Attesa

di LubyLover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 02 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 03 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 04 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 05 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 06 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 07 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 08 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 09 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 01 ***


Titolo della storia: Attesa - Capitolo 01
Fandom: ER Medici in prima linea
Personaggio principale: Abby Lockhart
Coppia: Luka Kovac/Abby Lockhart
Rating: Giallo
Set In Time: Stagione 13: è nato Joe da poco, Luka ed Abby non sono ancora sposati, Ames non è accaduto.
Note: Long fic; What If?; Abby's POV; angst (molta angst)
Allora, questa storia ha una "gemella": Ritorno, una fiction che parte dallo stesso punto ma raccontata dal punto di vista di Luka. Non è indispensabile leggere le due storie per capire; si capisce tutto benissimo anche leggendone una sola soltanto (ma io vi voglio più bene se le affrontate tutte e due...)
Disclaimer: Luka Kovac ed Abby Lockhart non sono miei, ma di tutti gli aventi diritto. Non ci guadagno nulla.


 

La barca sta passando davanti a lei. La studia, attenta, cercando di capire le sue motivazioni.

È partito.

 

***

“Luka… ma?”

Non ottiene risposta.

La valigia chiusa, il biglietto appoggiato sul tavolo in salotto.

***

 

Vukovar, se ne rende conto, ha sempre aleggiato su di loro, riempiendo lo spazio che tra di loro si creava. Una sorta di cuscinetto. Anche se lui non ne parlava. Anche se lei non chiedeva. E ora, la città è venuta a chiedere il conto, non dimentica del passato. Maligna e perversa, seguendo il leit motiv la vendetta è un piatto che va servito freddo.

Abby continua ad osservare il lago che, placido, continua la sua vita immobile. Sulla panchina accanto alla sua, un uomo legge il giornale. Ai suoi piedi, è accucciato un cane. Anche l’animale è in attesa di qualcosa, di un cambiamento, di una novità. Per questo motivo, Abby sente di capirlo. Lo studia un po’, la corta pelliccia lucente, la lunga coda a scodinzolare lenta, le orecchie abbassate, rilassate. Il mantello bianco a macchie nere le ricorda che – ironia della sorte – il cane è un bell’esemplare sano di razza dalmata. Qualcuno, da qualche parte, si sta prendendo gioco di lei. E non è bello.

Un rumore sulla sua testa la costringe ad alzare lo sguardo: l’aereo che la sorvola le fa male, anche se sa che non può essere l’aereo di Luka. Il suo aereo, stabilisce Abby dopo un rapido cenno all’orologio, ormai avrà lasciato la costa americana e si starà dirigendo verso l’Europa.

 

***

"A volte mi chiedo come mai sei arrivato qui"

"Ho preso un aereo..."

Lei gli sorride, divertita. Ma non del tutto: in un certo senso, ha percapito la sua ritrosia, il suo nervosismo. Sono cose che non può ancora chiedergli. Non per quella sera, almeno.

"No, il punto non è l'aereo, ma come hai potuto sorpassare la dogana. Tu sei di un sospettoso spaventoso"

"Divertente... è finito l'interrogatorio?"

"Ma sì, dai. Dormiano"

Gli prende una mano e si sdraia. Lo sente sospirare piano, proprio poco prima di addormentarsi. Luka è un mistero.

***

 

L'uomo col cane se ne va, trascinandosi dietro la docile bestia. Lei si sente osservata, dal cane naturalmente. Come è possibile stabilire una connessione con un animale a quattro zampe?

Si rende conto che i suoi pensieri stanno prendendo una piega troppo irrazionale, e questo la spinge ad alzarsi ed incamminarsi verso la macchina. Dentro, sul cruscotto, c'è il biglietto del parcheggio.

 

***

"Quando tornerai?"

Si sente una stupida a fargli una domanda del genere. Ma, quando lui abbassa lo sguardo e non le risponde, è come se qualcosa dentro di lei morisse.

"Tornerai, vero?", glielo chiede prima ancora di rendersene conto. Lui ha sempre detto di amarla per la sua indipendenza che la rendevano così unica, così forte, ed adesso eccola lì, come una fidanzata abbandonata qualunque. Non è da lei. Ma non è da lei nemmeno innamorarsi così. E ora?

E, dopo un secondo, lui è sparito dalla sua vista. Forse per sempre. La sua guancia, calda per l'ultima profonda carezza che le ha regalato, si sta già raffreddando. Sulle sue labbra, il suo sapore forte sta già morendo. E già non sente più il rimbombare confortante del suo cuore sotto il suo orecchio. Ha freddo, senza le sue braccia attorno.

Sola. In attesa.

***

E' a casa, ora. Non sa come. Deve aver guidato con una sorta di pilota automatico. La baby sitter la saluta, in un turbinio allegro di cappotto, borsa e sorriso. Sente di odiarla. Che ne può sapere lei? Dal suo box, il suo - loro - bambino la guarda, il labbro imbronciato, gli occhi lucidi. Luka. 

E adesso?

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 02 ***


Sta fissando la notte. In quel buio immobile spera di trovare una risposta, che sa già, nessuno le darà. Non riesce a dormire, il pensiero fisso su Luka, da qualche parte, là a Vukovar, solo con i suoi demoni.

Trema brevemente. L'oscurità le ha sempre fatto un po' paura; normale, quando da bambina nessuno ti scaccia gli incubi dalla stanza.

 

***

"Mamma..."

Gli occhi di Maggie appaiono spiritati, illuminati dalla luce della luna. Sta armeggiando in cucina. Dappertutto, utensili e cassetti spalancati.

"Sì, Abby?"

La bambina è spaventata; non le piace il tono della madre. E' come se... come se... fosse pazza. Il pensiero non la disgusta: una bambina non dovrebbe mai pensare una cosa del genere riguardo la madre.

"E allora?"

Maggie sta reggendo un coltello, ora. Non lo fa in modo minaccioso, ma non è comunque una cosa bella da vedere.

"Niente... ho solo fatto un sogno e..."

"Oh, tesoro, mi dispiace! Brutto sogno cattivo! Solo che io adesso devo cucinare per te e tuo fratello e quindi..."

Abby trattiene le lacrime. "Va bene, mamma, non importa. Non faceva tanta paura"

Si gira e, dondolando, si allontana.

***

 

Si allontana dalla finestra, sospirando stanca. Si guarda intorno. La loro camera da letto. C'è Luka ovunque, lì dentro. Luka è nella camicia blu scuro piegata sulla sedia, nella cravatta grigia nel cesto dei panni da lavare, negli orribili calzini di spugna nel cassetto, nell'odore che è rimasto sul suo cuscino, nel suo cuore che è come se non battesse più.

Abby si siede sul letto smarrita. Guarda il telefono sul comodino, la cornetta le appare incollata alla base, come se lei non lo potesse usare. Ma se lui squillasse, se quell'oggetto neutro ma maledetto tornasse alla vita, lei allora potrebbe...

 

***

DRIIINN!! DRIIINN!!

"Luka..."

Sente le dita di lui accarezzarle la clavicola, le labbra a baciarle la pelle sensibile dietro l'orecchio.

DRIIINN!! DRIIINN!!

"Hey..."

Tenta di allontanarlo per guardarlo, ma fallisce. Non che ci abbia veramente provato, in effetti. Gli passa una mano tra i capelli.

"... Lukaaaa..."

"Mhhh... che c'è?"

Finalmente. Anche se lui non la sta comunque ascoltando con attenzione, visto che sembra molto più interessato al gancio del suo reggiseno.

DRIIINN!! DRIIINN!!

"Il telefono"

Lui la fissa, ora.

"Cioè?"

Lei sorride.

"Sta suonando"

"E allora?"

"Non rispondi? Potrebbe essere un'emergenza..."

Lui si sporge verso l'apparecchio che sta ancora suonando, afferra la cornetta, la riappende, la solleva di nuovo e l'appoggia sul comodino. Problema risolto.

Lei lo guarda confusa.

"E' un'altra l'emergenza di cui mi voglio occupare ora"

***

 

Il telefono rimane muto. Non ha senso. Perché tutto nella sua vita si deve complicare così? Perché tutto nella vita di Luka si deve complicare così? Pensa a lui, adesso, a quanto ha già sofferto, a quanto, a volte, sembra amare il potersi fare del male con le proprio mani.

Sospira, rompendo il silenzio della stanza. Il telefono è sempre muto. Niente. Nessuno avrà bisogno di lei, stasera.




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Capitolo 3
*** Capitolo 03 ***



3.

L'urlare improvviso del tuono la fa sobbalzare. Deve essersi addormentata, anche se non ricorda quando. Meno di due secondi dopo, le arriva la voce di Joe, certamente svegliato dal temporale. Ancora confusa, ed un po' nauseata, si dirige verso la stanza del bambino.

Joe sta strillando a pieni polmoni, i pugnetti chiusi, il visino rosso e bagnato. Spaventato. Probabilmente, quello è il suo primo temporale e lei è lì da sola ad affrontarlo. Non le sembra molto giusto.

***

"Non credo di essere abbastanza forte"

"Essere genitore ti rende forte"

La voce di Luka è carezzevole come la mano che sta seguendo il profilo della sua spalla. Per Abby, da sempre, quelli sono i momenti che preferisce dividere con Luka; loro due, soli, e la felicità di poter essere finalmente se stessi, senza interruzioni esterne. Completamente e totalmente a loro agio. Ed è per questo che prima che se ne renda conto se ne esce con quella risposta.

"E ti spezza il cuore. Me l'hai detto tu"

Se ne pente. Ovvio. Non era quello che intendeva lui quando gliel'ha raccontato. E infatti:

"Non era questo che intendevo"

Lei lo accarezza, prova a scusarsi, ma è vero, lui ci ha preso ancora: sta solo cercando dei pretesti per non affrontare ciò che sta capitando loro. Lo guarda e sente che la paura che prova si sta un po' attenuando: lui è lì e le sta promettendo di affrontare la cosa insieme. Insieme.

***

E adesso? Dov'è in questo preciso momento la promessa di Luka? Dov'è finita quella promessa? A Vukovar, naturalmente.

Stringendo il piccolo Joe, che ancora non si è calmato, Abby sente di odiarla un po' quella città che la sta privando di Luka. Si sa che le persone innamorate sono un po' egoiste ed, inoltre, Abby non può negare una cosa: è gelosa di Vukovar. E' assurdo, ma si sente in competizione con lei. Ridicolo.

Un altro tuono rimbomba nella stanza e Joe rinvigorisce il pianto. Abby non può fare a meno di stupirsi quanta energia riescano a trovare i bambini così piccoli, quanto ossigeno riescano a trovare quei polmoni così fragili. Si siede sul divano della cameretta e si accoccola Joe tra le braccia, per poterlo guardare in faccia. Ha la bocca spalancata, in una O di disperazione e dolore.

Il loro bambino.

"Shhh... va tutto bene, è solo il temporale. Tranquillo, non ti può succedere niente, c'è la mamma"

Mentre lo dice ne dubita. La mamma. È vero. Ma è da sola, e Joe è ancora così piccolo ed indifeso. Ma si accorge che il bambino le ha creduto, perché è più calmo, ora, sta sempre piagnucolando, ma niente più urli, né lacrimoni sulle guance. È così bello, quel bambino. Uguale a Luka.

***

Sente il mento di Luka premere sulla sommità del suo capo, ma non è fastidioso, anzi. Si sente protetta, come all'interno del grembo materno. È così bello che Luka sia tanto più alto di lei. Nessuno è mai riuscito ad avvolgerla così.

Stanno guardando Joe dormire tranquillo. Secondo Luka sta sognando. Lei se lo augura. E mentre guarda quell'esserino dormire in pace, l'incubo di Vukovar ancora inimmaginabile, si rende conto che non può fare a meno di innamorarsi del piccolo ogni volta di più. Tutte le volte che il suo sguardo si appoggia su di lui, è come se il cuore le volesse scoppiare nel petto; la fa sentire energica. Viva. Completa. Forte. Indistruttibile. Migliore.

Il loro bambino. Con le ciglia di Luka, i suoi occhi, i suoi zigomi slavi. Ma con il suo sorriso e il suo naso. L'espressione perfetta del loro amore.

Joe.

***

Joe sta sbadigliando, adesso, assonnato. Il temporale è lontano finalmente; gli ultimi tuoni stanno risuonando distanti. Non fanno più paura, sono solo un brutto ricordo per Joe.

Abby guarda fuori dalla finestra e si ricorda improvvisamente di Maggie. Ripensa a quando le aveva detto che era forte e che era una madre, ormai. Guarda il bambino addormentato. Gli bacia la fronte affettuosamente. E capisce. Forte lo è diventata davvero. Non poteva andare diversamente.

Si alza per mettere Joe nella culla, sentendosi piena di speranza: Luka tornerà presto e lei lo aspetterà. Non lo deluderà. E' una madre adesso.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 04 ***


Segue, quasi senza accorgersene, l'andamento della metropolitana. Galleggia, quasi, a malapena consapevole che tutto ciò che non la fa cadere è il palo di metallo a cui si sta distrattamente reggendo.

Un altro giorno.

Nessuna telefonata, nessuna lettera, nessun segno. Niente. Inizia a sentire che l'attesa la sta uccidendo.

In ospedale, si muove e lavora come se niente fosse. Ma sa che le occhiate degli altri la condannano. La legge, nei loro sguardi, la commiserazione; lo percepisce, nei loro occhi, il senso di pietà. Pochi credono che Luka tornerà. E fa male. Come se l'amicizia di cui si vantano tanto sia solo apparente, di circostanza.

Cerca di distrarsi con l'arrivo di un'ambulanza e potrebbe riuscirsi se non conoscesse il paziente.

"Professore..."

L'uomo, intubato, semiparalizzato sulla barella, la fissa da dietro il tubo. Lo sguardo è livido, spaventato. Ma lei lo riconosce. E ci vede quello che ci vedeva anni fa, dietro a quello sguardo. La forza e la determinazione. La sicurezza.

 

***

"Abby Lockhart, sono al primo anno. Avrei bisogno di una firma per lasciare questo corso"

"Abbandonare la biochimica?", gli occhi di Nate sono curiosi, ma si capisce dalla loro luce che hanno già vissuto la stessa situazione con altri studenti.

"Sono già stata bocciata al primo trimestre e non ho molta fiducia per il futuro"

"Ma è fondamentale!"

Non è da lui insistere troppo, ma quella studentessa gli piace. È sempre puntuale ed attenta. Può farcela, con un po' di fiducia.

Abby si sente sconfitta, come molte volte nella sua vita. Abbassa lo sguardo, non può sopportare gli occhi del professore. E lo ascolta distrattamente mentre patagona la biochimica alla danza. Vuole solo fallire in santa pace; tanto tutti si aspettano di essere delusi da lei.

"... Le garantisco che si berrà l'esame come un bicchier d'acqua. Anzi, guardi, ci scommetto dieci dollari"

Un sorriso, una luce furba negli occhi.

***

Il Professore Nate Lennox è (o lo era) in grado di convincerti con lo sguardo. Ed Abby non riesce a non pensare a Luka che è in grado di fare esattamente la stessa cosa. Sopsira, tentando di concentrarsi sul paziente. Ma è una gran pena vederlo lottare persino con il computer che gli permette di esprimersi.

"Professor Nate..."

"Abby...", anche la voce elettronica ha una sfumatura debole, sconfitta, "... penso che ci siamo, ormai..."

"Prof..."

"No, Abby. Potresti far chiamare Fran?"

La donna fa un cenno a Sam e poi si siede accanto a Nate. Controlla rapidamente i parametri e poi incontra il suo sguardo. Forse quello sguardo ha perso la forza di un tempo, ma quegli occhi parlano ancora. E le stanno dicendo quanto è orgoglioso di lei, la sua studentessa quasi rinunciataria.

"Scommettiamo dieci dollari che..."

Nate sbatte le palpebre, interrompendola: "No... siamo pari. Tu non mi hai mai pagato, io non ti ho pagato l'ultima volta. Stavolta, non potrei riscuotere la mia vincita", una lacrima gli scivola sulla guancia.

In quel momento entra Fran. Si avvicina subito al letto per afferrare una mano dell'uomo. Guarda brevemente Abby, riconoscendola. Abby si alza ed esce, dicendo qualcosa riguardo all'arrivo dello specialista. Sulla porta, incrocia brevemente lo sguardo di Nate: la sta ringraziando. Ha gli occhi di chi è pronto, di chi ha visto. Ha lo sguardo tinto d'infinito. Abby sente di affogare in quegli occhi.

Va in salottino e cerca di calmarsi con la compilazione delle cartelle. È un lavoro odioso, ma non serve essere particolarmente concentrati. Non si può uccidere qualcuno revisionando una cartella. Non ci si sente affogare quando si ha davanti una cartella da riempire.

Un paio d'ore dopo è Sam a portare la notizia: Nate Lennox è morto.

Abby si alza, apre il suo armadietto, si toglie il camice e lo stetoscopio. Si muove con gesti calcolati, come per non sprecare le forze. E ci riesce, quasi, a non crollare, ma poi vede la foto sul suo armadietto: Luka, sorridente, felice, con in braccio Joe. Gli occhi di Luka sono luce pura che irradia la stanza. I suoi occhi sono la vita. E Nate è appena morto. E nessuno la sta aspettando a casa per consolarla. Tira un pugno allo sportello dell'armadietto, e piange. Gli occhi di Luka. Le mancano da impazzire. Rivuole il suo sguardo, rivuole lui, rivuole ciò che avevano. Odia Vukovar. Con tutta se stessa.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 05 ***


 

5.

"Pronto? Luka... sei tu vero?"

Dall'altro capo del filo, silenzio assoluto. Ma lei sa. Ne ha l'assoluta certezza. Non si trova di fronte ad uno stupido scherzo di qualche ragazzino annoiato.

"Luka, parlami per piacere"

Niente. Solo un silenzio rumoroso. Come se lui non ci fosse. Come se dall'altra parte non ci fosse nessuno. Ma l'ipotesi non la sfiora nemmeno. Il suo sesto senso non si sbaglia, non può sbagliarsi. È come quando sente che Joe si è svegliato ancora prima che il bambino inizi a piangere; è come quando, in ospedale, sente che sta per succedere qualcosa di brutto.

"Ok, allora... mmmm... io sto bene, insomma... beh, mi manchi... e Joe... lui, anche lui sta bene... dice le prime parole ormai... e... lo so, parlava anche quando sei partito ma... mmmm... Luka"

Silenzio. Abby inizia a sentirsi un po' stupida a parlare ad una cornetta muta. Ma, in un certo senso, sente l'angoscia di Luka, la sua scissione, il suo voler essere lì con lei, e, allo stesso tempo, la necessità di essere a Vukovar. Perché Vukovar? Per quale ragione si è messa sulle loro strade? Mentre si fa questa domanda Abby si rende conto, però, con disperazione, che Vukovar è stata indispensabile. Loro due, senza quel passato tragico, come avrebbero fatto ad incontrarsi? Non c'è soluzione.

"... beh, Joe oggi ha detto, detto tata..."

 

***

Il paziente, un adulto che evidentemente crede di essere ancora un bambino, sta blaterando senza sosta dei suoi malanni. Abby è stanca e non vede l'ora di andare a casa a farsi un bagno caldo. Mentre l'uomo continua a parlare Abby sente qualcosa di strano: un frullio inimmaginabile dentro di lei. Il suo bambino si è mosso! E lei l'ha sentito! Lo dice al paziente che, ovviamente, se ne risente e non le presta troppa attenzione, ma lei non se ne cura: è contenta. Il suo bambino. È vivo e sta bene. Il primo momento mamma-figlio di una lunghissima serie. Esiste qualcosa di più bello?

***

"Io... Luka, riesci a dirmi qualcosa? Lo so che è difficile... ho cercato di capire, e forse ci sto riuscendo, però ho bisogno che tu mi aiuti... ho bisogno di te... per piacere"

Si sente fragile, metre gli parla così. E anche un po' in colpa, perché non vuole pesare su di lui in un momento così drammatico. Ma non sta mentendo: ha davvero provato a capire cos'è qualla cosa che lo sta divorando dall'interno e la spiegazione la sente vicina, quasi a portata di mano. Se solo lui fosse a portata di mano. Se solo lui fosse lì.

Non le parla ancora, ma Abby sente la sua disperazione attraverso la cornetta. Ha la precisa percezione del fatto che lui sta per crollare al di là del filo. Ancora poco ed i pensieri di morte la raggiungeranno. E, infatti, i primi singhiozzi angosciati giungono al suo orecchio.  Sono coì reali, vivi, vicini da farle paura. Vorrebbe essere lì, vorrebbe che lui fosse lì. Lo vuole stringere, baciare, amare. Lo vuole.

"Luka... vorrei essere lì... Luka parlami, ti prego..."

Si odia, Abby, perché si rende conto che lo sta implorando e che lui per questo odierà se stesso di più. E lei si ritrova a fissare disgustata quella cornetta muta, rendendosi conto che anche lei sta detestando se stessa, perché una donna vera sa sempre come tranquillizare il proprio uomo, una donna vera sa come farlo parlare, una donna vera non continua a dubitare di aver preso un abbaglio. Una donna vera è invincibile.

***

Ha finalmente appoggiato il telefonino sul comodino, convincendosi che Joe potrebbe anche farcela. Sposta lo sguardo du Luka che, appoggiato al materasso accanto a lei, si è addormentato. Sente il suo respiro, ancora un po' rauco e accarezza il profilo rosso delle ecchimosi che ha sulla guancia.

Abby lo sa. Lo percepisce. Lui ha pianto un attimo prima in bagno. Si è disperato per quello che è successo. E lei ha paura. Perché il dubbio si insinua già nella sua testa: lo disgusti, non sei più una donna, ciò che ti rende donna ti è stato tolto, strappato via. Sei vuota. Non vali più nulla. E lui ti lascerà.

Non vuole dare ascolto alla voce; non gliel'ha mai detto ma lui la ama. Un'altra cosa che il suo sesto senso ha intuito. Il loro è amore. Sarà strano, folle, imprevedibile, non convenzionale, inaspettato, ma loro si amano.

Eppure... un bambino, uno solo non di più. Un bambino che sta lottando per vivere. Sente un brivido di freddo.

Inconsolabilmente vuota.

***

Si lascia andare sul divano, quasi senza accorgersene. La cornetta è ancora stretta nella sua mano. Chiude gli occhi. Vede la sua mano coperta del suo stesso sangue. Li riapre di colpo.

Riprende a parlargli, senza capire cosa gli dice. Si sente svanire, piano piano, anche se, incongruamente, il suo cuore batte sempre più forte.

"Non mollare, Luka, non mollare. Non mollare. Non. Mollare"

Più nulla. È finita. Non è più solo una telefonata muta. Lo sa con matematica certezza. Dall'altra parte non c'è più nessuno ad ascoltarla. 

Parole nel vento.

Tremiti e paura.

Luka. E Vukovar, ad inghiottirselo.    

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 06 ***


 

6.

 

Le porte di plexiglas si aprono scorrendo precise nei loro binari. Abby, esausta e quasi alla fine di un turno, alza gli occhi di sfuggita.

Non è possibile.

Questo è troppo. Decisamente troppo. La classica goccia che fa traboccare il vaso.

Velocemente, la testa bassa, entra in salottino. Non è mai stata religiosa, ma è a un passo da mettersi a pregare che nessuno la venga a cercare. Si siede di sbieco sul divano, una posizione che le permette di spiare il corridoio e l'accettazione. Non può affrontare quello che, sicuramente, le sta per piovere addosso. Non è psicologicamente pronta. Non adesso, con Luka disperso chissà dove.

 

***

Le loro voci concitate attraversano il muro e le giungono abbastanze chiare. Stanno discutendo di nuovo. 

"Non mi interessa! Tanto non cambia mai!"

"Ascoltami... ti prometto che da domani io..."

"Batsa! Stai zitta! Ne ho le tasche piene delle tue promesse. Spostati, devo prendere i miei vestiti"

"No.. no... ti prego... i bambini... pensa a loro..."

"E se provassi, per una volta, a pensarci tu a loro?"

"Ma io sono malata!"

"Tu lo sei solo quando ti viene comodo..."

Sbatte una porta, passi veloci nel corridoio. Altra porta che si chiude. L'unico rumore che rimane è il singhiozzare un po' infantile di Maggie.

Papà se n'è andato, non tornerà. Abby lo sa per certo.

***

 

Ma papà è tornato, adesso. E, infatti, la porta del salottino si apre. Chuny le porge un sorriso imbarazzato:

"C'è un uomo che ti cerca. Dice che lo conosci"

Abby sbuffa, stanca.

"Digli che sono occupata. O che non sai dove sono"

"Mi è sembrato un po' insistente. Non vuoi proprio vederlo?"

"È solo che... è troppo, Chuny. Troppo tutto insieme"

Chuny guarda per un attimo gli occhi di Abby. Sembra quasi sul punto di piangere. Decide di provare a darle una mano. Sorridendole brevemente, esce dalla stanza.

Abby, di nuovo sola, si siede meglio e si guarda le mani. Sta tremando. Ha bisogno di Luka. Si alza risoluta e, afferando il telefono, fa partire la chiamata. Pochi squilli e poi: Siamo spiacenti, ma l'utente da lei selezionato...

Con un gesto rabbioso chiude lo sportellino del cellulare, trattenendo un gridolino di stizza. Perché non le risponde? Perché non è raggiungibile? Dov'è finito?

 

***

C'è un caos pazzesco tutt'intorno a lei. Jerry è stato ferito ed ovunque può vedere vetri infranti ed apparecchiature distrutte. Haleh sta controllando il taglio che ha sulla fronte, ma lei ha fretta. Dov'è Luka? Mary le ha detto che era con un paziente in radiologia, ma non sa se fidarsi: alla fine Mary non era esattamente una ragazzina innocente.

Segue Morris in sala emergenza per occuparsi di Jerry. Non riesce a credere a quello che è successo. Qualcuino le chiede di Luka, lei ripete ad alta voce la storia del paziente in radiologia. Vuole crederci. Ci deve credere. Luka sta sicuramente bene. Luka deve stare bene.

Esce dalla stanza per andare a cercare un kit. È sola, e d'improvviso sente un dolore atroce al ventre. Le cedono le ginocchia, le gira la testa, il bambino... si porta una mano alla pancia, quando la alza è coperta di sangue. Del suo stesso sangue. Il bambino! Aiuto! Vorrebbe gridare, vorrebbe che qualcuno la sentisse, che qualcuno la vedesse, ma la vista si annebbia sempre di più, è sempre più debole, più spaventata. Il... bambino... vi... vi... prego...

***

 

Si gira verso gli armadietti ed apre il suo. Le è venuto mal di testa. Grandioso. Dentro all'armadietto, le solite cose di tutti i giorni. E la solita foto. Quella di Luka con lo sguardo luminoso. Non può odiarlo, non ce la fa. Non riesce nemmeno più ad essere arrabiata con lui.

È troppo, è vero.

È troppo anche per lui, di sicuro. Eppure lui a Vukovar ci è andato. E  ci è andato da solo.

Abby accarezza la foto e sorride. Poi, si sistema il camice e si dirige verso la porta.

Coraggio. E' ora di affrontare la situazione.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 07 ***


7.

"Abby... speravo che..."

Lei solleva una mano, risoluta. Non vuole farlo parlare, non crede nemmeno che lui ne abbia il diritto.

"Vieni. E stai zitto"

Lo porta in sala suture, lontano dal salottino perché il salottino è troppo intimo, troppo privato. E poi nel salottino c'è la foto di Luka e di Joe. E quell'uomo non ha alcun diritto di stare con loro.

 

***

"Non è un po' troppo grande per avere una baby-sitter?"

Si volta di scatto. L'uomo sembra innocuo, ma comunque ha attaccato bottone con lei come se niente fosse. Luka arriverà tra poco, non fa nulla di sbagliato a rispondergli. Dopo tutto, sono in un locale pubblico pieno di gente.

"È per mio figlio, Joe. È a casa con l'influenza"

L'uomo le si avvicina e riprende a farle domande; se sta cercando di abbordarla lo fa in maniera davvero strana: le racconta della sua famiglia, dei suoi figli, della sua compagna. Abby è confusa.

***

 

"Che vuoi, Eddie?"

Lui esordisce tossendo. Abby indovina che non si sta facendo curare.

"Ti ho cercata... non mi hai più chiamato ed io..."

"Tu cosa? Sei ricomparso dal nulla dopo anni, e speravi che tra di noi si potesse sistemare tutto. Come hai potuto crederlo? Ci hai abbandonati, Eddie!"

Lui allontana lo sguardo, ferito. Non può aspettarsi che lei lo chiami papà, ma fa male sentirla usare il suo nome. Tossisce ancora.

"Come sta il tuo bambino? Si chiama Joe, vero?"

Lei scuote la testa, esasperata: "Oh mio dio, Eddie. Sei venuto per chiedermi questo? Con che diritto me lo chiedi?"

"Senti, ho provato a cercarti... a cercare anche Eric. Ma Maggie, lei vi nascondeva, mi impediva di... di..."

"Non parlare di lei come se fosse una rapitrice professionista di bambini"

"Io... io avrei voluto portarvi via con me"

 

***

"Principessa, vieni qui!"

Abby, i codini a ballonzolare allegri, si avvicina saltellando. Lui la prende sulle ginocchia.

"Come è andata oggi?"

"Sai, papà, la mamma è un po' strana. Abbiamo preparato una torta, ma poi, alla fine, lei si è messa a piangere perché una delle decorazioni era un po' storta. Poi, ha preso la torta e l'ha buttata nel cestino. Tutta intera. Ma secondo me era buona lo stesso"

Eddie accarezza i capelli di Abby, guardando attentamente quei suoi occhi scuri. Per un attimo, lo sfiora l'immagine della bellissima donna che diventerà.

"Lo penso anch'io. Sai una cosa? Tra un po' dovrei ottenere una promozione e dovrei essere trasferito a Detroit. Che ne dici se tu ed Eric venite con me?"

Abby spalanca gli occhi: "E la mamma? Viene anche lei?"

Eddie esita prima di rispondere: "Ma certo, principessa. Se vorrà venire, potrà farlo"

"Wow! Allora va bene, papà. Corro ad avvisare Eric..."

***

 

"Sì, me lo ricordo bene. Solo che poi sei partito da solo. E ci hai lasciati lì con lei. E' stato... orribile..."

"Principessa..."

"Taci! E non chiamarmi così! E poi, poi non ti sei fatto più sentire né vedere e non provare a dare la colpa ancora a Maggie, perché, guarda, te lo garantisco, lei non ci teneva prigionieri da nessuna parte"

"Vero... magari avrei dovuto presentarmi di persona, invece delle lettere. Ma..."

"... ma poi hai incontrato la tua nuova compagna e via a farti una nuova vita"

Ad Eddie scappa un sorriso: "Sei gelosa. Solo perché..."

"Già. Scarica ancora la colpa su di me. Non sono gelosa, Eddie. Sono solo felice che la tua seconda famiglia si sia rivelata perfetta. Niente madri bipolari, né figli insulsi"

Mentre parla, la donna guarda di sfuggita l'orologio. È tardi: se non rientra subito, Miryam la ucciderà. Si alza e si avvicina alla porta:

"Devo andare. C'è la baby sitter che mi aspetta..."

"E quel tuo fidanzato?"

Abby chiude gli occhi. Lo sta facendo ancora. Sta rifuggendo la discussione. Ecco da chi l'ha ereditato. Perfetto.

"Luka non c'è. È fuori città". Decide di rimanere sul vago.

"E poi dici a me che sono scappato...", il tono che la figlia ha usato per pronunciare le parole non lascia dubbi. Luka non è solo fuori città: c'è molto altro. E non è qualcosa di bello.

Abby fissa Eddie, glaciale.

"Sai qual è il problema, Eddie? Il tuo cercarmi con le lettere, il tuo presentarsi da Ike's e poi, qui, al lavoro, le tue patetiche scuse, il tuo finto interessamento per Joe, le tue mute accuse a Luka... è troppo poco. Decisamente troppo poco. Non so cosa vuoi da me, ma non lo stai ottenendo. E ti dirò di più: stai facendo talmente poco che questa conversazione non sarà nemmeno il momento clou della mia giornata. Anzi, probabilmente, dopo che mi sarò presa cura di mio figlio e avrò finalmente parlato con Luka, mi sarò dimenticata di tutta questa faccenda. D'altronde, non che prima tu fossi al centro dei miei pensieri...Buona serata, papà"

Spinge la porta, respirando piano. 

Non è sollevata, ma è felice di avergli detto quello che pensava. Finalmente. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 08 ***


8.

 

La loro panchina. Se ne sta lì seduta, ad osservare intenta la scia di fumo sinuosa e bianca che si arrotola verso l'alto.

Si porta di nuovo la sigaretta alle labbra ed aspira distrattamente. Sa che non dovrebbe fumare, ma è nervosa. Troppo nervosa.

 

***

"Che fai, le butti?"

Si sente come una delinquente colta con le mani nel sacco e, considerando la situazione, è davvero assurdo. Ma d'altronde è la specialità di Luka farla sentire così. Si gira verso di lui, sorridendo.

"Sì, ho deciso definitivamente di smettere"

Lui inclina la testa di lato, gli occhi leggermente socchiusi. Non sa perché, ma quella sua espressione la fa sempre pensare ad un animale che studia la preda.

"Buon per te. Fumare fa male"

Lei allarga il sorriso: "Altri frasi trite e ritrite, dottore?"

L'uomo le si avvicina: "No, no, tranquilla. Anzi...", con un gesto inaspettato le ruba il pacchetto, sfila due sigarette e le infila tra le labbra socchiuse. "... accendino?"

Abby, completamente ammaliata, gli ha già porto l'oggetto metallico prima che lui abbia terminato la frase. E lo osserva accendere le sigarette, aspirare ad occhi chiusi e passargliene una.

"Che ne dici? Ultima sigaretta?"

"Ma qualcuno si è mai accorto che cattivo esempio sei?"

"Mai detto di essere un bravo ragazzo"

***

 

Butta in terra la sigaretta, rabbrividendo. La spegne sutto il tacco della scarpa, in maniera abbastanza assente. Le sembra di compiere solo movimenti banali, le sembra di non riuscire più a mettere alcuno stimolo vitale in quello che fa.

Si sente vuota. Ed inerme. Come una ragnatela che balla nel vento. E lei odia sentirsi così. Lei è forte, indipendente. Lei non si deve appoggiare a nessuno.

Ma Luka...

Appoggia la testa al muro dietro di lei e solleva la testa verso l'alto. Ormai è buio, ed inizia veramente a fare freddo. Si maledice momentamenate per non aver preso una giacca. Inerte. Senza quasi più la capacità di capire cosa è giusto. E non vuole pensare cosa potrebbe succedere a Joe se lei perdesse completamente la facoltà di connettere.

Sente gli occhi inumidirsi e la cosa la spaventa. Li chiude brevemente, e quando li riapre si ritrova a fissare il cielo. E le stelle. Ce ne sono davvero tante.

 

***

"Oh, Lu', guarda, una stella cadente!"

Solleva di poco la testa dal petto del suo uomo, per poter vedere meglio. Il bambino, con un frullio leggero, le ricorda la sua presenza.

"Credevo dormissi", la voce di Luka è un po' sbiadita. Lei sa che lui è stanco. Chi non lo sarebbe dopo un doppio turno?

"Nah, tuo figlio continua a maltrattare la mia vescica", il pensiero del loro bambino la fa sorridere. Non riesce ancora a crederci, anche se deve ammettere che l'idea le piace.

"Esprimi un desiderio", sa che non dovrebbe continuare a parlare; non solo Luka è reduce dal turno massacrante, ma l'indomani lo aspetta una giornata altrettanto orribile. Ma non può farne a meno. Quelli sono i loro momenti speciali. Da sempre. E' come se durante la notte, lui fosse finalmente completamente suo, come se le sue difese crollassero.

"Hey, rispondi!", lo pizzica sul braccio, ridendo. Sa che, nonostante tutto, non si arrabbierà.

"Mmmm... vorrei... vorrei... che tu dormissi"

Come volevasi dimostrare. Abby ride di nuovo, continuando a pizzicarlo.

"Molto spiritoso, Kovac... tu lo sai, vero, che questo desiderio non si avvererà mai?"

"Ne avevo il presentimento..."

La guarda. Lei sente la sua mano accarezzarle una guancia, lentamente. Studia i suoi occhi socchiusi e brillanti, e si chiede per l'ennesima volta come può avere le ciglia tanto lunghe. Si domanda, ancora, come può essere stata tanto fortunata ad avere Luka nella sua vita.

Quando non credi veramente nel loro potere, per chi cadono le stelle?

Lui sta seguendo il profilo del suo collo con un dito. Abby sente un brivido lungo la schiena. Rimangono fermi a fissarsi. Tenerezza, devozione, loro due. Ed un bambino. Chissà, forse loro due non hanno bisogno delle stelle.

***

 

Abby si rende conto si essersi sbagliata. Anche lei, sempre così razionale, poco incline ai sogni, ha bisogno delle stelle. Perché, se ne rende dolorosamente conto, sognare è un po' come credere. E lei ha bisogno di credere che tutto si sistemerà, che Vukovar le ridarà Luka. Le stelle le servono ancora.

Una stella per Luka, a Vukovar, perché riesca a capire il motivo che l'ha spinto a tornare là e perché riesca a trovare un motivo per tornare da lei.

Una stella per il suo bambino, così piccolo, ma che ha già affrontato così tanto. Che cresca sereno, e che dimentichi la tensione e la paura di quelle settimane.

A Maggie, una stella anche a lei, perché capisca che, in fondo, lei le vuole bene. Perché lo sappia che, da bambina, Abby avrebbe voluto diventare come lei.

Una stella per Eric, ovunque sia. Perché impari a convivere con la sua malattia, perché, prima o poi, si decida a chiamarla per fare due chiacchiere.

E, alla fine, una stella anche per lei. Perché quella sera, il cielo ne ha centinaia e, di sicuro, lei ne può prendere in prestito una. Di sicuro il cielo le può regalare ancora un sogno, ancora un desiderio. Chiude gli occhi, Abby, e pensa a Luka. Chiede alle stelle di farlo stare bene, è tutto ciò che vuole, in quel momento.

Per chi cadono le stelle quando non ha mai creduto che portassero con sé desideri da far avverare?

Per chi? Abby si augura solo non sia troppo tardi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 09 ***


9.

 

"Neela, qui!", Abby agita la mano in direzione dell'amica per farsi notare.

"Eccomi...", la donna si siede sbuffando leggermente, "scusa per il ritardo, ma ci sono state complicazioni durante la splenectomia"

"Non ti preoccupare. Non è molto che sono arrivata"

Neela annuisce e poi si guarda intorno, curiosa. Il posto è carino, accogliente e rumoroso. Un po' come una piazza durante il mercato.

"Non pensavo ti piacessero questi locali"

"Non lo pensavo neanch'io, ma mi fanno pensare a Luka"

L'atmosfera allegra si spegne non appena il nome dell'uomo viene pronunciato. L'Indiana studia l'espressione triste dell'amica, gli occhi marroni velati di malinconia, e le sfiora una mano, comprensiva.

"Mi spiace per quello che è successo. Ancora nessuna notizia?"

"Oltre a quella chiamata muta? No. Sono preoccupata, Neela. È come se fosse sparito nel nulla"

"Ma tu sai dove si trova..."

"Che differenza fa? Non telefona, non scrive... come se non fosse mai esistito, ed io...", scuote la testa con rassegnazione.

Neela non sa cosa ribattere e rimane in silenzio ad osservare Abby che sta giocherellando nervosamente con le posate. Il momento imbarazzante è interrotto da un cameriere, che porge loro i menu.

Abby lo apre con decisione e scorre la lista delle portate col dito, cercando di capire cosa vorrebbe davvero mangiare. Un piatto in particolare attira la sua attenzione.

 

***

"Hey... c'è nessuno?"

"In cucina!"

Le da' le spalle, intento a tagliare qualcosa. Lei gli circonda la vita con un braccio e si solleva sulle punte per baciarlo sul collo; ha appena fatto la doccia: i suoi capelli sono ancora umidi e la sua pelle profuma di bagnoschiuma.

"Che fai?"

"Cucino"

Lei lo lascia libero per posizionarsi accanto a lui e poterlo guardare meglio. Solleva le sopracciglia: "Cucini?"

Luka non la degna di uno sguardo, continuando a sminuzzare una cipolla.

"Sai, cucinare, l'azione per cui si rende commestibile qualcosa che prima non lo era. Mi sembra strano che una dottoressa non conosca l'importanza del nutrirsi, visto che..."

"Luka...", lo ammonisce.

Lui sorride.

"Comunque, dimmi un po': cosa stai preparando?" Abby sposta lo sguardo sulla pentola in cui dei pezzetti di carne stanno cuocendo con l'olio.

***

 

"Avete deciso?"

"Sì. Gnocchi di finocchio al sugo di agnello", Abby è decisa.

"Ottima scelta. E lei?"

Neela, totalmente neofita, si lascia convincere dalla voce decisa della collega. Il cameriere segna le ordinazioni e se ne va.

Silenzio.

"Luka adora cucinare i piatti tipici croati. Quando si sbizzarisce dietro i fornelli è come se... come se... non so, la cucina prendesse vita, come se lui ringiovanisse. Sai, Neela..."

Abby prende un sorso d'acqua.

"... io so che la Croazia gli manca. In America, a volte, è come se gli mancasse un pezzo. Lo vedo, quando cucina, la luce che ha negli occhi, il sorriso. Vorrei potergli dire che mi piacerebbe andare in Croazia con lui, ma ho paura"

"Paura?", Neela è sollevata. Finalmente Abby sta cominciando ad aprirsi. Non ne può più di vederla aggirarsi sospirando per l'ospedale.

"È stupido, ma... io sono sempre stata qui, io sono il risultato dell'America, ma per lui non è così. Continuo a chiedermi se lui mi amerebbe lo stesso. Come se corressi il rischio di perderlo se fossimo in Croazia insieme"

"Una cosa del tipo: qui in Croazia non puoi amare Abby, perché lei è diversa?"

La donna annuisce: "E, credimi, so che è stupido, ma..."

 

***

Il cellulare di Luka bippa. Lei lo osserva mentre si alza e va a controllare. Il sorriso divertito che gli sfiora le labbra le fa stranemente male. Non vuole impicciarsi, ma il fatto che lui abbia comunque una vita in Croazia la urta un po'.

"Qualcosa di divertente?"

Lui sposta i suoi occhi verdi su di lei e scuote la testa: "No, il solito SMS cretino di Ivan"

"Ah...", chissà, forse non c'è spazio per lei nella vita croata di Luka. Forse si deve accontentare di quello che le da' a Chicago; non che sia poco, in verità, come le ricorda il gorgoglio di Joe, che sta giocando sul tappeto.

***

 

"Ho avuto anch'io lo stesso problema con Michael. Tutto sommato venivamo da due mondi diversi. A volte sembrava lui volesse escludermi dall'Esercito, dalla sua famiglia, dal suo passato. Ma poi mi fissava e io sapevo che non lo faceva di proposito"

Abby si mordicchia il labbro, nervosa. È sempre a disagio quando l'amica le parla di Michael.

"Come si vive senza la persona che si ama, Neela?"

"Non bene. Fa male, ma poi, e non è retorica da quattro soldi, il dolore si sffievolisce, si allontana. Continui ad amare quella persona, ma riesci a farti spazio anche per altro"

Abby abbassa gli occhi e si fissa la punta delle dita.

"Abby, lui ti ama. E se scopre che lo dubiti viene fuori un casino... non lasciarti abbattere dalla sua partenza"

Finalmente arriva il cameriere con i loro piatti. Abby inizia a mangiare piano, spostando prima gli gnocchi nel piatto, come indecisa. Poi, alla fine, ne stacca un pezzetto e lo assaggia.

Il sapore delizioso le riempie la bocca e, più forte che mai, le fa sentire nostalgia di Luka: perché lui, per far piacere a lei, la noce moscata non la mette. Perché a lei non piace molto. E, per lei, lui è pronto a "sacrificare" un piatto della sua terra. E, Abby ora lo sa, questo compromesso è il modo che usa lui per farle amare la sua Croazia, per renderla partecipe. Questo, e lo sguardo orgoglioso e gioioso che le rivolge quando la guarda mangiare qualcosa di croato. Non deve avere paura. Non più.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


10.

 

Sta trattenendo in gola l'urlo per non svegliare Joe.

 

***

Si alza piano, cercando di fare meno rumore possibile, in modo da non svegliare Luka che dorme accanto a lei. Entra in bagno, quasi in punta di piedi, e si siede sul bordo della vasca.

Sue madre, che genio.

Si sporge verso il rubinetto ed afferra con forza la manopola. La forma arrotondata si imprime nel suo palmo mentre apre l'acqua e la fa scorrere. I primi singhiozzi la prendono un po' alla sprovvista, ma poi, con un senso di familiarità, lascia che le sue lacrime scendano libere. Luka non si sveglierà.

***

 

Si morde praticamente la lingua, cercando di non emettere suoni, capendo, però, che quel suono strozzato un po' da animale è il suo. Si impone di nuovo di non urlare. Nessuno deve sapere.

 

***

"Hey... dove vai?"

La voce di Richard la raggiunge dalla camera da letto. Sono le tre del pomeriggio ma si è appena svegliato, visto che la notte precedente è rientrato - ancora - alle due passate.

Abby si infila il cappotto.

"Torno per l'ora di cena, stai tranquillo"

Sale in macchina, sospirando. Controlla l'indirizzo dello studio medico sull'agenda. Non è lontano. La dottoressa le ha già detto che non sarà una cosa lunga, che potrà tornare a casa senza problemi. È la decisione giusta. Ci saranno altre occasioni, di sicuro; ma poi, chi se ne importa? Lei non è tagliata per fare la madre.

***

 

Respira a fondo. Non deve pensare al dolore. Tenta di mettersi seduta, o almeno di mettersi in una posizione più confortevole. Una nuova fitta le attraversa la caviglia, facendola tremare. Fa un altro respiro.

Riesce finalmente ad appoggiare la schiena al divano, i cuscini morbidi a confortarla un po'. Si guarda il piede. Il mignolino è blu, completamente tumefatto. Il gonfiore si sta propagando anche lungo il collo del piede.

Che stupida che è stata. Lei non è Luka che riesce a girare per la casa al buio, evitando mobili ed altro. E, infatti, è andata a sbattere contro lo spigolo del tavolino. A piedi nudi, naturalmente. E tutto perché non ha voluto chiamare qualcuno, bastava anche il signore anziano tanto gentile del piano di sotto, che la aiutasse a cambiare la lampadina bruciata.

Stupida, stupida ed ancora stupida.

Indipendente, sì, ma anche tanto stupida.

Si alza saltellando su una gamba sola, conscia del fatto che ad ogni balzello una nuova ondata dolorosa si propaga lungo tutta la gamba. Apre il frigorifero e cerca il ghiaccio. Non c'è. Meraviglioso.

 

***

"Abby, guarda che avete finito il ghiaccio. Vuoi che ti riempia io la vaschetta?", Miryam sta chiudendo il frigorifero dopo aver messo a posto il latte di Joe.

"No, no, non ti preoccupare, ci penso io dopo"

***

 

Maledetta indipendenza. Maledetta necessità di dimostrare di non aver mai bisogno di nessuno. Maledetta lei.

Si lascia scivolare sul pavimento della cucina, mentre il piede è sempre più gonfio. Potrebbe essere rotto, ma non vuole andare in ospedale. Dovrebbe chiamare un'ambulanza, o disturbare la vicina per chiederle di occuparsi di Joe. E non vuole. Non vuole che si sappia che lei non sa cavarsela da sola.

Sempre la setssa solita storia. Non sarebbe complicato chiedere aiuto. Per di più che ne ha anche bisogno.

 

***

"Vuoi una mano?", Luka le si sta già avvicinando.

Lei lo guarda a fatica, cercando di superare i kit sutura che sta trasportando. "No, grazie, ma ce la faccio"

"Sicura?", la sta seguendo per i corridoi, abbastanza divertito.

La cosa la fa irritare. Arriva in sala suture, sistema i kit e poi si gira a fissarlo: "Luka, se ti dico che ce la faccio, vuol dire che ce la faccio. Per chi mi hai preso? Per una di quelle donnicciole senza spina dorsale? Erano solo dei kit, niente di più"

Lui apre la bocca per ribattere.

"E, no, ti prego, non cominciare con la storia che non devo sollevare pesi, quelli non possono essere considerati 'pesi'. Ok?"

Si gira e se ne va, quasi travolgendo Morris. Il rosso guarda Luka e, dopo essersi accertato che Abby non sia a portata d'orecchi, si lascia sfuggire: "Ormoni, eh?"

***

 

Sospira. Dove la porterà la sua indipendenza? Lo sa, prima o poi Luka si stuferà e cercherà una donna più malleabile, una che ogni tanto ha bisogno di lui, del suo aiuto. Perché Luka è così: protettivo, un po' vecchio stampo. E perché Abby lo sa che Danijela era quel tipo di donna. E lui l'amava. E lui la ama ancora.

Si morde le labbra. Fose dovrebbe diventare un'altra. Rinunciare ad una parte di lei. Forse dovrebbe chiedere aiuto, telefonare a Luka e, con voce lamentosa spiegargli il suo stupido dolore, pretendendo che lui torni da lei. È sicura: lui salirebbe immediatamente su un aereo. E al diavolo Vukovar e tutto quello che lui sta cercando di risolvere laggiù. Al dia-vo-lo . Tornerebbe. Spingendo mentalmente l'aereo per arrivare prima. Ucciso dal senso di colpa per averla abbandonata. Ma tornerebbe. E non glielo farebbe pesare. Mai.

 

***

Sta parlando al suo pancione, le labbra che, muovendosi, baciano la sua pelle, mentre lei gli accarezza distratta i capelli ancora umidi di doccia.

"In ospedale credono che io sia senza spina dorsale, sai? Perché la tua mamma ha un bel caratterino e fa sempre quello che vuole. Il fatto è che io potrei oppormi, far valere la mia autorità, e ci riuscirei, credimi, ma il punto è che a me piace questo suo lato. In più, è divertente vedere come tutti, sotto sotto, la temono, ma vorrebbero essere come lei. Forti, determinati. E indipendenti..."

***

 

Dove la porterà la sua indipendenza? A rimanere sola? A crescere un bambino coraggioso? A rovinare tutto? Ad avere tutto? A perdere Luka?

Un'altra fitta le scuote il piede e sale lungo il polpaccio. La sua estremità sembra uno zampone. Le viene da ridere e piangere allo stesso tempo.

Dove la porterà la sua indipendenza?

 

***

"... E io la amo. Perchè, alla fine, anche se dice non voler essere aiutata, poi si lascia aiutare lo stesso. Perché non è così pazza da mettere la sua indipendenza sopra tutto"

Luka solleva lo sguardo ed incrocia gli occhi di lei. Le bacia una mano: "Io ti amo. Perché, per sfamare le mie ossessioni, lasci che io mi prenda cura di te"

***

 

Abby si asciuga una lacrima.

Dove la porterà la sua indipendenza?

Saltella a fatica verso il telefono. D'improvviso ha deciso che non è così importante saperlo.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 

11.

 

Siede stanca e dolorante sulle scale esterne al loro appartamento. Joe è stato affidato ad Ellen, la loro vicina. Abby non è del tutto tranquilla: non la conoscono molto bene Ellen, è quasi un'estranea, ma d'altra parte che alternativa ha?

 

***

"Abby... sveglia... Abby!"

La voce spaventata di Eric la fa sobbalzare. Si stropiccia gli occhi, mettendosi a sedere. Il bambino prende posto accanto a lei.

"Che c'è?"

Eric indica la porta d'entrata con un cenno del capo: "La mamma..."

Lo stomaco di Abby si aggroviglia. Cerca di sorridere al fratellino.

Lui, titubante, continua: "... se ne è andata. Ha aperto la porta ed è sparita. L'ho vista io"

Abby impallidisce. Di nuovo. Li ha lasciati da soli nel cuore della notte. Ringrazia l'oscurità: almeno Eric non può vedere la sua espressione spaventata. Respira a fondo un paio di voce, cercando di calmarsi. Vuole che la sua voce appaia più stabile possibile.

"Mah... probabilmente è solo uscita a comprare qualcosa che le serve per preparaci la colazione domattina"

Eric rimane in silenzio. Lei gli circonda le spalle.

"Io non mi preoccuperei. Ora, però, torna a dormire. Andrà tutto bene"

***

 

No, nessun'altra soluzione. A meno che non consideri l'ipotesi di svegliare il figlio per portarlo in ospedale. No, no, meglio lasciarlo tranquillo. È un bambino; ne ha di tempo davanti a sé per essere svegliato brutalmente nel cuore della notte.

Cambia posizione e il piede ferito si lamenta. Ma dov'è il taxi? Sembra passata un'eternità da quando l'ha chiamato. E non che faccia molto caldo. Forse sarebbe stato meglio chiamare un'ambulanza.

 

***

"Non starai dicendo sul serio?"

La voce di Luka è flebile ed abbastanza incomprensibile. Sono due giorni che la febbre non scende sotto i 38°. Abby non può fare a meno di preoccuparsi; non gli piace troppo il suono respiratorio che emette.

"Luka, non mi sembra che tu stia migliorando..."

"Ma siamo in vacanza!"

Abby sospira; il loro primo week-end lontano da tutto e da tutti e lui si ammala. Tipico.

"Dai, è solo un'influenza", si interrompe per tossire, "Una brutta influenza, ma niente di grave..." Tossisce ancora, "... e poi, un'ambulanza! Non esageriamo!"

"E se ti accompagnassi io, in ospedale?"

"Per farmi tocchinare da degli estranei? No, ci sei già tu, una fantastica dottoressa, a prenderti cura di me"

Abby un giorno lo capirà come faccia Luka a convincerla anche mentre sembra in procinto di sputare i propri polmoni.

***

 

Il dolore al piede si attutisce momentaneamente. Tutte le volte che pensa a Luka le cose brutte della sua vita sembrano affievolirsi, sparire. Per la centesima volta si domanda cosa starà facendo. Starà bene? Sentirà la sua mancanza?

Si stringe nel cappotto. Ma dov'è il taxi? Un uomo passa davanti a lei. La guarda per bene, studiando prima l'espressione triste e malinconica e poi cercando di indovinare le curve del suo corpo, protette dalla giacca. Forse pensa che lei sia una prostituta. Abby valuta se andarsene o meno. L'estraneo, però, si allontana. Che sciocca, magari stava pensando tutt'altro.

 

***

"A volte mi sembra un estraneo. Stiamo insieme, ma mi sembra che non ci capiamo. Mi sembra sempre troppo distante"

Sta guardando Carter negli occhi e quando vede quella strana luce affiorare si pente di avergli parlato dei suoi problemi con Luka. Forse non sarà in grado di capire molto bene il suo fidanzato, ma gli occhi dell'amico sono un libro aperto.

***

 

L'estraneo di poco prima sembra voler tornare sui sui passi. Si volta a fissarla ancora. Abby cerca di alzarsi; mentalmente calcola in quanto tempo riuscirà a fare i gradini, aprire la porta e chiuderla dietro di lei. Stupida. Doveva restare in casa; ma poi il taxi avrebbe suonato il campanello, svegliando Joe... e poi lei non voleva cercare di fare conversazione con Ellen.

L'uomo è un po' più vicino adesso. Abby inizia a tremare, spaventata. Si sente di maledire Luka che, alla fine, è tutta colpa sua. Non poteva lasciare stare Vukovar? Proprio adesso doveva partire? Il fiume mentale di insulti verso il suo uomo viene interrotto - finalmente - dai fari gialli del taxi. Stridio di freni. L'autista scende dalla vettura; ha lo sguardo gentile, caldo. L'estraneo malintenzionato si allontana veloce. In meno di un minuto è già sparito dalla sua visuale. Intanto il tassista la aiuta ad entrare nell'abitacolo, controllando che lei non si appoggi sul piede ferito.

Partono. L'autista, in modo discreto, alza il riscaldamento e lo indirizza verso di lei. Abby sospira, quasi commossa. Appoggia la testa contro il finestrino e chiude gli occhi.

 

***

"Hey marinaio! Nuovo in città?"

Luka le sorride amabilmente. Lei sente caldo.

***

 

Abby guarda fuori dal finestrino. La città passa veloce accanto a lei.

"Tranquilla, signora, tra poco ci siamo. Non c'è molto traffico, stasera"

 

***

"Io ti riconoscerei... credo"

***

 

Sposta lo sguardo sullo specchietto retrovisore, incrociando gli occhi dell'autista. Lui vede che la sta fissando e le fa una specie di occhiolino. Ha le ciglia scure e folte. Abby sorride. L'uomo al volante le ricorda indubbiamente qualcun'altro che, guarda caso, ha la stessa capacità di arrivare sempre al momento giusto. Il suo marinaio misterioso ed errante. Che la ama con tutta la forza di cui è capace. Anche se è a Vukovar.

Sospira ancora. Si sente meglio. Decisamente. 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


12.

 

Risate. E poi: “Svelti! Una sedia a rotelle!”

Abby saltella verso l’amica, sorretta dal tassista gentile: “Ma no, Neela, ce la faccio”

La giovane la prende in consegna, facendo un sorriso all’uomo.

Abby lo guarda: “Grazie. Senza di lei…”

Viene interrotta: “Ci mancherebbe. E poi sa, sono Europeo: è il mio ‘lavoro’ essere galante con le signore in difficoltà”, le fa di nuovo l’occhiolino. Le ginocchia di Abby tremano; Neela lo prende come un mancamento dovuto al dolore e stringe la sua stretta intorno al braccio della donna: “Andiamo dentro, va’”

La sala visita è calda e accogliente. Abby si rilassa contro lo schienale del lettino e chiude gli occhi.

 

***

È convinta che un giorno o l’altro si addormenterà in quella vasca. E perché non dovrebbe? La gravidanza sta prendendo il sopravvento, lasciandola esausta. Solo lì nell’acqua calda si sente completamente rilassata. Potrebbe rimanerci per ore. Si posiziona meglio contro la porcellana.

La voce di Luka la raggiunge: “Per fortuna che ogni tanto vengo a controllare… altrimenti tu qui dentro anneghi…”

***

 

Spalanca gli occhi. Neela sta guardando il suo piede.

“Dicevi, scusa?”

“Cos’è successo?”

“Da dove vuoi che parta? Da quando Luka ha avuto l’idea più brillante dell’universo?”

“Io intendevo…”

“Oppure aspetta… posso raccontarti di quando mio padre si è rifatto vivo dopo che gli avevo ben spiegato che non volevo avere nulla a che fare con lui..."

"Abby..."

Ma lei è un treno in corsa: "Senza dimenticare di quando mi si è bruciata quella dannata lampadina ed io ho sbattuto il piede e non c'era neanche il ghiaccio, perché è Luka a prendersi cura di tutto... anche di me..."

Alla fine crolla e tira fuori tutto quello che la sta opprimendo da quando Luka ha dichiarato di voler andare a Vukovar. Neela, veloce, tira la tenda per garantirle un po' di privacy e poi le si avvicina, la caviglia malandata momentaneamente dimenticata. 

Le passa una mano intorno alle spalle: "Sì, dai, sfogati..."

Abby continua a singhiozzare; non è da lei farsi vedere così fragile, ma è stanca, dolorante, e sola. E poi Neela è sempre stata una buona amica.

Dopo qualche momento, sentendo che i singhiozzi diminuiscono e perdono forza, l'Indiana accenna un sorriso consolatorio: "Abby, vedrai che si sistemerà tutto: la lampadina la puoi cambiare, se chiedo a Ray sarà più che felice di darti una mano, Luka tornerà di sicuro, figurati, e per tuo padre...", la giovane si blocca: non sa molto del padre di Abby. Che consiglio può darle? Non è certo una cosa così da poco conto. Decide di cambiare argomento: "Penso che ti farò una lastra, probabilmente hai un dito fratturato, ma non è niente di drammatico", così dicendo, le sfiora il dito livido.

 

***

"Ahia!"

"Stai ferma!"

"Ma fa male!"

Luka alza gli occhi al cielo e poi le sorride divertito: "Ma se non ti ho ancora toccato! Non vorrei, inoltre, ricordarti che sono un medico..."

Lei fa il broncio, contemplando il taglio che si è fatta sul dito.

"Cucini una volta e quasi ti amputi un'estremità... inizio a nutrire seri dubbi sulla tua capacità di autoconservazione"

Lei lo fissa, contrariata: è concentrato sulla ferita, il bel viso serio, gli occhi leggermente socchiusi, le lunghe ciglia ad ombreggiare le guance. È in questi momenti che ha veramente paura che potrebbe innamorarsi seriamente di lui, che tutta la faccenda dell'amicizia è appesa ad un sottilissimo e fragilissimo filo.

Sospira, buttando quell'idea in fondo alla mente: "Sei sempre tanto sincero..."

Lui la degna di uno sguardo solo il tempo necessario per battere le palpebre: "Figurati. A cosa servono gli amici altimenti?"

***

 

Sussulta.

"Scusami. Gli hai dato proprio una bella botta, eh?"

Abby si asciuga le ultime lacrime: "Neela, consigliami, cosa devo fare?"

"Be'... dovrai evitare di camminarci sopra e..."

"Neela, con mio padre!"

La dottoressa continua con la medicazione per qualche istante, prima di rispondere.

"È malato, giusto?"

L'altra annuisce.

"Io credo che dovresti dargli un'altra possibilità. Sentire almeno cos'ha da dire..."

"Non so. Forse non se lo merita dopo che ci ha abbandonato anni fa"

Neela afferra le mani dell'amica: "Abby, ma sta morendo! Ed è tuo padre. Non vuoi risolvere questa cosa prima che sia troppo tardi?"

Inaspettatamente, Abby pensa a Luka. Luka che risolve i suoi conti prima che sia troppo tardi. Luka in guerra contro Vukovar per essere totalmente suo.

"Allora? A cosa stai pensando?"

"A Luka", al contrario di Abby, Neela non ne è per niente stupita. La conosce abbastanza da sapere quanto Luka sia importante per lei. "Sai, è come se lui stesse facendo la stessa cosa. Chiude i conti col passato. Ha il sapore di qualcosa di definitivo, mi fa un po' paura"

Neela si limita ad annuire.

"Forse dovrei farlo anch'io... ma... e se li chiudessi nel modo sbagliato? Se poi passassi la vita a pentirmi di quello che gli ho detto?"

"Credimi: sarebbe molto meglio che passare la vita a pentirsi di ciò che non gli hai detto"

Abby fissa Neela: "Michael?"

"Già"

Entrambe le donne sospirano. Abby è dispiaciuta per l'amica, ma, allo stesso tempo, si sente anche sollevata: lei ha ancora la sua possibilità. L'ultima volta che ha parlato con Eddie era arrabbiata, e non si è comportata benissimo. Giustificabile o no, lei adesso non è più una bambina: è una donna, una madre addirittura. Una persona adulta.

"Credo che proverò ad ascoltarlo"

"Brava!", Neela sorride: "Intanto, però, prendi queste", le passa un paio di stampelle.

Abby si alza e cerca l'equilibrio che le serve per non cadere.

"Ho finito il turno. Vuoi un passaggio?"

"Ma sì, perché no? Tanto non è che posso guidare... Neela..."

La donna la guarda di nuovo: "Sì?"

"Tu credi che Luka mi stia pensando un pochino?"

Neela sospira rumorosamente: "Abby... dai, cammina... anzi, saltella, e leviamoci di qui!"

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


13.

Colpi di tosse da togliere il fiato preannunciano il suo arrivo. Abby, spostando il peso sulle stampelle, si prepara al momento in cui lui le aprirà la porta.

Un paio di minuti ed eccolo: ritto davanti a lei, lo sguardo un po’ appannato, stanco, il colorito pallido ed il corpo gracile, come indebolito. Suo padre.

Lui le sorride subito e la pelle riacquista un po’ di colore. Le spalanca la porta. Abby entra zoppicando, fermandosi sulla soglia a studiare l’ambiente. D’un tratto, chiara le appare l’immagine di suo padre, fermo, per settimane, ad aspettare che lei arrivasse a bussare. È sicura che è andata così. E, incredibilmente, essere andata a sentire cos’ha da dire la fa stare un pochino meglio, perché lei lo sa che suo padre sta morendo e che, nell’attesa di una sua visita, ha sprecato giorni importanti in cui avrebbe potuto fare altro.

Si sente commossa: l’ha aspettata.

 

***

Sale le scale di corsa, decisa a parlargli prima che il treno arrivi. Non voleva rispondergli male; non voleva ferirlo. Deve chiedergli scusa. Arriva sulla rampa e si ferma, con il fiatone. Indirizza un gestaccio al treno che è appena ripartito. Sta pensando di tornare in ospedale e chiamarlo per scusarsi, quando lo vede seduto su una delle panchine. Si avvicina esitamte, la determinazione di prima sparita.

“Luka… mi dispiace”

“Sapevo che saresti corsa qui”

“Hai perso il treno apposta?”

“Di treni ce n’è a centiniaia…”, e di Abby una sola, è la chiusa muta alla sua frase. 

Lei gli sorride, sentendosi come una ragazzina alla prima cotta: “Mi hai aspettato qui, quindi…”

“Ti aspetterei ovunque, e lo sai”

***

 

“Ma cosa hai fatto al piede?”

Sembra sinceramente preoccupato, e la cosa la fa pensare che da quando Luka è partito, Eddie è l’unico uomo rimasto a preoccuparsi per lei. Si sente un po’ patetica.

“Niente. È solo una botta”

“Non dovresti stare in piedi, però. Siediti”, le fa un gesto con la  mano, indicandole una sedia lì vicino. Abby scrolla le spalle, un po’ intimidita: le camere d’albergo le hanno sempre fatto un certo effetto.

 

***

“Buon Natale, bimbi!”

Maggie schiocca un bacio sonoro prima sulle sue guance e poi su quelle di Eric. Abby guarda fuori dalla finestra: nemmeno la neve riesce a rallegrare il triste paesaggio della statale. Proprio un bel Natale, rinchiusi in un motel ad inseguire la pazzia di Maggie.

***

 

Si siede, quasi senza notare che Eddie la sta aiutando.

“Vuoi qualcosa da bere?”, lui sta armeggiando con il frigobar, dandole la schiena.

Lei inarca le sopracciglia, ricordandosi della conversazione avuta poche settimane prima da Ike’s.

“Non c’è molto… e nulla sembra essere particolarmente sano, però, se vuoi, ho dell’acqua, della Coca o una bevanda gassata color arancione…”

Lei sorride. Si è ricordato che lei non beve. Se n’è ricordato davvero.

“Aranciata”

Lui fa una smorfia strana, che, e lei non se lo sarebbe mai aspettato, è la stessa che fa Joe di fronte a qualcosa che non gli piace. La colpisce d’improvviso il fatto che Eddie e Joe sono parenti, che, tutto sommato, dividono parte del patrimonio genetico. Che Joe è, incontestabilmente, parte di Eddie.

“Mah… se la vuoi chiamare così… arancio è arancio…”

In effetti la bibita ha un aspetto piuttosto inquietante, ma Abby decide di berla lo stesso: “Ma sì, che strana bibita arancione sia”

“Sicura?”

“Sì, amo rischiare…”

“Allora siamo in due”

Sorriso imbarazzato, silenzio. L’unico rumore il frizzare delle bollicine gassate nel bicchiere ed il respiro un po' pesante di Eddie.

Poi: “Quand’eri piccola adoravi l’arancione. Tua madre sempre lì a farti vestire di rosa, ma tu volevi mettere solo quella tua maglietta arancio…”, Eddie tiene gli occhi fissi sul liquido, conscio di stare attraversando un terreno dissestato. È una vita che non vede più la sua bambina e non vuole sprecare la possibilità che lei gli sta dando.

Abby appoggia il mento su una mano, studianto l’espressione titubante dell’uomo; ancora una volta pensa a Joe.

“Non me lo ricordo. Credo sia passato troppo tempo”. Sospira, stanca. Joe si ricorderà del fatto che si addormenta stringendo la coperta con i pugni, nello stesso modo in cui fa Luka? Oppure che mangia le carote solo se tagliate a rondelle?

“Vuoi vedere una foto di Joe?”

Eddie si illumina. Avvicina la sedia a quella della figlia e spia curioso la fotografia. Il bambino ritratto sta ridendo felice, in braccio all’uomo che, Eddie lo riconosce, è il compagno della figlia.

“Joe”, pronunciato come un dato di fatto.

“Come Joe Frazier”

 

***

Le sue dita stanno ancora accarezzando i capelli di Luka, cercando di trarne conforto. Non riesce a staccare gli occhi dal video che ritrae bambino che si muove nell’incubatrice. Il loro bambino, che già deve affrontare una sfida più grande di lui.

“Joseph”

Luka emette un mugugno indistinto, come svegliandosi da qualche sogno sgradevole. Per un secondo, ma un secondo soltanto, pensa a quanto ne possa uscire devastato lui, se il loro piccolo… no, ma non deve pensarla così.

“Non ricordo molto di mio padre, ma ricordo che amava la boxe ed in particolare Joe Frazier, perché dceva che era un lottatore puro”

Perché un lottatore puro era quello che avrebbe dovuto essere il loro Joe.

***

 

Eddie rimane in silenzio, assaporando il fatto che la sua bambina ha pensato a lui in un momento tanto importante. Intanto, però, si maledice anche, perché in un momento tanto importante lui non c’era. La sua bambina è dovuta diventare una donna da sola.

“Mi dispiace”

Per la prima volta da quando lo dice, lo capisce e lo pensa davvero. Non è solo perché ci si aspetta che lui lo dica o perché sta morendo o perché che altro può dirle, ma è perché è veramente dispiaciuto. Abby è lì, davanti a lui, una donna bellissima e completa, con uno stupendo bambino e lui non l’ha seguita. Lui se l’è persa. E brucia; più dei suoi polmoni malati. Si asciuga gli occhi.

Abby lo guarda, leggendo nel suo sguardo e comprendendo quello che c’è dietro. Abbassa un attimo gli occhi, incrociando di nuovo quello disgustoso intruglio arancione, e poi fissa Eddie.

“Sai, è inutile pensare a ciò che non si è fatto. Tanto indietro non si torna. Luka dice che…”, il discorso muore. Pensare a Luka è sempre difficile.

Di nuovo silenzio. Abby non vuole farsi vedere triste ed abbattuta, non è andata da lui per quello.

Eddie osserva lo sguardo basso della figlia, sospirando: aveva indovinato, la volta scorsa, quando aveva intuito che potesse essere successo qualcosa tra loro due.

"Lo so, non ne ho alcun diritto, ma forse..."

"No, per piacere, è complicato. Non posso spiegartelo. Sarebbe come tradirlo"

Si trova a pensare che, però, in un certo senso, lo sta già facendo: non ha mai spiegato a Luka chi fosse Eddie, non ce n'è stato il tempo.

"Lui non sa di te... non sa chi sei", mentre lo dice segue il profilo del bicchiere, attratta in qualche modo dalla bevanda che sembra lanciare strani bagliori aranciati.

Eddie percepisce l'imbarazzo di Abby. Le accenna un sorriso, per cercare di tranquillizzarla. "Ed io non so di lui. Quasi pari, eh?"

Abby scuote la testa, quasi divertita dal tono usato dall'uomo. Non può fare a meno di pensare che Eddie, tutto sommato, le piace. Sta cercando di farla stare meglio facendola divertire. E non è da tutti.

 

***

"Mongo?", non riesce a guardarlo negli occhi, ma scorge il suo bel profilo a tre quarti, intento a studiare i battiti cardiaci del loro bambino.

"È un nome molto poplare in Croazia"

Abby vorrebbe non crederci, ma Luka è troppo serio. Sarà costretta a chiamare suo figlio Mongo Kovac. Non è possibile. Ma poi, nota il sorriso furbo dell'uomo seduto accanto a lei: di nuovo l'ha presa in giro e lei, di nuovo, ci è cascata.

Che stupida. E pensare che è tipicamente da Luka cercare di farla ridere per stemperare la tensione...

***

 

"Sai, Luka fa esattamente come te: quando sono preoccupata, cerca di farmi ridere con qualche battutina. E di solito ci riesce benissimo"

Eddie la ascolta, non volendo perdere i momenti preziosi che sta vivendo.

"È probabilmente vero che noi ragazze tendiamo a scegliere un compagno simile a nostro padre. Anche perché ora Luka se ne è andato e..."

"Aspetta, aspetta... io non credo sia proprio così. Non mi hai detto che è complicato? Non lo conosco, ma non mi è sembrato il tipo d'uomo che abbandona la donna che ama"

Abby alza lo sguardo, fissando Eddie. L'uomo non ha fatto altro che ripetere quello che le stanno dicendo tutti da settimane, ma le fa uno strano effetto sentirlo pronunciare da lui. "E come faresti a saperlo?"

"Ho visto come ti guardava quella sera, in quel locale. Credo di non aver mai guardato la mamma allo stesso modo, nemmeno all'inizio della nostra storia. Non so cosa stia facendo ora, o dove si trovi, ma ho come la sensazione che lo sta facendo anche per te. E per Joe. È diverso dal mio caso"

Abby sospira. Si era aspettata di tutto dal loro incontro, ma di certo non questo. Solo che la nostalgia di Luka è ogni giono più forte e dolorosa. Afferra il bicchiere, portandoselo alle labbra.

"Ne sei davvero sicura?"

Lei si limita a guardarlo, il viso illuminato d'arancione. Quella roba è davvero fluorescente.

"Non sono stato un buon padre, lo ammetto, ma credimi per una volta. Non bere quella cosa"

Abby appoggia il bicchiere. Silenzio.

Il cellulare di Abby bippa. Lei lo prende e guarda il messaggio. Sospira, il tempo a loro disposizione sta per scadere e sente che non hanno ancora chiarito. E' stata solo una chicchierata, per ora.

"Eddie, io dovrei andare..."

"Capito. È il mio momento, vero? Quello che volevo dirti è che non sono mai stato un padre per te e non voglio diventarlo ora. Mi spiace per quello fatto in passato, per non averti cercato prima, per non averti portato via con me. So di avere infranto diverse promesse e posso immaginare che con Maggie sia stata dura, ma..."

Abby fa per dire qualcosa; almeno prima le era sembrato totalmente sincero, ora, invece, le sembra di ascoltare una valanga di banalità.

"... lasciami parlare, per favore. Dopo oggi, probabilmente non ci vedremo più ed io non voglio sprecare la mia ultima occasione. Ti voglio bene e questa non è una banalità. Mi dispiace non averti visto crescere, mi addolora, perché sei diventata una donna meravigliosa e bellissima. Tutti i momenti persi se ne sono andati. E sai cosa mi fa stare peggio, adesso? Che in futuro ci saranno altri momenti e io non ne sarò partecipe. Ma è giusto così. Non sono qui ad implorarti di riprendermi nella tua vita, io me ne sono andato, io lo devo accettare. Mi basta solo sapere cosa sei diventata. Non è stato per merito mio, ma ne sono orgoglioso. Tutto qui.

Volevo solo incontrarti. Ed eccoti qui: bella, determinata. Una roccia. Ed è solo questo che volevo vedere. Sei perfetta ed io ne sono felice. Nient'altro"

Abby rimane ferma ad assorbire le parole di suo padre. Non se lo aspettava. Il suo papà è felice per lei; lei lo ha reso felice. Lo guarda alzarsi e, quasi senza rendersene conto, si lascia abbracciare. Lo bacia su una guancia:

"Devo andare, sai..."

"Già..."

Afferra le stampelle, senza farsi aiutare. Zoppica fino alla porta, la apre e si gira a guardarlo: Eddie è di nuovo lì, seduto, ad aspettare chissà che. Lo sanno che non si rivedranno più, ma Abby è felice di ricordarselo così: fermo, a guardarla con un sorriso. E con un bicchiere di una bevanda arancione accanto.

"Ah, Eddie... me la ricordo, quella maglietta. Me l'avevi portata tu da un viaggio di lavoro. Era davvero la mia preferita"

Eddie allarga il sorriso, facendole un cenno. La sua meravigliosa bambina.

"Ciao, papà. Fai buon viaggio, quando tornerai a casa"

La porta si chiude. Lui prende il bicchiere e brinda a lei. Poi, con una smorfia, butta giù l'intruglio gassato.

Abby è per strada, sollevata. Non c'è più tempo per i sensi di colpa.

È il tramonto. La luce è bellissima, arancione. E dolce.

La luce illumina Chicago, facendola sembrare incantata.

Ad Abby, non è mai parsa più bella.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Capitolo 14 - Prompt 031: Alba

NdA: dopo mille mila anni posto l'epilogo di questa storia.

La pigrizia è una brutta, bruttissima bestia.

Grazie a chi ha letto e a chi ha lasciato un commento.

Attesa - Epilogo

Sono i primissimi raggi del sole a svegliarla. Filtrano, attraverso la tenda semi-chiusa, penetrando nei recessi della sua coscienza addormentata. Ma, per una volta, non è infastidita nel doversi svegliare presto. Per una volta, vuole svegliarsi presto.

Apre piano gli occhi ed inizia a guardarsi attorno: la camera da letto, un po’ in disordine, è appena illuminata dalla luce sempre più forte. Si ferma sui vari dettagli, cercando di rimandare il più possibile il momento in cui vedrà ciò che vuole vedere. Sposta lo sguardo sul mucchietto di vestiti dimenticati sul pavimento. Un cappotto, una camicia e un paio di scarpe da uomo. Del suo uomo. Sorride felice. Finalmente, si volta a sinistra e lo vede: ancora addormentato, con la mano bendata ad abbracciare il corpo del loro bambino e, in parte, anche i suoi fianchi. Ne studia il volto, così bello nella prima luce del mattino, le ciglia ad ombreggiare le guance, un filo di barba, le labbra sottili e gli zigomi alti. Vede le palpebre nuoversi veloci: sta sognando. E lei, per la prima volta, è convinta che non ci sarà da preoccuparsi per il contenuto del sogno che, forse, tutti gli incubi che li hanno tormentati durante gli anni saranno più facili sa tenere a bada. È stato a Vukovar, e da Vukovar è tornato. Per lei. E per Joe.

Gli accarezza il viso, spostandogli un immaginario capello dalla fronte.

Lui apre gli occhi, per richiuderli immediatamente quando un raggio li colpisce.

“Scusa… non volevo svegliarti”

“Non c’è problema…”, adora la sua voce rauca del primo mattino. È lo stesso tono basso che ha quando fanno l’amore.

“Dormito?”

“Benissimo”

“Posso alzarmi a preparati la colazione…”, si stupisce da sola per la proposta. Ma non ha potuto evitare di farla.

Lui sembra sorpreso quanto lei: “Mi prepari la colazione? Tu? Forse dovrei partire più spesso…”, le fa l’occhiolino e lei si finge arrabbiata.

“Non provarci… sei solo fortunato. Non ci fosse Joe qui in mezzo ti prenderei a cuscinate…”

Lui si allunga e le sfiora un braccio con la mano ingessata, anch'essa reduce da chissà quale battaglia a Vukovar. Ma è tranquilla: sa che quando lui sarà pronto, le racconterà come si è rotto la mano. L'unica cosa importante è che lui sia finalmente a casa. 

“Fa male?”, non può, però, ignorare le domande basilari. D'altronde, è pur sempre una dottoressa.

“Non tanto… non credo che potrò tornare subito al lavoro. Kerry ne sarà felicissima”

“Kerry è l’ultimo dei miei problemi. L’importante è che tu ti senta meglio”

Si limita a sorriderle. Vukovar, dopo una notte di sonno, è sempre più un ricordo lontano.

“Comunque, anch’io mi sono infortunata…”

Questo lo fa svegliare del tutto: “Cosa? Quando? Ma ti sei fatta male?”, con gli occhi sta cercando sul corpo di lei i segni dell’offesa subita.

“Tranquillo… ho solo sbattuto il piede contro il tavolino… non uso nemmeno più le stampelle”

“Ma come hai fatto?”

“E’ bruciata la lampadina e io ho provato a camminare al buio e…”

“La lampadina? Quale? Dobbiamo cambiarla subito!”, sembra volersi alzare, ma lei lo blocca.

“E’ già stata cambiata. E poi tu, adesso, te ne stai buono a letto”

“Ma ti fa male?”, la guarda con gli occhi spaventati, preoccupato ed in ansia.

“No, non più”

“Mi dispiace…”

Sta per dirgli che poteva succedere a chiunque, ma poi si blocca. Si sente in colpa, glielo legge negli occhi. Non si sta scusando perché ha sbattuto un dito.

“Luka…”

“Me ne sono andato così… e mentre ero là continuavo a pensare a voi due e a loro e mi sentivo in trappola e ho avuto paura che…”

Gli stringe la mano. Lo sa di che cosa ha avuto paura: che Vukovar vincesse. Lui chiude gli occhi e scuote la testa.

“… continuo a pensare cosa sarebbe successo se…”

“Lo so. Spaventa anche me”

“Sei arrabbiata, vero?”

“Lo sono stata. Ma ho capito che non ne valeva la pena… sai, Vukovar fa parte di te”

“Avrei voluto chiamarti più spesso…”

“Eri tu, vero?”

“Quella volta muta? Sì… volevo dirti tante cose, ma… bloccato”

“Lo so”

“Mi ha fatto piacere, però, sentire la tua voce”

“Lo immagino. Credo di non aver parlato mai così tanto senza avere risposta”

“Mi ricordo quello che mi hai detto, il modo in cui cercavi di consolarmi. È stato bello”

Lei sorride, lieta di essergli stata utile, lieta di non aver attaccato la cornetta.

“È stato bello anche il mio rientro stanotte”, Nella mente di Abby riappare il lunghissimo bacio che si sono scambiati qualche ora prima.

Allarga il sorriso, per nulla imbarazzata: “La notte che verrà potrebbe essere ancora più bella”, glielo dice fissandolo negli occhi.

Lui ridacchia, scuotendo la testa. Si solleva un po’ e le si avvicina. In mezzo a loro, Joe continua a riposare indisturbato. Luka si sporge in avanti per baciare Abby. È un bacio piuttosto innocente, ma con un retrogusto erotico.

Le passa una mano dietro le spalle, riuscendo a spostare Joe sopra la sua pancia. Lei si stringe a lui. Insieme, guardano fuori dalla finestra.

La luce è cambiata leggermente. È ancora l’alba, ma sta quasi finendo.

La voce di Luka è ancora bassa, un sussurro dolce e malinconico: “Un altro giorno… chissà cosa ci riserverà”

E lei si rende conto che non ha paura di scoprirlo. La tensione che provava è completamente sparita. È in pace, adesso. In pace.       

 

 

 

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