Il Bacio della Fenice

di Francesca lol
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tanto tempo fa, su queste terre, vivevano esseri puri e buoni. Tra questi c'erano le Fenici, i Dragoni, i Grifoni, i Giganti infine le Morellandi. Vivevano in pace gli uni con gli altri, ma ogni cosa bella ha la sua fine.

Scoppiò una guerra, così grande e terribile che lo stesso Sole si nascose a quella vista mentre l'Oceano protestava allagando tutto, indignato.

Attualmente non si sa per quale motivo ci fu. Anche se io credo che, in fondo, nessuno di quelle creature era così buona. O forse erano ingenui. Quando penetrò il Male tra loro, non seppero come affrontarlo: fu questa la loro rovina. Però non è questo che ti interessa, vero Fuocherello?

In ogni caso, la Luna ed il Cielo erano gli unici che riuscivano a guardarli. Il secondo, piangendo lacrime amare alla vista di quella perfezione che si distruggeva con le sue stesse mani. Per questo, dalla rabbia per quello che lui riteneva uno stupido conflitto, non mostrò più loro le Stelle. Le uniche che in qualche modo riuscivano a confortare i combattenti.

Chiesero aiuto agli altri. Ebbero l'idea che, se avessero visto un po' d'Amore ciascuno, magari le cose sarebbero migliorate. Crearono gli umani, crearono noi. Furono talmente sorpresi da questi piccoli esseri che si bloccarono momentaneamente solo per osservarli meglio. Essi, li persuasero a non combattere più, a tornare al loro antico splendore. Accettarono. Solo per poco.

Noi li superammo, da sempre inferiori. E questo non andava per niente bene.

Ci fu un'altra guerra. Questa volta fummo coinvolti anche noi. Fu uno sterminio: specie su specie si estinsero, cadaveri su cadaveri vennero bruciati. Nacque la Malattia.

Sopravvissero solo pochi di noi. Il resto, per chi non era già morto, fuggì.

Si dice che esistano ancora alcuni esemplari. Io dico che sono solo fandonie.

Ma niente è impossibile, giusto Fuocherello?”

Un corno. Il suo suono possente risuonò in tutta la capitale, devastando il tranquillo e pacifico silenzio che aleggiava in Trundast. Ci fu un attimo in cui tutto, perfino il Tempo, sembrò fermarsi: le poche persone ancora sveglie smisero di respirare, affinando l'udito; gatti, cani, topi...tutti si misero in allerta.

Di nuovo. Ma questa volta più prolungato, più acuto. Fu come un'onda invisibile che attraversò Trundast. Si svegliarono tutti, in un allarme generale. Il seguito fu una disperata corsa nel cercare di proteggere le cose più care che avevano o mettersi direttamente al riparo, troppo poveri per avere qualcosa di sufficientemente prezioso. Sarebbe stato tutto inutile, Fiamma lo avrebbe scoperto più tardi.

Era sveglia, ultimamente soffriva di insonnia e osservava la gente correre da una parte all'altra. Alzò lo sguardo verso l'inizio della cittadina, poi sgranò gli occhi quando vide ergersi nel cielo una colonna di fumo. Non capiva, non capiva. Cosa diavolo stava succedendo? Sperò non accadesse quello che temeva di più.

“Signorina! Signorina, venga! Stanno arrivando! Signorina, venga subito!” Strillò Madierance, la cameriera. Le prese un polso, trascinandola fuori dalla sua stanza.

Scesero velocemente le scale ma un boato le fermò momentaneamente. Si sentirono delle urla e Fiamma sentì l'angoscia montarle nel petto. Non si fermarono più.

A piedi nudi, fu costretta ad attraversare l'intero castello, trascinata da quella signora in carne a cui voleva tanto bene. Ad un certo punto, però, i ruoli si invertirono e fu Fiamma a trascinare Madierance.

Si ritrovarono nella Sala del Trono, dove i suoi sospetti si rivelarono fondati.

Suo padre, re Mingord, era in armatura assieme ad un'innumerevole quantità di soldati.

Ruggiva ordini a destra e manca mentre gli altri ubbidivano senza protestare.

La regina, vicino ai troni, era vestita del primo abito che aveva trovato, con i capelli scombinati e le labbra serrate in una linea dura. Era in piedi e sembrava avere, nonostante tutto, quell'area di regalità che Fiamma le aveva sempre invidiato.

Al suo fianco c'erano i più fedeli consiglieri del padre: a destra Helmon, il più basso del gruppo, dai capelli rossicci e gli occhi verdi. Le era affezionata perché il suo sorriso era talmente buono che non potevi non volergli bene. E la faceva sempre ridere.

A sinistra, Gingrerem. Occhi celesti, capelli castani, affascinante e portamento fiero. Lui e il re non andavano molto d'accordo, Mingord temeva potesse essere interessato alla regina. Nonostante tutto, però, era quello che dava i consigli più validi e pratici. Neanche a lei piaceva tanto, la sua logica era...strisciante, di quella che avresti attribuito ad una serpe.

Il più distante, Steser, era biondo e con gli occhi castani. Era il migliore quando si trattava di reati nel regno. Il più giovane, sposato da poco ma già con una bella bimba.

Fiamma si era avvicinata pian piano al re, sgomitando tra ferro e corpi. Non le interessava di mostrarsi in camicia da notte, i problemi principali erano altri.

“Che cosa ci fai qui?!” Urlò il sovrano, quando la vide. Scosse la testa, non era per quello che era venuta.

Il bagliore dell'armatura gli metteva in risalto i suoi occhi grigi. Fiamma aveva sempre pensato che suo padre, da giovane, avesse fatto stragi di cuori. Dopotutto era carismatico, intelligente e affascinante, molte avrebbero fatto cose folli per lui. Per di più era il re.

Helmon le si avvicinò, coprendola col suo mantello verde. Lo ringraziò con un sorriso, a cui lui rispose subito.

“Non ti avevo detto di portarla via?!” Sbraitò, verso Madierance. Impaurita, si fece piccola piccola.

“Perdonatemi, sire. Mi ha trascinata fin qui.” Pigolò. Fiamma le fece una carezza sul braccio, come a dirle di non preoccuparsi. Mingord storse le labbra, non era sua intenzione spaventare nessuno. Era il mix d'emozioni del momento.

“Arelix!” La regina si voltò verso loro e, nel suo lungo abito blu, si avvicinò il più velocemente possibile. Capelli neri, occhi verdi con sfumature dorate, naso all'insù. Una parola: bellissima.

“Portala via di qui, dalle il cavallo più veloce che abbiamo e falla fuggire. Ora!” Le ordinò.

Fiamma scosse più volte la testa, velocemente. Si lanciò ad abbracciare il padre, sentendo sotto di sé il freddo dell'acciaio.

“Se non fosse necessario, non lo farei, Fuocherello.” Le disse, ricambiando la stretta. Fiamma aveva paura. L'angoscia che aveva tentato d'ignorare, si era fatta prepotentemente sentire.

“Stanno per attaccarci. Nell'ipotetico caso che ce la faremmo, si alzeranno delle bandiere col nostro stemma reale. Se invece dovesse andare male...” L'abbraccio tra i due si fece più stretto da parte di entrambi.

“...non sarà alzata nessuna bandiera, non la nostra. Sai dove andare per controllare e rimanere al sicuro.” Si staccarono. Le fece cenno di seguirlo, avvicinandosi al suo trono. Fecero per avanzare anche gli altri, ma Mingord li bloccò con un gesto della mano. La poltrona rossa era riccamente ornata d'oro sia sui braccioli, sia sui contorni, formando dei ghirigori. Sembrava che quando una persona ci si accomodava, quei ghirigori confondessero chi guardava colui che era seduto, donandogli un'aura quasi divina. Il re premette su uno di questi prima a destra, verso lo schienale; poi in basso, sulla stoffa; di nuovo a destra ma più in basso, a sinistra, su, e nuovamente in basso.

Fiamma non notò subito il leggero movimento, troppo rapita dai movimenti del re, quando però rialzò lo sguardo le sembrò che il sedile si fosse leggermente alzato. Il re lo levò, sorprendendola. Dove prima c'era un morbido cuscino, ora, nel centro della sedia, c'erano un panno che avvolgeva qualcosa.

“So che sai usarlo. Non esitare. Mai. Ora vai. Ti voglio bene, Fuocherello.” Poi si avvicinò alla regina.

“Non mi perdonerai mai, lo so. Ma ti amo, questo non cambierà. Lei non ha colpe. Ti prego, portala al sicuro.” Bisbigliò.

“Non incolperò mai lei. È solo tua e di quella cagna di sua madre.” Lei non l'aveva detto a bassa voce, anzi. Era una vena ribelle che ogni tanto faceva capolino. Contro ogni logica, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con estrema passione.

Il re non si sorprese. O, forse, furono i suoi riflessi a farlo rispondere immediatamente.

Le avvolse un braccio intorno ai fianchi mentre l'altra mano finì nei capelli, finalmente liberi e indomiti della regina.

Fiamma distolse lo sguardo, imbarazzata. Approfittò di quel momento di pausa per abbracciare Medierance e fare un inchino ai consiglieri che risposero chi più elegantemente, chi meno. Dedicò un sorriso ad ognuno di loro nonostante la vista si stesse appannando sempre di più a causa delle lacrime che non poteva versare. Sentiva il suo cuore battere, pompare sangue come non mai. Voleva strapparselo dal petto per tentare di fermare quel dolore acuto che provava, come se le fosse stata inferta una pugnalata. Non li vedrai più, biascicò una voce sibilante nella sua testa. La scacciò violentemente.

“Andiamo.” Si voltò. E mai Arelix Arienne Gilince Dekenist Masderan Helien Dracoe le sembrò più regale e letale di quel momento.

Una spada sul fianco, arco e faretra sulla spalla. In più i capelli ribelli le davano un aspetto tremendamente sensuale. Rivolse un ultimo sguardo al padre, che le sorrise debolmente, gli occhi lucidi; poi la seguì.

Schivò più cavalieri che poteva, tentando di non perdere mai di vista Arelix.

Si ritrovarono nell'incrocio dove le scale si incontravano. La regina si diresse verso un tavolino di mogano, spostandolo, poi premette su una pietra. Fiamma corrugò le sopracciglia notando che era caduta, seguita subito da altre, in un vuoto dove prima c'era il pavimento. Vide anche l'inizio di una scala. Una piccola parte di lei si infastidì per non essere a conoscenza di quel passaggio, ma non le diede troppa importanza. Buffo, le veniva mal di testa pensando a tutti quei corridoi eppure ricordava a memoria tutti i passaggi segreti più strani e nascosti.

Arelix le sorrise, poi non perse più tempo: senza fiatare scese quasi con tranquillità, tradita dall'espressione così seria che aveva. Fu presto inghiottita dall'oscurità e lei non la vide più.

Fiamma deglutì, aveva sempre avuto paura del buio. Se ne vergognava perché ormai aveva diciassette anni eppure non poteva fare altrimenti. Odiava il fatto di non poter sapere quello che accadeva.

Arelix la chiamò e lei, titubante, iniziò a calarsi nell'oscurità.

Dopo pochi scalini non vide più nulla.

Un'ondata di gelo attraversò il suo corpo, si irrigidì e le parve impossibile proseguire. Eppure...eppure sentiva quella sensazione che non provava da...tantissimo. Quella sensazione che l'avrebbe fatta scattare appena fosse stato necessario. Adrenalina, ecco. Come le aveva più volte detto suo padre: la paura va a braccetto con l'adrenalina.

“Fiamma, forza, muoviti!” Le ripeté lei. Deglutì rumorosamente poi riprese a scendere, più velocemente possibile. Aveva immaginato che ci volesse un po' per arrivare alle stalle, dato che erano ai piani più alti e il castello era molto grande, ma non pensava ci mettessero così tanto tempo per arrivare al piano terra!

“Coraggio, siamo quasi arrivate.” La incoraggiò. Sospirò e chiuse gli occhi, tanto già non vedeva nulla a causa dell'oscurità. Li riaprì immediatamente. No, molto meglio stare con gli occhi aperti.

Sentì un gemito e un tonfo, come se qualcuno si fosse buttato ma cercò di continuare a scendere come se nulla fosse. Finalmente una luce comparve nel buio e dopo qualche gradino avvertì il vuoto. Si aggrappò giusto in tempo prima di cadere, ringraziando i suoi riflessi, dono di famiglia.

“Su, lascia. Non cadrai.” Fu piuttosto riluttante a mollare però decise di fidarsi. Si aspettava come minimo di restare sospesa nel vuoto per almeno qualche metro, invece la distanza tra i suoi piedi e il suolo fu quello di un normale saltello. Aprì gli occhi, che aveva inconsapevolmente chiuso e si ritrovò davanti il sorriso divertito della regina. Scoppiò a ridere per il sollievo e la stessa Arelix ridacchiò, scuotendo la testa. In mano aveva una fiaccola, la luce aranciata le faceva brillare gli occhi mentre le ombre rendevano il suo volto più enigmatico. Sorrise amaramente, pensando che non avrebbe mai avuto neanche un centesimo della sua bellezza.

“Tutto bene?” Le chiese, notando il suo mutamento. Annuì con un cenno secco e con un gesto elegante della mano la invitò a proseguire.

“Bene, allora. Ormai non ci resta molto, tra poco sarai al sicuro. Andrai con Morgan, il purosangue nero che ti piace tanto. Esatto, so che ti piace.” Rise silenziosamente, notando il sopracciglio inarcato di Fiamma accompagnato dall'impercettibile sorriso che le aleggiava sulle labbra. Non si erano fermate a parlare. Anzi, Fiamma stava maledicendo la veloce andatura della donna.

“Comunque. Sarà lui a portarti da Eris. Dopo che avrete passato il ponte, non passate assolutamente per il villaggio, staranno saccheggiando tutto e non oso immaginare cosa ti farebbero. Andate nei boschi e attraversate il fiumiciattolo. Dovrete trovare una quercia divisa a metà, da lì saprai tu cosa fare. Sono stata chiara?” Le prese il mento in una meno, fermandosi, e la guardò dritto negli occhi, costringendola a ricambiare. Era in preda al panico: sapere cosa fare? Lei? Quasi si perdeva nel castello, figurarsi nel bosco.

“Sono. Stata. Chiara?” Scandì lentamente. Chiuse gli occhi e sospirò, il cuore le batteva così forte che sembrava volesse sfondare la cassa toracica. Fu tentata di scuotere la testa energicamente in senso negativo ma non era il momento. Stava rischiando la vita per lei, la codardia non era il giusto ringraziamento. Annuì.

“Perfetto. Non è la più saggia delle scelte però sarai al sicuro. Dov'è ciò che ti ha dato Mingord?” Chiese, mentre abbassava il braccio. Lo aveva messo nelle tasche del mantello che gli aveva dato Helmon. Sapeva che non sarebbe caduto nulla poiché l'aveva sigillata con i due bottoni che erano al centro. Glielo mostrò, ancora avvolto da quel pezzo di stoffa vecchio e lercio. Guardò Arelix che contraccambiò, fiduciosa.

Levò lo straccio ma non lo gettò, sarebbe potuto essere uno delle poche cose che le rimanevano di suo padre. Lo rimise in tasca anche se non si assicurò che fosse chiusa. Era troppo impegnata ad osservare la fondina di quel che sembrava un pugnale. Aveva appena posato lo sguardo sull'impugnatura che entrambe avvertirono un boato e un urlo battagliero.

Non si era neanche accorta che momentaneamente la paura era scemata, ma tornò. E più forte di prima. Non per lei, no. Per suo padre, per Medierance che conosceva da quando era piccola, per tutti i consiglieri da cui era stata più o meno coccolata. Ma, pensò piuttosto egoisticamente, tremava per suo padre. Era colui che le aveva donato la vita, che la abbracciava appena poteva. Certo, non era stato sempre presente ma era suo padre, le voleva bene e lei ne voleva a lui. Tantissimo.

Non avrebbe esitato a dare la sua vita in cambio della sua. Se...se fosse morto?

No. No. No, no, no. Non sarebbe accaduto.

E se lo fosse già? Le sussurrò la voce viscida di prima. Le lacrime iniziarono a rigarle le guance, non riuscì a trattenere un singhiozzo. Stavano correndo, non c'era tempo da perdere.

I piedi nudi sfregavano contro il terreno. Le pietre le avevano inferto piccole ferite che probabilmente si sarebbero infettate, se non curate il più presto possibile.

A Fiamma non importava, voleva solo piangere stretta nelle braccia del re, svegliatasi da un orribile incubo. Oppure di urlare, di fermare tutto, di far finire quelle barbarie.

Non riusciva a smettere di piangere e si insultava per quella dimostrazione di debolezza mentre Arelix correva veloce, con la stessa regalità e serietà di una leonessa a caccia. Sapeva che Mingord l'amava, non faticava nemmeno a chiederselo. Bella, raffinata, intelligente, furba e dolce. Sì, anche dolce. Sebbene fosse nata da un'altra donna, la regina non aveva mai fatto troppe storie. Al contrario, si era comportata come fosse figlia sua. Da piccola, una volta l'aveva chiamata mamma, lei aveva sorriso come non mai e l'aveva abbracciata. Aveva continuato a chiamarla come tale fino a quando non aveva scoperto la verità. Arelix ci era rimasta malissimo ma aveva finto di ignorare il cambiamento.

Le facevano male le gambe, i polmoni, la gola, i piedi. Andava avanti solo grazie all'adrenalina e alla paura. E alla voglia di vivere. Non riuscì a non cadere quando avvertì la differenza e la mancanza delle piccole pietre, ormai aveva preso il ritmo ed era stato interrotto dall'erba bagnata.

“Alzati, muoviti! Siamo quasi arrivate!” Urlò la sua matrigna, tornando indietro. Le afferrò un braccio e le sue dita affondarono nella carne per aiutarla, facendole male.

Per quanto il suo corpo pregasse il contrario, si alzò. Scattarono di nuovo ma, rispetto a prima, la distanza tra Arelix e Fiamma fu maggiore. Le bruciava tutto.

E poi, finalmente, entrarono nelle stalle. I pochi cavalli che non erano stati utilizzati dai cavalieri erano nervosi, nitrivano e scalciavano come se stessero combattendo anche loro.

Fiamma vide il bellissimo stallone nero, l'unico calmo. La stava aspettando, lo sentiva.

Prese a rallentare, fino a camminare. Si avvicinò lentamente fin quando non gli fu davanti, tra i due passò un unico sguardo.

Arelix avrebbe giurato di aver scorto negli occhi di Morgan lo stesso luccichio che aveva notato in Fiamma, appena dopo aver chiuso il portone.

Si inchinarono nello stesso istante, facendo sorridere orgogliosa la regina. Morgan non era facile da addestrare, figurarsi avere un'intesa mentale come quella. Lo aveva sempre saputo, Arelix, che Fiamma era speciale.

Morgan sbuffò, muovendo la testa come a voler ricevere una carezza, lasciando la donna ancora più di stucco. Morgan affettuoso? Mai!

Prontamente, la richiesta del cavallo, venne esaudita.

Fiamma si ritrovò il pugnale stretto in una mano e si insultò mentalmente.

Per un momento pensò di osservarlo meglio, quando avvertì le grida. E non solo.

La pioggia cadere scrosciante, il freddo pungerle la pelle, lo scontro delle lame, i capelli bagnati appiccicati al viso, il peso del mantello ormai zuppo. L'odore di sangue e il respiro della Morte sul collo la intontirono al punto che cedette, cadendo sulle ginocchia. Non arrivò neanche a sfiorare il terreno che fu rialzata per il colletto della camicia.

“Monta, subito.” Le disse con voce dura Arelix. Era stata delusa dal notare che non era riuscita a sopportare tutto fino al momento esatto, cioè pochi secondi dopo. Doveva salire in sella e andare via, tutto qui. Perché non c'era riuscita? Non era il momento per comportarsi da principessina indifesa, pensò la regina. Non è neanche il momento per la delusione, aggiunse.

La ragazza montò a cavallo subito dopo, spinta dalla sua matrigna. La donna le allacciò la fondina del pugnale intorno la vita poi le baciò la mano. Fiamma sentì qualcosa di freddo nel palmo prima che Arelix gliela chiudesse a pugno.

“Io e tuo padre ti vogliamo bene.” Le sussurrò. Anche io ve ne voglio. Ma non ebbe la forza di dirlo ad alta voce.

La regina sorrise un'ultima volta prima di far muovere il cavallo. E partì.

Ebbe solo il tempo di voltarsi un'ultima volta, tuttavia ciò che vide la gelò, mozzandole il fiato e facendole sgranare gli occhi: entrarono tre uomini, ebbe solo il tempo di visualizzare il freddo brillare delle armi che lo sguardo tornò a sua madre. La vide farle l'occhiolino prima di sguainare la spada con uno stridio metallico. Tutto quello che sentì dopo essere uscita fu il cozzare delle lame e la speranza a cui si aggrappava disperatamente che almeno i suoi genitori avrebbero potuto farcela.

Ringraziò la pioggia che avrebbe coperto le sue lacrime, non provava nemmeno più a fermarle.

Singhiozza e tremava terribilmente, vedeva sangue ovunque: sull'erba, sugli scudi e sulle armi abbandonate al suolo, sui muri e le pareti. Era sicura di aver visto più di un cadavere, ma la sua mente si rifiutava di elaborare l'immagine e tutto ciò che ricordava di quegli uomini era solo un bozzolo nero. Le urla, di battaglia o dolore, erano ormai uno sottofondo che le sue orecchie pregavano finisse presto. I bagliori della luna sull'acciaio l'avevano illuminata come la leggera luminescenza delle saette. Se non fossero stati in quella situazione, Fiamma l'avrebbe osservata attentamente e avrebbe sorriso pensando che non era vero che la bellezza sfioriva col tempo. La Luna era la più anziana delle signore e nonostante ciò risultava sempre più affascinante.

Morgan correva veloce, i muscoli guizzavano quasi isterici, i suoi affanni si confondevano con quelli della ragazza che, dopo la corsa, non era ancora riuscita a domare.

Erano quasi al cancello, ormai. Mancavano pochi metri, doveva farcela.

Sentì urlo di dolore e fu istintivo, per lei, voltarsi. Un cavaliere con l'armatura, uno degli uomini di suo padre, era in ginocchio. Non avevo l'elmo, il viso rivolto verso l'alto. Inizialmente la ragazza non capì il motivo di quella posizione quando si accorse della figura nera che si mimetizzava nel buio; tirava l'uomo per i capelli e aveva una grandissima ascia insanguinata nella mano sinistra. La ragazza afferrò tutto al volo poi gridò come non mai. Tralasciando la certezza che Fiamma aveva sulla sorte dei combattenti del regno, Morgan, udendo lo strillo della sua padrona aveva accelerato l'andatura, evitando l'orribile spettacolo che da lì a poco avrebbe visto.

Era così stanca, di tutto. Si era già stufata della sua paura, aveva freddo e l'adrenalina era scemata velocemente, lasciando posto alla stanchezza. Poi sentì lo scalpitio di Morgan sul legno e si diede uno schiaffo per svegliarsi. Arelix, Mingord, tutti stavano combattendo per vivere, per sopravvivere. E lei che aveva una via di fuga? Poteva sprecare la vita per semplice stanchezza? Era a dir poco patetica.

Il legno fu sostituito dall'erba, foglie secche e rametti. Morgan rallentò fino alla normale andatura per una camminata. Ogni cosa aveva il doppio del peso normale eppure era tutto così confuso. Ormai non riusciva più a distinguere le lacrime dalla pioggia o la paura dal freddo.

Era tutto molto più che scuro. Fece una carezza sul collo al povero animale e continuò a muovere la mano sul suo manto caldo e bagnato, il contatto la tranquillizzava. Non poteva andare peggio. E, ovviamente, si sbagliava. Improvvisamente Morgan si fermò e Fiamma tese le orecchie. Un pigolio e un fischio si mischiarono, mettendo in allerta la ragazza. Sentì lo stesso rumore ma questa volta più vicino di prima.

Morgan nitrì e sbuffò: era nervoso. Molto. La mano di Fiamma si spostò vicino le orecchie, facendo dei grattini lungo il percorso, calmandolo leggermente.

Tum tum, tum tum, tum tum. Questo avvertì nel silenzio. Un sibilo.

Tirò le redini, lo stallone si alzò su due zampe prima di scattare. Non c'era tempo da perdere, se quel verso proveniva da quel che pensava, erano in pericolo. Ancora di più.

Si sentiva in colpa per sforzare a tal punto il suo amico ma occorreva così. Dopo tutto questo, il minimo che poteva fare era superare il ruscello.

Si voltò dietro per controllare se li stesse seguendo e vide un bagliore turchese. Imprecò in un modo che avrebbe scioccato suo padre, dovevano andare più veloci. Ad un certo punto, Morgan superò un albero e Fiamma alzò il braccio, strappando un ramo. Si voltò nuovamente e cercò di colpire quella bestiaccia, ci riuscì ma il gioiellante non si fermò.

Si rassegnò e spronò il purosangue, furono costretti a passare lungo gli alberi, tentando di confondere la bestia. I rami le graffiarono il viso e le mani mentre il mantello era ormai a brandelli.

Aveva di nuovo paura. E quella, viscida, non la faceva pensare oggettivamente. Torse il collo, era ancora dietro. Dal corpo del più lungo e possente dei serpenti, il viso leonino, l'alito e i denti velenosi come nessun altro essere. Lo chiamavano 'gioiellante' perché il suo corpo era tempestato di pietre preziose che potevano essere usate separatamente o per vestiti e collane usando interi pezzi di pelle di quel mostro. Le loro pelli erano rare, quando facevano la muta le gemme diventavano banali pietre e da vivi non erano facili da uccidere. In particolare per l'alito, altamente tossico che usavano come attacco, sfruttando la lingua. Avevano una particolarità: a caccia sibilavano mentre in caso di aiuto o per attirare l'attenzione pigolavano e fischiavano. Non sopportavano...cosa? Cosa non sopportavano? Il fuoco?

Una parte remota di Fiamma si chiedeva perché non la attaccasse con questa tecnica, avrebbe fatto prima.

Il ruscello. Finalmente il ruscello! Quando Arelix le aveva detto della quercia divisa a metà non aveva badato a questo particolare dettaglio, ma vederlo dal vivo, illuminato dalla luna, faceva un certo effetto.

Di un grigio perlaceo, si divideva immediatamente sopra le radici in due parti, proseguiva un solco per qualche metro poi i due rami principali si univano dando vita a una delle ramificazioni più vaste che la ragazza avesse mai visto. Ed esattamente al centro del buco, come se fosse un ritratto, c'era una casetta piccolissima e sull'uscio di questa vi era una donna che, in base agli atteggiamenti, pareva impaziente. Era lei, era Eris.

Morgan stava rallentando, era stanco. Non lo notò subito ma avvertì anche l'ansimare persistente. Il gioiellante tra qualche metro avrebbe potuto morderli liberamente. Spronò vanamente il cavallo, con lo sguardo ancora rivolto alla bestia che si avvicinava troppo rapidamente. Fu presa dal panico. Bene, sarebbe morta azzannata da quello schifo. Lei aveva fatto il possibile, aveva cercato di salvarsi spronando il cavallo.

Si diede uno schiaffo mentale, suo padre non sarebbe stato fiero di lei. Non sarebbe morta, non così. Non voleva morire.

E neanche lo stallone, a quanto pareva. Forza, solo pochi metri! Avevano ripreso a galoppare, l'altra sponda si avvicinava sempre di più. Ma era più vicina anche la bestia. Cosa diavolo odiavano quei mostri?! L'acqua! Pochi metri e poi sarebbe finita! Potevano farcela.

Appena Morgan posò tutte e quattro le zampe nel fiumiciattolo, il gioiellante emise un sibilio frustato. Girò i tacchi, o meglio, la coda e se ne andò.

Rise dal sollievo, una risata così carica di gioia che avrebbe contagiato tutti.

Fece rallentare Morgan, se lo meritava. Eris la vide. Agitò le braccia, iniziando a venirle incontro.

Si incontrarono proprio vicino la quercia, il tempo che Eris aprì la bocca che Fiamma svenne.








Angolo Autrice: 
Salve a tutti!
Sono stramega contenta di pubblicare, finalmente! Pur non essendo così soddisfatta di questo capitolo, spero vi abbia incuriosito!
Allora, allora, allora. Da cosa iniziare? Partiamo da Fiamma. Qualcuno di voi ha notato che le manca qualcosa? Che ne pensate di lei? 
Sono curiosa, fatevi sentire! 
Avrete ormai capito che Arelix non è la sua vera madre. Chi sarà, dunque? E chi è questa famosa Eris?
Vi informo che dal prossimo capitolo in poi la storia sarà in prima persona. Non sono molto a mio agio a scrivere da un punto di vista esterno. Ma questo non credo vi interesi ^_^
Comunque. Ragazzi, davvero, vi prego di recensire. Non mi fermerò tanto presto ma sarei estremamente felice sapere che a qualcuno interessa questa storia. 
Ringrazio di cuore chiunque abbia letto fino a questo spazio e alla mia beta, Black Truth!
Un abbraccio
       Fra

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Credevo che non avrei più dormito, che gli incubi mi avrebbero perseguitata fino a far diventare il sonno un mio nemico. Ma la spossatezza era tale che caddi in un oblio tanto dolce e sicuro quanto oscuro.

Mi risvegliai con l'odore di spezie e di incenso. Aroma al quanto strano, per essere nella mia camera. Ancora intontita, con la voglia di sprofondare la faccia nel cuscino, sbadigliai e mi stiracchiai.

Poi aprii gli occhi. Sbattei più volte le palpebre. I ricordi della notte precedente si accavalcarono come un branco di animali sulla carcassa di una preda appena uccisa.

L'invasione, Mingord, Arelix, la fuga, il pugnale, Morgan, il gioiellante, Eris.

Era tutto un turbinio di immagini che mi fece strizzare gli occhi. Quando li riaprii mi sentii come se fossi stata catapultata all'esterno. Un orribile presentimento mischiato a paura e nostalgia iniziarono a farsi sentire. Mi diedi uno scossone, non era il momento adatto.

Pugnale. Dov'è il pugnale? Mi tastai i fianchi, ma trovai solo la stoffa della camicia da notte. Presi un respiro, cercando di rimanere calma.

Perquisii con lo sguardo tutta la stanza, partendo dal letto. Una semplice coperta di lana con le lenzuola, davanti a me invece c'era una scrivania. La stanza era piuttosto piccola, ma calda; le pareti erano costituite da grosse pietre grigie messe una sopra l'altra, apparentemente lisce, però irregolari. Un armadio piccolissimo, una scrivania con delle pergamene e, accanto a me, un comodino con una candela. Erano messe un po' ovunque, per tentare di illuminare la stanza, anche se il risultato era quasi nullo. Se non fosse stato per quelle, comunque, sarebbe stato il buio totale.

Incrociai le gambe e appoggiai i gomiti sulle ginocchia, nascondendo la faccia fra le mani.

Cosa dovevo fare? Trovare il pugnale e mantello.

Mi alzai con uno scatto, seppur malvolentieri, dall'involucro caldo che mi aveva abbracciata fino ad allora.

Presi la candela che era accanto al comodino e aprii un cassetto: trovai lo cintura, ma non il pugnale.

Passai al secondo, dove invece trovai il mantello, asciutto. Mi toccai i capelli, non che avessi fatto molto caso al fatto che fossero bagnati, però era un dato di fatto con quella pioggia. Tesi l'orecchio. Pioveva ancora? Sì. Almeno così sembrava.

Mi alzai e sgranchii il collo. Faceva freddo. Afferrai il mantello e me lo avvolsi intorno come una coperta, allacciandolo intorno al collo per non farlo scivolare.

Camminai a piccoli passi sul legno, avvicinandomi all'armadio. Aprii le ante, trovandovi solo camicie, pantaloni da uomo e qualche vestito. Era molta roba per stare in un armadio come quello.

Inarcando un sopracciglio, cercai il pugnale tra le varie stoffe, ma nulla.

Lo chiusi infastidita. Dove diavolo era finito?
Sperai che almeno quella specie di scrivania fosse d'aiuto. Lasciai vagare lo sguardo sulle pergamene giallognole. La mia attenzione fu attirata da ciò che vi era stato segnato sopra.

Erano rune. L'Antica Lingua era proibita nel nostro regno. Non eravamo così stupidi da negare la magia, ma le Rune...quella era roba antica, potentissima. Il pericolo era questo: nessuno sa mai cosa accade con le rune. Gli studi erano inutili, tu le leggivi e loro avevano la vita per fare ciò che più desideravano. Appiccare incendi, malattie varie, invasioni. Però, c'era un però. Ovviamente non sempre accadevano cose così orribili. Al contrario, era una meraviglia. Il problema era che non esistevano mezze misure: o l'inferno oppure il paradiso. E la scelta, non spettava a te.

Solo i Grandi riuscivano a controllare. Ma si sono estinti e quindi era tutto inutile.

Comunque, non eravamo molto in allerta riguardo queste cose. Quasi nessuno sapeva leggere le rune, a meno che non si apprendesse da qualcuno che le conoscesse già. Pochi. E costosi.

E tra questi, io non c'ero. Non ne era stata vista l'utilità.

Storsi le labbra, tralasciando il fastidio verso la mia ignoranza. Perché aveva quelle pergamene?

Neanche ai Fortunati era permesso. Scossi leggermente il capo. Il pugnale, il resto dopo.

Spostai il braccio, illuminando il legno. Finalmente, lo vidi brillare. Era nella fodera, lo levai senza nemmeno pensarci. Dovevo vederlo. Con la candela che avevo in mano, ne accesi un'altra e osservai. Il manico era di platino, ghirigori si intrecciavano tra loro con delicatezza. La lama era affilata a tal punto che quando ci passai un dito, una goccia di sangue era fuoriuscita dalla pelle. Cadde con una strana lentezza sul tavolo di legno e mi affrettai a portare l'indice alla bocca. Lo rimisi nella fondina, poi avvolsi la cintura intorno ai fianchi. Presi la candela e cercai la porta. Per un momento pensai di prendere una pergamena ma ci ripensai, stavamo parlando di Eris.

Quando la luce illuminò una maniglia, non ci pensai due volte a tirarla. Malgrado la luce, il buio mi sembrava comunque inquietante.

Aprii la porta con sollievo e trovai ad attendermi un profilo a me conosciuto davanti ad un fuoco scoppiettante.

“Fiamma! Ti sei svegliata, finalmente!” Mi accolse una pimpante Eris. Occhi grandi, acconciatura corta, a dir poco sbarazzina, abiti da uomo, così giovane da essere nominata come mia sorella dalle malelingue. Che, comunque, erravano in modo tale da far mettere le mani nei capelli anche al più ignorante e anziano dei contadini. Quanti anni aveva? Nessuno lo sapeva. Anzi, è più corretto dire che nessuno la conosceva. Una strega, una maga, una Fortunata. La mia madrina.

Le sorrisi, avvicinandomi al cammino. Era seduta sul tappeto, a gambe incrociate.

Si fece più la e io mi accomodai accanto a lei. Mi gustai il calore del fuoco, osservando la danza cremisi delle fiamme. Sorrisi e mi toccai una ciocca di capelli: mio padre mi aveva dato quel nome per il rosso accesso dei miei capelli. Arrivavano alla fine delle costole e sia Madierance che Arelix amavano intrecciarli. Mingord, dal giorno in cui nacqui, prese a nominarmi con qualsiasi cosa riguardasse quell'elemento. Una volta, disse:”Fiamma, potente come il più devastante degli incendi e indomita come il fuoco solo sa essere.” Amavo questa definizione, ma non credo mi appartenesse.

“Svegliati, piccola. Mi stai ascoltando?” Mi richiamò dolcemente Eris. Mi voltai verso di lei, inclinando il capo, con le sopracciglia alte e un sorriso di scuse. Sorrise, scuotendo la testa.

Si alzò e si mise dietro di me. Mi tirò indietro i capelli e li pettinò con le dita, rigirandosi le ciocche tra le mani. Era così rilassante che abbandonai le regole dell'etichetta -che oramai erano quasi un tuttuno con il mio comportamento abituale- e mi appoggiai con le mani all'indietro, reclinando il capo e concedendole tutta la libertà che voleva prendersi.

Per un po' ci fu un completo silenzio, interrotto dallo scoppiettare del fuoco.

Eris mi stava intrecciando i capelli, partendo dalla testa. Mugolai e lei mi guardò in viso. Le feci cenno di carta e penna con le mani, così lei schioccò le dita e sgranchì il collo.

Da dietro di lei si alzarono un foglio e una piuma.

L'inchiostro? Lo chiesi alzando un sopracciglio e accarezzando la punta della piuma. Sentii qualcosa bagnarmi le dita e le ritrovai macchiate di nero.

“Sai, se parlassi non sarebbe male” la fulminai con un'occhiata.

“Oh, andiamo! Quand'è stata l'ultima volta che hai aperto bocca, dieci anni fa?”

Impugnai meglio la penna e iniziai a scrivere

Ma io la apro sempre. Per sbadigliare, per mangiare, per respirare, per ridere. Sarebbe cattiva educazione, lo faccio poche volte. Lo ripeto: respiro anche, non vorrai uccidermi, vero?

Ad Eris sfuggì un sorriso. “Certo che no, principessina. Non vorrei mai mettere in pericolo la vita del futura regnante.” Un sorriso amaro si disegnò sulle mie labbra.

Sempre che rimanga qualcosa su cui regnare. Sempre che ci sia ancora qualcuno da cui discendere.

“Come siete negativa, principessa. Sono certa che domani sarà tutto passato. Questa si rivelerà un'altra delle solite invasioni da bloccare facilmente”

O magari sarà un'altra delle numerose guerre che durano anni. E noi perderemo.

“Ora basta. Non è vero, lo sai benissimo.”

No, tu lo sai benissimo. Eravamo in crisi. Eravamo nel periodo di siccità, tantissimi contadini hanno dovuto chiedere soldi a quei schifosi dei nobili.

“E con questo? Riuscirete ad andare avanti, lo fate sempre.”

Prima o poi arriva la caduta in cui ti fai più male rispetto le altre, ho paura sia questa. Smettila, Eris. Non rassicurarmi, non ci credi nemmeno tu. Ti conosco troppo bene.

La Strega, che aveva aperto bocca, la richiuse subito dopo. E questo mi diede un'ulteriore conferma.

Una lacrime cadde sul foglio su cui stavo ancora scrivendo.

Spero solo che qualcuno sopravviva.

“Piccola...” Mi abbracciò, stringendomi in modo quasi soffocante. Appoggiai il mento sulla sua spalla. Una stilla cadde sulla camicia di Eris. Chiusi gli occhi, impedendomi di piangere.

Eris passava il braccio sulla schiena, in un movimento tranquillo e delicato che rilassava.

Fui io a staccarmi. Ripresi la piuma.

Morgan?

Sorrise. “Nella stalla.” La mia faccia parlava da sola, evidentemente, perché si affrettò a spiegarmi.

“Ho allargato un po' casa, qui ci sono un sacco di alberi. E foglie. E pietre. Si può fare di tutto. La Magia aiuta tantissimo.” Annuii.

Quanto ho dormito?

“Non vuoi proprio parlare, eh? Una notte e un giorno.” Cosa?!
La guardai sbalordita e notai delle grosse occhiaie sotto i suoi occhi nocciola.

Da quanto non dormi?
                                                                                                                                                                                                 
“Da un po'.”

Incubi?

“Non puoi neanche immaginare. Comunque, hai altro da dir...scrivere o posso continuare a toccarti i capelli?” Ridacchiai.

Dopo voglio andare da Morgan. ...e al castello, terminai mentalmente.

“Dopo. Ora piove, aspetteremo che sorga il sole. Va bene?” Feci spallucce.

“Bene. Adesso silenzio, devo fare la treccia.” Sbuffai, alzando gli occhi al cielo. Tuttavia non potei non sorridere. Eris mormorò qualcosa che non sentii e la luce scomparve quasi del tutto, solo il fuoco ci faceva da lume. Storsi le labbra ma non protestai. C'era Eris. E un bel fuoco scoppiettante davanti a me. Mi misi nella posizione di prima, lasciando che le dita delicate della Strega si infilassero fra i miei capelli. Era così rilassante...

Per un po' ci fu solo lo scoppiettio del fuoco a riempire il silenzio. Odiavo il silenzio. Odiavo il buio. Odiavo ciò che potesse rendere libera la mente per pensare alla morte.

E feci una cosa che non facevo da undici anni. Iniziai a canticchiare una canzone. Non era una scelta saggia, non lo era per niente. Ma era Eris, giusto?

Era una ninnananna. Me la cantava sempre Madierance. Non ricordavo nemmeno le parole, solo la melodia.

Eris strinse un po' di più i miei capelli. Mugolai per richiamare la sua attenzione, però non mi sentì.

Trenta secondi dopo, iniziò a tossire. Mi preoccupai e capii che non potevo nemmeno canticchiare. Non avevo aperto bocca, ma produrre qualsiasi suono volontariamente non andava bene. Non andava mai niente bene.

Mi voltai, la presi per le spalle e le alzai un pochino il viso. Non lo feci per quei stupidi giochini che fanno ai bambini quando tossiscono un po' più forte, ma per darle un po' d'aria. Si arpionò al mio bracciò e quel gesto...deja-vu: anche Arelix lo aveva fatto. Due giorni fa.

Erano già passati due giorni. Loro lottavano per sopravvivere e io ero lì, a farmi intrecciare i capelli.

Un colpo più forte degli altri mi fece riscuotere. Le passai la mano sulla schiena, mentre lei si calmava pian piano, in un gesto simile al suo poco prima. Mi spostai e misi in ginocchio, poi feci adagiare Eris con la testa sulle mie gambe. Le accarezzai i capelli, lei mi guardava.

“Sei bella, Fiamma. Sei proprio bella. Sai, per me sei la mia nipotina. Spero che sarai felice anche senza...” un altro colpo di tosse, però mi suonò strano. Come se fosse finto.

“Spero che un giorno sarai felice.” Aveva uno sguardo strano. Come quello di un cane che non vuole dare a nessuno la propria carne. Avrebbe azzannato tutti, se gliela avessero portata via. Quello era il suo sguardo, di qualcuno che vuole impedire qualcosa. Le sorrisi, non sapevo che altro fare.

Sospirò e si alzò.

“Cosa vuoi fare ora?” Avevo posato penna e foglio accanto a me, quindi li presi e scrissi di nuovo.

Perché non provi a dormire?

“No. Assolutamente no. Se prima l'idea mi aveva sfiorato, ora non posso nemmeno pensare a chiudere gli occhi o...” si interruppe, sorridendo amara.

“Voi mi chiamate Fortunata, Strega. Temete i miei poteri ma li bramate. Bramarli.” Rise.

“Ve li concederei volentieri. Ma per quanto le persone mi descrivano nel peggiore dei modi, sono troppo buona per darvi tale maledizione. Non posso nemmeno sognare. Non sono sogni, i miei. Sono premonizioni. So di essere egoista, eppure vorrei così tanto che l'oscurità venisse illuminata da ciò che mi delizia. Buffo, sono la più potente delle maghe però non posso controllare i sogni. Stupido, vero?”

A volte i sogni servono solo a illuderci.

“E' questo che voglio: illudermi.” A quella risposta non seppi controbattere.

“Troppo tardi per questo discorso.” Disse, sorridendo.

Hai avuto una visione, giusto? Non mentirmi. Non ha senso, io so quando lo fai.

“Io...sì.” Si arrese, quando finì a leggere.

Ne vuoi parlare?

“No.” Mi guardò per un istante in modo penetrante e sbadigliai. Mi ero appena alzata, avevo dormito molto. Era impossibile che il mio corpo richiedesse riposo. Era lei che mi aveva fatto qualcosa. Ci fu una sola occhiata, ma comprese che avevo intuito.

Va bene. Io vado in camera, se succede qualcosa chiamami.

 

Il giorno dopo Eris non c'era. Feci spallucce mentre tornai in camera. Ero stata troppo tempo con quella dannata camicia da notte ed ero scalza.

Aprii l'armadio e tirai fuori un vestito blu-splendido-, pantaloni da uomo, camicia grande maschile, calze e stivali. Guardai dubbiosa il magnifico abito ma lo riposai, dandomi della sciocca.

Mi vestii, infilandomi nuovamente la cintura , assicurandomi che ci fosse il pugnale e gli diedi un'occhiata per essere certa fosse lo stesso. Quegli abiti erano così comodi che per un attimo pensai di non indossare mai più scomodi corpetti, vestiti pomposi e ingombranti o scarpe che facevano urlare i miei poveri piedi di dolore. Non erano vestiti che indossavano i nobili, fortunatamente. L'Aristocrazia era una cosa che odiavo profondamente. E comunque, neanche i loro sembravano tanto comodi.

Mi stiracchiai poi uscii fuori. La casa era proprio carina vista da fuori. Un tutt'uno con la natura, con fiori ovunque. Si avvertiva un piacevole odore di terra bagnata.

Aggirai la casa e sul retro c'era una porta di legno. La aprii e vi trovai una piccolissima stalla. Una macchia nera su un muro bianco, ecco com'era il mio bellissimo cavallo.

Stava dormendo, però si svegliò quando mi avvicinai.

Hey, bello. Non importa se non parlavo, noi ci capivamo lo stesso.

Mi dispiace averti svegliato. Gli accarezzai il muso e lui mi diede un buffetto sulla mano. Ridacchiai. Presi le redini e lo tirai fuori, gli avrei dato un po' d'erba fresca.

Non eravamo neanche un metro dalla casetta, eravamo nel bel mezzo di un prato. Ma non volevo mangiasse i fiori, anche se lui li adorava.

Quando trovai uno spiazzo, lo legai ad un albero. Non sarebbe fuggito, non con me. Però meglio essere sicuri.

Era una bella giornata, il cielo di un celeste splendido, raggi del sole scaldavano anche in quei tempi freddi.

Poi un tonfo. Orribile. Un rumore che io temevo. Trovai un albero con più rami degli altri e mi arrampicai senza troppi problemi. Era alto, arrivai fin dove riuscivo. Scorsi appena la torre più alta del mio castello, prima che questa crollasse. Con essa, anche le mie speranze.

 

 

 

 

 

Angolo autrice:

Non so come scusarmi. Il ritardo è enorme. Odio i professori, andiamo a protestare tutti insieme appassionatamente!

Lo so, avete faticato ad arrivare qui. Quindi non mi sono fatta perdonare nemmeno con il capitolo Non c'è effettivamente molto, ma volevo presentarvi Eris ed è uscita una cosa un pochino troppo lunga.

Comunque. Cosa ve ne pare? Era come la immaginavate? Cosa pensate della bella Strega? Io la adoro già.

Finalmente capiamo cosa manca a Fiamma: la parola. Già, Fuocherello è muta.

Avete sospetti a proposito? Per quale motivo non parla più? Spero abbiate capito un po' più di lei.

Sappiate che questo è solo l'inizio e di certo, non passeremo il tempo ad immaginare Eris che fa le treccine alla rossa. Anzi. Nel prossimo capitolo ci sarà molta più carne al fuoco.

Un grazie enorme a quella santa di Black Truth, my beta, DarkSide_of_Gemini per la sua splendida recensione, a coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite o ricordate e ai dolcissimi lettori silenziosi.

Non mi dilungo. E non ve ne andate perché questo non è nemmeno un assaggio di ciò che ci sarà.

Un bacione

Fra

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SPOILER

Mi guardò stranito.

E' lei! E' la Principessa dagli Occhi D'Oro!”

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


“Dove hai intenzione di andare?” Sobbalzai e quasi caddi per lo spavento.

Stavo per salire sul mio cavallo quando avevo sentito la Strega parlare.

Dei, perché, perché sapeva sempre tutto. Rimasi immobile, irrigidita ed in parte anche scocciata, immaginando cosa sarebbe accaduto tra pochi secondi. Non avevo la minima voglia di affrontare la questione.

“Fiamma...” la bloccai con una mano. Stavo quasi per salire in sella, gesto che avrebbe dovuto simboleggiare il fatto che non poteva fermarmi ma... accadde tutto il contrario.

Il mio corpo si bloccò, i muscoli tesi ed indolenziti.

Ringhiai, voltandomi verso la Fortunata. Sentii un moto di odio sbocciare nel mio corpo.

Io, principessa di Trundast, la capitale di quasi un sesto del mondo conosciuto, non potevo andare ad aiutare il mio regno.

Avevo dovuto convivere con questo senso di impotenza e passività tutta la vita. Ora che c'era bisogno di me, dovevo smuovermi.

Alzai il mento, altezzosa.

Ora come ora, ripensandoci non fu proprio un gesto maturo da parte mia. Anzi, mi sarei data un pizzicotto da sola: non avevo né imparato a difendermi, né armi eccetto quel pugnale. Essenzialmente era un suicidio.

“Oh, non fare quello sguardo con me! Non osare, non sono una delle tue schiavette o delle tue leccapiedi!” Assottigliai gli occhi. Lei alzò un sopracciglio. I muscoli urlavano dalla fatica ma non mi importava. Sarei andata, che lei lo volesse o meno. Però quello era solo uno spreco di tempo. Sospirai.

D'accordo, ragioniamo: lei non vuole, ti ha bloccato con un incantesimo e non sai cosa potrebbe farti se montassi in sella. Quindi, cosa si può fare?

Alzai le mani e abbassai lo sguardo. Presi le redini di Morgan per portarlo nuovamente in quella specie di stalla. Appoggiai la fronte contro la sua, chiudendo negli occhi.

Ci vediamo dopo bello.

Gli feci una carezza, avvertendo la presenza di qualcuno dietro di me.

Oh! emise, frustrata.

“Oh! Mi prendi per stupida, ragazzina viziata che non sei altro?! Per chi mi hai preso, per quell'idiota di Mediarance?”

-Non parlar male di lei. Tantomeno di me, se ti agrada. Mi voltai verso di lei. Il mio sguardo bruciante di fastidio.

“Sì, come vuoi. Bimba, ti leggo nel pensiero, ricordi? E poi hai abbandonato subito, andiamo!

Sei la figlia di Mingord e sei cresciuta con Arelix.” Ah, i loro nomi. Sentii una fitta al petto. Risentii il suono possente, adirato del corno che udii la notte dell'Invasione.

Mi si mozzò il respiro per un attimo ma feci finta di nulla, scuotendo impercettibilmente la testa. Eris probabilmente non si accorse di quel mio strano momento, perché non mi disse niente. O fu proprio perché lo notò che tacque.

Feci la finta sfacciata, alzando un sopracciglio.

-Cosa dovrei fare? Mh? Sono totalmente inutile qui.

“E lì?” rispose con una punta di arroganza.

“Cosa potresti mai fare ? Nel bel mezzo dei saccheggi, degli stupri e della violenza. Cosa potresti mai fare tu?”

-Ma potrei salvare qualcuno! Portarli qui e... e farteli curare.

“Seh, farsi curare dalla strega che fa scendere la pioggia acida blah blah blah. Proprio un bel piano, Fiamma. Stupendo. Si ucciderebbero da soli pur di non farsi toccare da me.” Ruotò gli occhi al cielo, facendo ribollire il sangue nelle vene. Digrignai i denti, allargando le braccia.

-Cosa dovrei fare, mh?! Cosa?! Lasciare il mio futuro regno nelle mani di maledetti barbari? Lasciar stuprare le donne, vendere i bambini e castrare gli uomini? Cosa dovrei fare, Eris? Ti prego, dimmelo, perché io non so proprio cosa fare.

Mi osservò attentamente, quasi sperai di averla convinta quando invece abbassò lentamente lo sguardo, con un sospiro.

“Dovresti rimanere qui.” Si voltò, dandomi le spalle e lasciandomi sola. Mi afflosciai, sentendo la rabbia evaporarmi via dal corpo. Caddi in ginocchio, con un macigno sulle spalle che le mie gambe non furono in grado di reggere.

E così, perfettamente consapevole delle eventuali coseguenze, quasi sperando nelle eventuali conseguenza, lo feci. Mi osservai le mani, pallide ed un po' tremanti.

Lo feci, affidai la mia voce al vento. Risentii la mia voce dopo anni.

“Te lo giuro, Eris. Io salverò il mio popolo. Lo giuro.” Volsi la testa verso il castello, che da quella posizione si vedeva benissimo. Sembrava un vecchio gigante di pietra ferito.

“Diventerò regina, il miglior sovrano che sia mai esistito.” Di tutta risposta, una leggera brezza mi accarezzò i capelli.

Non riuscii a trattenere un brivido.

 

 

 

 

 

 

Quella notte, a Trundast

 

“Capitano, cosa facciamo?” domandò un giovane cavaliere. Gabriel non potè non notare quanto fosse esausto il suo aspetto. Aveva le occhiaie, era sudato e pieno di graffi. La sua armatura ammacata e sporca di terreno e sangue. Sarebbe potuto essere suo figlio.

Gettò una rapida occhiata intorno a lui, le condizioni erano più o meno simili in tutti i soldati.

Si passò due dita sulla fronte aggrottata, chiudendo gli occhi.

“Le condizioni dei cancelli?” domandò. Non seppe con precisione chi fosse stato a rispondere.

“Stanno contrastando il nemico ma non reggeranno ancora per molto.” A Gabriel scappò una smorfia. Erano già passati tre giorni, gli arcieri stavano resistendo anche troppo considerando che non si erano fermati un secondo.

“La città bassa?” Udì un sospiro stanco che non gli fece presagire nulla di buono, tuttavia non fu la stessa voce di prima a comunicargli la situazione.

“Sono entrati come fossero giganti. Erano... sono maggiori numericamente e combattono di forza bruta. Ammazzano, sventrano come fossero bestie del Male. Abbiamo perso già mille di noi! I quartieri più poveri sono i nuovi inferi! E tutto questo in solo tre lune. Come possiamo anche solo pensare di vincere? Siamo perfino rintanati in questa bettola! Moriremo, non potremo mai--” la parlantina disperata fu mozzata dallo stesso Capitano. Corazza scadente e mezza rotta, ferite un po' ovunque, la faccia assurdamente magra e spenta. Uccidendolo gli aveva solo fatto un favore.

Estrasse la spada dal suo stomaco con uno scatto violento.

“Il prossimo che oserà anche solo pensare quel che ha detto, farà la sua stessa fine.” Il silenzio fu l'unica risposta. Si voltò, rifoderando l'arma. Si avvicinò alla mappa sul tavolino, iniziando ad indicare i punti di cui parlava.

“Ascoltate. Cinquanta squadroni andranno avanti, a liberare le zone più povere. Poi, altri trenta andranno a prendere il posto dei precendenti, quando gli avversari si saranno stancati. E così via, spingendoli fuori, fino alle scogliere. Quaranta invece andranno al castello per liberarlo, capitanate da me. Non deve rimanerne vivo nessuno.” Gli bastò alzare lo sguardo per capire che c'era bisogno di un tocco di forza maggiore. Una simile devastazione in soli tre giorni era inconcepibile ed innaturale.

“Dobbiamo prepararci ad affrontarli. Dobbiamo cacciarli dal regno, soprattutto dal castello. Siate macchine da guerra, distruggete uno e passate all'altro. Sono invasori, parassiti che devono essere schiacciati a morte.

Salvate il vostro popolo, salvate il regno, salvate il futuro. Diventate eroi e mostrate al nemico che no, Trundast non si arrenderà mai. Il nostro regno, noi sorgeremo di nuovo. Saremo leggende.” Così dicendo, impugnò l'arma bianca.
Sic luceat Lux!” urlò, alzando la spada.

“Luceat Lux!” ruggirono i soldati, con i volti un po' più brillanti.

Pian piano uscirono tutti. Gabriel aspettò pazientemente, premurendosi di bloccare l'entrata, prima di dirigersi dal suo re. Scostò una tenda marrone, quasi invisibile per l'ambiente legnoso della stanza. Celava una porta che il Capitano spinse. Nascose un sussulto e dissimulò velocemente l'atto di portare la mano alla fodera della sua spada quando vide una presenza che prima non c'era assolutamente. Appena richiuse la porta dietro di lui, comunque, non perse tempo ad inginocchiarsi davanti un letto circondato di candele. Baciò la mano dell'uomo giacente, mentre la donna che era appena comparsa li guardava.

“Sire...” Un colpo di tosse scosse il corpo disteso. Essere consapevole delle condizioni del suo re lo faceva sentire male. Indossava i primi indumenti puliti che avevano trovato. Era tremante e sudato; ma soprattutto, un bendaggio gli partiva dai pettorali fino allo stomaco.

“Gabriel?” chiese. Un sorriso si distese sulle labbra di entrambi.
“Vecchio mio quante,” un altro colpo di tosse gli impedì momentaneamente di continuare a parlare, “quante volte devo dirti di non essere così formale con me?”

“Avete ragione, Mingord. Chiedo perdono.” Il re rise però, ancora una volta, un attacco molto più forte dei precedenti gli impedì di parlare. Si portò un fazzoletto alle labbra.

La giovanne donna che era rimasta a guardarli si avvicinò rapidamente per aiutarlo.

Lei e Gabriel lo fecero sedere, per consentirgli una respirazione migliore.

Si portò un fazzoletto per coprirsi la bocca.

“Ti ho sentito pronunciare il mio discorso prima. Com'è andata?” domandò lui, una volta ripresosi. Il cavaliere fece per aprire bocca, forse per insultare la curiosità a dir poco stupida del sovrano ma fu preceduto.

“Affrettato ma nessuno si è lamentato. Non che potessero farlo comunque.” Gabriel fece una smorfia.

“E come diavolo fai a saperlo?” A quella domanda, soffocò una risata.

“Tu sarai anche Spada d'Argento, Gabriel Hatwkink, Capitano delle Sacre Armate, migliore amico del re. Ma io,” si leccò maliziosamente le labbra,”io sono Eris. Ho così tanti titoli che non ho voglia di citarli. Fidati quando ti dico che so tutto.” L'uomo aveva ancora stampata quella smorfia in faccia, restando in silenzio. Lei alzò un sopracciglio così lui mosse una spalla, con tono fintamente curioso.

“Possiamo continuare o devi continuare ad essere egocentrica?” La bocca di Eris si spalancò, sconvolta.

“Dopo tutto quello che ho fatto per te hai ancora il coraggio di rivolgermi la parola? E per insultarmi, oltretutto.”
“E cos'avresti fatto, eh? Cosa? Assolutamente nulla che non fosse richiesto per vivere con il tuo opportunismo” rispose il Capitano.

“Egocentrica, opportunista... qualcos'altro? E' quasi divertente: tu Gabriel, tu che offendi me! E' il colmo! Stupido esserino inutile, credi di essere qualcuno? Se volessi, potrei distruggerti con uno sguardo. Non osare pensare nemmeno per un secondo di avere una qualche autorità su di me, miserabile.” Questa volta fu la mascella di Gabriel a toccare terra. Lui fece per controbbattere ma il re lo bloccò.

“Dei, siamo in una schifosa locanda. La stanza in cui figliare avrete tempo di trovarla dopo” mormorò Mingord, ancora tra le braccia dei due. Eris quasi rise della minaccia che passò attraverso lo sguardo del Capitano.

“Non ho tempo per queste sciocchezze. Sto per morire e-” fu solo con uno scatto secco di lei, che lui evitò di collassare, vomitandole quasi sulle gambe i succhi gastrici.

“E' sangue...” borbottò tra sé e se, sapendo che l'amico del re l'avrebbe sentita. La Fortunata portò un fazzolletto sulla bocca del re, sospirando per poi ripulirlo dolcemente dalla saliva e dal sangue.

Gabriel lo fece sdraiare di nuovo, coprendolo meglio. Tra i due passò uno sguardo, lei rimase semplicemente a ricambiare. La guardia abbassò il capo.

“Gabriel...” sussurrò Mingord, con tono affaticato. Gli afferrò la mano in una presa debole e sudata ma fredda.

“Promettimi che porrai al trono mia figlia, che le insegnerai a diventare una grande regina.” L'amico gliela baciò, con un magone in gola che ignorò.

“Mingord, non parlare così. Sopravvivrai. C'è anche Eris qui, lei potrà aiutarti.” La Strega aprì la bocca per dire qualcosa tuttavia venne interrotta da un gesto con la mano che fece il re.

“Il mio tempo su questa terra sta finendo, lo sento scorrere via” mormorò con gli occhi chiusi e il tono stanco.

“Non morirete così tanto presto, Maestà. Se Fiamma sapesse che ci state perfino pensando, vi ucciderebbe lei stessa.” Il viso di Mingord si illuminò all'accenno della figlia. Puntò gli occhi grigi sulla Strega.

“Come sta?” Eris ridacchiò prima di raccontargli che voleva entrare in città- “caparbia come il padre”- però era riuscita a fermarla. Gli spostò delicatamente una ciocca dalla fronte. Il sovrano si rilassò contro il cuscino.

“Le dirai che Arelix n-non è...” gli si mozzò la voce, ebbe bisogno di schiarirsela prima di continuare, “... non è più qui?” A Gabriel si riempì il cuore di una tristezza che scacciò con fastidio. Perse tutta quell'inutile aria di riverenza.

“Diamine, Mingord. Non sei mai stato solito arrenderti, se continui così mi vedrò costretto a sculacciarti.” Il re represse una risatina.

“Come minacciava sempre Guinevre, possa la sua anima essere in pace. Anche se io riuscivo sempre a cavarmela.” L'amico non riesci a reprimere una nota divertita nella voce.

“Sì, infatti! Ero sempre io quello che andava peggio!” Mingord non riuscì a non ridere, tossendo subito dopo.

“Bei tempi” commentò il sovrano. Gabriel gli si fece ancora più vicino.

“Per te, principino bello. Hai ancora da governare -se non riscuotere- e una figlia, idiota. Muori adesso e giuro che scendo negli Inferi per riportare in vita la tua anima da cane.”

“Ho sempre adorato i complimenti.” Adesso fu il Capitano a scoppiare in una risata. Eris si era allontanata lentamente, probabilmente il re non se n'era nemmeno accorto. Si sentiva quasi di troppo in quella misera camera, era un momento piuttosto intimo in cui si poteva percepire l'odore polveroso dei ricordi. Preferì guardarsi attorno, cercando le medicazioni che sicuramente erano nella stanza. Quando le trovò, scosse la testa. Chi aveva medicato il sovrano sicuramente non era un medico. La cosa risultò strana nella mente della Strega, era il re e non aveva avuto a disposizione un curatore?

Non voleva interrompere la conversazione tra quei due ma si sentì obbligata mentre si avvicinava ad un tavolo con bende, medicinali... quelle erano pozioni o che altro?

“Gabriel, chi ha curato sua Maestà?” domandò, aprendo una boccetta di vetro scuro per odorarne il contenuto. Non che solitamente le cure avessero questo buon profumo ma quel fetore l'allarmò. Storcendo involontariamente il naso, si affrettò ad analizzarne il fluido quando un leggero pizzicore partì dalla mano, le attraversò il braccio arrivando al cervello seppur espandendosi in tutto il corpo. Spalancò gli occhi, diventati due pozzi di luce. Le cose accadderò velocemente, come sempre.

Veleno.

Un urlo maschile.

Lasciatemi curarlo, vi prego!”

Bisbigli.

Sangue.

Candele accese.

Un liquido denso che veniva versato.

Fiala viola.

Capelli biondi.

Ingerite, vostra Magnificenza. Finirà tutto molto presto.”

Buio.

Luce.

Bianco.

Eris sbattè leggermente le palpebre, tornando ad abituarsi alla leggera illuminazione. Si era persa la risposta del guerriero quindi gli chiese di ripetere.

“Ho detto che non sappiamo il nome però ha fatto del suo meglio e-”
“Avete fatto curare il sovrano da uno sconosciuto?!” lo interruppe, non trattenendo il tono. Si avvicinò nuovamente al letto, inginocchiandosi sotto lo sguardo irritato del Capitano e confuso del re, un po' più sveglio grazie allo stuzzicare del suo amico. Serve un po' di forza maggiore.

Avvicinò le mani alla camicia del nobile prima che entrambi gli uomini la guardassero quasi sconvolti.

“Eris che diamine vuoi fare?” chiese Gabriel, mentre Mingord annuiva per sostenerlo. Lei alzò gli occhi al cielo.

“Salvare la vita a sua Maestà. Non è il momento di essere pudici.” Quasi gli stracciò la camicia, nel silenzio dubbioso di entrambi. La fronte aggrottata del sovrano la infastidì un po'.

“Senza offesa, Mingord ma pensavo fossi più intelligente di questo retrogrado qui” commentò e la Strega, indicando il Capitano con un cenno del capo, iniziò a disfare velocemente le bende.

Gabriel gonfiò le guance per poi sbuffare. La giovane borbottò un incantesimo per rendere il sovrano più cosciente.

“Sei una donna che sta spogliando un uomo, perdonami se non mi sembra così normale. Per quanto tu possa essere brava, sei pur sempre del... beh...” lasciò cadere la frase, leggermente infastidito.

Ci fu un lungo momento di silenzio in cui Gabriel quasi pensò di scusarsi in colpa prima che uno schiocco venisse udito e il Capitano, con il viso voltato, avvertisse la sensazione di uno potente schiaffo, portando una mano sulla guancia che stava diventando rossa. Strabuzzò lo sguardo, colto di sorpresa, prima di puntarli sulla Strega. Aprì la bocca ma lei lo precedette.

“Ho le mani troppo occupate per schiaffeggiarti di persona.” Non stava nemmeno sorridendo. Gabriel si chiese se l'avesse veramente offesa così tanto. Si sentì in colpa.

“Sai com'è, noi donne siamo brave in poche cose. Prendere a schiaffi rientra nella lista.”

“E tu, giustamente, l'hai fatto senza nemmeno usare le mani.” Adesso, adesso il Capitano potè notare un leggero ghigno.

Fu un verso di disgusto da parte del re ad indurlo a guardare cosa stesse facendo la Strega.

E non potè che imitare il sovrano quando notò il ventre e la parte inferiore ricoperti di una qualche cosa nera.

“'Non sappiamo il nome' blah blah blah, 'ma ha fatto del suo meglio' bla bla bla” lo scimmiottò la Strega mentre Mingord, fin troppo vigile e con la stessa faccia di disgustata di prima portava la mano a toccare quella cosa viscida prima che Eris gliela allontanasse con uno schiaffetto leggero per poi toccarla lei stessa, strofinando indice e pollice affinché ne saggiasse la consistenza.

“Ma...” protestò il re, come un bimbo imbronciato.

“Io posso farlo, tu no” fece la Strega, facendo inarcare un sopracciglio a Gabriel.

“Ho due domande” disse solennemnte il capo delle guardie. Eris fece un cenno della testa, alzandosi a prendere pezze pulite ed una bacinella d'acqua che fortunatamente erano nelle vicinanze.

“Come fa ad essere così sveglio? Prima si sentiva in punto di morte ed ora sta tranquillamente guardando quello che stai facendo.” Il re che nel frattempo, ignorando ciò che gli era stato detto, aveva preso a toccare la robaccia scura che gli era addosso, si sentì preso in causa e si voltò verso l'amico.

“Secondo te?” rispose eloquentemente la giovane donna.

“Tu?” Lei annuì, avvicinandosi ancora una volta.

“Mi serve sveglio, non so bene cosa possa accaddere se si addormentasse” continuò, spostando con un sospiro le mani del sovrano per pulirgli quella cosa da dosso.

Rassegnato, Mingord appoggiò la testa al cuscino. Rabbrividì quando avvertì l'acqua fredda toccargli la pelle.

“Ascoltate bene, questo vi farà parecchio male. Conterò fino a tre poi farò quel che devo. Mi avete capito?” La Strega si sporse per essere sicura di creare un contatto visivo. Al cenno di assenso del re, sospirò. Con una leggera carezza, gli infuse un leggero senso di stordimento, quel tanto per non fargli avvertire un dolore troppo estremo.

“Uno...” Il sovrano chiuse gli occhi.

“Due.” Mingord non riuscì a mozzare un gemito quando avvertì il bruciore. Inclinò la testa all'indietro, trattenendo un urlo. Gli sembrò di andare a fuoco. L'unica cosa che potè fare fu afferrare le lenzuola e stringerle fino a far sbiancare le nocche.

“Non dovevi... arrivare a tre?” trovò la forza di mormorare Mingord. Eris non rispose.

Gabriel lo guardava apprensivo, mordendosi le labbra. Si sentiva inutile, impotente e la cosa lo infastidiva. Eris aveva gli occhi chiusi, concentrata. Aveva una mano sulle ferite ancora aperte, l'altra parallela ai pettorali del sovrano; da entrambi i palmi fuoriusciva una luce dorata. Dai tagli sul ventre tornò a sgorgare quella cosa nera vischiosa. La mano destra della Strega, già sporca di sangue, ne venne inevitabilmente ricoperta. La luce di Eris si fece più brillante e forte, Mingord sussultò tremando leggermente.

Gabriel non sapeva cosa fare. Era lì, in ginocchio che semplicemente osservava la scena con impotenza. Si alzò, si tolse la parte superiore dell'armatura per comodità. Prese la pezza che aveva usato Eris precedentemente, sciacquandolo. Non reagì al gelo dell'acqua, semplicemente lo strizzò e poi lo usò per togliere nuovamente la melma.

Il re quasi guizzò quando Gabriel posò delicatamente lo straccio sulla parte ferita. Il sovrano respirava velocemente, a volte mozzando brutalmente il fiato per trattenersi. Più Mingord faticava a trattenersi, più la luce diveniva potente. Eris deglutì quando il Capitano le pulì gentilmente la mano.

Il sovrano si arrese ad un grido che gli scosse il corpo, la Fortunata appoggiò anche l'altra mano proprio al centro del petto.

“Resta con me Mingord...” si ritrovò a sussurare Gabriel.

“Bagnalo” sussurò in modo così flebile lei che al guerriero quasi venne il dubbio se avesse veramente parlato. Ad ogni modo, si affrettò a inzuppare nuovamente lo straccio e passarlo sul viso dell'amico. Boccheggiava e si agitava, il collo arrossato.

Il Capitano non aveva smesso per un attimo di torturasi le labbra, quando tornò ad eliminare il veleno oscuro si ritrovò a leccare via una goccia di sangue.

Gabriel non seppe quanto tempo passò, non gli diede importanza. Il suo compito era bagnare e pulire, aveva la fronte aggrottata da un po' ed iniziò a dolere leggermente così la rilassò. Mingord si muoveva sempre di meno, la schiena inarcata ma gli occhi chiusi.

Sospirò contento quando il nero divenne rosso. Eris premette più forte la mano sul petto del sovrano e superò Gabriel per avvicinarsi ancora di più al re.

“Maestà, se dopo questa andate nell'Aldilà sappiate che perderò la stima nei vostri confronti” disse lei affettuosamente, con entrambe le mani sul petto dell'uomo. La luce cadde negli addominali di questo che brillò di una leggera evanescenza dorata ma che poi si spense velocemente. Eris si affrettò ad alzarsi per prendere nuove bende per ricoprire le ferite.

“C-che significa?” chiese Gabriel, con gli occhi sulla figura ora rilassata di Mingord.

“Significa che aveste dovuto chiamare me.” Si voltò a guardarlo, gli occhi puntati proprio nei suoi.

“Perché non l'hai fatto?” Gabriel aprì un paio di volte la bocca, non distogliendo lo sguardo dal suo.

“Pensavo tu sapessi tutto” scherzò. Eris annuì lentamente, abbassando il capo.

“Ai tuoi uomini non avrebbe fatto piacere incontrarmi, immagino.” Non seppe identificare il tono con cui lei aveva parlato ma lo intenerì. Lui non pensò quando le accarezzò una guancia con la mano bagnata e fredda. Lei non pensò quando ci si appoggiò contro.

Il re invece ci pensò ma non volle davvero trattenersi: che facessero fare il terzo incomodo a qualcun altro, che diamine. Si schiarì la voce, seppur leggermente riluttante.

Si voltarono in contemporanea verso di lui, facendolo sentire a disagio. Oh, per l'amor degli dei, sarebbe morto da lì a poco? Bene, ma lo avrebbe fatto da re ed i re non si sentono a disagio. I re sono carasmatici e perfettamente a loro agio in qualsiasi momento. Annuendo a se stesso, aprì la bocca rendendosi conto di non avere praticamente nulla da dire.

“Um, la prossima volta... ehm ehm, porteresti anche Fiamma? Vorrei vederla.” Eris gli si fece più vicina, posando le mani sul materasso.

“Dovreste cambiare le lenzuola. Ad ogni modo, non so quanto possa essere una buon'idea sire. Lo sapete che-” Mingord alzò gli occhi fino a puntarli sul soffitto, leggermente assonato.

“Sì. Sì, lo so. Non importa, era solo per...” non continuò, si limitò a sospirare. Gabriel, alzatosi per posare la bacinella, fece qualche passo verso di lui.

“Se vuoi, posso mandare qualcuno. E se Eris accettasse, potrebbe accompagnarla qui. E' potente, chiunque conosca il suo nome non sarà così sciocco da sfidarci. In più, come ovvio che sia, ci saranno guardie a difenderla dagli stolti.” Il sovrano voltò il capo verso di lui, non parlando. Si perse nei pensieri per qualche secondo poi guardò la Strega.

“Cosa nei pensi?” Il Capitano incrociò le braccia, in attesa. Lei guardò l'uomo nel letto, di nuovo ricoperto di bende e con la camicia sporca, poi quello in piedi un paio di volte. Si mise a giocherellare con le dita delle mani, fissando il pavimento.

“Non lo so...” Mingord si alzò su un gomito, allarmato ma il dolore lo fece ricadere con un gemito.

“Non ho visto niente di allarmante, non temere. Solo... non sono convinta, tutto qui.” Il re si costrinse a scacciare quella leggera aura di sonnolenza che gli si era avvolta intorno.

“Cosa significa 'niente di allarmante'? Hai visto davvero qualcosa?” le chiese lui in un involontario tono rude. Notando che lei non rispondeva, la richiamò più gentilmente.

“Stava cantando, Mingord.” Un gravoso silenzio calò nella stanza e la Strega diede qualche secondo per permettere di assimilare ad entrambi la sua risposta.

“Ma-” iniziò Gabriel, le braccia molli lungo i fianchi dalla sorpresa, senza avere davvero l'intenzione di continuare la frase. Ad ogni modo fu interrotto.

“Aveva la voce di un'angelo, la più bella che abbia mai sentito. Anche se questo non dovrebbe sorprendermi” commentò lei. Si appoggiò con la schiena al lato del letto, reclinando leggermente la testa sul materasso morbido.

“Naturalmente il fatto che venga qui non significa necessariamente che inizierà a cantare come un pulcino ma... non lo so, è una decisione che dipende da te Mingord. Fiamma farebbe cose folli per accertarsi delle tue condizioni con i suoi stessi occhi, Gabriel mi sembra favorevole; io mi adeguerò a tutto quello che vorrai.” Il sovrano si passò una mano sul viso, ormai stanco.

“Vorrei che Arelix fosse qui.” Lo disse a voce così bassa che quasi sembrò perfino a lui stesso di non averlo detto realmente. Non che fosse un problema, sarebbe stato meglio tenerlo per sé. Gli era sfuggito. Eris lo percepì lo stesso però finse di non averlo fatto.

L'uomo si coprì gli occhi con un braccio, lasciando andare uno sbuffo.

“Secondo te, riuscirebbe a prendere consapevolezza dei suoi poteri?” A Gabriel parve di aver osato chiedere qualcosa di proibito.

“Perché no?” Con sorpresa sia di Gabriel che Eris fu lo stesso re a rispondere.

“Quanti anni sono che non apre bocca? Dodici? Quindici? Non voglio destinarla ad un vita nel silenzio.” Passò uno sguardo tra la Strega ed il Capitano. Lei annuì lentamente, sospirando.

“Molto bene. Domani mattina il re rincontrerà la principessa.”

“E così sia” proclamò Mingord, con il cuore un po' più leggero.

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