Potremmo respirare sott'acqua

di j a r t
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo ***
Capitolo 2: *** Secondo ***
Capitolo 3: *** Terzo ***
Capitolo 4: *** Quarto ***
Capitolo 5: *** Quinto ***
Capitolo 6: *** Sesto ***
Capitolo 7: *** Settimo ***
Capitolo 8: *** Ottavo ***
Capitolo 9: *** Nono ***
Capitolo 10: *** Decimo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Quatorzième ***
Capitolo 15: *** Fifteenth ***
Capitolo 16: *** Sixteenth ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Diciannovesimo ***
Capitolo 20: *** Ventesimo (epilogo) ***



Capitolo 1
*** Primo ***


- 1 -
 
Michael e Federico si erano conosciuti al bar in cui lavorava il riccio. Era un piccolo locale in un vicolo di Milano, non troppo conosciuto e abbastanza tranquillo. Federico ci era andato solo due volte e parecchi anni prima, solamente perché alcuni suoi amici avevano insistito per offrirgli da bere per il loro compleanno.
 
Quella sera Federico era seduto al bancone di legno su uno sgabello così alto che non gli permetteva di toccare terra coi piedi. Così, mentre dondolava le gambe avanti e indietro, guardava la birra scura nel suo boccale massiccio di vetro. Accanto a lui era seduto un grassone dai capelli grigi che non seppe dire se fosse ancora vivo o meno, dal momento che aveva la testa buttata sul bancone già da dieci minuti buoni. Davanti a lui Michael continuava a muoversi freneticamente dietro il bancone per accontentare l'uno e l'altro cliente in tempi record. Federico ogni tanto lo fissava e pensava che quello sconosciuto ragazzo dovesse essere un gran lavoratore. Fu quando il locale si svuotò che il grassone riprese vita: alzò la testa dal bancone e richiamò Michael con due occhi piccoli che sul suo largo viso sembravano quasi sproporzionati.
«Ehi, tu».
Michael si girò verso quella voce che tentava di sovrastare la leggera confusione del locale e si avvicinò all'uomo.
«Dica» rispose il riccio.
«Spillami un'altra birra.»
Dopodiché l'uomo tornò a posare la testa sul bancone - con un rumore che a Federico fece quasi pensare di essersela rotta. Ma Michael guardava quell'uomo preoccupato, forse perché sembrava allo stremo, oppure era già nervoso per la probabile reazione alle sue prossime parole. Si passò una mano tra i capelli per sistemarseli, ma Federico vide comunque ricadere sulla sua fronte alcuni ricci disordinati. Il timore sul suo volto era palese.
«Mi dispiace» cominciò, «ma il titolarre mi ha deto il numero massimo di bire che posso dare a un cliente. Sa, per evitare guai. Non poso dargliene un'altra, mi dispiacce
Federico notò solo allora il suo marcato accento straniero, forse perché quella sera il riccio era stato tanto impegnato da parlare davvero poco. Il grassone tornò a prendere vita e lo guardò spazientito.
«Non me ne frega niente. Spillami un'altra bionda, ricciolino.»
«Le ho deto che non poso, davve-»
Ma non lo lasciò terminare, perché il ciccione, invece di ripiombare con la testa sul bancone, si era sporto verso Michael e l'aveva brutalmente afferrato per la camicia bianca che il riccio indossava. Michael stava tremando.
Federico smise di sorseggiare la sua birra e si bloccò.
«Devo ripeterlo?» strascicò il grassone.
«Ehi, lascialo stare. Ti ha detto che non può.»
Federico si pentì immediatamente di essere intervenuto. Ma perché diavolo si stava impicciando? Quel grassone era quasi il doppio di lui in altezza e il suo triplo in larghezza. Era vero che neanche si reggeva in piedi, ma se gli fosse anche solo piombato addosso di peso Federico ne sarebbe morto schiacciato. Che morte stupida sarebbe stata.
«Ma che vuoi, nanetto? Non sto parlando con te.»
Lo sguardo viscido del ciccione si posò su Federico e, fortunatamente, mollò la presa dalla camicia di Michael, che sembrava ancora scosso da quanto accaduto appena prima.
Il grassone si alzò barcollante dal suo sgabello - il quale poté tornare a respirare, finalmente - e si avvicinò ulteriormente al nanetto in questione.
«Cerchi rogne?» Gli domandò guardandolo fisso negli occhi.
«Ti ho detto solo di lasciarlo in pace. Non può darti un'altra birra, lo capisci?»
Federico dubitava che lo capisse, conciato com'era. A quell'affermazione - come un bambino che aveva appena realizzato di non poter davvero avere il suo giocattolo preferito - il grassone si arrabbiò e sbraitò qualcosa di incomprensibile. A Federico sembrò tanto Bowser, il cattivo di Super Mario. Si costrinse a non pensare a quella cosa proprio adesso, mentre il ciccione lo afferrava per la maglietta e lo sbatteva con la schiena contro il bancone di legno massiccio. Gli sformò tutta la maglietta e gli fece abbastanza male, ma tentò di non scomporsi. Non sapendo come altro difendersi - ma chi gliel'aveva fatto fare di intervenire? - diede una forte spinta al ciccione, che barcollò e poi cadde all'indietro, piombando sul pavimento con la schiena. Federico stava già pensando alla prossima mossa, ma quando si rese conto che il tizio non si alzava, si preoccupò seriamente di averlo fatto secco. Si avvicinò e notò che per fortuna non era così: il grassone emise qualche mugolio strozzato e si mosse appena, ma evidentemente era uno sforzo troppo grande alzarsi da terra. Federico ne approfittò e fece cenno ai due ragazzi seduti ad un tavolino accanto alla porta di aiutarlo a buttare quell’uomo fuori dal locale.
Michael si era morso  le labbra per tutto il tempo, rischiando seriamente di farle sanguinare. Aveva ancora paura per la reazione del grassone che si era avventato su di lui, ma aveva avuto anche più paura quando questo aveva cominciato a prendersela con il tatuato.
Poco dopo i tre ragazzi tornarono nel locale.
«Non ti preoccupare, è andato» cominciò Federico, ma si spiegò subito meglio quando vide il riccio sgranare all'inverosimile i suoi occhi dorati.
«No, nel senso che l’abbiamo portato lontano, non tornerà qui per stasera» minimizzò con il gesto della mano. Poi tornò a sedersi al bancone e sperò vivamente di potersi bere in pace ciò che restava della sua birra scura.
Anche Michael tornò al suo posto dietro al bancone, deciso a darsi una mossa nel continuare a lavare tazzine e bicchieri.
«Grazie» sussurrò al tatuato, «io non sapeva cosa fare, in realtà.»
A Federico venne da sorridere per la tenerezza con cui lo disse.
«Non ringraziarmi» alzò le spalle, mentre nella sua testa gongolava per non aver fatto una figura di merda colossale nello scontro con il grassone.
Anche Michael sorrise, mentre era concentrato ad asciugare alcune tazzine da caffè.
«Scusa, non mi sono neanche presentato. Federico.»
Michael rinsavì e posò il suo sguardo su quello del ragazzo che gli stava porgendo la mano destra.
«Michael» gli strinse la mano sorridendo, poi tornò ad occuparsi delle tazzine.
 
I due ragazzi che prima occupavano il tavolo vicino alla porta andarono via, salutando il tatuato e il barman, il quale ringraziò anche loro per essersi sbarazzati dell'ubriacone. Quando il tintinnio del campanellino sulla porta si fermò, il silenzio che calò nel bar sembrò quasi imbarazzante, e fu interrotto poco dopo solo dal getto d'acqua con cui Michael stava lavando i bicchieri. Il tatuato fissava la poca birra rimasta sul fondo del boccale, mentre il riccio era particolarmente concentrato sul vetro dei bicchieri da asciugare. Il risultato era un'imbarazzante tensione palpabile. Chissà perché poi, ma entrambi avrebbero preferito scappare a gambe levate dal locale. Ma Michael aveva i suoi bicchieri da lavare e Federico la sua birra da bere, che per qualche oscura ragione non riusciva a buttare giù in nessun modo.
Il silenzio fu interrotto da Michael, il quale decise che parlare sarebbe stato mille volte meglio.
«Alora... come mai sei venuto da solo qui al bar?»
Poco dopo avrebbe preferito non avere la lingua piuttosto che fare quella cazzo di domanda inutile e stupida.
Federico lo guardò perché la domanda risuonò così flebile che per un attimo pensò fosse rivolta al bicchiere che il riccio rigirava tra le mani.
Ma quando gli occhi ambrati di Michael si volsero su di lui, non ci furono più dubbi.
«Avevo invitato la mia ragazza a cena per farmi perdonare per un litigio. Ma abbiamo litigato di nuovo ed eccomi qui da solo» tagliò corto.
Giulia era così ossessionata dal credere che Federico la tradisse che non si rendeva conto di quanto invece lui l'amasse.
«Mi dispiace» fu l'unica e stupida cosa che l'altro riuscì a rispondere.
«Tu non sei di qui, invece. Perché sei in Italia?»
La domanda era sinceramente curiosa, ma per qualche strana ragione Michael arrossì appena e tornò a concentrarsi sui bicchieri che stava asciugando.
«Sono inglese, anche se in realtà sono nato a Beirut» ormai Michael aveva perso il conto delle volte in cui aveva raccontato la sua storia. «A Londra ho conosciutto un... amico italiano e l'ho seguito qui.»
Federico sorrise. Michael doveva essere completamente pazzo per abbandonare Londra e venire a Milano.
«Secondo me tu sei matto. C’è gente che pagherebbe tutto quello che ha per fare l'inverso del tuo itinerario.»
Il riccio non lo guardò, ma le sue guance si imporporarono lievemente.
«Davvero» continuò il tatuato. «Per un amico io non lo farei mai. Lo farei solo se fossi perdutamente innamorato di una ragazza» ridacchiò.
Poi pensò che per Giulia avrebbe fatto quello e altro, l’avrebbe seguita fino in capo al mondo. Improvvisamente, notando il silenzio del riccio, si rese conto di aver toccato un punto debole. E, come un'illuminazione, forse capì anche quale.
«Oh. Non è solo un amico, vero? È il tuo... ragazzo?»
La domanda sfumò nel vuoto mentre il riccio puntava rapidamente gli occhi sul tatuato, sbarrandoli leggermente. Federico si sentì molto stupido.
Dal canto suo Michael era sempre timoroso di incontrare qualcuno intollerante sulla sua sessualità, dato che gli era già capitato spesso - forse troppo - di essere picchiato per quel motivo anche da perfetti sconosciuti.
«Beh, non c'è problema» Federico tornò a guardare nel suo bicchiere. «Per me ognuno può stare con chi vuole» alzò le spalle e, finalmente, mandò giù l'ultimo sorso di birra scura. Adesso non aveva realmente più nessun motivo per restare in quel bar che si avviava alla chiusura.
Michael si sbloccò dall'immobilità che lo aveva colto e interiormente tirò un sospiro di sollievo, quindi gli sorrise dolcemente; poi prese il boccale ormai vuoto di Federico e lavò anche quello. Il tatuato si alzò dallo sgabello con un saltino e adocchiò il bagno.
«Penso di dover andare a pisciare. Seriamente.»
Michael ridacchiò per la spontaneità con cui l'altro l'aveva dichiarato, mentre Federico si dirigeva verso il bagno.
Quando tornò Michael stava pulendo il bancone di legno consumato. Stava per dirgli che sarebbe andato via, ma Michael lo intrattenne con un'altra domanda.
«Come si chiama la tua ragaza?» Gli domandò.
Federico era un po' spaesato, ma si riavvicinò al bancone e si sedette nuovamente sullo sgabello. Pensò che forse il riccio aveva solo bisogno di parlare con qualcuno, quella sera. E a lui stava bene così, nonostante l’ora fosse molto tarda e il locale deserto.
«Giulia. Si chiama Giulia. Studia all'università. Lei ha la testa a posto, a differenza mia» ridacchiò. «E il tuo ragazzo?»
«Daniele. Lui fa il giornalissta, perciò era a Londra. Per un articolo.»
Federico scosse la testa e non riuscì a trattenersi dal dire la sua opinione.
«Giornalisti... non mi sono mai piaciuti. Hai presente il film Prima Pagina*? Ecco, io me li immagino tutti così. Rigidi e senza scrupoli, venderebbero anche l'anima per uno scoop da prima pagina.»
Il tatuato si rese conto solo dopo di aver esagerato, quando guardò la faccia imbronciata di Michael, visibilmente contrariato.
«Danny non è così. Lui è dolce e sensibile. Scrive articoli di mussica
Le sue parole erano dure e non ammettevano repliche. Quindi Federico non poté che scusarsi.
«Ma sì, scusami, in fondo io non lo conosco neanche... dicevo tanto per. Solo che... se è così il tuo ragazzo deve avere un sacco di soldi. Com'è che tu lavori qui?»
L'espressione di Michael si addolcì.
«Sì, lui guadagna bene. Noi viviamo insieme, ma io non volio stare a sue spese... non so se tu capisce cosa voglio dire» riprese, mentre con uno straccio asciugava il bancone.
«Capisco.»
Federico sorrise.
«Sei un bravo ragazzo, Michael.»
 
Inutile dire che, dopo quella sera, Federico cominciò a frequentare sempre più assiduamente il bar. Trovava Michael una persona dolce e gentile, e gli piaceva molto restare a parlare con lui.
La relazione di Federico con Giulia, inoltre, stava nettamente migliorando; questo perché Michael dispensava un sacco di consigli utili per riconquistarla, come "devi regalarle dei cioccolatini per farti perdonare" oppure "i fiori sono sempre la soluzione migliore", o ancora "se fossi in lei sarei contento con un orso gigante di peluche." E sì, era vero che nei successivi tre mesi Federico aveva speso una fortuna, ma perlomeno Giulia sembrava felice: oramai non litigavano più perché lei si sentiva sempre piena delle sue attenzioni.
 
Stanchissimo a causa del lavoro, Michael tornò a casa verso le tre del mattino successivo. Entrò nel buio dell’attico e notò che solo la piccola abatjour della loro camera da letto era accesa, e quel taglio di luce si intravedeva dal corridoio. Gettò la tracolla da una parte sul divano e seguì la luce fino in camera da letto, dove Danny lo stava aspettando tra le coperte e con lo smartphone in mano. Non appena sentì le scarpe di Michael trascinarsi svogliatamente sul pavimento, alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise dolcemente, poi poggiò il telefono sul comodino per rivolgere tutta la sua attenzione al fidanzato. Michael si tolse la scarpe e senza neanche svestirsi si gettò tra le braccia di Danny. Questo divaricò le gambe per permettere al riccio di sedersi in mezzo e poggiare la schiena contro il suo petto e la nuca nell'incavo del suo collo.
Danny vide Michael chiudere gli occhi per la stanchezza, ma lo trovava così bello che non riuscì a trattenersi: cominciò a baciarlo sul collo mentre il riccio emetteva qualche mugolio. Credendo che lo stesse invogliando a continuare, Danny fece vagare le sue mani sul corpo di Michael, che però corrugò la fronte e allontanò il ragazzo da sé, con dolcezza. Riaprì gli occhi.
«Ti prego, Danny, sono stanco... volio solo dormire.»
Nonostante lo sguardo di Michael fosse sinceramente dispiaciuto, Danny non la prese bene. Il riccio piombò al suo fianco sul letto matrimoniale e chiuse gli occhi assaporando la morbidezza di quel cuscino. Finché non sentì il biondino replicare.
«Dici che sei sempre stanco. Ma ok, non fa niente. Non preoccuparti.»
Michael riaprì gli occhi di scatto e di malavoglia si alzò per guardare Danny.
«Non è colpa mia se lavoro fino a tardi! Tu mi sta dando questa colpa?»
Il riccio era sinceramente offeso. Lui amava davvero Danny e il fatto che lui lo mettesse in dubbio lo faceva stare male.
«E cosa dovrei pensare, sentiamo? Lavori anche se non ce n’è bisogno, lo sai benissimo.»
«Abiamo già afrontato questo argomento» lo interruppe il moro, che fu a sua volta interrotto.
«E io ho detto che andava bene. Mi sta bene così. Ma sai cosa sto cominciando a pensare? Che mi stai solo sfruttando. Io ti sto aiutando con il tuo progetto musicale e tu invece non mi dimostri la minima riconoscenza. Abbiamo orari diversi e durante il giorno non ci vediamo mai. E l’unica volta in cui ci vediamo non mi dimostri mai che mi ami. Non hai mai voglia di fare niente, ti dà fastidio anche se ti bacio.»
Michael stava cominciando a tremare e avvertiva una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco. Odiava litigare con le persone, ma odiava soprattutto litigare con Danny. In quel momento avrebbe solo voluto piangere. Non sarebbe stato tanto difficile, i suoi occhi erano già velati.
«Non è vero, Danny, io ti amo...» riuscì a spiccicare in un sussurro.
«Allora dimostramelo.»
Danny tornò al suo fianco e lo prese fra le braccia. Poi cominciò a baciargli nuovamente il collo e a marchiarglielo con un segno violaceo. Michael lasciò scivolare le sue mani sotto il maglione del biondo e  gli accarezzò il petto.
Anche se non ne aveva molta voglia, anche se era stanco e se non gli andava, Michael lo accontentò comunque e fecero sesso. Ma doveva dimostrargli che lo amava, in qualche modo, e quello era il modo che Danny preferiva.

 

NOTE: * "Prima Pagina" è una bellissima commedia di Billy Wilder. Personalmente l'adoro, esamina con estremo sarcasmo e critica il mondo del giornalismo e i giornalisti in generale che - come già detto - fanno davvero di tutto per uno scoop da prima pagina.

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ANGOLO AUTRICE 

Comincio col ringraziarvi se siete arrivati a leggere fin qui c: È la prima volta che scrivo in questo fandom anche se da anni scrivo un po' dappertutto sui miei artisti musicali preferiti o serie tv che seguo. Non so cosa uscirà fuori da questa ff, sul serio ahahah però posso dirvi che mi ci sto impegnando molto e che sarà moooolto lenta nella narrazione; sì, ok, capisco che vogliamo tutti le scene midez subito (aw) ma è nel mio stile far penare la gente la narrazione lenta, soprattutto per questo tipo di storia che voglio raccontare, dato che cerco di renderla il più realistico possibile. Spero anche che la lunghezza dei capitoli non vi annoi, in tal caso avete tutta la mia approvazione nello snobbare questa storia (Y). Per quanto riguarda l'aggiornamento (nonostante oggi sia mercoledì) cercherò di essere puntuale aggiornando ogni lunedì. Tuttavia sappiate che sono una studente universitaria in crisi, quindi capiterà sicuramente di saltare qualche aggiornamento (specialmente quando tornerò a seguire i corsi, ahimè). In tal caso vi chiedo perdono già da adesso ç.ç 
E niente, spero che a qualcuno piaccia, anche perché ho già scritto altri capitoli e se la storia non vi piace li posterò lo stesso per torturavi C:< AHAHAH ok, la smetto.
Se vi va recensite per farmi sapere cosa ne pensate! Le critiche costruttive e i consigli sono molto ben accetti <3
P.S.: se volete seguire la storia potete farlo anche su Wattpad.

Buone Feste e tanti unicorni a tutti <3

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Capitolo 2
*** Secondo ***


- 2 -
 
Il mattino seguente non si poteva certo dire che Michael avesse un bell’aspetto. Il riccio si guardò allo specchio e vide un riflesso pallido con delle terribili occhiaie. Non se ne meravigliò: ci aveva messo davvero troppo tempo ad eccitarsi, la notte precedente, contro l’impazienza del biondo. Era stato il peggior sesso della sua vita. Non sapeva perché gli era capitato quello, di solito gli bastava un niente per eccitarsi con Danny: un succhiotto sul collo, la sua mano nei pantaloni, una frase sconcia pronunciata dal biondo con una voce troppo roca. Forse era stata la loro discussione di poco prima a renderlo così pensieroso e poco concentrato su ciò che invece stavano facendo.
In un appartamento non molto lontano anche Federico si guardava allo specchio: il suo riflesso era invece tonico come sempre. D’altronde, quello della sera precedente era stato il miglior sesso della sua vita. Stava osservando i suoi tatuaggi riflessi quando Giulia fece felicemente irruzione nel bagno e schioccò al ragazzo un bacio a stampo sulle labbra. Finalmente la sua situazione con la fidanzata, da tre mesi a quella parte, era diventata stazionaria. Era tutto merito di Michael, ovviamente, ma non l’avrebbe mai detto a Giulia. Anzi, in realtà si rese conto di non averle neanche mai parlato di lui.
«Giulia, ti ho già detto di Michael?»
La ragazza si voltò stranita verso Federico, smettendo per un attimo di frugare nel cassetto dei pantaloni.
«No, chi è?»
Giulia tornò a rovistare tra i jeans.
«È un ragazzo inglese. Lavora al Cafè Milan, quel bar non troppo lontano da un vicolo del Duomo. Hai presente?»
«Sì, ho capito. Io ci andavo spesso con le amiche. Antonella e Luisa, ricordi?»
«Sì, mi ricordo. Comunque qualche mese fa, quando litigammo, andai lì a prendere una birra. No, ti giuro non mi sono ubriacato» ridacchiò Federico quando la ragazza gli lanciò uno sguardo truce. «Dicevo che ho passato lì una serata. L’ho praticamente salvato da un ciccione enorme che voleva aggredirlo perché voleva sfinirsi di birre.»
La ragazza si voltò di nuovo verso il suo fidanzato smettendo la ricerca, che stavolta era passata all’armadio delle maglie.
«Tu sei intervenuto a salvare qualcuno più grosso di te?»
Giulia era divertita e per questo Federico fece il finto offeso.
«Ehi» ribatté mettendo un broncio fasullo. «In ogni caso abbiamo parlato un po’ e poi da lì abbiamo fatto amicizia. Quando litigavamo o quando tu non potevi uscire in questi mesi sono andato lì a parlare con lui, oppure ci siamo sentiti per cellulare quando sapevo che non stava lavorando al bar. È un ragazzo simpatico. È anche dolce. Sai quella cosa che si dice dei ragazzi gay, che sono carini e sensibili? È la verità.»
Giulia lo guardò seccata.
«È un luogo comune Fede, non è sempre vero. Conosco un sacco che non sono carini e sensibili per niente.»
Federico alzò le spalle.
«Hai ragione tu. Comunque lui lo è.»
«Com’è che me ne parli solo adesso?» gli domandò mentre cominciava finalmente a vestirsi, dopo aver trovato il jeans e il maglioncino da indossare.
«Non so perché non mi è mai venuto di dirtelo prima» cominciò pensieroso il tatuato. «Forse perché sono stato troppo impegnato a non perderti.»
Giulia si addolcì visibilmente e gli sorrise, dopodiché si fiondò sulle sue labbra.
 
Se c’era un giorno che Michael odiava particolarmente - e c’era - quello era senza dubbi il sabato sera. Al locale l’aria diventava irrespirabile e tutto cominciava a puzzare inevitabilmente di alcool e fumo, perfino i ricci morbidi di Michael. C’era troppa gente ed era sempre un casino, specialmente per un locale così piccolo e stracolmo in cui l’unico dipendente era proprio Michael - il titolare aveva insistito per non assumere un altro ragazzo ad aiutarlo, “tanto il locale è piccolo”. La verità era che il titolare era uno spilorcio inaudito, ma il riccio non poteva di certo dirglielo.
Così, da ormai più di due ore, Michael si destreggiava dietro il bancone per cercare di accontentare tutti i clienti, che sembravano moltiplicarsi come virus in un organismo infetto. Si poteva dire che fosse passato solo pochissimo della lunga nottata a cui Michael andava incontro, ma già stava sudando, come se stesse correndo una maratona: aveva le guance arrossate e alcuni ricci che gli ricadevano sulla fronte e sulla nuca erano bagnati dal suo sudore.
«Arivo subito» disse in risposta all’ultima richiesta e riempì un boccale di birra che poi porse al ragazzo.
Federico e Giulia entrarono nel locale proprio durante quella confusione, ma Michael non se ne accorse nemmeno. Offrì gli stuzzichini ad una coppietta di ragazzi e stappò loro anche una Pepsi, poi si rivolse ai clienti successivi, tra scontrini e bibite.
Federico lo guardò e capì quanto fosse indaffarato.
«Sediamoci lì. Te lo presento dopo» sussurrò a Giulia e lei annuì.
Dopo una mezz’oretta il peggio era passato. Alcuni clienti erano già andati via dal locale, che era leggermente più silenzioso e sgombro. Michael si accorse solo allora dei due ragazzi, che vide seduti su dei pouf poco lontano. In quello stesso istante, mentre stava per richiamarli, anche Federico si accorse di aver attirato l’attenzione dei riccio, quindi indicò a Giulia di avvicinarsi al bancone.
«Ciao Mich, lei è Giulia, la mia ragazza.»
Il tatuato e la ragazza gli sorrisero e anche Michael ricambiò.
«Piacere, Michael.»
Con uno sguardo eloquente Michael fece capire al ragazzo che era merito suo se stavano ancora insieme. Federico annuì impercettibilmente.
«Alora, cosa fai nela vita?» Le domandò Michael, fingendo che Federico non gli avesse raccontato vita, morte e miracoli su di lei.
«Studio al Politecnico» sorrise.
Michael non poté non notare quanto quella ragazza fosse bella. Ordinaria ma bella. Lui, al contrario, in quel momento era accaldato, con le guance rosse e i capelli scombinati e sudati. Per non parlare di quelle occhiaie che non era riuscito a nascondere più di tanto dalla mattina. Abbassò lo sguardo. Quasi si sentiva male. Gli veniva da vomitare tanto che si sentiva a disagio in quel momento.
«Deve esere bello studiare ala università» disse, più perché non sapeva che altro dire mentre asciugava il bancone da una piccola pozza di birra versata poco prima da un cliente.
«Sì, ma è molto stancante, anche. Le feste non sono feste e i fine settimana...»
«Non sono i fine setimana» concluse per lei ridacchiando e arricciando il naso in un’espressione che Federico e Giulia trovarono adorabile.
«Sì, esatto» rise la ragazza, sapendo che Michael aveva afferrato il concetto.
«Ok, dai, che prendiamo?» Le domandò Federico.
Alla fine lui prese una birra, lei un thè alla pesca.
Michael era visibilmente e stranamente a disagio quella sera e Federico se ne accorse, ma non ebbe abbastanza tatto da chiederglielo in privato, bensì lo fece davanti alla ragazza.
«Mich, ti senti bene? Ti vedo un po’ strano.»
«No, è solo che... c’è sempre troppa gente il sabato ed è tanto stancante» disse flebilmente.
Era vero, da una parte. Dall’altra non sapeva dire con certezza cos’altro ci fosse. Forse stava ancora pensando a Danny e alla maledetta notte trascorsa. Oppure era la presenza dell’impeccabile Giulia.
«Hai ragione. Dovresti dire al titolare di affiancarti qualcuno altro.»
Michael gli rivolse uno sguardo annoiato.
«Sì, così buta fuori anche me. Lui è intratabile» scandì sperando di non inciampare fra le lettere, cosa che fece sorridere Federico. Michael era così adorabilmente buffo.
 
Anche quella notte Michael tornò a casa con un groppo in gola. Si sentiva una persona orribile: Danny gli stava dando tutto, le sue fatiche e il suo cuore, e lui invece non riusciva neanche a dargli il suo corpo. Neanche a dimostrargli quanto lo amava. Perché lui era sicuro di amarlo ancora, ma per qualche strana ragione l’essere avvicinato da lui quasi lo disgustava. In quel modo, poi, con cui Danny sembrava non aver alcun rispetto per il suo ragazzo, per i suoi tempi e per la sua intimità.
Michael scosse la testa mentre metteva piede nell’attico. Si fermò un attimo a guardare il panorama nero di Milano, illuminato soltanto dai lampioni e dalle insegne dei negozi, che da lassù sembravano comunque tutti puntini luminosi.
Non ci sono stelle, pensò Michael. Poi si diede dello stupido. Non si vedono mai le stelle in città.
«Ehi. Ti ho sentito arrivare.»
Danny gli sussurrò quelle parole all’orecchio e il riccio sobbalzò per la vicinanza inaspettata. Il biondo si appiccicò al suo corpo e poggiò la guancia sulla sua schiena, socchiudendo gli occhi.
«Ti amo» gli disse.
«Anche io ti amo.»
Ma quelle parole, per quanto Michael le sentisse realmente, erano gelide e vuote, mentre se ne stava ancora al centro del salotto con la borsa in mano e lo sguardo allungato sulla città. Danny si staccò da lui e gli accarezzò le spalle, scendendo fino alle braccia e poi alle dita delle mani, costringendo l’altro a lasciare la presa sulla borsa e tentare di rilassarsi. Invece il riccio restò rigido e con lo sguardo verso la città e non sapeva perché, ma credeva di stare per impazzire. Si morse il labbro inferiore con violenza, poi sentì Danny sbuffare. Fu un attimo e il biondo lo girò con forza verso di sé.
«Adesso mi dici che cos’hai. Ieri è stato uno schifo, adesso non mi calcoli neanche. Che ti prende? Ti vedi con un altro?»
Michael scosse freneticamente la testa e strabuzzò gli occhi.
«Non pensarci neanche questo!»
Si fiondò sulle sue labbra per tentare di rimediare, ma il biondo lo staccò violentemente da sé.
«Rispondimi e smettila di fingere che vada tutto bene! Voglio sapere cosa ti sta succedendo.»
Ma la verità era che Michael non voleva perderlo comunque, nonostante quel suo modo di volerlo, di toccarlo e di costringerlo stesse diventando troppo. Voleva dirglielo, ma le parole gli morirono in gola e quando aprì le labbra ne uscì solo un gemito strozzato. I suoi occhi si appannarono di lacrime pronte a rotolare giù. Riuscì a parlare solo dopo un po’.
«Ieri tu ha detto che io non ti amo, ma non è vero! È che a me non piace quanto tu... quando tu mi toca così e pretende che io lo faccio con te anche quando non volio
Ormai Michael stava quasi gridando.
«Io sono venuto qui per te da Inghiltera, io ti ho seguito perché mi sono innamorato di te e tu adeso pensa solo che io sto approfitando di te. Ma non è così e io penso che forse sei tu che cominci a profitare di me, con questa cosa che non ti dimostro mai che ti amo e in realtà ti interesa solo scoparmi!»
«Mich, ma che cazzo stai dicendo?»
«No, tu adeso ascolta! Sono tre anni che mi dici che mi stai aiutando con il mio music project ma non mi porti mai un cazo di risultato! Dici sempre che devo spetare, sai cosa ti dico? Che sono stanco di aspetare. Vaffanculo.»
Alla fine, per quanto lo amasse, non era riuscito a contenersi.
Michael uscì dall’attico sbattendo la porta, sapendo che non sarebbe stata l’ultima volta in quell’appartamento. Solo quando stava scendendo le scale in lacrime ricordò che aveva dimenticato portafogli e tutto nell’appartamento. Per fortuna, almeno il cellulare, lo aveva in tasca. Poi ricordò anche che era all’ultimo piano di un grattacielo e non poteva scendere tutte quelle scale. Quindi si fermò ad un piano qualunque e chiamò rapidamente l’ascensore, mentre come un bambino si puliva il naso sulla manica della camicia e non riusciva a smettere di singhiozzare.
Come aveva fatto ad essere così cieco fino ad allora? Come non si era accorto che per tre anni Danny lo aveva ingannato? Si catapultò fuori dall’ascensore e poi dal palazzo, senza sapere dove andare. Si ritrovò in strada con gli occhi gonfi e senza neanche un cappotto nel freddo gelo milanese. La prima cosa che gli venne in mente fu di chiamare qualcuno.
Federico.
Era l’unico amico che aveva, e improvvisamente si rese anche conto di quanto fosse solo, di quanto senza Danny non fosse nulla. Non aveva niente, e quel paese gli sembrò in quel momento ancora più straniero del solito.
«Pronto, Mich?» la voce di Federico era impastata dal sonno e solo allora si rese conto dell’orario. Erano le 3:46.
«Scusa, scusa Fede io non voleva chiamarti a questa ora» si maledisse per aver chiamato. Per dirgli cosa, poi?
Ma il tatuato fu allarmato dal suo tono di voce e riconobbe chiaramente che Michael stava piangendo. Nel suo appartamento di Milano, Federico si tirò a sedere sul letto matrimoniale e anche Giulia si svegliò e gli chiese di mettere in vivavoce per poter ascoltare. Erano entrambi visibilmente allarmati.
«Non fa niente, Mich, dimmi che succede.»
«Io non so dove andare» tirò su col naso. «Ho litigato con Danny. Lui è uno sstronzo e io non so dove andare adesso» non sapeva se l’aveva già detto, ormai era confuso e non capiva più nulla. Stava anche cominciando a tremare per il freddo. Iniziò a camminare in chissà quale direzione per cercare di portare un po’ di calore al corpo, anche se le sue lunghissime gambe non ne volevano sapere di smettere di tremare.
«Ok ok, calma. Danny ti ha cacciato di casa?»
«No sono andato via io.»
Federico e Giulia si guardarono comprensivi. La ragazza mimò un “digli di venire qui”. Ovviamente il tatuato non ci pensò su neanche un attimo: erano state tantissime le volte in cui lui l’aveva aiutato con Giulia, anche se questa non lo sapeva. Glielo doveva almeno per quello, se non per il fatto che ormai erano amici.
«Vieni qui a casa mia. Ti scrivo l’indirizzo per messaggio, se è lontano da dove sei ora vengo a prenderti.»
Federico inviò il messaggio e attese una risposta dell’altro, che probabilmente fece mente locale perché era abbastanza confuso.
“Vallo a prendere” sussurrò Giulia e Federico si alzò dal letto per prepararsi, ma le parole di Michael lo bloccarono.
«Poso arivare a piedi Federrico. Sono vicino.»
Non era proprio vicinissimo, ma in quel momento voleva solo correre e fottersene di tutto. Le sue gambe tremavano ancora, ma non ci badò e iniziò a correre.
«Sei sicuro? Guarda che posso venire a prenderti.»
«No, Fede aspetami, sto arivando
Riattaccò e Federico lanciò un ultimo sguardo preoccupato al telefono.
«Dai, vestiti» gli disse Giulia, che nel frattempo faceva altrettanto.
 
Michael arrivò dopo dieci minuti buoni. Non perché fosse realmente molto distante dalla casa di Federico, bensì perché, una volta arrivato sotto il suo portone, le ginocchia gli cedettero e si accasciò a terra piangendo. Era stremato. Da tutto. Gli ci vollero alcuni minuti per rendersi davvero presentabile e permettere al suo respiro di regolarizzarsi. Dopodiché bussò al citofono e Federico gli aprì il cancelletto e poi il portone, attendendolo accanto a Giulia sull’uscio della porta.
Quando Michael salì, era un metro e novanta di stanchezza, occhi gonfi e capelli scombinati. Aveva ancora la camicia bianca della divisa da lavoro e la cravatta argentata slacciata al collo.
Federico lo guardò davvero per la prima volta e vide un uomo distrutto. Lui ci teneva davvero tanto, si vedeva. Non sapeva come fossero andate le cose, ma qualunque cosa Danny avesse fatto aveva tradito il cuore di Michael, ed era gravissimo perché lui aveva lasciato la sua casa e la sua famiglia per seguirlo in Italia. Doveva davvero essere uno stronzo, Danny.
Giulia e Federico non ebbero il coraggio di dirgli niente. Solo la ragazza, vedendo che Michael tremava dal freddo, gli poggiò un plaid sulle spalle e gli preparò una tazza di thè caldo.
Il riccio non aveva alzato lo sguardo per tutto il tempo. Lo fece solo per sussurrare un “grazie” a Giulia, che ricambiò con un sorriso. Cominciò a sorseggiare la sua bevanda calda. Stava ancora tremando quando iniziò a parlare.
«Mi dispiace che vi ho fatto sveliare» disse tra un sorso e l’altro. «Io... non sapeva dove andare.»
«Non dirlo neanche per scherzo, Mich» lo ammonì Federico.
Passarono altri minuti di silenzio che Michael occupò per decidere se raccontare o no quello che era successo. Da un lato sapeva che glielo doveva, almeno quello. Ma dall’altro, aveva paura di fare la figura dell’idiota, dal momento che solo ricordare la faccia di Danny gli faceva terribilmente male.
Ma tanto cosa c’era di più idiota di chiamare un amico nel cuore della notte e presentarsi a casa sua e della sua ragazza con il fiatone, la camicia sudata del pomeriggio e gli occhi gonfi di lacrime?
«Danny mi ha preso in giro, per tre ani. Mi ha detto che mi avrebe aiutatto con un mio progetto musicale e non l’ha mai fato. Io mi sono innamorato di lui, come un colione. Ci sono cascato e lui ha aprofitato di questo per farmi sentire in colpa. Mi diceva che si stava impeniando e che io invece non gli dimostravo di amarlo, ma poi lo diceva solo per portarmi a leto
Michael si interruppe e calò la testa sulla tazza per non far vedere gli occhi lucidi, che Federico e Giulia notarono lo stesso.
«È davvero uno stronzo» cominciò Federico. «Mich, tu ti meriti molto di più.» Concluse, e non erano solo parole di circostanza.
Michael lo fissò come se avesse detto una bestemmia. Poi, quando riprese a parlare, la sua voce era di un tono leggermente più alto.
«Ma tu non capisce! Io ho lasciato tutto per lui! La mia familia, la mia casa che avevo in London e adeso non ho più niente!»
Per quanto si fosse sforzato, Michael non riuscì a trattenersi oltre e cominciò a piangere quasi silenziosamente, come se non volesse disturbare gli altri due. Ma Federico continuò comunque con la sua tesi.
«No, ascoltami, non è così. Innanzitutto devi calmarti, ok? Stanotte passala qui, domani mattina vai a chiarire con lui, magari... magari ti stai sbagliando, no? E se invece lui è davvero uno stronzo, te lo ripeto, tu meriti di meglio. Sei un bravo ragazzo, sei dolce, gentile. Hai tutto quello che un partner vorrebbe. Non ci metterai niente a trovare un altro ragazzo, davvero. Qui in Italia o in Inghilterra, dove vuoi, puoi fare quello che vuoi.»
Le parole del tatuato erano abbastanza persuasive, anche se convincere Michael in quello stato era un’impresa ardua, soprattutto per la scarsa stima che il riccio aveva di sé stesso.
«Fatti una doccia calda, adesso, poi vai a dormire» cominciò Giulia con dolcezza. «Fede ti presta qualcosa di suo, ok? Poi puoi stare qui, è un divano-letto. Lo sistemiamo e intanto vado a prenderti altre coperte e un cuscino.»
Come una perfetta donna di casa, Giulia sparì nella loro camera da letto per prendere vestiti e coperte.
«È una ragaza perfetta» sussurrò Michael, nonostante conoscesse alcuni dettagli raccontati da Federico che lasciavano intendere tutt’altro. Ma era in quei momenti che anche Federico si rendeva conto della perfezione di quella ragazza: malgrado tutto, lei era sempre presente. Per tutti.
Michael sospirò. Avrebbe desiderato anche lui un ragazzo così.
«Lo so. Troverai anche tu un ragazzo perfetto. E non lo dico tanto per.»
Il tatuato gli sorrise e, finalmente, lo fece anche Michael.
 
Michael storse il naso nel guardarsi allo specchio. La tuta di Federico gli stava decisamente corta. Nella sua immagine c’era qualcosa di buffo che stava facendo ridacchiare Federico e Giulia da un po’.
«Volette smetterla?!»
«Ma non è colpa mia se hai gli arti di due metri!» Replicò il tatuato.
Michael sbuffò, ma anche lui non riuscì a trattenersi a lungo e scoppiò a ridere. Federico pensò a quanto fosse veramente bello quando Michael rideva: non solo era bello e luminoso lui, ma in qualche strana maniera rendeva luminoso l’intero ambiente che lo circondava. Era bello, punto e basta. E il fatto che lo pensasse Federico era strano, per lui.
Inutile dire che si fermarono dopo cinque minuti buoni, quando Michael stava davvero per crollare dal sonno e sbatteva ripetutamente le palpebre per non addormentarsi in piedi.
Giulia aveva allungato il divano letto e sistemato il cuscino e un pesante piumino blu elettrico che al riccio sembrava piacere particolarmente. Nonostante fosse, appunto, un divano-letto, le lunghissime gambe di Michael incontrarono un po’ di difficoltà a sistemarsi, all’inizio, cosa che fece ancora ridere gli altri due. Quindi si vide costretto a rannicchiarsi per bene per entrare tutto sotto la coperta.
«Buonanotte, Mich.»
«Buonanotte anche a voi» replicò mentre chiudeva gli occhi, ma poi si ricordò dell’urgenza di dover dire un’altra cosa.
«Ehi» li richiamò.
I due ragazzi si voltarono nuovamente verso di lui.
«Grazie.»

 

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE 

Ebbene mi sono appena svegliata. Dato che sto passando un post-sbornia di merda, ho deciso di fare qualcosa per distrarmi e postare un nuovo capitolo mi sembrava una buona idea. L'ho rivisto, ma è possibile che ora come ora mi sia sfuggito qualche errore, nel caso vi chiedo scusa ahah anyway: il capitolo è un po' di transizione fra la situazione del primo e quella che vedrete nel terzo. Però è comunque importante per spiegare alcune dinamiche che si andranno a creare dopo, in un climax che in generale definirei ascendente per quanto riguarda la situazione di Federico (capirete in seguito, vi giuro <3).
Come al solito ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà, perché è bello sapere che qualcuno dedica dei minuti a leggere qualcosa di tuo. <3
P.S.: vaffanculo Danny mlm

Vi voglio bene tutti e lancio baci a profusione.
Buon Anno Nuovo, anche. <3

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Capitolo 3
*** Terzo ***


- 3 -
 
Michael si svegliò verso le sei del pomeriggio seguente. La cosa strana per lui era che non aveva minimamente fame. Giulia era andata a seguire uno degli ultimi corsi all’università e Federico aveva preferito non svegliare il riccio che dormiva beatamente, quindi aveva lasciato le tapparelle abbassate in salotto. Il tatuato invece sedeva in cucina con un block-notes davanti a sé e alcune rime inconcludenti scritte tra le righe. La penna a sfera che aveva tra le dita oscillava su e giù. Erano ormai tre anni che si era avvicinato al rap grazie agli amici del Muretto, che gli avevano anche insegnato il freestyle. All’inizio lo trovava difficilissimo, ma quando il suo glossario di rime si era decisamente allargato, aveva vinto moltissime sfide contro i suoi amici. Purtroppo non sembrava comunque esserci sbocco per lui nell’ambiente musicale: aveva mandato demo su demo a centinaia di case discografiche, ma veniva respinto ogni volta. Era quello il motivo per cui i suoi rapporti con la madre si erano inclinati, di recente: lei avrebbe desiderato un figlio con la testa sulle spalle, magari uno studente universitario come Giulia, e invece Federico non faceva che scrivere le sue rime su dei fogli e comporre beat al computer. Non che sua madre, Tatiana, avesse chiuso definitivamente con lui, ma una certa freddezza era nata tra di loro. Perciò Federico dedicava sempre più tempo alla musica: voleva portare dei risultati concreti a sua madre, così da ristabilire i rapporti con lei.
Il riccio arrivò in cucina con gli occhi ancora assonnati, i capelli che sembravano avere vita propria e la coperta blu elettrico avvolta attorno al corpo.
«Ehi, buongiorno!» Lo prese in giro Federico, vedendolo arrivare quasi come uno zombie.
«Anzi, no buonasera» si corresse subito. «Sono le sei passate!»
Michael sbuffò per la tarda ora, aveva praticamente saltato colazione e pranzo - non che avesse fame, comunque.
«Poso farmi un thè?»
«Certo. Ah, Giulia ti ha lavato anche i vestiti, puoi rimettere quelli dopo la doccia.»
Il riccio annuì mentre prendeva una tazza con scritto “Merry Xmas” e riempiva un pentolino con dell’acqua.
«Giulia è fantastica. Ora capisco perché tu non voleva lasciarla.»
Federico annuì sorridendo. Sì, Giulia era fantastica davvero. Nonostante tutto.
«Mi dispiace che io vi sto disturbando così tanto. Ogi vado a prendere le mie cose da Danny e cerco un bed and breakfast
Il tatuato lasciò cadere la penna sul foglio e si girò a guardare Michael che fissava l’acqua nel pentolino.
«Guarda che puoi benissimo restare qui, non ci dai alcun fastidio. È stupido che tu debba spendere soldi quando puoi stare qui. Davvero, non è un problema.»
Michael sorrise. Più che restare lì per non spendere soldi, ci voleva stare perché i due ragazzi erano gli unici amici che aveva e si sentiva maledettamente solo.
«Voi italiani siete sempre così ospitali...»
«Oh, andiamo. Scommetto che anche tu avresti fatto ugualmente, al posto mio.»
Michael gli rivolse quell’espressione col naso arricciato che Federico trovava dannatamente adorabile e buffa.
 
Dopo il thè e la doccia, Michael non era comunque riuscito a nascondere le occhiaie. Fortuna che perlomeno l’orribile segno violaceo che restava del succhiotto di Danny era ben nascosto dal colletto della camicia.
«Vado da lui» sussurrò Michael. «Vado solo a prenderre le mie cose.»
Lo disse più a sé stesso che a Federico. Lui non aveva alcuna intenzione di chiarire con il biondo.
Il tatuato non insistette perché era una decisione che spettava solo al suo amico. Comunque gli porse una felpa e disse:
«Questa mi sta un po’ larga, a te andrà bene. Ho visto che ieri non hai preso neanche il cappotto e fuori fa freddo.»
Michael lo ringraziò e infilò la felpa, che effettivamente gli stava bene. Il profumo di Federico era quel misto di sigarette e dopobarba che al riccio piacque particolarmente.
«Vuoi che ti accompagno, Mich?»
«No, io vado a piedi. È vicino e così penso anche.»
Federico annuì e gli diede un’amichevole pacca sulla spalla prima di lasciare che scomparisse dietro la porta.
Durante il tragitto Michael ricordò di avere anche un cellulare: lo accese e notò venticinque chiamate e settantadue messaggi solo di Danny, della notte precedente. Ne lesse qualcuno.
 
3:55
Inviato da: Danny
Mich non fare il coglione.
Torna indietro.
 
4:02
Inviato da: Danny
Cazzo, Mich ma sei serio?
 
4:04
Inviato da: Danny
Hei, stronzo, torna qui.
Hai capito?
 
4:05
Inviato da: Danny
Almeno rispondi alle chiamate.
Dobbiamo parlare.
 
7:02
Inviato da: Danny
Sei uno stronzo, vaffanculo.
Non cercarmi mai più, coglione.
Puttana che non sei altro, vai a farti fottere da qualcun altro.
 
Michael scorse la conversazione fino ai messaggi più recenti.
 
17:34
Inviato da: Danny
Michael ti prego torna qui... mi dispiace.
 
17:52
Inviato da: Danny
Ti amo.
 
Michael non era mai stato tanto nervoso in vita sua. Provava un misto di rabbia, disgusto, ansia. Aveva voglia di vomitare e l’avrebbe fatto lì sul pianerottolo se Danny non avesse aperto la porta proprio in quell’istante. Anche il biondo non aveva una bella cera. Lo guardò e invitò ad entrare.
«Sono qui solo per prendere le mie cose» disse il riccio avviandosi verso la loro - adesso solo del biondo - camera da letto. Ma Danny lo bloccò per un braccio costringendolo a guardarlo negli occhi.
«Ti prego, Mich, parliamone.»
«Io non ha niente da dire.»
«Allora ascoltami.»
«Non volio. Qualunque cosa tu dici adesso è una bugia. Come tutte quelle a cui io ho creduto già.»
Si liberò rapidamente della presa del biondo per fiondarsi in camera da letto.
«Non è vero, Mich, ti giuro. Io non ti ho mentito, mai! Ho fatto ciò che ti avevo promesso tre anni fa, sempre.»
Michael era davvero stanco di tutte quelle bugie, ed era arrabbiatissimo. Prese il suo trolley dall’alto dell’armadio e lo gettò sul letto, poi di scatto si voltò a guardare Danny.
«Sì, certo! Dovevi solo mandare i mie cazo di demo e aiutarmi con le case discografiche! Ma perché mi sono fidato di te?!»
Ormai Michael stava urlando mentre riempiva la sua valigia di tutti i suoi vestiti colorati gettati alla rinfusa.
«E pensi che sia facile aspettare che li ascoltino? Sei un illuso! Ci sono ragazzi che ci provano da anni e anni e le loro demo vengono cestinate subito! Il fatto che io abbia scritto articoli per loro non mi dà poi tutta questa importanza ai loro occhi!»
Adesso anche Danny urlava e cercava ogni tanto di bloccare Michael.
«Tu, piuttosto!» Continuò. «Questo vuol dire che stavi con me solo per quello!»
Il riccio gli lanciò un’occhiataccia mentre continuava a riempire la valigia. Voleva andarsene di lì il prima possibile.
«Ah sì, tu pensa questo? Tu neanche sa quanto ti amo, e quanto sto pagando per questo! Sei così stronzo da non aver mai capito questo! Mi hai fatto sentire in colpa e ho fato sesso con te solo perché mi hai praticamente obligato
«Lo so e ti chiedo scusa per questo, ho sbagliato lo so. Mich, ti prego. Non ho rispettato i tuoi tempi e ti chiedo perdono.»
Ma la reazione di Michael fu il solo silenzio, mentre chiudeva frettolosamente il trolley e lo trascinava per il corridoio.
«Mich, ti prego!» Continuava ad urlare Danny, che sulla soglia della porta bloccò nuovamente il braccio del riccio per non lasciarlo andare.
«Mich.»
Il riccio si voltò verso di lui.
«Per adeso voglio che mi lasci in pace. Poi forse ci penserò a tornare a parlare con te.»
Si liberò dalla morsa del biondo e si fiondò a prendere l’ascensore per uscire da quel palazzo che sembrava soffocarlo.
 
A casa di Federico trovò una certa tranquillità. Gli sembrava quasi di essere a casa sua, a Londra, di non essersene mai andato.
Dopo essersi cambiato gli abiti Michael si sedette affianco a Federico su uno sgabello in cucina e sorseggiò la sua seconda tazza di thè, quel giorno. Mancava poco all’arrivo di Giulia dall’università e al riccio venne in mente di ricambiare almeno in parte ciò che i due ragazzi stavano facendo per lui. Così cominciò ad aprire tutti i mobili della cucina, attirando l’attenzione del tatuato, che dalla mattina cercava di scrivere rime decenti. Federico si tolse una cuffietta dall’orecchio e guardò accigliato Michael, il quale stava ancora chiudendo e aprendo le ante e i cassetti, da cui ogni tanto prendeva qualche ingrediente o recipiente.
«Mich, che stai facendo?»
«Volio fare dei pancakes. Per te e Giulia. Anche se per cena, io ceno sempre con i pancakes» asserì con orgoglio mentre prendeva una padella.
«Uhm. Non posso aiutarti, mi spiace, non so neanche dove Giulia mette gli ingredienti» concluse alzando le spalle.
Il riccio si voltò verso di lui con un mezzo sorriso e alzò un sopracciglio.
«Lo avevo capitto che se non c’era lei tu neanche mangi
Federico ci mise un po’ per capire il significato della frase, poi rise mentre poggiava di nuovo la penna sul foglio.
«Avanti, Mr. Congiuntivo, fai i tuoi pancake!»
Michael restò un po’ confuso, poi capì che era un insulto al suo italiano e mise un finto broncio.
Decisamente adorabile, pensò Federico lanciandogli un’occhiata mentre l’altro si rigirava verso i fornelli.
Ma poi il sorriso scomparve dal volto del tatuato, il quale non sapeva spiegarsi il perché di quello strano pensiero sul riccio.
 
Circa mezz’ora dopo i pancake erano impilati in due piatti e Michael era concentratissimo a versare lo sciroppo d’acero a regola d’arte. Federico, intanto, continuava ad ascoltare i suoi beat con le cuffiette e a scrivere rime su rime, che puntualmente cestinava.
Una chiave rigirò nella serratura della porta, dopodiché Giulia annunciò il suo arrivo.
«Sono qui!» Urlò dal salotto.
A Michael brillarono gli occhi per l’imminente sorpresa che aspettava la ragazza in cucina, mentre il tatuato neanche la sentì, concentrato com’era ad ascoltare la musica. Il riccio gli si avvicinò e gli tolse una cuffietta.
«È arivata Giulia.»
Subito dopo la ragazza entrò in cucina e salutò il suo ragazzo con un bacio a stampo sulle labbra. Michael si sentì terribilmente a disagio.
«E questi?» Domandò sorpresa indicando i pancake impilati nei piatti. Avevano un aspetto delizioso.
«Mich si è messo a giocare a “La Prova del Cuoco”» rise Federico.
«Spero vi piace» sorrise Michael.
«Oddio, sei dolcissimo» l’abbracciò Giulia. «Ma per te?»
«No, io non ho fame» scosse la testa il riccio. «Poi ora devo prepararme per il lavoro.»
Il tatuato e la fidanzata cominciarono ad addentare i loro pancake con gusto.
«Oddio, sono buonissimi» sussurrò Federico con la bocca ancora piena. Giulia concordò con lui.
«Sono contento» rise Michael mentre andava a vestirsi.
 
Al di fuori di quella casa, tutta la realtà ricadeva pesantemente sulle spalle del riccio. Appena mise piede fuori dall’appartamento di Federico gli ritornò alla mente di quanto triste fosse la sua situazione, adesso. Non riusciva, proprio non riusciva a dimenticare Danny. Proprio non riusciva a smettere di amarlo.
Ho sbagliato lo so. Mich, ti prego.
Aveva in testa le parole del biondo e avrebbe davvero voluto perdonarlo facilmente. Lo avrebbe desiderato, ma il rispetto che aveva di sé stesso era stranamente più grande. Eppure, cosa sarebbe successo se si fosse semplicemente buttato tra le braccia di lui, di nuovo?
Scosse la testa e accelerò il passo nel freddo milanese. Il bar era abbastanza distante da lì, ma era stato contento di poter fare il tragitto a piedi prima di rendersi conto che la sua mente si sarebbe aggrappata al ricordo di Danny. Sbuffò nuvolette di condensa e smise di pensare al biondo solo quando fu davanti al bar. Una volta dentro appoggiò il cappotto scuro all’appendiabiti dello stanzino di servizio e cominciò a darsi da fare.
 
Nell’appartamento di Federico, lui e Giulia erano rimasti da soli. Giulia posò i libri universitari sulla sua scrivania e sbuffò. Era stanca. Fortuna che i pancake di Michael l’avevano un po’ sollevata.
«Devo chiedere a Michael la ricetta dei pancake, erano fantastici.»
«Sì, ti prego, così me li fai tutte le mattine!» Mugolò Federico posando cuffiette e block-notes.
Giulia si voltò verso di lui con una faccia da “lo sapevo”. In fondo lei lo sapeva davvero, lo conosceva bene. Stavano insieme da due anni e mezzo ma sembravano già due perfetti sposini. Avevano sì passato un periodo di costanti litigi, ma ora il loro rapporto aveva ritrovato l’equilibrio sperato.
Federico si avvicinò a Giulia giungendo alle sue spalle e l’abbraccio da dietro, cominciando a baciarle lievemente il collo.
La ragazza fece un risolino per la sorpresa di quel contatto, poi si lasciò accarezzare e baciare. Le mani del tatuato scesero ad accarezzare l’intimità della ragazza. La desiderava.
Giulia si rigirò nel suo abbraccio ed allacciò le mani dietro il collo del fidanzato mentre questo la sollevava di peso per prenderla in braccio. Le gambe di lei si incrociarono dietro la schiena del tatuato.
«Andiamo in camera da letto, staremo più comodi» sospirò Federico sulle sue labbra, tra un bacio e l’altro.
 
Erano le tre meno due minuti quando Michael finì il turno. C’erano stati meno clienti, quella domenica sera, e per questo non aveva fatto altro che continuare a pensare a Danny tutto il tempo - una volta aveva persino chiamato un cliente “Danny”, cosa che lo aveva fatto arrossire fino alle punte dei capelli.
«Michael, chiudi tu quando hai finito» gli disse il titolare prima calcarsi il cappello in testa e andare via.
Così il riccio era rimasto ad asciugare i bicchieri e pulire il bancone dal vomito dell’ultimo cliente troppo ubriaco per allungarsi fino in bagno. Finito anche di asciugare il bancone, il ragazzo si fermò un attimo sullo sgabello e adocchiò alcune birre. Non sarebbe stata una tragedia se ne avesse bevute un po’. Ovviamente l’avrebbe detto al titolare in modo da detrargliele dallo stipendio: lui era un ragazzo onesto. Così il riccio restò per un’altra mezz’oretta a bere birre e guardare la tv ancora accesa nel locale. In realtà non stava seguendo nulla della trasmissione - faceva ancora fatica a capire le trasmissioni in italiano, parlavano troppo velocemente, per lui. Birra dopo birra, cominciò a girargli la testa. Forse aveva esagerato e neanche se n’era accorto. Gettò le bottiglie vuote nel cestino del vetro e andò in bagno a liberare la vescica, cercando di non inciampare mentre, barcollante, si dirigeva verso il bagno degli uomini. Poi spense la tv, tutte le luci e chiuse il locale, abbassando la saracinesca. Quando si rialzò in piedi ebbe un forte giramento di testa e si aggrappò rumorosamente alla serranda.
«Shh!» Fece a sé stesso, poi cominciò a ridere senza alcun motivo, cercando di essere il più silenzioso possibile. Pensò a cosa fare e gli venne in mente che doveva assolutamente andare da Danny. Certo che doveva andare da lui, lo amava! E sicuramente lo stava aspettando sveglio. Danny lo aspettava sempre.
Con una certa difficoltà arrivò al grattacielo e prese l’ascensore, sbagliando una volta il pianerottolo.
Appena arrivato al suo appartamento bussò quattro o cinque - o forse sei? - volte consecutivamente, poi si aggrappò al muro accanto alla porta per non cadere. Danny aprì senza chiedere chi fosse, con l’urgenza di chi vuole far smettere un pazzo di suonare ripetutamente il campanello alle tre di notte.
Non appena vide Michael sgranò gli occhi.
«Michel?»
Il riccio annuì e riprese a ridere sguaiatamente. Danny capì che era ubriaco e perciò si precipitò a sostenerlo e farlo entrare in casa. Il biondo era contrariato per lo stato del riccio, ma felice lo stesso di vederlo. Gli mancava.
«Stenditi sul divano. Sei ubriaco fradicio» constatò aiutandolo a stendersi. Michael smise solo allora di ridere.
«I know!» Urlò e Danny gli coprì la bocca per zittirlo.
«Shh, ma sei pazzo? Sono le tre di notte passate» sussurrò.
Tolse la mano dalla bocca dell’altro solo quando lo vide zittirsi e calmarsi un po’. Quando ritirò la mano Michael stava sorridendo, gli occhi lucidi per l’alcol.
«I know. I love you.»
«Sei ubriaco.»
«This doesn’t change my feeling.»
«Quindi non mi ami solo quando sei ubriaco?»
«No, I love you always.»
Michael fece un grande sforzo fisico per alzarsi e baciare Danny con foga. Non era un bacio casto e delicato, era violento, con un forte desiderio di carne che il biondo non acconsentì a soddisfare. Aveva sbagliato già una volta allo stesso modo, Michael non gliel’avrebbe perdonata una seconda volta.
Il biondo se lo staccò bruscamente di dosso e il riccio ripiombò sul divano.
«No, Mich, sei ubriaco» disse categorico.
«And so?» Protestò lui.
«E quindi ora vai a casa, quella dove hai dormito stanotte.»
 
Danny dovette insistere molto prima di convincere il riccio a tornare all’appartamento di Federico. Il biondo dovette accompagnarlo con la macchina.
«Chi è questo Federico?» Domandò.
«A friend.»
«Solo un amico?»
«Solo un amico» sussurrò mentre chiudeva gli occhi con la testa poggiata contro il finestrino.
«Ehi, non addormentarti. Non voglio portarti in braccio, dopo» concluse Danny leggermente divertito, scuotendo l’altro per non farlo addormentare.
Arrivarono subito a casa del tatuato. Danny bussò il campanello mentre con un braccio aiutava Michael a stare in piedi.
Nel letto matrimoniale Giulia e Federico si svegliarono di soprassalto.
«Dobbiamo fare un doppione di chiavi per Michael» sussurrò Giulia assonnata, forse ancora al limite tra lo stato di sonno e quello di veglia.
«Hai ragione. Tu dormi, vado io ad aprire.»
Federico si alzò e si infilò almeno i pantaloni della tuta che stava poggiata su una sedia accanto al letto.
Quando aprì la porta, sinceramente si aspettava tutto tranne la scena che aveva davanti. Uno sconosciuto stava reggendo il riccio con una mano alla vita, il quale a sua volta sembrava spaesato e sorrideva senza un motivo apparente.
«Ciao, scusa l’orario. Sono Daniele, il... l’ex ragazzo di Michael. Si è presentato da me ubriaco. È meglio che stia qui.»
Federico ci mise un po’ per inquadrare il tutto. Ok. Quel biondino era lo stronzo che Michael aveva tanto decantato. Sicuramente il riccio aveva bevuto troppo e aveva fatto la cazzata di andare a casa sua. Questo perché Michael lo amava ancora. Troppo, ma lui era uno stronzo. Una strana rabbia salì a Federico, il quale non seppe neanche spiegarsela. In fondo non lo conosceva neanche.
«Ok, grazie» disse semplicemente, poi afferrò il riccio e sbatté la porta in faccia a Danny.
Ma lui era uno stronzo, no? Se lo meritava per come aveva ridotto Michael il giorno prima.
Il riccio mugolò qualcosa di incomprensibile mentre il tatuato lo aiutava ad adagiarsi sul divano.
«Dai, sta’ buono» gli sussurrò mentre gli toglieva le scarpe e tentava in qualche modo di sistemare sul divano le sue lunghe gambe, che Michael sembrava proprio non voler tenere ferme. Federico prese la coperta e la posò sul corpo del riccio.
«Fedé» sussurrò lui.
«Cosa c’è?»
«You think I’m an asshole?»
«Mich, non ti capisco se parli in inglese così velocemente!»
Il riccio rise sguaiatamente e Federico dovette solo tappargli la bocca. Gli sussurrò di stare zitto o avrebbe svegliato Giulia.
«Tu pensa che io sono uno stronso
Lo disse così a bassa voce che Federico, per capirlo, dovette ridurre a due centimetri la distanza tra i loro volti.
«Cosa?»
«I want you.»
La distanza tra i due fu completamente annullata quando Michael spinse la nuca dell’altro contro di sé, in modo da far combaciare le loro labbra. Fu solo un attimo, ma bastò al cuore di Federico per fargli perdere un battito.
Il tatuato allontanò l’altro da sé troppo bruscamente, poi si passò il dorso della mano sulle labbra, con gli occhi sgranati all’inverosimile. Cos’era appena successo?
Federico indietreggiò, sotto lo sguardo del riccio che adesso sembrava fin troppo lucido. Adesso sembrava quasi consapevole di quello che aveva fatto.
Ma quel pensiero fu totalmente rovesciato quando Michael cominciò a ridere silenziosamente fino ad arricciare il naso. Certo, era chiaro, lui l’aveva fato così, d’impulso, perché era ubriaco. Neanche sapeva cosa stava facendo o pensando, e probabilmente il giorno dopo neanche l’avrebbe ricordato. Anzi, sicuramente.
Federico si calmò e il suo cuore palpitante tornò a battere ad una velocità normale. Era solo una sciocchezza, non doveva darci peso. Sono le cose che uno fa da ubriaco.
Si riavvicinò a Michael e gli sussurrò di stendersi.
«Dormi, Mich» gli disse prima di coprirlo nuovamente con le coperte.
Si allontanò dal riccio solo quando vide i suoi occhi chiudersi e il suo respiro diventare più lento. Nel frattempo continuava a fissarlo e a ripetersi che non doveva dare peso a tutto ciò che era appena accaduto. Ma quando la mattina dopo si svegliò nel letto accanto a Giulia, si sentì tremendamente sporco. Non era stato il bacio a farlo sentire così, bensì i pensieri che non lo avevano fatto dormire per tutta la notte.

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ANGOLO AUTRICE
Ed eccomi qui di nuovo c: diciamo che questo è l'aggiornamento "ordinario" dopo quello extra della settimana scorsa e forse ce ne sarà un altro in questa stessa settimana. Spero di riuscirci, davvero ahah 
Tornando alla storia, come avevo anticpiato, ecco la prima vera midez scene, chiamamola così ahah non ho molto altro da aggiungere se non che da qui, ovviamente, le cose si complicheranno non poco per i nostri due sventurati... quindi ringrazio chi legge e recensisce, in particolare alepluf
VvFreiheit e mihope che hanno recensito i capitoli scorsi :3 grazie di cuore rly <3

Al prossimo aggiornamento <3

 

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Capitolo 4
*** Quarto ***


- 4 -
 
Inutile dire che per i tre giorni seguenti Federico evitò Michael come la peste. La sua presenza lo imbarazzava; stare accanto a lui e guardarlo, avere qualunque tipo di contatto con lui lo faceva sentire a disagio. Anche parlare con il riccio era diventato imbarazzante. Federico non riusciva neanche più a posare il suo sguardo su di lui e perciò lo trattava con freddezza. Ovviamente il riccio non era stupido e si accorse che qualcosa era cambiato. Lui - purtroppo o per fortuna - non ricordava quasi nulla di quella notte e di ciò che aveva fatto da ubriaco: aveva solo un grande vuoto di memoria che il tatuato non avrebbe voluto riempire in alcun modo. Quando però - a pranzo, il venerdì - Giulia chiese di passarle la saliera, i due ragazzi si allungarono in simultanea per passargliela e le loro mani si sfiorarono. Quel contatto per Federico fu troppo.
«Passagliela tu» fu la sua risposta quando bruscamente ritrasse la mano e si rimise a sedere.
Michael decise di non lasciargliela passare: voleva andare in fondo a quella storia, scoprire perché Federico si era improvvisamente raffreddato con lui. Così, dopo aver aiutato Giulia a lavare i piatti e a sistemare la tavola, lo prese in disparte.
«Fede, devo parlarte» gli sussurrò all’orecchio, dopodiché gli fece cenno di seguirlo nella camera da letto, la stanza più lontana e appartata dalla cucina. Il riccio lo lasciò entrare e poi socchiuse la porta. Federico rabbrividì: quello spazio non era mai sembrato così piccolo come in quel momento. Sentiva l’odore di Michael aleggiare per la stanza e quasi gli venne la nausea. Non perché fosse sgradevole, anzi, ormai conosceva quel misto di bagnoschiuma a fragola, menta fresca, dopobarba e quell’insensato profumo di dolci sempre stranamente presente. L’aveva sempre apprezzato, quell’odore, e adesso invece lo odiava. E sapeva anche il perché, era la stessa cosa di cui stava per parlargli il riccio.
Michael si prese un po’ di tempo prima di parlare, ma quando lo fece risultò indecorosamente schietto.
«Perché mi eviti?»
«Non ti evito.»
«Sono giorni che tu lo fa
«Non ti evito, Mich.»
Federico lo disse con rabbia e il riccio abbassò la testa, cominciando a trovare stranamente interessanti le fughe del pavimento.
«Ok, hai ragione, ti sto evitando.»
Michael neanche credeva dovesse aspettare così poco per avere la sua confessione, quindi alzò di scatto lo sguardo verso di lui. Il tatuato provò un senso di vuoto quando realizzò di avere lo sguardo dell’altro puntato su di sé, con i suoi occhi color del miele.
Cosa avrebbe dovuto dirgli a quel punto? Non la verità, no, quella mai. Non poteva dirgli di aver provato imbarazzo per un bacio dato da un Michael ubriaco; e neanche poteva dirgli di esserne stato disgustato, perché non lo era stato affatto, e se anche lo fosse stato non gliel’avrebbe mai detto, era troppo offensivo. La verità era che lui si sentiva tremendamente ridicolo per quello che aveva pensato dopo, nel letto, accanto a Giulia, quando pensieri bizzarri gli avevano riempito la mente tra la veglia e il sonno. Così Federico improvvisò.
«È che ero geloso di te.»
Michael sgranò gli occhi.
«Cosa?» Era un sussurro.
«Sì, hai capito. Ero geloso di te. Insomma, tu... tu hai preparato dei pancake e Giulia ti ha guardato così... così. Cioè, dai, io non le faccio mai queste cose. Mi hai involontariamente sminuito ai suoi occhi.»
Sul volto del riccio si aprì un mezzo sorriso dolce. Se l’era bevuta. Federico esultò interiormente.
«Ma Fede, tu sei completamente un idiota! Io sono gay, lo sai! C’mon
Michael ormai ridacchiava e con lui Federico, che fingeva di darsi dell’idiota.
«Lo so, ma che vuoi... la gelosia è una cosa irrazionale.»
Il riccio rise più forte e gli diede un leggero pugno sulla spalla.
«Ok, dai, torniamo di là» concluse il riccio e Federico annuì seguendolo.
Nella sua mente decise che non avrebbe più pensato a quel bacio - bacio, poi? Le loro labbra si erano appena sfiorate - e in nessun’altra maniera avrebbe permesso di rovinare quella loro amicizia che pian piano acquisiva sempre più colore e importanza nella vita di entrambi. E, per inciso, l’odore di Michael gli faceva ancora venire la nausea. Ma chissà perché.
 
Per la prima volta dopo tre giorni, quel pomeriggio, Danny inviò un messaggio a Michael.
15:12
Inviato da: Danny
Possiamo parlare? Rispondi alla chiamata.
 
Michael lesse in silenzio. La chiamata arrivò e lui non riuscì neanche con tutto sé stesso a rifiutarla.
«Mich?»
«Cosa c’è?»
Il tono del riccio riuscì comunque meno duro di quanto volesse.
«Vorrei parlarti di persona, se non ti dispiace.»
«Non poso. Acontentati
Danny percepì un moto di rabbia dentro di sé.
«È strano come tu mi tratti così, dopo tutto quello che è successo l’altra notte.»
Il cuore di Michael mancò un battito. Il fatto di non ricordare minimamente cos’era successo lo rendeva dannatamente vulnerabile.
«Cosa stai dicendo?»
Danny attese in silenzio per un po’. Quando ricominciò a parlare sembrava quasi dispiaciuto.
«Davvero non ricordi niente?»
«Danny, dimmi cosa è succeso.»
Il silenzio calò di nuovo e Michael stava per intimargli di parlare quando il biondo cominciò da sé a raccontare.
«L’altra notte, più o meno tre giorni fa, sei venuto da me. Eri ubriaco e mi hai baciato. Mi hai detto che mi amavi. Volevi fare sesso con me, da come mi hai baciato.»
Il riccio ci mise un po’ per incamerare tutte quelle informazioni. Com’era possibile? Aveva davvero fatto tutte quelle cose?
Quello era uno dei momenti in cui Michael desiderava essere una tartaruga. Così, giusto per non dover fare nulla dalla mattina alla sera se non mangiare e dormire. Giusto per non soffrire e potersi ritrarre nel proprio guscio a piacimento, allontanandosi dal mondo intero.
Adesso invece si sentiva dannatamente vulnerabile e privo della sua dignità. Sì, perché ormai non ne aveva più dopo aver fatto il sostenuto e poi essere cascato ai piedi di Danny come una sciocca ragazzina innamorata. E Danny non aveva capito che raccontandogli quelle cose non gli faceva un favore, bensì lo spogliava completamente della sua dignità per la seconda volta.
«Mich, torna da me, davvero. Lo so che mi ami e io amo te, qual è il problema?»
Ma Michael davvero non aveva voglia di tornare da lui. Una parte di sé ancora lo amava, era chiaro, ma l’altra come poteva continuare a farlo dopo che il biondo l’aveva praticamente costretto a fare sesso e lo aveva ingannato per tre anni? Lui sosteneva il contrario, ma il riccio era stanco di credergli e soffrire. Aveva bisogno di allontanarsi da Danny per un po’.
«No, Danny, I’m sorry. Per favore, lasciami stare, ok? Non chiamarmi più né mandare messagi. Se vorrò tornare da te lo farò io. Poi tu deciderai se volermi ancora o no.»
Il suo tono di voce era fermo e risoluto: era pronto a rinunciare a quella parte di sé che ancora amava il biondo pur di prendersi un momento per capire cosa gli stava succedendo. Sì, perché avere problemi ad eccitarsi con il proprio ragazzo e poi ubriacarsi e voler scopare con lui come un forsennato era una cosa decisamente strana, e nella testa di Michael creava una grande confusione che poteva ridursi ad una sola frase: non sapeva più cosa voleva. E - inutile dirlo - quello lo spaventava a morte.
Nonostante avesse tentato di non origliare la conversazione, Federico non ci era riuscito: stava passando davanti alla porta del bagno per arrivare in camera sua quando sentì Michael parlare con qualcuno al telefono - con il suo inconfondibile italiano stentato. Si era allora fermato, come se la porta avesse realmente qualcosa di magnetico e aveva accostato l’orecchio alla porta. Non capì tutto della conversazione, ma l’ultima frase pronunciata dal riccio gli bastò a capire che l’aveva lasciato, o quantomeno si erano presi una lunga pausa. La cosa fece davvero molto piacere al tatuato. Troppo, forse. Ma no, era felice solo perché Michael si meritava di più. Era felice per lui, non per sé.
E mentre tentava di auto-convincersi, fu trascinato per un braccio lontano dalla porta chiusa del bagno.
«Fede, che cazzo stai facendo?» Sussurrò Giulia leggermente arrabbiata.
«Niente, è solo che mi trovavo qui e...»
«Hai origliato? Cioè, stai origliando le conversazioni di Michael?»
«Lo so che è maleducazione eccetera eccetera, ma ero curioso! Ahia!» Si lamentò Federico dopo aver ricevuto un pugno sul braccio dalla sua ragazza.
«Smettila di origliare.»
Il tatuato alzò le mani in segno di resa e seguì Giulia in cucina.
«Comunque l’ha lasciato.»
La ragazza assunse l’espressione tipica della più grande pettegola del paese.
«Davvero?»
«Sì, davvero. Cioè, ho capito così. Potrebbe anche essere una pausa.»
«In ogni caso mi fa piacere» continuò lei. «Se è davvero uno stronzo, e da come lui era ridotto l’altro giorno secondo me lo è, mi fa piacere.»
«Sono d’accordo.»
In quel momento Michael comparve sulla soglia della cucina. Aveva l’aria leggermente stanca, quella conversazione col biondo doveva avergli fatto male.
«Posso fare un thè?» Domandò.
«Sì e non chiedere più il permesso» ridacchiò Federico, facendo sorridere anche il riccio.
Il tatuato moriva dalla voglia di sapere quello che si erano detti, ma l’ultima cosa che poteva fare era risultare invadente domandandoglielo. Così attese, e gli sembrò che Michael preparasse il thè con una lentezza quasi esasperante. Il riccio lo versò in tre tazze e i due ragazzi lo ringraziarono per il pensiero.
«Ho detto a Danny di lasciarmi in pace finché non vorò contattarlo io. E penso mai.»
Sorseggiò la bevanda ma si arrestò subito: era ancora bollente.
«Sei grande, hai fatto bene» concluse Federico, comunque deluso perché sperava che l’amico gli raccontasse qualche dettaglio in più di ciò che aveva già origliato.
«Quindi tra poco vado a fare shopping, chi vuole venire con me?»
L’entusiasmo di Michael era così alle stelle che entrambi non riuscirono a non esultare e dirgli di sì. Soltanto dopo poco si resero conto di quanto il riccio fosse convincente solo con un sorriso, le braccia lanciate in aria e quel buffo accento inglese.
 
Il Centro Commerciale Fiordaliso era abbastanza fuori Milano, a Rozzano, e quindi Federico dovette guidare mentre Michael sul sedile posteriore sembrava un bambino eccitato per la sua prima volta al luna park. A quanto pare era quello l’effetto che gli faceva lo shopping.
«Senti! Senti questa canzona
Il riccio indicò lo stereo dell’auto e Giulia alzò il volume, dandogli corda e beccandosi un’occhiataccia di Federico che era l’unico che non si stava divertendo - questo perché Michael continuava a sbracciarsi come un cretino, cosa che disturbava non poco la sua guida.
«Do you think about me when you’re all alone?
The things we used to do we used to be
I could be the one to make you feel that way
I could be the one to set you free»
Michael cominciò a cantare quasi senza ritegno, ma la cosa incredibile era che la sua voce melodiosa non stonava affatto, anzi, era bellissima.
Anche Giulia si unì a lui, ma ormai Federico stava ascoltando solo il riccio e in uno scorcio di visuale vedeva il suo sorriso di profilo. Il suo bellissimo sorriso.
«When you need a way to beat the pressure down
When you need to find a way to breathe
I could be the one to make you feel that way
I could be the one to set you free»*
Federico non capiva molto l’inglese ma conosceva quella canzone e cazzo, sembrava che Michael la stesse cantando per lui. Deglutì a forza, cosa che per fortuna passò inosservata nella confusione generale.
Ok, adesso ti calmi, Federico.
Disse a sé stesso. Perché adesso, così all’improvviso, stava pensando quelle cose così assurde? Sì perché era assurdo pensare che il riccio stesse rivolgendo quelle parole a lui quando al suo fianco c’era Giulia, la sua ragazza, che invece stava davvero cantando per farsi ascoltare dal tatuato. Dio, era così confuso. Gli veniva voglia di rompere il volante dell’auto e lanciarlo fuori dal finestrino. E poi magari lanciarci anche Michael. La sua faccia, comunque, dopo tutti quei pensieri, era pallida come la cera di una candela. Quando la canzone arrivò alla parte dance nessuno di quei due pazzi che Federico aveva attorno poté continuare a cantare, quindi Giulia si accorse facilmente del suo colorito.
«Fede, tutto ok?»
«Sì, siamo arrivati.»
Federico inchiodò pericolosamente per il nervoso, con una tale violenza che Michael e i suoi ricci arrivarono giusto accanto a lui, prima di essere di nuovo catapultati all’indietro sul sedile. E in quel frangente il riccio lasciò la sua solita scia di dolci, fragola, bagnoschiuma, ammorbidente e tutti quegli altri odori che si portava sempre addosso. Il tatuato lo maledisse per quell’odore così intenso di roba buona che però gli dava la nausea perché sì.
Dopo aver parcheggiato, Giulia e Michael uscirono dall’auto contenti dello shopping che li aspettava. L’umore di Federico, invece, era mutato in scazzo.
Cominciarono da H&M perché Michael voleva comprare qualcosa di improbabile da indossare. Prese al volo due maglioni e un cappotto da provare.
«Come sto?» Chiese sorridendo con il primo maglione addosso.
Giulia gli disse che gli stava benissimo e doveva assolutamente prenderlo. Federico, invece, era così scazzato che non si curò di essere scortese.
«Mich, ma ti sei chiesto perché quei maglioni sono tutti lì e nessuno li compra?»
Michael diede un’occhiata rapida allo scaffale da cui aveva preso il maglione e notò effettivamente che gran parte della merce non era stata comprata. Giulia capì doveva voleva arrivare e con uno sguardo truce gli fece capire di non completare il suo pensiero. Ma ormai lo scazzo del tatuato era alle stelle, non riusciva a fermarsi.
«Perché sono un cazzo di pugno in un occhio, non puoi davvero indossare quella roba, dai. E quel cappotto? Non misurartelo neanche, non so con quale coraggio puoi uscire dal camerino con quel coso stile peruviano addosso. ‘Sto maglione sembra ricamato malamente dalla nonna, uno di quelli che ti regala a Natale e tua mamma ti costringe a metterlo se no la nonna si offende.»
Un mezzo sorrisetto si aprì sul volto di Federico: si sentiva potente come dopo aver vinto una battle. Ma lo sguardo ferito del riccio lo riportò con i piedi per terra e gli fece capire che quella non era un battle, e che lui non aveva vinto un bel niente. Anzi, forse aveva perso.
Adesso sei contento, Federico? Pensò. E no, non era contento. Non come quando vinceva una battle, almeno.
Lo sguardo di Giulia era nero, Michael non spiccicava parola.
«Non ascoltarlo, è un idiota. A volte non so davvero cosa gli prende.»
Giulia gli lanciò un’ultima occhiataccia e il tatuato decise che era troppo. Uscì dal negozio e li aspettò fuori, su una panchina del centro commerciale. Ma perché si era urtato tanto? In fin dei conti Michael non gli aveva fatto niente, qual era stata la sua colpa? Cantare una canzone che lui come un idiota aveva creduto rivolta a sé per via delle sue continue seghe mentali? Non era colpa del riccio se lui era un coglione. Doveva immediatamente scusarsi.
Si girò verso la vetrina del negozio e in lontananza vide Michael provare l’altro orribile maglione natalizio rosso, stavolta con un Babbo Natale ciccione che mangiava ciambelle e urlava “OH OH OH”. Eppure, per quanto fosse orribile, Federico lo trovava dannatamente adorabile con quel maglione addosso, soprattutto quando si rivolse a Giulia ancora una volta con quella sua risata col naso arricciato.
Dio.
Federico decise di voltarsi immediatamente e smetterla di guardarlo, gli mandava in pappa il cervello. Non ne capiva la motivazione, ma era così.
Quando Giulia e Michael uscirono dal negozio, il riccio aveva tra le mani tre buste bianche con la scritta rossa H&M. Decise che quello era il momento giusto per scusarsi con lui.
«Mich, scusa, mi dispiace per prima» abbassò lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe. «Non so cosa mi è preso, sono un coglione. Ero solo un po’ scazzato perché guidare mi rende nervoso e non avevo ancora smaltito la rabbia. Scusa.»
Il dolce sorriso di Michael si fece spazio sul suo volto e annuì, sussurrando che era tutto a posto. Ancora una volta gli aveva mentito su una cosa che riguardava entrambi.
 
Michael scomparve per un po’ dicendo di voler andare da Piazza Italia e lasciò soli i due fidanzati. Giulia e Federico stavano per insistere nel seguirlo, ma Michael si volatilizzò letteralmente: in un attimo si girarono e lui era già scomparso.
Giulia alzò le spalle ridendo e anche Federico sorrise.
«Dobbiamo mangiare qualcosa al Mc, ti prego.»
A quella frase lo stomaco di Federico brontolò e sì, dovevano decisamente mangiare qualcosa al Mc Donald’s. Dato che però gli sembrava scortese non aspettare il riccio, presero soltanto delle patatine al volo, giusto per acquietare i morsi della fame.
Il riccio tornò con due buste scure in più e non appena vide Federico e Giulia si diresse al tavolino a cui erano seduti.
«Vi ho preso qualcosa» cominciò porgendo le due buste.
«Qualunque cosa sia non dovevi» lo ammonì Giulia e Federico si accodò.
Ma Michael gonfiò le guance in una maniera così adorabile che nessuno dei due riuscì a resistere.
«E daaaai, apritteli
Nella busta per Giulia c’era una maglia a maniche lunghe con una fantasia rosa e grigia a strisce e zig zag, che la ragazza trovò molto carina. Nella busta per Federico, invece, c’era una felpa bianca con una decorazione floreale sulle maniche e la scritta “FLAWLESS” al centro. Era orribile, lui non l’avrebbe mai messa. Ma dalla faccia timorosa di Michael capì che il ragazzo si era impegnato davvero tanto per comprare qualcosa che gli piacesse, e anche se non ci era riuscito, era così tenero che non riuscì a dirglielo. Giulia, invece, conoscendo i gusti di Federico e decifrando la sua faccia in quel momento, riuscì a stento a trattenere una risata.
«È... è bellissima, grazie.»
«Ti piace davveri
«Davvero.»
Mentì abilmente, mentre nella sua testa già pensava a quando indossare quella felpa in casa per non farlo quando poi sarebbe uscito. Insomma, la sua reputazione da rapper si sarebbe rovinata per sempre con quella felpa.
Misero via i regali e ordinarono da mangiare. Michael come al solito mangiò per tre persone, ordinando due menù e un sacco di schifezze ancora.
«Ma dove la metti tutta quella roba?»
Gli domandò la ragazza mentre lo aiutava a portare al tavolo il secondo menù e il gelato.
«Ma io sono alto» protestò lui, come se fosse una giustificazione più che ovvia.
Ovviamente al riccio - maldestro come pochi sulla faccia della terra - cadde dalle mani la Coca Cola, che andò a rovesciarsi gelata addosso a Federico. Il tatuato schizzò in piedi e Michael, altrettanto velocemente, recuperò più tovaglioli che poté cercando di asciugarlo.
«Scusa, scusa, scusa» ripeteva come un mantra, ma la situazione che si andò a creare fu alquanto imbarazzante.
Nel suo voler rimediare, il riccio stava praticamente tastando ogni parte del corpo di Federico, mentre le sue guance quasi andavano a fuoco per l’imbarazzo che provava in quel momento. Quando, poi, arrivò sbadatamente a tastare anche il cavallo dei pantaloni del tatuato, questo decise che era abbastanza e lo allontanò da sé. Michael non era mai stato tanto imbarazzato in vita sua.
«Non fa niente, Mich, è solo una Coca Cola. Vado in bagno.»
Forse il suo tono di voce risultò troppo duro, ma davvero non poteva farcela a continuare. Non tanto per quello che aveva fatto Michael, bensì per la reazione che aveva avuto il suo corpo al tocco sbadato del riccio. Si defilò in bagno e si chiuse in uno dei gabinetti, poggiando la schiena contro la porta. Cazzo, ma davvero stava avendo un’erezione? Solo perché Michael gli aveva sfiorato il cavallo dei pantaloni?
No, ok, qualcosa non andava.
Decisamente.
Federico si mise le mani sul volto, poi le lasciò scivolare tra i corti capelli a spazzola.
No, non era perduto, poteva ancora rimediare a tutti quei pensieri inaccettabili che gli stavano passando per la mente. Doveva solo calmarsi. Decise che la soluzione migliore era farsi una sega su una bella ragazza, per vedere se ancora funzionava. Si calò i pantaloni e lo fece, pensando a Sasha Grey nuda e controllando i gemiti e il respiro il più possibile - giusto perché come situazione gli sembrava già abbastanza squallida anche senza essere scoperto a segarsi in un bagno pubblico. Quando ebbe finito era visibilmente più sollevato. Era ancora etero, e quasi si diede dell’idiota per aver pensato il contrario anche solo per un attimo. Quella sega era la prova che gli piacevano le donne, ovviamente. Che coglione era stato. La colpa di quell’erezione doveva essere stata la bevanda ghiacciata, non di certo la mano di Michael che gli sfiorava il pacco.
Quando uscì dal bagno si trovò davanti un Michael mortificato e una Giulia leggermente stranita.
«Scusa Fede, mi dispiace, sono proprio imbranato.»
Lo sussurrò e per un attimo Federico temette il peggio, ovvero che si fosse accorto della sua condizione prima di andare in bagno. Per fortuna non era così, e neanche la sua ragazza se ne accorse.
Il sorriso che si aprì sul suo volto fu giusto un angolo di labbra alzato, anche se a Michael bastò per rassicurarsi.
«Dai, Mich, è tutto a posto.»
«Aspeta ho un’idea!»
Il riccio balzò sul posto eccitato come un bambino.
«Adeso puoi mettere la felpa che ti ho regalato io!»
Michael lo disse come se avesse appena scoperto un modo per sconfiggere la fame nel mondo.
Il sangue nelle vene di Federico, invece, si gelò completamente. No, non poteva essere. Quella tremenda giornata sembrava non voler finire più e ogni volta peggiorava. Il tatuato pensò che una qualche divinità in quel momento si stesse vendicando per le sue bestemmie.
Inutile dire che Giulia era scoppiata  in una risata clamorosa, che Michael non capiva e forse era meglio così o si sarebbe offeso.
 
L’intera cena al fast-food Federico la passò con il morale sotto i piedi. Al contrario, Michael sembrava felice come un bambino e Giulia - cosa peggiore - lo assecondava nel suo parlare logorroico. Il riccio ogni tanto gettava un’occhiata alla felpa che aveva regalato al tatuato e che lui adesso stava indossando, pensando di aver azzeccato il regalo giusto. In realtà non era così, ma Federico di certo non poteva dirglielo e rischiare di ferirlo una seconda volta.
Il viaggio in macchina di ritorno fu stranamente silenzioso. Michael sedeva dietro e guardava insistentemente fuori dal finestrino, sovrappensiero. Federico pensò che finalmente gli si erano scaricate le batterie, così non gli avrebbe dato fastidio durante la guida.
«Ehi Mich, ma oggi non devi lavorare? È venerdì» chiese il tatuato all’improvviso, quasi allarmato.
«No, ogi no. Il proprietario ha avuto un lutto e noi stiamo chiusi.»
Il tatuato osservò dallo specchietto retrovisore il riccio, il quale nel rispondere non aveva comunque staccato gli occhi dal cielo scuro che stava osservando. Sembrava essere stanco e lo sbadiglio che tentò di nascondere poco dopo confermò l’ipotesi di Federico, che sorrise intenerito: sembrava proprio un bambino che aveva esaurito tutte le sue energie.
E chissà per quale motivo Federico pensò che, alla fine, forse quella felpa non era neanche tanto male.
 
NOTE: * “I could be the one” di Avicii e Nicky Romero, perché mi piace e basta, e perché ci stava troppo bene.

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 ANGOLO AUTRICE
Io sono come il vento, sono inaspettata v.v e perciò vi regalo un altro aggiornamento extra che forse a questo punto non è più poi tanto extra. Vi dico che, come avrete anche notato, durava un po' di più dei precedenti e per questo spero di non avervi annoiato D: comunque mi è piaciuto molto scriverlo e che dire... inizia ufficialmente la battaglia interiore di Fede, purtroppo o per fortuna.
Non mi sento di aggiungere altro, vi lascio ai commenti (sclerotici? Chissà) ahahah
Mille volte grazie a voi che recensite (e che avete precedentemente recensito) e lascio un pezzo del mio cuore a ciascuno di voi <3

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Capitolo 5
*** Quinto ***


- 5 -
 
L’intera notte Michael la passò senza chiudere occhio. Era stanco, era vero, ma come poteva non pensare a quello che era accaduto al fast-food qualche ora prima? Da allora non aveva smesso un attimo di maledire il suo essere così imbranato.
Si rigirò per l’ennesima volta sul divano letto cercando di sistemare al meglio le sue gambe, che a volte sembravano due entità separate da lui. Adesso avrebbe voluto urlare perché odiava tutto di sé: la sua sbadataggine, le sue gambe troppo lunghe, quei capelli sempre incasinati; davvero non sapeva cosa ci avesse trovato di così bello in lui Danny. Anzi, forse un’idea ce l’aveva, ma era meglio non pensarci. Gli tornò invece in mente quando aveva accidentalmente toccato il cavallo dei pantaloni di Federico.
Cazzo.
Era stato davvero accidentale, era pronto a giurarlo sulla sua mamma. Ma la cosa gli aveva anche fatto un certo piacere, perché se adesso ripensava alla sensazione della sua mano in quel punto del corpo di Federico poteva quasi avere un’erezione. Scosse la testa: no, non poteva permetterselo. Federico era felicemente etero e altrettanto felicemente fidanzato con Giulia. Non lo avrebbe considerato neanche in un universo parallelo in cui Federico fosse stato gay: questo perché tra tutti i ragazzi mille volte migliori di lui non avrebbe mai scelto un metro e novantuno di goffaggine, italiano stentato e capelli incasinati.
E più Michael si analizzava, più riusciva a trovare solo difetti: non aveva davvero nulla che di concreto potesse far innamorare un ragazzo, figuriamoci un ragazzo etero fidanzato. Era in casi come quelli che voleva solo piangere: avrebbe davvero trovato qualcuno capace di apprezzarlo, al mondo? In fondo non chiedeva molto, solo di essere amato. Almeno da una persona.
Dopo una ventina di minuti Michael sentì gli ansimi dei due ragazzi che stavano facendo l’amore nella loro camera da letto. Il riccio arrossì per l’imbarazzo, gli sembrava di essere un ragazzino che aveva appena sentito i suoi genitori fare sesso nella camera accanto.
Si coprì con le coperte fino al volto e affondo la testa nel cuscino per non dover sentire, era così maledettamente imbarazzante. Desiderò di sprofondare sotto tre metri di terra, o perlomeno di addormentarsi. E invece sentì l’interruttore della luce tastato con forza e dei sussurri.
«Cazzo.»
Era Federico.
«Cazzo, ti amo troppo.»
«Anch’io Fede. Giurami che niente ci separerà mai più.»
«Te lo giuro.»
E chissà perché a Michael veniva da piangere.
 
Il mattino seguente le occhiaie erano ricomparse prepotenti sul volto del riccio, che neanche voleva più guardarsi allo specchio. Si costrinse a farlo solo perché doveva farsi la barba che minacciava di comparire sul suo viso. Fu lentissimo a lavarsi e vestirsi in bagno, ma Giulia e Federico non glielo fecero notare perché era comunque un ospite. Quando uscì dal bagno grugnì un “buongiorno” a tutti e due e si diresse in cucina per preparare la colazione per tutti - aveva stabilito che da quel giorno avrebbe preparato la colazione e il pranzo, per sdebitarsi almeno in parte dell’ospitalità, e a Giulia stava bene.
Solo che quella mattina era di umore nero perché non aveva dormito, e lui era sempre così dannatamente irascibile se non dormiva. Cercò come al solito di distrarsi cucinando e soprattutto di non pensare alle risate di Federico e Giulia che provenivano dal bagno - probabilmente loro erano così contenti di quello che stavano facendo insieme. E magari anche del sesso bellissimo che avevano fatto la notte prima, mentre Michael l’ultima volta con Danny non era neanche riuscito a svolgere il suo compito in maniera decente.
Per la rabbia gli cadde di mano un piatto di porcellana, che andò a frantumarsi rumorosamente sul pavimento.
Giulia e Federico sentirono il rumore dal bagno e si precipitarono in cucina, trovando il riccio accovacciato di spalle e intento a raccogliere i cocci del piatto dal pavimento.
«Scusate, mi dispiace. Non ne faccio mai una giusta.»
Stavolta non era come il giorno prima, nel fast-food. Adesso Michael non era imbarazzato, era arrabbiato e - Federico ci avrebbe giurato - sembrava sul punto di piangere.
La ragazza gli si avvicinò per rassicurarlo e lo aiutò a raccogliere i frammenti di porcellana.
«Non preoccuparti, è solo un piatto. Non fa niente» gli sussurrò dolcemente.
Già, lei era anche dolce. Lui, invece, non solo era imbranato ai limiti del verosimile, ma aveva certi sbalzi d’umore degni di una donna incinta.
Si odiava, si odiava con tutto sé stesso. Era un casino ambulante, chi mai avrebbe voluto amarlo? Anche solo stargli accanto sarebbe stato impossibile.
Michael si scostò da Giulia brutalmente. Gettò i cocci nel secchio della spazzatura senza alzare neanche per un attimo lo sguardo dal pavimento, con i ricci castani che gli ricadevano davanti al viso e non permettevano a Federico di capire il suo umore.
«Sì invece, è tuto un casino. Non combino mai niente di buono, non sono capace neanche di preparare una colazione sensa fare danni.»
I due ragazzi capirono che anche prima Michael si stava riferendo a sé stesso, ma non riuscivano comunque a spiegarsi il perché di quelle parole: non era di certo la colazione il problema, neanche il piatto rotto. Doveva essersi rotto qualcos’altro dentro di sé, che però nessuno dei due riusciva a vedere.
Federico analizzò la giornata precedente e si ricordò che era andato tutto bene: Michael era stato un po’ un bambino iperattivo per tutto il pomeriggio, ma poi la sera erano andati a dormire e gli era sembrato che fosse tutto a posto; neanche poteva essere stata la chiamata con il suo ex: insomma, l’aveva lasciato  lui e poi era stata nel primo pomeriggio, la sua reazione non aveva senso. Forse il riccio stava solo passando una giornata no.
In ogni caso sembrava che Michael stesse piangendo sul serio, anche se i ricci davanti ai suoi occhi erano l’ennesima barriera che aveva posto tra sé e il mondo.
Era un casino, Michael, lo era sempre stato per tutti.
Il riccio scattò in bagno e vi si chiuse a chiave, cominciando un pianto silenzioso ma liberatorio. Si accovacciò sul coperchio della tazza del water e rannicchiò le gambe - quelle maledette lunghe gambe che erano uno dei suoi mille miliardi di difetti. Si sentiva un bambino adesso, ma un bambino idiota. Anzi, si sentiva sé stesso quando era quel bambino idiota che aveva appena scoperto di essere un enorme sbaglio agli occhi del mondo.
«Mich apri la porta, dai.»
Il tono di Federico avrebbe voluto essere più supplichevole, ma risuonò quasi come un’intimidazione. Proprio come quello di suo padre, anni fa.
 
«Michael apri la porta.»
«Michael non te lo ripeterò un’altra volta: apri la porta.»
Michael era seduto sul freddo pavimento, con le ginocchia strette al petto e le maniche della felpa bagnate dalle lacrime. Tirò su col naso e nascose nuovamente la testa contro le ginocchia.
Sentì in lontananza la voce di suo padre che discuteva con la madre.
«Non vuole aprire. Che facciamo?»
«Aspettiamo, prima o poi deve uscire. Adesso ci parlo io.»
Ci fu un po’ di silenzio davanti alla porta.
«Mika, per favore... esci di qui. Ti ho preparato uno dei tuoi piatti preferiti.»
La voce di sua madre era dolce. Lei faceva di tutto per suo figlio, e lui invece non riusciva a fare mai niente per lei. Non riusciva neanche a darle la soddisfazione di imparare una stupida poesia per la festa della mamma. Ed era quella la cosa che più gli faceva male, più di ogni insulto che riceveva a scuola da quegli idioti dei suoi compagni di classe. Ormai Michael vedeva ben poco davanti a sé perché i suoi occhi erano colmi di lacrime che gli facevano sembrare tutto come in un’enorme bolla di vetro. E avrebbe voluto starci davvero in una bolla di vetro, per volare via da quel mondo schifoso per sempre. Asciugò anche le altre lacrime che caddero dopo sulle sue guance.
«Mika...»
Era un sussurro, quello di sua madre, sicuramente l’ultimo prima di rinunciare definitivamente - poteva capirlo dal suo tono di voce.
Lui era una completa delusione, ma non riuscì proprio a resistere quando sua madre lo chiamò così per la seconda volta, con quel soprannome che aveva inventato lei per lui da quando era venuto al mondo. Così rigirò la chiave nella toppa e aprì la porta, un undicenne troppo alto per la sua età e con gli occhi gonfi e arrossati.
Nonostante la sua altezza sua madre dovette abbassarsi leggermente per incontrare i suoi occhi e sorridergli dolcemente.
«Non fa niente se non sei riuscito ad imparare la poesia per la festa della mamma. Io so quanto ti sei impegnato e sono fiera di te. Ti voglio bene lo stesso.»
Lo abbracciò e quello fu il primo di una lunga serie di “ti voglio bene lo stesso”.
 
«Fede io devo scappare all’università, ok? Fammi sapere quando risolvi con Michael» Giulia sussurrò e Federico annuì. In un attimo la ragazza afferrò la borsa e fu fuori dall’appartamento.
«Mich... ti va di aprire la porta?»
Ora il tono di Federico era come quello che si usa per parlare ai bambini. Quello paziente e comprensivo.
Dall’altro lato non ci fu risposta: Michael era ancora rannicchiato con le testa nascosta contro le ginocchia.
«Ok, allora sto qui e ti racconto una storia.»
Michael alzò la testa e aggrottò la fronte, ma non rispose. Federico, nel corridoio, si sedette a terra e incrociò le gambe, poggiandosi con la schiena contro la porta del bagno e girando la testa di profilo per farsi sentire dall’altro.
«Non so perché ti consideri uno che non ne combina mai una giusta, credo avrai le tue ragioni e nessun obbligo di raccontarmele. Beh, io voglio dirti che non sei l’unico, qui, anzi... benvenuto nel club» cominciò con un mezzo sorriso. Poi continuò:
«Sai, io ho diciannove anni. Ho finito la scuola l’anno scorso e in realtà non l’ho finita, l’ho abbandonata perché non avevo più nessuna voglia di continuarla. Mia madre ci è rimasta male per questo, ma poi è arrivata la grande domanda di tutti gli adolescenti: che cazzo voglio fare da grande?»
Michael si alzò stranito da quella confessione e andò a sedersi giusto vicino alla porta, per sentire meglio le parole del tatuato; poggiò il lato destro del suo corpo contro la porta, adagiandovi anche la testa. Federico sentì un fruscio e capì che il riccio doveva essersi avvicinato. Quindi continuò.
«Ebbene mi sono detto che volevo fare il rapper. Che cosa stupida, eh? Lo so, mia madre lo sta ancora pensando, perciò vivo in questa casa con Giulia. Lei non mi ha cacciato per una cosa così solo perché soffre ancora della mancanza di mio padre. Ma ho deciso di andarmene io perché non sopportavo che mi trattasse come un bambino. Io ci credo davvero Mich, mi sto impegnando anima e corpo per questo mio progetto musicale e lei mi ha riso in faccia. Per mia madre non sono abbastanza, non lo sono mai stato. Sono una delusione, un fallimento. Ma non per questo mi sono arreso, puoi scordartelo.»
«Anche io, Fede. Anche io sono una delusione per la mia famiglia. Lo sono sempre stato da quando io aveva nove anni, quando ho scoperto di esere dislessico e di non poter leggere o scrivere come tutti gli altri. Ogni volta che c’era da fare una cosa per la scuola o per la famiglia, di imparare le poesia, io non riuscivo neanche a leggerle. E mi sentivo male perché tuti ci riuscivano tranne me. Tuti le recitavano ai loro genitori e io invece mi chiudevo in bagno e piangevo. Poi sono stato un’altra delusione quando ho scoperto di essere gay e ho dovuto dire anche quello ai miei genitori. Mio padre non mi ha ancora perdonatto. Come se fose colpa mia, come se lo avessi deciso io.»
A Michael veniva da piangere e quindi si fermò un attimo.
«E tute le volte che sono tornato a casa con lividi, il naso rotto o che mi avevano messo la testa nel water? Una volta mi hanno anche spento le cigarettes sul braccio, ho ancora i segni.»
A pensarci, quella era la prima volta che raccontava quella storia così, neanche Danny aveva mai saputo tutte quelle cose. Forse sarebbe stato terapeutico raccontarle a qualcuno, finalmente.
Il riccio non riuscì a contenere la sua voce che si spezzava e nascose la testa contro le ginocchia.
Il cuore di Federico, invece, era un po’ più stretto. Per tutto il racconto aveva provato quella strana sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco. Erano proprio dei disastri, loro due.
«Sono un disastro, Fedé
Un bellissimo disastro, pensò il tatuato, ma subito ricacciò quel pensiero nei meandri della sua mente.
«Beh, lo sono anch’io. Ti va di aprire la porta e abbracciare un altro disastro come te?»
Michael non riuscì a non farsi scappare un piccolo sorriso. Poi aprì la porta e si gettò addosso a Federico, il quale dovette faticare molto per non perdere l’equilibrio sotto quel metro e novantuno che lo stritolava tra le sue braccia.
Federico sorrise mentre osservava quell’ammasso di ricci castani.
 
13:32
Inviato da: Amore <3
Fede, com’è con Mich?
 
13:34
Inviato a: Amore <3
Tutto ok, era solo un po’ giù :))
 
13:35
Inviato da: Amore <3
Meno male, dai! Sicuro tutto a posto? Io sono a mensa, voi avete mangiato?
 
13:37
Inviato a: Amore <3
Sì MAMMA, tutto bene, Mich sta finendo di preparare le ultime cose e poi mangiamo.
Sempre se ce la fa, imbranato com’è, prr (per poco non si ustionava con l’acqua bollente :c )
P.S.: non dirgli che te l’ho detto, eh
 
13:38
Inviato da: Amore <3
Sorveglialo tu... cosa non devo dirgli??
 
13:39
Inviato a: Amore <3
Che ti ho detto che è un imbranato ahahah
 
13:41
Inviato da: Amore <3
Ok! Ahahah
 
13:43
Inviato a: Amore <3
Federrico e uno stronzo, non e vero che sono imbranato.
 
13:43
Inviato da: Amore <3
AHAHAH ti vogliamo bene anche noi, Mich <3
 
Quando il tatuato tornò dal bagno vide quello che aveva scritto il riccio alla sua ragazza e non poté fare a meno di ridere.
«Sei fantastico» continuò, più per prenderlo in giro.
Michael stava mettendo gli spaghetti and meatballs (come li aveva chiamati lui) nei piatti e ricoprendoli di sugo. Si voltò verso Federico solo per mostrargli il broncio che aveva messo.
«Tu sei uno stronso, lo ripeto.»
Al tatuato scappò un’altra risata e si sedette a tavola. Michael gli stava giusto di fronte e occupò quello che di solito era il posto di Giulia. Federico ci pensò e si agitò leggermente perché gli sembrava una fottuta cena per due a lume di candela - e davvero mancava soltanto la candela. Si costrinse a non pensarci e ad autoconvincersi che era normale che Michael si sedesse lì, dove altro poteva sedersi? Forse stava cominciando a diventare paranoico. Iniziò quindi a mangiare per non pensarci e constatò che la pasta era leggermente scotta, ma non glielo fece notare perché il riccio si era impegnato davvero tanto e aveva anche rischiato un’ustione per quegli spaghetti. E poi le polpette erano buonissime, valevano tutto il resto.
«Ti piace?» Domandò un po’ a sorpresa Michael e lo osservò con intensità, quasi potesse capire nel caso il tatuato gli avesse mentito.
«S-Sì, ottimi» rispose lasciando lo sguardo nel piatto.
«Sono contento!»
Michael quasi saltò sul posto e il tatuato fu costretto a guardarlo ancora una volta. Non lo avesse mai fatto.
Dio.
Aveva le labbra un po’ sporche di sugo, e Federico come un imbecille si fermò ad osservargliele, permettendosi anche il lusso di deglutire a fatica.
«Fedé tutto bene?» Il riccio gli schioccò le dita davanti alla faccia, costringendolo a risvegliarsi dal suo stato di trance.
Federico annuì con la testa perché nessun suono voleva uscire dalla sua gola secca.
Michael si era ovviamente accorto che Federico gli aveva fissato le labbra per troppo tempo. In un primo momento pensò - non senza un certo imbarazzo - che il tatuato forse aveva immaginato di farci qualcosa, con quelle labbra. Ma quando si passò il tovagliolo sulle labbra capì che erano solo sporche, ed era per quello che Federico lo stava fissando.
Stupido, stupido, stupido! Si maledisse Michael mentalmente. Senza sapere che un fondo di verità c’era in ciò che aveva pensato.
Il cellulare di Federico vibrò sul tavolo: era un messaggio. Anzi, era un messaggio di sua madre.
 
14:03
Inviato da: Mamma
Federico ti dispiace se questa sera passo a casa vostra? Vorrei parlarti di una cosa importante.
 
Federico si pietrificò. Le cose importanti per sua madre riguardavano solo la salute di suo figlio e il fatto che suo figlio si costruisse un futuro; e lui era molto propenso a pensare alla seconda opzione, in quel caso, anche perché la sua salute stava una meraviglia.
Rispose solo con un “va bene”.
Michael osservò di sottecchi Federico e lo vide comporre il messaggio. Decise di non immischiarsi per non risultare invadente, forse lo era fin troppo con la sua presenza in quella casa.
 
«Ok, io vado.»
Michael aprì in fretta la porta mentre aveva ancora solo una manica del cappotto color panna infilata e tentava goffamente di posare il cellulare in tasca.
Federico rise sonoramente quando si voltò e assistette a quella scena.
«Ok Mich, buon lavoro.»
Il riccio lo guardò confuso per la sua risata, ma non poté soffermarsi a chiederne il motivo altrimenti avrebbe fatto ritardo, quindi richiuse la porta alle sue spalle.
Federico si ritrovò da solo in quell’appartamento che gli sembrò immenso. Giulia non sarebbe tornata per cena perché era stata invitata da un’amica appena laureata a prendere qualcosa con lei al bar. Michael era appena andato via per lavorare, ergo, lui era solo con una morsa allo stomaco per l’imminente arrivo di sua madre. Non voleva affrontarla da solo, ma sapeva che aveva cercato di scappare anche troppo a lungo da quell’argomento. Voleva mettere la parola “fine” a quel maledetto dibattito sul suo futuro.
E o la va o la spacca, si disse.
Tatiana, sua madre, arrivò dopo poco - troppo poco tempo, secondo Federico, che non sarebbe mai stato realmente pronto a quell’incontro.
La donna aveva un volto severo e forse anche dispiaciuto. Federico la fece accomodare nel piccolo salotto dove il divano-letto era ancora aperto e con sopra la coperta blu elettrico e il cuscino. La bionda signora fece una faccia stranita alla vista del divano sfatto. Ma il tatuato non aveva minimamente voglia di raccontarle anche di Michael, altrimenti sarebbe stato per lei un elemento in più a cui aggrapparsi quando avrebbe terminato le valide motivazioni per cui era lì.
«Giulia si era arrabbiata con me e ho dormito sul divano. Oh, adesso è tutto ok, non preoccuparti, solo che non l’ho ancora sistemato.»
Federico tentò quella giustificazione, ma sapeva benissimo che proprio alle spalle di Tatiana, appoggiato alla parete, c’era il trolley del riccio.
«Bene, sono contenta che ora sia tutto a posto.»
Menzogne.
«Federico volevo parlarti di cos’hai intenzione di fare. Per il tuo futuro, intendo, guarda che puoi iscriverti all’università l’anno prossimo.»
Il tatuato sbuffò e rivolse lo sguardo al pavimento, ma non con tristezza: era semplicemente stufo di dover ripetere le stesse cose mille volte.
«Ma’ lo sapevo che avresti insistito. Ma io non mi iscriverò all’università, te lo scordi. Non sono portato.»
«Allora trovati un lavoro.»
«Ci sto provando.»
«Un lavoro serio.»
«Fare il musicista non è un lavoro serio?»
Stavolta fu il turno della donna di sbuffare.
«Lo sai che ce la fa uno su mille, lo diceva anche Morandi.»
«Morandi era uno su mille, non posso esserlo anch’io? Cos’ha lui in più di me?»
Tatiana stava per rispondere ma fu anticipata dal figlio.
«Ma’, la verità è che tu non credi in me. Perché ti sembra così impossibile che io possa diventare qualcuno? Ti porterò dei risultati, te lo giuro. Così non potrai dire più niente. E nel frattempo mi troverò anche un lavoro, uno serio, come dici tu.»
La donna uscì dall’appartamento contenta per metà dell’esito di quella conversazione. Perlomeno aveva ottenuto che suo figlio trovasse un lavoro, nel frattempo - cioè per sempre, secondo lei, perché il successo non sarebbe arrivato mai.
Il tatuato richiuse la porta e si sentì veramente solo.
 
Giulia ritornò a casa abbastanza tardi, verso l’una di notte. Era stanca per aver festeggiato tutta la serata e perciò si coricò addormentandosi immediatamente, tra le braccia di Federico.
Michael invece rientrò poco più tardi delle tre e mezza, quasi un orario standard per il sabato sera. Fortunatamente possedeva il duplicato della chiave di casa e non dovette disturbare nessuno per venire ad aprirgli. Stanco morto si gettò sul divano-letto tentando di fare meno rumore possibile. Si slacciò la cravatta e si spogliò, andando poi a lavarsi perché era così dannatamente sudato che gli sembrava di aver vinto le Olimpiadi invernali. Indossò una t-shirt bianca e restò in boxer, perché lui era abituato così e quella coperta, poi, era caldissima.
 
Il mattino dopo Federico si alzò prima di tutti, stranamente. Erano appena le sei e lui avrebbe potuto riaccucciarsi nel letto e tornare a dormire, ma invece si alzò perché quel letto sembrava quasi soffocarlo. Non conosceva l’esatta ragione di quella sensazione, ma invece di riabbandonarsi tra le braccia di Morfeo si spostò in cucina per bere un bicchiere d’acqua. Mentre stava ripercorrendo di nuovo il tragitto dalla cucina alla camera da letto, pensò che era meglio dare un’occhiata in salotto per vedere se Michael era ok.
Tante volte Federico si era pentito di aver fatto qualcosa, nella sua vita, ma mai si pentì tanto come quella domenica mattina di dicembre, quando, sveglio già alle sei, decise di vedere se Michael era ok.
Quando mise piede in salotto restò pietrificato. Michael dormiva beatamente, inconscio di ciò che accadeva a Federico in quel momento; il riccio aveva una delle sue lunghe gambe che dal divano-letto ricadeva pesantemente sul pavimento, mentre l’altra era saldamente ben stesa sul bracciolo del divano. Aveva la bocca aperta mentre dormiva. Ma né quello né la sua posizione stravaccata lo inquietarono tanto, fu piuttosto il fatto che Michael dormiva in boxer, con la coperta che lo copriva solo per metà. E no, non la metà inferiore, quella era ben visibile per il tatuato. L’ultima cosa che pensò Federico fu che Michael aveva dei boxer grigi molto simili ai suoi, prima di catapultarsi in bagno e guardare il suo riflesso allo specchio con gli occhi sgranati. Ma che cosa gli passava per la testa? Si era fermato a guardare quella parte di Michael per troppo, troppo tempo. Abbastanza da farlo impazzire. Aveva l’ansia e gli venne la nausea. Cosa aveva fatto? Ma soprattutto, perché? Da quanto gli interessavano le parti intime maschili? No, lui era etero, ne era era sicuro. Con Giulia andava tutto bene e l’ultima volta che si era masturbato l’aveva fatto pensando a Sasha Grey. Già. Gli venne in mente proprio quella volta, al fast-food, quando aveva avuto un’erezione perché Michael gli aveva accidentalmente sfiorato il pacco.
Cazzo.
Già, cazzo.
Non era stata la Coca Cola ghiacciata, era stato Michael. Ed era stato Michael anche quando gli aveva sfiorato le labbra con le sue e lui ne era rimasto fin troppo sconvolto per essere stato solo un bacio da ubriaco. Ed era stato Michael anche adesso, quando Federico si era incantato a guardare qualcosa che non avrebbe dovuto.
Che cosa gli stava succedendo? Lui non lo capiva, era così confuso. Sapeva solo che era Michael il suo problema, da quando c’era lui Federico stava cominciando a dubitare addirittura della sua sessualità.
Il tatuato aveva solo voglia di piangere, non ci capiva più nulla. Perché non era più lui, lo sapeva, sentiva che qualcosa dentro di lui stava cambiando, che le certezze che fino a quel momento l’avevano sostenuto adesso non erano più tali, anzi, erano dei grandi punti interrogativi. Aveva tante domande Federico, e non sapeva darsi altrettante risposte. Non ancora, forse.
Si sciacquò la faccia ma no, non servì a niente. Era sempre lì, e anche quei dubbi che prima non avrebbe mai pensato di avere. Scivolò con le spalle contro la porta fino a sedersi sul pavimento freddo. Aveva solo voglia di piangere e lo fece, silenziosamente, perché ne aveva bisogno e perché tanto non c’era nessuno a guardarlo.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
Ok, voglio innanzitutto dire che ci ho messo davvero tanto di me stessa in questo capitolo, specialmente per quanto riguarda la parte in cui Michael si sente sempre mai abbastanza per la sua famiglia - che è proprio come mi sento io e forse come ci sentiamo un po' tutti. Passando alle cose più allegre (?) diciamo che Fede fa sempre un passo avanti in ogni e capitolo e mi permettete un piccolo spoiler? Nel prossimo capitolo entreremo anche nel mondo musicale di Mich (finalmente) c: e poi altre scene midez, ma ora basta spoiler, questo lo vedremo giovedì c: vi anticipo già che forse posticiperò l'aggiornamento di lunedì a martedì perché sarò impegnata tutto il giorno con gli esami D:
Ringrazio sempre chi legge/recensisce/segue/blabla e vi mando tanti unicorni luccicanti.
Bye <3

 

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Capitolo 6
*** Sesto ***


- 6 -
 
Era il 23 dicembre quando Michael riuscì a convincere Federico e Giulia a fare un vero albero di Natale. Lui era così maledettamente eccitato all’idea e loro invece non troppo convinti.
«Mich, l’appartamento è piccolo e non possiamo fare un albero di Natale delle dimensioni che dici tu...» aveva cominciato Federico, per niente esaltato dall’idea di dover perdere una montagna di tempo ad appendere palline e sistemare luci.
«Dai Mich, ci limiteremo all’alberello già decorato che mettiamo di solito sul mobile in salotto.»
Lo sguardo del riccio in quel momento sembrò quello di un serial killer, motivo per cui dopo poco i tre si ritrovarono in un negozio di bricolage per comprare albero e decorazioni.
Michael sembrava un fottuto bambino che correva a destra e sinistra con gli occhi brillanti per qualunque pallina di natale, stella cometa od omino di zenzero. Giulia non era egualmente eccitata, ma doveva ammettere che trovava un certo gusto in quel tipo di shopping. Federico, come sempre, era dell’umore completamente opposto, ma stavolta non per colpa di Michael.
«Guardate! Compriamo questi vi prego!»
Michael saltellò - letteralmente - a prendere un’enorme punta di pezza per l’albero a forma di omino di zenzero.
«No, non metteremo quel coso orribile sull’albero, non se ne parla.»
La decisione di Federico trovò però opposizione nello sguardo da cucciolo che Michael gli lanciò nel tentativo di convincerlo. Giulia fu contenta di restare imparziale.
«Ma perché cazzo non possiamo fare un albero normale? E va bene, prendi quell’obbrobrio.»
Michael saltellò sul posto e batté le mani come un bambino felice, e Federico pensò che doveva aver battuto la testa, invece. Ma quando era piccolo, evidentemente. Però al contempo era anche così adorabile.
 
Naturalmente Michael comprò tutte le cose più strane del mondo per addobbare quell’albero e la sera stessa decisero - senza l’appoggio di Federico - di montarlo e addobbarlo.
«Fedé perché non vieni ad aiutarre? Please!»
Il tatuato si girò verso il riccio e lo vide muoversi goffamente nel tentativo di incastrare la parte superiore dell’albero in quella inferiore. Federico alzò un sopracciglio.
«Siete voi che avete deciso di comprarlo, non io. Adesso ve la vedrete voi.»
«E dai, amore...» replicò Giulia, ma Federico aveva già infilato la cuffietta nell’orecchio e ricominciato a scrivere rime.
La ragazza sbuffò e si voltò irritata verso l’albero.
«Non fa niente, dai!» Sussurrò il riccio rivolgendole un dolcissimo sorriso che Giulia ricambiò.
Era vero che Michael con i suoi sorrisi riusciva ad illuminare il mondo intero. Solo che lui non se ne rendeva conto.
 
«Finittto!» Squittì Michael dopo aver posto la punta sull’albero e acceso le luci, con l’aiuto di Giulia, per vedere se funzionavano.
«È bellissimo» sussurrò Giulia. «Anche se molto strambo!»
Rise e il riccio si accodò a lei. Da poco distante anche Federico si accorse che il movimento frenetico di quei due era finito e si voltò a guardare l’albero completo. Era decisamente inusuale e pieno di decorazioni di pezza colorate che effettivamente lo rendevano un po’ un casino. Era un disastro bellissimo, quell’albero, il riflesso di colui che ne aveva scelto le decorazioni.
Federico si ritrovò a sorridere lievemente nel guardare quell’albero che, anche se molto confusionario, aveva una propria personalità.
«Mi piace molto» disse Federico in un sussurro e Michael fu molto - forse troppo - contento di quel giudizio.
«È strano perché tu sembra molto the Grinch» rise Michael, trascinando con la sua anche la risata di Giulia.
«Ehi stronzo! Io non ho quella faccia di merda!» Federico era seriamente offeso.
«Ma tu odi il Natale! Però tu sei più bello» concluse mentre continuava a ridere e solo dopo si rese conto che ciò che aveva detto poteva facilmente essere frainteso. Federico si irrigidì e spostò lo sguardo sul pavimento. Ciò che Michael non sapeva era però che quella frase aveva scatenato una doppia reazione nel tatuato: ne era stato felice, ma subito dopo aveva avuto paura di quella felicità e si era semplicemente dato dello stupido, ripetendoselo più volte come un mantra.
 
Quella sera, per la prima volta dopo mesi, Michael riuscì di nuovo a fare musica. Accese il suo MacBook - gentile regalo di Danny, ma chi se ne fregava - e ritrovò qualche progetto lasciato in sospeso in GarageBand. Gli mancava tantissimo il suo pianoforte bianco a coda, quello che era nell’attico di Danny e che lo stesso Danny gli aveva regalato in occasione del suo ventitreesimo compleanno, il primo passato assieme. L’entusiasmo del riccio si smorzò appena quando pensò al fatto che Danny l’aveva effettivamente sempre supportato nel suo strambo sogno di diventare una popstar. Solo che adesso non sapeva più se tutti quei regali e quel supporto erano fasulli, dei semplici pretesti da rinfacciare al momento opportuno. Michael scosse la testa per non pensarci: adesso voleva solo fare musica.
In assenza del pianoforte o di una tastiera da collegare al computer il riccio dovette accontentarsi della tastiera del computer configurata come pianoforte. Inutile dire quanto gli risultò difficile, a causa della dislessia, andare avanti nel comporre quel pezzo, giacché sbagliava fin troppe note nel confondere una lettera con un’altra.
«Oh, shit!» Imprecò dopo aver sbagliato per tre volte consecutive, cosa che lo fece infervorire immediatamente.
Federico era nella sua camera da letto, lontano da Giulia che, appartata in un angolo, era concentrata a studiare per gli esami. Le note sbagliate di Michael erano solo un lontano e curioso sottofondo. I due risero a quell’imprecazione e il tatuato decise di uscire in soggiorno e lasciare la porta socchiusa, così che Giulia potesse concentrarsi meglio senza sentire i loro discorsi.
«Ehi, asso!»
Federico si avvicinò al riccio e si sedette accanto a lui sul divano-letto.
Michael non capì quella frase e gli rivolse semplicemente un’espressione confusa.
«Lascia stare! Che stai facendo?»
Il tatuato allungò lo sguardo sul portatile dell’altro e notò un pentagramma con un testo immediatamente sotto.
«Sto continuando una cansone che avevo cominciato mesi fa.»
Michael era molto concentrato sullo schermo del computer, poggiato sulla coperta che avvolgeva le sue lunghe gambe incrociate. Il tatuato sorrise.
«Quindi anche tu scrivi canzoni.»
«Sì.»
«Che genere?»
«Pop, anche se io penso come sinfonico quando scrivo.»
«Forte. Mi fai sentire qualcosa?»
Lo sguardo del riccio si voltò di scatto verso Federico e i suoi occhi erano leggermente sgranati.
«Daveri tu vuoi?»
Michael sperò fino alla fine che demordesse, perché lui era sempre così maledettamente insicuro di tutto quello che faceva, comprese le sue canzoni.
«Sì sì» rispose spontaneamente l’altro.
Michael gli fece sentire il ritornello di quella canzone che aveva registrato un po’ mesi prima grazie alla tastiera che aveva nell’attico e un po’ quella sera stessa, prima che Federico arrivasse. Mentre le note scorrevano lui canticchiò quella parte a bassa voce, in modo da non disturbare Giulia nell’altra stanza.
 
Cause I don't care
If I ever talk to you again
This is not about emotion
I don't need a reason
Not to care what you say
Or what happened in the end
This is my interpretation
And it don't, don't make sense.
 
Michael aveva cantato tenendo per tutto il tempo lo sguardo fisso sul portatile e le guance lievemente arrossate, come se fosse imbarazzato a morte. Federico invece trovava la sua voce angelica, e non aveva bisogno di nessun altro aggettivo perché quello bastava. Lui era bravissimo, lui poteva davvero diventare qualcuno nel mondo della musica.
«Cazzo, Mich, sei bravissimo. È stupenda, giuro.»
Il riccio si voltò stupito verso Federico: non pensava che lui potesse apprezzarlo. In realtà non pensava che sarebbe mai stato apprezzato da qualcuno in generale.
«Tu pensa davvero?» La sua voce era un sussurro.
«Sì, ovvio!»
Sul viso del riccio si fece spazio un sorriso ampissimo di emozione mista a contentezza pura, poi si lanciò in un abbraccio che stritolò il corpo del povero Federico.
Quando l’abbraccio finì Michael si fermò a poca distanza dal viso del tatuato e continuò a sorridergli. Poi il suo sguardò puntò alle labbra dell’altro, ma fu solo un attimo perché il riccio, imbarazzatissimo, tornò a volgere la sua attenzione allo schermo del portatile.
Federico si accorse di quell’imbarazzante dettaglio e divenne serio, spostando anche lui lo sguardo altrove, in particolare sul pavimento.
 
Mentre la vigilia di Natale la passarono gustando la cena che Michael aveva tanto insistito per preparare - ed era davvero un ottimo cuoco, forse solo un po’ maldestro - per la vigilia di Capodanno i tre dovettero separarsi. Giulia e Federico erano ormai una coppia da tempo e i genitori di Giulia avevano organizzato a casa loro il cenone, invitando ovviamente anche la madre di Federico. Era giusto così, il loro era un perfetto quadretto familiare. Michael invece aveva le ferie ancora per poco e solo perché durante quegli anni era stato così instancabile e preciso nel suo lavoro che il suo capo era riuscito a sostituirlo al bar e a dargli due settimane di libertà. Il riccio decise allora che avrebbe trascorso quelle ore divertendosi lo stesso, anche se era da solo, quindi optò per una discoteca che conosceva bene nella periferia di Milano. Prese un taxi e si fece portare a destinazione.
Quando entrò la musica era assordante e il livello d’alcol si poteva quasi percepire nell’aria. Non ci mise molto per prendere coraggio e scendere in pista. Lui si era sempre sentito a disagio per la sua altezza, quando era in mezzo agli altri, ma quasi tutti quei ragazzi erano già ubriachi e quindi lo ignoravano bellamente. E al riccio andava benissimo così, ovviamente.
Man mano che i cocktail bevuti aumentavano, anche il suo corpo diventava sempre più caldo e la sua voglia di ballare e scatenarsi sempre maggiore. Prese l’ennesimo drink altamente alcolico e tornò in pista, assecondando con il suo corpo il ritmo della canzone. Si sentiva così bene, adesso, senza pensieri per la mente. Era tutto così leggero. Sentì qualcuno avvicinarsi a lui e cominciare a toccarlo e strusciarsi sul suo corpo. Inizialmente erano solo dei movimenti quasi dettati dal poco spazio della discoteca, ma poi divennero sempre più indirizzati a Michael e a parti del corpo che uno sconosciuto non avrebbe dovuto toccare così semplicemente. Allora il riccio girò lo sguardo e vide un ragazzo dai capelli neri e gli occhi scuri che lo fissava con un sorrisetto malizioso. Michael fece una piccola risata e il ragazzo si avvicinò ulteriormente al suo corpo, appiccicandosi su di esso, evidentemente incurante della camicia nera completamente sudata del riccio. Le mani del ragazzo che cominciarono a vagare sul corpo di Michael non gli diedero fastidio, anzi, il riccio cominciava anche a provare una certa eccitazione. E anche quel ragazzo era evidentemente eccitato, cosa che Michael constatò quando l’altro fece combaciare la propria intimità con il suo sedere.
Michael rise. Non perché ci fosse qualcosa di effettivamente divertente, rise e basta.
«Sei bello» gli disse semplicemente, cominciandogli a baciare il collo da dietro.
In risposta Michael rise più forte perché ormai non riusciva a controllarsi più.
Non passò molto prima che i due si ritrovassero nel bagno della discoteca, la bocca di Michael che accoglieva l’erezione dello sconosciuto.
 
Dopo aver finito lo sconosciuto si dileguò, lasciando il riccio da solo nel bagno. Michael vomitò una volta prima di uscire definitivamente dal bagno e tornare barcollante in pista. Adesso c’era molta meno gente a ballare, parecchi erano riversi sui divanetti rossi della sala. Michael voleva davvero sapere che ora fosse, ma c’era un solo orologio nel locale con le lancette fosforescenti, e se lui non riusciva a leggerlo da sobrio, di certo da ubriaco la sua dislessia non scompariva.
Quindi attraversò la pista da ballo e si trascinò sul bancone, al quale si appese fortemente per non cadere. Aveva di nuovo la nausea.
«What time is it?» Chiese al barista.
«Le quattro e venti, amico.»
Il riccio annuì tenendosi sempre aggrappato al bancone.
«Ehi, stai bene?»
«Yes» rise.
«Ok, dimmi che non hai intenzione di guidare, ti prego.»
«Io non ha la patente!» Rise più forte.
«Allora ti chiamo un taxi.»
«No, io deve chiamare una persona.»
Michael prese il cellulare dalla sua tasca e cercò, con la fronte corrugata, di trovare il numero di Federico. Tra dislessia e alcol, sfortunatamente, in quel momento sembrava non riuscirsi. Il barista vide i suoi vani tentativi e gli prese il cellulare dalle mani.
«Ti aiuto io, dimmi il nome del tuo amico.»
«Federico» biascicò.
Il dito del barista fece scorrere la rubrica fino al nome del tatuato. Poi lo chiamò.
Federico era nel bel mezzo del sonno, alle quattro e mezza di mattina, ed era al fianco di Giulia che dormiva ugualmente. I loro festeggiamenti erano finiti da un pezzo. Il suo cellulare - sempre acceso per sicurezza, se mai qualcuno avesse avuto bisogno di lui - squillò e illuminò l’intera stanza. Federico si trattenne a stento dal bestemmiare, soprattutto dopo aver visto l’orario.
«Mich, che cazzo c’è?» Ringhiò con la voce ancora impastata dal sonno.
«Ciao, senti, mi dispiace per l’orario» cominciò il barista.
Federico sembrò riacquistare tutte le sue facoltà mentali e sensoriali quando sentì che la voce al telefono non era quella di Michael.
«Il tuo amico è qui accanto a me. Sta bene, non preoccuparti, è solo un po’ troppo ubriaco.»
Federico si calmò quando sentì che il riccio stava bene.
«Mi ha detto che doveva chiamarti» continuò il ragazzo del bar.
«Fedé mi vieni  prenderre, pleeeaaaase?» Urlò il riccio dopo essersi avvicinato alla cornetta del telefono.
«Ok, arrivo» rispose un po’ stufato il tatuato.
Il barista gli diede nome e indirizzo della discoteca e Federico pensò che il riccio non avrebbe potuto trovare discoteca più piena di gente viscida e arrapata.
Giulia si destò di nuovo quando sentì che Federico si stava vestendo. Le spiegò tutto e le chiese di tornare a dormire, sarebbe andato lui a prendere Michael.
 
Quando Federico arrivò alla discoteca vide Michael praticamente steso sul bancone e con la testa pesantemente poggiata su di esso. Aveva anche gli occhi chiusi. La sua camicia nera puzzava di sudore, alcol e sesso. Federico rabbrividì per quest’ultimo odore: chissà cosa cavolo aveva combinato.
«Ehi, ciao, grazie per avermi chiamato» disse il tatuato al barista.
Il ragazzo scrollò le spalle.
«Ehi Mich. Dai andiamo.»
Glielo sussurrò dolcemente e lo scosse per svegliarlo. Michael alzò la testa e aprì gli occhi: gli girava tutto, sembrava che tutto intorno stesse ballando una strana danza tribale.
Con non poche difficoltà i due arrivarono alla macchina di Federico. Il ragazzo aiutò il più grande a sedersi accanto al posto del guidatore e gli allacciò la cintura. Nel farlo, la mano di Federico toccò inavvertitamente diversi punti del corpo di Michael e questo - con la testa poggiata contro il sedile e gli occhi chiusi - mugolò di piacere. Federico inghiottì rumorosamente saliva e chiuse lo sportello, per poi sedersi al suo posto di guida. Il viaggio cominciò in silenzio. Federico, per tornare a Milano centro, dovette prendere la strada provinciale.
«Fedé
«Uhm?»
Michael aveva la testa contro il finestrino freddo e gli occhi chiusi, ma era sveglio.
«Fedé» ripeté.
«Che c’è Mich?»
Il riccio attese un po’ in silenzio.
«Devo vomitare.»
«Adesso accosto, non vomitare in auto.»
Il tatuato accostò nella corsia d’emergenza. Michael slacciò la cintura velocemente e si precipitò fuori dall’auto. Si aggrappò al guard-rail e si sporse per vomitare. Federico scese e gli andò incontro per vedere se fosse tutto ok. Il riccio annuì.
Dopo poco i due tornarono nell’auto. Stavolta Federico non volle allacciare anche la cintura di Michael.
«Mich, allacciati la cintura.»
Ma Michael non lo stava più ascoltando: era girato verso di lui e lo guardava con i suoi occhi ambrati lucidi per l’alcol.
«Fedé» cominciò. «Poso farti una pompa?»
Federico sbarrò gli occhi e si immobilizzò.
«N-No, Mich, mettiti la cintura.»
Oddio, aveva davvero balbettato? Ma l’altro continuava a guardarlo con degli occhi che sembravano carichi di desiderio. Lo sguardo di Michael finì sul basso ventre di Federico, il quale si irrigidì ulteriormente. Era in preda al panico.
«And so... a handjob?»
Federico non capiva tantissimo l’inglese, ma sapeva bene cosa significasse quella parola. 
«No» stavolta fu più deciso.
Il riccio gli si avvicinò sporgendosi verso di lui.
«Perché no?»
«Perché non mi piacciono gli uomini.»
«Puoi fare finta che io sono una donna.»
Detto ciò portò le mani a slacciare i pantaloni di Federico, ma questo lo fermò ricacciandolo indietro quasi con violenza.
«Ho detto di no, Mich.»
«E dai» rise l’altro tornando ad armeggiare con i pantaloni del tatuato.
La verità era che Federico stava già pensando alla bocca di Michael sulla sua intimità. Sapeva che era maledettamente sbagliato, anche perché stava già avendo un’erezione nei pantaloni che non poteva permettersi. Era già la terza volta che si eccitava per il riccio, non poteva più essere solo una coincidenza.
Michael rise prima di prendere tra le mani l’erezione di Federico. Il tatuato aveva paura, ma aveva anche tanta voglia. Ed evidentemente la seconda superò la prima, perché neanche con tutto sé stesso riuscì più a fermare l’altro. Michael gli fece una sega guardandolo negli occhi e, dio, era così maledettamente eccitante. Quando poi il riccio aggiunse la bocca, a Federico sembrò di raggiungere il paradiso. Se ne fregò altamente di Giulia e della sua eterosessualità quando scese con la mano ad afferrare i ricci di Michael e stringerli con voglia tra le sue dita.
Federico chiuse gli occhi e poggiò la testa contro il sedile dell’auto finché non riuscì più a resistere e riversò il proprio piacere nella bocca dell’altro. Michael si allontanò da lui sorridendo e pulendosi la bocca contro il dorso della mano. Quando il tatuato riaprì gli occhi Michael non gli diede il tempo neanche di capire che già le sue labbra erano su quelle dell’altro. Era così buono il sapore di Michael, nonostante fosse tutto sesso e alcol, ma aveva anche qualcosa che non permetteva a Federico di staccarsi da lui. La lingua del riccio si fece più prepotente e il tatuato schiuse le labbra per permettergli di entrare nella sua bocca e incontrare la propria, di lingua. Era così bello non dover pensare più a niente. Il peso del corpo di Michael si ritrovò dopo pochissimo riversato quasi completamente sulle gambe di Federico. Le mani del riccio erano allacciate dietro la nuca dell’altro e spingevano forte contro la propria testa perché non voleva separarsi mai più da quelle labbra. Le mani di Federico, invece, vagavano insicure sul corpo di Michael, indecise se poter permettersi davvero di toccarlo. Gli accarezzò la coscia e poi il sedere, finché entrambi non esaurirono l’aria per quel bacio passionale e quasi aggressivo. Quando si staccarono il riccio lo guardò negli occhi con un leggero sorriso malizioso sul volto, ma poi si staccò completamente da quel contatto e tornò al suo posto, poggiando la testa contro il vetro del finestrino e chiudendo gli occhi.
Era stato tutto bello, così bello che solo allora Federico si rese conto di quello che aveva fatto.
Cazzo.
Cazzo, cazzo, cazzo. E adesso? Niente poteva più sistemarsi, adesso, tutto era destinato a rompersi.
«Non fa niente Fedé» sussurrò Michael. «Non fa niente se ti piaciono i uomini.»
Federico avrebbe voluto dirgli che invece faceva, e faceva un sacco perché lui era fidanzato ed era etero. Ma ormai non era più convinto di quell’ultima cosa e perciò restò in silenzio, guidando fino dritto a casa ad alta velocità e senza allacciare la cintura di sicurezza a Michael.
 
Il giorno dopo Federico non era pronto per fingere di nuovo. Quel terremoto dai capelli ricci e le gambe lunghe era arrivato nella sua vita e l’aveva sconvolta completamente e lui non poteva più far finta di nulla. Non riusciva più neanche a guardare Giulia negli occhi, non ce la faceva, doveva prima sapere che cosa gli stava succedendo.
Il riccio invece ricordava ogni cosa. Non si era ubriacato allo stesso livello della volta precedente e perciò ricordava tutto, anche se avrebbe tanto voluto tornare indietro per darsi un contegno. Dio, era così imbarazzante quello che aveva fatto in auto. L’aveva voluto davvero, gli era piaciuto, ovviamente, ma già si immaginava quali livelli di incazzatura potesse aver raggiunto Federico. Lo odiava, sicuramente. Perché lui era quello che l’aveva portato sulla strada sbagliata, lontano dalla sua vita normale.
Perciò quella mattina a Michael il cuore non smetteva di battere nel petto per l’ansia. E sembrò completamente esplodergli in mille pezzi quando Federico lo chiamò con freddezza dicendogli di dover parlare con lui.
Ovviamente la questione era troppo delicata per parlarne in casa, quindi Federico trovò con Giulia la scusa di dover sbrigare una faccenda con il riccio e di non voler disturbare lo studio della ragazza. E anche se la suddetta ragazza non ne era completamente convinta, il suo sguardo insicuro fu lasciato alle spalle dai due.
Federico si diresse verso un bar sotto casa correndo spedito. Nonostante le gambe chilometriche, Michael quasi non riusciva neanche a raggiungerlo. O forse non voleva, perché altrimenti avrebbe realmente constatato quanto fosse incazzato con lui.
Con la stessa velocità il tatuato entrò nel bar e si sedette ad un tavolo, aspettando che Michael facesse lo stesso. Se avesse visto il suo volto contrariato il riccio ne sarebbe stato quasi contento, ma vedere che l’espressione di Federico era indecifrabile lo fece sudare freddo. Aveva una tremenda paura, ma sapeva di dovergli delle scuse, innanzitutto. La leggera confusione che c’era nel bar rese tutto più semplice e intimo, dato che il loro vociare fu coperto da quello di molte altre persone.
«Fede io ti chiedo scusa, davero. I-Io non so cosa mi è preso quando eravamo in auto, io non-»
Il tatuato lo interruppe con un gesto della mano. Michael tremava impercettibilmente. Era così dannatamente sensibile per quel tipo di cose.
«Non devi scusarti, io...»
Federico sospirò passandosi una mano tra i corti capelli e finalmente si rilassò.
«Tu eri ubriaco e io avrei dovuto fermarti. Ma non è questo il punto Mich, non sei tu. Sono io, capisci? Io non ti ho fermato perché mi è... piaciuto. E la cosa mi fa stare male perché, cazzo, io sono fidanzato e sono etero e se queste erano le uniche certezze che avevo ora non le ho più.»
Per colpa mia, pensò Michael. Aveva combinato un casino.
Federico aveva gli occhi lucidi perché era confuso, Michael li aveva perché invece sapeva bene di aver distrutto la vita del suo amico. L’unico amico che aveva. Ecco perché era un maledetto disastro.
«È colpa mia» disse tutto d’un fiato. «Se io non fossi entrato nela tua vita tutto questo non sarebbe successo. Lo vedi perché sono un disastro? I’m a fuckin’ disaster. Devo andare via da casa tua e di Giulia, solo così si sistemerà tuto. Vedrai. Devo andare via dala tua vita.»
Disse tutto senza guardare Federico negli occhi, con lo sguardo fisso sul porta-fazzoletti che era al centro del tavolo.
«Mi odio tanto per questo. Ho rovinato anche la tua vita.»
Le lacrime che aveva sperato di trattenere rotolarono via. Si sentiva uno stupido. Ma Federico, per quanto non voleva che l’amico soffrisse, giunse alla conclusione che era quella la scelta più ovvia. Stava scappando ancora una volta da ciò che era, ma poco importava se serviva a farlo stare felice. Solo che non capì fino a che punto con la sua scelta avrebbe fatto del male a Michael.
«Sì, io penso che questa sia la scelta giusta, Mich.»
Il cuore di Michael sussultò e lo guardò negli occhi, con la constatazione e la paura che aveva davvero rovinato tutto e che tutto quello stava per finire.
«Torna da Danny o dalla tua famiglia, starai meglio.»
Il riccio fissava la figura del tatuato davanti a sé, mentre quest’ultimo non aveva il coraggio di guardarlo oltre.
Il mondo di Michael crollò con quella sola frase e finalmente capì perché gli faceva terribilmente male realizzare di dover stare lontano da lui: Michael si era innamorato di Federico.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
Ok. Punto 1: non odiatemi, io vi voglio bene. Punto 2: lo so, c'è questo strano sadismo in me che fa allontanare Michael e Federico proprio quando sono ad un passo dal vivere insieme felici e contenti. Ma, credetemi, io ci combatto con tutta me stessa AHAH facendo il punto della situazione, direi che questo angst non s'ha da fare, quindi terminerà, vi giuro. <3
Come già anticipato la volta scorsa, lunedì per cause di forza maggiore (chiamate E S A M I) non potrò aggiornare e quindi a martedì! Come sempre ringrazio davvero tanto chi recensisce perché è un conforto sapere che c'è chi apprezza la mia storia, rly <3
Volemose bene <3

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Capitolo 7
*** Settimo ***


- 7 -
 
Il riccio non si era mai sentito così stupido e in imbarazzo. Che idiota era stato, come aveva potuto commettere uno sbaglio così grande? Si era innamorato come un coglione di un ragazzo etero e impegnato.
Seduto al tavolino del bar Michael non riusciva a fare neanche più una mossa se non mordersi il labbro inferiore con tanta forza da farsi male.
Patetico idiota.
Federico non alzò lo sguardo su di lui perché era un maldetto codardo. Preferiva lanciare il sasso e nascondere la mano, dire quella cosa e fregarsene della reazione del riccio. Gli lanciò solo un’occhiata di sottecchi e lo vide mordersi le labbra. Stava tremando. Dio, che cos’aveva combinato?
Poi lo vide alzarsi dal tavolo e precipitarsi fuori dal locale. Fuori dal bar Michael scoppiò a piangere. Perché era così debole? Cominciò a camminare a passo spedito senza conoscere neanche la direzione che stava prendendo. Aveva bisogno d’aria, sentiva che quella nei suoi polmoni scarseggiava, e ad ogni passo la terra sotto i suoi piedi sembrava tremare. O forse erano le gambe. Ricordò che quella era la reazione che aveva avuto anche quando era andato via dall’attico di Danny, ed era la stessa maledetta reazione che aveva ogni volta, da quando era bambino, quando qualcosa era troppo grande e troppo difficile da affrontare.
 
«Sei un piagnone.»
«Ma sei un uomo o una femminuccia? Alzati e smettila di frignare.»
«Che checca, lasciamolo qui.»
Gli avevano detto di tutto prima di dargli un ultimo calcio e andarsene, con quei sorrisi da ebeti che avevano sul volto. Michael non voleva alzarsi e neanche ci riusciva: gli faceva male ogni parte del corpo, soprattutto l’addome. Così era fermo sul pavimento, rannicchiato su sé stesso in posizione fetale con un mare di calde lacrime che cadevano sull’asfalto.
«Ehi, tutto ok?»
Per un po’ di tempo pensò di essersela immaginata, quella voce, era probabile. Ma poi vide due All Stars rosse un po’ sgualcite davanti ai suoi occhi e un paio d gambe fasciate da jeans chiari.
Alzò la testa leggermente e nonostante le lacrime riuscì a focalizzare un viso con dei capelli biondo scuro raccolti in una coda e una bocca che masticava lentamente un chewing-gum. Sbatté varie volte le palpebre per capire chi fosse e poi ricordò che era Jodie, la vicina di banco di Tom Dixon, lo stronzo di cui Michael si era innamorato. Già, perché Michael aveva una notevole abilità nell’innamorarsi degli stronzi, soprattutto di quelli che poi lo picchiavano senza ritegno.
«Sto bene» sussurrò, imbarazzato per la posizione in cui si trovava.
Con uno sforzo incredibile si alzò in piedi e si poggiò al muretto, tenendosi la pancia. Jodie si fece accanto a lui senza dire niente per un po’.
Michael era sul punto di piangere ancora, ma stavolta perché si era reso conto di essersi innamorato di uno stronzo vero, che lo chiamava “checca” e lo picchiava un giorno sì e l’altro pure.
In compenso, però, quel giorno rimediò un’amicizia.
 
Dall’interno del bar Federico non si mosse. Aspettò molto tempo prima di uscire perché sapeva che avrebbe trovato il riccio fuori in lacrime, e lui non voleva assistere a quella scena, non voleva prendersi la responsabilità della sua azione. Che bambino che era. Ancora una volta aveva deciso di scappare. Ma non da Michael, no, stava scappando da sé stesso e lo sapeva fin troppo bene.
 
Federico aveva imparato a scappare dalle sue responsabilità non appena aveva dato la colpa a Mario di quello che era accaduto allo zaino di Lorenzo, incredibilmente volato giù dalla finestra.
«Non sono stato io, è stato Mario» disse semplicemente alzando le spalle.
Tutti i ragazzi in classe avevano annuito, specialmente Mario, che accettò di prendersi quella colpa piuttosto che una serie di pugni da Federico - che ormai poteva considerarsi una specie di bulletto.
E poi Federico era circondato da amici più grandi che non andavano assolutamente disturbati.
Com’è che si dice? Meglio non svegliare il can che dorme.
Alla fine a Mario non era andata male: aveva solo rimediato una nota disciplinare e una sospensione per tre giorni - roba da niente, davvero, se confrontata con i giorni che avrebbe passato in ospedale nel caso avesse confessato la verità.
Federico avrebbe mentito a sé stesso se avesse detto di sentirsi in colpa per Mario; in realtà non gliene fregava un bel niente ed era contento di essersela scampata anche quella volta egregiamente.
 
Il riccio arrivò dove lo trascinarono le sue gambe. Si rese conto solo dopo di essere arrivato al parco, quindi si sedette su una panchina di marmo e prese il volto tra le mani. Non si era mai sentito tanto patetico in vita sua per quello che aveva fatto con Federico in auto e, allo stesso tempo, stava così male per non aver più la possibilità di rimediare con lui.
Avrebbe solo voluto una seconda occasione: avrebbe volentieri rinunciato a tutto ciò che provava per Federico pur di averlo ancora accanto, pur di poterlo guardare in silenzio e di nascosto. Si sarebbe costretto ad essere solo un amico, pur di non rinunciare a lui. E invece adesso era solo, non aveva neanche più un amico perché la sua stupidità lo aveva portato a commettere un errore troppo grave per essere perdonato. Non aveva nessuna seconda possibilità. Prese il cellulare e ancora in lacrime compose un numero.
«Danny... poso venire a stare da te?»
 
Quando Federico tornò a casa era troppo tardi perché le cose di Michael fossero ancora lì. Sapeva di dovere delle spiegazioni a Giulia e sperò di non sbagliare nella scusa che aveva inventato. Per fortuna, appena mise piede in casa, fu la ragazza stessa a venirgli incontro.
«Fede! Mich mi ha detto che ha chiarito con Danny, è tornato a casa sua. Mi mancherà un po’, ma sono felice per loro! Danny non era come immaginavamo noi.»
Quindi aveva deciso di tornare da Danny. Federico annuì mentre mille aghi gli trapassavano il cuore da parte a parte.
Te lo meriti, coglione, si disse Federico.
Ora lui poteva essere felice, davvero. Aveva Giulia, aveva di nuovo la sua normalità, eppure... eppure non era felice. Non fu felice quando Giulia lo abbracciò e non fu felice neanche quando appiccicò le proprie labbra alle sue. Cos’è che gli mancava? Dov’è che aveva sbagliato, questa volta?
 
Il biondo aprì la porta con uno sguardo solenne. Sembrava avere un “te l’avevo detto” stampato in faccia a caratteri cubitali. Michael camminava per il corridoio dell’attico con la testa china e le spalle incurvate, e nonostante la sua altezza con quell’atteggiamento sembrava volersi rendere invisibile. E invece la sua marcia dal salotto alla camera da letto fu osservata in silenzio dallo sguardo inquisitorio di Danny. Era tornato da lui, alla fine, ma se Michael fosse stato il biondo si sarebbe rispedito a calci in culo fino a Londra.
«Quindi sei tornato, eh? E con la coda tra le gambe, vedo.»
Danny infierì sull’autostima già pessima del riccio e questo si sentì talmente male da volersi sotterrare. Se lo meritava, però, quello e altri rimproveri.
«Cos’è che ti ha fatto tornare qui? Sentiamo.»
La voce inflessibile del biondo incuteva terrore. Lo stava costringendo ancora una volta a un’umiliazione, perché per Michael era un’umiliazione raccontare quella storia. Non alzò lo sguardo da terra neanche una volta, il riccio.
«Ho fato una cazzata con Federico. Mi sono comportato male e lui ha fato bene a caciarmi via.»
Trattenne le lacrime e i singhiozzi, poi sentì il biondo sedersi accanto a lui sul letto. Danny lo abbracciò e adagiò la testa del riccio nell’incavo del suo collo, dove lo sentì singhiozzare.
«Oh, Mich, quando la smetterai di fare il bambino cattivo
Il suo tono era leggermente divertito, ma in realtà Danny era solo contento di aver avuto quella seconda possibilità con il riccio. Il biondo gli passò dei fazzoletti.
«Dai, datti una sistemata.»
Gli accarezzò la testa riccioluta, dopodiché Michael si diresse in bagno per sciacquarsi il volto. Si guardò allo specchio. Danny l’aveva riaccettato in casa sua, come se nulla fosse successo tra loro. Danny era un ragazzo d’oro perché aveva di nuovo aperto la porta dell’attico a lui, che era invece il vero stronzo in tutta quella storia - e sì, lo era perché prima lo aveva mandato a fanculo e poi, trovatosi solo, era tornato da lui come un cagnolino.
Michael si sciacquò anche i capelli con l’acqua gelida e poi tornò in camera da letto, dove il biondo lo stava spettando, mentre con un’asciugamani si frizionava i capelli.
«Ti amo» sospirò il biondo, fissandolo solamente e senza accompagnare quelle parole con alcun gesto, giacché sapeva che ogni azione sarebbe stata troppo avventata.
Come previsto Michael non rispose, solo gli sorrise tristemente e si stese al suo fianco sul letto.
 
Era l’equinozio di primavera quando Federico trovò finalmente un lavoro. Un lavoro serio, come diceva sua madre. Aveva passato tutti quei mesi a fingere di cercare un lavoro interessante sui giornali o in giro per i negozi, ma quando sua madre gli aveva rimproverato di star solo perdendo tempo, il ragazzo si era deciso ad accettare il primo lavoro che gli era stato offerto. Aveva spudoratamente rifiutato lavori in bar o ristoranti perché sapeva che gli orari erano troppo estenuanti, quindi alla fine aveva accettato l’offerta di un barbiere solo perché era un amico di sua madre. Il barbiere in questione - si chiamava Giacomo - l’aveva preso con sé perché era un buon uomo, anche se effettivamente Federico aveva ben poco da fare in quel locale se non limitarsi a raccogliere i capelli tagliati che ricadevano sul pavimento.
Il tatuato stava fumando la sua sigaretta elettronica - ebbene sì, se n’era fatta una - nello stanzino del personale quando la sua attenzione fu richiamata dal rumore della porta che si spalancava. L’aria primaverile ancora fredda entrò nell’ambiente accogliente, ma Federico era troppo lontano per poter percepire lo spostamento d’aria.
«Michael! Ragazzo, come va? Un attimo e arrivo subito da te!»
Giacomo praticamente urlò quelle parole mentre toglieva la mantellina di dosso all’ultimo cliente.
Federico fece due calcoli e gelò: quante persone potevano chiamarsi Michael, a Milano?
Probabilmente infinite.
O probabilmente una sola.
Federico ringraziò qualunque divinità esistente di essere nello stanzino e non al bancone. Almeno avrebbe avuto più tempo per maledire il riccio per essere andato a tagliarsi i capelli proprio lì - che poi forse non era tanto colpa sua, dato che Giacomo sembrava conoscerlo da tempo.
«Sì, tu non ti preoccupa
A quell’affermazione Federico non ebbe più dubbi. Quanti Michael a Milano potevano avere la stessa voce, cadenza e sgrammaticatura? Uno solo, e aveva deciso di rovinargli l’esistenza mesi addietro.
Il tatuato strinse i pugni per la rabbia.
«Posa pure il cappotto» gli disse Giacomo indicando l’appendiabiti che era giusto di fronte allo stanzino dov’era Federico.
Merda.
Il riccio andò ad appendere il cappotto e tempestivamente Federico chiuse la porta dello stanzino con un calcio, per non incontrare l’altro. Ma tanto sapeva che non avrebbe potuto evitarlo per sempre.
Michael aggrottò la fronte perché chiunque doveva essere lì dentro era un pazzo a chiudere la porta in quel modo, rischiando di romperla.
Quando il riccio tornò nell’altra stanza si sedette sulla poltroncina che gli aveva indicato Giacomo. Federico sentì le loro voci ovattate conversare. Si passò una mano alla fronte e respirò profondamente. Poteva farcela ad ignorarlo, lo aveva già fatto altre volte.
Ma stavolta è diverso, gli ricordò la coscienza.
«Fede, dove sei?» Urlò il titolare e Federico si sentì mancare per un decimo di secondo. Non sapeva neanche più quanto tempo effettivamente era stato chiuso lì dentro a fare i conti con sé stesso.
Dall’altra parte, ovviamente, Michael non sospettava nulla.
Il tatuato posò la sigaretta elettronica fra le sue cose nello stanzino e con il cuore in gola uscì. Lo sguardo del riccio non appena lo vide dallo specchio giungere verso di lui fu tutto un programma: schiuse leggermente le labbra - dio, quelle labbra - e gli occhi color miele, se possibile, divennero leggermente più grandi. Giacomo, accanto a lui, blaterava cose incomprensibili. Michael non lo stava più ascoltando, ormai, da quando aveva cominciato ad osservare il tatuato che, a testa bassa, raccoglieva i suoi ricci che cadevano bagnati sul pavimento.
Il più alto pensò che se qualcuno lo odiava, da lassù - e c’era chi lo odiava, lo aveva già constatato - doveva essersi davvero impegnato molto per creare quella situazione dove entrambi erano visibilmente in imbarazzo. Le guance di Michael erano leggermente colorate di rosa e Federico faceva di tutto per non incontrare il suo sguardo.
«Ehi, tutto bene?»
Fu Giacomo a riscuotere il riccio da quella specie di trance.
«Sì, scusa» mormorò.
«Dicevo... e la fidanzata?»
Michael si sentì avvampare.
«N-Non ancora» balbettò insicuro.
Federico avrebbe voluto tanto ridacchiare se non fosse stato troppo occupato a pensare a come evitare qualunque tipo di contatto col riccio.
«Ma dai, com’è possibile? Farai strage di donne, te!»
Se possibile Michael si sentì ancora più in imbarazzo e abbassò lo sguardo.
«Forse, ma non ho ancora trovatto la persona giusta per me.»
Lo sussurrò ma Federico lo sentì benissimo e avrebbe giurato che fosse rivolto a lui.
Ma no, che stupido, si disse subito mentre scuoteva la testa.
«Incontro solo persone stronze che non hanno rispeto per i miei sentimenti» continuò con una punta di rabbia.
Quello sì che era riferito a lui.
Federico alzò lo sguardo e preferì non averlo mai fatto, perché si scontrò con quello del riccio e nient’altro ebbe più senso, in quel momento. Quegli occhi ambrati erano lo specchio di tutto, ma principalmente Federico ci lesse dolore e rabbia. Ed era stato lui a causare quelle due cose. Il tatuato si riscosse solo quando sentì la scopa cadere rumorosamente a terra - quando aveva lasciato la presa su di essa? Fu costretto ad interrompere il contatto visivo col riccio e riprese il manico della scopa, ancora visibilmente scosso.
«Fede, ma fai attenzione! Comunque dicevo... troverai una ragazza in gamba, vedrai.»
Michael annuì solamente e posò di nuovo lo sguardo su Giacomo che gli stava parlando.
 
Quando Michael uscì dal locale Federico tornò finalmente a respirare. Tranne quel breve scambio di sguardi era stato abile ad evitarlo il più possibile e, se si escludeva quella palese frecciatina, anche Michael aveva fatto lo stesso con lui.
Alle sette di sera Federico salutò Giacomo e andò via. Infilò le mani nella tasca del suo giubbotto di jeans e cercò accendino e sigarette. L’incontro con Michael l’aveva turbato, doveva assolutamente fumarsi una sigaretta vera. L’accese tra le dita e proseguì verso il posto in cui aveva parcheggiato l’auto. Quella parte di Milano era un caos con i parcheggi e perciò aveva dovuto sbattere la macchina da qualche parte in un vicolo. Girò la testa a destra e a sinistra e ricordò a stento il vicolo doveva l’aveva messa. Camminò in quella direzione finché non sentì il rumore di qualcosa che sbatteva contro un’auto poco distante. Aggrottò la fronte. Accelerò il passo in quella direzione e quando capì si arrestò di colpo. La sigaretta gli cadde dalle mani.
Non troppo distante, davanti a lui, Danny e Michael si baciavano in una maniera così oscena che Federico ebbe i brividi. Una mano del biondo era a vagare agitatamente sotto il pullover del riccio e l’altra sulla patta dei suoi pantaloni - perlomeno avevano scelto un buon posto per scopare. Michael si aggrappava all’auto contro cui era poggiato e muoveva impercettibilmente il bacino contro la mano di Danny.
Dio, avrebbe voluto scoparlo lui, Michael, in quel momento.
Federico si costrinse a non pensare a quella cosa perché la scena che aveva di fronte meritava ben più urgentemente la sua attenzione. Contrasse la mascella perché improvvisamente era un misto di dolore e rabbia e allora capì. Capì che erano le stesse sensazioni che provava anche Michael per quello che il tatuato gli aveva fatto.
Ma Michael era innamorato di lui, e lui invece?
Michael continuava a spingere il suo bacino contro la mano di Danny, che sembrava voler a tutti i costi accogliere l’erezione già visibile dell’altro. Per niente al mondo il biondo se lo sarebbe lasciato scappare, quel momento: da pochi giorni Michael aveva ripreso a baciarlo, a confidarsi con lui, a considerarlo di nuovo il suo ragazzo. E Danny improvvisamente non ci aveva visto più e aveva azzardato quella mossa, dopo essersi assicurato di ritrovarsi in un vicolo troppo poco frequentato. Semplicemente lo aveva baciato con una foga che Michael aveva riconosciuto e anche accettato, da ciò che sembrava. Danny non riusciva più a resistere, lo voleva e basta.
Il riccio emise un gemito strozzato e decisamente poco virile che fece impazzire l’altro. Il biondo fece scivolare la mano dal petto all’interno coscia di Michael, stringendolo, e avvicinò il suo corpo a quello del riccio, togliendo l’altra mano dalla patta dei pantaloni e permettendo alle loro erezioni di strusciare.
Michael si aggrappò alla schiena di Danny quasi tremando per il piacere e affondò la testa nell’incavo del suo collo.
Federico non poté resistere oltre e decise di andarsene. Provava una tale rabbia che avrebbe preso il biondo a pugni, ma in fondo non ne aveva alcun motivo perché Michael non era il suo ragazzo, e adesso neanche più suo amico.
Già.
 
Vagò per la città per un bel po’ di tempo, in modo da permettere a quei due di finire qualunque cosa avessero avuto intenzione di iniziare. Quando guardò l’orologio era passata mezz’ora e aveva una chiamata persa di Giulia. Ritornò in fretta nel vicolo col cuore in gola, ma poté felicemente constatare che Michael e Danny non c’erano più. Con l’auto arrivò subito a casa e non appena aprì la porta Giulia lo guardò preoccupata.
«Fede, che fine avevi fatto? Ti ho anche chiamato e non hai risposto.»
Il tatuato posò la giacca di jeans all’appendiabiti.
«Scusa. Dopo il lavoro ho incontrato un vecchio amico e abbiamo preso un caffè al bar. Il cellulare non l’ho proprio sentito» mentì.
Stava diventando così bravo a mentire a Giulia, quasi quanto era bravo a mentire a sé stesso.
La ragazza gli posò un leggero bacio sulle labbra, sorridendo, e Federico non sentì nulla. Non ci badò.
 
Dopo cena i due ragazzi decisero di vedere un film.
«No, Pretty Woman te lo guardi da sola» sbuffò Federico, ma Giulia stava già inserendo il dvd nel lettore, ridacchiando.
«E dai, a me piace un sacco!»
Federico sbuffò ancora.
Il film fu di una noia mortale, per il tatuato, che rischiò di addormentarsi ben due volte. L’ultima volta si risvegliò e vide che scorrevano sulla tv solo i titoli di coda sullo sfondo nero. Si voltò verso Giulia e vide che anche lei era addormentata. Sorrise dolcemente. Le passò una mano tra i capelli e la ragazza si svegliò, poi sorrise all’altro.
«Vedo che ti sei annoiata anche tu, eh» ridacchiò.
«Zitto, scemo. Ero solo stanca.»
Federico poggiò le sue labbra sulla fronte della ragazza, che abbastanza lentamente si alzò e lo fissò.
«Che c’è?» Domandò il tatuato aggrottando la fronte.
«Ti amo.»
Giulia quasi si avventò su di lui e lo baciò con passione, facendo intrecciare la sua lingua con quella del ragazzo. Entrambi chiusero gli occhi, ma con la differenza che Federico preferì non averlo mai fatto. Perché non appena chiuse le palpebre vide un altro volto, e altre labbra pensò di baciare come aveva già fatto, d’altronde, una volta. Cercò di non pensarci, di non pensare a Michael, ma non ci riuscì a lungo. Portò una mano nei capelli della ragazza e constatò che quelli non erano i ricci morbidi che aveva già stretto tra le dita.
Sentì una forte morsa allo stomaco, una sensazione di vuoto che gli fece capire che era andato tutto storto, alla fine.
Giulia si spostò su di lui e accarezzò l’intimità del suo ragazzo, ma questa non ebbe alcuna reazione al suo tocco finché Federico non si costrinse a immaginare che quella mano - benché troppo piccola - fosse di Michael. Solo allora ebbe l’erezione sperata e capì che era un casino, perché non poteva più tornare indietro da tanto tempo, nonostante si fosse costretto a credere il contrario.
Alla fine niente era andato come voleva lui.
E così, sotto i baci di labbra che non voleva, a contatto con un corpo che forse non desiderava più, lo realizzò: Federico si era innamorato di Michael.

- - - - - - 
ANGOLO AUTRICE
Come promesso, sono tornata (purtroppo per voi). Innanzitutto voglio dire che mi spiace che questo capitolo sia un po' più breve degli altri, ma per necessità tecniche (?) non ho potuto scriverlo troppo lungo - se vi consola il prossimo sarà più lunghetto e anche meno angst ahah. E comunque so a cosa state pensando e la risposta è no, non vi preoccupate, i ricci di Mich sono ancora tutti là, diciamo che li ha tagliati solo un po' c: Infine, come sempre ringrazio chi recensisce, vi lovvo troppo <3 
Al prossimo capitolo! <3

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Capitolo 8
*** Ottavo ***


- 8 -
 
Quando il giorno dopo si svegliò, Federico ringraziò di essere solo nel letto matrimoniale.
Alla fine era successo, si era davvero innamorato di Michael. Ma come poteva essere altrimenti, con quel metro e novantuno di dolcezza concentrata? Federico scosse la testa: non andava per niente bene pensare a lui come una dodicenne innamorata. Il tatuato si sollevò a sedere sul letto e si passò una mano sul volto. Notò solo allora che sul comodino Giulia gli aveva lasciato un biglietto.
 
“Eri così carino che non ho voluto svegliarti ;)
Sono all’uni, ci vediamo per pranzo <3
Giu <3”
 
Federico accartocciò con rabbia il post-it e lo lanciò da qualche parte sul pavimento. Aveva realizzato di essersi innamorato di un ragazzo, era vero, ma questo non rendeva più semplici le cose. Lui aveva ancora Giulia. Fece la pazzia di prendere il cellulare e mandare un messaggio a Michael.
 
10:43
Inviato da: Federico
Mich dobbiamo parlare. Ti prego non ignorarmi.
 
Michael si svegliò di soprassalto perché il telefono sul suo comodino vibrò. Danny, al suo fianco, mugolò qualcosa di incomprensibile ma tornò a dormire pesantemente.
Il riccio si stropicciò gli occhi e prese il cellulare. Quando vide un messaggio da parte di Federico il cuore gli balzò in gola tanto velocemente che rischiò di sputarlo sul pavimento in quel preciso istante.
 
10:47
Inviato da: Michael
Non penso che abiamo qualcosa da dirci.
 
Federico sapeva che avrebbe risposto così, lo sentiva. E aveva anche ragione, il riccio, a comportarsi in quel modo.
 
 
10:44
Inviato da: Federico lo stronso
Ora ti chiamo. Rispondi, per favore...
 
Il riccio si disse che quello era giocare sporco, perché lui non avrebbe mai e poi mai rifiutato una sua chiamata. Ma neanche se l’odio che provava per lui fosse stato più grande di quanto lo amava.
Mentre attendeva la chiamata si allontanò dalla camera da letto senza far rumore e si avviò nel soggiorno dell’attico. Si avvicinò all’enorme finestra e vide il panorama di Milano, che era sempre bellissimo e sempre caotico.
Quando il cellulare vibrò nella sua mano decise di rispondere dopo alcuni istanti.
«Cosa c’è?»
Il tono di Michael era duro.
«Mich dobbiamo parlare di persona. Devo dirti una cosa importante. Ti prego.»
A malincuore, neanche a quello riuscì a dire di no.
 
I due ragazzi si videro poco dopo sotto casa del riccio, in una stradina in cui avrebbero potuto parlare tranquillamente. Michael era seduto su un muretto fin troppo alto anche per lui, le gambe che dondolavano e gli occhi che fissavano il cemento chiaro.
Federico arrivò e guardarlo per Michael fu un colpo al cuore: aveva un paio di pantaloni neri e una felpa con disegni a colori fluo. Non appena fu davanti al riccio gettò il filtro della sigaretta lontano da sé. Michael aveva di nuovo abbassato lo sguardo a terra e neanche Federico alzò il suo finché non fu completamente sicuro di sé stesso.
«Mich io devo dirti una cosa importante. Davvero, riguarda la mia vita e ci sei dentro anche tu, ormai.»
«Sure? Me ne sono andato dala tua vita come hai detto tu. Perché dovrei ritornarci?»
Il riccio alzò lo sguardo rabbioso a puntarlo nel suoi occhi.
Federico gelò sul posto. Già. Nella sua frenesia confusa non aveva calcolato il fatto che forse Michael adesso stava bene, che era felice con Danny. Che forse Michael l’aveva già dimenticato e non provava più niente per lui. A questo pensiero Federico si sentì male. Non poteva essere così, non lo avrebbe mai accettato.
«Tu mi piaci, Mich. Lo dico davvero, io-»
«Oh, fuck off, Fedé! Non continuare, potresti pentirtene.»
«No, Mich, ascoltami, cazzo!» Federico alzò la voce con rabbia e allargò le braccia. «Ti ho allontanato da me perché mi ero reso conto che qualcosa non andava e avevo paura. Sai perché avevo paura? Perché mi sono eccitato tre volte con te, perché immaginavo di baciarti, di toccarti e per me non era normale. Capisci? Io non riuscivo ad accettarlo e forse neanche adesso ci riesco ancora, ma la novità è che non me ne frega niente perché ti voglio. Ti voglio vicino a me, al posto di Giulia. Ti voglio e basta, e sono stanco di fingere di essere felice. Non so cosa mi stia capitando, ma una cosa la so: non posso continuare a scappare, Mich, non voglio più farlo.»
Il cuore di Michael stava battendo ad un ritmo che neanche avrebbe saputo definire. Era confuso ma felice. Nessuno gli aveva mai detto quelle cose, con quella sincerità disarmante e quel tono di voce di chi vuole davvero qualcosa e sa di non poter lasciar correre altro tempo o se la farà scappare. Michael non era mai stato indispensabile per qualcuno, nessuno lo aveva mai fatto sentire così prezioso.
Ma il riccio sapeva bene che poteva essere anche solo un’infatuazione, l’eccitazione per qualcosa di nuovo e di diverso.
«Fede, ti prego... io non volio soffrire più. Adesso sto bene, con Danny.»
Il suo tono di voce, però, non era infastidito, era triste. Era come se stesse raccontando quella cosa a sé stesso, e infatti per poter mentire in quel modo dovette abbassare la testa.
Federico lo guardò senza dire nulla. Michael scese dal muretto con un piccolo balzo e, non sentendo repliche da parte del tatuato, fece per andarsene. Ma Federico gli bloccò un polso e il riccio fu costretto a voltarsi di nuovo verso di lui.
Il tatuato non seppe cosa dire e decise che era finito il momento di parlare. Se aveva qualcosa da dire doveva solo dimostrarglielo. Così afferrò la nuca del riccio e la spinse verso di sé. L’altro non oppose resistenza quando le loro labbra combaciarono. Federico fu il primo a chiudere gli occhi, Michael era ancora troppo scosso, all’inizio, per smettere di tenere i suoi occhi ambrati spalancati. Quel puro contatto durò ben poco, perché presto Federico si rese conto di volere di più. Tentò di fare irruzione con la lingua nella bocca di Michael e ci riuscì, quando questo chiuse gli occhi e, schiudendo le labbra, lasciò che l’altro incontrasse la propria lingua.
Entrambi si resero conto che era da tanto, troppo tempo che i loro cuori non battevano in quel modo per un bacio: Federico si sentiva un po’ sciocco, in realtà, mentre Michael si sentiva davvero una ragazzina innamorata. Il tatuato posò l’altra mano fra il collo e la guancia del riccio.
Fu un bacio dolce e delicato, seppur un intenso scambio di saliva e sapori: Michael percepì quello di fumo della sigaretta appena fumata da Federico; il tatuato invece sentì la menta fresca del dentifricio di Michael, quel tubetto che lasciava sempre dappertutto in casa quando ancora condividevano lo stesso appartamento.
Quando si staccarono si guardarono negli occhi per un po’. Sul volto del riccio si aprì un sorriso piccolo  tra il tenero e l’imbarazzato. Era così carino che anche Federico non poté non sorridergli a sua volta. Il primo a distogliere lo sguardo fu Michael, e lo fece per guardarsi le punte delle sneakers bianche.
«And now?»
Già, e adesso?
«Adesso è tuto un casino» sospirò. «È un disastro di due disastri como noi» ridacchiò.
Anche Federico rise e non poté evitare, con un braccio, di cingere la vita del riccio. Solo allora si rese conto che il contatto con il corpo di Michael era come una droga: una volta che l’aveva provato non poteva più farne a meno. Si persero nuovamente in una scia di piccoli e delicati baci a stampo in cui le loro labbra semplicemente si sfiorarono. Entrambi avrebbero voluto restare lì per ore, ma avevano due vite diverse che li aspettavano, due realtà al di fuori di quel castello di sabbia che stavano imparando a costruire insieme.
Si poggiarono contro il muretto fianco a fianco, restando abbracciati, e il più alto poggiò la propria testa su quella dell’altro.
Fu Federico il primo a rompere quel silenzio quasi surreale e a riportarli entrambi alla realtà. Gli dispiacque molto, ma aveva bisogno di risposte, di sapere cosa il riccio aveva in mente di fare.
«Resterai con Danny?»
Il pensiero di Danny - in quel momento così sublime - per Michael fu come ricevere un pugno nello stomaco. Se lo stava domandando anche lui, in realtà, cosa avrebbe fatto con il biondo. Non sapeva qual era la cosa giusta da fare: quel ragazzo si era fidato di lui, non poteva lasciarlo di nuovo. E poi dall’altro lato c’era Federico.
«E tu con Giulia?»
Domandò a bruciapelo l’inglese. Anche Federico avvertì lo stesso pugno nello stomaco. Il riccio era pronto a seguire Federico, ma sapeva che il tatuato aveva bisogno di tempo per metabolizzare ciò che era, e ancora di più tempo avrebbe avuto bisogno per rivelarsi alle persone che conosceva. Solo che lui non era sicuro di poterlo seguire per tutto il tempo necessario.
«Non lo so, Mich. Ma ti prego, non tornare da Danny.»
Federico ripensò alla scena che aveva visto di Danny e Michael tra le auto e gli salì una fortissima ondata di rabbia: non avrebbe mai più accettato che fosse qualcun altro oltre lui a toccare Michael.
Il riccio avrebbe voluto dirgli che se lui non doveva tornare dal biondo, neanche Federico doveva tornare da Giulia; ma sapeva che quella sarebbe stata una pretesa troppo grande.
«Danny è un bravo ragazzo...» era un sospiro, quello di Michael.
«Lo so. Ma io non posso accettare che qualcun altro ti tocchi e ti baci.»
Il riccio sorrise. Era davvero bello essere importante, essere l’oggetto della gelosia di qualcuno. Danny non l’aveva mai fatto sentire così.
«Non tornerò da Danny.»
«Allora vieni a casa con me» Federico lo abbracciò più forte in vita.
«Devo prima lasciarlo, Fedé!» Ridacchiò Michael.
Anche Federico rise. Dio, era così felice accanto a quel ragazzo.
I due si separarono ai piedi del grattacielo dove c’era l’attico di Danny. Michael aveva lo stomaco completamente chiuso e una paura tremenda. Federico lo notò.
«Ehi, stai tranquillo» gli accarezzò la schiena.
«Sono uno stronzo, Fede, lo sto lasciando perché l’ho tradito, praticamente.»
Il riccio non riusciva a darsi pace per quello.
«Preferisci continuare ad ingannarlo?»
La domanda si disperse nell’aria perché Michael non rispose: lanciò un’ultima occhiata dubbiosa all’altro e poi si avviò verso l’ascensore.
Mettere piede in quell’appartamento fu difficilissimo. Il biondo doveva essersi svegliato da poco ed era in piedi al centro dell’attico, con il cellulare in mano e uno sguardo spaventato.
«Mich, ma si può sapere dove cazzo eri finito? Mi sono svegliato senza te accanto e ti ho anche chiamato al telefono, ma non mi hai risposto.»
Il riccio ricordò solo in quel momento di avere un cellulare.
«Scusa, io-»
Ma Danny non lo lasciò finire, semplicemente lo abbracciò e gli sorrise dolcemente.
A malincuore Michael dovette allontanarlo da sé, anche se lo fece delicatamente. Lo sguardo di Danny era confuso. Di tutta risposta il riccio guardò a terra. Non era sicuro di star facendo la cosa giusta. per niente. Non sapeva se la storia con Federico sarebbe durata, se si fosse anche potuta definire una storia. Stava lasciando Danny per un ragazzo che era allo stesso tempo la sua più grande felicità e il suo più grande punto di domanda. Anche perché poi Federico era un punto di domanda pure per sé stesso.
«Mi dispiace, Danny, io...»
Prese un grosso respiro.
«Io ho conosciuto un altro ragazzo, ho deciso di stare con lui adeso
Non gli sembrò per niente il miglior modo di dire le cose, anzi, ma davvero non avrebbe saputo trovare altre parole.
La faccia di Danny mutò, adesso era visibilmente arrabbiato.
«Ah sì, è così? Prima te ne vai di casa e mi pianti, poi fai il sostenuto, poi torni da me con la coda tra le gambe e adesso mi dici che hai un altro...»
Sul viso del biondo si aprì un sorriso amaro.
«Spiegami che cazzo dovrei pensare, adesso. Che non sei una puttana? Questo dovrei pensare?»
Il riccio contrasse le labbra.
«Non chiamarmi così, non ti permetere
«Perché, cosa pensi di essere? Mi stai dando tutti gli elementi per definirti così.»
«Vaffanculo, Danny!»
Michael accompagnò quella frase con un sonoro schiaffo sulla guancia sinistra del biondo, che continuò a sorridere amaramente. Il riccio aveva quasi le lacrime agli occhi: odiava essere definito in quel modo, ma in fondo sapeva che Danny aveva ragione, e la cosa gli faceva ancora più male.
«Ti sbagli se pensi che ti lascerò andare con un altro.»
La mente del riccio non ebbe neanche il tempo di realizzare il contenuto di quella frase che l’altro aveva già spinto la sua testa contro la propria e stava baciando e mordendo le labbra di Michael. Il riccio fu disgustato da quel gesto e tentò di protestare e allontanare Danny da sé, ma il biondo, nonostante fosse il più basso, era anche il più forte, e teneva l’altro stretto contro il suo corpo. Danny era sempre stato il più forte.
Michael mise le mani contro il petto del biondo e spinse per allontanarlo da sé, ma Danny lo spinse con violenza contro il muro più vicino senza smettere di mordere le sue labbra con i denti e infilando le sue mani sotto la maglietta del riccio. L’ultima cosa che Michael desiderava era quel contatto così brusco. Senza neanche accorgersene alcune lacrime cominciarono a solcargli il viso. Non voleva tutto quello, ma non riusciva a staccarsi il biondo di dosso, non sapeva cosa fare. Le gambe cominciarono a tremargli, aveva paura che Danny non si fermasse lì.
«Non sarai di nessun altro, Mich» gli sussurrò sulle labbra.
«Tu sei pazzo, lasciami stare!»
Michael si rese conto di star piangendo dalla voce spezzata che uscì dalla sua gola.
Danny era furioso e spinse il suo corpo ulteriormente contro quello del riccio. Stavolta Michael girò la testa di lato di modo che l’altro non potesse più raggiungere le sue labbra.
«Baciami» disse perentorio Danny.
Michael ingoiò a fatica ma non gli diede comunque quella soddisfazione.
«Baciami, ho detto!» Tuonò il biondo, ma neanche stavolta Michael lo ascoltò.
Il biondo spostò una mano dal corpo di Michael e andò ad afferrare con forza i suoi ricci per tentare di dirigere le labbra dell’altro verso le sue. Il riccio invece approfittò di quell’attimo per spingere con forza Danny all’indietro. Il biondo non si aspettava quella reazione e ricadde all’indietro sul divano.
Michael si precipitò giù per le scale con le gambe che ancora gli tremavano. Stava scendendo gli scalini fin troppo velocemente mentre pensava che aveva sbagliato ancora una volta. Era stato uno stupido errore considerare Danny un bravo ragazzo, e un errore ancora più grave quello di lasciarlo di persona e non con una chiamata. Ma perché continuava a sbagliare? Le lacrime di Michael non si fermarono sul suo volto. Ci mise fin troppo tempo ed energie per scendere tutte le scale del grattacielo, ma ogni volta che pensava di fermarsi e prendere l’ascensore aveva paura che Danny, spuntando alle sue spalle, lo sospendesse di nuovo. Fu questa paura che, nonostante le gambe gli tremassero, lo fece arrivare dal suo Federico. Il tatuato lo vide uscire di corsa, piangente, e si precipitò verso di lui con il cuore in gola. Il riccio semplicemente lo abbracciò.
«Cazzo, Mich, che è successo?»
Federico - per quanto in quel momento desiderasse stringerlo tra le proprie braccia - fu costretto ad allontanarlo da sé per guardarlo in faccia: le labbra del riccio erano livide e martoriate, specialmente il labbro inferiore.
«Dimmi cos’è successo, cazzo! È stato quello stronzo?»
Michael aveva un groppo in gola che gli impediva di parlare, riusciva solo a singhiozzare contro il proprio volere. Ma il silenzio a Federico bastò per capire.
«Io lo ammazzo» disse semplicemente e si avviò furibondo al portone del grattacielo.
Il riccio però lo bloccò per un braccio e il tatuato si voltò verso di lui di scatto.
«No, ti prego, andiamocene.»
«Non ci penso neanche! Adesso me la paga, quello stronzo!»
Federico si liberò dalla presa del riccio e si voltò nuovamente verso il palazzo, quando fu bloccato dalle parole di Michael.
«Non lasciarmi da solo, ti prego.»
Era più un lamento, in realtà, ma il tatuato lo sentì benissimo. Si girò verso il riccio e lo vide accasciarsi lentamente contro un’auto. Corse da lui e lo prese tra le braccia per sostenere il peso del suo corpo.
«Mich?» sussurrò vicino al suo orecchio e per un attimo - vedendo le condizioni del ragazzo - pensò che Danny gli avesse fatto anche peggio di quello che lui riusciva a vedere.
«Andiamo a casa.»
 
Nell’appartamento di Federico Michael si sentì veramente di nuovo a casa. Gli era mancato così tanto quel posto, l’unico che lo faceva sentire bene tanto quanto lo era stato a Londra con la sua famiglia.
I due erano seduti sul divano dell’appartamento: Michael era poggiato con la testa contro la spalla di Federico e le ginocchia rannicchiate al petto. Tra le mani aveva la sua fidata tazza di thè caldo che il tatuato gli aveva preparato poco prima. Il riccio aveva le labbra poggiate sulla tazza e lo sguardo perso nel vuoto.
Anche il contatto con il corpo di Michael, per Federico, era la sua casa. Stava così bene e gli dispiacque davvero tanto interrompere quella calma per reintrodurre l’argomento “Danny”. Dio, se solo Federico ripensava a quel nome gli saliva una rabbia tremenda.
«Ti ha fatto male? Ti ha picchiato?»
Il tatuato sentì l’altro scuotere la testa.
«No, lui ha solo... mi ha baciato e bassta
Federico pensò che dovesse essere stato un bacio abbastanza violento. Strinse i pugni.
«Solo questo? Me lo giuri?»
«Sì, te lo giuro Fedé
Il tatuato si rilassò un po’ di più. Era stato tutto il tempo teso come una corda di violino. Il silenzio ricadde tra di loro, ma non era un silenzio di tensione, anzi, raccontava mille delle loro sensazioni; era calma, ascolto, fiducia.
Stavolta fu Michael ad interrompere quel silenzio.
«Fede poso farti una domanda?»
«Mh» annuì.
«Cosa tu ci trova di così bello in me? Cioè, insomma... mi hai visto, sono un casino...»
Federico ridacchiò.
«Sì, hai delle gambe spropositatamente lunghe, questi capelli sempre disordinati» Federico gli passò una mano tra i ricci che si scompigliarono, sotto una lieve protesta di Michael. «Poi hai degli sbalzi d’umore incredibili, sembri davvero una donna incinta, un attimo prima piangi e quello dopo ridi o tutte e due le cose insieme, boh!»
«Ehi!»
«E sei davvero un imbranato. Ma sul serio, ogni cosa che fai rischi di combinare un disastro... se ti lascio con un accendino in mano dai fuoco alla casa!»
Michael si staccò dalla spalla di Federico e lo guardò negli occhi mettendo su un piccolo broncio. Poi il riccio diede un pugno al braccio dell’altro, il quale si massaggiò il punto dolorante ma senza smettere di ridere.
«Ehi, Fedé, io ti ho chiesto cosa ho di bello, cazzi
A quell’affermazione Federico non riuscì a trattenersi dal ridere più forte.
«Ah, già, e dimenticavo il tuo italiano!»
Federico si beccò un altro pugno sul braccio - stavolta davvero forte - e Michael stava quasi decidendo di alzarsi dal divano e allontanarsi da lui.
«Ma proprio non capisci, eh?»
Quell’espressione rese il riccio davvero confuso. Federico smise di ridere ma mantenne lo stesso un mezzo sorriso su volto.
«È proprio questo che ti rende così... Michael! Tu pensi che siano difetti, ma non è così. Sono le tue caratteristiche, Mich, e io le trovo adorabili. Tu sei adorabile.»
Federico non poté resistere oltre e gli stampò un bacio sulle labbra. Quando si allontanò dall’altro lo vide ancora confuso.
«Davvero, devi smetterla di odiarti così tanto, di crederti un disastro.»
Michael si morse le labbra.
«Tu sei bellissimo, dolcissimo, onesto, sei un ragazzo trasparente e brillante. E hai anche una voce meravigliosa, non ti permetterò di continuare ad odiarti.»
Sul volto di Michael si allargò un sorriso enorme, di quelli che Federico amava particolarmente. Poi il riccio si rituffò sulle labbra del tatuato, che approfondì il bacio.
Quando si staccarono Michael lo abbracciò: nessuno oltre sua madre gli aveva mai fatto tutti quei complimenti e lui era rimasto senza parole.
Federico guardò l’orologio: era mezzogiorno passato da un po’. Sobbalzò e si staccò dal riccio.
«Cazzo, Giulia sarà qui a momenti.»
Si diede una sistemata e si diresse in bagno mentre Michael lo seguiva tristemente con lo sguardo: era quello il prezzo da pagare per restargli accanto?
«Devo cucinare!» Saltò su il riccio e si diresse rapidamente in cucina.
 
Giulia tornò a casa verso l’una e mezza. Non appena mise piede nell’appartamento notò il vuoto completo.
«Ehi! Fede, sono a casa!»
«Siamo qui!» Esclamò Federico dalla cucina.
Giulia aggrottò la fronte.
«Siamo?»
Non ebbe risposta, quindi lasciò il cappotto all’ingresso e si diresse verso la cucina. Con grandissimo piacere notò Michael e gli si buttò addosso in un caloroso abbraccio.
«Mich!»
Il riccio sorrise appena, ma era un sorriso forzato: si sentiva male al solo pensiero di mentire a Giulia. E si sentiva anche peggio se pensava che aveva baciato il suo ragazzo.
In una classifica milanese degli stronzi Michael in quel momento si collocò al secondo posto, giusto dopo Danny.
Giulia si separò dall’abbraccio e lo guardò con occhi scintillanti.
«Sono contenta che tu sia tornato, davvero.»
«Anche io» rispose il riccio allargando il sorriso e tornando ad occuparsi del pranzo.
 
Verso le sei di sera del lunedì Giulia fu chiamata da una sua amica, Luisa, che le chiese di andare a casa sua: aveva appena rotto con il fidanzato e stava malissimo.
«Penso che resterò a dormire da lei, sai... si sono lasciati dopo cinque anni, dev’essere durissima per lei.»
Federico annuì e percepì una sensazione di vuoto. Come se si fossero lasciati lui e Giulia, quasi.
La ragazza indossò il parka verde e uscì dall’appartamento scoccando un bacio a stampo sulle labbra del suo fidanzato. Quando la porta fu chiusa Federico si girò verso Michael che aveva guardato la scena con una piccola dose di gelosia accompagnata ad un’enorme dose di sensi di colpa.
Il tatuato capì il suo stato e lo raggiunse sul divano.
«Non devi sentirti in colpa. Troverò il modo di dirglielo e vedrai che la prenderà bene.»
Ma Michael non era stupido. Sapeva come l’avrebbe presa Giulia, e “bene” non era una delle opzioni contemplate.
Il riccio sospirò e Federico, per distrarlo, si tuffò sulle sue labbra. Quel contatto tanto desiderato per Michael fu come il dissiparsi di ogni senso di colpa o dubbio. Portò le sue mani ad allacciarsi dietro il collo del tatuato: il suo odore era bellissimo. Federico introdusse la lingua nella bocca dell’altro con una certa urgenza, mentre le sue mani vagavano forse troppo freneticamente sul corpo del riccio, alla costante ricerca di contatto. Afferrò delicatamente il riccio per le spalle e lo fece stendere di schiena sul divano, posizionandosi sul suo corpo. Si staccarono per un breve attimo ma ripresero subito quel bacio famelico. Le mani del tatuato stavolta si infilarono sotto la camicia di Michael e vagarono sul suo torace: quando si spinsero più su, Federico provò quasi una sensazione di vuoto nel constatare che quello non era il corpo di una donna. Ricacciò quel pensiero e deglutì. Michael avvertì che c’era qualcosa in lui che non andava, quindi si staccò con delicatezza dalle labbra dell’altro e lo osservò per un istante. Ma Federico lo desiderava, ne era sicuro, e riprese di nuovo quel bacio mancato. Le mani del più piccolo andarono stavolta a scorrere lungo i fianchi del riccio, poi giunsero alle sue gambe e ne percorsero i muscoli accennati. Ancora una volta Federico avvertì un forte disagio quando, sotto il suo tocco, realizzò che quei muscoli appena delineati non erano comunque quelli di una ragazza. Di nuovo ricacciò quel pensiero e spostò le mani sui glutei del riccio. Adesso anche le mani di Michael vagavano desiderose lungo la schiena del tatuato. Federico abbassò il suo corpo ulteriormente contro quello di Michael e le loro erezioni si scontrarono mentre il riccio emetteva un gemito strozzato. E stavolta - mentre il tatuato constatava che ciò che aveva sotto di sé non era decisamente di un corpo femminile - Federico non riuscì a ricacciare quell’opprimente sensazione. Si tirò su di scatto e Michael aprì gli occhi quando sentì uno spostamento d’aria fredda al posto del caldo corpo di Federico. Federico si passò una mano tra i corti capelli, completamente a disagio. Il riccio lo guardò dispiaciuto e si rimise a sedere anche lui.
«Mi dispiace, io... non ci riesco, mi dispiace.»
Quello di Federico fu un sussurro, perché davvero non riusciva ancora ad approcciarsi al corpo maschile che poco prima aveva sotto di sé.
«È tuto a posto, Fede.»
Michael conosceva benissimo quella sensazione, l’aveva provata anche lui i primi tempi in cui aveva cominciato ad esplorare un corpo maschile. E pensò che per Federico dovesse essere ancora peggio, dato che era stato per tanti anni con delle ragazze.
Il riccio si avvicinò a Federico e lo abbracciò dolcemente, mentre gli posava un leggero bacio sulle labbra.
«È ok, non fa niente. Io capisco. Tu ha bisogno di tempo e noi non abiamo fretta.»
Il riccio gli sorrise, ma l’altro non riuscì a sorridere a sua volta: era troppo preoccupato dal fatto che forse lui non si sarebbe abituato mai a quella sensazione.
Le erezioni di entrambi erano ancora ben visibili.
«Adeso sistemo io.»
Michael si avvicinò al corpo di Federico e divaricò le sue gambe incastrandole fra quelle del tatuato, che in quel momento era così scosso da lasciarsi fare di tutto come una marionetta fra le mani del suo burattinaio.
Michael slacciò i pantaloni di Federico e gli abbassò il più possibile anche i boxer, poi impugnò la sua erezione e cominciò a muovere la mano per tutta la sua lunghezza, dapprima lentamente, poi sempre più velocemente. Il tatuato chiuse gli occhi mentre le labbra di Michael lasciavano baci umidi sul suo collo. Il respiro di Federico divenne sempre più irregolare sotto la mano del riccio che aumentava di velocità.
«Mich-»
Michael avvicinò la bocca aperta e ingoiò il seme di Federico. Poi chiuse le labbra e le inumidì rapidamente. Quando Federico riaprì gli occhi vide lo sguardo triste del riccio, che si affrettò a nasconderlo.
«Vado in bagno» sussurrò Michael.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
Lo so che Danny è uno stronzo, che ci vogliamo fare? È insidioso e lo odio anch'io, se questo può farvi sentire meglio. E comunque vi ho donato il loro primo vero bacio, che tenerelli. <3 Dai, finalmente le cose cominciano ad andare meglio, se si esclude l'ultima parte del capitolo. E la parte di Danny. E la parte di Giulia. Cazzo, volevo fare un capitolo meno angst e invece D: mi sento male. Spero che apprezziate comunque, ecco.
Ringrazio molto le adorate personcine che hanno recensito lo scorso capitolo <3 <3 (vi metto addirittura due cuori, oh, così divento troppo dolce.)
E un grazie anche a chi legge silenziosamente, che invito a farmi conoscere la propria opinione (positiva o negativa) su questa storia, perché davvero, I need that. <3
Al prossimo capitolo, guys <3

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Capitolo 9
*** Nono ***


- 9 -
 
Federico forse provava anche più imbarazzo per ciò che non era successo, il giorno prima. Si sentiva inadatto, come un ragazzino che non riesce alla sua prima volta - ed era effettivamente così, perché quella sarebbe stata la prima volta con un uomo, per lui.
Quel martedì mattina Giulia non aveva i corsi e la sua presenza in casa era ingombrante: nessuno dei due ragazzi riusciva a sentirsi in pace con la propria anima, sapendo ciò che stavano nascondendo a lei. Per un attimo - tra un foglio di rime e l’altro - Federico anche pensò di dirle tutto e subito, pur di togliersi quell’opprimente sensazione che gli pesava sul petto come un macigno. Ma poi realizzò che sarebbe stato un casino completo, che avrebbe dato anche un motivo in più a sua madre per odiarlo e chiudere definitivamente con lui.
Sul tavolo della cucina il telefono di Michael vibrava senza sosta, mostrando il nome di Danny. Federico fu distratto da quel continuo vibrare.
«Mich, vado a prendere le tue cose a casa di quello stronzo» disse tutto d’un fiato Federico.
Il riccio non si aspettava di certo quella proposta.
«No, Fede...vado io ogi
«Non se ne parla neanche. Sei stato fortunato la volta scorsa. E sai di cosa parlo.»
I due ragazzi avevano raccontato a Giulia una storia un po’ diversa da quella che era accaduta realmente, ma in entrambi i casi Danny era il violento della situazione.
Michael sospirò soltanto e annuì.
«Va bene. Grazie.»
Così Federico si ritrovò davanti alla porta bianca dell’attico del biondino stronzo. Danny non chiese chi fosse alla porta perché pensava di trovarsi davanti il riccio. Alla vista del tatuato quasi avrebbe preferito chiudergli la porta in faccia - giusto per ricambiare il favore.
Il biondo incrociò le braccia al petto e si poggiò allo stipite della porta.
«Cosa vuoi?»
«Sono venuto a prendere le cose di Michael. Fammele prendere e me ne vado.»
«Che c’è, la puttana non sapeva venirsele a prendere da sé, le sue cose?»
Federico non ci vide più dalla rabbia e lo afferrò per il colletto della maglia.
«Non permetterti mai più di chiamarlo così, hai capito?»
Sul volto di Danny c’era un mezzo sorriso dal retrogusto amaro.
«Dici così perché non lo conosci. Tu non sai con chi è stato. Tu non sai cos’ha fatto.»
Federico ci pensò per un secondo e si rese conto di conoscere ben poco della vita sentimentale di Michael.
«Però so che uomo di merda sei tu, l’ultimo al mondo di cui mi fiderei. Quindi se hai finito, mostrami dove sono le cose di Michael e in un attimo sono fuori di qui.»
Il tatuato lo lasciò andare e l’altro gli indicò il trolley di Michael e i suoi vestiti in camera da letto.
Federico aprì rapidamente la valigia e ci mise tutti i vestiti del riccio, cercando di fare il prima possibile. Danny lo guardava da poco distante, quasi con superiorità.
«Quindi sei il suo nuovo ragazzo, eh? Sei tu quello per cui mi ha lasciato. Avrei dovuto capirlo.»
«Non sono il suo ragazzo, siamo solo amici. Io sono fidanzato con una ragazza.»
La forte risata del biondo risuonò per le pareti della stanza.
«Oh, bello» commentò. «Vorrei proprio vedere come ne uscirai.»
Era una provocazione, Federico lo sapeva, e decise di ignorarla.
«E comunque, se ti interessa, con Michael ho fatto il miglior sesso della mia vita. Solo una volta è stato un po’... un disastro, ma quando è tornato da me gliel’ho perdonata. O meglio, lui si è fatto perdonare. Era proprio arrapato, si è fatto fare di tutto. Me lo sono proprio scopato come una troia tutto il tempo e non ho dovuto neanche pagare!»
Federico si girò bruscamente verso di lui e lo spintonò. Sapeva che anche quella era una provocazione, ma ne aveva abbastanza di quel fastidioso ronzio nelle orecchie che era la voce di Danny. Come aveva fatto Michael a innamorarsi di un tale stronzo?
«Devi smetterla di parlare di lui così, tu non sei degno neanche di nominarlo.»
«Oh, scusa. Cos’è, una specie di divinità? Se tu lo conoscessi come lo conosco io non saresti della stessa opinione.»
Federico decise di fermarsi o avrebbe combinato un casino, e lui non poteva passare dalla ragione al torto, non con quell’individuo. Quindi afferrò il trolley di Michael e si diresse rapidamente verso la porta. Ad un passo da questa si voltò di nuovo verso il biondino.
«E smettila di chiamarlo, mandargli messaggi o cercare di contattarlo, hai capito? Altrimenti ti denuncio per stalking.»
Si rigirò e afferrò la maniglia della porta, aprendola.
«Salutamela tanto, la puttanella!» Rise Danny mentre Federico attendeva l’ascensore.
«E vedrai che quando consocerai alcuni dettagli delle sue scorse relazioni la penserai come me.»
Le porte dell’ascensore si chiusero tra la faccia di Danny e quella di Federico. Il tatuato sospirò scrollandosi di dosso un peso. Eppure sentiva di dover indagare per davvero sulla storia passata di Michael, ma l’avrebbe fatto alla luce del sole. Era quasi del tutto sicuro che il riccio non avesse nulla da nascondere e che quello fosse solo un gioco di Danny. O no?
 
In cucina Michael stava preparando un pollo con le verdure e con quello che a Giulia sembrava troppo vino bianco. La ragazza, seduta al tavolo, vedeva Michael armeggiare con i fornelli e gli strumenti da cucina, nonché imprecare qualche volta in inglese o parlare a bassa voce con sé stesso.
«Mich, sei sicuro che ci vada bene tutto quel vino bianco?»
La voce di Giulia era incerta.
Michael non si voltò perché stava mettendo alcune verdure bollite nel mixer per farci una crema.
«Sì, sì» annuì. «È scrito su la ricetta.»
«Uhm, ok.»
La ragazza lo lasciò continuare perché se c’era una cosa che odiava era l’invasività di alcuni mentre lei cucinava, e pensò che per il riccio dovesse essere lo stesso.
In tutto quel silenzio solo la tv era accesa in sottofondo, con un volume basso che veniva addirittura superato dalle cuffiette di Federico, seduto poco distante con le gambe accavallate.
Giulia notò che Michael era più spento del solito, e anche lo strano umore del suo ragazzo non passò di certo inosservato: sembrava averla evitata per tutta la mattinata. Decise comunque di non chiedere immediati chiarimenti, per vedere se entrambi stessero davvero evitando lei o era solo una sua sensazione.
A tavola le cose furono anche peggio. Michael e Federico mangiavano con la testa calata nel piatto. Forse per Federico non era strano, ma se Michael era logorroico durante tutta la giornata, lo era specialmente mentre mangiava; adesso invece nessuno dei due apriva bocca, e Giulia decise di farlo lei.
«È molto buono questo pollo, Mich, e anche la crema di verdure.»
La sua voce era più indagatoria che di complimenti.
Il riccio sbatté le palpebre un paio di volte e la guardò come se fosse appena tornato da un altro pianeta.
«Grazie» disse solamente, dopodiché tornò a calare la testa nel piatto.
Ok, quella non era decisamente una reazione da Michael: in un altro momento avrebbe raccontato dove aveva trovato la ricetta, che vino aveva usato, perfino le esatte parole che aveva detto al macellaio quando era andato a comprare il pollo. E invece non spiccicava parola. Doveva per forza esserci qualcosa che non andava. Ma Giulia decise comunque di aspettare la fine del pranzo, almeno il primo pomeriggio.
«Vi va un film?» Domandò infatti dopo aver finito di lavare i piatti con Michael.
«Sto scrivendo» sussurrò Federico.
«Io anche penso che adeso devo dedicarmi ala musica.»
Il riccio aprì il suo portatile che aveva già posizionato sul tavolo e cominciò a concentrarsi sulle tracce registrate in GarageBand.
Giulia lasciò trascorrere giusto cinque minuti, poi tolse a Federico le cuffiette e chiuse il portatile di Michael, sotto le proteste di entrambi. I due furono, però, finalmente costretti a guardarla negli occhi.
«Adesso mi dite che cosa avete.»
I due alzarono quasi insieme le spalle, ma Giulia non si sarebbe mai arresa così facilmente: i loro volti erano colpevoli di qualcosa che le stavano tenendo nascosto.
«Non me la bevo, eh» il tono era serio e Federico giurò di averla sentita così poche volte, specialmente quando litigavano oppure poco prima di litigare.
Michael, invece, si mordeva nervosamente il labbro inferiore e Federico glielo aveva visto fare solo prima di un imminente disastro o dopo averne combinato già uno. Perciò decise che doveva assolutamente inventare una scusa prima che quel coglione di Michael si facesse scoprire.
Il riccio schiuse le labbra e stava per parlare, ma fortunatamente Federico lo anticipò con una scusa da premio Nobel.
«È che fra poco è il tuo compleanno e ti stiamo preparando una... cosa. Se non vuoi rovinarti la sorpresa, non indagare oltre.»
Il tatuato guardò Michael che, fortunatamente, capì al volo.
«Sì, però così lei capisce tuto» protestò per finta Michael.
«Ma non ho detto niente!»
Quella finta diatriba finì con un sorriso sulle labbra di Giulia.
«Ok, ok, ho capito. Non chiedo più nulla!»
La ragazza alzò le mani al cielo, ma né questo né il suo sorriso fece alleggerire quel peso sui cuori dei due ragazzi. Anzi.
 
«Fede, vado a fare shopping con Luisa. Stiamo via tutto il pomeriggio, voglio davvero che si riprenda dalla rottura con il suo ragazzo.»
Giulia era di buon cuore e perciò quella vicenda l’aveva toccata dal vivo: voleva esserci il più possibile per la sua migliore amica.
«Ok, divertitevi.»
Il tatuato assistette a Giulia che indossava il cappotto rosa antico e prendeva la sua borsetta. Poi la ragazza sorrise e lasciò un bacio a Federico sulle labbra.
«Ciao tesoro.»
«Ciao amore, a dopo.»
Quando Federico chiuse la porta e si girò, Michael lo stava fissando con una teglia di biscotti non ancora cotti tra le mani e uno sguardo assassino sul volto.
Il riccio si dileguò in cucina ad infornare i biscotti e Federico lo seguì.
«Che c’è? Hai visto anche tu che stava per scoprirci. Ti dà tanto fastidio se cerco di proteggerci chiamandola “amore”
Michael infilò la teglia nel forno e ne chiuse rumorosamente lo sportello. Quando si alzò e fronteggiò Federico aveva le braccia incrociate e l’espressione di un vulcano quasi in eruzione. A Federico sembrò di avere a che fare con Giulia 2.0 e quasi si maledisse per avere due donne in casa.
«Perché non glielo dici? E finiamo subito.»
«Ma sei pazzo? Questo significherebbe rivelare al mondo intero che io sono... sì, insomma, non sono pronto.»
Il riccio gli si avvicinò e con un passo fu a due centimetri dal suo volto.
«Se tu non riesce neanche a dire di essere omosessuale, alora li altri non ti accetteranno mai.»
Il tatuato schiuse la bocca per ribattere ma dopo neanche mezzo secondo Michael era di nuovo vicino al forno a impostare il timer.
«È così, non sono ancora pronto. Qual è il problema? Effettivamente noi non abbiamo fatto ancora niente e ieri tu hai detto di non avere fretta, o sbaglio?»
Il riccio tornò a guardarlo furioso.
«Fedé! Io ho detto che ho tempo per te, che io aspeto i tuoi tempi nella nostra relazione, non che volio fare l’amante!»
Federico boccheggiò aprendo e richiudendo la bocca un paio di volte.
«Tu parli già di relazione, non ti sembra di correre un po’ troppo?»
Lo sguardo del riccio si raffreddò e gli occhi color miele di Michael si abbassarono al pavimento.
«Scusa, hai ragione. Io sto correndo tropo
Le unghie del riccio erano saldamente conficcate nei palmi delle sue mani: era così, aveva corso troppo. Con un bacio e qualche lavoretto fatto da ubriaco aveva pensato già di poter parlare di relazione. Che stupido.
Si abbassò a guardar crescere i biscotti nel forno.
Federico gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla, sfiorandolo appena.
«Non volevo offenderti.»
«No, tu ha ragione. Io non ho nessun diritto di dirti cosa fare.»
La mano di Federico accarezzò dolcemente la spalla del riccio.
«Non guardarli troppo, i biscotti, se no non crescono» sorrise, sotto lo sguardo confuso del riccio.
 
La cena per Federico fu fatale.
«E quindi Luisa sta un po’ così.»
«Così come?»
«A pezzi. Come vuoi che stia dopo cinque anni di fidanzamento? Io sarei a pezzi anche dopo un mese.»
Il tatuato deglutì a fatica e la forchetta gli cadde rumorosamente nel piatto.
«Scusa» sussurrò.
«Per questo sto cercando di incollare tutti i suoi pezzi come solo un’amica sa fare. Anche se ora che ho ricominciato i corsi non ho poi molto tempo.»
«No, ma guarda che non devi farti tanti problemi se ti capita di sacrificare un po’ di tempo con me per stare con lei, eh. Luisa ne ha bisogno.»
Sul volto di Giulia si dipinse un sorriso. Dolcissimo, ma pur sempre diverso dall’unico sorriso che faceva accelerare il battito del suo cuore - anche se non lo avrebbe mai ammesso, era quello l’effetto che gli faceva Michael.
E di nuovo Federico si maledisse per stare a pensare sempre a lui anche quando era con Giulia.
«Tu faresti questo, davvero?»
Il tatuato annuì e in un attimo si ritrovò nell’abbraccio della ragazza.
«Sei proprio un tesoro.»
No, lui non era un tesoro per niente. In quel momento si sentiva più fatto di sterco, ecco.
Giulia lo baciò sulle labbra e presto pretese che quel bacio diventasse più profondo. Era giusto così, lei era la sua ragazza. Era lui ad essere sbagliato.
Federico non si accorse neanche di Giulia che andava a sedersi sulle sue gambe, e neanche di Giulia che lo faceva alzare e senza interrompere il bacio lo portava nella loro camera da letto. Il tempo per Federico stava scorrendo troppo lentamente, sembrava essersi dilatato in una maniera che neanche la fisica moderna avrebbe saputo descrivere. Le labbra di Giulia erano invitanti, ma non erano quelle che aveva scoperto negli ultimi giorni; e così anche il corpo della ragazza, che sembrava star dettando le regole di quel gioco in cui Federico si sentiva solo confuso.
 
Quella sera al bar non c’erano molti clienti, solo quelli abituali - gettati nel solito angolo in fondo alla sala - e un paio di ragazzi in più. Era il giorno perfetto per dar fastidio ad un certo barista dai riccioli castani.
Il campanello sulla porta tintinnò e lasciò comparire la figura di un ragazzo che Michael conosceva bene. Non appena alzò lo sguardo dal bancone il riccio incontrò i suoi occhi di ghiaccio e gli mancò il respiro. Si morse le labbra, quelle che la volta precedente lo stesso ragazzo gli aveva torturato.
«Bella serata, eh?»
Michael calò la testa sul bancone per continuare ad asciugarlo - anche se in realtà era già asciutto da un bel po’ - e lo ignorò.
Danny si sedette su uno degli sgabelli liberi, di fronte a lui.
«Cosa vuoi? Lasciami stare» sussurrò Michael. Il biondo rise.
«Voglio solo una Beck’s, non posso averne una?»
Il riccio accontentò la sua richiesta e gli porse la birra mentre Danny lo osservava con un sorriso malizioso: per quanto ne sapeva avrebbe potuto rendergli quella serata un inferno.
Con voce quasi tremante gli disse comunque il prezzo e Danny pagò, intenzionato a bere quella birra con una lentezza inaudita.
«Sai... ho detto a Federico un po’ di cose su di te.»
Il cuore di Michael si fermò per un istante. Il biondo continuò.
«Tipo quello che hai fatto con Rick in Inghilterra, prima di conoscere me. Di come sei stato contento di essere il suo toy boy. E anche quello di Jordie, ovviamente.»
«Perché?»
La domanda risuonò talmente flebile nel suo tono esasperato che Danny aggrottò la fronte perché non la percepì.
«Perché non mi lasci in pace, Danny?»
Stavolta il tono era un po’ più alto, gli occhi lucidi per la paura di poter perdere Federico, per quella storia.
Il biondo ignorò la sua domanda retorica e si sporse verso Michael, mantenendo il tono moderato.
«E gli ho detto anche per te non è tanto strano fare la puttana con due ragazzi contemporaneamente.»
Il riccio si morse le labbra.
«N-Non è vero, lo sai. Io sono cambiato.»
Danny rise.
«Oh, sei così debole, Mich, che ognuno fa di te quello che vuole. Pretty toy boy
Le labbra di Michael, tra i suoi denti, quasi sanguinavano. I suoi occhi invece luccicavano, mentre lui tentava di non piangere perché non voleva essere debole. Non davanti a Danny, non di nuovo. Una mano calda e rassicurante andò a posarsi sulla spalla del riccio.
«Michael... tutto bene? Quest’uomo ti sta importunando?»
Giorgio, il titolare, era molto severo ma anche molto attento: aveva visto le reazioni del riccio e aveva capito che quel biondino era il suo problema.
«Oh, non c’è problema, io ho finito qui. Ci vediamo, Michael.»
Danny si alzò dallo sgabello con un sorriso sghembo sul volto e uscì dal locale.
Michael si portò una mano alla bocca e strinse gli occhi.
Non doveva piangere.
 
Quella notte non fu calma né per Federico né per Michael. Nessuno dei due riusciva a chiudere occhio, chi per una ragione chi per un’altra. Il tatuato stava pensando a quale relazione Michael potesse mai nascondere e come eventualmente chiederglielo. Il riccio invece tremava letteralmente: non sapeva se Danny avesse detto il vero, ma doveva comunque delle spiegazioni a Federico. Verso le quattro e mezzo del mattino, quasi in sincrono, entrambi si alzarono: Michael andò a sciacquarsi la faccia in bagno e Federico subito dopo si diresse in cucina per bere un bicchiere d’acqua fresca. Quando Michael uscì dal bagno si diresse anche lui in cucina per bere qualcosa di fresco e schiarirsi le idee e qui incontrò Federico. Inizialmente si sentì in imbarazzo per essere solo in boxer e t-shirt, ma poi pensò che l’avevano quasi fatto e quindi non comparve alcuna tonalità di rosa sulle sue guance. Anche Federico inizialmente tentò di distogliere lo sguardo dal sedere di Michael, ma poi pensò che non aveva alcun motivo di nascondersi, in quel momento, e continuò a guardare il suo corpo. Il riccio aprì il frigorifero e nel silenzio più totale riempì un bicchiere con del latte.
«Vuoi?» Sussurrò appena all’altro, che scosse la testa in segno di diniego.
Il riccio si poggiò al lavello della cucina, giusto di fronte a Federico, e cominciò a sorseggiare il suo bicchiere di latte. Il tatuato poggiò sul tavolo il suo bicchiere vuoto, poi si avvicinò a Michael senza smettere di guardarlo. Il riccio era un po’ confuso. Federico, invece, desiderava solo averlo tutto per sé.
Il più basso lasciò un bacio sul collo dell’altro e avvicinò il proprio corpo a quello del più alto. Michael lo spostò, a malincuore, da sé.
«C’è Giulia, di là» sussurrò.
«Non me ne importa. Ti voglio.»
Bastò quella frase, ovviamente, per eccitare il riccio. Le mani del tatuato vagavano ovunque sul corpo di Michael, dapprima sul tessuto della sua maglietta e dopo sotto, sulla sua pelle nuda e calda. Una mano scivolò ad accarezzargli una gamba e poi a massaggiargli l’erezione dal tessuto dei boxer. Il respiro del riccio era già irregolare, e questo Federico lo notò con un certo piacere e un mezzo sorriso dipinto sul suo volto. Le mani di Michael andarono ad accarezzargli la schiena. Federico avvicinò ancora di più il suo corpo a quello di Michael, permettendo che questi si incastrassero perfettamente come pezzi di un puzzle e senza smettere di toccare quel corpo che desiderava così tanto. Forse era giunto il momento di esplorare Michael.
Ma il riccio non fu dello stesso avviso.
Si staccò delicatamente da Federico e lo allontanò da sé. Le mani del tatuato ricaddero lungo i suoi fianchi, stancamente e con rassegnazione.
Michael guardava a terra, dispiaciuto.
«Fedé... non riesco con Giulia di là, mi dispiace.»
Federico annuì e si morse un labbro; dopo pochi istanti uscì dalla cucina e ritornò nel letto con Giulia.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
Aaallora :D prima di tutto voglio dirvi che questo angst finirà e lo so che mi odiate perché prima Fede che non riusciva e ora Mich che non se la sente, ma tranquilli che si metterà tutto a posto v.v giuro che non vi faccio soffrire più (per ora). <3
Poi voglio fare un annuncio importante: mi sposo. No, non è vero, stavo scherzando :') l'annuncio importante è che sono costretta a rallentare il ritmo degli aggiornamenti, purtroppo, perché o faccio questo o lascio l'università per le fanfiction. E per quanto mi piacerebbe, no, non è un'opzione contemplabile ahahah quindi - mi spiace davvero :c - aggiornerò solamente il lunedì di ogni settimana. 
Thanks a lot a tutte le personcine che leggono e in maniera particolare a quelle che recensiscono - prometto di farvi recapitare a casa quella giacca di Mika con scritto "freaks" sul colletto (ma ammore <3), quella che aveva all'Arena di Giletti, per intenderci.

E niente, tante #salsiccediporco a tutti. <3

 

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Capitolo 10
*** Decimo ***


- 10 -
 
Federico si svegliò soltanto perché della luce filtrava dalla finestra, nonostante le tapparelle abbassate. Maledisse quella piccola sfera di sole che aveva osato disturbare il suo sonno e tentò di nuovo di addormentarsi, alzando le coperte fin sopra i capelli e tuffando meglio la testa nel cuscino.
Michael era già sveglio da un pezzo perché aveva deciso di preparare dei muffin per il risveglio di Federico. Perciò armeggiava in cucina con la teglia in cui i pirottini di carta erano già pieni d’impasto. poggiò la teglia nel forno e si concentrò con tutto sé stesso per impostare il timer all’ora esatta, giusto per non rischiare di bruciare la colazione sua e del tatuato, altrimenti sarebbe stato un pessimo risveglio. Una volta avviato il ticchettio del timer, Michael si diresse nella camera da letto di Federico, pensando ad un dolce modo per svegliarlo. Federico si era quasi riaddormentato quando sentì il letto sobbalzare sotto il peso del corpo del riccio. Non ci diede molto peso finché non sentì due labbra morbide poggiarsi sulle proprie. Federico storse la bocca per riflesso, ma le labbra di Michael già vagavano sul collo dell’altro. Senza neanche rendersene conto, un mugolio sommesso scappò dalla gola del tatuato. Il riccio si fermò e lo guardò sorridendo, anche se l’altro teneva ancora gli occhi chiusi.
«Ho fato i muffin» sussurrò Michael all’orecchio del tatuato; questo rabbrividì per il suono della voce delicato e improvviso, nonché per il fiato caldo che si sentì sul collo.
Federico schiuse gli occhi lentamente e si trovò davanti il volto sorridente del riccio, il quale lo sovrastava steso accanto a lui e puntellato sui gomiti. Il tatuato si perse appena in quel sorriso.
«Sei bellissimo.»
Il sorriso del riccio si spense perché davvero non se l’aspettava. Lui bellissimo? Lui si trovava l’esatto contrario. Federico, invece, era bellissimo: non era di un bellezza pura, anzi, erano proprio alcune imprecisioni dei suoi tratti a renderlo così bello agli occhi del riccio; e anche i tatuaggi che aveva sul corpo e quei piercing gli conferivano un’aria così ribelle e sporca che faceva impazzire Michael.
Stettero a guardarsi per molto tempo, poi Michael si avvicinò di più al corpo di Federico e tornò a baciargli il collo lasciando una scia di baci umidi e delicati. Il riccio aveva gli occhi chiusi mentre gli baciava il collo e Federico si perse ad osservarlo, a chiedersi come aveva fatto un ragazzo così ad innamorarsi di lui, che era il suo completo opposto. E come faceva ad avere una così scarsa autostima di sé, si domandò anche. Quando Michael riaprì gli occhi Federico si perse nelle sue iridi ambrate e il riccio si perse in quelle scure dell’altro. Si sorrisero, poi Federico fece uno sforzo immane per sollevarsi e baciare Michael. Si misero a sedere e Federico divaricò le sue gambe e quelle di Michael per permettere ad entrambi di avvicinarsi incastrando le gambe le une sulle altre e facendo combaciare i loro bacini. Non ci misero molto prima di sentire le erezioni di entrambi che cominciavano a crescere, così come la loro voglia, finalmente, di esplorarsi. Adesso non c’era Giulia a disturbarli, anche se Federico sapeva che quello era solo uno stupido pretesto temporaneo.
Federico ribaltò le posizioni e si ritrovò sul corpo di Michael, che già lo guardava con occhi vogliosi.
Ripresero il bacio mentre Federico si dotava di quella giusta dose di coraggio che gli consentì di togliere i vestiti di dosso a Michael e staccarsi da lui per guardare il suo corpo. Il tatuato non avrebbe voluto esagerare, ma lì per lì gli sembrò che il riccio fosse davvero un dio greco. Lo guardò a lungo ed ebbe lo stesso un’esitazione, nel realizzare che stava per farlo con un uomo per la prima volta. Ma quando si rituffò sulle labbra dell’altro, si rese conto che non avrebbe potuto sperare di incontrare uomo migliore, per la sua prima volta: Michael era semplicemente perfetto, ai suoi occhi, anche se lui non era dello stesso parere. Perciò Federico decise - in quell’istante - che da quel giorno avrebbe fatto tutto il possibile per fargli rendere conto di quanto fosse perfetto.
Il più giovane si staccò dal bacio e si abbassò di più sul corpo di Michael; poi allungò due dita verso le labbra del riccio e le introdusse nella sua bocca. Il riccio prese a leccarle e succhiarle in una maniera così sconcia che Federico pensò che non potesse davvero essere opera del ragazzo che aveva di fronte. Non del Michael che aveva conosciuto fino ad allora, almeno. Il riccio, comunque, - con un sorriso malizioso sul volto - decise che gli indumenti di Federico erano di troppo. Quindi si alzò da quella posizione e gli sfilò maglietta, pantaloni e boxer, finché non l’ebbe davanti a sé completamente nudo. Il tatuato era ancora rapito dal modo di essere tutto nuovo che stava rivelando l’altro; quando si riscosse, comunque, preparò l’altro - che non mancò di farsi uscire un gemito strozzato dalle labbra - e poi scivolò dentro di lui. Anche Federico non riuscì per molto a mantenere sotto controllo i suoi ansimi. Alla fine vennero quasi in contemporanea e il tatuato si accasciò al lato di Michael, sul letto, ancora ansimante.
Era contento, Federico, perché finalmente ce l’aveva fatta ed era stato bellissimo. Aveva vinto la sua battaglia con la propria natura conflittuale. Michael riaprì gli occhi e li puntò in quelli dell’altro: si guardarono dolcemente per un po’ di tempo finché il riccio non sentì il timer del forno che trillava.
«Cazzo!» Esclamò, poi si rialzò di scatto e si diede una sistemata alla velocità della luce, in modo da non far bruciare i muffin nel forno.
Federico assistette a quella scena divertito, osservando un Michael che sembrava anche più schizzato del solito. Il riccio si catapultò in cucina e tolse la teglia dal forno, controllando che i dolci non fossero bruciati: solo un paio lo erano, quindi li cestinò.
Il tatuato arrivò in cucina dopo un po’, quasi di soppiatto. Michael aveva la teglia poggiata sul tavolo ed esaminava i muffin restanti, constatando che quelli non si fossero bruciati. Il riccio lo sentì arrivare e gli rivolse un broncio molto tenero.
«Uffa però, due si sono bruciatti
Federico alzò un sopracciglio: stentava a credere che quello pseudo-bambino fosse davvero l’uomo che poco prima leccava le dita della sua mano così oscenamente.
«Dai, vieni a mangiare» lo esortò mentre riponeva i muffin in un piatto e li poggiava sul tavolo con due bicchieri di latte.
Fecero colazione in silenzio, finché a Federico non tornò in mente che doveva assolutamente parlare con Michael di quello che gli aveva detto Danny, ma voleva farlo lontano da quella casa.
«Mich» ingoiò un boccone Federico, mentre lo sguardo di Michael si alzava su di lui. «Andiamo da qualche parte insieme, dopo colazione? Giulia starà via fino a stasera, ha la giornata piena di corsi.»
Il riccio sorrise e annuì.
«Dove vuoi andare, Fede?»
«Non lo so, uhm, al parco?»
L’altro storse il naso: non fu una reazione razionale, in realtà, il suo viso si contrasse in quella smorfia da solo mentre ripensava al fatto che in quel parco aveva conosciuto quello schifoso di Danny e lì stesso era tornato quando Federico l’aveva rifiutato; insomma, quel parco era pieno di ricordi tristi e avrebbe preferito evitarlo. Federico si accorse della sua espressione e pensò ad un altro luogo.
«Allora so dove portarti. Però è una sorpresa.»
Sul volto del tatuato si aprì un mezzo sorriso.
«No, devi dirmelo» Michael odiava le sorprese, era sempre stato troppo curioso.
«Non ci penso neanche!»
«Alora resto qua.»
«Come vuoi...» Federico si poggiò contro lo schienale della sedia. «Ma poi non offenderti se io vado lo stesso e ti lascio qua.»
Il riccio assottigliò gli occhi, poi sbuffò.
«E va bene!» Disse quasi esasperato, alzandosi in piedi per posare piatti e bicchieri nel lavello della cucina.
Il tatuato lo seguì con lo sguardo e non poté evitare una risatina divertita: Michael era così strano e buffo, in certi momenti.
 
Ovviamente per tutto il viaggio Michael non fece altro che domandare instancabilmente la meta e quanto tempo mancasse all’arrivo. Ogni volta Federico gli rispondeva che per il viaggio avrebbero impiegato circa quaranta minuti, ma lo stesso ogni volta il riccio continuava a chiederlo. Il tatuato sperò che l’altro si stancasse, ma non avvenne: Michael sembrava di nuovo un bambino iperattivo, proprio come quel pomeriggio al centro commerciale.
Federico sbuffò perché quel logorroico del riccio seduto accanto a sé continuava a parlare e a parlare e lui non ci stava capendo più nulla di quello che diceva, sentiva solo che la sua testa era sul punto di scoppiare. Fortunatamente Michael smise di parlare quando Federico parcheggiò. Erano a Bereguardo, anche se da lì Michael non riusciva ancora a capire cosa ci fosse di tanto speciale in quel posto, e perciò mostrò una faccia alquanto confusa. Federico sorrise nel vederlo confuso e, finalmente, zitto. Gli fece cenno di seguirlo e in poco tempo arrivarono sulle rive pietrose del Ticino: il panorama era magnifico, tra il verde di fronte e le pietre bianche che costeggiavano la riva del fiume, uno specchio d’acqua limpido.
Michael schiuse le labbra dalla sorpresa, perché non si aspettava di trovare un angolo di paradiso dietro quello che sembrava un comune vicoletto di città.
«Wonderful!» Si lasciò sfuggire, dopodiché abbracciò Federico con forza, quella che ogni volta rischiava di rompere le ossa al povero ragazzo. Lo stritolò tra le sue braccia e il riccio aveva davvero tanta voglia di piangere, ma finalmente di felicità.
«You’re so cute, sei dolcissimo, Fedé» esclamò Michael allargando ancora di più il sorriso.
L’altro alzò le spalle e gli indicò di seguirlo.
Si sedettero poco distante, su quei sassi candidi, tolsero le scarpe e arrotolarono i pantaloni per lasciarsi bagnare i piedi dall’acqua fresca. Erano seduti fianco a fianco, con le gambe distese, il sole che li colpiva e lo sguardo allungato verso gli alberi di fronte. Michael girò la testa verso Federico e lo osservò.
«Che c’è?» Domandò divertito il più piccolo.
Il ricciolino si guardò attorno e vide che quel luogo era completamente isolato, quindi si allungò verso l’altro a stampargli un bacio sulle labbra. Quando fece per staccarsi, però, le mani del tatuato bloccarono il suo volto, costringendolo - ma neanche troppo - ad approfondire il bacio. Si allontanarono solo poi, guardandosi ancora per un po’ dolcemente negli occhi.
Federico si alzò in piedi e si stiracchiò, chiudendo gli occhi e allontanandosi un po’ di più verso il fiume, dove l’acqua quasi gelida arrivò a bagnargli metà del polpaccio. Michael invece ebbe la malsana idea di avvicinarsi a lui di soppiatto e spingerlo con tutte le sue forze. Il tatuato aprì gli occhi di scatto e non riuscì a tenere l’equilibrio, quindi piombò in acqua con un rumoroso splash. La risata sguaiata del riccio risuonò per tutta la riva, mentre Federico tentava di riprendersi dal brusco impatto con l’acqua fredda.
«Ma sei uno stronzo, Mich, cazzo! Non ho neanche i vestiti di riserva! E l’acqua è gelida, coglione!»
Il tatuato urlò con rabbia quelle parole, poi si rialzò e si diresse rapidamente verso Michael. Questo si accorse che l’altro gli correva incontro e scappò da lui percorrendo a grandi falcate la riva pietrosa. Federico dovette impegnarsi molto per tener testa a quelle gambe chilometriche, finché ad un certo punto il riccio, guardandosi indietro, inciampò in un ramo d’albero. Fortunatamente riacquistò l’equilibrio, ma Federico, ridendo, lo afferrò e lo scaraventò in acqua senza un minimo di delicatezza.
Michael restò a bocca aperta, un po’ per lo shock dell’acqua gelida, un po’ perché non credeva che Federico l’avesse fatto sul serio.
«Ma guardati! Che faccia che hai!» Rise Federico, poi si tuffò nel fiume e raggiunse il ragazzo.
«No, adeso te ne vai a fanculo» protestò il riccio vedendo che l’altro gli si avvicinava.
Michael gli diede le spalle, ma il tatuato lo rigirò verso di sé e gli stampò un bacio sulle labbra.
Al riccio bastò quello per sciogliersi completamente: Federico esercitava davvero un potere stranissimo su di lui.
«Hai mai provato un bacio sott’acqua?» Gli domandò il tatuato, ricordando vagamente che una volta l’aveva provato con Giulia.
Michael scosse la testa agitando i ricci grondanti d’acqua.
«Allora direi che è giunto il momento di provarlo» scherzò Federico, portando le mani sui fianchi dell’altro e incamerando una grossa quantità d’aria. Poggiò allora le labbra su quelle del riccio e con la lingua gli fece capire di schiudere le labbra. Michael lo fece e in un attimo entrambi furono sott’acqua. Le loro lingue danzavano e l’aria passava da una bocca all’altra: era una sensazione bellissima per entrambi, gli sembrava di essere parte di un unico organismo che respirava. Federico non ricordava che la volta scorsa, con Giulia, fosse stato così bello. A Michael, invece, il cuore batteva all’impazzata: era tutto così magico, surreale, che avrebbe potuto vivere per sempre quel momento; avrebbe potuto respirare sott’acqua con Federico, così, e non si sarebbe neanche accorto che il mondo attorno a loro stava per finire.
Fu Federico ad interrompere il momento riportandoli a galla, ma lo fece con la stessa delicatezza con cui aveva cominciato.
Il due si guardarono negli occhi sorridendo dolcemente. Michael avrebbe voluto ringraziarlo, per quello e per mille altre cose, ma in quel momento era talmente emozionato da non riuscire a pronunciare neanche una parola.
«Allora?»
«Ti amo.»
Il riccio si riappropriò della labbra dell’altro e solo dopo si rese conto di ciò che aveva detto. Si diede dello stupido, perché aveva davvero esagerato. Forse era stato troppo avventato nel dire “ti amo” adesso, quando Federico gli aveva esplicitamente già detto che la loro non poteva neanche considerarsi una relazione. Le loro labbra si separarono e Michael guardò in basso la superficie dell’acqua, in evidente imbarazzo per quello che aveva detto e con la paura di aver definitivamente rovinato tutto. Invece Federico sorrise semplicemente. Non gli rispose, ma sorrise, e già quello era un buon segno.
Quando uscirono dall’acqua si tolsero i vestiti per strizzarli e tentare almeno un po’ di farli asciugare al sole che, sebbene primaverile, era comunque già abbastanza caldo. Mentre Federico era intento a infilarsi di nuovo la maglietta ancora umida, sentì la forte risata di Michael e si voltò verso di lui.
«Beh?» Domandò, non capendo cosa ci fosse di tanto divertente.
«Guarda!»
Michael indicò e Federico si guardò i boxer, attraverso cui si notava un rigonfiamento. Imprecò a bassa voce e sbuffò.
«È l’acqua fredda» si giustificò.
Il riccio si avvicinò a lui con sguardo malizioso.
«Ah, sì? No sono io che ti facio eccitare?»
«Ma tu sei un depravato del cazzo!» Rise Federico. «No, sul serio, spiegami come fai ad essere un attimo prima dolce come un bambino e un attimo dopo un porco inaudito!»
Michael alzò le spalle divertito.
 
Dopo aver pranzato in un piccolo ristorante non troppo lontano, tornarono nel primo pomeriggio sulle rive del Ticino.
Federico era seduto sulle pietre con lo sguardo allungato verso il fiume, mentre Michael era disteso sulla riva con la testa poggiata sulle gambe del tatuato. Sembrava quasi si fosse addormentato, con il caldo sole che colpiva il suo viso dai lineamenti vagamente orientali e il movimento ipnotico della mano di Federico che gli accarezzava i capelli.
Il tatuato - mentre osservava lo specchio d’acqua - ripensava alle parole del riccio.
Ti amo.
Sembrava poco, nulla, ma in realtà il significato di quelle due parole era qualcosa di pesante, forse troppo per Federico. Il più giovane, lì per lì, non aveva saputo come rispondere: gli sembrava troppo presto, da parte sua, per dire di amarlo veramente. Ma dall’altro lato aveva provato la sensazione strana quanto bella del suo cuore che aveva improvvisamente accelerato il ritmo.
Afferrò lo zainetto che aveva poggiato poco distante e vi estrasse il suo fidato block-notes e la penna. Spostò lentamente la testa del riccio più verso le sue ginocchia, in modo da poter poggiare i fogli sulle cosce. Michael non si accorse neanche dello spostamento e continuò a dormire, tanto che a Federico sembrò che fosse andato in letargo.
Scrisse alcune rime, alternate a sguardi carichi d’ispirazione che lanciava alle tranquille acque del Ticino.
Dopo un po’ di tempo distolse lo sguardo dall’acqua per portarlo al viso del ragazzo inglese.
«Mich?» Sussurrò, ma non ricevette risposta.
Sembrava essersi addormentato davvero. Federico rise leggermente: gli dispiaceva svegliarlo, ma dovevano tornare a casa.
A casa da Giulia, gli sussurrò la coscienza.
Ricacciò quel pensiero e si abbassò a poggiare le labbra su quelle dell’altro. Michael emise un mugolio di un misto tra piacere e fastidio, che il tatuato non seppe davvero come interpretare. Allora portò le sue labbra sul collo del riccio e gli lasciò qualche altro bacio delicato. Michael riaprì gli occhi e incontrò quelli di Federico. Si sorrisero.
«Dobbiamo andare, Mich.»
L’altro annuì e si alzò in piedi lentamente, sgranchendosi le ossa.
Federico diede un ultimo sguardo alle rime scritte sul block-notes e fece per posarle, ma il riccio gli tolse di mano i fogli e li guardò.
«Cos’è?»
«Delle rime così... forse saranno una canzone, un giorno.»
Gli occhi ambrati di Michael si illuminarono, poi tornarono a guardare la scritta sui fogli. Corrugò la fronte e si concentrò, ma la calligrafia veloce e imprecisa di Federico rendeva tutto ancora più difficile da leggere.
Il tatuato recuperò il suo zainetto e lo mise in spalla. Quando si voltò il riccio aveva un braccio teso a porgergli il block-notes.
«Me lo leggi?»
Federico alzò un sopracciglio.
«Sono dislessico.»
Il tatuato ricordò solo allora che Michael quella volta gliel’aveva già raccontato, ma lui se n’era proprio dimenticato.
 
Noi che non abbiamo dato il massimo
Noi che non abbiamo fatto il classico
Noi fotocopie tutte uguali illuse di essere speciali
 
E non ci sono le stelle
Ma comunque stiamo svegli
Con più inchiostro sottopelle
Che sul libretto degli assegni
 
Più fradici, più fragili
Prima che il sole spunti, liberiamoci dal freddo
Copriamoci di insulti.
 
Federico pronunciò quelle parole con la sua voce roca e dando il ritmo rappando i versi. Michael lo fissò per tutto il tempo, a volte perdendosi qualche parola pronunciata troppo velocemente. Però vide per la prima volta che Federico leggeva mostrando la sua sofferenza, il suo disagio, tutto quello che forse, per non apparire debole agli occhi del mondo, non mostrava mai. E allora capì che anche Federico, proprio come lui, aveva trovato la sua strada per dire la propria.
«Sono solo delle parole, boh» concluse il tatuato, alzando le spalle e sentendosi un po’ uno sciocco.
«Sei bravo Fedé. Secondo me tu deve farle leggere a qualcuno.»
Gli occhi scuri di Federico puntarono sulle acqua del fiume.
«Ho già mandato dei demo, un sacco di testi. Nessuno mi caga» rise, giusto perché quello era l’unico modo che aveva per non mettersi a piangere. Anche se quel groppo in gola non glielo avrebbe tolto nessuno.
«No è vero. Devi spetare. Devi esere paziente.»
L’altro scrollò le spalle e Michael si portò a mezzo centimetro dal suo viso. I loro sguardi si incrociarono.
«Prometimi che non rinuncerai.»
Federico era un guerriero, era stato lui a dire a Michael che non avrebbe mai rinunciato. Ma ora come ora si sentiva solo uno sciocco, dopo l’ennesimo rifiuto.
«Te lo prometto solo se anche tu lo fai. E la smetti di pensare che non sei bravo e che sei un disastro.»
Il riccio sorrise divertito, poi tornò serio.
«Ok, te lo prometo
«Anch’io.»
 
 
Federico approfittò del viaggio di ritorno in auto per parlare con Michael della questione ex. Passò i primi dieci minuti a cercare le migliori parole, ma poi mandò tutto a fanculo e semplicemente parlò.
«Sai, Mich... quando sono andato a prendere la tua roba all’attico lo stronzo di Danny ti ha definito in un modo davvero poco carino. Ti ho difeso, ovviamente, ma lui mi ha detto che quando avrei scoperto delle tue relazioni passate anch’io avrei pensato lo stesso di te. Quindi... c’è qualcosa che dovrei sapere?»
Il riccio si immobilizzò perché si era completamente dimenticato di quella cosa. Tenne lo sguardo dritto davanti a sé e pensò che alla fine Federico non l’avrebbe giudicato male. Forse.
«Quando io era a Londra, prima di conoscere Danny, stavo con un ragazzo di nome Rick. Eravamo stati molti amici per tanto tempo e poi ci eravamo fidanzati. Lui però aveva una concezione di una relazione un po’... cioè lui ci definiva una coppia aperta e perciò stava con altre persone mentre stava con me. Questo per un po’ di anni, quando poi anche io mi sono lasciato contagiare da questa cosa. E perciò Rick mi aveva presentato un suo amico, Jordie, che anche lui dopo poco ha cominciato a dire di stare con me. Abbiamo fato dele cose... tuti e tre insieme, e stava bene così. Quando ho conosciuto Danny eravamo solo amici. Lui ha saputo di questa cosa con Rick e Jordie e mi ha giudicatto molto male. Diceva che ero una puttana perché stavo con due che mi scopavano contemporaneamente, e che dovevo capire che loro non mi amavano e fingevano. Ma non era così, e lui non lo ha mai capitto. Io amavo entrambi e loro amavano me, punto. Danny invece diceva che ero il loro... como se dice... ragazzo-giocattolo, e dovevo vergognarmi se mi piaceva quella cosa.»
Federico ascoltò tutto e pensò che, sinceramente, fosse qualcosa di molto più serio. Insomma, anche lui stava contemporaneamente con Giulia e con Michael, quindi non era proprio nella miglior posizione per giudicare.
«Comunque io da quando sono stato con Danny sono cambiato.»
«Sta bene, Mich, non me ne frega niente. Lo so che sei un bravo ragazzo.»
 
Tornare a casa non fu così traumatico come Federico aveva immaginato, forse perché era Michael la sua casa. Non tronarono tardi, e perciò Giulia non era ancora arrivata dall’università.
Non appena mise piede in casa, il riccio lasciò il cappotto sull’appendiabiti e allargò le braccia.
«Fedééé è stata la più bella giorno dela mia vita!»
«Ma che c’è, oggi sei particolarmente sgrammaticato?» Constatò divertito il ragazzo tatuato.
Il sorriso sulle labbra di Michael lasciò spazio ad un broncio fanciullesco che l’altro trovò adorabile, finché non aprì bocca.
«Vaffanculo, oh.»
Federico rise più forte e si diresse in camera sua per prendere dei vestiti asciutti, dato che quelli che aveva addosso erano ancora umidi.
Entrambi fecero la doccia, dopodiché Federico andò a sedersi sul divano del soggiorno.
«Fede, vuoi un thè?» Urlò dalla cucina.
«No, grazie» rispose di rimando Federico, controllando le notifiche sul cellulare e non vedendo nulla di nuovo.
Dopo poco Michael tornò con la sua tazza di thè fumante e la bocca piena di biscotti che ancora stava masticando.
«Ma che fai, come i criceti che ti riempi le guance di cibo?»
Federico scoprì in quell’esatto momento che gli piaceva troppo prendere in giro Michael. L’altro non rispose perché aveva ancora la bocca piena, ma gli diede un forte pugno sul braccio e si sedette sul divano accanto a lui.
«Ahia, ehi!» Protestò Federico, mentre il riccio poggiava la tazza di thè sul tavolino e gli lanciava un’occhiataccia.
«Sei stronzo, te lo meriti» replicò.
Il tatuato continuò a massaggiarsi la zona colpita, poi si allungò verso l’altro e lo baciò. Sentì inevitabilmente il sapore di cacao dei biscotti appena mangiati da Michael, soprattutto quando questo schiuse le labbra e gli permise di intrecciare la sua lingua con la propria. I loro corpi si avvicinarono come per attrazione di cariche opposte; le mani di Federico cinsero la vita di Michael e le braccia del riccio si allacciarono dietro il suo collo. Non interruppero il contatto tra le labbra neanche quando le mani fredde del tatuato andarono a spostarsi sotto la maglietta di cotone del riccio. Erano talmente presi da sé stessi che non interruppero il contatto neanche quando la porta di casa si spalancò e la figura di Giulia comparì sull’uscio.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
Sono viva, sono VIVA! Insomma, questo clima sereno (MA DOVE) tra i due non poteva durare troppo, ecco, perché l'angst chiama e io devo rispondere. E anche perché sono una brutta persona. Anzi, soprattutto perché sono una brutta persona. E quindi ta-dah, ecco Giulia. È "fernuta 'a zezzenell" come si dice dalle mie parti, ovvero è finita la pacchia (che quando mai c'è stata per quei due poveri cristi, ma boh). Inutile dire quanto ringrazio chi continua a leggere, recensire, supportarmi e sopportarmi, grazie di cuore davvero. <3 
Come al solito ci vediamo lunedì prossimo - che detto così sembra anche bruttino, eh.
Se volete potete passare dal mio account Wattpad (link nel mio profilo) e leggere tutte le OS midez che non ho postato qui su Efp - comprese quelle che posterò per il contest "Nothing’s only words" nelle settimane a venire. Mi farebbe molto piacere avere delle opinioni, gli scleri sono ben accetti, obv <3
ARGH ma perché faccio l'angolo autrice sempre più lungo? Boh, vi lovvo tutti.
<3

 

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Capitolo 11
*** Undicesimo ***


- 11 -
 
Quando il mondo ti crolla addosso lo fa con una semplicità disarmante e una pesantezza di quelle che ti tolgono il fiato. Fu proprio questo quello che provò Giulia quando entrò in casa, il peso di un macigno che si abbatteva sulla sua esistenza.
Federico, il suo ragazzo, stava baciando qualcun altro.
Federico stava baciando un altro uomo.
Federico stava baciando Michael.
E ogni dettaglio che Giulia aggiungeva era come una nuova pennellata sulla tela della sua consapevolezza. Quando semplicemente le si delineò la scena che aveva di fronte, inizialmente le apparve tutto confuso. Sapeva che era vero ciò che stava vedendo, ma forse non voleva ancora accettarlo.
Ancora cinque minuti, come si dice la mattina quando non ci si vuole svegliare.
Nonostante le lacrime si stessero già muovendo da sole sul suo volto, calde e traditrici. Fu molto confuso anche quello che avvenne dopo: Federico che si alzava e le andava incontro, parlando, dicendo cose, sussurrando parole a ripetizione che Giulia non capiva. Il panico negli occhi di Federico e di Michael, però riusciva a leggerlo bene. Quasi sentiva tutto ovattato, attorno a sé, mentre il tatuato continuava a parlare, parlare, parlare, e lei voleva solo che stesse zitto.
Cominciò a tremare impercettibilmente mentre tutti i suoi sensi riacquistavano consapevolezza e l’ira si faceva spazio fra tutte le altre emozioni. Il suo sguardo mutò e Federico ne ebbe paura, smettendo improvvisamente di trovare giustificazioni stupide.
«Fuori. Via di qui. Fuori da questa casa.»
Giulia parlò come se stesse sussurrando qualcosa a sé stessa, ma nel silenzio più totale dell’appartamento le sue parole quasi rimbombavano tra le mura. Federico pensò che fosse rivolto a lui, ma lo sguardo fiammante della ragazza si posava inequivocabilmente in quello spaventato di Michael. Il riccio si alzò dal divano con le gambe che avevano cominciato a tremare già da un po’. Afferrò rapidamente la sua valigia nell’angolo della stanza e la riempì - per l’ennesima volta - con gli ultimi vestiti che erano sparsi in soggiorno, quindi la richiuse e sotto lo sguardo inquisitorio di Giulia uscì di casa, sentendo la porta sbattere rumorosamente alle sue spalle.
«Giulia, io-»
«Ti do tre minuti di tempo per trovare una spiegazione plausibile, se no vattene da questa casa.»
Federico sospirò. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo, ma non sperava che fosse in quel modo, né in quel momento, perché lui non si sentiva ancora pronto.
«Mi dispiace, Giu, mi dispiace tanto. Ma io non so che dirti, cosa vuoi che ti dica? Non so neanche spiegarlo ancora a me stesso, che devo dire? Che mi piace Michael, un ragazzo, non so neanche come sia successo.»
La risata isterica di Giulia fece rabbrividire Federico.
«Ah, sì, quindi sei gay.»
«N-Non lo so, Giu-»
«No? Allora che cosa sei? E quanto contavi ancora di tenermelo nascosto, eh? Ma non ti vergogni?» Ormai Giulia era un fiume inarrestabile. «Che chissà per quanto tempo mi hai baciata con le stesse labbra con cui baciavi quello là, ma non ti fai schifo nemmeno un po’? Il mio ragazzo che mi tradisce con un altro uomo, ma che fine di merda. Dimmi solo che cosa ho fatto di male per meritarmi questo, ok? Dimmelo. Voglio sapere solo se me lo sono meritata oppure no, se sono io la stronza della situazione. Solo questo voglio sapere, poi puoi uscire da questa casa.»
Federico abbassò lo sguardo.
«Tu non hai fatto niente, Giu... avrei preferito che te lo meritassi, credimi, ma non te lo meriti affatto. Mi dispiace.»
 
Quando la porta si richiuse alle sue spalle, Federico pianse perché non era affatto forte come voleva far credere. Non si pentiva di essersi dichiarato a Michael, come avrebbe potuto? Invece provava tanti di quei sensi di colpa perché dannazione, Giulia non aveva fatto niente di male e lui era uno stronzo di quelli inauditi. L’aveva tradita con un uomo, la cosa peggiore che una ragazza potesse vivere.
Federico si diede una sistemata e uscì dal palazzo con gli occhi ancora arrossati. Vide che sul muretto di fronte a sé era seduto Michael, con la valigia accanto alle gambe e lo sguardo basso.
Il tatuato gli si avvicinò e si sedette accanto a lui, notando che stava tremando - un po’ per il freddo, un po’ per quello che era successo. Il riccio non alzò lo sguardo perché non era sorpreso: sapeva che Federico sarebbe arrivato, che non avrebbe più finto con Giulia. Lo sentiva.
Il tatuato gli avvolse un braccio attorno alle spalle.
«Ho dimenticato il capotto» sussurrò Michael con gli occhi lucidi, senza alzare di un centimetro lo sguardo dall’asfalto.
Federico si tolse la felpa e la poggiò sulle spalle del riccio, che si strinse nel calore di questa. Non era poi tanto calda, quella serata di marzo.
A Federico Michael in quel momento sembrò così fragile, molto più di lui, perché forse quello l’aveva colpito davvero anche più di quanto avesse colpito lui.
Il più piccolo lo abbracciò di nuovo, poggiando la testa sulla sua spalla e sentendolo singhiozzare.
 
Per quella sera i due ragazzi decisero di prendere una stanza in un motel di Milano. Si trascinarono all’interno del più vicino assieme alle loro valigie, sperando di trovare qualche camera libera.
«Buonasera, dica» cominciò l’addetto alla reception, che già sembrava lanciare a Federico e a Michael un bel po’ di occhiatacce.
«Una camera doppia, per favore.»
«Letti singoli o matrimoniale?»
«Matrimoniale.»
L’uomo lanciò un’altra occhiata austera a Federico, ma questo non aveva sinceramente voglia di mettersi a discutere anche di quello. Che pensasse ciò che voleva, e se avesse cominciato a polemizzare, se ne sarebbero andati da un’altra parte.
Il receptionist registrò i loro dati anagrafici e porse a Federico la chiave della stanza.
«Secondo piano, prima porta a sinistra. Se avete bisogno di qualcosa o della cena in camera c’è il numero di servizio dietro la porta. Buonanotte.»
Il tatuato annuì e con un cenno della testa ricambiò il saluto.
I ragazzi si avviarono verso la stanza e non appena vi misero piede, si gettarono entrambi sul letto matrimoniale come due sacchi di patate pesantissimi. Federico sbuffò. Michael portò una mano alla tempia perché il cervello sembrava volergli esplodere nella scatola cranica.
«Vuoi cenare?» Domandò al riccio, ma tanto già sapeva la risposta.
«No, tu?»
«No.»
Restarono così per diversi minuti, forse addirittura per qualche ora. Fissavano semplicemente il soffitto, ma in realtà non è che lo fissavano veramente. Perché davanti agli occhi di entrambi si ripeteva come in un loop la scena di Giulia che li beccava a baciarsi. E più ci pensavano, più i sensi di colpa aumentavano. Fortunatamente Michael ricordò di dover chiamare il suo datore di lavoro, altrimenti sarebbe rimasto anche sveglio tutta la notte a pensare a Giulia, data la sua indole autodistruttiva.
Il riccio prese il cellulare dalla tasca e si mise a sedere in mezzo a letto, cominciando a torturare le lenzuola con le dita della mano sinistra.
«Che fai?» Domandò Federico.
«Devo chiamarre il proprietario del bar.»
Dall’altro lato della cornetta, Giorgio si arrabbiò molto dell’assenza dal lavoro di Michael, giacché non sapeva come sostituirlo e lo aveva avvisato all’ultimo minuto. Gli urlò qualcosa contro che il tatuato non riuscì a percepire, ma vide le mani tremanti del riccio e vi intrecciò le sue dita per cercare di calmarlo: sapeva quanto Michael fosse sensibile, odiava chiunque urlasse. Il riccio mise giù dopo poco e infilò di nuovo il cellulare in tasca, mentre Federico alzava il busto e si metteva a sedere accanto a lui.
«Si è arrabbiato, immagino.»
Il riccio alzò le spalle.
«Ha deto che me lo tolie dallo stipendio, ma non me ne importa.»
Il tatuato passò dolcemente una mano tra i capelli di Michael.
«Andiamo a dormire.»
L’altro annuì controvoglia, ma dopo aver fatto entrambi la doccia, aprirono le valigie e indossarono i loro pigiami. In realtà solo Federico indossò il pigiama, il riccio restò in boxer e maglietta nera.
«Poi non lamentarti se stanotte ti violento» constatò Federico mentre fissava il corpo semi-nudo dell’altro.
Il riccio rise istericamente, ma forse fu solo un pretesto per sfogare tutto lo stress accumulato durante la giornata.
«Io non me lamento» concluse, coricandosi nel letto e tirando su le coperte fino al naso. Si guardarono per molto tempo, poi i loro occhi cominciarono a bruciare per la stanchezza e per i troppi pianti di prima. Federico gli posò un dolce bacio sulle labbra, si rigirò nel letto e spense la luce dell’abatjour sul comodino.
«Buonanotte, Mich.»
«Buonanotte, Fedé
 
Il giorno dopo svegliarsi fu una tragedia. Federico si svegliò per primo e avrebbe tanto desiderato che fosse tutto un brutto sogno, ma la realtà gli ricadde addosso con pesantezza. Con una mano si strinse gli occhi e lasciò la presa solo quando cominciò a vedere disegni astratti che svanirono non appena riaprì le palpebre. Si voltò verso Michael e lo vide dormire ancora beatamente, con la bocca leggermente aperta e i ricci arruffati che si riversavano sul cuscino. Sorrise. Poi si chinò su di lui e lo baciò sulle labbra, ma l’altro non se ne accorse neanche. Perciò Federico cominciò a lasciargli una scia di baci sul collo e passò le sue mani fredde sul petto del riccio. Finalmente questo si svegliò e aprì lentamente gli occhi, sorridendo per il dolce risveglio che l’altro gli aveva regalato.
«Buongiorno, principessa» sussurrò il tatuato, e quella frase fece davvero ridere di gusto Michael.
Si baciarono ancora sulle labbra e Michael afferrò con impeto il corpo di Federico e lo abbassò sul proprio, in modo da farli combaciare.
«Sei arrapato già di primo mattina?» Domandò Federico divertito.
Il riccio annuì e sfilò la coperta che separava i loro corpi, quindi avvicinò la nuca del tatuato per approfondire il bacio. Federico sorrise sulle sue labbra quando l’altro ribaltò le posizioni e la schiena del tatuato si trovò sbattuta contro il materasso. Michael, adesso su di lui, lo guardava con due occhi carichi di desiderio. Le sue mani andarono sotto il leggero pigiama di cotone che indossava Federico e gli accarezzarono la schiena, poi il petto, mentre Federico constatava che tutto quello era dannatamente eccitante. Il tatuato sollevò il busto e si mise a sedere contro la testiera del letto, mentre Michael si sistemava a cavalcioni su di lui. Le mani di Federico scesero sui glutei del riccio, prima ad accarezzarli e poi a stringerli con possesso, tirandolo maggiormente verso di sé. Michael gli sfilò la maglietta e cominciò a baciargli il collo, lasciandogli un grosso segno violaceo sulla pelle sensibile. Federico protestò lievemente, ma lo lasciò comunque fare. Il riccio stava cominciando a massaggiare l’erezione dell’altro quando la suoneria assordante del cellulare di Federico li fece staccare improvvisamente. Federico sbuffò poi lesse il nome di sua madre sul display e desiderò sprofondare. Finse calma e rispose.
«Ma’?»
«Federico, dove sei?»
Il nome per intero non era un buon segno.
«Perché?»
«Giulia mi ha raccontato tutto.»
Federico deglutì a fatica.
«Mi ha detto che ti ha cacciato di casa, vorrei sapere dove sei adesso.»
Il tono della madre diventava sempre più duro di parola in parola. Michael si allontanò da lui e si diresse in bagno per lavarsi e cambiarsi, capendo che tirava un’aria davvero brutta.
«S-Sono in un motel, perché?»
«Perché? Dobbiamo parlare, mi sembra ovvio!»
Adesso Tatiana stava addirittura urlando e Federico capì che era il secondo casino consecutivo, quando avrebbe ottenuto un po’ di pace? Chissà poi se Giulia le aveva davvero raccontato tutto tutto.
«Sono al Motel Milan» rispose sovrappensiero Federico, senza neanche rifletterci più di tanto.
«Sto arrivando.»
«No, aspetta, cosa? Adesso?»
Ma Tatiana aveva già interrotto la chiamata e Federico fu preso dal panico.
«Cazzo!» Urlò e Michael si sporse dal bagno facendo fuoriuscire solo la sua testa riccioluta con la fronte corrucciata e lo spazzolino da denti in bocca.
Il riccio lo guardò interrogativo finché l’altro non rispose.
«Sta arrivando mia madre!»
Gli occhi già grandi del riccio si sgranarono ulteriormente e lo spazzolino cadde a terra portandosi una scia di schiuma del dentifricio che divenne una pozza bianca sul pavimento.
«Oh, shit» imprecò Michael, e Federico non capì se quello fosse rivolto allo spazzolino o a sua madre che stava arrivando.
«Mich, devi sparire. Adesso» gesticolò il tatuato, e per un attimo gli sembrò di aver preso il posto del riccio, che in genere gesticolava sempre in una maniera imbarazzante - ma quello era per farsi capire meglio, forse.
«Dove vado?»
Federico giurò che Michael - ancora con il dentifricio tutto sulle labbra - stesse per avere una crisi di nervi.
«Ok, calma.»
Federico tentò di riprendere l’autocontrollo, ma delle nocche che sbattevano prepotentemente sul legno della porta lo fecero piombare nel caos totale.
Dimmi che sono le donne delle pulizie, pregò Federico.
Ma come al solito nessuna divinità lo ascoltava mai.
«Sono tua madre, apri!»
I due ragazzi si guardarono in stato di shock, poi Michael corse di nuovo in bagno e ne rischiuse a chiave la porta, poggiandoci contro la schiena.
Federico non poté far altro che aprire alla madre. Anche perché se lei già sapeva tutto era inutile che il riccio si fosse chiuso in bagno.
Non appena aprì la porta, Tatiana si catapultò nella stanza come un lupo alla ricerca di agnelli. Squadrò completamente e rapidamente l’ambiente, ma quando constatò che non ci fosse nessun altro, si voltò verso Federico che stava richiudendo al porta della camera.
«Dov’è?»
«Chi?» Temporeggiò Federico.
«La ragazza, dove?»
Il tatuato aggrottò la fronte: qualcosa non andava.
«Quale ragazza?»
Adesso non capiva davvero.
«Giulia mi ha raccontato tutto, di averti sorpreso mentre ti baciavi con un’altra. Andiamo, ma che cos’hai in quella testa? Ti lasci sfuggire Giulia che è una ragazza perfetta, spero che almeno l’altra sia alla sua altezza.»
Il riccio stava ascoltando tutto e chiuse gli occhi, mentre il cuore batteva forte: lui non era affatto all’altezza di Giulia, già per il fatto che non era una ragazza.
«Allora? Posso vedere questa fantomatica ragazza che sarebbe anche meglio di Giulia?»
«Ehm, no, si sta lavando.»
Il riccio, prontamente, aprì il rubinetto della doccia e tirò la tendina per non bagnarsi.
Federico, sotto il sorriso scettico della madre, indicò la porta non appena sentì il getto d’acqua, con un “visto?” stampato in faccia e le sopracciglia alzate.
«Ma io non ho fretta, aspetto.»
Tatiana si sedette sul letto e posò il suo sguardo indagatore in giro. Per fortuna i suoi indumenti Michael li aveva portati con sé in bagno. Solo Federico notò, ai piedi del letto, le sneakers bianche del riccio, e deglutì a fatica sperando che sua madre non le notasse. Perché come avrebbe potuto giustificare un quarantatré come numero di scarpe? Ovviamente non avrebbe potuto, a meno di inventare di stare con una top model altissima.
Fortunatamente Tatiana non si accorse delle scarpe, ma posò il suo sguardo sui due trolley poggiati contro la parete della camera. Dalla valigia di Michael fuoriuscivano le maniche di una camicia rosa e si intravedeva qualche abito colorato, ma niente di compromettente, per fortuna.
Michael fu costretto ad interrompere il getto d’acqua.
«Forse ha finito» sussurrò Tatiana, balzando in piedi e avvicinandosi alla porta del bagno per sentire meglio.
Federico approfittò dell’attimo per calciare le sneakers di Michael sotto il letto.
Dall’interno del bagno il riccio si mordicchiava tutte le unghie delle mani. Cos’avrebbe dovuto più fare, adesso? In realtà lui avrebbe solo voluto uscire e urlare alla madre di Federico che amava suo figlio, ma non poteva permettersi di decidere per la vita dell’altro, anche perché il tatuato non gli aveva ancora neanche detto che lo amava davvero, poteva ancora trattarsi di pura attrazione fisica. Alla fine, però, Michael decise.
Federico si sentì spacciato e quando Michael aprì la porta del bagno, decise che tanto non avrebbe potuto trovare nessuna scusa. Tanto valeva dire la verità e dirla subito. Anche se questo significava perdere sua madre per sempre.
Tatiana vide uscire dal bagno un ragazzo troppo alto dai capelli ricci e corrucciò la fronte, mentre si voltava quasi roboticamente verso suo figlio.
Lo sguardo di Michael - lo stesso rivolto a lui - implorava di dirle la verità.
«Federico... vuoi spiegarmi?»
Il tatuato abbassò la testa, poi la rialzò ma non riuscì comunque a guardare sua madre negli occhi. Era tutto così difficile, ma doveva farlo. Per sé e per Michael, soprattutto, perché non meritava di essere tenuto nascosto come un ladro.
«È con lui che Giulia mi ha sorpreso. Stavo baciando lui. Non chiedermi com’è successo, ma’, non lo so.»
La madre analizzò Michael squadrandolo dalla testa ai piedi, e il riccio si sentì davvero a disagio. Entrambi si aspettavano già di sentire le sue urla rimbombare per le pareti della stanza, ma non avvenne.
«Oh, ok» disse semplicemente. «Sapevo che prima o poi avrei scoperto che tipo di delusione sei, Federico. Una delusione completa. Vuoi fare il rapper, poi lasci Giulia per un... uomo. Mi hai deluso tanto Federico, ancora una volta.»
Il suo tono di voce era così calmo e glaciale che il tatuato avrebbe preferito sentirsi urlare contro di tutto. Di tutto davvero, ma sentirsi dire in quel modo che lui era una delusione, gli fece ancora più male.
Tatiana fece per andarsene, mentre Michael avrebbe voluto difenderlo in qualche modo, ma nessuna parola usciva dalle sue labbra. La donna si voltò un’ultima volta prima di uscire dalla camera.
«E davvero, a me non importa se sei un uomo o una donna, Federico è libero di stare con chi vuole. Ma non penso che sarai mai in grado di competere con Giulia, neanche minimamente.»
Aprì la porta e uscì semplicemente, sotto lo sguardo sconcertato dei due. Gli occhi di Michael divennero lucidi perché sapeva che la donna aveva ragione, e l’aveva colpito nel profondo.
Federico gli si avvicinò e lo abbracciò.
«Non ascoltarla. Tu sei perfetto, perciò ho scelto di stare con te.»
Il riccio si maledisse perché ancora una vota si stava mostrando debole, e Federico lo stava consolando nonostante fosse lui ad avere più bisogno di consolazione.
 
In una settimana Federico e Michael presero in affitto un appartamento, perché anche se il tatuato era ancora convinto di non voler correre, dovevano pur stare da qualche parte. L’appartamento era già arredato, ma ovviamente Michael storse il naso per ogni oggetto lì presente.
«Non mi piace il stilo antico» esordì, ma presero comunque quell’appartamento perché costava molto meno di tanti altri. Quindi il riccio comprò dei dipinti economici d’arte contemporanea da appendere alle parti bianche e qualche altro oggetto strano e si sentì meno a disagio in quella casa. Federico lo lasciò fare perché, se era quello l’unico modo per farlo calmare, a lui stava bene.
 
Ci vollero alcune settimane perché Giulia rispondesse ad una chiamata di Federico.
«Mi dispiace, davvero, mi dispiace tanto.»
«È ok, Federico, non preoccuparti.»
Ma il ragazzo sapeva che non era ok, perché poteva sentirlo dalla sua voce spezzata e dal suo nome pronunciato per intero.
«Mi perdonerai mai?»
«Non c’è niente di cui devi essere perdonato, davvero. Non fa niente, ma ti prego, non chiamarmi più e non cercarmi più. Ci siamo lasciati e va bene così, adesso voglio stare da sola.»
Federico non pretese nulla, solo sperò che Giulia potesse presto stare meglio, perché lui si sentiva ancora un verme schifoso, nei suoi confronti.
Cercò di contattare anche sua madre, e pure lei dopo diverse settimane gli rispose.
«Cosa vuoi?»
«Parlare con te, per favore.»
«Di chi, di quello lì
«Quello lì si chiama Michael ed è-»
«Il tuo ragazzo?»
«Ci stiamo frequentando. E dato che tu hai detto che non ti importa se sto con un uomo o con una donna, vorrei che ti comportassi con lui come ti sei comportata con Giulia. Quindi vorrei che almeno lo conoscessi come si deve, se proprio devi criticarlo.»
Tatiana stette in silenzio per un po’.
«Uhm, va bene» sospirò rassegnata.
Federico si illuminò e sorrise.
«Ok, allora domani sera a cena da noi? Cucinerà Michael. Ti mando l’indirizzo per messaggio.»
Quando la donna annuì e lo salutò con scarso entusiasmo, Federico era invece al settimo cielo. Decise di chiamare Michael per comunicarglielo, sperando che rispondesse nonostante fosse al bar.
Il riccio vide vibrare il cellulare sul bancone e rispose, giacché quella sera al bar c’erano pochissimi clienti.
«Fedé
«Mamma ha accettato l’invito per domani sera!»
Il riccio sorrise ed esultò, ma subito l’ansia lo colse: doveva essere tutto perfetto se voleva far colpo su Tatiana, anche perché lui partiva già in notevole svantaggio.
«Perfect! Domani io sarà perfeto e bravissssimo
Federico rise.
«Ne sono sicuro.»
 
- - - - - - 
ANGOLO AUTRICE
Il capitolo pieno di angst è finito, tranquilli. Anzi, direi che è finito anche abbastanza benino, o no? Mi è dispiaciuto tanto dover scrivere di Giulia, perché lei è tenerissima... ma ammettetelo che siete tutti contenti v.v adesso non c'è più nessun ostacolo tra Mich e Fede. O no? Chissà. 
Sempre grazie a chi legge e recensisce <3
Ora mi dileguo, adios.
 
<3

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Capitolo 12
*** Dodicesimo ***


- 12 -
 
Michael continuava a tormentarsi nervosamente il nodo della cravatta, che ogni secondo gli sembrava soffocarlo maggiormente. Se la allentò, poi la strinse di nuovo perché non poteva presentarsi così. Dopodiché tornò in cucina e contò di nuovo tutte le pietanze preparate: gli spaghetti caldi erano ancora in pentola, pronti per per essere versati nei piatti; secondo, contorni, dolce, era tutto lì. La casa era pulita, Michael ci aveva perso tutto il giorno per farla risplendere. Il riccio continuava a fare avanti e dietro tra la cucina e il soggiorno e Federico lo osservava. Anche il tatuato aveva addosso un’ansia tremenda, ma perlomeno, a differenza dell’altro, non lo dava a vedere.
Le mani di Federico afferrarono la camicia bianca di Michael e questo si voltò verso di lui, con un’espressione di terrore sul volto.
«Mich, devi stare calmo, ok? Sei perfetto, andrà tutto magnificamente.»
Federico sforzò un sorriso per rassicurarlo, nonostante anche lui avesse bisogno di essere rassicurato.
Il riccio lo cinse con un abbraccio e i due si staccarono sobbalzando quando il citofono suonò.
Dopo una manciata di minuti Tatiana era sulla soglia dell’appartamento, lo sguardo inflessibile. Salutò entrambi con due freddi baci sulle guance e i ragazzi la fecero accomodare nel salotto. La donna si osservò attorno e notò che la casa era davvero ben pulita, ma si tenne al riguardo dal fare complimenti. Era ancora troppo presto.
I tre si sedettero sul divano perché era presto per cenare e la donna ne approfittò per fare qualche domanda insidiosa - o almeno questo percepì Federico.
«Allora, Michael... da dove vieni?»
Non c’era curiosità nella sua domanda, solo freddezza.
«I-Io sono nato a Beirut» balbettò Michael. «Poi ho visuto in Francia e in Inghiltera
Il riccio era nervoso e Federico avrebbe tanto desiderato stringergli la mano per rassicurarlo, ma non era il momento giusto per farlo, quello.
Tatiana sospirò come se non fosse molto contenta delle origini di Michael e il ragazzo si sentì morire per la prima volta in quella serata - la prima di una lunga serie, s’intende.
«E cosa fai nella vita?»
«Lavoro in un bar.»
Michael fu breve e conciso ed evitò di raccontarle che sperava in un futuro nel mondo della musica, perché sarebbe stato come darsi la zappa sui piedi giacché Federico gli aveva già raccontato di quanto lei non fosse d’accordo con il suo sogno di diventare rapper. A dirla tutta Michael aveva anche pensato che era troppo presto per conoscere sua madre, ma l’altro in precedenza lo aveva già rassicurato dicendo che Tatiana si era comportata allo stesso modo anche con Giulia, e che per lei conoscere i partner di suo figlio non era un impegno ma solo curiosità. Una tradizione strana, si era ritrovato a pensare Michael, dato che nella sua famiglia era tutto completamente diverso.
Anche stavolta Tatiana sospirò di sopportazione e Federico - che era sempre stato molto impulsivo - stava per sbottare, ma Michael gli lanciò un’occhiata per dirgli di non rovinare tutto.
«Ehm, direi che possiamo anche cenare, no?»
Il tatuato si intromise nervosamente e sua madre annuì, dirigendosi appresso al riccio fino in cucina. Qui il ragazzo più alto servì gli spaghetti nei piatti e li ricoprì di sugo; le mani gli tremavano per l’ansia, ma si impose calma perché non poteva proprio permettersi di rompere un piatto o fare qualunque altra cosa che avrebbe rivelato la sua goffaggine.
Il riccio servì i piatti in tavola e poi si sedette. Attese il giudizio di Tatiana più o meno come un alunno attende il voto dell’ultimo compito di recupero dell’anno.
«La pasta è scotta» disse solamente e a Michael bastò per sentirsi morire dentro di nuovo.
Si maledisse in tutte le lingue che conosceva perché avrebbe potuto farci più attenzione.
Federico lo guardò e notò quanto l’altro fosse ferito, quindi tentò di rimediare.
«A me piacciono molto» constatò. «Ti sei impegnato tanto, si vede.»
Il riccio gli sorrise leggermente in segno di ringraziamento. Almeno lui aveva apprezzato.
«Chi ti ha insegnato a cucinare?» Saltò su la donna.
Michael la guardò un po’ smarrito.
«Nessuno, io ho imparato da ssolo
«Si vede. Secondo me dovresti fidanzarti con un cuoco, così ti insegna a cucinare per bene.»
Lo sguardo di Michael era tra l’incredulo e il ferito a morte. Federico lo vide calare lo sguardo nel piatto e non riuscì più a tollerarlo.
«Ma’...»
«Che c’è?»
«Non è carino, da parte tua.»
«Neanche questo piatto è carino, anzi, questa pasta è tremenda.»
«Mamma, smettila.»
Nonostante lo sguardo duro di Federico, sua madre lo ignorò e lasciò cadere la forchetta nel piatto, come a indicare che aveva finito. Michael si alzò dopo poco per prendere i piatti e riporli nel lavello, in modo da servire il secondo con contorno. Federico lo osservò e vide che la sua espressione era la stessa di quella volta, quando poi si era chiuso in bagno a piangere. E Federico pensò che fosse davvero sul punto di piangere di nuovo, perciò gli dispiacque immensamente: il riccio non meritava di essere trattato così da sua madre.
Michael tornò con i piatti di Tatiana e Federico: aveva ancora le mani tremanti e l’ansia addosso, a niente era servito cercare di calmarsi prima; il giudizio della donna, infatti, lo aveva reso ancora più insicuro. Proprio per questo, quando le stava per servire il piatto, le sue mani tremolanti fecero sì che la fettina di roastbeef nel piatto si riversasse completamente sulla camicia bianca della donna, con tutte le verdure e gli ortaggi che erano affianco. Federico portò una mano a coprirsi il volto: da un lato gli veniva da ridere, ma dall’altro pensò che era la fine. Il riccio sgranò gli occhi e cominciò a ripetere frasi a vuoto tra l’inglese e l’italiano.
«Oh, shit! I’m s-sorry, m-me dispiace tanto, io-»
E continuò così più o meno per tutto il tempo che Tatiana impiegò per realizzare cos’era successo alla sua adorata camicia bianca che adesso aveva un grossa macchia sul petto.
È il karma.
Michael prese dei tovaglioli e glieli porse, cercando anche lui di aiutarla a pulirsi - ma facendo attenzione, stavolta, a dove metteva le mani - e a Federico ricordò vagamente la scena al fast-food, perciò non riuscì a non ridere. Tatiana gli lanciò un’occhiataccia e ad un certo punto esplose.
«Sta’ fermo!»
Urlò contro il povero ragazzo riccio, che si bloccò immediatamente. La donna si alzò rabbiosa dal suo posto e prese le proprie cose per andare via. Attraversò il corridoio e Federico la rincorse e tentò di bloccarla.
«Mamma, ti prego, non l’ha fatto apposta! Dai, non fare così...»
«Ma che imbranato di prima categoria! Se proprio dovevi, non potevi scegliertene uno meglio?!»
Michael era ancora in cucina, fermo al suo posto, e sentiva tutto. E si sentiva male, anche, perché lei aveva ragione e a lui non ne andava mai bene una.
«Ma’, basta, non dire così. Gli hai messo pressione, è colpa tua.»
«Ah, sì, certo, adesso è anche colpa mia. Come no!»
Afferrò la maniglia della porta e in un attimo fu fuori dall’appartamento, giù per le scale.
Federico sospirò rumorosamente. Era stato un casino, ma se lo aspettava: non sarebbe andata bene neanche se fosse filato tutto liscio, perché di sicuro Tatiana avrebbe trovato il pelo nell’uovo ad ogni costo.
Il tatuato raggiunse Michael in cucina e vide i suoi occhi tristi. E odiò davvero sua madre, in quel momento, perché lui amava gli occhioni di Michael e vederli così tristi era una lama che gli trapassava il cuore.
Si avvicinò a lui e lo abbracciò.
«Chi se ne frega, Mich. Lei avrebbe trovato comunque da ridire su ogni cosa. Ma tanto non abbiamo bisogno di lei, per stare insieme.»
Il riccio sorrise dolcemente sulla spalla dell’altro.
«Sono un imbranatto» constatò ancora una volta, sorridendo, e la frase fece ridere anche Federico.
«Uhm, sì. Sei il mio imbranato preferito e io ti amo.»
Michael sgranò gli occhi e sciolse l’abbraccio per guardare l’altro, incredulo.
«Tu ha detto che-»
«Sì, ho detto che ti amo.»
Federico era leggermente imbarazzato, ma era ciò che sentiva dal profondo del suo cuore e perciò lo aveva detto. Pensava che ormai fosse il momento giusto.
Michael di tutta risposta lo abbracciò fortissimo e i suoi occhi divennero lucidi per la gioia.
 
Giulia era seduta sul divano di quella casa, avvolta nel plaid e nel più totale silenzio. Fino a qualche settimana prima l’appartamento era pieno di vivacità, dovuta perlopiù al carisma di Michael. A lei mancava, ovviamente, tutto quello. Le mancava tantissimo Federico - per cui aveva pianto fin troppo - e stava con il costante desiderio di contattarlo, di sentire la sua voce; ma non le andava di chiamarlo e di cedere, soprattutto dopo avergli detto di lasciarla in pace. E le mancava anche Michael, in un certo senso, perché era diventato suo amico e pensare che il tatuato avesse scelto lui, alla fine, le faceva male. In realtà lei non riusciva neanche a capacitarsi ancora di come avesse potuto Federico innamorarsi di un altro ragazzo. Eppure pensava di conoscerlo bene, ormai.
Ad un certo punto il campanello del suo appartamento suonò. Raccolse tutta la voglia che non aveva e si alzò - con ancora addosso il plaid - per andare ad aprire la porta. Dallo spioncino vide che era Michael e si sentì quasi male. La tentazione di non aprire era forte. Molto forte. Nonostante ciò, però, la porta si spalancò. Giulia apparve sull’uscio della porta con gli occhi stanchi e i capelli sfatti. Michael in un primo momento pensò che la ragazza gli avrebbe urlato addosso - forse lo avrebbe anche picchiato - ma non sembrava avere le forze né la volontà di fare quello.
«Ciao, io-» cominciò Michael, ma Giulia semplicemente si spostò e lo lasciò entrare, dirigendosi nuovamente sul divano.
Il riccio richiuse la porta alle sue spalle e la seguì, sedendosi anch’egli sul divano ma prendendo le giuste distanze da lei.
A Michael quella casa sembrò solo vuota e fredda, e capì improvvisamente che non era stato quell’appartamento a farlo sentire a casa: era stato Federico. Per tutto il tempo.
«Perché sei qui?»
Il tono di Giulia era giustamente un po’ freddo, ma sembrava più esausta che arrabbiata. Forse si era semplicemente stancata e ne aveva abbastanza di arrabbiarsi.
«Volio scusarmi con te.» Il riccio abbassò lo sguardo al pavimento. «Mi dispiace per quelo che è successo, non volevamo ferirti.»
Giulia scosse la testa.
«E secondo te come avrei dovuto prenderla? Sentiamo.»
L’altro scrollò le spalle.
«Non lo so, forse qualunque cosa fosse sucesa sarei venuto comunque qui a scusarmi.»
Giulia si pentì di aver permesso a Michael di entrare nella loro vita: se lui non ci fosse entrato lei e Federico sarebbero rimasti assieme. Ma sì pentì anche di ciò che aveva pensato perché lei credeva molto nel destino, e a quanto pareva il destino aveva in serbo un partner diverso per lei. Eppure, nonostante si cercasse di auto-convincere, aver perso Federico le faceva ancora male.
«Ti chiedo scusa.» Rimarcò Michael.
«Non devi scusarti. Ora va’, per favore.»
Il riccio annuì e si sentì sollevato: era già un grande passo in avanti non essere stato immediatamente aggredito.
Si alzò e si diresse verso quella porta che conosceva bene.
«Ciao, Giulia.» Sussurrò e uscì, richiudendo la porta alle sue spalle.
La ragazza aveva solo tanta voglia di piangere.
Michael invece si sentì molto egoista a pensare che finalmente poteva avere Federico tutto per sé.
 
Mentre si dirigeva verso il bar per cominciare il turno, ripensò anche al giorno precedente: aveva davvero fatto una pessima figura con la madre di Federico, ma quella era solo una delle tante volte in cui si impegnava al massimo e finiva solo per combinare casini. Era così, purtroppo, e addirittura pensò che a questo punto avrebbe potuto impegnarsi di meno per qualunque cosa. Forse gli sarebbe andata meglio.
Arrivò al bar con cinque minuti di ritardo e si scusò con Giorgio, che però sorvolò perché era un ritardo insignificante. Infilò il grembiule, che assieme alla camicia e alla cravatta argentata costituiva la divisa del bar, e cominciò a prendere ordinazioni e servire i clienti. In un angolo del bar - in un tavolino in fondo - c’erano alcuni ragazzi che Michael aveva visto un paio di volte nel locale. Attirarono la sua attenzione perché li vedeva spesso voltarsi verso di lui e lanciargli un’occhiata, poi parlottavano tra di loro e a volte ridevano. Michael pensò che fossero i soliti ragazzi spacconi con cui doveva avere a che fare fin troppo spesso. Eppure vide uno di quei ragazzi, con i capelli neri e gli occhi chiarissimi, alzarsi e andargli incontro. Il ragazzo si sedette silenziosamente su uno degli sgabelli accostati al bancone e fissò il riccio per un po’. Michael finse di concentrarsi sui massicci boccali vuoti, ripassando lo straccio per pulirli anche se erano già asciutti da una vita. Faceva di tutto per non guardare quel ragazzo, che nel frattempo lo fece arrossire visibilmente perché lo metteva in soggezione. Percepì il ragazzo sorridere.
«Sei carino, lo sai? Specialmente quando arrossisci.»
Era un sussurro, ma quel ragazzo aveva una voce abbastanza melodiosa. Il completo opposto della voce bassa e roca di Federico.
Michael alzò di scatto lo sguardo verso il giovane e lo guardò abbastanza stupito. Ci stava provando con lui?
«C-Come?»
«Ho detto che sei carino» rise l’altro, una risata dolce.
Il giovane allungò intraprendente una mano verso la guancia di Michael e gliel’accarezzò.
«Quando sei in imbarazzo arrossisci e sei anche più carino.»
Michael si morse nervosamente le labbra e riprese a pulire i boccali già splendenti.
«Scusa, sono fidanzato.»
In realtà non aveva mai chiarito questo punto con Federico, ma dirsi “ti amo” a vicenda li rendeva automaticamente impegnati, no?
Il ragazzo rise in risposta.
«E che fa? Ti ho fatto solo un complimento!»
Il riccio lo guardò storto.
«Alora sei l’unico che non fa i complimenti solo per portarsi a leto qualcuno.»
L’altro scrollò le spalle.
«Sono molto romantico.»
Il riccio lo ignorò.
«Mi chiamo Andrea, comunque. E non ci sto provando con te, volevo davvero solo farti un complimento. Sai, c’è un mio amico laggiù che vorrebbe davvero provarci con te. Si chiama Marco.»
Andrea si voltò verso il tavolo da cui era venuto e lo indicò. Michael fu attirato da quelle parole e guardò verso il tavolino, senza però capire a chi si riferisse. Al tavolo erano seduti un biondino dai capelli corti a spazzola, un ragazzo con una lunga barba rossa da hipster e un uomo un po’ più grande con un grosso ciuffo nero e un pizzetto, che fumava svogliatamente una sigaretta e indossava una giacca abbastanza vistosa sebbene di un semplice bordeaux. Michael non avrebbe dovuto interessarsene ulteriormente, ma era davvero curioso di sapere a chi dei tre si riferisse.
«Chi è?» Gli domandò allora e gli occhi di Andrea si illuminarono di una certa malizia.
«È quello con la sigaretta.»
Michael lanciò un’altra occhiata e notò con disappunto che la differenza tra i due doveva essere almeno di dieci anni; era un uomo attraente, certo, molto sexy. Ma troppo grande, senza contare che Michael era troppo impegnato.
«Ha detto che vorrebbe scoparti.»
Michael lo guardò malissimo.
«Lo so» continuò Andrea ridendo, «ma lui non è romantico come me.»
Michael lanciò un’ultima occhiata all’uomo, poi scosse la testa e si occupò di sciacquare alcuni bicchieri che dei clienti avevano appena poggiato sul bancone.
«Puoi dire a Marco che sono fidanzato, thanks.»
«Ah, ha detto anche che il tuo accento inglese è sexy.»
Il riccio roteò gli occhi al cielo. Andrea si avvicinò di più sporgendosi sul bancone e abbassò leggermente il tono di voce.
«E poi ha aggiunto che secondo lui quando fai sesso urli un sacco e raggiungi l’orgasmo con frasi in inglese.»
Andrea era davvero divertito, mentre sul volto di Michael si dipingeva un’espressione di profondo imbarazzo misto ad una punta di disgusto.
«P-Per favore, smetila» balbettò confuso il riccio.
Era disgustoso che una persona potesse pensare una cosa del genere di uno sconosciuto e poi starsene tranquillo seduto a fumarsi una sigaretta. Andrea invece se ne ritornò al tavolino abbastanza divertito. Raccontò qualcosa ai suoi amici, che risero tutti tranne Marco: l’uomo lasciò il mozzicone di sigaretta nel posacenere e si alzò abbastanza infastidito per dirigersi verso il bancone del bar. Si sedette sullo stesso sgabello prima occupato da Andrea. Michael cercò in ogni modo di evitarlo: con quale sfacciataggine si presentava davanti a lui dopo aver detto quelle cose?
«Senti, non è vero quello che ti ha detto Andrea. È un coglione, si è inventato tutto.»
Il riccio non ne era completamente convinto, ma dal tono di voce che Marco aveva assunto sembrava essere sincero. Perciò alzò i suoi occhi ambrati su di lui e lo fissò per la prima volta da vicino.
«Mi dispiace, ti avrà sicuramente messo in imbarazzo» continuò con la sua voce arrochita dal fumo di sigarette.
Michael pensò che quella voce assomigliava molto a quella di Federico, bassa e suadente.
«Non fa niente. No è colpa tua.»
Michael era intento a sorvolare sulla questione, giacché quel genere di cose gli capitavano molto spesso per il lavoro che faceva. Perciò aspettava che Marco raggiungesse i suoi amici al tavolo, e invece questo estrasse una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca e se la accese.
«Ti dà fastidio se fumo qui?»
Il riccio scosse la testa e tornò a lavorare. Marco non lo fissava, comunque, e già questo era un buon segno: sembrava volesse solo avere compagnia senza metterlo in soggezione.
«Sono Marco, comunque.»
«Michael.»
Il riccio in realtà si stava chiedendo se Marco fosse realmente gay o anche quella poteva dirsi un’invenzione di Andrea. Scosse la testa: ma perché poi gli venivano in mente certe cose? Marco rise nel vederlo scuotere la testa all’improvviso, senza alcuna ragione.
«Sei un po’ strano, tu, eh.»
Il riccio lo guardò confuso.
«Perché dice questo?»
«Perché è vero! Scommetto che a volte parli anche da solo.»
«Tuti parlano da soli.»
Marco ci pensò un po’ su mentre prendeva una boccata di fumo dalla sigaretta. Poi sorrise.
«Hai ragione.»
Stettero ancora in silenzio per un po’, poi entrarono dei clienti e Marco si perse ad osservare Michel che li serviva. Quando ci fu di nuovo quiete, Marco parlò:
«Cosa fai nella vita, Michael?» Disse.
«Lavoro qui» sorrise ovvio il riccio.
«Già. Intendevo... qualcos’altro?»
Michael scosse la testa.
«Mi piace scrivere canzoni e cantare, ma... è solo un pasatempo. Tu, invece?» Gli domandò.
Gli occhi di Marco si illuminarono di una strana luce brillante.
«Davvero scrivi canzoni? Che genere?»
«Pop. Ma non hai risposto ala mia domanda!»
Marcò buttò fuori del fumo e scosse la sigaretta nel posacenere.
«Anch’io faccio musica. Perlopiù incomprensibile agli altri.»
Sembrava essersi spento un po’, con quell’affermazione, mente Michael diventava sempre più curioso. Entrarono molti clienti nel bar e a Michael non fu più concesso di distrarsi.
A fine serata gli amici di Marco uscirono dal locale mentre Marco riuscì a ritagliare un po’ di tempo per il riccio. Gli si avvicinò, estrasse una penna dal taschino della giacca bordeaux e afferrò la mano di Michael. L’istinto del riccio fu di ritrarla, ma Marco la tenne salda e gli scrisse qualcosa sul palmo.
«Chiamami» disse alla fine, prima di uscire dal locale, mimando la cornetta con le dita della mano e lanciandogli un occhiolino.
Michael guardò il palmo della mano: c’era il numero di telefono di Marco e sotto “Marco Castoldi” scritto in stampatello. Michael sorrise. Poi però pensò a Federico: era fidanzato, non poteva contattare un altro ragazzo! Alla fine si convinse a tenere il numero: non stava facendo niente di male, era solo curioso di scoprire che tipo di musica facesse quel Marco Castoldi.
 
Michael tornò all’appartamento ed aprì la porta nel buio totale. Federico dormiva beatamente nel loro letto e perciò si spogliò e lavò in silenzio, riducendo al minimo il getto dell’acqua che scendeva dal soffione della doccia. Indossò boxer e maglietta e si coricò nel letto accanto a Federico. Ricordò solo dopo del numero che teneva ancora scritto sul palmo della mano sinistra: lo guardò ed era ancora leggibile, anche se un po’ cancellato per la doccia che aveva fatto. La tentazione di salvare il numero in rubrica e poi cancellarlo dalla mano era forte, ma più forte ancora era la tentazione di dormire. Perciò rimandò al giorno successivo e spense la luce sul comodino per poi addormentarsi.
 
Il giorno seguente Federico si svegliò per primo: accadeva sempre così quando Michael lavorava al bar e dormiva fino a tardi. Federico trovò il riccio vicino al suo corpo, girato verso di sé e con la bocca semiaperta - dormiva sempre in quel modo. Il tatuato sorrise alla vista dolce del ragazzo, poi notò che aveva qualcosa scritto nel palmo della sua mano sinistra, rivolta verso l’alto. Con delicatezza allargò le dita e ci vide un numero di telefono con sotto un nome. Una rabbia cieca gli risalì fino al cervello: chi cazzo era quel Marco Castoldi? Federico afferrò il proprio cellulare e compose il numero. Dopo tre squilli rispose un voce roca.
«Pronto?»
«Chi sei, Marco Castoldi?»
Marco corrugò la fronte.
«Chi sei tu, piuttosto.»
«Sono il ragazzo di Michael. Ti dice qualcosa?»
Federico si trattenne dall’urlare solo perché non voleva svegliare il riccio.
«Ah, sì! Gli ho scritto il mio numero di telefono, ma non ti credere. Ieri sera abbiamo parlato al bar e ho scoperto che anche lui fa musica, ero curioso di sentire qualcosa. Ma che sei geloso?»
A Marco piaceva giocare in quel modo, anche se non conosceva affatto quel Federico. Era divertente.
«Senti, lascia stare il mio ragazzo» disse nervosamente.
«Guarda che non ho neanche il suo numero. È quello da cui mi chiami, per caso?»
«No, questo è il mio. E stagli lontano al bar, hai capito?»
Marco sorrise.
«Va bene» disse rassegnato, anche se già convinto che avrebbe fatto l’esatto opposto. Ormai era una questione di principio.
«Addio.»
Federico staccò la chiamata: era arrabbiatissimo e gelosissimo, quindi diede involontariamente un pugno sul comodino. La botta fece svegliare Michael, che sbandò.
«Non volevo svegliarti» concluse Federico con umore nero.
Michael corrugò la fronte.
«Non fa niente. Che succede?»
Federico stette un po’ in silenzio, cercando di calmarsi. Poi indicò la mano del riccio.
«Dimmelo tu. Di chi è quel numero?»
Michael si guardò la mano, ancora confuso dal sonno bruscamente interrotto.
«È un ragazo che ho conosciuto ieri al bar. Mi ha lasciato il suo numero.»
Federico lo guardò molto male e Michael si affrettò a chiarire.
«Non è come crede tu! Fa musica anche lui e io ero molto curiosso. Tuto qua.»
«Ah, certo.»
Federico aveva le braccia incrociate al petto e i pugni serrati. Michael inclinò la testa di lato.
«No ti fidi di me? Da veri
Federico non rispose e per Michael quello fu un colpo al cuore. Si alzò di scatto dal letto.
«Rispondimi, Fedé
«Di te mi fido, è che non mi fido di questo qui.»
«No lo conosci neanche.»
«Neanche tu» quasi urlò. «O forse mi sbaglio.»
Michael era ferito per la poca fiducia che Federico gli stava dando. Stava per parlare, ma fu anticipato dal tatuato.
«L’ho chiamato proprio adesso. Gli ho detto di stare alla larga da te.»
Michael non poteva credere che Federico avesse fatto una cosa del genere. Sbarrò gli occhi.
«Cioè per te io non poso neanche avere dele amicizie?»
«Delle amicizie? E se quello vuole solo portarti a letto?»
Federico stava urlando e Michael cominciava a sentirsi male, come ogni volta che sentiva qualcuno urlargli contro. Eppure non voleva mostrarsi debole.
«Ma che ne sai tu! Smetila di essere così posessivo
Si avvicinarono fronteggiandosi con rabbia: erano in piedi entrambi, uno di fronte all’altro.
«Io non sono possessivo, cazzo. Lo capisci che sei ingenuo?»
«Cosa?!»
«Sei ingenuo, sì! Credi che tutti siano buoni come te, ma non capisci che la gente è cattiva? E tu sei uno stupido se pensi che quello vuole solo fare amicizia con te. Amicizia! Cazzo, ma sei davvero così scemo?»
Anche se contro la propria volontà, Michael stava tremando leggermente. Non aveva parole: era quello ciò che Federico pensava di lui?
«Vaffanculo» sussurrò e si diresse in cucina rapidamente per non vedere più la sua faccia.
Federico era nervosissimo e non aveva voglia di raggiungerlo, data la sua testardaggine. Si passò una mano tra i corti capelli mentre ripensava amaramente a come potesse il suo ragazzo essere così ingenuo.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
Aggiornamento extra = angst extra, ora lo sapete. Non posso dare un po' di pace a quei due patatoni, proprio non posso. Non è nel mio DNA. Volevo aggiornare ieri ma poi ho dovuto completare la seconda OS del contest e non sono riuscita ad aggiornare qui. Ora voglio dire che... C A Z Z O, il primo capitolo di questa ff ha raggiunto più di mille visualizzazioni *-------------* ok, potrei morire adesso. Se non fosse che la volta scorsa mi avete lasciato 5 recensioni, CEH, 5. ORA posso morire felice :') ovviamente ringrazio tutti come sempre, anzi, adesso anche di più. <3

Vi lovvo always e l'angst è il mio modo di dimostrarvelo. <3

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Capitolo 13
*** Tredicesimo ***


- 13 -
 
Quel giorno stesso le cose tra Michael e Federico precipitarono.
Avevano pranzato in silenzio e raramente i loro occhi si erano incontrati. Michael - dopo aver lavato i piatti - sedeva sul divano con una leggera coperta sulle gambe e il computer portatile poggiato su di essa. Era concentrato sulle note musicali quando uno smartphone piombò sulla tastiera del suo MacBook. Michael alzò lo sguardo verso un Federico irato, poi osservò il display del telefono del suo ragazzo che segnava un numero sconosciuto. Non aveva bisogno di chiedergli a chi appartenesse quel numero, sapeva benissimo che era quel Marco Castoldi o Federico non si sarebbe comportato in quel modo.
«Rispondi» gli ordinò il tatuato.
«No.»
«Ti ho detto di rispondere» insistette Federico, ribadendolo lentamente e con rabbia.
Michael non si aspettava che Federico si comportasse così. In quegli attimi al posto della figura del suo ragazzo vide invece Danny. Sì, si stava comportando esattamente come avrebbe fatto lui, e il riccio fu assalito da una profonda tristezza. Poi la rabbia si fece spazio dentro di sé, allora poggiò il computer sul divano e schizzò in piedi.
«No voglio, Federico, lasciami in pace! Io non ho fato niente, perché ti comporti così?»
Pronunciò le parole con sempre maggior agitazione. Federico restò in silenzio per dei minuti, forse riflettendo sulle ragioni del riccio oppure aspettando che la rabbia sbollisse un po’.
«Ok, va bene» pronunciò senza esserne completamente convinto. «Ma se quel tipo ti dà fastidio al bar devi dirmelo, ok?»
Michael si addolcì e annuì rapidamente, permettendo alla sua massa di boccoli di scuotersi su e giù.
 
Quella sera al bar Michael sperò davvero che Marco non si facesse vivo. Per la sua sanità mentale, prima di tutto. E invece l’uomo entrò tranquillamente nel locale, seguito dagli stessi amici della volta precedente - Andrea, il biondino e quella sorta di hipster. L’espressione sul volto di Marco mutò non appena vide Michael dietro il bancone: se prima era tranquilla e rilassata, dopo averlo visto sul suo viso si aprì un sorriso malizioso - quasi un ghigno. Il riccio deglutì a fatica e tentò di concentrarsi su altro.
Ovviamente non passò molto prima che Marco si avvicinasse al bancone, con la scusa delle ordinazioni.
«Ciao, Michael.»
«Ciao» salutò freddamente.
«Senti, ci porti quattro Tennent’s alla spina?»
Il riccio annuì senza guardarlo e scrisse l’ordinazione su un foglietto. Poi si voltò per spillare la prima birra e quando si rigirò verso il bancone notò che Marco era ancora lì.
«Le porto io al vostro tavolo» gli disse, sperando che questo lo avrebbe fatto allontanare.
«Lo so» concluse lui ridendo leggermente. «Non posso stare qui?»
«S-Sì, certo» balbettò leggermente Michael.
Marco lo trovò adorabile. Come lo avrebbe trovato chiunque, d’altronde. E poi sapere che quel ragazzo era già fidanzato era un altro elemento dannatamente eccitante, per lui - come se il suo visetto angelico e quegli occhioni non lo fossero già abbastanza da fargli desiderare di scoparselo il prima possibile.
«Allora... ieri parlavamo di musica» cominciò Marco accendendosi una sigaretta. «Ti va di venire a casa mia per ascoltare qualcosa?»
La pazienza di Michael aveva un limite e quel limite fu superato tutto d’un tratto, con quella frase. Non era colpa di Marco, certo, quella era solo una richiesta innocua - forse - ma il riccio aveva accumulato troppo stress per quella storia, e perciò sbottò. Poggiò poco delicatamente l’ultimo boccale di birra sul vassoio e sbuffò esasperato.
«Per favorre, Marco, lasciami stare. Io sono fidanzato, e tu lo sa, perché hai parlato con Federrico
Marco alzò le mani al cielo e sorrise.
«E va bene, scusa!» Lo interruppe. «Guarda che era solo una richiesta amichevole, la mia. Da’, questo lo porto io.»
Marco afferrò il vassoio e si diresse al tavolino a cui erano seduti i suoi amici. Nonostante il modo un po’ brusco con cui Michael aveva parlato, comunque, il riccio notò che lui era ancora sorridente e spensierato.
 
Quando tutti furono usciti dal locale erano appena passate le due e mezza del mattino. Michael aveva aspettato una ventina di minuti, dopo aver finito di sistemare tazzine e bicchieri, prima di togliersi definitivamente il grembiule e poggiarlo nello stanzino in cui aveva le sue cose. Evidentemente non era il solo ad aver atteso, perché proprio quando uscì dallo stanzino gli si materializzò davanti la figura di Marco. Michael sobbalzò per lo spavento e aggrottò la fronte.
«Cosa fa tu ancora qui? Sto per chiudere il locale.»
Marco lo fissava con uno sguardo malizioso e gli occhi leggermente lucidi - Michael sapeva che non era ubriaco, ma forse lievemente brillo sì.
Infatti l’uomo non disse niente, semplicemente afferrò il viso del riccio e lo baciò con foga, facendo scontrare la schiena del più alto contro il bancone di legno massiccio. Michael se lo scollò di dosso e lo guardò sconvolto.
«Cosa fai?!»
Di nuovo Marco non rispose e afferrò il corpo di Michael tenendolo stretto per le spalle. Appiccicò il suo corpo contro quello del più alto in modo che questo potesse sentire l’erezione che lui aveva nei pantaloni. Il riccio era come pietrificato.
«Questo è l’effetto che mi fai ogni volta che ti vedo» gli sussurrò all’orecchio Marco.
La sua voce era talmente calda e roca che, pure se controvoglia, Michael percepì tutto il suo sangue caldo precipitare al basso ventre. No, non poteva permettersi di avere un’erezione in quel momento, soprattutto con quell’uomo! Eppure la sua voce era così bassa ed eccitante, così suadente. Il suo fiato caldo sul collo gli faceva venire i brividi, così come quel misto di tabacco e alcol che giunse alle sue narici. Michael chiuse gli occhi combattuto, mentre la lingua di Marco già trafficava sul suo collo. Il riccio era troppo impegnato a cercare di non farsi piacere tutto quello, e perciò neanche si rese conto dei denti dell’uomo che andavano a marchiargli il collo con un succhiotto, finché non sentì dolore proprio in quella porzione di pelle. Gli sfuggì un gemito che non avrebbe voluto emettere, ma proprio non capiva perché in quel momento il suo corpo non volesse sottostare al controllo della razionalità. Tentò vagamente di ribellarsi alla presa dell’altro, ma in realtà sapeva fin troppo bene di non volersi ribellare e basta. Anche se non ne capiva il motivo.
La mano di Marco andò a massaggiare l’erezione dell’altro attraverso i pantaloni e questo - per quanto piacevole - per la razionalità del riccio fu sinceramente troppo da sopportare, anche perché in quell’esatto momento l’immagine di Federico che gli faceva quelle cose si sovrappose alla realtà. Se lo staccò di dosso e lo guardò sconcertato. Marco rideva.
«T-Ti prego, vai via!» Quasi urlò Michael, che sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
«E perché? Mi sembrava proprio che ti piacesse.»
«No, vattene!»
Marco gli lanciò un ultimo sorriso malizioso e uscì dal locale.
Michael si portò una mano al viso e pianse.
Lacrime di coccodrillo.
Si diede una sistemata e uscì dal locale con le sue cose, abbassando la saracinesca. Per tutto il tragitto che fece a piedi - nonostante questo fosse breve - Michael pensò a Federico e a come lo aveva tradito. Era un idiota, semplicemente non si meritava di stare con un ragazzo come lui, perché rovinava sempre tutto invece di tenersi stretto ogni cosa.
Affondò le mani nelle tasche e affrettò il passo.
E se Federico non l’avesse mai saputo? D’altronde non era lì. Federico non doveva saperlo.
Michael arrivò all’appartamento dopo una decina di minuti. Aprì la porta e con sua grande sorpresa l’alloggio non era immerso nel buio come lui aveva immaginato: la luce del soggiorno era accesa e al centro del tavolino c’era un cuscino rosso a forma di cuore circondato da due piccole candele accese e alcuni petali di rosa. Vicino a cuscino c’era invece un biglietto bianco con scritto “Sorry :(”.
Michael prese il cuscino tra le mani e quando vide Federico venire sorridente verso di lui gli si strinse il cuore. Era un verme, ecco cos’era: perché mentre Federico si impegnava per fare quello, per farsi perdonare, lui quasi si faceva scopare da un altro.
«Mi dispiace per come ti ho trattato, Mich.»
Michael però non riuscì a guardarlo negli occhi, né a replicare. Semplicemente portò la mano libera al viso e scoppiò a piangere. Federico si preoccupò di quella reazione e si avvicinò di più al suo ragazzo.
«Mich, cosa-»
Si interruppe non appena vide quel segno violaceo sul collo candido del riccio: era stato fatto da poco, e sicuramente non era stato lui a farglielo. Federico strinse i pugni, perché improvvisamente tutto gli fu più chiaro.
Eppure - con grande sorpresa dei due - non si arrabbiò, né sbraitò nulla di incomprensibile. Semplicemente era stanco di fare scenate, ma soprattutto era deluso. Deluso dal ragazzo a cui aveva detto “ti amo” e che aveva difeso con le unghie e con i denti contro sua madre.
«Bella ricompensa» disse forse più a sé stesso che a Michael. «Mi sa che Danny aveva proprio ragione su di te.»
«Mi dispiace Federico, io-»
Ma Federico ormai era già lontano, nella camera da letto, e aveva chiuso a chiave la porta. Aveva anche voglia di spaccare tutto, di rovesciare il mondo. E invece semplicemente si coricò sotto le coperte.
 
Michael dormì rannicchiato sul divano, con il cappotto steso addosso al posto della coperta - dato che Federico si era chiuso in camera e non aveva potuto prenderne una. Le lacrime silenziose che versò andarono a formare una macchia scura sul bracciolo del divano. Non riuscì veramente a dormire, perché aveva solo voglia di sotterrarsi. Si sentiva uno schifo, non avrebbe mai dovuto permettere a Marco di entrare nella sua vita. Era vero anche che Federico lo aveva insultato e ferito, ma poi aveva chiesto scusa in una maniera così dolce che Michael adesso non poteva certo dire di meritare. Passò una mano sul volto per asciugare le lacrime, ma già altre erano pronte a rotolare giù. Perciò decise di alzarsi e andare in cucina, forse per prendere qualcosa da mangiare o da bere dato che neanche riusciva a dormire - nonostante la stanchezza della giornata. Mentre si dirigeva in cucina, però le sue gambe inconsciamente lo portarono verso la camera da letto che aveva condiviso con Federico in quelle settimane. Possibile che la loro relazione fosse destinata a finire così presto? Michael guardò a lungo la porta chiusa della stanza, poi si sedette sul pavimento contro la parete adiacente. Si sistemò addosso il cappotto e poggiò il mento sulle ginocchia, stringendo le gambe al petto. Continuò a piangere in silenzio per un po’, poi la consapevolezza di avere Federico un po’ più vicino lo fece addormentare.
 
Il primo a svegliarsi il giorno seguente fu Michael. Aveva dormito poco e male, anche per via di quella scomoda posizione che aveva assunto sul pavimento ghiacciato. La porta della camera di Federico era ancora chiusa, ma per poco. Perché proprio mentre il riccio si tirava su, anche il tatuato apriva la porta della camera da letto. I loro sguardi si incrociarono per un attimo infinitamente piccolo, poi Federico abbassò gli occhi al pavimento e tirò dritto fino in cucina senza dire una parola. Qui il tatuato si versò del succo di frutta preso dal frigo e sgranocchiò dei cereali. Anche Michael entrò in cucina poco dopo, con lo sguardo basso e gli occhi arrossati; riempì un bicchiere di latte freddo e vi immerse dei biscotti al cacao. Il primo a rompere quello straziante silenzio, ovviamente, fu Michael.
«Mi dispiace, Fede. Non volevo» sussurrò.
Il tatuato lo ignorò e allora, finalmente, il riccio lo guardò: sembrava pensieroso. Michael aprì bocca per continuare con le scuse, ma fu anticipato da Federico, che quasi di scatto si voltò verso di lui e lo fissò negli occhi.
«Io non so che fare, Mich. Pensavo che tu ci tenessi a me, allora mi sbagliavo? Dimmelo tu, perché io non capisco più un cazzo! Perché ti comporti così? Dovrei pensare che Danny aveva ragione?»
«No, no! Io ti amo davero, Fedé
«E allora me lo spieghi?» Alzò il tono di voce Federico, con una punta di rabbia. «Se una persona ama un’altra di certo non se ne va con il primo che capita!»
«Non è suceso niente fra noi, Fedé, mi ha solo... baciato e bassta
«E lo chiami niente?! Tu gli hai dato corda, ti è piaciuto! E non venirmi a dire che ti ha costretto, perché non ci crederei neanche morto!»
Federico quasi urlava e teneva i pugni stretti per la rabbia. Michael si sentiva totalmente in colpa, avrebbe desiderato poter tornare indietro nel tempo e non cedere mai a quell’attimo di tentazione.
«Mi disspiace
Michael non aveva altre parole, ma era sincero. Eppure a Federico quello non bastava. Il riccio si alzò e gli andò incontro, prendendo il volto tra le sue mani e lasciandogli un lungo bacio sulle labbra. Federico restò immobile senza ricambiare il bacio, nonostante Michael gli stesse mordicchiando il labbro inferiore e tentasse di fare irruzione nella sua bocca con la lingua. Il tatuato generalmente lo avrebbe fermato, urlandogli che non poteva pretendere nulla, non in quel momento. Eppure sentì il forte desiderio di impartirgli una lezione, in qualche modo, di rimarcare il fatto che fosse suo e basta, nonostante quell’osceno segno violaceo che il riccio aveva rimediato da quel Marco Castoldi. Al solo pensiero di quel nome Federico si arrabbiò, se possibile, ancora di più. Cosa cazzo poteva avere quel tizio in più che Federico invece non aveva? Sì, Michael necessitava di una lezione.
Il tatuato si staccò bruscamente di dosso il riccio, che rimase confuso.
«Girati» gli ordinò e Michael, anche se incerto, gli diede le spalle.
Federico spinse con poca delicatezza il busto di Michael in avanti, il quale piombò sul tavolo e per fortuna ebbe i riflessi pronti nel mettere avanti le mani per evitare di sbattere la faccia contro la superficie in legno del tavolino. Il riccio cominciò a realizzare cosa Federico aveva in mente solo quando l’altro gli abbassò con una sola manata i pantaloni scuri e i boxer con essi.
«Allarga le gambe.»
Michael percepì la voce di Federico fredda e distante, ma l’ordine che gli impartì non fece altro che eccitarlo: amava quel modo autoritario di fare, anche se di certo non poteva dire che fosse un bel momento del loro rapporto. Il riccio obbedì all’ordine e attese l’altro. Non poteva vedere cosa stesse facendo, ma sentì il rumore della zip dei pantaloni di Federico e poi qualcosa strusciare ripetutamente per un certo tempo. Michael si morse le labbra: quell’attesa - così come la situazione stessa - lo faceva impazzire. Poi percepì la pelle di Federico che sfiorava la sua e infine il suo membro che entrava con una botta secca dentro di lui. Emise un gemito di dolore e strinse gli occhi. Federico mosse il bacino avanti e indietro, entrando e uscendo da Michael senza dargli neanche un attimo per abituarsi. E anche se tutto il contesto lo eccitava da morire, il piacere che provava il riccio di certo non superava il dolore. Federico assestò le ultime spinte affondando di più le unghie nei fianchi dell’altro, tanto da lasciargli dei segni rossi evidenti. Il tatuato ebbe esitazione solo ad un certo punto, quando pensò che forse quello era più un comportamento da Danny. Ma alla fine Michael non si stava tirando indietro, e a giudicare dalla sua erezione gli stava pure piacendo. Federico riversò il proprio seme nell’altro, venendo mentre tratteneva gemiti e sospiri: non voleva dargli quella soddisfazione. Decise poi di infierire ulteriormente e perciò, staccatosi da lui, afferrò la sua erezione e mosse freneticamente la mano lungo di essa. Michael smise di avvertire il dolore quando Federico uscì da lui, e cominciò invece a provare puro piacere per la mano dell’altro che si muoveva sul proprio membro. Emise alcuni flebili gemiti, quando la mano di Federico interruppe di colpo il movimento. Michael schiuse le labbra e sbarrò gli occhi, confuso. Federico invece lo lasciò lì, ad un passo dal raggiungere il limite, e semplicemente se ne andò in bagno.
 
La questione Marco Castoldi si riaprì a pranzo. Federico era stato a lavoro durante la mattinata e Michael aveva appena finito di preparare le pietanze quando il tatuato rientrò. Posò chiavi e cappotto e si diresse in bagno per lavare le mani. Dopodiché, giunto in cucina, si sedette al proprio posto e Michael portò i piatti ancora fumanti in tavola. Il riccio aveva preparato una pasta al forno dall’aspetto niente male e per secondo gli arrosticini - li aveva scoperti da poche settimane e se ne era letteralmente innamorato.
Cominciarono a mangiare in silenzio, finché Federico non parlò, dopo aver mandato giù un bicchiere d’acqua.
«Comunque puoi essere amico di questo Marco Castoldi, se ti va.»
Michael smise di mangiare e abbandonò la forchetta nel piatto. Non capiva.
«Perché tu dice questo?» Domandò confuso e sospettoso. «È una trapola per vedere se abbocco?»
L’altro scosse la testa.
«No. È quello che avevo pensato l’altra sera, per questo ti ho chiesto scusa per come mi sono comportato.»
Michael avrebbe voluto ricordargli che quello era stato prima di scoprire che Marco gli aveva lasciato un succhiotto e che lo aveva baciato. Eppure non aggiunse niente, ovviamente, sarebbe stata una cosa troppo stupida. Federico proseguì.
«Dovevo darti fiducia, avevi ragione tu. E perciò voglio darti fiducia adesso.»
Michael era ancora confuso, finché l’altro non terminò il suo pensiero.
«Però non sono stupido, allo stesso tempo. Perciò se vorrai essere amico di Marco Castoldi va bene. Ma se succederà ancora qualcosa come quella che è accaduta la scorsa notte, allora con me hai chiuso per sempre.»
Michael comprese il concetto: Federico gli stava dando fiducia, una fiducia più grande di quella che meritava; ma se l’avesse tradita allora la loro relazione sarebbe finita per sempre. Adesso la decisione spettava solo a Michael.
«Grazie, Federico.»
Il tatuato non sorrise, né rispose, ma il riccio avvertì che la tensione fra loro era scomparsa.
 
Nel primo pomeriggio Federico diede a Michael il numero di cellulare di Marco e il riccio gli giurò che non avrebbe tradito la sua fiducia. Ma al tatuato non interessavano le parole, aspettava di vederne i frutti.
Michael compose il numero con il suo cellulare e Marco rispose dopo diversi squilli.
«Chi parla?»
La sua voce, filtrata attraverso il telefono, gli apparve ancora più roca.
«Ciao Marco, sono Michael.»
L’altro restò interdetto per un po’.
«Senti, mi dispiace per la scorsa notte. Davvero, io ero quasi ubriaco e non sono riuscito a trattenermi.»
Marco era sincero e sperò che quella sincerità arrivasse anche a Michael. Fu così.
«No ti preocupare, Marco, io so che-»
«Ma per caso ti ho messo nei guai con il tuo ragazzo?» Domandò seriamente preoccupato.
Michael sorrise.
«No, no, stai tranquillo. Tra noi tuto ok.»
«Ah, va bene. Mi ero preoccupato perché era stato il tuo fidanzatino a dirmi di lasciarti in pace, e invece adesso sei tu a chiamarmi...»
«Sì, perché vorei che ci vediamo. Se ti fa piacere, dove tu vuò. Volio parlare di musica con te.»
Marco sorrise e guardò l’orologio appeso al muro del suo soggiorno.
«Il tuo ragazzo è geloso se vieni a casa mia? Così posso farti sentire anche qualcosa che ho composto.»
«Ok, va bene. Quando?»
«Adesso sei libero?»
Il riccio sobbalzò e guardò l’orario digitale sulla sveglia.
«Oh, ok. Solo il tiempo di arivare
«Nessun problema, ti mando l’indirizzo per messaggio.»
Marco staccò la chiamata senza aspettare alcun saluto da parte dell’altro, poi il cellulare del riccio ricevette il messaggio con l’indirizzo: non era molto distante, casa sua, ma necessitava di un passaggio di Federico.
 
Federico non si arrabbiò affatto quando Michael gli comunicò di dover andare a casa di Marco: non poteva arrabbiarsi dopo il discorso che aveva fatto, sarebbe stato completamente incoerente. E invece era ancora una volta una prova di fiducia.
Arrivarono a casa di Marco con qualche difficoltà, dato che la villetta in cui alloggiava era in una stradina secondaria non proprio visibile dalla strada principale. La villetta, almeno dall’esterno, era ben curata. Non proprio nuovissima - il bianco delle pareti esterne era diventato leggermente giallino - ma il giardinetto sul davanti era grazioso e ben tenuto.
Federico parcheggiò giusto davanti al breve vialetto in pietrisco che conduceva alla porta rosso scuro dell’abitazione.
«Ti chiamo dopo, amore?»
Era la prima volta che Michael lo chiamava “amore”, ma gli era uscito spontaneo e non se ne pentì affatto. Finalmente Federico sorrise - soprattutto per quel termine, che usato da lui era davvero molto dolce - e annuì.
«A dopo» sussurrò.
Poi si scambiarono un bacio a fior di labbra e Michael scese dall’auto, richiudendo la portiera sorridente.
Dalla finestra della villetta Marco osservava l’auto ferma, il bacio e poi il riccio che scendeva. Un sorriso nacque spontaneo sul suo volto quando vide l’abbigliamento improbabile di Michael: indossava una pantalone che Marco avrebbe definito giallo piscio e una camicia bianca con un motivo di ghirigori colorati.
Michael percorse la stradina di ghiaia e arrivò alla porta dell’abitazione. Emise un sospiro, dopodiché suonò il campanello.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
Finale illegale a parte, spero che questo capitolo vi sia piaciuto c: l'angst ovviamente c'è, ma alla fine si è risolta bene la questione (per ora, poi vedremo) v.v la parte dell'angry sex dovevo mettercela, altrimenti mi sarei sentita troppo male. Adesso Michael ci penserà due volte prima di tradire Federico, dato che sa la punizione che lo aspetta ahah.
E niente, grazie come sempre e love you come sempre. <3

P.s.: metto su ufficialmente il Salsiccia di Porco Fan Club. #salsicciadiporco

 

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Capitolo 14
*** Quatorzième ***


- 14 -
 
La porta rosso scuro si spalancò e sull’uscio comparve la figura bassina e sorridente di Marco. Anche Michael sorrise lievemente, anche se si sentiva terribilmente in imbarazzo per quello che era successo tra loro al bar. Si salutarono e Marco invece sembrava non darci molto peso, forse stava semplicemente evitando di mettere ancora di più a disagio il riccio. Infatti, non appena i due giunsero in salotto, Marco cominciò subito a parlare di musica. Il cervello di Michael però si staccò per un po’, dato che si era perso ad osservare la stanza: le pareti erano alquanto anonime, ma lo stesso non si poteva dire della mobilia e delle varie decorazioni presenti nel soggiorno, compresi alcuni strumenti musicali poggiati un po’ dove capitava e un bellissimo pianoforte a coda bianco nell’angolo in fondo alla stanza.
«Michael, ma mi stai ascoltando?» Lo rimbeccò Marco, leggermente irritato dalla distrazione del riccio.
Gli occhi di Michael però si illuminarono non appena vide quel bellissimo pianoforte, e ignorò Marco per avvicinarsi in fretta allo strumento e sedersi allo sgabello. Aveva un sorriso da orecchio a orecchio e sfiorò con delicatezza i tasti del pianoforte, come se avesse quasi paura di rovinarli. Ne aveva uno identico nell’attico di Danny e gli mancava da morire, era troppo tempo che non ne vedeva uno così bello.
Si morse il labbro e spostò lo sguardo rapito lungo tutto il profilo dello strumento musicale. Marco si avvicinò a lui sorridente.
«Ti piace?»
«È belissimo. Mi ricorda tanto quelo che avevo io una volta» sussurrò emozionato.
Marco tolse i suoi spartiti musicali dal pianoforte e li poggiò su un mobile poco distante, poi si sedette sullo sgabello accanto a Michael, che gli lasciò un po’ di spazio.
«Suonami qualcosa.»
Michael lo fissò di scatto e divenne paonazzo in volto.
«No penso che è una buona idea» sussurrò, tornando a guardare davanti a sé con aria cupa.
«Perché?»
Perché ancora una volta si stava sottovalutando, credendo che ciò che lui aveva composto non fosse abbastanza da essere ascoltato. Poi però gli tornò in mente la promessa che aveva fatto a Federico, sulla sponda pietrosa di Bereguardo: basta essere insicuri, basta credere di non essere abbastanza.
Michael sorrise teneramente al pensiero di quella giornata e quello gli diede la forza per voltarsi di nuovo verso Marco e parlare.
«Ok, ti facio ascoltare una che ho scritto poco tempo fa.»
Marco annuì con interesse e vide le mani un po’ incerte di Michael posarsi sulla tastiera. Il riccio non aveva più toccato un vero pianoforte da un po’, se si escludevano le incursioni a La Feltrinelli dove era andato quasi tutti i giorni per suonare al pianoforte esposto, finché non era poi stato cacciato dal negozio. Perciò si prese un attimo per concentrarsi, dopodiché le sue dita si mossero praticamente da sole sulla tastiera e si sentì veramente a casa.
 
Oh, Billy Brown had lived an ordinary life
Two kids, a dog, and then the cautionary wife
But while it was all going accordingly to plan
Then Billy Brown fell in love with another man
 
Brown, oh, Billy Brown
Don't let the stars get you down
Don't let the waves let you drown
Brown, oh, Billy Brown
Gonna pick you up like a paper cup
Gonna shake the water out of every nook
Oh, Billy Brown
Who’s Billy Brown?
 
Michael si fermò perché la canzone non era ancora completa, aveva scritto solo quella prima strofa e il ritornello. Posò le mani sulle sue cosce e ripensò al fatto che quella canzone l’aveva scritta per Federico. Federico era Billy Brown. L’aveva scritta quando il tatuato stava ancora con Giulia e gli aveva rivelato di essersi innamorato di lui, di un uomo, nonostante avesse una vita felice con la sua ragazza.
«Sei bravissimo.»
La voce bassa e rapita di Marco lo riportò alla realtà e Michael riuscì a sorridere senza imbarazzo, finalmente.
«Grazie» sussurrò allargando il sorriso.
Anche Marco sorrise e il suo sguardò andò a posarsi sulle labbra del riccio. Michael se ne accorse e avrebbe tanto voluto dire qualcosa per farlo guardare altrove; si sentiva così a disagio che si agitò leggermente, ma per fortuna quello bastò a far rinsavire Marco, che si girò indietro ad adocchiare lo stereo che teneva in casa. L’uomo si alzò e scelse fra alcuni CD che possedeva, quindi ne inserì uno e schiacciò il tasto play.
«Questa è solo strumentale, non ci ho ancora scritto le parole. Però l’ho composta con alcuni ragazzi che conosco.»
La musica partì quando Marco stava ancora terminando la frase. Michael ascoltò con interesse: c’erano alcuni suoni molto particolari uniti agli accordi di chitarre e basso elettrici, così come poteva chiaramente riconoscere i sintetizzatori. Forse quella traccia non aveva ancora un ritmo ben preciso, ma era decisamente coinvolgente.
«Bello. Forse toliendo alcuni strumenti il ritmo diventa più chiaro» decretò sovrappensiero Michael.
Marco annuì e guardò pensieroso lo stereo.
«Lo proporrò ai ragazzi» sussurrò.
La traccia terminò e il CD nello stereo continuò a girare a vuoto finché Marco non premette il tasto stop. Michael si soffermò a guardare gli abiti di Marco e allora anche quelli acquistarono senso se inseriti in un contesto di stile più ampio che prevedeva anche la sua musica: Marco indossava una camicia bianca a maniche molto larghe svogliatamente inserita in un paio di pantaloni neri di pelle, molto stretti.
«Ti hanno già fatto proposte discografiche?» Domandò Marco mentre andava a sedersi sul divano poco distante.
Gli fece cenno di sedersi accanto a lui e il riccio lo seguì.
«No» disse tristemente. «Anche se io provo sempre a mandare demo. E tu?»
«Neanche. Ma non dispero.»
Si sorrisero. Poi Marco spostò un riccio dalla fronte del ragazzo e questo capì dove voleva andare a parare. Si ritrasse bruscamente dalla sua presa.
«Marco, ti prego. Io sono qui solo come amico. Se tu vuò fare qualcosa di più no va bene.»
Marco rise leggermente.
«Sono serio» ribadì l’altro.
«Ok, ok, volevo solo vedere la tua reazione! Rilassati, stavo scherzando.»
Michael sorrise.
«Qualcosa da bere? Scotch, rum, grappa... dimmi tu» Gli domandò allora.
«Ehm... un succo di fruta c’è?»
Marco scoppiò in una forte risata che imbarazzò leggermente il riccio.
«Se proprio vuoi... sei il primo ospite che non mi chiede un alcolico!»
Michael corrugò la fronte.
«Io mi farei domande su che tipo di ospiti tu porti in casa tua!»
Entrambi risero e Marco si diresse in cucina.
«Pera va bene?» Urlò dalla cucina e Michael rispose di rimando urlando un’affermazione.
Marco tornò in soggiorno porgendo al riccio il bicchiere e sedendosi accanto a lui.
 
Federico, a casa sua, era a dir poco roso dall’ansia: faceva avanti e indietro per tutto l’appartamento e aveva seriamente paura che potesse succedere qualcosa tra Michael e Marco Castoldi. Era vero che gli aveva dato fiducia, ma non poteva davvero evitare di essere in pensiero. In ogni caso, se tra i due fosse successo qualcosa, di certo non l’avrebbe scoperto subito. E la possibilità di essere cornuto per chissà quanto tempo lo mandava ancora più in ansia. Ad un certo punto decise di calmarsi e fece un profondo respiro. Sarebbe andato tutto bene.
Il suo cellulare vibrò e Federico si precipitò a recuperarlo dal tavolo come se fosse una questione di vita o di morte.
 
16:26
Inviato da: Patatone :B
Amore vieni apprendermi <3
 
Federico rise.
 
16:27
Inviato a: Patatone :B
Certo, vengo A PRENDERTI subito AHAHAH <3
 
16:27
Inviato da: Patatone :B
NON RIDERE BASTARD
 
 
Dopo varie bestemmie per ricordare la strada in cui abitava Marco, Federico fermò l’auto di fronte alla villetta dell’uomo.
 
17:01
Inviato a: Patatone :B
Mich sono fuori. <3
 
Dopo pochi minuti la figura alta di Michael e quella di Marco comparvero sulla porta. Si scambiarono le ultime parole e si salutarono con un sorriso, poi Michael entrò in macchina. Federico si allungò a baciarlo sulle labbra e l’altro ricambiò, poi si separarono con un rumoroso schiocco.
Erano entrambi di buon umore, almeno apparentemente, perché Federico dentro era ancora pieno d’ansia. Michael quasi saltò sul posto dopo aver messo la cintura.
«Lossai che Marco ha tanti strumenti musicale? Ha un belisimo pianoforte bianco e una chitara, un basso, un synth anche!»
Federico annuì sorridendo.
«Mi ha fato sentire anche la sua musica. Aveva un CD con una tracia mooolto interesante, anche se un po’ confusa.»
Federico continuava ad annuire mentre guardava la strada davanti a sé.
«Ho suonatto anche una mia canzona e lui ha detto che li piace molto! Ha deto che sono bravo a cantarre! E poi mi piace la sua casa, è strana, è divertente. Really funny!»
Michael continuava a blaterare come un bambino troppo eccitato e Federico non riuscì più a tenere nascosta la sua gelosia. Non poteva farci nulla, era più forte di lui.
«Allora perché non vai a vivere a casa sua, se ti piace tanto? Magari ti fa anche suonare il suo kazoo
Michael si zittì improvvisamente, rigirandosi a guardare il finestrino alla sua destra.
«No capisco perché tu sei così geloso. Hai deto che ti fidavi di me e io non ho traditto la tua fiducia. Però continui a tratarmi male lo stesso.»
La voce di Michael era flebile e triste. Federico sospirò: si era rivelato ancora una volta un idiota che non riusciva a porre un freno alla sua gelosia.
«Scusa. Hai ragione, mi dispiace. È che questa parte del mio carattere non riesco a controllarla, sono molto geloso quando si tratta di te» borbottò.
Il riccio si rigirò verso di lui e gli sorrise dolcemente.
«Sinifica che mi ami.»
«Tantissimo.»
 
La terza settimana di giugno arrivò con un’esplosione di afa. Era la settimana di ferie di Michael e Federico, giacché entrambi avevano insistito con i rispettivi datori di lavoro per far combaciare le loro vacanze. Durante i mesi avevano messo tutti e due da parte un po’ di soldi - nonostante le bollette e i loro stipendi quasi da fame - e avevano acquistato uno Smartbox che includeva cinque giorni a spasso per l’Europa, con soggiorni nei migliori hotel tre stelle di Parigi, Londra e Berlino. Il riccio aveva insistito particolarmente per le prime due città, dato che ci aveva passato anni della sua infanzia e della sua vita. Federico aveva accettato, ignaro del fatto che Michael sarebbe stato sovraeccitato per tutto il tempo.
Perciò quella mattina si recarono all’aeroporto, trolley in mano e occhiali da sole inforcati.
 
Nonostante Michael avesse occupato il posto accanto al finestrino, Federico si sentì comunque male due volte durante il viaggio d’andata, a causa delle vertigini. Il personale di volo e il suo ragazzo lo aiutarono a stare meglio, infatti poi si calmò e si addormentò sulla spalla del riccio.
 
Arrivarono in un’ora e mezza a Parigi, la prima meta del loro viaggio estivo. Raggiunsero l’hotel in cui avrebbero alloggiato solo grazie all’abilità linguistica di Michael, che avendo vissuto in Francia per anni conosceva benissimo il francese.
«Oui, oui, d’accord» rispose Michael al receptionist, dopodiché fece cenno a Federico di seguirlo per sistemarsi nella loro camera.
Entrarono nella stanza 201 e notarono che era piccola ma graziosa. Ed era anche più di quanto si aspettassero, con quello che avevano pagato lo Smartbox. Poggiarono le loro valigie in un angolo e Michael non ebbe neanche tempo di realizzare che si trovò disteso sul letto con Federico a cavalcioni su di lui.
«Ti ho mai detto che sei maledettamente sexy quando parli in francese?»
Il riccio rise e il tatuato lo zittì con un bacio.
«Faciamo l’amore ne la città del’amore» rise ancora Michael e anche Federico si lasciò andare ad una risata, incerto se la causa fosse la battuta o gli errori grammaticali del suo ragazzo.
 
Dopo aver inaugurato il letto matrimoniale della loro stanza, Michael decise che era tempo di cominciare l’itinerario che aveva preparato. Federico uscì dal bagno frizionandosi i capelli con l’asciugamano, addosso l’accappatoio di Michael che gli stava troppo grande. Il riccio era invece seduto sul bordo del letto e leggeva sul suo cellulare.
«Fedé, muoviti! Dobiamo cominciare la visita di Parigi tra dieci minuti, se no non posiamo vedere tutto.»
Il tatuato annuì ma non accelerò comunque il ritmo. Michael alzò lo sguardo dal telefono e lo guardò seccato.
«Dai!» Lo incitò, poi prese una t-shirt e un pantalone di Federico a caso dall’armadio e glieli prose. «Meti questi!»
Federico rise nel vederlo così agitato ma non disse nulla ed eseguì gli ordini del riccio.
Un quarto d’ora dopo erano entrambi pronti per uscire dall’hotel. Il clima non era particolarmente umido, non come in Italia, e perciò girarono tranquilli per tutta la giornata. Michael ci tenne particolarmente a visitare il Museo d’Orsay, la cattedrale di Notre Dame e Montmartre, rimandando il resto al giorno seguente. Federico non era abituato a viaggiare e visitare tutti quei monumenti, ma si fece contagiare dall’entusiasmo del suo compagno e perciò sentì la stanchezza solo a fine giornata, quando tutta l’adrenalina che aveva in corpo terminò - e fu così anche per Michael. Il riccio decise che avrebbero cenato in un ristorante lussuoso sulle rive della Senna e Federico, nell’udirlo, aggrottò la fronte.
«Mich, ma questo non era incluso nello Smartbox... c’era un altro ristorante.»
«Lo so!»
Michael gli rivolse un grosso sorriso.
«Volevo farti una sorpressa
Federico restò un po’ di sasso mentre il riccio rovistava nell’armadio alla ricerca di un completo elegante. Il tatuato si girò verso di lui con sguardo serio.
«Mich, quanto hai speso?»
Il riccio fermò l’attività e si voltò verso l’altro. Sorrise.
«No ti importa.»
«Certo che mi importa.»
«Ho un lavoro, Fedé, e volevo farti una sorpresa! Rilasati
Michael rise e anche a Federico venne da sorridere, più che altro per il gesto tenero del suo ragazzo.
Ci misero un po’ di tempo per tirarsi a lucido - soprattutto perché Federico aveva a stento un completo e non proprio elegante - ma alla fine chiamarono un taxi e si diressero al ristorante.
Federico, non appena lo vide, restò a bocca aperta: era un ristorante troppo di lusso, e la vista della Senna lasciava senza fiato. Si sentì quasi in colpa, perché Michael doveva aver speso una fortuna per quella cena. Il riccio sbrigò tutte le questioni pratiche che richiedevano l’uso del francese, poi si accomodarono ad un tavolino grazioso che sporgeva giusto sul fiume. Federico si perse ad osservare Michael che sistemava il tovagliolo sulle gambe e gli nacque spontaneo sul volto un sorriso dolce: Michael era un ragazzo d’oro, come faceva a considerarsi un disastro? E come poteva sua madre non vedere quanto fosse perfetto per lui?
Il riccio si accorse che lo stava fissando e aggrottò la fronte.
«Fede?»
L’altro si riscosse e sistemò anche lui il proprio tovagliolo sulle gambe.
«Ti amo» disse senza smettere di sorridere.
Michael arrossì leggermente, ma per fortuna era notte e nessuno si sarebbe accorto di quel colorito. Poi sorrise arricciando il naso in quel modo che Federico adorava.
«Ti amo tanto anche io.»
 
A fine cena sia Michael sia Federico erano esausti, un po’ per la stanchezza della giornata, un po’ per aver mangiato tanto e bene. Michael fece un piccolo sbadiglio con la mano davanti alla bocca, ma Federico lo notò lo stesso e sorrise dolcemente. Poi venne da sbadigliare anche a lui, ovviamente. Quindi entrambi si guardarono un attimo negli occhi e scoppiarono a ridere.
«Ho voluto fare questa cena per chiederti scusa, Fedé. Mi sono comportato male per quelo che è successo con Marco al bar.»
Michael abbassò lo sguardo sulla superficie del tavolino.
«Ma anche perché ogi sono due mesi» rialzò lo sguardo su di lui.
Federico aggrottò la fronte.
«Due mesi di cosa?»
«Ma di noi! So che non ti piace queste cose, però in qualche modo volevo festegiare
Il tatuato sorrise teneramente, anche se gli sorse un dubbio.
«Mich, ma noi non abbiamo stabilito un giorno ufficiale per il nostro fidanzamento.»
«Lo so. Perciò ho contato i giorni da quando tu ha detto che mi amavi per la prima volta.»
Federico trovò tutto davvero molto tenero, perciò non poté fare a meno di sporgersi sul tavolino e baciare Michael sulle labbra.
 
Il giorno dopo Michael si svegliò in forze, mentre Federico era ancora più nel mondo dei sogni. Scesero comunque a fare colazione con un bel caffè e un croissant al cioccolato, poi si diressero verso la prima meta del giorno: il Museo del Louvre. Ovviamente non riuscirono a visitarlo tutto, ma chiesero ad una guida di portarli nelle zone più conosciute del museo e in poco più di due ore furono fuori. Michael lo portò agli splendidi giardini delle Tuileries sino a Place de la Concorde. Pranzarono al volo in un bar vicino, poi si avviarono verso gli Champs-Elysées.
Nel primo pomeriggio si trovarono nei pressi dell’Arco di Trionfo. Qui si presero una pausa perché mancava da visitare solo la Tour Eiffel e lo avrebbero fatto più verso sera.
Erano entrambi stanchissimi da quella lunga camminata, ma ne stava valendo decisamente la pena. Spesso, mentre Michael era concentratissimo nel leggere l’itinerario, Federico si perdeva ad osservarlo e gli nasceva spontaneo un sorriso ogni volta; e poi si domandava come aveva fatto per tutto questo tempo senza di lui.
 
«Fedé, andiamo a la Tour Eiffel!»
Michael lo strattonò per un braccio con un sorriso smagliante sul volto. Era ormai buio e il riccio aveva insistito tanto per aspettare la notte: in questo modo avrebbero avuto una vista ancora più bella di tutta la città dal monumento.
Salirono con un gruppo di persone e quando arrivarono in cima Michael si precipitò verso la ringhiera, per osservare meglio tutta la città illuminata. Federico lo seguì senza parole. Dall’alto Parigi era un bellissimo miscuglio di lucine colorate alternate a zone di buio. Tutta quell’atmosfera fece commuovere Federico, che in poco tempo si ritrovò con gli occhi lucidi. Tirò su col naso e Michael si voltò verso di lui. Inizialmente lo guardò preoccupato, poi capì che era commosso e sorrise.
«Fede, tu sta piangendo!» Ridacchiò.
Federico negò con la testa, ma il riccio circondò la sua vita con un braccio e poggiò la testa sulla sua spalla, continuando a sorridere e a guardare il bellissimo panorama.
Il tatuato si staccò leggermente e accarezzò sorridendo i riccioli di Michael, scostandoli dalla sua fronte per posargli un bacio. Michael arricciò il naso e ridacchiò.
Trascorsero almeno mezz’oretta così, abbracciati a guardare il panorama, senza la paura di essere visti in malo modo dagli altri.

- - - - - -
ANGOLO AUTRICE
NIENTE ANGST. Stavolta niente angst, yeeeeh. Sono stata too much buona. Adesso i due piccioncini si godranno questa bella vacanza e noi li spieremo come delle vecchie comari che filano la calza e si fanno i fatti degli altri. OuO 
Comunque ci tenevo a dire che questa storia sta andando troppo bene, non lo avrei mai pensato <3 e invece la state riempiendo di attenzioni qui e su Wattpad, e veramente non so come ringraziarvi <3 anzi, lo so: con un bel po' di fluff :* se lo meritano i patatoni e anche voi <3 e poi troppo angst stanca. v.v
Ringrazio per le recensioni, le letture, T U T T O <3
Vi amo <3

#salsicciadiporco Fan Club

 

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Capitolo 15
*** Fifteenth ***


- 15 -
 
Federico e Michael si svegliarono abbracciati nel letto matrimoniale, e nessuno dei due riusciva a pensare ad un risveglio migliore. Si guardarono negli occhi per lungo tempo, sorridendosi teneramente come due ragazzini alla loro prima cotta. A Federico non dispiaceva sentirsi così, dal momento che era davvero felice con Michael, e solo con lui finalmente non sentiva il bisogno di fingere e rifugiarsi dietro quel muro da duro che ogni tanto metteva su.
Michael diede una rapida occhiata all’orario segnato sul suo cellulare, quindi riaffondò la testa nel cuscino e richiuse gli occhi.
«Mmm, dobiamo alzarci, ci aspetta l’aereo» mugolò contro il tessuto del cuscino, tanto che Federico riuscì a capire a stento il significato di quei suoni.
Il tatuato rise.
«Infatti: dovresti alzarti, non riaddormentarti.»
Il riccio sembrava ancora in letargo quando Federico uscì dal bagno dopo essersi lavato e aprì l’armadio per scegliere cosa indossare. Lui era sempre così indeciso, quindi restò per un po’ in boxer davanti all’armadio che condividevano. Gli abiti vistosi e colorati di Michael occupavano gran parte del mobile, lasciando alle sue poche magliette solo un misero spazietto sulla sinistra. Federico sorrise: anche quella era una caratteristica di Michael che aveva imparato ad apprezzare.
Improvvisamente Federico sentì qualcosa di umido dietro al collo e capì che erano le labbra di Michael, che avevano cominciato ad esplorare la sua pelle. Il riccio poggiò poi le mani sui suoi fianchi e a Federico venne un brivido per il calore del corpo di Michael che si contrapponeva al proprio, fresco per la doccia appena fatta.
«Così ti salto addosso» ridacchiò Federico, chiudendo gli occhi e percependo già calore al basso ventre.
«Fallo» sussurrò Michael al suo orecchio in maniera così eccitante che Federico se ne fregò dell’aereo da prendere e si rivoltò nell’abbraccio, spingendo il riccio contro il letto.
Il corpo di Michael ricadde pesantemente sul materasso e il riccio rise, divertito dalla foga che aveva impiegato Federico. Il tatuato sfilò subito i boxer del ragazzo e i suoi, che vennero prontamente gettati sul pavimento della stanza. Fece per distendersi sul corpo di Michael, ma questo lo anticipò e lo fermò per i fianchi, tirandosi su dal letto. Guardò Federico negli occhi con una punta di malizia che lo faceva impazzire. Quindi si abbassò inginocchiandosi davanti al tatuato e afferrò il suo membro già eccitato. Fece scorrere la mano per la sua lunghezza, per un po’, poi si avvicinò con la testa e schiuse le labbra per prenderlo in bocca. Federico chiuse un attimo gli occhi per il piacere, poi li riaprì e li posò in quelli del riccio, che lo guardavano in maniera fin troppo eccitante. Michael continuò con la bocca per un po’, poi Federico lo staccò altrimenti non avrebbe retto. Il riccio si distese sul letto e Federico gli fu addosso, tenendosi su con le mani. Fece strusciare le loro erezioni e Michael chiuse gli occhi, gettando leggermente la testa all’indietro e mugolando di piacere. Federico portò una mano alla sua erezione e cominciò a strusciare, provocando al riccio ulteriori gemiti di piacere. Mentre Michael teneva ancora gli occhi chiusi e rannicchiava le gambe al petto, Federico si leccò due dita della mano e le avvicinò all’apertura dell’altro. Il riccio riaprì gli occhi e schiuse leggermente la bocca. Il tatuato introdusse un dito alla volta e attese che si abituasse, poi avvicinò il suo membro all’apertura dell’altro e lo penetrò, non senza sentire i gemiti di entrambi - quelli rochi di Federico e quelli acuti di Michael - librarsi per la stanza.
Federico uscì e rientrò dal riccio, inizialmente con lentezza, poi accelerando sempre più il ritmo man mano che si avvicinava all’orgasmo.
Vennero quasi insieme, con un gemito più forte degli altri, dopodiché Federico si accasciò sul letto accanto al riccio. I loro respiri erano affannati e i loro cuori battevano forte, ma si sorridevano.
«Ceci est notre petite mort»* sussurrò Michael.
 
Dovettero sbrigarsi per non perdere il volo, quindi attraversarono tutto l’aeroporto correndo, bagagli in una mano e biglietti nell’altra. Federico si fermò di botto e Michael gli andò contro, facendolo quasi cadere in avanti.
«Mich, cazzo!» Sbraitò Federico.
«Scusa, ma tu ti fermi a improvviso!»
Federico lasciò perdere.
«Qui dobbiamo fare il check-in.»
 
Anche quella volta Federico stava per sentirsi male, in aereo, ma Michael riuscì a distrarlo e a non fargli costantemente pensare a quanti metri d’altezza si trovassero. Perciò il tatuato vomitò solo una volta nel piccolo bagno, mezz’ora prima del loro atterraggio.
 
Londra era magnifica, proprio come Federico aveva immaginato e come Michael ricordava. Per il tatuato c’era aria di cultura ed eleganza, per il riccio di casa e nostalgia. Ma adesso Federico era diventato la sua casa, quindi scosse la testa e tentò di non pensare alla sua famiglia. Almeno finché Federico non parlò.
Avevano sistemato le valigie nell’albergo londinese e adesso si trovavano a fare due passi in strada.
«Mich... qui abita la tua famiglia, vero?»
Michael annuì e affondò la testa nel foulard di cotone color corallo.
Il tatuato gli lanciò un’occhiata e capì che il riccio non voleva parlarne. Lui però voleva sapere, perciò si sedette su una panchina poco distante e invitò Michael a fare lo stesso.
«Stiamo insieme, ormai. Ti amo, ci amiamo, e lo sai che con me puoi parlare. Devi parlare, Mich, perché non puoi affrontare tutto da solo.»
Michael lo guardò con i suoi occhioni ambrati e accennò un piccolo sorriso tenero, poi rivolse di nuovo lo sguardo all’asfalto della strada.
«Ti ho deto che mio padre... lui non accetta della mia sessualità. Non lo ha mai fatto, ma mi ha tenuto in casa perché mia madre lo aveva convinto a farlo. Poi sono diventato maggiorenne e sono andatto a vivere a casa del mio ex Rick, e poi di Danny, dopo alcuni anni. Mio padre non ha voluto più tenere nesun rapporto con me, non ci siamo più sentiti da quando me ne sono andato di casa.»
«E con tua madre?»
«Mia madre non era d’acordo che io anda...ssi» Federico annuì, «a vivere con quei ragazi che neanche conoscevo. Ma io preferivo, sinceramente. Con lei al inizio ci sentivamo ogni tanto. Mi chiedeva come andava, cose così. E anche con i miei fratelli, ho tre sorele e un fratelo» Michael ridacchiò, Federico sgranò gli occhi ma non disse nulla.
«Poi ho deciso di seguire Danny in Italia. Ho litigato molto con mia madre perché lei non voleva. Ma io ho fato comunque di testa mia e non ho voluto più sentirla, doppo
«Ti mancano?»
Michael si inumidì le labbra.
«Tanto. Mia madre e miei fratelli tanto. Anche se mia madre si è arabiata con me, non mi importa. Mi manca lo stesso. Lei non è come mio padre.»
Federico annuì e allungò lo sguardo in strada: capiva perfettamente.
«Perché non vai a trovare loro, almeno?»
Il tatuato parlò solo di Michael perché, per quanto avrebbe voluto, sapeva che era troppo presto conoscere sua madre e i suoi fratelli.
«No, io... non so. E se poi trovo anche mio padre?»
Federico non seppe cosa rispondere e perciò scrollò semplicemente le spalle.
«Puoi sempre ignorarlo. Pensaci.»
Poi il tatuato saltò su e gli porse la mano. Il riccio gli sorrise dolcemente e afferrò la sua mano mentre si alzava, intrecciando le loro dita.
«In tutto questo mi è venuta fame» constatò Federico, mentre il suo stomaco ne dava conferma brontolando lievemente.
Michael rise e fece ciondolare le loro mani avanti e indietro.
«Andiamo a mangiare!»
 
Pranzarono in un pub di Londra che Michael conosceva bene, anche se lo ricordava diverso. Durante gli anni della sua assenza il locale era stato rinnovato, anche se alcuni dettagli erano rimasti gli stessi, come i vinili appesi alle pareti e le locandine di film cult inglesi.
Ordinarono dei panini e Federico si stupì di quanto questi potessero essere grossi e deliziosi.
«Basta, non ne posso più.»
Federico abbandonò nel cestino che fungeva da piatto un terzo del panino che aveva ordinato. Michael lo prese prontamente e se lo ficcò in bocca. Federico lo guardò con un sopracciglio alzato, sconcertato.
«Ma dove cazzo la metti tutta quella roba?»
Il riccio non rispose perché aveva le guance piene e tentava a fatica di masticare. La scena per il tatuato fu troppo divertente, tanto che scoppiò a ridere sonoramente attirando l’attenzione dei due tavolini vicini. L’altro gli lanciò un’occhiataccia e mandò giù il primo pezzo di quel panino, la parte che era riuscito a masticare.
«Ftronfo» borbottò con ancora il panino in bocca e l’altro rise ancora di più.
 
Anche Londra era troppo grande per essere visitata in soli due giorni, quindi Michael dovette fare un mini-itinerario che cominciò quel pomeriggio stesso. Si diressero verso il Tamigi subito dopo pranzo.
«Andiamo su London Eye!» Esclamò il riccio gettando in aria le braccia, una volta scesi dal taxi.
Federico indicò impaurito la grossa ruota panoramica che sovrastava il Tamigi e l’altro annuì sorridendo.
«Ma Mich... io ho le vertigini.»
Il sorriso del riccio si spense, poi questo alzò un sopracciglio.
«Tu ieri sera non ha detto niente su Tour Eiffel.»
Federico si portò una mano al mento, pensieroso e sorpreso. Già, ieri notte era così distratto dalle coccole di Michael che non aveva accusato neanche un giramento di testa.
«Hai ragione. Forse è perché era notte... e poi c’eri tu che mi tenevi stretto e io davvero non ho avuto un attimo per pensarci.»
Lo sapeva che le vertigini erano solo una questione inerente alla sua psiche, ma non gli era mai capitato di distrarsi tanto da non pensarci neanche per un attimo.
«Comunque ora non possiamo andarci. È giorno e finirei per vomitare nel Tamigi» concluse.
L’altro rise e scrollò le spalle.
Evitarono il London Eye e passarono invece sul Westminster Brige per giungere al palazzo del Parlamento e al Big Ben. Passarono poi per l’abbazia di Westminster e qui Michael si fermò un attimo.
«Sai, qui hanno celebrato il funerale di Lady Diana. Elton John ha cantato per la prima volta Candle in the wind
«Dio, quella canzone fa piangere. La mettono su a tutti i funerali, vero?»
Michael alzò le spalle.
«Non so. Forse.»
 
Arrivarono più tardi davanti al Palazzo della regina, dove videro le famose guardie immobili.
«Devo troppo farmi un selfie con questi tizi.»
Federico si avviò a passo spedito verso una delle guardie ma fu prontamente tirato indietro dal riccio, che aveva sul volto uno sguardo irritato.
«Noi inglesi odiamo i turisti che fano queste cose stuppide. Non fare anche tu.»
Il tatuato ci restò male, ma non insistette.
«Voi inglesi non sapete proprio divertirvi.»
Michael alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto. Sembrava averla presa davvero sul personale.
«Voi italiani siete infantili» replicò.
«E voi dei bacchettoni
Michael non conosceva quella parola, e perciò lo guardò inclinando la testa di lato e corrugando la fronte, cose che faceva ogni qual volta non aveva mai sentito il vocabolo usato.
«Significa che voi inglesi siete rigidi» precisò.
«Ah sì? Voi no rispettate mai le regole. Anche le carte non butate nel cestino. Con un cestino a due metri da voi.»
Anche Federico si sentì punto nell’orgoglio.
«Ehi, non è vero. Anzi sì. Saremo anche incivili ma voi non sapete godervi la vita.»
«Pff» sbuffò Michael ridendo.
Federico ebbe la netta sensazione che in quella faccenda non tutti e due ne sarebbero usciti illesi.
«Non sbuffare. E dimmi la cosa più divertente che hai fatto in vita tua.»
Michael ci pensò su per molto tempo.
«Non lo so, Fedé, è dificile» concluse leggermente confuso.
Federico rise di gusto.
«È perché hai fatto così poche cose divertenti in vita tua che addirittura non te le ricordi.»
 Michael mise una sorta di broncio.
«No è vero.»
«Sì che lo è. Lo sai che lo è. Altrimenti potresti dimostrarmi il contrario facendoti un selfie con quelle guardie» sorrise Federico.
Michael gli lanciò un’occhiataccia.
«Anche no. È una cosa stuppida
«Come vuoi» lo schernì l’altro. «Allora, andiamo?»
Federico lo incitava a continuare la visita di Londra, ma il riccio lo guardava con le braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure. Lo sapeva che Michael avrebbe accettato la sfida, che non gli avrebbe dato ragione per nessun motivo al mondo. E infatti il tatuato rise nel vederlo avvicinarsi a grandi falcate alla guardia davanti al palazzo. Con la sua camminata goffa raggiunse l’uomo dal grosso copricapo nero ed estrasse il cellulare dalla tasca per farsi un selfie con lui. Fece il segno della vittoria con le dita e scattò, con un sorriso nervoso e tiratissimo che fece ancora più ridere Federico, che da lontano si godeva la scena.
Michael tornò ancora imbronciato e mostrò la foto al suo ragazzo.
«Contento adeso?» Domandò ancora imbronciato.
Federico sorrise e lo tirò a sé in un abbraccio da cui Michael tentò invano di liberarsi.
«Dai, te la sei presa?» Gli sussurrò dolcemente all’orecchio.
«No.»
Federico rise e pensò che Michael fosse un po’ come le donne: quando dicono che va tutto bene, è l’esatto contrario.
«Dai, piccolo!»
«Io sono più grande di te» gli fece notare l’altro.
«Allora ti chiamo patatone. Sai che ti ho salvato così in rubrica?»
Michael si accigliò e si sciolse dal suo abbraccio.
«Per te sono una grande patata?»
Era confuso e la sua faccia fece ridere ancor di più Federico.
«Non letteralmente, scemo! In realtà in italiano si dice patatone di una persona un po’ goffa.»
«Ah, grazie» roteò gli occhi al cielo.
«Ma dai! Lo dico teneramente!»
Il tatuato lo abbracciò di nuovo e questa volta il riccio non oppose resistenza.
«Alora tu per me da ogi sei “stronzo”. E lo dico teneramente, eh» disse ironico e la cosa fece ridere entrambi.
 
Era ormai sera quando, dopo aver visitato Trafalgar Square, tornarono al loro hotel per cenare. Dopo cena erano troppo stanchi per uscire di nuovo per le strade di Londra. Michael aveva pianificato di portare Federico in un bar che lui amava tantissimo, ma i loro corpi reclamarono meritato riposo dopo tre giorni di cammino in giro per Parigi e Londra.
Michael era steso di traverso sul letto matrimoniale e mangiucchiava delle patatine fritte da una busta mentre guardava Capitan America in tv. Federico non capiva un accidenti di quel film in inglese, perciò se ne stava a sistemare la sua roba tra l’armadio e la valigia - da perfettino qual era il riccio lo aveva rimproverato almeno tre volte di far ordine nella sua parte di armadio, e quello poteva essere il momento giusto.
«Sai, ho deciso di andare a trovare la mia familia domani.»
Michael pronunciò quelle parole continuando a tenere lo sguardo fisso su Chris Evans in tv. Federico si fermò e si voltò verso di lui, vedendolo addentare una patatina fritta tondeggiante. Il tatuato sorrise.
«Sono felice che tu abbia deciso questo.»
Anche il riccio sorrise.
«Vieni con me, domani. Please.»
Federico lo guardò a lungo e capì che l’altro ci sperava davvero. Aveva bisogno di lui per affrontare la sua famiglia.
«Tu sei sicuro? Insomma... come la prenderanno i tuoi?»
Il riccio non voleva pensarci.
«No mi interessa. Veddremo
Federico avrebbe voluto dirgli che forse era troppo presto, ma proprio non se la sentiva di lasciarlo solo in quel momento.
 
Eppure, per tutta la notte, Federico non fece altro che pensare a dare una definizione al loro rapporto. Non sapeva ancora cos’erano, e quello lo spaventava terribilmente. Ma allo stesso tempo desiderava scrollarsi di dosso ogni etichetta e godersi semplicemente Michael, il suo modo di essere e il suo modo di fare. Si rigirò nel letto e si trovò a pochi centimetri dal volto del riccio. Era buio pesto, nella loro camera, ma sentiva il caldo respiro del ragazzo arrivare a sfiorargli il pomo d’Adamo. E poteva ben immaginarselo, con le lunghe ciglia a riposare sulle guance e i boccoli castani che gli ricadevano sulla fronte. Non aveva bisogno di guardarlo, della luce, tanto gli sembrava di conoscerlo da sempre. E anche la sua voce, se ci pensava, gli pareva di sentirla da una vita: Michael che lo chiamava con quell’accento quasi sempre sbagliato. Federico sorrise nel buio e decise che, almeno per quella sera, non voleva dare nessuna etichetta a quel rapporto.
 
 
NOTE
* Letteralmente: “Questo è il nostro orgasmo”. In francese però è più chic.


ANGOLO AUTRICE
Ancora fluff! Godetevi questi momenti, neh, che l'angst tornerà. Non è una minaccia, è una promessa (cit.) <3 vi voglio bene. Ho fatto la nottata/mattinata per guardare le premiazioni degli Oscars e mi sento quasi (quasi, eh) uno zombie. Eppure ne è valsa la pena. <3
Grazie come sempre a chi legge ma soprattutto a chi recensisce, perché mi fa davvero piacere sentire le vostre opinioni! Too much piacere <3
Ciaone belli <3

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Capitolo 16
*** Sixteenth ***


- 16 -
 
NOTA: i dialoghi in corsivo sono pronunciati in inglese dai personaggi.
 
Per raggiungere la famiglia di Michael, il giorno seguente, dovettero rinunciare a gran parte della visita del resto della città.
Federico, tra l’altro, aveva l’ansia. Lo sapeva perché cominciarono a sudargli le mani dal mattino.
«Muoviti, Fede. Ho chiamato mamà e ha detto che ci sta aspetando per il pranzo.»
Federico annuì e si allacciò l’ultima scarpa prima di afferrare il cappotto e seguire il riccio fuori dall’hotel.
Anche Michael era nervoso. Durante il viaggio in taxi Federico lo fissò e lo vide torturarsi le labbra troppo spesso, con lo sguardo pensieroso e le dita delle mani che si intrecciavano e scioglievano di continuo. Il tatuato - sebbene non fosse meno nervoso di lui - gli prese delicatamente la mano destra e la strinse nella sua, intrecciando le dita con quelle lunghe del riccio.
Michael si voltò verso di lui e gli sorrise arricciando il naso e sentendosi leggermente più tranquillo.
Giunsero presto davanti un anonimo condominio in mattoncini rossi.
«Siamo arivati» annunciò Michael spalancando leggermente gli occhi ed entrambi scesero dall’automobile dopo aver pagato il tassista.
L’anonimo condominio aveva un grosso portone verde massiccio e a lato il citofono, che il riccio controllò prima di pigiare il pulsante relativo al nome “Penniman”.
«Chi è?» Domandò una voce femminile filtrata attraverso il citofono, da cui provenivano anche indistinti rumori di sottofondo.
«Sono io, ma’. Sono Mika.»
La donna tacque per un po’, poi aprì il portone e invitò entrambi a salire.
Non c’era l’ascensore, in quel piccolo condominio, e perciò dovettero salire fino al quinto piano a piedi. Federico guardò Michael e pensò che avrebbe voluto tanto saper spiccicare qualche parola di inglese; invece la sua conoscenza si limitava a poche frasi fatte e un po’ di grammatica puramente accademica e inutile in quel contesto.
«Hai detto Mika?» Gli domandò Federico mentre salivano le ultime rampe di scale.
«Sì, ho detto.»
«È il tuo soprannome? Perché non me lo hai mai detto?»
Il riccio scrollò le spalle.
«Solo in mia familia mi chiamano così. Sai, dopo che mi sono alontanato da loro non mi andava che qualcuno ancora mi chiamasse così.»
Il tatuato annuì.
«Però è carino. Mika. Perché non Mike?»
«Mike è mio padre.»
Arrivarono davanti alla porta dell’appartamento - da cui proveniva una certa confusione ovattata - dove una donna bassa e robusta li aspettava con la porta semi-aperta e una calda luce giallina alle spalle. La donna sorrise e in quel riso Federico ci vide il riflesso dell’ampio sorriso di Michael: ora sapeva da chi l’aveva ereditato. Per i resto i due erano completamente diversi: Michael era alto, magro e con i capelli ricci, mentre sua madre non aveva nessuna di quelle caratteristiche - che Federico pensò dovessero allora appartenere al padre. Al pensiero di quell’uomo al tatuato vennero ansia e brividi.
La donna si gettò contro Michael e lo stritolò nel suo forte abbraccio. Rideva e aveva le lacrime agli occhi, mentre il riccio aveva uno sguardo stupefatto e la bocca semi-aperta. Federico pensò che forse non si aspettava di essere trattato così, non dopo tutti quegli anni. E invece la donna sembrava aspettare quel momento da tutta la vita.
«Mi sei mancato, Mika» sussurrò lei emozionata.
Il riccio chiuse gli occhi e respirò il suo profumo - Federico l’aveva capito che a Michael piaceva, talvolta, annusare la gente - dopodiché sorrise e quando riaprì i suoi occhioni ambrati il tatuato li vide velati di lacrime. La madre lo lasciò andare e asciugò le sue lacrime che, invece, erano già rotolate giù da un bel po’ di tempo.
Nel guardare la scena Federico non aveva per un attimo smesso di sorridere: era qualcosa di meraviglioso, il legame che aveva davanti. E forse un po’ lo invidiava anche. Michael sembrò riscuotersi e trascinò Federico per un braccio facendolo avvicinare alla donna. Lei lo guardò un po’ confusa, come se avesse notato solo allora il ragazzo tatuato.
«Mamma, lui è Federico. È il mio ragazzo. Fede, lei è Joannie, mia madre.»
E Federico si sentì morire. Perché nella sua conoscenza puramente accademica dell’inglese sapeva il significato di “boyfriend”, e Michael l’aveva appena utilizzato per descriverlo. In un attimo il tatuato divenne bordeaux. Fortuna che il pianerottolo non era eccessivamente illuminato. Strinse le labbra e tese una mano alla donna, attendendo una sua reazione come un condannato al patibolo.
Joannie restò stupita solo per un attimo - forse perché non credeva che Michael avesse un altro ragazzo o forse per la sua pelle ricoperta di tatuaggi - poi tirò a sé Federico e lo strinse in un abbraccio. Il ragazzo pensò che era un vizio della famiglia Penniman quello di abbracciare qualunque essere vivente.
Dalla porta spuntò un Golden Retriever abbaiante, che evitò sapientemente le figure di Joannie e Federico e si catapultò su Michael. Il riccio spalancò la bocca per la sorpresa e prese a coccolare freneticamente il cane.
«Melachi!» Esclamò fra una coccola e l’altra, e allora realizzò quanto anche la cagnolina gli fosse mancata.
 
Non appena misero piede in casa, i due ragazzi notarono un odore di spezie che invadeva l’intero ambiente casalingo.
«Mia madre ha cucinato libanese» ridacchiò il riccio.
Il più piccolo invece ebbe un po’ di paura: raramente assaggiava cucine orientali e sperò con tutto sé stesso che la cucina libanese fosse davvero buona - non avrebbe mai fatto la scortesia di lasciare cibo nel piatto perché non gli piaceva.
Joannie richiamò a sé tutti i fratelli Penniman, che non appena videro la testa riccioluta di Michael far capolino in salotto, corsero verso di lui ad abbracciarlo.
Federico si fece da parte e osservò quel quadretto familiare che sembrava quasi una bellissima istantanea color seppia. Preso dal momento, estrasse il cellulare senza farsi vedere e scattò una foto del mega-abbraccio a cui stavano partecipando tutti i fratelli e la madre di Michael. Il riccio, al centro, era così felice che Federico avrebbe voluto vederlo così per sempre. E forse fu anche per quello che aveva scattato la foto, per imprimere quell’attimo. Posò di nuovo il cellulare in tasca e l’abbraccio lentamente si sciolse. Le sorelle di Michael e suo fratello - che, per inciso, era la fotocopia del riccio - cominciarono ad assalirlo con domande a ripetizione su come stava, sul  suo lavoro, e alla fine anche su Federico.
Joannie si ritirò in cucina e annunciò a tutti di lavarsi le mani, perché il pranzo era pronto.
Il piccolo bagno dell’appartamento si riempì di tutti i ragazzi e Federico si rese conto di quanto fossero rumorosi.
«Un bel po’ rumorosi, eh» domandò al riccio sorridendo.
L’altro ridacchiò mentre si asciugava le mani.
«E manca anche una mia sorela, Yasmine. È a New York per lavoro.»
Il tatuato alzò le sopracciglia e seguì Michael in sala da pranzo. Il tavolo non era molto grande, ma stracolmo di pietanze di tutti i tipi. Le pietanze libanesi erano servite in piatti molto colorati e dipinti a mano, mentre un servizio di piatti diverso era riservato ai cibi all’occidentale.
«È... un po’ troppa roba» constatò Federico.
«Lo so!» Rise Michael.
Quanto gli era mancato tutto quello.
 
Il pranzo filò liscio, anche se Michael doveva tradurre in italiano ogni frase pronunciata dai suoi familiari. Federico li trovò tutti dolci e simpatici e risero tantissimo per tutto il tempo, soprattutto quando il tatuato si sentì in colpa per non riuscire a mangiare tutto ciò che Joannie aveva preparato.
L’unico momento davvero serio ci fu quando Zuleika nominò il padre: disse al riccio che poteva stare tranquillo perché l’uomo era via per lavoro da diverse settimane.
Michael tirò un sospiro di sollievo e subito dopo si cambiò argomento, passando a parlare di Melachi e poi di gatti, vestiti, Milano.
Federico faticava a stare al passo con tutto perché spesso Michael, per rispondere ai fratelli, dimenticava di tradurgli qualche frase e a lui toccava recuperare il senso intero della discussione. Se c’era una cosa che però il tatuato aveva capito era che tutti i Penniman avevano mille idee e sensazioni che gli frullavano nella testa tutte insieme.
 
Dopo pranzo Michael trascinò con sé Federico in quella che una volta era la sua stanza: Joannie gli aveva rivelato di averla conservata identica a come il riccio l’aveva lasciata. Non appena Michael ci mise piede, si rese conto che era vero: tutto era al suo posto, a parte gli abiti e le cose indispensabili che aveva portato con sé anni prima.
La foto della sua ridente famiglia era ancora sul comodino. Il riccio la prese tra le mani e la guardò: lì erano tutti molto piccoli, ma nella loro vita i problemi non erano ancor arrivati. E soprattutto Michael vide suo padre sorridente, con gli occhiali da sole scuri e un braccio saldamente avvolto attorno alle sue piccole spalle. Federico si avvicinò e guardò la foto; poi rivolse lo sguardo al riccio e vide che dai suoi occhi dorati cadde rapidamente una lacrima, che percorse la guancia sinistra fino a scontrarsi con il dorso della sua mano.
«Recupererai il rapporto con tuo padre. Vedrai.»
Federico si sentì tremendamente ridicolo e banale per averlo detto, ma non riusciva proprio a trovare parole più adatte. Sapeva che gli stava mentendo, e lo sapeva anche Michael: non esiste sempre un lieto fine nei rapporti.
Eppure il riccio annuì, perché aveva bisogno di credere - almeno per un istante soltanto - che tutto si sarebbe sistemato, un giorno.
«Ti facio vedere altre foto» sorrise poi a Federico.
Il tatuato annuì e si sedette sul letto. L’altro allungò una mano verso il cassettone sotto il letto e nell’aprirlo una grossa quantità di polvere si sollevò. All’interno c’erano alcuni oggetti e svariati album fotografici. Il riccio ne prese uno con su scritto “8th bday” e si sedette accanto a Federico per cominciare a sfogliarlo.
Nelle prime foto Michael aveva un faccino rotondo con tanti boccoli che gli ricadevano sulla fronte e in testa un cappellino rosso a forma di cono, legato sulla sua testa tramite degli elastici sottili. Aveva un grosso sorriso che Federico riconobbe subito, perché nonostante gli anni era rimasto lo stesso; così come quella piccola fossetta che gli si formava sul lato sinistro. Il tatuato sorrise per la tenerezza di quelle foto.
Nelle foto successive Michael era abbracciato alle sue sorelle e tutti facevano delle facce buffe che lo fecero ridere immediatamente.
«Siete troppo teneri!» Esclamò Federico.
Il riccio rise con lui e continuò a sfogliare: c’era Joannie con il pancione - incinta di Fortuné - e poi ancora il padre di Michael che portava il piccolo Mika sulle spalle, i palloncini e le stelle filanti, gli invitati con lunghi abiti colorati che Federico non avrebbe mai conosciuto.
Poi, in alcuni scatti successivi, Michael piangeva: le sue sorelle lo circondavano e gli avevano disegnato stelline e cuoricini sul volto, dopodiché vi avevano appiccicato delle paillettes e brillantini e lo avevano truccato in maniera abbastanza blanda con un ombretto scadente e un lucidalabbra dall’aria molto appiccicosa.
«E questo?»
Federico scoppiò a ridere e Michael con lui, anche se visibilmente imbarazzato.
«Le mie sorelle facevano sempre questo, sai. Ero la loro bambola!»
Continuarono a sfogliare e nelle foto seguenti Michael non piangeva più; era invece dietro la torta dalle candeline azzurre, circondato da parenti e amici. In una foto soffiava le candeline, in un’altra tagliava la torta con un grosso coltello che era più nelle mani di Michael Sr. che nelle sue.
Il riccio passò velocemente le foto dov’era anche suo padre perché vederli così felici, insieme, gli faceva male.
Federico lo notò ma non disse nulla, semplicemente ad un certo punto indicò una delle foto davanti a loro.
«Questa non è del compleanno.»
Michael sorrise tristemente nel guardare l’ultima foto dell’album. Erano di nuovo tutti insieme, la numerosa famiglia Penniman abbracciata nello spazio davanti al castello di Disneyland Paris. Stavolta c’era anche Fortuné, piccolissimo, tenuto per mano da Joannie.
«No, infatti. Una volta che mio padre ci portò a Disneyland. Eravamo felicisimi
Il riccio fissò ancora la foto e poi richiuse rumorosamente l’album, riponendolo nuovamente nel cassettone sotto il letto.
 
L’abbiocco pomeridiano li colpì come due bambini. Federico e Michael si stesero sul letto e stettero a guardarsi per alcuni minuti, poi si addormentarono e Joannie li trovò così, uno di fronte all’altro, in un sonno profondo. A malincuore dovette svegliarli.
«Ehi» sussurrò dolcemente scuotendoli appena.
Federico si svegliò di soprassalto e nel vedere Joannie si sentì abbastanza in imbarazzo. Il riccio invece dormiva ancora beatamente mentre il più piccolo si metteva a sedere; Federico aiutò Joannie nel cercare di svegliare Michael e ci riuscirono solo quando lo scossero maggiormente. Michael si alzò ancora frastornato dal sonno.
«Non vorrete passare la giornata a dormire, spero» ridacchiò la donna con finto rimprovero e Michael annuì.
«Non posiamo dormire tuto il pomeriggio» si rivolse poi a Federico, il quale annuì a sua volta.
Il riccio si diresse in bagno e guardò il suo riflesso ancora assonnato nello specchio. Abbassò poi il viso verso il lavello e si sciacquò ripetutamente il volto nella speranza di riuscire a svegliarsi meglio.
Ad un certo punto sentì due calde mani cingergli i fianchi e un fugace bacio dietro la nuca. Le mani del riccio si aprirono lasciando ricadere l’acqua raccolta e sorridendo guardò Federico attraverso lo specchio. Il tatuato gli sorrise di rimando e gli lasciò un altro bacio sul collo, questa volta un po’ più lungo, alzandosi sulle punte per combattere quella dannata differenza di altezza. Le goccioline d’acqua che bagnavano le punte dei ricci di Michael ricaddero lungo la sua fronte e il collo, fino a scontrarsi con le labbra di Federico che non avevano ancora smesso di baciargli quella porzione di pelle candida.
Il riccio chiuse gli occhi per assaporare meglio quelle labbra morbide e calde che gli baciavano ripetutamente il collo. Poi portò le mani ancora bagnate su quelle di Federico che gli tenevano i fianchi e intrecciò le sue dita con quelle del più piccolo, accarezzandogliele. Il tatuato portò le mani oltre e le allacciò sul ventre del più alto, che prontamente le raggiunse con le sue. Federico avvicinò di più il bacino contro il sedere di Michael e questo sentì l’erezione dell’altro, cosa che influenzò sicuramente la sua, di erezione. Michael ridacchiò ancora con gli occhi chiusi e allora Federico si staccò dal suo collo e lo guardò. Il riccio riaprì gli occhi e le mani del tatuato scesero più giù, a slacciargli i pantaloni e tirare giù la zip.
«Fede» lo ammonì Michael, lanciando uno sguardo alla porta semi-aperta del bagno e mordendosi un labbro.
Il tatuato, seccato, andò a chiudere a chiave la porta e subito ritornò nella posizione di prima. Abbassò appena i pantaloni del più grande e cominciò a massaggiare l’erezione del riccio attraverso i boxer. Ancora con il labbro inferiore tra i denti, a Michael sfuggì un mugolio sospirato di piacere. Federico infilò una mano nei suoi boxer e tirò fuori l’erezione dell’altro, cominciando a strusciare la sua mano molto lentamente per tutta la lunghezza del membro. Il riccio portò la sua mano destra su quella del ragazzo e iniziò a muoverla insieme alla sua. Federico accelerò il ritmo e i gemiti acuti di Michael si sparsero flebili per il piccolo ambiente, nonostante stesse cercando in tutti i modi di trattenersi. Ad un certo punto Federico fermò la mano e, sotto lo sguardo confuso dell’altro, rigirò il riccio tra le sue braccia in modo da averlo di fronte a sé. Il tatuato si inginocchiò incerto davanti a Michael e questo capì cosa avesse intenzione di fare e ne restò stupito.
«Fedé... tu è sicuro?» Gli domandò preoccupato.
Ma Federico annuì e si convinse: non aveva mai fatto un pompino a un uomo, ma era giunto il momento di restituire a Michael quel piacere che lui gli dava ogni volta. Era giusto così; e non credeva fosse un debito, semplicemente voleva farlo. Voleva farlo per Michael, il suo ragazzo.
Federico si avvicinò al membro del riccio e lo prese in bocca. D’istinto Michael contrasse i muscoli delle gambe in un spasmo e chiuse gli occhi: sarebbe potuto venire anche solo grazie alla sensazione calda della sua erezione avvolta dalla bocca dell’altro. Eppure si trattenne e cercò di pensare ad altro. Il tatuato invece tentò di replicare alcune delle cose che Michael gli faceva sempre e che sapeva sarebbero piaciute anche a lui. Quindi leccò e succhiò delicatamente la punta del suo membro, poi l’avvolse completamente e mosse la testa avanti e indietro, mentre con le mani gli accarezzava le gambe ancora fasciate per metà dai pantaloni abbassati alle ginocchia. Michael non riuscì a resistere molto e si riversò nella bocca di Federico, che mandò tutto giù sebbene il lieve e naturale disgusto iniziale.
Quando il tatuato si rialzò, Michael non gli diede tregua e decise di occuparsi della sua erezione ancora da soddisfare. Con poca delicatezza il riccio afferrò il corpo di Federico e lo sbatté contro le piastrelle della parete del bagno. Il tatuato rise per la foga che ci stava mettendo l’altro, ma il suo sorriso scomparve quando Michael gli abbassò pantaloni e boxer e prese a masturbarlo mentre gli lasciava baci umidi e sensuali sul collo. La risata di Federico lasciò spazio solo ad ansiti rochi che si sparsero per la stanza e ai “ti amo” che si scambiarono.
 
Quando Michael e Federico scesero in cucina, Joannie li attendeva con due piattini di torta alle mandorle in mano e un’espressione maliziosa sul volto. Michael vide l’espressione di sua madre, che ammiccò per fagli capire che aveva sentito i due ragazzi in bagno. Il riccio divenne bordeaux, mentre Federico restava estraneo da quel gioco di sguardi e si limitava semplicemente a rifiutare la sua fetta di torta alle mandorle, troppo pieno il suo stomaco per poter contenere altro.
Non appena Michael ebbe finito la sua porzione di torta - e Federico cominciava a capacitarsi di avere un fidanzato che mangiava per tre persone - i due ragazzi salutarono Joannie e uscirono in strada a fare una passeggiata.
Riuscirono soltanto a visitare il British Museum per poco più di due ore, poi presero un gelato e percorsero la strada del ritorno nell’aria che diventava a poco a poco più fredda e scura.
«Sai, adoro la tua famiglia» buttò lì Federico, sorridendo. «Siete molto legati, si vede. Infatti dopo tutti questi anni di separazione per loro sembra che non te ne sia mai andato.»
Michael lo guardò e sorrise arricciando il naso. Anche Federico si girò verso di lui e nel guardare quell’espressione buffa e tenera, in un attimo, si alzò sulle punte e gli lasciò un dolce bacio sulla punta del naso. Il riccio lo strinse a sé in un grosso abbraccio che permise ad entrambi di respirare l’uno il profumo dell’altro. E si sentirono davvero bene, in quel momento.
 
La cena non ebbe meno portate del pranzo, a casa Penniman, e ancora una volta Federico si trovò a dover rinunciare alle ultime pietanze perché non ce la faceva più.
Dopo cena Joannie chiese ai due di restare a dormire, ma Michael rifiutò.
«Abbiamo l’hotel prenotato e pagato, e poi vi creeremmo solo disturbo nell’organizzare i letti.»
Joannie insistette, ma il riccio fu più testardo di lei e vinse, potendo contare anche sull’appoggio di Federico.
«È stato bello rivederti, Mika. Per tutti noi» concluse Joannie con già le lacrime agli occhi. «E fatevi vedere più spesso!» Li ammonì dolcemente e si scambiarono vari abbracci.
La donna aprì la porta e non appena i due ragazzi misero piede fuori dall’appartamento si scontrarono con Michael Penniman Sr. L’uomo era riuscito a rientrare un giorno prima del previsto dal viaggio di lavoro. I due si guardarono negli occhi solo per qualche decimo di secondo. Il cuore del riccio balzò in gola e prese a battere fortissimo, dopodiché il suo sguardo ricadde al pavimento. Anche Michael Sr. lo guardò per un attimo - attimo in cui constatò quanto suo figlio fosse cresciuto - poi lo ignorò e compì i restanti passi che gli servirono per entrare in casa. Joannie era ancora ferma sulla soglia della casa e rivolse un ultimo sguardo eloquente a Federico, il quale salutò con un cenno della mano e si affrettò a raggiungere il riccio che camminava spedito verso il portone.


ANGOLO AUTRICE
Finalmente Mich e Fede hanno incontrato la famiglia del libanese :3 sono tutti teneressimi e legatissimi, come io credo che siano nella realtà :* e anche Joannie la vedo un po' come una "nonna italiana del sud" che cucina sempre troppissimo ahah tipo per il doppio degli invitati, per intenderci òwò
Grazie veramente TANTISSIMO per tutte le attenzioni che state regalando a questa storia <3 sono troppo felice, grazie alla n -esima <3 e a lunedì con nuovo angst! No, dai. Forse. Boh.

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Capitolo 17
*** Diciassettesimo ***


- 17 -
 
Michael quasi correva per raggiungere la strada e uscire da quel portone, che improvvisamente gli sembrava alquanto claustrofobico. Federico lo seguì con una corsetta e non appena arrivarono in strada gli fu davanti. Lo bloccò tendendogli le mani davanti al petto, ma solo dopo notò che il viso del riccio era un mix di guance rosse e lacrime che le rigavano. Si asciugò rapidamente con la manica del cappotto e si svincolò da Federico passandogli accanto e dirigendosi chissà dove.
Federico era stanco di seguirlo. Fisicamente e moralmente.
«Non puoi fare sempre così» si limitò a gridare, il giusto per non sembrare pazzo e allo stesso tempo per farsi udire da Michael.
Il riccio si bloccò in mezzo al marciapiede e abbassò lo sguardo. Un paio di persone gli finirono addosso maledicendolo in inglese per essersi fermato all’improvviso, ma lui non se ne curò affatto.
Sapeva che Federico aveva ragione, ma lui cosa poteva farci se ogni volta che guardava suo padre rimpiangeva i momenti belli passati assieme?
Il tatuato lo raggiunse avvicinandosi cautamente, come se volesse evitare di far spaventare e fuggire un cucciolo impaurito. Con un sorriso accennato gli accarezzò una guancia e Michael lo guardò con i suoi occhioni di cui Federico non riusciva più a fare a meno da troppo tempo.
Il riccio non disse niente, solo attirò a sé Federico in un abbraccio e lo strinse forte, per fargli capire che si stava grappando a lui con tutte le sue forze e lui doveva esserci, in quel momento. Glielo stava chiedendo per favore, ma Federico voleva esserci con tutto sé stesso, per lui. Per il suo ragazzo, per la persona che amava.
 
Nell’ultima notte a Londra Michael si addormentò subito. Erano entrambi stanchi per le passeggiate in giro per la città, ma il riccio era visibilmente provato dal peso dei ricordi, specialmente quelli che riguardavano suo padre. Perciò Federico, quando uscì dal bagno, lo trovò già addormentato. Si sdraiò al suo fianco e lo guardò per un numero imprecisato di minuti; poi gli venne da sorridere nel vederlo dormire in una maniera così dolce e gli accarezzò i ricci un paio di volte. Quando finì si diede dello stupido per le strane sensazioni che il riccio gli provocava, ma semplicemente, in risposta, rise sommessamente per non svegliare l’altro e si coricò, spegnendo poi la lampada sul comodino.
 
Berlino era bella e caotica, ma di un caos diverso che Federico non seppe spiegarsi: bello a modo suo, concluse. Michael invece era già stato una volta nella capitale tedesca, ma l’aveva visitata da piccolo e non ricordava molto. Perciò quel giorno si era munito di una semplice cartina da turisti e un sito internet che li avrebbe aiutati a visitare i principali monumenti di Berlino in una sola giornata.
Il riccio volteggiò a braccia aperte sul marciapiede, girando su sé stesso un paio di volte e guardando il cielo.
«Uffaaaa, questo è il ultimo giorno della nostra vacanza! Fedeee» si lamentò il più grande, che fu prontamente afferrato dal tatuato prima di finire addosso a una persona.
«La smetti di fare le pirouette? Così caschi addosso alla gente come un deficiente.»
Michael era strano. Federico a volte non lo capiva davvero.
«Ok» guaì ricomponendosi al fianco di Federico e procedendo con lui verso la Porta di Brandeburgo. «Ma questo è ultimo giorno.»
«Lo so, dispiace anche a me» sospirò il tatuato nel constatare che presto sarebbe tornato anche lui al suo noioso lavoro di sempre.
Presero al volo un gelato dai gusti semplici e lo consumarono mentre passavano a visitare il Parlamento Tedesco.
«Sei stranamente silenzioso» constatò Federico alzando un sopracciglio.
«È che io non conosco Berlino. Io sa poche cose da veri
Il riccio annuì a conferma della sua stessa affermazione e il tatuato cominciò a sperare che Michael se ne stesse davvero così buono buono per tutto il giorno. Giusto per non riempirgli la testa di chiacchiere come accadeva in genere.
Visitarono anche il Monumento all’Olocausto, Postdamer Platz e - su richiesta di Michael - tantissimi negozi di abbigliamento e accessori, poi dovettero tornare in hotel per la cena.
La giornata volò troppo rapidamente per i gusti di entrambi, che distesi sul letto a guardare il soffitto meditavano sulle imminenti giornate lavorative che li attendevano.
«Dopo questa vacanza volio solo licenziarmi» brontolò Michael.
«Non essere stupido.»
«Non sono stuppido
«No, infatti sei stupido con una “p”.»
Il riccio si voltò a guardarlo male, ma Federico già non riusciva più a trattenere la sua risata.
Così Michael tirò le labbra e decise di vendicarsi facendogli il solletico. Il tatuato non riusciva proprio a sopportare il solletico e rise così tanto da farsi scendere le lacrime.
«Mich, ti prego, basta!» Biascicò tra una risata e l’altra.
Anche il riccio rise e si fermò solo per afferrare il corpo di Federico che, per schivarlo, stava per finire sul pavimento. I loro visi si trovarono immediatamente vicini, alla distanza di un soffio. I loro fiati caldi si scontravano accarezzandosi e i loro occhi si fissavano con dolcezza. In un attimo Federico fu sul corpo di Michael e sulle sue labbra. Assaporò le labbra morbide e carnose del libanese, così come il suo sapore che assaggiava sempre ma che ogni volta sembrava che gli mancasse.
Le mani di Michael andarono ad accarezzare la schiena del tatuato. Questo si staccò per un attimo dal bacio e si sentì tremendamente melenso quando gli sussurrò “ti amo”.
 
Inizialmente fu difficile tornare alla quotidianità, ma ci riuscirono. Tornarono entrambi al loro lavoro e ripresero in mano anche i loro progetti musicali.
Era la seconda settimana di settembre quando Michael si lasciò stancamente andare sul divano della casa di Marco. L’uomo lo fissava dall’alto, alzando un sopracciglio e tenendo le braccia incrociate al petto.
«E va bene che siamo amici» cominciò il più grande, «e che mi mandi i selfie anche quando sei sulla tazza del cesso, praticamente. Ma avresti potuto avvisarmi prima di presentarti a casa mia. Sai... per tua fortuna stavo giusto ritirandomi a casa, altrimenti avresti aspettato davanti alla porta come un idiota per chissà quanto tempo.»
In risposta Michael chiuse gli occhi e si portò un braccio alla fronte. Sembrava più volersi addormentare che parlare, e perciò Marco riprese parola e si sedette accanto a lui, stavolta parlando con un tono più dolce.
«Che c’è che non va, piccolo
Il riccio storse il naso: Marco si divertiva a chiamarlo in quel modo, anche se a lui dava sempre fastidio. Ma ormai lo aveva salvato così anche in rubrica, e non appena Michael lo aveva saputo aveva cambiato il suo nome sul cellulare da “Marco Castoldi” a “Vecchio stronzo”.
«Sono stanco. Non volio più fare quel lavoro di merda, io volio lavorare con la musica! Come te.»
Marco annuì e guardò davanti a sé, pensieroso. Giusto un paio di settimane prima aveva firmato il contratto con una casa discografica, assieme ad alcuni suoi amici con cui aveva messo su quella band da musica sperimentale.
«Posso passarti alcuni contatti di case discografiche anche straniere. Ce ne sono molte di Londra, forse troverai più fortuna lì.»
Michael annuì lentamente, anche se ormai il suo ottimismo andava scemando già da qualche mese.
Passarono dei minuti di silenzio, poi Marco si alzò e accese lo stereo.
«Ti faccio ascoltare alcune tracce, ti va?»
Michael annuì e sollevò il busto sorridendo e prestandogli maggiore attenzione.
Marco inserì un CD nello stereo e lo fece partire.
Dopo un po’ Michael saltò su eccitato e fece un piccolo balzo sul divano.
«Questa è quela che ho sentito l’altra volta!»
«Già» sorrise Marco.
«Ora è mooolto melio» rise Michael.
«Sì, infatti. Io e la band abbiamo fatto come mi hai consigliato tu. Abbiamo un po’ ripulito il sound  togliendo qualche strumento e sistemando alcuni accordi degli strumenti rimasti. Non abbiamo tolto proprio tutti i suoni, ma direi che va benissimo così!»
Il riccio annuì scuotendo i boccoli castani e gongolò nel pensare che un po’ era stato anche merito suo.
 
Michael ricevette tre risposte negative e una positiva da una casa discografica londinese. Non appena il riccio lesse quell’e-mail balzò letteralmente dalla sedia. Non poteva crederci. Rilesse la mail quattro volte prima di realizzare che finalmente qualcuno aveva trovato interessanti i suoi demo e che voleva proporgli un contratto da decidere assieme a Londra.
Michael si portò le mani sul volto e pianse di felicità per qualche minuto. Poi prese un grosso respiro e decise di darsi un contegno. La sua mente vagava già oltre, però, e vide lui stesso e Federico vivere in una bellissima casa a Londra, con tanti cani e con il suo lavoro dei sogni, finalmente. Il cuore sembrò scoppiargli di felicità, forse era giunta la sua ora di essere felice. Tentò di calmarsi nuovamente e decise che ne avrebbe prima parlato con il suo ragazzo, ovviamente. Eppure si sentiva già più a Londra che a Milano.
Michael sentì la porta di casa sbattere e Federico gettò un urlo per fargli capire che era tornato. Il riccio sorrise un’ultima volta davanti allo schermo del portatile, prima di richiuderlo e precipitarsi in soggiorno. Lì trovò Federico che poggiava a terra un piccolo sacchetto della spesa che avrebbe poi sistemato in cucina. Il tatuato aveva un sorriso raggiante sul volto e lo stesso sorriso lo si poteva vedere anche sul viso di Michael.
«Devo darti una bellissima notizia, Mich!» Cominciò il tatuato.
«Anche io Fede! Prima la tua però!»
Federico annuì e pronunciò la frase quasi tutta d’un fiato.
«Una casa discografica milanese mi ha proposto un contratto. Cazzo, Mich, cazzo, ancora non ci credo! Aspettavo da una vita, capisci? Da una vita!»
Gli occhi di Federico brillavano mentre quelli di Michael si spegnevano. Il riccio attraversò un breve attimo di puro smarrimento, prima di forzare un sorriso per non far insospettire l’altro.
«Sono contento per te, Fede!»
Si lanciò ad abbracciarlo per far sì che Federico non vedesse il suo volto. Ma sicuramente il tatuato era troppo contento per curarsi delle sue emozioni.
«Cos’è che dovevi dirmi tu, Mich?»
Federico sciolse dolcemente l’abbraccio e lo guardò. Michael finse un altro sorriso abbastanza convincente e sminuì con un gesto della mano.
«Oh, niente, cosa non importante!»
Il riccio si abbassò a prendere la busta della spesa mentre l’altro alzava le spalle e continuava a saltellare dalla gioia e a raccontare tutti i dettagli del suo incontro con i discografici.
 
Erano passati già tre giorni e Federico aveva ufficialmente stipulato un contratto discografico. Michael invece ripensava sempre alla sua opportunità: andare a Londra e seguire il suo sogno significava lasciare Federico in Italia, lasciarlo per sempre; avrebbe potuto portarlo con sé, se Federico non avesse ottenuto anche lui il suo contratto discografico. E perciò Michael realizzò che era pronto a rinunciare al suo sogno per stare con Federico e vederlo felice.
In quei giorni però il riccio era stranamente silenzioso e quello a Federico non passò inosservato. Decise che gliene avrebbe chiesto il motivo, ma aveva prima una marea di faccende da sbrigare per il suo nuovo lavoro.
«Vado a fare una doccia, Fedé» gli urlò Michael dal corridoio per farsi sentire, poi richiuse la porta del bagno.
Federico staccò gli occhi dal block-notes.
«Mich, posso usare il tuo computer?»
Non ricevette risposta e pensò che Michael non lo avesse sentito. Ne ebbe conferma, infatti, quando passò per il corridoio e sentì l’acqua che scorreva dal soffione. Si avviò comunque in camera da letto e si sedette alla piccola scrivania che condividevano. Aprì il MacBook e notò che era già acceso. Sullo schermo del computer era aperta l’applicazione che gestiva la casella di posta di Michael. E Federico avrebbe davvero rispettato la privacy del suo ragazzo se solo non avesse distrattamente letto il titolo dell’ultima e-mail ricevuta.
 
Record Deal
 
Era il titolo di quella e-mail, e Federico ci mise un attimo per copiarla e incollarla nel traduttore inglese-italiano di Google. Lesse la traduzione con il cuore che da un momento all’altro minacciava di fermarsi. Lesse tutto d’un fiato e solo quando giunse alla firma digitale del mittente realizzò che anche Michael aveva avuto una proposta discografica. Stava quasi per esultare quando notò che l’e-mail era di tre giorni fa e che Michael non aveva ancora risposto.
Allora Federico fece mente locale.
Capì che era lo stesso giorno in cui anche lui aveva ricevuto la sua proposta dalla casa discografica, ed era lo stesso giorno in cui anche Michael aveva annunciato di avere una bella notizia da dargli, che poi non gli aveva più rivelato.
Federico scattò in piedi e si sentì girare la testa. Si appoggiò alla scrivania.
Michael sapeva che andare a registrare a Londra voleva dire lasciare Federico e far sì che le loro strade si dividessero per sempre. Michael stava sacrificando il suo sogno per stare con lui, e lui non poteva accettarlo. Sapeva cosa significasse aspettare un’opportunità per tutta la vita, come poteva permettere che Michael rinunciasse? Era per quello che il riccio aveva deciso di non parlargliene affatto.
Federico abbassò lo sguardo al pavimento e i suoi occhi divennero improvvisamente lucidi; d’un tratto vide la stanza come circondata da pareti di vetro e strinse gli occhi nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime. Richiuse il portatile di scatto e uscì dalla stanza.
Tornò in soggiorno e si convinse davvero di non aver visto nulla, almeno finché non si sentì maledettamente egoista. Ecco cos’era. Un egoista. Michael stava rinunciando alla sua felicità e lui semplicemente voleva far finta di nulla, solo perché aveva paura di perderlo. Lo voleva per sé, così come voleva il suo sogno. E non aveva pensato neanche per un attimo che anche Michael potesse volere le stesse cose, ecco perché era un maledetto egoista.
Federico sollevò gli occhi al cielo.
Cosa doveva fare?
Si lasciò cadere sul divano, stancamente.
In un attimo gli sembrò tutto molto più chiaro. Doveva chiamare Marco Castoldi.


ANGOLO AUTRICE
Vi prometto che capirete l'ultima frase, davvero. Dall'inizio del prossimo capitolo sarà tutto più chiaro ahah comunque siamo giunti al momento principale della storia. Si tratta anche degli ultimi avvenimenti perché, ahimé, la storia sta per giungere al termine. Non so seriamente quanti capitoli mancano (sicuramente pochi, però), e non ve lo dico per fare la preziosa o la cattiva, ma perché davvero non lo so ahah ho l'arco di storia in mente e il finale, ma non ho avuto la possibilità di scriverli già tutti, quindi avrete a sorpresa l'ultimo capitolo ahah
Vi chiedo solo di non uccidermi.
<3

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Capitolo 18
*** Diciottesimo ***


- 18 -
 
Finalmente Marco aveva abbandonato quell’aria saccente che aveva infastidito Federico per tutto l’arco del suo racconto. Ora invece l’uomo passeggiava pensieroso avanti e indietro calpestando rumorosamente il pavimento del proprio soggiorno, e rendendo l’altro ragazzo ancora più nervoso.
Marco si fermò improvvisamente di fronte al più giovane - seduto sul divano - e incrociò le braccia al petto.
«Quindi, vediamo se ho capito bene il tutto» cominciò con la sua voce fastidiosamente roca.
Federico annuì per invitarlo a proseguire.
«Michael ha avuto la proposta per un contratto discografico a Londra, ma non l’ha accettata perché contemporaneamente anche tu hai avuto il tuo contratto qui in Italia e lui non vuole che vi separiate. Giusto?»
«Perfetto.»
Federico si impose una certa calma nonostante l’atteggiamento irritante dell’uomo, che a malapena sopportava. Doveva riuscirci, però, se voleva aiutare Michael, perché quella era l’unica soluzione possibile e Marco era l’unico uomo che avrebbe potuto aiutarlo.
«Prima di continuare... sei sicuro che sia davvero così o ti stai solo facendo delle seghe mentali
Federico boccheggiò perché non ci aveva pensato. Ma poi immediatamente sopraggiunse un altro pensiero che lo aiutò a convincersi.
«È così, ne sono sicuro. Ha avuto vari atteggiamenti che me lo hanno confermato.»
Marco annuì e cambiò completamente atteggiamento. Federico ringraziò mentalmente per questo, perché l’uomo adesso sembrava volerlo aiutare seriamente.
«Va bene, ho capito. Praticamente mi stai chiedendo di aiutarti a spezzargli il cuore.»
Federico deglutì e abbassò lo sguardo. Messa su quel piano, così schiettamente, il solo pensiero gli faceva male. Ma spezzare il cuore a Michael era l’unico modo per farlo allontanare da lui e seguire il suo sogno. Il tatuato annuì debolmente e Marco proseguì.
«In sostanza questa sera voi andrete a ballare in discoteca e ad un tuo messaggio dovrò raggiungervi e appartarmi nel bagno. Tu troverai la scusa di dover fare pipì e ci metterai più tempo del dovuto, così Michael verrà a cercarti e ci beccherà che stiamo limonando. È così?»
«Sì, è così.»
Federico non impazziva all’idea di dover limonare con un uomo tanto più grande di lui, né di dover limonare con l’uomo con cui una volta Michael lo aveva tradito. Ma l’unica altra possibilità era Danny, e non se ne parlava proprio. Meglio Marco, a quel punto.
«E questo lo ferirà a morte, così tanto che secondo te prenderà il primo volo per Londra e addio.»
«Tu cosa ne pensi?»
«Penso che può funzionare.»
Il tatuato si sentì più sollevato, per quanto quell’imminente futuro glielo permettesse.
Marco si alzò e si diresse verso la vetrinetta in cui teneva i liquori.
«Rum?»
«Va bene» sentenziò Federico sospirando e gettando la testa all’indietro contro il divano.
Marco riempì i due bicchieri di vetro e ne porse uno al ragazzo, che annuì in segno di ringraziamento.
«Ti ringrazio per quello che stai facendo.»
Marco si sedette accanto a lui sul divano e sorseggiò dal bicchiere.
«Sto dicendo addio alla mia amicizia con Michael, ma lo sto facendo per lui. Perché gli voglio bene e so che merita di diventare quello che vuole.»
«Non fa una piega.»
Federico ci restò un po’ male per quello. In fondo non gli aveva fatto nulla.
«Però stavate bene insieme, credo. Lui ti ama molto.»
Federico annuì.
«Anch’io lo amo. È per questo che devo lasciarlo andare.»
 
Quel pomeriggio Federico se ne stette sul letto a guardare il soffitto per gran parte del tempo.
Non gli andava di scrivere rime o di riascoltare e aggiustare i suoi beat, non gli andava di fare davvero nulla. Perciò se ne stava così, a fissare il niente e a pensare a Michael che in cucina armeggiava con i fornelli per preparare un dolce. Michael amava preparare i dolci, li faceva sempre quando aveva tempo. Anche quella cosa gli sarebbe sicuramente mancata: il profumo di dolci sempre diverso che invadeva la casa e il riccio che prontamente gli portava in camera da letto qualche biscotto o fettina di torta in preview, come diceva lui.
Federico sorrise tristemente.
Finalmente aveva trovato il ragazzo perfetto per lui, dolce e sensibile e l’esatto suo opposto di cui aveva bisogno, e dopo quasi un anno doveva già lasciarlo andare via. Si erano appena completati e già dovevano abbandonarsi.
Strinse i pugni e li affondò nel letto morbido, con rabbia. Le lacrime cominciarono a rigargli il volto e lui non si curò neanche di pulirsele via con la manica della maglia, come faceva sempre.
Provava rabbia per quel destino malvagio che si era frapposto tra lui e Michael.
Non era affatto pronto a dire addio a tutto quello. Alla presenza di Michael, al suo tornare alle tre di mattina quando lavorava; al suo italiano ancora incerto e a quelle espressioni buffe e tenere allo stesso tempo; a tutto ciò che lo aveva fatto innamorare di lui.
A Michael, semplicemente, perché lui era tutto il suo universo e gli stava dicendo addio.
 
Michael richiuse il forno sbuffando e si tolse i guantoni da cucina gettandoli da qualche parte.
«Hai visto Fede? È setembre ma fa ancora caldissimo, sto morendo con questo forno aceso
Federico sorrise tristemente dalla sedia di fronte su cui era seduto: gli sarebbe mancato anche il lamentarsi continuo di quel pasticcione.
«Vieni qui» gli disse dolcemente e Michael acconsentì gongolando mentre andava a sedersi sulle sue gambe.
«Sei pesante, cazzo!» Affermò Federico e il riccio gli diede un pugno alla spalla e gli lanciò un’occhiataccia.
Il tatuato rise e si massaggiò il braccio colpito.
«Stronzo» borbottò il più grande, ma poi lo baciò rapidamente sulla guancia.
Il riccio prese a far ciondolare delicatamente le gambe e Federico gli afferrò la nuca per baciarlo lentamente e con passione sulle labbra. Quando si staccarono si sorrisero teneramente - il sorriso di Federico che aveva già quel retrogusto malinconico.
«Tu è stranamente dolce, ogi» ridacchiò Michael.
«È che ti amo. Ti amo tantissimo.»
Gli occhi di Federico divennero improvvisamente lucidi e per nasconderli li chiuse e baciò nuovamente sulle labbra Michael. Il tatuato riaprì gli occhi solo quando fu sicuro di aver ricacciato indietro le lacrime che minacciavano di sgusciare via. Il riccio per fortuna non si accorse di nulla,  semplicemente gli mostrò un grosso e luminoso sorriso.
«Anche io» gli disse baciandolo rapidamente di nuovo.
«Allora più tardi andiamo a quella festa in discoteca?»
Michael si rialzò dalle gambe di Federico sbuffando e si diresse a controllare il pasticcio di verdure che aveva messo in forno.
«Ti ho deto che non mi va, Fedé
«Ma perché? Dai! Sembri un nonnetto che se ne sta a casa sulla poltrona ad accarezzare il suo gatto il sabato sera, mentre tutti i giovani vanno a divertirsi in discoteca.»
Il riccio si girò con sguardo assassino verso di lui.
«Sembri un vecchietto di ottant’anni! Dai, è la tua serata libera!» Infierì Federico.
«No sono un vechietto di ottanta anni» scandì Michael.
Il tatuato allargò le braccia.
«Allora andiamoci!»
Il riccio roteò teatralmente gli occhi al cielo e si accovacciò per guardare il pasticcio che cresceva con il calore del forno.
«E va bene, stavolta hai vinto tu» sospirò esasperato.
Federico sorrise: almeno il primo passo era andato.
 
Dopo cena Federico stette almeno venti minuti a guardare il suo armadio e decidere cosa mettersi, tanto che gli sembrò di essersi trasformato in Michael. Il riccio era invece già quasi pronto quando diede una mano al suo ragazzo a scegliere dei vestiti adatti a ballare in discoteca. Federico si vestì mentre Michael si dava l’ultima spruzzata di profumo e prendeva le chiavi dell’auto del tatuato.
«Andiamo?» Gli domandò.
Federico si guardò attorno e controllò di aver chiuso tutte le tapparelle.
«Sì, andiamo.»
 
Già in auto Federico aveva l’ansia alle stelle. Quella sarebbe stata quasi sicuramente l’ultima serata con il suo ragazzo, con la persona che amava e che stava per lasciar andare via. Michael era sereno e ignaro di tutto: rideva e parlava fin troppo, come sempre, mentre Federico era rigido e mostrava solamente sorrisi tirati.
«Fede mi stai ascoltando? Tuto bene?»
Michael attirò la sua attenzione con quella domanda e il tatuato decise di darsi una calmata, almeno per far filare tutto liscio.
«Sì, certo, tutto bene.»
Gli sorrise, stavolta con un sorriso sincero per non farlo impensierire. Il riccio al suo fianco tornò a parlare tantissimo, finché Federico non parcheggiò l’auto e scesero per dirigersi verso la piccola discoteca.
Esibirono i biglietti al buttafuori all’ingresso e posarono i loro cappotti nell’armadio custodito che c’era all’ingresso.
La serata trascorse tranquilla: Federico riuscì a calmarsi e a godersi l’ultimo appuntamento con il suo ragazzo. Mangiarono degli stuzzichini e poi ordinarono un paio di drink leggeri, dato che nessuno dei due aveva voglia né motivo di ubriacarsi. Si buttarono in pista e ballarono per un tempo indeterminato, divertendosi davvero tanto - contro ogni previsione di Michael. Poi Federico controllò l’orologio e l’ansia lo riportò con i piedi per terra. Era il momento. Mandò un messaggio a Marco dicendogli di arrivare, poi riprese a ballare con il suo ragazzo.
Michael ci passò sopra la prima volta, ma quando vide il tatuato riprendere il cellulare in mano e leggere qualcosa per poi riposarlo in tasca, si avvicinò al suo orecchio.
«Chi era?» Gli domandò urlando per farsi sentire.
«Niente, mi erano arrivate delle notifiche di Twitter!»
Per fortuna Federico risultò convincente. Attese qualche minuto, poi fece cenno a Michael di seguirlo verso il bancone e questo gli andò dietro, anche se non ne comprese il motivo.
«Mich, devo andare a fare pipì!» Urlò al suo orecchio Federico, giusto quanto bastava per farsi udire nella confusione.
Il riccio annuì e gli rispose che lo avrebbe aspettato lì.
 
Quando Federico entrò in bagno Marco lo stava già aspettando da diversi minuti. Il tatuato si richiuse la porta alle spalle e sospirò.
«Allora?» Domandò Marco.
«Non voglio più farlo. No, io... non ci riesco. Non posso fargli questo, non posso. Capisci?»
Pronunciò tutte le frasi come un fiume di parole in piena, mentre gli si formava un groppo in gola e aveva gli occhi lucidi.
Marco sbuffò e incrociò le braccia al petto.
«Lo stai facendo per lui. Te ne sei dimenticato? Hai già fatto questa scelta, Federico, non tornare indietro.»
Federico lo guardò frustrato e si scostò dalla porta per passeggiare avanti e indietro in quel bagno piccolo e sporco.
«Gli spezzerò il cuore...»
«Ma con il tempo gli passerà! Andare a Londra per lavoro lo aiuterà a distrarsi. Si riprenderà.»
Federico lo guardò in faccia e costatò che fosse sincero. Allora gli si avvicinò e lo abbraccio perché in quel momento semplicemente gli andava di farlo. Era stato il suo più acerrimo nemico (dopo Danny), ma ora era l’unico a supportarlo e non poteva evitare di ringraziarlo.
«Non voglio limonare con te» si lamentò Federico.
«Neanch’io.»
Entrambi fecero una smorfia al pensiero di baciare l’altro, ma dovevano superare quel piccolo ostacolo. Sarebbe durata poco - speravano.
Marco prese l’iniziativa e appiccicò le sue labbra a quelle di Federico. Restarono così per diversi minuti, prima di sentire la porta spalancarsi e allora approfondirono il bacio con più passione. Chiusero entrambi gli occhi e sperarono davvero fosse Michael, perché altrimenti sarebbe stata una grandissima figura di merda.
Quella notte il cuore di Michael si frantumò in mille pezzi.


ANGOLO AUTRICE
Vi avevo detto che si sarebbe capito tutto e ho mantenuto la parola v.v non ho molto da dire in questo angolo autrice (strano, eh?) solo che al 90% mancheranno altri due capitoli (19 e 20) e che GRAZIE veramente di cuore per tutte le attenzioni che state dedicando a quetsa storia qui e su Wattpad. Davvero grazie mille, non posso fare a meno di ringraziare uno per uno tutti coloro che leggono e recensiscono <3 se avessi una salsiccia di porco per ognuno di voi ve la spedirei adesso <3 siete la mia felicità, sappiatelo.
À bientôt <3

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Capitolo 19
*** Diciannovesimo ***


- 19 -
 
Michael era immobile a fissare la scena, gli occhioni spalancati e nessuna emozione che sembrava attraversare il suo volto. In realtà la sua mente stava elaborando mille teorie e risposte contemporaneamente.
Allora era quello che Federico gli teneva nascosto prima, quando guardava continuamente lo schermo del cellulare?
Da quanto tempo andava avanti quella storia?
E poi perché con Marco? dove aveva sbagliato? cosa non aveva saputo dargli?
Forse lui era sempre stato di troppo.
Si era illuso che un disastro come lui potesse davvero far colpo su un ragazzo perfetto come Federico, e quello era il risultato.
Lo aveva ingannato, sempre.
Probabilmente adesso Federico gli avrebbe riso alle spalle, insieme a Marco.
Che bel quadretto.
Michael neanche se ne rese conto, furono le sue gambe a portarlo lontano da lì. Camminò senza neanche rendersene conto, mentre Federico continuava a ripetergli che gli dispiaceva. Non stava tentando di giustificarsi, di rincorrerlo, di fargli capire che non era come pensava. Semplicemente gli dispiaceva.
Michael si ritrovò fuori dal locale senza neanche la sua giacca, che stava ancora all’appendiabiti custodito della discoteca. Si trovò nel freddo milanese, reso ancora più gelido dal fatto che fosse solo. D’un tratto si fermò rendendosi conto che aveva camminato fino in fondo alla strada fuori dalla discoteca. Un forte singhiozzo gli fece temporaneamente mancare l’aria e portò una mano al viso, stringendo gli occhi.
Solo allora realizzò davvero che Federico gli aveva fatto quella cosa orribile, che l’aveva ingannato per chissà quanto tempo, che ogni volta che lo accarezzava, toccava o baciava non lo desiderava mai sul serio. Le lacrime caddero come grosse gocce senza controllo e si infransero contro i suoi abiti e sul pavimento, lasciando delle grosse chiazze grigiastre laddove si fermavano. Sentiva un dolore al petto e all’altezza dello stomaco; gli girò leggermente la testa, ad un certo punto, motivo per cui dovette sedersi sul basso gradino del marciapiede.
Passeggiava poca gente, a quell’ora, per quella strada. Tuttavia una giovane ragazza bionda dal trench beige gli si avvicinò preoccupata.
«Va tutto bene? Si sente male?»
Domandò allarmata.
Michael avrebbe voluto dirle che andava tutto male, invece, che era solo e che era stato tradito dall’unica persona da cui non se lo sarebbe mai aspettato.
«Sto bene» biascicò soltanto asciugandosi inutilmente gli occhi, che gli si appannarono nuovamente.
La ragazza esitò nel sederglisi accanto ma lo fece, sfiorandogli con delicatezza una spalla.
«Devo chiamare qualcuno?»
Il ragazzo scosse la testa facendo ondeggiare i ricci castani leggermente sudati per aver ballato in discoteca. Nascose il volto tra le mani e continuò a piangere e singhiozzare. La ragazza gli accarezzò la schiena delicatamente.
«Posso aiutarti in qualche modo?»
Stavolta il tono della ragazza non era più allarmato, solo triste.
«No» sussurrò.
La ragazza tirò le labbra rassegnata e si alzò in piedi. Frugò nella sua tasca e ne estrasse il suo biglietto da visita da assistente fotografa, su cui era scritto il suo numero di cellulare.
«Beh, se hai bisogno di qualcuno con cui parlare...»
Si abbassò sul riccio e poggiò sul marciapiede accanto a lui il biglietto, poi si allontanò a passo lento.
 
Marco era in silenzio, nel bagno, mentre Federico accanto a lui piangeva. Il tatuato non si lasciava andare quasi mai nella sua vita a pianti, ma in quel momento non era riuscito davvero a controllarsi. Aveva fatto del male a Michael, il suo ragazzo, la persona che amava e che aveva promesso di proteggere. E invece era stata la sua prima fonte di dolore.
Federico guardò in alto perché non sapeva davvero dove trovare la forza per andare avanti. Non era stato così rompere con Giulia, e si rese conto che quella era la chiave di tutto: non aveva mai amato nessuno neanche un po’ di quanto avesse amato Michael. Sembrava strano, ma era così. Se avesse pensato quella cosa appena un anno prima, si sarebbe dato dell’idiota e ci avrebbe riso su. Ma ora era tutto diverso, grazie a Michael: gli aveva fatto capire chi fosse Federico sul serio, era stata una specie di guida per lui. E poi si erano amati. Tanto, anche se in poco tempo.
Federico si coprì il volto con le mani.
Aveva sprecato mesi a capire di amare quel ragazzo e adesso desiderava solo averlo capito subito, così avrebbe potuto passare più tempo con Michael.
Marco, seduto accanto a lui sul freddo pavimento del bagno, gli passò un braccio attorno alle spalle e lo strattonò appena. Non era bravo a consolare le persone, ma perlomeno aveva quel sangue freddo che al tatuato serviva per non crollare del tutto.
«Hai fatto la scelta giusta. Dovevi lasciarlo andare soprattutto per il suo bene.»
Federico non rispose mentre Marco si accendeva una sigaretta in quel bagno già claustrofobico.
«Vuoi?»
L’uomo gli porse una sigaretta e Federico la guardò a lungo prima di accettare e lasciare che l’altro gliela accendesse.
Si sentì leggermente meglio con la nicotina che entrava in circolo. Dopo Michael, quella era sempre stata la sua droga preferita.
Federico si perse a fissare il fumo della sigaretta che creava mille disegni e si disperdeva poi nell’aria.
Michael odiava vederlo fumare, diceva che gli faceva male. E aveva ragione, ovviamente. Michael aveva sempre ragione.
«Dio, quanto sto diventando patetico» sorrise amaramente dando voce ai suoi pensieri.
Marco scoppiò in una fragorosa risata, pur non capendo il senso di quell’improvvisa frase: poteva ben immaginarselo.
 
Michael chiamò un taxi e si fece portare a casa. Era ancora scosso da tutto quando accese il portatile e rispose alla casa discografica, accettando la proposta e dichiarando che il giorno dopo sarebbe stato a Londra. Non gli importava se non lo avessero considerato - d’altronde aveva risposto dopo un bel po’ di giorni - lui sarebbe tornato a Londra comunque, dalla sua famiglia. Poi avrebbe preso un appartamento tutto suo e avrebbe trovato un lavoro qualsiasi. Tutto, pur di andarsene dall’Italia e da Federico.
Afferrò il suo trolley e lo scaraventò sul letto - adesso il dolore che aveva provato si stava trasformando in rabbia, forse per l’istinto di autoconservazione - e si trovò a pensare che fin troppe volte aveva riempito quella valigia. La sua vita in Italia era stata un travaglio continuo. Lui non meritava tutto quello, e anche se lo meritava adesso ne era davvero stanco. Voleva semplicemente tornare a casa, e casa sua non era più Federico.
Chiamò per prenotare i primi biglietti aerei disponibili per Londra: avrebbe dovuto aspettare il mattino seguente, ma guardando l’orologio il riccio si accorse che non mancava poi tanto alle sette e trenta del mattino. Solo cinque ore, ma non poteva più passarle in quella casa.
Così decise che avrebbe dormito in aeroporto.
Era comunque una prospettiva migliore.
 
Federico tornò a casa sfinito, verso le tre e mezza del mattino. Spalancò la porta e trovò l’appartamento completamente immerso nel buio. Ben tredici volte Marco lo aveva trattenuto dal chiamare Michael, anche se Federico era visibilmente preoccupato perché lo aveva lasciato andare senza neanche provare a rincorrerlo. Lui avrebbe voluto, ma non poteva.
Accese l’interruttore e dovette chiudere un attimo le palpebre perché la luce era troppo forte. In salotto - notò - era tutto esattamente come l’aveva lasciato.
Una strana sensazione d’angoscia gli attanagliò il petto mentre percorreva i passi che lo separavano dalla loro stanza. Sapeva che non avrebbe più trovato le cose di Michael, se lo sentiva. Eppure ci aveva sperato fino alla fine. Fino a che non aveva acceso la luce della stanza e si era reso conto che il trolley di Michael non era più al solito posto. Aprì le ante dell’armadio e non trovò più i suoi abiti, quelli che occupavano gran parte dello spazio e che lo riempivano di colori.
Ma la cosa che più gli fece male fu il vedere ancora sul comodino la loro foto incorniciata; anche il cuscino a forma di cuore era ancora lì, quello che gli aveva regalato quel giorno per scusarsi. Erano i segni che Michael non voleva più ricordare la loro storia, tutto quello che avevano passato insieme.
Federico si sedette esausto sul letto, le lacrime che stavano per cadere ancora.
«Ti amo, Mich, io ti amo» sussurrò, come se quel pensiero potesse davvero  raggiungere Michael ovunque si trovasse.
 
Il cuore del riccio faceva ancora incredibilmente male, nel petto. Fissava il vuoto e occupava garbatamente la sua sedia nello spiazzale dell’aeroporto. Tanto non sarebbe riuscito a dormire comunque. La voce metallica dall’altoparlante annunciava a raffica i voli in partenza e in arrivo. Michael chiuse semplicemente gli occhi per quelli che gli sembrarono essere dieci minuti, ma che poi scoprì essere state quasi due ore. Balzò in piedi ed ebbe paura di aver perduto l’aereo, ma quando si rese conto che erano ancora le quattro e mezza del mattino si risedette al suo posto e si guardò attorno imbarazzato: aveva attirato l’attenzione di almeno cinque o sei persone.
Per distrarsi accese il portatile e controllò la posta elettronica, ma non trovò alcuna risposta dalla casa discografica.
Spense tutto e attese fino all’ora del check-in.
Durante il viaggio in aereo riuscì a dormire per un po’, anche se le ore di sonno furono frammentarie e perlopiù senza sogni. Solo una volta rivisse la scena di Federico nel bagno con Marco, ma non seppe dire se si trattasse di un incubo vero e proprio o di un momento tra veglia e sonno. Quando comunque tentò di riaddormentarsi, un neonato strillò dal fondo dell’aereo, e sbuffando Michael non riuscì più a chiudere occhio.
Atterrò a Londra verso le 9 e 15 e si precipitò - bagagli al seguito - a fare colazione. Non appena mise piede nel bar, però, un senso di nausea lo pervase. Uscì immediatamente dal locale, scontrandosi anche con un uomo che lo maledisse, e decise che non era proprio il momento di mangiare.
Quando arrivò a casa sua Joannie aprì la porta con la fronte corrugata. Non le servì molto per immaginare cosa fosse successo: quando Michael la abbracciò e cominciò a singhiozzare e piangere  contro la sua spalla la donna capì, complice anche quella strana empatia materna che l’aveva sempre legata a Michael, molto di più di quanto non fosse legata agli altri figli.
«Vieni, entra.»
Michael seguì la donna in cucina e anche qui l’odore di cibo lo nauseò.
Seduto al tavolo della cucina, però, c’era suo padre. Ebbe un sussulto al cuore. Ma il suo cuore era talmente stanco di provare tutte quelle emozioni che decise di ignorarlo.
Suo padre non fu dello stesso avviso.
Alzò gli occhi su di lui e lo guardò: vide la sua stanchezza, i suoi occhi arrossati e lucidi e il peso di tutti quei problemi di cui lui non era stato partecipe per tutti quegli anni. Una grossa morsa gli si strinse attorno al cuore, specialmente quando il ragazzo si sedette al tavolo in silenzio e suo padre notò quanto fosse cresciuto, quanto della vita di suo figlio si fosse perso. L’aveva odiato, tanto, ed era stato lui stesso parziale causa del dolore che in quegli anni suo figlio aveva provato.
Ciò che il riccio non sapeva era che quando lui era scappato via da quel palazzo con Federico, i suoi genitori avevano molto discusso. Joannie aveva tentato di fargli capire che era arrivato il momento di porre freno a quell’odio e a quella situazione. E non aveva dovuto faticare molto, dato che Michael Sr. pensava a suo figlio già da troppo tempo, e sempre più spesso. La fiamma che aveva alimentato l’odio per tutti quegli anni si stava affievolendo, e vederlo per lui era stato un forte colpo al cuore.
Mio figlio è cresciuto così tanto, è diventato un uomo. E io mi sono perso tutta la sua vita. Che padre sono?
Adesso i due sedevano vicini, ma Michael non guardava suo padre; teneva lo sguardo fisso sul tavolo e il cuore chiuso nel dolore che provava per l’abbandono e il tradimento di Federico.
Perciò sobbalzò e sgranò gli occhi quando suo padre gli poggiò una mano sulla spalla. Fu una presa titubante e delicata, incerta, ma a Michael bastò per capire che lui era lì. Finalmente.
 
Gentile Signor Penniman,
Le riconfermiamo la nostra proposta e la attendiamo presso la nostra sede il giorno 10 settembre alle ore 5:30 pm per discutere del contratto.
Siamo molto felici che Lei abbia accettato.
Cordialmente,
Jake Windelow
 
La gamba di Michael tremava nervosamente su e giù. Joannie lo aveva costretto a pranzare - dopo aver rifiutato la cena il giorno precedente - e ora tutto il cibo che aveva ingerito minacciava di risalire su e ricomporsi malamente sul pavimento della sede di quella casa discografica.
Erano almeno due ore che attendeva in quella sala d’aspetto orribile, asettica quasi quanto quella di un ospedale. Una ragazza bionda lo aveva accolto sorridente e, dopo aver controllato il suo nome su una lista, lo aveva spedito in quella stanza chiedendogli di aspettare.
Il riccio era stanco di aspettare, ma non poteva perdere quell’occasione solo perché l’ansia lo rendeva impaziente.
La porta di fronte a lui si spalancò e Michael sobbalzò, colto di sorpresa. Un uomo un po’ grasso in giacca e cravatta lo guardò per un po’ con aria severa prima di parlare.
«Signor Penniman?»
«Sì, sono io.»
«Si accomodi.»
 
8:27 p.m.
Sent to: Mama <3
Ce l’ho fatta! Contratto discografico! :D <3
 
Federico, steso sul letto a guardare il soffitto, aveva un blocco che gli impediva di scrivere rime da almeno due giorni. Il proprietario dell’etichetta discografica si era molto arrabbiato, per quello, perché l’uscita del suo disco era stata programmata e lui aveva delle scadenze da rispettare. Federico però stava di merda, e delle sue scadenze del cazzo non se ne fregava neanche un po’.
Il tatuato sbuffò rumorosamente e chiuse gli occhi. Era stanco, il suo corpo e la sua anima chiedevano un po’ di tregua.
Da quando Michael era andato via si era tassativamente imposto di non pensare più a lui, di metterci una pietra sopra. Ma come poteva riuscirci se quel riccio maledetto si era portato via con sé una parte consistente del suo cuore?
Federico balzò in piedi e afferrò con impeto il suo cellulare. Scorse i numeri in rubrica fino a fermarsi alla lettera “P”. Lo teneva ancora salvato così, “Patatone :B”, e la cosa lo fece sorridere. Si sentì uno stupido quando realizzò che dopo tutta quella fatica stava per crollare e mandargli un messaggio, quindi spense il cellulare e lo posò sulla scrivania per non avere più quella tentazione.
Cosa gli avrebbe scritto, poi? Ormai era andata, e lui doveva solo cercare di dimenticare e andare avanti. E ci sarebbe riuscito, se magari lo avesse lasciato normalmente. Invece gli aveva mentito e lo aveva abbandonato nella maniera più subdola esistente per un rapporto di coppia.
 
Michael Sr. beveva il suo caffè sorridendo, seduto al tavolino, mentre suo figlio saltellava per la cucina raccontando a lui e a Joannie ogni minimo particolare dell’incontro con i discografici. Non stava zitto né fermo un attimo, ma entrambi sapevano che era impossibile dire al riccio di stare fermo o zitto, perché lui era fatto così e basta, fin da quando era bambino: e quella era una delle tante caratteristiche che lo rendevano unico e che a Michael Sr. erano mancate tantissimo.
Joannie, dopo aver ascoltato tutto ed essersi complimentata con lui almeno mille volte, sorridendo, continuò a tirare la pasta con il matterello sul ripiano della cucina. Ad un tratto diventò incredibilmente seria.
«Invece vuoi raccontarci cos’è successo con Federico?»
Michael si fermò e il suo sorriso si spense. Non ne avevano ancora parlato, doveva aspettarselo che sua madre tirasse fuori quell’argomento, prima o poi. Suo padre poggiò il bicchiere di caffè sul tavolino e lo guardò. Michael si sedette e tenne lo sguardo basso per tutto il tempo del suo racconto.
Parlò di ogni cosa, del legame con Federico e delle cose belle che avevano fatto insieme, dei momenti un po’ bui, di Marco Castoldi e poi dell’ultimo tradimento del tatuato. I suoi occhi lucidi minacciarono di far cadere altre lacrime, quando giunse al racconto di quel momento, ma fu distratto da suo padre che ancora una volta gli poggiava la mano sulla spalla e lo guardava comprensivo, cosa che destò di nuovo la sua sorpresa: non era più abituato ad avere suo padre accanto.
Michael Sr. portò poi la mano al mento, dubbioso. Passarono dei minuti di silenzio prima che l’uomo esternasse le sue perplessità.
«Non pensi che forse potrebbe avere a che fare con il tuo contratto?»
Il riccio fece scattare nuovamente lo sguardo su di lui e corrugò la fronte, dato che non capiva dove volesse andare a parare.
«Insomma, la storia del tradimento con questo Marco mi sembra un po’ troppo strana, non ti pare? Federico lo odiava, no?»
Michael fece di sì con la testa. Forse iniziava a capire.
«Potrebbe essere stata una scusa, secondo me. In qualche modo lui avrà saputo che tu stavi rinunciando alla tua opportunità per lui e avrà voluto rimediare. Da quello che mi hai raccontato, almeno, questa sarebbe l’unica spiegazione logica, perché non credo regga la storia d’amore con un tizio che non ha quasi mai visto!»
Michael fece mente locale e dovette ammettere che c’erano tante cose che non quadravano. Una di queste era proprio quella che gli aveva suggerito suo padre, e cioè che Federico non aveva mai avuto il tempo materiale di stare con Marco a sua insaputa. E poi Federico odiava Marco!
Sì, ora l’ipotesi di suo padre sembrava quasi essere vera.
Non voleva illudersi, ma allo stesso tempo era stato così cieco da credere veramente a quella finzione, senza farsi neanche una domanda al riguardo, troppo distratto dalle sue sofferenze.
Michael sorrise e balzò in piedi.
 
10:02 p.m.
Sent to: Federico <3
Prendo l aereo. Sto tornando in Italia.


 

ANGOLO AUTRICE
Una gioia per i nostri patatoni, finalmente? Adesso voglio vedere quanti di voi ameranno improvvisamente Michael Sr. AHAHAH dai, si è fatto perdonare alla grande <3
Ultimo capitolo lunedì prossimo! Sto già malissimo, vi giuro ç____ç ceh, dovrò abbandonare questi patati e i vostri scleri nei commenti, e come faccio? ç____ç 
Ma basta, rimando le lacrime al prossimo capitolo! Ve se ama <3

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Capitolo 20
*** Ventesimo (epilogo) ***


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Federico aveva tra le mani l’ennesima bottiglia di birra e la guardava come se fosse la sua più acerrima nemica. In realtà non aveva nulla contro quel liquido alcolico - anzi, si poteva benissimo dire che fosse il suo migliore amico, in quel momento - ma stava solo esternando i suoi pensieri.
Si voleva molto male per quello che era successo con Michael, e ora che cominciava a realizzare veramente la sua mancanza, l’alcol era stato l’unico a potergli venire in soccorso. Non era abbastanza ubriaco, però, lo sapeva: la sua mente pensava ancora al riccio, non era del tutto libera e leggera come lui desiderava.
Fece roteare il liquido nella bottiglia e poi la portò nuovamente alle labbra per bere l’ultimo sorso. Ebbe la voglia di lanciarla contro il muro, quell’odiosa bottiglia, ma ci ripensò giusto in tempo per non farlo.
Si alzò lentamente e si diresse a prendere il cellulare dalla sua scrivania. Premette il tasto di accensione dello schermo più volte, ma il suo smartphone sembrava morto. Prima di perdere definitivamente la pazienza recuperò l’alimentatore e lo mise sotto carica: per fortuna era solo scarico, non rotto come aveva creduto.
Un giramento di testa lo costrinse a sedersi sul letto. Sentiva il suo corpo stanco e pesante, perciò si accasciò completamente sulle coperte e chiuse gli occhi.
 
Fu costretto ad alzarsi solo quando sobbalzò per il suono improvviso del campanello.
Chi stava bussando alla porta doveva avere una certa urgenza, perché non si curava dell’orario tardo e suonava con insistenza.
Federico si rialzò e guardò l’orologio: erano quasi le due.
Attraversò il corridoio reggendosi alla parete e aprì la porta.
Ciò che vide davanti a sé sembrò renderlo lucido e pensante in un attimo. Michael era davanti alla sua porta, immobile, con le occhiaie di un sonno mancato e i suoi ricci incasinati anche più del solito. Aveva il volto serio ma rilassato e il suo petto faceva su e giù rapidamente, segno che aveva corso per arrivare lì.
Federico sarebbe stato contento di rivederlo, in altre circostanze, ma se il riccio era lì significava che il suo piano era fallito.
«Che ci fai qui?»
Biascicò aggrottando la fronte.
Michael non replicò, semplicemente si gettò addosso a lui e lo strinse forte in un abbraccio. Federico barcollò sotto quel metro e novantuno e sorrise nell’abbraccio. Inspirò forte il profumo di Michael: erano passati solo due giorni, ma quel riccio imbranato gli era mancato troppo. Adesso Federico non era più tanto sicuro di riuscire a lasciarlo andare.
Anche Michael inspirò l’odore di Federico, e oltre a quello di sigaretta ebbe modo di annusare anche quello di alcol. Si allontanò da lui sciogliendo delicatamente l’abbraccio e lo guardò imbronciato.
«Tu sei ubriaco!»
«No, ti giuro. Ho solo bevuto un pochino. Sono brillo, ma ubriaco no.»
Il riccio sembrò credergli e la sua espressione si rasserenò. Poi si tuffò sulle labbra di Federico in un bacio nostalgico e coinvolgente, ma il tatuato lo fermò - a malincuore - allontanandolo da sé.
«Mich, tu non hai capito. Io sto con Marco, adesso» mentì spudoratamente.
Il riccio roteò gli occhi al cielo.
«Uff, Fedé, guarda che ho capito tutto. Io no credo a questa cosa. So che tu ha fatto per me e per farmi avere il contratto discografico.»
Federico abbassò lo sguardo al pavimento. Era inutile continuare a mentire, se doveva lasciarlo di nuovo stavolta voleva farlo per bene. Senza segreti. Senza inganni.
«Noi non possiamo stare insieme, Mich. Tu hai il tuo sogno a Londra e io ho il mio qui. I nostri cammini devono separarsi e tu-»
«No, Fedé
Michael saltò su con gli occhi lucidi: non avrebbe permesso più a nulla di separarli.
«Io ti amo, non volio stare lontano da te. Io poso restare qua.»
Federico alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi dell’altro, quasi con rabbia.
«Allora non capisci! Che cosa mi risponderesti se ti dicessi che voglio rinunciare al mio contratto per venire a vivere con te a Londra?»
«Ti direi di no. Io poso rinunciare al mio sogno, tu non devi farlo.»
Il tatuato sorrise appena.
«Io penso esattamente la stessa cosa di te, Mich. Ti amo, lo sai. Io ti amo tantissimo, tu... sei entrato nella mia vita e l’hai sconvolta totalmente, sei stato un meraviglioso terremoto.»
Michael sorrise teneramente.
«Ma le nostre strade da ora in poi devono dividersi. Mi dispiace, non sai quanto ti vorrei ancora accanto.»
Federico abbassò la testa perché era sul punto di piangere e non voleva mostrarsi debole davanti a lui. Di contro, Michael già piangeva come una fontana. Cominciò a singhiozzare e Federico decise di esserci un’ultima volta: lo abbracciò portando la testa riccioluta contro il suo petto, accarezzandogli i capelli dolcemente come faceva ogni volta che Michael stava male e aveva bisogno di lui.
«Non voglio dirti addio, Federico. Io ti amo. Non è giusto» sussurrò tra un singhiozzo e l’altro.
Il tatuato lo strinse maggiormente a sé e affondò la testa nei suoi ricci morbidi, lasciandovi un bacio.
Non è giusto.
Aveva ragione Michael.
Federico sciolse la presa e si riappropriò delle labbra del riccio. Il bacio fu umido e salato a causa delle lacrime di Michael che erano scese lungo le guance e si erano scontrare con le labbra unite di entrambi. Avrebbero voluto restare così in eterno, ma il bisogno di aria li fece separare e li riportò alla dura realtà.
«Torna a casa, Mich» sussurrò Federico, facendo scivolare il suo sguardo a terra.
«Domani. Ti prego, l’ultima note insieme. Please.»
E chi era lui per dire di no alla persona che amava?
 
Dopo essere rimasti entrambi in boxer, si coricarono sotto le coperte. Non resistettero molto, perché Federico si liberò immediatamente del pesante piumone e si mise a cavalcioni sul corpo di Michael. Lo ammirò: era così bello con quel corpo dai muscoli accennati e i ricci castani riversi sul cuscino. Si sorrisero. Federico adagiò le sue labbra su quelle dell’altro e fece scorrere le mani lungo il suo petto. Michael portò invece le sue mani ai fianchi del tatuato, per poi farle vagare indefinitamente sulla sua schiena. Federico si rialzò con il busto e fece scontrare il suo bacino con quello dell’altro, portando a contatto le loro erezioni che si sfioravano attraverso i sottili indumenti intimi. A quel contatto il corpo di Michael fu scosso dal piacere ed espirò pesantemente, socchiudendo gli occhi.
Federico non riusciva a pensare ad altro se non a quanto fosse bello e a quanto lo amasse. Il tatuato fece scontrare ripetutamente i loro bacini, finché non si fermò all’improvviso per tirare giù i boxer del riccio. Michael riaprì gli occhi e vide l’altro sistemarsi meglio per afferrare tra le mani la sua erezione e avvicinarla poi alle labbra. Michael emise un gemito lievissimo, che aumentò di intensità quando Federico comincio a leccare la punta del suo membro e a lasciarvi baci umidi. Il riccio schiacciò la testa contro il cuscino e chiuse di nuovo gli occhi per assaporare meglio tutte quelle sensazioni e imprimerle per sempre nella sua mente. Era la loro ultima volta, quella.
Federico lo prese in bocca e aumentò gradualmente l’intensità del suo movimento. Anche i gemiti di Michael aumentarono, finché Federico non si fermò e tornò a baciare le labbra del riccio.
«Voglio farlo io, stavolta» soffiò sulle sue labbra.
Michael riaprì gli occhi e lo guardò stranito. Poi comprese, dal sorrisetto malizioso di Federico, a cosa si riferisse.
«Sicuro?» Gli domandò.
«Fammi quello che vuoi.»
Quella frase fece impazzire completamente Michael, che si alzò con il busto e rovesciò le posizioni, trovandosi a cavalcioni sul corpo di Federico e con le ginocchia all’altezza del suo bacino. Il riccio gli abbassò i boxer e li tirò via gettandoli dietro di sé. Si alzò per allargare le gambe di Federico e piegargliele, spingendo le ginocchia leggermente verso il suo busto. Vi si posizionò in mezzo e guardò malizioso l’orifizio del tatuato. Poi spostò il suo sguardo al viso del ragazzo e notò la sua preoccupazione.
«Io ti amo» gli disse delicatamente per rassicurarlo. «No ti farei mai del male. Ma se dovesse sucedere tu devi dirmelo, ok?»
Federico annuì e la sua espressione si rasserenò non poco: si fidava di Michael, doveva solo lasciarsi andare e godersi il momento.
Michael si abbassò per prepararlo e fece scivolare la sua lingua prima attorno all’apertura dell’altro e poi all’interno, inumidendolo per bene. A Federico sembrò di raggiungere il paradiso solo con quel gesto: chiuse gli occhi e non trattenne dei versi rochi che si liberarono dalle sue labbra.
Il riccio si staccò e si posizionò meglio tra le gambe dell’altro. Adagiò la punta della sua erezione contro l’apertura del tatuato e spinse lentamente all’interno, affondando delicatamente in lui.
Federico avvertì un dolore pungente e un piacere sublime allo stesso tempo. Afferrò tra i pugni le lenzuola candide del letto e strinse gli occhi.
«Ti sto facendo male?» Si accertò il riccio.
«Continua» ansimò Federico, cercando di non pensare al dolore che stava provando, ma solo al piacere di concedersi completamente alla persona che amava.
Michael affondò dentro di lui fino in fondo e si lasciò andare ad un gemito di piacere liberatorio. Attese che Federico si abituasse alla sua presenza, e solo quando vide i suoi pugni lasciar andare le lenzuola cominciò a muoversi dentro di lui. Uscì e rientrò dapprima lentamente, poi aumentando sempre di più il ritmo. Il dolore per Federico non era scomparso, ma adesso riusciva a sentire molto di più il piacere di essere completato da Michael. Perché di questo si trattava, di completarsi a vicenda nella loro ultima notte d’amore.
Michael diede le ultime spinte e Federico raggiunse l’orgasmo venendo nella sua mano e aprendo gli occhi per imprimere nella sua mente la figura del riccio che, chiudendo gli occhi e ansimando, raggiungeva anch’egli l’orgasmo. Federico lo guardò e pensò che se fosse morto in quel momento non avrebbe desiderato altro.
Michael uscì dall’altro e si adagiò sul petto di Federico, le loro pelli bollenti che entravano a contatto. Il riccio sentì il cuore del tatuato battere forte e chiuse gli occhi per sentirlo meglio. Sorrise.
La mano destra di Federico andò ad accarezzargli distrattamente i capelli.
«Ti amo» gli sussurrò.
«Anch’io» rispose Michael, poi riprese a sentire il suo cuore che batteva forte.
 
Il giorno dopo nessuno dei due aveva voglia di alzarsi. Ma Michael aveva l’ennesimo e ultimo aereo da prendere: destinazione Londra, solo andata.
Federico fu il primo a svegliarsi e scosse anche il riccio, seppur controvoglia. Michael si rigirò nelle coperte per i primi cinque minuti iniziali, poi si alzò sotto l’ennesima esortazione di Federico. Come uno zombie, Michael si tirò su e andò in bagno per lavarsi, sotto lo sguardo divertito del tatuato.
Quando entrambi furono pronti assieme alle valigie del riccio, uscirono e si diressero in aeroporto.
 
Federico lo accompagnò con l’auto e poi a fare il check-in.
Michael si voltò verso di lui e si morse le labbra. Federico sorrise alla vista così dolce di Michael che cercava di non piangere di nuovo.
Non ci riuscì, comunque, perché subito le lacrime rotolarono giù lungo le sue guance.
Federico lo riabbracciò stringendolo forte a sé.
Sapevano entrambi che quello era il loro ultimo addio, quello vero; non si sarebbero più sentiti ed era meglio così, perché altrimenti la distanza avrebbe fatto ancora più male.
Michael se ne fregò di trovarsi in aeroporto e premette le sue labbra contro quelle dell’altro in un ultimo disperato bacio.
Federico ricambiò e quando fu costretto a separarsi da quelle labbra ebbe un tuffo al cuore, probabilmente realizzando davvero che quello era il loro ultimo bacio.
«Forse un giorno scriveremo una canzone insieme. Chissà» disse Federico per vederlo sorridere un’ultima volta.
Fu così. Michael sorrise tra le lacrime e arricciò il naso.
Non si dissero addio, semplicemente il riccio si voltò e trascinò con sé la valigia.
Federico gli diede le spalle e si incamminò verso casa.
Già, forse un giorno avrebbero scritto una canzone insieme.
 
 
FINE

 
(ULTIMO) ANGOLO AUTRICE:
Voi non potete capire quanto io stia male per dover abbandonare i patatoni in questa storia e per averla fatta finire così ç^ç anch'io ho dei sentimenti e sono anche tanto masochista, perciò mi sono distrutta l'anima nello scrivere quest'ultimo capitolo. Avrei voluto un lieto fine, davvero, ma è andata così. La mia vena angst ha vinto ancora una volta.
Ho tanto da dire in questo ultimo spazio, ma già so che dimenticherò quasi tutto quello che mi sono prefissata di dirvi :/ perciò voglio innanzitutto ringraziare fino alla morte tutte le persone che hanno seguito questo mio racconto, e in maniera speciale e particolare chi mi ha fatto sempre avere la sua opinione attraverso le recensioni! Grazie^n (?) <3 non avrei scritto questa storia, senza di voi. <3 <3 <3
Poi voglio informarvi del fatto che non credo pubblicherò altro qui su EFP, ma lo farò su Wattpad. Perché semplicemente mi scazza l'html e su Wattpad posso pubblicare anche da cellulare quando sono a corto di tempo. Perciò vi rimando con amore (intenso) al mio profilo Wattpad, su cui ho già pubblicato delle midez os o di pochi capitoli: 
https://www.wattpad.com/user/izzits
Approfitto in ultimo per farmi pubblicità e infatti vi linko la nuova long che ho cominciato appunto su Watt e che è un crossover tra i midez e Percy Jackson (sperando vi possa piacere). La trovate QUI!
E niente... "Caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!" <3

 

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