Se io potessi raccontare tutto, farei stupire il mondo

di _armida
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Natale puoi ***
Capitolo 2: *** Vecchie conoscenze, nuovi amori ***
Capitolo 3: *** Qui ci è scappato il vampiro ***
Capitolo 4: *** Gite in barca... ***
Capitolo 5: *** “Vuoi ancora partire?” ***
Capitolo 6: *** Tu non sei stato invitato ***
Capitolo 7: *** Di pop corn, di film e di battaglie ***
Capitolo 8: *** Antidoto ***
Capitolo 9: *** Amanti ***
Capitolo 10: *** Zita ***



Capitolo 1
*** A Natale puoi ***


Nda, parte I
Bene, siamo già alla vigilia e, come promesso, eccomi qua.
Era già un po' che ci pensavo a questo progetto e ora ho finalmente deciso di trasformarlo da pensieri a lettere: questa si tratterà di una raccolta di tutte quelle parti a cui avevo pensato ma che non hanno trovato posto nella storia principale; ci saranno storie nuove, approfondimenti del rapporto di Elettra con alcuni personaggi che (mi dispiace molto) non compaiono molto spesso e riprenderò alcune parti che prima ho sempre solo accennato.
Spero che questa mia nuova idea vi piaccia e, se avete dei suggerimenti (approfondimenti di alcune parti o idee per nuove storie), non esitate a contattarmi :D
Buona lettura e ci risentiamo in fondo ;)


A Natale puoi

A Natale puoi
fare quello che non puoi fare mai:
riprendere a giocare,
riprendere a sognare,
riprendere quel tempo
che rincorrevi tanto.

È Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più,
è Natale e a Natale si può fare di più
per noi:
a Natale puoi.

A Natale puoi
dire ciò che non riesci a dire mai:
che bello è stare insieme,
che sembra di volare,
che voglia di gridare
quanto ti voglio bene.

È Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più,
è Natale e a Natale si può fare di più
per noi:
a Natale puoi.

Luce blu,
c'è qualcosa dentro l'anima che brilla di più:
è la voglia che hai d'amore,
che non c'è solo a Natale,
che ogni giorno crescerà,
se lo vuoi.

È Natale e a Natale si può fare di più,
è Natale e a Natale si può amare di più,
è Natale e a Natale si può fare di più
per noi:
a Natale puoi.

A Natale puoi
puoi fidarti di più.

A Natale puoi.

 
***

Roma...

Girolamo Riario osservò con la sua solita espressione distaccata le persone riunite intorno al lungo tavolo nella sala dei banchetti a Castel Sant'Angelo: la sua famiglia, tutta riunita lì, per festeggiare insieme il Natale. C'erano, fra gli altri, i suoi cugini, Raffaele Riario Sansoni e Giuliano Della Rovere, entrambi cardinali, e sua zia, Violante Riario. E ovviamente c'era anche Papa Sisto IV, seduto a capo tavola.
"Perchè non sorridi un po', cugino? E' Natale", gli disse con un sorriso a trentadue denti Raffaele, seduto al suo fianco.
Girolamo si era dimenticato quanto la sua famiglia potesse essere logorroica. Lo guardò per un attimo, prima di tornare nuovamente ad osservare il proprio piatto. 
Si sgranchì ua mano e strinse forte il coltello che teneva nell'altra. 
Si era scordato quanto le feste fossero faticose. Per il resto dei comuni mortali il periodo natalizio significava riposo e bei momenti da passare con la propria famiglia.  Per il Conte di Imola e Forlì, invece, significava più lavoro e nervosismo: aveva passato tutta la durata della messa di quella mattina con la mano stretta nell'impugnatura dell'elsa della propria spada, con i sensi sempre all'erta. Temeva che, tra la marea di gente riunita in San Pietro, ci fosse sempre qualche mal intenzionato; spettava a lui e alle sue guardie svizzere vigilare sulla sicurezza del Santo Padre.
Osservò Sisto IV alle prese con l'arrosto di cinghiale che aveva nel piatto: suo padre, quello che tutti chiamavano 'Sante Padre' o 'Vostra Santità', quell'uomo che doveva essere un gradino sopra a tutti in quanto rettitudine, sembrava davvero un maiale in quel momento; possibile che nessuno gli avesse mai insegnato il galateo?
Girolamo cercò di non pensarci, tornando a guardare il proprio piatto. Prese delicatamente forchetta e coltello e, compostamente, tagliò un pezzetto di carne, portandoselo poi alla bocca.
"Allora, cugino, hai conosciuto qualche bella dama durante il tuo recente soggiorno a Firenze?". Raffaele non aveva proprio nessuna idea di lasciarlo in pace.
Girolamo lo osservò con la sua solita espressione fredda ed apatica: quelli non erano certo affari suoi! Poi tornò ad interessarsi al proprio piatto, che faticava a svuotarsi.
"Magari nostro cugino ha altre preferenze, Raffaele", disse Giuliano. I due si guardarono negli occhi, scoppiando entrambi a ridere.
Girolamo alzò gli occhi al cielo, imponendosi di restare calmo e distaccato; ancora poche ore e poi, forse, non li avrebbe più rivisti fino a Pasqua. Si portò entrambe le mani alle tempie, massaggiandosele. Per i mal di testa Elettra gli faceva sempre bere una tisana alle erbe preparata a Palazzo della Signoria; non gli aveva mai rivelato gli ingredienti eppure, aveva degli effetti quasi miracolosi.
Elettra...
Chissà cosa stava facendo in quel momento?
Girolamo non fece in tempo a finire di formulare quel pensiero che una delle sue guardie svizzere entrò. Aveva qualcosa con sè.
Lo vide fare un inchino al Papa e baciargli l'anello pescatorio, poi si avvicinò a lui, porgendogli il pacco che aveva tra le braccia: era di forma cilindrica, foderato di stoffa rossa. 
Raffaele e Giuliano lo guardarono, curiosi.
Girolamo tolse il coperchio al cilindro, osservandone poi l'interno: c'era un qualcosa, arrotolato, al'interno. Con delicatezza lo sfilò, facendo cadere sul tavolo un piccolo biglietto. Raffaele, fece per prendere il pezzetto di carta ma, l'occhiata intimidatoria che il Conte di Imola e Forlì gli lanciò, lo fece desistere.
Lentamente, Girolamo srotolò la tela, rimanendo stupito, da quello che aveva davanti: era un ritratto, il suo ritratto. Era lui, seduto alla propria scrivania, nel proprio studio nella Rocca di Ravaldino, la sua residenza forlivese. 
"Mirabile fattura", commentò Giuliano. "Ma chi è l'artista?"
Girolamo lo sapeva benissimo, chi ne era l'autore: lo stile del ritratto era inconfondibile. Ma non lo avrebbe mai rivelato a quei pettegoli dei suoi cugini.
Appoggiò la tela sul tavolo, che subito venne 'presa in ostaggio' da Raffaele e Giuliano, e si mise a leggere il bigliettino. La carta sapeva di vaniglia e, neanche qui, come sul dipinto, vi era una firma. C'era solo una frase. 
 
Natale con i tuoi, Capodanno con chi vuoi...

Girolamo fece una cosa che nessuno, in famiglia, gli aveva mai visto fare: sorridere. Un sorriso sincero.

A Natale puoi
fare quello che non puoi fare mai...

***

Firenze...

 
Elettra uscì di casa carica di regali: lei adorava il Natale. Aveva un sorriso radioso, stampato in volto. Adorava quell'atmosfera calda e famigliare che veniva a crearsi. Perfino le celebrazioni natalizie, le piacevano: era andata alla messa di mezzanotte, la notte precedente, insieme a Gentile Becchi ed Aramis. Non che, a Natale, sentisse l'improvvisa chiamata del Signore, quello no, assolutamente no, però l'atmosfera, che veniva a crearsi durante la messa di mezzanotte, era unica. E perfetta.
Quel giorno, se fosse riuscita a chiudere la porta di casa, con le mani occupate da pacchi di diverse forme e dimensioni, sarebbe andata in bottega, da Andrea e Leonardo, a distribuire la prima tornata di pacchetti. Poi l'aspettavano a pranzo a Palazzo, dove avrebbe lasciato i regali rimanenti.
Adorava dare i regali. E adorava osservare le facce stupite delle persone a cui erano destinati, mentre gli aprivano.
Stava per mettere i piedi sullo zerbino quando, con la vista in parte ostacolata dai regali, vide a terra una scatolina rettangolare, di velluto rosso. Appoggiò in modo molto precario i pacchetti sulla bassa siepe ai lati del vialetto che conduceva alla porta d'ingresso e si abbassò a raccoglierla. 
La teneva tra le mani, studiandola. Si sedette sui gradini; se qualcuno avesse visto Elettra mentre apriva quel regalo inaspettato, probabilmente l'avrebbe presa per matta, visto il sorriso da ebete che le era comparso in volto.
Sollevò lentamente il coperchio: all'interno della scatolina vi era un braccialetto d'oro bianco, finissimo, e qua e là, disposte a distanza regolare, vi erano delle pietre, della stessa tonalità dei suoi occhi. Acquamarina.
Facendo attenzione ad ogni singolo movimento, se lo mise al polso. Era semplicemente perfetto.
Guardò in alto, verso il cielo azzurro di Firenze.
"Ci vediamo a Forlì, Girolamo"


Nda, parte II
No, non scriverò di Capodanno. E no, questa storia non ha niente a che vedere con i fatti che stanno succedendo adesso in 'L'Altra Gemella'.
Bene, dopo queste precisazioni, vorrei augurare a tutti quanti un buon Natale e un felice anno nuovo :D 
PS: fatemi sapere cosa ne pensate della storia e della mia nuova idea ;)
 

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Capitolo 2
*** Vecchie conoscenze, nuovi amori ***


Nda
Innanzitutto, prima di lasciarvi leggere in pace questa storia (lo so che siete curiosi, ahahah), volevo farvi delle piccole avvertenze: questa storia è stata scritta a quattro mani da me (e fin qui...) e da  Shaon Nimphadora.
Piccolo incontro tra il mondo del suo personaggio e quello della nostra folle Elettra.
Vi presento a tutti Costanza (che prova senza successo a convincere Elettra sulle qualità dei corsetti ahahah)
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Artista (a cui faremo presto una statua): Shaon Nimphadora


Vecchie conoscenze, nuovi amori

Fuggire. 
Fuggire lontano. Lontano dalla Francia, con la sua rigida etichetta e tutto quel finto buonismo. Lontano da quell'alta società frivola e buona solo a parlare.
Lontano da quel padre troppo severo e impettito che, ostentando una perfezione per altro mai posseduta veramente, aveva distrutto con le sue stesse mani un'intera famiglia. 
Fuggire lontano. Ed essere finalmente libera.
E in quale città ci si poteva considerare veramente liberi? Firenze, ovviamente. Ed era proprio lì, che ora si trovava.
Camminava per le strade sterrate della città e, sarà stata forse per l'ora tarda, o per la pioggia battente, eppure esse erano completamente deserte.
Strinse forte le briglie del proprio cavallo, Spettro, e, in risposta a quel movimento, l'imponente stallone da guerra agitò la testa nitrendo. Osservandolo, sulle labbra della ragazza comparve un malinconico sorriso: esso era un dono d'addio da parte dell'uomo che aveva aperto la sua gabbia.
L'ennesima folata di vento gelido, la fece riscuotere dai propri pensieri: non si ricordava che in inverno facesse così freddo, a Firenze; proveniva dal nord della Francia, dove il clima era decisamente più rigido, ma nelle sue vene scorreva sangue siciliano.
Lanciò un'occhiata alla sua sinistra dove, un grande mastino, l'affiancava vigile e silenzioso, incurante della pioggia e delle temperature. Sorrise, al pensiero che il suo fidato compagno non soffrisse il freddo.
Con la mano libera, estrasse dalla tasca un foglio stropicciato e leggermente umido sugli angoli. Osservò il disegno a matita su esso rappresentato: si trattava di una casa, piccola, rispetto ai suoi standard, con un piccolo giardinetto recintato sul davanti e una pianta di rose selvatiche che si arrampicava sulla facciata. Piccola ma accogliente.
L'abitazione apparteneva all'unica persona con cui aveva mantenuto i contatti, quando suo padre l'aveva costretta a lasciare quella città di libertini ed eretici. Già da bambina, si poteva notare la sua grande predilezione della sua amica per l'arte e, a giudicare da quello schizzo, che le aveva spedito insieme ad una lunga lettera alcuni mesi prima, non aveva fatto altro che migliorare.
Svoltò in un'altra via e, dopo alcuni minuti, giunse alla sua meta. Si avvicinò al cancello e si stupì, del fatto che non fosse chiuso a chiave ma solo accostato. La ghiaia sotto ai suoi piedi scricchiolò, mentre percorreva il piccolo vialetto.
Seguì il sentiero che girava intorno alla casa, trovando, nel giardino sul retro, una piccola stalla; il cavallo della sua amica nitrì rumorosamente, quando lei entrò con Spettro.
Ripercorse la strada alla rovescia, arrivando di nuovo davanti alla porta d'ingresso. Cominciò a bussare, prima piano e poi sempre più forte: la persona che andava cercando aveva sempre avuto il sonno pesante.
All'ultimo piano si accese una pallida luce violetta, segno che qualcuno aveva udito i suoi pugni alla porta.
"Chi c'è?", chiese dopo alcuni minuti una voce femminile, dall'altra parte. Doveva essersi appena svegliata, visto che appariva ancora impastata dal sonno.
"Elettra, sei tu?". Ci mancava solo che avesse sbagliato casa. 
Sentì la ragazza inserire la chiave nella toppa e, dopo alcuni scatti, la porta si aprì.
Elettra mise timidamente il naso oltre la soglia, osservandola pensierosa: la persona che aveva davanti era un po' più bassa di lei e decisamente più paffuta -non che ci volesse molto, per essere un po' più in carne di Elettra, visto che era praticamente pelle e ossa-. Portava un pesante mantello nero sulle spalle che grondava acqua ovunque, così come i capelli, di un castano molto scuro. Probabilmente, da asciutti, essi rimanevano leggermente ondulati. I suoi occhi, anch'essi castani, si guardavano in giro, pieni di curiosità. Indossava un abito lungo, con la gonna completamente incrostata di fango. 
Ad Elettra appariva famigliare. 
Il suo volto si illuminò, quando capì chi aveva davanti. 
"Costanza!", disse, abbracciandola forte.
Costanza rispose se possibile con decisamente più foga dell'amica: non si vedevano da ben nove anni!
Arrossì, notando il particolare abbigliamento dell'amica: indossava solo una sottile camicia di lino nera e si vedeva lontano un miglio che non era decisamente sua; si sentiva parecchio in imbarazzo -e curiosa-, pensando che probabilmente non era a casa sola, quella notte, e che avesse interrotto qualcosa. "Non disturbo vero?", chiese, quasi balbettando.
"Certo che no". Sul viso di Elettra si formò un largo sorriso rassicuratore. "Ma cosa ci fai in giro per Firenze?"
Un'altra gelida folata di vento arrivò alle loro spalle, investendo entrambe le ragazze. Costanza rabbrividì, stringendosi ancora di più nel proprio mantello.
"Sarà meglio entrare", disse Elettra scostandosi dalla porta e permettendo così all'amica di oltrepassare la soglia. Ma il primo a mettere piede in casa, fu il suo cane.
La bionda non lo aveva notato prima. "Ma che carino che sei", commentò facendo un ampio sorriso. Era di grossa taglia, con il pelo marrone scuro e aveva l'orecchio e l'occhio destro, danneggiati. In realtà non era molto bello, esteticamente: era un gigantesco cane vissuto, che le ricordava vagamente i randagi che vagavano nella campagna appena fuori le mura cittadine. Avvicinò la mano al suo muso per accarezzarlo ma, prima di riuscire anche solo a sfiorarlo, l'animale si mise a ringhiare e lei fece appena in tempo a ritirare la mano; un istante più tardi, le possenti mascelle del mastino si chiusero con uno schiocco.
"Limier, buono!", lo rimproverò Costanza.
Elettra lo osservò, per nulla turbata da quello che era appena successo anzi, appariva fin divertita. "Limier, credo che io e te andremo proprio d'accordo"
L'altra ragazza scosse la testa. "Non sei cambiata affatto, noto. Riesci ancora a cacciarti nei guai?"
La bionda rise: se avesse potuto raccontarle tutti i guai in cui si era cacciata, in quell'ultimo periodo, tra i Figli di Mitra e Girolamo, avrebbe fatto l'alba, senza neanche concludere tutto il resoconto. Stava per dire qualcosa, quando vide Limier annusare l'aria e correre a tutta  velocità verso la cucina. 
"Sei sola in casa?", chiese Costanza, cercando di capire lo strano comportamento del suo amico animale.
Elettra arrossì, pensando all'integerrimo Conte di Imola e Forlì, al nemico numero uno della sua preziosa Firenze, che dormiva placidamente nel suo letto, due piani sopra alla loro testa. Fece cenno di no. 
Quasi a farlo apposta, il cane, dall'altra stanza, si mise ad abbaiare e ringhiare. "Girolamo!", disse ad alta voce, sovrappensiero.
"Chi?", chiese l'amica, confusa.
"Ehm... il gatto!", ribattè, correndo in cucina. "Resta pure lì. Non preoccuparti, risolvo tutto io"

La scena che le si presentò davanti agli occhi, una volta in cucina, Elettra non se la sarebbe dimenticata per tutta la vita. Avrebbe preso in giro Girolamo per anni, per quello che aveva visto.
Lo spietato Conte Riario in piedi, su di un tavolo, con la spada puntata verso Limier, che gli abbaiava e ringhiava, sotto di lui.
"Paura di un cane?", gli chiese, nascondendo le proprie risa con una mano sulla bocca.
L'occhiata che Girolamo le lanciò, fu di puro odio. "Si può sapere, di grazia, da dove viene questo cane?". Non aveva alcuna intenzione di scendere da lì, finchè quella bestiaccia non fosse stata lontana.
"E' il cucciolo di Costanza", rispose lei, calcando la parola 'cucciolo', con il chiaro intendo di deriderlo.
"E chi sarebbe questa Costanza?"
"Una mia amica di infanzia, è arrivata adesso e penso che resterà qui per un po'"
Girolamo borbottò qualcosa di incomprensibile, mentre Elettra cercava qualcosa da dare a Limier, per allontanarlo. Gli lanciò un pezzo di pane nel corridoio, ma il cane non si mosse. Allora optò per un pezzo di carne cruda e subito l'attenzione del mastino venne catturata dall'odore del sangue; la ragazza lo lanciò fuori, chiudendo velocemente la porta alle sue spalle.
Il Conte scese da sopra il tavole e lei ebbe quasi l'impressione che avesse tirato un sospiro di sollievo. 
"Ecco dov'era finita la mia camicia", commentò contrariato dal vederla indosso a lei.
"La mia me l'hai letteralmente strappata di dosso e non so dove sia finita. E poi ero troppo di fretta, per mettermi a cercarla", ribattè lei, con tono innocente.
Girolamo le si avvicinò, sfoderando uno dei suoi soliti sorrisi affilati. "Rivorrei la mia camicia"
Dei passi, sempre più vicini, riportarono Elettra alla realtà. "Domani", disse velocemente, mentre lo strattonava verso la porta. "Ci vediamo domani mattina a palazzo". Gli diede un veloce bacio sulla bocca.
Prima che si rendesse conto di quello che era appena successo, Girolamo sentì la porta chiudersi proprio davanti al suo naso e si ritrovò sotto un'acquazzone invernale.

"Un gatto", commentò sarcastica Costanza, entrando in cucina. 
Elettra aveva fatto appena in tempo a chiudere la porta, quando l'amica fece irruzione nella cucina. "Si...", disse mentre le guance le diventavano rosse, "L'ho appena buttavo fuori"
Tra le due scese un imbarazzante silenzio, rotto solo dallo scrosciare della pioggia, all'esterno.
"Perchè non andiamo di là, così mi racconti cosa ti porta qui a Firenze", propose Elettra.
 
***

"E così sei fuggita", commentò Elettra, prendendo un sorso di vino, dalla bottiglia che aveva in mano. Da brava ed educata donna di corte, stava bevendo del vino a canna. Si strinse ancora di più le ginocchia al petto, mentre sistemava meglio la pesante coperta di lana sulla poltrona.
Non potè fare a meno di notare come la mano di Costanza si stringesse nervosamente intorno al proprio bicchiere d'acqua. Già, Elettra aveva scoperto con un certo orrore che l'amica era praticamente astemia, eccezion fatta per quelle rare occasioni in cui si concedeva un po' di idromele o sidro.
Aveva acceso il camino, procurato a Costanza dei vestiti asciutti e non incrostati di fango e polvere, le aveva prestato alcune coperte per scaldarsi e poi si era seduta di fronte a lei, sulla sua poltrona preferita.
Osservò Limier, sdraiato davanti al camino. Visto il colore della sua pelliccia, all'apparenza le era sembrato in condizioni migliori della padrona ma, vedendo le sue impronte infangate sul candido marmo dell'entrata, aveva dovuto ricredersi. Chissà come sarebbe stata felice Maria, il giorno seguente, di dover pulire tutto.
La sua ospite sospirò. "Mio padre voleva farmi sposare un impettito aristocratico francese! Con i capelli unti, il nasone e i denti gialli!"
"Ma tuo padre è impazzito completamente!", commentò Elettra, strabuzzando gli occhi. No, davvero, non poteva crederci.
"Era un cugino del re di Francia", disse amaramente. "A mio padre importa solo la scalata sociale, non di certo a chi andrebbe in sposa sua figlia"
Per un attimo la bionda pensò che mai per nessuna ragione al mondo Gentile Becchi l'avrebbe mai costretta a fare qualcosa contro la sua volontà. Specialmente se si fosse trattato di un matrimonio. Scosse la testa, cercando di non pensare a quello che l'amica aveva passato. In un moto di tenerezza, si alzò dalla propria seduta, spostandosi vicino a Costanza e abbracciandola forte.
"Mi ha rinchiusa in quella stupida scuola di comportamento, per costringermi ad accettare. Se non fosse stato per...", la sua voce si incrinò leggermente, "Saron... la guardia a cui mio padre aveva ordinato di proteggermi... se non fosse stato per lui, ora non sarei qui. Mi ha liberata, protetta ed accompagnata fino a Firenze e poi ha proseguito il suo viaggio ma..."
"E' un soldato, vedrai che se la saprà cavare", la confortò Elettra. 
"Cosa ne dici se ora andiamo tutti a dormire?", le disse gentilmente, quando fu certa che l'amica si fosse calmata.
Costanza annuì, infilandosi sotto alle coperte.
Elettra soffiò sopra alla candela, spegnendola, e si diresse nella propria stanza.
 
***
 
La mattina dopo...

"Non mi ricordavo che il mercato fiorentino fosse così..."
"Caotico?", le suggerì Elettra.
Costanza scosse la testa. "No, c'è molto di più. Non è solo caotico, è anche disordinato, chiassoso e...", si bloccò, osservando confusa un uomo mezzo nudo che si fustigava, passando tra la folla che non sembrava neanche notarlo.
La bionda rise, osservando il comportamento dell'amica. "Si vede che è un po', che sei via da Firenze"
Osservò in giro, tra la marea di gente che a quell'ora affollava Ponte Vecchio, notando una persona, in piedi su una cassa di legno, intenda a urlare le proprie offerte.
"Da questa parte", disse Elettra prendendo per mano l'amica, "Voglio farti conoscere una persona"

"Madonne e Messeri udite", disse Zoroastro, alzando in aria un osso. "Ho qui l'osso frantumato della caviglia di Sant'Albino: anche solo un piccolo frammento garantisce totale protezione contro pirati e furfanti". Si mise a frugare in una borsa, alle sue spalle, estraendone altre. "E, per qualche soldo in più, le ossa dello stimato martire San Besso"
I più gli passavano davanti, scuotendo la testa. Altri, per lo più turisti e ingenui, gli si avvicinarono, comprando qualcosa.
La recita del moro era ormai da tempo collaudata ed avveniva sempre in quello stesso posto, alla stessa ora, puntuale come un orologio svizzero vi erano poi alcuni spettacoli extra, soprattutto prima di esecuzioni pubbliche e durante qualche particolare festa.
Elettra, rimasta in disparte per tutto il tempo, gli si avvicinò, trattenendo a stento le risate. "San Besso?", gli chiese ironica.
Zoroastro alzò le spalle, fingendo di non sapere nulla. "Ogni tanto bisogna variare un po' i nomi"
La ragazza rise. "Certo che ne hai di fantasia"
"Si fa quello che si può, per sopravvivere", ribattè il moro, ironico.
Costanza, rimasta indietro insieme a Limier, osservava i due con un sopracciglio alzato, più sorpresa che allibita: come poteva, Elettra, conoscere un simile individuo?
"Non vi sentite in colpa, a fregare così la povera gente?", disse avvicinandosi.
Zoroastro la osservò, leggermente confuso. "E questo fiore di innocenza chi è?", chiese sarcastico alla bionda, ma osservando Costanza.
"Costance Flauberts", rispose la diretta interessata, alzando il mento e reggendo il suo sguardo con sicurezza, seppur restando sulla difensiva.
"Costanza Casoli", ribattè distratta Elettra, mentre frugava nel borsone di Zo, "Dice così solo perchè ha vissuto un po' in Francia"
"E' un vero piacere fare la vostra conoscenza, mademoiselle Costance", disse Zoroastro, sfoderando uno dei suoi sguardi più innocenti. Le si avvicinò, facendole un lento baciamano. 
'C'erano senz'altro state donne che erano cascate ai suoi piedi per molto meno', si ritrovò a pensare, Costanza. Tuttavia, il suo sguardo si illuminò di una leggera sorpresa, al gesto dell'uomo, che, a prima vista, sembrava tutto fuorchè elegante.
I due si fissarono negli occhi per alcuni istanti ma furono interrotti da Limier, che si era messo a ringhiare contro Zoroastro, quasi pronto a mordere, e da Elettra che, immersa in una delle sue solite brillanti idee, rovesciò l'intero contenuto del borsone a terra.
Zo si mise a debita distanza da quell'enorme cane e si girò verso l'amica, mordendosi la lingua per evitare di imprecare davanti a Costanza, intenta ad accarezzare la testa del proprio cane per rabbonirlo. 
"Elettra, si può sapere cosa stai facendo?"
Lei era troppo intenta a frugare tra le ossa, per ascoltarlo.
Il moro sbuffò, tornando a guardare la ragazza da poco conosciuta, che osservava curiosa e contrariata la bionda. "Non farci caso, fa sempre così"
"Zo, ti ricordi che mi devi venti fiorini?", chiese Elettra, cercando qualcosa tra quel mucchio di ossa.
Zoroastro fece una strana faccia, fingendo di non ricordarsi.
"Non importa", ribattè, "Prendo un osso e siamo pari"
"Cosa devi farci con un oss...", il moro si bloccò, intento a pensare. "No, anzi, non voglio sapere cosa ci farai". Quando si parlava di lei o di Leonardo, era saggia cosa non fare domande.
Elettra rimise tutto nel borsone, eccezion fatta per quello che aveva tutta l'aria di essere un omero. Sorrise, soddisfatta di sè stessa.
"Limier, guarda un po' cosa ho qui", disse, fischiando ed agitando l'osso per aria. 
Il cane la guardò con sufficienza, ma allo stesso tempo con interesse annusando l'aria.
"Guarda che non riuscirai a comprare così il mio cane", ribattè Costanza.
"Tu dici?", chiese sarcastica Elettra. Lanciò l'osso, che Limier guardò con vivo interesse. Ma fu solo quando Costanza fece un gesto con la mano, che il mastico corse a prendere l'osso.
La francese lo osservò, mentre con felice voracità mordeva il nuovo giocattolo. "E' un osso finto, vero?"
Sia Zoroastro che Elettra scoppiarono a ridere. "Preso dal cimitero dei poveri giusto la notte scorsa", ribattè il moro divertito.
Costanza lo osservò, allibita e disgustata allo stesso tempo. "Siete proprio senza rispetto!"
"Tanto ai morti non servono più, o no?", commentò la bionda.
"Anche tu?!...Anche tu lo aiuti?"
"Certo", disse lei sorridendo, "Se non ho nient'altro da fare, do una mano anche io"
Li guardò entrambi e poi portò gli occhi al cielo, sospirando. "Siete degli eretici..."
"Eretici liberi pensatori per l'esattezza", la corresse Elettra, divertita. Il suo sguardo, però, si fece quasi immediatamente serio, mentre scrutava l'amica. "Aspetta...", disse tornando nuovamente a ridere, "Non vorrai dirmi che tu credi davvero in..."
"Non è che non ci credo, il punto è che bisogna portare rispetto per i morti!", fu la risposta immediata dell'amica.
"Ti facevo meno ingenua". Elettra le si avvicinò, dandole un'amichevole pacca sulla spalla, "Ma stando a Firenze vedrai che cambierai idea". Le fece l'occhiolino.
Costanza alzò gli occhi al cielo, rendendosi conto che era inutile darle corda: tanto avrebbero comunque discusso, finchè Elettra non avrebbe voluto aver ragione a tutti i costi, esattamente come quando erano bambine.
Dopo alcuni istanti di silenzio, Elettra decise di parlare nuovamente: "Adesso andiamo a palazzo, che siamo già in notevole ritardo", si voltò verso Zoroastro, "Vuoi venire anche tu? Ci saranno anche Leo e Nico"
Il moro le sorrise. "E perdermi tu che posi per Leonardo? Neanche morto"
 
***

"Sei in ritardo", disse Leonardo, quando Elettra, seguita da Zoroastro, Costanza e Limier entrò nel proprio studio, a Palazzo della Signoria. "Su, forza! Spogliati che ho un dipinto da finire". Il geniale artista era talmente concentrato a mettere fretta alla bionda, che non si accorse neanche della novità. 
"Perchè indossi ancora un paio di pantaloni?", le chiese.
"Oggi Clarice e Lorenzo non sono a palazzo, quindi nessuno commenterà il fatto che indosso dei pantaloni e non una gonna e un corsetto"
"La mia domanda non era quella, era un 'perchè non hai ancora tolto i pantaloni?'"
Elettra sbuffò, mentre si spogliava.
Nel frattempo Zo si mise a tossicchiare, nel tentativo di far notare a Leonardo i nuovi arrivati.
"Amico mio, dovresti andare a farti visitare da un cerusico", fece notare l'artista, intento a sistemare i propri strumenti su di un basso tavolino.
Nico scosse la testa, mentre rivolgeva un timido saluto con la mano a Costanza e uno sguardo di timore alla figura del cane, che si annusava intorno sospettoso.
Zoroastro le fece l'occhiolino, continuando sulla sua strada. "Leonardo, non noti niente di strano in questa stanza?"
Leonardo alzò finalmente la testa, visualizzando prima il grosso cane, poi incrociando lo sguardo con quello di Costanza, ancora parecchio contrariata dalla totale mancanza di pudore dell'amica che, in quel momento, li osservava con un sorriso tra le labbra e con in mano un sottile lenzuolo che la copriva a malapena.
"E voi, madonna, sareste...?", Da Vinci era una persona socievole, ma gli dava parecchio fastidio avere un pubblico che lo osservava mentre dipingeva.
Elettra si avvicinò al gruppo. "Lei è Costanza, una mia cara amica d'infanzia e questo è Limier, il suo cane da guardia. Mentre loro, amica mia, sono Leonardo Da Vinci e Niccolò Machiavelli".
Prima di poter aggiungere altro, l'attenzione di tutti si rivolse al grosso mastino che aveva cominciato a girare per tutto lo studio, annusando e ringhiando piano. Con un leggero richiamo, Costanza lo fece tornare accanto a loro.

Una volta terminate le presentazioni, Leonardo si mise all'opera, ritraendo Elettra nelle 'vesti' (si fa per dire) della Venere Pudica.
"Posso sapere perchè devo farti io da modella e non Vanessa?", la bionda non aveva molta pazienza, quando si parlava di restare immobili per ore. E ne era passata appena una.
"Perchè Vanessa non mi deve un favore, al contrario di te", le fece notare Leonardo.
Elettra sbuffò, facendo ridere Costanza che, dopo lo shock iniziale, cominciava ad abituarsi a quella banda di folli.
"Riario è già arrivato?", chiese la bionda, cambiando drasticamente discorso.
"Confido che sarà da noi al più presto", rispose Leo, trattenendo a stento le risate. Insieme con Elettra non perdeva mai l'occasione per lanciargli frecciatine.
Ironia della sorte, si sentirono dei passi nel corridoio.
"Parli del diavolo e... Prego Conte, entrate pure", disse Elettra, con un fare che a Costanza sembrò troppo da civetta.
Riario non aveva fatto neanche in tempo a bussare ma, in fondo, sapeva che lei lo stava aspettando. Osservò contrariato la scenetta che gli si parò davanti, con Elettra ricoperta a malapena da un sottile panneggio, intenta a farsi ritrarre dall'artista. 
D'altro canto, sia lei che Da Vinci lo guardarono con un largo sorriso innocente, per nulla intimoriti dalla figura minacciosa del Conte. Non si poteva dire lo stesso di Nico, la cui agitazione era palpabile.
Riario estrasse da sotto la giacca una busta: l'invito per il ballo in maschera che si sarebbe tenuto di lì a qualche giorno.
Elettra e Leonardo si guardarono, sempre più divertiti.
"Posso sapere, di grazia, perchè sul mio invito al ballo è scritto che, per essere ammesso alla festa, dovrei indossare, citando queste esatte parole, 'un costume che non sia da beccamorto, come vostra abitudine'?"
I due amici si guardarono, scoppiando a ridere.
Il Conte, esasperato dal loro comportamento infantile, alzò gli occhi al cielo. Prese un profondo sospiro, convincendosi di essere superiore a quegli scherzi infantili. "Elettra, posso parlare con voi in privato?"
"Un attimo", rispose lei, porgendo il panneggio a Leonardo e correndo all'armadio, cercando la propria camicia. Fece l'occhiolino all'artista, mentre usciva dallo studio insieme a Riario.
Costanza osservò molto attentamente il Conte: non le era di certo passato inosservato l'impercettibile innervosirsi di Girolamo, alla vista e all'abbaiare minaccioso di Limier; credeva di sapere il perchè, ma comunque avrebbe chiesto conferma ad Elettra che, volente o nolente -più nolente che volente, in realtà-, le avrebbe dovuto dire assolutamente la verità.
Appena la porta si chiuse alle spalle dei due, vide Leonardo e Nico correre alla porta, per origliare il loro discorso.
"Siete finita in una gabbia di matti, mademoiselle", disse Zoroastro, piombandole improvvisamente alle spalle.
Costanza sussultò. "Ho notato", commentò, cercando di rimanere distaccata. Quell'uomo non era decisamente un buon soggetto.
"E così voi venite dalla Francia". Mentre lo diceva, Zo si sedette sulla scrivania di Elettra. 
"Già". La ragazza si era imposta di rispondergli a monosillabi. Magari si sarebbe scocciato e l'avrebbe lasciata in pace.
"Mi dispiace molto, ma purtroppo non ho aneddoti divertenti sulla vostra terra d'origine, da raccontarvi". Il moro sembrava sinceramente dispiaciuto, di questo. "Quali altri luoghi avete avuto l'onore di visitare?", le chiese. "Chissà, magari con il prossimo sarò più fortunato"
Forse sarà stato il suo sorriso adulatorio, o la sua caparbietà, o il semplice fatto che non avesse niente di meglio da fare, in quel momento, ma Costanza decise finalmente di abbandonare la posizione sulla difensiva che aveva assunto fin dal primo istante, al mercato, e di dargli un po' corda. "Prima di trasferirmi in Francia ho vissuto anche qualche anno a Pisa"
"Pisa", commentò il moro, "Che bella città". Ci pensò un po' sù, mentre il suo sorriso si illuminava. "Su Pisa ho proprio un divertente aneddoto da raccontarvi"
"Prego, parlate pure"
"Elettra vi ha raccontato di aver alloggiato una notte nelle  lussuose prigioni pisane?"
"Oh cielo, cosa potrà mai aver combinato?"
"Per una volta, posso rassicurarvi che si stava comportando da adulta. Peccato che la milizia cittadina l'abbia confusa con una ricercata"
Costanza guardò Zoroastro negli occhi ed entrambi scoppiarono a ridere.
"Ha passato l'intera notte in una stretta cella insieme ad un gruppo di loquaci prostitute e il giorno dopo è dovuto arrivare Gentile Becchi, per chiarire il malinteso e liberarla"
La ragazza aveva le lacrime agli occhi dal ridere. "Certo che voi sapete proprio come far ridere una donna", commentò, quando si fu ripresa da quell'improvviso attacco di spensieratezza. Erano anni che non si sentiva più così...libera e leggera, senza costrizioni; ora riusciva davvero a capire come mai Elettra fosse così affezionata a quelle persone.
"Non fatevi nessun problema a darmi de tu", disse Zo.
Costanza inizialmente parve imbarazzata. "Anche voi... volevo dire, anche tu, dammi pure del tu". Per qualche strano motivo, le sue guance si colorarono di un rosso acceso.
Anche Zoroastro, voltò per un attimo il volto, imbarazzato da, non sapeva neanche lui, cosa.
"Zoroastro, cosa stanno facendo quei due, alla porta?", chiese Costanza, dopo alcuni secondi di silenzio. Non riuscendo a guardare Zo negli occhi, si era lasciata distrarre dallo strano comportamento di Nico e Leo.
"Questa è una delle poche volte in cui posso risponderti con certezza: stanno tenendo il tempo"
"Tenendo il tempo?", chiese lei, confusa e curiosa. 
Zo ridacchiò sotto ai baffi. "Controllano quanto tempo Elettra impiegherà per far scappare Riario a gambe levate. Credo che ci sia una specie di record, da battere. Ma osservando Leonardo, deduco che non ce l'abbia fatta"
Costanza stava per dire qualcosa, quando sentì la voce del Conte, dall'altra parte della porta, alzarsi.
"Voi e l'artista siete proprio infantili e petulanti!"
Subito dopo si udirono dei pesanti passi allontanarsi sempre di più.
Alcuni secondi più tardi, Elettra rientrò. Chiuse la porta alle proprie spalle e scoppiò a ridere, lasciandosi scivolare sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro.
Leonardo le fu subito accanto. "Non hai battuto il tuo record, però è stato davvero esilarante", disse tra una risata e l'altra.
"Quindi stasera tutti al Cane Abbaiante a festeggiare", propose la ragazza.

Quando tutto si fu calmato, Elettra e Leonardo tornarono a fare quello che stavano facendo prima dell'interruzione di Riario.
Durante una pausa, Costanza le si avvicinò, per farle quell'attesissima domanda, sfruttando un momento di momentanea distrazione degli altri tre.
"Quell'uomo aveva lo stesso tono di voce del gatto di ieri sera", commentò, fingendosi vaga,  ma con un tono che faceva intendere molte cose.
Non le servì una risposta a voce, per confermare le sue ipotesi, le bastò osservare il diffuso rossore che aveva fatto la sua comparsa sul volto solitamente pallido dell'amica.
 
***
 
Quella sera...

Il Cane Abbaiante aveva già una pessima fama quando Costanza era bambina ma, a vederlo in quel momento, l'unica cosa che le riuscì di pensare era che fosse decisamente peggiore di quanto avesse mai immaginato. Ma stranamente lo trovò nostalgicamente bello.
Però si sentiva a disagio. E questo non era solo dovuto al non indossare un corsetto, come era sua abitudine fare, sopra ai pantaloni, ma una semplice giacca, o di aver lasciato Limier a casa di Elettra...forse era proprio quell'ambiente a non convincerla troppo. Che gli sfarzi dell'alta società francese l'avessero fatta diventare troppo simile a quelle dame impettite che vedeva ai balli? Se fosse stato davvero così, pensò con una smorfia, allora avrebbe dovuto cercare di purificarsi al più presto.
Elettra, in arrivo con un pesante vassoio tra le mani, l'allontanò dai propri pensieri.
"Ecco qui il tuo sidro", disse all'amica, porgendole un grosso boccale.
Costanza la guardò con gli occhi sgranati: le aveva detto si e no mezzo bicchiere, non una botte intera. Ci teneva troppo alla propria salute, per rovinarsi il fegato ad alcol ma, ripensandoci, aveva avuto giò qualche esperienza con l'alcol e, come diceva Elettra, per una nuova vita, bisogna crearsi nuove abitudini, no?
Elettra passò una brocca d'acqua -che in realtà non si trattava per niente d'acqua- a Nico e poi diede diede due calici a Zo e Leo, tenendo il terzo per sè. Tra le mani aveva una strana bottiglia.
"Ehm... da dove arrivano questi?", chiese Zoroastro, indicandole i tre calici.
"Sinceramente, neanche io pensavo che al Cane Abbaiante avessero dei calici ma mi è bastato frugare un po' nel ripostiglio, pre trovarli"
"E a cosa dobbiamo l'onore?"
"Non possiamo di certo bere dello champagne nei boccali da birra!", fu la pronta risposta della bionda.
Dopo aver stappato la bottiglia -facendo finire il tappo nel boccale di birra di un tizio che si trovava qualche tavolo più in là- la ragazza alzò in alto il proprio calice, seguita a ruota da tutti gli altri. "A Costanza e alla Francia, patria da cui tutti scappano a gambe levate"
I bicchieri tintinnarono tra loro. 
Nico avvicinò il proprio bicchiere alle labbra, non notando la faccia divertita di Elettra che lo osservava attentamente. Appena ebbe bevuto il primo sorso, si accorse che quella non era acqua; istintivamente sputò tutto per terra. "Ma che...?"
Scoppiarono tutti a ridere.
"Elettra, si può sapere che cosa mi hai messo nel bicchiere?"
La ragazza gli diede una pacca sulla spalla. "E' solo un po' di vodka. In Russia mi hanno raccontato che la bevono al posto dell'acqua. Volevo vedere se era possibile farlo anche qui...", rispose con un tono di voce il più innocente possibile.
"Ma è alcolica!", protestò Nico.
"Sarà appena sopra i 40°", tentò di giustificarsi lei; come se quel tasso alcolico fosse basso...
Zoroastro e Leonardo avevano le lacrime agli occhi dal ridere e anche Costanza, con sorpresa di tutti, si lasciò andare ad una risata di puro divertimento.

Parlarono ancora un po' del più e del meno e Leonardo, Zoroastro ed Elettra raccontarono a Costanza di qualcuna delle loro ultime avventure, facendola ridere di gusto.
Ad un certo punto Leonardo si alzò dal tavolo, in cerca di qualche nuovo guaio in cui andare a cacciarsi; Nico lo seguì prontamente, per controllarle che non si cacciasse Veramente il qualche guaio.
Elettra osservò Giuliano e Vanessa, seduti al bancone, che si scambiavano qualche tenera parola. "Vado a fare il terzo incomodo", disse alzandosi anche lei.
Zoroastro e Costanza restarono soli.
"Pensi ancora che io sia un pessimo soggetto?", le chiese, divertito.
La ragazza arrossì, chiedendosi come avesse fatto a notarlo, quella mattina. "Sto cambiando idea"
Il moro le sorrise, soddisfatto di sè stesso.
"Almeno ho potuto vedere che con le persone a cui tieni davvero ti comporti bene". Pensò ad Elettra e al fatto di quanto fosse fortunata, ad avere degli amici che avrebbero fatto qualsiasi cosa per lei. L'amica si era trovata una nuova famiglia.
Famiglia.
Lei non ne aveva più una, da molto tempo. Si sentì improvvisamente sola.
"Che ti succede?", le chiese dolcemente Zoroastro, notando i suoi occhi, che stavano divenendo lucidi.
"Siete talmente uniti, voi quattro, da sembrare come una famiglia", disse lei, malinconica.
Zo le sorrise, pensando che lei aveva pienamente ragione. 
Improvvisamente, gli venne il dubbio che lei, una famiglia, non ce l'avesse. Elettra gli aveva detto che l'amica era fuggita dalla Francia, ma non gli aveva spiegato il motivo. "E la tua, di famiglia, dove si trova?"
Costanza lo guardò, indecisa se parlare o ignorarlo. Una parte di lei però sentiva di potersi confidare con lui. "Mia madre è morta quando avevo otto anni, mio fratello e mia sorella se ne sono andati alcuni anni fa e mio padre... beh, non so se potrei definirlo esattamente tale". Una lacrima solitaria le solcò una guancia. 
Zoroastro le si avvicinò, prendendo una sua mano tra le sue. "Allora non sei poi così diversa da noi: veniamo tutti da famiglia disastrate. Guarda me: sono il figlio bastardo di un nobile di cui mia madre non ricorda neanche il nome, o forse non la sa neanche lei", disse amaramente. "Suo marito mi picchiava e quindi, appena ho potuto me ne sono andata e sono cresciuto per la strada". Era pochissime le persone a cui aveva parlato direttamente del proprio passato. Le indicò Leonardo e Nico, intenti a giocare a dadi con dei soggetti dalla faccia tutt'altro che raccomandabile, qualche tavolo più in là. "Leonardo è il figlio bastardo del notaio dei Medici: non lo ha mai degnato di uno sguardo e sua madre l'ha abbandonato a sei mesi. Nico invece ha lasciato la sua famiglia quando sul padre ha provato ad obbligarlo a diventare notaio".
Cercò con lo sguardo Elettra, intenta a ridere di gusto insieme a Giuliano e Vanessa. "Ed Elettra...immagino che lo sappia anche tu: ha visto sua sorella e sua madre essere aggredite da una banda di briganti, suo padre è in mare e non ha nessuna intenzione di accettare quello che è successo eppure...guardala in questo momento". Zoroastro guardò Costanza negli occhi. "Certe ferite non se ne vanno mai, sono sempre lì in agguato, ma si sopravvive e si va avanti; se pensi di essere l'unica al mondo a sentirsi sola, ti sbagli di grosso: noi ci facciamo forza a vicenda compensando il nostro vuoto con l'amicizia. Dovresti provare anche tu, potresti scoprire che non siamo così male come pensi"
La vide sorridere teneramente e quel gesto così spontaneo gli fece molto piacere. Avvicinò il proprio viso al suo. "Folli sì, questo te lo concedo, ma di ottima compagnia: con noi non potrai mai dire che ti annoi"
Stava per avvicinarsi ancora di più, quando Elettra arrivò.
Costanza, con le guance in fiamme, si allontanò velocemente da Zo.
La bionda guardò il moro con uno sguardo per niente contento. "Devo andare a palazzo... a prendere una cosa"
'Come no', pensò Costanza. Prima di quel giorno, non avrebbe mai immaginato che l'amica avesse mai avuto un amante; aveva pensato che, almeno da quel lato, avrebbe aspettato il matrimonio. Si sforzò di immaginare Elettra e la parola 'matrimonio', insieme. Scosse la testa: in effetti era molto più sensato l'amante, che non il matrimonio, visto il suo carattere da libertina. Distrattamente, si chiese come sarebbe potuta essere lei, se fosse restata a Firenze, e la risposta le arrivò da sola: se non fosse stata educata ad essere una lady con la forza, probabilmente sarebbe stata...diversa, forse simile ad Elettra.
"Certo", le disse prontamente Zo. "Se vuoi posso accompagnare io Costanza a casa, più tardi"
"Grazie, era proprio quello che volevo chiederti". Elettra guardò il moro negli occhi con un'espressione troppo seria, per lei. "Per favore, fallo prima del coprifuoco: non mi va di dovervi venire a recuperare entrambi al Bargello. E...", schioccò le dita, per attirare nuovamente l'attenzione di Zoroastro, che si era messo a ridacchiare, "Zo, ricordati: guardare ma non toccare"
Il moro le sorrise. "Osi dubitare del mio onore?"
Elettra lo osservò e annuì. "Le conseguenze potrebbero essere spiacevoli", gli disse in tono intimidatorio, ma velato di ironia.
"Tu passi troppo tempo con Riario!", commentò Zoroastro divertito.
"Può darsi", ribattè lei con aria vaga. Gli voltò le spalle, per non permettergli di vedere l'anomalo colore che avevano assunto le sue guance. "Buonanotte", li salutò entrambi, dirigendosi alla porta.
Costanza guardò Zo, un po' confusa: non era riuscita a comprendere pienamente il discorso tra lui ed Elettra. 
Il moro si limitò a farle spallucce.
 
***
 
Alcune ore più tardi...

La campana del coprifuoco avrebbe suonato a momenti e, per una volta, Zoroastro aveva deciso di ascoltare il consiglio di Elettra: insieme a Costanza, si trovavano proprio davanti a casa dell'amica.
La ragazza aveva un sorriso imbarazzato, che celava con fatica la radiosità, mentre osservava la propria mano, intrecciata a quella di Zo. 
Erano usciti quasi subito, dall'osteria e il moro l'aveva portata a fare un giro lungo le rive  dell'Arno. Avevano riso e scherzato e, per Costanza, era stato come se fosse tornata bambina quando, mano per la mano con sua madre e i suoi fratelli, passeggiava per quelle stesse vie.
Quando una folata di vento gelido li colpì in pieno, Costanza si strinse istintivamente contro il braccio di Zo, quasi a voler cercare il suo calore. Allora lui, dopo essersi liberato delicatamente dalla sua presa, le aveva avvolto il proprio braccio intorno alle spalle tirandola ancora di più a sè.
Ora si trovavano là, entrambi, a guardare il cancello della casa di Elettra, pensierosi.
"Sarà meglio che io rientri", disse timidamente Costanza, indecisa sul da farsi. Si staccò da lui e, per niente convinta, poggiò timidamente una mano sul freddo ferro del cancello.
"Si...", mormorò Zo, "Nessuno vorrebbe far arrabbiare Elettra, non è un bello spettacolo, vederla perdere le staffe". C'era anche molta ironia, nelle sue parole.
La ragazza distese le labbra in un sorriso divertito. "Allora...buonanotte", allungò una mano, "E' stato un piacere conoscerti, Zo"
"Anche per me", disse lui, stringendogliela in un gesto che gli appariva così ufficiale e che gli sembrava stonare, con l'intimità che si era creata tra loro.
Osservò le loro mani, rendendosi conto che non era assolutamente così, che intendeva salutarla. "Elettra, per una volta vai a quel paese anche tu", borbottò tra sè e sè.
Prima che Costanza gli potesse chiedere di cosa stava parlando, la tirò verso di sè e la baciò


Nda
Si, sono ancora qui.
Qui di seguito c'è una piccola parte di storia che sarebbe dovuta essere la parte d'apertura ma poi ho avuto un'idea che mi sembrava un po' più misteriosa e l'ho accantonata. Ma era davvero un peccato cancellarla...quindi, buona lettura ;)


Parte alternativa

Un colpo alla porta ruppe il pesante silenzio della notte, portando Elettra ad uscire dal proprio mondo dei sogni. Aprì pigramente un occhio, chiedendosi se era stato un rumore reale o se era solo la sua immaginazione.
Optò per la seconda ipotesi.
Si strinse ancora di più nel pesante piumone, cercando inconsciamente il calore prodotto dal corpo di Girolamo, abbracciato al suo. 
Un secondo colpo.
Questa volta Elettra lo sentì distintamente.  Fece per muoversi, ma il braccio che Girolamo le teneva intorno alla vita, si strinse ancora di più. "Ignorali, prima o poi se ne andranno", le sussurrò ad orecchio, con la voce ancora impastata dal sonno. Se Girolamo Riario si trovava ancora avvolto nelle coperte e non davanti alla porta d'entrata con lo stiletto fra le dita, allora non era nessuno con cattive intenzioni.
Un terzo colpo, molto più forte. Se chiunque ci fosse stato dall'altra parte della porta avesse continuato, l'avrebbe di certo abbattuta.
Elettra doveva sbrigarsi ad alzarsi: la sua porta in legno di rovere, non avrebbe resistito ad un altro colpo. Lentamente, sgusciò via dallo stretto abbraccio di Girolamo che, nel dormiveglia, borbottò qualcosa di incomprensibile, prima di rimettersi comodo tra le coperte. 
Elettra rabbrividì, quando sentì il freddo sulla pelle: il camino si era spento già da un po' e fuori diluviava. Cercò a tentoni la propria camicia, o qualsiasi altro indumento indossasse prima che Girolamo facesse irruzione a casa sua, a sorpresa. Si ricordò che probabilmente l'aveva persa sulle scale, tra il piano terra e il primo piano. 
Notò che però la camicia di Girolamo si trovava sul pavimento, appallottolata. La raccolse e la indossò: era decisamente troppo grande per lei, ma per le emergenze poteva anche andare.
Scese velocemente le scale. Chiunque ci fosse, fuori dalla soglia di casa propria, stava prendendo la porta a pugni.
"Chi c'è?", chiese, stringendosi ancora di più nella sottile camicia di lino di Girolamo. Al pian terreno, faceva ancora più freddo che in camera sua.
"Elettra, sei tu?". Era una voce femminile. Alla ragazza parve famigliare, ma non riusciva a collegarla ad una faccia e a un nome.
Pensando al freddo che doveva fare, fuori e all'acqua che scrosciava senza interruzioni o accenni a diminuire, prese le chiavi e le inserì nella serratura.



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Capitolo 3
*** Qui ci è scappato il vampiro ***


Nda
E a grande richiesta, ecco qui 'l'incontro' tra la nostra impavida Elettra e l'inquietante Vlad 
Ps: io se fossi in voi andrei a ridare un'cchiata ai capitoli 29 e 30 dell'Altra Gemella e al capitolo 2 di questa raccolta... ;)


Qui ci è scappato il vampiro

Elettra entrò nella bottega di Da Vinci, convinta che il geniale artista si stesse ancora riprendendo dai postumi della sbronza della notte precedente; invece lo scenario che le si parò davanti, una volta aperta la porta, le fece rimangiare tutti i suoi pensieri: vi era fibrillazione nell'aria e disordine. Tanto disordine. Più disordine del solito.
Leonardo era intendo a camminare, scrivere compulsivamente sul suo blocco da disegno e borbottare frasi senza senso, Nico era tutto concentrato, nel vano tentativo di seguire mentalmente il proprio maestro, e Zoroastro se la rideva sotto ai baffi. 
Elettra osservò tutti con attenzione: la particolare e caotica atmosfera del momento, i gesti di Nico, Zo e Leo, le bisacche più piene del solito, ammassate in un angolo... C'era una sola spiegazione plausibile: quei tre erano in partenza!
"Dove state andando?", chiese.
"A liberare l'abissino", rispose Nico, di fretta.
"Chi?"
"Un altro di quei Figli di Mitra", spiegò meglio Zoroastro, con un tono piatto, come se quello fosse un fatto abituale, per loro.
Elettra annuì. "E dove si trova questo 'abissino'?"
Il moro fece spallucce. "Prigioniero del signore della Valacchia", rispose, con fare apparentemente annoiato.
La ragazza strabuzzò gli occhi. "Stai parlando di Vlad l'Impalatore?!"
L'altro le fece cenno di sì con la testa, distratto. 
Nel mentre passò Leonardo, che le mise in mano una bottiglia, contente probabilmente un qualche tipo di liquore, senza degnarla di uno sguardo.
Lei lo osservò, con un'espressione tra l'essere in collera e il confuso. "E con questa che dovrei farci? Affogare i miei dispiaceri nell'alcol?", disse con sarcasmo.
Solo in quel momento Da Vinci si voltò a guardarla. La osservò come se la vedesse per la prima volta. "Oh...Ciao Elettra. Sei qui da molto?". Era talmente preso dai propri pensieri che non si era neanche accorto di lei. E non l'aveva neanche sentita urlare. Osservò la bottiglia, che la ragazza stava cercando di aprire. Velocemente, gliela tolse di mano, scambiandola con un'altra identica, presa da un ripiano dello scaffale più vicino.
"Perchè? Questa cosa aveva che non andava?", chiese spazientita.
"Meglio che tu non sappia, cosa c'è dentro"
Elettra sbuffò. "E della vostra imminente vacanza in Valacchia, cosa mi dici?"
"Vuoi venire anche tu?", chiese candidamente Leonardo.

....

"E me lo chiedi anche? Ovvio che vengo". La risposta era scontata, in fondo. "Nico non può di certo riuscire a farvi da balia tutto solo", aggiunse sarcastica.
"Sapevo che non ci avresti abbandonato così", disse Leo, abbracciandola.
Zoroastro li guardò con un sopracciglio alzato e l'aria scettica. "Siete completamente impazziti tutti e due?! Ci infilerà un palo sù per il culo prima ancora di avvicinarsi al vostro caro Abissino"
"Dai Zo, ci divertiremo", cercò di rabbonirlo, Elettra.
"Pure tu ti ci metti? Non basta già Leonardo con le sue folli idee?"
"Vado a fare le valige e...devo dirlo a Giuliano". La ragazza correva da una parte all'altra dello studio, come se fosse una molla impazzita. "Qualcuno dovrà pure coprirci, no?"
Prima ancora che qualcuno potesse dire qualcosa, la porta della bottega sbattè e lei scomparve.
Elettra era euforica: doveva trovare subito Giuliano... no, anzi, prima doveva passare per il suo studio. E poi doveva correre nella biblioteca di Cosimo, a documentarsi sulla Valacchia.
Quanto tempo era che non partiva all'avventura insieme a Leo, Nico e Zo? Probabilmente da quando aveva incominciato a lavorare per i Medici, un anno prima...

 
***

Alcune ore più tardi...

Elettra camminava a passo spedito per i corridoi del palazzo, con il naso immerso nell'ennesimo libro sulla Valacchia. 
Era talmente concentrata su quello che stava leggendo, da non accorgersi della persona che giungeva dalla parte opposta, distratta anch'essa.
Inevitabilmente, la ragazza andò a sbattere contro il petto del Conte Riario.
La pila di pesanti volumi che teneva in mano le cadde, finendo sul pavimento. Dalle pagine svolazzanti, si alzò una nube di polvere.
Elettra sbuffò, infastidita. Era ancora furiosa con Girolamo, per quello che aveva fatto a Leonardo. 
Certo che ne aveva di fortuna...Con tutte le persone che avrebbe potuto incontrare, proprio contro di lui doveva andare a sbattere?
Il Conte Riario alzò un sopracciglio, studiandola con le solite arie di chi si sentiva superiore. "Dovreste stare più attenta, madonna", le disse, scandendo le proprie parole con una lentezza esasperante.
"Se voi vi foste spostato, non vi sarei di certo venuta addosso", ribattè Elettra, con quel suo tono impertinente. Si chinò, cominciando a raccogliere da terra gli antichi libri.
"Potevate spostarvi voi", disse lui, abbassandosi per aiutarla.
Mentre raccoglievano i manoscritti, le loro mani si sfiorarono. Elettra allontanò immediatamente il proprio sguardo da quello di Girolamo, imbarazzata. Sulle sue guance si formò un diffuso rossore.
Il Conte la guardò malinconico: se solo avesse potuto toccare ancora quelle pelle così candida...Le parole che si erano detti, la sera del teatro, gli tornarono in mente con una fitta di dolore. 
Lei alzò la testa, osservandolo negli occhi. "Sapete che quando volete, sapete essere davvero fastidioso, Conte?". Senza farsi troppi problemi, gli mise tra le mani -in modo tutt'altro che garbato- i volumi.
Girolamo guardò prima ciò che gli aveva passato e poi lei. Era parecchio perplesso. "E con questi cosa dovrei farci?"
"Vanno nel mio studio", disse Elettra, voltandogli le spalle e procedendo in quella direzione. "In qualche modo dovrete pur scusarvi, per essermi venuto addosso". C'era divertimento nella sua voce.
Il Conte scosse le testa: uno ci impiegava anni e anni di duro lavoro, per crearsi l'immagine di un uomo spietato e inflessibile per cosa? Finire a fare il fattorino di una ragazzina impertinente...

"Potete pure appoggiarli sulla scrivania", disse Elettra, una volta giunti nel suo studio. Prese alcune cose dall'armadio, infilandole in una sacca da viaggio.
Gesto che non passò inosservato a Girolamo, insieme al fatto che indossasse un paio di pantaloni e non un vestito, come avrebbe dovuto fare, mentre si trovava a palazzo. "Siete in partenza, madonna?", le chiese. Se da fuori la sua espressione appariva sempre la stessa, seria e impassibile, dentro temeva la sua risposta.
"Sarete felice, immagino, di non vedermi per un po'"
Visto il tono di voce usato da Elettra, gli sarebbe davvero piaciuto risponderle in modo affermativo, ma si trattenne. "No, non ne sarei affatto felice", sussurrò, avvicinandosi.
Lei distolse il proprio sguardo dal suo, concentrandolo sui libri, sulla propria scrivania.
Girolamo seguì la traiettoria dei suoi occhi, incominciando a leggere i nomi incisi sulle copertine. La sua mascella si contrasse, mentre ne aprì uno, studiandolo meglio. "State andando in Valacchia?"
Ad Elettra non sfuggì il suo tono di voce preoccupato. "Non sono affari vostri", rispose semplicemente, cercando di rimanere indifferente.
"Elettra, vi rendete conto di quanto quelle terre siano pericolose?"
"Smettetela di voler decidere per me della mia vita", disse lei, alzando un po' troppo la voce.
Il Conte tornò alla sua solita espressione fredda. "Buon viaggio, allora"
La ragazza prese alcuni libri, mettendoli nella sacca che teneva su una spalla ed uscì, lasciandolo solo nello studio. 
Furente, Girolamo tirò un pugno sul tavolo. Perchè quella ragazza doveva essere così cocciuta?
Poco dopo la porta si riaprì di nuovo ed Elettra comparve sulla soglia; dai suoi occhi colore del cielo traspariva indecisione. Osservò il Conte per qualche istante, prima di decidersi: fece alcuni passi avanti, colmando ben presto la distanza che gli divideva.
Si alzò in punta di piedi, per avere il proprio viso alla stessa altezza del suo e, senza pensarci due volte, avvicinò le proprie labbra alle sue.
Girolamo, inizialmente stupito, rispose ad esso con maggiore intensità, stringendola forte contro il proprio corpo.
Elettra si staccò da lui dopo un tempo che parve troppo breve per entrambi. "Potrei anche non tornare per un bel po'...e non mi andava di avere questioni in sospeso", sussurrò, ad un soffio dalle sue labbra. 
Senza indugiare troppo, come era arrivata, se ne andò.

 
***
 
Diversi giorni più tardi...

Quella foresta non sembrava avere mai fine. Era fitta e i raggi solari -se ci fossero stati, visto il tempo perennemente nuvoloso- non sarebbero di certo stati in grado di attraversarla. 
Si respirava un'aria strana, percorrendo lo stretto sentiero sterrato, appena visibile sotto ad uno spesso manto di foglie secche; non tirava neanche un filo di vento, gli alberi erano completamente immobili e c'era un silenzio surreale, rotto soltanto dal rumore cadenzato degli zoccoli dei loro cavalli e dalle battute di Zo. Non vi era presenza di altri esseri umani e non si udiva neanche il canto di un uccellino, o il movimento delle foglie; nessun rumore che indicasse che vi fossero altri esseri viventi, oltre a Elettra, Leonardo, Nico e Zoroastro.
Arrivati ad un certo punto, il lato destro del sentiero declinava in un ripido pendio ed era proprio là che gli alberi si diradavano, mostrando ciò che c'era oltre: il pendio non era altro che la sponda di un fiume e, dall'altra parte, si poteva vedere una fortezza. Una solida fortezza, fatta di fredda roccia e dall'aria tutt'altro che ospitale.
I quattro fermarono i propri cavalli, osservando il castello.
Leonardo prese da una tasca del proprio mantello il cannocchiale di sua invenzione, per osservare la costruzione  più da vicino. 
"Qualcosa di strano circonda il castello", commentò Nico.
Il geniale artista gli passò la propria invenzione. Nico sussultò, appena mise a fuoco cosa ci fosse di strano lungo tutto il perimetro della fortezza.
"Uomini impalati?", chiese Elettra, sarcastica, mentre il ragazzo, con mano molto tremante, passava il cannocchiale a Zo.
Il giovane annuì.
"Fortuna che sono una donna e non credo che qui impalino delle povere e innocue dame. Non potrei dire lo stesso di voi tre...". C'era una punta di ironia, nelle sue parole. 
"Ehm...Elettra". Zo non sapeva come dirle quello che aveva appena visto. "Vedi il terzo corpo, a partire da sinistra?"
La ragazza aguzzò la vista. "E?"
"Quella è una donna. La tua geniale teoria è appena andata a farsi fottere"
"No, quello è un uomo con i capelli lunghi", ribattè lei, poco convinta delle proprie affermazioni.
Zo ridacchiò, portandosi vicino a lei e dandole un'amichevole pacca sulla spalla. "Potrai apparire carina ed innocua quanto vuoi, ma alla fine ti ritroverai un palo nel culo proprio come tutti noi"

Costeggiarono le mura della fortezza, osservando la lunga scia di cadaveri tutt'attorno; erano in stadi di decomposizione diversi, che spaziavano dal corpo ancora intatto, probabilmente morto da poche ore, allo scheletro, con quel lungo palo ben visibile, che spuntava dalla gabbia toracica. Ovunque si respirava un odore di morte che, pensò Elettra, portandosi la propria sciarpa al collo, era decisamente peggiore di quello che c'era nella bottega di Leonardo, quando i cadaveri recuperati da Zo non erano proprio freschi. Ancora che si stavano avviando verso l'inverno: la ragazza non sarebbe mai riuscita ad immaginare il tanfo che ci sarebbe stato, se fossero stati in estate.
"I loro turbanti sono inchiodati ai crani" fece notare Nico, con la voce leggermente tremante.
"Sono tutti turchi", disse Zoroastro. "Questo condottiero ha chiaramente un problema con gli ottomani"
"Il suo coraggio contro di loro gli è costato tredici anni di prigione. Ma dato che nessuno di noi è un turco, non abbiamo nulla da temere", ribattè Leonardo, guardandosi intorno curioso e per nulla intimorito da ciò che vedeva.
"Non pensi che potrebbe prendermi per un turco? Chi mi dice che la sua vista non si sia affievolita?". Zo appariva quasi spaventato.
"Perchè vi ho individuati a miglia di distanza. E se anche fossi cieco riuscirei a sentire i passi e le parole di questo tartaro da molto lontano"
Vlad l'Impalatore comparve davanti a loro, fiero sul proprio cavallo. Dalla boscaglia, comparvero una schiera di soldati che, in breve tempo, accerchiarono il piccolo gruppo.
"Cosa siete allora?"
"Unico"
"Anche uno scarabeo stercorario si crede unico. Il vostro lignaggio mezzosangue parla più delle vostre parole". Vlad continuava a rigirare il coltello nella piaga lanciando frecciatine al moro. "Vedete il Signore ha creato delle punizioni per il genere umano: i terremoti, i vulcani, le piaghe, le pestilenze, ma non peggiori di tutti i turchi, tartari e i meticci come voi"
Leonardo decise di prendere la situazione in mano: prima che essa peggiorasse ulteriormente scese da cavallo, seguito a ruota da Elettra. "Ave Wladislaus Dragwlya vaivoda partium Transalpinarum, principe di Transilvania e Valacchia, figlio di Vlad II, conosciuto come Vlad Dracul il drago, il che vi rende Vlad III figlio del drago o come viene detto nella nostra lingua, Dacula". Insieme alla ragazza, fece un inchino.
"Mi impressionate, con la conoscenza dei miei titoli, ma non mi avete detto chi siete e cosa ci fate qui". Dal tono di voce, Vlad sembrava scettico e restava molto sulla difensiva.
"Scusateci", disse la ragazza, "Io sono Elettra Becchi e loro sono il maestro Leonardo, con i suoi assistenti Nico e Zoroastro. Siamo stati inviati da Lorenzo de Medici il Magnifico della repubblica di Firenze" 
"Tutta l'Italia è meravigliata dalle vostre vittorie contro gli ottomani e il nostro signore porge la sua amicizia e spera in consigli militari per la più grande gloria di Firenze oltre che della Valacchia", disse in tono ossequioso, Leonardo.
"Dovete sapere che queste terre sono state tormentate dalla guerra e da cose peggiori della guerra". Le ultime parole dell'artiste sembravano aver fatto centro, nel signore della Valacchia. "Approfondiremo il discorso, a cena", concluse, voltando il proprio cavallo e dirigendosi verso l'interno della fortezza.
"A patto di non essere noi la cena", sussurrò a bassa voce Zoroastro, ironico. 
Per tutta risposta, senza farsi notare dagli altri, Elettra gli diede un'amichevole gomitata nelle costole.

***

"La cena ci attende", disse Vlad, mentre le porte della sala dei banchetti si aprivano.
Elettra si guardò intorno, curiosa. Il suo sguardo si posò immediatamente sul gigantesco lampadario, al centro. Era grande e...fatto completamente di ossa umane.
Si fermò nel bel mezzo della sala, osservandolo a bocca aperta. "Ho trovato cosa farmi regalare per il compleanno". Aveva un sorriso a trentadue denti. "Quanto ci starebbe bene di fianco alla testa rimpicciolita?". Prese velocemente il proprio blocco degli appunti dalla tasca posteriore dei pantaloni e cominciò a scarabocchiare compulsivamente ciò che vedeva intorno a sè.
Leonardo, alle sue spalle, ridacchiò, mentre Zo scuoteva la testa, sconsolato: passare troppo tempo con Riario le stava facendo veramente male; che lei e Leonardo  fossero sempre stati attratti dalle cose macabre, era risaputo, ma da quando il Conte era arrivato a Firenze, era notevolmente peggiorata. Non si sarebbe stupito, se un bel giorno fosse arrivata alla bottega di Da Vinci vestita completamente di nero.
"Ehm...vi sono cadute delle monete", disse il moro, osservando il pavimento.
"Ovviamente avete notato il denaro: i sultani d'oro è la valuta in uso nel selvaggio regno d'Oriente. Vedete, è il modo in cui permetto ai miei soldati di provarmi la loro lealtà: lascio queste monete buttate per terra davanti a loro. Ebbene, non vengono mai neppure sfiorate"
'Ovviamente', pensarono in simultanea i tre fiorentini -Elettra era troppo impegnata a scarabocchiare sul proprio blocco degli appunti, per stare ad ascoltarli-. Se qualcuno avesse anche solo tentato di fare qualche torto a Vlad, non era difficile immaginarsi la sorte; non a caso il suo soprannome era 'l'Impalatore'.
"Davvero? Sono buttate in modo casuale, come fate a notare se ne manca una?", chiese Zo. 
"A me non sfugge niente", sussurrò Vlad, in modo alquanto inquietante. "Ma prego", disse, facendo segno ai suoi ospiti di accomodarsi ai loro posti. "Ora, del gradevole vino toscano per farvi sentire a casa". Era tornato nuovamente sereno; era incredibile, come cambiasse umore da un momento con l'altro
"Grazie", fece Leonardo, accomodandosi. Dovette rialzarsi quasi immediatamente, per recuperare Elettra, ancora ferma nel bel mezzo della sala, intenta a disegnare. Senza ascoltare le proteste della ragazza, le requisì il blocco degli appunti e la costrinse a sedersi al tavolo, di fianco a Vlad. 
"Sono davvero impressionato dalla vostra ospitalità dato che siete riuscito a tornare in libertà da poco", disse Leo, cambiando discorso ed evitando di guardare Elettra, seduta di fronte a lui con la faccia imbronciata.
"Mi sento a casa nelle segrete", rispose Vlad, prendendo in mano il proprio calice di vino. "Da piccolo mio padre inviò me e mio fratello come ostaggi allo spietato sultano turco: la prigionia convertì il mio debole fratello alla causa dei turchi, ma non cambiò me. Ho imparato a non fidarmi di nessuno e a sopportare ogni dolore: i cani, le segrete, anche una saetta dal cielo che mi ha lasciato questo intreccio di cicatrici" 
'Ecco cosa sono', pensò Elettra. Anche quelle linee rosse sulla faccia, insieme ai grandi occhi di quel colore innaturale che si guardavano in giro, troppo vispi, apparivano inquietanti.
"E adesso passo ogni ora insonne contrastando mio fratello e tutti quegli squallidi turchi". Il suo umore era nuovamente cambiato: ora, in quelle parole dette a voce troppo alta -e troppo vicine all'orecchio del povero Leonardo-, c'era solo rabbia.
"Ebbene, le vostre vittorie contro di loro hanno provocato persino l'interessamento del Papa", azzardò Da Vinci.
Elettra guardò Vlad, sorridendogli in modo molto convincente. Lei e l'artista erano degli ottimi bugiardi. Ma questa, era davvero grossa. Alzarono i propri bicchieri. "Alla salute"
"Se stiamo per brindare, alziamo il bicchiere per colui che mi ha aiutato ad uscire dalle segrete: brindiamo al portatore di luce", disse Vlad. Ora era tornato ad essere tranquillo e pacato.
"Chi, mio signore?", chiese Leonardo, accondiscendente.
"Licufero, il portatore di luce. Il più bello di tutti gli angeli". Ok, anche questo era inquietante, almeno per Nico e Zoroastro. Leonardo invece apparì impassibile ed Elettra dovette mettersi una mano davanti alla bocca, per non scoppiare a ridere. Quando l'avrebbe raccontata a Girolamo... Si pregustava già le risate, alla vista della sua faccia sconvolta.
"E in che modo vi avrebbe aiutato?". Leonardo era curioso di scoprire fino a che punto arrivasse la pazzia di Vlad.
"Proprio come me, Lucifero ha resistito al suo tiranno, come me è stato abbandonato dal Dio che lui amava", spiegò l'Impalatore. "Ho fatto un patto con Lucifero per riavere la libertà e tornare sul mio trono una volta per tutte. E sapete? Non è affatto difficile vivere senza la propria anima.". Alzò il proprio bicchiere e se lo portò alle labbra. "A Lucifero"
Anche gli altri quattro, seppur decisamente meno convinti, fecero lo stesso.

Dopo la prima portata, Leonardo ed Elettra si alzarono, dirigendosi verso uno dei numerosi bracieri della sala; presero dalla bisacca di Leo alcune boccette e ampolle, contenenti alcune polveri colorate e, stando molto attenti, cominciarono a buttarne un po' nel fuoco che, a contatto con esse, creava una piccola esplosione.
Il sodio rilasciava un'intenso colore giallo, il rame dava l'azzurro, il litio il rosa e lo stronzio un bellissimo rosso scarlatto.
"Il vostro segreto, signori?", chiese Vlad, curioso.
"Bisogna solo sapere quali elementi mischiare: un po' di magnesio, limatura di ferro, e così via", rispose Leonardo.
"E non esagerare troppo con le dosi", aggiunse Elettra, massaggiandosi il braccio sinistro; quella volta, a Palazzo della Signoria, aggiungendo troppa polvere da sparo aveva quasi fatto saltare un'intera ala. E si era ustionata il braccio.
"Lo trovo ingegnoso", commentò il signore della Valacchia. "Hanno per caso degli impieghi militari?"
"Non ancora", disse Leo, lasciando intendere che probabilmente lo avrebbe avuto in un prossimo ed immediato futuro.
"Dovremmo approfondire la faccenda: da quando ho rinunciato al vostro Dio cristiano solo il mio ingegno e la mia ferocia mi proteggono dalle forze del sultano Maometto II. Può darsi che l'ingegno che offrite alla corte di Lorenzo possa aiutare anche la mia causa"
L'artista gli fece un cenno all'apparenza affermativo; in realtà mai e poi mai, avrebbe permesso a qualcun'altro di usare le sue armi: esse erano state costruite solamente per la protezione di Firenze. 
"Ora, dato che avete condiviso con noi il vostro piccolo spettacolo, risponderò con uno dei miei piccoli...svaghi, chiamiamoli così", disse Vlad, alzandosi. "Sapete, non avendo un'anima che mi opprime riesco a vedere nell'oscurità: nessuno può uccidermi. Mi diverto con certi intrattenimenti che mi avrebbero fatto impallidire qualche anno fa", sussurrò, avvicinandosi a Leonardo ed Elettra. Fece segni a due delle sue guardie, per andare a prendere il 'piccolo svago'. "Costui è l'ultimo uomo al seguito di un'ambasciatore turco che è stato così sciocco da avvicinarsi a me"
Elettra osservò prima il prigioniero, poi Leonardo. Bastò solo uno sguardo, per capire che quello non era l'abissino. Che fosse già morto? O l'Impalatore mentiva, o il Turco per una volta aveva sbagliato...
"Io non perdo mai l'occasione per rammentare ai turchi la straordinaria infanzia che ho passato con loro", sussurrò, con quel suo solito tono di voce inquietante e gli occhi fissi, che sembravano trapassare chiunque li incontrasse.
"E' l'uomo per cui siamo qui?", chiese a bassa voce Nico. Almeno, l'intenzione era quella. 
Elettra, di fianco a lui, con nonchalance, gli tirò un calcio sullo stinco. Stava rischiando di mandare tutto all'aria. Probabilmente, Vlad aveva già captato l'odore di bruciato...
Leonardo, gli fece cenno di no.
"Ora slegatelo", ordinò il signore della Valacchia ai suoi soldati. "Date prova di essere più forte dei vostri amici: sconfiggete i cani e sarete libero", disse al prigioniero, che lo guardava con il terrore negli occhi.
A Elettra fece molta pena: chissà cosa aveva visto e cosa aveva subito, quel poveretto. Osservò i due cani, trattenuti a stento dalle guardie. 'Limier in confronto è un angioletto', pensò. Sapeva cosa sarebbe successo dopo: non era mai stata una persona che si impressionava facilmente, spesso le dicevano che aveva parecchio sangue freddo ma, per la prima volta, sentiva che sarebbe stato meglio distogliere lo sguardo e cercare di non udire nè sentire niente. Ma non poteva. Lei e Leonardo dovevano ingraziarsi Vlad. E sapeva benissimo quali mosse erano giuste e quali no. Per salvare l'Abissino era necessario usare il sangue freddo, non la compassione.
"E non pensate che io sia così disumano da non darvi la possibilità di combattere...un coltello da burro per voi", continuò l'Impaltore, sarcastico.
Leonardo fece segno ad Elettra di distogliere lo sguardo, ma lei gli fece capire che poteva farcela.
Il prigioniero prese da terra il coltello, senza alcuna foga o emozione: ormai si era completamente arreso alla propria fine.
Elettra guardò le due guardie mentre lasciavano la presa prima su un cane e poi sull'altro. Li vide saltare addosso all'uomo, puntando dritti alla giugulare.
Osservò uno dei cani leccare via il sangue che ancora colava dalla gola completamente squarciata. Lo sguardo scioccato inchiodato a quella scena raccapricciante. 
"Questa...questa è giustizia", sussurrò Vlad. "Bene, potete portare il piatto principale"
E chi aveva ancora voglia di mangiare, dopo quello che avevano visto?
"Ho nausea", disse Zoroastro mentre Nico, invece, si era chinato di fianco al tavolo, vomitando quel poco che aveva mangiato a cena.
"I miei gusti non sono universalmente condivisi", disse con una nota di rammarico Vlad, alzandosi da tavola. "Mi accomiato da voi"
"Prima di andare... voi ci avete onorato con il vino tradizionale della nostra patria, ora vorremmo onorare voi con un liquore tradizionale della Valacchia". Come faceva Leonardo a restare impassibile di fronte a quella scena?
"Oh...avete portato della zuica"
"Sapete, il nostro Lorenzo de Medici non bada a spese per dimostrare la sua ammirazione per voi, mio signore. ", disse Leo, versandone un po' nei bicchiere di Nico e Zo. Quando fu il momento di Elettra, la osservò con preoccupazione: lei aveva lo sguardo fisso sulla scia di sangue lasciata sul pavimento, quando il corpo senza vita del prigioniero era stato trascinato via. "Elettra", la chiamò dolcemente.
La rassicurante presenza della mano di Leonardo sulla propria spalla, la fece riprendere subito. Osservò il liquore che stava per versare nel bicchiere. "No, no. Grazie Leo". Già quel non-sapeva-cosa-c'era-nel-piatto-e-non-voleva-neanche-saperlo che aveva mangiato minacciava pericolosamente di tornare sù, se poi avesse pure dovuto bere la zuica alterata...
"A Vlad III ", disse Leonardo, alzando in aria il proprio calice. Vide Zoroastro non muovere un muscolo, con la faccia truce. "Quando mai tu hai esitato a bere, amico mio? A Vlad III", intimò al moro: perchè il piano funzionasse, doveva stare al gioco anche lui.
"A Vlad III". Zoroastro prese il proprio bicchiere, bevendolo tutto d'un sorso.
"Molto buono" commentò Vlad. Ad Elettra parve di vedere qualcosa di strano, passare nello sguardo di quell'inquietante uomo. Fu solo un attimo, ma sembrò come se avesse capito che i suoi ospiti erano lì per motivi tutt'altro che pacifici.
"Un po' anche per le domestiche e i vostri uomini?"
"Si, bene". Ancora, le sembrò ancora così: una volta poteva essere un caso, ma due...
"Ecco a voi...e a voi...e un po' anche a voi", disse Leonardo, mentre somministrava il sonnifero -la zuica alterata- a tutte le persone presenti nella sala.
"Mostrate le stanze ai nostri amici". Vlad si alzò dal tavolo, dirigendosi verso la porta.
"Un po' per voi"
"Appena le mie guardie avranno brindato agli ospiti", aggiunse, osservando Leonardo. "L'artista e io resteremo a parlare un po'"
"Vi dispiace se curioso un po' in giro? Sapete, l'architettura di questo castello è magnifica e desidererei poterla studiare meglio", chiese umilmente Elettra, propinando al signore della Valacchia uno dei suo sguardi da cerbiatto spaurito più innocenti che avesse mai fatto, unito ad un largo sorriso. 
"Certamente, signorina. Avete il mio permesso"
"Grazie mille". La ragazza fece un ampio inchino, prima di uscire. 
Mentre oltrepassava la soglia, sul suo viso comparve un sorriso beffardo: era vero, era lì per curiosare, ma non solo l'architettura. Avrebbe scoperto dove era intrappolato l'abissino, in modo da poter risparmiare tempo, una volta che la zuica avesse fatto effetto.

***

Elettra stava per entrare nella camera da letto che Vlad aveva riservato a Nico, Zo e Leo. 
Chiamarla camera da letto, però, era una parola grande: le segrete del Bargello in quel momento apparivano più ospitali. Fortunatamente, anche se non le sarebbe di sicuro servita, a lei era stata destinata una vera e propria camera, con tanto di letto a baldacchino. Lugubre, ma almeno non appariva come una cella, con tanto di tetre croci di legno impiantate nel pavimento di terra battuta. Per qualche strano motivo, immaginò che anche la Rocca di Ravaldino, a Forlì, non fosse molto diversa: certo, magari Girolamo non era così crudele, ma lo stile era comunque quello...
Appoggiò la mano sulla maniglia e, stava quasi per abbassarla, quando questa si aprì di colpo. Elettra riuscì a spostarsi appena in tempo, prima che le finisse in faccia.
Zoroastro comparve sulla soglia. 
"Stavi per darmi la porta in faccia", disse la ragazza, apparentemente seccata.
"Problemi tuoi". L'antidoto contro il sonnifero stava facendo effetto ma, tutti e tre, apparivano ancora un po' storditi e infermi sulle gambe.
"So dove si trova l'abissino", disse lei, appena vide Leo. Aveva un sorriso a trentadue denti ed era fiera di sè stessa.
"Anche io"
Elettra sbuffò: perchè non poteva semplicemente affidarsi a lei, per una buona volta?
"Come sai dove si trova?"
"Una semplice valutazione architettonica. Diciamo che l'abissino stesso me lo ha indicato, in un certo senso". A Leonardo venne in mente la mano mozzata che Vlad gli aveva mostrato. E provò ancora un certo ribrezzo.
"Dovremmo capire quello che hai detto?"
"No, sinceramente no"
"Sapete, credo di aver capito che carne era, quella nello stufato". La ragazza aveva visto la faccia sofferente di Leo e voleva cambiare al più presto discorso.
"Cos'era?", chiese Nico, curioso. In effetti quella carne aveva un sapore strano...
"Non chieder..."
"Non credo che tutti i prigionieri dell'Impalatore vengano impalati..."
Zoroastro sospirò, cercando con tutti i modi di ricacciare giù lo stufato. Anche Nico ci provò, ma senza risultato: rivomitò nuovamente in un angolo del corridoio.
"Fortuna che io sono vegetariana...", commentò Elettra.

***
 
"E' qui", disse Leonardo, osservando una pesante porta di legno. Secondo i suoi calcoli, doveva essere quella la camera da letto di Vlad, dove era rinchiuso l'Abissino.
"Ne siete proprio sicuro?", chiese Nico.
"No"
Si girò verso Elettra, leggermente in disparte. E ancora offesa con Leonardo per non averla lasciata fare da guida.
Annuì all'artista, confermando la sua ipotesi.

L'interno era scuro, con arredamenti, stoffe ed arazzi solo di tonalità scure. Camminarono tutti con passo silenzioso, attenti a non fare il minimo rumore, nonostante nessuno potesse sentirli.
Elettra si guardò in giro, stringendosi forte le braccia sotto al seno, improvvisamente infreddolita nonostante la legna che scoppiettava nel camino.
Passò velocemente di fianco al letto di Vlad, facendo appena caso all'uomo, addormentato e completamente nascosto sotto alle coperte.
C'era una strana sfera cava, esattamente nel mezzo della stanza, con qualcosa di longilineo, nel centro, incastrato tra diverse sbarre di ferro, dall'aria per nulla amichevole.
Si portò entrambe le mani davanti alla bocca, cercando con tutte le sue forze di non urlare, quando capì che quello nel centro era un uomo, senz'altro l'Abissino.
Si avvicinò con circospezione, seguita a ruota da Leonardo. Guardò il prigioniero che, sentendosi osservato, alzò a fatica la testa, osservandola dritta negli occhi. 
"Cosa c'è scritto?", chiese Nico, che nel frattempo si era avvicinato a lei. C'era una scritta in caratteri greci.
"Non portatemi via", sussurrò appena. Era talmente scioccata, da ciò che aveva davanti agli occhi, da non rendersi neanche conto di Zo che, coltello alla mano, aveva appena pugnalato l'uomo nel letto.
Lentamente, cominciò a girare intorno alla gabbia dove era rinchiuso l'Abissino, cercando di capire come tirarlo fuori, senza ucciderlo.
Leonardo, dopo aver mandato Nico a prendere i cavalli, si unì a lei.
Lentamente sbarra dopo sbarra, Da Vinci e Zoroastro, coordinati da Elettra, riuscirono a toglierle tutte.
"E' finita", disse Leo all'Abissino, mentre lo aiutava ad uscire e a stendersi a terra.
"No, non lo è", sussurrò l'altro a fatica. "Non era lui", disse, indicando con lo sguardo il grande letto dove avrebbe dovuto trovarsi il corpo senza vita del Signore della Valacchia.
Elettra, che nel frattempo si era inginocchiata al fianco dell'Abissino, per valutarne le ferite, si alzò di scatto, dirigendosi verso il letto. Alzò le coperte, scoprendo così il corpo di una delle guardie. "Non è Vlad", disse, con una nota di timore.
"No..." sussurrò Leonardo, guardandosi in giro, improvvisamente intimorito. Il suo sguardo alla fine si bloccò, fisso su una delle travi portanti del tetto.  "Oh merda", riuscì a dire, un attimo prima che Vlad saltasse giù, afferrandolo per il collo. Senza il minimo sforzo apparente, il signore della Valacchia lo scaraventò dall'altra parte della stanza, vicino alla porta. Dopodichè scomparvero entrambi, oltre la soglia. Si sentì il rumore del corpo di Leonardo, che rotolava per le scale. Seguito dai suoi lamenti.
"Sei un piccolo pazzo arrogante. Sono sopravvissuto ad ogni veleno conosciuto dall'uomo, ho battuto il grande impero ottomano; credi davvero che mi farei sconfiggere da un insignificante fiorentino?", lo sentirono inveire contro il povero artista.
Elettra si guardò in giro, in cerca di un modo per aiutare Leonardo. Sul suo volto comparve un largo sorriso, quando vide il crocefisso -fatto di ossa umane, tanto per cambiare- appoggiato ad una parete. "Sai Zo, credo di aver finalmente trovato un'utilità per un crocefisso"

Leonardo sentiva le mani di Vlad stringersi sempre di più intorno al proprio collo, l'aria nei suoi polmoni cominciava a scarseggiare e la vista annebbiarsi. Improvvisamente, sentì le mani di Dracula lasciare la presa, seguito da un lamento di quest'ultimo. Prese una grande boccata d'aria e mise a fuoco la scena: Zo, poco distante da lui, reggeva tra le mani un pesante crocefisso ed osservava Vlad che, lentamente, si girò, colpendolo con un potente gancio destro e facendolo finire a terra privo di sensi.
Elettra girò l'angolo appena in tempo per vedere Leonardo prendere un po' di polvere da sparo dalla bisaccia e lanciarla verso un braciere, situato proprio vicino a Vlad, che venne scaraventato via dall'esplosione, colpito in pieno da un muro di fiamme.
"Va bene, per un'applicazione militare", commentò l'artista.
Leonardo corse in fretta verso il moro, a terra e ancora privo di sensi. "Zoroastro alzati", disse, dandogli qualche schiaffetto per riprendersi.
Elettra nel frattempo, si guardava in giro, circospetta. Stringeva nervosamente il proprio arco, che aveva estratto dalla faretra appena Vlad aveva fatto la sua comparsa ma che non aveva usato, per paura di ferire Leonardo.
Mentre l'artista accudiva Zoroastro, lei tornò nella camera dell'Impalatore, per controllare le condizioni dell'Abissino.
Aveva appena girato l'angolo, quando sentì nuovamente quella voce. Si bloccò nel bel mezzo del corridoio, chiedendosi come fosse possibile che Vlad fosse ancora vivo.
"La vita...la vita è una trappola, non credi? Ebbene io sto per liberarti", lo sentì dire a Leonardo, che veniva tenuto fermo davanti ad una vetrata dall'aria troppo fragile.
Non ci pensò due volte: prese dalla faretra una freccia, la incoccò, prese la mira e puntò verso la schiena dell'Impalatore.
Vide le spalle dell'uomo irrigidirsi, mentre il dardo affondava nella carne. Lasciò andare Leonardo, girandosi nella sua direzione. "Curioso", commentò, osservando la punta della freccia che fuoriusciva dal proprio petto. 
Elettra lo osservò atterrita. E ora, cosa avrebbe fatto?
Fortunatamente, era riuscita a distrarlo abbastanza a lungo da permettere a Da Vinci di afferrare una torcia dalla parete. Gliela puntò contro, mettendosi tra la ragazza e l'Impalatore. 
"Non si può uccidere un uomo che non ha più l'anima", disse quest'ultimo, prima che Leonardo, utilizzando la torcia, lo spingesse giù dalla finestra.
Elettra, con il cuore che le batteva a mille per l'adrenalina, si mosse di scatto contro Leo, abbracciandolo. Osservarono entrambi per alcuni lunghi secondi il corpo di Vlad, che giaceva apparentemente senza vita una ventina di metri sotto di loro.
"Dobbiamo andare", disse l'Abissino, facendo la sua comparsa da in fondo al corridoio.
Anche Zoroastro si rialzò in piedi, ancora parecchio intontito.

"Tra poco le guardie e i cani si sveglieranno: dobbiamo sbrigarci", disse Leonardo, mentre, a passo spedito, si dirigevano verso il cortile, dove un Nico alquanto impaziente e spaventato gli aspettava, stringendo nervosamente le briglie dei loro cavalli.
"Al diavolo questo posto", commentò Zoroastro, chinandosi per prendere una di quelle maledette monete da terra. "Voglio sputare sul corpo di Vlad"
"Già, se sapessimo dov'è", ribattè Leo, sarcastico.
Zo si guardò in giro. "Dov'è finito?"
Sul viso della ragazza comparve un'espressione ironica "Qui ci è scappato il vampiro"

***

Elettra sentì il respiro caldo di qualcuno, sulle proprie labbra. Sorrise, aprendo lentamente gli occhi: il viso di Girolamo era a pochi centimetri dal suo.
"Buongiorno", gli disse, soffocando uno sbadiglio nel cuscino. Tentò di stiracchiarsi, ma il corpo del Conte, sopra al suo, glielo impedì.
Si guardò in giro, aspettandosi di vedere la stanza completamente immersa nella luce del mattino, invece l'unica luce presente, proveniva dalla debole fiamma di una candela, vicino al comodino.
Girolamo la guardò con quella che poteva dirsi un'espressione divertita. "Stavi sognando", le disse. "E parlavi anche molto"
Elettra per un attimo pensò a Leonardo, Nico e Zoroastro, ancora in viaggio verso la Valacchia: aveva sognato cosa sarebbe potuto succedere, se fosse andata anche lei con loro.Si augurò che tornassero il prima possibile.
"Parlavi di Vlad l'Impalatore, di un certo Abissino e di un lampadario da mettere di fianco a quella macabra testa rimpicciolita", le sussurrò.
"E' stato un sogno molto movimentato", commentò lei, mordendosi il labbro. 
"E ad un certo punto hai detto che avevi finalmente trovato un'utilità per un crocefisso". Le si avvicinò ancora di più, arrivando a sfiorarle le labbra. "Mi piacerebbe sapere qual'è"
Elettra approfittò della sua distrazione, per ribaltare le posizioni: si sedette a cavalcioni sopra di lui e si chinò sul suo viso. 
"Per prendere a calci in culo i vampiri, ovviamente"

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Capitolo 4
*** Gite in barca... ***


Nda
Salve a tutti! Sì, sono ancora viva. Lo so, cominciavate già a pensare male... Mi dispiace molto per voi ma è piuttosto complicato sbarazzarsi di me.
Bene, direi che dopo questo possiamo passare alla storia:  è stata scritta per un'occasione speciale e spero tanto vi piaccia. Buona lettura e spero di sentire presto i vostri pareri :D


Gite in barca...

Nonostante fosse ormai un po’ che Costanza vivesse a Firenze, le appariva ancora strano poterne girare le strade da sola, senza nessuna dama al seguito o senza guardie del corpo. Solo lei e, alle volte, Limier. In Francia, invece, nessuna dama che si rispettasse osava uscire di casa senza accompagnatori. 
Non si era ancora completamente abituata a quel piccolo universo che era Firenze, così differente dal resto d’Europa. 
Mentre ne attraversava le strade fangose ed affollate, con il suo fedele mastino sempre al fianco, ripensava proprio a quello: a quanto la sua vita fosse cambiata.  
La sua meta, per quella mattina, era la bottega del Verrocchio, dove si aspettava di trovare Leonardo, Nico e, magari, anche Zoroastro. Un sorrisetto da ebete fece la sua comparsa sul volto della ragazza, al pensiero del moro.
Chissà, magari ci sarebbe stata anche Elettra; non la vedeva dalla sera prima quando, mentre si trovavano al Cane Abbaiante, l’aveva vista sgattaiolare via insieme e Leonardo e Nico.
Quei tre stavano senz’altro combinandone una delle loro; ormai erano diverse settimane che scomparivano letteralmente nel nulla. Stava cominciando a preoccuparsi: sapeva bene che quando Elettra e Leonardo ne pensavano una delle loro, le conseguenze non erano mai piacevoli; a lei, personalmente, non le era ancora capitato di vederli mettersi seriamente nei guai, ma i racconti di Zoroastro, in merito alle loro precedenti avventure, le erano bastati per incuterle un certo timore.
Elettra era talmente presa dal quel folle progetto che si era persino dimenticata dell’esistenza del Conte Riario... 
Costanza dovette coprirsi la bocca con una mano, per non scoppiare a ridere nel bel mezzo della strada, con il rischio che qualcuno la prendesse per matta; l’episodio che le era venuto in mente era successo qualche notte prima quando, visto che Elettra non sarebbe rientrata, aveva deciso di dormire nella sua camera da letto. Ironia della sorte, l’ignaro Conte Riario aveva deciso di fare una visita a sorpresa alla bionda, quella notte, ma...era stato piuttosto imbarazzante, per entrambi. Il viso di Costanza che, sembrerebbe impossibile a dirsi, superava in rossore le vesti del Magnifico e il Conte che non la smetteva di scusarsi con lei per averla scambiata per Elettra. Le aveva fatto un po’ strano, sentire delle scuse uscire dalla bocca del Conte Riario, ma in fondo erano più che giustificate. Il Conte le aveva gentilmente chiesto se volesse qualcosa da bere e, alla fine, avevano passato il resto della notte a conversare nel salotto sorseggiando, Costanza, dell’idromele e Riario del liquore. La ragazza si era resa conto –con un certo imbarazzo- che lui conosceva decisamente meglio di lei quella casa, visto la facilità con cui aveva reperito il tutto. Strano, eppure, mentre parlavano, non le era assolutamente sembrato la cinica e sadica persona che le avevano descritto; le era sembrato educato e molto interessato a campi come la letteratura e l’arte. In certo senso, Costanza si era stupita di aver trovato la loro conversazione piuttosto piacevole. Ovviamente avevano entrambi concordato sul fatto di tenere la bocca ben chiusa con Elettra: Costanza sarebbe stata troppo in imbarazzo, a raccontare all’amica di quell’enorme equivoco –anche se la bionda ci avrebbe senz’altro riso sopra-, e Riario sapeva che lei glielo avrebbe rinfacciato per tutta la vita.
Costanza se li immaginava già: a settant’anni, seduti su delle sedie di vimini, sulla veranda della casa di Elettra, a guardare i propri nipotini giocare allegramente nel giardino e chiacchierare delle avventure passate e, tra una battuta e l’altra, la bionda sarebbe senz’altro uscita con una frase  del tipo: “Girolamo, rammenti quella volta in cui a letto hai scambiato Costanza per me?”.
Ovviamente poi ci avrebbe messo il becco Leonardo e la questione sarebbe andata avanti all’infinito. Per evitare spiacevoli inconvenienti, era meglio per tutti che nessuno ne sapesse niente.

La bottega del Verrocchio era proprio davanti a lei, appena oltre il portone, che restava sempre aperto a tutti.
La ragazza si riscosse dai propri pensieri, quando varcò la soglia.
“Salve, Maestro Andrea”, salutò il Verrocchio, girato di spalle e intento a tenere d’occhio alcuni dei suoi giovani allievi.
“Ciao, Costanza”, rispose, girandosi verso di lei e ricambiando il saluto con un largo sorriso. Elettra le diceva spesso che per lei e Leonardo il Verrocchio era più come un padre che un insegnante e, mai come in quel momento, la ragazza si rese conto che l’amica aveva proprio ragione.
“Avete per caso visto Leonardo ed Elettra?”
L’anziano maestro la guardò con un’espressione contrariata. “Si sono barricati nello studio e non hanno nessuna intenzione di uscire”. Sospirò, al pensiero di quello che i suoi pupilli stavano facendo. Non era di sicuro niente di positivo.
“Sapete a cosa stanno lavorando?”
Andrea scosse la testa, facendo segno con la mano che era meglio non immischiarsi in certe faccende.
Costanza non potè fare a meno di piegare le labbra in un’espressione divertita.
Nel mentre che parlavano del più e del meno, Limier, rimasto fino a quel momento sulla soglia ad  annusare sospettoso l’aria, fece il suo ingresso, camminando minacciosamente tra i numerosi artisti e modelli.
Quando passò di fianco al Verrocchio, quest’ultimo si immobilizzò all’istante, cercando di evitare anche di respirare.
Alla fine l’imponente mastino si diresse verso il fondo dell’ampio spiazzo dove, quasi a ridosso del piccolo chiostro, vi era Sandro Botticelli, intento a ritrarre Vanessa e altre due modelle in abiti che richiamavano la Grecia classica. Si sedette proprio di fianco all’artista, ringhiandoli sommessamente in un orecchio. Il poveretto, per la paura, appoggiò lentamente gli strumenti che aveva in mano sul proprio cavalletto, alzando successivamente le mani in segno di resa. 
Costanza si mise una mano davanti alla bocca, per evitare con tutte le sue forze di ridere, cosa che invece non riuscì a Vanessa che, tra una risata e l’altra, si sbracciò per salutare la ragazza.
Andrea stava per farle notare che forse era il caso di richiamare il cane, quando, dall’interno dello studio di Leonardo, si udirono provenire delle urla.
Guardarono tutti in quella direzione, allarmati.

Costanza e Andrea fecero irruzione nel laboratorio di Leonardo, preoccupati a causa delle urla che avevano precedentemente sentito.
“Che sta succedendo qui?”, chiese il Verrocchio, pallido in volto.
Elettra, seduta comodamente a gambe incrociate su di un bancone, sbadigliò pigramente, coprendosi la bocca con una mano. Osservò i due con aria incuriosita. “Cosa dovrebbe essere successo?”, ribattè innocentemente, sfoderando uno dei suoi migliori sguardi da cerbiatto.
Ovviamente, le risate sommesse di Leonardo, provenienti dal retro bottega, facevano intuire tutt’altro.
Andrea studiò la ragazza con una delle sue espressioni più serie.
La bionda alzò le mani in segno di resa. “Per quanto valga, per ora non abbiamo fatto esplodere niente”. Aveva appena finito di parlare, che dal retro bottega provennero altre urla.
“Ma questo è Zo!”, disse Costanza, sempre più allarmata. Guardò Elettra negli occhi, sperando in una spiegazione; invece lei con una calma che alla ragazza appariva così fuori luogo, scese dal bancone, sorridendole. “Perchè non andiamo tutti di là?”, propose alla fine.

Costanza arrivò nel retro bottega con il cuore in gola: non aveva la minima idea di quello che avrebbe trovato ma,  dalle urla che aveva sentito, temeva il peggio.
Di certo non si sarebbe mai immaginata la scena che invece le si parò davanti agli occhi: Zo con le lacrime agli occhi che osservava rapito un voluminoso oggetto di legno di forma tondeggiante.
Sbattè più volte le palpebre, credendo che a propria vista la stesse ingannando. 
Elettra, alle sue spalle, tossicchiò leggermente per attirare l’attenzione del moro e di Leonardo e Nico, che in quel momento lo stavano osservando con il sorriso sulle labbra.
Zoroastro, con la faccia stralunata ed un’espressione raggiante, che Costanza non gli aveva mai visto, si voltò verso di lei, sorridendole. In un attimo, le fu vicino, abbracciandola in un gesto d’impeto. La strinse talmente forte a sè che la poveretta faticava pure a respirare.
Lei, colta alla sprovvista, sul subito si irrigidì; quando finalmente si rese conto del tutto, ricambiò timidamente quel gesto d’affetto. Le sue guance, nel frattempo, erano diventate del colore delle vesti di Lorenzo il Magnifico.
“Costanza, devo farti vedere una cosa!”, disse con un’espressione che metteva quasi più brividi di quella che solitamente assumevano Elettra e Leonardo in piena ispirazione. La prese per mano, strattonandola verso l’oggetto ignoto. “Allora, che te ne pare?”
La ragazza non sapeva davvero cosa rispondergli. “Ehm...carina”. Costanza non era mai stata brava a mentire. Per quanto facesse del suo meglio e si impegnasse.
“E’ una barca!”, le urlò Zo euforico, in un orecchio. “La mia 
barca!”, mentre lo diceva, quasi non ci credeva neanche lui. Da quanto tempo gliene chiedeva una a Leonardo? Troppo.
Costanza la osservò, parecchio dubbiosa; era pur sempre vero che lei non si intendeva di barche, però quella le sembrava decisamente troppo piccola.
“Beh... Direi che abbiamo fatto un buon lavoro sul guscio di noce”, commentò Elettra, avvicinandosi a loro e passando una mano sul fondo della barchetta. “Però manca qualcosa...”
Senza alcun preavviso, si voltò e si diresse verso l’uscita della bottega. 
Sentirono i suoi passi prima sul pavimento di pietra dello studio di Leonardo e, poi, sul pavè del chiostro.
“Sandro, noto che ti sei fatto un nuovo amico!”, la sentirono infierire sul povero Botticelli, ancora ‘prigioniero’ di Limier. “E io che credevo che odiassi tutto ciò che respirasse”
Anche dal retro bottega di Leonardo, il piccolo gruppo intuì che il malcapitato artista aveva alzato gli occhi al cielo dall’esasperazione; era noto a tutti che, sia la bionda, sia Da Vinci non perdevano mai l’occasione per lanciargli qualche frecciatina.
La udirono mentre armeggiava con qualcosa e, dopo parecchi minuti, la videro di ritorno con una bottiglia di vino rosso e due lunghi remi. 
“E quella dove l’hai presa?”, chiese il Verrocchio, alla vista della bottiglia. Aveva un aria famigliare...
“Dal vostro studio, ovviamente”, fu la pronta risposta della giovane. “Armadietto in cima, terza anta a destra, nascosta dietro ai pigmenti azzurri”. Quante volte lei, Leonardo e Zoroastro si erano intrufolati nello studio del Maestro per bere di nascosto? Di certo le loro prime sbornie non se le erano prese all’osteria...
Il Verrocchio alzò gli occhi al cielo, sospirando.
Elettra porse i remi a Zoroastro, che li osservò attentamente, prima di riporli si fianco alla barchetta, con un sorriso a trentadue denti. 
“Dobbiamo assolutamente andare a provarla”, disse il moro.
“Io, Leonardo e Nico abbiamo un impegno oggi”, ribattè la bionda.
“Quale impegno? Noi non abb...”, il povero Nico non riuscì a terminare la frase, bloccato da una tutt’altro che piacevole gomitata nelle costole da parte della ragazza.
“C’è sempre Costanza, puoi andare con lei a testare la tua nuova barca”, si affrettò a dire Elettra, sviando così l’attenzione dal giovane, piegato in due dal dolore.
“Io...non credo che sia il caso”, tentò di ribattere la diretta interessata.
“Dai, Costance, ci divertiremo”, provò a convincerla Zoroastro, prendendo le sue mani tra le proprie. La guardò dritta negli occhi, supplicandola di accettare.
A Costanza l’idea non piaceva per niente: prima di tutto odiava l’acqua e non sapeva nuotare e, poi, quella barchetta era davvero troppo piccola per entrambi; avrebbero dovuto stare davvero stretti e l’idea del proprio corpo a stretto contatto con quello di Zo la faceva sentire irrequieta. 
Lo osservò in silenzio, cercando di vagliare in modo imparziale le diverse opzioni. Cercare, però, non significa affatto riuscirci: i profondi occhi scuri del moro, incollati ai suoi e le sue mani, strette intorno alle proprie, le rendevano il compito tutt’altro che facile. Senza volerlo fare veramente, annuì impercettibilmente con la testa.
Si pentì quasi immediatamente di quel gesto dettato puramente dall’istinto.
“Perfetto”, si lasciò sfuggire Zoroastro, con voce squillante. Le si avvicinò, dandole un bacio sulla guancia in segno di ringraziamento.
Inevitabilmente, il viso di Costanza assunse una colorazione vermiglia.
“Bene. Ora che siamo tutti felici, è arrivato il momento di fare il varo della barca”, disse Elettra.
“Non con la mia bottiglia,  voglio sperare”, provò a ribattere Andrea. Quel vino rosso era davvero sprecato.
“E’ l’unica disponibile”, fu la pronta risposta della giovane. Passò la bottiglia a Zoroastro. “Tu sei il capitano, tu fai il varo”
Il moro la prese tra le mani e l’avvicinò alla prua, prendendo le misure.
“Fermo! Fermo!”, dissi il Verrocchio, frapponendosi tra lui e la barca. “Non osare rompere quella bottiglia qua dentro, quello è un gesto da fare quando l’imbarcazione è in acqua”
“Però io, Nico ed Elettra non possiamo andare al laghetto per la cerimonia”, ribattè Leonardo.
Andrea sbuffò. “Almeno fatelo fuori di qui. L’odore di vino rosso a terra diventa insopportabile con i passare dei giorni e sinceramente mi bastano e avanzano i residui di sangue dell’ultimo cadavere che avete dissezionato!”
Elettra dovette coprirsi la bocca con una mano per non scoppiare a ridere in faccia al suo mentore; abbassò lo sguardo, notando immediatamente le macchie scure disseminate qua e là. In effetti, Leonardo avrebbe anche potuto dare una pulitina...
“Andiamo fuori”, concluse alla fine.

Leonardo e Zoroastro portarono fuori la barchetta di peso, adagiandola su alcuni cavalletti. Elettra nel frattempo legò il collo della bottiglia ad una corda, che a sua volta venne annodata alla ringhiera del balcone del primo piano.
Anche se il varo era di una barca a guscio di noce, era sempre meglio fare le cose in grande.
“Siamo pronti a procedere”, disse euforica, spingendo la bottiglia verso Zo.
Il moro, dopo aver preso per bene le misure, scagliò la bottiglia contro la piccola prua della barca. Il vetro verdastro si ruppe immediatamente, schizzando vino rosso ovunque.
Il piccolo gruppo, che aveva calcolato bene le distanza, non fu investito; ma lo stesso non si potè dire di Botticelli che, ancora ‘prigioniero’ di Limier, si lavò completamente. L’imponente mastino, invece, riuscì a scamparla, mettendosi in salvo in tempo.
Il povero Botticelli, sbuffò sconfortato: quella non era proprio la sua giornata.
“E ora correte a testare la barca”, disse Elettra, ammiccando in modo ambiguo a Costanza.
Quest’ultima osservò l’amica perplessa, non capendo a cosa si riferisse; appena afferrò il significato, le sue guance si colorarono ed assunse un’espressione contrariata. “Non ci pensare nemmeno”, ribattè. Per tutta risposta ottenne solo una risatina.
Se solo Costanza e Zoroastro avessero fatto caso allo strano sorriso comparso sulle labbra di Leonardo, probabilmente la giornata avrebbe preso una piega diversa...

***
 
Più tardi...

Zoroastro e Costanza arrivarono al laghetto su di un piccolo carro, sul quale era adagiata la barca. 
La ragazza, seduta sotto ad una salice, osservò attentamente il moro mentre metteva in acqua il guscio di noce. Gli aveva chiesto più volte se volesse una mano, ma lui aveva sempre risposto di no. La ragazza aveva un’aria pensierosa, che nascondeva tutta la sua preoccupazione sul trovarsi completamente sola con Zoroastro e il non saper nuotare.
Chiuse un attimo gli occhi, concentrandosi sul rumore cadenzato delle leggere onde che si infrangevano sulla riva. Respirò a pieni polmoni quell’odore inconfondibile di lago, cercando di rilassarsi un po’. Da quanto non metteva più piede su di una spiaggia? L’ultima volta che l’aveva fatto si trovava ancora in Francia e...Non era finita troppo bene: se non fosse stato per la sua guardia del corpo, probabilmente sarebbe affogata. 
Deglutì, improvvisamente spaventata nel constatare che Zoroastro aveva quasi finito di sistemare la piccola imbarcazione.
“Costance, vieni”, la chiamò.
“Ehm...ho deciso di restare a guardati da qui”, disse lei.
Zo si girò, osservandola dritta negli occhi. “Ma così ti perderai tutto il divertimento”, protestò. Le si avvicinò, tendendole una mano per aiutarla ad alzarsi.
“Preferisco restare qui”
“Non costringermi a metterti su quella barca di peso”, la minacciò. Sulle labbra del moro, però, comparve un sorrisetto ironico.
Costanza osservò la sua mano, ripensando all’ultima volta che qualcuno l’aveva presa di peso, sulle rive di un lago: non era finita molto bene per lei... Accettò di buon grado l’aiuto che le veniva offerto e si lasciò guidare da lui fino alla barca.
Appena mise un piede sulla piccola imbarcazione, questa cominciò ad ondeggiare pericolosamente e, se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Zoroastro, probabilmente sarebbe già caduta in acqua. Arrossì, appena si rese conto delle proprie mani, appoggiate sul petto dell’uomo e delle braccia di quest’ultimo, strette intorno alla propria vita. 
Alzò gli occhi, incrociando immediatamente i suoi, decisamente troppo vicini. Gli abbassò immediatamente, imbarazzata.
“Sarà meglio che ti sieda”, le consigliò Zo, sciogliendo quell’improvvisato abbraccio in modo alquanto impacciato: appariva anche lui imbarazzato.
“Già”, mormorò Costanza, sedendosi in punta.
Osservò Zoroastro sistemare i remi negli scalmieri e poi scendere dall’imbarcazione, per darle una leggera spinta che le permettesse di uscire dalla secca. “Tieniti forte, Costance”, le consigliò.
Quando fu certo che la barca non avrebbe più toccato il fondale, si decise a salire a bordo.
La barchetta oscillò pericolosamente, gravata improvvisamente anche del peso del moro. Costanza strinse forte le sponde ai lati, fino quasi a farsi sbiancare le nocche; dovette mordersi la lingua, per evitare di farsi scappare qualche imprecazione, gesto che considerava inappropriato e volgare. 
Zo si mise di fronte a lei, cominciando a remare verso il largo. 
Il guscio di noce era davvero stretto per due persone e le loro gambe non potevano fare a meno di toccarsi. Per non parlare di ogni volta che Zoroastro si protendeva in avanti con il corpo mentre remava... Costanza cominciava a credere che Elettra lo avesse fatto apposta.
“Direi che la barca si comporta proprio bene”, disse il moro, lasciando andare i remi e guardandosi attorno.
La ragazza annuì, guardando malinconica la riva, a circa una cinquantina di metri da loro.
“Ora dobbiamo solo decidere un nome”, continuò lui. Si fece pensieroso, mentre si metteva più comodo, facendo ondeggiare la piccola imbarcazione per l’ennesima volta. Vide Costanza davanti a sè arpionare nervosamente le sponde della barca.
“Va tutto bene”, provò a confortarla, appoggiando le mani sulle ginocchia e prendendo a massaggiarle lentamente.
“Zo, io...ehm... Devo dirti una cosa”, farfugliò lei.
“Dimmi pure”, ribattè lui, protendendosi ancora di più in avanti ed arrivando vicinissimo al suo viso.
“Io non so nuotare”. La sua voce era poco più che un flebile sussurro.
Zoroastro le sorrise in un modo che lei trovò molto confortante. “Non preoccuparti”, le disse, accarezzandole dolcemente una guancia, “Se mai dovessi finire in acqua, stai pur certa che non ti lascerò affogare”
Le si avvicinò ancora di più, ben intenzionato ad annullare del tutto quella breve distanza. Lo fece con cautela, lentamente, stando ben attento ai cambi di espressione di Costanza: se sole lei fosse indietreggiata o avesse dato segno di paura, lui sarebbe subito tornato sui propri passi.
La ragazza invece restò ferma, con il cuore che le batteva all’impazzata e il respiro diventato improvvisamente più affannato; lo osservò avvicinarsi e chiuse gli occhi solo quando le sue labbra si posarono sulle proprie.
I movimenti del moro erano cauti, volti a non spaventarla e, infatti, per la prima volta da quando si erano ritrovati soli quel giorno, Costanza parve rilassarsi.
Zoroastro si staccò a fatica da lei, dopo alcuni secondi. La guardò profondamente negli occhi, non potendo fare a meno di sorridere, raggiante.
La ragazza, invece, con il respiro corto e il battito accelerato, distolse immediatamente il proprio sguardo, imbarazzata da quello che era appena successo. Involontariamente, si mise ad osservare il fondo della barca, notando qualcosa di strano.
“Zo!”, urlò spaventata, nonostante lui fosse proprio davanti a lei. “C’è...c’è...stiamo imbarcando acqua!”
Anche lui guardò in basso: vi erano ormai due dita buone d’acqua sul fondo e gli sembrava che il livello aumentasse con il passare dei secondi. 
“Cazzo!”
Velocemente, si rimise al proprio posto e cominciò a remare con foga, nel vano tentativo di raggiungere la riva. 
Mancavano sì e no una decina di metri, quando le assi che componevano il fondo della barca si staccarono letteralmente; nessuno dei due aveva mai visto una cosa del genere ed entrambi dubitavano fortemente che si trattasse di un fatto naturale o di una semplice svista dei costruttori.
“Quando quei due mi capiteranno sotto mano...”, disse Zo. Ovviamente si riferiva ad Elettra e Leonardo.
Si guardarono intorno rendendosi conto che l’unica cosa che potessero fare era saltare in acqua.
Costanza guardò Zoroastro, terrorizzata.
“Andrà tutto bene”, provò a confortarla lui, prendendole una mano tra le sue. “Resta aggrappata a me e andrà tutto bene”
La ragazza annuì, cercando con tutta sè stessa di essere forte.
Si guardarono ultima volta negli occhi, prima di darsi slancio e tuffarsi nelle acque scure del lago.
Forse sarà stata per l’agitazione del momento o per l’impatto con l’acqua, ma Costanza lasciò involontariamente andare la mano di Zo. 
Provò a muovere braccia e gambe nel vano tentativo di risalire in superficie ma, più si agitava, più consuma aria e più scendeva verso il fondale.
Quando ormai pensava di non potercela più fare, vide una sagoma scura avvicinarsi a lei, arpionarle la vita e riportarla in superficie, verso la luce del sole.
Appena riemersa, Costanza prese alcune lunghe boccate d’aria, tossendo tra una e l’altra per tutta l’acqua che aveva bevuto.
“Si può sapere cosa ti è preso?!”, le chiese  Zo, brusco. Dal suo tono di voce traspariva tutta la sua angoscia.
La ragazza, che il moro teneva stretta fra le sue braccia, gli si avvicinò ancora di più, allacciandogli le braccia intorno al collo e poggiando la propria testa sulla sua spalla. I suoi occhi si riempiono di lacrime. “Ho...ho avuto tanta paura!”, disse tra un singhiozzo e l’altro.
Zoroastro sospirò: anche lui aveva avuto paura di perderla quando aveva sentito la sua mano lasciare la presa. Appoggiò le proprie labbra sul suo capo, cecando di scacciare via dalla mente l’immagine di lei che affondava lentamente, perdendosi nelle acque scure del lago.
“Sarà meglio tornare a riva”, propose dopo alcuni secondi di pesante silenzio. 
Con Costanza stretta a sè, cominciò a nuotare verso la sponda del lago. 
La ragazza si staccò solo quando sentì il fondale sotto ai propri piedi. Sempre tenendosi per mano camminarono fino a riva, stendendosi poi sulla macchia erbosa che cresceva sulla riva.
Zoroastro si mise su di un fianco, osservando il petto di Costanza alzarsi ed abbassarsi ad un ritmo ancora troppo veloce.
“La prossima barca me la costruisco da solo”, disse ironico, per allentare un po’ la tensione.
Costanza voltò il viso verso di lui, sforzandosi di sorridergli. “Credo che la prossima volta ti guarderò dalla riva”
“Oppure potrei prima insegnarti a nuotare”, propose lui, avvicinandosi a lei e arrivando ad un soffio dalle sue labbra.
“C’è chi ha già tentato l’impresa e non ci è riuscito”
“Ma io sarò più convincente”, le sussurrò ad un orecchio. “E sono anche più motivato”
Detto questo colmò completamente quella distanza, che era diventata troppa. 
Lentamente, si portò sopra di lei, appoggiando i gomiti a terra per non gravarle troppo addosso.
Le alzò delicatamente la casacca, cercando con le dita il contatto con la sua pelle.
Costanza all’inizio sbarrò gli occhi per la sorpresa e fu quasi tentata di spingerlo via, ma quando il bacio si fece più profondo, si rese conto che, per la prima volta da quando erano arrivati lì, si sentiva esattamente nel posto in cui doveva essere. Timidamente, cominciò ad aprire la camicia che Zo indossava.

*** 
 
  Nel frattempo, nella fitta boscaglia poco lontano... 

“Nico, cosa stanno facendo quei due?”, chiese Elettra curiosa, sporgendosi oltre la spalla dell’amico e cercando di alzare la testa per osservare oltre il cespuglio dietro il quale erano nascosti. 
Fu prontamente bloccata dalla mano di Leonardo sopra al proprio capo, che la tirò verso il basso, costringendola nuovamente a stendersi a pancia sotto.
Nico, che nel frattempo teneva d’occhio Zoroastro e Costanza con l’ausilio del cannocchiale inventato da Leonardo, strabuzzò gli occhi, diventando improvvisamente rosso.
“Ehm...”, farfugliò imbarazzato.
“Allora?”, lo incalzò la ragazza. Non ricevendo risposta, gli tolse l’invenzione di Da Vinci dalle mani, osservando lei stessa i due.
Un ampio sorriso fece la comparsa sulle sue labbra quando vide la camicia di Zoroastro cadere a terra. “Direi che il nostro compito qui è finito”, concluse.
“Cosa stanno facendo?”, chiese Leonardo, curioso.
“Leo, secondo te cosa stanno facendo?”, ribattè lei, sarcastica.
Lui le sorrise. “Passami il mio cannocchiale”, le disse.
“Leonardo Da Vinci, non fare il guardone”, lo rimproverò la ragazza, osservando attentamente le mosse della coppietta sulla riva.
“Allora smettila anche tu di osservarli”
Ci fu un silenzio di alcuni secondi. “Credo di aver trascurato parecchie...questioni in sospeso, in questo periodo”, fece lei.
Il geniale artista ridacchiò, pensando a quando Riario era diventato ‘una questione in sospeso’. “Immagino che la tua ‘questione in sospeso’ si senta molto sola”
“Esatt...”, disse lei, soprappensiero. Quando si rese conto di quello che aveva quasi detto, allontanò finalmente il cannocchiale, voltandosi per guardarlo negli occhi. “Sempre a pensar male, tu”
“Allora dimostrami che non è così”. Un sorrisetto ironico comparve sul volto dell’artista.
Lei lo scrutò attentamente. “Non sono affari tuoi”, ribattè con un tono che significava che la questione si chiudeva lì. “E ora andiamocene da qui”
“Pensi che Zo sia in collera con noi?”, le chiese Leonardo, alzandosi a sua volta. 
“Io non mi farò vedere in bottega almeno per tutta la settimana”, rispose lei, sottointendendo così un consiglio per l’artista.
“Ti serve una mano a palazzo?”
“Almeno che tu non voglia fare il terzo incomodo, no”
“Beh...”
“Non ci pensare neanche!”, disse lei esasperata, facendo ridere Da Vinci.
“Stavo solo scherzando”, ribattè lui..
Elettra sbuffò, ben intenzionata a chiudere lì la conversazione.
“Però devi ammettere che l’idea della colla che si scioglie a contatto con l’acqua è stata davvero buona!” 

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Capitolo 5
*** “Vuoi ancora partire?” ***


“Vuoi ancora partire?”

E se alla domanda di Leonardo circa il partire o meno per la Valacchia Elettra non avesse saputo rispondere subito? Cosa sarebbe potuto succedere se in quell’istante si fosse sentita combattuta tra il lasciarsi tutto alle spalle o il restare a Firenze, ben consapevole che in questo modo sarebbe dovuta restare a stretto contatto con la persona che più l’aveva fatta soffrire in quelle ultime settimane, ma di cui non poteva fare a meno? Già, probabilmente se avesse subito detto di sì, non l’avrebbe più rivisto... E lui, il Conte Riario, come l’avrebbe presa? Come avrebbe fatto per convincerla a restare?
Probabilmente sarebbe andata così...

 
Quel pomeriggio...

Elettra, seduta alla propria scrivania, nel proprio studio, sospirò dubbiosa mentre, con aria svogliata, voltava l’ennesima pagina dell’ennesimo libro che aveva trovato sulla Valacchia e sul suo signore, Vlad l’Impalatore.
Adagiati in un angolo del tavolo, vi erano una pila di voluminosi manoscritti, riguardanti lo stesso argomento e già letti.
Persa nei propri pensieri, non udì la porta aprirsi. 
Il Conte Riario entrò silenziosamente nella stanza. Dovette tossicchiare leggermente, per attirare l’attenzione della ragazza.
Lei alzò lo sguardo, mettendosi immediatamente sulla difensiva; credeva di essere stata più che chiara con lui, la sera dello spettacolo.
“Avete bisogno di qualcosa, Conte?”, disse con un tono tutt’altro che gentile; chiaro segno che quello era più che altro un invito ad andarsene e lasciarla in pace.
Girolamo, per nulla intenzionato a cedere, si avvicinò a passo sicuro alla scrivania. “Allora è vero?”, le chiese, cercando di incatenare il suo sguardo al proprio.
“Vero cosa?”, ribattè lei, sforzandosi di concentrarsi sul libro che aveva davanti e non sui due grandi occhi color nocciola che la fissavano senza tregua.
“Giuliano de Medici poco fa era davanti allo studio di suo fratello che sbraitava circa un vostro viaggio in compagnia dell’artista”
“Origliate anche le conversazioni degli altri, adesso?”, chiese con quel suo solito tono impertinente. Sapeva benissimo che era così, ma era comunque curiosa di sapere quale scusa si sarebbe inventato.
“Passavo di lì per caso e non ho potuto non sentire, dato il tono esageratamente alto del giovane de Medici”
“Come no”, ribattè Elettra, sarcastica.
“Partirete veramente?”, riprovò a chiederle.
“Non sono affari vostri”, disse con un tono che chiaramente significava che la discussione finiva lì. Chiuse con un tonfo il libro che aveva davanti al naso, ormai incapace di continuare la lettura; lo sistemò sopra agli altri.
Per un attimo lo sguardo di Girolamo si staccò da lei, concentrandosi sull’alta pila di volumi. Appoggiò una mano sul manoscritto in cima, accarezzandone la copertina in pelle e leggendone il titolo; dopodichè lesse anche quelli degli altri.
“Non state andando a Pisa, come avete detto ai Medici”, ragionò ad alta voce.
No, dire che andava a Pisa insieme a Leonardo per testare una delle sue nuove macchine da guerra era solo una scusa, inventata per tranquillizzare Gentile Becchi che, se avesse scoperto che in realtà la sua preziosa nipotina era diretta in Valacchia, non le avrebbe consentito di partire.
“Come vi ho già detto in precedenza, non sono affari vostri”, si limitò a dire, sperando per la seconda volta che discussione finisse lì.
Si alzò dalla propria seduta, cominciando a prendere una parte dei manoscritti in braccio, ben intenzionata a riportarli al propio posto, nella biblioteca di Cosimo de Medici. Si rese quasi immediatamente conto che erano troppi, per il suo fisico minuto, da trasportare tutti assieme; c’era stato un motivo, se all’andata l’aveva aiutata Fabrizio...
Il Conte, vedendola in difficoltà, decise di darle una mano.
Elettra, più per pigrizia che per piacere, accettò di buon grado l’aiuto che le veniva offerto.
 
***

“Appoggiateli pure sul tavolo”, disse Elettra, precedendo il Conte all’interno della biblioteca.
Lo studiò attentamente, mentre posava i pesanti volumi sulla polverosa superficie di legno; il pensiero di loro due, soli, la rendeva irrequieta.
“Grazie, Conte. Ora potete pure andare”, disse in tono asciutto.
“Resto a farvi compagnia”, ribattè lui, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi affiliati che, solitamente, non portavano mai a nulla di buono.
La ragazza sbuffò, chiaramente infastidita. Anche se l’idea non le piaceva per niente, dovette dargli le spalle, per rimettere i libri ai loro rispettivi posti.
Girolamo osservò incuriosito ogni suo movimento: dalle condizioni in cui quella biblioteca era, doveva davvero essere molto legata alla memoria del defunto de Medici; nonostante fosse lei l’unica persona a metterci piede dalla morte dell’uomo, essa era perfettamente in ordine, con neanche un libro fuori posto.
Guardandola, pensò al loro strano rapporto, a come si fosse bruscamente interrotto e, sopratutto, al pensiero di non rivederla per mesi, se fosse andata in Valacchia insieme all’artista. Sempre che fosse tornata sana e salva...
No, non poteva assolutamente permetterle di partire.
Con passo felino, si diresse alla porta. Prese tra le mani la vecchia chiave, girandola all’interno della serratura.
Elettra, al sentire gli scatti alle sue spalle, si girò, osservando il Conte con aria nervosa. “Cosa state facendo?”. Era chiaro come il sole, che era in trappola.
Vide Girolamo andare verso la finestra e aprirla. 
Dopo aver controllato che nel cortile sottostante non ci fosse nessuno, lasciò semplicemente cadere la vecchia chiave di sotto; si udì un tonfo leggermente attutito, quando quest’ultima andò a finire nella fontana decorativa che ornava il piccolo chiostro.
“Ops”, disse in tono ironico.
La ragazza strabuzzò gli occhi, cercando di capire cosa gli fosse preso, per agire in quel modo. 
“Ma siete completamente impazzito?!” 
Il Conte le sorrise con finto fare innocente, soddisfatto per avere finalmente ottenuto la sua completa attenzione.
Elettra, che in quel momento stava davvero capendo il vero significato del sentirsi come un topo in gabbia, cercò di dirigersi con nonchalance verso la porta.
“Non farete mai in tempo a forzare la serratura”, disse lui, con un tono da presa in giro. Con una camminata lenta e sicura, si frappose tra lei e la porta.
“L’unico modo per uscire di qui è di mettermi al tappeto”, continuò, avanzando minacciosamente verso di lei.
“Potrei farlo”, ribattè lei, con aria di sfida.
Riario si portò una mano alla bocca, cercando di soffocare una risatina: Elettra era abbastanza intelligente da capire che non ce l’avrebbe mai fatta contro un soldato perfettamente addestrato come lo era lui, eppure si ostinava ad usare quel tono provocatorio.
“Oppure potreste ascoltare quello che ho da dirvi”
Ovviamente sapeva che lei avrebbe scelto la seconda proposta.
Continuò ad avvicinarsi a lei e non potè fare a meno di sorridere tra sè e sè, quando, a furia di arretrare, vide la ragazza andare a sbattere la schiena contro lo scaffale alle sue spalle.
“Sono tutta orecchie, Conte”, disse alla fine, a denti stretti.
“Tu non partirai”
Elettra sbattè più volte le palpebre, augurandosi di aver sentito male; dentro di sè, in realtà, sapeva di aver capito bene. “Come?”, gli stava dando una seconda possibilità per rimangiarsi quello che aveva appena detto. 
Girolamo le sorrise, ironico. “Hai capito benissimo: non voglio che tu parta per la Valacchia”
La ragazza lo osservò, adirata. “Voi...tu non puoi dirmi cosa fare!”
“Eppure è quello che sto facendo”, disse lui, con tono ovvio.
“Io non prendo ordini da nessuno, nemmeno da te!”
“C’è sempre una prima volta”
“Non stavolta”, ribattè lei, tenendo lo sguardo alzo e cercando di apparire il più sicura possibile.
Girolamo non potè fare a meno di ridacchiare, di fronte alla sua caparbietà: la faccenda si faceva sempre più divertente. Le si avvicinò ulteriormente.
“Se io ora mi mettessi ad urlare, sono certa che qualcuno mi sentirebbe”, tentò di minacciarlo, lei.
“Già, ma la situazione sarebbe senz’altro più difficile da spiegare per te che per me”, disse sarcastico, ad un soffio dalle sue labbra. C’erano volte che Elettra era così prevedibile e quella sua minaccia velata, era tra queste.
“Io non credo”, si limitò a controbattere nuovamente lei.
“Io credo proprio di sì”, disse Girolamo, con l’aria di chi la sapesse lunga. “Anche perchè, accidentalmente, si intende, potrebbe per caso sfuggirmi con Lorenzo qualche parola su come mi hai passato informazioni segrete e su come hai mandato alla forca un’innocente al posto di tuo zio”. Il Conte sorrise, soddisfatto di sè stesso: quella era una vera minaccia.
Vide per un attimo la ragazza boccheggiare in cerca delle parole giuste, ma non le trovò. “Tu non...tu non saresti capace di mandarmi alla forca”. La sua voce era ridotta a poco più di un sussurro.
No, era vero. Per quanto fosse a tratti cinico e spietato, non ce l’avrebbe mai fatta a condannarla così: tutte quelle minacce erano a vuoto, volte solo a spaventarla per farla tornare sui propri passi; Girolamo, non sapendo bene come riuscire nell’impresa, stava tentando il tutto per tutto... 
“Ti conviene quindi ascoltarmi bene”
Elettra annuì, poco convinta ma annuì.
“Non puoi partire per Valacchia”, le disse, portando una mano al suo viso di porcellana e cominciando lentamente ad accarezzarle una guancia. “Io non posso permetterlo”. Anche il tono della sua voce si era notevolmente abbassato.
“Perchè?”, gli chiese lei, piegando la testa di lato per poter sentire maggiormente il calore della mano di Girolamo sulla guancia.
Il Conte si fece pensieroso, ponderando per bene le parole da usare. Nel mentre che pensava, prese a disegnare il contorno delle labbra vermiglie della giovane con il pollice. “Il signore di quelle terre non si è di certo guadagnato il nomignolo di ‘Impalatore’ solo per parole a vuoto”
Elettra sorrise mestamente, dandosi mentalmente della stupida per quello che credeva sarebbe uscito dalla bocca di Girolamo. Non vi era mai stato veramente posto nel loro rapporto per il romanticismo, perchè iniziare proprio ora? E poi lei non era di certo quel tipo di persona...O forse sì? In quel momento, non sapeva davvero a cosa pensare.
“Se tu partissi, temo di non rivederti mai più”
“Ma se io dicessi a Leonardo di partire senza di me...”
“Io sarei senz’altro più tranquillo”, la interruppe lui, sincero. “Come si sentirebbero meglio tutte le persone a cui sei molto cara”
“Non posso lasciare così Leonardo, Nico e Zoroastro”
“Sono certo che l’artista sia perfettamente in grado di cavarsela da solo”
“E perchè io, seppur in sua compagnia, non riuscirei mai a tornare sulle mie gambe?”
“Perchè sei una donna, ovviamente”
Elettra, parecchio indispettita da quell’ultimo commento, fece per ribattere, ma Girolamo non le lasciò il tempo, fiondandosi sulle sue labbra. 
La ragazza, per la foga del gesto, finì per urtare in modo tutt’altro che delicato lo scaffale ricolmo di libri, alle sue spalle. Tentò di protestare per questo, ma qualunque suono fu attutito dalla bocca dell’uomo, premuta sulla sua.
Non si aspettava niente di tutto quello e, colta alla sprovvista, spalancò gli occhi per la sorpresa. 
Le sarebbe piaciuto lasciarsi andare a quel bacio così passionale, eppure...
“Ahi!”, si lasciò sfuggire il Conte, staccandosi da lei e facendo un passo indietro. Si portò un dito alle labbra, massaggiandosi il punto che lei gli aveva morso in modo tutt’altro che delicato.
Quando ritrasse la mano, vide che era leggermente sporca di sangue.
Osservò perplesso Elettra che, con le guance in fiamme e la faccia imbronciata, lo guardava a sua volta con le braccia incrociate sotto al seno.
Si passò la lingua sulla ferita, sentendo in bocca il tipico sapore metallico del sangue.
“Questo era per il commento sulle donne”, disse lei.
“E questo...”, continuò facendo un passo avanti, “...è perchè, anche se a modo tuo, hai detto che a me tieni”. Portò le mani al colletto della camicia dell’uomo, tirandolo verso di sè e lo baciò.
Girolamo non se lo fece ripetere due volte e la strinse fra le sue braccia, cercando di annullare ogni possibile altra distanza fra loro. La costrinse ad indietreggiare fino a trovarsi nuovamente con la schiena premuta contro lo scaffale.
Si staccò un istante dalle sue labbra. “Dovrei minacciarti più spesso, se questo è il risultato”
Elettra lo osservò con una finta aria innocente. “Non so quanto ti converrebbe...mi dicono che tiro delle ginocchiate piuttosto forti”. Il suo sguardo puntò verso il basso, in un gesto più che eloquente.
“Non oseresti”, disse lui, ad un soffio dalle sue labbra.
“Non è bene stuzzicare il cane che dorme, Conte”, ribattè la ragazza. “Dovresti chiedere a Giuliano, lui lo sa be...”. Ancora una volta, non le fu permesso finire di parlare: Girolamo aveva di nuovo unito le loro labbra.
Per il Conte Riario era più che vero che il modo migliore per zittire una donna era con un bacio. Specialmente per quelle petulanti e troppo impertinenti.
Le proprie mani si misero a vagare per il corpo di lei, mentre i respiri tornavano corti e i battiti cardiaci aumentavano di frequenza. 
Ovviamente, le sciolse la coda di cavallo, lasciando che i suoi boccoli dorati le ricadessero dolcemente sulle spalle.
Le sue labbra, seppur impegnate in tutt’altro, non poterono non incurvarsi all’insù: sorrise, soddisfatto di sè stesso.
Si chinò sul collo, cominciando a torturarlo lentamente.
Come segno di apprezzamento, Elettra piegò la testa dalla parte opposta, permettendogli così di avere più spazio d’azione.
Nel frattempo, la ragazza cominciò a slacciare, bottone dopo bottone, la funerea giacca nera con impresso il sigillo vaticano. A lavoro ultimato, lo aiutò a sfilarsela, lasciandola poi cadere  a terra.
Nelle intenzioni di Girolamo la gonna che Elettra indossava avrebbe dovuto fare compagnia alla propria giacca al più presto, peccato che non aveva la più pallida idea di come si togliesse.
Passò più volte le mani su di essa, cercando eventuali bottoni o lacci, ma non trovò nulla.
Sbuffò, frustrato, allontanandosi leggermente.
Lei, sentendo improvvisamente mancare il contatto tra i loro corpi, decise di aprire gli occhi, tutt’altro che felice di quell’interruzione. Osservò la faccia contrariata di Girolamo e non potè davvero fare a meno di ridere.
Portò le proprie mani al retro della gonna dove, nascosti sotto uno spesso strato di tessuto, si trovavano tre minuscoli bottoni. Li aprì, lasciando poi cadere a terra il pesante indumento di velluto verde e beige. “Dovevi controllare meglio”, disse ironica.
Il Conte guardò ancora un po’ quell’inutile pezzo di stoffa. “Non so come sia possibile ma so che l’artista deve avergli...”, 
‘...fatto qualcosa’. Probabilmente la frase sarebbe terminata così, se Elettra gli si fosse avvicinata, poggiando le proprie labbra nuovamente sulle sue.
Il gesto della ragazza era stato dettato dal puro istinto di sopravvivenza: non ce l’avrebbe proprio fatta a sentire nominare Leonardo, o come lo chiamava Girolamo -perchè lui lo chiamava solo così- ‘’artista’; lei era ormai convinta da tempo che il Conte Riario pensasse più a Da Vinci che a lei. E, ovviamente, non perdeva mai occasione per farglielo notare. Beh...tranne che in certi momenti ‘delicati’.
Dispettosa, gli morse nuovamente il labbro inferiore. Un modo per vendicarsi riusciva sempre a trovarlo...
Girolamo la prese tra le braccia di peso, issandola sul proprio corpo, e la portò fino al bancone dove ancora si trovavano i libri che Elettra avrebbe dovuto rimettere al proprio posto, prima di quel piacevole fuori programma.
La ragazza si sedette sulla fredda e liscia superficie di legno, facendogli spazio fra le proprie gambe e poi attirandolo a sè.
Tra un bacio e l’altro, anche la camicia bianca dei lei e quella nera di lui, volarono a terra.
“Vuoi ancora partire?”, le chiese Girolamo, ad un soffio dalle sue labbra, con i loro respiri irregolari che si confondevano l’uno nell’altro.
“Hai trovato un ottimo modo per convincermi a restare”, rispose lei, cercando nuovamente il contatto tra i loro visi.
Ed infine, anche i pantaloni del Conte caddero a terra.


Nda
Visto che sono una brava persona (e mi sento in vena di aggiornamenti), eccomi di nuovo qui con una nuova piccola storiella. Beh diciamo che non è molto nuova...sarebbe l'alternativa dell'alternativa del capitolo 29 (per favore, ora basta alternative a questo capitolo, ho esaurito le opzioni ahahahah)
Se volete propormi altre arternative (su altri capitoli), idee nuove ed approfondimenti, non esitate a chuedere. In fondo lo scopo di questa raccolta è proprio questo :D
A presto :)
 

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Capitolo 6
*** Tu non sei stato invitato ***


Tu non sei stato invitato

“Io il senso di un altro ballo davvero non lo capisco”, borbottò Zoroastro, scatenando le risate di Costanza ed Elettra.
Si trovavano tra le affollate vie del mercato fiorentino, intenti a reperire tutto il necessario per la festa –l’ennesima- che si sarebbe tenuta di lì a qualche giorno a Palazzo della Signoria.
“Perchè tu hai queste brillanti idee e poi siamo io e Costanza a sgobbare?”, continuò il moro, imprecando tra sè e sè quando una delle numerose scatole che teneva fra le braccia ondeggiò pericolosamente.
“Perchè siete miei amici, ovviamente”, ribattè la bionda, voltandosi verso di lui, rimasto leggermente indietro. “E ora muoviti, dobbiamo ancora andare dal fioraio e a prendere i pigmenti per la pittura”
Zoroastro sbuffò, guardando poi negli occhi Costanza, se possibile ancora meno entusiasta alla notizia. Era stata avvisata più volte di non farsi mai trovare con le mani in mano mentre Elettra si aggirava nervosamente per tutta Firenze alle prese con una nuova festa, ma quella mattina, quando Elettra era entrata in biblioteca (che era ormai diventata la camera da letto della francese) a cercare un libro e l’aveva trovata intenta a guardarsi in giro, apparentemente con nulla da fare, era stato troppo tardi. Inutili erano state le sue successive proteste.
L’unico lato positivo di tutta la faccenda era che almeno avrebbe potuto passare un po’ di tempo con Zoroastro. Sarebbe stato di certo meglio restare soli ma, almeno fino a quando Elettra sarebbe stata con loro, si sarebbe dovuta accontentare delle occhiate furtive che il moro le lanciava e che, inevitabilmente, la portavano ad arrossire ogni volta.  
Tra una riflessione e l’altra, i tre raggiunsero la bancarella del fioraio e, mentre Elettra faceva una lista dettaglia di tutto ciò che le occorreva al povero ometto dietro al bancone, Costanza si guardò in giro con aria curiosa.
Le piaceva quell’ambiente caotico.
Osservò divertita un piccolo gruppo di bambini che si rincorrevano per il vicolo e, a vedere le loro facce così spensierate, non potè fare a meno di sorridere tra sè e sè.
“Andaluso nero a ore dodici”, le sussurrò Zoroastro all’orecchio, indicandole il Conte Riario, che veniva verso di loro. A causa della via decisamente troppo affollata, era stato costretto a scendere da cavallo e proseguire a piedi, tenendo l’animale per le briglie.  
Il moro sbuffò, per nulla felice di vederlo.
“Salve, Conte!”, si sgolò Elettra, pur di farsi sentire. Improvvisamente il suo volto, da pensieroso e a tratti fin imbronciato, si era fatto raggiante.
Ovviamente Riario –insieme a tutti i cittadini di Firenze e della campagna circostante- l’aveva sentita e si diresse verso di loro.
“Madonna Becchi”, la salutò con ampio e decisamente sospetto sorriso. Ma tornò presto alla propria espressione usuale, non appena vide che non era sola. “Noto che ci sono anche l’assistente di Da Vinci e Madonna Costanza”, aggiunse, facendo chiaramente capire dal proprio tono di voce che non era per niente soddisfatto di questo.
“Si sono gentilmente offerti di darmi una mano per la festa di questo fine settimana”
Alle sue spalle Zoroastro tossicchiò, facendo intuire al Conte che non era andata esattamente così.
“Ci sarete al ballo, vero?”, continuò Elettra.
“Purtroppo, in quanto ospite non posso sottrarmi a queste consuetudini”, rispose lui, facendole capire che non ne era per niente entusiasta.
“Sono certa che vi divertirete, invece”, ribattè lei, abbassando volutamente il tono di voce e sorridendogli maliziosamente. 
Zoroastro alzò gli occhi al cielo, voltandosi verso Costanza con una smorfia di disgusto dipinta i volto, strappando un’altra risata alla giovane.
Mentre discutevano, ad Elettra e al Conte si avvicinò una delle guardie svizzere che fungevano da scorta personale a Riario. “Qui in giro è tutto tranquillo”, disse sbrigativo, quasi infastidito.
“Temete forse per la vostra vita, Conte?”, chiese Elettra sarcastica, quasi a volerlo prendere in giro.
“Non si sa mai chi potrebbe colpirti alle spalle”, ribattè lui, cercando di passare sopra alla frecciatina della ragazza.
La giovane osservò attentamente la guardia del corpo del Conte; non era una delle solite facce: innanzitutto appariva un po’ più anziano dei soldati di cui Girolamo solitamente si circondava, poi non aveva la solita aria da guardia svizzera, impettita e sempre perfettamente in ordine, aveva un aspetto più trascurato, con i capelli castani lunghi fino alle spalle che spesso gli finivano sugli occhi, intervallati qua e là da qualche ciocca grigia. Sembrava più un mercenario proveniente da qualche sobborgo malfamato.
“Leonardo ha di nuovo usato le vostre guardie come cavie per qualche arma? Vedo delle facce nuove qui”, commentò Elettra.
Il Conte contrasse leggermente la mascella, gesto che faceva solo quando qualcosa gli dava particolarmente fastidio. “È accaduto solo una volta”, ribattè, con un tono che indicava che la questione finiva lì.
Peccato che la ragazza non avesse alcuna intenzione di finirla lì: lei aveva appena iniziato. “Giusto, perchè la volta successiva ve la siete data a gambe per una balestra”
“Era gigante. E io temevo l’incolumità dei miei soldati”
“Era di cartone”
Mentre Riario alzava gli occhi al cielo per l’ennesima volta, Zoroastro se la rideva, attirando l’attenzione di Costanza, che si era allontanata dal gruppo non appena Elettra si era messa a fare la civetta con il Conte. Si avvicinò a loro e il suo sguardo fu subito catturato da quella guardia dall’aria burbera.
Strabuzzò gli occhi, quando lo riconobbe. “S-Sanor?”, balbettò.
L’uomo si voltò verso di lei, con l’aria apparentemente seccata per quell’interruzione ma, quando riconobbe la giovane, la sua espressione feroce parve addolcirsi. “Cosetta?”
Senza indugiare oltre, Costanza gli si buttò tra le braccia, traboccante di felicità.
Zoroastro osservò la scena non poco indispettito e, mentre quel...quel Sanor teneva tra le braccia Costanza, la sua Costanza, si girò verso Elettra. “Cosetta?”, disse, non riuscendo a nascondere tutto il proprio disappunto.
La bionda alzò le spalle, con apparente noncuranza. “Credo che sia la guardia del padre che l’aveva fatta scappare dalla Francia”
“Che cosa?!”
“Non sarai mica geloso, Zoroastro?”, lo punzecchiò lei.
L’espressione del moro si fece più seria, mentre smetteva di prestare attenzione ad Elettra e tornava a concentrarsi su quel tizio, per cui aveva iniziato a provare un’immediata antipatia.
“Non ti ricordavo così affettuosa, cosetta”, disse Sanor, abbassandosi sui capelli della giovane ed aspirando una grande boccata d’aria.
“Cosa ci fai qui a Firenze?”, gli chiese lei, allontanandosi dal suo petto ma esitando comunque a lasciare i suoi avambracci muscolosi.
“Appunto, che ci fa qui a Firenze?”, le fece eco Zoroastro.
Girolamo si massaggiò le tempie. “Questa guardia fa parte della mia scorta personale”, spiegò, seppur considerasse le proprie parole fiato sprecato: ci mancava solo che il mezzosangue si mettesse a fare una scenata di gelosia nel bel mezzo per il mercato fiorentino. Cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto quello?
“Tornando alla vostra carenza di guardie svizzere...”, ricominciò Elettra.
No, non c’era limite al peggio.
“Ne parleremo la prossima volta”, la interruppe. “Ora noi dovremo andare”, disse, sottolineando quel ‘noi’, per riuscire a staccare la propria guardia dall’amica timida di quella ragazzina impertinente.
“Più tardi sarete a palazzo, Conte?”, chiese la bionda. 
La faccia annoiata di Riario si fece subito più interessata. “Se non parlerete di guardie svizzere, certamente”, rispose ironico.
“Devo consegnarvi l’invito per il ballo”, spiegò lei. Eppure a tutti gli altri apparve poco credibile come scusa.
“Allora a più tardi”, la salutò Riario. L’espressione decisamente più soddisfatta di quando era arrivato.
“A...”
“Arrivederci”, la interruppe Zoroastro, prendendola per un braccio –prendendo entrambe le ragazze per un braccio- e trascinandole via prima che la conversazione si allungasse ulteriormente. 
Costanza si voltò per un’ultima volta verso Sanor, facendogli un cenno di saluto con la mano. 
“A presto”, disse.
“Spero tanto di no”, replicò Zo, a bassa voce, in modo che Costanza non lo udisse.
 
***

Il pomeriggio successivo...

“Ti rendi conto?! L’ha chiamata ‘cosetta’ e poi...poi”. Zoroastro fece una pausa, osservando Leonardo, di spalle, con cui stava tentando di intrattenere una conversazione. “Leonardo, ma mi stai ascoltando?”
Il geniale artista si voltò, con in mani una tavolozza cosparsa da diversi colori e un pennello in bocca, cercando di dire qualcosa ma, ovviamente, il moro non lo riuscì a capire.
Zo sbuffò, prima di avvicinarsi e toglierli lo strumento, in modo che potesse dire la sua. 
“Grazie, Zo”, lo ringraziò lui. “A proposito, hai detto qualcosa?”
Il poveretto alzò gli occhi al cielo, espirando ed inspirando più volte, cercando di non perdere la pazienza con Da Vinci.
“Ti sto parlando da almeno un quarto d’ora”
La faccia di Leonardo si fece improvvisamente più seria. “Ah sì...sì, ti stavo ascoltando”, disse.
“E?”, lo invitò a proseguire il moro, certo che l’amico gli stesse mentendo.
“Di al tuo amico con la fattoria che ultimamente non ho tempo da dedicare alla dissezione di cadaveri, quindi di andare a vendere i suoi animali malformati a qualcun altro”
Zoroastro si coprì la faccia con una mano, scuotendo sconsolato la testa: Da Vinci non aveva ascoltato assolutamente niente di quello che lui gli aveva detto.
“Sarai anche la mente più geniale d’Europa ma come amico fai proprio pena”, mormorò tra sè e sè.
“Ho un progetto da portare a termine”, ribattè lui, sbrigativo, tornando a dargli le spalle.
“E da quando ti importa di portare a termine un progetto?”
“Da quando Lorenzo mi ha intimato di legarmi un cappio intorno al collo se non glielo avessi consegnato in tempo”
“E quando sarebbe la consegna?”
“Tre settimane fa”, rispose l'artista. “E se Dragonetti ti chiedesse di me, tu non mi hai visto, intesi?”
Zoroastro prese un altro –l’ennesimo- lungo respiro e avrebbe aggiunto altro, se qualcuno non avesse bussato alla porta, interrompendo così la lunga catena di insulti che di lì a poco avrebbe tirato dietro a Leonardo.
“Io non ci sono”, sussurrò Da Vinci, intimandogli il silenzio.
Il moro si avvicinò alla porta. “Bottega del maestro Leonardo Da Vinci, lui al momento non ha assolutamente nulla di importante da fare, quindi chi lo cerca?”, disse, prima di aprirla e ridendosela sotto ai baffi, mentre alle sue spalle Leonardo lo apostrofava con epiteti tutt’altro che simpatici.
“Zo, sono Elettra”, disse la voce dall’altra parte. Attese lo scatto della porta, prima di fare irruzione nella stanza. Si guardò in giro, cercando con lo sguardo Da Vinci. “Leonardo non fare il bambino, non ho con me nessuna guardia della notte”, disse, annoiata dal comportamento dell’artista.
L’altro uscì dal suo nascondiglio, dietro ad alcuni scaffali, guardandosi intorno guardingo.
“Ti ho portato l’invito per il ballo”, gli disse, lasciando cadere una pergamena arrotolata sul tavolo. “E se fossi in te verrei: Lorenzo se l’è parecchio persa per quel vecchio progetto...a proposito, l’hai completato, vero?”
“Lo sta facendo adesso”, si intromise Zoroastro. “Mentre io gli parlo di importanti questioni di cui lui, in quanto buon amico, dovrebbe preoccuparsi”, aggiunse.
“Tu non parli mai di qualcosa diverso da vino e donne...no, ultimamente non parli più neanche di donne”, ragionò lei, ad alta voce. “Quindi, cosa ti preoccupa?”
Il moro si guardò in giro. “Dov’è Costanza?”, chiese.
“Sta facendo fare un giro turistico per la città alla sua guardia del cuore”, rispose lei, soprappensiero, mentre osservava incuriosita alcuni schizzi di Leonardo, sparsi per il tavolo.
“Sta facendo fare che cosa a chi?!”
“Leonardo, questa macchina pensi di farla passare dalla teoria alla pratica?”, chiese Elettra, sventolando in aria un foglio con una strana macchina acquatica. Ovviamente non aveva sentito Zoroastro urlare, così presa da qualche sua malsana idea.
“Quella? Pensavo di buttarla nel camino”, rispose l’artista.
“Allora, se per te non è un problema, te la chiederei in prestito”
“Fai come ti pare”, disse Leonardo, con noncuranza.
“Ma qualcuno qui mi sta ascoltando?!”, scoppiò il povero ed incompreso Zo.
A quel punto i due artisti si girarono verso di lui, guardandolo perplessi. “Hai detto qualcosa?”, chiesero in contemporanea.
“Perchè mi ostino a circondarmi di artisti?”, si chiese tra sè e sè, alzando gli occhi al cielo per l’ennesima volta. 
La porta si aprì nuovamente e, mentre Leonardo si apprestava velocemente a nascondersi, sulla soglia comparve Nico, con alcune boccette e altre scatole non ben definite. Il giovane osservò perplesso il proprio maestro, seminascosto dietro ad uno scaffale. “Maestro? Tutto bene?”
Da Vinci uscì dal proprio nascondiglio con nonchalance, fischiettando. “C’è qualcosa che non va, Nico?”
Il giovane aggrottò le sopracciglia. “Perchè Zoroastro urlava?”
Il diretto interessato alzò le braccia al cielo. “Finalmente qualcuno che ha ascoltato il mio discorso!”
“Ti si sentiva urlare fin dal vicolo”, disse Nico.
“Cosa c’è che turba il nostro furfante preferito?”, chiese Elettra, avvicinandosi a lui e dandogli un buffetto sulla guancia.
“Fare la ruffiana non ti aiuterà: sappi che mi sono parecchio offeso”, brontolò lui.
“Ho una festa da organizzare, sono molto occupata. E Leonardo deve cercare di evitare il patibolo”, disse, facendo la sua solita espressione da cerbiatto. “Per l’ennesima volta”, aggiunse.
“Perchè le persone non riescono ad avercela con te per più di un paio di minuti?”
“Perchè sono dolce, irresistibile e...”
“Lascia stare, fai finta che non te l’abbia chiesto. Piuttosto, quanto sai del tizio che abbiamo incontrato al mercato?”, chiese Zo, fingendo di averlo nominato per caso.
“Vuoi dire Sanor?”, domandò lei.
“Sì, sì, quel tizio con la mano curiosa”
“Mano curiosa?”. Elettra sembrava perplessa.
“Quella mano era decisamente troppo in basso. Quando si abbraccia una persona quella mano dovrebbe stare qualche centimetro più in sù”, spiegò Zoroastro.
Le labbra della ragazza si allargarono in un ampio sorriso e, nonostante cercasse con tutte le proprie forze di trattenersi, non riuscì proprio a non ridere. “Tu sei geloso!”, disse tra le risate.
“Io non sono geloso!”, ribattè lui, nuovamente con quel tono offeso. “Solo curioso”
“Visto che Costanza non ha fatto altro di parlare di quanto quell’uomo sia fantastico, forte, muscoloso...”, aggiunse a bassa voce.
“Ahia!”, disse Leonardo. “Il tutto è successo stanotte?”
“Ma cosa vai a pensare?! Certo che no!”, ribattè lui. “Noi non...”
“Mi duole ammetterlo ma posso confermare”, disse Elettra.
“Mi complimento con te per il tuo autocontrollo, amico”. L’artista si avvicinò al moro, dandogli una pacca sulla spalla. “Questo sì che è vero amore”
“E quindi quella è gelosia”, ripetè la giovane.
“Non..”, provò a dire Zoroastro, ma si fermò, rendendosi conto che non aveva neanche più senso affermare l’opposto. “Mi preoccupo solo per lei: tutta sola, con una guardia svizzera dall’aria poco raccomandabile...”
“Le ha fatto da guardia del corpo per anni, penso che sia in grado di difendere entrambi e che con quell’aria poco raccomandabile eventuali malintenzionati stiano lontani”
“E chi ci sarà a tenere lontano lui da lei?”
Leonardo ed Elettra alzarono gli occhi al cielo nuovamente in contemporanea. 
“Voi uomini e il vostro cervello bacato!”, commentò la ragazza.
“Io non ho il cervello bacato”, ribattè Leonardo. “Nel caso in cui tu non te lo ricordassi, mi hanno definito la mente più geniale di tutta Europa”
“In certe questioni hai il cervello bacato tanto quanto quello di Zoroastro in questo momento”, commentò la ragazza, indispettendo non poco l’artista. Ma assunse presto un’aria pensierosa, improvvisamente si era ricordata di una cosa... “Ora che mi ci fai pensare, devo andare a portare l’invito per il ballo a Costanza”
“Immagino che ci sarà anche quella guardia, alla festa”, disse Zo, sarcastico.
“Credo di sì: tutta la delegazione romana è invitata”  
“Non c’è proprio limite al peggio”, borbottò. Poi gli venne un’idea e il suo volto si illuminò. “Ci sarò anche io a quel ballo”. Il suo tono di voce più alto del normale. 
“Zo...”
“Verrò a quel ballo e terrò quel tizio alla larga da Costanza”
“Zo...”, ritentò nuovamente Elettra.
“Devi procurarmi un invito”, le disse.
“Era appunto quello che stavo cercando di dirti”, cercò di spiegarle lei, andando con cautela. “Non sono io che mi occupo degli inviti. Mi dispiace Zo, ma non posso farci niente”
“Se ne occupa tuo zio, vero?”
“Lo zio di Elettra che ha un odio patologico verso di te”, confermò Leonardo, con tono ovvio.
“Neanche se gli fai gli occhi dolci? Chi direbbe mai di no a quegli occhioni azzurri... Neanche Riario resiste a quello sguardo”, provò a dire.
Elettra scosse la testa.
“E se lo falsificassi? Chi andrebbe mai a controllare?”, ritentò lui.
La giovane sospirò, mentre ponderava le parole del moro. Alla fine annuì impercettibilmente. “Mi metterai in un mare di guai, se ti dovessero beccare. Quindi vedi di farlo bene”
“E voi mi darete una mano”, aggiunse lui.
“Come sempre”, dissero gli altri tre.
 
***

Nel frattempo, per le vie di Firenze...

“Come ti sembra Firenze?”, chiese Costanza, trattenendo a stento tutta la propria felicità.
Sanor la osservò attentamente, il proprio sguardo che correva veloce su tutto il suo corpo, studiandolo e non perdendosi neanche un particolare. Appariva così diversa da quando era in Francia, appariva finalmente felice, con quel sorriso raggiante e gli occhi brillanti.
La vide pararsi gli occhi dal Sole mentre il vento le scompigliava leggermente i capelli, lasciati sciolti sulle spalle e non costretti in rigide acconciature, come la moda francese invece imponeva.
Era finalmente a proprio agio, con indosso un paio di pantaloni e non un’ampia gonna. 
In quel momento indossava anche un corsetto, un po’ più lungo del normale, che si apriva sul davanti, ma Sanor dubitava che lo indossasse sempre.
“Sei cambiata, cosetta”, disse, ignorando la sua precedente domanda. “Sembri più felice”, aggiunse, non riuscendo proprio a fare a meno di sorridere; cosa alquanto inusuale per lui. 
“Sì, qui a Firenze sono felice, come non lo sono mai stata”, confermò lei. “Ma ora vieni, devo ancora farti vedere un sacco di cose”, disse, prendendolo per mano ed incominciando a camminare per le affollate vie della città.
“Sembri anche più...disponibile”, aggiunse lui, non potendo fare a meno di abbassare il proprio sguardo sulle loro mani, unite. “Non è che la tua amichetta ti ha messo sulla cattiva strada?”. Il suo tono di voce era tremendamente serio.
Costanza lasciò la sua mano di scatto. “Chi, Elettra? Lei è...fantastica, non so quante persone avrebbero fatto quello che lei ha fatto per me”
Sanor prese un lungo respiro, indeciso se fare partecipe la ragazza di quello che sapeva sul conto dell’amica o meno. “Circolano delle voci su quella ragazzina, tra le file dell’esercito”
Costanza lo guardò perplessa. “Quali voci?”
“È la puttana di Riario”
“Ma come ti permetti di...di dare della...prostituta ad Elettra?!”, disse lei, con la voce alterata, guardando quella che un tempo era stata la sua guardia del corpo, indignata.
“L’ho vista con i miei occhi entrare ed uscire dagli appartamenti di Riario. Non sono uno stupido, so cosa fanno quei due quando sono assieme”
“Quello che fa Elettra sono affari suoi e di nessun altro”, ribattè lei, con tono sicuro.
“Dico solo che non voglio che tu ti riduca come lei”
“A fare la prostituta?”, disse lei, sputando quelle parole come se fossero veleno.
“A rovinare la tua reputazione in quel modo”, la corresse lui. “Cosa credi che sia la tua amica per lui, se non più di un semplice giocattolo? Non voglio vederti ridotta a semplice giocattolo di qualcuno, cosetta”. L’ultima frase era ridotta ad un semplice sussurro, come se stesse parlando di una delle sue paure più recondite e, forse, era proprio così. “Non ti ho portata qui a Firenze per vederti ridotta in quel modo”
“Mi hai portata qui per essere finalmente libera di vivere la mia vita”, disse Costanza. “E non preoccuparti, sia io che Elettra siamo in grado di cavarcela da sole”
“Quindi puoi confermarmi di non aver conosciuto nessuno?”
Nella mente della giovane si materializzò immediatamente un volto: la pelle ambrata, i capelli scuri, gli occhi color cioccolato e la barba folta; non potè fare a meno di piegare le proprie labbra in un sorrisetto da ebete, pensando a Zoroastro. “Nessuno, non nel modo che intendi tu”
L’espressione della guardia svizzera si fece dura, mentre scrutava attentamente il volto di Costanza. “Perchè mi stai mentendo?”, le chiese, brusco, tornando ad indossare nuovamente la propria maschera da spietato mercenario. I suoi occhi, però, rivelavano anche una certa apprensione nei confronti della ragazza. 
“Non ti sto mentendo”, ripetè lei.
“E io sono nato ieri”, ribattè lui, sarcastico. “Credi che dopo tutti questi anni io non riesca a capire quando tu menti?”. C’era anche dell’irritazione nel suo tono di voce. Irritazione per il fatto che lei, comportandosi in quel modo, sembrava quasi non fidarsi di lui. Dopo tutti gli anni passati fianco a fianco, si sarebbe aspettato tutt’altra risposta. Si sarebbe aspettato che lei gli aprisse il proprio cuore, proprio come quando erano in Francia. A quanto pare, però, non era solo il suo modo di vestirsi ad essere cambiato in quei mesi. 
“Non è come credi tu. I nostri rapporti non sono così intimi come quelli tra Elettra e il Conte”, provò a spiegare Costanza. “Non mi spingerei mai tanto oltre. Devi fidarti di me, Sanor”, disse, prendendo nuovamente la sua mano fra le proprie e guardandolo dritto negli occhi.
“Ti te mi fido. E’ degli altri uomini che non mi fido”, rispose lui.
“Lui non mi farebbe mai del male”, tentò di rassicurarlo: Zoroastro non avrebbe mai fatto del male nemmeno ad una mosca, figurarsi se ne avrebbe fatto a lei.
“Voglio un nome, cosetta”. Chiunque fosse, avrebbe passato davvero dei brutti momenti. Sempre che non gli fosse accaduto di peggio...
“Mi dispiace ma no, non posso dartelo”, rispose lei. Il mento alto e lo sguardo deciso, per nulla intimorito dalla figura minacciosa di Sanor.
“Firenze non è un posto adatto a te”, ribattè lui. “Potremmo fuggire insieme, lontano da questa città ed andare in posto dove nessuno ci conosce. Potremmo ricominciare da capo”, le propose con lo sguardo supplichevole. Sguardo che non aveva mai rivolto a nessuno prima di allora e che appariva così inusuale su di un mercenario come lui.
Senza quasi rendersene conto, erano arrivati davanti alla casa di Elettra.
Costanza sospirò: era arrivato il momento dei saluti.
“Pensaci, Costanza. Mi darai una risposta sabato sera, al ballo”, disse, prima di andarsene.
 
***

La sera del ballo...

“Costanza, pensi di uscire dalla tua stanza o vuoi restare lì per tutta la serata?”, urlò Elettra, dall’altra parte dell’elegante porta di legno della biblioteca. “Che non si azzardino poi a dire che sono io quella in ritardo: per una volta la colpa non è mia!”, continuò il proprio monologo, senza ottenere alcuna risposta dall’interno della stanza. “Costanza, sei sicura che vada tutto bene?”, chiese, cominciando a preoccuparsi seriamente a causa del silenzio che regnava sovrano. “Posso entrare?”, chiese per puro formalismo, dal momento che aveva già abbassato la maniglia della porta.
Costanza si trovava seduta su di un divanetto, pronta per la festa, ma con lo sguardo fisso su di una pila di libri, ammucchiati su di un costoso tappeto persiano. Osservava la copertina finemente lavorata del volume in cima a quella precaria torre, eppure la sua testa sembrava essere altrove. 
Talmente presa dai propri pensieri, nemmeno si accorse dell’arrivo della bionda.
“Costanza, che ti prende?”
La giovane voltò il capo verso di lei, osservandola con occhi vacui.
“Non sono più certa di voler venire”, disse semplicemente, tornando immediatamente a guardare il pavimento davanti a sè.
“Ma non dire stupidaggini”, ribattè subito la bionda. “Ora alzati immediatamente da lì!”
“Vai Elettra, tu vai pure a divertirti”, ripetè.
La ragazza sbuffò, poi prese un bel respiro e fece cadere a terra alcuni libri che si trovavano sul divanetto, in modo da potersi sedere accanto all’amica.
“È da qualche giorno che ti comporti in modo strano e ora questo: non facevi altro che parlare di quanto non vedessi l’ora di questa festa. Che cosa ti è successo?”
“Elettra, finirai per arrivare in ritardo se non ti sbrighi”
“Sono già in ampio ritardo, per chi mi hai presa?”, ribattè lei, sarcastica, riuscendo a strappare a Costanza una breve risata.
“Allora, cosa è cambiato?”, ritentò la bionda.
Costanza sospirò. “Sanor mi ha proposto di fuggire con lui. Dice che Firenze non è adatta a me”
Elettra parve oscurarsi, alle parole dell’amica. “Cosa hai deciso?”, chiese. L’espressione improvvisamente diventata seria.
“Io...io non lo so. Firenze mi piace e poi qui ho te...e ho Zoroastro. Ma Sanor lo conosco da molto più tempo e...”
“Vieni alla festa: balla, bevi vino e schiarisciti un po’ le idee”, la interruppe la bionda.
“Il vino non aiuta a schiarire le idee”, ribattè l’altra, con tono da saputella.
“Fidati di una che ne sa più di te”, disse Elettra, mettendosi in piedi. “E ora alzati: dobbiamo andare ad un ballo”, aggiunse, prendendo entrambe le mani di Costanza ed aiutandola ad alzarsi.

***

Più tardi, a Palazzo della Signoria...

Leonardo si guardò in giro per il grande salone dei banchetti pensieroso, quasi come se non si sentisse completamente a proprio agio; cosa alquanto rara per il noto artista, eppure che accadeva ogni qual volta i Medici organizzassero una festa alla quale fosse invitato. Al suo fianco, Zoroastro osservava tutto a bocca aperta: non aveva mai visto tanto sfarzo raccolto tutto nella stessa stanza; le decorazioni floreali, i giochi d’acqua, i preziosi abiti degli invitati...tutto irradiava ricchezza e stile. Quello era un mondo in cui il moro si sentiva come un pesce fuor d’acqua, proprio come Leonardo ma, a differenza sua, lui era pure un imbucato.
“Leo, Zo!”, li chiamò una voce alle loro spalle. Una voce squillante e fin troppo conosciuta; il loro unico punto di riferimento in quello strano mondo a parte che era l'elitè fiorentina.
Si voltarono entrambi e non poterono fare a meno di osservare ammaliati la figura della giovane di fronte a loro: Elettra indossava un abito che di certo non passava inosservato. Con il corpetto stretto e la gonna che scivolava leggera sulle sue forme longilinee, il vestito era fatto completamente di tulle trasparente, ricoperto in alcuni punti da ricami dalle tonalità azzurre, permettendo così di celare alla vista il busto e le gambe da metà coscia in sù; gli stessi motivi erano poi ripresi sul fondo della gonna, sullo scollo rotondo e sui bordini delle maniche a tre quarti. Senz’altro un indumento ad effetto, difficile da portare. I capelli, lasciati sciolti, le ricadevano dolcemente sulle spalle in soffici boccoli dorati ed erano illuminati qua e là da piccole gemme di vetro, creando così l’effetto di tante gocce di pioggia. 
Agghindata in quel modo così inusuale, Elettra rappresentava al meglio il tema scelto per quella festa: l’acqua.
“Vuoi forse farci venire un infarto?”, le chiese Zoroastro, riferendosi al suo aspetto.
“E non hai ancora visto l’abito di Costanza, mio caro”, ribattè lei, facendogli l’occhiolino.
A sentire nominare la francese, il moro cominciò a guardarsi intorno, nella speranza di scorgerla. “Ma...dov’è Costanza?”
“Doveva chiarire un paio di cose con la sua guardia del cuore”, rispose Elettra. 
Il moro a quelle parole sbiancò. “E...e l’hai lasciata sola con quello?!”, urlò.
“Sanor le aveva chiesto di partire con lui, credo sia andata a dargli una risposta”
Il poveretto la guardò con un’espressione  stralunata. “Che..che cosa vuole fare Costanza?”
La giovane, a vedere l’amico in quello stato, non potè fare a meno di scoppiare a ridere. “Zoroastro, non preoccuparti: Costanza non lascerebbe mai Firenze”
“Dove sono andati?”, le chiese, brusco.
“Nei giardini, credo”, rispose Elettra. “Ma se fossi in te li lascerei risolvere i loro problemi senza pubblico”, aggiunse. Ma Zoroastro si era ormai allontanato a grandi passi e non riuscì ad udirla.
La ragazza si voltò verso Leonardo, con un sorrisetto sulle labbra. “È cotto a puntino”
“Più che cotto”, le fece eco l’artista.  
Elettra si portò il proprio bicchiere di vino bianco alle labbra, pensierosa, lo sguardo che vagava per la sala, come se cercasse qualcuno. “Ah...Lorenzo ti sta cercando”, disse con noncuranza.
“Che-che cosa?”, balbettò lui, in difficoltà.
“Tranquillo Leonardo, resterò sempre con te, non ti lascerò solo nemmeno un momento e...”
“Elettra, ci faresti il favore di lasciarci soli” 
“Ogni vostro desiderio è un ordine, Lorenzo”, ripose in automatico, non appena la voce imperiosa del Magnifico le giunse alle orecchie. “Vado a prendere un altro bicchiere di vino nel frattempo”, aggiunse, allontanandosi.

Elettra si diresse verso il bancone degli alcolici, dove vi erano decine di bicchieri pieni che aspettavano solo di essere svuotati da qualcuno.
Indugiò un attimo, indecisa tra un Chianti e uno Chardonnay. Alla fine optò per il primo, certa che non sarebbe passato molto prima di passare anche al secondo.
Avvertì una presenza alle proprie spalle e poco dopo una mano le sfiorò un braccio, in un gesto apparentemente casuale, prima di afferrare anch’essa uno dei numerosi calici.   
“Quanto dovrò aspettare per toglierti quell’inutile abito di dosso?”, le sussurrò una voce suadente all’orecchio.
La giovane si voltò, trovando a pochi centimetri da sè Girolamo. “Non vi piace il mio abito, Conte?”, chiese ironica.
Riario si concesse alcuni secondi, per studiare la figura della ragazza e non potè fare a meno di deglutire, mentre la salivazione aumentava. “Sei magnifica”, disse, con la voce un po’ più bassa del solito. “Anche se...”. Dovette interrompersi, mentre un altro invitato si avvicinava al tavolo, prendendo un bicchiere di vino. Volse un cenno di saluto al Conte, prima di complimentarsi con Elettra della festa ed infine allontanarsi.
La osservò ancora attentamente, indugiando sulle sue forme.
“Anche se?”, ripetè lei, invitandolo a proseguire il discorso da dove si erano fermati.
Girolamo sbattè più volte le palpebre, mentre riprendeva contatto con la realtà. “Anche se ci sarebbero molti più posti in cui quell’abito starebbe meglio”
“Tipo?”
“Su pavimento, insieme ad altri abiti”
“Dovrei indossare qualcos'altro quindi?”
“O potresti non indoss...”, Girolamo si bloccò di colpo, mentre Gentile Becchi si avvicinava a loro.
L’anziano consigliere lo fulminò con lo sguardo mentre Elettra, arrossita di colpo, faceva un paio di passi indietro.
“Salve, Conte”, disse Becchi a denti stretti. 
“Salve, Becchi”, rispose lui, tornando alla sua solita aria fredda e distaccata.
Vide l’uomo lanciare un’occhiata di rimprovero alla nipote, prima di aprire nuovamente bocca e parlare. “Cosa mia nipote non dovrebbe indossare, se posso chiedere?”
“Il proprio pugnale”, fu la sua immediata risposta. Aveva ascoltato altro della loro conversazione? Sperò proprio di no, ma a giudicare dalla faccia del fidato consigliere dei Medici...
Becchi alzò gli occhi al cielo, prendendo la decisione di non voler indagare oltre. “Elettra, avrei un paio di persone da presentarti”, disse, prendendola a braccetto e conducendola via.
La ragazza fece appena in tempo a voltarsi verso Girolamo, mimandogli un ‘A dopo’ con le labbra.

***
Nel frattempo, nei giardini del Palazzo...

“Hai preso la tua decisione, cosetta?”
Sanor osservò attentamente la giovane: indossava un abito verde acqua, dalla forma leggermente a sirena; aveva le maniche lunghe e presentava un profondo scollo a V, arricchito da motivi sugli stessi toni dell’abito, che da lì parevano irradiarsi al resto del vestito e che tanto ricordavano delle alghe. I capelli, raccolti in un morbido chignon sulla nuca, lasciavano scoperta la tenera linea del collo.
Costanza sospirò: aveva cercato di rimandare quel momento il più a lungo possibile, prima passeggiando per quei lussureggianti giardini e poi chiacchierando del più e del meno, ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato.
“Sì, ho preso la mia decisione”, disse. E solo quelle parole le costarono uno sforzo immane.
“Potresti venire a Roma con me, l’ambiente romano è molto più controllato e più adatto a te”, disse Sanor, prendendo fra le sue grandi e ruvide mani quelle della ragazza, al cui confronto apparivano tanto minuscole. “Saresti felice a Roma, con me”
Lo sguardo di Costanza si fermò su di esse. Sarebbe stata davvero in grado di rifiutare la sua offerta, dopo tutto quello che quell’uomo aveva fatto per lei? Lui non se lo meritava, non meritava un rifiuto. Non dopo averle salvato la vita.
La sua bocca si aprì, come a voler dire qualcosa, ma la voce si rifiutava di collaborare. “Io...”, riuscì a mormorare all’ennesimo tentativo. “Io non...”
“Io non posso farlo”, avrebbe probabilmente detto, se non fosse stata interrotta dall’arrivo di una terza persona.
“Costanza non puoi lasciare Firenze!”, urlò Zoroastro, correndo verso di lei. 
La giovane lo osservò mentre, con le guance rosse per lo sforzo impiegato a percorrere di corsa tutti i giardini del palazzo, si piegava sulle ginocchia per riprendere fiato. 
“Zo che...che cosa ci fai tu qui?”, chiese, il volto pallido.
“Non posso permetterti di partire”, disse il moro, riprendendo fiato tra una parola e l’altra.
Sanor lo fissò con diffidenza, la mano che lentamente andava a stringersi intorno all’elsa della propria spada mentre faceva un passo avanti. “E tu chi diavolo sei?”, chiese, non preoccupandosi minimamente di nascondere tutta la propria irritazione.
Zoroastro lo osservò in cagnesco, tenendo alto il mento con aria di sfida. Sarebbe finita male, molto male se Costanza non avesse fatto subito qualcosa: si frappose tra i due, poggiando una mano sull’avambraccio del mercenario, facendogli intendere di allontanare le mani dalla propria arma.
“Lui è...”, si avvicinò a Zo, prendendo una mano tra le sue. “Beh...lui è Zo”, disse, non potendo fare a meno di arrossire.
Sanor studiò prima l’espressione della giovane, non potendo fare a meno di notare l’inusuale colore delle sue guance, poi quella del moro, che guardava lei con una strana luce negli occhi. Luce che lui conosceva fin troppo bene.
“Cosa significa questo?”, chiese, se possibile ancora più irritato di prima.
Già, che significava? Neanche Costanza riusciva a dare un significato, o meglio una definizione, a ciò che la legava a Zoroastro. “Ehm...noi...”, balbettò, sentendosi immensamente a disagio, come stretta tra l’incudine e il martello. Stavano davvero insieme? No, era più complicato di così: non era ancora un rapporto così stretto come quello che legava Elettra al Conte, ma non si poteva escludere che lo sarebbe potuto diventare in futuro...era un sentimento ancora agli inizi, da crescere e coltivare nel tempo.
La sua mente, che indugiava così tanto ad arrivare ad un verdetto, si svuotò completamente nell’istante in cui Sanor si fece avanti, colpendo Zoroastro al naso con un abile gancio destro.
Il moro arretrò, senza però perdere l’equilibrio e, una frazione di secondo più tardi, rispose al colpo.
Cominciarono ad azzuffarsi.
Costanza nel frattempo si era allontanata di alcuni passi, per non farsi coinvolgere inavvertitamente. “Voi due! Smettetela immediatamente!”, tentò di urlare invano, aspettandosi  che i due litiganti la stessero a sentire e si fermassero.
“Se hai osato sfiorarla anche solo con un dito...”, incominciò Sanor, con l’ennesimo pugno alzato, pronto a colpire Zo, momentaneamente finito a terra. Fu però interrotto dallo sgambetto del moro, che gli fece perdere l’equilibrio, cadendo in modo tutt’altro che delicato sul pavè di granito bianco che lastricava gli innumerevoli sentieri che si diramavano per tutto il parco.
“Smettet...Sanor lascialo in pac...Zo, no...non farlo!”, tentò inutilmente Costanza, ancora una volta. 
Sbuffò frustrata, mentre la pazienza veniva meno.
Quando i due contendenti si alzarono in piedi, cominciando a correre uno dietro all’altro, anche la giovane si mise a correre dietro di loro, tenendo alto l’orlo della gonna per non inciampare, in modo tutt’altro che signorile. 
“Siete entrambi dei bambini!”, urlò nuovamente. 
Dal salone dei banchetti cominciarono ad uscire alcune persone, attirate da rumori sospetti e dalle grida; tra di loro vi erano anche Elettra e il Conte.
“Cosa sta succedendo?”, chiese la ragazza, prima di notare Zoroastro e Sanor azzuffarsi poco lontano da una delle numerose fontane decorative.
“Sono due idioti”, ribattè Costanza con amarezza.
Elettra si voltò verso il proprio accompagnatore. “Girolamo, cosa aspetti ad intervenire?”
L’uomo la guardò con un affilato sorriso ironico, che non prometteva niente di buono. 
“È una tua guardia svizzera, dalle immediatamente l’ordine di fermarsi”, lo spronò nuovamente lei.
“Perchè mai dovrei farlo? È il primo fatto interessante che accade dall’inizio della festa”
La bionda sbuffò, tornando a guardare i due contendenti che, così impegnati a darsele di santa ragione, non di erano accorti del bordo della fontana,  che si faceva sempre più vicino: ci caddero entrambi dentro.
Sulle labbra della giovane si formò un sorrisetto. “Sì, forse è un pochino divertente”
“Elettra!”, la richiamò Costanza, alzando gli occhi al cielo.
“Tanto non posso di certo intervenire a dividere quei die gatti rognosi”, ribattè.
Aveva appena finito di parlare che nel giardino fece il suo ingresso il Capitano Dragonetti, seguito da un manipolo di guardie della notte; si avvicinarono alla fontana dove, in mezzo a ninfee e altre piante acquatiche, i due litiganti si stavano ancora azzuffando. Riuscirono a dividerli in poco tempo, decretando la fine dello spettacolo per gran parte dei curiosi che erano accorsi.
Nel giardino rimasero solo le guardie, i due contendenti, Costanza, Elettra, il Conte e...Lorenzo era a pochi metri da loro e reggeva in mano quello che aveva tutta l’aria di essere uno degli inviti al ballo, ma aveva qualcosa di differente dal solito. Appena Elettra volse lo sguardo nella sua direzione, il Magnifico la incenerì con lo sguardo. 
“Sei un mare di guai”, disse Gentile Becchi, comparendo apparentemente dal nulla alle spalle della nipote.

***

Poco dopo...

“Ahia!”
“Zoroastro, se non avessi attaccato lite ora non ti lamenteresti”, gli fece notare Costanza, mentre premeva un panno di stoffa imbevuto di disinfettante sull’escoriazione che il moro aveva riportato sopra al sopracciglio destro.
Si trovavano nello studio di Elettra, dove erano stati condotti in seguito all’intervento del Magnifico. 
Dall’altro lato della stanza, Sanor, che non aveva alcuna intenzione di medicarsi le ferite -tanto meno permetterlo a qualcun altro- seduto affianco al Conte Riario, osservava in cagnesco i due, non perdendosi nemmeno mossa della giovane. Riario invece pareva avere un’aria assorta, probabilmente stava pensando a quello che Lorenzo e Becchi stavano dicendo in quegli stessi istanti ad Elettra, convocata in fretta e furia nello studio del Magnifico: era lei ad avere la responsabilità di tutto quello che succedeva alla festa, anche delle liti e la colpa, in quei casi, sarebbe stata sua.
Leonardo, seduto comodamente sulla superficie della scrivania, cercava in tutti i modi di trattenere le risate alla vista di Zoroastro che si lamentava per un paio di insignificanti taglietti. Lo vide sussultare vistosamente non appena Costanza gli avvicinò nuovamente il panno al viso e questa volta non riuscì proprio a non lasciarsi andare ad una risata.
“Divertente”, commentò il moro con sarcasmo.
“Zo, sta fermo”, lo rimproverò nuovamente Costanza.
L’uomo abbassò il capo, cercando di sopportare stoicamente il dolore. Restò in silenzio per alcuni istanti, prima di decidersi a parlare nuovamente. “Costanza, mi dispiace”, mormorò.
La giovane alzò la testa, osservandolo dritto negli occhi ed incitandolo silenziosamente a proseguire.
“Mi dispiace per tutto quello che è successo ma...ma quando ho sentito la notizia che saresti partita io...io ormai non posso nemmeno pensare di vivere senza di te”
Sulle labbra della ragazza si formò un ampio sorriso. Lasciò cadere a terra i medicamenti, stringendo forte le braccia intorno al collo di Zoroastro. 
“Non me ne andrò da Firenze, resterò qui con te”, ribattè lei.
Mentre loro due si stavano ancora godendo quel dolce momento, la porta dello studio si aprì ed Elettra fece la sua comparsa.
“Non ti ha licenziata, vero?”, chiese immediatamente Leonardo, scendendo con un piccolo balzo dalla scrivania.
La bionda osservò prima lui, poi passò a riservare la propria attenzione al Conte: ormai aveva imparato a leggere in quella maschera di apparente apatia ogni singola manifestazione di sentimenti e, in quel momento, appariva preoccupato.
“Conte, per caso a Roma vi servirebbe un cerimoniere di corte o qualcosa di simile?”
L'uomo scosse la testa, mentre gli altri trattenevano il respiro.
“Per fortuna, perchè altrimenti non saprei proprio chi consigliarvi”, disse lei, ironica.
“Non ti ha licenziata?”, chiese nuovamente Leonardo, sorpreso.
“No, dovrò solo dirigere i lavori di restauro della villa di campagna”, rispose. 
I suoi occhi azzurri, in quel momento più attenti che mai, vagarono per la stanza, soffermandosi in particolare su Zoroastro e sui suoi vistosi lividi e poi su Sanor, ancora sporco di sangue e terra. 
“Tutto è bene quel che finisce bene”, disse, nuovamente ironica.
“Elettra, ti faccio notare che non è così”, la riprese Leonardo.
“Suvvia, artista”, ribattè, calcando quella parola esattamente come avrebbe fatto Riario e ridendo alla vista della reazione di Da Vinci. “Se ce l’ho fatta a tenere te e il Conte nella stessa stanza senza che tu faccia esplodere qualcosa o lui ti punti uno stiletto alla gola, riuscirò anche a mettere d’accordo questi due”


Nda
Salve a tutti! Sì, contro ogni pronostico eccomi di nuovo qui con un capitolo dopo mesi di silenzio causa università.
Siamo ritornati a parlare di Costanza e Zoroastro...con l'aggiunta del terzo incomodo che non fa mai male ;)
Vorrei ringraziare Shaon Nimphadora che mi ha dato lo spunto per questa storia e mi ha gentilmente prestato i suoi personaggi :)
Per gli abiti delle nostre donzelle ci siamo ispirate a questo  e questo; ovviamente l'abito azzurro di Elettra ha un po' più di stoffa di così e quello di Costanza dovete immaginarvelo color verde acqua. Ma con una buona dose di immaginazione sono certa che li apprezzerete :D
Alla prossima, sperando di riuscire a pubblicare prima di agosto 

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Capitolo 7
*** Di pop corn, di film e di battaglie ***


Nda
Ehilà! Sì, sono ancora viva. 
Innanzitutto vi voglio mandare un augurio di buone feste, poi vorrei parlare di questa one shot un po' diversa dalle altre: i personaggi sono sempre loro, ma è ambientata ai nostri giorni. Il povero Girolamo interpreta un insegnante universitario (il caro Leonardo gli ha pure dato un nuovo soprannome) mentre il resto dell'allegra combriccola sono delle matricole e, visto che non c'è limite al peggio, pure coinquilini (Zoroastro e Costanza sono abusivi e dormono su un divano, ma questo è un piccolo dettaglio). 
In versione studenti in crisi me li sono immaginati così ;)
Buona lettura. 

Di pop corn, di film e di battaglie    
 
Girolamo entrò nel proprio studio con passo stanco,  sfinito da sei ore consecutive di lezione. Poggiò in modo insolitamente brusco i libri sulla scrivania e si sedette stancamente sulla propria seduta. Reclinò il capo all’indietro e chiuse momentaneamente gli occhi. 
Quando, di malavoglia, fu costretto a riaprirli, notò un bigliettino ripiegato innumerevoli volte fare capolino tra le matite. 
Sorrise, intuendo di chi fosse: a quanto pare, nonostante avesse perso il conto di quante volte avesse detto ad Elettra di non entrare nel suo studio quando lui non c’era –e soprattutto di non forzare la serratura per entrare-, certe cose a quella ragazzina impertinente non riuscivano proprio ad entrare in testa. 
Finalmente, riuscì ad aprirlo tutto. 
Stasera da me. Alle nove, puntuale. 
Elettra 
PS: porta i pop corn 
 
Girolamo alzò un sopracciglio, perplesso. Che cosa aveva in mente Elettra per quella sera? Scosse la testa perché, ormai lo aveva imparato a proprie spese, quando si parlava di lei era saggia cosa non fare domande. 
Di una cosa almeno era certo: sarebbero senz’altro stati solo loro due.  
Per una volta, per una rara volta, Girolamo Riario si era sbagliato. Ma ancora non lo sapeva. 
 
*** 
 
Quella sera... 
 
Girolamo bussò alla porta con il suo solito fare deciso, in mano teneva un sacchetto della spesa contenente un paio di confezioni di pop corn appena comprate. 
Dopo pochi attimi, la porta si aprì. Elettra si affacciò sulla soglia con il suo solito abbigliamento (si fa per dire) da casa: una vecchia maglietta bianca con qualche scritta sbiadita.  
La ragazza non fece neanche  in tempo a salutarlo, che lui le fu subito addosso. La borsa della spesa cadde a terra, mentre entrambi indietreggiavano verso il divano. 
“Prendetevi una stanza!”, urlò Zoroastro, stravaccato sul grande divano in pelle e con la testa poggiata sulle ginocchia di Costanza, che gli accarezzava lentamente i capelli.  Leonardo, al suo fianco, scoppiò a ridere, mentre Nico e la mora guardavano altrove, sentendosi improvvisamente di troppo. 
Girolamo, che non si aspettava assolutamente nessun altro in casa, al suono di quella voce sussultò, staccandosi in fretta dalle labbra della ragazza. 
Elettra guardò prima i suoi coinquilini seduti comodamente sul divano e poi lui. Si morse un labbro, nervosa, mentre le guance per l’imbarazzo le si coloravano di un rosso acceso.  
Non riuscì proprio a contenersi di fronte alla faccia interdetta di Girolamo e alla fine scoppiò a ridere. 
Dal canto suo, il poveretto cercò in tutti i modi di stemperare la passione. Osservò con la sua solita aria di sufficienza tutte le persone di troppo, quella sera. In poche parole tutti i presenti. Sbuffò infastidito. 
“Bene”, disse Leonardo alzandosi dal divano e dirigendosi verso il grande televisore a schermo piatto, “Ora che anche il trombaprofessore è arrivato, direi che possiamo finalmente guardare il film” 
Girolamo  gli lanciò un’occhiataccia che, se solo avesse potuto, avrebbe incenerito quel presuntuoso artista all’istante.  
Elettra, dal canto suo, ridacchiò sommessamente. Nel mentre mise i pop corn in due grandi ciotole. 
“Mi aspettavo una serata differente”, le disse Riario avvicinandosi, sottovoce, per non farsi sentire dagli altri. 
La ragazza gli sorrise entusiasta. “Cosa c'è di meglio di Brad Pitt che fa Achille in Troy?” 
“Mi hai fatto venire qui a tradimento” 
Lei alzò le spalle con fare indifferente. “Vedila come un’opportunità  per conoscere meglio gli altri”. Si spostò dal bancone, lasciando Girolamo a borbottare tra sè e sè. 
La vide sedersi sul divano, lasciando un posto vuoto per lui, proprio di fianco all’artista. Prese un lungo sospiro: la serata si prospettava parecchio lunga. 
Si sedette al proprio posto e sentì un brivido di paura lungo la schiena osservando la faccia dei suoi vicini: sembravano pronti a combinarne qualcuna da un momento all’altro.  
Elettra gli appoggiò sulle gambe una delle due ciotole con i pop corn e poi gli si rannicchiò contro, cercando una posizione comoda. 
L’artista premette il tasto play e il film partì. 
 
*** 
 
Il più forte guerriero acheo, nella sua tenda, disteso fra morbide e calde pellicce, completamente nudo... 
 
“Achille non è proprio niente male”, si lasciò sfuggire Costanza, soprappensiero, troppo concentrata ad osservarne la figura con sguardo rapito. Appena si rese conto di aver formulato quel pensiero ad alta voce, le sue guance divennero rosse per l’imbarazzo. 
Zoroastro la guardò alzando un sopracciglio, perplesso. Per un qualche strano motivo aveva appena perso la simpatia per Achille. E per Brad Pitt in generale. 
“Io un colpetto glielo darei”, disse Leonardo, con la bocca piena di pop corn. “E non solo a lui”, aggiunse facendo l’occhiolino a Riario.  
L’altro lo guardò con la sua solita aria intimidatoria, mentre Elettra, con la testa appoggiata sul suo petto, se la rideva di gusto. “Direi che quel gonnellino striminzito gli stia proprio bene”, commentò poco dopo, quando il guerriero uscì dalla propria tenda pronto per la battaglia. 
“Hai sentito Girolamo?”, fece di nuovo l’artista, tirandogli una gomitata delle costole. Il bicchiere di Coca-Cola che quest’ultimo aveva in mano ondeggiò pericolosamente. “Direi che dovrai comprarne uno anche tu” 
Il diretto interessato chiuse gli occhi, prendendo l’ennesimo lungo respiro per calmarsi. Era da quando era arrivato lì che si ripeteva nella testa come un mantra di essere superiore a tutti quegli scherzi infantili. Sfortunatamente, quel film durava decisamente troppo tempo. 
E se l’artista cominciava a fare battute indecenti già dopo appena cinque minuti dall’inizio, non poteva immaginare cosa sarebbe successo più avanti... 
 
*** 
 
Patroclo ed Elena, uno di fronte all’altra, vicinissimi. I corpi che quasi si sfiorano. Gli occhi carichi di desiderio. 
Elena portò le mani verso le maniche della sottile veste, aprì i fermagli che la tenevano legata e in un attimo questa cadde a terra, lasciandole il corpo completamente esposto allo sguardo di Patroclo che, in un attimo, colmò la breve distanza che li divideva... 
 
“Dovremo fare un toga party!”, disse Leonardo, alzandosi di scatto dal divano. Ci mancò davvero poco che rovesciasse il bicchiere di Girolamo. Quest’ultimo sospirò quasi di sollievo: nella scena in cui Elena si spogliava di fronte a Paride, si sarebbe aspettato tutt’altri commenti che, sinceramente, non voleva proprio sentire. 
“Perché dovremo fare un toga party?”, gli chiese Zo, sarcastico. 
“Ho scoperto che le toghe mi piacciono”, ribatté l’artista. 
‘Vi prego, non continuate’, pensò Girolamo. 
“Hai visto, amico mio, con che facilità si tolgono?” 
‘Appunto’. Riario doveva ormai saperlo, che certi commenti in quella strana casa non si potevano proprio evitare. 
Zoroastro sorrise all’amico: aveva finalmente capito quello che Leonardo intendeva. Il suo sguardo, tutt’altro che innocente, si alzò, andando ad incontrare quello di Costanza che, prima di accorgersi del tutto, chiacchierava sottovoce con Elettra, seduta al suo fianco. 
“Non ci pensare neanche”, gli disse con un tono che non ammetteva repliche. Le sue guance nel frattempo si colorarono di un rosso acceso. 
“Potremmo farlo giovedì prossimo”, propose Elettra. “Un toga party il giovedì universitario...Suona bene!” 
Girolamo la fulminò con lo sguardo, quasi a volerla intimare a non continuare. Peccato che lei neanche se ne accorse; aveva stampata in volto l’espressione tipica di Da Vinci in piena ispirazione. E non portava mai a niente di buono. 
“E se il toga party lo organizzassimo in università?”, continuò la ragazza. 
Riario scosse la testa: se fossero stati soli probabilmente l’avrebbe zittita con un bacio ma, con gli occhi spiritati dell’artista puntati addosso, non lo avrebbe mai fatto. “Sisto non lo permetterà mai”, si limitò a dire. 
Elettra lo guardò contrariata. “Neanche se mi aiuterai tu?”, gli chiese con un tono di voce un po’ più basso del solito, ad un soffio dalle sue labbra. Lo guardò con la sua solita espressione implorante da cerbiatto impaurito. 
“Ma io non ho nessuna intenzione di aiutarti”, ribattè lui, distogliendo gli occhi da quelli color cielo di lei: se avesse continuato a guardarla sapeva benissimo che prima o poi avrebbe accettato. “E’ una pessima idea”, aggiunse. 
La ragazza lo guardò contrariata, prima di staccarsi da lui bruscamente. 
“A proposito di università e feste...”, cominciò a dire Nico. “Anche a voi è arrivata l’email dell’università?” 
“Io non leggo mai le email dell’università”, dissero in contemporanea Leonardo ed Elettra. Quando se ne resero conto, scoppiarono entrambi a ridere. 
Girolamo, che sapeva perfettamente a cosa si riferisse il giovane Nico, lo implorò con lo sguardo di non continuare, ma quest’ultimo non colse il messaggio. “Stanno cercando studenti che diano una mano per l’organizzazione di feste ed eventi” 
“Davvero?”, disse la ragazza, alzandosi di colpo in piedi sul divano. Guardò Riario, cercando una conferma a quello che Nico aveva appena detto. 
Seppur riluttante, l’uomo non potè fare altro che annuire. 
“Da quello che ho sentito in giro tutti gli altri candidati se la sono data a gambe a causa di Sisto”. I suoi coinquilini lo dicevano sempre che in Nico si nascondeva una delle più informate pettegole fiorentine. 
“Uno è stato pure internato in un’ospedale psichiatrico”, aggiunse Girolamo. Sperava di riuscire a far tornare Elettra suoi propri passi, cercando di metterle paura. 
 Lei, invece, non lo aveva neanche ascoltato. 
“Domani ne parlerò con Lorenzo: voglio assolutamente quel posto”, disse la ragazza, con un sorriso a trentadue denti. 
“Se le feste saranno come quelle che organizzavi alle superiori, credo proprio che mi imbucherò spesso”, disse Zoroastro.   
 
*** 
 
Achille completamente nudo si chinò sopra a Briseide, adagiata sopra a coperte di pelliccia, soli soletti nella loro tenda all’accampamento acheo...  
 
Ed ecco il momento più delicato: sulla notte di passione di quei due Girolamo si aspettava fior fior di commenti poco eleganti. Sospirò, preparandosi alle allusioni e agli occhiolini che Elettra, l’artista e il moro si sarebbero scambiati di lì a poco... 
 
Briseide guardò negli occhi Achille.  
“Sono ancora tua prigioniera?” 
“Ospite direi”... 
 
Elettra e Costanza lo osservavano attentissime alla scena, quasi con la bavetta alla bocca. “Se proprio gli servono delle prigioniere, noi ci offriamo volontarie”, disse la bionda. 
“Vengo anche io!”, fece Leonardo, alzandosi di colpo dal divano. 
A differenza delle altre volte, Girolamo non fu abbastanza veloce a schivare il suo braccio e il bicchiere pieno di Coca Cola cadde sulla sua camicia nera. 
Fulminò l’artista con lo sguardo, intimandosi allo stesso tempo di restare calmo. 
Elettra prese il telecomando, mettendo prontamente in pausa il film. “Leonardo Da Vinci...” 
‘Ecco’, pensò Riario, ‘Ora gli darà una bella strigliata per avermi rovesciato il bicchiere sulla camicia nuova’. Guardò l’artista con un sorrisetto di sfida. 
“...Ti rendi conto che hai rovinato il film proprio sul più bello?!” 
Girolamo si voltò verso di lei, indicandole la camicia. 
“Si, ora vado a cercare qualcosa da metterti al posto di quella”, disse la ragazza  in tono sbrigativo;  appariva parecchio seccata anche con lui, indifferentemente dal fatto di chi fosse la vittima.  
La seguì verso la camera dell’artista.  
“Vi concediamo al massimo dieci minuti, poi il film riprenderà da dove lo avevamo lasciato”, urlò Leonardo dal salone. 

***
 
“Perchè siamo quì?”, chiese Girolamo. Osservò con un sopracciglio alzato il disordine che regnava sovrano nella camera dell’artista: esattamente come la camera della ragazza che ora stava rovistando in un mucchio di vestiti ammassato in un angolo del letto. 
“Provati questa, presumo che sia pulita e che ti vada bene”, disse Elettra, lanciandogli in piena faccia una maglietta appallottolata. 
Riario la aprì, osservando perplesso la scritta ‘Harry Potter’ a caratteri cubitali, con tanto di simbolo dei Doni della Morte. “Io questa non la metto”. Era categorico. 
Elettra gli si avvicinò, sorridendogli maliziosamente. “Allora credo che ti toccherà restare a torso nudo”, gli disse ad un soffio dalle sue labbra, cominciando a slacciargli lentamente i bottoni della camicia. 
“E se lasciassimo  perdere il film? Tanto lo sappiamo entrambi a memoria, mia diletta”, le sussurrò, quasi sfiorando con le proprie labbra le sue. Poggiò le mani sui suoi fianchi, tirandola a sè. 
“Non mi perderei Achille nudo per niente al mondo”, ribattè lei, sfilandogli la camicia e lasciandola cadere a terra.  
Girolamo scosse la testa. Una punta di divertimento passò per i suoi occhi color nocciola prima di poggiare le labbra su quelle di lei. Magari, così, le avrebbe fatto cambiare idea. 
Le sue mani corsero immediatamente sotto la sua vecchia maglietta bianca, cercando il contatto con la pelle. 
Elettra rabbrividì, sentendo le sue dita fredde passare lentamente lungo la sua vita stretta. Sentì Girolamo afferrare i lati della maglietta, per sfilargliela ma, con l’ultimo barlume di lucidità che le era rimasta, si staccò da lui. “Continuo a preferire Achille”, disse ridendo. Il suo sguardo, però, diceva tutt’altro. 
Lui la guardò contrariato mentre veniva aiutato ad infilarsi quella ridicola maglietta dell’artista. 
“Sai che la scritta si illumina al buio?”, disse Elettra con un sorriso a trentadue denti, come se il simbolo fosforescente dei Doni della Morte fosse la cosa più stupefacente di questo mondo. Alle volte Girolamo proprio non la capiva. Ma non poteva fare a meno di lei.  
Sospirò, osservando la ragazza prenderlo per mano e trascinarlo fuori dalla stanza. 
“Alla buon’ora”, disse l’artista vedendoli arrivare. “Se non fosse stato per Costanza, probabilmente sareste arrivati a film già ripartito”. Osservò attentamente Riario, decisamente più rilassato di quando era andato via, ed Elettra, con il viso leggermente arrossato. “Sveltina?”, chiese curioso. 
“Leonardo Da Vinci!”, lo rimproverò la ragazza, esasperata. Nel frattempo il suo viso da leggermente arrossato era diventato color peperone. 
 
*** 
 
“Farò un patto con te: al cospetto degli dei impegniamoci a che il vincitore conceda al perdente le onoranze funebri rituali”, disse Ettore.  
Era il momento dello scontro finale tra il principe troiano ed Achille. 
“Non si fanno patti tra leoni e uomini. Ora sai con chi ti batti”, ribattè il guerriero. 
“Io credevo che fossi tu quello di ieri. E magari lo fossi stato. Ma ho concesso al cadavere l'onore dovuto” 
“Gli hai concesso l'onore della tua spada! Non avrai gli occhi stasera, né orecchie, né lingua. Vagherai per l'oltretomba cieco, sordo e muto e i defunti diranno ‘Ecco Ettore, lo stolto che credeva di avere ucciso Achille’". 
 
Elettra, fino ad un attimo prima appoggiata con tutto il proprio peso a Girolamo, si mise ritta sulla propria seduta con le gambe incrociate e un’espressione attenta. Con le mani sembrava mimare le mosse dei due guerrieri: adorava la scherma e la  praticava fin da bambina. 
“Ora si mette ad anticiparne mosse”, sussurrò Zoroastro all’orecchio di Costanza. 
“Affondo!”, disse Elettra, completamente presa dalla scena. Sospirò frustrata, quando Ettore fece tutt’altro. 
Costanza guardò Zo ed entrambi si misero a ridacchiare. 
Se non fosse stata così concentrata,  la bionda probabilmente avrebbe notato il pop corn che le passò davanti agli occhi, fermandosi poco oltre al suo ginocchio. 
Un secondo invece le arrivò sui capelli, lasciati per una volta sciolti. 
Quando finalmente Achille riuscì ad avere la meglio su Ettore, attaccando il suo corpo ormai privo di vita al proprio carro e trascinandolo via, Elettra parve riscuotersi e tornare nel mondo dei comuni mortali. Sbattè più volte le palpebre, guardandosi intorno e notando i pop corn che si erano andati accumulandosi intorno –e addosso- a lei. Voltò immediatamente il viso a sinistra, verso Leonardo, che la guardava con uno dei suoi tipici sorrisi. “Non sono stato io”, le disse, facendole l’occhiolino; cercando di passare il più possibile inosservato, le indicò Girolamo. “Io gli ho detto più volte di smettere, ma lui non mi ha ascoltato”, mentì spudoratamente. 
Elettra, che orami aveva deciso di reggergli il gioco, si voltò verso Riario, fingendo una faccia offesa.  
“Stai scherzando, vero?”, disse lui. 
“Prima ti rovesci la Coca addosso, poi fai i capricci per una maglietta e ora ti metti a giocare con il cibo...Mi sembra di dover badare ad un bambino dell’asilo”, commentò. Elettra avrebbe voluto un Oscar solo per la sua interpretazione, ma si dovette accontentare del sorriso soddisfatto di Leonardo. 
‘L’unico qui che sembra dover badare a dei bambini sono io’, pensò il povero Girolamo, sbuffando per l’ennesima volta. Si girò verso l’artista, che gli sorrise in modo strafottente. 
 
*** 
 
Ulisse osservò attentamente un guerriero acheo mentre intagliava un cavallino in legno, un giocattolo per il figlioletto lasciato in patria. Il suo cervello in quel momento ebbe la famosa illuminazione per quello che poi sarebbe stato ricordato nei secoli come il ‘Cavallo di Troia’... 
 
“Mi è venuta un’idea”, fece Leonardo, sottovoce, ad Elettra. Per avvicinarsi ancora di più a lei si allungò su Girolamo, sdraiandosi di fatto sulle sue ginocchia. Quest’ultimo guardò l’artista con un’aria tutt’altro che amichevole. 
“Quando l’assalto a Troia avrà inizio, scateneremo l’inferno”, fece Da Vinci, osservando in modo enigmatico la ciotola di pop corn che Zoroastro, ignaro delle loro macchinazioni, teneva in mano. 
Elettra gli sorrise, intuendo alla perfezione tutto. “Vado a fare scorta di munizioni”, disse alzandosi e raccogliendo da terra la loro ciotola, quasi vuota. 
“Artista, spostati”, sibilò Girolamo, appena fu certo che Elettra non potesse sentirlo. 
Da Vinci si girò, sorridendoli alla sua maniera. “Sai Girolamo che non sei per niente scomodo come seduta?” 
“Leo, stai occupando il mio cuscino”, disse Elettra, di ritorno con il contenitore che sembrava voler trasbordare pop corn da un momento all’altro. 
Leonardo la guardò, cercando di replicare come meglio poteva l’espressione da cerbiatto impaurito con la quale lei riusciva sempre ad ottenere ogni cosa. “Ce lo dividiamo?”, chiese supplichevole. 
Girolamo osservò Elettra scuotendo la testa. “Per questa volta”, rispose lei, appoggiandosi su Riario. 
 
*** 
 
I soldati che fino a poco prima si trovavano nascosti nella pancia del cavallo di legno uscirono furtivi, massacrando chiunque trovassero e dirigendosi ad aprire le porte della città, per permettere al resto dell’esercito acheo di entrare. La battaglia finale aveva avuto inizio. 
 
Elettra e Leonardo si guardarono negli occhi: l’artista annuì impercettibilmente.  
“Carica!”, dissero insieme, prendendo una bella manciata di pop corn e lanciandola contro Zoroastro, Nico e Costanza. 
“Ma cos..?”, provò a ribattere il moro, prima che gli finissero anche in bocca. 
Le due pesti scoppiarono a ridere, ma presto dovettero ripiegare dietro a Girolamo: Zo aveva preso in mano la propria ciotola e si apprestava a controbattere. 
Il povero Riario, suo malgrado, finì nel bel mezzo dei combattimenti. 
Presto il campo di battaglia diventò bianco di pop corn, mentre i combattenti erano schierati a mo’ di trincea ai lati del divano, usando i cuscini come scudi. Da una parte vi erano Zoroastro –che faceva quasi tutto il lavoro-, Nico e Costanza –che più che altro erano lì per proteggersi-. Girolamo invece resisteva stoicamente al proprio posto; in quel momento era fermamente convinto che un gruppo di urlanti ed isterici bambini dell’asilo sarebbero stati considerati degli angioletti al loro confronto.  
“Abbiamo finito le munizioni”, disse Leonardo, mentre si parava la testa con un cuscino.  
Elettra alzò velocemente la testa, per controllare come se la cavassero dall’altro lato della trincea. “Anche i nemici sono agli sgoccioli” 
“Attendiamo che abbiano finito e poi gli colpiamo alle spalle?” 
“Ottima idea, Da Vinci”. Le battaglie con i pop corn erano questioni serie e, come tali, bisognava rendere il tutto con toni molto ufficiali.  
Aspettarono che Zoroastro lanciasse gli ultimi rimasugli e poi, silenziosamente, cominciarono a fare il giro del divano, fino ad arrivare alle spalle dell’ignaro gruppo.  
“A morte i nemici!”, urlò Leonardo, mentre colpiva a cuscinate la testa di Zoroastro. 
“Siete dei fottuti bastardi”, ribattè lui, recuperando due cuscini e cominciando a contrattaccare. Anche Costanza, seppur titubante, raccolse da terra un cuscino. Nico invece scappò nel corridoio, preferendo osservare la scena da lontano. 
Elettra schivava e contrattaccava con un’agilità notevole, perfezionata in anni ed anni di scherma e guerre con i cuscini. Era davvero difficile riuscire a colpirla, mentre la povera Costanza, al contrario, prendeva fin troppe cuscinate.  
La bionda stava per colpirla per l’ennesima volta in pieno petto...“Costanza!”, urlò Zoroastro, spostandosi improvvisamente e mettendosi davanti a lei, facendole così da scudo con il proprio corpo. Per il contraccolpo cadde a terra. 
“Zoroastro”, disse lei, chinandosi di fianco a lui. “Mi hai salvata” 
“Tu mi hai dato la pace in una vita di guerra”, sussurrò in tono tragico, in perfetta sincronia con Achille, morente fra le braccia di Briseide. Poggiò la testa sulle ginocchia di Costanza e chiuse gli occhi, fingendosi morto. 
Elettra e Leonardo si guardarono a vicenda, scoppiando a ridere, seguiti a ruota dalla coppietta a terra. 
“Propongo un trattato di pace”, disse Zoroastro. 
“Propongo un’alleanza”, ribattè la bionda, voltandosi e guardando di sottecchi Girolamo e Nico. 
“Non abbiamo ancora sancito una pace e già proponi un’alleanza?” 
“Beh... Sai come si dice, Zo? Tieniti stretti gli amici ma ancora di più i nemici” 
Zoroastro si mise ad osservare oltre la spalla della ragazza, dove Riario li stava guardando con aria contrariata. “E tu i nemici noto che li tieni molto stretti” 
Elettra gli fece l’occhiolino. “I disertori vanno puniti”, continuò il proprio discorso.  
I quattro risero.  “Tu e Costanza vi occupate di Nico e io e Leo di Girolamo?” 
“Andata”, disse Zoroastro, sancendo quell’alleanza temporanea con una vigorosa stretta di mano. 
 
*** 
 
Si può dire che l’idea di provare ad attaccare a suon di cuscinate il temibile Girolamo Riario non fu decisamente la migliore di Elettra. Anzi, fu la peggiore della serata. 
Di certo, nè lei nè il geniale artista avevano previsto quello che poi alla fine sarebbe accaduto.  
Ci avevano provato, davvero, ad attaccarlo, ma il risultato... 
Elettra non riusciva a spiegarsi come aveva fatto un professore di storia medievale a sopraffarla così. Insomma, che Girolamo fosse tutt’altro che in cattiva forma lo aveva intuito anche lei: bastava semplicemente guardarlo! Ma di certo non si aspettava che sotto a quegli addominali perfettamente scolpiti ci fosse anche un ottimo combattente. 
Un attimo prima aveva tentato di lanciargli in faccia un cuscino e un attimo dopo si era ritrovata messa a mo’ di sacco di patate, sulla sua spalla, in una posizione molto imbarazzante.  
Girolamo la portò in camera, chiudendosi la porta alle spalle, e la lasciò cadere sul letto in modo tutt’altro che delicato. Elettra si massaggiò il polso dolorante; per disarmarla glielo aveva piegato dietro alla schiena, in una posizione alquanto innaturale. Lo osservò con un’espressione molto contrariata. “C’era davvero tutto questo bisogno di portarmi in spalla, Tarzan?”, chiese con quel suo solito tono impertinente. 
Lui la costrinse a sdraiarsi, facendo pressione sulle sue spalle, e poi si stese sopra di lei. “Qualcuno dovrà darti una lezione, prima o poi”, le sussurrò in un orecchio, pizzicandoglielo con il suo leggero accenno di barba. 
“E vorresti farlo tu?”, chiese lei, provando a divincolarsi.  
“Può darsi”, rispose vago Girolamo. La sua mano, nel frattempo, risaliva lentamente la gamba della ragazza, sfiorandogliela appena. 
Elettra attirò il suo viso ancora di più a sè, stringendo forte la sua maglietta. “Non avrai vita facile, allora”, gli disse a fior di labbra. 
Quella breve distanza stava per essere annullata del tutto, quando qualcuno aprì la porta. 
Leonardo fece irruzione nella stanza. “Di là si stanno chiedendo se si...”, osservò molto attentamente la scena che aveva davanti. “Ho interrotto qualcosa?”, chiese con finto rammarico. 
Girolamo Riario lo fulminò con lo sguardo: anche un bambino lo avrebbe capito... 
“Assolutamente no”, rispose Elettra che, approfittando della momentanea distrazione di Girolamo, riuscì a sgusciare via da sotto di lui. “Bene, Leo, che vuoi dirci?” 
“Abbiamo bisogno di un piano d’azione, diciamo che la situazione è piuttosto grigia” 
“Per due pop corn a terra?”. Quel tono di voce impertinente non lo usava solo con Girolamo. 
“Due pacchi. E parecchie piume”, la corresse Leonardo. 
“Siamo riusciti a rompere anche i cuscini?”. Elettra non se ne era neanche resa conto. 
Da Vinci annuì mestamente. 
“Oh” 
 
*** 
 
Quando Elettra, Girolamo e Leonardo giunsero nel salone, la situazione era decisamente peggiore di quanto la ragazza avesse immaginato: vi erano piume e pop corn sparsi ovunque, anche  ridotti in poltiglia sul tappeto ed incastrati nel divano. 
Avevano un problema. 
“Niente che la signora che viene a pulire non possa risolvere”, tentò di minimizzare Elettra. Ovviamente non avrebbe mai ammesso il contrario.
Zoroastro alzò una mano, chiedendo il consenso a parlare. La bionda gli diede la parola. “Io e Costanza ci rifiutiamo di dormire in questo porcile” 
“Chi ha sporcato, che pulisca”, provò a  mediare Costanza. 
“Allora mettiamoci tutti al lavoro”, disse Elettra. 
“Ehm...”, Zoroastro cercava un modo carino per dirle che lo avrebbero dovuto fare lei e Leonardo,  “Tocca a voi due” 
“Avete partecipato anche voi”, ribattè subito lei. 
“Ma avete iniziato voi. La nostra è stata semplice autodifesa” 
“Allora se proprio dobbiamo fare i pignoli l’idea è stata di Leon...”. Elettra non riuscì a finire la frase che vide Leonardo schizzare in camera propria alla velocità dea luce. Provò a corrergli dietro, ma la porta si chiuse prima che lei la raggiungesse.  
“Leonardo Da Vinci, non fare il bambino!”, urlò, battendo i pugni sulla porta. “Esci e assumiti le tue responsabilità” 
Dall’altra parte, il geniale artista, in risposta, diede due giri di chiave alla porta. 
“Non costringermi a forzare la serratura”, lo minacciò lei. 
“Mi sto appunto tutelando” 
Si sentì un rumore di mobili che venivano trascinati: Leonardo aveva bloccato la porta mettendoci davanti la scrivania. 
Elettra, dall’altra parte, sbuffò di frustrazione. 
Non fece in tempo a chiedere agli altri se le avrebbero dato una mano che anche Nico corse in camera propria. 
Zoroastro prese Costanza per mano. “Stasera dormiremo anche noi in un letto vero”. Detto questo, si rifugiarono nella camera della bionda che, presa alla sprovvista, non riuscì a fermarli. 
“Fantastico”, commentò sarcastica; le pulizie di primavera sarebbero toccate tutte a lei. 
O forse no... 
Guardò con occhi supplicanti Girolamo, poggiato comodamente al bancone della cucina. 
“Non ci pensare neanche”, disse, cogliendo la sua richiesta. 
“Io...io non...”, si mise a balbettare lei. 
“Tu non cosa?”, chiese lui. Le sue labbra si piegarono nel suo sorrisetto sarcastico. 
“Non so come pulire questo casino”, sussurrò con voce flebile. 
Girolamo alzò un sopracciglio, perplesso. “Magari é il caso di prendere una scopa” 
“Scopa”, ripetè Elettra. Si guardò in giro con aria sperduta: con quei grandi occhioni azzurri assomigliava molto ad un cucciolo smarrito. 
“Tu non hai la più pallida idea di dove vengono tenute le scope in questa casa, vero?” 
La ragazza lo guardò imbarazzata, mordendosi nervosamente il labbro. 
Girolamo prese un lungo respiro, pensando che in quel momento la pazienza fosse una virtù essenziale. “Avete uno sgabuzzino?”, chiese. 
Elettra ci pensò sù un attimo, poi il suo viso si illuminò. “La stanza delle necessità!” 
Lui alzò un sopracciglio, perplesso. 
“Tu non hai mai visto Harry Potter, vero?” 
“No” 
La ragazza gli sorrise: le era appena venuta un’idea sul prossimo film da guardare tutti insieme. 
“Sappi che non metterò mai più piede qui dentro per vedere un film” 
Lei fece una smorfia di pura disapprovazione. “Comunque sì, credo che tu lo possa chiamare anche sgabuzzino” 
Lo guardò, aspettandosi da lui qualche mossa. 
“Vai a prendere quella scopa, dai”, venne incoraggiata da Girolamo. 
Titubante, si incamminò in quella direzione. 
Si sentirono parecchi colpi, qualche imprecazione e alcuni oggetti cadere ma, alla fine, dopo alcuni minuti, Elettra tornò con in mano il tesoro di quell’estenuante caccia. 
“Credo sia questa”, disse, osservandola titubante. 
“Già”, commentò Girolamo.
La ragazza provò a passargliela ma, cordialmente, lui le fece capire di tenerla lei. 
Restarono per un po’ in silenzio: lei vagava con lo sguardo per la stanza, mentre lui la guardava incuriosito. 
“Pensi di incominciare prima che faccia l’alba?”, le chiese, sarcastico. 
“Io...ehm...”, sul suo volto comparve di nuovo quell’espressione imbarazzata che Girolamo non le aveva mai visto. In quel momento non sembrava la solita ragazzina impertinente, ai suoi occhi appariva quasi timida. “...non ho mai fatto niente de genere”, confessò alla fine. 
“Sarebbe ora di iniziare”, commentò lui, sempre più divertito. Si appoggiò al bancone della cucina, osservando attentamente le sue mosse molto impacciate. 
Elettra, dopo alcuni –ed infruttuosi- colpi di scopa, alzò la testa, incrociando i suoi occhi color nocciola. Sbuffò infastidita. “Come se tu non avessi una donna delle pulizie che fa tutto al posto tuo!”, sbottò. 
“Mai avuto una donna delle pulizie”, disse Girolamo con un sorriso. “E ora meno parlare e più lavorare!” 
 
*** 
 
Un paio di ore più tardi... 
 
“Finito!”, disse Elettra in tono liberatorio. Lasciò cadere la scopa a terra, osservando fiera di sè stessa il salone, tirato nuovamente a lucido. 
Si passò una mano sulla fronte, sfinita da tutto quel lavoro. 
Girolamo, disteso comodamente su divano, si alzò, avvicinandosi a lei. 
“Ottimo lavoro”, le sussurrò ad un orecchio, cingendole da dietro la vita. Cominciò lentamente a baciarle il collo; era tutta la sera che aspettava quel momento, il momento di essere finalmente loro due, soli. 
“Girolamo”, lo chiamò Elettra. 
“Si?”, rispose lui con la voce un po’ roca, staccandosi per un istante dalla sottile linea del suo collo. 
Lei si morse un labbro, indecisa sulle parole da usare. “Ho le mie cose” 

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Capitolo 8
*** Antidoto ***


Antidoto 

Firenze… 

La flebile luce delle candele e il riverbero della Luna all’interno della camera da letto creavano un particolare effetto luminoso che faceva risaltare le cicatrici sulla schiena di Girolamo, rendendo quell'intricato labirinto di linee più visibile del solito, nonostante fossero ormai passati diversi anni da quando se le era procurate. Lui dava le spalle alla porta, osservando pensieroso il cielo notturno da uno dei numerosi finestroni che caratterizzavano quell’ambiente della casa di Elettra.  
La ragazza entrò nella camera con cautela, prestando attenzione a non fare rumore nonostante il vassoio che stringeva tra le mani. Le bastò un’occhiata per capire che in lui qualcosa non andava.  
Appoggiò con attenzione le tisane calde e biscotti, ormai diventato un loro consueto rito notturno, su di un basso tavolino, poi tornò alla porta, chiudendola con delicatezza.  
Girolamo doveva senz’altro aver notato la sua presenza nella stanza, ma nonostante questo rimase immobile nella propria posizione.  
Elettra gli si avvicinò con cautela, abbracciandolo in vita, facendo attenzione a non sfiorargli con gesti bruschi le cicatrici sulla schiena: non erano servite parole o spiegazioni su di esse la prima volta che le aveva notate, le era bastata un’occhiata per intuire che si trattavano dei segni lasciati da una frusta. E per capire chi ne era l’artefice: Sisto.  
Aderì con il proprio ventre alla sua schiena, aumentando la presa dell’abbraccio. 
Sospirò di sollievo quando lo avvertì poggiare le mani sulle sue; il Conte ne prese con delicatezza una, portandosela alla bocca ed indugiando con le labbra sul dorso. 
In risposta, lei gli lasciò un bacio sulla spalla nuda.  
“Che cosa ti turba?”, gli chiese in un sussurro. 
Che cosa lo turbava? Questa volta fu Girolamo a lasciarsi andare ad un lungo sospiro: non poteva di certo rivelarle il contenuto della discussione che aveva avuto con Francesco Pazzi quel pomeriggio. Oppure della missiva segreta che Sua Santità gli aveva inviato quello stesso giorno. 
La parola chiave di tutto? Porre fine alla dinastia dei Medici. E a chiunque fosse loro leale. 
Quella notte, dopo aver fatto l’amore, dopo che aveva sentito Elettra alzarsi dal letto e poi i suoi passi sulla scala di legno che portava alla soffitta, segno che avrebbe passato il resto del tempo a dipingere, aveva provato a dormire,  ma la sua mente aveva deciso di giocargli un brutto scherzo, ricordandogli che anche lei faceva parte della schiera di personalità da togliere di mezzo una volta che la famiglia Pazzi avesse preso il potere a Firenze. Aveva cercato di ignorare quei pensieri, ma quando aveva visto il volto di Elettra al posto di quello di Celia, quando aveva stretto le mani intorno al suo collo, non ce l’aveva più fatta a restare sdraiato a letto e si era messo a scrutare il cielo notturno. 
“Solo pensieri”, si decise di rispondere alla fine, cercando di mantenere un tono di voce neutrale, che riuscisse a non far trapelare l’angoscia che in quel momento gli attanagliava lo stomaco. Era sempre stato bravo a non mostrare agli altri le sue reali emozioni, ma, ora, gli pareva di non essere riuscito completamente nel proprio intento. 
La giovane indugiò diversi istanti sulla sua prossima mossa, il suo fiato caldo che si infrangeva contro la pelle di lui. Lasciò una lenta scia di baci dalla spalla fino all’attaccatura del collo. 
“Sappiamo entrambi che non è così”, mormorò alla fine.    
Il Conte strinse ancora di più la presa intorno alle sue braccia, chiudendo gli occhi e rilassando finalmente la propria postura, lasciandosi cullare dalla sensazione del suo corpo caldo contro il proprio. 
“Posso fare qualcosa per farsi sentire meglio? Qualsiasi cosa, Girolamo”, gli sussurrò lei ad un orecchio. 
Avrebbe voluto raccontarle tutto, discutere insieme su di una soluzione per tenerla al sicuro, aprirsi finalmente e completamente a lei. Ma sapeva che tutto quello non sarebbe stato possibile. 
Si limitò a sciogliere l’abbraccio e a voltarsi nella sua direzione. Indugiò per diversi momenti con lo sguardo fisso nei suoi magnetici occhi azzurri, dopodichè poggiò le labbra sulle sue. 
Averla accanto, poterla stringere tra le proprie braccia, era tutto ciò che gli bastava per sentirsi meglio. 


Nda 
Ehilà! Eccomi qui con la prima delle  due integrazioni al capitolo IV. Avete già capito su chi si concentrerà il capitolo? Buona lettura
Avviso: Anche il prossimo mese l'appuntamento sarà sempre su questa raccolta di ff e non su Cielo e Tenebra!
 

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Capitolo 9
*** Amanti ***


Amanti 
 
1477, estate 
 
“Conte Riario?” 
Girolamo trattenne a stento una risata per il tono così formale che lei aveva usato. Si staccò dal davanzale della finestra a cui si era appoggiato. Le tende della camera della giovane si muovevano leggere nell’aria per via della leggera brezza estiva mentre la notte lasciava lentamente posto al giorno.  
“Sì, madonna”, disse solenne, voltandosi verso di lei. Non potè fare a meno di trattenere il fiato alla vista di Elettra con indosso la sua camicia; solo i primi bottoni dal basso erano chiusi, lasciando così un profondo scollo a v che andava fino all’ombelico.  
La osservò mentre piegava le labbra in un sorriso di pura soddisfazione.  
Fece alcuni passi nella sua direzione con l’idea di annullare del tutto la distanza che li divideva, ma all’ultimo lei mise tra di loro due tazze di tisana fumante. Controvoglia, tra le risate della giovane, ne prese una tra le mani. 
“È ai frutti di bosco, la tua preferita”, rivelò Elettra, andando a sedersi a gambe incrociate sul fondo del letto.  
Girolamo la raggiunse, mettendosi accanto a lei. “Grazie”, sussurrò a voce bassa, profonda, bevendone poi un sorso.  
La guardò fare lo stesso e solo allora notò le macchioline di vernice colorata sulle sue sottili mani… e sulla propria camicia nera. Sospirò: era certo che lo avesse fatto apposta. 
“Hai dipinto tutta la notte?”  
Succedeva spesso, dopo aver fatto l’amore, che Elettra andasse in soffitta a dipingere. E succedeva spesso che lo facesse per tutta la notte.  
Annuì, prendendo poi l’orlo della camicia tra le mani e osservando attentamente le macchie di colore su di essa. “Poteva andare meglio però”, disse con una smorfia di disappunto. 
Girolamo lo sapeva che quella sua ultima affermazione era riferita al fatto che la maglia non fosse diventata abbastanza colorata. Si mise ad osservare con finta attenzione la stanza intorno a lui. Tutto pur di non darle la soddisfazione di vederlo con un’aria contrariata. 
Elettra però lo notò eccome, dal momento che si lasciò andare ad una lunga risata. 
Riario la fissò con ancora più disappunto nel proprio sguardo. “Come dovrei giustificare una camicia in simili condizioni secondo te?”, borbottò. 
La giovane provò ad assumere un’espressione più seria, ma quel sorriso da presa in giro, che assumeva tutte le volte che provocava Girolamo, non pareva proprio volerla lasciare. “Innanzitutto…”. Si allungò sul letto, per riuscire a poggiare la tisana sul comodino, per poi ritornare seduta. “…tu sei un Conte, non devi giustificare nulla a nessuno”, disse a bassa voce. Si mise a cavalcioni su di lui. “E poi puoi sempre parlare di un’improvvisa passione per la pittura, Arlecchino”, aggiunse con un sorriso beffardo. 
“Preferisco sempre il nero”, ribattè Riario, il cui sguardo, però, mentre parlava, non era catturato dagli occhi celeste della giovane, ma dalle sue labbra appena dischiuse. Si avvicinò lentamente ad esse, decidendo all’ultimo di deviare sul suo sottile collo. 
“Finirai per essere scambiato per un becchino un giorno o l’altro”, commentò lei. Sussultò di sorpresa quando, come risposta, ricevette un morso. 
Girolamo tornò a guardarla negli occhi con un sorriso pienamente soddisfatto. “Un becchino?”, soffiò ironico ad un soffio dalla sua bocca. 
Elettra si lasciò cadere con la schiena sul letto, trascinando con sé anche lui. “Un affascinante becchino”, sussurrò. 
“Siamo in vena di complimenti”, constatò il Conte, sistemandosi meglio su di lei. “C’è qualcosa che devi farti perdonare forse?”, chiese retoricamente.  
Lei gli sorrise maliziosamente. “Ho già in mente come” 
Girolamo piegò le labbra in uno dei suoi sorrisi affilati, di quelli che non promettevano nulla di buono. “Anche io, mia diletta”, sussurrò a sua volta. Passò lentamente le mani sulle sue gambe, facendo sempre più pressione mano a mano che saliva. La sentì inarcare la schiena per avvicinarsi di più a lui. “Verrò a vederti dipingere in soffitta”, disse, allontanandosi soddisfatto. 
Elettra sbattè più volte le palpebre per ritrovare un po’ di lucidità. La sua espressione si fece imbronciata. “No”, disse categorica.  
Riario si rimise seduto e riprese a sorseggiare la propria tisana. Anche lei si posizionò nuovamente a gambe incrociate; allacciò qualche altro bottone della camicia. “Provaci e domani faccio installare a Leonardo qualche suo congegno a trabocchetto” 
“Ormai conosco tutti i trucchi dell’artista”, ribattè lui in tono saccente. 
“È proprio qui che ti sbagli…”, disse lei a bassa voce, tornando ad avvicinarsi a lui. “Leonardo è come noi donne: quando credi di sapere tutto di noi… ti dimostriamo il contrario. Mai sottovalutarci” 
Girolamo la osservò per alcuni istanti con un’espressione indecifrabile, prima di assalire all’improvviso la propria preda… e cominciare a farle il solletico. “Tu e l’artista non siete gli unici da non sottovalutare”, le sussurrò ad un orecchio. 
“Girolamo!”, obbiettò lei, tra una risata e l’altra. 
“Spiacente, mia diletta, ma hai un debito da saldare”


Nda 
Ehilà! Buongiorno a tutti, rieccomi di nuovo qui con la seconda, chiamiamola così, "deviazione dalla storia principale". Prometto che è l'ultima e che il mese prossimo aggiorno Cielo e Tenebra.
Come sempre, buona lettura!
 

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Capitolo 10
*** Zita ***


Un piccolo gesto di conforto

I pensieri di Zita nei momenti in cui Elettra prendeva la decisione circa la propria vita…

“Non posso perderla, Zita”, disse Girolamo con la voce ridotta ad un flebile sussurro. Una lacrima sfuggì al suo controllo, ma la spazzò via con un gesto veloce della mano prima che la fedele serva abissina se ne accorgesse.
Quest’ultima avrebbe tanto voluto poter dire qualcosa per essere di conforto, ma, dopo le parole del cerusico, che avevano lasciato ben pochi spiragli di ripresa, l’ultima cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata infondere false speranze. 
Alzò per un istante lo sguardo dal pavimento, osservando il proprio padrone con compassione mentre portava per l’ennesima volta alle labbra la mano della donna che amava. C’era devozione in quei gesti, constatò. C’erano dei sentimenti che un estraneo avrebbe considerato troppo lontani dalla sua natura.
Girolamo non era un santo, lei lo sapeva bene, eppure ai suoi occhi non meritava di soffrire così tanto, non meritava di perderla: aveva commesso azioni orribili, ma quella non era la sua natura. E lei ne era certa.
Fece alcuni passi avanti, verso di lui, e gli appoggiò una mano sulla spalla.
Un piccolo gesto di conforto. Tutto quello che poteva offrirgli.


Nda
Un'altra piccola parte di Cielo e Tenebra che in fase di revisione ho eliminato ma che non avevo cuore di cancellare del tutto...
Ehilà! So che non è esattamente il massimo dell'allegria per farvi gli auguri di buon anno, ma comunque: BUON ANNO! 
Come sempre: appuntamento al mese prossimo su Cielo e Tenebra 

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