S.T.R.E.A.M.

di Darktweet
(/viewuser.php?uid=875377)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Allarme ***
Capitolo 2: *** Scontro con la regina ***
Capitolo 3: *** L'aiuto ***
Capitolo 4: *** Soccorso dalla terra ***
Capitolo 5: *** Le caverne sotterranee ***
Capitolo 6: *** La città ***
Capitolo 7: *** Prigioniere ***
Capitolo 8: *** La riunione ***
Capitolo 9: *** L'incanto della regina ***
Capitolo 10: *** In extremis ***
Capitolo 11: *** Tuffo nel passato ***



Capitolo 1
*** Allarme ***


Capitolo 1. Allarme

Solita mattinata da scolaretta: corsa di primo mattino per poter acciuffare in tempo la corriera (si, nonostante si abitasse ad un quarto d’ora a piedi da scuola, la mattina sarebbe stato un suicidio farsela a piedi), solite facce depresse, soliti professori… fuori di senno e soliti votacci.
Ultima ora: in classe riecheggiava il suono della penna che Sabrina stava picchiettando ormai da sei ore sul suo banco.
La spiegazione del professor Fortener, insegnante di fisica, era ormai lontana. Come ogni volta che il professore entrava in quella classe, Sabrina aveva tentato inizialmente un approccio a seguire, ma nulla. Era più forte di lei.
Si passava dallo scribacchiare qualcosa sul suo quaderno rosso (quello di fisica, naturalmente, ma purtroppo Sabrina aveva la mania del rosso, e aveva acquistato solo quaderni rossi: cambiavano solo i disegni, che passavano da Topolino e Minnie a Paperino Paperotto) al distrarsi con la compagna di banco, Sally (gli argomenti più gettonati erano i ragazzi e ciò che passava il gossip mondano).
La “fortuna” di Sabrina era posizionarsi sempre vicino le finestre, così da immergersi in pensieri e giocare con le nuvole che si intravedevano. Ma quel giorno più che semplici nuvole, si intravedevano nuvoloni cariche di pioggia a fiotti.
“Signorina Mendez, ricorda la legge oraria del moto armonico?”
Il professore aveva fatto una domanda alla distratta Sabrina, ma come al solito non l’aveva sentito, troppo distratta come era.
E poi parliamone, la cadenza del professore, il suo parlare, parlare e parlare… in pochi avrebbero resistito alla tortura delle ultime ore con Fortener.
“Sabrina, cara, sei ancora tra noi?” fece il professore, sbuffando.
“Sabry, il prof!” esclamò David, un suo compagno di classe, seduto dietro di lei.
“Eh, si?!” esclamò la ragazza, rigirandosi i ricci capelli rossi tra le dita. Non aveva proprio seguito per tutta la giornata, figuriamoci quell’ultima ora. Ma ora erano guai.
“La legge oraria del moto armonico la ricordi?”
La ragazza guardò fisso il professore, per poi girare all’impazzata le pagine del libro.
Cosa poteva mai essere? Moto armonico? Movimento… coordinato?
“Ehm, x=wt al quadrato…” balbettò Sabrina, una volta trovata la preziosa pagina 134 – Moti oscillatori: il moto armonico. Figurava subito l’immagine di un gatto soriano che giocava con una sorta di gomitolo.
La fantasia degli autori dei libri di testo per far piacere l’argomento ai ragazzi era leggendaria.
“Certo, certo.” Fece il professore, quasi divertito. Quella sicurezza doveva significare solo una cosa.
Sfogliò il registro della classe, sbuffando.
“Quarta f, Quarta f. Supereremo il debito in fisica? Vediamo.” Col dito scorse l’elenco degli alunni fino a soffermarsi sulla M.
“Allora, vediamo… Dodici Marzo – 2, Diciassette Marzo di nuovo 2, lo stesso per il Venti Marzo.” Mormorò il professore, scuotendo la testa.
“Primo Aprile – 2.” Disse, scribacchiando un secco due sul registro.
“Ma professore…” mormorò Sabrina, poco prima che suonasse la campanella della fine delle lezioni.
Nel giro di cinque minuti, la classe intera era già uscita, e con loro l’insegnante dal passo proprio vellutato (ogni passo un rimbombo nel corridoio).
Il corridoio si riempì di ragazzi che in fretta cercavano di prendere le cose dagli armadietti e fuggire a casa, o altri si intrattenevano per attendere altri amici.
Sabrina prese le sue cose dall’armadietto, posto poco più in là del bagno delle ragazze (la sua fortuna: trucco sempre a disposizione) e poi uscì dalla doppia porta d’ingresso della scuola.
“L’ennesimo due. E ci teneva a precisarlo, poi.” Sbuffò Sabrina, mentre scendeva le scale con Sally, la compagna di banco.
“Ah, Sabry, potevi studiare però!” esclamò Sally, quasi infastidita. Sorbiva spesso le lamentele di Sabrina, nonostante però fossero quasi sempre infondate.
“Non farmi la ramanzina anche tu. Sbaglio o ieri è toccata a te l’insufficienza in latino?” fece Sabrina, pungente.
“Si, ma una, non tante…” rispose l’amica, quasi offesa. Guai a toccare la sua media.
Sabrina sbuffò.
“Senti, lo sai meglio di Fortener che è vicina la gara di pattinaggio artistico, e ci tengo ad allenarmi tutti i giorni… mi capisci?” fece la ragazza. Sabrina frequentava infatti dall’età di sei anni l’associazione di pattinaggio artistico “Nuove promesse”, e da semplice hobby, il pattinaggio adesso era la sua passione, anche a livello agonistico.
“Si, però ricordati che siamo ad Aprile, qualche mese ed è finita…” Le due amiche si sedettero su una panchina del cortile della scuola. Fortuna che scesero quasi per prime, visto che l’aula era ubicata al piano terra, altrimenti le panchine sarebbero già state occupate.
“Appunto, c’è ancora qualche mese.” Esclamò Sabrina.
“Ah, sei un caso perso!” sbuffò Sally, sciogliendo la treccia castana.
“Cosa fai oggi pomeriggio?” chiese Sabrina, volendo cambiare discorso. Sally aveva tutte le ragioni del mondo, ma inutile discuterne.
“Compiti, e poi credo di uscire con Jake…” mormorò, arrossendo.
“Ah, Jake… sicura che non sia ancora scappato un bacio?” chiese maliziosa Sabrina. Jake O’Hare era uno dei ragazzi più carini della squadra di tennis del liceo: capelli color cenere, sorriso smagliante, spalle quanto un armadio e aitante fisico. Bella scelta per Sally.
“Ma che dici…” Sally scosse la testa, imbarazzata. “E tu che farai?”
“Uhm beh andrò ad allenarmi credo.” Rispose Sabrina.
Poco dopo, le due si alzarono e si incamminarono verso il cancello arrugginito della scuola.
Le due amiche facevano ogni mattina e ogni pomeriggio il percorso casa-scuola. Sally abitava giusto il vicolo dopo quello di Sabrina.
Stranamente quel pomeriggio, le due stettero zitte zitte, finché una delle due non ruppe il silenzio.
“Senti Sa.” Disse Sally, quasi boccheggiando, per la paura della reazione dell’amica.
“Secondo te, tra me e Jake… potrebbe… “
Sabrina batté le mani.
“Lo sapevo, lo sapevo!” esclamò, maliziosa. Sabrina voleva con tutto il cuore che tra i due scoccasse realmente il colpo di fulmine: l’amica se lo meritava… e lui, beh niente, era un figo.
“Beh… e dai!” L’amica le diede un pugno per farla ritornare al discorso.
“Ahi!” esclamò Sabrina, massaggiandosi la pancia.
“Fai la seria!” esclamò decisa l’amica. “Sai benissimo che a me piace, o forse provo anche qualcosa di più… “
“Beh… io credo che potrebbe funzionare. Sai, lui ti guarda spesso…” mormorò Sabrina.
“Davvero?! Dai non farmi fare film mentali!” esclamò Sally, arrossita violentemente.
“Sally…” mormorò Sabrina.
“Lo contatterò su facebook!” esclamò la ragazza.
“No no! Aspetta che sia lui a fare il primo passo!” esclamò Sabrina.
“Davvero? E se non lo fa?!” chiese dubitante Sally.
“Se non lo fa, fallo tu!” esclamò Sabrina, poi baciò l’amica, per poi girarsi e salutarla, mentre saliva velocemente le scale precedenti all’ingresso del condominio dove viveva.
Sabrina viveva al condominio n.46 del Corso del Fante, al sesto piano.
“Ascensore, ti amo!” mormorò tra sé e sé, mentre apriva la porta di ferro dell’ascensore.
All’improvviso squillò il cellulare. Sabrina rovistò nella sua borsa rossa.
“Eccolo…” sussurrò, prendendo anche le chiavi di casa, appena aperto l’ascensore.
Era uno di quei smartphone di ultima generazione, un samsung S3 mini, bianco. Gliel’avevano regalato i genitori  per Natale. Che brutto guaio.
Sul telefono apparse il chiamante, “Randall”.
Randall frequentava la stessa scuola di Sabrina. Non era il massimo secondo le sue classifiche, ma era molto intelligente, e comunque era diventato un ottimo amico.
Sabrina girò la chiave dell’appartamento. La porta d’ingresso dava sul corridoio che collegava il salotto alla camera da letto e alle due camerette di Sabrina e del fratellino Christian.
“Pronto?” fece Sabrina.
“Ehi, Bree, come butta?” fece il ragazzo, con una voce roca.
“Randall, prenditi una bustina di aulin” rispose Sabrina.
“Spiritosa. E’ urgente, il mio notebook ha rilevato presenze di demoni al centro commerciale…” fece il ragazzo, speranzoso.
“E allora… chiama gli altri, ora sono tornata da scuola!” esclamò Sabrina.
“Io sono malato, Trisha ha gli esami, Eric è in piscina e Adam è in campeggio.” Rispose il ragazzo.
“E va bene. Poso la borsa e corro.” Sbuffò Sabrina.
“Farai meglio a teletrasportarti, il notebook avverte una potente energia negativa…”  disse Randall.
“Va bene, ti chiamo.” Sabrina chiuse la chiamata.
“Ignis Stream!” esclamò, e magicamente si ritrovò nel suo costume nero, con la pietra primordiale di fuoco incastonata sul petto e la maschera.
“Magari Wren mi vedesse così, con questo vestitino succinto…” pensò tra sé e sé. Wren Baker era un ragazzo della squadra di pattinaggio artistico… super fidanzato (e cornificante… nemmeno Sabrina sapeva con quante ragazze era stato il tipo, celando il tutto alla fidanzata) ed era quello che era: amore puro fu il giorno in cui Sabrina lo spiò alle docce dello spogliatoio maschile.
Oltre ai propri poteri, loro potevano usare anche delle magie ausiliarie. Il teletrasporto era una di queste. Aveva un nome ufficiale particolare, in pomposo latino, che lei non ricordava.
Per sfruttare questo potere, bastava concentrarsi particolarmente sul posto dove andare, ma in modo particolare, come se la persona stesse lì.
“Shopping, Burger King…” mormorò Sabrina.
Chiuse gli occhi e in un istante si ritrovò al burger king, mangiando le crocchette di pollo che tanto adorava.
Almeno così pensava.
Aprì gli occhi e si ritrovò seduta su uno sgabello di un camerino.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Scontro con la regina ***


Capitolo 2: Scontro con la regina


Sabrina sbuffò. Il teletrasporto era una delle qualità magiche che sapeva utilizzare di meno. Solo perché si ostinava a non imparare per bene quelle formule arcane in latino o sanscrito. O meglio, le magie, incantesimi o quello che erano, li doveva sapere, altrimenti non sarebbero mai riusciti: era una qualità interiore, per meglio dire. Gli altri ragazzi però per essere più precisi avevano imparato per bene delle formule magiche, scritte dall’amico Randall in una sorta di quaderno-grimorio.
Sabrina si alzò, scosse la tendina rossa del camerino e uscì. Si guardò intorno e, dalla numerosa folla e dai vestiti variopinti, Sabrina riconobbe l’interno del secondo piano di Benetton, l’unico negozio del centro commerciale che possedeva quel numero di magliette e pantaloni di sola tinta unita.
Un ragazzo dall’aspetto goffo la guardò stupito.
“Cosa c’è da guardare?” sbottò Sabrina. Sarà per la sua bellezza, per l’indossare un attillato costume oppure per essere uscita dal camerino del reparto uomo del negozio?
La ragazza si inoltrò per il negozio, cercando l’uscita. Una volta fuori, si ritrovò all’interno del capannone nord del centro commerciale, quello che ospitava tutti i suoi negozi preferiti: da Benetton ad H&M fino ai prestigiosi Louis Vuitton e Gucci (peccato che per quest’ultimi, lei si limitasse al vertina-shopping, l’arte di desiderare ciò che c’era in vetrina).
Prese dalla tasca quello che sembrava un auricolare. Il genio del gruppo i Randall, aveva costruito pezzo per pezzo degli auricolari particolari forgiati con la magia, capaci di mettere in comunicazione gli amici anche durante un duro combattimento. Perché era questo quello che facevano: combattevano.
“Come si mette questo coso…?” mormorò la ragazza, trovando sempre difficoltà con la cuffietta.
“Bzz… bzz.. Mi senti?” La voce di Randall fuoriuscì dall’auricolare, che la rese più metallica.
“Randall, sono nel centro commerciale. Non sento urla, se non quelle per il 70% di sconto da H&M!” esclamò Sabrina, un po’ infastidita: erano infatti gli ultimi giorni di saldi e lei rimandava sempre il supergiorno delle spese con l’amica, ora per gli allenamenti di pattinaggio, ora per qualche… intoppo strano.
Randall sospirò.
“Guarda che il mio computer non sbaglia mai, lo scanner olo-bionico di energia avverte che lì, oltre alla tua, è presente altra energia.” Disse il ragazzo.
“Il tuo olocoso si sarà sbagliato!” esclamò la ragazza, camminando per il centro commerciale, mentre la gente che passava la guardava sempre di più.
“Sono bella lo so!” sbottò Sabrina in risposta dei vari sguardi, agitando i capelli ricci, provocando risatine.
La ragazza continuò a camminare per il centro, ma non c’era nulla di strano. Dopo una mezzoretta di sopportazione (sopportava un po’ la fame, un po’ l’essere andata al centro commerciale per non comprare nulla), Sabrina uscì fuori dal centro commerciale.
“Coso, mi senti?” fece la ragazza.
“Forte e chiaro.” Rispose il ragazzo, che evidentemente masticava qualcosa.
“Cos’è mangi?!” esclamò infastidita Sabrina.
“Cotoletta” fece il ragazzo, masticando.
“Senti non c’è niente qui.” Sbottò Sabrina. “Torno a casa.”
“Il mio computer non sbaglia mai! Sei sicura che…” mormorò il ragazzo, poi si fermò.
“Si ti ho detto che…” iniziò Sabrina, ma poi fu subito interrotta dal ragazzo.
“Bree, il computer rileva oltre la tua, un’energia all’interno del centro commerciale e una… una che beh proviene da sotto.” Fece il ragazzo.
Nemmeno a dirlo, e poco dopo si avvertì una piccola scossa, seguita da una esplosione.
“Ahh!” urlò la ragazza. Proprio una decina di metri da lei, nel bel mezzo del parcheggio del centro commerciale, si aprì una frattura, dovuta all’esplosione, che fece saltare in aria delle automobili.
Si sentirono forti rumori, scricchiolii e grandi passi.
Il tempo che il fumo si sparse intorno, e Sabrina riuscì a vedere.
Dalla frattura, si creò un buco che sembrava profondo. E da lì fuoriuscirono quelle che sembravano grosse formiche, grossi scarabei ed enormi vermi.
Sabrina rimase impietrita. Non era la prima volta che vedeva cose del genere. Qualche mese prima, infatti, assieme ai suoi amici, sconfissero l’esercito d’ombra di Re Clanves, re delle Isole Solitarie, isole celate nel Triangolo delle Bermuda. E spesso capitava che quei mostri, rimasti senza padrone, ritornassero in giro, quasi per vendicare il proprio signore, rinchiuso nelle Fauci (il regno dell’esilio, posto nel centro della terra).
Ma questa volta i mostri erano diversi: avevano sembianze di insetti ed erano guidati da una donna seduta su quella che sembrava la formica regina.
“Eccoci nel regno della Terra!” esclamò la donna o quello che era. Aveva sembianze di donna, ma era vestita da un nero tessuto simile a ragnatele, ed era dotata di otto braccia. Con se aveva una sorta di copricapo argentato e brandiva una lancia che brillava di un cupo ocra.
Sabrina rimase impietrita. Quella era una vera e propria invasione.
“O Terra! Rendici ciò che è nostro!” esclamò la donna.
La ragazza si fece coraggio. Raccolse a sé la sua energia e invocò un’onda di fuoco, che scaraventò contro la formica gigante più vicina, che appena colpita girò e cadde all’indietro.
“Chi è la?!” esclamò la donna.
“Ci sono uomini, donne e bambini indifesi. Ho già combattuto mostri d’ombra. Io sono la gemma del fuoco. Sono Ignis Stream!” esclamò Sabrina. Ora i suoi occhi brillavano di rosso.
“Cosa vedo? Una ladra!” esclamò la donna, indicando la ragazza. La donna scese dalla formica regina e si diresse verso Sabrina. Ora che poteva osservare meglio, le sue mani sembravano grosse chele.
“Sono Vyseres, regina del primo livello del Regno di Sotto!” esclamò la donna. “Gemma di fuoco. E’ quello in tuo reato!”
Sabrina non capiva cosa intendesse la regina con reato.
“L’unico reato è la vostra presenza! Andatevene!” esclamò Sabrina.
“Non prima di aver ottenuto ciò che è nostro!” esclamò la regina. “Distruggete tutto!”
Appena ordinato, l’esercito della regina iniziò a schiacciare e distruggere alberi, automobili e ciò che aveva attorno.
Le urla delle persone aumentarono sempre di più.
“Ci sono dei civili qui!” esclamò Sabrina. Levò una grande barriera di fuoco tra le persone del centro commerciale e l’esercito della regina.
“Il fuoco ci può fermare. Ma sappiamo chi sei.” Esclamò la regina.
Dei grandi ragni si avvicinarono alla ragazza, che in preda al panico, lanciò loro ondate di fuoco, per poi passare alla lava incandescente.
“Sei un vero lanciafiamme.” Commentò la regina, avvicinandosi sempre più alla ragazza.
“Ma vediamo come spegnerti!” esclamò. E la lancia color ocra si illuminò sempre di più. E in un attimo, Sabrina fu ricoperta di roba appiccicosa, che sembrava una grossa ragnatela nera, che man mano si avvolse sempre più alla ragazza.
Sabrina tentò di evocare le forze del fuoco, ma inutilmente, più si divincolava e più la morsa si stringeva.
Evocò le proprie forze, appena in tempo per farfugliare “Aiuto…” sperando che Randall la sentisse. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** L'aiuto ***


Capitolo 3: L'aiuto


“Sabrina! Sabrina!” esclamò Randall, alzandosi di colpo dal letto appena sentito nelle casse del computer la richiesta d’aiuto dell’amica.
La cameretta di Randall poteva sembrare a prima vista un buco. In effetti non era molto spaziosa:  c’era un letto e un grande armadio. Le pareti erano completamente piene di poster di film o videogiochi. Per non parlare dello spazio. Una fioca luce si intravedeva dalla finestra. Il resto era occupato da una grande postazione computer, una di quelle potenti, dove nello spazio che restava c’erano solo scatole di rare e costose schede video per le console videogames.
Il computer aveva intercettato la richiesta di aiuto dell’amica.
Randall si mise subito l’auricolare.
“Mi senti?!” esclamò, ma si sentiva solo un fastidioso rumore metallico. “Accidenti…”
Il ragazzo si mise subito all’opera. Scrisse velocemente sulla tastiera, adoperò programmi di localizzazione e cercò di trovare il punto preciso in cui si trovava l’amica al momento.
“Bingo!” esclamò. Aveva la febbre, ma non c’era molto da fare. Poteva provare a contattare gli altri, però.
Prese subito il cellulare, uno degli ultimi iPhone (e cosa poteva non avere, un maniaco della tecnologia?) e provò a chiamare Eric.
Eric era uno dei suoi migliori amici. Beh certo, lui non ne aveva molti. Da sempre è stato abbastanza isolato se non preso in giro da tutti.
“Dai. Rispondi!” sperò Randall.
Dopo aver riprovato due volte, finalmente Eric rispose.
“Hey, Randy!” esclamò il ragazzo.
“Oh, Eric, dove cavolo stai?” chiese Randall.
Si sentirono risate di sottofondo, mentre Eric emise un lamento.
“Uhm, aspetta un momento” fece il ragazzo, ridacchiando.
“Eric dai…” mormorò Randall.
“Eccomi eccomi, solite cose da spogliatoio, ma tanto il più veloce sono io.” Disse il ragazzo alzando la voce per farsi sentire dagli amici della squadra di nuoto.
“Dai, Eric. Senti lo sai che sto a casa con la febbre, ma credo che uscirò. Sabrina è andata al centro commerciale..” disse Randall.
“Se chiami per andare a darle una mano con le buste, no grazie…” fece Eric, mettendo il vivavoce per potersi asciugare.
“E’ seria la cosa. Ha chiesto aiuto, ma ora non riesco a contattarla.” Continuò Randall, preoccupato sempre di più.
“E’ forte Bree, se la sa cavare nelle code da centro commerciale.” Rispose Eric, ridacchiando.
“Io vado a vedere. Il computer lì ha intercettato una forte energia, credevo fossero dei demoni o mostri d’ombra, ma invece ha detto che non c’erano” fece Randall.
Eric tolse il vivavoce e imbarazzato dagli sguardi degli amici rispose “Ehm, le ultime novità di War of Warcraft”.
“Cosa?” fece Randall al telefono.
“Ehm… va bene, sto quasi per uscire dalla piscina, mi vieni incontro?” chiese Eric.
“Va bene vengo.” Fece Randall, per poi chiudere la chiamata.
Controllò velocemente il pc. Al centro commerciale ormai non indicava più alcuna forma di energia.
“Dove sei?” mormorò Randall, mentre spense tutto.
Dopo dieci minuti, il ragazzo raggiunse l’ingresso della piscina vicino casa, dove Eric lo stava aspettando.
Eric era un ragazzo sui diciotto anni. La piscina gli aveva dato un buon fisico. Era quasi l’opposto di Randall: lui era basso e biondo, Eric era alto e moro. E se lui era noto a scuola, Randall era perfettamente noto come “l’amico sfigato di Eric”. Questa cosa gli dava abbastanza fastidio, naturalmente. Eric era per lui il suo migliore amico, quelli destinati a durare per sempre. Assieme ad Adam, formavano un bel trio.
“Ohi, Randy!” esclamò Eric, alzando il pugno come di consuetudine per salutarsi.
Randall tossì e rispose al saluto.
“Ti vedo un po’ palliduccio, sicuro di venire?” chiese Eric.
L’amico scosse la testa.
Raggiunsero il centro commerciale, dove al momento sembrava esserci il finimondo. Persone soccorse dall’ambulanza, volanti della polizia ovunque, per non parlare dei vigili del fuoco e dei telegiornali.
“Qualcosa è successo in effetti.” Mormorò Eric.
“Ragazzi, il centro commerciale è chiuso.” Fece un poliziotto, appena i due si avvicinarono.
“Cos’è successo?” chiese Eric.
“Non avete seguito le notizie dell’ultim’ora?” fece il poliziotto. “Pare che sia esploso qualcosa, evidentemente gas, perché le persone presenti credono di aver visto ragni giganti e cose del genere.”
I due ragazzi si intesero. Fecero dietrofront e al primo angolo si nascosero.
“Vedi? L’esplosione… i ragni giganti… e Bree scomparsa.” Fece Randall.
“Aqua Stream!” esclamò Eric. In un attimo, fu avvolto da una luce e rimase a piedi nudi, con un bermuda bianco e delle alghe elastiche che gli attraversarono il dorso. La luce diminuì e si rivelò scaturita da una pietra blu, simile al lapislazzulo. Sul volto aveva una piccola mascherina.
“Aeris Stream!” fece tossendo Randall. La luce si scaturì da una piccola perla bianca. Poco dopo si ritrovò con un abito bianco con ornamenti dorati. Randall emise un piccolo gemito e dalla schiena si levarono delle grandi ali bianche, tipo quelle degli angeli. Sul volto comparse una piccola mascherina dorata.
“Sicuro di voler volare?” fece Eric, visto che l’amico non stava del tutto bene.
“Sicuro.” Disse Randall.
“Aspetta, sta la polizia.” Fece Eric, indicando i poliziotti attorno a quello che sembrava un grande buco, nel bel mezzo del parcheggio.
“Qualcosa mi dice che quell’esplosione ha a che fare con la scomparsa di Sabrina” commentò Randall. Poi soffiò contro Eric.
“Cosa?” fece Eric indietreggiando.
“Servirà a non respirare.” Disse Randall. Poi si levò nel cielo, ed agitò le grandi ali. Si creò una coltre di polvere che in meno di qualche secondo, fece svenire gli agenti.
“Non guardarmi così… è una specie di gas soporifero.” Eric infatti lo guardò stupefatto.
I due si avvicinarono alla grande buca creatasi, visto che ormai gli agenti e le persone vicine erano cadute in un sonno di qualche ora.
“Pronto?” fece Eric, guardando Randall.
Randall gli tese la mano.
“Andiamo.” I due saltarono nella buia buca, che sembrava più profonda del previsto.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Soccorso dalla terra ***


Capitolo 4: Soccorso dalla terra


Erano le quattro del pomeriggio. L’università degli studi di Tomstone, l’importante capoluogo di regione, era stracolma di studenti. Molti dovevano dare altri esami, molti erano lì per le sessioni pomeridiane dei loro corsi e molti altri erano impazienti di sapere il proprio risultato agli esami passati.
“Complimenti, signorina.” Fece il professor Morris. “Impeccabile come sempre, i risultati saranno poi affissi in bacheca la prossima settimana. Il giorno esatto lo può chiedere in segreteria.”
Trisha si alzò, prendendo le proprie cose e i libri. Tese la mano al professore, reggente la cattedra di diritto aziendale, e sorrise.
“Grazie mille.” Mormorò la ragazza.
“La prossima… Linsdale!” esclamò il professore, mentre Trisha uscì dall’aula magna, dove aveva appena terminato il suo esame.
Trasse un lungo sospiro. Era un sospiro di sollievo, aveva sicuramente superato anche quell’esame.
“Com’è andata?” chiese Jane, una sua amica. “Dai dimmi!”
Trisha ridacchiò.
“Tutto bene, Jane!” esclamò, sorridendo. Jane e Trisha erano amiche dal primo anno delle superiori. Lei aveva però scelto la facoltà di giurisprudenza, mentre l’amica aveva scelto psicologia.
“Ah, sono stanchissima” mormorò Trisha, mentre le due si divincolarono tra i tanti studenti, raggiungendo l’atrio.
“Incrocia le dita per me…” fece Jane, chiudendo gli occhi. Pian piano si inoltrarono tra gli studenti, in fila davanti alle bacheche, speranzosi.
“Dai che ce l’hai fatta!” esclamò Trisha, sorridendo.
Dopo una decina di minuti (tra spinte ricevute e date) le due furono davanti alle bacheche.
“Dimmelo tu…” mormorò l’amica, incrociando le dita.
Trisha scorse gli elenchi cercando il nome dell’amica.
“Ventiquattro!” esclamò Trisha. L’amica sobbalzò e abbracciò Trisha, fino a stritolarla.
“Finalmente, e con questo esame li sto superando tutti!” esclamò la ragazza. “Dai, corro a casa a dirlo ai miei!”
Le due amiche scesero le scalinate dell’università, fino a ritrovarsi nel corso.
“Dai, corro!” esclamò Jane, salutando l’amica. “Sicura di non volerti fermare a mangiare a casa?”
Trisha abbracciò Jane. “Sicura dai, ci sentiamo!” disse, salutandola, mentre Jane correva verso le scalinate vicine del sottopassaggio della metropolitana.
Le due amiche abitavano proprio in quartieri distanti. Jane abitava in un quartiere collinare, mentre lei nel centro storico.
Trisha prese di colpo il cellulare, che aveva appena vibrato.
Era un messaggio. La ragazza lo aprì. Il mittente era Adam.
-Andato bene l’esame?- lesse.
Trisha sorrise. Almeno lui se ne era ricordato.
-Credo di si. Tutto bene al campeggio?-  scrisse la ragazza, mentre si incamminava verso casa.
-Per fortuna prende il cellulare. I colleghi di mio padre sono il massimo, ma i figli non sono altrettanto.-Rispose il ragazzo poco dopo.
Intanto, utilizzando una scorciatoia, Trisha era giunta sotto il portone di casa. Rovistò nella borsa, piena di quaderni e libri, alla ricerca delle chiavi.
Il quartier generale era situato al secondo piano di un condominio, non tanto distante dall’università.
Era un appartamentino di modeste dimensioni. Aveva un soggiorno con cucina, un bagno e due piccole stanzette. Lì convivevano Trisha e Adam. Nonostante Adam avesse finito da un pezzo l’università  e il padre fosse contrariato da questa sua decisione, lui almeno qualche giorno durante la settimana preferiva dormire lì che stabilirsi nella villa di famiglia.
La famiglia di Adam, i Nelphon, sono una nota famiglia ricca della città. Possedevano un intera fabbrica per non parlare della posizione politica che aveva mister Nelphon. Era abbastanza influente, insomma.
Adam avrebbe ereditato l’intero patrimonio del padre e comunque aveva sicura anche una carriera in politica, nonostante non se ne mostrava entusiasta. Il ragazzo infatti aveva preferito comunque lavorare per ottenere un reddito autonomo, presso una nota farmacia della città.
Trisha invece si è dovuta allontanare dalla famiglia per seguire i corsi universitari. E per lei fu un vero sollievo. I genitori infatti furono contrariati della scelta di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, ma lei per seguire il suo sogno, preferì allontanarsi dalla famiglia e cercarsi un lavoretto per sostenere le tasse universitarie. Al resto, quando spesso la ragazza non ce la faceva, provvedeva l’amico.
D’altronde, la sua famiglia ora erano i suoi amici.
L’appartamento veniva usato anche come quartier generale dei ragazzi, dove ogni giorno si riunivano Trisha, Adam, Sabrina, Eric e Randall.
Quest’ultimo infatti aveva occupato di tutte le sue tecnologie la stanzetta di Adam. Così potevano tenere sempre sott’occhio le energie mistiche che all’evenienza si presentavano in città.
La ragazza aprì le dispense e iniziò a cucinare, preparandosi una spaghettata alla carbonara, uno dei suoi piatti preferiti.
-Capisco, beh non fare il musone,  come al solito.- Rispose Trisha.
-Non ricominciare, rompiscatole.-  Rispose il ragazzo, poco dopo.
Trisha sorrise. Chissà, in effetti dopo gli ultimi esami si sarebbe concessa anche lei riposo in montagna.
Poco dopo, il telefono squillò ed emise un fastidioso suono.
“Trisha, rispondi!” esclamò la voce di Randall. Il genietto aveva installato un programma o una cosa del genere anche nei cellulari di tutti, in modo che potessero collegarsi agli auricolari magici.
“Randall?” fece Trisha, poggiando il piatto sporco nel lavandino. “Ti sento.”
“Trisha, finalmente… siamo… beh non sappiamo dove. Non troviamo più Sabrina. Siamo sottoterra.” Balbettò il ragazzo.
“Cosa?!”  fece Trisha, sbigottita.
“Puoi raggiungerci? Avremo bisogno di te!” esclamò Randall. Sottoterra infatti, probabilmente i poteri di Eric sarebbero stati utili, ma quelli di Randall, decisamente inutili. La ragazza invece si sarebbe trovata nel suo “habitat”.
“Tenterò…” mormorò Trisha.
Velocemente uscì dal palazzo e voltò per due vicoletti fino ad arrivare ad un vicolo cieco.
“Earth Stream!” esclamò la ragazza e in un lampo di luce si ritrovo nel suo costume nero con tanto di gonna lunga fino ai piedi ornata di verde, da cui si intravedevano le calze.
Aprì con l’aiuto di qualche pianta spontanea un vicino tombino, stando accorta a non farsi notare (dopotutto il vicolo era vuoto), e scese nelle fognature.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Le caverne sotterranee ***


Capitolo 5: Le caverne sotterranee


Trisha riuscì a raggiungere il vicino tombino, ingresso delle fognature. Naturalmente, appena scese lì, sentì un’insopportabile puzza.
“Oh che schifo.” Si lamentò Trisha, tappandosi il naso.
Fissò il lungo percorso delle acque sporche delle fognature. Probabilmente se lo percorreva andando per la direzione delle acque si ritrovava nella piazza principale, invece se percorreva l’inverso, poteva ritrovarsi  dietro casa, appena sotto l’università.
“Dove si saranno cacciati?” pensò la ragazza. Si mise l’auricolare magico creato dall’amico e tentò una comunicazione.
“Randall, Randall!” esclamò Trisha, tastandosi l’auricolare.
Sentì solo un rumore metallico.
“Dove siete?” fece la ragazza, e finalmente ebbe una risposta.
“Trisha! Non so bene dove siamo. Siamo scesi in profondità dal parcheggio del centro commerciale.” Disse Randall.
“Non ho capito… parcheggio?” fece Trisha, che evidentemente non capiva granché dall’auricolare.
“Dal centro commerciale!” esclamò Randall. “Ma ci siamo inoltrati abbastanza!”
Trisha stette in silenzio per qualche secondo.
“Vi troverò in poco tempo” disse poi.
Levò l’indice verso l’alto. “Terra, aiutami tu!” esclamò poi. Emise delle piccole scintille verdi e in men che non si dica, sparì per poi ritrovarsi in quello che sembrava una caverna buia.
Trisha, con la sua magia, era riuscita a trasportarsi in profondità, al di sotto della metropolitana e delle fognature, dove vicino c’erano i due amici vagabondi.
La ragazza tentò di farsi luce grazie a delle scintille verdi.
Dopo aver camminato in quello che sembravano grandi cunicoli per dieci minuti, sentì qualcosa.
Per terra, vide grossi ratti che correvano nella direzione opposta.
Trisha prima sussultò, poi facendo attenzione, si inoltrò nel cunicolo. Ebbe molto più da sussultare, quando improvvisamente si ritrovò davanti enormi ragni. E menomale che la sua magia le permetteva di stare sottoterra, altrimenti già sarebbe stata morta stecchita, in più anche pasto per quelle creature.
Dei ragni giganti, neri probabilmente, avanzarono verso la ragazza.
“State lontani!” esclamò Trisha, mentre le scintille verdi aumentarono.
Due ragni vicini mostrarono le chele, che emisero uno strano rumore.
“Ascoltatemi! Cosa volete e da dove venite?!” esclamò Trisha. Aveva anche un potere particolare: riusciva a parlare agli animali, e questi riuscivano anche a risponderle.
Il ragno vicino emise strani suoni, che Trisha riuscì a comprendere come “Ecco un’altra ladra!” e un altro ragno si avvicino a lei e disse “Stai profanando il nostro regno!”.
Trisha rimase sbalordita.
“Ladra? Io? Sono alla ricerca dei miei amici!” esclamò Trisha. “Lasciatemi passare.”
I ragni emisero suoni particolari, che nemmeno Trisha riuscì a comprendere.
Poco dopo, si ritrovò attaccata da quei ragni enormi. Uno dei più vicini le gettò contro dell’appiccicosa ragnatela.
Trisha emise un urlo, ma riuscì poi a divincolarsi dalla ragnatela.
“La porteremo dalla regina!” disse un ragno.
“Decido io dove andare!” esclamò Trisha. “Qui ci vuole un po’ di disinfestazione!”
Evocò ancor di più quelle scintille verdi, e improvvisamente dei massi crollarono addosso ai ragni, schiacciandoli.
Trisha però non si rese conto che avendo evocato la forza della terra, mise in pericolo sé stessa.
“Ahh!” esclamò, per poi evocare un potente scudo verde.
Dopo un po’, la situazione si calmò. Continuò a percorrere il cunicolo, evitando i ragni e illuminandoli, controllando che fossero morti.
Poi sentì un urlo, che riconobbe appartenere a Randall.
“Randall!” esclamò Trisha, poi iniziò a correre per i cunicoli, finché non inciampò contro un grande sasso.
Inciampando, cadde in una buca che non sembrava tanto profonda.
“Oh…” mormorò Trisha. Si guardò un attimo attorno e vide finalmente Eric e Randall. I due però stavano provando a difendersi contro enormi formiche.
“Randall… Eric!” esclamò Trisha.
Eric aveva evocato un potente flusso d’acqua che fece annegare due formiche enormi, mentre Randall sbatteva vorticosamente le ali, generando un breve turbine che scaraventò lontano un ragno.
“Trisha, ci sei anche tu!” esclamò Randall, notando la ragazza.
“Puoi aiutarci?” fece Eric, mentre comandava un altro flusso d’acqua, che assieme all’aiuto di Randall si congelò attorno alle zampe di una formica.
“Credo… credo di aver trovato una soluzione.” Mormorò Trisha, tenendosi a distanza.
“Beh, forza!” esclamò Eric, quasi perdendo la pazienza.
Trisha corse appena dietro Eric.
“Allontanatevi.” Disse ai due. “beh, muovetevi”
I due la guardarono, poi indietreggiarono.
“Lasciateci in pace!” esclamò la ragazza, per poi levare le braccia.
In men che non si dica, gli enormi insetti si ritrovarono spiaccicati alle pareti da una strana sostanza verde che puzzava esageratamente.
“Non facciamola arrabbiare…” mormorò Randall.
“Mestruo?” fece Eric e subito Trisha lo fulminò con lo sguardo.
“Volete spiegarmi?” fece la ragazza. “Insetti enormi, cunicoli sotterranei, Sabrina scomparsa?”
“Beh… il mio computer ha rilevato verso il centro commerciale una forma di energia. Sabrina non ha trovato nulla, quando una seconda forma si è rivelata, e da lì non ho sentito più Sabrina. So solo che questa energia e quella di Sabrina si trovano qui, nel sottosuolo.” Spiegò Randall.
“E non riesci a metterti in contatto con l’auricolare?” chiese Trisha, speranzosa.
Il ragazzo scosse la testa.
“Continuiamo di qua. Sembra che questi cosi enormi vengano verso di noi… da chissà dove.” Disse Eric.
Randall aumentò la luce che aveva evocato dalle proprie ali, così che si riusciva ad illuminare anche la vicina fine del cunicolo.
Ma si rivelò inutile. Infatti, la fine del cunicolo risultò illuminata.
I tre si avvicinarono alla fonte di luce e ne restarono stupefatti.
Usciti dal cunicolo, rimasero impietriti da ciò che videro. Sembrava una caverna immensa, illuminata ogni dieci metri da grandi cristalli simili a salgemma. E in fondo, c’era quello che sembrava un grande palazzo scavato nella pietra.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La città ***


Capitolo 6: La città


Allo stesso tempo, quella grande e immensa caverna faceva rimanere esterrefatti i tre ragazzi sia per il suo splendore che per la sua inquietudine.
Era una enorme città scavata in grandi cave profonde sotterranee, illuminata ogni dieci metri da cristalli luminosi. Il fulcro della città sembrava il grande palazzo scavato nella roccia, mentre tutt’attorno  si diramavano abitazioni e negozi particolari.
“E’ magnifica!” esclamò Eric.
“E’ enorme…” fece Trisha, esterrefatta.
I tre ragazzi discesero un piccolo sentiero scavato, per poi ritrovarsi in una via principale. Le case sembravano fatte di appena qualche stanza. Dalle finestre, che sembravano avere al posto del vetro del cristallo, si notava che i letti erano posti tutti nella stanza principale.
“Attenti!” fece Trisha, prendendo i due ragazzi per mano e spingendoli verso un vicoletto.
“Cosa c’è?” fece Eric.
“Non devono vederci. Guardate!”fece Trisha.
La ragazza fissò oltre il vicoletto delle persone. O meglio, quello che sembravano.
Erano donne con quattro braccia. O zampe.
“Che diavolo sono?” chiese Eric.
“Saranno esseri… come gli insetti giganti.” Mormorò Trisha.
“Allora… Forse Sabrina sarà qui da queste parti!” esclamò Eric.
“Shh… abbassa la voce!” fece Trisha. Poi pensò a quello che aveva ascoltato dai ragni giganti.
“I ragni hanno farfugliato qualcosa riguardante una regina… può essere che quell’immenso palazzo…” mormorò Trisha.
“Sia il palazzo di questa regina!” concluse Eric. “Randall, riesci a controllare l’energia magica?”
Eric guardò Randall. Ma al momento, l’amico non era nelle sue migliori condizioni. Si era poggiato contro la fredda parete di roccia di una delle abitazioni.
Sembrava palliduccio e sudava freddo.
“Amico, tutto bene?” gli fece Eric, poggiandogli una mano sulla spalla.
Le ali sembravano scendere sempre più giù, mettendosi rilassate.
“Randall, cos’hai?” fece Trisha, preoccupata. Gli mise una mano sulla fronte.
“Aveva la febbre…” mormorò Eric, ricordandosi all’ultimo minuto.
“Non doveva venire con noi!” esclamò Trisha, sempre più preoccupata.
“E come potevamo fare…” farfugliò Eric.
“Inoltre, il legame che ha col potere dell’aria è forte. Qui sotto l’aria manca.” Continuò Trisha.
“E’ vero…” fece Eric. “Randall, non preoccuparti. Ancora un po’…”
“Accompagnalo in superficie.” Disse Trisha.
“Cosa?” fece Eric, stupefatto.  “E tu?!”
“Io cerco di inoltrarmi qui sotto. “ rispose Trisha.
“Da sola?” chiese Eric, un po’ titubante. Non se la sentiva di lasciare sottoterra in territorio nemico una sua amica.
“Ascolta. Io sono grande e vaccinata. Tu porta Randall in superficie, va a casa mia, il tempo necessario per farlo riprendere e cerca di tornare qui col teletrasporto.” Fece Trisha.
Eric la guardò. La luce in penombra dei cristalli rendeva i suoi capelli quasi argentei, e i suoi occhi azzurri spiccavano in quel tetro luogo. Il che la rendevano ancora più bella.
“Ehm, certo…” mormorò il ragazzo, arrossendo.
“Dai, vai!” esclamò Trisha. Il ragazzo sospirò, e prendendo per mano l’amico, in un attimo sparirono.
Trisha tentò di muoversi tra i vicoletti, che le sembravano quelli più disabitati.
Le sarebbe servito un incantesimo di invisibilità di Randall, ma sicuramente in quelle condizioni non ne sarebbe stato granché capace.
-Chissà se starà meglio-  pensò Trisha.
Intanto, in un lampo di luce Eric aveva portato nel quartier generale Randall.
Eric chiuse le tendine delle finestre, in modo che i vicini non potessero nel caso guardare i due trasformati.
“Randall tutto ok?” fece Eric, mentre accompagnava l’amico sul divanetto.
Randall emise un lamento.
“Non mi sono sentito bene lì sotto…” mormorò Randall.
Eric prese un bicchiere dalla mensola, per poi riempirlo d’acqua e qualche cucchiaino di zucchero.
“Bevi dai” disse, dandogli il bicchiere.
“E’ stata l’assenza d’ossigeno… Noi possiamo restare lì sotto per magia, ma per te è limitato.” Spiegò Eric.
“Già… “ mormorò l’amico, mentre sorseggiava.
Intanto, Trisha si era fatta avanti per molti vicoli, fino ad arrivare a quella che le sembrava la piazza principale.
Era gremita di strani umanoidi dalle zampe e chele simili a quelle degli insetti.
“Vieni qui, Jrekke!” sentì Trisha. Ovviamente era in realtà quello che sembrava un lamento emesso da una di quelle creature.
Ma improvvisamente, mentre furtivamente Trisha cercava di inoltrarsi nella piazza, si ritrovò quello che sembrava un piccolo ragno umanoide.
“Yeeek!” fece il piccolo, sobbalzando.
“Tesoro!” fece la madre, raggiungendolo. Poi urlò vedendo Trisha.
“Un mostro! Un mostro! Chiamate la guardia reale!” esclamò l’umanoide, mentre Trisha rimase esterrefatta.
Di punto in bianco molte di quelle creature si radunarono vicino alla madre-ragno e a Trisha.
“Eccola! Prendetela!” esclamò una grossa formica, mentre le altre zampettavano verso Trisha.
“No!” esclamò Trisha, mentre evocava dei rampicanti dal terreno, che allontanarono alcune formiche, ma un grosso ragno la bloccò, e mentre cercava di divincolarsi, un altro la colpì con una grossa mazza.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Prigioniere ***


Capitolo 7: Prigioniere

Improvvisamente, Trisha mosse gli occhi. Aveva freddo. Si guardò un momento intorno. Era in quella che sembrava una piccola caverna di dimensioni modeste, scavata appena nella roccia. Doveva essere buio lì. Le fonti di illuminazione erano le vicine torce infuocate, appese accanto alle pareti.
Era una sorta di prigione. Toccò per un momento le sbarre. Erano sudice, e non riconobbe il materiale, che al tatto era ricoperto di quello che sembravano licheni.
Guardò al di fuori della cella. Accanto, due guardie simili alle creature dalle forme di formiche erano sedute davanti ad un tavolo. Stavano tirando i dadi.
Oltre vedeva altre celle, dove si sentivano dei lamenti.
Fissò per un momento la cella di fronte alla sua.
Al suo interno splendeva una fioca luce, che proprio in quel momento si spense.
Poi dopo qualche minuto si riaccese. Trisha guardò bene. Non era una luce. Era una piccola fiammella di fuoco, che in penombra fece illuminare il volto dell’amica che stava cercando in quel brutto posto.
“Sabrina!” esclamò Trisha, cercando di chiamare l’amica.
Nel chiamarla notò che non aveva molta forza nemmeno per urlare.
“Sabrina!” provò di nuovo.
Stavolta, la luce della fiammella si spense, per poi comparire più vicina alle sbarre della cella di fronte.
“Trisha?” fece la ragazza, balbettando quasi.
Trisha notò che Sabrina aveva il volto rigato dalle lacrime, per non parlare dell’occhio nero e delle guancie belle rosse.
“Sabrina, cosa ti hanno fatto?” fece Trisha, guardandola.
“Ho provato a difendermi…” mormorò la ragazza, tossendo.
Trisha fu sconvolta. L’amica era in pessime condizioni. Pian piano provò a mettersi in piedi. Notò che aveva le gambe che vacillavano.
Evocò delle scintille verdi, che subito scomparirono.
“Anche la mia magia è debole…” mormorò Sabrina.
Trisha toccò le sbarre, visto che aveva notato quelli che le sembravano dei licheni.
“Ci libereremo!” esclamò la ragazza, ma i licheni non risposero al richiamo magico.
“Non c’è vita vegetale qui…” mormorò Sabrina, debolmente.
“Posso provare a far franare il posto, ma sarebbe un rischio…” mormorò Trisha, pensando.
“Come hai fatto a trovarmi?” chiese Sabrina.
“Più che trovarti, mi hanno catturato nella città sotterranea.” Rispose Trisha. “Randall ed Eric mi hanno chiamata per cercarti. Randall aveva sentito la tua richiesta d’aiuto. Però qui sotto non si è sentito bene ed Eric l’ha accompagnato in superficie. Evidentemente i suoi poteri non sono il massimo qui sotto”.
“Cerco di recuperare le forze.” Disse Sabrina. “Ma qui non c’è molto da fare…”
“Non arrendiamoci.” Mormorò Trisha.
“Arriveranno presto Randall ed Eric, no?” fece Sabrina.
Trisha sospirò. Poi fissò le torce infuocate.
“Sabrina… non riesci a prendere forza dal fuoco?” chiese Trisha. In effetti lì c’era del fuoco, e Sabrina poteva rimettersi in forza.
Sabrina tentò di mettersi in piedi.
“Attenta…” fece Trisha, guardando le guardie che stavano ancora giocando tra loro per passare il tempo.
“Dai, ora provo…” mormorò la ragazza. Tese le braccia ed evocò delle scintille arancioni.
Di punto in bianco, il fuoco delle torce appese, diventò più vivido e improvvisamente le passò davanti.
Il fuoco prese vita fino ad avvolgere l’amica.
Trisha si voltò, sentendo i forti zampettii delle guardie.
“Guardate!” disse una. “Avvertite il generale!”
Naturalmente solo Trisha poteva comprenderli.
“Sabrina, tutto bene?!” chiese Trisha.
“Mai stata meglio… beh non è vero.” Rispose la ragazza. Strinse i pugni e le sbarre esplosero.
Una guardia emise un rumore raggelante, che si sentì per tutta la prigione.
“Eh no, ora tocca a me!” esclamò Sabrina, ormai ripresa da quella brutta situazione. Evocò quelle che sembravano grosse bolle di magma e le gettò contro due insetti che stavano per venirle contro.
“Attenta Trisha!” esclamò Sabrina, per poi fondere le sbarre.
Trisha finalmente uscì dalla sua cella.
Almeno una dozzina di mostri-ragno, guardie della prigione, circondarono le due ragazze.
“Cosa facciamo?” mormorò Trisha.
“Non ce la faremo mai, io a stento posso difendermi” disse Sabrina. “Dammi la mano.”
Trisha prese la mano di Sabrina. Chiuse gli occhi e improvvisamente, recuperò quel minimo di energia per consentire alle due di ritornare a casa.
“Forza, andiamo!” esclamò Trisha.
In men che non si dica, le due ragazze piombarono improvvisamente nel salotto del loro quartier generale.
“Sabrina, Trisha!” esclamò Eric trovandosi improvvisamente le due nel salotto.
“Ragazze…” mormorò Randall, che si era circa ripreso. “Ma Sabrina… cosa ti hanno fatto?!”
Sabrina si massaggiò le guancie. “E’ lungo da spiegare…”
Intanto, nel palazzo sotterraneo, la regina stava guardando i ragazzi attraverso una sfera magica.
“Regina, mia regina. Le due prigioniere sono fuggite!”
Il caporal comandante della guardia reale irruppe improvvisamente nella sala del trono.
“Si sono ritrovati tutti allora.” Mormorò la regina.
“Non importa, per questa volta. Le ragazze hanno raggiunto i loro amici. Percepisco in loro una forte energia magica. Ma si. E’ quella del Libro degli Elementi. “
Il comandante guardava perplesso la regina.
“Ah, incapace, torna alle tue mansioni.” Fece la regina, e con un inchino in segno di rispetto, il comandante lasciò la sala del trono.
La regina guardò ancora una volta la sfera.
“Vedo due ragazze e due ragazzi… ma sicuramente ce ne sarà un altro. Il potere degli elementi è uno, sigillato nel libro. Ma se deve essere diviso, lo si può dividere obbligatoriamente in cinque, secondo la regola di Aristotele. Prima o poi si rivelerà il quinto. E presto ci renderanno ciò che hanno rubato.” Mormorò la regina, sorridendo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La riunione ***


Capitolo 8: La riunione


Eric prese dal vicino armadietto un piccolo kit del pronto soccorso, mentre Trisha fece sedere sul divano Sabrina.
“Benvenuti nel mio ambulatorio” fece Eric, mentre prese un po’ di ovatta e la impregnò di acqua ossigenata.
“Spero di non andarci mai” mormorò Randall.
“Zitto tu, paziente.” Eric passò leggermente l’ovatta sulla gonfia guancia di Sabrina.
“Ohi, fa piano” mormorò la ragazza, lamentandosi.
“Preparo una tisana… la tua preferita, con erbe, menta e liquirizia, vero Sabrina?” chiese Trisha, rovistando nella dispensa e prendendo un filtro da uno scatolino azzurro.
“Mi conosci bene!” mormorò la ragazza, sorridendo.
Trisha prese un pentolino, riempito d’acqua, e lo mise sul fuoco.
“Improvvisamente mi sono trovata quell’esercito di insetti giganti, guidato da una regina, brutta quanto loro. Percepivo in lei una grande energia.” Iniziò a raccontare la ragazza, mentre Eric la medicava.
“Randall, i cerotti.” Fece il ragazzo, e l’amico glieli passò. Eric era bravo a medicare e conosceva un mucchio di medicinali, questo perché il padre era un medico e la madre un’infermiera del vicino ospedale della Vergine Fedele.
“La stessa energia che il mio computer ha percepito.” Aggiunse Randall.
“Forse… comunque ho provato a difendermi, ma la regina ha avuto la meglio su di me. E mi sono ritrovata nella prigione, nei sotterranei del palazzo.” Continuò Sabrina.
“Era orribile… peggiore di quella delle Isole Solitarie.” Mormorò Trisha. La ragazza infatti, mesi prima, fu catturata dal generale delle tenebre Gatlon per essere segregata lì, per poter assorbire il potere della terra che custodiva.
“Però la regina spesso scendeva nelle prigioni, cercando di scoprire dove nascondevo il libro…” disse poi Sabrina.
“Il libro?” chiese Eric, poi buttò l’ovatta usata nel vicino cestino.
“Grazie mille” mormorò Sabrina, sorridendo.
“Credo si riferisca al libro che abbiamo…” mormorò Randall. Il ragazzo si riferiva ad uno strano libro che custodivano, dalla quale tutta quella strana storia ebbe inizio.
“E… allora perché non darlo?” fece Trisha, mentre dava la tazza di tisana all’amica.
“Per rinunciare a questa forza?” disse contrariato Eric.
Randall scosse la testa.
“Non possiamo, ormai tutto ciò è parte di noi… e comunque, se quel libro cadesse nelle mani sbagliate…”
“Se è loro, dobbiamo restituirlo!” esclamò Trisha.
“Questi mesi mi sono sentita più forte, più potente… grazie a questa energia.” Commentò Sabrina.
Trisha sorseggiò la sua tisana.
“Spero abbiate ragione.” Mormorò poi.
Nel palazzo del regno sotterraneo, la regina Vyseres controllava costantemente le mosse dei ragazzi.
“Dannazione, sento che il libro è lì! Ma non posso prenderlo. Se i poteri ormai sono custoditi da quegli sciocchi…” mormorò la regina.
La tetra luce presente nella sala illuminava costantemente solo il trono stesso. Il resto della sala era buio, se non illuminato da fuochi magici ai soli estremi.
Improvvisamente però il grande portone in legno si aprì.
“Regina, regina!” esclamò una dama, dalle quattro braccia. Aveva con se numerose pergamene.
“Cosa vuoi, per interrompermi così?” esclamò la regina, infastidita.
“Ehm…” mormorò la dama, rovistando tra le sue cose.
“Ecco qua! E’ appena arrivato un verme direttamente dal castello del profondo.”
“Il castello del profondo?! E’ un messaggio dell’imperatore?!” esclamò la regina, facendo scomparire la sfera magica.
“Si.” Rispose la dama. “Leggete, è urgente!”
La regina prese una pergamena grigiastra, chiusa da un bollo nero come la pece, con l’effigie delle picche.
L’imperatore del Regno di Sotto, massimo signore delle basse sfere, era infatti chiamato anche re di picche per il suo emblema.
“Puoi anche andare.” Fece la regina. Appena la dama si chiuse la porta alle spalle, srotolò la pergamena.
Era scritto in rune oscure, linguaggio del regno di sotto.
“Vyseres, regina del primo livello sotterraneo, signora dei Dho Gohul, dama del reame, prima maga del consiglio oscuro, come superiora, è convocata a presenziare alla Eccelsa Riunione Magna che si terrà tra sette giorni, presso il castello del despota delle Isole Solitarie.”
La regina fece scomparire magicamente la pergamena, e abbozzò un sorrisetto.
La settimana volò per la regina, costantemente vigile nei confronti dei ragazzi. Sarebbe stato sicuramente quello il tema della grande riunione.
Quel giorno avrebbe indossato l’abito delle occasioni, confezionato da Mastro Aracneo, sarto personale della regina. Era completamente nero e ornato da opali.
“Mia regina, il carro è pronto.” Avvertì il cocchiere.
“Benissimo.” Fece la regina, uscendo dal palazzo. La folla si riunì, esultando.
“Ci saranno grandi novità, sicuramente!” esclamò la regina, salendo sul carro aiutata da due guardie. Il carro era guidato dal cocchiere, e consisteva non in enormi insetti, ma in un enorme millepiedi, capace di scavare in poco tempo e in grandi profondità.
Nel giro di una ventina di minuti, il grande millepiedi emerse in superficie.
“Avrei fatto prima con la magia, ma utilizzare il carro è una formalità” commentò la regina.
Il sole era davvero assente. Nelle Isole Solitarie il meteo era costantemente cupo, soprattutto ora senza il sovrano.
“Oh, la regina Neve.” Mormorò, agitando la mano e abbozzando un sorriso. “Non la sopporto”
L’isola principale era piccola, ma fondamentalmente era occupata completamente dal grande castello e dal suo enorme giardino. Il sentiero principale era gremito di tanti reali, che provenivano sia dai Regni sotterranei che da quelli celesti.
Almeno una volta ogni tre mesi i maggiori sovrani magici si riunivano lì per parlare del più e del meno.
“Ah, la cara duchessa Clarisse.” Mormorò la regina alle sue guardie. “Ha rifiutato la mia proposta. Odiosa.”
Poco dopo, la regina entrò nella gran sala del castello, ornata da tanti nastri dorati. Nonostante il cupo tempaccio, la sala dalle enormi vetrate era colma di luce.
I sovrani magici presero il loro posto. La sala era grande, ma era occupata soltanto da un grande tavolo rotondo. Su uno scalino rialzato vi erano due troni enormi.
“Come, due troni?” fece la regina.
“Non lo sa?” fece un ragazzo accanto. La regina lo riconobbe come il principe Damian, uno dei cavalieri della luce.
“Cosa dovrei sapere?” fece, poi salutando con la mano la principessa Cassandra e il re e la regina del secondo livello sotterraneo.
“Questa riunione sarà presieduta eccezionalmente dal re di picche e dalla regina di cuori, contemporaneamente!” esclamò il principe.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** L'incanto della regina ***


Capitolo 9: L'incanto della regina

La magna riunione in genere era presieduta o dall’imperatore o dalla imperatrice, ma non da entrambi. Evidentemente la questione era più grave del previsto.
“Si saranno accorti anche loro che quel potere deve ritornare nel regno.” Mormorò la regina, soddisfatta.
Nel giro di una decina di minuti, due angeli suonarono dei corni, che magicamente rimbombarono per tutta la sala.
“L’imperatore e l’imperatrice!” esclamarono i due, per poi ritirarsi.
A passo svelto, l’imperatore raggiunse il suo trono. Era un uomo sui trent’anni, dai capelli ed occhi neri come la pece. All’apparenza sembrava costantemente infastidito. Indossava una sorta di armatura argentata e sul petto aveva il suo stemma, le picche.
La corona era splendente, ricca di pietre preziose.
Accanto, l’imperatrice sorrideva e salutava tutti. Doveva avere quarant’anni, aveva lunghi capelli biondi fino ai piedi, ornati da fiorellini di vari colori. Il diadema argentato era ricco di diamanti. E, a dirla tutta, il suo vestito fece invidia anche alla regina Vyseres: di puro azzurro con striature dorate, ricco di gemme.
“Sappiamo tutti l’argomento del giorno.” Disse improvvisamente il re, alzandosi dal trono per ricevere l’attenzione di tutti.
“L’equilibrio è stato spezzato ormai secoli e secoli fa. Quando ci furono sottratti i poteri ancestrali: il grande libro degli elementi e il libro leggendario.”
“Per non parlare del libro del destino.” Aggiunse accanto a lui la regina di cuori.
In sala tutti si ammutolirono. Ma il silenzio fu subito rotto da Vyseres.
“Imperatore, imperatrice.” Fece la regina, alzandosi. “Di recente sono stata, ecco, attaccata dagli attuali possessori del potere degli elementi.”
Nella sala aumentarono i brusii e i commenti. “ Ecco, oltre il danno la beffa. Noi non percepiamo il tempo, quindi quando ci fu sottratto il potere lo ricordo bene come se fosse stato ieri.”.
“Lo so, Vyseres. “ fece l’imperatore. “Il potere è capitato nelle mani di questi ragazzini. E’ inaudito.”
“Dovevamo fermarli tempo fa. Dovevamo!” esclamò uno dei signori della luce.
“Il rischio è che il potere aumenti e possa soggiogarli. Se non portato in equilibrio, l’intera Terra cadrà nel caos!” esclamò lo scrivano, dal suo angolino.
“E’ vero.” Disse l’imperatrice. “Invierò un mio ambasciatore. Dovranno riconsegnare il grande potere.”
“Propongo di riprendere ciò che è nostro!” esclamò Vyseres.
“Sii paziente.” Mormorò l’imperatrice.
“No!” esclamò la regina, sbattendo il suo scettro. “Hanno ucciso il despota. Non dovevano farlo…”
“Vyseres, noi tutti sappiamo quanto tu sia stata legata a quell’uomo, ma…” mormorò l’imperatrice.
“Presto riprenderò ciò che è nostro!” esclamò Vyseres, e schioccando le dita, sparì per magia.
Nella sala calò il silenzio. Tra di loro, i regnanti e i grandi signori parlarono delle vicende accadute e continuarono la magna riunione.
Qualche settimana dopo, finalmente iniziarono le vacanze di pasqua. E per chi aveva la scuola sarebbe stato un sollievo. Per chi lavorava, qualche giorno di meritato riposo ci stava.
Sabrina sarebbe partita per andare a trovare qualche parente, appena fuori città. Mentre gli altri si godevano i giorni di festa.
Trisha avrebbe passato le vacanze da sola. Ovviamente, i suoi genitori non si erano fatti vivi. Ormai, la ragazza ricordava quando aveva preso i bagagli e se ne era andata di casa, troppo arrabbiata per solo ripensarci.
Mentre spazzava il pavimento, la ragazza però ripensava a ciò che era successo qualche giorno prima.
“Perché… per me siete morti!” aveva esclamato la ragazza, prima di chiudere il telefono.
Aveva pensato di fare una breve telefonata, appena per dare gli auguri per il giorno della pasqua, ma aveva  ricevuto solo male parole e rimproveri.
A ripensarci, la ragazza scoppiava in lacrime. Si sentiva terribilmente sola.
Improvvisamente qualcuno bussò alla porta.
“Arrivo!” esclamò la ragazza, asciugandosi le lacrime.
Appena aprì la porta, si ritrovò un armadio dinanzi, con un borsone ed un trolley rosso.
“Oh, sei tornato!” esclamò Trisha, abbracciando l’armadio. Affettuosamente lo chiamava così. Adam infatti era un ragazzo robusto, dal fisico ben delineato e da una altezza esagerata. La ragazza era alta un metro e ottanta mentre il ragazzo, un metro e novantacinque. E se si aggiungeva la stazza, ecco che diventava un armadio.
“Eh già. Mancato?” fece, sorridendo.
“Almeno tu ci sei” mormorò la ragazza, poi chiudendo la porta.
“Cos’è questo alone di tristezza? Non ti sei vista con i ragazzi?” chiese il ragazzo, poi entrando nella sua stanzetta, mettendo sul letto le borse.
“Si. Però sai com’è, i miei…” mormorò la ragazza, poi di nuovo scoppiando in lacrime. Voleva rimediare, ma non sapeva come. In effetti lei non aveva sbagliato. Aveva seguito i suoi sogni. Invece i suoi volevano che restasse con loro nella azienda di famiglia.
“Hey, piccola. Non piangere in mia presenza.” Fece il ragazzo, prendendola per mano.
“E’ molto tempo che non li sentivo, e mi hanno trattato male, di nuovo.” Mormorò la ragazza, singhiozzando.
Il ragazzo le asciugò le lacrime.
“Tu hai fatto il possibile, ora fammi un sorriso. Sei bella anche quando piangi, ma con un sorriso…” mormorò Adam, mentre le accarezzava le guancie.
Trisha abbozzò un lieve sorriso, nascondendo l’imbarazzo che provava. Non le capitava di piangere quasi mai, e spesso si teneva tutto dentro. Ma con lui, con Adam, era diverso.
Il ragazzo era stato da subito dolce con lei. Le aveva concesso l’appartamento e se Trisha non riusciva a sostenere qualche spesa, ci pensava il ragazzo, senza poi volere indietro il denaro.
Vestiva spesso di nero, pantaloni neri, camicia nera, immancabili occhiali da sole. Poteva sembrare cupo, e in effetti con molti era lievemente scorbutico ed irascibile, ma con Trisha sembrava diverso.
“Per i miei genitori ormai non sono nulla. Non ci penso più ormai, ma quando capita, mi sento male.” Disse la ragazza, riprendendo a spazzare. Pulire la casa e cucinare la rendeva più tranquilla, la aiutava a sfogare i nervi.
“E tu non pensarci più. Vivi la tua, di vita. “ disse Adam, spaparanzato sul divano, mentre si fumava una sigaretta, una Marlboro rossa, le sue preferite.
La ragazza abbozzò un sorriso.
“Cos’è già facciamo i padroni di casa? Muoversi!” esclamò la ragazza, prendendo un cuscino e sbattendolo contro il ragazzo.
“Oh!” fece il ragazzo, poggiando la sigaretta sul vicino posacenere.
Trisha mise in un angolo scopa e paletta e brandendo un panno umido glielo buttò in faccia.
Il ragazzo si alzò di scatto, evitandolo e si strinse a sé la ragazza.
“No no!” esclamò la ragazza, ridacchiando. Adam sapeva benissimo che Trisha soffriva tantissimo il solletico.
Per divincolarsi, la ragazza si gettò sul divano, poi raggiunta dal ragazzo.
Lui le afferrò i polsi, impedendole di potersi divincolare.
Trisha sorrideva. Fissò per bene Adam: capelli neri come la pece gli incorniciavano il viso, due occhi verdi, splendidi. Quelli in cui ti ci puoi tuffare, e magari non uscirne più. Trisha passò una mano sotto la sua maglietta, e pian piano gliela sollevò.
Il suo fisico era scolpito nel marmo, proprio perfetto.
La ragazza arrossì, passando la mano delicatamente e analizzando il suo corpo. Si concentrò sul petto, notando che il cuore di Adam batteva all’impazzata.
Di lui e solo di lui poteva realmente fidarsi del tutto. Tra le sue braccia si sentiva protetta, si sentiva a casa. Lui intrecciò le dita tra i suoi lunghi capelli, per poi attirare il viso verso il suo.
Le loro labbra si toccarono, unendosi in un dolce bacio.
Si allontanarono solo per un attimo, prima di unirsi di nuovo passionalmente.
Il cuore di Trisha voleva esplodere, nonostante la ragazza spesso si avventurava in particolari relazioni, o anche semplicemente usava quello come mezzo per ottenere qualcosa, con lui sentiva tutt’altro.
Lei lo strinse immediatamente a sé, e cominciò a baciargli il collo facendolo fremere.
“Trisha.. “ mormorò lui, scendendo sui  suoi seni tondi.
Un brivido le corse lungo la schiena, irrigidendola. Tra i vari ragazzi e uomini con cui era andata a letto, lui era il cielo.
Lo sentì scendere sul ventre con la punta della lingua, giungendo fin giù, nelle zone sconosciute del suo corpo.
Lei sospirò per il piacere, inarcando meccanicamente la schiena.
Affondò le dita nel divano, iniziando a gemere.
Lei lo prese, e iniziò a baciarlo. Le loro lingue danzarono frenetiche, cercandosi e volendosi.
Trisha iniziò poi ad abbassarsi sul suo petto muscoloso.
Sfiorò i pettorali del ragazzo con le labbra, facendolo sussultare.
Man mano, Trisha giocherellava con la cintura nera del ragazzo, sbottonandogli poi i pantaloni. 
Iniziò a dargli dolci baci attorno alle zone proibite, fino a scoprirgli il membro.
L’eccitazione del ragazzo aumentava ogni secondo che passava, e si notava anche fisicamente. Glielo tastò delicatamente, per poi abbassargli i boxer neri ed iniziando a leccarglielo.
Molto lontano da lì, costantemente qualcuno li osservava.
“Ma che carini.” Commentò la regina Vyseres, guardandoli dalla sfera. Stavolta non era come sempre nella sala del trono o nelle sue stanze.
Era entrata in quella che si chiamava la “pozza dei sospiri”. Era una sorta di caverna, ricca di stalattiti e stalagmiti dai colori dell’arcobaleno. E al centro della caverna c’era un grande laghetto, formato probabilmente dalle falde acquifere.
“La più debole in questo momento è la cara custode della terra. Debole poi. Sempre un po’… troietta. Facciamola divertire col ragazzo, il custode dell’energia. Ma ho per lei un regalino. Ha espresso il suo desiderio…” mormorò la regina. Levò in alto il suo scettro color ocra. Una stalattite dello stesso colore riversò una goccia ambrata nel laghetto.
L’acqua bollì di vari colori. E finalmente mostrò alla regina ciò che voleva: un uomo e una donna di mezza età, seduti ad un tavolo a pranzo.
La stalattite cadde nel lago, e l’immagine sparì in un lampo di luce.
“Desiderio esaudito, cara.” Mormorò la regina, sogghignando.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** In extremis ***


Capitolo 10: In extremis



Se il buongiorno si vede dal mattino, quel giorno sarebbe stato nero.
“Guarda che tempaccio.” Mormorò Trisha, mentre chiuse la finestra, visto che stava entrando tanta acqua dentro.
Prese una pezza e iniziò ad asciugare il davanzale bagnato.
“Chiamiamo Randall, ci pensa lui a procurare un po’ di sole” fece Adam, seduto al tavolo, sbadigliando.
“Mmh. Caffè?” fece Trisha, conoscendo il ragazzo. Nemmeno il tempo di annuire, e Adam poggiò la testa sul tavolo.
Trisha sorrise. Eppure erano le dieci, ma la ragazza aveva sentito il ragazzo giocare alla playstation almeno fino alle cinque del mattino.
Preparò il caffè e prese qualche  biscotto al cocco che aveva fatto il giorno prima (eh si, le piaceva moltissimo cucinare.).
Sorseggiò il suo caffè. Gli punzecchiò le guancie, ma lui non fece altro che russare ancor di più.
La ragazza sorrise, accarezzandogli i capelli. Quella mattina era stranamente irrequieta. Sesto senso femminile?
Verso mezzogiorno, bussarono alla porta.
 “Arrivo!” esclamò Trisha. Erano Sabrina, Eric e Randall.
“Hey!” esclamò Eric.
“Hai fatto il ragù, vero?” fece Sabrina, curiosa.
“Ma avete una casa vostra?” mormorò Adam, infastidito da quel risveglio.
“Entrate dai!” esclamò Trisha. “E si, ovviamente, tutto per te.”
Sabrina batté le mani, e si sedette sul divano, accanto ad Adam.
“Mia madre ha fatto una deliziosa torta al cioccolato.” Fece Randall, poggiando un pacchetto sul tavolo.
“Sei il benvenuto, allora.” Disse Adam, ghignando.
Poco dopo , bussarono alla porta. Trisha aprì: si trovò un ragazzo sulla ventina, dai capelli mori lunghi fino alle spalle.
“Salve, mi chiamo James, ho appena traslocato con mia sorella e, beh siamo vicini di casa!” fece.
“Sono Trisha, piacere di conoscerti” Trisha sorrise. “Se non avessi avuto da fare, sarei passata subito io!”
“Tranquilla, volevo chiedere… hai un po’ di sale? Non so dove sia il supermercato. Una volta era sulla destra della piazza grande, ma ora  c’è un cinema lì.” Disse il ragazzo. Sabrina lo fissò, conosceva già quel ragazzo.
“Oh certo” Trisha corse subito alla dispensa per dargli un pacco intero di sale grosso da cucina. “E’ facile, ora è sulla via alle spalle dell’ospedale. Quindi prima vivevi qui”
“Grazie mille. Già, qualche anno fa vivevamo qui, ma dopo un incidente abbiamo preferito andare via… beh ora siamo tornati, almeno io e mia sorella Diana. Beh ora vado, grazie mille.” Il ragazzo si congedò con un occhiolino.
“Sabrina, mi aiuti con il pesce?” chiese Trisha, mentre prese una busta, che emanava l’insolita puzza.
“Ehm, si è spezzata l’unghia!” esclamò la ragazza, per evitare la tortura delle lische. Quel ragazzo, James… era il fratello  di quella Diana. Era ritornata.
Trisha la guardò torvo.
“E va bene…” mormorò Sabrina, alzandosi dal divano, col cuore che batteva forte.
Subito Eric prese posto.
“Amico, io e Randall siamo passati al gamestop. Eccezionale: un mega sconto sui nuovi assassin’s creed!”  esclamò Eric, entusiasta.
“Sono grande quasi dieci anni in più di te, credi possa… interessarmi?” fece Adam, distaccato.
“Ma il nostro… amico è rimasto davanti alla console fino alle cinque del mattino, se non sbaglio.” Fece pungente Trisha, ridacchiando alla faccia imbarazzata del ragazzo.
Improvvisamente, si aprì la finestra. Un vento gelido entrò nel salotto.
“Mmm.. Randall, chiudi!” esclamò Adam, visto che il ragazzo era proprio vicino alla finestra, guardando la televisione, che era nell’angolino.
“Subito” fece Randall, scattando.
Ma improvvisamente, in un fascio di luce, si materializzò una ragazza. Aveva la pelle chiarissima, degli occhi grigi e dei capelli lunghi, argentei. Era dotata di enormi ali viola, dai colori delle ali di farfalla.
I ragazzi scattarono all’in piedi.
“Sono Arney, guardiana degli astri terrestri.” Mormorò la ragazza. “Sono qui per rappresentare la regina di cuori, imperatrice dei regni celesti. Dovreste rendere il libro degli elementi al legittimo proprietario, il posto dove vengono custodite le preziose chiavi elementali, il regno sotterraneo.”
“Voi. Prima ci fate del male, e poi…” scattò Adam, puntandole il dito.
“Sono dispiaciuta per ciò che è accaduto…” mormorò la guardiana, indietreggiando. “Ma il tutto è presto risolto. Quando volete, siete invitati nel castello celeste. Basta utilizzare la giusta chiave.”
Poi, evocò una chiave lucente, fatta d’argento, con in cima una sorta di rubino.
“Prendi.” Fece al ragazzo. Adam la prese, titubante.
“E’ la chiave al regno celeste. Siete convocati lì. A presto.” E in una folata di vento e un battito d’ali, la guardiana sparì nel nulla.
I ragazzi stettero a discuterne per ore.
“Allora?” fece alla fine Eric.
“Allora, noi andremo lì. Risolveremo questa storia.” Disse Adam, sbattendo i pugni sul tavolo.
“Siamo sicuri?” fece Randall, un po’ titubante. Tra la regina di cuori e la regina Vyseres, non ne stava capendo molto.
“Credo sia la soluzione migliore.” Fece Adam.
“E poi mi sembra più ragionevole la proposta della farfalla.” Precisò Eric.
“E che farfalla…” aggiunse poi, ridacchiando.
Sabrina finì di lavare i piatti, mentre Trisha spazzava per terra.
“Bene, allora… direi che sia ora di andare.” Disse Adam, prendendo la chiave argentata.
La chiave si illuminò, i ragazzi decisero di trasformarsi, ma un secondo prima di andare, il telefono squillò per la casa.
“Aspettate” fece Trisha. Improvvisamente il cuore le batté forte. Era tutta la mattinata che era su di giri. E una ragione c’era.
“Pronto?” disse Trisha, rigirandosi le dita sul filo della cornetta.
“E’ Trisha Speelman?” fece un uomo.
“Certo, cosa posso fare?” fece la ragazza.
“Ecco… mi dispiace.” Disse l’uomo, con una voce bassa.
Trisha tremò per un istante, lasciando la cornetta e poggiandosi alla parete.
“Trisha!” esclamò Sabrina, avvicinandosi alla ragazza, che scoppiò in lacrime. “Cosa succede?”
Era strano, davvero molto strano. Una pioggia di petali cadde sulle bianche lastre marmoree che ricoprirono appena le due fosse, dove avrebbero ospitato per sempre le bare funebri di Alicia e Trevor Speelman, morti per un incidente d’auto.
Due giorni dopo quella telefonata, Adam prese la sua mercedes e accompagnò Trisha, vestita di nero, a Victoria, il paesino dove viveva con i genitori.
Lì si erano radunati i conoscenti ed amici della città per salutare ancora una volta i due.
Trisha non ebbe nemmeno la forza di dire una parola sui suoi e non aveva nemmeno la forza di versare altre lacrime. Per tutto il tempo, il ragazzo provò a dirle qualcosa, ad abbracciarla, lo stesso fecero i conoscenti, gli amici che videro crescere la ragazza, ma nulla la scosse. Alle spese funebri ci avrebbe pensato lui, e la ragazza non aveva nemmeno la forza per ringraziarlo. Era completamente sola, e ora definitivamente. Non aveva parenti. Non aveva più i genitori, e l’ultima volta, l’ultima per davvero, che li aveva sentiti, avevano soltanto litigato. Senza poter fare pace, mai più.
Ritornando a casa, fu accolta da alcuni amici dell’università e dai ragazzi, ma abbozzò soltanto un  sorriso.
Solo una volta chiusasi in camera, riversò lacrime infinite.
I ragazzi stettero nel salotto, in silenzio.
Passarono giorni e giorni, e la ragazza non voleva saperne niente. Non era uscita dalla sua stanza. Non mangiava e non riusciva a dormire. Il suo unico pensiero era quel suo desiderio “per me siete morti” e le cose non dette.
I ragazzi furono costantemente preoccupati per la loro amica. Spesso Adam andava a bussarla, non ricevendo una risposta o avendo solo una specie di grugnito.
Ma dopo quasi una settimana la situazione cambiò.
Adam fu svegliato nel bel mezzo della notte da un urlo, proveniente dalla stanza accanto.
“Trisha!” esclamò il ragazzo, scattando giù dal letto.
Bussò contro la porta.
“Trisha, cosa succede?” chiese, tendendo l’orecchio contro la porta. Non sentì nulla.
“Trisha!” esclamò, poi indietreggiò, e con forza, sfondò la porta.
La scena fu agghiacciante.
Il ragazzo trovò Trisha stesa sul pavimento: in una mano aveva delle forbici. Dalle braccia le colava del sangue: si era tagliata le vene con le forbici. L’altra mano era poggiata contro un libro: il libro degli elementi.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Tuffo nel passato ***


Capitolo 11: Tuffo nel passato


Il ragazzo resto stupito. Non sapeva cosa fare. D’istinto si gettò sulla ragazza, controllando se stesse respirando.
“Trisha, Trisha!” esclamò ancora Adam. Il cuore gli batté forte, in preda alla preoccupazione.
Cercò in casa l’ovatta e qualsiasi cosa potesse essere utile per fermare il sangue.
“Cosa ti è preso?” fece Adam, accarezzando la ragazza.
Velocemente si vestì e prese la ragazza tra le braccia.  Per raggiungere l’ospedale bastava attraversare il corso dietro casa ed avviarsi per un piccolo vicolo.
“Forza, forza” fece, guardando la ragazza. La strada era vuota. In effetti erano pur sempre le tre della notte.
“Presto, presto!” esclamò, una volta raggiunto l’atrio dell’ospedale. Era occupato dalle ambulanze e da un auto dalla quale scese un giovane che accompagnava una vecchietta che fece sedere su una sedia a rotelle.
“Ragazzo! Cosa è successo?!” fece la guardia, appena vide Adam con Trisha.
“Lei… ecco… non so bene…” disse, farfugliando qualcosa. Era troppo nervoso per parlare.
“Presto, al pronto soccorso!” disse la guardia, accompagnandolo in una lunga sala raggiungibile percorrendo un breve corridoio. L’odore di medicinali, sostanze e roba utilizzata esclusivamente in ospedale si sentiva, e parecchio.
Il pronto soccorso era semivuoto. Due vecchiette erano stese sulle barelle, accompagnate da qualche famigliare, mentre un ragazzo si massaggiava il naso, fratturato.
“Prego.” Fece un’infermiera, dai capelli ricci castani.
“Lei… Lei…” farfugliò il ragazzo. “L’ho trovata con delle forbici…”
“Oh cielo.” Mormorò l’infermiera. “Cassidy, la barella!”
Una seconda infermiera trasportò una barella.
Adam con delicatezza poggiò la ragazza sulla barella, aiutandola a stendersi per bene.
“Oh povera ragazza… cosa ha fatto?” fece l’infermiera. “La porto dentro.”
Adam seguì l’infermiera, ma la prima, che l’aveva fermato, lo bloccò.
“Aspetta, dobbiamo prendere i dati.” Fece. “Sei il fratello?”
Adam guardò la barella mentre girava l’angolo.
“Ehm, no, un amico. Lei è Trisha Speelman, ha ventuno anni.” Fece Adam, mentre l’infermiera prese una penna per scrivere.
“Ha patologie particolari?”
“Che io sappia no.” Rispose il ragazzo.
L’infermiera fece una sorta di grugnito. “Capisco. E lei, un amico?”
Adam annuì. “Adam Nelphon, ventisette anni.” Disse, poi. “Posso andare da lei?”
“Credo sia meglio che aspetti qui” fece l’infermiera, poi raggiungendo una signora stesa sulla barella, che chiedeva un po’ d’acqua.
Adam si sedette su una sedia in sala d’attesa. Dopo un’oretta, un dottore dalla barba folta fece capolino in sala d’attesa.
“Un parente di Speelman? Trisha Speelman?” fece, leggendo una cartella clinica.
Adam scattò e raggiunse il dottore.
“Sono un suo caro amico. Come sta?” chiese Adam.
“Venga pure” Mormorò il dottore. Dallo sguardo del medico, Adam si preoccupò ancor di più. D’altronde, i medici sono quello che sono: per loro tutto è una preoccupazione.
Raggiunsero la barella dove la ragazza era distesa. Delle flebo le conferirono del sangue, mentre un’infermiera la stava medicando.
“E’ grave?” chiese Adam.
“Abbiamo fermato l’emorragia. Ma… per le cure c’era bisogno dell’anestesia. Ma con lei non c’è ne è stato il bisogno.” Disse il medico, scribacchiando sulla cartella.
“E… è positivo?” chiese il ragazzo.
“Vede, la sua amica… è rimasta dormiente finora. Mi dispiace, ma dalla sintomatologia e da tutto, sembra che sia caduta in un coma.”
Alle parole del medico, il ragazzo crollò.
“Ne stiamo studiando le origini. Ma c’è qualcosa che non riesco ancora a spiegarmi” mormorò il medico. “Mi spiace” fece, dando una pacca sulla spalla al ragazzo.
“Povero figliuolo” mormorò l’infermiera, guardando Adam mentre stringeva le mani di Trisha.
“Non mi riesco a spiegare la causa però” mormorò il medico. “Non riesco proprio.”
I giorni passarono. Adam trascorse giorno e notte in ospedale, finché non trasferirono la ragazza su di un letto di un reparto.
“Grazie mille” fece Adam, una volta incontrata la signora Payman, una ottima infermiera, madre di Eric.  
La signora aveva rassicurato ai ragazzi che la loro amica non sarebbe stata trascurata, così l’aveva fatta spostare nel reparto di chirurgia vascolare, dove lavorava.
“Mamma, ma tu che ne pensi?” chiese Eric, prima che uscisse per dedicarsi ad altri pazienti.
“Non lo so, davvero.” Disse la signora, dopo un lungo silenzio. “E’ inutile che vi dica che domani starà meglio. Il dottor Philips non è ancora riuscito a capire la causa di questo coma. Ma il coma è particolare. Può svegliarsi domani, come tra qualche giorno, settimana, mese… o mai più.”
E dopo queste ultime parole, la signora uscì in silenzio, chiudendo la porta.
I ragazzi si guardarono tra loro. Sabrina scoppiò a piangere. Eric la abbracciò, provando inutilmente a consolarla.
“La incontrai in libreria.” Mormorò Sabrina, asciugandosi le lacrime. “Sapete, dove lavora il pomeriggio. La libreria Volante, appena all’angolo della piazzetta. Dovevo comprare alcuni libri di scuola. Lo ricordo come se fosse ieri. Cercando un libro introvabile, lei trovò tra gli scatoloni un pacchetto, dove era custodito il libro degli elementi. E’ così che iniziò tutta questa stramba cosa dei poteri.”
“Ricordo quando vi piombaste da me, mentre ero in piscina. Vi mandai anche fuori, ridacchiando, ma poi toccando quel libro ricevetti i poteri…” mormorò Eric.
“E io ne fui entusiasta, per essere mainstream come nei videogiochi” ridacchiò Randall.
Poi, dopo un silenzio, Randall disse, con tono serio: “Il libro. Ragazzi, dobbiamo andare nel regno celeste.”
“Come fai a pensare ancora al libro?” fece Adam, scattando in piedi. “Ti preoccupi ancora?!”
“Adam, ci hai detto di aver trovato Trisha col libro… C’entra qualcosa sicuramente.” Fece Randall. “Dobbiamo concludere questa storia.”

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3231763