Tutti vogliono cambiare il mondo (ma nessuno vuole morire)

di Fauna96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


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I

Kitty spostò nervosamente il peso da un piede all’altro. La semplice casetta di periferia aveva l’aspetto di un patibolo ai suoi occhi, su cui era assolutamente costretta a salire. Vero, avrebbe benissimo potuto chiedere ad Asmira, che le avrebbe volentieri fatto un favore; ma si sarebbe sentita una pessima persona a mandare la propria coinquilina a recuperare armi e bagagli a casa sua. Dopotutto, si trattava di solo dieci minuti.
Prese un profondo respiro e suonò il campanello. Le chiavi di casa non le aveva più volute, in uno stupido atto d’orgoglio.
Sapeva che a quell’ora sua madre era in casa, perciò aspettò pazientemente finché un’ombra si affacciò esitante; il viso della donna comparve dietro la porta, atteggiato a metà tra la gioia e l’imbarazzo. – Kathleen! Che sorpresa, tesoro! –
- Ciao, mamma – Kitty si sforzò di sorridere il più sinceramente possibile. – Mi dispiace disturbarti, sono venuta solo a prendere un po’ di cose che ho... dimenticato -.
Sua madre si affrettò a farla entrare, iniziando a chiacchierare senza sosta, probabilmente per mascherare l’imbarazzo. Kitty emetteva ogni tanto versi di approvazione dove richiesto, tutto sommato grata a sua madre: nemmeno lei era esattamente a suo agio.
Non era passato così tanto tempo da quando abitava lì (casa sua a tutti gli effetti) tuttavia le circostanze erano state tempestose, a voler usare un eufemismo.
All’epoca, era appena uscita dal riformatorio.
 
Non si chiamavano più riformatori, ma il concetto era quello; Kitty ci aveva passato un anno e mezzo e, sebbene odiasse con tutto il cuore Dickens, non aveva potuto fare a meno di simpatizzare un poco con quegli orfanelli di cui scriveva. Va bene, lei, lì dentro, ci era finita per giuste motivazioni, non aveva intenzione di cavillare su quello: aveva sbagliato e aveva pagato. Dall’altra, ovviamente nessuno si era mai rifiutato di darle da mangiare (Dio, quanto odiava quel patetico ragazzino), tuttavia era stata dura.
I suoi genitori, naturalmente, si erano sempre rifiutati di accettare che loro unica figlia a tredici anni si fosse unita a una banda di vandali e poi, un paio d’anni dopo, mandata in un istituto correttivo; all’epoca, quando era poco più che un’adolescente incazzata, Kitty si era sentita sinceramente tradita dai genitori: non solo le avevano negato la comprensione prima di tutta la faccenda (il che era uno dei motivi che avevano spinto Kitty a frequentare cattive compagnie) ma si erano limitati a trattarla come una poco di buono qualunque, ancora una volta senza cercare di capirla.
Ora che aveva ragione di credersi un po’ più saggia, Kitty si rendeva conto che i suoi erano solo terribilmente preoccupati di quel che pensava la gente di loro e che non potevano permettersi una figlia scavezzacollo. Ciò non significava che Kitty li avesse perdonati: era difficile passare oltre tutta la solitudine e il dolore che aveva provato; perciò, tornata a casa, si era affrettata a togliere le tende e a rendersi il più possibile indipendente: in quello era brava. Così, a nemmeno diciotto anni Kitty condivideva un appartamento piuttosto decente con un’altra ragazza e lavorava come assistente per un vecchio professore in pensione. Aveva ridotto al minimo i contatti con i suoi, a parte le cose indispensabili.
- Che cosa ti serve, cara? –
Kitty stava salendo le scale che portavano alla sua vecchia camera da letto. – Solo un po’ di vestiti, mamma. E alcuni libri -.
Il signor Button, per cui Kitty lavorava (e che detestava essere chiamato “professore”) aveva insegnato Storia per tutta la vita e al momento stava analizzando come la figura di Riccardo III venisse descritta nei libri scolastici. Al signor Button piacevano i personaggi storici con una cattiva reputazione. In ogni caso, aveva pregato Kitty di portargli anche i suoi vecchi libri e appunti di scuola, per curiosità e probabilmente per polemizzare ancora una volta contro i suoi ex – colleghi.
Scendendo giù con le braccia cariche, Kitty si trovò la strada bloccata da sua madre. – Ho preparato il tè, Kathleen. Vieni, raccontami -.
Era esattamente l’ultima cosa che Kitty voleva, ma non riuscì a dirle di no; così, si ritrovò seduta nella vecchia cucina, osservando le profondità della propria tazza di tè.
- Come va il lavoro? – le chiese la madre incoraggiante. Era un argomento sicuro e Kitty ne fu contenta. – Bene, mamma. In effetti, questi libri me li ha chiesti proprio il signor Button... lui sta bene, a proposito. Ogni tanto la gamba gli dà un po’ fastidio -.
- E la tua coinquilina? Arina? –
- Asmira – corresse Kitty, leggermente infastidita. – Sta bene anche lei -.
Il prossimo argomento sarebbe stato Jakob, senza dubbio, ma fu salvata dal rumore della porta che si apriva. Suo padre.
L’uomo entrò in cucina e subito sul viso gli si dipinse un’espressione forzatamente neutra.
 – Kathleen –
- Papà -.
Se sua madre l’aveva (quasi) perdonata, suo padre no. Era il genere di persona che era stata cresciuta in un certo modo e intendeva crescere sua figlia allo stesso modo; non aveva mai tollerato che Kitty avesse preso tutt’altra strada.
Quanto a lei, sentiva di non provare altro che insofferenza nei suoi confronti. Forse era proprio per quello che se n’era andata il prima possibile: la irritava vedere come la sua famiglia si ostinasse a rimanere chiusa nelle sue idee, senza sforzarsi di guardare più in là.
Prese al volo l’occasione per levare le tende. – Devo andare. Grazie per il tè, mamma – la baciò frettolosamente sulla guancia, ricambiò il cenno impacciato di suo padre e, raccolta la sua roba, si avviò fuori.
Non odiava i suoi genitori, assolutamente. Anzi, c’erano momenti in cui ne sentiva la mancanza. Tuttavia, non ce la faceva più a restare insieme a loro, pronta per un futuro grigio. Ammetteva a se stessa che al momento non stava facendo nulla di così grandioso... be’, non ancora. Voleva... voleva... non lo sapeva con certezza. Alle volte si sentiva terribilmente infantile nel pensare di voler cambiare il mondo eppure... Aveva sempre voluto farlo. All’inizio, aveva preso la strada più facile, quella della distruzione; ora stava tentando di creare qualcosa: seguiva corsi di Storia e Scienze politiche, si interessava seriamente di attualità...
Le venne da pensare a Jakob, poi ad Asmira, che si era dovuta far largo con le unghie e coi denti per dimostrare che un’immigrata valeva qualcosa. Poi ripensò ai suoi genitori, rinchiusi nella loro casetta di periferia al sicuro da ogni cosa. No, non si sarebbe ridotta così, ignorante e ignara del mondo che la circondava.
Seduta sul sedile scomodo di un bus con uno scatolone sulle ginocchia, Kitty Jones sorrise.





Pensavate mi fossi dimenticata di questa serie, eh? Assolutamente no! Anche se Kitty è davvero tosta da scrivere. Non so di quanti capitoli sarà composta questa storiella, che sarà essenzialmente un gigantesco flash-back, un po' come fa il nostro Stroud. Mi scuso per la noiosità di questo primo capitolo, in cui non spiego quasi nulla e.e Spero di farmi perdonare! Intanto, tanti auguri di buon Natale (sì, Bart avrebbe molti commenti sarcastici su questo, ma che ci posso fare: amo il Natale)

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Capitolo 2
*** II ***


II


Per quanto le seccasse ammetterlo, parte della sua attuale vita la doveva a Bartimeus. E a Queezle, ma Queezle era una persona decisamente meno irritante di Bart, quindi non le dava fastidio. Era innegabile, però, che fosse stato Bartimeus a offrirle un posto in casa loro quando si era ritrovata indesiderata in casa propria e senza amici, e di nuovo lui a presentarle il signor Button. Ciononostante, era e rimaneva un idiota pomposo.
I rapporti con Bartimeus e Queezle non erano iniziati nel migliore dei modi: a tredici anni, quando faceva parte della gang di teppistelli, avevano l’abitudine di entrare nei locali, ordinare qualcosa, per poi uscirsene alla chetichella senza pagare. All’epoca, ovviamente, la cosa aveva pesato parecchio su Kitty, mentre attualmente la riteneva la bravata di bambini scemi.
In ogni caso, una sera piovosa di metà autunno erano entrati in un piccolo pub (The Other Place) ed erano stati beccati. Forse perché c’era poca gente, forse perché la ragazza bionda che serviva era più attenta dei suoi colleghi; fatto sta che si ritrovarono l’uscita bloccata da lei e da un armadio dalla pelle scura.
- Non avete pagato, tesori – disse la ragazza con un sorriso minaccioso. L’armadio non disse nulla, ma le sue dimensioni erano più che eloquenti.
Kitty lanciò un’occhiata a Fred e Stanley, che ostentavano espressioni poco intelligenti; idioti: non era mai capitato prima d’allora? Siccome l’idea di finire tra le grinfie del buttafuori non la entusiasmava affatto, si affrettò a prendere in mano la situazione. – Stan, scemo che sei! Avevi detto che andavi tu a pagare! -
Grazie al cielo, Stanley si riscosse dalla trance. – Oh vero! Ma... sono andato al bagno e mi è passato di mente. In più... – si frugò nelle tasche con espressione desolata – credo proprio di aver dimenticato il portafoglio – Bastardo. Peccato che la manovra non potesse funzionare, dato che lei stessa non aveva più di tre sterline.
- Quella scusa era già vecchia ai tempi di mio nonno – commentò la ragazza bionda con un sopracciglio alzato. – O pagate o restate qui tutta la sera a pulire – lanciò un’occhiata all’armadio accanto a lei. – Non c’è bisogno di dire che non scherzo -.
- Cadono proprio a fagiolo – fece una voce allegra, e Kitty vide avvicinarsi il barista, un ragazzo snello dai folti riccioli scuri. – Qualcuno ha intasato il cesso. Stavo per mandare Jabor – rivolse un sorriso abbagliante ai colleghi – ma visto che abbiamo tre giovani volontari... –
Kitty aveva rimosso i particolari della serata: era stata lunga e agonizzante, soprattutto a causa dell’inesauribile parlantina del barista; era spaventoso quante chiacchiere riuscisse a rifilarle ogni volta che la incrociava.
L’episodio venne in fretta archiviato dalla mente di Kitty sotto “cose estremamente sgradevoli” e il barista diventò una delle persone più fastidiose, piene di sé e rompiscatole che avesse mai incontrato. Ma la faccenda finì lì.
Solo che non era finita lì, non davvero, dato che un paio d’anni dopo si era ritrovata nello stesso pub, servita dallo stesso tipo irritante.
- Ma ci conosciamo? –
Kitty alzò gli occhi svogliata dalla ciotola di patatine stra unte per incontrare quelli chiari e affilati del barista. Lo fissò un attimo, indecisa se stesse cercando di rimorchiarla o fosse sincero, poi lui le fece un gran sorriso. – Ma certo! Sei la ragazzina che voleva uscire senza pagare! Sola stavolta? –
In un baleno, Kitty ritornò alla sua vecchia vita, ricordando effettivamente il locale, la ragazza bionda che al momento serviva al bancone e lui, il tipo chiacchierone e irritante.
- Oh – mormorò – Sì. Mi dispiace per quella volta, ero solo una ragazzina stupida -.
- Nessun problema, tesoro. Alla fine, dopotutto, avete pagato – le fece l’occhiolino – Bartimeus, a proposito. Mi chiamo Bartimeus -.
Kitty non l’avrebbe mai ammesso, ma, essenzialmente, era sola. Jakob se n’era andato, i suoi vecchi amici non aveva intenzione di contattarli... e Bartimeus e Queezle erano arrivati come una boccata d’aria fresca. Queezle, soprattutto, perché lei non aveva mai avuto una vera amica femmina; lei era sempre stata un maschiaccio col le ginocchia sbucciate e sporche di terra che faceva la lotta con i ragazzi. Queezle, invece, coi capelli biondi e il viso delicato, dava proprio l’idea di bambolina. Cosa che, ovviamente, non era affatto: era sveglia, sfacciata e allegra e, soprattutto, la persona più sboccata che avesse mai conosciuto. Lei e Bartimeus sembravano conoscersi da una vita e dividevano un bilocale poco lontano dal pub, in cui Kitty aveva dormito per qualche tempo.
Era rimasta davvero toccata dalla loro generosità: in quell’appartamento si stava stretti quasi in due, lei non aveva uno straccio di soldo manco per contribuire alla spesa, ma l’avevano accolta a braccia aperte. Certo, i loro orari erano impossibili, Bartimeus non conosceva il significato della parola “riordinare”, ma tutto era meglio del gelo che regnava in casa sua.
Attualmente, invece, la sua coinquilina era ordinata e metodica, forse addirittura troppo rispetto a Kitty, che era sì molto più calma e seria di qualche anno prima ma aveva ancora qualche difficoltà a fare il bucato o roba del genere.
Probabilmente Asmira era così anche perché faceva parte del suo lavoro: era la segretaria personale di un importante uomo d’affari, nonché proprietario dei locali dell’Other Place. Asmira pagava gran parte del loro affitto, cosa che Kitty detestava, nonostante le rassicurazioni dell’amica di guadagnare molto più di quanto le servisse: era una questione di principio, Kitty Jones detestava dipendere da chiunque. Ma se c’era una cosa che aveva imparato negli ultimi anni era proprio smetterla di vergognarsi di aver bisogno d’aiuto.
Mentre saliva le scale, sentì vibrare il cellulare contro la coscia.
 

 
 Bartimeus
 Ehi Kitty :) Una di queste sere partitina D&D? Ho anche trovato un altro giocatore :D
18:09
 
 
 
Oh no! A parte che quello a cui giocavano non era Dungeons & Dragons, ma una versione completamente inventata da Bartimeus, che faceva quello che voleva con regole e giocatori... sì, ok, era divertente perché faceva le voci e le smorfie, ma era l’essere più spietato e stronzo che avesse mai fatto il Dungeon Master o quale che fosse la Bart-variante.
 
Chi hai ricattato?
18:12
 
Ehi! L’ho gentilmente invitato e lui ha accettato. E’ un ragazzino che qualche sera fa ho salvato dal venire rapito. Si chiama Tolomeo e penso che ti piacerà.
18:14
Basta che non lo bullizzi o roba del genere. Sai, è un topo di biblioteca e visto il tuo passato non vorrei ritornassi al vecchio ‘dammi la tua merendina, secchione’
18:15
 
Fanculo Bart
18:18
        18:19
 







Non sono morta! Vi chiedo scusa per l’interminabile attesa, ma, accidenti, trovo più difficile scrivere dal punto di vista di Kitty che da quello di uno spirito millenario... Ah che bella cosa la logica. Sappiate in ogni caso che sto intraprendendo la mia annuale rilettura di Bart, dunque aspettatevi un bel po’ di roba nel prossimo futuro... anzi, tra poco pubblicherò un altro progettino ;)
Grazie a Alsha, L_A_B_SH e Mayo Samurai che hanno recensito il precedente capitolo... e a presto :*
 
PS: come avrete notato, ho finalmente dato un nome al pub... Avete capito tutti chi è il proprietario nonché capo di Asmira, vero??

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Capitolo 3
*** III ***


III
 

Kitty non era una persona pronta a fare amicizia al primo colpo: ci metteva sempre un po’ di tempo a farsi piacere qualcuno, figurarsi a fidarsi. Sì, era sospettosa e pedante, ma aveva fatto abbastanza esperienza per sapere che dietro il sorriso più amichevole c’era qualcuno pronto ad accoltellarti alle spalle.
Ma, siccome per ogni regola c’è la sua eccezione, le sue convinzioni erano andate in frantumi quando aveva conosciuto Tolomeo. Era uno scricciolo di ragazzino che le arrivava a malapena alla spalla e prima di incontrarlo, Kitty avrebbe dubitato dell’esistenza di una persona del genere. Sembrava sinceramente incapace di dire una sola cosa cattiva (il fatto che non fosse volgare in alcun modo aiutava) e nemmeno di pensarla. Era davvero impossibile non volergli bene, o almeno, Bart e Queezle se lo strapazzavano in ogni maniera possibile; quanto a lui, era chiaro che adorava Bartimeus come un fratellino minore, e facevano davvero una strana coppia, quei due: Bartimeus, alto e sicuro di sé, con una sigaretta e un’imprecazione tra le labbra, e il sottile Tolomeo, buono e cortese, col naso infilato in un libro.
Dopo la delirante partita di D&D, Kitty si era trovata coinvolta in una serissima conversazione sullo stato delle biblioteche scolastiche. – Capisci – gesticolava Tolomeo – non se ne occupa nessuno. Nessuno. Dovrebbe esserci, che so, un comitato e invece siamo solo io e Nathaniel -.
Kitty si sforzò di concentrarsi sul fiume di parole del ragazzino, soprattutto per evitare di guardare troppo Bart che provava a flirtare con Queezle (la sua dannatissima coinquilina. Quanto si poteva essere idioti?) – Cioè, fammi capire: vi occupate della biblioteca solo tu e un altro studente? Anche dei prestiti degli altri, eccetera? –
Tolomeo apparve imbarazzato. – Noi... sì. Cioè, ci proviamo. Ma finiamo per metterci a discutere di libri... Sai, a casa mia non c’è nessuno con cui posso parlare e... – si strinse nelle spalle con un mezzo sorriso. – Ho provato un sacco di volte a parlare col consiglio scolastico, ma non gliene importa granché... e dire che è pure una scuola privata. Da te come funzionano le cose? –
- Oh io... –
- Kitty non va a scuola – intervenne a sorpresa Bartimeus. – E’ una ribelle, lei, reduce dal riformatorio. Dovresti stare attento che non ti rubi i soldi del pranzo, Tol -.
Kitty gli lanciò un’occhiata di fuoco; Queezle sibilò un “lo schiaffo ti ha stordito il cervello?” e Tolomeo sbatté le palpebre disorientato.
Kitty sospirò. – No, non vado a scuola. Sì, sono stata in riformatorio e dopo non sono più tornata – tossicchiò – Non è una cosa di cui volevo parlare... non così -.
- Mi dispiace – Tolomeo si aprì in un sorriso sincero – E... non c’è problema, davvero. -.
Kitty ricambiò il sorriso, sentendosi un po’ più leggera. Sapeva che non c’era nulla di cui vergognarsi, tuttavia ogni tanto la sua parte più debole, quella ancora attaccata suo malgrado agli insegnamenti dei genitori la tradiva. E sì, spesso si trovava nuovamente timorosa del giudizio altrui, soprattutto di quel ragazzino dagli occhi che incutevano soggezione.
- Sei proprio scema – aveva commentato Bartimeus più tardi, mentre dava un passaggio a una Kitty ancora infuriata con lui – Sinceramente, credevi frequentassi gente snob e classista? –
- Magari dovresti solo imparare a non parlare dei fattacci altrui? –
Bartimeus le lanciò un’occhiata obliqua. – Senti, Kitty: sei stata in riformatorio e Tolomeo no. Hai mollato la scuola e lui no. Io non ci sono mai andato a scuola e manco Queezle, lo sai questo? Quindi, chi è l’outsider, qui? – Nonostante tutto, a Kitty scappò un sorriso. – Insomma, il riformatorio non ti ha mica reso un mostro a tre teste – sogghignò – Lo eri già prima -.
 
Al loro incontro successivo, Tolomeo le aveva portato tre tomi in prestito.
- Ti piaceranno – le disse, posandoglieli tra le braccia come fossero gattini – Soprattutto Orwell, ovviamente, se ti ho capito bene... –
E così via. Tolomeo sembrava possedere una biblioteca immensa, paragonabile forse a quella del signor Button (di cui, sorpresa! Tolomeo era un accanito lettore e ammiratore) ed era sempre più che felice di prestare o addirittura regalare libri a destra e a manca. Era sempre solare e gentile con tutti, però... ogni tanto c’era come un’ombra sul suo viso sottile, come una preoccupazione sopita. Un sonnacchioso pomeriggio al pub, mentre Bartimeus e Queezle sperimentavano nuovi cocktail possibilmente non tossici, il discorso era caduto proprio su quello.
- Colpa della sua famiglia – aveva borbottato lui, annusando cautamente il misturone. – Grandissimi stronzi, Kitty, credimi. Queez, credi che il succo di mela ci stia bene?
- Che significa? – indagò Kitty.
Gli amici si scambiarono un’occhiata esitante. – Be’ – iniziò Bartimeus cauto – ti ho detto che l’ho recuperato che cercava di scappare di casa, no? Loro, credo, lo trattano come la pecora nera, come quello inutile -.
- Penso si senta molto solo – intervenne Queezle – Secondo me, è per quello che si porta sempre qualcosa da leggere -.
 
La conversazione stuzzicò molto la curiosità di Kitty, che tuttavia tenne la bocca ben chiusa: se Tolomeo avesse voluto confidarsi con lei l’avrebbe fatto; dopotutto, non si conoscevano da molto tempo, c’erano tutte le ragioni per un po’ di riservatezza.
Sfortunatamente per Tolomeo, non ci fu tempo per costruire tale confidenza. Pioveva, e Kitty usciva in quel momento dalla Public Library, maledicendo il tempo, il signor Button, la sua gamba mancante e soprattutto la sua pigrizia. Cercava di aprire l’ombrello senza far cadere i libri che stringeva, quando notò una figura familiare: Tolomeo, in mezzo a un gruppetto di ragazzi alti il doppio di lui. Kitty aveva fatto un passo appena che i ragazzi si allontanarono ridendo e lei poté vedere che Tolomeo stringeva forte la tracolla della borsa... per cosa? Non le sembrava stessero cercando di derubarlo, quindi... Era paura o... rabbia?
Il ragazzino aveva i capelli appiccicati alla fronte, per cui Kitty non gli vide subito gli occhi; erano gelidi, duri, come mai lei li aveva visti, puntati sul gruppo. Poi, Tolomeo incrociò il suo sguardo e le iridi nere si ammorbidirono nel riconoscerla.
Kitty coprì la distanza che ancora li separava e si affrettò a ripararlo con l’ombrello, finalmente aperto. – Ti davano fastidio? –
Tolomeo si strinse nella spalle. – Come sempre. Erano mio cugino e i suoi amici.
 
A Tolomeo il caffè non piaceva, perciò Kitty gli offrì una tazza di tè e un dolce alla cannella al bar dietro l’angolo, e lo osservò giocherellare col cucchiaino finché non le lanciò un sorriso tirato. – La mia famiglia è un gran casino. Siamo in tanti e come se non bastasse, mio nonno è il tipico patriarca: viviamo quasi tutti insieme, tipo clan. Lui adora le tradizioni, la famiglia... dovrei dire casata, anzi – fece una smorfia – Non vado d’accordo quasi con nessuno, mio padre è spesso via per lavoro... di solito mi ignorano e io ricambio. Ma con il cugino... – Kitty annuì e lui si strinse nella spalle. – Pensa, si chiama come me, ma è l’unica cosa che abbiamo in comune. Saremo anche una famiglia, ma non significa un bel nulla in questo caso -.
Kitty provò all’improvviso una gran voglia di abbracciarlo, per come le appariva solo e vulnerabile; ma quando vide uno scintillio duro come l’acciaio in quegli occhi scuri, comprese che Tolomeo non ne aveva bisogno.
- Era peggio quand’ero più piccolo: non sapevo come reagire. Ma ora sono stufo – strinse le labbra, determinato. – Avrei dovuto andarmene sul serio, come mia mamma... ma mi ha fermato Bartimeus, come sai. E’ stato lui a darmi il coraggio , in qualche modo -.
Tuttavia Kitty, guardandolo, si convinse che quel coraggio fosse già dentro di lui: aspettava che qualcuno gli desse uno scappellotto amichevole per cavarlo fuori.
 Non lo disse però: si limitò a sorridergli, raccontargli la propria disastrata storia familiare e ad offrirgli metà ombrello per tornare a casa.
 
 
 




E.... non sono soddisfatta di questo capitolo. Scusate. L’avrò riscritto e cambiato dieci volte, ma proprio non vuol venire fuori.... Be’, voglio molto bene comunque a questi due, se non si fosse capito (anche se non riesco a scriverli beneeee) e shippo selvaggiamente Barty e Queezle, quindi temo proprio che la prossima storia di questa AU sarà tutta per loro.
Tolomeo adora la cannella. Lo so da quando ho letto la prima volta la Trilogia, non chiedetemi come e perché, e il tè lo beve dolcissimo ma senza latte.
Tanti grazie a Alsha e L_A_B_SH che non perdono una recensione e tutti voi, come sempre :) Baci e buon inizio estate!
 
PS: mi accorgo ora all’alba della fine che ho dimenticato di dire che il titolo è stato scopiazzato dai My Chemical Romance, precisamente da Na Na Na

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