-
Cosa devo fare? Concentrarmi? Concentrarmi su Emma?
-
Hai troppa fretta. Non si tratta di concentrarsi!
Lo
sto facendo davvero? si
chiese Tremotino, preso in contropiede. Lo
sto facendo?
Il
suo tono aveva assunto una sfumatura didattica. Il tono che avrebbe
avuto un
insegnante con la sua giovane allieva. Il tono che avrebbe usato... con
Regina.
Ecco, sì. La figlia di Malefica gli ricordava Regina. Per un
sacco di motivi.
-
La magia... non è concentrazione. La magia è
emozione. Anche questo dono
dipende dalle emozioni. Dipende dall’istinto. –
Tremotino si avvicinò un po’ di
più a Lilith. – Hai bisogno di tempo per imparare.
Purtroppo di tempo non ne
abbiamo, al momento. Ed io non sono più la persona adatta ad
insegnare queste
cose.
“Rimpianto.
Rabbia. Ferocia, persino.
Sete di potere. Tristezza”.
-
Non siete più adatto a niente. –
ribatté Lily. Si diresse a grandi falcate
verso la porta. – Potevate solo essere usato per estrarre una
maledetta spada
da una roccia!
Se
ne andò e Tremotino non tentò nemmeno di fermarla.
-
Rischia di farsi male, Tremo. – osservò Belle,
guardando la porta chiusa.
Lui
non rispose.
Uncino
si gettò dal tetto del municipio subito dopo aver invocato
Emma e pensando a
quando fosse folle ciò che stava facendo.
“Mi
avete tradita”.
Ma
doveva farlo. Doveva sapere. Era sicuro che Emma non
l’avrebbe lasciato morire.
“Mi
avete tradita”.
La
sua voce era fredda come ghiaccio. Era affilata come la lama di una
delle sue
spade. Ma lei era ancora là, da qualche parte.
L’oscurità non l’aveva ancora
risucchiata nel suo vortice.
“Perché
ti serve Excalibur? E
cos’abbiamo fatto a Camelot? Se me lo dicessi... forse
potremmo risolvere
tutto”.
“Sono
io che risolverò tutto. Voi
non siete in grado”.
Mancavano
tre metri all’impatto con l’asfalto, quando una
densa nuvola magica lo avvolse
e un istante dopo Killian si ritrovò in piedi in mezzo al
parcheggio vuoto.
Vuoto a parte Emma, che gli stava dinanzi, le mani dietro la schiena,
l’espressione
mortalmente seria, le labbra serrate.
-
Eri sicuro che ti avrei salvato.
-
Beh, direi di sì. Devo sapere che cos’è
successo. Che cosa intendevi quando hai
detto che ti abbiamo tradita.
-
Non è così semplice.
-
Potrebbe esserlo. Qualsiasi cosa tu abbia fatto, io ti ho
già perdonata...
Emma
spalancò gli occhi. – Non ho bisogno di essere
perdonata. Siete voi che
dovreste chiedermi perdono.
-
Non siamo riusciti a salvarti? È questo? Abbiamo pensato di
poterti salvare e
per qualche ragione non ci siamo riusciti? – Killian
aprì le braccia. – Dimmelo
e basta. Ho fatto molte cose terribili nella mia vita. Tu le hai
accettate.
-
Oh, pensi che sia la stessa cosa? Tu non ne hai la minima idea...
– Ora Emma
era furiosa.
Killian
sollevò la mano, mostrando i suoi anelli. Prima gli fece
vedere quello
sull’anulare. – Questo apparteneva ad un uomo di
nome Barnaby. Mi ha chiamato
Jones Mano Monca ed io l’ho ucciso davanti a sua moglie. Poi
ho preso il suo
anello.
-
Ho sentito abbastanza...
Gli
fece vedere quello sull’indice. – Questo qui...
Egg. Un marinaio. Ha bevuto il
vino del capitano. L’ho annegato.
-
Ma che storie terribili... – commentò Emma,
sarcastica e pungente.
Il
pirata la fissò, leggermente attonito.
-
Che ne dici di questo? – Lei aprì la mano. Nel suo
palmo c’era un anello
agganciato ad una catenella d’argento.
-
Credevo di averlo perso a Camelot... – mormorò
Killian.
Emma
glielo lanciò. Lui non lo prese e l’anello cadde,
tintinnando.
-
Perché lo stai facendo?
-
Non mi serve più, questo anello. E ti conviene tornartene a
casa ad annegare i
tuoi dispiaceri nel rum. La conversazione è terminata.
– Emma gli voltò le
spalle, pronta ad andarsene.
-
So che non lo pensi.
-
Perché non ricordi. Ecco perché sei
così sicuro di quello che dici.
-
Emma...
Lei
agitò una mano davanti alla sua faccia e Killian cadde a
terra, svenuto. L’anello
rimase là sull’asfalto, vicino alla manica della
sua giacca, luccicante.
La
catenella d’argento era spezzata.
***
Camelot.
Tre settimane prima della
maledizione.
Emma
stringeva tra le mani il cofanetto nel quale era rinchiusa la fiamma
quando
Lily, in forma di drago, planò nel punto in cui
Artù aveva portato tutti gli
altri.
I
suoi genitori, Uncino, Regina e Robin erano legati agli alberi, i polsi
chiusi
da robuste catene, mentre la strega e il re attendevano il suo arrivo.
Merlino
era accanto ad Artù, ubbidiente come un cagnolino
ammaestrato. Malefica era
legata come tutti gli altri, ma era anche priva di sensi, in modo che
non
potesse trasformarsi. Zelena aveva preso il suo scettro.
Artù
sollevò Excalibur non appena vide il drago, con Emma in
groppa. Quando toccò
terra, la creatura mutò di nuovo, recuperando la forma
umana.
-
Eccovi qua, finalmente! Cominciavo a chiedermi quando sarebbe
cominciata la
festa! – esclamò Zelena. Aveva indossato la sua
migliore tenuta da strega, con
tanto di cappello a punta. Il nero del vestito metteva ancora
più in risalto
gli occhi azzurri, che dardeggiano divertiti.
-
Dammi quello che ti ho chiesto, essere maledetto. – disse
subito Artù ad Emma.
– E tieni a bada quel mostro che ti accompagna.
Emma
mise una mano sulla spalla di Lily e poi si fece avanti.
-
Emma, non lo fare! – gridò Regina, armeggiando per
liberarsi dalle catene.
Erano catene robuste ed erano anche incantate. Merlino, eseguendo un
ordine di
Artù, le aveva costruite con la sua magia, una magia che
Regina non conosceva e
non era in grado di distruggere.
-
Oh, lo farà, invece. – rispose Zelena, elargendo
un sorriso splendente alla
sorella.
Emma
continuò a tenersi stretta la fiamma di Prometeo. Lily aveva
poggiato una mano
sull’elsa della spada.
-
Vediamo... – disse la strega, notando l’esitazione.
– Chi dovrei giustiziare
per primo? Il tuo fidanzatino con una mano sola? O tuo padre?
Emma
lanciò un’occhiata ad Uncino e poi a David. Infine
porse il cofanetto a Zelena.
– Puoi avere la fiamma.
Zelena
la prese immediatamente.
-
Controlla che sia la vera fiamma! – ordinò
Artù.
Lily
stava già sorridendo, quando la strega aprì la
scatola.
Vi
fu un rumore secco, come di una frustata. Poi la magia che Emma aveva
fabbricato appositamente esplose, afferrando Zelena per le braccia e
trascinandola indietro. Sorpresa, lei non ebbe il tempo di reagire. Si
ritrovò
con la schiena schiacciata contro il tronco di un albero e con delle
cinghie
dotate di vita propria che le serravano il busto e le braccia.
Regina
sorrise, estasiata e orgogliosa.
Lily
recuperò lo scettro di Malefica. Non aveva la minima idea di
come usarlo, ma
improvvisare era la soluzione migliore, al momento. Quindi lo
puntò contro il
sovrano.
-
Hai intenzione di restituirmi la mia famiglia o dobbiamo continuare a
combattere? – chiese Emma, con calma.
-
Merlino! – gridò Artù, alzando la
spada.
-
Per favore, Emma... – la supplicò il mago.
– Dagli la fiamma. Non è una
battaglia che puoi vincere.
-
Sentite il mago più potente del reame... –
ribatté Lily. – Non è nemmeno in
grado di controllare l’oscurità! Lui che ha creato
il pugnale...
-
Lily... non rendere le cose più difficili. Siete molto
potenti. Ma non
abbastanza. – le rispose Merlino.
Lo
stregone diresse il suo potere contro l’Oscuro, che rispose
raccogliendo tutte
le sue energie. Le magie si scontrarono e cercarono di respingersi a
vicenda,
lampi di luce azzurri e bianchi che scaturivano dalle loro mani. Emma
capì
immediatamente che Merlino era troppo forte. Lei era
l’Oscuro, ma lui aveva
mille anni ed era immortale, aveva bevuto dal Graal e l’aveva
rimodellato per
creare Excalibur, aveva creato il pugnale per controllare Nimue e
sapeva come
distruggere la sua oscurità.
Stava
per cedere, quando lo scettro di Malefica prese vita nelle mani di Lily
e
un’onda di potere esplose, colpendo Merlino alla testa. Lo
stregone venne
scaraventato all’indietro e cadde ai piedi di Azzurro.
-
Che diavolo fai, Merlino?! Rialzati! – urlò
Artù, in preda alla furia. –
Combattili!
Emma
vacillò sulle gambe. Regina lottò con
più ferocia contro le catene.
Merlino
si alzò, scuotendo il capo. – Ti supplico, Emma...
vorrei che tu potessi
sconfiggermi. Ma non puoi...
-
Merlino, sbrigati! Uccidi la mutaforma che ha tanta voglia di imitare
sua
madre!
Emma
aveva la testa inondata di confusione e le orecchie le fischiavano
orribilmente. Aveva voglia di uccidere. Di prendere Artù per
il collo come
aveva fatto con Sir Morgan e ucciderlo. Definitivamente.
Merlino
si girò verso Lily. – Mi dispiace...
-
Fermo! – riuscì a gridare Emma. – Devi
combatterla!
-
Non posso. – Lo stregone puntò una mano contro
Lily.
-
Se mi darai la fiamma, nessuno si farà male, Oscuro.
– le ricordò il re,
venendo avanti. – Fiamma e pugnale. È tutto
ciò che mi serve. In caso
contrario, assisterai alla morte delle persone che ami!
-
Sei lo stregone più potente che sia mai esistito!
– urlò Emma, ignorandolo. – Se
tu non riesci a sconfiggere l’oscurità, allora
nessuno può!
Gli
occhi di Lily cambiarono colore, diventando dorati. Lasciò
cadere lo scettro.
Il
corpo di Merlino era scosso dai brividi. Gli occhi sembravano in
procinto di
scoppiargli nelle orbite e il suo viso era sempre più teso.
Le dita si mossero
sensibilmente e Lily venne arpionata per il collo prima che potesse
completare
la trasformazione.
-
L’hai creata tu, quella spada! – urlò
Emma, fuori di sé. – L’hai creata tu!
Possibile che non ti rimanga un briciolo di forza per combattere tutto
questo?
Che razza di stregone sei? Dov’è l’uomo
che diceva che avrebbe distrutto
l’oscurità?
-
Uccidi la mutaforma, Merlino! – ordinò di nuovo
Artù. Pareva stesse delirando.
Aveva la fronte imperlata di sudore, i capelli in disordine, la bocca
distorta
in una smorfia animalesca. – Ferma la dannata profezia!
Camelot è il mio regno!
Tu mi hai indicato come re! È anche colpa tua se siamo
arrivati a questo!
Adesso ti ordino di aiutarmi a salvare questa terra!
Merlino
si rivoltò contro di lui. Con un ultimo, immane sforzo, si
sottrasse al potere
della spada e lasciò libera Lily.
-
Ho detto: uccidila! – ricominciò Artù.
– Nel nome di Excalibur, io ti comando
di ucciderla!
- Non posso... controllarlo
a lungo. – disse
Merlino.
Lily
recuperò lo scettro di Malefica e, non appena le mani lo
strinsero, il potere
racchiuso in esso si manifestò di nuovo, dirigendosi verso
il bersaglio. Artù
si ritrovò gambe all’aria e perse la spada.
Merlino approfittò del momento di
tregua per liberare tutti i prigionieri dalle catene. Lily si
affrettò a
gettarsi in avanti per recuperare Excalibur. Killian e David accorsero.
E
tuttavia il re fu molto più rapido di loro;
riafferrò l’elsa e roteò
l’arma in
tutte le direzioni, costringendoli ad indietreggiare.
-
Questa spada mi appartiene. – sibilò
Artù.
Il
drago prese vita prima ancora che lui avesse finito la frase. Lily
guardò sua
madre che puntava il sovrano con i suoi occhi accesi e le narici
fumanti. Una
delle sua zampe quasi lo calpestò, schiacciandolo sotto il
suo peso. Artù
scansò l’arto del drago e Killian ne
approfittò per fargli uno sgambetto. La
spada cadde un’altra volta tra le foglie.
-
Prendete Excalibur! – gridò Regina.
Formò una sfera di fuoco. – Io e la mia
vecchia amica facciamo i conti con questo pseudo-re.
Malefica
si stava già occupando di Artù.
Abbassò la testa e spalancò le fauci davanti
alla faccia dell’uomo.
Mary
Margaret raccolse la spada.
-
Io aggiungerei: prendete Excalibur e riconsegnatela al legittimo
proprietario.
Non ti sembra più giusto, sorellina? – Zelena
usava Lily come scudo personale.
Le cinghie che l’avevano avvinghiata al tronco erano state
brutalmente
spezzate. Le era caduto il cappello nero da strega ed ora i capelli
rossi erano
una massa infuocata che le ricadeva ai lati del viso.
Emma
guardò in su. Ancora non si sentiva molto padrona di
sé. Zelena premeva un
pugnale contro la gola di Lily.
-
Metti giù Excalibur, mammina. Oppure il piccolo drago si
farà molto male. Abbiamo
giocato abbastanza per oggi.
-
Merlino... – iniziò Mary Margaret.
-
Rischio di fare del male anche a Lily, se intervengo. – disse
lui. – E alla
bambina della strega.
-
Oh! – esclamò Zelena. Accennò un
sorriso vittorioso e pieno di orgoglio. – Mi
stai dicendo che... è una femmina? Sono estasiata. Hai
sentito Robbie?
Malefica
emise un ruggito basso e cupo. Regina non sapeva che cosa fare. Sua
sorella non
era in grado di darsi per vinta. Trovava sempre un modo per raggirarli.
-
La spada, grazie. – disse Zelena. – Dopo
sarà la volta del pugnale e della
fiamma.
Emma
si alzò da terra. D’improvviso il suo piano si era
complicato, rivelandosi un
fallimento e lei sentì di avercela con il mondo intero. Con
se stessa e con i
suoi genitori, che una volta avevano tentato di salvarla
dall’oscurità, ma
avevano solo rimandato l’inevitabile. Con Regina,
perché lei si era
sacrificata, diventando l’Oscuro, per aiutarla. Con Uncino e
con Merlino. Con
Lily, che si metteva sempre nei guai. Con Nimue. Con Tremotino. Con
tutta la
stramaledetta compagnia. Perché toccava a lei essere quella
che reggeva il peso
principale? Che specie di ingiustizia era mai?
-
Mamma... dalle Excalibur. – disse Emma.
-
No.
Emma
la fissò, trasecolata.
-
Forse non ha capito la minaccia. Mi sembra un po’... dura di
comprendonio. –
osservò Zelena. Premette di più il coltello
contro la pelle di Lily e un rivolo
di sangue corse giù per il collo.
-
Ho capito perfettamente. – disse Mary Margaret, pronunciando
ogni parola in
modo ben chiaro. Il suo sguardo era fermo. – Io devo pensare
a Emma.
-
Mary Margaret... – prese a dire David.
-
State indietro.
-
E poi dicono che io sono perfida. – Zelena emise la sua
risatina folle. –
Guardate chi è la vera strega cattiva, qui. Sorellina, ti
stanno rubando il
posto.
-
Mary Margaret, non fare follie... – mormorò
Regina.
Ma
la madre di Emma non aveva la minima intenzione di ascoltare. Quando le
lanciò
un’occhiata, senza rispondere alla sua supplica, Regina vide
il suo viso. Lo vide per davvero e
per alcuni secondi
scorse nello sguardo di lei uno scintillio che conosceva. Conosceva
anche
quell’espressione. Gelida. Distaccata da tutto, eppure
lucida. La stessa che aveva
nella cripta quando le aveva dato il cuore maledetto di Cora.
-
Io sono una madre. – rispose Mary Margaret. – E
scelgo di salvare mia figlia.
La
liana scese, come un serpente diligentemente ipnotizzato e
abbrancò Zelena per
il collo, arrotolandosi intorno ad esso. Colta alla sprovvista, Zelena
lasciò
cadere la sua arma e boccheggiò.
Artù
sferrò un calcio, colpendo Killian alla gamba e si
alzò, correndo verso la
strega. – Andiamocene via da qui, dannazione!
Zelena,
nonostante la liana che rischiava di soffocarla, riuscì a
trasportare se stessa
ed Artù lontano da lì, schioccando le dita.
Mary
Margaret chiuse gli occhi, osservando la spada rotta e il nome di
Merlino sulla
lama. David si avvicinò alla moglie. Malefica
recuperò la sua forma umana e
strinse sua figlia tra le braccia.
-
Swan, stai bene? – chiese Uncino.
-
Sto bene, sì. – rispose Emma. – Lily...
-
Non so come ci sono riuscita. – rispose lei, portandosi una
mano al collo, alla
ferita superficiale che le aveva provocato il pugnale di Zelena.
-
Aspetta, sei stata tu? – chiese il pirata, attonito.
-
Naturalmente. – rispose Emma, sorridendo a Lily.
-
Diciamo che volevo solo salvarmi la vita.
-
Istinto. – disse Malefica, sinceramente ammirata. –
Ti sei comportata bene. Non
avrei saputo farlo meglio.
Lily
le restituì lo scettro. – Penso che questo sia
meglio che ce l’abbia tu.
-
Beh, abbiamo la spada. E anche la fiamma. –
osservò Killian. – Direi che è
andata come speravamo.
Mary
Margaret porse Excalibur ad Emma. – Adesso... possiamo
distruggere l’oscurità.
Emma
le strappò la spada di mano con fare sprezzante. Gli occhi
dell’Oscuro erano
neri e lampeggianti. Regina si rese conto che Emma era furibonda. Non
in
collera, ma addirittura fuori di sé.
-
Emma... – cercò di intervenire.
-
Lasciami stare. – rispose lei, scostandosi. Si rivolse a sua
madre. – Lily
poteva morire.
-
Mi dispiace. Non riuscivo a pensare. Non potevo consegnarle Excalibur.
È la tua
unica possibilità per tornare ad essere ciò che
eri prima. – Mary Margaret
allungò una mano per toccarle il viso.
Emma
glielo impedì, afferrandole il polso. - Non a costo della
vita di qualcun
altro.
-
Emma... io sono tua madre. Tu...
-
Non mi importa!
-
Emma... – disse ancora Regina. Stavolta riuscì a
metterle una mano sul braccio.
Oh, lei capiva benissimo l’ira nel suo sguardo. Mary Margaret
era pronta a
sacrificare Lily per salvare sua figlia. Era pronta a sacrificare la
ragazza
che era stata maledetta proprio perché lei l’aveva
voluto.
L’Oscuro
continuava a serrare il polso della madre. Avvertiva a stento le dita
di
Regina.
-
Fermati, Swan, le stai facendo male. – disse Uncino,
preoccupato.
“Lo
puoi sentire, Emma! Puoi
sentire il potere e anche l’ombra. L’ombra che si
avvicina a Camelot! Io la
vedo! E tu? Tu la vedi?”
“Non
sono ancora morta, fanciulla”.
-
Emma! – Regina colse qualcosa nel suo sguardo. Sulle prime
non riuscì a capire
che cosa stesse vedendo. Poi si accorse che il verde dei suoi occhi si
era
come... allargato. Il verde era diventato più intenso e
aveva invaso la sclera,
nascondendone il bianco.
Questa
non è Emma. Chi c’è qui con
noi?
Infine
Emma lasciò andare Mary Margaret. -Torniamo al
Granny’s. Abbiamo ancora del
lavoro da fare.
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Capitolo 13 *** 13. ***
13
Foresta
Incantata. Trecento anni prima.
Nell’aria
aleggiava l’odore del fumo, della carne e del legno bruciati.
Le
fiamme che avevano divorato la foresta si erano spinte fino al
villaggio vicino
e avevano intaccato le case. Le costruzioni si ripiegavano su se
stesse, ad un
passo dal crollo. I tetti erano in fiamme. La gente fuggiva in ogni
direzione,
urlando, in prenda all’orrore e al panico. Per terra
giacevano i corpi di persone
già morte bruciate. Alcuni uomini si erano rimboccati le
maniche e si stavano
dando da fare, passandosi secchi colmi d’acqua, che veniva
gettata sulle
fiamme, nel disperato tentativo di soffocarle.
L’ombra
del drago oscurò la luna piena per qualche istante. Poi
passò oltre,
dirigendosi verso le montagne a nord. Presto il villaggio in fiamme fu
lontano
miglia e miglia.
Il
volo del drago era scoordinato. Mentre planava nel punto in cui si
trovava la
caverna, le grandi ali membranose urtarono contro i rami alti degli
alberi.
Dalle narici fuoriuscivano fili di fumo. Il sangue, che scorreva sotto
le dure
scaglie nere che ne ricoprivano il possente corpo, ribolliva come la
fornace
che aveva nella pancia e che alimentava continuamente. Dalla bocca
sputava
ancora lapilli di fuoco. Era fuori controllo.
Atterrò
malamente, ribaltandosi su un fianco ed emettendo un basso e cupo
ruggito. I
pensieri nella sua testa erano oscuri e confusi, si rincorrevano
l’un l’altro.
Il potere, la forza, l’energia che aveva provato in volo
erano stati inebrianti
e ancora impedivano alla creatura di ritrovare il nesso con il mondo
che la
circondava.
Entrò
nella caverna. Quello era il luogo in cui era nata, quello in cui sua
madre
aveva costruito il proprio nido, vegliando e proteggendo
l’uovo. La sua mente
era riuscita a metterlo a fuoco in mezzo a tutta quella distruzione. Un
lampo
di lucidità. Un’immagine sfocata, ma riconoscibile
nel fuoco.
Pian
piano il suo cuore si calmò. I muscoli tesi si rilassarono
nella frescura e
nell’ombra della caverna. Infine una densa nuvola viola
avvolse il drago,
ricoprendolo interamente.
Malefica
piantò lo scettro nelle pietre della caverna e si
tirò su. Ciocche di capelli
biondi le scivolarono sul viso. Alzò la testa e gli occhi
celesti perlustrarono
l’antro buio in cui si era rifugiata.
Le
immagini del villaggio distrutto e della foresta in fiamme tornarono a
galla
lentamente.
Si
sentiva ancora stordita. Sua madre le aveva detto che la prima volta un
mutaforma come loro era sempre fuori controllo. Se non veniva guidato,
rischiava di perdere la testa.
Ma
sua madre era morta da tempo, uccisa durante uno scontro con un altro
drago, e
Malefica era stata costretta a fuggire dal proprio castello. Il re
aveva
ordinato di uccidere la figlia della mutaforma, poiché la
madre aveva portato
solo caos e terrorizzato a lungo il suo regno. Non aveva intenzione di
permettere alla figlia di fare lo stesso. Malefica non era ancora in
grado di
trasformarsi né sapeva usare bene la magia, allora. Di
conseguenza, quando gli
uomini del re erano venuti a cercarla, aveva preso l’unica
cosa che le restava
di sua madre, lo scettro nero con la sfera magica in cima, sorretta
dalla
schiena di un drago, ed era scappata.
In
un punto in fondo alla caverna, alcune pietre erano state disposte in
circolo. Laggiù
sua madre aveva deposto l’uovo di drago.
Il
villaggio. Le fiamme. La foresta che bruciava. Le urla.
Le
urla.
Malefica
si gettò a terra vicino al nido, il respiro affannoso e la
mente sconvolta dal
ricordo di ciò aveva appena distrutto. Mise da parte lo
scettro e allungò una
mano nella cavità in cui un tempo c’era stata
anche lei chiusa nel suo uovo.
Trovò quasi subito ciò che stava cercando.
Il
sonaglio che portava sempre con sé quando era solo una
bambina. Era come il suo
scettro, solo molto più piccolo. Là, Malefica si
accucciò, raccogliendosi su se
stessa in modo da raggomitolarsi sempre più, quasi volesse
sparire.
Scosse
debolmente il sonaglio ed esso crepitò.
***
Storybrooke.
Oggi.
Quando
Zelena cominciò ad urlare
come un’ossessa e a battere i pugni contro la porta della sua
cella,
l’infermiera che le portava sempre il pranzo e la cena
levò gli occhi al cielo,
ma non mosse un dito. Seguitò a passare lo spazzolone sul
pavimento lucido del
corridoio. Non aveva la minima intenzione di lasciarsi raggirare di
nuovo da
quella strega maledetta. Il sindaco non gliel’avrebbe fatta
passare liscia.
La
guardia di turno sollevò la
testa dalla rivista che stava leggendo.
Tuttavia,
l’infermiera pensò anche
che, se Zelena aveva davvero qualche problema serio, il sindaco non
gliel’avrebbe perdonata comunque. In più, i
pazienti nelle altre stanze stavano
iniziando ad innervosirsi. Quindi posò lo spazzolone contro
il muro e si
incamminò verso la cella. Aprì la finestrella e
sbirciò all’interno.
Zelena
si gettò di nuovo contro la
porta, gridando e chiamando aiuto. La sua faccia era rossa e deformata
dal
dolore.
-
Si allontani dalla porta! – le
intimò l’infermiera.
La
strega fece qualche passo
indietro. Teneva una mano sul ventre, mentre con l’altra
annaspava per trovare
un appiglio.
L’infermiera
vide. Sgranò gli occhi
e poi si precipitò verso la guardiola, dove la guardia aveva
ripreso a leggere.
– Chiama il sindaco! Subito!
-
Che sta succedendo?
-
Chiamala e basta!
Lo
fece e Regina Mills arrivò in
clinica non più di cinque minuti dopo, accompagnata da Robin
Hood. L’infermiera
la condusse subito presso la cella.
-
Facciamo attenzione. Potrebbe
essere un altro dei suoi tranelli. – disse Regina.
-
È stata la prima cosa a cui ho
pensato. Ma è necessario che lo vediate con i vostri occhi.
Spalancò
la porta e Zelena arrancò
fino all’ingresso.
Questo
non è proprio possibile, pensò
Regina. Sapeva che il mondo
era già precipitato in un gorgo di assurdità. Ma
quel gorgo ora stava
diventando pura follia. Stava diventando un abisso senza fondo. Una
voragine
piena di incubi. Questo... no. Non
è
possibile.
La
pancia di Zelena era cresciuta.
Era una donna in procinto di partorire.
-
Non state lì a guardarmi, idioti,
aiutatemi! – gridò la strega, piegandosi in due,
in preda ai dolori.
-
Ma che diavolo è successo? –
domandò Robin, attonito.
-
Cosa credi che sia successo?
Magia nera! – Zelena strisciò fuori dalla cella.
-
Magia nera... di chi?! – Nel
momento esatto in cui Regina fece la domanda, capì. Non
avrebbe nemmeno dovuto
porla.
Emma.
Non appena l’ambulanza si fermò
davanti all’ospedale, due paramedici scaricarono Zelena e la
piazzarono su una
sedia a rotelle.
-
Cerca soltanto di respirare. – le
disse Robin, mentre si dirigevano verso la sala parto.
-
Oh, taci! Pensi di potermi dare
dei consigli?! – strillò Zelena.
-
Perché Emma sta facendo tutto questo?
– chiese Regina.
-
Non ne ho idea! – rispose sua
sorella, rabbiosamente.
-
Sei sicura che fosse Emma?
-
E tu sei sicura di non esserti
bevuta il cervello?! Certo che era Emma! E se dovesse offrirti degli
anelli di
cipolla... beh, non mangiarli! – Urlò di nuovo, in
balia dell’ennesima
contrazione.
Emma
aveva accelerato la gravidanza
di sua sorella. Ciò significava che voleva il bambino.
L’ultima volta che un
bambino era stato rapito, l’aveva preso proprio Zelena per
portare a termine il
suo piano: aprire il portale che l’avrebbe condotta nel
passato.
Maledizione,
che diavolo stai facendo, Emma?
Distesero
Zelena su un lettino e
Whale arrivò con tutta la calma del mondo.
-
C’è bisogno di un dottore? –
domandò.
-
C’è un bambino furibondo dentro
di me. Fate qualcosa! Tiratelo fuori! – La voce di Zelena era
talmente acuta da
spaccare i vetri. A Regina stava venendo una potente emicrania.
-
Oh, se non ricordo male...
l’ultima volta che ho fatto nascere un bambino, tu
l’hai rapito. – le ricordò
Whale, infilandosi un paio di guanti di lattice. – Ma quando
tocca alla ladra
di bambini partorire... è molto più divertente,
non trovate?
Nessuno
parlò.
Whale
allungò una mano verso
Zelena. – Dottor Whale.
-
Abbiamo proprio bisogno di un
nuovo dottore. – commentò Regina. E poi, come se
fosse importante: - Che
cos’hai fatto ai capelli?
-
Quindi se Emma cambia
acconciatura va bene, ma se io mi tingo i capelli sono ridicolo? Dai,
so che in
fondo ti piace. – Whale aveva i capelli corti e biondo
platino.
-
Smettetela! – gridò Zelena. – Ma
perché non ti ho ucciso l’ultima volta?
-
Mi hai scaraventato contro un
muro. Direi che è sufficiente. E oggi non
succederà. – rispose il medico.
Zelena
gli riservò una smorfia
disgustata.
-
Va bene. Mettiamoci al lavoro. –
concluse Whale.
In
quel momento Belle e Mary
Margaret si precipitarono nella stanza, trafelate. Belle reggeva un
libro di
magia.
-
State pronti! Dobbiamo proteggere
il bambino da Emma! – esordì Mary Margaret.
-
Lei è qui? – chiese Robin.
-
Non ancora, ma arriverà. – Belle
aprì il libro, perché tutti potessero vedere.
– Henry ha trovato l’incantesimo
per distruggere la magia bianca nel libro di Merlino.
-
E quello che le serve per farlo
è...
-
Il pianto di un neonato. –
concluse Regina.
-
Non le permetterò di prendere
questo bambino. – affermò Robin.
-
Regina. – Zelena sollevò il
braccio al quale era agganciato il bracciale che inibiva i suoi poteri.
La sua
voce ora suonava supplichevole. – Toglimi questo affare.
Così sarò in grado di
proteggere mio figlio. Ti prego!
-
No. – ribatté Regina. – Non mi
fido di te, Zelena. Ci penserò io a proteggere il bambino.
Zelena
strillò, indignata.
Una
densa nuvola viola apparve
nella stanza e tutti si tirarono indietro. Malefica non aveva
un’aria felice.
-
Malefica, meno male che sei qui.
Abbiamo bisogno di aiuto. – disse Regina.
-
Non ho tempo per aiutare...
streghe a cui si sono rotte le acque. – rispose Malefica,
guardando appena
Zelena.
-
Dov’è Lily? – chiese Regina.
-
Tu la vedi? – rispose seccamente
Malefica. – L’ho cercata ovunque. Non risponde al
telefono. Mi resta soltanto
un posto in cui controllare.
-
È venuta al negozio di Tremo,
meno di un’ora fa. – disse Belle. – Stava
cercando Emma. Ha parlato di un... un
legame fra lei e l’Oscuro. Qualcosa che...
-
Che le permette di vedere
attraverso gli occhi di Emma, sì. È proprio
quello che ci preoccupa di più. –
disse Mary Margaret.
-
Ti ha detto qualcos’altro? –
chiese Malefica.
-
No. – rispose Belle. – Voleva che
Tremo le spiegasse come controllare questo potere, ma Tremo sostiene...
che le
serva tempo per imparare.
-
Devo trovarla prima che lo faccia
Emma. – replicò Malefica, risoluta. Aveva gli
occhi accesi come tizzoni
ardenti.
Regina
la prese per un braccio e la
condusse in corridoio. – Non andare a casa di Emma. Potrebbe
essere rischioso.
Le manca solo un ingrediente per distruggere la magia bianca. Il
bambino di
Zelena.
-
Cercherà di prendersi il bambino?
-
Sì. Quindi verrà qui. Vorrei
aiutarti... ma non posso muovermi, per quanto la situazione sia
assurda. Non posso
permettere che Emma prenda quel bambino.
-
Ed io non posso permettere che
mia figlia sia presente quando Emma diventerà
l’Oscuro più potente che sia
esistito.
Regina
l’afferrò più saldamente. –
Emma non intende fare del male a Lily. È l’ultima
persona a cui farebbe del
male.
-
Credi che questo mi basti? È mia
figlia. – C’era una sfumatura di affanno nella voce
di Malefica. La sfumatura
di chi sta già correndo verso un obiettivo e non intende
distogliere
l’attenzione da esso solo perché è
insidioso.
Regina
vide il fuoco colmarle lo
sguardo come una marea. - Ed Emma è l’Oscuro.
-
Sarà anche più potente di me, ma
io sono più vecchia. E posso ancora essere una ragazzaccia.
Darò il peggio di
me.
-
Puoi fare attenzione mentre dai
il peggio di te, almeno? – chiese Regina.
Malefica
strinse una mano di Regina
tra le sue. – Non posso garantirtelo. Mi dispiace.
***
Camelot.
Due settimane prima della maledizione.
Emma
aveva appoggiato il cofanetto
con la fiamma di Prometeo sul bordo del pozzo, davanti al
Granny’s. Osservava
la scintilla. La scintilla che presto sarebbe stata una vera fiamma e
l’avrebbe
liberata.
Gli
altri erano all’interno della
tavola calda. Killian stava facendo un resoconto ad Henry su come
Artù e Zelena
erano stati sconfitti nella Foresta Caledoniana. Belle era ricomparsa,
ma non
aveva detto una parola su Merida o su quello che era accaduto da quando
era sparita.
Merlino era privo di forze. Azzurro avrebbe voluto andare in
perlustrazione,
per assicurarsi che nei boschi non ci fosse nessuno, ma il mago Knubbin
l’aveva
fermato.
-
Trovo sia rischioso. Lasciate che
ci pensi io.
-
Voi? Intendente andare a perlustrare
il bosco? – aveva chiesto Regina, scettica.
-
Non io. Il mio corvo lo farà.
Heathcliff non è un corvo come gli altri ed io e lui
abbiamo... un legame,
ecco. Un legame che mi permette di vedere tutto ciò che vede
lui. Andrà in
perlustrazione per noi. Se ci fosse qualcuno, un corvo non desterebbe
poi tanti
sospetti. Del resto, chi si aspetterebbe che un corvo sia
così... dotato. –
Knubbin aveva posato un dito sulla testa di Heathcliff.
Così
il corvo aveva fatto ciò che
il padrone aveva chiesto ed era tornato poco dopo. Knubbin aveva tirato
su un
secchio d’acqua dal pozzo e l’aveva usato per
vedere ciò che aveva visto il suo
uccello domestico. Niente. Nel bosco non c’era nessuno.
Emma
non si era unita agli altri in
tutto questo. Aveva preferito riflettere in pace.
-
Serve una luce? – domandò Regina,
avvicinandosi al pozzo, con cautela, come se temesse di disturbarla.
-
Regina. – disse semplicemente
Emma.
-
Pensavo ti servisse un’amica.
“L’ombra
è già sopra di noi. Io non sono ancora morta,
fanciulla”.
“Io
ci sarò quando avrai bisogno di
me. Sarò... esattamente qui!”
In
realtà non sapeva di cosa avesse bisogno. Però la
voce di Regina era in qualche
modo rassicurante. Le sembrava la voce... giusta.
-
Si sta prendendo gioco di me. Mi ha detto che non ce l’avrei
fatta perché non
sono pronta ad abbandonare l’oscurità. –
disse Emma.
-
E lo sei? – domandò Regina.
-
Regina...
-
Ehi. – Sorrise. – Nessuno conosce il fascino
dell’oscurità meglio di me.
Oh,
adesso anche lei lo conosceva, invece. La sensazione che guardare
nell’abisso,
giù fino in fondo fosse veramente necessario.
-
Puoi mentire ai tuoi genitori e puoi mentire a te stessa. –
riprese Regina. –
Ma non puoi mentire a me.
-
Non lo so. – Emma si decise a rispondere alla domanda
precedente.
-
Ti fa stare bene, vero? Appagare ogni impulso, esercitare un grande
potere...
fare tutto ciò che vuoi.
Ecco.
Già. Regina le leggeva dentro meglio degli altri.
-
Sì – ammise Emma. – Sì,
è così. È sbagliato?
-
Certo che lo è. – Regina avrebbe avuto molte cose
da dire ad Emma. Molte cose
da raccontarle su quanto fosse sbagliato e su quanto fosse normale
sentirsi
attratti dall’oscurità. Anni e anni di storie
terribili. Tuttavia doveva
mitigare i possibili danni. Doveva far breccia
nell’incertezza di Emma. Non
poteva permettersi di perderla. Non potevano
permetterselo. – Ma è anche umano. Emma,
io ti conosco...
No,
Regina, non è vero. Tu conosci
la Salvatrice, pensò
Emma. Tu non sai cosa sono capace di fare. Tu
non sai che volevo strappare il
cuore di una tredicenne e che ho sfruttato il dolore di Lily per
ottenere
quella lacrima. Non sai come l’ho ottenuta.
“Io
non sono ancora morta,
fanciulla”.
-
Ci è voluto del tempo, ma ormai... ti conosco davvero.
– continuò Regina. - Non
sei come me. Com’ero io, intendo. Se ti stai aggrappando
all’oscurità... hai
certamente le tue ragioni. Non si tratta solo di una tentazione. Di che
si
tratta?
-
C’è una profezia, Regina.
-
Un’altra?
-
Non è colpa mia. Nimue me ne ha parlato. E anche Merlino, ma
lui non è stato
molto chiaro. C’è... un’ombra.
Regina
ricordò qualcosa che aveva già sentito. -
L’ombra. Ne ha parlato anche Artù.
Aveva molta paura di quella profezia. Merlino ha detto che riguarda
Lily. Che
lei... distruggerà Camelot.
-
La profezia riguarda me. E anche Lily, sì. È
possibile che lo faremo insieme.
-
Come fate sempre tutto.
Emma
le lanciò un’occhiataccia.
-
Mi dispiace... – si corresse subito Regina, scostandosi una
ciocca di capelli
scuri dal viso. Il cuore le batteva all’impazzata. E nemmeno
lei aveva idea del
perché. - Ma questa profezia che cosa c’entra con
il tuo... problema? Dovrebbe
spingerti a rinunciare all’oscurità! Se tu
rinunci... Lily non fare niente di
male a nessuno. Tua madre aveva ragione quando diceva che vi
influenzate a
vicenda.
-
Mia madre era disposta a lasciarla morire!
-
Emma, il punto adesso è che... proprio per questo devi
rinunciare. Perché non
lo fai? Che cosa ti blocca?
-
Non lo so.
-
C’è una differenza tra il non sapere qualcosa e
non volerlo ammettere! Questi
muri che hai costruito... – Regina ripiegò la
manica dell’abito rosso, un gesto
apparentemente casuale. – Bisogna abbatterli.
Prima
che Emma potesse rendersi conto di ciò che stava per fare,
Regina afferrò il
pugnale posato sul pozzo vicino alla fiamma.
-
Che stai facendo? – gridò, incredula.
-
Ti aiuto ad abbatterli. – Regina puntò il pugnale
contro di lei. – Come
amica... io ti comando, Oscuro, di dirmi perché non vuoi
liberarti
dell’oscurità.
Emma
non tentò nemmeno di resistere. Sarebbe stato inutile.
– Senza l’oscurità non
sarò in grado di proteggere la mia famiglia.
-
C’è un altro muro, Emma. – disse Regina.
La
sua voce suonava ipnotica. I suoi occhi nocciola erano fissi nei suoi
ed erano
risucchianti. Emma non aveva mai visto occhi simili. In quel momento
era sicura
che quegli occhi non potessero esistere. Le parvero potenti quanto
quelli di
Nimue.
-
Ora... la verità. Dimmela. – le ordinò.
-
Questa è la verità, Regina. Ti prego.
-
No! Non lo è, Emma. – Quella stessa voce si
incrinò. Suonò più angosciata.
–
Devi essere coraggiosa e abbattere i muri dietro ai quali ti stai
nascondendo.
Forza, Emma! Puoi farcela. Dimmi di che cosa hai paura!
Lily
arrivò prima di tutti gli altri. Prima degli Azzurri, di
Uncino e di sua madre.
Arrivò di corsa e si gettò letteralmente contro
Regina. Caddero tutte e due.
Lily acchiappò il polso di Regina e la costrinse ad aprire
le dita strette
sull’elsa del pugnale.
-
Lily, che stai facendo? Sei impazzita? – gridò
Malefica.
Lily
si scrollò di dosso sua madre e prese il pugnale.
– Stava facendo del male ad
Emma!
David
afferrò la ragazza e la allontanò da Regina, che
si rialzò in piedi,
spolverandosi l’abito rosso.
-
Non stavo facendo del male a nessuno. – rispose lei.
– Stavo provando ad
ottenere qualche risposta.
-
Controllandola? – domandò Uncino. Tolse il pugnale
dalle mani di Lily. –
Scordatevelo, Maestà.
-
Sì, la stava controllando. E questo significa farle del
male. Lo sa molto bene.
– disse Lily. Guardò Emma, ma lei voltò
le spalle a tutti e se ne andò,
portandosi via la fiamma. Lily guardò anche Uncino. Era un
bene che le avesse
tolto il pugnale... non appena aveva serrato l’elsa di
quell’arma il palmo
aveva iniziato a formicolare. Le aveva spedito una fitta lungo il
braccio.
-
Volevo aiutarla! – ribatté Regina. – Non
è colpa mia se è doloroso.
Lily
le scoccò una delle sue occhiate di fuoco, poi
seguì Emma ovunque fosse andata.
-
Lily, aspetta! – esclamò Malefica.
Ovviamente
lei non ascoltò.
***
Foresta
Incantata. Trecento anni prima.
Il
re mise una taglia sulla testa della mutaforma.
Due
giorni dopo la comparsa del drago che aveva distrutto il villaggio e
parte
della foresta, il sovrano, parlando dal balcone del suo palazzo alla
folla che
ascoltava con i nasi all’insù, dichiarò
che non avrebbe accettato che un simile
essere terrorizzasse le sue terre. Era un uomo dotato di un portamento
e di una
voce sicura. Era alto e robusto, non più nel fiore degli
anni, ma fisicamente
forte.
“Già
sua madre portò la morte. Non siamo riusciti a trovare la
figlia, una volta. Ma
adesso... dobbiamo fermare il mostro. Dobbiamo estirpare il
male”.
La
gente mormorò.
“L’uomo
che ucciderà il drago sarà da me ricompensato
come merita. E gli garantirò la
mia protezione per sempre. Lo stesso varrà per la sua
famiglia, se ne ha una”.
Malefica,
camuffata da un incantesimo, uno dei pochi che aveva imparato grazie a
sua
madre, ascoltò il discorso. Poi tornò alla
caverna. Non sarebbe scappata.
Avrebbe atteso l’arrivo degli uomini del re, invece.
Era
stata costretta ad abbandonare il castello perché non era in
grado di
difendersi. Ora si sarebbe difesa. Non voleva uccidere quella gente.
Non voleva
fare del male a nessuno. Non era stata capace di controllare la sua
trasformazione, i suoi istinti, la furia che le aveva incendiato il
sangue non
appena aveva assunto la sua forma più temibile. Aveva solo
spalancato le ali e
aveva spiccato il volo, lanciandosi verso il cielo. Perché
era quello che
desiderava fare e quel desiderio era stato troppo forte per lei.
Sognava le
persone che aveva bruciato. Sognava l’odore acre del fumo e
dei corpi in
fiamme. Sognava uomini con facce avvolte dal fuoco, con i capelli
trasformati
in roghi ardenti... bambini che chiamavano le madri. Sognava le grida...
Tre
uomini del re trovarono la caverna diversi giorni dopo. Il gruppetto
era
guidato da un cavaliere dai tratti duri, con una folta barba castana e
gli
occhi piccoli e neri. La sua torcia illuminò le pareti di
roccia e il soffitto
altissimo del covo del drago. Aveva già sguainato la spada,
così come il suo
compare, mentre il terzo aveva estratto una freccia dalla faretra e
l’aveva
incoccata.
C’era
silenzio.
“Mutaforma”,
disse l’uomo con la spada. “So che ci sei. Ho visto
le tue orme là fuori”.
La
caverna non rimandò nessuna risposta.
“Il
villaggio che hai bruciato era il mio villaggio. Quella era la mia
gente”.
Un’ombra
si stagliò contro le rocce e l’arciere
scoccò la sua freccia. Il dardo sibilò,
creando una strana eco nello spazio chiuso. Non trovò alcun
bersaglio da
colpire, se non le pietre.
“Tre
uomini da soli nella caverna abitata da un drago”, disse
Malefica, ad un certo
punto. La sua voce sembrava giungere da ogni parte, da più
direzioni contemporaneamente.
“Quanto coraggio”.
“Non
siamo soli. Ci sono altri uomini nella foresta”, disse il
cavaliere.
“Mentite
e siete patetico”, rispose Malefica.
“Patetici
sono i tuoi tentativi di giocare con noi, mutaforma”.
“Il
mio nome è Malefica. Ma non conosco il vostro”.
“Il
nome ti si addice”. Il cavaliere venne avanti.
Consegnò la torcia al compagno
con la spada. La rabbia gli deformava i lineamenti. Ciocche di capelli
scuri
ricaddero sulla sua fronte alta. “Io sono Heathcliff. E tu,
mostro, hai
assassinato mio padre. È bruciato vivo in quel
villaggio!”
“Non
era mia intenzione uccidere vostro padre. Né intendevo
bruciare quel villaggio”.
La voce di Malefica risuonò più alta e decisa.
“Non sapevo ciò che stavo
facendo”.
“Perché
non esci allo scoperto? Mostrati. Visto che ti senti così
innocente...”
“Nessuno
qui dentro lo è”.
Il
barbaglio della sfera in cima allo scettro costrinse
l’arciere a scoccare
un’altra freccia. Le dita di Malefica l’afferrarono
prima che la punta potesse
trafiggerla. Dopodiché uscì dall’ombra
e si portò la freccia sotto il naso.
“Veleno”,
disse, gettandola via. “Dovrete fare di meglio”.
Il
terzo uomo armato di spada restava qualche passo indietro, paonazzo,
gli occhi
sgranati sotto le folte sopracciglia nere.
Heathcliff
la scrutò. “Dunque è questo il volto
della mutaforma”.
“Non
sono ciò che ti aspettavi?”, domandò
Malefica, avanzando di un paio di passi.
“Il
male è ingannevole. Si nasconde dietro un aspetto giovane e
apparentemente
innocente. Il male ti inganna. È così che
vince”. Heathcliff si spostò verso di
lei, lentamente. I suoi compagni restarono indietro. “Ma io
non mi lascio
ingannare. Non ti serviranno né le suppliche né
le scuse. Sappiamo che il tuo
cuore è nero quanto quello di Balerion”.
Balerion
era un drago che aveva abitato quelle terre centinaia di anni prima. Un
drago
enorme, con le scaglie nere ravvivate da sfumature sanguigne, gli occhi
simili
ad ardenti pozze rosse. Il suo nome compariva in molte leggende. Lo
chiamavano
il Terrore Nero.
Malefica
sorrise amaramente. “Tu non conosci i draghi,
cavaliere”.
“L’unico
drago che ho visto ha distrutto la mia casa. Mi basta”. Fu
molto rapido quando
si scagliò contro di lei, menando un poderoso fendente.
La
lama tagliò solo l’aria. Malefica riapparve
accanto a lui. Heathcliff accompagnò
il successivo affondo con un grido feroce. Di nuovo, la sua spada non
incontrò
alcun bersaglio. L’arciere scoccò
l’ennesima freccia quando Malefica
ricomparve. Lei puntò lo scettro e dalla sfera esplose un
fascio di magia che
polverizzò il dardo e colpì al petto
l’arciere. Aveva passato giorni a
ricordare quello che le aveva insegnato sua madre, per quanto fosse
poco. Aveva
passato giorni in quella caverna ad allenarsi per imparare a
controllare i suoi
poteri e la sua trasformazione.
Alimentare
la magia pensando ad un momento che la faceva infuriare. Incanalarla
pensando a
qualcosa che la rendeva felice. Aveva diversi ricordi felici di sua
madre, ma
quello che preferiva era lei che mutava in drago e la invitava a salire
sulla
sua groppa. Il suo primo volo aggrappata alla schiena di sua madre. La
prima
volta che aveva visto il castello e il resto della valle
dall’alto.
L’uomo
colpito dalla sua magia lanciò un urlo stridulo e fu
sospinto violentemente
contro le rocce. Poi una fitta rete di rovi spuntò dalle
pietre della caverna e
avvolse l’arciere, impedendogli qualsiasi movimento,
graffiandolo e ferendolo in
più punti.
Il
terzo uomo se la diede a gambe.
“Ottima
scelta”, mormorò Malefica.
Heathcliff
approfittò del momento di distrazione per infilarsi una mano
nella tasca della
giubba. Ne estrasse un sacchetto e ne gettò il contenuto
addosso a Malefica.
“Le frecce avvelenate non sono le uniche armi che abbiamo,
maledetta”.
Era
polvere di papavero. Certamente mescolata a qualche altro ingrediente
magico,
perché si espanse come una nuvola e si sparse sui capelli
biondi e sull’abito
blu. Malefica si portò un braccio davanti al viso. La
polvere era stordente.
Lasciò cadere lo scettro, mentre indietreggiava e barcollava
per poi cadere in
ginocchio. Il mondo intorno a lei si offuscò ed Heathcliff
non fu altro che una
macchia confusa, indistinta, che avanzava con la spada in pugno.
“La
ricompensa mi farà comodo. Ma questo... è per mio
padre”, disse.
Malefica
mise a fuoco qualcosa vicino ai piedi di Heathcliff. Il sonaglio era
rotolato
sulle pietre. Lui lo calpestò con lo stivale ed esso si
ruppe in due pezzi.
A
quel punto Malefica gridò. Il suo grido risuonò
ed echeggiò lacerante
attraverso quella caverna. Gli occhi che da celesti diventavano dorati,
la
faccia livida e i capelli che le ricadevano sul viso, Malefica gridava
ed era
come un ruggito.
Heathcliff
vacillò, colto alla sprovvista. Per un momento
fissò lo sguardo giallo della
mutaforma ed ebbe paura. Un terrore viscerale che lo
paralizzò, con la spada
sollevata e la mascella serrata in quel ringhio animalesco. Malefica
afferrò lo
scettro, nonostante lo stordimento dovuto alla polvere
riuscì a controllare il
suo potere e spedì un fascio di magia anche contro il
cavaliere tanto
desideroso di ucciderla. Heathcliff cadde all’indietro, a
pochi passi dalla
parete di roccia. Perse la spada. Si guardò intorno
instupidito, come se non
potesse credere a ciò che era appena accaduto. Poi lo
scettro di Malefica lo
colpì in piena faccia ed Heathcliff urlò. Il
sangue prese a scorrergli sul
volto. Lui strisciò verso l’uscita della caverna,
ma Malefica sollevò una mano
e lo inchiodò a terra, sovrastandolo.
“Il
gioco è finito”, disse lei. La sfera brillava,
sinistra.
“E
dunque uccidimi, mostro”, rispose Heathcliff, rabbioso.
“Uccidimi. Che
aspetti?”
Malefica
puntò lo scettro in modo che fosse all’altezza del
suo cuore. “No. Perché
ucciderti, quando esistono altre punizioni molto più
affascinanti?”
L’uomo
non credeva alla sue orecchie. La fissò con gli occhi fuori
dalle orbite.
“Ti
piace volare?”, continuò Malefica. “Tu
non sei un drago. Ma forse puoi essere
qualcos’altro. Qualcosa di più...
piccolo”.
“Che...
che vuoi fare...?”, balbettò Heathcliff.
“Da
questo non potrai tornare indietro”. Malefica
agitò una mano sulla sfera ed
essa si accese di una luce viola che divenne sempre più
abbagliante. “Sappi che
ho apprezzato il coraggio”.
“No...”
La
magia uscì dalla sfera e avvolse il corpo di Heathcliff come
un bozzolo. Si
chiuse completamente su di lui, una massa nerastra e densa che pian
piano
rimpicciolì e poi si ruppe in mille frammenti, che si
sparsero ovunque. I
frammenti evaporano.
Il
corvo si levò in volo. Sulle prime non riuscì a
trovare la via d’uscita e
sbatté furiosamente le ali, aggirandosi per la caverna,
disorientato. Disegnò
ampi cerchi in aria, gracchiando senza sosta. Infine si
lanciò fuori.
Malefica
sorrise. Alzò una mano e l’arciere incatenato alla
roccia e circondato dai rovi
si trasformò in un mucchietto di polvere.
Dopo,
quando la caverna fu di nuovo immersa nel silenzio, Malefica
vibrò un colpo al
suolo con l’estremità del suo scettro. Una nube
l’abbracciò e crebbe,
raggiungendo il soffitto. Il drago emerse da essa, gli occhi accesi
come quelli
di Balerion, il Terrore Nero. Emise un potente ruggito e
imboccò l’uscita.
Infine spalancò le grandi ali membranose, sollevandosi da
terra.
Puntò
più a nord, dove si trovava il suo castello, che sorgeva su
un’altura, a
strapiombo sulla valle.
***
Storybrooke.
Oggi.
Zelena
diede alla luce una bambina, dopo un ultimo, lungo e lacerante urlo che
minacciò di distruggere i timpani delle persone presenti in
sala parto. Regina
si domandò come fosse possibile che avesse ancora tutto quel
fiato e tutta
quella voce.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?,
continuava
a chiedersi.
Mary
Margaret le aveva detto che quella era la cosa giusta da fare. Aiutare
sua
sorella, proteggere la bambina era giusto.
Quando
la situazione si calmò, Regina si diresse verso la stanza in
cui Zelena era
stata sistemata.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?,
tornò
a domandarsi.
E
si ripeté che era lì perché ad Emma
mancava un ingrediente per concludere il
suo incantesimo. L’ingrediente era la figlia di Zelena.
-
Ehi... – disse, aprendo la porta della camera. Si
sforzò di sorridere, mentre
metteva dentro la testa. Si sforzò di apparire contenta. In
realtà avvertì il
disagio e l’imbarazzo piombarle addosso, pesanti come
macigni.
E
non c’erano solo disagio ed imbarazzo. C’era molto
di più sotto la superficie.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?
Robin
teneva la sua bambina tra le braccia, un esserino innocente e fragile
avvolto
in una coperta rosa. Era radioso, non poteva nascondere la sua
felicità. E
guardando il viso della neonata, Regina non poté fare a meno
di pensare a
quanto fosse bella, a quando fosse perfetta.
Vedendo
la coperta, a Regina sovvenne un’altra immagine, del tutto
inaspettata. Pensò
alla coperta di Emma, quella bianca con il suo nome in viola impresso
sulla
lana. Ricordava chiaramente di averla usata per dirigere il portale nel
luogo
in cui si trovava la nuova Oscura, poi... poi che cosa ne aveva fatto?
L’aveva
restituita a Mary Margaret? L’aveva data ad Emma?
L’aveva persa a Camelot? Una
memoria perduta, come tutte le altre. Una memoria che in quel momento
le parve
estremamente importante. Quella coperta era fondamentale per Emma.
L’adorava. Ripensò
anche a se stessa nell’appartamento di lei, la coperta tra le
mani, il dito
indice che sfiorava le lettere viola...
-
Regina... – disse Robin, continuando a cullare la piccola.
Whale, con quei suoi
capelli orribili, era dietro di lui e occhieggiava la scena.
– Ho una figlia.
-
È meravigliosa. – rispose, avvicinandosi.
La
bambina mosse i piccoli pugni sotto la coperta.
Regina
si mantenne sorridente, ma sentiva qualcosa premere sotto la
superficie.
-
Guarda chi è verde d’invidia, adesso. –
commentò Zelena.
Incapace
di trovare una risposta adeguata, lei ammutolì. Quella
maledetta sembrava
leggerle nel pensiero.
Che
cosa ci faccio io qui, infine?
Nemmeno
Robin disse nulla, ma non ebbe neanche il tempo di pensare.
-
Guarda un po’ chi risplende. – disse
l’Oscura, comparendo nella stanza, con la
stessa espressione di chi aveva trovato ciò che stava
cercando e non vedeva
l’ora di prenderselo. Scaraventò Whale contro la
parete con un rapido gesto
della mano.
Robin
estrasse la spada. – Non ti permetterò di prendere
questa bambina.
-
Non senza combattere. – aggiunse Regina, allungando un
braccio davanti alla
figlia di Robin.
Emma
non batté ciglio. Anzi, parve più divertita che
mai. Squadrò Regina. – Sarebbe
un vero problema se fosse qui per la bambina.
...se
fossi qui per la bambina.
Regina
fu troppo lenta nel realizzare di essere stata ingannata nuovamente.
Emma
svanì in una nuvola grigia, portandosi dietro Zelena.
Ricomparve
nei sotterranei della sua casa, dove fino a pochi giorni prima
c’era Excalibur
nella sua roccia. Trascinò la strega con sé e
creò alcune robuste catene con un
semplice incantesimo. I pesanti bracciali di ferro collegati alla
parete di
roccia si chiusero intorno alle sue caviglie.
-
Tu sei pazza. – commentò Zelena, furibonda e dando
uno strattone alle catene.
-
Non sono l’unica. – Gli occhi di Emma fissarono il
vuoto per alcuni istanti.
Zelena
ebbe l’impressione di vederli cambiare colore. Nel frattempo
si guardò attorno.
Ovviamente non c’erano vie d’uscita possibili per
lei. C’era, però, un
tavolaccio in legno, sopra il quale erano state sistemate boccette e
ampolle di
vario genere. Un grosso libro era aperto e sulle pagine ingiallite
erano posate
due paia di forbici.
-
Vuoi prenderti la mia magia? – domandò.
Emma
stava ancora fissando il vuoto, ma le rispose. – Lo scoprirai
presto.
La
lasciò nei sotterranei ad imprecare e a lottare contro le
catene, mentre lei
saliva al piano superiore e attraversava la cucina e il soggiorno.
Aprì la
porta sulla notte ventosa e trovò Lily seduta sui gradini
davanti a casa. Era
lì da un bel pezzo, i gomiti appoggiati alle ginocchia, lo
sguardo scuro fisso
sugli stivali. Giocherellava con la sua collana.
Si
alzò di scatto non appena udì la porta aprirsi.
-
Lily. – disse Emma. – Non dovresti essere qui.
-
Ma non mi dire... – fu la sua risposta. Sollevò un
sopracciglio.
-
Entra e seguimi.
Cazzo,
pensò
Lily, stupefatta. Eppure non era solo stupefatta. Si sentiva anche...
esaltata.
Stava per accadere qualcosa lì. Era evidente.
Emma
la condusse verso la porta malandata chiusa con un chiavistello, quella
che
conduceva nei sotterranei. L’aprì con i suoi
poteri e iniziò a scendere le
scale.
-
Hai pure portato l’amichetta! – esclamò
Zelena, non appena rivide Emma. – Prima
mi proponi un accordo, poi acceleri la mia gravidanza, mi separi da mia
figlia
e mi incateni in questo posto! E poi dicono che io sono perfida!
-
Zelena? – domandò Lily, fermandosi di colpo.
Osservò le ampolle sul tavolo, il
libro aperto e le catene.
Un
cellulare cominciò a squillare.
-
Non rispondere. – ordinò Emma a Lily. –
È tua madre. Ti sta cercando.
-
Certo che mi sta cercando! Me ne sono andata senza dire niente a
nessuno.
-
Non può avvicinarsi alla casa. È protetta
dall’incantesimo ed entra solo chi ha
il mio permesso.
-
Non c’era bisogno di ricordarmelo! – rispose Lily,
seccata. – Che succede qui?
A che ti serve Zelena? Cos’hai fatto alla bambina?
-
La bambina è sana e salva. – Emma aveva assunto
un’espressione inquietante. La
sua pelle pareva ancora più bianca e tirata. Gli occhi
ancora più verdi. Le
labbra terribilmente rosse. – E al contrario di
ciò che pensa questa strega,
non sono qui per distruggere la magia bianca. Voglio distruggere
l’oscurità.
-
Come? – chiese Zelena.
-
In che modo? – domandò Lily.
-
L’oscurità... è dentro di me. Sta
prendendo il sopravvento. Ormai mi resta poco
tempo. – spiegò, fissando Lily.
-
Perciò... non c’era nessun segreto. Nessun
fallimento. Stai facendo tutto
questo... per salvarti? – Non credeva alle sue orecchie.
Doveva essere
precipitata nel grande gorgo di assurdità. Forse non aveva
nemmeno toccato il
fondo. Ma stava per arrivarci.
-
Oh, ti assicuro che hanno fallito. – ribadì Emma,
con durezza. – Ma se adesso
siamo qui è solo per risolvere questa questione.
-
Ed ecco che entro in gioco io. – concluse Zelena.
-
Certo! – gridò Emma. –
L’oscurità deve trovare un contenitore. E quel
contenitore sei tu!
-
Aspetta un secondo. – la interruppe Lily. – Tu
vuoi... usare la strega per
distruggere l’oscurità? Come farai? Che
cos’hai in mente?
-
Farò ciò che è necessario, Lily.
– Allungò le mani, appoggiandogliele sul
collo. Come se volesse ottenere tutta la sua attenzione. – La
ucciderò usando Excalibur.
-
Per questo hai accelerato la mia gravidanza! – disse Zelena,
con una smorfia di
disprezzo.
-
Oh, sì! La tua bambina non ha nulla a che vedere con questo.
È innocente. –
Continuava a trattenere Lily. – Ci sono dei limiti...
-
Limiti? – Lily strinse i polsi di Emma. – Emma,
stai per andare ben oltre il
limite. Uccidere Zelena non è forse oltrepassare il limite?
-
Ha ucciso Neal. Ha ucciso Marian. – declamò Emma.
– Ha assunto le sue
sembianze, prendendosi Robin. Ha fatto di tutto per cercare di
distruggerci. Di
distruggere Regina.
-
Oh, povera la mia sorellina! Torniamo sempre a lei, vero?
Emma
non le badò. – Riesci a capirlo?
Vi
fu una lunga pausa. Ebbe la netta impressione di sentire la presenza di
Emma
nella testa. Una strana sensazione solleticante, come piedi scalzi
così lievi
da sfiorare appena il terreno. Solleticante, certo, ma non sgradevole.
Avrebbe
dovuto sottrarsi. Avrebbe dovuto sottrarsi all’idea di essere
nel posto giusto.
Doveva sottrarsi e non pensare a quanto le sembrasse normale essere
lì, a quanto
le sembrasse la cosa migliore... aiutare Emma, restarle accanto.
-
Sì... – mormorò Lily. – So
che cos’ha fatto, Zelena. Io stessa ho cercato di
darle fuoco! Ma sai che cosa significa questo, Emma? Che farai
esattamente ciò
che hanno fatto i tuoi genitori! Non pensavo che fossi così
simile a loro.
Era
chiaro che intendeva ferirla, arrivare in fondo. Emma non si
lasciò distrarre.
I suoi occhi lampeggiarono, rabbiosi. – Tutto questo non ha
niente a che vedere
con i miei genitori! Loro hanno portato via una bambina,
l’hanno rapita,
l’hanno maledetta... perché non accettavano
l’idea di avere una figlia corrotta
dall’oscurità. Loro volevano... una figlia
perfetta! Hanno preso una creatura
innocente! Io avrei potuto prendere la bambina di Zelena... sarebbe
stata un
ottimo contenitore, sai?
Lily
aprì la bocca, per dire chissà che cosa, che
comunque non disse. Rimase
fulminata. Quella non poteva essere Emma. Quello sguardo... il verde si
era
esteso a dismisura. Il verde degli occhi aveva inondato la sclera,
coprendo il
bianco. Durò un istante, ma era sicura di non esserselo
immaginato. Era...
Nimue?
-
Ma ho preso Zelena! – continuò Emma, con
più calma. – Ho preso Zelena, perché
lei non è affatto innocente. Lei conosce già
l’oscurità. Non ha mai desiderato
pentirsi. Non ci ha mai nemmeno provato. Ed io... lo sto facendo per
salvarmi!
-
Ci deve essere un altro modo! Peggiorerai solo le cose. È un
omicidio a sangue
freddo!
-
Ti preoccupi dell’omicidio? Non ho più tempo,
Lily. Non esiste un’altra
soluzione. Come te lo devo dire? Tra poco... tra poco
l’oscurità sarà troppo
potente. Credi che non desideri prendere quella spada e distruggere la
magia
bianca? Credi che non voglia oltrepassare quel... quel limite? Lo vedo,
Lily.
Lo vedo, il limite.
Lily
tacque.
-
Io desidero quel potere. – continuò Emma.
– Tra non molto... non potrò più
resistere. E diventerò l’Oscuro più
potente che sia mai esistito.
-
Potremmo aiutarti. – propose Lily. Non aveva
possibilità di convincerla e lo
sapeva, ma doveva tentare. Doveva continuare a provarci. – Ci
sono delle
persone... che vogliono aiutarti. Io...
-
Quelle persone avrebbero dovuto pensarci settimane fa, invece di
tradirmi! –
Emma le voltò le spalle. Alzò la testa di scatto.
Si mise in ascolto. – Tua
madre è qui...
-
Non può entrare...
-
No. E tu non puoi uscire.
-
Che cosa?
-
La protezione intorno alla casa è stata rafforzata. Nessuno
entra se io non
voglio... e nessuno esce.
-
Quindi hai intenzione di incatenarmi come hai fatto con lei?
– Indicò Zelena,
che non aveva più detto niente, però seguitava ad
armeggiare con le catene.
-
Non ne ho bisogno. – Emma passò una mano sul viso
di Lily. Gliela mise sugli
occhi, come se glieli volesse chiudere, invitandola a dormire.
Un’esplosione
rossonera nella testa di Lily. Infine, il buio.
-
Lily!
Giunta
alla casa dell’Oscuro, Malefica aveva preso a guardarsi
intorno, ad esaminare
la situazione. Il luogo era protetto e la magia era antica, molto
potente.
Possibile che arrivasse da uno dei libri dello stregone. I contorni
della
dimora dell’Oscuro erano distorti, sbiadivano come se i muri
fossero sul punto
di svanire. Come se ciò che vedeva appartenesse in
realtà ad un’altra
dimensione.
Tutto
era buio e immerso nel silenzio. Non sembrava esserci traccia di Emma o
di
Lily. Eppure era sicura che fossero lì entrambe. Era sicura
che stesse per
capitare qualcosa.
Sul
retro c’era una rimessa. Un vecchio edificio bianco.
Anch’esso protetto dalla
magia. Era certamente il posto in cui Emma Swan teneva gli
acchiappasogni. Lily
l’aveva visto in sogno... non in sogno, in quella visione.
Quando aveva
guardato attraverso gli occhi di Emma.
-
Lily!
Non
ottenne risposta.
“...
Fallirai. Proprio come hai
fallito con Rosaspina”.
Ho
fallito con Rosaspina. Ho
fallito con Lily e ho permesso che me la portassero via. Sono stata
sconfitta
dalla Salvatrice. Non succederà un’altra volta.
Non perderò mia figlia un’altra
volta!
***
Foresta
Incantata. Duecento anni
prima.
“Sire”,
disse Turchina,
inchinandosi rispettosamente davanti al sovrano e a sua moglie.
“Vi ringraziamo
per questo invito”.
“Sono
io che ringrazio voi per
essere venute”, rispose il re, sorridendo. Risplendeva nel
suo abito blu e oro,
che gli conferiva un’aria ancora più elegante. I
capelli biondi erano corti, ma
folti, pettinati all’indietro. Gli occhi erano azzurri. Un
azzurro vivido,
gioioso. C’erano piccole rughe ai lati dello sguardo e della
bocca. Sua moglie
era minuta, con un viso dolce e una corona di fiori posata sui capelli
intrecciati. “Le fate sono benevole e propizie per una
neonata. Benvenute”.
La
sala del trono, in cui si
celebrava la nascita della prima figlia del re, era piena di gente.
Nell’aria
aleggiava la musica delle arpe e il profumo intenso dei fiori colorati
sistemati sulle balconate. Dalla finestre penetrava la luce intensa del
sole. I
servitori si davano da fare con gli ospiti, offrendo loro cibo, acqua,
sidro e
vino in gran quantità.
Turchina
si avvicinò alla culla. La
bambina, paffuta e rosea, guardò la fata con occhi grandi,
azzurri come quelli
del padre. Allungò le mani e accennò un sorriso.
“Qual è il nome della bambina?
E qual è il vostro desiderio per lei?”
“Rosaspina”,
rispose la regina.
Turchina
ritrasse la mano come se
si fosse appena scottata. Era stata strappata dalla contemplazione
della
bambina da una nuova, inattesa percezione, una cosa in agguato ai
margini della
sua consapevolezza.
“Che
cosa succede?”, domandò la
regina, notando la sua espressione.
Un
possente ruggito interruppe
tutto quanto. La musica cessò di colpo, terminando con
un’ultima nota stridente
e fastidiosa. Alcuni servitori rovesciarono i vassoi. Gli invitati si
fermarono, sollevando le teste o spalancando gli occhi. Il re
portò una mano
all’elsa della sua spada, mentre le fate si giravano tutte
verso la grande
porta che dava accesso alla sala.
I
battenti si aprirono con violenza
e una lunga ombra si estese sul pavimento lucido e cosparso di petali
di rosa.
“Scusate
il ritardo”.
Gli
ospiti indietreggiarono tutti
insieme, come un’unica grande onda. Si udirono grida di
spavento. Il re
estrasse la spada.
Malefica
attraversò l’ala centrale,
portandosi al centro della sala. Indossava un lungo abito nero e un
copricapo
che culminava con due corna. Il nero metteva ancora più in
risalto in grandi
occhi celesti. Si appoggiò al suo scettro, guardandosi
intorno, valutando
l’ambiente, esaminandolo senza mostrare interesse per niente.
“Fuori
dal mio castello, strega!”,
gridò il re, avanzando di qualche passo.
La
bambina nella culla cominciò a
piangere.
“Mi
dispiace interrompere i
vostri... festeggiamenti”, disse Malefica. “Ma
avrei anch’io un dono per la
neonata”.
“Non
accettiamo doni dall’essere
che ha terrorizzato questo regno per cento anni!”.
“Come
siete indisponente”. Malefica
raggiunse i gradini che conducevano allo spiazzo rialzato in cui si
trovavano i
due troni e la culla. Lanciò un’occhiata di sbieco
alla bambina, che seguitava
a piangere. La regina si spostò per fare da scudo alla
figlia. “Questa
bambina... sarà certamente amata da tutti. E come si
potrebbe non amarla?
Guardatela”.
“Ti
ordino di andartene”, disse il
re, puntando la spada. La punta della lama sfiorò il petto
di Malefica.
Lei
non si scostò. Allargò le
braccia come se volesse abbracciare l’intera sala. Scintille
viola scaturirono
dalla sfera sulla sommità dello scettro. Le scintille
illuminarono il volto del
re, baluginarono sulla lama, decorarono l’abito bianco della
regina, che si
schermò gli occhi con una mano. “Oh,
sì, la bambina sarà amata da tutti. Ma
prima che il sole tramonti sul suo sedicesimo compleanno... si
pungerà con un
fuso e morirà!”
La
sala si riempì di nuovo di
grida.
Furente,
il re si avventò su
Malefica, ma lei disparve in una nube viola. Rimase solo un suono, una
risata
acuta e sguaiata, che gli gelò il sangue nelle vene. Le luci
dei candelabri si
spensero. Qualcosa si rovesciò con fracasso. Molti invitati
scapparono a gambe
levate. Alcuni caddero e vennero travolti dai fuggitivi.
Fu
molto difficile contenere il
caos creato da quell’apparizione. Il re ordinò
alle guardie di formare un
cordone intorno al castello, mentre un altro gruppo sarebbe uscito a
caccia
della mutaforma.
“Sire...”
iniziò Turchina.
Il
re lasciò cadere la spada e
cascò pesantemente sul suo trono, con gli occhi sbarrati.
“Voi
sapevate...”, mormorò la
regina, mentre stringeva Rosaspina tra le braccia. Il pianto della
bambina si
era ridotto a dei singhiozzi soffocati.
“Conoscevo
la profezia. Me la
rivelò la mia regina, Titania, molto tempo fa. Ma non
immaginavo che si
trattasse... di vostra figlia. Fino a quando non ho saputo il suo
nome”,
rispose Turchina.
“Mia
figlia... morirà?”, chiese il
re, ancora accasciato e paonazzo.
“No.
Rosaspina non morirà. La
profezia parla di un sonno simile alla morte...
destinato a durare cento anni. Anche Malefica conosce la
profezia. E sa
che non vincerà”.
“Come
sarebbe a dire?”
“Malefica
è destinata a subire tre sconfitte”,
disse Turchina, in tono grave. “Sarà sconfitta da
una rosa, da una maledizione
che colpirà ciò che ama di più... e da
una spada. La rosa... è vostra figlia”.
Si interruppe qualche istante. Le altre fate erano tutte strette
l’una contro
l’altra, dietro di lei.
“Aiutatemi”,
mormorò il sovrano.
“Aiutatemi. Devo impedire che questo accada. Voglio...
voglio... proteggere mia
figlia. Come posso farlo? Ci deve essere un modo...”
“C’è
un posto... nella foresta.
Lontano da qui”, rispose Turchina, dopo aver riflettuto per
qualche momento. “Un
posto dove possiamo nascondere la bambina fino a quando non
compirà sedici anni
e un giorno. Tre fate la proteggeranno. Le sceglierò
io”.
***
Camelot.
Due settimane prima della
maledizione.
Lily
ed Emma tornarono, ma nessuna delle due disse niente. Mary Margaret non
tentò nemmeno
di avvicinarsi ad Emma, ma rimase in disparte con David. Una volta
sconfitta
l’oscurità, avrebbero avuto il tempo di parlarne.
Forse lei le avrebbe dato la
possibilità di spiegarsi.
Ma
spiegare cosa? Stavi lasciando
morire la sua unica amica, disse
una vocina nella sua mente.
Ed era una voce fredda e decisa, una voce inquietante. E
lo rifaresti.
Lily,
dal canto suo, andò a mettersi in un angolo.
Malefica
la fissò, ma la ragazza non ricambiò lo sguardo.
-
Non preoccuparti. – disse Regina. - Le passerà.
-
Mi dispiace per quello che è successo. – disse
Malefica, guardandola con
tristezza.
Regina
incrociò le braccia al petto. – Diciamo che posso
capirla. In parte. Ammetto di
essere stata un po’ rude con Emma. Ma era
necessario.
-
Già. Almeno tu sei stata in grado di fare qualcosa. Io
invece non mi sono mai
sentita così debole. – Abbassò lo
sguardo. Vide i propri pugni contratti e li
riaprì. – Nemmeno quando quei due idioti di
Stefano e Rosaspina mi hanno
sconfitta.
-
Beh, direi che hai un aspetto migliore rispetto al giorno in cui ci
siamo
conosciute. – osservò Regina, sorridendole per
rassicurarla. - Tu non sei
affatto debole, Malefica. Sei... una madre. Hai appena ritrovato tua
figlia ed
ora è lei la cosa più importante per te.
Avrebbe
voluto aggiungere altro, ma Emma estrasse Excalibur e
l’appoggiò sul tavolo,
accanto al pugnale.
-
Che momento affascinante! – commentò Knubbin.
– Non avrei mai pensato di
potervi assistere... sono più emozionato del giorno in cui
ho conosciuto il mio
maestro! E vi assicuro che non è poca cosa.
Il
corvo si alzò in volo, innervosito dalla vicinanza
dell’Oscuro. Passò sopra la
testa di Malefica, allungando le zampe come per artigliarle i capelli.
Lei lo
scacciò e l’uccello andò a posarsi
sulla spalla di Henry.
-
Gli piaci. – disse Knubbin, divertito dalla sua espressione
perplessa. - E ad
Heathcliff piacciono poche persone. Ritieniti fortunato.
Merlino
si fece avanti. – Sei pronta?
-
Sì. – disse Emma. Scoccò
un’occhiata a Regina, che sentì qualcosa
sciogliersi
nel suo petto. Quell’occhiata le diceva che non vi era alcun
risentimento.
Niente che doveva rimproverarsi.
-
È il momento, allora. Distruggiamo
l’oscurità. Una volta per tutte. –
Aprì il
cofanetto contenente la fiamma, che risplendette, gialla e arancione,
come un
tizzone ardente.
“Io...
non sono ancora morta,
fanciulla”.
Emma
ignorò le voci. Ignorò tutto quanto.
Usò i suoi poteri per maneggiare la
fiamma, per controllarla, racchiuderla tra le sue mani e trasformarla
in una
vera luce, una luce che si librò in aria, in attesa.
Regina
era fiera di ciò che stava vedendo. Il peggio era passato.
Era sicura che, dopo
quell’incantesimo, Merlino avesse in mente
qualcos’altro. Non era ancora
finita. Ma era pur sempre un grande passo verso la fine di quella
storia.
Emma
immerse le due lame nella luce e le congiunse.
_______________
Angolo
autrice:
Salve
^_^
Allora,
qualche precisazione: questo capitolo, inizialmente, era un
tutt’uno con il
capitolo successivo, il quattordicesimo. Il risultato finale era un
capitolo
lunghissimo, con una marea di informazioni, quindi ho optato per una
divisione.
La divisione in sé non mi convince, devo ammetterlo, ma la
considero
necessaria.
La
storia di Malefica riprende la versione narrata dai Grimm, con qualche
aggiunta
personale.
Balerion
è un drago nominato ne Le Cronache
del
Ghiaccio e del Fuoco.
E
niente. Grazie per essere arrivati fino in fondo.
|
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Capitolo 14 *** 14. ***
14
“Hush, child
The
darkness will rise from the deep
And
carry you down into sleep
Child,
the darkness will rise from the deep
And
carry you down into sleep”
[Heather Dale, Mordred’s
Lullaby]
Foresta
Incantata. Più di cento
anni dopo la nascita di Rosaspina.
Stefano
scivolò sotto il ventre
della creatura e, con la spada incantata dalla magia delle fate che
avevano
protetto Rosaspina fino al giorno del suo sedicesimo compleanno, le
inflisse
una profonda ferita. L’ennesima. La lotta durava da
parecchio, ormai. La lama
penetrò le dure scaglie nere che ricoprivano il corpo del
drago. Sgorgò sangue
nero come la tenebra.
Malefica
ruggì di dolore e
frustrazione. Dimenò violentemente la coda, menò
sferzate a caso, mentre
Stefano si allontanava da lei. Addentò a vuoto, cercando di
raggiungerlo, ma
lui era fuori portata. Il suo mantello rosso era strappato in
più punti e
bruciacchiato. L’armatura era sporca di polvere e sangue. Il
suo, mescolato a quello
del drago. I capelli biondi formavano una nuvola disordinata intorno
alla sua
testa.
Poi,
in un ultimo, disperato
scoppio di furia, Malefica spalancò le fauci e
rigettò un’onda di fuoco contro
il principe. Stefano si fece in là, evitando le fiamme, che
tracciarono una
lunga scia infuocata.
Infine
Malefica crollò su un
fianco. Cadde lentamente, si afflosciò emettendo uno strillo
inferocito. Stefano
avvertì il terreno tremare sotto i calzari quando il corpo
colpì il suolo. I
muscoli ebbero un sussulto. La coda scattò convulsamente.
Infine
non si mosse più.
Il principe pensò che Malefica
fosse morta e si diresse verso il castello, zoppicando. Usò
la spada per
tranciare la fitta rete di rovi che aveva intrappolato il luogo nel
quale
Rosaspina dormiva il suo sonno simile alla morte da ben oltre cento
anni,
insieme al resto della corte.
Ma
Malefica non era morta. A lungo
fu preda dell’oblio. Rimase là, priva di sensi e
intanto sognò. Vide se stessa
aggrappata alla schiena della madre, molti anni prima, quando era solo
una
bambina che ammirava per la prima volta il mondo dall’alto.
Vide se stessa
nella caverna in cui era nata, rannicchiata dove un tempo
c’era stato un uovo.
Vide l’uomo tramutato in corvo.
Tornò
a galla. Tornò alla realtà,
in un mondo in cui il suo corpo non aveva più niente di
quella forza, di quella
vitalità, ma era solo un grumo di immane sofferenza. Si
sorprese di essere
ancora viva.
Cercò
di tirarsi su, di aprire le
ali. Il dolore fu eccessivo, terrificante, un lampo che la
accecò, costringendola
a sdraiarsi nuovamente sul fianco.
Remoto
e vago, udì un grido in
lontananza. L’urlo di un aquila.
‘Alzati’,
le sussurrò una voce,
nella mente. E sembrava la voce di sua madre. ‘Alzati prima
che torni e ti
finisca’.
Malefica
sollevò il capo, ricadde
un’altra volta e poi riuscì ad alzarsi.
Ritornò
al suo castello e il suo
volo fu come il primo. Scoordinato. La sua mente era confusa e sfinita.
Precipitò
in uno spiazzo davanti all’ingresso.
Era caduta la neve e lei recuperò le sembianze umane,
distendendosi. Fu come
cadere su un letto imbottito di piume.
Il
cielo era bianco e abbagliante,
ma lei lo guardò a lungo. Piccoli fiocchi di neve si
posarono sul suo viso e
sull’abito nero.
Chiuse
gli occhi.
***
Storybrooke.
Oggi.
Malefica
puntò lo scettro contro la barriera che circondava la casa
dell’Oscuro e tentò
ancora di aprire una breccia, di indebolirla anche solo
momentaneamente. Non
aveva idea di quanto tempo le sarebbe occorso per entrare, ma avrebbe
trovato
un modo. Aveva già provato svariati incantesimi senza
successo, eppure non
demordeva. Non se lo poteva permettere.
“Fallirai.
Come hai fallito con
Rosaspina”.
Rosaspina
aveva dormito per più di cento anni. Lei aveva... aveva
dormito per decenni
dopo la sua prima sconfitta. Era rimasta sepolta nella sua dimora fino
al
giorno in cui Regina non aveva fatto la sua comparsa. Fino a quando non
l’aveva
costretta a ravvivare le braci che ancora ardevano dentro di lei. Era
stata
sconfitta di nuovo, in seguito, ma quella sera era là per
sua figlia. Contro
l’Oscuro poteva non avere speranze, ma preferiva morire
piuttosto che
restarsene a guardare.
“Fallirai.
Come hai fallito con...”
Una
mano penetrò nella sua schiena e le afferrò il
cuore, stritolandoglielo.
Malefica emise un grido strozzato e lo scettro le sfuggì.
Emma
Swan le strappò il cuore. Malefica cadde sul prato.
-
Non amo essere interrotta. – disse l’Oscuro. Si
inginocchiò accanto a lei, lo
sguardo scintillante. – Sai, ho del lavoro da fare.
-
Dov’è... Lily? – mormorò
Malefica, fissando il proprio cuore nella mano bianca
di Emma. Bagliori rossi pulsavano e fremevano in mezzo alle ombre nere.
Emma
serrò l’organo incantato tra le dita. Forte.
– Lily... sta bene. Tu... non ho
ancora deciso.
Nei
sotterranei della casa, Lily rinvenne lentamente. Si era ridestata da
un sogno
tremendo e confuso, un sogno pieno di sangue, di oscurità,
di odore di
benzina... occhi d’argento, una pistola infilata nei jeans,
una nebbia rossa,
la faccia di Murphy presa a calci, le gomme che stridevano
sull’asfalto, la
canzone country che la radio aveva trasmesso prima che lei e il suo
complice
arrivassero in quella maledetta area di servizio. Born
to lose...
-
Bentornata. – disse una voce che conosceva.
Il
sogno cedette il posto ad altre immagini. Emma. Il suo piano. Zelena.
“Farò
ciò che è necessario, Lily.
La ucciderò usando Excalibur”.
Lily
si tirò su a fatica. Scosse il capo, cercando di schiarirsi
le idee. Sì, era
ancora nei sotterranei. No, non era incatenata come la strega, ma era
chiusa là
sotto con lei, mentre Emma si trovava chissà dove a
preparare ciò che restava
da preparare.
-
Emma è là fuori da qualche parte. E noi siamo qui
sotto. – disse Zelena, dando
voce ai suoi pensieri. – Se mi dai una mano, forse possiamo
uscirne.
-
Perché dovrei? – domandò Lily,
mettendosi seduta. – Anche se decidessi di
aiutarti, non potremmo comunque uscire.
-
Sottovaluti il mio potere. E sopravvaluti le parole di Emma.
– Lanciò
un’occhiata alle pozioni sul tavolo. – La magia che
circonda la casa è antica,
ma non così antica come l’Oscuro vuole farci
credere. Il problema però... è
questo affare.
Lily
osservò il bracciale agganciato al polso di Zelena.
-
Se riuscissi a togliermelo, forse avremmo qualche
possibilità. Quelle
pozioni... – Con un cenno del capo gliele indicò.
– Vedo qualcosa che può
essermi utile.
-
Non mi fido di te. Probabilmente mi ucciderai non appena ti
aiuterò a toglierti
il bracciale. Credi che sia così imbecille?
-
No, affatto. Ma non hai scelta. Mi porteresti quel coltello e
l’ampolla rossa?
Lily
vide l’arma di cui parlava Zelena e anche
l’ampolla. Conteneva un liquido rosso
scarlatto. Le ricordò la pietra incastonata nel pomolo di
Excalibur.
“Ha
ucciso Neal. Ha ucciso Marian. Ha
assunto le sue sembianze, prendendosi Robin. Ha fatto di tutto per
cercare di
distruggerci. Di distruggere Regina”.
-
Lilith. – disse Zelena. – Siamo sulla stessa barca.
Anche tu vuoi scoprire che
cosa sta tramando Emma.
-
Emma vuole ucciderti!
-
Certo. Ma credi che sia tutto qui? C’è sotto
qualcos’altro ed io ho già
un’idea.
-
Quale sarebbe?
-
Una cosa alla volta, cara. – Zelena tese il braccio. -
Portami l’ampolla e
prendi il coltello, vicino al libro. Amputarmi il braccio è
davvero troppo
doloroso. Meglio usare un metodo più pratico. Niente sangue,
stavolta.
Lily
non ci pensò a lungo. Sapeva che era una pessima idea. Se lo
sentiva. Ma come
le era già capitato in passato, la sua mente pensava
soltanto ad uscire da quel
posto e a fermare Emma prima che compisse il suo piano. Non ragionava
in base
alle conseguenze. A quelle avrebbe pensato in seguito.
Quindi
si alzò e prese le cose che Zelena voleva. Versò
il liquido rosso sulla lama
del coltello, che scintillò e assunse la stessa colorazione
della pozione.
-
L’effetto non durerà. Dammelo! –
esclamò la strega.
Lily
non glielo diede. Sferrò un fendente, colpendo il bracciale.
Un colpo
maldestro, ma che riuscì nel suo intento. Il bracciale si
spezzò in due parti.
Zelena non fece commenti e usò i suoi poteri per liberarsi
delle catene.
-
Oh, sì, finalmente! – esclamò la
strega. Schioccò le dita e una nube verde
l’avvolse dalla testa ai piedi. Quando si dissolse, Zelena
aveva cambiato look.
Portava un cappello sulle ventitré e un vestito verde che
metteva in risalto le
sue curve, sotto la mantella nera. - Ora sì che mi sento
bene!
Lily
era tesa e all’erta. Si aspettava qualsiasi cosa.
-
A proposito del nostro accordo... – riprese Zelena.
– Vogliamo uscire da qui?
Di
nuovo in casa. Zelena aprì la porta con cautela. Emma non
c’era, ma una strana,
magica luce gialligna colorava le tende.
-
È occupata. Molto bene. – commentò
Zelena. – Passiamo dal retro. Con un po’ di
fortuna, non mi ci vorrà molto ad aprire una breccia nella
barriera.
-
C’è mia madre là fuori! È
venuta a cercarmi. – disse Lily. – Non posso
andarmene.
-
L’Oscuro non ucciderà tua madre. Non le serve.
Vuoi davvero affondare con tutta
la nave?
-
Se me ne vado, Emma troverà comunque qualcun altro da usare
come contenitore
per la sua oscurità. – Lily si guardò
intorno.
-
Emma non ha fatto niente per te. Non le devi nulla.
-
Non importa! Ho bisogno di risposte e non intendo andarmene fino a
quando non
le avrò ottenute. E soprattutto... non
abbandonerò mia madre.
-
Quindi intendi restare qui e fare domande all’Oscuro? Non ti
dirà niente.
-
Lo farà. Troverò un modo.
Zelena
roteò gli occhi. – Vado nella rimessa.
Là dentro ci sono i nostri ricordi.
-
Gli acchiappasogni?
-
Naturalmente. Dovrà pur tenerli da qualche parte. Se proprio
ci tieni alla tua
chiacchierata con Emma, vedi di farla durare il più a lungo
possibile.
-
E perché dovresti...?
Zelena
la piantò in asso, uscendo da un’altra porta che
conduceva in giardino. Andò a
sbattere contro la barriera invisibile creata da Emma, scosse la testa,
infastidita, ma qualche attimo dopo in quella barriera si
aprì una breccia e
Zelena vi passò attraverso.
Per
lei è sempre tutto così facile?
***
Foresta
Incantata. Quarant’anni fa.
“Che cosa stai
facendo?”, chiese Malefica.
“Non
mi arrendo così”, rispose
Regina, concentrandosi al massimo per bruciare le corde che le
serravano i
polsi. Cercava di ricordare ciò che Tremotino le aveva
insegnato fino a quel giorno.
“Non
puoi vincere. Ce ne sono troppi”.
Le
guardie di Stefano le avevano
legate, avevano privato Malefica dello scettro ed ora le stavano
conducendo al
castello del re. Erano dietro di loro, a cavallo e tutti armati.
Malefica
rimpiangeva il momento esatto in cui aveva dato retta a quella
ragazzina. Quel
drago non esisteva più. Il drago era stato sconfitto anni
prima, quando Stefano
aveva lottato contro di lei con la sua spada incantata dalla magia
delle fate e
aveva spezzato il sortilegio che teneva prigioniera Rosaspina.
Poi
si era presentata Regina.
Regina con la sua insistenza, la sua testardaggine, quella sete di
vendetta che
le corrodeva l’anima, con l’energia e la rabbia che
un tempo le erano
appartenute. Si era presentata, aspettandosi una strega potente e in
grado di
insegnarle tutto ciò che sapeva. Invece aveva trovato solo
una donna provata e
pallida, con i capelli arruffati, l’andatura barcollante e i
vestiti polverosi.
Regina l’aveva spronata, l’aveva costretta a
riprendere in mano la sua dannata
vita, l’aveva convinta ad uscire e a risvegliare la creatura
che, anni prima,
aveva seminato il caos in quel regno.
Ma
non era bastato.
“Speriamo
che le mie sfere di fuoco
siano migliorate”, le rispose Regina.
“Non
puoi batterli”. Si chiedeva
anche perché si preoccupasse per la sua
incolumità. Un tempo se la sarebbe
mangiata in un solo boccone.
“Hai
ragione. Non senza un drago”.
Regina si liberò delle corde e formò una sfera di
fuoco, scaraventandola contro
uno dei soldati di Stefano. L’uomo gridò e cadde
da cavallo.
Fu
l’unica sfera di fuoco che
Regina riuscì a produrre. Per quanto si sforzasse, la magia
non le rispose più.
Venne presa dal panico, mentre gli uomini di Stefano serravano i ranghi
e si
preparavano a rispondere ai suoi attacchi. In quel momento non era
molto facile
ricordarsi anche quel poco che Tremotino le aveva già
insegnato.
La
magia dipendeva dalle emozioni.
La
magia aveva sempre un prezzo.
La
magia...
Regina
udì un ruggito basso e cupo.
La
densa nube nera avvolse Malefica
e si ingigantì davanti ai suoi occhi, salendo verso
l’alto, vorticando,
gonfiandosi, gettando un’ombra oscura su Stefano, che si
tirò precipitosamente
indietro. Un cavallo si impennò, disarcionando il suo
cavaliere, che rovinò a
terra, impigliato nel proprio mantello. Stefano afferrò
saldamente le redini
per non essere sbalzato di sella a sua volta.
Il
drago nero spiccò il volo,
spalancando le enormi ali membranose. Regina la guardò
piombare sugli uomini,
con le fauci pronte a rigettare quel fuoco che non si era mai spento
del tutto.
Quel fuoco che aveva risucchiato, prendendolo dall’albero che
aveva continuato
a bruciare per oltre cinquant’anni, come se aspettasse solo
che Malefica
tornasse e recuperasse ciò che si era lasciata alle spalle.
Ma
sentir parlare di Malefica in un
libro era una cosa; vederla faceva tutt’altro effetto.
Era
una creatura enorme, uscita dalle
storie che si raccontavano ai bambini nelle notti senza luna, davanti
ad un
camino scoppiettante. Una creatura maestosa. Il corpo immenso era
ricoperto di
dure scaglie nere. La lunga coda frustava l’aria. Gli occhi
bruciavano, più
vivi e letali che mai.
Regina
non ne ebbe paura. Era
estasiata e affascinata dalla vera forma di Malefica. Sorrise
apertamente.
“Guarda un po’ chi è tornata”.
Il
drago aprì le fauci e scagliò la
prima onda di fuoco sugli uomini che le avevano fatte prigioniere.
Stefano urlò
e sollevò lo scudo nel disperato tentativo di proteggersi.
Regina avvertì il
calore intenso delle fiamme, ma non si scostò. Nemmeno per
un istante pensò di
farlo. Voleva godersi lo spettacolo.
Malefica
ruotò su se stessa, dopo
aver compiuto un ampio giro intorno a quel campo di battaglia. Si
lanciò sui
soldati, riversando la sua furia incendiaria su di loro. Uno degli
uomini di
Stefano prese fuoco. Crollò dal cavallo, che
scappò al galoppo. Si rotolò al
suolo, gridando e contorcendosi.
“Hai
fallito”, disse Regina,
rivolta a Stefano. “Questa volta ti è andata male.
Manda i nostri saluti alla
tua adorata Rosaspina”.
Meno di un’ora dopo, Malefica si
occupò anche della figlia di Rosaspina, una ragazza di nome
Aurora. Priva della
protezione del padre e totalmente indifesa, lei poté solo
blaterare qualche
minaccia a vuoto prima che Malefica la pungesse, precipitandola nel
sonno
simile alla morte che aveva imprigionato sua madre.
“Davvero
notevole, mia cara”,
commentò Regina, reggendo il suo scettro.
“Ma
non ne sarei stata capace senza
il tuo aiuto”, disse Malefica. “Mi hai ricordato
chi sono davvero. Ti ringrazio”.
Regina
si sentiva lusingata. Le
porse lo scettro e Malefica lo prese. Nel farlo, allungò le
mani lentamente,
sfiorandole le dita. Lei se ne stette là, con la testa
sollevata per riuscire a
guardarla in viso. Era molto più alta di lei e, oltre a
questo, Regina pensava
che avesse degli occhi incredibili. Erano grandi e azzurri,
quell’azzurro
ombroso, come un cielo che si sta preparando alla tempesta.
“Bene”,
ricominciò Malefica, senza
smettere di fissarla. “Dunque, hai mai cavalcato un drago
prima d’ora?”
Regina
scosse il capo. Era contenta.
Per lei essere contenta era una novità. Da qualche tempo a
quella parte non si
era sentita neanche remotamente contenta. Anzi, era sicura che, una
volta
tornata a casa, avrebbe trovato Tremotino ad aspettarla e poi la
sensazione
esaltante provata quel giorno sarebbe svanita per lasciare il posto
alla
tristezza. Una tristezza immeritata, il prezzo di un tradimento che non
avrebbe
mai dimenticato.
“No”,
ammise Regina, dopo un
attimo. “Ma credo che mi piacerà. Molto”.
“Lascia
che ti dia un passaggio”,
continuò Malefica. “Arriverai prima”.
“D’accordo.
Ma sai... non ho fretta”,
rispose Regina.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Emma, fermati! – gridò Regina.
-
Emma, non farlo. Ti prego. – aggiunse David, distendendo un
braccio, quasi
intendesse afferrare la figlia.
L’Oscuro
stringeva il cuore di Malefica nella mano destra. Nell’altra,
invece, aveva
Excalibur. Intera.
-
Swan, che cos’hai in mente? – chiese Uncino,
facendo un passo avanti, ma con
cautela.
Emma
li osservò con implacabile indifferenza. – Che
cosa siete venuti a fare?
-
Dov’è Lily? – chiese Regina.
-
Lily non è un problema vostro. Niente di tutto questo lo
è. – Mostrò loro
Excalibur. – Non appena avrò finito con Zelena, mi
ringrazierete. Soprattutto
tu, Regina.
-
Per quale motivo dovrei ringraziarti?
-
Non lo ricordi, ma a Camelot... mi hai aiutata ad ammettere delle cose
su me
stessa. – Emma lanciò un’occhiata a
Malefica, sdraiata ai suoi piedi. – Non prendere
quello che farò a Zelena come un modo per ricambiare un
favore. È una cosa che
devo fare. È necessaria. Ma un ‘grazie’
lo vorrei sentire comunque. Sarebbe un
buon inizio, considerando quello che avete fatto.
-
Un buon inizio?
-
Killian, non gliel’hai raccontato?
Uncino
scrollò il capo. – Eccome, Swan. Ma se ci dicessi
la verità, finalmente,
potremmo evitare tutto questo. Noi vogliamo aiutarti.
-
Vogliamo salvarti. Non è troppo tardi. – aggiunse
Mary Margaret, muovendosi
verso di lei. Sorrideva, speranzosa. - Noi siamo la tua famiglia.
-
State indietro. – Emma mostrò loro il cuore di
Malefica e lo serrò. – Se
volevate salvarmi... non avreste dovuto fare quello che avete fatto.
Non
avreste mai dovuto tradirmi.
-
Emma. – ricominciò Regina. – Lascia
andare Malefica. È la madre di Lily. Se la
uccidi, non ti perdonerà mai.
-
Sei proprio come tua sorella. Qualche giorno fa mi ha detto la stessa
cosa.
Fate entrambe dei bei discorsi sul perdono... – Anche lei
sorrise. Fu un
sorriso agghiacciante. - E vedo che sei tanto preoccupata per la tua
amante.
-
Ascolta, Emma... – disse Regina, anche se non aveva idea di
quello che avrebbe
detto. La sua mente, a margine, aveva carpito il commento
dell’Oscuro, ma non
riusciva a metabolizzarlo. La situazione era troppo seria per
concentrarsi su
quello che le aveva appena detto.
“Fate
entrambe discorsi sul
perdono...”
“Sei
tanto preoccupata per la tua
amante”.
-
Sai chi è stato il primo a tradirmi? – la
interruppe Emma, inclinando
leggermente la testa di lato.
Il
vento le spostò uno ciocca di capelli scuri, facendogliela
ricadere su un
occhio. Regina attese, mentre il gelo si diffondeva nel suo sangue,
come
qualcosa di velenoso e torbido, più velenoso della mela che
aveva dato a
Biancaneve.
-
Tu, Regina. – rispose Emma.
Regina
ammutolì. Si ritrasse con tanta forza da andare a sbattere
contro Uncino.
-
È stata una tua idea.
-
Questo non... non è possibile. –
blaterò Regina.
-
Lo è, invece. E voi l’avete seguita.
Emma
si chinò, spingendo il cuore nel petto di Malefica.
Dopodiché sollevò Excalibur
e piantò la lunga lama nel cemento del viale.
***
Foresta
Incantata. Quarant’anni fa.
“D’accordo.
Ma sai... non ho
fretta”, rispose Regina.
Le
labbra carnose di Malefica si
strinsero come se stessero assaporando quell’ultima
osservazione. Poi si girò e
la condusse fuori dal castello di Stefano. Riassunse la sua appena
ritrovata
forma di drago e si abbassò quel tanto che bastava per
permetterle di montare
in groppa. Regina usò la poderosa zampa della creatura per
issarsi e quando si
fu sistemata sulla sua schiena ebbe modo di avvertire il calore emanato
dal suo
corpo. La dura scorza che lo ricopriva aveva una strana consistenza al
tatto.
Il
vuoto le riempì lo stomaco, appena
il drago si staccò da terra.
Se
c’era una cosa che Regina amava
e che la faceva sentire libera, era cavalcare. Quando lanciava
Rocinante al
galoppo e avvertiva il vento sul viso e fra i capelli, quando vedeva la
foresta
intorno a lei diventare una macchia indistinta, che le scivolava
accanto
velocissima, quello che provava era gioia. Assaporava la
libertà e se la teneva
stretta, anche se per poco.
Mentre
Malefica saliva sempre più
in alto e il mondo si faceva sempre più piccolo, provava la
medesima
sensazione. I suoi piedi erano incastrati alla perfezione a
metà dei fianchi del
drago, tra due scaglie che sembravano fatte apposta per servire da
appoggio. Le
ali si congiungevano poco dietro le cosce di Regina e ad ogni battito
sentiva i
muscoli dell’enorme schiena che si contraevano.
Imparò subito a seguire i
movimenti del drago e ad assecondarli con fluidità.
Quello
che vedeva dall’alto era
meraviglioso. Il paesaggio era costellato di campi verdeggianti, fiumi
azzurri,
laghi, villaggi sparsi e fitti boschi. Regina rise, ammirando tutto con
sincero
stupore. Malefica prese la via più lunga. Virò
verso le montagne ad ovest,
scese di quota sfiorando le chiome degli alberi, risalì
rapidamente,
costringendola ad abbassare la testa e a serrare le palpebre,
poiché la brezza
che le frustava il viso.
Quando
furono in prossimità della
meta, la testa enorme ondeggiò e si rizzò verso
le nuvole, uno sbuffo di fumo
misto a fuoco uscì dalle narici del drago e le ali
sbatterono così forte che,
per via della velocità raggiunta, per poco Regina non venne
sbalzata nel vuoto.
Si aggrappò più saldamente, mentre Malefica
planava, rallentando il volo e
inarcando le ali.
Atterrò
ad un paio di leghe di distanza
dalla dimora di Regina. Lei scese dal drago e si stiracchiò
gambe e braccia.
“Volevo
proprio capire che cosa
potevi fare”, disse, quando Malefica recuperò la
forma umana.
“Adesso
sono ciò che ti aspettavi”.
“Oh,
sì. Sei anche meglio di ciò
che mi aspettavo”.
Malefica
appoggiò le dita sulla sua
guancia, tracciando brevemente il profilo del suo viso. “Alla
fine sei stata tu
ad insegnarmi qualcosa. E pensare... che eri venuta da me
perché ti aiutassi
con la magia”.
Regina
pensò a qualcosa da dire, ma
non lo trovò. Si limitava a fissarla. Percepiva fin troppo
le dita che ora
l’accarezzavano sotto il mento.
“Non
dimenticherò quello che hai
fatto per me. Mai”, disse Malefica. “Torna a
trovarmi quando vuoi. Sarai sempre
la benvenuta”.
“Bene”.
Regina quasi non riconobbe
la propria voce.
Poi
le dita che l’avevano
accarezzata si appropriarono della sua nuca e l’attirarono
contro il corpo
dell’altra.
Il
bacio non fu per niente
delicato, ma lei non si aspettava che lo fosse. La bocca del drago era
ardente
sulla sua, i denti le morsero le labbra e le spezzarono il respiro,
strappandole un gemito soffocato. Regina si aggrappò alla
veste di Malefica e rispose
con la stesse intensità.
...si aggrappò alla veste di
Malefica e rispose con la stessa intensità.
Non
resistette e nemmeno ci provò.
Qualcosa le diceva che non doveva farlo, ma quando le labbra di
Malefica,
brucianti come lava, incontrarono le sue, Regina la baciò
come aveva fatto
tanto tempo prima. Ogni pensiero logico cessò e la
baciò con irruenza, seguendo
la sua lingua, intrecciandola alla sua, mentre gli spiriti che
abitavano le
nebbie di Avalon e che avevano condotto alla follia i viaggiatori
ignari che si
inoltravano in quell’impenetrabile biancore, continuavano la
loro danza.
Malefica
le circondò la vita con un
braccio, attirandola ancora di più verso di sé.
***
Storybrooke.
Oggi.
Lily
si era messa a frugare in giro, alla ricerca di qualsiasi cosa da poter
usare
contro Emma, nel caso fosse stato necessario.
Non
aveva trovato niente, a parte la scatola che lei le aveva
già mostrato la prima
volta che era stata lì. Sollevando il coperchio, Lily vide
la telecamera. La
estrasse e la mise da parte. Immaginava che non avrebbe dovuto
soffermarsi sui
ricordi di Emma proprio in quel momento. Ma si sentiva inspiegabilmente
attratta da ciò che vedeva. Oltre alla telecamera,
trovò un anello con una
pietra azzurra, una collana, un paio di occhiali e... la foto di un
ragazzo. Un
ragazzo con i capelli scuri e il pizzetto. In quell’immagine,
sorrideva.
Capì
subito di chi si trattava.
Neal.
Non
era un ragazzo che lei avrebbe definito bello. Aveva un aspetto
ordinario, ma
il suo sorriso era luminoso e, in qualche modo, lo rendeva speciale.
Inoltre...
Una
nube verde fece la sua sgradita comparsa in salotto.
-
Ehi, ma che cosa pensi di... – iniziò Lily,
lasciando cadere la foto e
alzandosi così di scatto che rovesciò
l’intera scatola.
-
Scusami tanto. – disse Zelena. Estrasse una pistola da
chissà dove e fece
fuoco.
Il
primo sparo la prese al ventre, sbattendola all’indietro e
gonfiandole la
giacca sulla schiena. Ebbe la sensazione di essere stata colpita da un
guantone
indossato da un avversario decisamente poco leale. Il secondo colpo la
prese al
lato del collo, provocando un bruciore simile al sale versato su una
ferita. Il
terzo le penetrò nel lato destro del petto, mozzandole il
fiato e spedendole
una fitta lancinante al cervello. Uno stivale slittò sul
pavimento e lei cadde
malamente, sbattendo la testa sulle assi. Il mondo intorno a lei si
stava
oscurando. Un’ala nera, l’ala nera che aveva
già visto altre volte, si allargò
davanti ai suoi occhi.
Nello
stesso preciso istante Lily avvertì la mente di Emma
accostarsi alla sua. Fu
una vera invasione. Arrivò come un uragano e non come
qualcuno che si avvicina
in punta di piedi, ma come qualcuno che entra sfondando una porta e
sradicandola dai cardini. Il dolore si fece più intenso,
insopportabile. Un
bolo denso le salì su per la gola. Forse era sangue. Un
proiettile le aveva
bucato un polmone.
-
No! – gridò Emma. Non nella sua testa. Era
lì vicino. – Che cos’hai fatto,
strega?!
-
Ho fatto squadra con la tua amichetta del cuore. – rispose
Zelena,
ridacchiando. – Ma sai come vanno certe cose... e poi lo
sceriffo non dovrebbe
lasciare in giro armi di questo tipo. Non te l’ha detto la
mamma che può essere
pericoloso?
-
Lily... – Emma posò un ginocchio a terra,
chinandosi su di lei.
Emma.
-
Ma guarda un po’. – tornò a dire Zelena,
divertita come non mai. – Scommetto
che non te l’aspettavi, vero? Certo, immagino non sia niente
rispetto alla
sorpresa che stai provando ora. Mi sorge spontanea una domanda e
dovresti
fartela anche tu. Non dovrebbe esserci del sangue? Non dovresti...
essere già
morta?
Lily
si rese conto che il dolore si stava ritirando, come le onde del mare
quando
sopraggiunge la bassa marea. Per un momento era diventato tremendo, era
diventato terrificante. Ma era durato poco.
-
Emma... che cosa diavolo sta succedendo? –
domandò, capendo di poter parlare
senza alcuna difficoltà. Lily si alzò, portandosi
una mano al petto e cercando
i fori dei proiettili.
-
Mi dispiace... – mormorò Emma.
Lily
le lanciò un’occhiata e poi guardò
Zelena, che sorrideva. In una mano stringeva
ancora la pistola, nell’altra aveva un acchiappasogni.
Gettò via l’arma, che precipitò
sul divano del salone e tirò fuori da una tasca della
mantella un piccola
ampolla. L’aprì e ne riversò il
contenuto direttamente su Emma, che lasciò
cadere Excalibur, spalancando gli occhi per la sorpresa.
L’inchiostro che aveva
rubato al negozio di Tremotino si espanse sui suoi abiti, rivestendola
interamente. L’aura azzurra si diffuse a macchia
d’olio, paralizzandola dalla
testa ai piedi.
Lily
era troppo incredula per reagire. Si aprì la giacca con uno
strattone e vide un
foro all’altezza del polmone, nonché un secondo
foro più in basso. Si portò una
mano al collo.
Niente
sangue.
Nemmeno
una goccia.
No.
Come sarebbe a dire?
-
Che cosa sta succedendo? – ripeté Lily, fissando
Emma.
-
Io credo che sia semplice intuirlo. Ma se vuoi... –
Sollevò l’acchiappasogni. –
Puoi recuperare i ricordi che ti sono stati rubati.
-
Quell’acchiappasogni...
-
È di tua madre. L’ho trovato nel capanno sul
retro. Ci sono tutti. Una
collezione notevole. Purtroppo il tuo ce l’ha ancora mia
sorella. – Zelena si
avvicinò, sempre tenendo l’acchiappasogni per il
cordino che serviva ad
appenderlo. – Ho preso anche il mio. Mi ero stufata di questo
vuoto di memoria.
Perché non diamo una sbirciata ai ricordi della mammina?
-
Non fidarti di lei, Lily. – disse Emma. – Posso
spiegarti tutto.
-
Certo. Può. Ma lei è l’Oscuro.
– commentò Zelena.
-
Io sono Emma. E sono l’Oscuro così come tu sei una
perfida strega!
-
Già. Però i ricordi contenuti in questo
acchiappasogni non mentono. Non possono
essere modificati. Al massimo possono essere protetti con un
incantesimo. Cosa
che lei si è assicurata di fare con il tuo acchiappasogni,
Lilith. Mia sorella
ha visto solo una parte dei tuoi ricordi. Ha visto... i ricordi
accessibili.
-
L’ho fatto per proteggerti. – ribatté
Emma. – L’ho fatto per aiutarti. Tutto
ciò che ti ho detto è vero, Lily. Tu non hai
fallito. Hai sempre creduto in
me...
Lily
osservò le piume dell’acchiappasogni che
ondeggiavano. Osservò la rete interna,
il cerchio di salice perfetto. Ebbe paura. Anzi, non era semplice
paura. Era
terrore. Ed era confusione. Stordimento. Teneva ancora una mano sul
collo, dove
uno dei proiettili l’aveva raggiunta. Continuava a guardarsi
il palmo e a
chiedersi quando avrebbe visto il sangue.
-
Voglio sapere. – rispose Lily. – Mostrami i ricordi
di mia madre.
Emma,
nella sua situazione, poté soltanto serrare le palpebre,
impotente.
Zelena
agitò una mano davanti all’acchiappasogni.
***
Camelot.
Due settimane prima della
maledizione.
Regina
era fiera di ciò che stava vedendo. Il peggio era passato.
Era sicura che, dopo
quell’incantesimo, Merlino avesse in mente
qualcos’altro. Non era ancora
finita. Ma era pur sempre un grande passo verso la fine di quella
storia.
Emma
immerse le due lame nella luce e le congiunse.
Tutti
guardarono lo strano e affascinante spettacolo del pugnale che
incontrava di
nuovo, dopo moltissimi anni, la sua parte mancante. Era come riunire i
pezzi di
un puzzle, gli ultimi due pezzi, per ottenere il quadro completo.
La
luce si espanse, diventando più intensa. Emma
avvertì chiaramente il pugnale
che si saldava alla lama di Excalibur. Si fondeva e mutava per
adattarsi alla
spada. Le voci nella sua mente bisbigliarono, sussurrarono, sibilarono.
Le voci
di diversi Oscuri si assieparono in un punto dietro ai suoi occhi.
Nimue.
Cornelius. Rothbart. Gorgon.
Zoso. Tremotino.
Emma
Swan.
Malefica
udì un gemito strozzato alle sue spalle. Si voltò
di scatto.
-
Lily?
Lily
allungò una mano, infilandola sotto la giubba che indossava.
Quando la ritirò
videro tutti che era piena di sangue.
-
È ferita! – esclamò Belle.
Il
corvo di Knubbin sbatté le ali e gracchiò,
nervoso. Abbandonò la spalla di
Henry per tornare ad appollaiarsi sulla spalla del suo padrone.
Lily
barcollò in avanti, improvvisamente paonazza. Malefica tese
le braccia per
afferrarla. Riuscì a prenderla. Si afflosciò tra
le sue braccia, mentre il
sangue sgorgava a fiotti da una ferita che non aveva mai visto. La
camicia
sotto la giubba ne era già intrisa.
-
Lily, che cosa c’è? – esclamò
Emma. Spezzò l’incantesimo e lasciò
cadere sia
Excalibur che il pugnale, gettandosi in ginocchio accanto a Lily.
-
Che cosa è successo? – domandò Regina,
in piedi dietro ad Emma.
-
Questa ferita... – mormorò Emma. –
L’ho guarita poco fa. Era una ferita
superficiale!
-
Perché sta sanguinando così, allora? –
chiese Malefica, sorreggendo la testa
della figlia.
-
Excalibur. Artù l’ha ferita nella foresta.
– disse Merlino. La sua voce era
grave. Dalla sua espressione tesa, Malefica capì.
Capì ancora prima che il mago
riprendesse a parlare. Inorridita, guardò gli occhi sbarrati
di Lily. Stringeva
i denti e il fiato le usciva a scatti dalla bocca.
-
La guarigione era solo apparenza. Excalibur è fatta per
recidere legami
immortali. Le sue ferite... non possono essere curate. –
continuò Merlino,
implacabile.
-
Che cosa?! – gridò Malefica. - No, questo non
può essere. Dobbiamo fare
qualcosa!
-
Sì, ci deve essere un modo! Emma può farlo...
– disse Neve.
-
No, non può. Il suo potere non è abbastanza
forte. Neanche il mio. – rispose
Merlino.
-
Lily... – Malefica appoggiò la mano sulla guancia
della figlia. – Resisti, ti
prego. Non posso perderti un’altra volta.
-
Deve esserci un’alternativa. – disse Emma.
– Non possiamo lasciarla morire!
Io... non ho fatto tutto questo per perdere le persone che amo!
-
Emma... – gemette Lily. Cercò di prendere fiato e,
sebbene espirando buttasse
fuori più sangue che aria, riuscì a parlare.
– Non... non importa. Non è... colpa
tua. Mi dispiace... mamma...
-
No! Non posso accettare una cosa simile... - Malefica prese il volto di
Lily
fra le mani.
-
Riunisci... le lame. Devi... riunirle adesso. - mormorò.
Aveva la bocca colma
di sangue. Sgorgò da un angolo delle labbra.
Emma
fissò come ipnotizzata quella scia rossa tracciare un
percorso lungo il mento
di Lily, per poi scivolare sul collo e imbrattare la camicia. Una furia
cieca e
incontenibile le stava colmando la testa. Non aveva mai provato una
furia
simile prima d’ora. Persino le voci si era zittite.
Aspettavano.
-
No... Lily, se muori adesso, tanto vale che io torni ad essere la
polvere che
ero... prima che mi riportassero in vita. – Le lacrime
rotolarono sulle guance
di Malefica.
-
No. – rispose Emma. – Un modo per salvarla esiste.
-
Emma... Merlino ha detto che non c’è niente che tu
possa fare. – disse Regina.
-
Non ha detto la verità. – Emma si girò
verso lo stregone. – Sono potente. E
adesso useremo questo potere! Posso... usare la fiamma di Prometeo per
riunire
le lame, ma posso anche usare la spada... per legare ad essa la vita di
Lily.
Malefica
si rese conto che Emma stava davvero prendendo in considerazione
quell’alternativa. Frammenti di quell’idea
schizzarono nella sua mente come
meteoriti. Rimase senza fiato.
-
Emma... sai che cosa accadrebbe. – Merlino parlò
con calma, scandendo le
parole.
-
Nascerebbe un altro Oscuro. – concluse Regina per lui.
-
L’oscurità si moltiplicherà. Non
potrà essere distrutta, se non facendoti
pagare il prezzo più alto.
-
Swan. – intervenne Uncino, inginocchiandosi vicino ad
Azzurro. – Non puoi. Mi
hai detto che Lily ha sofferto molto per via dell’incantesimo
dei tuoi genitori
e dell’Apprendista. Questo... non è giusto. Non
puoi trasformarla in quella
cosa.
-
Quella cosa sono io! – urlò Emma. E non fu un
semplice urlo. Fu un’esplosione
di collera che zittì Uncino all’istante. Gli occhi
parvero sul punto di
schizzarle dalle orbite. Erano rossi, i lineamenti del suo viso erano
distorti.
- Quella cosa... sono io. Ed io non permetterò che lei
muoia!
-
Fallo. – disse Malefica. – Fallo, ti prego.
-
No... – disse Lily, sputando altro sangue. – No...
se lo fate... se lo fate
sarà la fine. Per Emma... e per me. Diventerò...
-
Emma, non puoi. – disse Neve. – Questo...
è sbagliato. Ti spingerà verso
l’oscurità.
-
Sarà l’ultimo passo. – aggiunse Merlino.
– Lily... non è come te, Emma. Potrebbe
non riuscire a controllarsi.
-
Hanno ragione. – disse Regina. Appoggiò una mano
sulla spalla di Emma. – Devi
fermarti... Malefica, pensaci anche tu, per favore...
Con
uno strattone, Emma si liberò della sua presa.
Udì il rumore di uno strappo. –
A te non importa niente di Lily! Ma se avessi potuto salvare Daniel...
se
avessi dovuto salvare nostro figlio, l’avresti fatto!
Regina
si ritrasse, scoprendo che un pezzo di tessuto bianco le era rimasto
tra le
dita. Non riusciva ad elaborare un pensiero coerente.
-
Basta, Emma! Facciamolo! – gridò Malefica, fuori
di sé. – Lily non ha più
tempo!
-
Merlino, fermala! – ordinò Neve.
Emma
prese la spada e la sollevò, puntandola contro lo stregone.
Con l’altro braccio
spinse Azzurro, Neve e Uncino lontano da sé. I suoi genitori
travolsero uno dei
tavoli, che si ribaltò con fracasso. Uncino
terminò la sua caduta contro la
parete opposta.
-
NO! Non lo farà! – disse Emma.
Merlino
restò là, con una mano protesa, incapace di
muoversi. Su Excalibur c’era ancora
il suo nome ed era l’Oscuro che gli stava ordinando di
fermarsi. I suoi muscoli
non risposero ai comandi. La sua volontà si
spezzò come una corda sottile e
troppo tesa. Ma era molto più di questo... lo sguardo di
Emma ora era molto più
verde. E il verde si era allargato, inondando completamente la sclera.
Nimue,
pensò
lui, sconvolto.
Emma
disparve in una nuvola grigia, portando con sé Lily e
Malefica.
La
catenella che le aveva regalato Killian cadde sul pavimento e
l’anello
agganciato ad essa rotolò, tintinnando.
Nei
giorni seguenti al loro arrivo a Camelot, Emma era andata spesso ad
esplorare i
dintorni del castello di Artù. Pensava potesse aiutarla a
non riflettere troppo
sulla sua nuova condizione. Pensava potesse distrarla e tenere a
distanza
Tremotino. Lui e tutte le voci che la tormentavano. Camminava nella
foresta
attorno a Camelot ed era stato così che era giunta fino ad
un luogo racchiuso
da un gruppo di alberi, una piccola radura dove aveva trovato una
sorgente,
nella quale una cascata scrosciava, gettandosi nelle sue acque e
sollevando
spruzzi che giocavano con i raggi del sole. Il lago era circondato da
fiori,
molti dei quali erano gigli bianchi, candidi come quello che aveva
regalato a
Lily solo alcuni giorni prima.
Emma
apparve proprio nei pressi della sorgente, insieme a Lily e a Malefica.
La
ragazza venne adagiata sul prato. Il petalo di un giglio le sfiorava i
capelli.
-
Emma, dove... – cominciò Lily, ma non
riuscì più a proseguire. Gli occhi le si
rivoltarono nelle orbite e altro sangue uscì dalla bocca.
-
Fai presto, ti supplico. – la supplicò Malefica,
posando una mano sulla fronte
della figlia.
-
Spero che tu capisca che cosa sta per succedere, Malefica. –
disse Emma. – Lo
farei comunque, ma voglio che tu...
-
So benissimo che cosa diventerà! Adesso fallo!
Emma
si sporse in avanti, posando le labbra sulla fronte di Lily.
– Perdonami, se
puoi...
Poi
raccolse la spada spezzata e la pose in modo che fosse parallela al
corpo di
Lily. Richiamò il potere di cui aveva bisogno, usando tutte
le sue energie e
accorgendosi solo allora che anche lei stava piangendo.
Alla
locanda Regina si spostò di scatto quando vide cosa stava
accadendo a Merlino e
si mise davanti ad Henry, per proteggerlo.
-
Che succede? – domandò Robin, incredulo.
-
No... non possiamo permetterglielo. – disse Uncino.
-
Che la bocca degl’Inferi si apra per accogliermi...
– bofonchiò Knubbin. I capelli
grigi gli stavano ritti sulla testa. La bocca gli si
spalancò, come se tutti i
tendini che reggevano la mascella avessero improvvisamente ceduto.
L’oscurità
stava abbandonando il corpo dello stregone. Braccia sottili e dense,
nere come
la tenebra più profonda, lasciarono il contenitore umano,
allungandosi verso
l’alto e sparendo lentamente.
-
È troppo tardi. – disse Merlino.
La
spada era diventata luminosa. Se Malefica non avesse saputo che cosa
stava
succedendo né quali poteri avessero la lama e la fiamma di
Prometeo, non
avrebbe mai pensato che fosse qualcosa di malvagio, qualcosa che
avrebbe mutato
forse per sempre la natura di Lily.
Poi
vide l’oscurità.
Nel
punto in cui la lama si univa all’elsa,
l’oscurità fuoriuscì e
abbracciò
Excalibur, riversandosi infine nella nuova ospite. Una cosa viva e
smaniosa.
Una terribile forza nera che correva verso l’anima di Lily,
molto più nera del
potenziale oscuro che gli Azzurri avevano trasferito dentro di lei
molti anni
prima.
Malefica
si sentì paralizzata e circondata da una serie di orrori;
sua madre uccisa
dalle fauci e dagli artigli di un drago che poteva essere la
reincarnazione di
Balerion il Terrore Nero; lei, ancora troppo giovane per difendersi,
smarrita
nel suo stesso castello, inondata dalla paura; le urla delle persone
che
bruciavano vive in quel villaggio; uomini e donne che ululavano di
dolore,
preda del fuoco, le loro carni che si annerivano, i capelli che
diventavano
roghi ardenti; Percival, quel cavaliere, ucciso da Lily, la sua faccia
che si
deformava, diventando una maschera di fuoco. C’era anche
questo e molto altro
nell’oscurità che si avventava verso sua figlia,
affamata. Tutte le cose infide
che aveva paventato e anche cose che non poteva neppure immaginare si
stavano
avventando su Lily. Lei ed Emma la stavano riempiendo di
oscurità. Ancora.
Ma
io non so che altro fare!, urlò
la sua mente.
L’ultimo
brandello di buio lasciò la spada. Lily si dissolse davanti
ai loro occhi.
Dapprima Malefica vide attraverso il suo corpo, poi sua figlia
disparve. Sul
prato restò impressa la forma del suo corpo.
Emma
respirava con affanno. Malefica spostò lo sguardo sulla
lama. Vicino al punto
in cui essa si spezzava, i disegni che la decoravano sparirono e al
loro posto
comparve il nome del nuovo Oscuro.
Lilith
Page.
Emma
chiuse gli occhi, come se non riuscisse a sopportare ciò che
stava vedendo.
Poi
la tenebra esplose. Malefica gemette nel buio che sembrò
gravare sulla sua
mente come un’eclissi, cancellando tutti i pensieri
razionali. Premette la mano
contro la bocca per impedirsi di urlare.
Quando
batté le palpebre, le tenebre erano scomparse. Loro due
erano ancora là, presso
il lago. La cascata continuava a scrosciare e la sua spuma scintillava
ancora
sotto i raggi del sole. Ma i gigli sulle sponde erano morti. Tutti. I
petali
bianchi che avevano sfiorato i capelli di Lily ora pendevano verso il
basso,
senza vita. Persino l’erba intorno a loro era ingiallita, era
diventata secca e
sterile.
Ed
Emma era cambiata.
Il
vestito bianco non c’era più. Al suo posto, abiti
neri come il buio che aveva
oscurato la loro vista e che la fasciavano, sottolineando le sue forme
e anche
la sua natura di Oscuro. La pelle del viso era bianca e tesa, le labbra
rosse
come sangue, gli occhi di un verde scuro, magnetico e insondabile. I
capelli
erano candidi, non biondi, ma più bianchi della pelle,
raccolti in una
crocchia. Le lacrime erano evaporate. La sua espressione era marmorea.
Emma
strinse la spada contro il proprio petto.
Nel
profondo della foresta, dove Emma aveva condotto Lily, dove avevano
lottato e
dove le aveva regalato il giglio, la piattaforma che recava quei
simboli oscuri
si aprì con uno scatto, ritirandosi nella terra.
La
densa ondata di oscurità ne riempì la
cavità e salì verso l’alto, un fiume
che
straripava, rompendo gli argini.
Assunse
rapidamente una forma. Si muoveva come in un incubo, facendosi largo in
un’aria
che sembrava diventata pesante e irrespirabile.
Lily
emerse dalle tenebre, indossando la tunica degli Oscuri.
__________________
Angolo
autrice:
Ed
eccoci ad uno dei capitoli più importanti (nonché
uno dei più difficili da
scrivere). Spero tanto che vi sia piaciuto.
Chi
pensava ci fosse un secondo Oscuro ha azzeccato. E chissà se
avete azzeccato
anche l’identità di questo Oscuro. Immagino di
sì. Avevo sparso un po’ di
indizi, proprio perché volevo rendere il tutto davvero
credibile.
Qualche
precisazione, come sempre:
Heather
Dale è una musicista canadese che scrive canzoni ispirate al
Ciclo Arturiano o
canzoni di stampo celtico e medievale. Mordred’s
Lullaby è una delle sue canzoni migliori, dal mio
punto di vista.
|
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Capitolo 15 *** 15. ***
15
“Don’t get too close
It’s dark inside
It’s where my demons hide
It’s where my demons hide”
[Imagine
Dragons, Demons]
Storybrooke. Oggi.
Inorridita,
Lily vide la propria mano tendersi a toccare
l’acchiappasogni, che ancora
recava l’immagine di lei appena... appena rinata.
Guardò il proprio volto sotto
il cappuccio della tunica.
Infine
la visione scoppiò nella sua testa come una bolla di sapone
e il mondo le tornò
addosso: Zelena che ancora sorrideva, trionfante, dietro la rete
dell’acchiappasogni. Emma, paralizzata
dall’inchiostro magico, con gli occhi
più sbarrati dei suoi. Excalibur sul pavimento, che pareva
scrutare tutto con
il suo unico occhio rosso.
“Spero
che tu capisca che cosa sta
per succedere, Malefica”.
“So
benissimo che cosa diventerà!”
“Perdonami,
se puoi...”
-
Perdonami... – ripeté Emma, affranta. –
Era l’unico modo... non ho avuto altra
scelta. Né io né tua madre abbiamo avuto scelta.
Lily
sentiva che le gambe e le braccia erano pesanti come il cemento. Era
sicura di
avere gli occhi fuori dalla testa.
-
Credo che la verità sia molto difficile da mandare
giù. – commentò Zelena.
Raccolse la spada, porgendola a Lily.
-
C’è... – cominciò lei.
Deglutì a fatica. Le sembrava che la voce provenisse da
una profondo e oscuro burrone. - Non puoi averlo fatto...
-
Stavi per morire... – disse Emma. – Lily, non
sapevo che cosa fare per
salvarti.
-
Dai un’occhiata alla spada, così potrai rendertene
conto veramente. - Zelena
continuava ad offrirle Excalibur.
Lily
la prese. Avvertì subito il formicolio sul palmo della mano
e lungo il braccio,
fino al gomito. Una leggera scossa. Niente di più.
Girò la lama, fissando la
propria attenzione sul nome di Emma, impresso su di essa.
Il
guanto nero di Zelena sfiorò la spada. Le decorazioni
scomparvero e Lily vide
che cosa si nascondeva dietro di esse.
Lilith
Page.
-
Coperto da un altro incantesimo. – rise Zelena. –
È sempre stato scritto lì.
Proprio sotto il tuo naso e nessuno di noi se n’era accorto!
Adesso
capiva una serie di cose. Le balenò l’immagine di
se stessa durante la sua
prima lezione di magia con Malefica. Aveva scaraventato sua madre
lontano da sé
con un semplice gesto. Aveva avvertito il potere, un potere oscuro e
sgradevole, eppure al tempo stesso affascinante, scorrerle nelle vene
come
sangue. Si era sentita fuori controllo, molto più del
solito. Da quando era
tornata da Camelot, si sentiva fuori controllo. Diversa. Cambiata.
-
Oh! Ora non c’è più solo...
l’Oscuro, non è vero? Non ci sono più
la Salvatrice
l’Anti Salvatrice. Ora ci sono... gli Oscuri! – Si
divertiva un mondo. – Ci
sono... le anime gemelle oscure.
-
Emma... – iniziò Lily. – Ti... ti rendi
conto di quello che hai fatto, vero?
-
Sì. – rispose Emma. – L’ho
fatto per te. Perché non esisteva un’altra
soluzione.
-
Avresti dovuto lasciarmi morire. – Lily non aveva idea se a
dominare fosse la
rabbia, la confusione, l’orrore o qualche altro non ben
definito sentimento. La
sua testa era un turbine. I suoi pensieri erano turbini muniti
d’occhi che
spazzavano via tutto. Il drago in lei socchiuse le palpebre. Gli occhi
sotto di
esse erano più accesi del solito, più affamati.
-
Credi davvero che avrei potuto? Che tua madre avrebbe potuto? - Era
seria e
angosciata. Il petto le andava su e giù affannosamente.
– Dopo tutto quello che
è successo a Camelot, non potevo permettere che morissi
così. Non era giusto! Non
volevo che pagassi un prezzo così alto, ma in quel
momento... non c’era niente
che potessi fare se non legarti alla spada. Era l’unica via.
-
E ovviamente voleva rimediare uccidendo me. – aggiunse
Zelena. – Ma come sei
dolce!
-
Se l’avessi uccisa, avrei distrutto
l’oscurità in entrambe.
-
Ed ora dirai che non avevi scelta nemmeno in questo caso, vero?
– esclamò la
strega.
-
L’altra scelta era pagare il prezzo più alto.
Lily
immaginava che il prezzo più alto fosse la loro vita.
L’Oscuro poteva essere
fermato, ma qualcuno doveva usare il pugnale contro di lui.
Contro
di noi.
Il
battito cardiaco le corrispondeva nelle tempie con una serie di tonfi
mostruosi. Pensava alle notti insonni che aveva trascorso. Sua madre si
era accorta
che, da quando erano tornate, lei non aveva più dormito
bene. Ma il punto
era... che non aveva affatto dormito. Mai. Quando chiudeva gli occhi,
vedeva
delle cose. Vedeva ciò che Emma stava vedendo. La sua mente
cercava di
rilassarsi e, d’istinto, trovava quella di Emma. Quelli che
credeva sogni, non
lo erano. E non si era mai sentita stanca. Non veramente. La sfiniva il
continuo rincorrersi dei suoi pensieri. La sfiniva il continuo porsi
domande
che non ottenevano risposta. Ma non c’era mai stata nemmeno
l’ombra della
stanchezza fisica.
-
Direi che non c’è nulla da aggiungere. –
disse Zelena, mostrandole di nuovo
l’acchiappasogni. – Che ne dici di scoprire
cos’altro è successo a Camelot... e
poi di occuparci di lei? Ah, per tua informazione: credo che Emma non
abbia
tutti i torti ad avercela con la sua splendida famiglia. Quella parte
è vera. E
naturalmente la colpa è di mia sorella.
-
Cos’ha fatto Regina? – sibilò Lily.
Reggeva ancora la spada. Le nocche della
sua mano erano diventate bianche a furia di stringere. Gli occhi le
bruciavano
nelle orbite a furia di spostarli lungo la lama, a furia di scrutare i
due nomi
impressi su di essa.
Emma
Swan.
Lilith
Page.
Gli
Oscuri.
-
Posso spiegartelo. Ma devi fidarti di me, Lily. – disse Emma.
-
Ho motivo di fidarmi di te?
-
Metti giù la spada e lascia che ti racconti che
cos’è accaduto. E ti restituirò
i ricordi. Tutti quanti.
-
Si può fare di meglio. – suggerì
Zelena, parlando a Lily. – Potremmo toglierla
di mezzo. Tenerla a bada prima che le venga in mente qualche altro
piano
diabolico.
-
Non darle retta per nessuna ragione. – ribatté
Emma.
-
E perché non dovrebbe? L’hai trasformata. Hai
cambiato la sua natura. Proprio
come hanno fatto i tuoi genitori molti anni fa.
-
I miei genitori hanno cambiato la natura di entrambe. Hanno maledetto
Lily per
rendermi perfetta. Io l’ho fatto... per salvarle la vita.
Lily... tu lo sai,
questo. Lo puoi capire.
Emma
Swan.
Lilith
Page.
Lily
appoggiò la lama di Excalibur sul palmo della mano, come per
saggiarne la
consistenza.
“Perdonami,
se puoi”.
-
Non avrei mai voluto arrivare a tanto, ma se fossi stata al mio posto e
avessi
saputo che era l’unico modo per salvarmi... so che non mi
avresti mai lasciata
morire.
-
Ma io non sono te. – disse Lily, continuando a rimirare la
spada. Il proprio
nome.
-
No. Però una parte di me è sempre stata dentro di
te. Mi conosci. Sai che non
ti sto mentendo. Sai che non ho mai desiderato farti questo. Sono stata
costretta. Tua madre sarebbe morta di dolore ed io non me lo sarei mai
perdonato!
Emma
Swan. Lilith Page.
Lilith
Page.
“Dopo
tutto quello che è successo a
Camelot, non potevo permettere che morissi così. Non era
giusto! Non volevo che
pagassi un prezzo così alto, ma in quel momento... non
c’era niente che potessi
fare se non legarti alla spada. Era l’unica via”.
Lily
alzò gli occhi, incrociando quelli di Emma.
***
Camelot.
Due settimane prima della
maledizione.
Era
un sogno. Non lo sembrava, ma doveva esserlo per forza oppure lei era
priva di
sensi e stava contemplando se stessa fuori dal proprio corpo.
O
era morta.
Niente
oscurità. L’oscurità rimase in
disparte. Solo la via dei ricordi. Però il film
era confuso, come se il montatore avesse alzato un po’ il
gomito e non
rimembrasse più il filo conduttore. Aveva
l’impressione di vivere nel passato,
nel presente e nel futuro. Tutto in contemporanea.
“Non
sei responsabile delle tue
sciagure e sofferenze quanto credi di esserlo”, disse
l’Apprendista,
sull’autobus. “Il mazzo è stato
rimescolato a tue spese, Lily, non è colpa tua.
Tutto quello che farai sarà difficile e tutto quello che
posso dirti io è... la
verità”
“Okay,
Yoda. Basta con le chiacchiere.
Qual è la verità?”
“Direi
di iniziare dal ciondolo.
Non si tratta propriamente di una pietra...”
“Prendi”,
disse Azzurro, afferrando l’uovo e
lanciandolo a Neve.
Malefica
lo colpì con la lunga
coda, mandandolo a sbattere contro le rocce. Poi spalancò le
fauci e scagliò
un’onda di fuoco, costringendo Neve a ritrarsi.
“Prova
ad incenerirci e brucerà
anche questo!”, urlò, mostrando l’uovo
al drago inferocito.
La
creatura ripiegò le ali,
chiudendosi in esse e una nube magica l’avvolse. Malefica
recuperò la sua forma
umana.
“Che
razza di persone siete?
Minacciare un innocente!”.
“Un
innocente? Questo non è un
innocente. È destinato a diventare un mostro come
te!”
“Che
l’oscurità trovi la sua via,
dal grembo materno a un altro dell’inferno...”,
declamò l’Apprendista.
Neve
si portò le mani al ventre,
colta da una fitta improvvisa.
“Se
vedrà la luce della vita, in
una terra lontana dall’ombra infinita, che la magia non le
dia forma e di tale
buio non lasci orma. Su questo infante sia posta la norma”.
Un
lampo di luce rossastra.
“Aspetta!
Da madre a madre... abbi
pietà! Io non posso perdere mio figlio!”
“Te
lo riporteremo a cose fatte”,
le rispose Neve, voltandole le spalle e dirigendosi verso
l’uscita con Azzurro.
Il suo piede schiacciò il sonaglio, spezzandolo.
Malefica
gridò, scagliando la
propria magia contro di loro.
“Lo
sto mandando dove merita di
stare. In un luogo dove non potrà nuocervi”.
Il
portale si aprì tra gli Azzurri
e lo stregone. Si allargò come la bocca di un mostro
affamato, mentre l’uovo si
schiudeva, rivelando una piccola mano umana.
“David,
è un bambino!”, urlò Neve.
Era sconvolta, ma a Lily parve lo strillo di un idiota.
“Possiamo
ancora salvarlo!”,
esclamò il suo principe, correndo verso l’uovo.
Ursula
e Crudelia si precipitarono
verso il portale.
“Ladri
di bambini!”
“Che cos’avete fatto?!”
L’uovo
precipitò nel passaggio.
“Fuori
da questa casa!”, le disse
l’uomo che si definiva suo padre, indicando
l’uscita con il lungo dito indice.
“Mi
stai davvero cacciando? Dove
potrei andare?”. Lily aveva quindici anni. Ed era arrabbiata
con chiunque.
Persino con se stessa.
“Questo
è affar tuo”.
“Da
quando sei andata via tutta la
mia vita è andata a rotoli. Qualunque cosa faccia va per il
verso sbagliato”.
“E
sarebbe colpa mia? Perché non
provi a fare scelte migliori?”
“Ci
provo. Lo giuro. Ma ogni volta
che lo faccio, tutto mi si ritorce contro. È come se avessi
una maledizione”.
“Che
stupidaggine!”
“È
vero. È come se tutta la mia
vita fosse oscura e quando ci sei tu... diventa più
luminosa”.
“Ehi,
tutto bene? Quel tipo ti
stava dando qualche grattacapo, vero? Non penso che
tornerà”. Un ragazzo si
chinò su di lei. Vide che non andava tutto bene.
“So
cavarmela da sola...”
“Non
da ubriaca”.
“Non
sono ubriaca. Sono maledetta”.
Il
ragazzo si guardò intorno e poi
sorrise. Aveva un taglietto sul mento. “Forse lo siamo
tutti”.
“Fottiti.
E si fotta pure tua
madre!”
“Le
decisioni sbagliate
sono il mio destino. Coraggio, metti fine alle mie sofferenze. Tu sai
quanto me
che la mia vita non merita di essere salvata”.
“Emma,
perché non hai
voluto uccidermi? Io lo avrei fatto”
“Io,
invece, credo di
no”.
“Siamo
la Salvatrice e
l’Anti Salvatrice”.
“Smettila
di dire così”.
“Stai
attenta”, disse
Neve.
“Quella
è mia figlia”,
replicò Malefica, andando incontro al drago.
Neve
la seguì e Azzurro
fece lo stesso.
“Mary
Margaret no!
Ferma! Non sa controllarsi!”
Il
drago strillò e
sputò fuoco. Con un poderoso colpo di coda, gettò
Neve contro una roccia e lei
batté forte la testa.
“Credevo
che tu fossi
un drago feroce e spaventoso e che... ci saremmo vendicate, sputando
fiamme su
chi ci ha ferite. Ma tu sei... una persona normale. Sei così
disponibile e
questo mi distrugge”.
“Perché
ti distrugge?
Non lo capisco. Ti prego, spiegami”.
“Perché
vuoi avere un
rapporto con me. Un futuro... e ogni volta che qualcuno ci ha provato
è... non
ha mai funzionato. Ho sempre deluso tutti. Io riesco a distruggere
tutto quello
che tocco. Quell’oscurità è una parte
di me. Ed è pericolosa”.
“A
me non dispiace un
po’ di oscurità”.
Lily
emerse dalle tenebre, indossando la tunica degli Oscuri.
Le
visioni erano svanite e lei riaprì gli occhi nel profondo
della foresta, nello
stesso luogo in cui Emma l’aveva condotta pochi giorni prima,
quando le aveva
regalato quel giglio.
Brancolò,
annaspando in quella pesante tunica nera che le rendeva difficoltosi i
movimenti. Brancolò, sì, perché per
qualche istante non seppe più cosa fosse
successo né quanti anni avesse. Quindici anni? Trenta?
Cento?
“Spero
che tu capisca che cosa sta
per succedere, Malefica”.
“Perdonami, se
puoi”.
Poi
tornarono anche gli ultimi ricordi. Quelli di Camelot. E
capì perché era
vestita in quella maniera.
-
Ciao, Lilith.
La
voce ebbe lo stesso effetto di uno sparo nella testa.
Rientrò in sé con un
tonfo, così come avrebbe potuto ricadere sul sedile
dell’auto dopo essere
passata su un dosso. Sconcertata, Lily comprese più cose nel
giro di un
secondo; che era cambiata. Radicalmente. Non era più la Lily
maledetta dagli
Azzurri. Era l’Oscuro. Come Emma. Comprese che era appena
rinata. Comprese
anche che davanti a lei c’era una persona che indossava la
stessa tunica, ma
aveva una faccia verde e squamosa, due occhi spiritati, grandi e senza
sclera.
-
Chi diavolo sei tu? – domandò, riconoscendo a
stento la propria voce. I primi
passi furono incerti e vacillanti. Scese dalla piattaforma,
inciampando.
-
Non è un buon inizio. Ma puoi migliorare. Sono felice di
vederti.
“Lui
è sempre qui, non capisci? Mi
parla. Mi parla continuamente. È qui ed è nella
mia testa. Lo vedo...”
-
So... so che cosa sei.
-
Oh, davvero?
“Lui
è sempre qui, non capisci? Mi
parla. Mi parla continuamente. È qui ed è nella
mia testa. Lo vedo...”
“Chi?”
“Tremotino.
O qualcuno che ha
assunto le sue sembianze. Non fa altro che parlarmi. Mi istiga. Ed io
non
riesco a non ascoltarlo”.
-
Emma non ha fatto altro che parlare con le voci nella sua testa. Tu sei
una di
quelle voci. Sei il demone... sei tutti gli Oscuri. – Lily si
accorse di
un’altra cosa. I suoi pensieri erano straordinariamente
lucidi, erano chiari e
precisi. Si era sentita confusa, ma ora non lo era più. La
sua testa era stata
spazzata da una parte all’altra.
-
Hai ragione. Io sono dentro di te. Meglio ancora. Io sono te. Noi siamo
una
cosa sola.
Lily
allungò una mano e cercò di afferrare
l’essere che le stava parlando.
Ovviamente l’Oscuro svanì per ricomparire dietro
di lei.
-
Io non sono un Oscuro qualsiasi, Lilith. Io sono tutti gli Oscuri. Sono
l’originale. Il primo. Puoi chiamarmi Nimue.
-
Tu sei... l’Oscuro a cui Emma ha rubato la fiamma.
-
Oh, certo. Ha preso la fiamma. E l’ha usata nel modo
migliore. Ha creato un
altro Oscuro. – Nimue sorrise. – Non era mai
accaduto niente di simile prima
d’ora. Ma sapevo che non mi avrebbe delusa. Sapevo che
avrebbe ceduto
all’oscurità. Insieme... saremo più
forti.
-
Non me ne importa niente. – Lilith si incamminò di
buon passo, odiando quella
stramaledetta tunica. Di certo era abbastanza lontana dal
Granny’s, ma che
importanza aveva quanti chilometri avrebbe dovuto percorrere? Poteva
trasformarsi. Poteva trasformarsi e coprire la distanza più
in fretta. Ma
poteva anche camminare. Gli Oscuri non si stancavano, giusto? Non
dormivano.
Non si stancavano.
Oscuro.
-
Invece dovrebbe. Perché se lavoriamo insieme... potremmo
avere tutti ciò che
desideriamo. – Nimue camminava accanto a lei.
-
Io non desidero niente.
-
Tu vuoi quello che vogliono molti. La vendetta.
-
Voglio solo andarmene da qui.
-
Se mi darai retta, se lascerai che io sia la tua guida,
l’avrai.
Lily
la ignorò. Per lo meno, si sforzò di ignorarla.
Non era semplice. Aveva una
voce stranamente ipnotica.
“Mi
istiga. Ed io non riesco a non
ascoltarlo”.
-
Vuoi vendicarti di loro. L’ho
visto.
Ho visto tutto quello che hai visto tu. – continuò
Nimue. – Ho sentito il tuo
dolore e la tua rabbia. Conosco questi sentimenti meglio di chiunque
altro. Li
ho provati sulla mia pelle, centinaia di anni fa. Puoi alleviare
entrambi.
-
E in che modo? – domandò Lily, seguitando ad
avanzare nel bosco. Aveva già
capito, in realtà. Perché era qualcosa che si
annidava nel suo animo da molto
tempo. Qualcosa che aveva cercato di sopire, ma inutilmente.
“Mi
istiga. Ed io non riesco a non
ascoltarlo”.
-
Schiacciando la fonte del problema, Lilith. Uccidi i genitori di Emma.
-
Merlino dice che è troppo tardi. La cripta ha già
trasformato Lily. – disse
Regina, mestamente.
Era
calata la notte. Al Granny’s non volava una mosca. Knubbin
sedeva su una roccia
con il suo corvo sulla spalla. Henry non aveva fatto altro che
camminare su e
giù davanti alla tavola calda. Merlino aveva
un’aria cupa e prostrata. Da
quando il suo legame con la spada era stato spezzato, non gli era
rimasto più
un briciolo di magia in corpo.
-
Quindi ha funzionato. È viva. – disse Malefica.
-
È viva, ma non l’abbiamo trovata! E nemmeno Emma!
– rispose Regina. – Non
avresti mai dovuto lasciare che andasse da sola a cercarla!
-
Volevo andare con lei, ma me l’ha impedito. Era sparita
ancora prima che
parlassi!
-
Beh, siete due idiote!
Quello
di Regina era quasi un grido e Malefica lo sentì penetrare
nel cervello, come
un coltello che fruga e scava, ma senza lacerare. – Io non
avevo scelta...
Regina
non avrebbe mai voluto essere così dura, ma gli eventi erano
precipitati senza
alcun preavviso e lei non aveva la più vaga idea di come
risolvere quella
situazione. Non ancora. Emma le aveva affidato il pugnale, quando erano
arrivati nella Foresta Incantata, aveva creduto che affidarlo a lei
fosse la
scelta giusta.
“A
te non importa niente di Lily!
Ma se avessi potuto salvare Daniel... se avessi dovuto salvare nostro
figlio,
l’avresti fatto!”
Cosa
devo fare, adesso?
“Io
ti ho salvata. Ora tu salva
me”.
-
Perché, invece di discutere, non elaboriamo un maledetto
piano? – propose
Killian. I capelli, madidi di sudore, gli ricadevano sugli occhi. Li
scostò con
un gesto seccato della mano. – Ci sono due Oscuri
là fuori.
“E
se non potrai salvarmi, allora
fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei
l’unica in grado di mettere
da parte le emozioni e fare ciò che è necessario.
Distruggermi”.
-
Le tracce nel bosco sono sparite. – continuò Neve.
-
Ovvio. Quelle due possono apparire e materializzarsi come credono.
– disse
Regina.
-
Non ho più la mia magia, ma posso ancora preparare delle
pozioni. – intervenne
Merlino.
-
Ed io posso dare una mano. – disse Knubbin, alzando un dito.
Tutti
lo fissarono.
-
Preparare pozioni mi rilassa. Conosco parecchi incantesimi. Ho avuto
anch’io un
maestro e mi ha insegnato molte cose. – spiegò il
mago, grattandosi la testa. –
E dato che non potrò tornare nella mia umile dimora tanto
presto, preferisco
non permettere al mio cervello di assopirsi.
-
Dovremmo fidarci di Emma. – disse Henry. – Lei...
conosce Lily. Avrà la spada
con sé e saprà controllarla.
-
Forse. – rispose Merlino. – Ma questi Signori
Oscuri... il loro legame va ben al
di là dell’oscurità che condividono.
-
Credi che il fatto che siano legate da sempre le renda...
più pericolose? –
domandò David.
Merlino
rifletté. – Non lo so. La vita di Lilith
è sempre stata oscura. Adesso... dovrà
lottare contro qualcosa di molto più grande. È
possibile che Emma usi il dono
nel modo giusto. Ma non possiamo essere certi di questo.
Quell’incantesimo...
Neve
scambiò un’occhiata con David.
-
La maledizione. – lo corresse Malefica. - Può
influenzarle?
-
Emma può trovarla prima di noi. E potrebbe parlarle.
-
E nel frattempo cosa dovremmo fare? Aspettare? – chiese
Killian. – Vi ricordo
che abbiamo anche altri problemi. Artù e Zelena, ad esempio.
“E
se non potrai salvarmi, allora
fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei
l’unica in grado di mettere
da parte le emozioni e fare ciò che è necessario.
Distruggermi”.
Regina
non riusciva a concentrarsi sulla sorella. Zelena poteva essere
là intorno, a
pianificare chissà quale tranello. Eppure tutti i suoi sensi
erano all’erta e
attendevano l’Oscuro. Gli Oscuri.
Di
colpo la sua mente iniziò ad abbozzare un piano.
“Dovremmo
fidarci di Emma”.
-
Regina?
Nessuna
risposta.
“E
se non potrai salvarmi, allora
fa quello che nessun altro sarà capace di fare. Sei
l’unica in grado di mettere
da parte le emozioni e fare ciò che è necessario.
Distruggermi”.
-
Regina? – Neve la stava chiamando.
Lei
si riscosse. – C’è qualcosa che possiamo
fare. Potrebbe funzionare.
-
E sarebbe? – chiese Killian, aggrottando la fronte.
***
Storybrooke.
Oggi.
Regina
sedeva davanti al televisore spento nella sua grande casa, al buio, con
un
bicchiere di brandy in mano.
“Sai
chi è stato il primo a
tradirmi?”
Talvolta
i suoi pensieri sembravano farsi più acuti, più
nitidi. Le riempivano la testa
luminosi come il giorno e avrebbero soffocato qualsiasi rumore, se non
si fosse
trovata immersa nel silenzio.
“Tu,
Regina”.
Ma
non poteva averlo fatto. Continuava a ripetersi che c’era
un’altra spiegazione.
Doveva esserci un’altra spiegazione. Emma le aveva dato il
pugnale a Camelot,
questo lo ricordava con chiarezza. Gliel’aveva dato e aveva
detto...
“Io
ti ho salvata. Ora tu salva me.
E se non potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro
sarà capace di
fare. Sei l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e
fare ciò che è
necessario. Distruggermi”.
Distruggerla.
Non tradirla. Distruggerla.
“È
stata una tua idea”.
Forse
la situazione era precipitata. Forse le cose si erano messe male, per
Emma e
anche per loro. E lei era stata costretta a prendere una decisione
terribile.
Forse l’Oscuro aveva perso il controllo e aveva cercato di
ferire qualcuno. Di
ucciderlo. Forse Merlino non era stato in grado di aiutare Emma.
Forse.
Forse. Forse.
Rivoleva
i suoi ricordi, maledizione.
“Sei
proprio come tua sorella.
Qualche giorno fa mi ha detto la stessa cosa. Fate entrambe dei bei
discorsi
sul perdono...”
Zelena.
Se Zelena era ancora con Emma e Lily, allora avevano un altro enorme
problema.
“E
vedo che sei tanto preoccupata
per la tua amante”.
Era
stata una vera fortuna non essere costretta a dare delle spiegazioni.
Non era
proprio in vena di spiegazioni. Robin non era presente quando erano
andati da
Emma e gli altri non avevano aperto bocca dopo che lei aveva usato
Excalibur
per rafforzare la barriera intorno alla casa e per congelarli
là dove si
trovavano. Un battito di palpebre dopo erano tutti a casa di Regina.
Convincere
Malefica a non commettere qualche altra follia non era stata
un’impresa facile.
E Capitan Mascara non era stato da meno. Era disposto a spalleggiare
Malefica.
-
Non c’è niente che possiamo fare, adesso. Devo
usare i libri di Merlino per
poter trovare una soluzione.
-
Con il dovuto rispetto, Maestà. –
l’aveva apostrofata Uncino. – In quei libri
non c’è nulla che ci possa aiutare. Merlino, poi,
non è qui.
-
Nemmeno i draghi ci possono aiutare, Capitan Mascara! Se tornate in
quella
casa, non otterrete niente. Emma è furiosa.
-
Sembra furiosa soprattutto con voi.
Si
domandava perché non aveva mai ucciso il pirata. Che cosa
l’aveva spinta a
lasciarlo in vita? C’era qualcuno che potesse ricordarglielo?
Regina aveva
alzato gli occhi al cielo. - È furiosa con me e con tutti
voi che avete voluto
seguirmi a Camelot! Qualsiasi cosa mi sia venuta in mente di fare...
-
Mi stai chiedendo di abbandonare mia figlia? – aveva
ringhiato Malefica.
-
No! Ti sto chiedendo... vi sto
chiedendo di non commettere qualche azione scellerata. Ci faremo
uccidere.
Dobbiamo aiutare Emma e Lily, non peggiorare la situazione.
-
Tu le credi? – domandò David. La sua voce era
strana. Era tremolante. Aveva
perso ogni traccia di colore.
Regina
udì un rumore di passi che scendevano le scale. Henry la
raggiunse in salone. Era
in pigiama e a piedi scalzi.
-
Henry, perché non sei a letto? –
domandò Regina. Ma glielo chiese stancamente.
All’improvviso si sentiva vecchia. Il suo cuore batteva lento
e fiacco.
Henry
la raggiunse e sedette accanto a lei. Non parlò. Non subito.
Regina
attese, mettendogli a posto qualche ciuffo di capelli. Osservandolo, si
ripeté,
non per la prima volta, che suo figlio ormai era davvero cresciuto.
Conservava
ancora qualche tratto del bambino che aveva creduto ciecamente nella
maledizione, nella Regina Cattiva che aveva sottratto il lieto fine a
tutti i
personaggi del libro, nella Salvatrice che avrebbe spezzato il
sortilegio. Ma
era un adolescente, ormai.
-
Prima che andassimo a Camelot... quando eravamo a casa di Lily, Uncino
mi ha
detto di usare la penna per cancellare l’oscurità
che aveva preso mia madre. –
disse Henry. Parlava con un tono sereno, ma aveva anche dei cerchi
evidenti
sotto gli occhi, che a Regina non sfuggirono.
Usare
la penna?
-
E? – chiese Regina.
-
Io sono l’Autore. Avrei potuto aiutarla. Ma ho rotto la
penna.
-
Henry...
-
Avrei potuto sistemare le cose.
-
Henry, non è così che puoi usare quella penna. Lo
sai. – E con l’occhio della
mente vedeva se stessa a Camelot mentre Emma le consegnava il pugnale.
Con
l’occhio della mente si vedeva trovare una soluzione,
elaborare un piano per
fermare l’Oscuro. Un piano che non aveva affatto sistemato le
cose.
-
E invece lei adesso è oscura. Hai visto cosa voleva fare a
Violet? E hai visto
che cos’ha fatto a Lily?
Regina
stava per rispondere che lo sapeva fin troppo bene. Stava per
rispondere che
avrebbero trovato un modo per uscirne, per salvarla. Stava cercando
disperatamente
qualcosa di sensato da dire a suo figlio.
“E
invece lei adesso è oscura”.
“È
stata una tua idea”.
Poi
una nube viola comparve in salone e Lily emerse da essa, come se fosse
stata la
cosa più normale del mondo. Regina si alzò di
scatto, urtando il tavolino
accanto al divano e rovesciando quel che rimaneva del suo brandy. Per
un pelo
non inzuppò le pagine ingiallite di uno dei libri di
Merlino. Anche Henry
schizzò in piedi.
-
Lily... che cosa diavolo sta succedendo? Che significa? –
chiese Regina.
Istintivamente si spostò per coprire suo figlio.
Lei
sorrise. – Maestà, con il vostro permesso...
Incredula,
Regina guardò uno dei cassetti del comò accanto
allo specchio aprirsi per conto
suo. Lily infilò una mano all’interno ed estrasse
il portaoggetti che avevano
trovato in casa di Emma. Tolse il coperchio e prese
l’acchiappasogni.
Da
quando sa usare così bene la
magia? Malefica ha detto che ancora non si controlla!
-
Excalibur... – mormorò Henry, dietro di lei.
La
figlia di Malefica aveva l’acchiappasogni, ma
nell’altra mano stringeva l’elsa
di Excalibur. La pietra rossa baluginava, sinistra, nel buio. La
ragazza si
appoggiò la lama contro la spalla.
Regina
formò una sfera di fuoco e si preparò a
scagliarla.
-
Non sprecare le energie. – disse Lily. – Sarebbe
tutto inutile.
-
Oh. Sul serio? Vogliamo fare una prova?
-
Possiamo giocare quanto ti pare, Regina Cattiva. Non è per
te che sono qui,
comunque. Mi serviva solo... una cosa. – Sollevò
l’acchiappasogni.
-
Perché hai Excalibur? Te l’ha data Emma?
-
Naturalmente. Emma si fida di me. Noi... siamo legate. Da sempre. Ed
ora molto
più di prima. Anche se questa spada... ormai non
può più controllare nessuno.
Per
un attimo, Regina pensò che Emma avesse fatto qualcosa a
Lily. Che l’avesse
manipolata. Che le avesse annebbiato la mente con qualche incantesimo.
Che la
stesse controllando attraverso il suo cuore. Ma quando
incrociò i suoi occhi
quell’idea morì. Il suo sguardo, lungi
dall’essere stralunato o vuoto, era
anche troppo pieno, troppo vivo. Era attraversato da milioni di
pensieri e
sembravano quasi sobbalzare nelle orbite. Era lo sguardo di chi sapeva
benissimo ciò che stava facendo. E non era affatto
controllata.
-
Lily, di cosa stai parlando?
-
Parlo di quello che è successo a Camelot. Che io sappia, non
ti sei comportata
bene, Regina. Vuoi un assaggio? Vuoi un assaggio di quello che non
ricordi?
E
Lily ruotò la spada in modo che lei potesse vedere
l’altro lato, quello che
recava il nome di Emma.
Solo
che non c’era più solo il nome di Emma.
Lilith
Page. Emma Swan.
Rimase
impietrita.
-
Sei... sei l’Oscuro. – farfugliò Henry.
Lily
non rispose, ma non ce n’era bisogno.
Il
cuore le batteva all’impazzata, i muscoli pulsavano di
adrenalina. Quando parlò
di nuovo, parve che la sua voce arrivasse direttamente
dall’estremità di una
vallata oscura. – Emma... ti ha trasformata
nell’Oscuro?
-
Lei e mia madre... non c’era nient’altro da fare, a
quanto pare. – Lily fece
sparire l’acchiappasogni. I suoi occhi diventarono gialli.
– Buona fortuna,
Regina.
***
Camelot.
Due settimane prima della
maledizione.
Sentore
di terra, alberi e muschio. Il profumo fresco e antico dei boschi
fitti, fatto
dell’erba morta e della linfa dei germogli. Alzando la testa
scorse qualche
stella tra le cime degli alberi e benché non vi fosse
nemmeno un alito di
vento, Lily udì il vago palpitare di un mare di foglie
secche. I suoi sensi
sembravano più acuti. Percepivano molte cose.
Aveva
creduto che trasformarsi fosse una buona idea, ma non lo era stata
affatto.
Non
appena aveva mutato forma, la sua testa si era riempita di bisbigli. Di
sussurri. Voci aliene. Pensieri rossi e pensieri neri. Un covo di serpi
che
sibilavano all’unisono.
Aveva
proseguito a piedi. Camminava nella foresta da un bel po’ e
il demone era
sempre con lei. A volte spariva e Lily si sentiva sollevata, ma poco
dopo
tornava e manteneva il passo.
-
Sarebbe stato meglio volare. A quest’ora saremmo
già arrivate. Se proprio non
hai intenzione di...
-
So come funziona! – ribatté Lily. – Lo
so. Tutte le volte che uso la magia,
peggioro.
-
Ti sbagli. Quando la usi, sei te stessa. Il tuo potere ora è
enorme. Che senso
ha non sfruttarlo? – La faccia verdastra sotto il cappuccio
nero esprimeva
tutta la sua disapprovazione, ma anche un’implacabile
determinazione.
Lily
incespicò di nuovo nella tunica. –
Perché devo tenermi addosso questa cosa?
Nimue
non rispose e Lily tolse di mezzo la tunica e recuperò, con
un semplice gesto
della mano, gli abiti che aveva preso a Camelot. Sapeva come fare. Non
gliel’aveva insegnato nessuno, ma fu una cosa assolutamente
naturale.
-
Visto? La magia è parte di te. – disse Nimue,
sorridendo.
Ancora
quei sussurri. Più forti. Molto più insistenti.
Lily si portò una mano alla
testa. – Che diavolo è questo rumore?
-
È la spada. Ti sta chiamando. È vicina.
Oh,
già. La spada.
-
Lily! – Emma arrivò di corsa.
Ebbe
giusto il tempo di rendersi conto che l’altro Oscuro
assomigliava molto ad un
replicante di Blade Runner con
quei
capelli bianchi e gli abiti neri. Poi Emma la strinse in un abbraccio.
-
Finalmente, eccoti. Allora stai bene.
-
Ho forse l’aria di qualcuno che sta bene? –
replicò Lily, scostandosi
bruscamente. – Ho passato tutta la mia vita a cercare di...
controllare
l’oscurità che i tuoi genitori hanno messo dentro
di me e tu... tu che cosa
fai? Ne aggiungi dell’altra! E con l’approvazione
di mia madre!
-
Per salvarti la vita. – disse Emma. La scrutava con
insistenza. Era lo sguardo
di Lily, su cui aveva fissato l’attenzione in
realtà. Le sue iridi erano
dorate. Splendevano nell’oscurità come due fari.
– Legarti ad Excalibur era
l’unico modo.
-
Avresti potuto lasciare che le cose andassero come dovevano andare!
Avresti
dovuto ripensare a quando ti ho detto che la mia vita non merita di
essere
salvata.
-
E tu avresti dovuto ricordare che quella volta non ho premuto il
grilletto. Io
non ti lascerei mai morire.
-
Beh, guarda dove ti ha condotta la tua... voglia di salvarmi! Non so se
ti sei
specchiata recentemente...
-
Non preoccuparti di questo. Lo risolveremo.
-
Dov’è Excalibur?
La
spada spezzata comparve nella mano di Emma. – Eccola. Prendi.
Lily
era sconcertata. - La stai dando a me?
-
Prendila. Adesso. – le disse Nimue, accostandosi a loro.
-
Tu ti sei fidata di me, Lily. Hai sempre creduto che potessi fare la
scelta
giusta. Non hai mai smesso di pensarlo nemmeno quando ho usato la tua
lacrima
per liberare Merlino. – Emma le prese una mano. –
Un tempo ti ho voltato le
spalle. Due volte. Me ne sono pentita, in seguito, ma credevo fosse
troppo
tardi per tornare indietro. Ora non farò lo stesso errore.
-
Ma che scena commovente. – commentò Nimue.
– Prendi quella spada. Non
permettere che cada nelle mani di qualcuno che può
controllarti.
-
Taci. – sibilò Emma.
-
Riesci a vederla? – chiese Lily, senza spostare gli occhi
dalla spada, dal nome
inciso lungo la lama. Lilith Page.
-
Ma certo che ci riesce. Mi ha evocata. Ha preso la fiamma. –
Nimue fece un giro
intorno ad Emma. – E poi... io sono lei. Così come
sono te. Che bello vedervi
insieme. Proprio voi due... gli Oscuri. Il primo... e gli ultimi. Tutti
insieme.
-
Non ascoltarla. Non è reale. – disse Emma. Sciolse
la stretta per posarle la
mano sul viso e costringerla a distogliere lo sguardo.
-
Mi deludi, Emma. Dovresti sapere che sono molto reale.
-
Vuole spingerti a fare delle cose, ma tu devi essere più
forte.
-
Voglio spingerla a prendersi ciò che è suo.
– tornò a dire Nimue. - La
vendetta. I tuoi genitori, Emma, hanno mutato la sua essenza,
l’hanno
contaminata, l’hanno bandita in un altro mondo... e si fanno
chiamare ‘eroi’. Anche
tu dovresti essere furiosa con loro.
-
Lo sono stata. – rispose Emma, automaticamente.
-
Non è abbastanza. Emma, loro hanno fatto la stessa cosa a
te. – Parlava scandendo
le parole, quasi stesse discutendo con persone incapaci di capire la
sua
lingua. Il viso verde e viscido di Nimue si avvicinò al suo.
Emma avvertì
l’alito gelido del demone contro l’orecchio.
– Ti hanno messa in una teca e ti
hanno abbandonata.
-
L’hanno fatto per salvarmi. Non avevano scelta.
-
Davvero? Non hanno nemmeno provato a cercare un’altra
soluzione. Non hanno
nemmeno provato a lottare per non perderti... si sono solo arresi agli
eventi.
E come se ciò non bastasse... hanno sempre deciso per te.
Hanno rapito una
bambina e l’hanno maledetta, perché non
accettavano che la figlia che stavano
per avere... non fosse perfetta. Hanno già tradito la tua
fiducia.
-
Basta.
-
E lo faranno ancora. Ti tradiranno ancora.
-
Non intendo ascoltarti. – disse Emma. Tornò a
rivolgersi a Lily, che scuoteva
la testa come per scacciare tutte quelle voci. – Non
ascoltare nemmeno tu,
Lily.
-
Non sono abbastanza forte per questo, Emma. – rispose Lily,
deglutendo. Lo
sguardo verde e spiritato di Nimue la inchiodava.
-
Sì che lo sei. – Emma girò leggermente
la testa, percependo la presenza del
primo Oscuro non solo accanto a sé, ma ovunque. Era molto
più pressante di
quanto ricordasse. Si concentrò di nuovo su Lily.
– Ricordi quando eravamo alla
fermata dell’autobus? Ricordi che cosa mi hai detto quella
sera?
“Ogni
cosa che faccio mi si ritorce
contro. È come se avessi una maledizione!”
“Che
stupidaggine”.
“È
vero. È come se tutta la mia
vita fosse oscura... e quando ci sei tu diventa luminosa. Emma, ti
prego. non lasciarmi
sola”.
-
Sì. – mormorò Lily. – Certo
che me lo ricordo.
-
È ciò che sei stata anche tu per me.
Lily
rise. Ma non era una risata. Era un suono inquietante. Evocava un
fantasma che
cerca di riprovare a fare l’umano. – Non sono mai
stata niente di simile.
-
Invece sì. Quando ci siamo conosciute in quel supermercato
in Minnesota... ho
capito fin da subito che era... che era destino. Lily... io ero sola.
Non avevo
nessuno. Ero nei guai. Non avevo mai avuto amici disposti a coprirmi le
spalle.
– Sorrise, ricordando se stessa in quel supermarket, con una
scatola di... non
ricordava più cosa nascosta sotto la giacca. Ricordando se
stessa mentre
cercava di comportarsi in maniera disinvolta. – Tu ti sei
fidata di me. Non hai
esitato a tirarmi fuori dai guai.
-
E poi tu hai coperto me. – ricordò Lily, parlando
più a se stessa che ad Emma.
-
Già. Ci siamo coperte le spalle a vicenda. E adesso...
continueremo a farlo.
Sconfiggeremo l’oscurità. Insieme.
-
Come?
-
Merlino voleva condurmi ad Avalon. Ora le cose sono cambiate, ma la mia
famiglia ci aiuterà. Ne usciremo.
Lily
serrò le palpebre per qualche istante.
-
Lily... guardati intorno.
Riaprì
gli occhi, ora scuri come sempre e... si accorse che lei ed Emma erano
sole.
Nimue era scomparsa.
-
Quella maledetta se n’è andata. – disse,
sentendosi oltremodo sollevata.
-
Sì. Per ora sì. – Emma tese la spada.
– Prendila.
Lily
allungò lentamente la mano e dapprima si limitò a
sfiorare l’elsa robusta di
Excalibur. Poi le dita l’afferrarono e lei la
sollevò, lasciando che i raggi
della luna si riflettessero sulla lama. La sistemò nel
fodero dove aveva tenuto
la spada che Emma le aveva dato il giorno in cui aveva liberato
Merlino.
-
Emma, finalmente! – esclamò Neve.
Killian
si girò e sorrise. Fece per alzarsi e andare incontro ad
Emma, ma poi... la
vide davvero. Sgranò gli occhi, squadrandola dalla testa ai
piedi. – Swan?
-
Emma, vi abbiamo cercate dappertutto. – esclamò
Regina. Stentava a crederci. Emma
aveva un aspetto... oscuro. Sinistro. Lo scintillio nel suo sguardo
verde era
preoccupante. I suoi lineamenti sembravano più belli del
solito, come se
fossero stati scolpiti nel marmo, eppure non apparivano affatto
naturali. Le
labbra erano troppo rosse. La fissò, trasecolata.
Lily
aveva ancora gli abiti che aveva portato a Camelot, i pantaloni in
pelle
infilati negli stivali, la giubba sopra la camicia. Il suo viso non era
altrettanto pallido, ma aveva gli occhi orlati di rosso e segnati da
ombre
scure. Lei ed Emma camminavano fianco a fianco, avevano assunto la
medesima
andatura. Una mano di Lily era appoggiata all’elsa di
Excalibur, che sporgeva
dal fodero appeso alla cintura.
-
Lily... stai bene. – disse Malefica, allungando una mano e
prendendo quella
della figlia. Poi le appoggiò una mano sul viso. La
toccò per accertarsi che
fosse davvero lei.
-
Sembra... sembra di sì. – rispose Lily, incerta.
-
Mi dispiace. Non doveva andare così. Ma non ho avuto altra
scelta.
-
Non preoccupatevi. Stiamo bene. Per ora. – aggiunse Emma.
– Sembra peggio di
quel che è.
-
Swan... non sembra proprio... il tuo stile. –
commentò Killian, accigliato.
Stava cercando qualcosa di meglio da dire, qualcosa che lo aiutasse a
sdrammatizzare, ma non trovò niente. Aveva la testa vuota.
-
Già. – mormorò Regina.
Knubbin,
che era rimasto seduto su una roccia con il corvo sulla spalla, si
alzò,
appostandosi tra Regina e il pirata. Nessuno ci fece caso.
-
Dov’è Merlino? – chiese Lily.
– Emma ha detto... che voleva condurla ad Avalon.
Possiamo ancora andarci? Forse là potremmo sconfiggere
questa... questa cosa.
-
Io non posso essere sconfitta. E poi c’è qualcosa
che non va qui. – disse
Nimue.
Lily
si sforzò di ignorarla.
-
È dentro. – disse David, indicando il
Granny’s.
-
Bene. Dobbiamo parlare con lui. – disse Emma. –
Vado io.
Emma
fece un passo avanti.
-
Emma, aspetta... – iniziò Lily.
Knubbin
si infilò una mano nella tasca della mantella ed estrasse
una boccette azzurra.
La stappò e ne riversò il contenuto addosso
all’Oscuro. I suoi movimenti furono
sorprendentemente fulminei, al punto tale che Heathcliff si
levò in volo,
gracchiando innervosito.
Emma
spalancò gli occhi, mentre l’intruglio la
paralizzava dal collo in giù. -
Lily...
Non
aveva ancora finito di pronunciare l’ultima sillaba, che
già Lily era scomparsa
in una nube viola. Malefica scorse solo il colore dorato delle sue
iridi. Uno
sguardo pieno di collera. Di risentimento. Aveva allungato una mano per
afferrarla, ma le sue dita avevano acciuffato solo aria.
-
Che cosa state facendo? – gridò Emma, la voce
aspra e roca.
-
Quello che è meglio per te. – rispose sua madre.
Regina
guardò Emma. Si avvicinò a lei e
infilò una mano sotto la sua giacca nera,
cercando il pugnale. Lo trovò e lo prese. – Non
potevo fare altrimenti.
-
Dì a Lily di tornare qui, Emma. Vogliamo aiutarla.
– disse Neve. – Vogliamo
salvare entrambe.
-
Questo per voi è salvare? – sibilò
Emma. In realtà non staccava gli occhi da
Regina. – Questo per te
è salvare?
-
È quello che sto cercando di fare. – rispose
Regina.
-
Come? Controllandomi? Imprigionandomi?
-
Swan, guardati. – intervenne Killian. – Quello che
hai fatto a Lily ti ha
spinta verso l’oscurità. Sta prendendo il
sopravvento. Non lo possiamo
permettere.
-
Anche tu, Killian? Credevo che mi amassi. – Ora Emma gli
parlava come se fosse
stato un completo idiota. Come un bambino che si era scordato di fare i
compiti. Ma dietro le parole c’era una furia incontenibile.
-
Io amo Emma. – rispose il pirata.
-
Io sono Emma!
-
Vorrei che fosse vero. Ho creduto che potessi farcela. Ma questo
potere...
rischia di distruggerti completamente. – Killian fece per
avvicinarsi, ma
Regina lo fermò, frapponendo un braccio tra loro due.
-
È stata una tua idea. – mormorò Emma,
ignorandolo e rivolgendosi a lei.
-
Quando siamo arrivati a Camelot, mi hai affidato il pugnale. Mi hai
detto di
salvarti, come tu avevi salvato me. Oppure... – Regina aveva
la gola serrata in
una morsa. Riusciva a malapena a parlare. Il cuore le batteva
così forte che
temeva di sentirsi male.
-
Sì. Te l’ho affidato! – gridò
Emma. – Perché credevo che saresti riuscita a
salvarmi. O che mi avresti distrutta se fosse stato necessario!
-
Ed io non posso distruggerti. – Era follemente vicina alle
lacrime. – Non posso
farlo... per nostro figlio. Non posso...
-
Quindi preferisci tradirmi?
Regina
serrò le palpebre. – Sto provando a salvarti,
Emma.
-
Non avrei mai dovuto darti quel pugnale. Ho commesso un errore. Tu non
sei
affatto una Salvatrice.
-
Emma... non avrei mai voluto controllarti ed arrivare a tanto. Ma hai
quasi
fatto del male a tua madre nella Foresta Caledoniana. Hai usato la
magia contro
i tuoi genitori. Ha usato Excalibur contro Merlino... e hai
moltiplicato
l’oscurità.
-
Lily stava per morire. Ma a te non importa, vero? A nessuno di voi
importa
davvero.
-
Certo che mi importa! Ma trasformare Lily in un Oscuro significa
trasformarla
in un pericolo. Lily non è come te. Lei si controllava a
stento prima... ora
che l’oscurità l’ha posseduta...
sarà ancora più difficile. E ha trasformato
anche te.
Emma
non disse più niente, ma il verde dei suoi occhi lampeggiava
d’ira.
Merlino
uscì dal Granny’s, chiudendosi la porta alle
spalle e li raggiunse.
-
Il castello non è molto lontano da qui. – disse lo
stregone. La sua voce era
calma, ma severa. - Dobbiamo andare. Le ha dato la spada, vero?
David
annuì.
Merlino
strinse le labbra.
-
Quale castello? Nessuno mi ha parlato di un castello. –
osservò Knubbin.
Lo
stregone gli lanciò una rapida occhiata, ma non rispose. Non
alla sua domanda.
– Regina... Lily non deve vedere dove stiamo andando.
Lei
esitò solo un istante. Poi agitò una mano davanti
agli occhi di Emma e lei
cadde in avanti, priva di sensi. Killian e suo padre
l’afferrarono prima che
potesse cadere.
|
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Capitolo 16 *** 16. ***
16
Non
lontano da Camelot. Un giorno
prima della maledizione.
La
pesante porta della prigione si aprì, accompagnata da un
forte scricchiolio dei
cardini, e l’uomo entrò, reggendo la torcia per
illuminare l’antro buio in cui
avevano rinchiuso il mostro. Gli orli della tunica marrone che
indossava
scivolarono lungo il pavimento ruvido e polveroso.
Udiva
solo lo sgocciolare dell’acqua che pioveva dal soffitto,
cadendo su una roccia.
Nient’altro. L’aria era immobile. Quel silenzio
aveva qualcosa del respiro
trattenuto. Poteva sentire le pulsazioni battere sotto la propria
pelle.
La
luce sfiorò le sbarre della cella. Sbarre incantate da una
magia potente e
molto antica, più antica dell’Oscuro che un tempo
aveva abitato quel castello,
come aveva detto Merlino; una magia proveniente dall’Isola di
Avalon. La
creatura non poteva fare nulla contro di essa.
L’uomo
avanzò fino alle sbarre con il vassoio in mano.
Allungò la torcia per gettare
luce anche negli angoli bui della prigione, ma non vide nessuno.
Inoltre,
sembrava che l’oscurità lì fosse troppo
fitta per essere scalfita.
Infilò
la torcia in uno degli anelli agganciati alle rocce e si
chinò, facendo
scivolare il vassoio con il cibo nell’apposita apertura.
Sbirciò di nuovo
all’interno di essa cercando l’essere che gli
ospiti temevano.
-
Ho portato la cena. – disse l’uomo.
Silenzio.
Solo le ombre.
-
Vieni a prenderla.
Rapida
come un fulmine, una sagoma emerse dal buio e lo afferrò per
il polso. La morsa
glaciale lo lasciò senza fiato e gridò, cercando
di ritrarsi. Ma la presa era
salda.
-
Lasciami andare! Chi sei tu?
La
voce che gli rispose era bassa e frusciante. – Il mio nome
è... Emma.
Allora
l’uomo mise a fuoco il volto del mostro. E vide che non era
affatto come se lo
aspettava. Eppure gli gelava il sangue nelle vene.
Era
una donna giovane, con le vesti nere che le aderivano al corpo, le
labbra rosse
come sangue appena versato, il volto di un pallore inquietante e
solcato da
vaghe sfumature verdognole.
-
Ma dicono che tu sia un mostro... – riuscì solo a
mormorare l’uomo, sconvolto
dall’apparizione.
-
Solo... dentro. – rispose Emma, sorridendo appena.
Avrebbe
potuto gridare ancora, ma il verde dei suoi occhi lo immobilizzava e
sembrava
insinuarsi in lui, riempiendogli la gola per soffocarlo.
Pietà,
avrebbe
voluto dirle.
Emma
affondò una mano nel suo petto, trafiggendolo come una
lancia. Rimase là per
qualche momento, a stringere le dita intorno al suo cuore, mentre lui
la
fissava con gli occhi sgranati, in preda allo shock per il dolore
lacerante.
Poi,
con uno strattone, Emma estrasse l’organo rosso e pulsante.
La sua vittima
cadde all’indietro. L’Oscuro osservò con
vago interesse quel cuore, la bocca
inarcata in un sorriso. Il suo volto rispledette, accarezzato dalla
luce
rossastra.
Non
ebbe bisogno di serrarlo fra le dita. Appena iniziò a
chiudere la mano a pugno,
il cuore si disintegrò in centinaia di frammenti.
Ed
essi divennero polvere, che si lasciò scivolare sul palmo.
***
Storybrooke.
Oggi.
“Un
secondo Oscuro?”, disse
Killian, sgomento.
“Questo
non è possibile. Non ho
fatto una cosa del genere. Emma sta mentendo. L’ha
manipolata”, replicò
Malefica, con gli occhi ardenti fissi sul volto di Regina.
“Non
mente. Ho visto Excalibur.
C’erano entrambi i nomi sulla lama”.
Henry
annuì, meditabondo. Gli
Azzurri si scambiarono un’occhiata, ansiosi.
“Due
Oscuri”, ripeté Killian,
incapace di trovare qualcos’altro da dire. Scosse la testa,
guardando prima
Malefica e poi la propria mano, gli anelli che brillavano nella
penombra che
avvolgeva il salone. “Emma ha fatto questo? Voi avete fatto
questo?”
“Non
abbiamo idea di cosa sia
successo”, si affrettò ad aggiungere Regina.
“Forse Lily era in pericolo ed
Emma ha dovuto salvarle la vita”.
“Salvarla?”.
La voce di Killian era
bassa e cupa. Frastornata. Da sotto le ciglia nere il suo sguardo
azzurro
dardeggiava. “Voi questo lo chiamate
‘salvare’?”
Nessuno
disse niente.
“Meglio
morire. Tra la morte e una
vita con quell’oscurità, scelgo la
morte”.
Un
temporale incombeva sulla città.
Da
quando, tre giorni prima, Lily si era presentata a casa di Regina per
recuperare l’acchiappasogni, rivelando di essere il secondo
Oscuro, il cielo
non era più stato sgombro di nubi.
Osservandolo,
Regina provava un forte senso di disagio, come se avesse paura che il
sole se
ne fosse andato per sempre. Storybrooke sembrava sotto assedio,
accerchiata da
quell’ammasso di nuvole nere.
Siamo
sotto assedio, pensò.
Due
Oscuri. Emma e Lily. L’oscurità si era
moltiplicata. E in più sua sorella era
sparita. Forse era una loro prigioniera, intrappolata in quella casa,
circondata dalla barriera creata dal potere Excalibur.
Non
aveva idea di cosa fosse peggio: sua sorella a piede libero o sua
sorella nelle
mani di due Oscuri probabilmente infuriati. Una pazza scellerata e due
persone
in balia di quell’oscurità così
difficile da gestire.
Regina
appoggiò una mano sul vetro e guardò la bambina
di Robin che dormiva
serenamente nella sua culla. Sulla targhetta le infermiere avevano
scritto solo
“Piccola Hood”. Lui non le aveva ancora dato un
nome. Di sicuro Zelena avrebbe
avuto da ridire anche su quello. Se mai fossero riusciti a
recuperarla...
“Non
appena avrò finito con Zelena,
mi ringrazierete. Soprattutto tu, Regina”.
E
se fosse morta?, pensò.
Se Zelena fosse già morta? Se Emma
l’avesse
uccisa?
Un
fulmine piombò giù dal cielo e
illuminò le finestre dell’ospedale. Alcuni
bambini si misero a piangere. Le luci in corridoio traballarono.
Una
nube viola apparve e Regina sobbalzò, colta alla sprovvista.
Malefica emerse da
essa.
-
Sei tu. – disse Regina.
-
Quel mago, Knubbin, dice che questo non è un temporale.
È magia. – esordì lei,
senza troppi preamboli. Si sistemò meglio la giaccia grigia
sulle spalle.
-
Lo immaginavo. – mormorò.
Malefica
non aveva affatto una bella cera. Aveva l’aria stanca,
spossata. Si avvicinò al
vetro, appoggiando una spalla al muro e sbirciando la figlia di Robin.
Malefica
andò verso di lei quasi
barcollando, come una persona appena scesa da una nave alla fine di una
lunghissima traversata. Si fermò ad un passo da Regina,
guardandola dall’alto,
da quella faccia cinerea, i tendini del collo in rilievo e una vena che
pulsava
al centro della fronte. A Regina i suoi occhi non erano mai sembrati
così
grandi. A causa delle ombre della stanza sembravano molto
più scuri, quasi
viola.
“Trasformare
Lily in un Oscuro deve
essere stato... un altro passo verso il baratro. L’ultimo,
forse”, disse David.
“Ha
scelto di salvarle la vita. La
nostra famiglia lo fa sempre. Agiamo così, David.
È ciò che abbiamo fatto anche
noi. Condividiamo un cuore”, gli ricordò Mary
Margaret.
“Condividete
un cuore. Non
l’oscurità”, osservò Killian.
“E
se fossimo stati noi?”, continuò
David. “Se fossimo stati noi a fare del male a
Lily?”
“Perché
avremmo dovuto farlo?”,
chiese Mary Margaret.
“Forse
non l’abbiamo fatto
volontariamente. Forse siamo stati costretti. Forse non abbiamo avuto
altra
scelta”.
“Tutto
questo non cambia il fatto
che Emma e mamma drago l’hanno trasformata in un Oscuro.
Questo non è salvare.
È condannare”, disse Killian, a voce alta.
Regina
osservò lo sguardo di
Malefica accendersi e riempirsi di fuoco. Pensò che avrebbe
mutato forma là in
casa sua, distruggendo ogni cosa.
Sul
tavolo c’era una caraffa
d’acqua. Malefica l’afferrò e,
brandendola, incombette su Capitan Mascara. Un
getto freddo gli lavò il viso. Un cubetto di ghiaccio gli
cadde tra i capelli e
scivolò sulla spalla. Nella mente Regina la vide calargli la
caraffa sul
cranio, vide il pirata annaspare mentre il sangue gli colava a fiumi
sulla
faccia, lo vide con la testa fracassata. David si stava alzando per
impedirle di
farlo...
E
Malefica desiderava farlo. Regina
ne era assolutamente consapevole.
All’ultimo
istante Malefica ruotò
su se stessa e scagliò la caraffa contro il muro, dove si
schiantò. I pezzi si
sparsero ovunque sul pavimento. Killian teneva ancora il braccio
sollevato,
come per proteggersi. David era in piedi, proteso in avanti. Henry
fissava i
cocci di vetro.
Malefica
tornò a guardare Regina e
si ravviò con il dorso della mano i capelli che le erano
ricaduti sulla faccia.
-
Io non l’ho mai vista così. –
mormorò Malefica, più a se stessa che a qualcuno
in particolare. – Non ho mai visto Lily così se
non quando Tremotino me l’ha
mostrata... usando il sonaglio.
Regina
non disse niente.
-
Non l’ho mai vista così e non l’ho mai
presa in braccio da piccola. – continuò
Malefica. – E l’unica cosa che ho saputo fare
quando l’ho ritrovata... è stato
trasformarla in un... Oscuro.
-
Di certo l’hai fatto perché non hai avuto altra
scelta. – si affrettò a dire
Regina, appoggiandole una mano sul braccio.
-
Io vorrei soltanto che venisse da me. Vorrei... che parlasse con me.
Ed
io vorrei che Emma parlasse con
me. Con noi, pensò
Regina.
Un
altro tuono. Poi l’ennesimo fulmine calò dal
cielo.
Le
luci in corridoio si spensero di botto, precipitandole nel buio.
Qualcuno lanciò
un gridolino.
Un
lieve ronzio e quelle di emergenza si accesero, spargendo una luce
diafana e
sinistra.
-
Non potete tenermi rinchiusa qui per sempre. Prima o poi dovrete
lasciarmi
andare. O dovrai usare quella spada su di me. – disse Zelena,
con un tono
annoiato.
Lily
si rigirò Excalibur tra le mani.
-
Che cosa sta facendo l’altro Oscuro in cantina? Cerca una
soluzione
alternativa, vero? La soluzione alternativa la posso suggerire io
stessa. È
molto semplice.
Un
fulmine illuminò di nuovo il cielo, riflettendosi sulle
finestre. Un colpo di
artiglieria in un campo di battaglia apocalittico.
-
Emma troverà una scappatoia. Non è necessario
ucciderti.
-
Ma che pensiero gentile, Oscuro! – Zelena roteò
gli occhi. – Sono molto
colpita.
Lily
sollevò lo sguardo solo per vedere Nimue in piedi accanto
alla porta d’ingresso
della casa di Emma. La scorgeva solo di profilo e aveva il cappuccio
della
tunica in testa, ma sapeva che stava sorridendo.
-
Ma potrei cambiare idea io se non chiudi quella bocca. –
aggiunse Lily,
voltandosi verso Zelena. Alzò la spada e gliela
puntò alla gola.
-
Non lo farai.
-
Non darlo per scontato.
-
Invece lo faccio, cara. Hai chiesto ad Emma di non uccidermi e lei ti
ha dato
retta. Ti ha restituito i tuoi bellissimi ricordi, così ora
sai tutto. –
Sorrise, un sorriso largo e smagliante. Leggermente folle e perfido, ma
anche
sfacciato, impavido. Si era tolta il cappello da strega ed ora la folta
chioma
rossa era libera, le ricadeva tutta su una spalla come una colata di
lava. - Immagino
che tu sia molto più arrabbiata con mia sorella che con me.
Vorresti uccidere
prima lei... o forse vengono prima gli adorabili genitori
dell’Oscuro? Che
cos’è che ti fa più rabbia? Essere
stata maledetta alla nascita o che gli altri
abbiano tradito l’unica persona a cui tieni?
Lily
sollevò una mano e Zelena si sentì soffocare.
Annaspò, artigliandosi la gola. -
Posso farti più male di così.
La
lasciò andare e lei tossì.
-
So che cosa vuoi, Zelena. – disse Lily.
-
Oh, ma davvero?
-
Vuoi tua figlia.
Zelena
strinse le labbra. – Di certo non intendo lasciarla con mia
sorella.
-
Vedo che la Strega dell’Ovest ha finalmente una debolezza.
Che cosa strana. –
Lily ripensava a se stessa da neonata. Strappata a sua madre da due
idioti che
pensavano unicamente ad avere una figlia perfetta. Per quanto Zelena
fosse
perfida, la infastidiva l’idea che le portassero via la
bambina. La infastidiva
l’idea che Regina le impedisse di vederla. Regina non
meritava quella bambina.
Soprattutto dopo quello che aveva fatto a Camelot. - E
cos’altro?
-
Mi stai proponendo un accordo? Emma ci ha già provato.
– domandò Zelena,
sollevando un sopracciglio.
-
Forse.
-
Calarti nella parte dell’Oscuro per te non è
difficile, a quanto pare.
L’oscurità che hai sempre avuto in te ti ha
preparata.
-
Non hai ancora risposto, strega.
-
Voglio tornarmene a casa mia. Ad Oz. E voglio tornarci con mia figlia.
Ho
bisogno della bacchetta dell’Apprendista.
-
Queste sono tre cose.
-
Oh, beh... – Zelena fece spallucce. – Avrei anche
bisogno che qualcuno
l’attivasse per me. Non intendo rischiare, visto che
avrò anche mia figlia con
me.
Nimue
non le suggerì niente. Si girò, mostrando il suo
viso verde e squamoso. Lily la
fissò per qualche momento. Zelena guardò nella
medesima direzione, ma
ovviamente non vide nulla.
“Farò
ciò che è necessario, Lily.
La ucciderò usando Excalibur”.
“Emma,
stai per andare ben oltre il
limite. Uccidere Zelena non è forse oltrepassare il
limite?”
-
Ricorda qual è la cosa più importante, Lilith. La
tua vendetta. – disse Nimue,
alla fine. – Il nostro piano.
“Farò
ciò che è necessario, Lily.
La ucciderò usando Excalibur”.
“Io
desidero quel potere. Tra non
molto... non potrò più resistere. E
diventerò l’Oscuro più potente che sia
mai
esistito”.
-
Dovrai occuparti di tua figlia da sola. – disse Lily.
– Io posso procurarti la
bacchetta. E attivarla per te.
-
Che generosità! Non pensavo che sarebbe stato
così semplice! Questo vuol dire
che mi lascerai agire indisturbata? – Zelena era estasiata.
Ma continuava a
scrutarla, a caccia delle menzogne, a caccia dei tranelli, quei
tranelli che
lei sapeva fabbricare così bene. Aveva già avuto
a che fare con un Oscuro.
Tremotino era stato il suo insegnante, lei l’aveva tenuto
prigioniero e aveva
stretto tra le mani il pugnale che ora aveva ritrovato la sua dolce
metà
mancante.
-
In realtà... perché non dovrebbe essere semplice?
Tu avrai tua figlia e
tornerai da dove sei venuta. Molti la considereranno un vera
liberazione. Ma
qualcuno potrebbe seguirti.
-
Che ci provino pure. Se tu terrai al sicuro la bacchetta, non avranno
modo di
aprire altri portali. Non ci sono fagioli magici e non lanceranno di
certo una
maledizione, sacrificando qualcuno. Direi che di maledizioni ne abbiamo
avute
abbastanza. - La strega accavallò le gambe, mettendosi
più comoda sul divano. –
Come faccio a sapere che rispetterai gli accordi? Tu non sei Tremotino.
So che
sei molto brava a mentire.
-
Non hai molta scelta. Se vuoi uscire da qui, è necessario
che io usi Excalibur
per aprire una breccia nella barriera.
-
Sai che questo non piacerà all’Oscuro, vero?
-
Se Emma decidesse di ucciderti... non so se riuscirò a
fermarla ancora. E tua
figlia rimarrebbe orfana. Io so cosa significa crescere senza una
madre.
-
Siamo in molte a saperlo.
-
E poi quello che ha fatto Regina a Camelot è imperdonabile.
Anche Emma ne è
convinta. Vuole combattere l’oscurità... ma
probabilmente ce l’avrà con lei per
molto tempo. Non avrà tua figlia...
Zelena
ridacchiò, divertita. – Mi piace.
Perché non mi spieghi il piano nei dettagli,
Lilith? Non vedo l’ora di sentirlo.
***
Vicino
a Camelot. Un giorno prima
della maledizione.
Avvenne
all’improvviso e fu un momento esaltante.
Emma
sentì la mente di Lily accostarsi alla sua, tastando incerta
il terreno e
tendendosi verso di lei come un nuotatore inesperto. Le menti si
unirono come
due binari che avevano percorso una lunga strada correndo paralleli, ma
che
adesso avevano trovato il modo di ricongiungersi.
Lily?,
le
disse Emma. Riesci a sentirmi?
Cosa...
Pensavo
ci avresti messo più tempo.
Le
sbarre della sua prigione scomparvero ed Emma riuscì a
mettere a fuoco il mondo
che circondava Lily. Era su un’altura, ai margini di un
bosco. Da lì vedeva il
castello di Camelot, con i fuochi che ardevano sui camminamenti e gli
stendardi
che fluttuavano nel vento. Vedeva anche il profilo delle montagne, il
cielo
pieno di nuvole minacciose... e Nimue. A pochi metri da Lily. Aveva
gettato il
cappuccio sulle spalle e rimirava la dimora di Artù. Un vago
sorriso le
increspava le labbra.
Possiamo
parlarci?, domandò
Lily, esterrefatta.
Naturalmente.
Seguì
qualche momento di silenzio. Come se stesse riflettendo su
quell’ultima
scoperta. Dove diavolo sei, Emma? Io...
riesco solo a vedere le sbarre. Cos’è, una
prigione?
Già.
Lo è.
Regina?
Lei ha il pugnale, vero?
Non
mi sta controllando, adesso. Ma
sì, ce l’ha lei.
Avrei
voluto raggiungerti prima,
ma... non è facile.
Non
lo metto in dubbio. Non so dove
mi trovo. Credo siano i sotterranei di un castello. Non posso essere
molto
lontana da Camelot.
Sapevo
che sarebbe finita così! Hai
voluto fidarti di loro... Nimue aveva ragione.
Lascia
perdere Nimue. È
un’allucinazione. Devo pensare a come uscire da qui, adesso.
Avrei voluto
procurarmi un cuore. L’ho preso ad uno degli... eremiti che
vivono in questo
posto, ma era protetto.
Immagino
che anche questa sia
un’idea di Regina, vero?
È
previdente.
È
una bastarda, vorrai dire.
Emma
non fece commenti, ma continuò: Le
sbarre
sono incantate. È una magia molto antica. Non posso fare
niente contro di essa.
Lily
era allibita. Che razza di magia
può
essere più antica dell’Oscuro?
Emma
si portò una mano alla testa, colpita da una fitta
lancinante. Non c’è
bisogno di urlare.
Scusa.
Avalon.
Cosa?
Avalon.
La magia di Avalon, secondo
Merlino, è molto antica. Credo che queste sbarre... ne siano
impregnate. Le
strinse con entrambe le mani. Sul dorso e tra le dita notò
le sfumature verdi.
Avalon
è irraggiungibile, Emma.
Aprì
la bocca per risponderle e dovette richiuderla subito. Udì
dei passi in
corridoio. Abbassò la voce più che
poté: Va
via.
Perché?
Che succede?
Vattene.
La
scala che conduceva nelle prigioni sotterranee del castello spariva
dopo pochi
gradini in un abisso senza fondo. Un luogo adatto ai condannati a
morte.
Nell’aria ristagnava l’odore di putredine e
l’unico rumore che Regina sentiva
era lo sgocciolio dell’acqua piovana.
Il
castello di Rothbart. Merlino aveva detto che quello era un luogo
sicuro. Era
un luogo remoto, ai piedi delle montagne e non ci viveva nessuno,
eccetto un
gruppetto di eremiti che ospitavano cavalieri e viaggiatori di
passaggio in
caso di necessità. Quando Merlino si era presentato, quegli
uomini l’avevano
fissato con gli occhi fuori dalle orbite e non avevano esitato a
condurre lui e
i suoi ospiti all’interno del castello. Di Emma sapevano solo
che era una
prigioniera. Non l’avevano vista bene in viso,
poiché quando erano giunti a
destinazione giaceva riversa su un cavallo e coperta da una mantella.
Merlino
aveva fatto in modo che Emma venisse rinchiusa nelle prigioni
sotterranee. La
magia antica di Avalon aveva forgiato le sbarre di quelle celle. Erano
inespugnabili anche per un Oscuro. E in ogni caso Regina si era
assicurata il
pugnale.
Mentre
arrivava in fondo e iniziava a percorrere lo stretto corridoio che
l’avrebbe
condotta alla cella di Emma, si portò una mano alla cintura
e toccò l’elsa del
pugnale.
“Quindi
preferisci tradirmi?”
“Sto
provando a salvarti, Emma”.
“Non
avrei mai dovuto darti quel
pugnale. Ho commesso un errore. Tu non sei affatto una
Salvatrice”.
-
Voglio venire con te. – aveva detto Henry, quando Regina
aveva annunciato che
sarebbe scesa nelle prigioni per parlare con Emma. Avevano appena
trovato il
cadavere dell’uomo che le aveva portato il cibo.
L’Oscuro aveva polverizzato il
suo cuore.
-
No, Henry.
-
Emma è mia madre. Voglio parlarle. Tu hai il pugnale, quindi
non può farmi del
male. E non me ne farebbe comunque.
-
Emma in questo momento è molto instabile. – Gli
aveva messo una mano sulla
spalla. La verità era che non sopportava l’idea
che Henry vedesse l’altra madre
dietro le sbarre, nel buio, rinchiusa e sola. Non sopportava che
vedesse i
segni della corruzione, che si fissasse sul suo nuovo aspetto.
– Lei... è
cambiata.
-
So che Emma è ancora là da qualche parte.
-
Ragazzo, per favore, fai ciò che ti chiede tua madre.
– era intervenuto
Killian. – Regina, vengo io con voi.
-
No, Capitan Mascara. Nessuno viene con me. Questo è una cosa
tra me ed Emma.
L’idea è stata mia.
-
E noi vi abbiamo appoggiata, tesorino. – aveva detto Knubbin.
– Io vi ho anche
dato una mano. Perché mi piacete. Anche questa è
una novità. Ho gusti molto
difficili, sapete?
Henry
l’aveva fissata, ferito. Poi le aveva voltato le spalle ed
era uscito dalla
stanza. Quello sguardo le aveva ricordato quello del bambino che la
chiamava Regina Cattiva. Il
bambino che fuggiva
per stare con la madre biologica.
Regina
non aveva comunque voluto che qualcuno andasse con lei.
Inspirò ed espirò più
volte davanti alla pesante porta di legno. Dopodiché
tirò i due chiavistelli ed
entrò. Con la magia accese una delle torce appese alla
parete di roccia.
-
Ti sei decisa a venire, finalmente. – sussurrò
Emma.
Non
riusciva a vederla. Il buio che regnava là sotto era
difficile da vincere.
-
Perché l’hai fatto, Emma? – chiese,
avanzando lentamente. – Perché hai ucciso
quell’uomo?
-
Sei stata molto scortese. Mi rinchiudi e non so dove mi trovo.
– Emma sbucò
dalle tenebre della sua prigione e si approssimò alle
sbarre, afferrandole con
entrambe le mani. – Avresti dovuto immaginare, poi, che
l’avrei ucciso.
Infatti... hai incantato il suo cuore. Per proteggerlo.
-
Speravo non arrivassi a tanto.
-
Anch’io lo speravo. Speravo che la mia famiglia mi aiutasse.
Che aiutasse me e
anche Lily. Invece sono in una cella.
-
Sai bene perché sei qui.
-
Perché tu mi hai voltato le spalle.
-
Io non ti ho mai voltato le spalle, Emma. – Era abbastanza
vicina da poter
notare come appariva il suo viso. Il biancore della pelle era solcato
da
sfumature verdeoro. Il male si manifestava anche all’esterno,
ora. – Se ti ho
portata qui e ho preso il pugnale, l’ho fatto anche per
salvarti. E non credere
che mi sia piaciuto!
-
Oh, io credo di sì, invece. Perché
c’è ancora oscurità dentro di te.
–
Sorrideva. Sembrava molto divertita. Era furiosa, ma al tempo stesso si
prendeva gioco di lei. – E in ogni caso... tu non sei in
grado di salvare proprio
nessuno.
-
Perché non sono la Salvatrice.
-
Vedo che l’hai capito anche tu.
Regina
aveva una gran voglia di acchiapparla per il collo, di colpirla
ripetutamente
fino a cancellarle quell’espressione dura e arrogante.
– So benissimo come ti
fa sentire tutto questo... ma io devo assicurarmi che tu non commetta
azioni folli.
Come usare la magia contro i tuoi genitori, per esempio. O fare del
male a tua
madre.
-
Mia madre avrebbe lasciato morire Lily.
-
Tua madre non aveva tempo di pensare, Emma! Eravamo tutti in pericolo e
lei ha
fatto ciò che avremmo fatto tutti. Ha salvato ciò
che più conta per lei.
-
Anch’io ho salvato ciò che conta per me! Lily
sarebbe morta se non fossi
intervenuta! – gridò Emma. Più che un
urlo fu quasi un ringhio. Il ringhio di
una belva pronta a saltare al collo della sua preda e squarciarglielo.
Gli
occhi scuri erano dilatati e fiammeggiavano. Regina non aveva mai visto
tanto
risentimento negli occhi di Emma. Nemmeno quando aveva scoperto che la
maledizione di cui parlava Henry era reale. Nemmeno quando pensava che
lei
avesse ucciso Archie.
-
Allora aiutala di nuovo. So che puoi vedere tutto ciò che
vede lei. Aiutala e
dille di venire qui.
-
Così intrappolerete anche lei? No. E anche se lo facessi non
verrebbe mai.
Immagina che mi hai tolto il pugnale. Penserà che mi stai
controllando.
-
Convincila che non è così, allora. Non intendo
controllarti. Sono sicura che ti
ascolterà. Capirebbe se menti, no?
Emma
tacque. La fissò, le labbra strette e le mani ancora
agganciate alle sbarre.
-
Non lo farai comunque, vero?
-
Non se non posso fidarmi di nessuno.
-
Emma, ascoltami... – Regina si concentrò su di
lei. Doveva avere tutta la sua
attenzione. Era ormai vicinissima e l’Oscuro avrebbe potuto
allungare una mano
e strapparle il cuore dal petto. – Io ti conosco. La tua
parte buona... è
ancora in te.
Emma
le rise in faccia. – Oh, Regina... io sono convinta di una
cosa, invece: la
Regina Cattiva è sicuramente ancora dentro di te. Se tua
madre fosse qui, la
renderesti fiera.
Poi
staccò una mano dalle sbarre e il suo dito indice percorse
il profilo della sua
mascella. Infine le sfiorò la cicatrice sul labbro
superiore. Regina deglutì a
vuoto, la gola arida, le tempie che pulsavano per la collera, il sangue
che le
si rimescolava nelle vene. La voce di Emma aveva persino cambiato
inflessione,
diventando terribilmente
simile a quella
di Cora. Le sue iridi erano molto più grandi, nascondevano
quasi il bianco
della sclera e le pupille erano ridotte a capocchie di spillo.
La
mano che l’aveva toccata le arpionò la gola.
Regina gemette e annaspò. Afferrò
il braccio di Emma, ma la presa dell’altra era troppo salda.
Non stringeva così
tanto da soffocarla, ma le faceva comunque male. Le conficcò
le unghie nel
collo.
Allora
una mano di Regina corse al fianco destro, dove teneva il pugnale,
strinse
l’elsa e lo sollevò.
Emma
la lasciò andare.
-
Stai indietro! – ordinò Regina, brandendolo.
Lei
indietreggiò di un paio di passi, fissando la lama ondulata
del pugnale. Il suo
nome inciso su di essa.
“Ti
ho vista, in cima a quella
scalinata. La Regina Cattiva che recita la parte della Salvatrice e si
gode il
momento di gloria! Era quello che volevi. Che tutti ti vedessero come
una
Salvatrice. Che ti vedessero come vedevano Emma”.
-
Regina! – gridò una voce.
Si
allontanò dalle sbarre, il cuore che batteva talmente forte
da risuonarle in
testa. Mise a posto il pugnale e si diresse, incespicando, fuori dalla
prigione.
Trovò
David ad attenderla a metà della scalinata che conduceva nei
sotterranei.
-
Che diavolo succede? – disse Regina, ancora scossa.
-
Camelot. – David le appariva paonazzo e agitato. –
Sta bruciando.
***
Storybrooke.
Oggi.
Zelena
spalancò le porte del reparto maternità e fece la
sua entrata teatrale.
-
Tu! – esclamò l’infermiera che si era
occupata di servirle quegli assurdi
pranzi a base di verdure che le aveva ricordato il colore della sua
pelle nella
Foresta Incantata. Aggirò alla svelta il bancone e le si
parò dinanzi. – Il
sindaco mi ha ordinato di non farti passare.
-
Beh, allora stai facendo il tuo lavoro. – osservò
Zelena, continuando a
camminare imperterrita. Agitò una mano e la donna cadde a
terra, priva di
sensi. – Male, ma lo stai facendo. Complimenti.
-
Non così in fretta, sorellina.
Zelena
trovò Regina davanti alla stanza in cui tenevano tutti i
bambini, con la
schiena appoggiata alla parete e le braccia conserte, quasi non avesse
fatto
altro che aspettare il suo arrivo.
“Regina
probabilmente sarà là ad
aspettarti. L’avranno messa di guardia. Beh, di sicuro non ci
metterebbero mai
Robin, di guardia. È un ladro, ma è facile
rubargli le cose”, le
aveva detto Lily.
-
Sorella cara... grazie per esserti presa cura della mia bambina mentre
ero in
ostaggio. Ma ora se non ti dispiace me la riprendo.
-
Buona fortuna.
Zelena
appoggiò le mani sul vetro che la separava dalle culle,
preparandosi ad
infrangerlo con la magia.
Poi
si accorse che la culla di sua figlia era vuota.
Furibonda,
si voltò di scatto verso Regina. –
Dov’è mia figlia?!
- Credevi davvero che non
avremmo protetto
quella bambina da te dopo tutto quello che hai fatto? – le
fece notare Regina.
-
È mia figlia!
-
È anche di Robin. Non puoi portarla via a suo padre.
A
Zelena non piaceva affatto il suo tono. Le parlava così come
avrebbe potuto
parlare ad una persona dura di comprendonio. – Non riesci
proprio a sopportare
l’idea che sia io per una volta ad ottenere qualcosa di buono
nella vita!
-
Il motivo per cui hai quella bambina... – scandì
Regina, guardandola con quel
sorrisetto che le imponeva quasi di strapparle il cuore e farglielo
ingoiare. –
È perché hai ucciso Marian,
ingannando Robin nel modo più ignobile che si possa
immaginare.
Zelena
si lasciò sfuggire una risata. – Era un
complimento?
Regina
smise di sorridere. - Dove sono Lily ed Emma?
-
Suppongo che siano dove le ho lasciate. A casa loro. A progettare
qualche piano
da Oscuri.
-
Quindi ti hanno liberata così?
-
Non capisci, vero? A loro non serve la mia bambina.
-
Infatti, servivi tu.
Roteò
gli occhi e fece una smorfia. - Lily ha convinto Emma a non uccidermi.
Molto
nobile da parte sua, non credi?
“Cerca
di stare al gioco. Regina
non deve capire niente. Se capirà, diventerà
più difficile”.
“Se
anche capisse, mia sorella non
ha speranze contro di me”.
“Fatti
consegnare la bambina.
Basterebbero pochi secondi da sola con lei. Sai essere convincente. E
se Regina
è davvero cambiata come tutti sostengono, non ti
impedirà di tenerla in
braccio. Te la toglierà il prima possibile, ma...”
-
Si influenzano a vicenda. Non è di me che dovresti
preoccuparti, ma di quello
che loro stanno combinando. Adesso dimmi dov’è mia
figlia, se non vuoi che...
-
Cosa? Cosa intendi fare?
Zelena
non disse niente. La fissò, con gli occhi azzurri in
procinto di scagliare
lampi.
-
Questa follia deve terminare. – osservò Regina.
-
Sì. Ma non lo ritengo possibile.
-
Oh, io invece penso di sì.
Poco
dopo entrambe salivano le scale che portavano
all’appartamento di Robin.
“Penso
io alla bacchetta. So dove
la tiene Emma”.
-
Prima di entrare, permettimi di ricordarti che potrai anche aver
recuperato i
tuoi poteri, ma anche io ho i miei.
Zelena
aveva una gran voglia di riderle in faccia, ma si trattenne.
– Che cosa ci
facciamo qui? Evitiamo i soliti discorsi su speranza, lealtà
e redenzione, ti
prego. Li ho già sentiti. Arriva al dunque.
Regina
non arrivò subito al dunque, ma aprì la porta e
la fece entrare. Robin era lì,
con la bambina in braccio.
-
Zelena... – fu il suo unico commento.
-
Sembra che Emma e Lily l’abbiano lasciata andare. Sembra. – disse Regina, prima
che lui le facesse delle domande.
-
Robbie, caro... ti sono mancata? Te l’avevo detto.
– Zelena sorrise, divertita.
– Regina Perfida batte Regina Cattiva.
Sua
sorella si voltò di scatto e sollevò una mano,
pronta a darle la lezione che
pensava si meritasse. Afferrò il suo stesso polso, prima che
la magia potesse
prendere il sopravvento e scagliarsi contro Zelena.
-
Regina, ferma. – disse Robin. – Ne abbiamo
già parlato.
-
Oh! Terapia di coppia? Penso proprio che ne abbiate bisogno. Sai, ci
sono così
tante cose che non sai su mia sorella. Ha dei gusti... sorprendenti.
Rimarresti
a bocca aperta.
-
Lascia che ti ricordi un particolare. – disse Regina,
avvicinandosi di un
passo. – Puoi anche essere perfida, ma non ti avvicini
nemmeno lontanamente al
mio livello.
Osservandola,
Zelena vide qualcosa passare dietro ai suoi occhi, come una gigantesca
ombra
nera, un barbaglio dei bei vecchi tempi durante i quali aveva regnato
incontrastata, seminando il panico e distruggendo vite. Ne era certa:
in quel
momento Regina l’avrebbe uccisa volentieri, ma la presenza
della sua bambina
legava le mani del suo astio e forse lo rendeva ancora più
grande.
-
Ho passato così tanto tempo a fare cose terribili... cose
davvero terribili...
che non puoi neppure immaginare. – L’ombra
passò e scomparve. – Ma sai che cosa
mi ha fatta cambiare? Henry. L’amore di un figlio...
quell’amore incondizionato
mi ha trasformata in una donna migliore.
Zelena
emise un suono che era un accenno di risata, ma Regina
percepì che, in qualche
modo, rifletteva su ciò che le stava dicendo, anche se
cercava di nasconderlo
dietro una maschera di sufficienza.
-
Ed ora spero che quell’amore abbia lo stesso effetto su di
te. – concluse
Regina.
Zelena
non rispose.
Robin
si fece avanti con la bambina. – Che sia chiaro, Zelena. Non
saremo mai una
famiglia, noi tre.
Come
se avessi bisogno che tu me lo
dicessi, pensò
lei, quasi sconvolta dall’assurdità della sua
dichiarazione.
-
Ma io e Regina siamo d’accordo. Tu sei sua madre. –
continuò Robin. – E nonostante
quello che ci raccomanda l’istinto... riponiamo ancora delle
speranze in te.
Quindi... puoi venire a trovare tua figlia a patto che uno di noi due
sia
presente.
Quando
finirà questa paternale?
Alla
fine Robin si decise a chiudere il becco e Zelena tese le braccia. Lui
le passò
la piccola, avvolta in una soffice copertina rosa.
“Sai
che cosa mi ha fatta cambiare?
Henry. L’amore di un figlio... quell’amore
incondizionato mi ha trasformata in
una donna migliore”.
-
Ciao, piccola fagiolina mia.
“Vedo
che la Strega dell’Ovest ha
finalmente una debolezza. Che cosa strana”.
-
Sono la tua mamma.
La
bambina sollevò una delle sue minuscole manine, come se
volesse afferrarla. Zelena
era sicura di non aver mai visto niente di più bello. Doveva
darle un nome. Un
nome che fosse perfetto per lei. Che fosse forte e la rispecchiasse.
Robin
sarebbe stato capace di chiamarla in qualche modo assurdo.
-
Va tutto bene. D’ora in avanti, andrà tutto
benissimo. La mamma... ha una
sorpresa per te.
Robin
si sporse per vedere meglio.
“Sai
che cosa mi ha fatta cambiare?
Henry. L’amore di un figlio...”
Zelena
si chinò per baciare sua figlia sulla fronte. –
Vorresti vedere Oz?
La
bambina emise un vivace gorgoglio.
-
Non ci provare nemmeno... – iniziò Regina,
muovendosi verso di lei.
Si
mosse troppo lentamente e Zelena si voltò si scatto,
spazzando via sia la
sorella che Robin. Il ladro finì contro la parete della
cucina e Regina addosso
al bancone.
-
Cosa ti avevo detto quando mi hai fatta entrare? Regina Perfida batte
Regina
Cattiva. E ladro incapace. Buona fortuna contro gli Oscuri. –
Rise come una
folle prima di svanire in una densa nuvola verde.
***
Camelot.
Un giorno prima della
maledizione.
Incredula,
Regina guardò nello specchio incantato da Knubbin e vide le
fiamme levarsi
verso il cielo. La torre di Merlino, in balia del fuoco, si
accartocciò
miseramente su se stessa e infine crollò. Le guardie del re
precipitavano dai
camminamenti, trasformati in spaventapasseri ardenti. Uno stendardo
rosso si
staccò dall’asta a cui era agganciato e
bruciò, volteggiando nell’aria. Il
fuoco sbucava da un gran numero di finestre esplose.
-
È stata lei.
Regina
non aveva idea se quella di Malefica fosse una domanda o solo una
constatazione. Sapeva solo che stava andando tutto a rotoli e lei non
aveva
idea di come risolvere quella situazione. L’incontro con Emma
l’aveva
destabilizzata. Aveva ancora la sensazione di sentire la mano che le
artigliava
la gola, quel dito che percorreva la sua cicatrice. Aveva
l’impressione che gli
occhi dell’Oscura la seguissero ovunque andasse. E
c’era qualcos’altro. Sul
collo recava i segni delle unghie di Emma; se ripensava al momento in
cui le
aveva sentite penetrare nella carne, poteva anche ricordare quello che
aveva
provato. Paura, sorpresa, rabbia. E le era passato per la mente che se
lo
meritasse. Che quello che stava facendo Emma era ciò che
meritava per non
averle dato fiducia, per averla imprigionata come tempo prima aveva
fatto anche
Zelena con Tremotino.
-
Scusatemi. – Un giovane eremita avvolto nella sua tunica
marrone entrò nella
grande e gelida sala in cui si trovavano tutti. Aveva un’aria
corrucciata sotto
il cappuccio. – Sta arrivando qualcuno. Un uomo a cavallo.
-
Lancillotto. – disse Merlino. Il mago aveva lo sguardo
cerchiato da ombre scure
e iniettato di sangue.
L’ultima
volta che avevano visto il cavaliere era stato qualche giorno prima,
davanti
all’ingresso della cripta dell’Oscuro. Neve aveva
chiesto a Lancillotto se sua
madre, la Dama del Lago, potesse aiutarli in qualche modo.
“Forse”,
aveva
risposto il cavaliere.
Temeva
che non sarebbe riuscito a tornare in tempo. Ma quando lo scorsero da
una delle
finestre, lo videro arrivare in sella al suo destriero lanciato al
galoppo
nella notte. Si guardava continuamente alle spalle, come se temesse di
essere
inseguito.
Quando
arrivò nei pressi del castello di Rothbart, tirò
le redini, innervosendo
l’animale, e scese da cavallo con un balzo. Regina tolse
l’incantesimo di
protezione dall’entrata.
-
Lancillotto. – Neve gli andò incontro e lo
abbracciò.
-
È successa una cosa terribile. Camelot... –
iniziò il cavaliere. Aveva la
fronte imperlata di sudore e il respiro affannoso.
-
Lo sappiamo. – disse David, contrito.
-
Un drago... è sceso dal cielo come una sciagura...
-
L’hai... l’hai vista? – chiese Malefica.
Voleva imporre alla sua voce di non
tremare, ma fallì.
Lancillotto
annuì.
Nessuno
disse niente.
-
Devo sapere se Ginevra sta bene...
-
Sono sicura di sì. – gli disse Neve, per
rassicurarlo.
Merlino
si fece avanti sul ponte levatoio con le braccia allargate per
accogliere
Lancillotto. Sorrideva, felice di scoprire che stava bene. Ma un
istante dopo
il sorriso gli morì sulle labbra. – No...
-
Merlino, cosa...? – iniziò Neve.
Lo
stregone non ebbe modo di rispondere. Una folata di vento aveva
sollevato il
mantello color porpora di Lancillotto. E Regina scorse uno scintillio
sanguigno. Un occhio rosso che sembrava scrutarli tutti.
La
gemma incastonata nel pomolo di Excalibur.
Capì
di essere stata ingannata un’altra volta e mentre Neve ancora
fissava l’amico
sbalordita, Lancillotto la spinse in là e poi
sferrò un cazzotto che spedì
Merlino nel fossato melmoso che circondava il castello. Knubbin
cercò di
spingere le porte per chiudergliele in faccia, ma lui rise e
infilò un piede
fra il battente e lo stipite. Sorpreso dalla forza dell’uomo,
Knubbin cadde
all’indietro.
Lancillotto
mutò aspetto, rivelandosi.
-
Lily... – mormorò Malefica.
-
Che bello rivedervi. – disse lei. Con un gesto della mano
stese Knubbin,
Killian e gli Azzurri, che si accasciarono uno sopra l’altro.
– Volevate
chiudermi fuori? Non è molto gentile da parte vostra.
***
Storybrooke.
Oggi.
Una
saetta luccicante piombò dal cielo e per un momento
sembrò che l’aria fosse
incredibilmente elettrica, spessa quanto l’olio. Le nuvole
nere sopra
Storybrooke parvero addensarsi ancora di più, farsi
più minacciose.
Zelena
comparve in mezzo alla strada con la bambina in braccio e non senza
sorpresa si
rese conto che Lily aveva già attivato la bacchetta
dell’Apprendista. Il tornado
vorticava, screziato dai lampi e procedendo spedito verso la
città. Aveva usato
lo stesso ciondolo che Zelena aveva portato al collo quando ancora
recitava la
parte di Marian per dirigere la tromba d’aria verso Oz.
-
Potevi aspettarmi! – esclamò Zelena. La piccola
adesso piangeva, agitandosi
nella copertina rosa. Lei la strinse di più contro di
sé, mentre il vento le
spazzava i capelli.
-
Ti ho aspettata anche troppo. Adesso vai, strega.
Vi
fu una specie di schiocco e poi un secondo fulmine colpì
l’antenna parabolica
di una casa vicina. Zelena si protesse gli occhi con il braccio libero.
Lily
non sembrava per niente turbata. Lanciò un rapido sguardo al
cielo. Infine le
diede il suo ciondolo.
-
Mi auguro che il tornado mi porti ad Oz. Se dovessi ritrovarmi da
qualche altra
parte...
-
Cosa farai?
-
Te la farò pagare. Non è facile sbarazzarsi di
me. Troverei un modo per tornare
indietro. – Le ronzavano le orecchie, era quasi sorda e
sentiva a stento la sua
stessa voce.
-
Mi spiace doverti dire che non hai scelta, strega.
Il
tornado invase la via principale di Storybrooke, gettandosi verso di
loro.
-
Tieniti forte.
La
bambina non si limitava più a piangere, ormai, ma strillava,
la faccia rossa e
le gambe che scalciavano. Zelena la protesse anche con la sua mantella,
ma per
un attimo, vedendo sopraggiungere il tornado, ebbe paura. Paura di
farle del
male. Paura che la forza della magia gliela strappasse dalle braccia.
Anche se
non poteva ricordarlo, le sembrò di rivedere se stessa
trasportata ad Oz dal
tornado che aveva creato con i suoi poteri. Una bambina con grandi
occhi
azzurri lasciata in un bosco, in pasto ai lupi, dentro ad una cesta.
Una
bambina che era stata capace di salvarsi da sola. Per poi ritrovarsi
nelle mani
di un uomo che la disprezzava e la picchiava.
Ma
nell’istante in cui il tornado l’avvolse
trascinandola via con sé, Zelena stava
sorridendo.
Ti
ho fregata, sorellina. Questa volta
tocca a me vincere!
Emma
comparve, giusto in tempo per vedere il tornado che si assottigliava
per poi
indietreggiare e dissolversi.
-
Che cosa diavolo hai fatto?! – gridò a Lily, per
farsi udire sopra il frastuono
del vento.
-
Quello che era giusto fare! Di certo non l’ho uccisa!
Il
tuono rimbombò talmente forte e vicino da scuotere i vetri
delle finestre.
-
Uccidere Zelena poteva essere l’unico modo per liberarsi
dell’oscurità! Lo capisci
che forse non c’è un’altra via
d’uscita a meno che qualcuno non ci fermi?!
-
Beh, che differenza fa? Ho portato l’oscurità con
me per tutta la vita!
-
Questo non è il mio potenziale oscuro, Lily! – La
prese per le spalle,
scuotendola. – Questa oscurità è
diversa! Pensavo l’avessi capito!
-
Ed io pensavo che tu avessi capito che non potevi uccidere Zelena! E
sua
figlia?
La
voce del vento diventò un grido e un lampo
disegnò una striscia a zigzag nel
cielo. Il mondo venne scosso dal boato del tuono.
-
E suo padre? Non ha solo una madre, ma anche un padre! – le
ricordò Emma.
Continuava a trattenerla per le spalle.
-
Suo padre è un buono a nulla! Regina voleva portargliela
via, non le avrebbe
mai permesso di essere una madre. Avrebbe fatto ciò che
hanno fatto i tuoi
genitori!
-
I miei genitori ti hanno maledetta!
Un
nuovo fulmine si abbatté sulla foresta che circondava
Storybrooke, preceduto da
uno schiocco secco.
-
E rapita. E hanno tradito te a Camelot! Avrei dovuto ucciderli quando
ne avevo
la possibilità! – Gli occhi di Lily cambiarono
colore, passando dal marrone al
giallo oro. – Oppure avresti dovuto uccidere me. Non hai
avuto il coraggio
nemmeno di mettere fine alla mia vita! Forse sei solo una codarda come
il
precedente Oscuro!
Emma
sferrò un cazzotto e Lily quasi perse
l’equilibrio. Le restituì il pugno,
colpendola sul mento ed Emma le strinse i rivolti della giacca,
strattonandola.
Barcollarono in una specie di danza impacciata.
Il
vento tornò impetuoso con la velocità di un
uragano e nella frazione di secondo
che precedette il fulmine vi fu uno schiocco secco, simile ad un colpo
di
pistola. Poi una saetta infuocata precipitò giù
dalle nuvole, colpendo l’asfalto
e aprendo in esso una lunga crepa. Entrambe rimasero accecate
dall’esplosione
di luce. I fari di un’auto si ruppero.
Emma
batté le palpebre per mettere a fuoco Lily, ma si prese un
calcio nello
stomaco, che la spedì gambe all’aria. Si
ritrovò sdraiata sulla schiena con
Lily che le puntava contro Excalibur. La lama era a pochi centimetri
dalla sua
gola.
-
Fallo. – la sfidò Emma.
Lily
la fissava così come lei l’aveva fissata mentre la
minacciava con la pistola. Furente,
schiacciata dal desiderio di affondare la spada nel suo petto e al
tempo stesso
trattenuta da ciò che le univa. Aveva gli occhi orlati di
rosso, le labbra strette.
Non
c’era nessuno lì che potesse convincere Lily a non
ucciderla. C’erano solo loro
due e il temporale.
La
pioggia scrosciò, accompagnata dal picchiettare della
grandine.
-
Fallo, ora.
____________________
Angolo
autrice:
Hello,
it’s me!
La
prima scena di questo capitolo viene dal promo sulla Dark Swan che
avevano
rilasciato prima dell’inizio della 5°serie. Quello
che ci ha gasati, insomma. E
che poi si è rivelato solo quello. Un promo. Che tristezza,
lo posso dire?
|
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Capitolo 17 *** 17. ***
17
Minnesota.
Anni fa.
“Ehi,
che diavolo fate?”
Lily
aveva deciso di non andare a
scuola quella mattina. Non c’era un motivo particolare.
Semplicemente non aveva
intenzione di chiudersi tra quelle quattro mura. Non aveva amici con
cui andare
a zonzo e non aveva sgraffignato la carta di credito di suo padre.
Però era
salita su un autobus ed era arrivata in periferia.
Là
c’era un edificio con i muri
ricoperti d’edera, che un tempo era un magazzino. Alcune
finestre erano rotte,
altre incrostate di fango e sporcizia non meglio identificata. Quel
posto di
sera metteva i brividi, soprattutto in inverno, perché era
isolato, buio e gli
spacciatori cincischiavano in ogni angolo. Ma quel giorno era estate.
Era
giorno e dietro al vecchio magazzino c’era solo uno spiazzo
in cui i ragazzi
giocavano a baseball.
Girato
l’angolo, dopo pochi passi
si imbatté in qualcosa. Era gialla. Un giallo acceso che
sarebbe potuto piacere
giusto ad un bambino.
‘O
ad Emma’, si ritrovò a pensare.
La
raccattò. Era una scarpa destra
della Converse e sembrava nuova, non un oggetto abbandonato
lì da molto tempo.
Più avanti c’era anche il berretto sul quale era
stampato il simbolo di una
squadra di baseball. Lily cominciava ad avvertire brutte vibrazioni e
si
pentiva di aver avuto la brillante idea di recarsi in quel posto
isolato.
Poi
udì il grido. Ed era un grido
di dolore. Il grido di chi sapeva di essere nei pasticci, ma sapeva
anche di
non avere alcuna speranza di uscirne tutto intero. Lily
lasciò cadere la scarpa
e il berretto e corse. Quel grido la spinse a scattare in avanti. Ad
andare a
dare un’occhiata, anche se era una stupidaggine,
perché poteva finire nei guai
a sua volta. E lei era molto brava a cacciarsi nei guai. Era brava a
fare scelte
sbagliate. O che le parevano giuste, ma poi le si rivoltavano contro.
Una
maledizione che la seguiva come un’ombra.
Un
altro grido. Infine una risata
maschile.
“Che
cosa stai aspettando,
bamboccio? Mangiala”, disse qualcuno. “Mangiala
oppure te la faccio mangiare
io. Se la mangi, potrai andartene a casa. Mi sembra un ottimo
accordo”.
A
quel punto Lily chiese che
diavolo stesse facendo. Nel mentre aveva anche già raccolto
una mazza da
baseball lasciata cadere perché il proprietario aveva appena
trovato un nuovo
passatempo.
Il
ragazzo alzò la testa. In piedi
accanto a lui ce n’era un altro in tenuta sportiva, con la
mano sinistra infilata
in un guantone da baseball. Sul guantone c’era... uno stronzo
di cane
rinsecchito che i due stavano cercando di far mangiare ad un ragazzino
smilzo e
dal volto foruncoloso. Il ragazzino era rannicchiato per terra, un
piede
scalzo, la maglia con un vistoso strappo sulla schiena e un ginocchio
sbucciato. Singhiozzava.
Colto
di sorpresa e conscio del
tono genuinamente disgustato di Lily, il tizio che aveva detto al
“bamboccio”
di mangiarsi la merda fece un passo indietro, ma poi si accorse che
colei che
l’aveva apostrofato aveva due o tre anni meno di lui ed era
anche notevolmente
più bassa.
“Sparisci.
Non sono affari tuoi”,
disse.
“Già”,
gli diede manforte l’altro.
“Sparisci. Finché sei in tempo...”
“Due
contro uno. Due tizi grandi e
grossi contro un ragazzino...”, ricominciò Lily.
“E se lo raccontassi in giro?
Ti conosco. Frequenti la mia stessa scuola”.
“Non
racconterai un bel niente.
Fidati. Potresti essere morta prima di allora”. Aveva i
capelli ricci e castani
che gli scendevano lungo il viso e sulle spalle. La mazza da baseball
doveva
essere sua, ma non lo preoccupava il fatto che ce l’avesse
Lily. “Fuori dai piedi.
Adesso”.
Lily
non avvertiva alcun senso di
paura, pur essendo consapevole che quei due avrebbero potuto
spiaccicarla
contro un muro come una mosca. Solo che non avrebbe potuto
importargliene meno.
Era in preda ad un’indicibile indignazione. Il pianto del
ragazzino le
rimbombava nella testa, alimentandone la furia.
“Se
vuoi la sistemo io, Scott”,
intervenne il compare.
Fu
Lily a sistemarlo per prima. La
mazza da baseball lo colpì sulla mascella, dislocandogliela.
Sputò sangue e
cadde per terra, intontito, gorgogliando qualcosa di incomprensibile.
Il
ragazzo di nome Scott la fissò con gli occhi fuori dalla
testa. Poi la mazza
raggiunse anche lui. Tra collo e spalla. Lily aveva una gran voglia di
beccarlo
in testa. Nella sua mente c’era una gigantesca nebbia rossa
che le offuscava la
ragione e dentro una bestia nera con occhi di fuoco e che sputava fumo
dalle
narici. Nessuno dei due si aspettava che lei lo facesse sul serio o che
possedesse tanta forza, per questo non avevano avuto il tempo di
reagire. Non
l’avevano guardata bene. Se l’avessero guardata,
forse avrebbero visto qualcosa
nel suo sguardo. Forse avrebbero visto che non scherzava.
Lily
lo colpì una seconda volta. Al
ginocchio. Scott lanciò un urlo stridulo. Ora non sentiva
più il pianto del
ragazzino. Il pianto era lontano.
Quando
la nebbia rossa si diradò, i
due giacevano a terra, doloranti e gementi. Il ragazzino preso di mira,
invece,
la fissava con gli occhi sgranati. Aveva le guance rigate di lacrime e
sporche
di terra.
“Va
tutto bene. Sono... solo degli
idioti. Ti conviene andartene”.
Lui
non se lo fece ripetere due
volte. Raccolse lo zaino che era caduto a terra e filò via,
più veloce del
vento. Non la ringraziò. Non le disse niente.
A
Lily sembrò che avesse paura di
lei e non più dei due tizi che l’avevano
minacciato.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Fallo. – disse ancora Emma, mentre un altro tuono borbottava
sopra le loro
teste e la pioggia cadeva sempre più fitta, insieme alla
grandine.
Lily
strinse di più l’elsa di Excalibur.
Alzò la testa e vide Nimue a pochi metri di
distanza.
Emma
si sollevò un po’ e la punta della lama le
sfiorò la gola. Avvertì il morso
freddo dell’unica arma che avrebbe potuto ucciderla.
Ucciderle entrambe. Eppure
non smise mai di guardare Lily. I suoi occhi non lasciarono mai quelli
della
ragazza che la minacciava, che respirava affannosamente, mentre nella
sua testa
scorreva un turbine di idee e pensieri, un turbine di sentimenti in
contrasto
fra di loro. Emma li vedeva tutti, quei sentimenti. Vedeva quel
turbine, nero
come il tornado che si era portato via Zelena e la bambina. Lo vedeva
accenderle lo sguardo. Rabbia, paura, risentimento, rammarico, dolore.
Lily
gridò e poi conficcò la lama
nell’asfalto. Si aprirono crepe che si diramarono
fino all’edificio più vicino. Salirono lungo i
muri, raggiunsero il tetto
rompendo i vetri delle finestre. E infine l’edificio
crollò come un castello di
carte.
Emma
non ci badò. Quando Lily si piegò su se stessa,
piangendo, lei l’abbracciò.
-
Io non posso farlo, Emma.
Lei
non rispose. Non subito.
-
Mi parla continuamente. Quello che vuole che io faccia... è
molto peggio di ciò
che ho fatto ora. Provo a... provo ad ignorarla. Ma lei torna sempre.
-
Ti sta manipolando, Lily. È così che fa.
– Emma si ritrasse e la fissò. – Io ho
cercato di proteggerti da questo. Ti ho tolto i ricordi... per
proteggerti.
Togliendoteli, non avresti ricordato cos’eri diventata e non
avresti ricordato
Nimue. Avrei avuto il tempo per... ricomporre Excalibur e distruggere
l’oscurità in entrambe.
-
Non è servito a niente! Lei è di nuovo qui!
– Lily si alzò, voltandole le
spalle.
-
Prenditi quello che vuoi, Lilith. – disse Nimue. –
Abbiamo perso già abbastanza
tempo. Prenditi ciò che vuoi!
-
Puoi ancora lottare contro di lei, Lily! – intervenne Emma,
raggiungendola e
afferrandola per il braccio. – Lei vuole che tu uccida i miei
genitori...
-
Anche tu sei furiosa con loro...
-
Certo che lo sono. Mi hanno imprigionata, a Camelot. Regina mi ha
imprigionata.
Anch’io... c’è una parte di me che
vorrebbe far loro del male. Gliene ho già
fatto, cancellando le loro memorie. Gliene ho fatto, rifiutandomi di
parlare
con loro. Ne ho fatto anche a Regina... e quella parte di me... pensa
di non
aver ancora finito.
-
Allora ascoltala. Insieme saremo più forti. –
disse Nimue.
-
Se la ascolto, non distruggerò solo me stessa, ma anche te,
Lily. E tu non
meriti questo. Nemmeno Henry lo merita. E se faccio del male alla mia
famiglia... perderò anche lui. Lui... ha creduto in me,
proprio come hai fatto
tu.
-
Non meritava questo, ma l’hai trascinata
nell’oscurità con te, Emma. –
sibilò
il primo Oscuro. – L’hai... portata con te,
perché è così che è sempre
stato.
Siete sempre state... unite. Anche quando eravate lontane. Tutto questo
è un
segno. Guardati, Emma... anche l’illusione che hai creato
intorno a te sta
svanendo...
Emma
abbassò lo sguardo sulla mano destra, scorgendo chiaramente
le sfumature
verdeoro tra le dita e sulle nocche. Era sicura che anche il suo viso
stesse
cambiando.
-
Tutto questo deve finire. – ribatté Emma,
scuotendo il capo, come chi cerca di
scacciare un fastidioso insetto.
-
E finirà. - rispose Nimue, piazzandosi davanti a lei.
– Oh, sì. Finirà. Quando
Lily avrà portato a termine il piano.
-
No. Lily...
-
Mi dispiace, Emma. - Lily agitò una mano e in essa comparve
un acchiappasogni.
Una scia di ricordi lasciò la mente dell’altro
Oscuro e la rete del cerchio di
salice li catturò, illuminandosi.
Emma
batté le palpebre. Cercò di afferrare qualche
frammento di memoria, ma l’ultima
immagine che la sua mente le propose fu quella di lei e Lily nelle
segrete del
castello di Rothbart, dove Regina l’aveva rinchiusa.
Una
densa nuvola viola avvolse Lily completamente. Sparì prima
che Emma potesse
fermarla.
***
Camelot.
Poche ore prima della
maledizione.
-
Lily... ti prego, aspetta. – Malefica allungò una
mano verso la figlia. –
L’oscurità si sta servendo di te. Non devi
ascoltarla.
-
In realtà io sto facendo l’unica cosa giusta,
quella che avreste potuto fare
voi, invece di tradire Emma. Dov’è, a proposito?
– domandò Lily, puntando
Excalibur contro di loro.
Regina
e Malefica si scambiarono un’occhiata. Gli altri giacevano
per terra, privi di
sensi. Persino il corvo di Knubbin era svenuto sul petto del suo
padrone, con
le ali spalancate e il becco socchiuso.
-
Nei sotterranei, lo so. Ma vorrei che mi indicaste la strada.
– aggiunse Lily.
Nessuna
di loro due si mosse. Malefica si portò accanto a Regina.
-
Brave, datevi man forte. Credete che basterà?
-
Non dobbiamo arrivare a questo, Lily. – disse Regina.
-
Sei tu che mi spingi a questo, Regina Cattiva. Perché
immagino che ti diverta
molto rinchiudere le persone in una buia segreta. Un tempo era quello
che
facevi con chiunque non eseguisse i tuoi ordini. Con chiunque fosse
dalla parte
della ragazzina che non ha tenuto la bocca chiusa. –
Sollevò le sopracciglia,
rivolgendole un sorriso arrogante.
A
Regina pulsavano le tempie per la collera. Ed era una collera
bruciante. La
Regina Cattiva che era stata aprì gli occhi
nell’angolo in cui era stata
relegata. Quella parte di lei non vedeva l’ora di torcere il
collo a Lily. Ma
non poteva fare questo. Non poteva fare questo ad Emma e non poteva
fare questo
a Malefica.
-
Ditemi dov’è Emma e dov’è il
pugnale. Potete farlo o devo prendermi entrambe le
cose con la forza?
-
Sarebbe la soluzione migliore. – sussurrò Nimue.
-
Sta zitta.
-
Regina, che cosa succede? – disse Robin, piombando nella
sala, armato di arco e
frecce. Ne aveva una già incoccata.
-
Mamma?
-
Henry, no. Va via! – gridò Regina, in preda al
panico.
Robin
scoccò la freccia, che Lily acchiappò con una
mano prima che la trafiggesse. Poi
si liberò sia del ladro che di sua madre con un gesto della
mano e afferrò
Henry per il collo, sollevandolo da terra.
-
Lascialo andare... – sibilò Regina.
-
Lo farò quando ti toglierai dai piedi. Ma prima dammi il
pugnale.
-
Lily... non puoi fare del male ad Henry. – intervenne
Malefica. – Lo sai. Emma
ti odierà.
-
Oh, sul serio? Vediamo se Regina è d’accordo con
te. Vediamo se è disposta a
rischiare la vita del suo adorabile bambino. – Lily
guardò Regina.
Henry
scalciava, cercando di avere la meglio su una presa per lui troppo
salda.
Regina
fece comparire il pugnale e lo lanciò a Lily.
L’arma dell’Oscuro scivolò sul
pavimento fino ai piedi della ragazza.
Lily
lo raccolse e lo rimirò per qualche istante. –
Ottima scelta.
-
Lascia andare mio figlio.
Henry
cascò per terra e perse conoscenza come tutti gli altri.
Regina ormai era sola.
E non la sorprese per niente che l’Oscuro non avesse ancora
finito. Si sentì
afferrare per il collo. Annaspò, mentre Lily la trascinava
verso di sé. Regina
strinse la giacca che Lily indossava e la fissò con rabbia.
Lily
rimise Excalibur nel fodero appeso alla cintura e affondò
una mano nel suo
petto, estraendone il cuore pulsante. Pulsante e nero.
-
Non è protetto. – disse Lily, osservandolo e
soppesandolo. – Eri davvero
convinta che Emma non ti avrebbe mai fatto del male... ma avresti
dovuto
pensare anche a me.
Regina
fissava il proprio cuore nelle mani della figlia di Malefica.
-
Ora portami da Emma. – ordinò Lily, tenendolo sul
palmo della mano destra.
Regina
oppose una breve, ma energica resistenza. Un dolore atroce le
scoppiò in testa
e al centro del petto. Inorridita, avvertì la sua
volontà tendersi come una
corda di violino e le sue gambe muoversi verso la porta che conduceva
nei sotterranei.
Non aveva più alcun controllo su ciò che faceva.
Era una sensazione che non
aveva mai provato ed era spiacevolissima. Non voleva obbedire, eppure
non era
in grado di avere la meglio.
-
Te l’avevo detto che non eri una Salvatrice. Quelle come noi
non possono
esserlo. – disse Lily, spingendola perché
accelerasse il passo. – Mai.
***
Minnesota.
Anni fa.
“Fuori
da questa casa!”, le disse
l’uomo che si definiva suo padre, indicando
l’uscita con il lungo dito indice.
“Mi
stai davvero cacciando? Dove
potrei andare?”. Lily aveva quindici anni. Ed era arrabbiata
con chiunque.
Persino con se stessa.
“Questo
è affar tuo”.
Non
l’avevano cacciata per ciò che
era successo al campo da baseball, con quei due ragazzi. Non
l’avevano mai
saputo. Ma sua madre aveva saputo che aveva saltato alcune lezioni.
Diverse
lezioni. Era iniziato tutto così. Era tornata a casa un
pomeriggio dopo la
scuola e lei la stava aspettando in cucina. Furibonda. Lo schiaffo
l’aveva
colta alla sprovvista e la forza della percossa era stata tale da
mandarla a
sbattere contro il tavolo.
“Non
so che cosa ho fatto di male
per meritarmi questo”, le aveva detto sua madre, la faccia
rossa e gli occhi
sgranati. Sembravano sporgere fin quasi a toccare le lenti degli
occhiali.
“Perché fai così?”
“Ho
saltato solo qualche lezione”,
le aveva risposto, portandosi una mano alla guancia in fiamme.
“Non
si tratta solo delle lezioni e
lo sai bene!”
Era
vero. Non si trattava solo
delle lezioni. Si trattava della sua vita. Della sua vita che andava a
rotoli.
“Io
ti ho dato tutto quello di cui
avevi bisogno, Lily. Ma non è mai abbastanza per te. Che
cos’è che vuoi?!”
Voglio
smettere di sentirmi così,
pensava Lily. Voglio smettere di sentirmi invisibile in un posto che
dovrebbe
essere casa mia. Voglio smettere di prendere decisioni che sembrano
giuste ma
poi mi si rivoltano contro.
“Rispondi!”
“Già
lo sai. Te ne ho parlato, ma
tu non mi hai ascoltata”.
“Lily...
che cosa dovrei ascoltare?
Le tue farneticazioni sulla presunta maledizione che ti
perseguita?”
“Io
ci provo, okay? Ci provo a fare
la cosa giusta!”
“No,
non è vero! Non ci hai mai
provato veramente!”. Sua madre la guardava così
come avrebbe potuto guardare
una sconosciuta capitata in casa sua per caso. “Non hai idea
di quanto tu mi
abbia delusa, Lily”.
Aveva
detto qualcos’altro. C’erano
state altre accuse, le voci si era trasformate in grida. Ma per Lily il
mondo
era diventato grigio già da un bel pezzo. Prima grigio e poi
rosso. Quel rosso
che precedeva la tempesta. Una tempesta di fuoco.
Ad
un certo punto sua madre aveva
cercato di rifilarle un altro ceffone e Lily l’aveva fermata,
prendendola per
il polso e spingendola. Non voleva farla cadere. Non intendeva farle
male.
Voleva solo... allontanarla da sé, perché odiava
essere guardata così. Come se
fosse stata solo un errore. Una ragazzina capricciosa, che si divertiva
a far
soffrire le persone che le avevano dato una casa e straparlava di
maledizioni,
di sogni fatti di fiamme. Perché i suoi sogni erano spesso
così: fiamme,
creature alate, la realtà vista dall’alto. Quando
si destava, la sua mano
correva al ciondolo che portava al collo. A volte il ciondolo le
sembrava
caldo. Bruciante come i sogni. A volte era gelido e stringerlo la
faceva
sentire più vicina a quella madre che non aveva mai
conosciuto.
Solo
che le aveva fatto male.
La
madre adottiva che tanto aveva
deluso era caduta, battendo la testa e guadagnandosi un trauma cranico.
“Non
puoi davvero buttarmi fuori!
Non volevo farle del male, lo giuro!”, gridò Lily,
in lacrime.
“Ho
detto: fuori!”
Prese
uno zaino e solo alcune delle
sue cose. Qualche vestito di ricambio. Dei soldi. Beh, quelli li
rubò. E fu
costretta ad andarsene.
Alla
sue spalle la porta sbatté.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Che cosa posso fare ancora per te, Lilith? Immagino che non sia una
visita di
cortesia. – disse il signor Gold, uscendo da dietro il
bancone del suo negozio.
– Dopo gli ultimi... avvenimenti... mi perdonerai anche se
non ti offro un tè.
Belle
sembrava indecisa se afferrare la balestra e puntarla contro Lily,
anche se
sapeva benissimo che non sarebbe servita a niente... non contro il
nuovo
Oscuro.
-
Se stai cercando qualche ingrediente magico, ti avverto: Emma ha
portato via
parecchie cose. Ma credo che tu lo sappia già.
-
Sono qui per te. – rispose Lily. Non aveva per niente un
bell’aspetto. Era più
pallida di quando era entrata nel suo negozio per chiedergli come
poteva
controllare il suo dono. Aveva gli occhi segnati da ombre scure e le
iridi
erano dorate.
-
Per me? – Tremotino sollevò un sopracciglio. Aveva
assistito alla tempesta
magica della sera prima. Dopo che Belle si era addormentata, lui,
incapace di
prendere sonno, si era alzato e aveva scostato le tende di una finestra
per
guardare le nuvole nere sospese sopra la città come una
spada di Damocle... e i
fulmini che precipitavano dal cielo. Il potere che lo circondava gli
aveva
fatto accapponare la pelle, l’aveva spaventato al punto tale
da costringerlo a
mordersi il labbro con forza, eppure l’aveva anche
affascinato. La sue pelle
era diventata fredda e aggricciata, mentre l’ennesimo lampo
squarciava le nubi,
seguito da un boato simile al ruggito di una belva. Gli ingranaggi del
suo
cervello avevano cominciato a girare vorticosamente. Aveva avuto
l’impressione
che l’oscurità fosse là, accanto a lui,
che non l’avesse mai davvero
abbandonato. Aveva avuto l’impressione che, se si fosse
voltato verso destra o
verso sinistra, avrebbe visto qualcosa di nero in agguato, una cosa che
si
sarebbe avventata su di lui.
-
Hai qualcosa di cui ho bisogno. Ed è qualcosa che non ha a
che vedere con Emma.
– stava dicendo Lily.
-
E cosa sarebbe? – domandò Belle.
Non
aveva nemmeno finito di pronunciare quella frase. Lily si
materializzò davanti
a Tremotino. Lui ebbe giusto il tempo di allungare una mano per
spingere Belle
più indietro, poi la lama di una spada lo ferì al
braccio.
Per
un paio di secondi pensò che a ferirlo fosse stata la lama
di Excalibur. Pensò
che fosse giunta la sua fine. Poi si rese conto che la spada che il
nuovo
Oscuro stringeva non era Excalibur, bensì una spada comune,
con la lama sottile
e ricurva. Due gocce del suo sangue scivolarono lungo quella lama e
Lily le
osservò, compiaciuta.
-
Che diavolo significa? – domandò Tremotino,
portandosi una mano al braccio e
appoggiandosi al bancone.
-
Il tuo sangue apre molte porte. Non è stato poi
così doloroso, vero? – La spada
svanì in una nuvola violacea. – Spero che non te
la prenderai. Ho trovato la
spada sulla nave del tuo vecchio nemico... Killian non dovrebbe
lasciare le sue
cose incustodite. Quando eravamo a Camelot... mi disse che quella era
la spada
di uno dei Bimbi Sperduti. Si chiamava Rufio. Gliel’ha presa
quando l’ha
ucciso.
-
Mi scuserai se... non conosco tutti i seguaci di mio padre. –
borbottò
Tremotino. Belle aveva recuperato un panno pulito e gli stava
tamponando la
ferita.
-
Peccato. Ma grazie, in ogni caso. – Lilith scomparve
così com’era scomparsa la
spada.
Belle
e Tremotino fissarono lo spazio vuoto. Qualche goccia di sangue era
schizzata
sulle assi di legno.
***
Massachusetts.
Qualche anno fa.
Il
locale ruggiva di voci e di
risate e di musica ad alto volume. Di bicchieri che sbattono sui tavoli
o gli
uni contro gli altri. L’aria era densa di aromi di hot dog
alla griglia, anelli
di cipolla, patatine fritte e chissà quale altra grassa
leccornia. La birra
scorreva a fiumi. L’alcol in generale scorreva a fiumi. Anche
giù per la sua
gola, ad incendiarle lo stomaco. A collegare il tutto, a dare al mondo
una
precisa connotazione, dagli altoparlanti piazzati in ogni angolo
tuonava una
canzone dei Doors.
“There’s
a killer on the road
His
brain is squirmin’ like a toad
Take
a long holiday
Let
your children play”
“Ehi,
riempi questo bicchiere. E
offrine uno anche alla signorina”, disse una voce alticcia.
Il fracasso
prodotto dallo sgabello che veniva spostato le aumentò
l’emicrania.
“Non
ti ho chiesto di offrirmi
qualcosa”, rispose Lily. Era decisamente ubriaca. Reggeva
bene l’alcol, di
solito, ma quella sera aveva davvero esagerato.
“Suvvia,
una ragazza come te non
può starsene qui da sola”. L’uomo espose
una fila di denti smaglianti, anche se
i due incisivi erano sovrapposti. Aveva una bocca grande e occhi
marroni che
non vedevano nulla. Erano i classici occhi vuoti. Acquosi.
“Sparisci.
È meglio”.
“Ringhia,
hai visto? Mi piace”.
Lily
gli gettò in faccia il
contenuto del suo bicchiere. L’uomo, colto alla sprovvista,
si tirò indietro e
cascò dallo sgabello, finendo gambe all’aria.
Scoppiò una salva di risate.
“Ho
detto: sparisci. È così
difficile da capire, idiota?”
L’idiota
in questione imprecò contro
di lei e levò le tende. Una vera fortuna. Lily non avrebbe
mai voluto fare
qualcosa di cui poi si sarebbe pentita. Si sedette di nuovo,
accasciandosi
quasi sul bancone.
“Ehi,
tutto bene? Quel tipo ti
stava dando qualche grattacapo, vero? Non penso che
tornerà”. Un ragazzo si
chinò su di lei. Vide che non andava tutto bene.
“So
cavarmela da sola...”
“Non
da ubriaca”.
“Non
sono ubriaca. Sono maledetta”.
Poco le importava che quel tipo la credesse pazza.
Il
ragazzo si guardò intorno e poi
sorrise. Aveva un taglietto sul mento. “Forse lo siamo
tutti”.
Lily
lo guardò in faccia e vide che
il suo sorriso era sincero e comprensivo. Portava il pizzetto e aveva i
capelli
scuri. Quando tentò di alzarsi e barcollò, lui
l’afferrò saldamente.
“Non
toccarmi”, sibilò Lily.
“Volevo
solo darti una mano. Ad
uscire dal locale, almeno. Spero che tu non debba guidare”.
“Non
ho una macchina. Sono a piedi.
E poi potresti essere un maniaco. Come quel tizio”.
“Qui
fuori è pieno di gente. C’è
anche la mia ragazza. Ci siamo fermati a fare benzina”. La
voce suonava
sincera, come il sorriso. Non se l’era nemmeno presa
perché gli aveva dato del
maniaco. Anzi, era divertito.
Alla
fine si lasciò aiutare. Il
ragazzo la portò fino alla fermata dell’autobus
più vicina. Effettivamente, quando
uscirono, Lily vide una macchina parcheggiata in doppia fila, con una
ragazza
seduta dalla parte del passeggero. Lui le fece un cenno con la mano e
le disse
di aspettarlo.
“Cerca
di salire sull’autobus
giusto”, le disse.
“Uno
vale l’altro”.
“Non
mi hai detto il tuo nome. Non
che tu sia obbligata, ma così... per curiosità,
mi piacerebbe saperlo”.
“Starla”,
rispose, senza pensarci.
“Starla.
Bello. Il mio è...”. Ci fu
una brevissima esitazione. “Puoi chiamarmi Bae”.
“Che
razza di nome sarebbe Bae?”
“Un
diminutivo. Ma non dirlo in
giro”.
***
Camelot.
Poche ore prima della
maledizione.
Sconvolta
e furiosa, Regina vide la propria mano tendersi verso i chiavistelli
che
chiudevano la porta della prigione... e farli scorrere, aprendola.
Si
introdusse nel buio della segreta insieme a Lily, che si
portò di fianco a lei.
Continuava a stringere il cuore pulsante nella mano destra.
-
Emma? – disse Lily.
Emma
sbucò dall’ombra e si aggrappò alle
sbarre della cella. – Lily... che cosa stai
facendo?
-
Ti sto liberando.
-
Come hai fatto a scoprire dov’ero?
-
Non hai idea di quanto sia semplice trovare qualcosa quando sei
l’Oscuro... –
Lily estrasse di nuovo Excalibur. – Ho trovato
l’indicazione nella Torre di
Merlino. Questa dimora apparteneva ad un altro Oscuro.
Emma
guardò il cuore di Regina con la testa leggermente
inclinata. Regina stessa non
avrebbe saputo dire che cosa stesse provando Emma. Sollievo,
incredulità,
rammarico, ira. Forse tutte queste cose assieme. Per un momento le
sembrò
combattuta.
-
Dov’è Henry? – chiese.
-
Sta bene. – rispose Lily. – Non gli avrei mai fatto
del male. Ma Regina... ha
fatto la scelta giusta. Mi ha ridato ciò che ti appartiene.
Le
passò il pugnale attraverso le sbarre. Emma lo prese.
-
Ora stai indietro. – le consigliò Lily, sollevando
Excalibur.
-
Le sbarre di questa cella sono protette. – disse Regina. Ogni
parola le costava
uno sforzo enorme, tanto che arrivò in fondo alla frase
esausta.
Lily
non le diede retta. Calò un unico, poderoso fendente a due
mani. Le sue labbra
scoprivano i denti in una smorfia furente. La lama spezzata
scintillò sinistra
e colpì le sbarre. Tre di esse si spezzarono e si
frantumarono come se fossero
state fatte di vetro, creando un varco per Emma, che uscì
dalla cella.
-
Avalon. – disse Lily, semplicemente. – Non appena
Emma mi ha detto che queste
sbarre erano impregnate della magia di quel posto, sono andata a fare
un
giretto al lago. Non sapevo che cosa avrei trovato o cosa avrei dovuto
cercare... ma quando sono arrivata mi è sembrato tutto
chiaro.
-
Le acque del lago. – disse Emma. E lo disse imprimendo una
certa ammirazione
nella sua voce.
-
Le acque sono magiche, così come le nebbie e tutto
ciò che riguarda l’Isola
delle Fate. Mi è bastato immergervi la lama.
Emma
prese il cuore di Regina senza chiederle niente. Osservò il
rosso pulsare e
cercare di farsi strada in mezzo all’oscurità.
-
Distruggilo. – le suggerì Nimue. –
Distruggi le persone che non credono in te e
vogliono portarti via tutto.
“Quando
siamo arrivati a Camelot,
mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi
salvato me.
Oppure...”
“Io
ti ho salvato. Ora tu salva
me”.
Emma
visse un momento terribile, durante il quale immaginò di
serrare le dita sul
cuore. Immaginò il cuore nero di Regina che si disintegrava,
polvere che si
disperdeva sul pavimento di quella lugubre cella. Il corpo di Regina
che si
afflosciava privo di vita.
-
Vedi, Regina? L’oscurità è sempre
dentro di te. – mormorò.
-
Lei ti ha tradita. Ti ha rinchiusa in una prigione. Voleva controllarti
e
portarti via tutto. – Nimue si mise accanto a lei. -
Diglielo, Emma. Dille che
tutto questo è ciò che sei. Dille che tutto
questo è tuo e che non te lo può
togliere. Diglielo! E poi stringi quel cuore. Puniscila.
Emma
sollevò l’indice e lo inclinò verso il
basso. Regina crollò in ginocchio.
-
Non è divertente non avere più il controllo di se
stessi, vero Regina?
Lily
sorrise. Aveva pensato di restituire il cuore all’altra madre
di Henry e poi di
spedirla a fare un pisolino insieme agli altri, ma quello che stava
facendo
Emma era... ipnotizzante.
-
Guardati. In ginocchio. La Regina si è appena inginocchiata.
– Le girò intorno,
piazzandosi alle sue spalle.
-
Emma, per favore... – disse Regina. – Non farlo.
Non lasciare che l’oscurità ti
consumi.
-
Questo me l’hai già detto. Ma sai una cosa?
– Si chinò e le scostò i capelli
per parlarle in un orecchio. - Tu mi hai rinchiusa. Non hai avuto
fiducia in
me. Non hai creduto in me. Non l’hai fatto tu e non
l’hanno fatto i miei
genitori. O Killian. O Merlino.
-
D’accordo, mi dispiace... non volevo affatto ferirti. Volevo
aiutarti. Volevo
assicurarmi che tu... che non ti facessi del male. Che non...
sprofondassi.
“Quando
siamo arrivati a Camelot,
mi hai affidato il pugnale. Mi hai detto di salvarti, come tu avevi
salvato me.
Oppure...”
“Sì.
Te l’ho affidato! Perché
credevo che saresti riuscita a salvarmi. O che mi avresti distrutta se
fosse
stato necessario!”
“Ed
io non posso distruggerti. Non
posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”
-
Beh, mi hai sprofondata tu stessa nell’oscurità.
Guarda dove mi hai rinchiusa.
Sei esattamente come tua sorella. Ricordi? Quando teneva Tremotino in
una
gabbia...
Regina
non disse niente.
-
Lei voleva usarlo. Ed io potrei usare te. Potrei fare molte cose con
questo
cuore. Potrei farti passare... l’inferno che tu hai fatto
passare a molte delle
tue vittime. A Graham, per esempio.
-
Emma...
Emma
si piegò e, con la magia, l’afferrò per
i capelli con forza, strattonando. Poi
estrasse il pugnale, appoggiandoglielo sulla gola. Regina
sentì il morso freddo
di quella lama.
“Ed
io non posso distruggerti. Non
posso farlo... per nostro figlio. Non posso...”
Nimue
la fissava dall’alto, con un sopracciglio aggrottato.
-
Emma... è una tua scelta. Ma sei migliore di
così. Lo sai. – disse Regina. Si
girò quel tanto che bastava per poter incrociare i suoi
occhi. Il suo viso era
vicinissimo. Poteva vedere ogni sfumatura verde che lo solcava, il male
che la
corrodeva pian piano. Avvertiva il respiro gelido dell’Oscuro
sulla guancia.
L’odore era forte, intenso, tenebroso. Era attraente ed era
terribile. Voleva
allontanarsene e, al tempo stesso, voleva respirarlo. Il cuore nero
palpitava
nella sua mano.
-
Chiudi gli occhi. – rispose Emma.
Regina
serrò le palpebre. Le dita di Emma strinsero il cuore in una
morsa e lei
soffocò un grido di dolore. Rantolò, scivolando
in avanti.
Infine
Emma le rimise il cuore nel petto. Con violenza. Regina
gridò di nuovo,
inarcando la schiena.
-
Anche tu sei migliore di così. –
sussurrò Emma, alzandosi. Agitò un braccio e
Regina cadde sul pavimento della prigione, priva di sensi. –
Rimani pure in
questa maledetta cella.
-
Non rimarrà qui. – rispose Lily, avvicinandosi e
appoggiando una mano sul
braccio di Emma.
-
Che vuoi dire?
-
Stiamo per andarcene, Emma.
-
Andare dove? Di che parli? – Ora era seriamente allarmata.
-
Storybrooke.
Scomparvero
tutti in una nube magica.
Granny
sollevò il fucile e sparò un colpo che
rimbombò nella tavola calda. Il
proiettile di grosso calibro mandò in frantumi i vetri di
una finestra, dopo
aver trapassato Lilith da parte a parte. Ovviamente il nuovo Oscuro non
poteva
morire e rise del suo tentativo di fermarla.
-
Metti giù il fucile, nonna, prima che te lo faccia scoppiare
tra le mani. –
disse Lily.
-
Sì, ragazzina. So che ne sei capace.
Emma
scosse il capo, come in preda allo stordimento. Sul pavimento
c’erano gli
Azzurri, Killian e il mago Knubbin con il suo corvo. Regina era
adagiata su un
fianco, quasi si fosse semplicemente addormentata. Persino il suo viso
appariva
molto sereno. Henry giaceva vicino a lei. Malefica stava cercando di
alzarsi da
terra e Merlino guardava tutto con occhi sbarrati, allucinati.
Lily
si liberò della nonna, spedendola nel mondo dei sogni con
gli altri.
-
Lilith, per favore, fermati. Non è ancora troppo tardi.
– disse Merlino. –
Ricorda quello che ti ho detto quando sei venuta a parlarmi: puoi
sconfiggere
l’oscurità. Ma se ti lasci guidare da essa, sarai
esattamente ciò che hai
sempre creduto di essere.
-
Ma guardati. – rispose lei, ignorando le sue parole.
– Il mago più potente del
reame... senza magia e sporco di fango.
-
Lily, che cos’hai in mente? Non puoi davvero lanciare il
sortilegio oscuro. –
intervenne Emma. – Sai che cosa devi fare per attivarlo?
-
Certo che lo so.
Lily
si dissolse per ricomparire di fronte a sua madre. Le
affondò una mano nel
petto ed estrasse il suo cuore, così come aveva fatto con
Regina.
-
Lily!
Emma
non era stata l’unica a gridare il suo nome. Tremotino era in
piedi a pochi
passi da Merlino e puntava il lungo indice squamoso contro Lily.
-
Che cosa stai facendo qui? Vuoi aiutarla con la sua vendetta?
-
In realtà, volevo farle notare che sta commettendo un grosso
errore. – rispose
Tremotino, sorridendole.
Emma
aggrottò la fronte.
Tremotino
si volse verso Lily. – Ti è stato spiegato che,
per lanciare il sortilegio
oscuro, è necessario sacrificare... ciò che
più ami. E tu... sacrifichi tua
madre?
Malefica
boccheggiava.
-
La persona che ami di più non è tua madre. Se
distruggerai quel cuore non
andremo da nessuna parte. – Nimue prese il posto di
Tremotino. – E lo sai
benissimo. Per questo non fai altro che cincischiare.
-
Lily, non devi ascoltarli. – disse Emma.
-
La persona che più ami... è Emma.
Lily
si ritrasse, guardando sua madre con gli occhi sbarrati e iniettati di
sangue.
Stava serrando con forza il cuore di Malefica e tra non molto
l’avrebbe ridotto
in cenere. Rilasciò la presa, esalando un gemito.
-
Non avrei mai voluto farti questo... – mormorò
Malefica. – Ma dovevo salvarti.
-
Non posso... – mormorò Lily. – Non posso
uccidere Emma.
-
Oh, lo so! – Tremotino ricomparve e la sua voce ebbe lo
stesso effetto del
gesso che scivola maldestramente su una lavagna. – Nessuno
qui ti chiede di
farlo. Era solo una constatazione. Ma c’è sempre
una scappatoia.
Nimue
riapparve. – Noi non vogliamo ucciderti. Abbiamo bisogno di
te.
-
Vattene. – sibilò Emma. Si avvicinò a
Lily con cautela e prese la sua mano. –
Restituisci il cuore a tua madre. Ricordi cosa ti dissi nel bosco?
Possiamo
risolverlo. Possiamo farlo insieme.
-
Questo era quando ancora credevi di poterti fidare della tua famiglia,
Emma. –
rispose Nimue.
-
Si può sapere che cosa vuoi? Perché la stai
aiutando?
-
Non essere sciocca. Gli Oscuri non fanno mai niente senza richiedere
qualcosa
in cambio. – Nimue ora sembrava divertirsi un mondo.
-
Che cos’è?
-
Sei un Oscuro. Sai che cosa vogliamo. Ma dobbiamo andare a Storybrooke.
Ci
serve Tremotino. Beh... ci serve l’uomo che un tempo era
l’Oscuro. L’uomo che
lo è stato per centinaia di anni. Il suo sangue
aprirà la porta.
-
Quale porta?
Nimue
non rispose, eppure Emma lo capì comunque. Fu come entrare
in diretto contatto
con la mente del primo Oscuro. E fu una sensazione spaventosa. Come se
tutto il
buio esistente si stesse riversando dentro di lei.
-
Non puoi. – riuscì soltanto a dire.
-
Sì, possiamo. E lo faremo.
Emma
si girò verso Lily. – È quello che ti
ha suggerito fin dal principio. Non solo
di uccidere i miei genitori per avere la tua vendetta...
-
Emma... lei è troppo forte. Io non sono come te. Non riesco
a contrastarla. –
Lily appariva prostrata. Si appoggiò a lei, mettendole le
mani sulle spalle. La
sua voce era lacrimosa, stranamente... giovane.
Come se stesse regredendo. Come se stesse tornando ad essere
la ragazzina
che le aveva coperto le spalle al supermercato. - Non so come fare.
-
Emma... sei un Oscuro. Comportati come tale. So che vuoi anche tu il
potere. So
che una parte di te desidera uccidere le persone che ti hanno tradita.
- Nimue
fissò Merlino. – Non lasciare che
l’amore ti fermi.
Emma
sventolò una mano davanti al viso di Malefica e lei ricadde
per terra, svenuta.
Poi prese il cuore dalla mano di Lily e lo rimise al suo posto.
– Tu non farai
questo, Nimue.
-
Accogli il potere. Se ti lascerai andare sarà tutto
più semplice. Potrai aiutare
Lilith. Non sei stanca di lottare? Non sei stanca che siano gli altri a
decidere per te? Non hai mai avuto una vera scelta. Fin da quando sei
nata, fai
ciò che gli altri si aspettano da te. E poi... vieni
tradita. La persona a cui
ti sei affidata... ti rinchiude in una segreta, cerca di
controllarti... tua
madre, che ti aveva abbandonata...
-
Basta. – disse Emma.
Ma
lei continuò, imperterrita. Parlava lentamente, con lo
studiato trionfo di chi
stava per concludere una trattativa importante. - Tua madre, che ti ha
abbandonata, ha portato via una bambina ad un’altra madre e
l’ha maledetta. Ha
cambiato la tua natura. E avrebbe lasciato morire Lilith. Inoltre... i
tuoi
genitori... hanno concepito un altro figlio, che avrà tutto
ciò che tu non hai
mai avuto!
Emma
lanciò un grido e scagliò una sfera di fuoco
contro la proiezione della sua
coscienza. Ovviamente Nimue svanì e Tremotino riapparve,
seduto su uno dei
tavoli del Granny’s. Dondolava le gambe. - Quanta foga, cara.
-
Lily... – disse Emma. – Ti fidi di me?
Lei
abbassò lo sguardo sul corpo di sua madre. Lo
sollevò per spostarlo su Nimue e
poi su Merlino. Poi tornò a guardare Emma. –
Sì.
-
Che momento commovente! – esclamò Tremotino.
– Ma ora passiamo alla cosa più
importante. La maledizione.
-
Io non... – cominciò Lily.
-
Lilith non ucciderà Emma. E per lanciare la maledizione
serve il cuore della
persona che ama di più. – intervenne Merlino. - In
ogni caso... ho già lasciato
un messaggio per gli altri, quando ho visto Emma e Lilith nel bosco.
-
Oh, ma guarda! Vi ha spiate! Quel mago da strapazzo gli ha certamente
dato una
mano. – Tremotino saltò giù dal tavolo
e sfiorò Knubbin con la punta dello
stivale. – Ma non preoccupiamoci di questo. Come ho detto,
c’è sempre una
scappatoia. C’è qualcuno... che prova qualcosa per
te, Merlino.
Nimue
riapparve e raggiunse Merlino. – E sono io. Ricordi? Io sono
tutti gli Oscuri.
Sono l’originale. Romantico, vero? Dopo tutto quello che
è accaduto... sei
ancora ciò che amo di più. Ed è
così. Io ti amo.
Lo
stregone alzò una mano tremante, quasi volesse toccare il
viso della donna che
aveva amato per centinaia di anni. - Ma non sei davvero qui.
-
Invece sì. Io sono tutti loro, Merlino. Proprio
perché sono il primo. Io...
sono Emma. E sono Lilith.
-
Quindi se distruggiamo il cuore di Merlino... –
iniziò Lily.
-
Sarò io a farlo. – concluse Nimue, senza smettere
di fissarlo. Il suo tono era
determinato, ma c’era molta tristezza nei suoi occhi. Forse
ricordava i momenti
felici che aveva trascorso con lui prima di cedere al male, uccidendo
Vortigan.
- Perciò facciamolo. Non devi sacrificare Emma. Come vedi,
c’è una scappatoia.
Tu puoi avere la tua vendetta... e in cambio... noi torneremo. Tutti
noi. In
carne ed ossa. Grazie al sangue dell’Oscuro che è
morto... ed è risorto.
Con
una mano, Lily arpionò la gola di Emma.
-
Fallo ora.
Scagliò
Emma contro la parete opposta. Un quadro si staccò. Merlino
sapeva di non poter
scappare e non si mosse neppure. Lily gli strappò il cuore
dal petto.
-
Puoi ancora fermarti. Non è troppo tardi. –
sussurrò Merlino.
-
Io non posso fermarmi. Sono stanca di lottare. – Il cuore del
mago più potente
del reame aveva una strana consistenza. Pulsava, un rosso vivido e
puro, senza
macchie. – L’ho fatto per tutta la mia vita.
-
Questo non ti permetterà di essere felice. – disse
Emma. – Ti prego, Lily.
Lei
chiuse gli occhi, serrò il cuore di Merlino in una morsa e
lo disintegrò.
Trattenne la polvere nel pugno. Lo stregone piombò a terra.
-
No! – gridò Emma.
-
Mi dispiace... – Lily si diresse verso il calderone che
Merlino aveva usato per
registrare il suo messaggio e vi gettò i resti del suo
cuore. Il calderone
ribollì.
-
Nessuno deve controllarti. La spada. – disse Nimue.
Lily
rispedì Excalibur nella sua roccia. Poi si
appoggiò al bancone del Granny’s,
come se non avesse più forze.
Emma
si inginocchiò accanto al corpo dello stregone.
-
Non prenderla male. È morto per una giusta causa.
– disse Tremotino.
“So
che c’è oscurità in te, Emma,
ma ti supplico... usa il dono nel modo giusto e non pensare alla
vendetta. Non
commettere lo stesso errore di Nimue”.
Non
gli diede retta. Trasformò il suo corpo in cenere. - Riposa
in pace.
-
Non puoi più fermarlo, Emma. È finita.
– disse Lily. Il cuore le martellava,
gonfio di terribili presagi. Era come se il mondo fosse appena stato
ricoperto
da un sudario, con il lembo più oscuro disteso sulla tavola
calda. Si lasciò
scivolare sul pavimento e si coprì il viso con le braccia.
C’erano ancora le
voci nella sua testa. Alcune la rimproveravano aspramente, altre si
complimentavano con lei per aver portato a termine il piano. Nimue non
c’era
più.
Qualcosa
di simile ad un tentacolo le sfiorò la coscienza.
Provò una sensazione di
apertura, uno spazio così immenso da farla sentire meglio,
anche se solo per un
istante. Sembrava che Emma stesse cercando di rassicurarla,
incuneandosi nei
meandri della sua mente. Non era arrabbiata. Quando la
guardò, i suoi occhi
verdi erano limpidi e decisi.
-
Ho promesso che non ti avrei più voltato le spalle come ho
fatto anni fa. E non
intendo rimangiarmi la promessa.
-
Non c’è più niente che tu possa fare,
Emma. La maledizione sta arrivando. –
Parlò trascinando ogni singola sillaba.
Che
cosa ho fatto?
Il
punto non era quello. Lily sapeva che il punto era che le era piaciuto farlo. Così come le
era
piaciuto picchiare quei bulli con la mazza da baseball. Così
come le erano
piaciute altre cose sbagliate che aveva fatto. Le odiava. Odiava la sua
incapacità di prendere decisioni sensate. Ma le piaceva anche.
-
Non posso fermarla. Ma posso farti dimenticare tutto. Anche che sei
diventata
un Oscuro.
Lily
stava per chiederle che cosa diavolo significasse. Poi Emma le
posò una mano
sulla fronte e lei si afflosciò. Emma la prese tra le
braccia, accompagnandone
la caduta. La adagiò sul pavimento, accanto a Malefica.
Uno
sfavillio e l’acchiappasogni comparve. - Quando ti
sveglierai, non ricorderai
niente. Nemmeno di essere un Oscuro. Tornerai ad essere quella che eri
prima. Ed
io sistemerò tutto quanto. Io sola.
-
Mossa astuta, mia cara. Ma non credo che basti. –
osservò Tremotino.
Emma
posizionò l’acchiappasogni sopra la testa di Lily.
Le memorie fuoriuscirono
dalla sua mente sottoforma di una scia luminosa, che
l’acchiappasogni si
affrettò a catturare. – No, non basta. Devo
cancellare anche i ricordi degli
altri. Di tutti.
Sul
pavimento del Granny’s comparvero anche Zelena e Belle. Emma
restituì alla
strega il suo bracciale nero e l’abito verde chiaro che aveva
fino a quando non
era sfuggita al loro controllo. – Nessuno di loro
ricorderà quello che è
successo qui. Nessuno. E non riavranno questi ricordi fino a quando non
lo
deciderò io.
Ad
una ad una le menti si svuotarono e riempirono
l’acchiappasogni.
-
Giusto. Farsi aiutare da una famiglia che ti ha tradita non
è esattamente una
buona idea. Sei un Oscuro. Non hai bisogno di loro. –
commentò Tremotino.
Emma
gettò l’acchiappasogni nel calderone. La
maledizione si levò sottoforma di una
densa nube viola, che traboccò e scivolò lungo i
bordi.
-
Potrebbe non piacerti comunque le conseguenze. – riprese
Tremotino.
La
nube invase il Granny’s. Emma raccolse il giglio che aveva
dato a Lily. Lo
rimise nella tasca della sua giacca.
-
O peggio... ti piaceranno molto.
Il
cavallo di Merida si drizzò sulle zampe posteriori e
nitrì, spaventato.
La
regina di Dunbroch, che aveva remato e cavalcato quasi
ininterrottamente negli
ultimi giorni per raggiungere Camelot e vendicare la morte di suo
padre,
percepì qualcosa di grande, qualcosa di enorme e tenebroso
che avanzava nella
foresta che si stava lasciando alle spalle.
Pensò
che qualche creatura l’avesse seguita.
Che
l’Oscuro l’avesse seguita. Ricordava benissimo la
mano di quella strega pronta
a stritolare il suo cuore. E per quanto avesse deciso di non romperle
la testa
come avrebbe fatto con un cocomero, la sola idea che fosse
lì la raggelava.
Si
voltò e vide sopraggiungere la nube viola.
-
Artù... che cos’è?
Il
re di Camelot scostò i bordi della sua tenda per guardare
fuori insieme alla
moglie. Aveva dovuto abbandonare il castello in fiamme dopo
l’attacco del drago
e l’aveva fatto maledicendo Merlino e le sue profezie.
Maledicendo il drago e
ripromettendosi di ucciderlo. Maledicendo gli stranieri che aveva
accolto e che
avevano portato solo rovina. Maledicendo Zelena, che l’aveva
piantato in asso
quando era sopraggiunto il drago.
L’accampamento
sorgeva a circa una lega da Camelot ed era silenzioso. Le torce erano
accese,
ma si spensero all’improvviso, così come il fuoco
intorno al quale sedevano due
dei suoi cavalieri.
Ciò
che aveva visto Ginevra era una gigantesca nube viola che correva verso
di
loro. Stava inghiottendo ogni cosa. Le colline, la foresta, il lago.
-
Magia nera. – disse Artù.
La
dimora del re stava ancora bruciando. Le fiamme si levavano alte verso
il cielo
nero. Una torre tremò e si sgretolò, portandosi
dietro parte delle mura.
Stendardi infuocati fluttuarono. Le porte di legno che chiudevano le
stalle e i
magazzini con le scorte di cibo erano esplose e i resti erano sparsi a
raggiera
in tutto il cortile, insieme a bardature per cavalli, selle e briglie
bruciate,
sacchi di farina e armi.
E
corpi. C’erano molti corpi. Corpi in posizioni scomposte.
Occhi che fissavano
il vuoto.
Di
quella che era stata la sala che aveva ospitato la Tavola Rotonda, non
rimaneva
quasi niente.
C’era
solo una cosa intatta. La roccia. La roccia ed Excalibur conficcata in
essa. Il
fuoco si rifletté nella gemma rossa incastonata nel pomolo.
La
nube inghiotti anche le fiamme.
***
Storybrooke.
Oggi.
-
Direi che non poteva andare meglio. – disse Nimue, spaziando
con lo sguardo
sulla superficie del lago. – Hai il sangue
dell’uomo che è tornato dagli
Inferi.
Era
notte. Ferma sulla riva nebbiosa del lago di Storybrooke, Lily si
preparava a
fare ciò che aveva promesso al primo Oscuro. Estrasse la
spada, sulla cui lama
c’era il sangue rappreso di Tremotino.
-
In questo lago si nasconde una porta che conduce
nell’Oltretomba. – continuò
Nimue. – Il sangue la aprirà.
-
Sei sicura che funzionerà?
-
Non fare domande stupide. E sbrigati. – Distese un braccio
per invitarla a
compiere l’ultimo passo.
Lily
si inginocchiò e spinse la lama appartenuta al Bimbo
Sperduto nelle acque buie
del lago.
“No,
non puoi”, aveva
detto Emma a Camelot, quando aveva capito quello che Nimue aveva in
mente.
“Sì,
possiamo. E lo faremo”.
Emma...
perdonami.
Il
lago vibrò e una piccola onda si espanse. Nimue era svanita.
Ora Lily era sola.
Ma non lo sarebbe stata per molto.
Il
fumo bianco annunciò l’apertura delle porte che
conducevano negli Inferi. Nell’aria
si diffuse un odore terribile. Sembrava che gli odori peggiori del
mondo si
fossero fusi per generare quel fetore squallido; acque melmose, frutta
marcia,
fiori appassiti. Lily sfiorò il giglio che ancora custodiva
in tasca. Gli aveva
ridato vita, restituendogli l’aspetto originario.
Una
barca carica di figure incappucciate emerse dai fumi bianchi.
-
Non posso crederci. – mormorò Lily, trasecolata.
Era
una barca sprovvista di vela, grossa e molto vecchia, con una lanterna
che
rosseggiava a prua. Un uomo, usando un lungo bastone, la sospinse fino
al
centro del lago. Guardando meglio, Lily vide che l’uomo era
in realtà un
vecchio con una folta barba bianca e sudicia, le mani simili ad artigli
e gli
occhi rossi come braci, circondati da cerchi di fiamme. Il labbro
inferiore,
tutto rovesciato in fuori, scopriva denti consumati e di colore bruno.
Le narici
vibravano come per effetto del respiro ed emettevano bianchi vapori.
Caronte.
Dovette
distogliere lo sguardo, perché quello del demone che guidava
la barca era
terrificante. Pareva in grado di bruciarle i pensieri, di succhiarle la
vita. Era
uno sguardo antichissimo e crudele.
Una
delle figure incappucciate si alzò e scese dalla barca,
scivolando
silenziosamente sulle acque. Portava una maschera dorata, sulla quale
era
incisa una fitta rete di simboli.
Raggiunse
la riva e quando Lily le tese la mano, come in un sogno,
l’altra la prese,
dimostrandole che non si trattava di un’allucinazione.
-
Salve, Lilith. – disse Nimue. Si tolse la maschera e le
sorrise. – Siamo qui,
come promesso. In carne ed ossa.
Avrebbe
voluto risponderle, ma il cuore le martellava nel petto, impazzito. Gli
altri attendevano
sulla barca.
-
Ora è il momento di metterci all’opera. E di fare
quello che gli Oscuri sanno
fare meglio. - Si voltò verso gli altri Oscuri. Ognuno di
loro era immobile,
seduto compostamente come se si trattasse di un viaggetto di piacere.
–
Soffocare la luce.
___________________
Angolo
autrice:
La
canzone citata è Riders on the
storm, dei
Doors.
E
scusate per l’aggiornamento arrivato dopo secoli di attesa.
Siamo quasi alla
fine.
|
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Capitolo 18 *** 18. ***
Trigger
Warning:
ci
tengo ad inserire un
avvertimento, giusto per non incorrere in eventuali critiche. Il
capitolo
contiene un paio di scene (una in particolare) che si possono
considerare
violente. Non si tratta di violenza pesante, ma
l’avvertimento serve, perché non
tutti amano leggere di personaggi che soffrono fisicamente.
18
L’ira
temporalesca che si era abbattuta su Storybrooke come un maglio si era
placata,
ma il cielo era ancora preda di nubi pesanti, tra le quali si
infiltravano i
raggi del sole morente. Il contrasto tra le zone d’ombra e le
nuvole fulgide
attribuivano al mondo un nitore singolare.
Merida
scostò la tenda per guardare fuori. – Sembra che
la tempesta stia passando.
-
Stavano combattendo. – disse il mago Knubbin, mentre era
intento a pulirsi le
unghie. – Forse hanno trovato un accordo.
-
Non voglio sapere che genere di accordo. – rispose Merida.
Artù
era sempre nella sua cella, rintanato in un angolo, con la testa
appoggiata al
muro. Accanto a lui c’era un vassoio con del cibo, ma era
intatto.
-
Sicuramente hanno trovato un accordo con mia sorella, dato che il
tornado si è
portato via sia lei che la bambina. – disse Regina,
meditabonda.
Robin
non diceva una parola. Contrito, con l’arco e la faretra a
tracolla, scrutava
gli altri di sottecchi.
-
Non capisco. Perché Lily ed Emma hanno aiutato Zelena?
– domandò Neve.
-
Lily ha aiutato Zelena. Non Emma. Emma voleva ucciderla. –
specificò Regina,
osservando un fulmine che squarciava il cielo in lontananza. Un tuono
borbottò.
-
Sarebbe un omicidio a sangue freddo. – rispose Neve,
incredula.
L’aria
intorno a loro crepitò. Regina avvertì un brivido
sulla nuca.
-
Che succede? – chiese Killian.
Apparve
un piccolo globo infuocato e poi un pezzo di pergamena
scivolò sulle scartoffie
sparse sulla scrivania. Malefica si affrettò a prenderlo,
prima che lo potesse
fare qualcun altro e lo lesse.
-
Che cosa dice? Di chi è? – domandò
Regina.
-
È di Emma. – Glielo tese in modo che anche lei
potesse leggerlo. – Sembra che
l’Oscuro abbia bisogno di una mano.
Cinque
minuti dopo erano davanti alla villa di Emma. Non c’era
più alcuna protezione,
né intorno alla costruzione, né tantomeno sulla
porta d’ingresso. Infatti,
quando Regina salì in fretta i gradini e afferrò
saldamente la maniglia, niente
la respinse.
-
Emma! – gridò Neve, subito dietro di lei.
Entrarono
tutti in casa.
-
Swan? – Killian vide Emma seduta sul divano del salotto, in
apparente attesa.
Alzò lo sguardo su di lui. I suoi occhi erano duri e freddi,
come lo erano
stati nella foresta, quando l’aveva salvato prima che
Artù gli infliggesse il
colpo mortale.
-
Cos’è successo? – domandò
Neve, avvicinandosi alla figlia con cautela.
-
Dov’è mia figlia? - chiese Malefica, dopo aver
controllato anche le altre
stanze della villa.
-
Lily non è qui. – disse semplicemente Emma. La sua
voce era bassa e
controllata, ma venata di emozione.
Regina
sedette accanto a lei. Notò le sfumature verdognole sul
volto e sulle mani. Gli
occhi erano di un verde molto più intenso ed era un verde
che aveva inondato la
sclera, nascondendone il biancore. La trasformazione era sconcertante e
Regina
non scorse solo Emma, ma anche qualche altro essere, molto potente e
molto
antico. - Credo sia giunto il momento di spiegarci qualcosa, Emma. Non
pensi?
-
Vi ho fatti venire qui apposta. – disse Emma. – Ho
bisogno del vostro aiuto per
fermare Lily.
Spiegò
loro quello che era accaduto; di come Lily avesse attivato la bacchetta
per
spedire Zelena e la bambina a Oz, di come avessero lottato e anche di
come Lily
le avesse portato via gli ultimi ricordi di Camelot.
-
In definitiva... non sappiamo che cosa ha in mente... –
concluse Regina. – Non
puoi scoprirlo guardando attraverso i suoi occhi? È il
vostro dono.
La
parola ‘dono’ le uscì aspra, intrisa di
veleno.
Emma
le scoccò un’occhiata. – Non sono in
grado di vederla. Mi sta bloccando.
-
Belle ha detto che Lily ha ferito Tremotino... perché il suo
sangue apre molte
porte. Questo può esserti d’aiuto? –
chiese sua madre.
-
Forse, ma se non so qual è il piano di Lily e Nimue, non
potrò fermarla.
-
Credevo che Nimue fosse solo un’allucinazione. –
disse Regina.
-
Lo è, ma Nimue è il primo Oscuro. E quindi
è tutti noi.
-
Ti rendi conto che adesso abbiamo un problema enorme, vero? Hai
trasformato
Lily in un Oscuro e per giunta volevi uccidere Zelena!
-
Era l’unico modo per salvarle la vita... Malefica
è d’accordo con me, anche se
non può ricordarlo. E Zelena... non puoi dirmi che dopo
tutto quello che ti ha
fatto, per te non sarebbe stata una liberazione! Stavo cercando di
sbarazzarmi
dell’oscurità e ti stavo facendo un favore!
-
Emma, questo è omicidio premeditato. Doveva esserci un altro
modo. – intervenne
Neve. – Potevi fidarti di noi.
-
Come voi vi siete fidati di me a Camelot? – Il suo tono
s’incrinò e divenne
rabbioso. – Non avete creduto in me, né tantomeno
in Lily. Avete preferito
rinchiudermi in una cella e controllarmi. Non che vi sia servito a
molto...
-
Questo non è possibile. – la interruppe Regina.
-
Invece lo è. Ed è stata tua, l’idea!
Tutti
tacquero. Regina era paonazza.
-
Quindi il punto è... che tu ci hai chiamati
perché non hai più scelta. –
concluse Killian, cupo.
Emma
non rispose.
-
Swan, senti. – Killian allungò la mano per cercare
quella di lei, ma Emma si ritrasse.
Il pirata chiuse il pugno e contrasse la mascella, come se avesse
appena
addentato un limone. – Restituiscici i nostri ricordi.
Sarà più facile
aiutarti.
-
Lo farei, se avessi gli acchiappasogni. Erano nella rimessa sul retro,
ma sono
spariti.
Regina
si alzò in piedi e si appoggiò al divano.
– Che cosa diavolo ha in mente Lily
adesso?
-
Il sangue degli Oscuri può essere usato per un sacco di
incantesimi. E nessuno
di quegli incantesimi è... un buon incantesimo, se capite
che cosa intendo. –
disse Gold. – Potete trovare i precedenti Oscuri nelle
Cronache. Sono testi che
possono esserci utili.
Si
erano riuniti a casa di Regina. Sedevano intorno al tavolo e una debole
luce
illuminava il salone. Di Lily nessuna traccia, ma la calma che
circondava Storybrooke
era spettrale. Le strade erano deserte.
-
Per quanto io apprezzi la passione per la cultura... – disse
Emma, sfiorando il
bracciale nero che Regina aveva deciso di assestarle al polso. - Esiste
un modo
più semplice e veloce. Sono ancora un Oscuro. Posso usare la
magia. Ma dovete
togliermi il bracciale.
Gold
sorrise, ma scosse il capo. Nessuno degli altri intervenne.
-
Già. Giusto. Non vi fidate di me.
-
Lei si fiderebbe di me, se i ruoli fossero invertiti? –
chiese Gold.
-
Quindi è vero. Sei qui. – Henry entrò
in salone. Era scuro in volto e il suo
tono possedeva una sfumatura severa. Dura.
-
Henry... – Emma gli sorrise. – Dobbiamo aiutare
Lily e fermarla. L’unico modo è
togliermi questo bracciale. Dì loro che possono farlo.
-
No. – rispose lui, seccamente.
Emma
lo fissò, incredula. - Come?
-
Ci hai mentito. Su Lily. Su tutto quanto. Perché ora
dovremmo fidarci di te?
-
Io sono tua madre...
-
Davvero? Perché la madre che conosco non mi avrebbe mai
nascosto niente. Non
avrebbe... pensato di fare del male a Violet per spezzare il mio cuore.
Non
avrebbe spezzato quello della sua unica amica.
-
L’ho fatto per liberare Merlino. È stato
terribile... anche per me. Ma allora
credevo di non avere scelta, se volevo distruggere
l’oscurità. – Emma cercò di
avere tutta la sua attenzione. – Sai perché ho
trasformato Lily in un Oscuro?
Perché stava per morire. Dovevo salvarla.
-
Sì, dovevi. Ma avresti potuto parlarcene. Avresti potuto
dirci tutto. Perché
non l’hai fatto?
Emma
restò in silenzio qualche momento, quasi non fosse certa di
quello che avrebbe
detto se avesse aperto bocca.
-
Quando le cose si sono messe male, tu hai fatto tutto da sola. Eravamo
una
squadra! – esclamò Henry, sempre più
rabbioso.
-
Oh, sì? – Stavolta fu Emma ad urlare. La sua voce
divenne oscura e roca, piena
di malignità. I punti in cui la sua pelle aveva assunto
quelle sinistre sfumature
verdi parvero pulsare. – Io sono un Oscuro. Posso non essere
più la madre che
ero prima... ma la madre che siede a quel tavolo ti ha detto che mi ha
rinchiusa in una prigione, nei sotterranei di un castello, quando io
avevo più
bisogno
della mia famiglia?!
Henry
ammutolì all’istante.
-
Avevo portato Lily con me perché l’aiutassero.
Volevo che ci aiutassero
entrambe. Che Merlino ci aiutasse! Invece... hanno solo finto di farlo.
-
È vero? – domandò Henry a Regina.
-
Henry, io...
-
Quando riavrò gli acchiappasogni, loro riavranno i ricordi.
E si renderanno
conto che è vero. Ma in fondo lo sanno già.
Henry
decise che non voleva ascoltare altro. Strinse le labbra e se ne
andò.
-
Spero che tu sia soddisfatta. – commentò Regina.
Aveva una gran voglia di
ribaltare il tavolo e scagliare sfere di fuoco.
Emma
nemmeno si degnò di guardarla.
Gold
si alzò in piedi, appoggiandosi al bastone. –
Credo sia ora di mettersi al
lavoro.
Tutti
si affrettarono a levare le tende, rivolgendo rapide occhiate ad Emma,
che non
mosse un muscolo. Sapeva che sarebbe dovuta rimanere lì, ad
aspettare, mentre
la sua famiglia faceva ciò che era necessario per fermare
Lily. Ci avrebbero
impiegato giorni e non avevano tutto quel tempo.
Gold
si fermò accanto a lei, lasciando andare avanti il resto
della squadra. – Deve
capirlo, signorina Swan. Non si fidano
dell’oscurità. Non di questa
oscurità. È troppo difficile
controllarla. Ci sono passato.
-
Non ho bisogno di consigli. – sibilò Emma.
L’unica cosa di cui aveva bisogno
era di mettergli le mani intorno al collo. Non vedeva l’ora.
Di stringere e
stringere fino a farlo diventare blu. Non poteva più
difendersi adesso che era
un eroe puro e senza macchia. Era solo un omuncolo zoppo. Aveva
imparato ad
usare la spada, aveva difeso la donna che amava, ma non avrebbe avuto
speranze
contro di lei. Poco importava che non potesse usare la magia. Non
avrebbe avuto
speranze, così
come non aveva avuto
scampo quando non era altro che un filatore umile, dedito al proprio
figlio e
al proprio lavoro. I palmi delle mani le prudevano al punto tale che
Emma, per
un istante, fu sicura che non avrebbe resistito a quel richiamo.
Avrebbe ceduto
e l’avrebbe ucciso...
-
Non era un consiglio. Era un dato di fatto. –
continuò l’ex Oscuro. - Loro
hanno fallito. E lei ha fallito qui, a Storybrooke. Abbiamo tutti
commesso
degli sbagli.
“Quando
le cose si sono messe male,
tu hai fatto tutto da sola. Eravamo una squadra!”
Emma
deglutì a fatica. Aveva la gola riarsa e il cuore che
batteva con colpi lenti e
pesanti. - Non dovreste andare senza di me. Lily è...
-
Lily è pericolosa. Ne sono convinto. Erigeremo delle
barriere protettive e
faremo del nostro meglio. Se usa la magia, signorina Swan...
peggiorerà. Lo sa
bene. Si è guardata allo specchio?
Lily
osservò l’allegra famigliola uscire dalla villa di
Regina, attraversare il
vialetto e svoltare l’angolo, diretti verso la biblioteca.
Tremotino era
l’ultimo della fila e si attardò davanti a casa,
quasi fosse indeciso sul da
farsi. Belle tornò sui suoi passi e i due parlarono per
alcuni minuti.
A
Lily non interessava ascoltare cos’avevano da dirsi la Bella
e la Bestia. Le
interessava chi era rimasto in quella casa. Un’arciera usata
come cane da
guardia... ed Emma. E l’arciera non costituiva un problema.
-
Sai cosa devi fare. – disse una voce maschile, dietro di lei.
– Non metterci
troppo. Ah. E un’ultima cosa.
-
Cosa?
Rothbart
scostò il cappuccio della sua tunica. Il viso
dell’Oscuro era pallido e con le
guance leggermente scavate. Alcune vene verdi in esposizione
tracciavano
sentieri lungo quella faccia. Portava i baffi e aveva una fitta massa
di
capelli rossi, con tante ciocche che gli ricadevano sulle orecchie,
sulle
spalle e sulla fronte, disordinatamente. – Lasciami
Tremotino.
-
Perché?
-
Mi piace. – Sorrise, mostrando denti giallastri, molto
più simili a zanne. – Mi
piaceva di più quando era un Oscuro. Avrei voluto
incontrarlo allora. Ma non
avrai niente in contrario se mi sostituisco a lui...
-
Puoi prenderti chi ti pare. Non è un mio problema.
Rothbart
rise. La sua era una risata divertita, fredda e cattiva. Lily aveva
tastato la
mente dello stregone. Era una mente vasta, la mente di un uomo che un
tempo si
chiamava Eric von Rothbart e aveva imparato ad usare la magia in
giovane età.
Era diventato sempre più avido di potere, fino a quando non
aveva stretto il
patto con il precedente Oscuro, Cornelius, per superare il suo maestro
ed
eliminarlo. Non era riuscita ad andare molto in là,
perché lui non gliel’aveva
permesso, ma aveva visto sprazzi della sua vita nel castello che aveva
poi accolto
Emma come prigioniera.
-
Ho qualche idea per questo posto, quando avremo finito.
Ricostruirò il mio
castello. Si torna ai fasti di centinaia di anni fa, cara! –
continuò Rothbart.
Lily
lo ignorò e si avviò verso la villa.
“Ma
avresti potuto parlarcene.
Avresti potuto dirci tutto. Perché non l’hai
fatto?”
“Quando
le cose si sono messe male,
tu hai fatto tutto da sola. Eravamo una squadra!”
Operazione
Cobra. Lo ricordava.
“Che
cosa succede fra te e tua
madre?”
“Il
problema non siamo noi, ma il
suo sortilegio. Dobbiamo spezzarlo, e ti dirò! Ho
già un piano. Prima mossa...”
-
Identificazione... – disse Emma, sdraiata sul divano bianco
del salone.
“Identificazione.
L’ho chiamata
Operazione Cobra”
“Cobra?
Questo non ha niente a che
fare con le favole!”
“Esatto!
È un nome in codice per
depistare la regina”
-Ti
sei messa a parlare da sola? – domandò Merida,
tendendo di più la corda del suo
arco. – Oppure stai elaborando qualche piano? Non ti
conviene. Non hai i tuoi
poteri. Ed io ti infilzerò con una freccia se
sarà necessario.
-
Tu non mi ucciderai, Merida. Non puoi.
-
No. Ma posso sempre infilzarti un ginocchio. Sento che mi
farà stare meglio,
dopo che ho dovuto lasciare Artù in mano a qualche nano
assoldato da tuo padre.
-
Accomodati pure. – rispose Emma, incrociando le gambe e
aspettando la freccia.
Merida
mirò al suo ginocchio.
-
Ehi, si gioca al tiro al bersaglio con l’Oscuro?
Emma
si alzò di scatto e Merida scoccò la freccia in
direzione della soglia del
salone, senza prendere la mira. Lily acchiappò la freccia
con una mano e la
gettò via, per poi liberarsi anche di Merida con un gesto
della mano.
-
Avrebbero dovuto lasciarla dov’era. Qui non serve a molto.
– disse Lily,
dandosi un’occhiata intorno. Prese una foto di Henry e Regina
sistemata su una
mensola e racchiusa in una cornice d’argento. – O
permetterle di uccidere Artù.
Bella casa.
-
So perché sei venuta.
-
Sono venuta perché ho visto quella banda di imbecilli uscire
di casa senza di
te. E immaginavo che non ti avessero invitata nella loro... ricerca.
Che
richiederà molto tempo senza la magia. – Lily si
avvicinò ad Emma.
-
No. Tu sei venuta qui... perché vuoi essere fermata. Come
quel giorno, quando
ti ho trovata. Oppure vuoi che mi unisca a te.
-
Emma... stai lottando per niente. – Posò la foto
al suo posto. - So che cosa
vuoi... lo percepisco. Non ho bisogno di guardare attraverso i tuoi
occhi.
-
La responsabile sono io. – ribatté Emma,
gentilmente. Le prese una mano,
stringendola fra le sue. Vide che anche l’amica stava
cambiando. Il viso era
solcato da venature violacee e sul palmo della mano e tra le dita la
pelle aveva
assunto una sfumatura verde oro. – La mia famiglia ha
fallito, con noi. Ma se
tu soffri più di quanto dovresti, sono io la responsabile.
Lily
si limitò a fissarla. Poi batté le palpebre.
– Tu mi hai salvata. Trasformarmi
in un Oscuro non è stata una delle tue migliori idee... ma
so perché l’hai
fatto. Loro, invece? Perché ti hanno voltato le spalle?
Vieni con me, Emma.
Nimue ha ragione. Insieme siamo più forti.
“Uno
dei miei contatti ha trovato
un indirizzo, ma è di cinque anni fa”.
“Emma,
che c’è?”
“Si
trova a Lowell, in
Massachusetts, che è a meno di... cinquanta chilometri da
Boston, dove abitavo
cinque anni fa. Siamo cresciute in Minnesota, ci siamo separate da
ragazzine e
siamo finite a vivere da adulte a mezz’ora l’una
dall’altra”.
“Come
ho detto, è destino. E il
vostro vi spinge a stare insieme”.
Lily
mise la propria mano sopra quella di Emma. – Anche tu sei
stanca di lottare.
Sospirò.
Oh, si sentiva indicibilmente stanca. Lottare contro quella parte di
sé che
aveva quasi ucciso Regina nelle segrete del castello di Rothbart era
sempre più
complicato. - Questo non conta. Non conta quanto siamo stanche...
perderai te
stessa, Lily.
-
Forse sono sempre stata destinata a questo. L’Anti
Salvatrice... ed ora
l’Oscuro. Non c’è mai stata nessuna
luce... a parte te.
Emma
continuava a tenere la mano di Lily fra le sue.
-
E sarai tu a perdere. Sarete voi. Se non vieni con me adesso... non
avrete
alcuna possibilità. Questa notte sarà tutto
finito.
-
Ci deve essere un modo...
-
Certo che c’è. – Lily, ora, sembrava
triste. Rassegnata, persino. Le mostrò
Excalibur, con i loro nomi incisi sulla lunga lama. Accostò
la spada al viso di
Emma, che non si ritrasse, avvertendone il morso gelido. –
C’è e lo conosci
bene. Resta un’unica soluzione per fermare un Oscuro... ed
è ucciderlo.
In
biblioteca, tutti si stavano dando da fare, esaminando le Cronache
degli
Oscuri.
Belle
aveva il naso affondato tra le pagine ingiallite di un grosso libro
rilegato in
pelle nera. David ne mise uno da parte e si stropicciò gli
occhi, per poi
afferrarne un altro dalla pila sistemata accanto a lui. Killian
scrutava,
perplesso, gli strani simboli che aveva davanti, sfiorando le parole
con la
punta del suo uncino.
Henry
stava vagando tra gli scaffali, impegnato a cercare qualsiasi cosa
potesse
aiutarli a capire il piano di Lily. E intanto pensava a sua madre. Alle
sue
madri.
“La
madre che conosco non mi
avrebbe mai nascosto niente. Non avrebbe... pensato di fare del male a
Violet
per spezzare il mio cuore. Non avrebbe spezzato quello della sua unica
amica”.
“L’ho
fatto per liberare Merlino. È
stato terribile... anche per me. Ma allora credevo di non avere scelta,
se
volevo distruggere l’oscurità”.
Henry
prese un libro. Gold gli passò accanto, riservandogli un
sorriso, prima di
sparire in mezzo a due scaffali, le braccia cariche di tomi spessi e
consunti.
“Io
sono un Oscuro. Posso non
essere più la madre che ero prima... ma la madre che siede a
quel tavolo ti ha
detto che mi ha rinchiusa in una prigione, nei sotterranei di un
castello, quando
io avevo più bisogno della mia famiglia?!”
Era
arrabbiato. Anzi, non era solo arrabbiato. Era furioso. Ce
l’aveva con Emma per
averlo tagliato fuori, per aver deciso di risolvere tutto da sola. E ce
l’aveva
con Regina perché aveva rinchiuso Emma in una segreta.
“L’ho
fatto per liberare
Merlino...”
“La
madre che siede a quel tavolo
ti ha detto che mi ha rinchiusa...”
-
Henry...
Si
girò di scatto. Emma gli sorrise.
-
Mamma... sei scappata? – sussurrò.
Sbirciò in fretta tra gli scaffali. Gli
altri erano ancora chini sui libri e non avevano notato niente.
-
Per un buon motivo. Lily è venuta da me.
-
Lily? Da te? Perché?
-
Voleva che mi unissi a lei. Ma questo non conta. Posso risolvere tutto.
E ho
bisogno che ti fidi di me.
Henry
strinse le labbra. – Te l’ho detto.
-
Sì. Ti ho ascoltato. Ti ho ascoltato davvero. Non voglio che
tu mi tolga il
bracciale.
-
E come farai senza la magia?
-
Con un po’ di aiuto. Il tuo. – Emma sembrava ancora
la Emma che lui ricordava.
Nonostante lui vedesse nel suo sguardo quella scintilla sinistra,
quell’oscurità annidata dentro il suo corpo e che
rischiava di prendere il
sopravvento... le parve ancora la ragazza che aveva portato a
Storybrooke, la
ragazza con la giacca rossa e gli occhi determinati. Quella Emma non
credeva alla
maledizione e indossava una corazza per proteggersi da tutto
ciò che avrebbe
potuto ferirla, ma era rimasta in città. Era rimasta per
aiutarlo. – Lily ha
rubato gli acchiappasogni, ma se riesco a recuperarli, potrò
aiutare tutti.
-
Recuperarli... vuol dire che Lily deve essere da tutt’altra
parte mentre lo
facciamo. Lei... lei forse non ci ucciderà, ma ci
fermerà se ci scopre. E può
succedere. Vede attraverso i tuoi occhi.
-
Anch’io so come bloccarla. So anche depistarla, se
necessario. E poi è convinta
che niente possa fermarla, ormai. Il suo piano è
già in atto...
-
Ma...
-
Un incantesimo di localizzazione. Ecco che cosa serve. –
Malefica era comparsa
dietro ad Henry senza alcun preavviso.
-
Malefica, che cosa stai...? – cominciò Emma.
-
Non ci provare, Emma. Sono responsabile quanto te di ciò che
è accaduto a Lily,
quindi non mi terrete fuori da questa storia.
Henry
diede un’occhiata agli altri per assicurarsi che non si
fossero accorti di
nulla. Erano ancora molto concentrati nella lettura. Sua nonna gli dava
le
spalle e si era presa la testa fra le mani. Belle aveva appena aperto
un altro
libro che lui aveva lasciato sul tavolo.
-
So dove prendere un incantesimo localizzatore. – disse Henry.
– Ma ho bisogno
delle cose che hai usato per costruire gli acchiappasogni.
-
Dimmi dov’è questo incantesimo. Lo
prenderò io. – replicò Malefica.
-
Bene. – rispose Emma. Poi si rivolse di nuovo ad Henry.
– Allora vuoi aiutarmi?
Suo
figlio sorrise. – Mi serve solo un’altra cosa?
-
Che cosa?
-
Un nome.
Certo,
il nome della missione. Emma non ci pensò su troppo a lungo.
– Operazione
Cobra, parte seconda.
-
Andrà bene.
Regina
entrò in biblioteca, trovando, Gold gli Azzurri e Belle
immersi nello studio
approfondito delle Cronache degli Oscuri.
Non
ce la faremo mai così, pensò,
osservando tutti i libri ammucchiati sul tavolo.
“Esiste
un modo più semplice e
veloce. Sono ancora un Oscuro. Posso usare la magia. Ma dovete
togliermi il
bracciale”.
Forse
avrebbe dovuto darle una possibilità. Forse avrebbe dovuto
rifletterci meglio e
permetterle di facilitare la loro ricerca.
-
Regina, dov’è Robin? –
domandò Neve, alzandosi e venendole incontro.
-
È rimasto con Roland. – Un sapore amaro le aveva
invaso la bocca. Robin non
faceva altro che pensare alla bambina che aveva perso, a quanto era
stato
stupido a fidarsi di Zelena. Voleva trovare un modo per andare ad Oz e
recuperarla.
“Ci
serve la bacchetta. Ma finché
ce l’avrà Lily, noi non potremo...”
“Lo
so bene. Non c’è bisogno che me
lo ricordi, Regina. Pensi che sia uno stupido?”.
-
Qualcosa non va? – domandò Neve.
Regina
aprì la bocca per rispondere, ma Uncino la precedette.
– Che diavolo è quello?
Tutti
sollevarono il capo e guardarono da una delle finestre della
biblioteca.
C’era
una figura, davanti all’edificio.
Una
figura enorme, alta e con le spalle larghe, avvolta in una tunica nera
e
pesante, munita di cappuccio. Indossava una maschera a forma di teschio
con
corna di cervo. Sollevò una mano, puntando il dito contro di
loro. Belle si
coprì la bocca con una mano.
-
Indietro! – gridò David, coprendo la moglie con il
suo corpo e spingendola sul
pavimento.
Il
primo attacco del demone si schiantò contro la barriera
magica che circondava
la biblioteca. Un’abbacinante luce rossastra costrinse tutti
a chiudere gli
occhi o a ripararseli con un braccio. Regina capì che la
protezione non avrebbe
resistito. Percepiva chiaramente il potere che emanava. Era un potere
antico e
oscuro. Ma si preparò comunque ad affrontarlo.
-
Cornelius... – mormorò Gold, alle sue spalle.
Il
mostro lanciò un grido, che sembrò più
simile al ruggito di una belva affamata
e poi colpì l’asfalto con il pugno chiuso. Si
aprì una crepa, che si allungò
fino a raggiungere la biblioteca. Il suo secondo attacco ruppe
l’incantesimo di
protezione, che esplose in una moltitudine di frammenti. Pezzi di
vetro,
cemento e legno volarono in ogni direzione, quando la facciata
dell’edificio si
sgretolò. Dal cratere che si era formato al centro
entrò il demone che Gold
aveva chiamato Cornelius. Uno scaffale colmo di libri si
piegò, urtando il
successivo ed entrambi caddero di schianto, riversando una moltitudine
di libri
sul pavimento.
Un
globo infuocato guizzò dalla mano di Regina, fulmineo come
una saetta. Colpì
l’essere in pieno petto e quello arrestò la sua
avanzata, vacillando sulle
game. Ma il globo venne risucchiato dal suo enorme corpo. Solo la parte
superiore della tunica era bruciata, rivelando un’armatura
sotto di essa.
Gold
alzò una mano, ma si rese subito conto che era una
sciocchezza, perché non
possedeva più la magia. Possedeva solo il suo bastone e un
cuore che l’Oscuro
aveva reso puro solo per poter recuperare la spada. Imprecò
contro Emma e
contro se stesso. Belle lo fissò, terrorizzata. Poi strinse
il bastone e sferrò
un colpo, che raggiunse Cornelius agli stinchi. Lui si fermò
e la maschera da
teschio si volse. I suoi occhi erano due buchi neri e risucchianti, nei
quali
sfavillava una sinistra luce rossa. Allungò una delle grandi
mani nude solo per
appoggiargliela sul petto e spingerlo lontano da sé.
Killian
gli conficcò il proprio uncino nella schiena, ma
l’essere continuò ad avanzare,
indisturbato, trascinandoselo dietro. David lo afferrò per
la giacca,
strattonandolo e liberandolo dalla presa di Cornelius.
L’ombra
gigantesca sovrastò Regina. Le dita si aprirono e
l’acchiapparono per i
capelli, tenendola forte. Regina si dibatté ferocemente, ma
senza risultato. Fu
costretta a fissare da vicino la maschera a forma di teschio, le corna
che
sormontavano l’elmo e lo sguardo truce. Si liberò
di lei, mandandola a sbattere
contro uno scaffale.
Gli
occhi di Cornelius si accesero e un lampo rosso illuminò la
biblioteca,
accecando tutti, momentaneamente. Intanto, un tentacolo di magia si
protese
fino alla caviglia di Neve, si attorcigliò intorno ad essa e
iniziò a tirare.
Lei scalciò e annaspò per aggrapparsi a qualcosa.
-
No! – David prese la moglie per le braccia. –
Lasciala andare!
-
Lei vuole te. – sibilò una voce cupa, dietro la
maschera. – Vuole te,
Biancaneve.
Sospinse
David contro la parete in fondo e sollevò la madre di Emma
da terra. Poi
scomparse in una nube rossa.
-
Sono qui. – disse Henry, stringendo il ramo di salice
intrecciato che Emma gli
aveva dato in modo che potessero localizzare gli altri acchiappasogni.
Il ramo
splendeva di una densa luce azzurrina.
Emma
salì le scale che conducevano in cima alla torre
dell’orologio. Malefica la
seguì.
-
Non ha senso. Perché Lily dovrebbe tenere gli acchiappasogni
in un luogo in cui
possiamo riprenderceli? – Emma osservò gli oggetti
che aveva usato per
sottrarre i ricordi della sua famiglia. Dondolavano appesi alle travi
della
torre. – Nimue non poteva suggerire un altro posto?
Allungò
una mano e un incantesimo di protezione la respinse.
-
Perché non possiamo prenderli. – rispose Henry.
-
Lily era convinta che non avreste potuto. – Malefica si fece
avanti e, con un
gesto della mano, infranse la protezione. – Perché
era sicura che non avreste
tolto il bracciale ad Emma. E che nessuno l’avrebbe
ascoltata.
Emma
strinse le labbra e iniziò a raccattare tutti gli
acchiappasogni.
-
Rivoglio subito i miei ricordi, dato che ti ho dato una mano.
– disse Malefica.
-
Se mi togliete il bracciale...
-
A questo ha pensato tuo figlio. – Da una tasca interna della
giacca grigia che
portava sulle spalle, estrasse una piccola ampolla blu. –
Spero che sia
sufficiente.
-
Henry... – mormorò Emma, sorpresa.
-
Non eri obbligata a coinvolgermi. – rispose il ragazzino.
– Ma l’hai fatto. Hai
deciso che potevamo ancora essere una squadra. Mi hai permesso... di
fare
qualcosa per aiutarti. Lo apprezzo. E se tu hai fatto un passo
indietro, lo
farò anch’io.
Emma
allungò il braccio ed Henry lasciò cadere il
liquido magico sul bracciale. Poi
glielo tolse con facilità.
-
Mi farò perdonare. – promise, mettendogli le mani
sulle spalle.
-
Comincia restituendoci i ricordi.
Emma
annuì. Prese l’acchiappasogni di Malefica e lo
attivò, permettendo alla scia di
memorie di ritornare dalla sua proprietaria e fece lo stesso con il
figlio.
Henry batté le palpebre quando gli eventi di Camelot presero
forma nella sua
mente e i pezzi si saldarono l’uno con l’altro.
Malefica si appoggiò al muro,
sconvolta. La giacca le cadde dalle spalle e i suoi occhi si accesero,
diventando dorati.
Emma
stava per dire che dovevano andarsene in fretta dalla torre. Avvertiva
una
presenza nelle vicinanze. Qualcosa di grosso e oscuro che li osservava.
Qualcosa
di... simile a lei... che gli solleticava la mente.
-
Henry...
-
Non siamo soli. – disse Malefica.
Un
basso grugnito inumano la interruppe. Sulle scale comparve un mostro
che aveva
le sembianze di un cinghiale più grosso del normale.
Piantò gli zoccoli
anteriori su uno degli ultimi scalini. Dalle narici uscivano due
sottili fili
di fumo e dalla bocca spuntavano due paia di zanne bianche e acuminate.
“Io
sono molte cose. Sono... la
voce nella tua testa. Sono i poteri oscuri che risiedono in te... e che
hanno
avuto tutti i Signori Oscuri. Tremotino... è uno di loro!
Preferisci qualcun
altro?”
Il
cinghiale mosse qualche passo verso di loro. Henry
indietreggiò. Malefica aprì
le mani e in esse apparve lo scettro.
“Che
ne dici di... Gorgon
l’Invincibile?”
-
State indietro. È un Oscuro. – disse Emma,
proteggendo il figlio con il suo
corpo. – Malefica, porta via Henry.
Gorgon
spalancò le fauci, ruggì e sputò un
getto di fuoco verso di loro. Emma sollevò
entrambe le mani e deviò le fiamme. Ebbe la conferma che non
si trattava
affatto di un’allucinazione. Era reale. Reale come lo era
lei. Non il frutto di
qualche incantesimo, ma una presenza vera nella torre di Storybrooke.
L’Oscuro
che aveva preceduto Zoso era lì, in carne ed ossa. Non
capiva come fosse
possibile e tuttavia lo respinse con la magia, costringendolo ad
indietreggiare. Il cinghiale sbuffò, infuriato.
-
Non ti lasceremo qui! – esclamò Henry.
-
Posso tenerlo a bada. Porta gli acchiappasogni a casa di Regina.
– disse Emma.
Gorgon
sputò fuoco un’altra volta e lei lo
bloccò di nuovo. La ringhiera delle scale
si incendiò. Pezzi di legno esplosero.
-
Vai! – gridò Emma.
Malefica
afferrò Henry.
La
torre dell’orologio era in fiamme. Regina la vide dalla
finestra di una delle
sue stanze al piano superiore.
Bruciava.
-
Mamma! – La voce di Henry la spinse ad accostare le tende e a
scendere al
pianterreno. Suo figlio era là, con Malefica... e un mucchio
di acchiappasogni.
-
Henry... li hai trovati. Dove...?
-
Emma. Mi ha aiutato lei.
-
E dov’è Emma, adesso?
-
Una brutta sorpresa ci stava aspettando nella torre
dell’orologio. Un Oscuro,
secondo quello che ha detto Emma. – specificò
Malefica.
-
Oscuro?
Henry
le parlò dell’enorme cinghiale sputa fuoco che
faceva la guardia agli
acchiappasogni.
-
Cinghiali sputa fuoco? Che scherzo è questo?
Un’invenzione del nuovo Oscuro? –
domandò Killian.
-
Gorgon. Il suo nome è Gorgon. – disse Tremotino.
Aveva un’aria corrucciata. –
Lo chiamavano Gorgon l’Invincibile.
-
Non è davvero invincibile. Sono sicuro che Emma...
-
Se gli Oscuri sono qui e non sono allucinazioni... –
iniziò Tremotino. – Temo
di comprendere che cosa ha fatto Lilith.
Malefica
per prima stentava a crederci. – Ho i miei ricordi. Lily ha
richiamato tutti
gli Oscuri.
-
Che ci uccideranno. – concluse Killian.
-
Certamente non vengono ad offrirci un tè, capitano.
– rispose Tremotino,
alzandosi. La gamba gli faceva male. Molto più del solito.
– Prenderanno delle
vite. E una volta che avranno recuperato appieno i loro poteri...
sarà la fine.
Adesso hanno solo un accesso temporaneo a questo mondo, come un visto
turistico... ma se prendono il posto di anime viventi, potranno
rimanere.
-
Anime viventi... noi. – osservò Killian.
-
Già. Vi siete controllati i polsi?
Tutti
tirarono indietro le maniche delle giacche e delle camice.
-
Non c’è niente, sul mio. – disse
Malefica, mostrando il polso nudo.
-
Nemmeno sul mio. - aggiunse Henry.
Regina
ritirò la manica della giacca beige. Sulla sua pelle
brillò un cerchio di luce
gialligna, ma si dissolse prima che potesse davvero metterlo a fuoco. E
così
anche sui polsi di Robin e Killian. Persino Knubbin ne aveva uno e lo
studiò,
portandosi il polso a pochi millimetri dagli occhi. Il suo corvo
gracchiò,
contrariato.
-
Questo è... – iniziò il mago.
-
Il Marchio di Caronte. – spiegò Tremotino.
-
Il traghettatore della mitologia? – Henry era basito.
– Conduceva le anime
verso l’Oltretomba.
-
Ragazzo in gamba. E Lily ha fatto delle scelte molto interessanti. Di
certo a
quest’ora... anche Biancaneve ha un marchio simile.
– Anche Tremotino sapeva di
avere quel marchio sul polso. Non aveva bisogno di guardare.
– Non abbiamo
molto tempo.
-
Cos’è successo alla nonna?
David
entrò in salotto, trafelato, con una pistola a tracolla.
-
Dove pensi di andare? – domandò Regina.
-
A cercare Neve. Non intendo starmene qui ad aspettare che Lily le
faccia del
male.
-
Non ci andrai, perché se lo farai, morirai... e non
è così che puoi aiutarla.
-
Morirà anche Neve, se non vado.
-
Moriremo tutti. – Regina lo mise al corrente del piano di
Lily e degli altri
Oscuri. – Come pensi di affrontarli? Con una pistola?
David
aprì il polsino della camicia. Il marchio del traghettatore
sfavillò, come se
gli stesse facendo l’occhiolino. - Dov’è
Emma?
Una
nube grigia apparve al centro del salone ed Emma ne uscì,
tutta intera. – So
che cosa sta facendo Lily.
-
Sì. Anche noi lo sappiamo. – mormorò
Regina.
-
Avete recuperato i ricordi?
Regina
scosse il capo. Le disse di quello che era successo in biblioteca e le
parlò
del marchio di Caronte.
-
Quando la luna sarà al suo apice. – disse
Tremotino. – Arriverà subito il
traghetto per l’Oltretomba e ci trascinerà
laggiù.
-
Non è molto allettante, Coccodrillo. –
osservò Killian, sbirciando fuori dalla
finestra.
-
Per esperienza personale... posso dire che non lo è.
-
Allora come lo impediamo? – chiese Emma.
-
Non possiamo. – La voce di Tremotino suonò
lapidaria, ma decisa. – L’Oltretomba
è peggio di ciò che possiate immaginare. Molto
peggio. Vi farà desiderare che le
vecchie storie di fiamme e zolfo siano vere... vi farà
desiderare di morire! Ma
poi... vi renderete conto che la morte è già
arrivata e che quella tortura...
non finirà mai.
-
Stai spaventando mio figlio. Ora basta! – esclamò
Regina. Ma lei era la prima a
sentirsi atterrita. Guardò Emma, istintivamente, alla
ricerca di sostegno, ma
lei sembrava ancora più pallida del solito. Era cadaverica.
-
Ad essere onesti, sta spaventando anche me e il mio corvo! -
asserì Knubbin,
con una voce stridula.
-
Bene, perché dovremmo essere tutti spaventati! Questa
è la morte. È una
battaglia che non possiamo vincere.
-
No! – si ribellò Emma. – Posso ancora
aiutare Lily. Non sono marchiata. E non
intendo arrendermi.
-
Mi unisco all’Oscuro. – disse Malefica.
-
Ci deve essere qualcosa che possiamo fare! - Emma fissò
Tremotino con gli occhi
sgranati. Henry le prese una mano.
-
Sì, qualcosa c’è. – rispose
Tremotino. Si allentò il nodo della cravatta. –
Usiamo bene il tempo che resta. Usiamolo per dire addio.
Il
crepuscolo volgeva al termine e quel che restava del tramonto era una
striscia
rossastra al di là dei boschi. Nuove nuvole minacciose si
stavano assiepando in
cielo. Il vento spazzava le strade deserte di Storybrooke e le acque
del lago
presso il quale Lily si trovava.
Rabbrividì,
ma non per il freddo. Era il senso di solitudine. Si sentiva come un
astronauta
fluttuato troppo lontano dalla propria nave spaziale e ormai alla
deriva in un
buio senza limiti.
Ma
c’era ancora del lavoro da fare.
Estrasse
un acchiappasogni. L’unico che non aveva nascosto nella torre
dell’orologio.
L’aveva tenuto con sé. Si avvicinò
all’albero presso il quale era legata e
imbavagliata Biancaneve, che non faceva che mugugnare e dibattersi per
liberarsi dalle catene magiche.
Avvertì
un fastidioso ronzio nelle orecchie e avvertì una certa
pressione nella mente.
Scosse il capo, nel tentativo di liberarsene. Non era Emma.
L’avrebbe
riconosciuta e ogni tentativo che aveva fatto di guardare attraverso i
suoi
occhi era stato bloccato. Aveva smesso di provarci, ma stava sempre
all’erta.
Quella pressione, però, era diversa. Cercò di
erigere una nuova difesa, però la
presenza la aggirò.
Che
cosa credi di fare?, chiese
una voce cupa nella sua testa.
Gorgon
emerse da una nube nera, avanzando sul prato. Il grosso cinghiale
grugnì.
Avrebbe dovuto immaginare che si trattava di lui. Poteva comunicare
solo con la
mente, dato che non era in grado di parlare.
Non
provare mai più a bloccarmi. Ti
ricordo che abbiamo un accordo. È già difficile
per me raggiungerti senza
lottare per farmi sentire. Non ho ancora recuperato tutti i miei
poteri.
-
Beh, scusami. – rispose Lily, senza troppa convinzione.
– Suppongo che Emma
abbia trovato gli acchiappasogni.
Ci
ha pensato lei e anche tua
madre. E il ragazzino. Perché non possiamo uccidere anche
lui?
-
Perché fa parte dell’accordo. - tagliò
corto Lily. Poi si avvicinò a Biancaneve
con l’acchiappasogni e lo azionò. I ricordi
tornarono nella mente della madre
di Emma. Lei spalancò gli occhi, sbalordita. –
Divertente, vero? Tu e la tua
famigliola non avete più scampo. Non appena la luna
sarà al suo apice, il
traghettatore verrà a prendervi. E gli Oscuri torneranno in
vita.
-
È questo l’accordo che hai stipulato? Vuoi davvero
che muoiano tutti? Non pensi
ad Emma?
-
Ad Henry non succederà niente. E nemmeno al tuo bambino.
Loro sono innocenti. –
Lily si avvicinò a lei. Estrasse la spada che aveva usato
per ferire Tremotino
e procurarsi il sangue. – Tu no.
-
Emma... non ti perdonerà mai.
-
Non darle retta. – disse Nimue. Gettò il cappuccio
della tunica dietro le
spalle. – Non appena tutto sarà compiuto, Emma si
unirà a noi.
-
Non lo farà mai. – rispose Biancaneve. –
Emma lotterà.
-
All’inizio. Ma è già fin troppo stanca
di lottare. Lotta da una vita intera.
Proprio come Lily. Per questo insieme sono più forti.
– Nimue puntò un dito
contro di lei e lo appoggiò sul suo petto. – E sei
stata tu a volerlo. Quando
hai maledetto Lily, l’hai legata indissolubilmente a tua
figlia. La magia ha
sempre un prezzo, Biancaneve.
-
Non ti sei mai scusata. Non che sarebbe servito, ma avresti potuto
almeno
tentare. – disse Lily.
Biancaneve
restò in silenzio.
-
Sai perché sei qui? – continuò Lily,
avvicinando la lama alla sua gola. –
Perché sarai l’ultima a morire. Prima soffrirai.
Biancaneve
aprì la bocca per parlare e Lily usò la punta
della lama per aprire un taglio
nel punto in cui il collo si congiungeva col torace. Un rivolo di
sangue
impregnò il tessuto della camicetta bianca.
-
Mi dispiace. - replicò Biancaneve, sconvolta.
-
È tardi. Questo non li salverà. E non
salverà nemmeno te. – Lily le spinse la
lama nella spalla. Questa volta lasciò che sprofondasse un
po’ nella carne e si
godette i lamenti di Biancaneve. La estrasse senza riguardi. Goccioline
rosse
piovvero sull’erba.
-
Non avrei dovuto portarti via a tua madre. Io e David volevamo
restituire
l’uovo a Malefica... siamo stati ingannati. Non sapevamo...
non sapevamo che
l’Apprendista intendesse bandirti. –
Arrivò alla fine della frase senza fiato.
-
Volevate restituirlo dopo avermi maledetta. Certo. Immagino fosse
più semplice
credere che sarebbe bastato questo. Credere... che fossi solo un
mostro. – La
voce di Lily ora era alterata e tremante. Stentò a
riconoscerla come sua.
-
Volevamo... proteggere Emma. – mormorò Biancaneve.
-
Volevi, semmai. Tuo marito ti ha
seguito perché è una testa vuota. Sei stata tu a
decidere.
-
Avevo paura per mia figlia!
-
Naturalmente. Non avresti mai accettato che tua figlia fosse oscura,
vero?
Volevi che fosse perfetta! Ma sai una cosa? Hai fallito. Non solo a
Camelot.
Hai fallito molto tempo fa. L’oscurità...
è tornata a prendersela! – Lasciò
scivolare la lama lungo il suo braccio, tagliando un pezzo di stoffa e
la pelle
sotto di essa.
Biancaneve
urlò.
-
Ci deve pur essere qualcosa per fermare questo incantesimo. –
disse Henry,
trasportando altri libri e piazzandoli davanti ad Emma.
La
cripta era molto affollata. Il tempo stringeva ed Emma, che aveva
restituito
loro i ricordi, aveva insistito perché tutti si mettessero
al lavoro. Ma gli
unici che sembrava cercare veramente una soluzione erano lei ed Henry.
Knubbin
non era neanche venuto con loro. Era andato da Granny’s a
mangiarsi una doppia
porzione di hamburger e patatine perché non voleva morire
con la pancia vuota. Suo
padre aveva posato il libro che aveva in mano e aveva preso una spada,
sistemandola nel fodero che poi si era legato in vita. Killian girava
svogliatamente le pagine, scambiando qualche occhiata con David. Neal,
in un
angolo, dormiva, ignaro di tutto ciò che stava capitando
intorno a lui.
-
Papà, cosa stai facendo? – chiese Emma, allibita.
-
Vado a cercare tua madre. Anche se morirò, almeno
l’avrò fatto combattendo. –
rispose, risoluto.
-
Non puoi... non puoi arrenderti così. Tu e Biancaneve... non
vi arrendete mai.
-
Swan... – Killian si alzò e si avvicinò
a lei, con cautela. Le posò una mano
sul braccio e la costrinse a guardarlo. – Non pensavo che
l’avrei mai detto ed
è già la seconda volta, ma... il Coccodrillo
forse ha ragione. Non possiamo
vincere stavolta.
Nella
mente di Emma, Tremotino ricominciò a parlare.
“Prenderanno
delle vite.
E una volta che avranno recuperato appieno i loro poteri...
sarà la fine.
Adesso hanno solo un accesso temporaneo a questo mondo, come un visto
turistico... ma se prendono il posto di anime viventi, potranno
rimanere”.
Le
sue parole le facevano venire la pelle d’oca, le gelavano il
sangue nelle vene.
“Usiamo
bene il tempo che resta.
Usiamolo per dire addio”.
Emma
si scostò, rabbiosamente. Poi afferrò Uncino per
la gola con la magia e lo
scaraventò contro la parete opposta.
-
Mamma! – gridò Henry.
-
Emma, fermati, che cosa stai...? – David cercò di
afferrarla, ma Emma fu molto
più rapida e la sua mano destra lo prese per la gola. Le
sfumature verdastre
sul suo viso parvero allargarsi e così anche le sue iridi.
Sollevò il padre da
terra. Lui gorgogliò qualcosa.
“Tu
mi hai salvata. Trasformarmi in
un Oscuro non è stata una delle tue migliori idee... ma so
perché l’hai fatto.
Loro, invece? Perché ti hanno voltato le spalle? Vieni con
me, Emma. Nimue ha ragione.
Insieme siamo più forti”.
-
Mamma... controllalo. – disse Henry, spostando lo sguardo da
lei a David. –
Controllalo. Puoi farlo...
Emma
vide suo padre che diventava paonazzo e annaspava. Vide i suoi occhi
fuori
dalle orbite. Vide le dita che si tendevano verso di lei.
Lo
lasciò. David cadde in ginocchio e boccheggiò, in
cerca d’aria.
-
Io... non... – iniziò Emma. Fissò
quella mano che aveva quasi strangolato suo
padre. Tremava in modo incontrollabile. – Mi dispiace tanto...
-
Va tutto bene, Swan... – disse Uncino. Ma mantenne comunque
le distanze. – Io
credo che... credo sia meglio andarcene.
-
Papà...
David
si massaggiò la gola, ma non le disse niente. Emma
notò il segno delle proprie
unghie sulla sua pelle. Allungò le dita per toccarlo.
E
subito le ritrasse.
Aveva
quasi ucciso suo padre.
Aveva...
-
Emma... – iniziò David.
-
Andate. Non preoccupatevi per me. Andate. – Emma
girò le spalle a tutti,
osservando il proprio riflesso nello specchio. Aveva lo sguardo acquoso
e
arrossato, gli occhi segnati da ombre scure, la pelle marmorea era
verdognola
in più punti. Il male la corrodeva e si era espanso sul
mento e sul labbro
superiore.
-
Non vieni con noi? – chiese Henry. – La nonna...
-
Lo avete detto voi, no? Ci arrendiamo.
-
Emma... lotteremo fino a quando sarà possibile farlo, ma...
– prese a dire
David.
-
Non un’altra parola. – lo interruppe lei, furente.
– La mamma non morirà. Sarà
l’ultima
a morire, perché Lily vuole che soffra. Lo so. Vuole che
soffra, guardando le
persone che ama perire senza che lei possa fare niente per aiutarli.
Tacquero
tutti.
David
smise di toccarsi il collo. Lanciò un’occhiata ad
Emma, indeciso sul da farsi.
Avrebbe voluto abbracciarla. Non importava che avesse pensato di fargli
del
male. Era sua figlia e voleva abbracciarla. Voleva essere perdonato per
non
averle creduto a Camelot. Voleva che Emma si unisse a loro. Ma era
convinto che
se avesse provato a toccarla, Emma si sarebbe allontanata.
-
Emma, avremo bisogno di te. Dobbiamo restare uniti. – chiese
Killian.
-
Verrò. - sentenziò lei, senza voltarsi.
-
Davvero? – domandò Henry.
Emma
si girò, sforzandosi di sorridere. Era un sorriso forzato,
eccessivo. – Sì.
David
prese in braccio il piccolo Neal e si avviò fuori dalla
cripta, seguito da
Killian e da Henry. Il pirata osservò Emma
un’ultima volta, sul punto di dire
qualcosa, ma lei guardava altrove, immersa nei suoi pensieri. Poi anche
lui
salì le scale.
“Usiamo
bene il tempo che resta.
Usiamolo per dire addio”.
Oh,
io userò bene il
tempo che resta, Tremotino. Stanne certo.
-
A quanto pare ci arrendiamo. – disse Regina, meditabonda.
-
No. Né stasera né mai. – rispose Emma.
Fissò l’attenzione su uno dei libri
aperti sul tavolo. Su una pagina c’era un simbolo. Una
spirale. Poco sotto le
parole di un incantesimo. Non era niente che potesse aiutarla contro
gli Oscuri
evocati da Lily, eppure il suo sguardo seguì la linea che
andava all’ingiù, non
verso un punto, ma verso l’infinito. Ordine dal caos o caos
dall’ordine, a
seconda di chi giudicava. Era uno dei simboli più antichi,
il simbolo umano più
remoto di quel ponte instabile che esisteva tra la realtà e
il nulla. Emma la
toccò con l’indice e la tracciò,
partendo dall’interno e andando verso
l’esterno.
-
Emma?
-
Se distruggerò i Signori Oscuri... nessun’anima
sarà dovuta e tu... voi sarete
risparmiati. - La spirale si illuminò un istante, poi le
pagine del libro
vorticarono ed esso si chiuse con un tonfo.
-
Come? – Regina sentiva che ciò che stava per
arrivare non le sarebbe piaciuto.
Per niente.
-
Ricordi la promessa fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il
possibile per
eliminare l’oscurità?
-
Non mi piace il tuo tono. – Il cuore aveva iniziato a battere
forte. Avvertiva
le pulsazioni nelle tempie e il sangue le si rimescolava tumultuoso
nelle vene.
Non
lo dire, Emma. Non
me lo chiedere o mi metterò ad urlare.
-
Ho bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo
dirai a
nessun altro.
Regina
avrebbe voluto scacciare quell’idea dalla sua mente con rude,
rabbiosa energia.
Di tutte le cose da non prendere in considerazione, la prima era
sicuramente
uccidere Emma. Quando parlò di nuovo, scandì bene
ogni parola, come se volesse
piantargliele in testa tutte quante. - Ma per eliminare
l’oscurità... devi
trasferirla dentro qualcuno. Ed eliminare quella persona. Non vorrai...
-
Sì. Sarò io quella persona.
Regina
tacque. Non smise di fissarla un secondo, ma tacque.
-
A Camelot non ti sei fidata di me. Questa volta devi farlo. Devi,
Regina. –
L’espressione di Emma era franca. Limpida. Non
c’era traccia di paura. C’era
solo rammarico. Dolore.
-
Non puoi.
-
Non abbiamo altra scelta.
-
C’è sempre un’altra scelta. Non
possiamo... perdere te, Emma. Forse Lily...
-
Non ci pensare nemmeno. Lily non morirà. Perché
non merita questo. – Emma la
prese per le braccia. – Ho dovuto salvarla a Camelot. Pensavo
che avremmo
potuto aiutarla... ma forse non ci saremmo riusciti in ogni caso. Lily
lo
sapeva. Sapeva di non essere abbastanza forte per
l’oscurità. Ha dovuto lottare
contro di essa per tutta la vita. E
quell’oscurità... era la mia.
-
Oh, Emma, non sei responsabile dell’oscurità che
ha dovuto portarsi dietro.
Quella...
-
Ascoltami! – La scosse. Abbastanza forte da sbalordirla.
– Non c’è tempo. Devi
promettermi che lo farai.
-
Questa è la tua punizione, vero?
Emma
batté le palpebre e inclinò leggermente la testa
di lato, perplessa.
-
Hai detto che ci meritiamo una punizione. È questa? Questa
è la mia punizione
per non aver avuto abbastanza fiducia in te a Camelot? È la
punizione per
averti rinchiusa in quella segreta? – Regina ora sembrava
furibonda. Ma non era
solo furibonda. Un terrore violento l’aveva investita come un
fulmine
improvviso.
-
Regina...
-
E Henry? Chi penserà ad Henry?
-
Tu. Lui sarà con te.
-
Ha già perso suo padre, Emma! Non può perdere
anche sua madre. E mi odierà! Mi
odierà non appena farò ciò che mi
chiedi.
-
No. Non lo farà. Ci penserò io.
-
E in che modo?
-
Non preoccuparti di questo.
-
Certo! Sei l’unica che può preoccuparsi, vero? Ci
sono persone che tengono a
te, qui, Emma!
-
Te l’ho detto. Non abbiamo scelta! – Stavolta anche
Emma urlò. Urlò come se
stesse parlando con una persona troppo dura di comprendonio. Aveva gli
occhi
pieni di lacrime e accesi come tizzoni ardenti.
Che
la vita fosse ingiusta, era una cosa che Regina aveva imparato anni fa.
Ma
tutto questo andava ben oltre l’ingiusto. Nonostante le cose
terribili che Emma
aveva detto e fatto, la sua morte non era semplicemente ingiusta. Era
mostruosa.
Una mostruosità che le riusciva difficile accettare, anche
se di scelte non ne
avevano più.
-
Ho bisogno di alcune cose, adesso. Dobbiamo raggiungere Lily e
prenderle
Excalibur non sarà facile. – Emma fece per
superarla e dirigersi verso le scale
della cripta.
Regina
la trattenne con forza per un braccio, costringendola a fare due passi
indietro. L’Oscuro aprì la bocca per chiederle,
forse, che altro aveva da dire.
Regina,
invece, l’attirò contro di sé e
premette le labbra sulle sue.
Non
capiva nemmeno lei che cosa stesse facendo, ma le sue mani strinsero la
sua
giacca nera. Sulle prime, Emma si irrigidì, le sue dita si
aprirono, non
sapendo a cosa aggrapparsi. Poi Regina sentì quelle stesse
dita fra i suoi
capelli e le labbra che si muovevano per seguirla. Regina avvertiva il
suo
odore forte e intenso, la pressione del suo corpo, le unghie che le
graffiavano
la cute.
Infine
Emma la spinse lontano da sé.
Regina
si portò le dita alle labbra. Le sembrava che bruciassero.
Il suo respiro era
ridotto ad un affanno e così anche quello di Emma.
Sto
impazzendo, pensò
lei, con la testa ancora confusa. Era allibita dalle sue stesse azioni.
Non riusciva
a capacitarsene. O sono già
impazzita. Forse
è questo. Sono già impazzita.
Emma
si diresse verso le scale.
-
Emma, aspetta!
Lei
tornò a voltarsi.
“Io ti ho salvata.
Ora tu salva me. E se non
potrai salvarmi, allora fa quello che nessun altro sarà
capace di fare. Sei
l’unica in grado di mettere da parte le emozioni e fare
ciò che è necessario. Distruggermi”.
Ne
era capace? Poteva metterle da parte?
-
Dobbiamo andare, Regina.
Non
disse altro. Solo: dobbiamo andare.
Però...
Emma
prese una mano di Regina e la strinse fra le sue. Regina
levò la mano libera
per fare qualcosa che non aveva mai fatto. Le accarezzò una
guancia. La sua
pelle era liscia al tatto. Le labbra erano rosse e semichiuse. Gli
occhi le
sfuggivano.
In
quel momento rivide Emma. Non aveva più i suoi capelli
luminosi, il suo sguardo
era più cupo, più ombroso, non indossava la sua
giacca rossa, ma era Emma.
In
quell’istante era lì. Con lei.
_______________________
Angolo
autrice:
Salve
a tutti. Quanto tempo, eh?
Allora,
qualche precisazione, giusto per capirci:
Il
Rothbart che compare in quella breve scena con Lily è il
barone Eric von
Rothbart, del romanzo fantasy The Black
Swan, scritto da Mercedes Lackey e basato sul balletto Swan Lake. Quindi una nuova versione del
Rothbart che molti di noi
conoscono. Se volete saperne di più su questo personaggio e
sul libro della
Lackey, The
Black Swan
Gorgon
è citato da Tremotino nella premiere della
5°stagione ed ha, appunto, le
sembianze di un cinghiale capace di sputare fuoco. Le altre
caratteristiche,
come il fatto che sappia comunicare con la mente, sono una mia
invenzione.
Cornelius
è l’antagonista del film Disney Taron
e
la pentola magica, come già spiegato qualche
capitolo fa ed è anche un
personaggio della saga fantasy Le
Cronache di Prydain di Lloyd Alexander. Il Cornelius della
mia storia è un
mix delle due versioni conosciute.
Devo
anche ammettere che nell’ultimo periodo sono stata troppo
dietro ad un’altra
serie tv, The 100. Quindi, chi ha
seguito/segue la serie, avrà capito che la scena di Lily che
inizia a torturare
Snow è ispirata alle tecniche di tortura dei Grounders. Ecco
il motivo dell’avvertimento
iniziale.
|
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Capitolo 19 *** 19. ***
19
«Dimmi
di nuovo che cosa stiamo per fare», disse Owen
«Salviamo
il mondo.»
«E
dimmi che cosa diventeremo... ho bisogno di sentirmelo dire.»
«Eroi»,
affermò Henry. Poi chiuse gli occhi. Nell’arco di
pochi secondi si addormentò.
[Stephen
King, L’Acchiappasogni]
- Bene, eccoti. Hai ricevuto il mio
messaggio. – disse Tremotino, quando Belle entrò
in negozio.
-
Sì, ma non capisco perché tanta
fretta... sta succedendo qualcosa? – Belle si
guardò in giro, cercando forse
qualche cambiamento nella disposizione degli oggetti. E in lui.
-
No, affatto. Ma tieni. – Le porse
un’ampolla. Il tempo stringeva. La luna era quasi al suo
apice, quindi doveva
fare in modo che lei se ne andasse il prima possibile.
-
Che cos’è?
-
Ti servirà per uscire dalla
città.
Belle
batté le palpebre, perplessa.
- Vado da qualche parte?
Lontano
dalla morte.
-
Dipende da te. Hai sempre
desiderato vedere il mondo. Beh... il mondo è proprio
là fuori. – Tremotino si
sorprendeva a parlare con una scioltezza che non si sarebbe mai
aspettato.
Credeva che la sua voce avrebbe tradito tutto quello che cercava di
tenersi
dentro. Il terrore. Il terrore di quel marchio infuocato sul polso. Il
terrore
che gli provocava la sola idea di tornare negli Inferi. Il Tartaro. Il
Tartaro
sarebbe stata la sua casa. Era sicuro che le poche buone azioni che
aveva
commesso non sarebbero bastate a salvarlo. E se anche non fosse finito
subito
nel posto peggiore, ci sarebbero state delle persone pronte a
tormentarlo.
Persone che aveva ucciso. Persone a cui aveva distrutto
l’esistenza. - Parti
appena puoi. Vedi tutte le meraviglie che hai sempre sognato. E quando
le avrai
viste tutte... allora torna. E raccontamele.
-
Perché non puoi venire con me? –
domandò Belle, continuando a fissarlo e aggrottando la
fronte, dubbiosa.
-
Ho delle cose da fare qui. E poi
credo che questo non sia il posto giusto per te, al momento. Hai
bisogno di un
po’ di tempo, ne sono sicuro.
-
Non credo che Emma verrà a
cercare me. E nemmeno Lily.
-
Non puoi sapere quali sono i
piani di un Oscuro. Sono sempre nascosti. Fidati di me, lo so bene. Non
voglio
che tu corra rischi inutili. – sentenziò,
energicamente.
-
È davvero questo... ciò che vuoi
che io faccia?
Lui
la strinse a sé e gli venne
spontaneo, ma si sentiva un impostore. Stava pensando a come terminare
il più
in fretta possibile quella conversazione, prima che tutti andasse a
rotoli. -
Sì. Voglio... voglio che realizzi il tuo sogno.
Belle
ricambiò la stretta e poi
prese le chiavi che Tremotino le stava porgendo.
-
Le chiavi dell’auto. – disse lui.
Le parole parvero echeggiargli nella mente con un fragore sinistro. Gli
sembrava
già di udire il rumore della barca di Caronte che fendeva le
acque del lago. Gli
sembrava di scorgere il baluginare degli occhi del traghettatore,
antichi come
il mondo e circondati dalle fiamme. - Goditi la vita, Belle.
Lei
prese le chiavi e aprì l’altra
mano, lasciando cadere l’ampolla.
Prima
che lui potesse intervenire,
era andata in pezzi e Belle aveva schiacciato alcuni frammenti sotto il
tacco
della scarpa.
-
Belle! – gridò lui, sbalordito.
-
Tu pensavi che mi sarei bevuta
tutto questo, vero? – Era una domanda, ma il suo sguardo
azzurro ora lo
accusava. - Perché, come sempre... credi di potermi
raggirare. Hai una grande
opinione della mia intelligenza...
-
No, io...
-
Ma è anche colpa mia, Tremo. Sono
io che ti ho permesso di pensare questo di me.
-
Belle, io cerco di proteggerti!
Tu non hai nessuna colpa...
-
Sì, invece! – lo interruppe,
superandolo e andando verso il bancone. – Quindi adesso mi
spiegherai che cosa
succede e perché ti stai liberando di me.
Ovviamente Belle non volle sentire
ragioni e si rifiutò di lasciare la città. Lo
disse con un tono che non
ammetteva repliche e Tremotino seppe che non sarebbe riuscito a
convincerla
nemmeno se l’avesse supplicata in ginocchio.
“Tu
pensavi che mi sarei bevuta tutto questo, vero?”
Lo
sperava. Lo sperava per il suo
bene. Belle meritava di vivere la propria vita.
Meritava
anche un uomo migliore di
lui.
La
campanella del negozio trillò.
Udì la porta sbattere e poi un rumore di passi.
-
Siamo chiusi! – disse, entrando
in negozio.
Ma
non erano dei clienti qualsiasi.
Erano Emma e Regina. E non avevano l’aria di chi se ne
sarebbe andato senza
discutere.
-
Per favore, andatevene.
-
No. Non ci arrenderemo senza
combattere. – gli rispose Regina. – Scommetto che
ci sono molte persone
nell’Oltretomba che sarebbero felici di rivederci.
-
Ce lo siamo meritato. E non ha
importanza. Non ci sono alternative.
-
Forse sì, invece. – ribatté Emma.
– Ma ho bisogno di alcune cose. Per affrontare Lily. Prendere
tempo.
-
Lily non intende fare del male a
lei, signorina Swan. Lei sopravvivrà. E anche Henry e
Malefica. Anche se
andasse da Lily disarmata...
-
Ma potrebbe servire a Regina. Sa
benissimo che ci sono gli altri Oscuri a cui pensare. – Emma
Swan aveva in
mente qualcosa, quello era chiaro. – Io devo recuperare
Excalibur.
-
L’unico modo in cui Excalibur
potrebbe esserci utile sarebbe se Emma...
-
Se Emma trasferisse in se stessa
tutta l’oscurità. E usasse la spada per
distruggerla. – concluse Regina, per
lui. Lo fece con voce forzata, come se dovesse vincere una grande
resistenza
interna per cacciar fuori le parole.
Capì.
Emma Swan avrebbe voluto
trasferire quell’oscurità in Zelena, ma la strega
non era più a disposizione.
-
Uccidendosi. – disse Tremotino.
Non
risposero.
C’era
una strana energia fra quelle
due. Qualcosa che non riuscì ad afferrare. Qualcosa di
nuovo. Quando entravano
in scena insieme, dimostravano una certa sintonia. Come due facce della
stessa
medaglia. Come se potessero dare il meglio di loro solo quando agivano
in
tandem. Ma quella sera c’era una vibrazione diversa.
-
Di che cosa avete bisogno? –
chiese l’ex Oscuro.
Regina
aggrottò la fronte. – Non
vuoi fare un accordo?
-
No. – Lui scosse il capo.
Emma
gli fece un elenco di
incantesimi che potevano essere utili, se non per fermare Lily, almeno
per
guadagnare tempo. Tremotino cercò il necessario e diede le
ampolle a Regina.
-
Sei molto coraggiosa, Emma Swan.
– commentò. E lo pensava sul serio. Lui non
avrebbe mai avuto il coraggio di
farlo, di sacrificare la propria vita. Era già abbastanza
terrorizzato da quel
marchio.
Emma
si limitò ad un breve cenno
del capo ed uscì dal negozio. Regina fece per andarle dietro.
-
Non lo farai. – disse Tremotino.
Regina
si fermò con una mano sul
pomolo della porta. Si voltò. – Come?
-
So che cosa vuole Emma. Avrà
bisogno di aiuto, per questo siete venute qui insieme. Vuole che tu...
– Punto
l’indice contro di lei. – Vuole che tu usi
Excalibur... per ucciderla.
Regina
aveva una strana sensazione
di febbre. Si umettò le labbra ed ebbe
l’impressione di avvertire ancora il
sapore di quelle di Emma... che la baciavano come se non avessero mai
desiderato altro.
Scacciò
quei pensieri. - Emma mi ha
chiesto di... di rispettare la promessa che le ho fatto a Camelot. Non
c’è
altra soluzione.
-
No, non c’è. Ma non sarai tu a
farlo. Non sei in grado, Regina.
-
E cosa te lo fa pensare?
-
Non sei più quel genere di
persona. – Tremotino la scrutò. Le sorrise.
– La Regina che ho conosciuto molto
tempo fa... quella che ho forgiato... l’avrebbe fatto. La
Regina che conosco
ora... no.
-
Forse non mi conosci così bene. –
Ma la sua voce suonava distante alle sue stesse orecchie, mentre si
sentiva
pervadere da un senso di gelo.
-
Oh, mia cara, è proprio perché so
chi sei che ti dico questo. – Tremotino le voltò
le spalle, andando dietro al
bancone. – Ma sappi una cosa: se vuoi davvero andare fino in
fondo, tira fuori
quella parte di te in grado di uccidere qualcuno che ama.
Perché se esiterai...
ti sarà fatale. Sarà fatale a te e anche alla tua
famiglia.
David camminava rapido e sicuro,
con una mano sull’elsa della spada, pronto ad affrontare
anche tutti gli
Oscuri. Killian lo seguiva di malavoglia.
-
Vuoi fermarti, amico?
-
Non adesso, Uncino.
In
mezzo alla strada, proprio
davanti a loro, comparvero tre... Coccodrilli incappucciati. Un attimo
prima la
via era libera, ora gli Oscuri erano proprio là. Erano
venuti a prenderli.
Nimue
regalò ai due un sorriso
beffardo. – Avete fretta, per caso?
David
e Killian riuscivano a
scorgere gli altri due tirapiedi. Quello a destra aveva dei folti baffi
rossi.
Quello a sinistra una faccia larga, i lineamenti marcati e crudeli, la
pelle
simile a quella di Tremotino, verde oro.
-
Lasciate che vi dia una mano. È
il momento di farla finita. – Nimue sollevò
entrambe le mani.
I
marchi sui loro polsi
sfrigolarono e si incendiarono. Killian e David lanciarono grida
stupefatte,
mentre il mondo intorno a loro diventava bianco e svaniva nella luce
accecante.
Malefica entrò nella camera della
figlia e cominciò a riordinare gli indumenti gettati alla
rinfusa. Non aveva
idea del perché lo stesse facendo, ma intuiva che, qualunque
cosa fosse
successa, non avrebbe più dovuto preoccuparsi di quel
disordine.
Trafficava
da appena cinque minuti
quando sentì le gambe molli come gelatina e dovette sedersi
sulla sedia accanto
alla finestra. La vista del letto disfatto nel quale Lily non dormiva
da
giorni, la luce malaticcia gettata dai lampioni in strada... le
sembravano
tutte cose crudeli. Come l’assenza di Lily. Come
l’idea di essere stata
costretta a riempirla di oscurità per salvarle la vita. Una
parte di lei era
convinta di aver commesso un terribile errore, eppure quale madre
avrebbe
lasciato morire il proprio figlio? Quale madre l’avrebbe
fatto?
Si
portò un mucchio di magliette al
viso per cancellare la vista della stanza vuota. E sentì
l’odore di Lily. L’odore
dello shampoo che usava. L’odore del bagnoschiuma al muschio
bianco.
Oh,
era terribilmente ingiusto.
Forse,
come madre, se lo meritava.
Se lo meritava, certo, ma era troppo crudele.
Malefica
gettò via le magliette e
uscì dalla stanza.
Tutti i marchiati si ritrovarono
davanti al lago. Gli Oscuri richiamati da Lily stavano a pochi metri da
loro,
in fila e in apparente attesa.
-
Neve! – gridò David.
Lei
sollevò appena la testa. Era
pallida, con i polsi chiusi nelle pesanti catene, che abbracciavano il
tronco a
cui era legata. Aveva almeno una decina di ferite sparse sul corpo,
nessuna
mortale, ma tutte dolorose e sanguinanti.
-
Che cosa diavolo le hai fatto?! –
urlò David a Lily, quando la vide avviarsi verso di loro,
con Excalibur in
pugno.
-
Non preoccupati, principe. Non
l’ho ferita con questa spada. – Lily la
sollevò e lama mandò un barbaglio
argento, colpita dai raggi della luna, ormai all’apice.
Regina
si guardò intorno. Henry non
c’era. Tastò le ampolle che aveva in tasca per
assicurarsi che fossero ancora
al loro posto.
-
Dov’è Roland? – chiese a Robin.
-
Al sicuro con le fate. Si
occuperanno anche di Neal. – rispose, mettendosi accanto a
lei.
-
Quindi è davvero la fine. –
sentenziò Tremotino, occhieggiando gli Oscuri.
-
Sì. – disse Lily. Poi puntò la
spada verso il lago alle loro spalle. – Guardate. Ecco il
vostro passaggio per
l’Oltretomba. Giusto un tempo.
Una
nuvola di fumo bianco si
allargò sulla superficie dello specchio d’acqua,
portando con sé un’ombra nera.
La barca guidata dal traghettatore, Caronte.
-
Lily! – gridò Emma, facendosi
largo tra gli Oscuri e raggiungendo gli altri. – Lily, ti
prego, aspetta.
In
quel momento, tutti udirono un
ruggito. Si alzò un vento improvviso, che scosse le chiome
degli alberi e
increspò le acque.
Regina
guardò il cielo e vide il
drago piombare su di loro. Il vento era provocato dallo sbattere delle
sue
grandi ali membranose. Il corpo ricoperto di scaglie nere era un
proiettile
scagliato a tutta velocità.
-
A terra! – urlò Uncino.
Malefica
spalancò le fauci e gettò
un’onda di fuoco sul gruppetto di Oscuri. Nimue
deviò le fiamme, che tinsero
gli alberi di una luce sanguigna. Il drago si allontanò dal
luogo dell’attacco,
descrivendo un ampio arco in aria.
-
Lily, non è ancora troppo tardi.
Puoi fermarti. – disse Emma. – Ricordi quello che
ti ho detto a Camelot? Io non
ti volterò mai le spalle. Ti aiuterò.
-
Nessuno può aiutarmi, Emma.
Regina
estrasse una delle ampolle
dalla tasca della giacca e le scagliò contro il contenuto.
Un liquido azzurrato
la raggiunse, corrodendo il tessuto della giacca di pelle nera che
indossava.
Gridò, quando la pozione sfrigolò contro la
pelle, ma non lasciò la spada. Menò
un fendente nel vuoto, producendo un’onda d’urto
che li fece cadere tutti, come
tanti birilli.
Il
drago, intanto, atterrò presso
il lago fronteggiando gli Oscuri.
-
Lily... è ora di smetterla. –
disse Regina, tirandosi su.
-
Abbiamo appena cominciato.
-
Non puoi davvero uccidere
un’intera famiglia.
-
E perché no? – Si appoggiò la
lama di Excalibur su una spalla.
-
Te ne pentirai. E nel tuo caso...
pentirti vorrebbe dire convivere con le tue colpe per
l’eternità.
-
Anche tu dovrai farlo. Tutti voi.
Nell’Oltretomba. Ci sono un sacco di persone che vi
aspettano. Avrete molto da
fare. Non vi annoierete mai.
Il
drago ruggì ed eruttò fuoco. Gli
Oscuri stavano costringendo Malefica ad arretrare.
-
Guarda laggiù, Lily. Tua madre
sta combattendo contro gli esseri che hai richiamato. –
Regina fece un passo
verso Lily, con le mani bene in vista. Emma era vicino a lei. Poteva
sentire il
suo respiro accelerato. – Vuoi che le facciano del male? So
che c’è del buono
in te. Altrimenti avresti marchiato tutti.
-
Già. Gli Oscuri sanno che non
devono fare del male a mia madre. Così come sanno che non
devono fare del male
ad Henry. – Il tono di Lily possedeva una strana inflessione.
Era calmo e anche
rassegnato. C’era molta stanchezza nella sua voce.
– Io elimino solo chi se lo
merita.
-
Prendi me, allora. – intervenne
David. – Prendi solo me. Lascia andare mia moglie.
-
Un’offerta interessante. Non ti
preoccupare, verrà anche il tuo turno.
-
So bene che cosa significa
lottare contro l’oscurità. –
ricominciò Regina. – Credimi. Ho passato anni
nell’oscurità.
Mi ha consumata...
-
Oh, hai passato anni nell’oscurità?
– la interruppe Lily, ridendo. – Io ho passato la
vita intera nell’oscurità! Ovunque
andassi l’oscurità era con me, mi seguiva.
Qualsiasi decisione prendessi mi si
rivoltava contro. E questo è accaduto perché
qualcuno ha avuto la brillante
idea di maledirmi! È anche per questo che adesso siamo qui!
-
Abbiamo commesso tutti degli
sbagli. – disse Regina. – Ma se ci ucciderai... non
ti sentirai meglio. La vendetta...
non mi ha mai fatta sentire meglio. E una volta... era
l’unica cosa che
desideravo. Pensavo che mi sarebbe bastata. Che mi avrebbe resa felice.
Ma non
è così.
La
luna era al suo apice. I raggi
si riflettevano sulla superficie del lago. La barca del traghettatore
avanzò di
qualche metro. Con una lentezza esasperante, ma anche implacabile. Il
lungo
bastone con cui Caronte spingeva in avanti l’imbarcazione
fendette le acque.
Tremotino lo fissò, sconvolto dai cerchi di fuoco che
lampeggiavano sul volto
antichissimo del demone. Rivolse nuovamente l’attenzione agli
Oscuri. Uno di
loro lo guardava con insistenza. Era l’uomo con i capelli e i
baffi rossi. Rothbart.
-
È tempo. – sentenziò Nimue.
Strinse i pugni e levò la testa al cielo, che ora era
sgombro, a parte qualche
straccio di nube. Le fredde stelle ricambiarono il suo sguardo, come
occhi
indifferenti di un altro mondo. Alzò una mano e
gridò un paio di parole in una
lingua abietta che solo lei conosceva. Uno spicchio di foresta prese
fuoco all’istante.
Feroce e concentrata, Nimue incendiò una fetta dopo
l’altra fino a formare un
anello di fiamme che tagliò fuori Malefica. Il drago mosse
qualche passo per
superare il muro di fuoco, ma il potere la respinse. Emise un ruggito
basso e
frustrato. Nimue continuò a fissare l’anello,
soddisfatta, per alimentare la
magia.
Un
globo di luce sfrecciò dalla
mano di Emma e colpì il primo Oscuro in pieno petto. Nimue
vacillò, ma non
perse l’equilibrio.
-
Finiscili. Adesso. – disse Nimue
a Lily.
Lily
sollevò la spada.
Emma
si frappose fra lei e il resto
del gruppo.
-
Levati dai piedi, Emma. – le intimò
Lily.
Lei
lanciò un’occhiata a sua madre,
che cercò di sollevare il capo, ricambiando il suo sguardo.
Aveva occhi opachi
e febbricitanti. Il fuoco le sibilava intorno, minacciandola.
-
Dammi quella spada. Sistemerò tutto
io. – disse Emma.
-
Credi di poter risolvere tutto con
il tuo solito tono ragionevole? Non è così che
funzionano le cose. Questa è una
mia scelta.
-
Questa non è una tua scelta! È
l’oscurità.
Ti sta usando!
-
Lo ha sempre fatto. L’ho
combattuta, ci ho provato... ma è stato inutile. Non puoi
lottare contro l’oscurità.
Non contro questa oscurità. Per quanto tu possa essere
forte... ti inghiotte. Con
te farà lo stesso, Emma.
-
Non è vero! Non è sempre stato
così! A Camelot mi hai aiutata e hai creduto in me!
Lily
avvertì la pressione della
mente di Emma. La pressione che cercava di costringerla ad abbassare le
barriere. Emma usò tutta la forza che aveva. Lily la stava
bloccando, ma lei continuò
a spingere, a scavare... per arrivare oltre il muro.
-
No... basta, Emma. – disse Lily.
Non
era abbastanza. Aggredì di
nuovo le strenue difese erette intorno alla mente di Lily.
Aprì una breccia.
Lily si piegò su un ginocchio.
Un
fiume di immagini la avvolse all’improvviso,
scorrendo nella sua coscienza.
“La
maledizione...”.
“Deve
essere spezzata. E sarà Emma
a farlo. Tuttavia è ancora presto. Passeranno parecchi anni
prima che il suo
destino si compia. Il suo e... il tuo”.
“Il
mio?”
“Questa
non è stata l’ultima volta,
Lily”. L’Apprendista si voltò di nuovo,
incrociando i suoi occhi sbarrati e
ripieni di furia. “Tu ed Emma siete legate e così
sarà per sempre. Un giorno la
rivedrai. Emma sarà la Salvatrice, ma
l’oscurità incombe per tutti.
L’oscurità...
minaccia chiunque”.
Lily
la respinse. Tentò di controllare il torrente di ricordi, ma
la loro forza era
soverchiante.
“Perché
sei fuggita?”
Anche
allora erano davanti ad un
lago. Era giorno e avevano appena usato la carta di credito del padre
di Lily
per fare la spesa in un supermercato.
“Una
ragazzina che viveva con me,
Cecilia... è stata adottata. L’ho vista salire su
una Station Wagon... con una
coppia perfetta. E in quel momento ho capito che nessuno mi
guarderà mai come
quella coppia guardava lei. Sono troppo grande. Ho perso la mia
occasione...
non aveva senso continuare a restare lì e
sentirmi...”
“Invisibile?”
Era
proprio la parola che cercava.
“So
che cosa significa vivere in un
posto dove hai l’impressione che a nessuno importi di te, che
nessuno riesca a
capirti...”
“Ehi,
che cos’hai sul polso?”
Lily
mostrava la voglia a forma di
stella impressa sul suo polso. “Non so... cosa sia successo.
Ce l’ho sempre
avuta. Mi piace pensare che sia una specie di simbolo in stile... Harry
Potter,
più o meno”.
“Come
se tu fossi... unica e
speciale”.
“Sì,
lo so. È stupido”.
“No,
non è vero”.
Lily
scattò in piedi e caricò, la spada levata contro
di lei, dimenticandosi di
erigere nuove barriere contro la sua invasione.
“Promettiamoci
di restare amiche. Qualsiasi
cosa accada non ci sarà niente che non potremo
superare”.
“Okay.
Sì. Promesso”.
“Per
sempre”.
“Per
sempre”.
Lily
non abbassò la spada. Emma ritirò la manica della
sua giacca per mostrarle la
stella che aveva disegnato sul polso.
-
Lo vedi? Io non l’ho mai dimenticato, anche se ci siamo
separate. – disse Emma.
Piangeva davvero, adesso. Aveva le guance rigate di lacrime. Eppure
sorrideva
anche. - Non c’è niente che non possiamo superare.
-
Mi stai ingannando! È quello che fanno tutti gli Oscuri!
– gridò Lily, ma la
sua voce era debole. Spezzata. Perdeva sicurezza.
“Quello
che intendo fare, lo farò
anche per il bene di Henry. Di tutti”.
“Ma
tu sei la Salvatrice, no? Tu
sei superiore a tutto questo”.
Emma
andò molto vicino a Lily.
“Sono la Salvatrice, ma sono anche l’Oscuro. E ho
bisogno di Merlino. Il piano
di riserva è necessario. Devo coprirmi le spalle. Non
possiamo fallire e
riprovare perché non avremo un altro momento per riprovare.
Artù sta aspettando
che i miei genitori riportino il pugnale. Se non sospetta ancora
niente,
inizierà molto presto”.
Si
allontanò da lei, dirigendosi
verso l’uscita.
“Sai
una cosa, io so che cosa vuol
dire lottare contro l’oscurità. L’ho
sempre dovuto fare”, disse Lily,
costringendola a fermarsi. “Tutta la mia vita è
stata oscura e tu lo sai bene.
Non sarà mai come la cosa che si è impossessata
di te... ma mi ha fatto fare
delle cose. Non mi permetteva... di controllarmi. L’Oscuro
sta facendo lo
stesso con te. Se lo ascolti, perderai il controllo”.
-
Quando stavo facendo la cosa sbagliata, tu hai cercato di convincermi a
non
farlo. Quella volta ho usato i tuoi ricordi per prendermi
ciò di cui avevo
bisogno. – Emma era vicinissima. Avrebbe potuto allungare una
mano e toccarla. –
Ora... li sto usando per aiutarti a capire... voglio ricordarti quello
che hai
detto anche a me, quel giorno. Quello che io... non ho voluto
ascoltare.
“Mi
ripeto sempre che
non cederò all’oscurità.
Però ho già ceduto. Ho già ferito te e
volevo ferire
mio figlio”.
“E
avresti potuto
uccidermi poco fa. Sarebbe stato facile. Eppure hai deciso di
risparmiarmi.
Come hai fatto... quando mi hai trovata. Questo vuol dire che puoi
vincere la
tua oscurità”.
“Mi
sono fermata perché
qualcuno mi ha fermata...”
“Ti
saresti fermata
comunque”.
“Non
credo”.
“Regina
ti ha dato una mano, va
bene? Però la decisione spettava a te. Se io fossi stata al
tuo posto avrei
sparato. E un attimo fa ti avrei uccisa. Ma tu sei migliore di
così”.
Lily
si prese la testa fra le mani e lasciò cadere la spada. Emma
si affrettò a
prenderla e poi si chinò davanti all’amica,
appoggiandole una mano sul collo perché
sollevasse la testa.
-
Ci penserò io.
Gli
occhi di Lily erano sbarrati e iniettati di sangue. - Che cosa vuoi
fare, Emma?
-
Già. – disse Nimue, venendo avanti. –
Che cosa pensi di fare? Non puoi fermarci!
È tardi, ormai!
-
Non è tardi.
Un’insospettabile
riserva di energia divampò dentro di lei. Dopo la battaglia
mentale contro Lily
si sentiva frastornata e non era sicura di potercela fare, ma
riuscì a
richiamare il potere dai più profondi recessi del suo
essere. Attinse da una
coscienza più antica e vasta della sua. Le sue dita si
strinsero intorno all’elsa
di Excalibur e sollevarono l’arma. La tenne in orizzontale
davanti al proprio
viso. Si era messa davanti a Lily come a farle da scudo.
Excalibur
fiammeggiò di luce rossa, la lunga lama percorsa da una
vampa senza calore.
Prima
l’incredulità e poi la rabbia deformarono i
lineamenti di Nimue. Con un ringhio
sprezzante, puntò il dito indice contro Emma, ma la spada la
respinse e la
costrinse ad inarcare la schiena.
Nimue
emise un rantolo. E il suo corpo divenne trasparente. Sotto non
c’erano più né ossa
né carne, ma solo un turbinio tenebroso. Nimue si
lacerò dalla testa ai piedi,
liberando l’oscurità che si divise in tanti rivoli
neri, pronti a fuggire se la
spada non li avesse fagocitati.
Agli
altri Oscuri toccò la medesima sorte. Videro il cerchio di
fiamme estinguersi e
il loro corpi sgretolarsi. Cornelius si strappò la maschera
a forma di teschio.
Dietro di essa si celava una faccia brutale e piena di cicatrici. La
bocca era
aperta, ma invece di parole ne sgorgò un ululato
terrificante. Rothbart inveì
contro tutto il mondo, prima di trasformarsi in fiumi di nera
oscurità ed
essere risucchiato.
Excalibur
li imprigionò dentro di sé. Emma venne
scaraventata all’indietro e la spada le
sfuggì, infliggendole una scarica che le percorse il
braccio, paralizzandola
per qualche istante.
Regina
raccolse la spada. Era terribilmente pesante.
“Ma
sappi una cosa: se vuoi davvero
andare fino in fondo, tira fuori quella parte di te in grado di
uccidere
qualcuno che ama. Perché se esiterai... ti sarà
fatale. Sarà fatale a te e
anche alla tua famiglia”.
-
Presto, Regina. Gli Oscuri non rimarranno intrappolati a lungo.
– Emma si alzò,
scrollando il capo. Vedeva la lama pulsare e capiva bene che presto
l’oscurità
si sarebbe riversata di nuovo all’esterno.
-
Emma! – gridò sua madre. Le catene si erano
dissolte e Neve strisciava sull’erba
per raggiungere la figlia. David accorse in fretta.
-
Emma, no! Non farlo! – urlò Uncino.
-
State indietro! Non c’è altra soluzione!
– gridò Emma.
Regina
impugnò l’elsa con entrambe le mani. Le braccia
tremavano per lo sforzo. Un maglio
le penetrò nel cervello, annebbiandole la vista. Ma alla
fine sollevò la spada
sopra la testa, puntando la lama contro il petto di Emma.
I
loro occhi si incontrarono. Verde e nocciola. Per un attimo ebbe
l’impressione
di vedere se stessa dall’alto, come se non fosse
più dentro al proprio corpo,
ma si stesse librando in aria. Si vedeva con Excalibur in alto, la lama
pronta
a colpire. Lily inginocchiata sull’erba.
Regina
non scorse alcuna traccia di paura nello sguardo dell’altra.
C’era
determinazione. Durezza. Voleva davvero che lei lo facesse. Che la
distruggesse, eliminando quindi l’oscurità una
volta per tutte.
“Non
sei più quel genere di persona. La Regina che conoscevo
molto tempo fa
l’avrebbe fatto. La Regina che conosco ora... no”.
Regina
esitò.
Tremotino
aveva ragione,
naturalmente.
Aveva
ragione.
-
Mio Dio... – mormorò, rendendosi
conto di ciò che stava per fare. Abbassò le
braccia. Era spossata. Un rivolo di
sudore le scivolò lungo il viso andando a posarsi sul labbro
superiore, sulla
cicatrice.
Lily
le sottrasse le spada. - Non puoi,
Emma. Devo essere io a morire. Tutto questo è stata opera
mia.
-
No. Non è questo che meriti.
-
Nemmeno tu! La tua famiglia ha
bisogno di te!
-
Ti ho portata io a questo! Sono
stata io ed io distruggerò l’oscurità.
– Emma tese una mano verso di lei. –
Aiutami a farlo.
Lily
prese quella mano e la strinse
forte. Il palmo della sua era caldo. L’elsa di Excalibur
stava bruciando. E
stava diventando sempre più pesante. Gli Oscuri imprigionati
si agitavano nella
lama. Sentiva uno sciabordio di voci. Imprecazioni. Grida. Profezie di
vendetta. Rimbalzavano nella sua testa. Cercavano di acciuffarla, di
far
breccia dentro di lei.
-
Non voglio... – mormorò Lily. –
Non è giusto.
-
Lo è, invece.
Lily
abbassò la testa ed Emma fece
in modo che gliela appoggiasse qualche istante sulla spalla. Lily vide
se
stessa attraverso gli occhi dell’altra. Un’ultima
volta. Era come guardare in
uno specchio magico. Vide la se stessa di adesso, con la spada in
pugno, e vide
la ragazzina che era stata, quella che guardava il mondo come se fosse
una cosa
totalmente ingiusta, quella che si aggrappava al suo ciondolo quando
gli incubi
la svegliavano nel cuore della notte, quella che ammirava la sua voglia
a forma
di stella, quella che aveva disegnato una stella simile sul polso di
Emma...
Infine
Lily la trafisse. Spinse
Excalibur nel corpo di Emma.
La
lama insanguinata uscì dalla sua
schiena.
Qualcuno
lanciò un grido. Ma non
Emma. Emma non emise neanche un suono.
Lily
chiuse gli occhi ed estrasse
la spada.
Quando
alzò ancora lo sguardo su
Emma, si accorse che era tornata normale. Emma
era di nuovo Emma, con i suoi capelli
biondi, il maglione bianco, i jeans scuri infilati in un paio di
stivali. Gli stessi
abiti che aveva quando aveva usato il pugnale per salvare Regina.
Erano
entrambe di nuovo normali.
Excalibur
si sgretolò.
Della
spada non rimasero altro che granelli di polvere nera, che
precipitarono sull’erba
e si dissolsero.
Emma
scivolò in avanti e Lily ne accompagnò la caduta.
Stava piangendo anche lei e
il peso del corpo dell’altra la trascinò
giù.
-
Lily. – disse Emma, sfiorandole la guancia. Sorrideva e
pronunciò alla
perfezione le sue ultime parole. La sua voce era chiara e limpida.
– Ti voglio
bene, Lily.
I
paramedici misero il corpo senza vita di Emma su una barella e poi lo
coprirono
con un telo bianco.
Tutto
quello che era avvenuto dopo la sua morte era confuso. Regina rivedeva
le
immagini come una serie di istantanee. Lei che sollevava Excalibur.
L’esitazione,
quella che poteva costarle cara. La consapevolezza che non sarebbe mai
riuscita
ad ucciderla. Lily che lo faceva al posto suo. Lily che veniva spinta
via in
malo modo. Ricordava l’uncino scintillante del pirata pronto
ad abbattersi sull’amica
di Emma. Ricordava Tremotino che colpiva Killian alla nuca con il suo
bastone. Mano
Monca che finiva lungo disteso, con ancora quell’espressione
furiosa che gli
deformava i lineamenti. Malefica che accoglieva la figlia tra le sue
braccia. I
singhiozzi della ragazza. David che sollevava Emma. La testa bionda che
ricadeva all’indietro. Il grido di Biancaneve. Si era portata
le mani al volto
e l’urlo era arrivato tra le dita socchiuse. Un urlo
così pieno di orrore e
sbigottimento che Regina temette che la sua mente fosse partita.
Forse
anche la sua, di mente, stava partendo.
Regina
intuiva di dover dire qualcosa, di dover reagire in qualche modo a
quelle urla.
Ma non poteva. Aveva perso le forze.
“E
Henry? Chi penserà
ad Henry?”
“Tu.
Lui sarà con te”.
Cosa
avrebbe detto ad Henry? Cosa gli avrebbe raccontato?
“Ha
già perso suo
padre, Emma! Non può perdere anche sua madre. E mi
odierà! Mi odierà non appena
farò ciò che mi chiedi”.
“No.
Non lo farà. Ci
penserò io”.
Si
avvicinò alla barella. Chiese ai due paramedici di aspettare
e poi scostò il
telo. Il volto di Emma era immobile e sereno. Quasi stesse solo
dormendo.
“Certo!
Sei l’unica che
può preoccuparsi, vero? Ci sono persone che tengono a te,
qui, Emma!”
“Te
l’ho detto. Non abbiamo scelta!”
Uncino
le aveva rimesso al collo la catenina con l’anello.
“E
Henry? Chi penserà
ad Henry?”
“Tu.
Lui sarà con te”.
Regina
aprì le mani, con i palmi rivolti verso l’alto.
Tremavano. Tremavano come
quando, a Camelot, aveva rivissuto la morte di Daniel.
“Ricordi
la promessa
fatta a Camelot? Che avresti fatto tutto il possibile per eliminare
l’oscurità?
Ho bisogno che tu mantenga quella promessa. E devi giurarmi che non lo
dirai a
nessun altro”.
Comparve
la giacca di pelle. Quella rossa. Quella che Emma adorava.
Gliela
appoggiò sul petto. Le dita sfiorarono il suo mento e una
ciocca di capelli
biondi. Era ricaduta maldestramente sul viso e lei, dopo un istante di
esitazione, gliela scostò.
Infine
la ricoprì con il telo e lasciò che il corpo
venisse portato via.
__________________
Angolo
autrice:
Eccoci
arrivati al penultimo capitolo. Dopo questo c’è
solo l’epilogo.
Non
allarmatevi. La storia prevede un seguito. Spero comunque che abbiate
apprezzato questa season 5A rivisitata da me, nonostante abbia deciso
di non
concluderla bene.
|
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Capitolo 20 *** Epilogo ***
Epilogo
“Qui
tutti noi siamo diretti; questa è l’ultima dimora,
e qui
Sugli
esseri umani il vostro dominio non avrà mai fine.
Anche
Euridice sarà vostra, quando sino in fondo avrà
compiuto
Il
tempo che le spetta: in pegno ve la chiedo, non in dono.
Se
poi per lei tale grazia mi nega il fato, questo è certo:
Io
non me ne andrò: della morte d’entrambi
godrete!”
[Ovidio,
Metamorfosi,
X]
Mi
dispiace. Non posso permettere che accada. In
fondo, anche voi lo sapete. Non c’è altra
soluzione.
Sono
stata egoista, a Camelot. Lily mi aveva
supplicata di non farlo, ma io ho pensato solo a salvarle la vita.
Salvandola,
l’ho condannata. Ha lottato contro
l’oscurità per anni ed io le ho imposto
un’oscurità ancora più terribile. Non
voglio che paghi, per questo.
Promettetemi
che andrete avanti e che vi
occuperete di Henry. Spiegategli perché ho preso questa
decisione. Fate in modo
che capisca.
Ho
chiesto a Regina di mantenere la promessa che
mi fece a Camelot e le ho detto di non parlarne con nessuno. Le ho
chiesto di
giurarmelo. Quindi, se potrà mantenere quella promessa,
ricordate che è stata
prima di tutto una mia scelta.
Emma
Lily
si accinse metodicamente ad
ubriacarsi.
Nel
frigorifero c’erano diverse
bottiglie di Heineken e lei ne prese alcune, stappandone una dopo
l’altra e
disponendo i tappi in fila sul tavolo.
Aveva
cacciato via sua madre. Non
voleva che lei l’aiutasse. Non voleva che
l’abbracciasse. Non voleva parlare di
quello che era successo o di come si sentisse. Non voleva gente
intorno. Era
sicura di essere stata troppo dura e di averla ferita, ma non
c’era nulla che
Malefica potesse fare.
Mentre
fuori albeggiava e le nuvole
sparse si tingevano di rosa, lei se ne stava là, nel suo
appartamento,
desiderando solo non essere più vista da nessuno, con il suo
strazio, la sua
rabbia, il suo senso di colpa e il suo desiderio d’essere
morta e lontana per
sempre da tanta crudeltà.
Credeva
che qualcuno sarebbe venuto
comunque. Pensava che almeno Uncino volesse ucciderla. Ci aveva
provato, la
sera prima, ma Tremotino l’aveva fermato. Sapeva che era
tornato sulla sua
nave, ma forse stava meditando di farla fuori. O forse si era attaccato
ad una
delle sue fiaschette di rum. O intendeva prendere il largo. Non le
importava
molto.
Finì
la sesta o settima bottiglia
(aveva perso il conto) in grandi sorsi, eppure quando si
alzò per prenderne
un’altra non barcollava nemmeno. La sua testa era sgombra.
Non le faceva male
lo stomaco.
Ma
continuava ad avvertire il
vuoto. E il silenzio.
Il
vuoto al centro del petto.
Aveva
trascorso la vita intera a
lottare contro il potenziale oscuro che era stato trasferito in lei
quando non
era nemmeno uscita dall’uovo. Da quando aveva scoperto la
verità grazie
all’Apprendista, aveva immaginato il momento in cui avrebbe
ottenuto la propria
vendetta. Aveva immaginato il momento in cui l’avrebbe fatta
pagare agli
Azzurri. Si era sempre chiesta se fosse possibile liberarsi di quella
maledizione. Se fosse esistito un modo per annullarla o invertirla.
Merlino le
aveva detto che quel modo esisteva, ma era rischioso. Si era chiesta
come
sarebbe stato vivere senza quell’oscurità. Pensava
che... che si sarebbe
sentita libera. Che avrebbe finalmente avuto il controllo delle sue
azioni.
Delle sue decisioni. Che avrebbe potuto fare delle scelte giuste, senza
che
quelle le si rivoltassero contro.
Invece
c’era solo il vuoto. Al
centro del petto si era aperta una voragine, profonda e oscura.
“No.
Non è questo che meriti”.
“Nemmeno
tu! La tua famiglia ha bisogno di te!”
“Ti
ho portata io a questo! Sono stata io ed io distruggerò
l’oscurità”.
La
voce di sua madre si frappose ai
ricordi. La voce di Malefica durante una delle poche lezioni di magia
che aveva
ricevuto.
“Esistono
delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per
costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi
riportare in vita i morti”.
“Non
puoi riportare in vita i morti”.
Vuotò
il resto della birra nel
lavello e poi prese la giacca. Frugò in una delle tasca.
Fino a che non riuscì
a trovare il giglio che Emma le aveva regalato a Camelot. Era appassito
di
nuovo. Ma Lily se lo portò comunque al naso, ricercandone il
profumo. Ne
avvertì una traccia, debole. Si stava disperdendo.
“Esistono
delle regole, nella magia. Ne esistono tre. Non puoi usare la magia per
costringere qualcuno ad amarti. Non puoi cambiare il passato. Non puoi
riportare in vita i morti”.
Poi
si intromisero altre voci.
Quelle
voci, però, erano voci
sussurranti. Un grumo di sibili incomprensibili.
Per
un bel pezzo credette che quei
suoni fossero unicamente nella sua testa, un’allucinazione
dovuta all’alcol. La
stanza ondeggiava intorno a lei.
Ma
continuavano, implacabili. Era
come avere nella mente un groviglio di serpenti infuriati.
Il
pugnale.
Non
era possibile. Il pugnale non
esisteva più. La spada si era dissolta dopo... beh, dopo.
Niente
pugnale. Niente più Oscuri.
Però
quel richiamo l’avrebbe
riconosciuto ovunque.
Lily
mise in tasca il giglio e si
infilò la giacca.
C’era chi pensava che vi fosse un
limite all’orrore e alla rabbia che una mente umana poteva
sostenere. In
realtà, non era vero. Quando l’incubo diventava
sufficientemente cupo, l’orrore
generava altro orrore, il male generava altro male, finché
la tenebra non ricopriva
ogni cosa.
A
Regina, infatti, sembrava di
precipitare in un vuoto sempre più buio. E quel buio era
pieno di rimpianti, di
pensieri rabbiosi, di sensi di colpa. Non voleva che il suo cervello
continuasse a ripercorrere gli stessi eventi, eppure non poteva farne a
meno.
Seduta sul bordo del letto, a casa degli Azzurri, seguitava a ricordare
il
momento in cui aveva deciso di non fidarsi di Emma e di rinchiuderla in
una
prigione. Il momento in cui Emma le era sfuggita e aveva tenuto in mano
il suo
cuore nero. Il momento in cui Emma le aveva chiesto di mantenere la
promessa
che le aveva fatto a Camelot. Il momento in cui l’aveva
baciata. E il momento
in cui lei non l’aveva mantenuta, quella promessa. Aveva
esitato.
Ce
l’aveva con tutti. Con
Tremotino, perché lui sapeva che non ce l’avrebbe
fatta. Con Lily, perché, al
contrario di lei, aveva trafitto Emma con quella maledetta spada,
assumendosi
una responsabilità che l’avrebbe segnata per
sempre. E con se stessa. Ce
l’aveva soprattutto con se stessa.
Non
sei la Regina Cattiva, le
disse una voce fredda e priva di
inflessioni, che le ricordava quella di sua madre. Non
sei la Regina Cattiva e non sei una Salvatrice. Tu non sei niente.
Sei debole.
Henry
era in cucina, seduto davanti
al bancone, con il suo libro aperto dinanzi. Regina gli aveva lasciato
il
vassoio con la colazione accanto, ma era sicura che lui non
l’avesse toccata.
Suo figlio non parlava. Non guardava nessuno. Teneva gli occhi fissi
sulle
pagine del libro che aveva letto un sacco di volte. Cercando, forse,
una
soluzione nelle storie che conosceva. Regina gli aveva accarezzato i
capelli.
Si era appoggiata alla sua spalla, ma nel farlo si era domandata se
stesse
confortando il figlio o se stesse solo cercando qualcosa a cui
aggrapparsi.
David
sembrava almeno
temporaneamente incapace di qualsiasi decisione. Si aggirava per casa
senza uno
scopo. Aveva gli occhi arrossati e la pelle del viso tirata. Sedeva al
tavolo
masticando pane tostato e mangiando i cereali preferiti di Emma. Non
gli
piacevano, ma li voleva ugualmente.
Regina
aveva curato le ferite di
Biancaneve. Tutte quante. Non appena aveva finito, si era alzata per
andarsene,
ma Biancaneve l’aveva trattenuta per il polso, lo stesso che,
fino a poche ore
prima, recava il marchio di Caronte.
-
Cosa? – aveva domandato Regina.
Biancaneve
le aveva messo un
braccio intorno alle spalle per abbracciarla. L’aveva fatto
come se per lei,
abbracciarla, fosse una cosa del tutto normale. Come se
l’avesse sempre fatto.
Regina
si era irrigidita. Poi aveva
risposto all’abbraccio goffamente. L’aveva tenuta
stretta, mentre singhiozzava.
Stava
ripensando a quello, quando
udì i passi sulle scale e Malefica comparve, appoggiando una
spalla alla
parete.
-
Dov’è Lily? – chiese Regina.
-
Oh, lei... non vuole vedere
nessuno. – Si spostò verso il letto, sedendosi
accanto a lei. Aveva un’aria
abbattuta e cupa. – Non ha bisogno di me.
-
Sì che ne ha. È solo troppo
orgogliosa.
Malefica
la scrutò con quei suoi
grandi occhi celesti. - E tu come ti senti?
-
Non lo so. – rispose Regina,
scuotendo il capo.
“A
Camelot non ti sei fidata di me. Questa volta devi farlo. Devi,
Regina”.
“Non
puoi”.
“Non
abbiamo altra
scelta”.
Regina
rabbrividì. Avvertiva il
gelo nel sangue e nelle ossa.
Malefica
si tolse la giacca che
teneva sulle spalle e la sistemò sulle sue.
Lily entrò in negozio e trovò
Tremotino comodamente seduto dietro al bancone.
-
Ultimamente vieni spesso nel mio
negozio, Lilith. – disse, accarezzando l’orlo del
bicchiere con la punta
dell’indice.
Le
voci erano molto più forti. Più
pressanti.
-
Il pugnale. Dov’è? – disse,
aggrottando la fronte e cercando di non lasciarsi confondere dai
sussurri.
-
Sei... un po’ turbata. Lo
capisco. – rispose Tremotino, sfruttando un tono
accondiscendente che aumentò
la sua furia.
-
Non provare a dirmi che cosa provo.
Dov’è il pugnale? Lo so che è qui. So
che ce l’hai tu. – ripeté.
Tremotino
rifletté qualche istante.
Infine, cedette. Allungò una mano sotto al bancone e prese
un involto. Lo
srotolò.
-
Sì, ce l’ho. – ammise, posando il
pugnale sulla superficie di vetro.
Tremotino.
Era
il pugnale. Non come lo
ricordava, però. Il nome del Signore Oscuro era impresso in
argento sulla lama
ondulata. In argento su sfondo nero.
Incredula,
Lily alzò lo sguardo
sull’uomo che le stava di fronte e che ora le appariva come
un maligno pupazzo
sbucato da un pacco a sorpresa.
-
Sei l’Oscuro.
-
Già. Avrei voluto tenerlo
segreto. Ma sai, Lilith... non mi aspettavo che lo sentissi. Dovevo
anche
pensare al fatto che molti ex Signori Oscuri... sono morti. Quasi
tutti, a
parte me e te.
Le
voci erano sparite. Le voci
avevano ceduto il posto ad una collera cieca.
-
Com’è possibile? Come hai fatto?
-
Dopo che Emma e Regina sono
venute da me per chiedermi qualche pozione... ho riflettuto. Beh, in
realtà ho
cominciato a farlo prima. Non avevo molto tempo a disposizione, ma ho
usato
quel tempo come meglio potevo.
-
Ingannando tutti.
Poteva
spiegare a Lilith Page che
cosa l’aveva spinto a tornare sui suoi passi? Poteva
spiegarle che cosa aveva
provato quando aveva capito di non avere scampo? O cos’aveva
provato quando
Cornelius li aveva attaccati? Non era stato in grado di difendere se
stesso o
Belle. Se Belle fosse stata il bersaglio di quell’Oscuro, lui
non avrebbe
potuto fare niente per aiutarla. Non aveva più la magia. Non
aveva una spada con
cui difenderla. Non aveva niente. Era solo un uomo. Un uomo con un
cuore nuovo
di zecca, un cuore reso puro da Emma Swan. In più, non aveva
potere contro
Caronte e il suo marchio. La solo idea di finire di nuovo negli Inferi
lo
paralizzava. Lo paralizzava l’idea di finire dritto nel
Tartaro, perché era
convinto che fosse quello il suo destino. Una pena eterna.
Poteva
spiegarglielo?
Tremotino
disegnò la spirale sul pavimento.
Era
uno dei simboli più antichi del mondo magico. Un simbolo di
potere. Emanazione.
Estensione. Sviluppo. Creazione. Energia. Il viaggio dopo la morte.
L’ordine
dal caos o il caos dall’ordine.
Per
l’incantesimo che stava per lanciare, la spirale era
fondamentale. Era un
conduttore. L’oscurità contenuta nella spada
sarebbe defluita in un luogo
sicuro nel momento in cui Emma Swan l’avrebbe usata su di
sé. O su Lilith, se
alla fine si fosse vista costretta ad ucciderla.
Sarebbe
defluita in lui.
Girò
la pagina e trovò le parole dell’incantesimo. Era
antico quasi quanto il
simbolo che aveva appena disegnato. Gli ingredienti erano allineati sul
tavolino. Tre semplici pozioni che aveva nel suo negozio.
Tremotino
le prese tutte e tre e si piazzò al centro della spirale.
No,
non poteva.
-
Un rito. – disse, semplicemente.
– Un rito che ho ritrovato tra le Cronache degli Oscuri,
mentre cercavamo di
capire quale fosse il tuo... terribile piano. Nel momento in cui tu hai
usato
la spada su Emma... si è attivato. E
l’oscurità non è stata distrutta, ma
solo
trasferita.
-
Dentro di te. – Sputava le parole
come se stesse sputando veleno.
-
Le cose sono come devono essere.
– concluse Tremotino, ammirando la sua arma.
-
Hai tradito tutti quanti. Di
nuovo.
-
È ciò che faccio di solito. Io
agisco così. – Senza esitazioni. Sempre con quel
sorrisetto perfido. – Adesso
ho il potere di tutti gli Oscuri, in me. Incluso il tuo.
-
Bene.
Tremotino
batté le palpebre. –
Bene?
-
Questo è l’uomo che sei. O forse
dovrei dire... questa è la bestia
che
sei. Quella che inganna la donna che ama continuamente, quella che ama
il
potere... e uccide il proprio figlio ogni volta che dimostra di non
essere in
grado di cambiare. – Lily sapeva di essere crudele. E aveva
una gran voglia di
esserlo. Non le importava come avrebbe reagito Tremotino. Era capace di
ucciderla con un semplice gesto della mano. Avrebbe potuto spezzarle il
collo o
strapparle il cuore dal petto e ridurlo in cenere. Aveva conosciuto
Neal, ora
lo sapeva. Quando aveva trovato la foto nella scatola dei ricordi di
Emma,
aveva riconosciuto il ragazzo che l’aveva accompagnata alla
fermata
dell’autobus quella sera, un ragazzo gentile, che
l’aveva aiutata pur non avendo
idea di chi lei fosse. Per qualche ragione Bae, come si era presentato,
le era
rimasto impresso. Non si era mai scordata la sua faccia. Bae. Baelfire.
Neal.
L’Oscuro
la fissò, sprezzante. Sollevò
una mano, in procinto di usare la magia contro di lei. – Non
parlare di Belle.
E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di provocarmi... non ti
conviene.
-
Nemmeno a te conviene provocare
me. – precisò Lily. I suoi occhi erano dorati. Si
sentiva la testa in fiamme e
il drago si era appena destato. – Emma si è
sacrificata. Io l’ho uccisa.
Credevo che stessimo distruggendo l’oscurità, ma a
quanto pare... è stato tutto
inutile. Tu... l’hai reso inutile. Quindi ora parleremo
d’altro. Parleremo di
ciò che tu farai per me.
-
Perché dovrei fare qualcosa per
te?
-
Perché in caso contrario potrei
dire a Belle che razza di uomo sei. Ho ancora la magia.
L’avevo anche prima di
diventare un Oscuro. Potrei farcela ad arrivare da lei prima che tu mi
uccida. Potrei
anche farle del male personalmente. So trasformarmi. Perché
no? Non ho più il
potenziale oscuro di Emma, ma credo... che questo non cambi la mia
natura.
Sento di poter fare... cose terribili. - Lily si sporse verso di lui.
– E anche
se non ci arrivassi, ho lasciato un messaggio sulla segreteria di
quegli idioti
degli Azzurri mentre venivo qui. Sanno dove mi trovo, ormai. Se
sparisco,
sapranno che tu sei l’ultima persona che mi ha vista. Vuoi
vedere il sospetto
negli occhi di Belle? Vuoi... rischiare di nuovo di perderla?
Tremotino
sfiorò la lama del
pugnale, osservando il proprio nome su di essa. Pensò a
Belle, che ancora
dormiva, ignara di tutto. Pensò a Neal. E ad Emma Swan che
moriva davanti a
tutta la sua famiglia.
-
Che cosa vuoi da me, Lilith?
- Nell’Oltretomba? Vuoi andare
nell’Oltretomba? – Malefica non credeva alle sue
orecchie. – Lily, tu sei
sconvolta...
Lily
si limitò a scuotere la testa.
– Non sono sconvolta. Non lo sono più.
-
Non puoi, Lily. Non possiamo. –
Sua madre parlava lentamente, come ci si rivolge a chi è in
preda a un attacco
isterico passeggero, ma preoccupante. – Va contro una delle
regole più
importanti della magia.
-
Chi se ne importa delle regole! –
urlò Lily, costringendola a ritrarsi. – Stiamo
parlando di Emma!
In
cucina calò il silenzio. Tutti
la fissavano. Gli Azzurri, Robin, Regina, Henry. Persino Uncino, che se
ne
stava stravaccato sul divano, con i capelli tutti arruffati, la camicia
stropicciata e con il suo alito che sapeva di rum. La fiaschetta vuota
era
accanto a lui.
-
Lily, ci saranno delle
conseguenze. – spiegò Malefica.
-
Me la vedrò io con le
conseguenze! – ribatté Lily. – Noi...
abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E
Gold l’ha ingannata... ci ha ingannati tutti! Emma si
è sacrificata, ma non è
servito a niente. Era una bugia!
-
Ma se la riportiamo indietro... qualcuno
dovrà morire. – disse Robin, con cautela.
-
Emma, a Camelot, mi ha detto che
voi due condividete un cuore. – rispose Lily, rivolgendosi
agli Azzurri. – Sei
morto, o sbaglio?
-
Sì, ma quella era una situazione
completamente diversa. – commentò David. Neve gli
appoggiò una mano sul
braccio. – Non so se può funzionare stavolta.
-
E voi sareste quelli che non
perdono mai la speranza?
-
Lily. – riprovò Malefica. – Qui
non si tratta di speranza. È nell’Oltretomba che
vuoi andare.
-
E allora rimanete qui! Rimanete
qui... con le mani in mano, a tormentarvi. Vi ricordo che siamo tutti
responsabili di quello che è successo! Io intendo andarci! E
nessuno me lo
impedirà.
Ancora
silenzio. Occhiate ansiose.
Uncino
si alzò. – Può funzionare?
Regina,
seduta su uno sgabello
davanti al bancone, si tormentò le mani in grembo.
– Sì. Potrebbe funzionare.
No,
Regina, state contemplando una strada che non dovete percorrere. Neal
è morto,
ricordi? Tremotino è tornato, ma Neal è morto.
Daniel è tornato, ma le conseguenze
sono state terribili.
Mise
a tacere quella voce. Il cuore
le batteva troppo forte nel petto. Quel bacio, il ricordo delle labbra
di Emma
premute contro le sue, era così vivido da farle male. Gli
occhi verdi di Emma,
gli occhi che l’avevano guardata mentre lei reggeva la spada
sollevata sopra la
testa, erano impressi a fuoco nella sua mente.
“Noi...
abbiamo bisogno di Emma e lo sappiamo. E Gold l’ha
ingannata... ci ha ingannati
tutti! Emma si è sacrificata, ma non è servito a
niente. Era una bugia!”
Una
bugia. Era quello che la
tormentava. Una bugia. Il sacrificio di Emma ridotto al nulla da
quel... mostro
di Tremotino. Aveva una gran voglia di strappargli quel suo dannato
cuore dal
petto...
-
Sono disposto a rischiare per
Emma. – continuò Uncino.
-
Allora andiamoci. – disse Henry.
La sua voce suonò incredibilmente adulta. Adulta, ferma,
franca, determinata.
Chiuse il libro che stava sfogliando da ore senza concludere niente.
– Vengo
anch’io.
-
No. – disse Regina.
-
Sì, invece. Emma è mia madre. Non
me ne starò qui ad aspettarvi. Ricordatevi che sono
l’autore. – replicò Henry.
-
Anch’io sono tua madre, Henry.
-
Se mi lasciate indietro, troverò
un modo per seguirvi.
Lily
sorrise.
-
Emma non me lo perdonerà mai. –
mormorò Regina.
-
Ci andiamo tutti. – disse Neve. –
Lily ha ragione. Siamo tutti responsabili di quello che è
accaduto. Abbiamo
tutti delle colpe. E abbiamo bisogno di Emma. Se esiste anche solo una
minima
possibilità... dobbiamo provarci.
Regina
annuì.
-
Non posso venire con voi. –
intervenne Robin. – Zelena ha portato via mia figlia ed io
devo... devo pensare
prima di tutto a lei.
Se
lo aspettava. Regina immaginava
che Robin avrebbe deciso di andare ad Oz per affrontare Zelena e
riprendersi la
bambina.
-
Come pensi di fare? Mia sorella è
una strega molto potente.
-
Porterò i miei uomini con me. –
la rassicurò lui.
-
Non basteranno mai.
-
Porterò anche quel mago, Knubbin.
So che vuole tornare nella Foresta Incantata. Non avrà nulla
in contrario.
-
Zelena se lo mangerà in un solo
boccone, quel mago da quattro soldi!
-
Devo andarci. O non rivedrò mai
più mia figlia.
Regina
decise che era meglio
tacere. La verità era che la sua mente era già
proiettata verso l’Oltretomba.
Per quanto le sembrasse una follia, stava già provando ad
elaborare un piano
per difendere suo figlio e gli altri dai pericoli che avrebbero
certamente
incontrato.
-
Userò la bacchetta per riaprire
il portale. – disse Lily. - Così potrai
raggiungere Oz. Sono stata io a
rispedirla laggiù. Ed io... rimedierò.
Robin
la fissò a lungo, senza dire una
parola. Poi accettò.
Il potere della bacchetta rischiò
di schiacciarla, stavolta. A Lily sembrò che fosse in
procinto di sfondarle la cassa
toracica, mentre esplodeva verso l’esterno e formava non un
tornado, ma una
porta. La maniglia ruotò da sola sui cardini ed essa si
aprì, rivelando il
passaggio verso Oz. Knubbin non esitò a gettarsi oltre la
soglia; non aveva
intenzione di rimanere un minuto di più in quel mondo per
lui troppo pieno di
cose folli.
Robin
aveva affidato Roland alle
fate e chiamato a raccolta tutti i suoi uomini. Si sistemò
meglio la faretra
piena di frecce a tracolla e poi rivolse un sorriso stentato a Regina.
Allungò
una mano per prendere la sua.
Lily
sperava solo che se ne andasse
in fretta. Tremotino la stava aspettando. Una parte di lei temeva che
se ne
fregasse dell’accordo, temeva che avrebbe trovato un modo per
venire meno ai
patti e per evitare
anche che parlasse
con Belle. Era l’Oscuro. Non solo, possedeva il potere di
tutti gli Oscuri.
Compreso il suo e quello di Emma.
“Non
parlare di Belle. E nemmeno di mio figlio. Se stai cercando di
provocarmi...
non ti conviene”.
Quando
giunsero al lago, però,
Tremotino era là, ad aspettarli, con il pugnale in mano. Era
sera. La nebbia
scivolava lungo lo specchio d’acqua. In cielo, la luna
sbirciava attraverso una
ammasso di nuvole.
-
Sei sicura? – chiese Tremotino,
appoggiandosi la lama sul palmo della mano.
-
Sì. Ti dispiace sbrigarti? –
rispose Lily.
Lui
annuì e si procurò un taglio. Aprì
il pugno, lasciando cadere le gocce di sangue nel lago.
Un’onda si espanse,
raggiungendo la riva opposta e agitando leggermente l’acqua
scura.
Per
qualche istante non accadde
nulla. L’aria era immobile. Lily avvertiva i respiri pesanti
delle persone
dietro di lei. Regina era accanto a suo figlio. Gli Azzurri si
stringevano
l’uno all’altra. Uncino se ne stava in disparte,
meditabondo. In attesa.
Poi
il lago mandò un lungo sospiro,
come se fosse stato una cosa viva, e il passaggio si aprì.
Il fumo bianco che
Lily ricordava inondò il lago e da esso sbucò la
barca di Caronte, con il
traghettatore che la sospingeva in avanti usando il lungo bastone. Le
fiamme
che circondavano gli occhi del demone si fecero più intense
e minacciose.
Tremotino
avanzò, camminando sul
sentiero invisibile che conduceva fino al centro del lago. Lily e gli
altri lo
seguirono.
Il
vento si levò, fischiando
brevemente attraverso gli alberi e inducendola a guardarsi intorno,
inquieta.
Malefica le mise una mano sulla spalla, stringendo appena, e Lily si
sentì in
qualche modo rincuorata.
Ti
riporteremo indietro, Emma, pensò,
mentre Tremotino
metteva piede sull’imbarcazione di Caronte. Non
importa che cosa dovremo fare per riuscirci. Noi ti riporteremo
indietro.
___________________
Angolo
autrice:
Eccoci
giunti all’epilogo.
Ringrazio
tantissimo tutti quelli
che l’hanno seguita e commentata, ma anche chi l’ha
seguita in silenzio, chi l’ha
aggiunta alle preferite e alle ricordate.
La
storia prevede un seguito,
ovviamente.
Solo
un appunto: per quanto
riguarda la citazione iniziale, presa da Ovidio, non sono sicura che la
traduzione sia corretta. Non ho mai studiato né greco
né latino, quindi ho
cercato un po’ di traduzioni del mito di Orfeo ed Euridice e
questa mi è
sembrata bella. Ma ripeto: se esistono traduzioni migliori,
segnalatemele pure.
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