Scale

di psichepazza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ethel ***
Capitolo 3: *** Supplica ***
Capitolo 4: *** addio e grazie... ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ma cosa cavolo ci faccio a scuola, di sabato e fuori orario? Molto fuori, sono le 23 e trenta!
L’ho sempre detto io, la scuola mette i brividi…soprattutto ora: i corridoi bui, le classi chiuse e, soprattutto, il silenzio… inquietante.
 Dannato il giorno ( ieri ) in cui ho accettato la scommessa di restare a scuola per tutta la notte. Sono stato uno stupido, e ora quel silenzio mi sta entrando nelle ossa… io sono abituato al rumore e al caos: a scuola c’è sempre un vociare a volume altissimo anche durante le lezioni e il suono dei flauti e del piano della lezione di musica, si sente per tutta la scuola.
 E a casa il caos regna sovrano. Tra mio fratello maggiore, Jack, che ascolta gli AC DC, mia mamma che gli grida di spegnere lo stereo e la mia sorellina, di appena 2 anni, che piange per il rumore, è un suono infernale.
 Poi i litigi continui tra me e Jack. In tutto, facciamo un bel casino… però il silenzio che c’è qui e innaturale, oserei sovrannaturale… c’è solo il suono de pianoforte che spezza il silenzio… perché il pianoforte stà suonando? Non c’è nessuno a scuola, abbiamo controllato che uscissero anche le bidelle… però c’è qualcuno che stà suonando, e questo non mi piace nemmeno un pochino.
Ora che ci penso mi sento osservato, da non più di 15 minuti, ma mi sento trapassare la schiena da uno sguardo insistente, minuzioso che non si vuole far sfuggire niente di me.




Angolo dell'autrice
Dedico questa storia a Mimma che mi ha aiutato a pensarla progettarla e a scriverla.
Grazie Mimma.

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Capitolo 2
*** Ethel ***


Entro nell’aula di musica, tutto tace e il piano è al suo posto. Faccio un passo dentro alla stanza, ma ancora prima che il mio piede toccasse terra una voce di bambina mi dice:
<< Non scappare, ascolta la mia storia… >>
Iniziò a girarmi la testa e dei ricordi non miei si fecero strada in me:
 
inizio flashback
<< Papà, papà! Dove mi porti? >>
<< Vedrai, bambina mia, vedrai! >>
A parlare era stato un uomo elegante, sulla cinquantina, alto, con i capelli grigi e gli occhi azzurri, ormai annebbiati dall’età.
Teneva per mano una bambina di otto, nove anni al massimo, con lunghi capelli mossi, biondi, tenuti fermi con due trecce ai lati della testa. Indossava un bel vestitino azzurro ricamato, e delle ballerine blu.
Nel suo sguardo si potevano trovare gioia, spensieratezza e felicità, mentre, in quelli del padre traspariva paura, tensione, preoccupazione e dolore.
Arrivarono davanti ad un imponente edificio, dipinto in un giallo chiaro, ormai sbiadito dal sole.
<< Per il tuo compleanno ti ho portato qui, cara Ethel, per giocare a nascondino mentre a casa preparano la festa dei tuoi nove anni. >>
<< Che bello!! Grazie papà! >>
<< Vai a nasconderti in una di quelle stanze. E io cercherò di trovarti. Va bene? >>
<< Va benissimo papino, però non sbirciare!! >>
La bimba entra nella grande costruzione e si nasconde in una di quelle che sembrano camere da letto, la stanza è spoglia, con la carta da parati strappata in più punti, sul muro destro c’è un mobile antico, tutto roso dai tarli. Di fronte alla bambina, invece, è posizionata una grande scrivania, tutta ricoperta dalla polvere, con sopra una grande finestra che illumina la stanza.
La bambina si avvicina e si sporge per vedere fuori, e si accorge che dà sulla strada, vede anche suo padre che si accinge a entrare nella costruzione per cercarla.
Ethel aspetta un po’ nella sua stanzetta, ma il papà non l’ha ancora trovata.
<< Papà, hai visto come mi sono nascosta bene! >>
Però non risponde nessuno. La bambina urla il nome del padre, ma nessuno risponde.
Decide allora di uscire dal suo nascondiglio e farsi trovare. Gira quasi tutte le stanze, ma non c’è nessuno. Allora si dirige verso il portone, cerca di aprirlo, ma niente, non si muove.
Allora si butta verso le finestre che ci sono in corridoio e vede suo padre fuori, con delle pesanti chiavi in mano, lo chiama e attira la sua attenzione, il padre la guarda, poi si gira e va via.
Fine flashback
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Save a tutti!!
allora vi intriga la storia? spero di sì!
dedico questo capitolo alle mie migliori amiche e ai miei compagni di classe.
Sempre e Ovunque,
Psichepazza.

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Capitolo 3
*** Supplica ***


Una melodia dolce mi risvegliò dai pensieri, il piano non si muoveva, ma la musica continuava a viaggiare nella sala.
Stavo per girarmi, quando qualcosa si mosse dentro l’aula.
Mi voltai di scatto e la vidi: una bambina, la stessa che avevo visto nelle “visioni”, era esattamente uguale, solo il vestitino era consumato, e intorno  lei c’era un’aura giallognola.
Mi si avvicinava dicendo
<< Non scappare, gioca con me… >>
Poi scomparì, per poi riapparire sulle scale che portano al secondo piano.
Non so con quale forza, ma di sicuro non la mia, la seguì,
Mentre salivo le scale un brivido mi corse su per la schiena.
Seguì le risate cristalline della bimba fino ad una classe, la 2°H, mi ricordava qualcosa, ma appena iniziai a pensarci i miei ricordi si annebbiarono e fecero spazio ad altri…

Tutto era di nuovo contornato dall’aura gialla, come nei vecchi film.
Mi guardai intorno, ero nella stessa classe, solo che non c’erano le lavagne e i banchi, solo una lunga tavolata e una bambina raggomitolata in un angolo, piangeva.
Fuori da una delle finestre si vedeva il cielo fattosi nuvoloso, la bambina aveva improvvisamente smesso di piangere e aveva alzato la testa, gli occhi erano arrossati dalle lacrime e puntavano al cielo attraverso la grande finestra.
La bambina vestiva sempre con il suo vestito blu, stavolta leggermente consumato e sporco.
Infine si girò verso di me, si avvicinò sempre di più, sempre di più, finché non mi attraversò…

In quel momento mi risvegliai dallo specie di coma nel quale ero caduto, adesso sopra la musica c’era la delicata voce della bambina che intonava una canzone, 
una supplica…

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Capitolo 4
*** addio e grazie... ***


Conoscevo quella canzone, cioè non proprio… ne ritrovavo la melodia nella mia mente ma il ricordo non riaffiorava, per quanto cercassi di scovarlo.
 Avanzai con cautela nella classe, fino a che raggiunsi l’angolo dove poco prima quella bambina, Ethel, stava piangendo.
Era strano, sentivo la paura, l’ansia e la tristezza che possiede l’attimo in cui capisci di essere stato abbandonato dalle persone che ami di più.
Una lacrima mi rigò il volto, e la voce carezzevole che prima intonava le parole della canzone mi richiamò alle mie spalle
<< perché piangi? >>
Alla domanda schietta di quella bimba non riuscii a rispondere
<< coraggio, piangere non serve a nulla. >>
Si avvicinò saltellando verso di me, e con il più dolce dei sorrisi asciugò le calde lacrime che rigavano il mio viso.
<< perché stai piangendo? Io lo so che non serve a nulla >>
A quelle parole il suo dolce sorriso mutò in una smorfia di tristezza.
<< perché stai dicendo queste cose a me? >>
Le chiesi
<< non capisco, cosa vuoi dire? >>
<< i sogni, le visioni.. chiamale come vuoi,perché? >>
<< perché sei l’unico che mi ascolta, ho provato a parlare con gente viva molte volte, ma scappavano via subito… >>
<< mio dio, sto impazzendo. Parlo con un’allucinazione…>>
<< io non sono un’allucinazione, io sono reale, e lo resterò per sempre… con te. >>
Poi sparì e con lei anche la musica.
La paura circolava come sangue nel mio corpo e con il terrore di rivedere quel viso scappai da quella classe, dalla scuola e tornai a casa.
Questa mattina ero con il mio gruppo di amici sulla strada della scuola, e proprio allora Ethel iniziò a parlare dentro la mia testa.
La ignorai, o almeno cercai i ignorarla fino ad una rampe di scale della scuola
<< alla fine non ti ho detto come sono morta, la fame e la stanchezza mi fecero quasi impazzire, e fu proprio su queste scale… che caddi.
Proprio dove sei tu ora ritrovarono le vecchie ossa di un infante.>>
Ero rimasto gelato, i miei compagni si erano accorti che qualcosa in me non andava e stavano cercando di riportarmi mentalmente da loro.
<< allora, adesso che sai tutta la mia storia, non potrai averne più una tu. >>
 Addio e grazie
Poi sparì, come era comparsa.
 
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Diario del paziente 613
6/3/2001
Manicomio “La rosa Bianca”
 
Il paziente ha sognato ripetutamente lo stesso incubo.
Prescrivo una dose aggiuntiva di calmante e di sonnifero prima del sonno.

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