Everland

di AmbraDellaRosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo*Jacque ***
Capitolo 2: *** Prologo*Lila ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1- Il tiratore ***
Capitolo 4: *** Prologo- Karah ***
Capitolo 5: *** Capitolo 2- Jacque ***



Capitolo 1
*** Prologo*Jacque ***


Jaqueed 

Le nuvole erano il colore del fuoco quella mattina, il vento soffiava prima leggero, poi ti travolgeva in un turbine ed il cielo e la terra si mescolavano insieme prima che il vortice d'aria ti spingesse in avanti e potevi volare veloce come un fulmine. Le braccia di Jaque erano aperte come se fossero state le fiere ali di un aquila delle monagne dell'Est, che solca le distese di neve spuntando tra la nebbia alle prime luci del alba.
Le sue mani potevano tagliare le nuvole come se fossero zucchero, si chiese che sapore avessero in reltà, ma quella restò una domanda senza risposta. Prima ancora che potesse voltarsi del tutto, il cielo alla sua sinistra e le nuvole sora di lui si stavano catapultano nella sua direzione, come se quella parte di mondo fosse solo disegnata su una pagina che era stata girata e lui sarebbe stato schiacciato e condannato a fare da segnaibro tra il Nord ed il Sud.
La paura si impadronì di lui e in un attimo tutto divenne terrificante. Le voci nella sua testa iniziarono a farsi sentire insistenti "Cadrai!" diceva una particolarmente squillante, "Morirai!" urlava un altra con una nota stonata, una di quelle che premute insieme a quelle sbagliate fanno accapponare la pelle, "Per sempre nell'oscurita!" sibilò la terza, al contrario delle sue sorelle lo disse in un solo sospiro, immediato, quasi cantato, melodico, come se fosse un'oscura filastrocca che non doveva giammai essere recitata. Seguì un risata in cui le tre voci si mescolarono in un'armonia dissonante e Jaque si sentì cadere; le sue braccia ora non erano più distese come ali ma i suoi palmi spingevano contro le orecchie, "Ma noi siamo qui dentro" disse una delle voci, l'ultima che aveva parlato sempre con quel fare cantilenante ed una punta di falsa ingenuità.
Tutto divenne rosso e poi buio. Nel buio decise di spalancare gli occhi e gli uscì un urlo sordo, non seppe se qualcuno lo avesse sentito, ne se avesse davvero urlato, perchè neppure lui era certo di aver sentito qualcosa. I suoi pugni stringevano le coperte in una morsa. Messosi a sedere, con il fiatone, poteva sentire le sue spalle ed il suo ventre alzarsi ed abbassarsi ritmicamente. Attese che gli passasse, poi crollò indietro nel letto, con gli occhi ancora a fissare l'oscurità, così infinita, così paurosa, quante cose potevano celarvisi. "Troppa paura per dormire, troppa paura per alzarsi" gli diceva sua nonna, quando da piccolo aveva gli incubi e si faceva trovare nel letto a chiamare il suo nome quasi con la paura di essere sentito da qualcun altro, da qualche mostro, qualcosa che avrebbe potuto fargli del male. Ora non lo avrebbe sentito nessuno, meglio non dire niente, meglio fingere di dormire, meglio. Una parte di lui sperava che presto sarebbe sorto il sole in modo che i suoi raggi potessero scacciare la sua paura come l'oscurità, un'altra parte sperava che l'indomani non arrivasse mai; dopo quel sogno era più convinto che non sarebbe riuscito nell'impresa che doveva compiere. Le voci nella sua testa non erano insistenti come nei suoi sogni ma una delle filastrocche della voce più inquietante tornò a farsi sentire:

"Dopo undic'anni il filo si spezza, 
la Parca lo taglia non lo rammenda,
la tua vita appesa al filo,
lo lasci, lo lasci, sei solo un bambino" 

Jaque si rigirò nel letto "zitta" pensò, "zitta!"
"Cadi, cadi, giù, più giù,
l'oscuro ti inghiotte, non ti lascia più
Jaque, Jaqueed, che bel nomicino 
conserverò il filo per un altro bambino!"

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Capitolo 2
*** Prologo*Lila ***


Lila 

Quella mattina la luce era incantevole, il sole era sorto da qualche ora ma giocava a nascondersi dietro le nuvole, che avevano il cuore candido come la panna ed i bordi luminosi. Lila era piegata sulle ginocchia sul grande prato, ancora bagnato di rugiada, e strizzava gli occhi chiari cercando di capire dietro quale nuvola si trovasse ora il sole. D'un tratto la vide, aveva la forma di un uccello, con una sola ala vista di profilo; c'era un piccolo punto vuoto che sembrava lì proprio per fare da occhio, il sole d'un tratto vi fece capolino, costringendo Lila a serrare i delicatissimi occhi verde-azzurro. "Mi ha guardata" pensò rialzandosi con un mazzolino di fiori colorati in mano.
La rugiada le aveva bagnato l'orlo del vestito che mosso da un sottile alito di vento le infreddoliva i polpacci. Quella sensazione la riportò alla scommessa di quel giorno, e sorrise divertita; mancava poco ormai, quando il sole avrebbe toccato il ramo più alto della quercia spoglia Kith e Jaque sarebbero entrati nelle rovine della roccaforte, e chi ne sarebbe uscito con il dono più prezioso avrebbe avuto un suo bacio. Era emozionata, non per i ragazzi, non le importava di baciarli, ma per ciò che avrebbero portato con loro. Chissà quali meraviglie, quali gioielli erano nascosti nel vecchio castello! Qualcosa di celato, di sfuggito alla vista dei ladri. "Se è ben nascosto dovrà essere prezioso" pensò allegra.
Rivolse un ultimo sguardo al candido uccello che solcava il cielo bianco, non la guardava più. "Chissà quante cose può vedere dall'alto" pensò "se anche io fossi un uccello cercherei tesori preziosi al di là di Ilghedorn e scoprirei nuove terre, tornerei a casa con mille racconti" fantasticò la bambina, correndo verso il villaggio, con i capelli che danzavano al vento, tra i suoi saltelli e le sue giravolte, li vedeva riflessi in ogni pozzanghera, ognuna un meraviglioso specchio d'acqua ai suoi occhi, ci avrebbe appeso dei nastri, pensò.

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Capitolo 3
*** Capitolo 1- Il tiratore ***


Kith

-Tira!Sono qui!- urlò Maik, un ragazzino magro con le lentiggini, era scoperto, la palla era quasi nelle sue mani, ma Kith questo lo aveva calcolato. Ormai tutti i compagni di squadra di Lentiggine, così come lo chiamavano, erano dal lato opposto, pronti a ricevere un passaggio per lanciare la vecchia palla di stracci al di la del tronco e vincere la partita. Ma Kith, aveva calcolato anche questo.
Era rimasto in disparte aspettando il suo momento, aveva subito i rimproveri dei compagni per tutta la durata del gioco "Dove sei con la testa?", "Fatelo uscire!", solo Eli confidava sempre in lui: "Kith resta". 
Ecco, in quella partita era stato catalogato come l'avversario di cui non curarsi, e poteva agire quasi indisturbato. Scattò in avanti, sbucando da dietro i suoi compagni, tutti più grossi di lui , il tempo sembrò fermarsi: il vecchio pallone era in aria, a qualche centimetro dalla presa di un Maik estatico, che raramente vi aveva messo sopra le mani, "Nemmeno questa volta" diceva il sorriso beffardo di Kith.
Nell'istante in cui toccò la palla tutto nella sua mente riprese a scorrere veloce, non aveva ancora toccato terra dal salto, e prima di cadere aveva una sola occasione per fare centro. Tirò alla cieca e sbatté nel fango, atteggiarsi a campione dopo la pioggia aveva decisamente i suoi contro, pensò. Attese che le urla di acclamazione dei suoi compagni di squadra si levassero alte ad assicurargli che ce l'aveva fatta; una stretta forte lo aiutò a rialzarsi, era Eli, che lo guardava con aria fiera.
-Sapevo che non ci avresti delusi, tiratore- disse dandogli una pacca sulla spalla mentre il resto della squadra gli si riuniva attorno esultando.
Kith si ripulì il fango dalla faccia con la manica della blusa: -Io non perdo mai- disse con il suo miglior sorriso.
Era bastato poco a mettere di cattivo umore gli avversari, che dopo aver gettato Lentiggine nel fango a spintoni avevano deciso di ritirarsi passando sotto la vecchia quercia."Come faccio a capire quando è arrivata l'ora se non c'è un raggio di sole?" pensò Kith, allontanandosi dalla sua squadra e facendo un paio di passi verso Maik. Credeva stesse piangendo, ma quando gli porse la mano per aiutarlo a rialzargli lui alzò il viso ed era solo rosso dalla rabbia, non dal pianto. Lo guardò in modo truce, con aria di sfida ma questo non lo demoralizzò. 
-E' stata una bella partita comunque- disse Kith, abbassando la mano che non sarebbe stata afferrata dal ragazzo, -e sarebbe stata una bella presa-. Stava per andarsene quando qualcosa dentro di se' lo costrinse a voltarsi:-Solo...- riprese non trovando le parole - non permettere loro di trattarti così- concluse rivolto al ragazzo ancora seduto nel fango, che non fu smosso minimamente da quella proposta di pace velata.
"Come vuoi" pensò Kith tornando dagli amici. Leho e suo fratello Deen stavano confabulando qualcosa con il resto della squadra, che si era riunita in modo da non far sentire ciò che stessero dicendo, alla vista di Kith il bisbigliare si zittì quasi immediatamente ed il ragazzo afferrò solo pezzi di frasi sparse "...anche con gli avversari","...mette in ridicolo...". Non si curò dei loro sguardi contrariati, Maik era nuovo, era povero, proprio come tutti loro, e suo padre, appena arrivato nel villaggio, gli aveva regalato un pezzo di zucchero colorato dicendo che era un dono per i vicini, un' usanza del loro vecchio villaggio. Kith avrebbe dovuto dividerlo con i suoi fratelli ma lo aveva tenuto tutto per se', sentendosi in colpa. 
 -Devo fare una cosa- si scusò semplicemente con i ragazzi prima di andare.
Mentre tornava a casa per prendere tutto ciò che aveva preparato per la piccola incursione nella roccaforte pensò al bacio che avrebbe ricevuto. Era l'unico de suoi compagni che non aveva mai baciato una ragazza; non gli bastava solo l'amicizia di Eli, o gli sguardi compiaciuti di quando faceva vincere la squadra, lui voleva essere parte del gruppo, voleva che non lo venissero a chiamare solo per giocare ma anche per andare alla taverna o a caccia, voleva essere un uomo proprio come loro. Il più giovane, Deen, aveva quattordici anni, che era solo un anno più di quanti ne avesse lui, ma suo fratello Leho ne aveva diciassette, il che rendeva Deen un membro del gruppo.  Avrebbe potuto raccontare a tutti di essersi intrufolato nella roccaforte, di aver rubato gioielli e pietre preziose e di aver baciato una ragazza, solo in questo modo avrebbero capito che non era un ragazzino.
Kith abitava nella parte più povera del villaggio, le case li' erano fatte di legno e paglia e non di pietra e d'inverno si pativa il freddo come non mai, lui ed i suoi fratelli si accucciavano accanto al fuoco per dormire ma nelle notti di neve nemmeno il calore delle fiamme vinceva la morsa del gelo, che li costringeva a restare svegli. Quando era piccolo aveva bei ricordi di quelle notti, la mamma gli raccontava storie di maghi e cavalieri e lui le intrecciava i lunghi capelli scuri, ma con l'arrivo dei suoi fratelli e sorelle c'era sempre qualcuno di più piccolo di cui occuparsi e le storie erano svanite lasciando spazio solo al gelo. 
Arrivato di fronte a casa vide Marya giocare con la sua bambola di pezza sul prato, la prese in braccio e le raccontò della partita e anche se lei non sapeva ancora parlare era convinto che capisse tutto ciò che gli diceva, osservandolo con i suoi occhioni scuri, proprio come i suoi. 
-Oggi porterò anche a te qualcosa di speciale, sei contenta?- la bimba fece un risolino divertito alla proposta del fratello, che lo prese come un sì.

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Capitolo 4
*** Prologo- Karah ***


Karah

Le stelle erano lattiginose quella notte, sembravano gioielli ad addobbare il cielo nero senza luna. Karah teneva aperta la grande finestra della sua camera nel palazzo del Giglio, sua madre le avrebbe detto che non serviva ammirare il luccichio delle stelle, tutto lo splendore di cui aveva bisogno era dentro quelle immense sale. Sospirò al pensiero. Voleva vedere una stella cadente, a ogni costo, magari quella avrebbe potuto esaudire il suo desiderio più profondo. Un principe era già in viaggio, veniva da terre lontane, dove c'era freddo e, com'è che la chiamavano?, oh, sì, neve. Avrebbe voluto vederla, la neve, e giocarci, sentire il suo gelo sui palmi delle mani, correrci e osservarla scendere dal cielo. Si chiese se anche il principe Lars fosse sempre rinchiuso tra le mura del suo castello, se fosse felice di essere in viaggio per una nuova terra, se gli mancasse casa. Si chiese, poi, che aspetto avesse, se la sua pelle fosse di una tonalità diversa dalla sua, il colore dell'ambra, se gli piacesse ridere o se fosse freddo come il suo regno. 
Le nozze sarebbero avvenute presto ed il principe si sarebbe stanziato alla Rocca del Giglio, per sempre. I loro voti nuziali sarebbero stati pronunciati da lì ad una settimana e lei nemmeno lo conosceva, sarebbe stata felice? Il suo maestro le aveva detto che il tempo porta l'amore, che non accadeva come nelle favole, e quando lei gli aveva chiesto come fosse la gente lì nei regni del Nord, lui le aveva risposto che presto lo avrebbe scoperto da sola. Era convinta che il maestro lo sapesse, lui sapeva tutto. Perché non dirmelo?,pensò. Forse il principe era brutto e ostile, serioso, altero, così diverso da lei, dolce ed allegra. Le piaceva cantare e danzare, le piacevano le feste, la musica, i colori, i profumi, la vita.
Sospirò distogliendo l'attenzione dal cielo. C'era un vago odore di incenzo nell'aria, portato dal sottile alito di vento che la notte si faceva strada tra il caldo afoso di quella terra. 
Sperava che qualcuno bussasse alla sua porta, voleva distrarsi, smettere di pensare al domani e godersi il profumo dell'incenzo ma la sua mente era affollata di pensieri che non volevano andar via, così capì che quella sarebbe stata una notte insonne, una di quelle notti d'estate in cui l'unica cosa che si può fare è osservare le stelle. 
Il vento increspava lo specchio d'acqua delle fontane oltre la finestra, muovendo leggermente giunchi e ninfee. Quella sarebbe stata la sua ultima notte da ragazzina, l'indomani avrebbe conosciuto l'uomo che avrebbe sposato, ed il Nord e il Sud si sarebbero legati in un' alleanza mai sperata. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 2- Jacque ***


Jaque

"Respira" si disse, "respira". Si gettò un po' di acqua sul viso, per riprendersi, era gelida e gli causò brividi lungo tutta la spina dorsale. Quello era il giorno in cui Lila avrebbe capito che lui l'amava. Jaque aveva undici anni, uno più di lei, ma sapeva cos'era l'amore. Lui l'amava, non come gli uomini che sposavano le donne per poi ubriacarsi alla taverna e picchiarle, non come quei ragazzi che seduti sulla staccionata nella piazza del pozzo guardavano le ragazze da lontano e parlavano di loro, perché erano belle, i loro capelli erano lunghi e i loro fianchi erano rotondi; sentiva le loro parole quando la nonna gli diceva di andare ad attingere l'acqua. Lui era poco più che un bambino, ma amava Lila da molto prima, la amava da quando aveva visto per la prima volta il suo sorriso, ricordava di quando da piccoli giocavano insieme e amava la sua voce, il suo essere spensierata, la sua risata ed il modo in cui lo faceva sentire. Jacque amava Lila e sognava di sposarla un giorno e sapeva che l'avrebbe trattata come una principessa ma nel profondo sapeva anche che questo non sarebbe accaduto perché lui era solitario, non aveva amici, non era ne' divertente ne' bello, e Lila era Lila e non lo avrebbe notato. Ma le cose quel giorno sarebbero potute cambiare. quel giorno lui non sarebbe più stato solo Jacque, sarebbe stato l'eroe che si sarebbe intrufolato nell'oscura fortezza abbandonata e che avrebbe portato a Lila un dono così prezioso da farla innamorare di lui, per questo non doveva avere paura, o avrebbe rovinato tutto. Era la sua occasione e nulla doveva andare storto. Si odiava per essere così, timoroso e sempre un passo indietro, lui pensava mentre tutti gli altri agivano. Era un codardo. Si gettò altra acqua sul viso, bagnandosi i sottili capelli scuri. Quando l'acqua tornò calma e libera da ogni increspatura guardò il suo riflesso sulla superficie, aveva la pelle pallida, le occhiaie a circondare gli occhi azzurri e delicatissimi, sempre gonfi o arrossati; i capelli umidi gli ricadevano lisci sulla fronte. Era un ragazzino magro, minuto per la sue età, nonostante il suo ceto fosse più alto di quello della maggior parte degli altri abitanti di quella parte del villaggio e aveva sempre qualcosa da mettere sotto i denti. 
Il sole era sorto ormai da qualche ora e mancava poco, si vestì con i suoi abiti migliori, si pettinò i capelli all'indietro e fece per uscire di casa quando sentì dei passi al di là dell'uscio.
Il cuore iniziò a battergli forte, la nonna non sarebbe stata contenta se fosse uscito tutto solo, per di più se avesse saputo dove stava andando. Non poteva permetterle di rovinare tutto. Corse lungo il corridoio e rientrò nella sua stanza, si gettò nel letto più velocemente che poté e si coprì fin sopra le orecchie, scompigliandosi anche i capelli. Il suo respiro era ancora affannato quando i passi si fecero più vicini, sentì la nonna entrare nella camera, avvicinarsi al letto, trattenne il fiato. Percepiva l'ombra che la vecchia donna proiettava su di lui, la sentì avvicinarsi e stampargli un bacio sulla tempia per poi uscire a passi lenti dalla stanza. Attese qualche attimo, ma resosi conto che lei non sarebbe più uscita di casa per alcune ore decise di provare ad raggiungere l'esterno in maniera alternativa. Si alzò in piedi sul letto, probabilmente sarebbe riuscito a tirarsi su' per la piccola finestra, era magro abbastanza per passarci per intero. Non gli piaceva mentire alla nonna, non stava bene, gli piaceva ancor meno l'idea di dover uscire dalla finestra anche se era il piano terra. Avrebbe potuto farsi male. Si issò con le braccia fino a mettere un ginocchio sull'alto davanzale, la finestra era troppo stretta per permettergli di inginocchiarsi su di essa, cosi riuscì a far uscire l'altra gamba e si abbassò fino a essere all'esterno, mantenendosi a cavalcioni. Era a due metri dal suolo, in una posizione non favorevole a saltare, non sapeva proprio come fare, era incastrato, ma non c'erano scuse, non poteva tirarsi indietro e non avrebbe potuto farsi aiutare dalla nonna. Sganciò la gamba che era all'interno e si gettò sul prato con le mani a parare la caduta. La botta non fu così dolorosa come si aspettava, le mani lo fecero rotolare a mo' di ruota e cadere di schiena. Non si lasciò uscire neppure un gemito, era fuori, questo era quello che contava, si rialzò dolorante, e iniziò a correre: il sole avrebbe toccato la quercia spoglia in men che non si fosse detto.

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